ANNO XLII -N. 1 GENNAIO -MARZO 1990 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Pubblicazione trimestrale di servizio ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO ROMA 1991 ABBONAMENTI ANNO 1991 ANNO L. 42.000 UN NUMERO SEPARATO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . :it 8.000 Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO Attivit Commerciali -Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma e/e postale n: 387001 Stampato in Italia -Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 (3219001) Roma, 1991 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato P.V. INDICE Parte prima: GIURISPRUDENZA Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura del /'avv. Franco Favara) ............. pag. Sezione seconda: GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE (a cura del/'avv. Oscar Fiumara) . . . 28 Sezione terza: GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI (a cura degli avvocati Antonio Cingolo e Giuseppe Stipo) . . . . . . . . . . . . . . . . 52 Sezione quarta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura del/' avv. Raffaele Tamiozzo . . . . . 73 Sezione quinta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura de/l'avvocato Carlo Bafile) . . . . . . . 105 Pate seconda: QUESTIONI -RASSEGNA DI DOTTRINA RASSEGNA DI LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO CONSULTAZIONI QUESTIONI ........ . )) 1 )) 43 RASSEGNA DI LEGISLAZIONE . )) CONSULTAZIONI 51 Comitato di redazione: Avv. D. Del Gaizo -Avv. G. Mangia - Avv. M. Salvatorelli -Avv. F. Sclafani La pubblicazione diretta dall'avvocato: UGO GARGIULO CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AWOCATURE Avvocati Glauco NORI, Ancona; Carlo BAFILE, L'Aquila; Nicasio MANcuso, Palermo; Rocco BERARDI, Potenza; Maurizio DE F'RANcHIS, Trento; Paolo SCOTTI, Trieste; Giancarlo MAND, Perugia ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI G. ARENA, Note a margine del problema dell'esecuzione delle pronunce del giudice amministrativo . . . . . . . . . . . . . . . . C. BAFILE, Su una improbabile ipotesi di giurisdizione mutevole in materi~ ~i. responsabilit personale del liquidatore delle persone giuridiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I.M. BRAGUGLIA, Raccomandazioni CECA: interpretazione ed efficacia I.F. CARAMAZZA e P. GENTILI, La giurisdizione amministrativa (100 anni dopo l'istituzione della IV sezione del Consiglio di Stato) I. F. CARAMAZZA e M. L. SPINA, L'avvocato del processo amministrativo ............................ . G. STIPO, L'istituzione dell'Ente Ferrovie dello Stato e la giurisdizione in materia pensionistica . . . . . . . . . . . . . . . . . Il, I, I, Il, II, I, 34 147 28 1 11 68 nascita di vitelli -Termini per procedere ad istruttoria delle domande -Ragionevolezza -Poteri della Commissione, 41. -Libera circolazione delle merci -Misure di effetto equivalente a restri- Ricorso gerarchico -Silenzio della P.A. -Proposizione del ricorso giurisdizionale -Decisione gerarchica di rigetto sopravvenuta -Atto ad effetto confermativo -Non occorre impugnativa giurisdizionale, 73. nascita di vitelli -Termini per procedere ad istruttoria delle domande -Ragionevolezza -Poteri della Commissione, 41. -Libera circolazione delle merci -Misure di effetto equivalente a restri- Ricorso gerarchico -Silenzio della P.A. -Proposizione del ricorso giurisdizionale -Decisione gerarchica di rigetto sopravvenuta -Atto ad effetto confermativo -Non occorre impugnativa giurisdizionale, 73. PARTE PRIMA INDICE ANALITICO ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA AGRICOLTURA -Provvidenze comunitarie per il mercato agricolo -Fermo amministrativo -Presupposti e limiti, 46. ATTO AMMINISTRATIVO -Illegittimit -Eccesso di potere per disparit di trattamento -Provvedimento vincolato -Insussistenza del vizio, 91. AVVOCATURA DELLO STATO "--Esercizio dello ius postulandi Procura ad litem -Necessit Insussistenza -Questione di costi tuzionalit manifestamente infondata, 61. -Rappresentanza e difesa di amministrazioni non statali -Procura ad litem Necessit -Insussistenza, 60. COMUNIT EUROPEE -CECA -Interpretazione del Trattato CECA e degli atti emanati in forza di esso -Rinvio pregiudiziale -Competenza della Corte di giustizia, 28. -CECA -Privilegi dei crediti per prelievi della CECA -Decorrenza, 28. -CECA -Raccomandazioni -Efficacia diretta -Limiti -Privilegio dei crediti CECA, 28. -Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia (F.E.O.G.A.) -Liquidazione dei conti -Premi per la zioni quantitative all'importazione Appalti pubblici di fornitura -Riserva in favore di imprese ubicate in determinate regioni del territorio nazionale -Regime di aiuti, 37. FERROVIE -Alloggio di seI'V!z10 concesso a dipendente per motivi diversi dallo espletamento del servizio -Opposizione al provvedimento di rilascio Giurisdizione amministrativa, 57. -Dipendenti ente F.S. -Controversie previdenziali -Competenza territoriale ex art. 23 legge n. 210 del 1985 -Esclusione, 52. -Opera di previdenza e assistenza dei ferrovieri dello Stato -Indennit di buonuscita -Giurisdizione della Corte dei conti, 102. GIURISDIZIONE CIVILE -Regolamento preventivo -Sentenza che si limitata ad esaminare nei limiti necessari per risolvere la questione di giurisdizione -Ammissibilit del regolamento, 57. -Sanit -Prestazioni sanitarie -Accordo collettivo -Aggiornamento dei compensi -Mancata attuazione dell'accordo collettivo -Regolamento preventivo di giurisdizione -Giurisdizione dell'AGO, 53. GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA -Ricorso gerarchico -Decorso del termine per la decisione -Facolt di ricorso giurisdizionale, 73. INDICE DELLA GIURISPRUDENZA -Ricorso gerarchico -Silenzio della PA. -Proposizione del ricorso giurisdizionale -Decisione gerarchica sopravvenuta di accoglimento -Mancanza di controinteressati -Cessazione della materia del contendere -Presenza dei suddetti -Illegittimit -Impugnazione Necessit, 73. -Ricorso gerarchico -Silenzio della PA. -Proposizione del ricorso giurisdizionale o straordinario Decisione gerru;-chica reiettiva sopravvenuta Impugnativa giurisdizionale di questa ultima Non occorre Quid novi della decisione Presentazione di motivi aggiunti, 84. - Ricorso gerarchico Silenzio della P.A. -Proposizione del ricorso giurisdizionale o straordinario -Decisione gerarchica sopravvenuta di accoglimento Controinteressati Impugnazione -Necessit, 84. - Ricorso gerarchico -Silenzio della P.A. -Proposizione del ricorso giurisdizionale o straordinario -Decisione gerarchica sopravvenuta di accoglimento -Controinteressati Mancanza -Cessazione della materia del contendere, 84. - Ricorso giurisdizionale Provvedimento amministrativo -Esercizio di discrezionalit tecnica Sindacato, 73. IMPIEGO PUBBLICO -Accordo sindacale Dipendenti enti locali Accordo aziendale ex art. 3 d.P.R. n. 347 del 1983 -Formazione -Intervento di tutti i dipendenti Mancata partecipazione delle organizzazioni sindacali -Illegittimit dell'accordo, 94. -Stipendi e assegni Indebito (ripetizione) -Buona fede del percipiente Rileva solamente sulle modalit del recupero, 91. -Stipendi e assegni -Indebito (ripetizione) -Doverosit, 91. OPERE PUBBLICHE -Albo nazionale costruttori Sospensione dell'efficacia dell'iscrizione Non ha carattere sanzionatorio, 1. -Piano di bacino -Interferenze con attribuzioni regionali Legittimit costituzionale, 10. PENSIONI -Pensioni civili Domanda proposta in via autonoma al fine di ottenere la rivalutazione di assegni pen sionistici e i relativi interessi legali Giurisdizione della Corte dei conti, 59. -Pensioni civili Ricorsi proposti da dipendenti ferroviari dopo l'istituzione dell'Ente Ferrovie dello Stato Giurisdizione della Corte dei conti, con nota di G. STIPO, 67. REGIONI -Atti di pianificazione e/o programmazione, atti di indirizzo e coordinamento, ed atti di coordinamento tecnico Distinzioni, 10. -Controlli sugli atti amministrativi Controlli diversi da quelli previsti in via generale Legittimit costituzionale, 10. -Cooperazione tra Stato e Regioni Organi misti Parere obbligatorio di organo statale -Non comprimono le autonomie regionali, 10. -Poteri sostitutivi attribuiti ad organi statali Requisiti Necessit anche del congruo preavviso allo esercizio di detti poteri, 10. -Principi e norme fondamentali - Autoqualificazione ad opera del legislatore statale Non determinante, 10. -Regioni a statuto ordinario Norme interposte contenute nel d.P.R. n. 616 del 1977 Modificabilit con legge ordinaria, 10. RICORSI AMMINISTRATIVI -Ricorso gerarchico -Proposizione del i;.icorso giurisdizionale Improcedibilit del ricorso gerarchico, 73. - Ricorso gerarchico Silenzio della P.A. Mancata proposizione del ricorso giurisdizionale -Potere di decisione oltre il termine Sussiste, 73. vm RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO -Ricorso gerarchico -Silenzio della Pubblica Amministrazione -Mancata proposizione del ricorso giurisdizionale -Potere di decisione oltre il termine Sussiste, 84. SANZIONI AMMINISTRATIVE -Infrazioni valutarie Potere del Ministro del Tesoro di imporre pene pecuniarie -Questione di costituzionalit manifestamente infondata, 61. -Infrazioni valutarie -Responsabilit -Requisito della maggiore et Necessit, 61. -Infrazioni valutarie -Riscossione di pene pecuniarie -Prescrizione quinquennale anzich triennale Questione di costituzionalit manifestamente infondata, 61. TRASPORTI PUBBLICI -Autolinee in concessione -Commissione istituita per il coordinamento dei servizi automobilistici di linea con quelli ferroviari -Istituzione dell'Ente Ferrovie dello Stato -Mancata convocazione -Legittimit, 96. -Autolinee in concessione Diritto di preferenza per finitimit -Requisiti, 96. -Autolinee in concessione -Potere discrezionale dell'Amministrazione sulle modalit della procedura, 96. TRENTINO ALTO ADIGE -Provincia di Bolzano -Proporzionale linguistica Pianta organica degli uffici giudiziari -Potenziamento degli uffici -Inammissibilit del ricorso per mancanza di interesse, 8. TRIBUTI ERARIALI DIRETTI -Accertamento -Metodo induttivo Irregolarit delle scritture Vidimazione dei registri -Reiterazione delle stesse irregolarit in diversi periodi di imposta -Rilevanza, 126. -Imposta unica sul reddito delle persone fisiche -Redditi fondiari Catasto -Classamento -Notifica l> necessaria ai fini della decorrenza del termine per l'impugnazione Nullit di classamento non notificato -Esclusione, 144. -Restituzioni e rimborsi -Procedimento -Termine di decadenza -Applicabilit del term~e dell'art. 43 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 Esclusione, 164. -Restituzioni e rimborsi -Versamenti diretti -Procedimento amministrativo di rimborso -Art. 38 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 -Tipicit Limitazione a versamenti in esattoria -Esclusione, 164. - Soggetti passivi Liquidatore di societ di capitali -Responsabilit Natura, con nota di C. BAFILE, 147. TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI -Imposta di registro e INVIM Riforma fondiaria -Assegnazione di terreni -Assoggettabilit alla imposta di registro -Non assoggettabilit all'INVIM, 113. -Imposta di registro -Presunzione di accessioni -Accordo per l'edificazione con effetto obbligatorio Non vince la presunzione, 141. -Imposta sul valore aggiunto -Accertamento -Presunzioni -Presunzioni legali e presunzioni semplici Concorrenza, 118. -Imposta sul valore aggiunto -Presunzione dell'art. 53 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 -Prova contraria Limiti, 122. -Imposte varie -Imposta sostitutiva -Credito a medio e lungo termine -Estensione -Operazioni strumentali ai fini istituzionali -Locazione di immobile -Esclusione, 165. TRIBUTI IN GENERE -Accertamento -Imposte indirette Accertamento non motivato Notifica di nuovo accertamento prima della maturazione del termine di decadenza -Validit, 139. -Accertamento -Imposte indirette Difetto totale di maturazione Nullit, 140. INDICE DELLA GIURISPRUDENZA -Accertamento -Imposte sul reddito -Accertamento analitico induttivo e accertamento induttivo Presupposti -Motivazione, 126. -Accertamento -Notificazione -Persona giuridica -Impossibilit di notifica presso la sede legale -Applicabilit art. 143 c.p.c. -Esclusione -Notificazione ex art. 140 c.p.c. : e valida, 131. -Accertamento -Notificazione -Persona giuridica -Impossibilit di notifica presso la sede legale -Notifica col rito degli irreperibili al legale rappresentante -Nullit, 131. -Accertamento -Notificazione -Persona giuridica -Impossibilit di notifica presso la sede legale -Ricerca della sede effettiva -Necessit Notificazione alla persona fisica del legale rappresentante -Necessit prima di fare applicazione dell'art. 140 c.p.c., 132. -Contenzioso tributario -Appello Motivazione per relationem Inammissibilit -Rilevabilit di uf ficio -Motivi aggiunti -Inammissibilit, 168. -Contenzioso tributario -Competenza e giurisdizione -Azione di mero accertamento in sede ordinaria Liquidatore di societ di capitali Ammissibilit anteriormente all'accertamento della responsabilit -Ricorso successivo all'accertamento giurisdizione delle commissioni, con nota di C. BAFILE, 147. -Norme tributarie -Disposizioni integrative e correttive -Nozione Retroattivit -Art. 1 d.P.R. 23 dicembre 1974, n. 688 che modifica l'art. 13, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, 105. - Restituzioni e rimborsi -Caducazione della norma di imposizione Azione generale di indebito -Esclusione, 164. Il URBANISTICA -Vincolo urbanistico di natura espro priativa -Reiterazione mediante va riante al P.R.G., 5. INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE 20 dicembre 1989, n. 563 . 22 dicembre 1989, n. 575 29 dicembre 1989, n. 585 26 febbraio 1990, n. 85 . . CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE Sed.1>leri., 2 febbraio 1990, nella causa C-221/88 Sed. plen., 20 marzo 1990, nella causa C-21/88 Sed. plen., 27 marzo 1990, nella causa C-10/88 CORTE DI CASSAZIONE Sez. Un., 7 febbraio 1989, n. 733 Sez. Un., 7 febbraio 1989, n. 734 Sez. II, 9 febbraio 1989, n. 801 . Sez. I, 18 febbraio 1989, n. 963 . Sez. I, 24 febbraio 1989, n. 1022 Sez. I, 1 marzo 1989, n. 1102 . . Sez. I, 15 marzo 1989, n. 1296 . Sez. Un., 17 marzo 1989, n. 1333 Sez. Un., 17 marzo 1989, n. 1336 Sez. I, 21 marzo 1989, n. 1418 . Sez. I, 31 marzo 1989, n. 1582 . Sez. Un., 4 maggio 1989, n. 2079 Sez. Un., 9 giugno 1989, n. 2786 Sez. Lav., 9 giugno 1989, n. 2821 Sez. I, 9 luglio 1989, n. 3243 . . Sez. I, 28 luglio 1989, n. 3542 . . Sez. Un., 25 agosto 1989, n. 3768 Sez. I, 28 novembre 1989, n. 5170 Sez. Un., 29 novembre 1989, n. 5229 Sez. Un., 1 febbraio 1990, n. 646 Sez. I, 22 febbraio 1990, n. 1308 CORTE DEI CONTI Sez. III, pensioni civili, 17 gennaio 1990, n. 63519 Pag. 1 ,. 5 )) 8 )) 10 Pag. 28 )) 37 )) 41 Pag. 105 )) 113 118 )) 122 )) 126 131 132 139 )) 140 141 )) 144 )) 147 )) 164 )) 52 )) 165 )) 168 )) 53 )) 46 )) 57 59 )) 60 Pag. 67 I I I INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA Xl GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE CONSIGLIO DI STATO Ad. Plen., 27 novembre 1989, n. 16 Pag. 73 Ad. Plen., 4 dicembre 1989, n. 17 84 Sez. IV, 16 gennaio 1990, n. 15 . 91 Sez. IV, 14 febbraio 1990, n. 77 94 Sez. VI, 12 marzo 1990, n. 375 . 96 TAR Lazio, Sez. III, 23 novembre 1989, n. 2001 )) 102 PARTE SECONDA Questioni Rassegna di legislazione Questioni di legittimit costituzionale: I Norme dichiarate incostituzionali .......... . IB Ammissibilit della richiesta di referendum abrogativo II Questioni dichiarate non fondate Consultazioni Pag. Pag. 1 43 47 47 51 PARTE PRIMA ,,,.,,,,l~lll/fllllllllllflllllf=I-~-, ;:: r !: i: ~ f: f GIURISPRUDENZA SEZIONE PRIMA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE CORTE COSTITUZIONALE, 20 dicembre 1989, n. 563 -Pres. Saja -Rel. Gallo -S.a.s. Arturo Cassina (avv. Biagini) e Presidente Consiglio dei Mi 1 nistri (avv. Stato Onufrio). Opere pubbliche -Albo nazionale costruttori -Sospensione dell'efficacia dell'iscrizione -Non ha carattere sanzionatorio. (Cost., art. 27; 1. 10 febbraio 1962, n. 57, art. 20, come modificato dal 1. 13 settembre 1982, n. 646, art. 23). La sospensione dell'efficacia dell'iscrizione nell'albo nazionale dei costruttori misura cautelare amministrativa e non atto di anticipazione di una sanzione (e perci sanzionatorio); le conseguenze della sospensione, ancorch irreversibili, sono solo indirette ed eventuali. La societ sopporta le conseguenze civili dei comportamenti tenuti dall'amministratore e/o legale rappresentante, nell'esercizio di dette funzioni. L'art. 20, n. 2 del comma primo della legge 10 febbraio 1962 n. 57 pre vede che il costruttore, inscritto nell'Albo nazionale, debba essere sottoposto, a cura del Comitato centrale dell'Albo stesso, a sospensione dell'efficacia dell'iscrizione quando siano in corso a suo carico procedimenti penali relativi ai casi contemplati nel successivo art. 21 n. 2 (nonch per altra ipotesi che non interessa il caso di specie). Il n. 2 del richiamato Jirt. 21, che disciplina la cancellazione dall'Albo, si rierisce a delitto che per la sua natura o per la sua gravit faccia venir meno i requisiti di natura morale richiesti per l'iscrizione all'Albo. Il secondo comma dell'art. 20 precisa poi che, nel caso di cui al n. 2, il provvedimento di sospensione si adotta allorquando (correlato al caso di specie) l'ipotesi si riferisce a uno o a pi soci di societ in accomandita semplice. Con deliberazione 6 aprile 1989, il Comitato Centrale predetto ha so speso l'efficacia della iscrizione della S.a.s. Arturo Cassina all'Albo na zionale, essendo risultato che il socio e legale rappresentante della societ era stato rinviato a giudizio del Tribunale, con sentenz~-ordinanza del Giudice Istruttore presso lo stesso Tribunale, confermata da sentenza della Corte d'Appello, per rispondere dei delitti di concorso in interesse priv:rto continuato in atti d'ufficio, nonch di false comunicazioni sociali. r111r1r111-111r1r1111111111t1111111111111111111r111J11111 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO A seguito del ricorso della societ, il TAR del Lazio aveva respinto l'istanza di sospensione, in via cautelare, del provvedimento impugnato, e la societ si era allora appellata... Il Consiglio di Stato, Sezione VI, ritenuto che, allo stato, gli altri motivi non potessero essere presi in considerazione in sede di riesame, giudicava invece rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimit costituzionale dell'art. 20 della legge e, con ordinanza 7 luglio 1989, rimetteva gli atti a questa Corte. Secondo l'ordinanza, la sospensione dall'Albo in questione sarebbe misura sostanzialmente sanzionatoria, che viene inflitta prima che una condanna penale sia stata definitivamente pronunziata: essa sarebbe, perci, incompatibile con la presunzione di non colpevolezza contenuta nel principio di cui all'art. 27, secondo comma della Costituzione. La natura anticipatoria della sanzione sarebbe comprovata dalla irreversibilit dei danni cagionati dalla mancata ammissione agli appalti pubblici, conseguente alla sospensione. Al contrario gli effetti dei provvedimenti cautelari tipici -come quelli rigua1idanti, ad esempio, il pubblico impiego -sono quelli di sospendere temporaneamente una certa situazione, che viene poi integralmente ri I pristinata al cessare della misura. (omissis) Non sembra che si possano nutrire dubbi sulla natura del provvedi I mento di sospensione dell'efficacia dell'iscrizione all'Albo nazionale dei I costruttori, a' sensi dell'art. 20, primo comma, n. 2 della legge epigrafata. ,.f.: I I '"' Gi il termine stesso usato dal legislatore in proposito eloquente. Esso esprime sicuramente il temporaneo arresto di ci che in corso, e non soltanto nell'ormai invalsa terminologia giuridica, ma anche nella comune significazione, cos come figurativamente derivata dal senso originario del verbo sospendere, che vale appunto tenere appeso in alto, I ~ e perci pendente . ~ Ma poi sufficiente dare uno sguardo comparativo al successivo articolo 21 della legge, cui il n. 2 dell'art. 20 espressamente si riferisce, per ~ rendersi conto che le cause fondamentali, che danno origine ai provvedimenti diversi contemplati nei due articoli, sono le stesse: la perpetra! zione da parte del costruttore di reati di gravit e natura tale da compromettere i requisiti di carattere morale per l'iscrizione. I Nell'art. 20, n. 2, si prevede l'ipotesi che l'accertamento dei reati sia in corso mediante procedimento penale, nell'art. 21 n. 2 che l'accertamento I si sia positivamente compiuto mediante condanna definitiva del costruttore. g allora evidente che la prima ipotesi corrisponde ad una situazione I provvisoria, nella quale non vi ancora certezza che i fatti di reato siano ~ r stati commessi, ma vi certezza della pendenza di un accertamento da !: I: I: parte dell'autorit giudiziaria penale. Ad una situazione precaria, non (: ~: pu che corrispondere un provvedimento provvisorio: la sospensione appunto dell'efficacia dell'iscrizione. Alla situazione ormai definitiva, dr com f. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE piuto ed irrevocabile accertamento dei fatti di reato, corrisponde il provvedimento definitivo di cancellazione dall'Albo. Questa diversa natura dei due provvedimenti si riverbera poi nel differente potere che il legislatore attribuisce alla pubblica amministrazione. Un potere di atto dovuto, vincolato al definitivo accertamento, nel caso dell'art. 21, espresso dal verbo sono cancellati, un potere invece discrezionale nella ipotesi contemplata nell'art. 20. E si capisce il perch. Nel primo caso gi stato accertato il venir meno dei requisiti cui la legge subordina l'iscrizione all'Albo nazionale dei costruttori, e perci la conseguenza la cancellazione, in quanto l'Albo ha la specifica funzione di selezionare in via generale l'ammissione agli appalti pubblici dei costruttori, garantendo l'amministrazione dall'imprendere trattative con chi non possieda requisiti di moralit e seriet. Nel caso della sospensione, invece, varie potendo essere le situazioni che legittimano la penden:a di un procedimento penale, il legislatore ha rimesso ogni decisione al prudente apprezzamento dell'amministrazione ( pu essere sospeso ... ). fuori dubbio, dunque, che trattasi di un provvedimento provvisorio, di carattere cautelare, destinato a trasformarsi nel definitivo provvedimento di cancellazione se dovesse seguire condanna definitiva, o a caducarsi, se il costruttore dovesse essere assolto, per il venire meno delle condizioni che l'avevano legittimato. Ma non meno provvisori -cos come giustamente richiedono ad un provvedimento cautelare giudice rimettente e difesa privata -sono gli effetti che la sospensione determina. Ovviamente non si deve equivocare tra gli effetti propri della sospensione e quelli che possono derivare dalle ulteriori conseguenze di quegli effetti, che situazione diversa. L'effetto che deriva dalla sospensione dell'efficacia dell'iscrizione all'albo uno soltanto: l'iscrizione che era stata a suo tempo ottenuta non dispiega temporaneamente alcuna efficacia, e il costruttore, perci, viene provvisoriamente a trovarsi nella situazione di colui che non stato iscritto. Situazione che dura soltanto per il tempo della sospensione, perch non appena questa si caduca, l'efficacia riprende pieno vigore e il costruttore si ritrova con tutte le facolt e i diritti che possedeva prima della sospensione. Si capisce che durante la sospensione egli non possa partecipare alle gare dei pubblici appalti, ed intuitivo che, se non partecipa, non ha alcuna possibilit di vincere, sicch l'appalto sar assegnato ad altri ed il costruttore sospeso non potr mai pi sperare di vedersi attribuire quel certo appalto. Queste ultime, per, sono conseguenze, certamente irreversibili ma, del tutto indirette ed eventuali; proprio come si verifica in qualsiasi altra situazione di provvedimento cautelare sia essa quella dell'impiegato pubblico che del professionista. 4 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Per entrambi l'effetto diretto della sospensione cautelare provvisorio, e riguarda l'impossibilit di esercitare temporaneamente l'ufficio e, per l'impiegato, anche di riscuotere lo stipendio se la sospensione riguarda anche quest'ultimo: per il professionista l'effetto provvisorio diretto rappresentato dal temporaneo divieto di esercitare la professione. Se l'impiegato verr assolto, vero che gli dovranno essere corrisposti gli stipendi arretrati rimasti sospesi, ma ci dipende dal fatto che fra amministrazione e impiegato esisteva un rapporto d'impiego, e l'impiegato era tuttavia rimasto a disposizione dell'amministrazione durante la sospen4 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Per entrambi l'effetto diretto della sospensione cautelare provvisorio, e riguarda l'impossibilit di esercitare temporaneamente l'ufficio e, per l'impiegato, anche di riscuotere lo stipendio se la sospensione riguarda anche quest'ultimo: per il professionista l'effetto provvisorio diretto rappresentato dal temporaneo divieto di esercitare la professione. Se l'impiegato verr assolto, vero che gli dovranno essere corrisposti gli stipendi arretrati rimasti sospesi, ma ci dipende dal fatto che fra amministrazione e impiegato esisteva un rapporto d'impiego, e l'impiegato era tuttavia rimasto a disposizione dell'amministrazione durante la sospensione, risultata poi non rispondente alla realt del suo comportamento: sempre, comunque, con salvezza delle misure disciplinari qualora la formula assolutoria non le escluda. Ma, com' ben noto, tutto questo non riguarda il professionista che, in pendenza di procedimento penale, pu venire assoggettato sia al provvedim~nto interdittivo cautelare del giudice penale che al provvedimento cautelare disciplinare del Consiglio dell'Ordine. Anche qui l'effetto diretto della sospensione rappresentato per il professionista dal divieto temporaneo di esercitare la professione; ed egli verr ripristinato nel pieno e libero esercizio quando la sospensione verr a cessare. Ma anche per lui si verificher un temporanea perdita di clientela, e quindi di cause e consulenze da trattare, senza che per questo si sia mai ritenuto che il provvedimento di sospensione abbia carattere di anticipazione di una sanzione, in assenza di accertamento definitivo. Il principio della presunzione di non colpevolezza dell'imputato, pertanto, non viene in causa nei provvedimenti cautelari, se non per la prudenza con cui questi devono essere adottati e per la rigorosa osser vanza delle condizioni tassativamente previste dalla legge: l'ordinamento giuridico-processuale ne offre riprova ogniqualvolta venga cautelarmente limitata o ristretta perfino la libert personale del cittadino. Il vero che alla base della cautela posta in essere dall'Ente pubblico vi un preminente interesse della generalit, a fronte di comportamenti del singolo suscettibili di essere temporaneamente assunti come pericolosi per quell'interesse. Nemmeno pu trovare ingresso il tentativo della difesa di utilizzare il primo comma dell'art. 27 della Costituzione (principio di personalit della responsabilit penale). Innanzitutto perch il parametro e il relativo profilo non sono stati dedotti dal Consiglio di Stato nella sollevata questione: ma anche perch, comunque, se pur fosse stata proposta, la questione non avrebbe avuto fondamento. Nessuno, infatti, ha addebitato alla societ una responsabilit penale, anche perch, oltre tutto, non stato ancora superato il principio so cietas delinquere non potest : e, d'altra parte, solo di questa responsabilit che parla l'art. 27, primo comma, della Costituzione. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE La responsabilit della societ -che non penale -sorge ex art. 20, secondo comma della legge in esame, quando i fatti, di cui al primo comma, sono stati commessi, in una societ in accomandita semplice, da uno o pi dei soci o dal direttore tecnico. Nella specie, il rinvio a giudizio per i reati sopraindicati x:iguardava il socio amininistratore, legale rappresentante. evidente che si tratta di responsabilit della societ per fatti commessi nell'esercizio di funzioni societarie da chi la rappresenta e l'amministra. Vero che alle societ a base personale non conferita personalit giuridica: esse, tuttavia, come appare da numerose disposizioni sulle societ semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice (artt. 2266, 2271, 2282, 2304, 2305 e 2315 codice civile), sono dotate di autonomia patrimoniale e costituiscono pur sempre un centro di imputazione di situazioni soggettive, con il duplice corollario della irrilevanza, nei confronti dei terzi, dei mutamenti delle persone dei soci, nonch del riconoscimento alla societ, come tale, persino di un'autonoma capacit processuale. Deriva da siffatti principi, pacifici nella giurisprudenza civile di legittimit, che la societ, come tale, responsabile dei comportamenti esterni compiuti dal socio che la rappresenta nell'esercizio delle sue funzioni, e ne sopporta le conseguenze civili. Per cui, se alla condotta penalmente rilevante del socio amministratore nell'esercizio delle funzioni consegue una misura cautelare concernente la partecipazione alle gare dei'pubblici appalti, essa necessariamente riguarda anche la societ come tale. Ma dagli ste~si principi deriva altres -come si accennato l'irrilevanza delle successive vicende inerenti al mutamento dei soci nella rappresentanza della societ, quando il procedimento penale riguardi il socio che aveva veste di amministratore e rappresentante nel momento in cui l'azione penale stata promossa. Altrimenti, nonostante le ma lefatte di soci e amministratori, la societ uscirebbe sempre immune da ogni vicenda nei suoi rapporti con la pubblica amministrazione. Che poi il codice penale preveda fra le pene accessorie anche l'inca pacit di contrattare con la pubblica amministrazione (art. 32 ter) non argomento che tolga il carattere di misura cautelare amministrativa a quella in esame. E ci sia perch quella pena accessoria non consegue alla condanna per i delitti imputati nel caso di specie (art. 32 quater), sia perch, gi sotto l'impero del codice processuale precedente, anche la pena accessoria, comunque, poteva essere applicata in via provvisoria dal giudice nell'istruzione (art. 140 codice penale), ed in tal caso non poteva certo essere considerata pena. Tant' vero che, molto pi corret tamente, il codice processuale in vigore ha collocato la misura fra quelle cosidette interdittive (art. 290) applicabili dal giudice delle indagini preliminari su richiesta del pubblico ministero (art. 291). (omissis) RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE COSTITUZIONALE, 22 dicembre 1989, n. 575 -Pres. Saja -Rel. Caianello -S.p.A. Magc (avv. Scrosati e Corselli) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Ferri). Urbanistica Vincolo urbanistico di natura espropriativa Reitera zione mediante variante al P .R.G. (Cost., art. 42; 1. urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150, artt. 7 e 40, 1. 19 novembre 1968, n. 1187, art. 2). . La potest amministrativa di pianificazione urbanistica pu esplicarsi in strumenti (ad esempio, una variante di P.R.G.) che d,~terminano rinnovo di destinazione urbanistica divenuta inefficace per decorso del quinquennio; l'esercizio di tale potest non pu tuttavia determinare un vincolo di durata indefinita, il quale sarebbe incompatibile con la garanzia della propriet (1). stata sollevata questione di legittimit costituzionale degli artt. 7, nn. 2, 3 e 4, e 40 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 e 2, primo comma, della legge 19 dicembre 1968, n. 1187 nella parte in cui, ad avviso del giudice a quo, consentono alla pubblica amministrazione di reiterare, senza la corresponsione di indennizzo, il vincolo urbanistico di natura espropriativa su di un bene determinato, decaduto per l'inutile decorso del termine di efficacia. L'ordinanza di rinvio considera tale eventualit in contrasto con l'art. 42, terzo comma, della Costituzione, in quanto sottoporrebbe singoli beni, cos discriminandone l'utilizzabilit rispetto ad altri beni aventi le stesse caratteristiche, ad un regime vincolistico indeterminato nel tempo, tale da risolversi in una limitazione della propriet sostanzialmente espropriativa senza indennizzo. (omissis) Nel merito la questione, sollevata in riferimento i;i.Il'art. 42, comma terzo, della Costituzione, non fondata. (1) La sentenza (che pare interpretativa cli -rigetto) da condividere laddove pone in giusto rilievo la potest amministrativa cli pianificazione urbanistica e conferma che tale potest rimane per cos dire piena e non si esaurisce per effetto del decorso del noto termine quinquennale di durata del c.d. vincolo urbanistico cli natura espropriativa su bene determinato. La sentenza sembra meno condivisibile laddove raffigura una sorta di condizione esterna alla predetta potest, rectius all'esercizio di essa senza attivazione cli un procedimento cli espropriazione per p.u.: ancora una volta riproposto un collegamento tra procedimenti (di pianificazione urbanistica eventualmente anche attuativa, e cli espropriazione per p.u.) che finisce per contraddire la pur proclamata potest di pianificazione, rendendola subalterna alla garanzia della propriet quando la indennizzabi1it resa praticamente possibiile per la compresenza, tutto considerato solo occasionale, di un procedimento di espropriazione. In realt, il concetto stesso cli c.d. vincolo urbanistico cli materia espropriativa su bene determinato, ancorch ampiamente utilizzato dalla giurisprudenza e persino da qualche disposizione legislativa, appare privo cli validit sistematica. Le destinazioni urbanistiche sono tutte indifferentemente espressione della potest cli pianificazione; e la nozione cli vincolo esprime effetti giuridici !'. r prodotti da discipline diverse da quella urbanistica. ~: fr: ------I~. I ~ PARTE I, SEZ. I, GFURISPRUD'ENZA COSTITUZIONALE 7 Gli artt. 7 nn. 2, 3 e 4, e 40 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, in relazione al predetto parametro costituzionale, sono stati gi esaminati da questa Corte nella sentenza n. 55 del 1968. Questa li dichiar costituzionalmente illegittimi nella parte in cui escludevano espressamente l'indennizzabilit dei vincoli su beni individuati che privavano il proprietario delle utlit consentite ad altri, sia pure secondo indici differenziati (sent. n. 38 del 1966) in relazione a beni aventi le stesse caratteristiche. Tali norme vengono ora denunciate in connessione con l'art. 2 della legge n. 1187 del 1968, ed il giudice a quo, pur dichiarandosi consapevole della legittimit costituzionale di leggi che prevedano l'imposizione a tempo indeterminato di vincoli su beni determinati, purch subordinati alla previsione dell'indennizzo della propriet, prospetta la questione in relazione alla possibilit, insita nelle norme denunciate, di protrarre a tempo indeterminato, come nel caso del giudizio a quo, vincoli scaduti, attraverso l'introduzione di varianti agli strumenti urbanistici, la cui adozione comporta, in relazione ai vincoli in esse contenuti, una nuova decorrenza del termine quinquennale di efficacia previsto dall'art. 2 della legge del 1968, n. 1187. Osserva in proposito la Corte che propria della potest pianificatoria la possibilit di rinnovare illimitatamente nel tempo i vincoli su beni individuati, purch, come ritenuto dalla giurispru,denza amministrativa, risulti adeguatamente motivata in relazione alle effettive esigenze urbanistiche. Tale possibilit, tuttavia, darebbe luogo ad un sistema non conforme ai principi affermati nella richiamata sentenza n. 55 del 1968, qualora il vincolo venga protratto a tempo indeterminato senza la previsione di indennizzo. Come si evince dalla stessa sentenza e come stato ribadito pi di recente (sent. n. 82 del 1982), i due requisiti della temporaneit e della indennizzabilit sono difatti tra loro alternativi, per cui l'indeterminatezza temporale dei vincoli, resa possibile dalla potest di reiterarli indefinitamente nel tempo anche se con diversa destinazione o con altri mezzi, costituzionalmente legittima a condizione che l'esercizio di detta potest non determini situazioni incompatibili con la garanzia della propriet secondo i principi affermati nelle sentenze n. 6 del 1966 e n. 55 del 1968. proprio per questa ragione che la Corte, chiamata in precedenza a giudicare della legittimit costituzionale dell'art. 2 della legge n. 1187 del 1968, in riferimento agli stessi parametri costituzionali ora invocati, lo ha ritenuto, nella sentenza n. 92 del 1982, rispondente ai principi affermati nella sentenza n. 55 del 1968 e ci in quanto tale norma era stata emanata all'indomani di quest'ultima solo per graduarne gli effetti nel tempo e non per reintrodurre il principio dell'esclusione dell'indennizzo dei vincoli urbanistici a tempo indeterminato. (omissis) ra11a111111r111:1111111111111r411111t11a11&11J111r11111111 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE COSTITUZIONALE, 29 dicembre 1989, n. 585 -Pres. Saja -Rel. Conso -Provincia di Bolzano (avv. Panunzio) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Bruno). Trentino Alto Adige -Provincia di Bolzano Proporzionale linguistica Pianta organica degli uffici giudiziari -Potenziamento degli uffici Inammissibilit del ricorso per mancanza di interesse. Il principio della proporzionale etnica (rectius, linguistica) deve essere applicato all'atto della concreta assegnazione personale dei posti di magistrato, ancorch non formalmente compresi nella relativa tabella. Il ricorso della Provincia avverso una modificazione della tabella predetta disposta senza la consultazione della commissione paritetica dei sei prevista dal' art. 107 dello Statuto speciale inammissibile per mancanza di interesse quando la modificazione si risolve in un potenziamento e degli uffici statali nella provincia (1). La Provincia Autonoma qi Bolzano ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato relativamente al decreto del Presidente della Repubblica 4 febbraio 1989, recante Modifiche alle piante organiche dei magistrati di alcuni uffici giudiziari . Tale decreto - sostituendo e modificando la ripartizione dei posti di pianta organica degli uffici giudiziari della Provincia di Bolzano ( gi risultante non solo dalla tabella allegata al d.P.R. 31 dicembre 1966, n. 1185, ma dalla stessa tabella allegata al d.P.R. 26 luglio 1976, n. 752 ) senza osservare la procedura prevista dall'art. 107 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, che, a tutela delle minoranze linguistiche, richiede la previa consultazione della speciale commissione paritetica chiamata ad esprimere parere su tutte le norme di attuazione statutarie -sarebbe lesivo delle competenze costituzionalmente assegnate alla Provincia Autonoma di Bolzano dagli artt. 89, 100 e 107 dello Statuto della Regione Trentino-Alto Adge e relative norme di attuazione (artt. 33 ss., spec. art. 34 e tabella 23, del d.P.R. 26 luglio 1976, n. 752) . (1) Il principio di cui alla prima parte della massima suscita qualche perplessit. Non si intende mettere in discussione il metodo della proporzionale linguistica, ancorch qualche attenuazione di esso potrebbe essere utile per prevenire inconvenienti pratici (e conseguenti risentimenti) e per garantire il buon andamento (art. 'J7 Cost.) delle amministrazioni. Parrebbe invece meritevole di ulteriore e forse diversa considerazione la tendenza, rinvenibile nella sentenza in rassegna (ed anche nella successiva n. 85 del 1990), ad estendere l'applicazione della proporzionale oltre l'ambito dei ruoli locali. (che in realt veri ruoli organici non sono). Ora, tali ruoli sono stati previsti proprio come strumento al servizio della proporzionale; e la riserva di cui all'art. 89 dello Statuto speciale opera soltanto per i posti dei ruoli (art. 89, comma terzo citato, ed art. 8, comma secondo, del d.P.R. 26 luglio 1976, n. 752). PARTE I, SBZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Pur parlando in generale dei posti di pianta organica degli uffici giudiziari della Provincia di Bolzano, la doglianza della Provincia deve intendersi circoscritta alla sola parte del decreto impugnato che concerne la pianta organica dei magistrati giudicanti e del pubblico ministero addetti alla Pretura di Bolzano (20 alinea della tabella C allegata al decreto). Si tratta, infatti, dell'unica parte che introduce modificazioni alla pianta organica degli uffici giudiziari della Provincia di Bolzano. (omissis) Una volta chiarito che, in quanto estratto di altre piante organiche, la tabella 23 da intendersi virtualmente e, quindi, sostanzialmente coinvolta dai mutamenti apportati alle pi generali tabelle dalle quali tratta, viende a perdere rilevanza anche il terzo argomento addotto dalla Provincia di Bolzano a sostegno della sua impugnativa: quello in base a cui i mutamenti previsti dal d.P.R. 4 febbraio 1989, in quanto non formalmente ricompresi nella tabella 23, sfuggirebbero all'istituto della proporzionale etnica. L'applicabilit di questo fondamentale principio, costituzionalmente tutelato e normativamente regolato, , invece, da ritenersi, in ogni caso -comunque avvenga, cio, la ri partizione dei posti -fuori discussione all'atto della concreta assegnazione personale degli stessi, magistrato per magistrato. Rimane, invece, da verificare l'incidenza del secondo ordine di considerazioni poste a base del ricorso della Provincia: le considerazioni, cio, volte a rimarcare la natura sostanziale delle modifiche apportate dal decreto impugnato alla disciplina dei posti di pianta organica degli uffici giudiziari della Provincia di Bolzano gi stabilita dalla tabella 23 allegata al d.P.R. n. 752/76 (e dalle tabelle allegate al d.P.R. n. 1185/1966) . In quanto costituite, per un verso, dall'inserimento ex novo di cinque posti di magistrati del pubblico ministero addetti alla Pretura circondariale di Bolzano e, per l'altro verso, dalla variante qualitativa introdotta nei posti dei magistrati giudicanti addetti alla Pretura circondariale di Bolzano attraverso l'istituzione di un posto di magistrato d'appello in funzione di consigliere pretore dirigente e la corrispondente soppressione di un posto di magistrato di tribunale o di uditore in funzione di pretore, tali modificazioni hanno tutte una consistenza innegabile, sempre, per, nel senso di un potenziamento degli uffici. Un potenzia mento, per di pi, dovuto a scelte non meramente discrezionali, ma strettamente collegate all'attuazione, non tanto e non solo (come si limita a ricordare l'ultima memoria difensiva per la Provincia) dell'art. 1 della legge 3 febbraio 1989, n. 32, che ha aumentato l'organico complessivo della magistratura, quanto e soprattutto all'attuazione di precedenti leggi, che hanno reso necessario quell'aumento in relazione alle generali esigenze collegate all'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale. Ma -una volta riscontrato che le modificazioni si risolvono tutte in un potenziamento degli uffici nella Provincia di Bolzano, alla stregua ..,.,, ,. ::::: , % . z. ;,4;, . 10 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO cli criteri uniformemente adottati per ogni ufficio analogo, senza il verificarsi cli compressione alcuna in ordine alla riserva dei posti gi inclusi nelle relative piante organiche, e riconosciuto, al tempo stesso, che il fondamentale principio della proporzionale etnica rimane salvaguardato, dovendosene verificare scrupolosamente il rispetto in sede cli concreta copertura dei posti in questione -il conflitto viene a risultare inammissibile per mancanza cli interesse (sentenza n. 79 del 1989). CORTE COSTITUZIONALE, 26 febbraio 1990, n. 85 -Pres. Saja -Rel. Baldassarre -Regione Friuli Venezia Giulia (avv. Pacia), Regione Veneto (avv. Berti), Provincia Bolzano (avv. Riz e Panunzio), Provincia Trento (avv. Onida e Rueca), e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Ferri). Regioni -Principi e norme fondamentali Autoquallficazione ad opera del legislatore statale Non determinante. (Cast., artt. 116 e 117; I. 18 maggio 1989, n. 183, art. 1). Regioni Atti di pianificazione e/o programmazione, atti di indirlzzo e coordinamento, ed atti di coordinamento tecnico Distinzioni. (Cast., artt. 116 e 117; I. 18 maggio 1989, n. 183, artt. 3, 4 e 9). Regioni Cooperazione tra Stato e Regioni Organi misti Parere obbligatorio di organo statale Non comprimono le autonomie regionali. (Cast., artt. 116 e 117; I. 18 maggio 1989, n. 183, artt. 12 e 25). Opere pubbliche Piano di bacino Interferenze con attribuzioni regionali Legittimit costituzionale. (Cast., artt. 116 e 117; I. 18 maggio 1989, n. 183, artt. 17 e 18). Regioni Regioni a statuto ordinario Norme interposte contenute nel d.P.R. n. 616 del 1977 Modificabilit con legge ordinaria. (Cast., artt. 116 e 117; I. 18 maggio 1989, n. 183, artt. 13, 14, 15 e 16). Regioni Controlli sugli atti amministrativi Controlli diversi da quelli previsti in _via generale Legittimit costituzionale. (Statuto Friuli-Venezia Giulia, art. 58; I. 18 magi:tio 1989, n. 183, art. 4). Regioni Poteri sostitutivi attribuiti ad organi statali Requisiti Necessit anche del congruo preavviso all'esercizio di detti poteri. (Cast., artt. 116 e 117; I. 18 maggio 1989, n. 183, artt. 15, 18 e 20). La qualificazione di una legge o di alcune sue disposizioni come principi fondamentali della legislazione statale o come norme fondamentali di riforma economico-sociale non pu discendere soltanto da apodittiche affermazioni del legislatore stesso, ma deve avere una puntuale rispondenza nella natura effettiva delle disposizioni interessate, quale si desume dal loro contenuto normativo, dal loro oggetto, dal loro scopo e dalla loro incidenza nei confronti di altre norme dell'ordinamento o dei rapporti sociali disciplinati (1). (1) Forse occorrerebbe evidenziare maggiormente la distinzione tra a) competenza a qualificare un insieme di (o singole) disposizioni legislative statali 11 PARTE I; SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE La legge n. 183 del 1989 non si propone in via principale di stabilire una nuova ripartizione di materie e di competenze fra Stato e regioni (o province autonome), ma fissa piuttosto un obiettivo -la difesa de1 suolo -da raggiungere attraverso una complessa pianificazione dei settori materiali coinvolti. Gli atti di pianificazione e/o programmazione sono pi comprensivi e pi complessi di quelli di indirizzo e coordinamento, soprattutto perch non interessano soltanto materie riservate alla competenza regionale (o provinciale) e non hanno, quindi, come propri destinatari soltanto le regioni o le province autonome, ma sono diretti all'insieme dei soggetti statali e regionali (o provinciali) coinvolti nella complessa opera finalizzata alla difesa del suolo; in questo quadro, la menzione nell'art. 4, comma 1 lettera f) della funzione statale di indirizzo e coordinamento prevalentemente ricognitiva. Dalla funzione di indirizzo e coordinamento va tenuto distinto il coordinamento tecnico, che non esige il rispetto delle norme procedurali attinenti allo svolgimento della predetta funzione (2). come recanti principi e norme fondamentali costituenti limiti alle legislazoni regionali (e provinciali), e b) sindacato della giurisdizione costituzionale sulla predetta qualificazione. V' indubbiamente l'esigenza di garantire le auonomie da ipotizzabili abusi del legislatore statale nell'imprimere la qualificazione di ohe trattasi; e v' anche -altrettanto pressante "(e in pratica pi frequentemente ricorrente) -l'esigenza di non escludere il sussistere di principi e norme fondamentali in assenza di esplicita qualificazione ad opera del legislatore. Tuttavia, occorre evitare di leggere la regola costituzionale di cui alla massima come se affermasse una attribuzione immediata ed esclusiva della Corte (e quindi un diniego di attribuzione in capo al legislatore statale) quanto alla qualificazione di che trattasi. Senza dubbio, alla Corte deve essere riconosciuta pienezza di sindacato giurisdizionale, e quindi anche la possibilit di sindacare la congruit (e costituzionalit) della qualificazione; per, altro giudicare sulle disposizioni legislative recanti enunciazioni in proposito, secondo parametri quali la natura effettiva e forse anche la ragionevolezza delle disposizioni stesse, altro affermare tout court la irrilevanza delle enunciazioni del legislatore. Occorre avere ben presente che protagonista principale dell'ordinamento il cittadino (anche eventualmente nella veste di amministratore pubblico); ed il cittadino ha bisogno di certezza giuridica, deve essere posto in grado di individuare prontamente e per quanto possibile agevolmente le norme vigenti e da applicare, e non giusto sia coinvolto oltre misura nei pur fisiologici conflitti tra produttori di diritto oggettivo (Stato e regioni). Dal punto di vista del cittadino, escludere rilevanza alla qualificazione impressa dal legislatore statale si traduce in un pregiudizio tutto considerato neppur utile alla salvaguardia delle autonomie. Quanto osservato pu trovare conforto nella constatazione che la Corte ha reso una pronuncia di non fondatezza (laddove la irrilevanza avrebbe dovuto condurre ad una pronuncia di inammissibilit). (2) Palese l'importanza dei principi massimati. Giustamente la Corte distingue tra atti di pianificazione e/o prograqunazione, atti di indirizzo e coordinamento, ed atti di coordinamento tecnico: tre nozioni diverse, a ciascuna delle quali corrisponde una disciplina differenziata quanto a competenze e procedi 12 RASSEGNA DEI.L'AVVOCATURA DEI.LO STATO In quanto un obiettivo comune allo Stato e alle regioni, la difesa del suolo pu essere perseguita soltanto attraverso la via della cooperazione fra l'uno e gli altri soggetti; le forme della cooperazione possono essere svariate, poich oscillano dalla concorrenza (paritaria o non) delle due parti nella produzione del medesimo atto (intese, pareri, etc.) al coordinamento dell'esercizio delle rispettive funzioni, dalla possibilit di utilizzazione di organi dell'altra parte alla creazione di organi misti in cui siano rappresentate, paritariamente o non, le due parti. Di per s l'istituzione di tali organi misti non pu considerarsi costituzionalmente illegittima, dal momento che rientra fra le possibilit che il legislatore ha di conformare la cooperazione fra Stato e regioni in relazione al perseguimento di obiettivi comportanti numerosi punti di interferenza e di intreccio tra competenze statali e competenze regionali. La previsione di un parere obbligatorio, ma non vincolante, che deve essere prestato da un organo statale di natura tecnica in ordine a opere che le regioni dovranno realizzare nell'esercizio delle loro competenze, ma che rivestono anche grande rilevanza tecnico-idraulica per la modifica del reticolo idrografico principale e del demanio idrico , non pu essere considerato un onere irragionevole all'esercizio delle proprie competenze (3). I piani di bacino previsti dagli artt. 17 e 18 della legge n. 183 del 1989 non si svolgono attt;averso misure e opere inerenti alle competenze urbanistiche o a quelle della protezione civile ovvero a quelle attinenti ad altre cqmpetenze regionali o provinciali, quali le cave e miniere, l'agrimenti. Purtroppo, riscontrabile una tendenza del legislatore statale (e, per esso, degli uffici legislativi dei Ministeri) ad utilizzare senza adeguata vigilanza una terminologia in pratica, le parole indirizzo e cooroinamento -avente un significato tecnico-giuridico costituzionale ben preciso. Per alcune regioni (o province autonome), queste parole sono come il panno rosso nella corrida; ragion di pi per evitarne non appropriate utilizzazioni (come ad esempio nell'art. 9, comma 8, lettera a) della legge n. 183 del 1989), e per evitare altresl inesatti accostamenti (quale, ad esempio, quello risultante dall'aggettivo altro contenuto nell'art. 4, comma 1, lettera f) della legge anzidetta). Ci detto (per inciso) quanto alla terminologia, rimane la gi sottolineata importanza del riconoscimento che gli atti di pianificazione e/o programmazione possono costituire strumento ulteriore e concettualmente autonomo di proficua cooperazione tra Stato e regioni (o province autonome) al di sopra delle pur persistenti ripartizioni delle competenze: lo Stato regionale (ed anche lo Stato federale) vive di una continua dialettica tra separazione degli ambiti di competenza e risposta armonizzata ed occorrendo unitaria alle esigenze concrete delle popolazioni. (3) L'insegnamento della Corte in tema di cooperazione tra Stato e regioni (o province autonome), insegnamento che costituisce una delle pagine pi felici della giurisprudenza costituzionale, raggiunge in questa pronuncia organicit e completezza quanto a modalit procedimentali utilizzabili. Il brano relativo alla previsione ,di un voto obbligatorio e non vincolante 12 RASSEGNA DEI.L'AVVOCATURA DEI.LO STATO In quanto un obiettivo comune allo Stato e alle regioni, la difesa del suolo pu essere perseguita soltanto attraverso la via della cooperazione fra l'uno e gli altri soggetti; le forme della cooperazione possono essere svariate, poich oscillano dalla concorrenza (paritaria o non) delle due parti nella produzione del medesimo atto (intese, pareri, etc.) al coordinamento dell'esercizio delle rispettive funzioni, dalla possibilit di utilizzazione di organi dell'altra parte alla creazione di organi misti in cui siano rappresentate, paritariamente o non, le due parti. Di per s l'istituzione di tali organi misti non pu considerarsi costituzionalmente illegittima, dal momento che rientra fra le possibilit che il legislatore ha di conformare la cooperazione fra Stato e regioni in relazione al perseguimento di obiettivi comportanti numerosi punti di interferenza e di intreccio tra competenze statali e competenze regionali. La previsione di un parere obbligatorio, ma non vincolante, che deve essere prestato da un organo statale di natura tecnica in ordine a opere che le regioni dovranno realizzare nell'esercizio delle loro competenze, ma che rivestono anche grande rilevanza tecnico-idraulica per la modifica del reticolo idrografico principale e del demanio idrico , non pu essere considerato un onere irragionevole all'esercizio delle proprie competenze (3). I piani di bacino previsti dagli artt. 17 e 18 della legge n. 183 del 1989 non si svolgono attt;averso misure e opere inerenti alle competenze urbanistiche o a quelle della protezione civile ovvero a quelle attinenti ad altre cqmpetenze regionali o provinciali, quali le cave e miniere, l'agrimenti. Purtroppo, riscontrabile una tendenza del legislatore statale (e, per esso, degli uffici legislativi dei Ministeri) ad utilizzare senza adeguata vigilanza una terminologia in pratica, le parole indirizzo e cooroinamento -avente un significato tecnico-giuridico costituzionale ben preciso. Per alcune regioni (o province autonome), queste parole sono come il panno rosso nella corrida; ragion di pi per evitarne non appropriate utilizzazioni (come ad esempio nell'art. 9, comma 8, lettera a) della legge n. 183 del 1989), e per evitare altresl inesatti accostamenti (quale, ad esempio, quello risultante dall'aggettivo altro contenuto nell'art. 4, comma 1, lettera f) della legge anzidetta). Ci detto (per inciso) quanto alla terminologia, rimane la gi sottolineata importanza del riconoscimento che gli atti di pianificazione e/o programmazione possono costituire strumento ulteriore e concettualmente autonomo di proficua cooperazione tra Stato e regioni (o province autonome) al di sopra delle pur persistenti ripartizioni delle competenze: lo Stato regionale (ed anche lo Stato federale) vive di una continua dialettica tra separazione degli ambiti di competenza e risposta armonizzata ed occorrendo unitaria alle esigenze concrete delle popolazioni. (3) L'insegnamento della Corte in tema di cooperazione tra Stato e regioni (o province autonome), insegnamento che costituisce una delle pagine pi felici della giurisprudenza costituzionale, raggiunge in questa pronuncia organicit e completezza quanto a modalit procedimentali utilizzabili. Il brano relativo alla previsione ,di un voto obbligatorio e non vincolante del Consiglio superiore dei lavori pubblici potrebbe, in astratto, riguardare anche l'Avvocatura dello Stato (cfr. art. 105 del d.P.R. n. 616 del 1977). PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 13 coltura o la tutela del paesaggio e dell'ambiente, anche se indubbiamente incidono o interferiscono nei confronti di ciascuna di queste attribuzioni; detti piani pongono vincoli che le amministrazioni ed enti pubblici statali e regionali (nonch eventualmente i privati) sono tenuti ad osservare (4). Se il rapporto di immediata attuazione con la Costituzione pu portare a considerare le disposizioni del d.P.R. n. 616 del 1977 come norme interposte suscettibili di integrare il significato dei parametri costituzionali, esso non pu avere alcuna influenza sulla determinazione del rango o del valore formale delle stesse disposizioni, tanto che queste ultime non possono fungere da autonomo parametro nei giudizi di legittimit costituzionale (5). La previsione di una determinata forma di controllo di legittimit su singoli atti non pu essere minimamente considerata come preclusiva di altri tipi di controllo (6). (4) La legge n. 183 del 1989 ha introdotto -finalmente -i piani di bacino, ntiovi strumenti di pianificazione territoriale (il piano di bacino ha valore di piano territoriale di settore) ed anche di programmazione di molteplici attivit delle amministrazioni pubbliche (realizzazione di talune categorie di opere pubbliche, utilizzazioni dei demani idrici forestali etc., conservazione del suolo e salvaguardia dell'ambiente, ed altre) ed anche, ove trattasi di prescrizioni dichiarate di tale efficacia (vincolante) dallo stesso piano di bacino, dei soggetti privati. I piani di bacino di rilievo nazionale sono approvati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri; la regione Veneto e le due province autonome hanno dubitato della legittimit costituzionale degli airtt. 17 e 18 della legge anzidetta. La Corte ha superato i dubbi, riguardanti le inevitabili interferenze in ambiti di competenza regionale (e delle province) valorizzando la contemporanea qualifica come atti di indirizzo e coordinamento resa esplicita dal riferimento all'art. 81, primo comma, lettera a) del d.P .R. n. 616 del 1977. La pronuncia appare di notevole importanza anche perch necessariamente eleva quest'ultima disposizione a principio fondamentale (od addirittura a principio generale dell'ordinamento) operante pure nei confronti delle regioni (e province) a statuto speciale; il principio in questione ( codificato nel citato art. 81) ha una portata molto ampia, che non si esaurisce nell'occorrente alla difesa del suolo e pu estendersi ad ogni aspetto delle politiche del territorio . Resta il fatto che finora lo Stato non ha in concreto esercitato, nel settore organico di materie di che trattasi, la funzione di indirizzo e coordinamento. (5) Affermazione di persino ovvia esattezza sul piano giuridico; e per di notevole significato, se solo si considera quanto frequentemente talune c.d. norme interposte sono invocate perch reputate (ingiustificatamente) pi forti di sopravvenute disposizioni legislative statali, alle quali invece si vorrebbe negare l'idoneit ad operare alla stregua di nuove norme interposte. L'argomento meriterebbe una accurata analisi e concettuale e storica. (6) Principio di cospicua importanza, e che parrebbe suscettibile di sviluppi. II controllo non pu essere raffigurato come modalit a s stante (e totalmente separata) di confronto e di collaborazione; del resto, gi da tempo sono state rilevate le connessioni tra controllo ed indirizzo (cfr. Atti del XXIX Convegno di Varenna, 1979). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Il potere di sostituzione di organi statali a quelli regionali deve avere una base legale, deve essere strumentale all'adempimento di obblighi o al perseguimento di interessi tutelati costituzionalmente come limiti all'autonomia regionale, dev'essere esercitato da un'autorit di governo, deve essere assistito da garanzie ispirate al principio della leale cooperazione e, infine, deve riguardare attivit sottoposte a termini perentori o la cui mancanza metterebbe in serio pericolo la cura di interessi affidati alla responsabilit finale dello Stato. Nei casi disciplinati dalla legge n. 183 del 1989 ricorrono tutti i predetti requisiti. Peraltro, va dichiarata l'illegittimit costituzionale dell'art. 15, quarto comma, nonch dell'art. 20, comma quarto, nella parte in cui non prevedono un congruo preavviso alla regione (o provincia autonoma) interessate in ordine all'adozione degli atti sostitutivi ivi previsti. (omissis) L'art. l, quinto comma, il quale prevede che le disposizioni della presente legge costituiscono norme fondamentali cli riforma economico-sociale, nonch principi fondamentali ai sensi dell'art. 117 della Costituzione , oggetto cli impugnazione da parte cli tutte le ricorrenti. A loro avviso, infatti, non ,potrebbe ammettersi una duplice e diversa qualificazione delle stesse disposizioni e, in ogni caso, tali qualificazioni non potrebbero essere indiscriminatamente estese a tutte le norme contenute nella legge, comprese quelle cli dettaglio. Nei termini appresso indicati la questione non fondata. affermazione costante di questa Corte (sentt. nn. 219 del 1984, 192 del 1987 e 1002 del 1988) che la qualificazione di una legge o cli alcune sue disposizioni come principi fondamentali della legislazione statale o come norme fondamentali di riforma economico-sociale non pu cliscen dere soltanto da apodittiche affermazioni del legislatore stesso, ma deve avere una puntuale rispondenza nella natura effettiva delle disposizioni interessate, quale si desume dal loro contenuto normativo, dal loro og getto, dal loro scopo e dalla loro incidenza nei confronti di altre norme dell'ordinamento o dei rapporti sociali disciplinati. Se, dunque, l'autoqualificazione di per s non determinante, appare conseguentemente irrilevante anche la duplice e divergente autodefinizione contenuta nell'articolo impugnato, tanto pi che, riferita a tutta la legge, una cli esse potrebbe riguardare alcune disposizioni e la seconda altre distinte disposizioni. La Regione Veneto e la Provincia autonoma di Bolzano contestano la legittimit costituzionale dell'art. 3, secondo comma, il quale stabili sce che le attivit di pianificazione, di programmazione e di attuazione, previste dallo stesso articolo e deliberate ai sensi del successivo art. 4, primo comma, sono svolte (...) secondo criteri, metodi e standards, nonch modalit di coordinamento e di collaborazione tra i soggetti pubblici comunque competenti al fine, fra l'altro, di garantire omoge ~ ! \ I I I I I ! PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE neit di: a) condizioni di salvaguardia della vita umana e del territorio, ivi compresi gli abitati e i beni; b) modalit di utilizzazione delle risorse e dei beni, e di gestione dei servizi connessi . Secondo le ricorrenti, tali disposizioni contravverrebbero ai requisiti minimi costituzionalmente posti in ordine allo svolgimento della funzione governativa di indirizzo e coordinamento. La questione non fondata. La legge n. 183 del 1989 predispone un'articolata disciplina vlta al raggiungimento degli obiettivi della difesa del suolo, del risanamento delle acque, della fruizione e della gestione del patrimonio idrico per gli usi di razionale sviluppo economico e sociale, nonch della tutela degli aspetti ambientali ad essa connessi (art. l, comma primo). Si tratta, in sostanza, di una legge che, come riconoscono l'Avvocatura dello Stato e alcune delle ricorrenti, non si propone in via principale di stabilire una nuova ripartizione di materie e di competenze fra Stato e regioni (o province autonome), ma fissa piuttosto un obiettivo -la difesa del suolo -da raggiungere attraverso una complessa pianificazione dei settori materiali coinvolti. In altre parole, la legge contestata pone molteplici obiettivi imperniati sulla difesa del suolo, per il perseguimento dei quali, fermo restando nella sostanza il quadro generale di ripartizione delle competenze fra Stato e regioni (o province autonome) stabilito da vari articoli del d.P.R. n. 616 del 1977 (o delle norme di attuazione), si prevede un'articolata pianificazione degli interventi (piani di bacino), una programmazione dei finanziamenti (programmi triennali d'intervento), la creazione di nuove istituzioni (centrali e periferiche) di supporto per i predetti interventi (Comitato di ministri; Comitato nazionale per la difesa del suolo e autorit di bacino), la previsione di forme di collaborazione e di atti di indirizzo e coordinamento, la predisposizione di controlli e di atti sostitutivi in ordine agli adempimenti connessi alle attivit di pianificazione e di programmazione e, infine, l'accollamento allo Stato di tutti i conseguenti oneri finanziari. In questo quadro, l'art. 3, mentre determina, al primo comma, le attivit che dovranno essere oggetto nelle misure pianificatorie previste nella legge stessa (sistemazione, conservazione e recupero del suolo nei bacini idrografici; difesa, sistamazione e regolazione dei cor:si d'acqua; moderazione delle piene; limiti alle attivit estrattive ai fini della tutela del suolo; etc.), stabilisce nel secondo comma -e cio nel comma la cui contestazione ora in discussione -che le predette programmazioni dovranno essere adottate con le procedure di cui al successivo art. 4 e secondo criteri, metodi, standards, modalit di coordinamento e di collaborazione, tendenti al fine di garantire l'omogeneit riguardo alle condizioni di salvaguardia della vita umana e del territorio e riguardo ai modi di utilizzazione delle risorse e dei beni, oltrech di gestione dei servizi connessi. In s considerata, quest'ultima disposizione 16 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO non contiene alcuna lesione della sfera di autonomia costituzionalmente garantita alle ricorrenti, n comporta alcuna violazione dei principi costituzionali in ordine alla funzione governativa di indirizzo e di coordinamento, dal momento che si limita a stabilire un potere di programmazione, giustificato dall'esigenza di perseguire uniformemente determinati obiettivi, senza toccare minimamente il problema della ripartizione delle relative competenze pianificatorie fra i vari sogg~tti pubblici comunque competenti e senza porre norme particolari sullo svolgimento della funzione governativa di indirizzo e coordinamento al di l del semplice rinvio al successivo art. 4 (sul quale si veda il punto seguente). In sintesi, la mera previsione di programmi e di piani, finalizzati all'obiettivo della difesa del suolo e dei beni umani e naturali a ci connessi, non pu comportare, di per s, alcuna forma di illegittimit costituzionale. La Provincia autonoma di Bolzano dubita della legittimit costituzionale dell'art. 4, primo comma, in quanto quest'ultimo prevederebbe poteri di indirizzo e coordinamento non rispettosi del principio di legalit e delle procedure stabilite per il loro esercizio. La questione non fondata. Va premesso, innanzitutto, che, a norma delle disposizioni impugnate, determinati atti, conseguenti all'esercizio di talune funzioni connesse alla disciplina della difesa del suolo, sono sottoposti all'approvazione del Presidente del Consiglio dei ministri (che li adotta con proprio decreto), previa deliberazione del Consiglio dei ministri e su proposta del Ministro dei lavori pubblici o del Comitato dei ministri previsto nel comma secondo dello stesso articolo. Molti di tali atti -e precisamente quelli indicati nelle lettere a), e) e d) -consistono in piani e programmi nazionali, nonch in deliberazioni di metodi e di criteri per lo svolgimento degli stessi e delle connesse attivit conoscitive e di controllo. Si tratta, in altre parole, di atti pi comprensivi e pi complessi di quelli di indirizzo e coordinamento, soprattutto perch non interessano soltanto materie riservate alla competenza regionale (o provinciale) e non hanno, quindi, come propri destinatari soltanto le regioni o le province autonome, ma sono diretti all'insieme dei soggetti statali e regionali (o provinciali) coinvolti nella complessa opera finalizzata alla difesa del suolo (v. anche sentt. nn. 389 e 452 del 1989). Allo stesso modo non ricadono oggettivamente nell'ambito delle censure prospettate dalla ricorrente anche altre disposizioni -come quelle alle lettere b) ed e) che si riferiscono ad atti non riconducibili alla funzione di indirizzo e coordinamento: tali sono gli atti relativi alla delimitazione dei bacfui di rilievo nazionale e interregionale, i quali rimandano a una competenza gi attribuita al Governo dall'art. 89 del d.P.R. n. 616 del 1977, nonch gli atti di sostituzione in caso di inerzia persistente dei vari soggetti coinvolti nei processi pianificatori delineati dalla legge impugnata. Solo la 17 PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE lettera /) rilevante ai fini della censura ora esaminata, in quanto sottopone all'approvazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, ogni altro atto di indirizzo e coordinamento nel settore disciplinato dalla presente legge. Tuttavia, contrariamente a quanto suppone la ricorrente, quest'ultima disposizione non disciplina una determinata funzione di indirizzo e coordinamento, tanto che non stabilisce criteri o principi direttivi in relazione a una particolare materia o funzione, non prevede procedure, non fissa obiettivi o finalit particolari. Essa , pi semplicemente, una disposizione analoga a quella contenuta, nell'art. 2, terzo comma, lett. d), della legge 23 agosto 1988, n. 400, volta a precisare, in funzione prevalentemente ricognitiva, che anche gli atti governativi di indirizzo e coordinamento occorrenti nel settore della difesa del suolo devono essere deliberati dal Consiglio dei ministri ed emanati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Sicch non resta a questa Corte che pervenire sul punto alla medesima conclusione raggiunta nella sentenza n. 242 del 1989 e ribadire, in particolare, la peculiare posizione dell'autonomia costituzionale riconosciuta alla Provincia di Bolzano nei confronti della funzione di indirizzo e coordinamento (v. punto 8.2 della medesima pronunzia). La Regione Veneto e le Province autonome di Trento e Bolzano contestano la legittimit ..costituzionale dell'art. 12 -che istituisce le autorit di bacino di rilievo nazionale, ne determina le competenze e ne stabilisce la formazione -, ritenendolo illegittimo in quanto creerebbe nuove istituzioni statali in luogo di quelle regionali (o provinciali) attributarie delle medesime competenze. La questione non fondata. Come si precedentemente accennato, la legge n. 183 del 1989 essenzialmente una legge di obiettivi, poich la difesa del suolo una finalit il cui raggiungimento coinvolge funzioni e materie assegnate tanto alla competenza statale quanto a quella regionale (o provinciale). Essendo, dunque, un obiettivo comune allo Stato e alle regioni, la difesa del suolo pu .essere perseguita soltanto attraverso la via della cooperazione fra l'uno e gli altri soggetti; le forme della cooperazione possono essere svariate, poich oscillano dalla concorrenza (paritaria o non) delle due parti nella produzione del medesimo atto (intese, pareri, etc.) al coordinamento dell'esercizio delle rispettive funzioni, dalla possibilit di utilizzazione di organi dell'altra parte alla creazione di organi misti in cui siano rappresentate, paritairiamente o non, le parti. Nel caso dell'impugnato art. 12, quest'ultima la soluzione prescelta, dal momento che il governo dei bacini idrografici di rilievo nazionale affidato ad autorit appositamente costituite, alla cui llllr&11111111illlllrlllllll_,llllllJIJlllllllltlllI - RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO composizione concorrono sia rappresentanti statali che regionali ~ provinciali). Di per s, l'istituzione di tali organi misti non pu considerarsi costituzionalmente illegittima, dal momento che rientra fra le possibilit che il legislatore ha di conformare la cooperazione fra Stato e regioni in relazione al perseguimento di obiettivi comportanti numerosi punti di interferenza e di intreccio tra competenze statali e competenze regionali. N pu dirsi che la creazione delle suddette istituzioni sia di per s irragionevole, poich, anzi, quando ricorrono ipotesi di discipline funzionalmente e materialmente complesse e di reti pianificatorie particolarmente articolate, appare tutt'altro che arbitrario prevedere istituzioni a composizione mista dirette a fungere da supporto di organizzazione e di direzione unitaria del complesso governo del settore. Secondo le ricorrenti, un ulteriore motivo di illegittimit costituzionale deriverebbe dal rilievo che in tali organi misti la rappresentanza regionale sarebbe sistematicamente minoritaria. Questa affermazione , in realt, espressamente contraddetta dallo stesso art. 12, comma quinto, per quanto riguarda il Comitato tecnico, nel quale si raccolgono rappresentanti statali e rappresentanti regionali in numero complessivamente paritetico al fine di operare come organo di consulenza del Comitato istituzionale e, soprattutto, di provvedere all'elaborazione del piano di bacino. La tesi interpretativa prospettata dalle ricorrenti non pu valere neppure per quanto riguarda il Comitato istituzionale, in relazione al quale, proprio perch si tratta dell'organo che, oltre a stabilire i principi direttivi e i criteri per l'elaborazione dei piani interessanti gli specifici bacini idrografici, provvede alla loro approvazione e determina quali componenti del piano costituiscano interesse esclusivo delle singole regioni, si segue un criterio di composizione non meramente numerico o per quote, ma clipendente dalle competenze e dagli interessi incidenti sull'area considerata. ~ per tale motivo che il Comitato istituzionale formato, oltrech dai quattro ministri competenti, dai presidenti del1e regioni maggiormente interessate. Si tratta, in altre parole, di una composizione che non prestabilisce quale componente sia maggioritaria e quale no (come dimostra anche l'attuazione della legge che vede le regioni in minoranza solo in tre delle sei Autorit dei bacini di rilievo nazionale), per il semplice fatto che ci irrilevante o, quantomeno secondario rispetto al criterio di composizione non irragionavolmente prescelto dal legislatore. Numerose censure proposte dalle ricorrenti prospettano la presunta violazione del principio costituzionale di cooperazione fra Stato e regioni. In relazione all'art. 4, primo comma, lett. a), la Regione Veneto solleva il dubbio se sia costituzionalmente legittimo che il Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, stabilisca i metodi e i criteri, anche tecnici, per lo svolgimento delle attivit i I I I PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE conoscitive e pianificatorie di cui agli artt. 2 e 3 della stessa legge, nonch per la verifica e il controllo dei piani ivi indicati, senza prevedere alcuna forma di collaborazione con le regioni. La questione non fondata. La disposizione impugnata concerne il potere governativo di deliberare le linee essenziali relative ai metodi e ai criteri, anche tecnici, che devono essere seguiti nell'esercizio delle attivit conoscitive, pianificatorie e di attuazione indicate, in via generale, dagli artt. 2 e 3 della stessa legge. Sull'esercizio di tale competenza statale le regioni possono influire attraverso il Comitato nazionale per la difesa del suolo -cio attraverso un organo misto >>, fra i cui componenti vi sono anche membri prescelti da ciascuna regione o provincia autonoma -, il quale ha un potere generale di proposta nei confronti del Ministero dei lavori pubblici (art. 6, settimo comma) cui spetta portare gli atti all'esame del Consiglio dei Ministri (art. 4, primo comma). Se si considera che, da un lato, per gli atti di indirizzo e coordinamento, i quali perseguono finalit non lontane da quelle degli atti in esame, non sussiste una previsione generale di una qualche forma di cooperazio'i:ie con le regioni interessate, e che, dall'altro lato, lo svolgimento della competenza in questione ha ad oggetto le linee direttive pi generali, che dovranno poi essere determinate nei piani elaborati dagli organi misti indicati nel numero precedente (ai quali, come si gi ricordato, partecipano le regioni interessate) la scelta del legislatore non pu essere considerata irragionevole. La Regione Friuli-Venezia Giulia impugna l'art. 4, primo comma, lett. c) e d), argomentando che le predette disposizioni prevedono l'approvazione di programmi nazionali o di rilievo nazionale da parte del Presidente del Consiglio senza stabilire la necessit dell'intesa con la regione stessa in relazione alle attivit interferenti con quelle di competenza regionale, come invece sarebbe richiesto dall'art. 23 del d.P.R. 26 agosto 1965, n. 1116 (norme d attuazione dello Statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia). Analoghe censure sono mosse dalla Regione Veneto e dalle Province autonome di Trento e di Bolzano in relazione all'art. 22, primo comma, che prevede l'adozione dei programmi di intervento da parte dei Comitati istituzionali senza esigere un parere della singola regione o provincia interessata. Le questioni non sono fondate. In realt, n la norma di attuazione invocata dalla Regione FriuliVenezia Giulia n altre prevedono alcuna intesa o parere delle singole regioni (o province) interessate. Ed, in verit, non irragionevole che cos sia, in quanto i piani e i programmi considerati dalle disposizioni impugnate comportano interventi, anche statali, comunque incidenti -nel territorio di pi regioni. Pertanto, non arbitrario che la legge n. 183 del 1989 preveda per quei piani forme di cooperazione quali gli organi 20 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO misti di cui al punto n. 6, che permettono un confronto anche fra le varie regioni interessate. (omissis) La Regione Veneto e le Province autonome di Trento e di Bolzano contestano la legittimit costituzionale degli artt. 17 e 18, i quali, nel prevedere i piani di bacino e nel sovraordinarli a ogni altra funzione regionale (o provinciale), violerebbero le competenze che le ricorrenti posseggono in materia di assetto del territorio, di opere di difesa, di utilizzo delle risorse idriche e di disciplina dell'estrazione di materiali. Per la sola Provincia di Trento le disposizioni appena citate, in combinato disposto con quelle contenute negli artt. 25 e 31, sarebbero altres lesive dell'autonomia finanziaria della provincia stessa, in quanto porrebbero vincoli alle spese in materie di competenza provinciale. Nei termini di seguito indicati, la questione infondata. Le censure delle ricorrenti nascono dalla imprecisa formulazione dell'art. 17, che, al primo comma, assegna ai piani di bacino il valore di piano territoriale di settore e, al secondo comma, li definisce come atti di indirizzo e di coordinamento ai sensi dell'art. 81, primo comma, lett. a), del d.P.R. n. 616 del 1977. In realt, n l'un n l'altra qualificazione rispondono perfettamente all'effettiva natura dei predetti piani, quale si desume dalla disciplina delineata dalla legge n. 183 del 1989. Come si gi precisato, la complessiva natura dei piani di bacino non pu essere ridotta a quella degli atti di indirizzo e coordinamento, in quanto si tratta di atti che interessano anche competenze statali (ad esempio, le opere idrauliche di seconda categoria) e che, quindi, si dirigono anche ad uffici ed enti dello Stato. Pi in particolare, si tratta di piani esclusivamente finalizzati alla difesa del suolo , e cio, come risulta dai lavori delle varie commissioni di studio ministeriali e parlamentari preparatorie della legge impugnata, finalizzati alla conservazione dinamica del suolo attraverso l'imposizione di vincoli e di opere di carattere idraulico, idroulico-agrario e forestale. In altre parole, i piani di bacino contengono varie prescrizoni dirette alla preservazione e alla salvaguardia del suolo e dell'attitudine di questo ad essere utilizzato a fini produttivi e civili rispetto alle cause di aggressione dovute alle acque meteoriche, fluviali e marine o a qualsisi altro fattore meteorico. Come tali, essi non si svolgono attraverso misure e opere inerenti alle competenze urbanistiche o a quelle della protezione civile ovvero a quelle attinenti ad altre competenze regionali o provinciali, quali le cave e miniere, l'agricoltura o la tutela del paesaggio e dell'ambiente, anche se indubbiamente incidono o interferiscono nei confronti di ciascuna di queste attribuzioni. In base a questa loro natura, i piani di bacino vengono equiparati ai piani territoriali di settore, non gi per significare che si tratta di strumenti inerenti alla disciplina urbanistica (di competenza regionale o provinciale), ma semplicemente al fine -esplicitato dall'art. 17, comma quinto -, di stabilire che i vincoli posti dal predetto piano obbligano PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONAJ.E immediatamente le amministrazioni e gli enti pubblici (statali e regionali), i quali sono tenuti ad osservarli e ad operare in conseguenza. Allo stesso modo, la loro contemporanea qualifica come atti di indirizzo e di coordinamento sta semplicemente a significare che, quando i vincoli posti dai predetti piani incidono su materie di competenza regionale o provinciale, questi devono mantenersi entro i limiti imposti alla funzione di indirizzo e coordinamento e, in particolare, a quella prevista dall'art. 81, primo comma, lett. a), del d.P.R. n. 616 del 1977. Questa interpretazione appare pi in armonia con la natura complessa del piano di bacino e con la sua efficacia diversificata in relazione alle prescrizioni di interesse regionale (v. spec. artt. 12, quarto comma, lett. e e 18, primo comma, lett. b). Nello stesso tempo, il carattere vincolante delle prescrizioni idrogeologiche o, comunque, finalizzate alla difesa del suolo legato all'esigenza logica che il fine conservativo dei piani di bacino sia pregiudiziale e condizionante rispetto agli usi del territorio a fini urbanistici, civili, di sfruttamento dei materiali e di produzione. L'indubbia interferenza che si realizza tra i piani di bacino e questi ultimi usi, rientranti nell'ambito di competenze regionali o provinciali, dava luogo nel d.P.R. n. 616 del 1977 a forme cooperative imperniate sull'intesa fra Stato e regioni (o province autonome) (v. artt. 81 e 89). La legge n. 183 del 1989, come si gi detto, ha invece non arbitrariamente prescelto forme cooperative diverse, pi adeguate alla complessit della rete pianificatoria in essa prevista. Considerazioni analoghe a quelle svolte in relazione al richiamo all'art. 81 del d.P.R. n. 616 del 1977 valgono anche nei confronti della censura promossa dalla Provincia autonoma di Trento in relazione all'efficacia dei programmi triennali prevista dall'art. 22, comma sesto. Una volta riconosciuta come costituzionalmente non illegittima una programmazione degli interventi per piani di bacino, i vincoli che ne derivano sul piano della spesa provinciale sono una conseguenza necessaria di quella programmazione, in quanto non avrebbe alcun senso consentire alla provincia di spendere liberamente somme che sono state ripartite tra le Amministrazioni dello Stato e le province autonome (o regioni) tenendo conto delle priorit indicate nei singoli programmi (articolo 25, terzo comma). Non fondata , inoltre, la censura prospettata dalla Regione Veneto nei confronti all'art. 35, il quale, in relazione a quanto previsto dall'art. 17, comma terzo, lett. e), stabilisce che i piani di bacino possono individuare gli ambiti territoriali ottimali per la gestione mediante consorzio obbligatorio dei servizi pubblici di acquedotto, fognatura, collettamento e depurazione delle acque usate. Da questa disposizione, infatti, non pu derivare alcuno sconvolgimento delle competenze regionali in ordine alla definizione degli ambiti territoriali e alla costituzione di consorzi per la gestione di servizi pubblici, per il fatto che essa si limita a prevedere 22 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO la possibilit per il piano di bacino di prefigurare gli ambiti territoriali ottimali per la gestione dei servizi anzidetti senza stabilire alcuna ripartizione di competenza e senza imporne l'attuazione alle regioni o alle province autonome. Di per s, dunque, l'art. 35 non pu esser considerato lesivo di competenze regionali. Priva di qualsiasi fondamento anche la censura proposta contro l'art. 25, quinto comma, dalla Regione Friuli-Venezia Giulia, per la quale la previsione del parere obbligatorio del Consiglio superiore dei lavori pubblici in relazione ad opere rientranti nelle competenze regionali lede rebbe la sfera di autonomia costituzionalmente garantita alle regioni medesime. In realt, la previsione di un parere obbligatorio, ma non vincolante, che deve essere prestato da un organo statale di natura tecnica in ordine a opere che le regioni dovranno realizzare nell'esercizio delle loro competenze, ma che rivestono anche grande rilevanza tecnicoidraulica pr la modifica del reticolo idrografico principale e del demanio idrico , non pu esser considerato un onere irragionevole all'esercizio delle proprie competenze. Per tale motivo, la sfera di autonomia costituzionalmente attribuita alla Regione Friuli-Venezia Giulia non pu considerarsi lesa dall'art. 25, quinto comma. Non fondate sono le questioni proposte contro gli artt. 13, 14, terzo comma, 15, secondo comma, e 16, secondo comma. La Regione Veneto e la Provincia autonoma di Trento contestano la legittimit costituzionale dell'art. 13 sulla classificazione dei bacini idrografici e sulla loro delimitazione assumendo che la legge n. 183 del 1989, nel modificare il d.P.R. n. 616 del 1977, si porrebbe in contrasto con norme di rango superiore in quanto adottate in attuazione di un preciso dovere costituzionale. Questa interpretazione non pu essere condivisa, poich, anche se il d.P.R. n. 616 del 1977 deve essere considerato un atto legislativo adottato in immediata attuazione della Costituzione, non pu per ci stesso ritenersi che sia dotato di una forza o di un valore di legge peculiare o superiore a quello delle leggi ordinarie (v. spec. sent. n. 188 del 1984). Ed in effetti, se il rapporto di immediata attuazione con la Costituzione pu portare a considerare le disposizioni del d.P.R. n. 616 del 1977 come norme interposte suscettibili di integrare il significato dei parametri costituzionali, esso non pu avere alcuna influenza sulla determinazione del rango o del valore formale delle stesse disposizioni, tanto che queste ultime, non possono fungere da autonomo parametro nei giudizi di legittimit costituzionale. Da ci consegue che leggi ordinarie successive ben possono modificare disposizioni contenute nel d.P.R. n. 616 del 1977 e ripartire diversamente le competenze assegnate o delegate alle regioni con quel decreto. Per le considerazioni ora fatte, che valgono a maggior ragione quando le nuove disposizioni di legge mantengono ferme le competenze gi assegnate alle regioni o ne trasferiscono (o promettono di trasferirne) di PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE nuove, vanno rigettate anche le censure prospettate dalla Regione FriuliVenezia Giulia e dalla Provincia autonoma di Trento contro l'art. 14, comma terzo, nonch dalla sola Regione Friuli-Venezia Giulia contro gli artt. 15, comma secondo, e 16, comma secondo. Parimenti non fondata la questione proposta dalla Regione Veneto nei confronti dell'art. 14, terzo comma, laddove si sottopone la regione a decisioni del Ministro dei lavori pubblici in merito a competenze amministrative da esercitare in materia di opere idrauliche o di polizia idraulica in ordine ai corsi d'acqua compresi nel proprio territorio. Non si pu, infatti, condividere l'interpretazione proposta dalla ricorrente, secondo la quale l'art. 14, terzo comma, sarebbe un segno della riduzione della regione a puro organo esecutivo della pianificazione statale, dal momento che la disposizione impugnata, riprendendo valutazioni gi svolte dalla c.d. Commissione Giannini., appare rivolta a superare i preesistenti criteri di ripartizione delle competenze tra Stato e regioni in materia di opere idrauliche, basati sulla categoria delle opere stesse. Le Province autonome di Trento e di Bolzano contestano la legittimit costituzionale dell'art. 9, ottavo comma, lett. a), in quanto quest'ultimo costituirebbe un illegittimo esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento allorch affida al Consiglio dei direttori il coordinamento dei servizi tecnici provinciali. La questione non fondata. Nell'affidare al Consiglio dei dirittori, istituito nel comma precedente, il coordinamento dell'attivit svolta dai singoli servizi tecnici, compresi quelli trasferiti alle province autonome, l'art. 9, ottavo comma, lett. a), imputa a quell'organo tecnico una funzione che non pu essere ricondotta all'indirizzo e coordinamento politico-amministrativo, ma che va collegata al distinto concetto di coordinamento tecnico. Si tratta di una nozione che, come questa Corte'ha altre vlte affermato (v. sentt. nn. 924 del 1988 e 242 del 1989), non disciplinata dalle regole proprie della funzione di indirizzo e coordinamento politico-amministrativo e, in particolare, non esige il rispetto delle norme procedurali attinenti allo svolgimento della predetta funzione. L'art., 9, comma nono, lett. a) e b) impugnato dalla Provincia di Bolzano, in quanto, prevedendo la delega per la riorganizzazione dei servizi tecnici nazionali ivi indicati (lett. a) e per la fissazione dei criteri generali per il coordinamento dell'attivit dei servizi tecnici stessi (lett. b), lederebbe le competenze in materia di ordinamento dei propri uffici che la ricorrente possiede riguardo ai servizi tecnici del medesimo tipo ad essa trasferiti. La questione non fondata. Mentre la disposizione ricompresa nella lett. b) concerne attivit di coordinamento tecnico che, per le ragioni esposte nel punto precedente, non possono non esser ricondotte al Governo e alla sua potest regola 24 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO mentare, la disposizione di cui alla lett. a) riguarda espressamente il 24 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO mentare, la disposizione di cui alla lett. a) riguarda espressamente il riordinamento dei servizi tecnici nazionali, tanto centrali che periferici, e, pertanto, non si vede come i futuri regolamenti possano riguardare uffici della Provincia di Bolzano. La Regione Friuli-Venezia Giulia contesta la legittimit costituzionale dell'art. 4, primo comma, lettere a) ed e), nonch terzo comma, in quanto contrasterebbe, con l'art. 58 dello Statuto speciale, che, a suo giudizio, con la previsione del solo controllo di legittimit sugli atti amministrativi regionali da parte della Corte dei conti, escluderebbe la ammissibilit di qualsiasi altro controllo. La questione non fondata. L'interpretazione che la ricorrente d dell'art. 58 dello Statuto friulano non pu essere accolta, poich la previsione di una determinata forma di controllo di legittimit su singoli atti non pu essere minimamente considerata come preclusiva di altri tipi di controllo, come quelli previsti dalla disposizione impugnata. Per analoghi motivi va rigettata la questione prospettata dalla Regione Veneto in ordine alla pretesa violazione dell'art. 125 della Costituzione da parte dell'art. 21, comma terzo, il quale, nel prevedere che le regioni., previo parere del comitato di bacino, possano provvedere con propri stanziamenti alla realizzzione di opere e di interventi previsti dai piani di bacino di rilievo nazionale, sottopone il loro operato al controllo del predetto comitato. Quest'ultima disposizione impugnata anche dalle Province di Trento e di Bolzano sul presupposto dell'illegittimit di qualsiasi controllo di organi statali su attivit provinciali svolte nell'esercizio della propria competenza e a carico delle proprie finanze. La questione non fondata. La disposizione impugnata prevede che anche sulle opere eseguite dalle regioni o dalle province autonome in attuazione dei piani di bacino di rilievo nazionale si estenda la vigilanza del Comitato istituzionale, al fine evidente di venire a conoscenza se il piano sia 'correttamente attuato e di acquisire informazioni circa la redazione dei piani futuri, la cui adozione, come si gi detto spetta al suddetto Comitato. Si tratta, dunque, di controlli strettamente strumentali al potere di pianificazone degli organi delle Autorit di bacino di rilievo nazionale di cui stata gi esclusa la illegittimit costituzionale. Le province autonome di Trento e di Bolzano contestano la legittimit costituzionale dell'art. 4, primo comma, lett. e), osservando che il potere sostitutivo ivi previsto non risponderebbe ai requisiti costituzionali pi volte indioati da questa Corte. La questione non fondata. La disposizione impugnata stabilisce semplicemente quali siano gli organi competenti a deliberare sui vari atti sostitutivi previsti nella legge n. 183 del 1989, individuandoli nel Consiglio dei ministri quale organo decisionale e nel Presidente del Consiglio dei ministri quale PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 25 organo di emanazione. Essa, tuttavia, non istituisce un particolare potere di sostituzione, tanto che non indica le ipotesi specifiche in cui quello deve essere esercitato, n disciplina l'intero procedimento per l'adozione dei relativi atti, ma si limita, piuttosto, a prevedere in via generale un potere di sostituzione da esercitare ogni volta che vi sia una persistente inattivit dei vari soggetti coinvolti nella complessiva rete pianificatoria delineata dalla legge impugnata (regioni, province, comuni, comunit montane, consorzi di bonifica ed irrigazione e di bacino imbrifero montano) in relazione a funzioni o attivit da svolgere entro termini essenziali o per loro natura improcrastinabili. In riferimento agli aspetti disciplinati dalla fattispecie legislativa considerata (deliberazione governativa, presupposto della persistente inerzia dell'organo competente, inserimento in procedimenti pianificatori, improcrastinabilit dell'adempimento), il potere sostitutivo previsto pienamente conforme ai requisiti costituzionali pi volte indicati da questa Corte (v. seiltt. nn. 153 e 294 del 1986, 177 del 1988, 101 del 1989). Sicch non hanno ragion d'essere le censure proposte dalle ricorrenti. La Regione Veneto e le Province autonome di Trento e di Bolzano contestano la legittimit costituzionale dell'art. 18, secondo comma, per il quale, in caso di inerzia in ordine agli adempimenti regionali, il Presidente del Consiglio, sentito il Comitato istituzionale di bacino, assume i provvedimenti necessari per garantire comunque lo svolgimento delle procedure e l'adozione degli atti necessari per la formazione dei piani di bacino di rilievo nazionale, ivi compresa la nomina di commissari ad acta. Secondo le ricorrenti tale potere di sostituzione non sarebbe conforme ai principi costituzionali vigenti in materia e pi volte affermati da questa Corte e, in particolare, non rispetterebbe il requisito della necessaria previa deliberazione del Consiglio dei ministri, prescritta dall'art. 2, terzo comma, lettera f) della legge n. 400 del 1988. Le questioni non sono fondate nei sensi di cui in motivazione. Come si ricordato nel punto precedente, questa Corte ha pi volte affermato che, in materia di sostituzione di organi statali a quelli regionali in relazione al compimento di particolari adempimenti, il relativo potere deve avere una base legale, deve essere strumentale all'adempimento di obblighi o al perseguimento di interessi tutelati costituzionalmente come limiti all'autonomia regionale, dev'essere esercitato da un'autorit di governo, deve essere assistito da garanzie ispirate al principio della leale cooperazione e, infine, deve riguardare attivit sottoposte a termini perentori o la cui mancanza metterebbe in serio pericolo la cura di interessi affidati alla responsabilit finale dello Stato. Nei casi disciplinati dalle disposizioni impugnate ricorrono tutti i predetti requisiti, compreso quello del termine per il compimento dell'attivit, che implicato dal primo comma, lett. a), del medesimo articolo, il quale prevede che il Comitato istituzionale, insieme alla proposta del piano di bacino, 1111aa1,111111t111111111Jr11w11111111111111111111 26 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO approvi una deliberazione contenente la fissazione dei termini alla regione per l'adozione dei provvedimenti di sua competenza. Per quanto riguarda, poi, la pretesa mancata deliberazione del Consiglio dei ministri m ordine alle sostituzioni previste, sufficiente ricordare che tutti gli atti sostitutivi previsti dalla legge n. 183 del 1989 devono essere adottati in base alla procedura stabilita dall'art. 4, primo comma, della stessa legge, che prevede, fra l'altro, la predetta deliberazione. Infine, per quanto riguarda le garanzie procedurali di leale cooperazione, occorre precisare che l'art. 18, secondo comma, stabilisce che il Presidente del Consiglio deve .Previamente sentire il Comitato istituzionale, di cui fa parte il Presidente della regione (o provincia autonoma) interessata. La Provincia autonoma di Trento dubita della legittimit costituzionale: a) dell'art. 15, quarto comma, che, nel caso di mancata intesa, entro un anno, fra le regioni (o province autonome) interessate ad un bacino di rilievo interregionale, prevede l'istituzione degli organi di bacino da parte del Presidente del Consigilo dei ministri; b) dell'art. 20, commi secondo, terzo e quarto, il quale prevede, per i bacini di rilievo regionale che possono interessare pi regioni, un potere sostitutivo del Presidente del Consiglio dei ministri, sentito il Comitato nazionale per la difesa del suolo. Le questioni vanno parzialmente accolte. Anche se per i motivi addotti nel punto precedente il potere sostitutivo oggetto dell'attuale impugnazione risponde a tutti gli altri elementi costituzionalmente richiesti, non v' traccia nelle disposizioni impugnate del requisito delle garanzie procedurali ispirate al principio della leale cooperazione. Mentre nell'art. 15, quarto comma, manca del tutto qualsiasi preavviso alle regioni (o province autonome) inadempienti, nell'art. 20, quarto comma, invece, esso venuto meno a seguito di una modifica legislativa introdotta successivamente all'entrata in vigore della legge n. 183 del 1989. L'art. 20, quarto comma, dispone, infatti, che per l'adozione dell'atto di sostituzione ivi previsto il Presidente del Consiglio debba previamente sentire il Comitato nazionale per la difesa del suolo, di cui facevano parte i presidenti di tutte le regioni e province autonome. Tuttavia, a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 5 del decreto legislativo 16 dicembre 1989, n. 418, la partecipazione dei suddetti presidenti in organi del tipo del citato Comitato sostituita con quella di un pari numero di esperti scelti, di norma, fra i funzionari delle regioni e delle province autonome. Da qui consegue che la previa audizione dell'anzidetto Comitato non pu pi fungere da preavviso nei confronti della regione (o provincia autonoma) interessata. Va, pertanto, dichiarata l'illegittimit costituzionale dell'art. 15, quarto comma nonch dell'art. 20, comma quarto, nella parte in cui non prevedono un congruo preavviso alla regione (o provincia autonoma) interessate in ordine all'adozione degli ;::: i''' I t atti sostitutivi ivi previsti. V t f:' 1: .l'........'.........-..-...-..-..1'.....-.-.-.-......-.......,. ....,.,.,,. ....,..,,.,,..,,--.- "' ' ' f: PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE La Provincia autonoma di Bolzano dubita della legittimit costituzionale degli artt. 9, nono comma, lett. e) e commi successivi, 12, comma 5 e seguenti e 24, primo comma, in quanto, nel disciplinare, rispettivamente, i ruoli e il trattamento del personale dei servizi tecnici, nonch gli uffici periferici delle autorit di bacino e la rideterminazione delle dotazioni organiche, violerebbero, per la parte in cui si riferiscono alle competenze trasferite alla provincia stessa, le speciali norme sul bilinguismo e sulla proporzionale etnica nel pubblico impiego. ~e questioni non sono fondate. Questa Corte ha gi affermato (v. sentenza n. 571 del 1988, nonch anche n. 1145 del 1988) che non necessario che ogn legge la quale disciplini in generale problemi di personale o di accesso nei pubblici uffici richiami espressamente, laddove si riferisca all'ordinamento della Provincia di Bolzano, le norme statutarie sul bilinguismo e sulla proporzionale etnica, le quali trovano applicazione indipendentemente dai predetti richiami. Tanto pi ci vero quando si in presenza, come nel caso, di una legge che contiene una disciplina generale, la quale, lungi dal voler restringere le pi ampie competenze delle regioni a statuto speciale o delle province autonome, tende a modellare le proprie norme, per ragione di brevit, sulle competenze proprie delle regioni a statuto ordinario. Analoga argomentazione e analoga conclusione debbono farsi in ordine ad altre censure mosse dalla Provincia autonoma di Bolzano nei confronti degli artt. 10, 24, primo comma, 35, e 32, primo "comma (quest'ultimo impugnato pure dalla Provincia di Trento), che, secondo la ricorrente, pretenderebbe di disciplinare materie le quali sono (parzialmente) trasferite alla provincia stessa, in base a norme di attuazione dello Statuto non espressamente richiamate dalle disposizioni impugnate. Anche in tali casi, infatti, la mancanza di un'espressa clausola di salvezza delle pi ampie competenze riservate in materia alle regioni speciali e alle province autonome non pu significare che si sia tentato, illegittimamente, di ridurre, o comunque modificare, le competenze stesse, quando, come nelle ipotesi considerate, non si riscontra un puntuale contrasto con le disposizioni poste dalle norme di attuazione in base alla loro separata e riservata competenza (v. sentt. nn. 180 del 1980, 237 del 1983, 451 del 1988). (omissis) SEZIONE SECONDA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE, sed. plen., 2 febbraio 1990, nella causa C -221/88 -Pres. Due -Avv. Gen. Mischo Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale di Brescia, sez. fall., nella causa CECA (ag. Traversa) c. Fall. Acciaierie e Ferriere Busseni s.p.a. (avv. Conti) -Interv.: Governo italiano (avv. Stato Braguglia). Comunit Europee CECA Interpretazione del Trattato CECA e degli atti emanati in forza di esso Rinvio pregiudiziale Competenza della Corte di giustizia. (Trattato CECA, artt. 31 e 41). Comunit Europee CECA Raccomandazioni Efficacia diretta Limiti Privilegio dei crediti CECA. (Raccomandazione della Commissione 13 maggio 1936, n. 86/198/CECA). Comunit Europee CECA Privilegi dei crediti per prelievi della CECA Decorrenza. (Trattato CECA, ' artt. 49 e 50; raccomandazione della Commissione 13 maggio 1986, n. 86/198/CECA, art. 4). La Corte di giustizia competente a conoscere di un rinvfo pregiudiziale per interpretazione del trattato CECA o degli atti, fra cui le raccomandazioni, emanati in forza di esso (1). La raccomandazione della Commissione 13 maggio 1986 n. 86/198/ CECA va interpretata nel senso che, in mancanza di provvedimenti nazionali di attuazione, la CECA pu far valere la raccomandazione, alla scadenza del termine per conformarvisi, nei confronti di uno Stato mem-. bro che non l'abbia attuata, purch il riconoscimento del privigio ai suoi crediti abbia effetto solo nei riguardi di detto Stato, ponendo eventualmente questa Comunit in concorso con esso, ma non comprima i diritti dei creditori diversi dallo Stato quali risulterebbero dalla disciplina nazionale sul concorso di creditori in assenza della raccomandazione (2). RACCOMANDAZIONE CECA: interpretazione ed efficacia. (1-3) :E! pienamente da condividere la statuizione di cui alla prima massima, con la quale la Corte di giustizia ha affermato la propria competenza ad inter pretare le disposizioni del trattato CECA e degli atti derivati. Di particolare rilievo appare l'argomento sistematico sviluppato nei punti 10 e 13 della motivazione, argomento che ha consentito alla Corte di superare, senza grande difficolt, il tenore letterale dell'articolo 41 trattato CECA, secondo il PARTE I, SEZ. II, GIURISPR. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 29 L'art. 4, secondo comma, della raccomandazione va interpretato nel senso che, alle condizioni e con le riserve sopra precisate, la CECA pu far valere il proprio privilegio per tutti i crediti da essa vantati nei confronti delle imprese a. titolo dei prelievi di cui agli artt. 49 e 50 del trattato CECA, qualunque sia la data in cui sono sorti, quando la loro am- missione al passivo fallimentare sia ancora possibile secondo la disciplina nazionale sul concorso di creditori. L'art. 4, primo comma, della raccomandazione va interpretato nel senso che il termine del 1 gennaio 1988 ha natura perentoria e che la sua inosservanza costituisce una violazione del diritto comunitario (3). (omissis) 1. -Con ordinanza 28 aprile 1988, pervenuta alla Corte il 4 agosto successivo, il Tribunale di Brescia ha proposto, ex art. 41 del trattato CECA, varie questioni pregiudiziali sull'interpretazione della raccom~ dazione della Commissione 13 maggio 1986 n. 86/198/CECA, relativa all'istituzione di un privilegio per i crediti derivanti dall'applicazione dei prelievi sulla produzione del carbone e dell'acciaio (G. U. n. L 144, pag. 40, in prosieguo: la raccomandazione). 2. -Tali questioni sono state sollevate nell'ambito di una controversia fra la CECA e il Fallimento Acciaierie e Ferriere Busseni S.p.A. (in prosieguo: Busseni) in merito all'ammissione al passivo di detto fallimento, in via privilegiata, di alcuni crediti della CECA. 3. -A seguito della dichiarazione di fallimento della Busseni, il 3 febbraio 1987, la CECA ha chiesto l'ammissione al passivo per due crediti, l'uno, in via privilegiata, di 246.652.086 lire, a titolo di prelievi e maggiorazioni di mora, l'altro, in via chirografaria, di 4.480.192.938 lire, a titolo di ammende e maggiorazioni di mora quale alla Corte medesima apparterrebbe soltanto il potere di ... giudicare, a titolo pregiudiziale, della validit delle deliberazioni dell'Alta Autorit e del Consiglio... . Del resto, come la sentenza in rassegna non manca di notare, sembra arduo. ipotizzare l'attribuzione alla Corte del potere di giudicare la validit delle suddette deliberazioni, escludendo per il potere di (previamente) interpretarle. Alcuni dubbi si possono invece esprimere sulla soluzione di cui alla seconda massima. In effetti, durante la discussione l'Avvocatura generale, intervenuta in difesa del Governo, aveva cercato di dimostrare che, nel caso, si era in presenza di un conflitto orizzontale tra creditori del fallimento (la CECA da un lato e l'Amministrazione finanze dall'altro). Sicch -secondo l'Avvocatura -non avrebbe potuto trovare applicazione la nota giurisprudenza della Corte sulla c.d. efficacia diretta di disposizioni di direttive aventi particolari caratteristiche (v., per tale giurisprudenza, il punto 22 della motivazione). Questa efficacia diretta sarebbe invero idonea a risolvere soltanto i conflitti verticali, tra amministrati e Stato sovrano, il quale abbia omesso di attuare la direttiva o l'abbia male attuata. In questo caso, l'amministrato pu opporre allo Stato 30 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 4. -Il giudice delegato ha respinto la richiesta della CECA di collocare al privilegio una parte dei suoi crediti, sul fondamento della raccomandazione. La CECA ha proposto allora opposizione dinanzi al Tribunale di Brescia. S. -Il tribunale ha considerato che in forza della raccomandazione gli Stati membri erano tenuti, entro e non oltre il 1 gennaio 1988, ad attribuire ai crediti derivanti dall'applicazione dei prelievi di cui agli artt. 49 e SO del Trattato CECA, lo stesso privilegio di cui godono i loro crediti fiscali e, nel caso di privilegi di ordine differente a seconda dell'imposta, lo stesso grado di privilegio conferito i crediti dello Stato per l'imposta sul valore aggiunto. Poich la Repubblica italiana non aveva emanato alcun provvedimento per conformarsi alla raccomandazione, il tribunale si chiesto se in simile situazione questa potesse produrre direttamente nell'ordinamento giuridico italiano l'effetto di attribuire un privilegio ai crediti della CECA. 6. -Ci considerato, il tribunale ha posto alla Corte le seguenti questioni: 1) Se la raccomandazione 13 maggio 1986 n. 86/198/CECA, nel prevedere (in ipotesi di procedure concorsuali (artt. 1 e 2) per gli Stati membri che attribuiscono ai crediti fiscali dello Stato stesso un privilegio su tutti i beni o su alcuni beni del contribuente, l'obbligo di attribuire lo stesso privilegio ai crediti derivanti dall'applicazione dei prelievi di cui agli artt. 49 e SO del trattato e, ove quegli Stati abbiano stabilito per i crediti fiscali privilegi generali o speciali di ordine differente a seconda dei singoli crediti di imposta, anche l'obbligo di attribuire ai prelievi CECA lo stesso grado di privilegio dell'imposta sul valore aggiunto, abbia valore diretto e immediato nello Stato membro e tale inadempiente, come eccezione, la disposizione della direttiva incondizionata e sufficientemente precisa e lo Stato inadempiente non pu pretendere di veder applicata la propria legislazione contrastante, n pu rifugiarsi dietro la carenza legislativa. La Corte non ha disconosciuto tali principi quando si trattato di stabilire se la raccomandazione in questione potesse esser fatta valere, in quanto tale, nei confronti dei singoli (altri creditori del fallimento). Essa ha per -e ci non appare condivisibile -equiparato lo Stato sovrano inadempiente (che non ha attuato per tempo la raccomandazione CECA) con lo Stato amministrazione, che invece avrebbe dovuto esser considerato alla stregua di ogni altro creditore del fallimento. Ed ha giudicato opponibile allo Stato amministrazione la norma ad efficacia diretta contenuta nella raccomandazione, diversamente da quanto ritenuto per i creditori privati (cfr. punti 25 e 26 della motivazione). Con il sostanziale risultato di attribuire alla norma della raccomandazione CECA, ad efficacia diretta, la funzione di risolvere un conflitto orizzontale tra privati , quali -nel caso -non possono non essere ritenuti sia la CECA che l'Amministrazione finanze. I.M.B. I I I PARTE I, SEZ. II, GIURISPR. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE da poter essere applicata dal giudice nazionale a prescindere da ogni ulteriore provvedimento di attuazione dello Stato destinatario, oppure, se detta Raccomandazione conservi (art. 15 trattato CECA) la propria natura di atto normativo che importa obbligo negli scopi ma libert nei mezzi per gli Stati destinatari; 2) se, nella ipotesi clfe la Raccomandazione citata abbia efficacia diretta e immediata, la sua applicabilit deve ritenersi limitata ai crediti per prelievi sorti dopo la sua emanazione (11 maggio 1986) ovvero anche a quelli sorti per titolo antecedente; 3) se, nella ipotesi in cui, al contrario, la Raccomandazione in pa rola conserva il proprio valore di atto normativo che importa obbligo negli scopi ma libert nei mezzi per gli Stati destinatari, il termine del 1 gennaio 1988, posto dall'art. 4 agli Stati membri per conformarsi alla raccomandazione, abbia natura perentoria, onde, la sua violazione, in con formit degli insegnamenti posti dalla Giurisprudenza del Giudice delle Leggi, importi il sospetto di incostituzionalit (per violazione dell'art. 11 della Costituzione) della normativa sui privilegi l ove non prevede la estensione del privilegio fiscale ai crediti per prelievi ex art. 49 e 50 del Trattato. 7. -Per una pi ampia illustrazione degli antefatti della causa prin cipale, dello svolgimento del procedimento nonch delle osservazioni presentate alla Corte, si fa rinvio alla relazione d'udienza. Questi elementi del fascicolo sono richiamati solo nella misura necessaria alla comprensione del ragionamento della Corte. Sulla competenza della Corte. 8. -Va immediatamente osservato che, al contrario di quanto sostiene la Busseni, l'atto che si chiede di interpretare non un parere, ma una raccomandazione della Commissione emanata ex art. 14 del Trattato CECA, e quindi un atto che, secondo detta norma, importa un obbligo negli scopi che prescrive ma lascia ai destinatari la scelta dei mezzi atti a conseguirlo. Pertanto, gli argomenti della Busseni su tale punto sono in ogni caso privi di pertinenza. 9. -Occorre tuttavia interrogarsi sulla competenza della Corte a conoscere di un rinvio pregiudiziale per interpretazione del Trattato CECA o degli atti emanati in forza di questo. 10. -Gli artt. 31 del Trattato CECA, 164 del Trattato CEE e 146 del Trattato CEEA, nonostante differenze di redazione meramente formali fra il primo e gli altri due trattati, sono norme di identico tenore, secondo le quali la Corte assicura il rispetto del diritto nell'interpretazione e nell'applicazione di tali trattati. 32 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 11. -Tuttavia, mentre i Trattati CEE e CEEA definiscono negli stessi termini, il primo all'art. 177 e il secondo all'art. 150, le condizioni di esercizio del potere della Corte di interpretare il diritto comunitario pronunziandosi sulle questioni pregiudiziali poste dalle giurisdizioni nazionali, i'l Trattato CECA non detta alcuna regola esplicita sull'esercizio di un p9tere d'interpretazione della Corte. 12. -Per contro, il Trattato CECA prevede espressamente all'art. 41 che soltanto la Corte competente a giudicare, a titolo pregiudiziale, della validit delle deliberazioni dell'Alta Autorit e del Consiglio, qualora una controversia proposta avanti a un tribunale nazionale metta in causa tale validit. 13. -Per quanto diverse nel tenore letterale, le disposizioni degli artt. 41 del Trattato CECA, 177 del Trattato CEE e 150 del Trattato CEEA -trattati succedutisi nel tempo, essendo stati conclusi il primo nel 1951 e gli altri due nel 1957 -esprimono, tutte, la duplice esigenza di assicurare il meglio possibile l'uniforme applicazione del diritto comunitario e di istituire a tal fine un'efficace cooperazione fra la Corte di giustizia e le giurisdizioni nazionali. 14. -Occorre del resto rilevare il nesso esistente fra interpretazione e sindacato di validit. Se vero che l'art. 41 del Trattato CECA menziona solo la competenza della Corte a giudicare a titolo pregiudiziale della validit delle deliberazioni della Commissione e del Consiglio, vero altres che il sindacato di validit di un atto implica necessariamente la sua previa interpretazione. Pronunziandosi, inoltre, sull'applicazione dell'art. 177 del Trattato CEE -ove il punto non esplicitamente precisato -la Corte ha affermato che il potere di dichiarare l'invalidit di un atto delle istituzioni comunitarie le riservato (sentenza 22 ottobre 1987, Foto Frost, 314/85, Racc. pag. 4199), ricollegandosi cos sostanzialmente all'esplicita disposizione dell'art. 41 del Trattato CECA. 15. -Se, per la natura dei poteri devoluti dal Trattato CECA alle autorit comunitarie e in particolare alla Commissione, le giurisdizioni nazionali hanno meno spesso occasione di applicare questo trattato, come pure gli atti da esso derivati -e, pertanto, d'interrogarsi sulla loro interpretazione -, la collaborazione in questo campo fra esse e la Corte di giustizia non per meno necessaria nel contesto del Trattato CECA che in quello dei Trattati CEE e CEEA, poich l'esigenza di assicurare l'uniforme applicazione del diritto comunitario vi si impone con la medesima forza ed evidenza. 16. -Sarebbe quindi contrario allo scopo e alla coerenza sistematica dei trattati che nel caso di disposizioni fondate sui Trattati CEE e CEEA la determinazione del loro significato e del loro ambito di applicazione sp~ttasse in ultima istanza alla Corte di giustizia -come con uguale for- I ~ i i PARTE I, SEZ. II, GIURISPR. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE mulaziofte prevedono gli artt. 177 del Trattato, CEE e 150 del Trattato CEEA -, assicurando cos l'uniformit della loro applicazione, mentre nel caso di norme relative al Trattato CECA questa competenza spetterebbe unicamente alle molteplici giurisdizioni nazionali, con possibili divergenze d'interpretazione e senza che la Corte di giustizia fosse abilitata a garantire l'uniforme interpretazione di tali norme. 17. -Risulta da quanto precede che la Corte competente a pronunziarsi sulle questioni propostele dal tribunale di Brescia. Sulla prima questione. 18. -Con la prima questione pregiudiziale la giurisdizione nazionale chiede se, in assenza di provvedimenti di attuazione nel diritto interno, la CECA possa invocare gli artt. 1 e 2 della raccomandazione affinch, nel caso di concorso di creditori previsto da una legislazione nazionale, alcuni suoi crediti derivanti dall'applicazione dei prelievi di cui agli articoli 49 e 50 del Trattato CECA godano dello stesso grado di privilegio generale o speciale attribuito dalla legge dello Stato di cui trattasi ai crediti di questo per l'imposta sul valore aggiunto. 19. -Secondo la Commissione, sarebbero soddisfatte le condizioni cui la giurisprudenza della Corte ha subordinato la possibilit di far valere dinanzi ad una giurisdizione nazionale le disposizioni di una direttiva rimasta inattuata nell'ordinamento giuridico interno di uno Stato membro. 20. -La Busseni ritiene, invece, che in assenza di norme nazionali d'attuazione la CECA non potrebbe invocare dinanzi al tribunale le disposizioni della raccomandazione. 21. -Va osservato, in limine, che i criteri elaborati dalla Corte per definire gli effetti di una direttiva inattuata nel .diritto nazionale si applicano anche alle raccomandazioni del Trattato CECA, in quanto atti della stessa natura che importano un obbligo negli scopi che prescrivono, ma lasciano ai destinatati la scelta dei mezzi idonei a conseguirli. 22. -Secondo la giurisprudenza della Corte, quando le autorit comunitarie abbiano, mediante direttiva, imposto agli Stati membri di adottare un determinato comportamento, l' effetto utile dell'atto sarebbe attenuato se agli amministrati e ai giudici nazionali fosse precluso di prenderlo in considerazione come elemento del diritto comunitario. Di conseguenza, lo Stato membro che non abbia adottato, entro i termini, i provvedimenti d'attuazione imposti dalla direttiva non pu opporre ai singoli il suo inadempimento degli obblighi derivanti dalla direttiva stessa. Perci, in tutti i casi in cui una o pi disposizioni di una direttiva appaiano, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, tali disposizioni possono essere richiamate, in mancanza di provvedimenti d'attuazione adottati entro i termini, per opporsi a qualsiasi RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO disposizione di diritto interno non conforme alla direttiva, ovvero in quanto siano atte a definire diritti che i singoli possono far valere nei confronti dello Stato (si veda, in particolare, sentenza 19 gennaio 1982, Ursula Becker, 8/81, Racc. pag. 53). 23. -Questa possibilit esiste per solo nei confronti dello Stato membro interessato e delle altre pubbliche autorit. Ne consegue che la direttiva non pu di . per s creare obblighi a carico di un singolo e che una disposizione di una direttiva non pu quindi essere fatta valere in quanto tale nei confronti dello stesso (sentenza 26 febbraio 1986, Marshall, 152/84, Racc. pag. 723). 24. -Ora, quando, come nel caso di specie, la CECA si trovi in con corso non solo con lo Stato membro interessato ma anche con altri ereditori della societ, l'applicazione della raccomandazione, lungi dall'operare soltanto nei confronti dello Stato destinatario, potrebbe ridurre le possibilit di soddisfare le ragioni degli altri creditori. 25. -Infatti, l'accoglimento della domanda proposta dalla CECA dinanzi ai competenti organi nazionali al fine di ottenere che, sulla base della raccomandazione, taluni suoi crediti siano considerati crediti privilegiati, non inciderebbe soltanto sulla situazione dello Stato interessato, ma modificherebbe necessariamente la situazione relativa dei diversi creditori nella procedura concorsuale. Fra tali creditori, pertanto, tutti i titolari di crediti non privilegiati o muniti di un privilegio pari o inferiore a quello dei crediti IV A dello Stato interessato, sarebbero direttamente lesi -nei loro diritti dal riconoscimento di quest'ultimo privilegio a taluni crediti della CECX. 26. -Risulta da quanto precede che, ove la raccomandazione in causa presenti i requisiti necessari a far valere dinanzi alle giurisdizioni nazionali una direttiva inattuata, la CECA pu invocare detta raccomandazione nei confronti di uno Stato, purch il riconoscimento del rango di privilegio ai crediti della CECA abbia effetto nei soli ri~ardi di detto Stato, mettendo eventualmente questa Comunit in concorso con esso. Per contro, il privilegio accordato alla CECA non pu comprimere i diritti dei creditori diversi dallo Stato rispetto a quanto previsto dalla disciplina nazionale sul concorso di creditori, in assenza della racco mandazione. 27. -Resta perci da accertare se la raccomandazione presenti i requisiti necessari a renderla invocabile dinanzi alla giurisdizione nazio nale, ossia se le sue disposizioni siano incondizionate e sufficientemente precise. 28. -Da un lato, l'obbligo a carico degli Stati membri, ex artt. 1 e 2 della raccomandazione, di attribuire rango di privilegio ai crediti della PARTE I, SEZ. II, GIURISPR. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE CECA derivanti dall'applicazione dei prelievi di cui agli artt. 49 e 50 del Trattato CECA sufficientemente preciso. 29. -Dall'altro, se l'art. 4, secondo comma, della raccomandazione, ai sensi del quale essa si applica alle procedure di recupero in corso alla data della sua attuazione, condiziona l'applicazione della raccomandazione all'obbligo degli Stati di assicurare, mediante apposite disposizioni transitorie, un'adeguata tutela giuridica dei diritti degli altri creditori dell'impresa debitrice, risulta dallo stesso tenore della norma che questa riguarda solo la tutela dei diritti dei creditori diversi dalla CECA e dallo Stato interessato. 30. -La prima questione va dunque risolta affermando che la raccomandazione va interpretata nel senso che, in mancanza di provvedimenti nazionali di attuazione, la CECA pu far valere la raccomandazione, alla scadenza del termine per conformarvisi, nei confronti di uno Stato membro che non l'abbia attuata, purch il riconoscimento del privilegio ai suoi crediti abbia effetto solo nei riguardi di detto Stato, ponendo eventualmente questa Comunit in concorso con esso, ma non comprima i diritti dei creditori diversi dallo Stato quali risulterebbero dalla disciplina nazionale sul concorso di creditori in assenza della raccomandazione. Sulla seconda questione. 31. -Con la seconda questione pregiudiziale, la giurisdizione nazionale chiede se, nella misura in cui la CECA possa reclamarne l'applicazione nell'ordinamento giuridico di uno Stato membro, la raccomandazione attribuisca alla Comunit un privilegio su tutti i crediti di cui titolare nei confronti delle imprese per i prelievi di cui agli artt. 49 e 50 del Trattato CECA, qualunque sia la data del relativo titolo costitutivo, ovvero solo su quelli sorti dopo la sua emanazione. , 32. -In forza dell'art. 4, primo comma, della raccomandazione, gli Stati membri dovevano emanare i provvedimenti necessari a conformarvisi, entro e non oltre il 1 gennaio 1988 " Ne consegue che, come si prima affermato, in mancanza di provvedimenti d'attuazione le sue disposizioni potevano essere fatte valere dinanzi ai giudici nazionali a partire dal 2 gennaio 1988. 33. -Ai ,sensi del secondo comma del medesimo articolo: Gli Stati membri prescrivono che queste disposizioni siano applicabili alle procedure di recupero in corso alla data di attuazione della presente raccomandazione . Dalla lettera stessa della norma emerge che la raccomandazione poteva essere invocata dinanzi ai giudici nazionali in tutte le procedure concorsuali ancora in corso alla data del 2 gennaio 1988. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 36 34. -Quantoal preciso oggetto della questione proposta, vale a dire se la raccomandazione possa avere l'effetto di attribuire il rango di privilegio ai crediti della CECA di titolo antecedente, va rilevato che, come risulta dal settimo considerando del preambolo, con questa disposizione la Commissione ha voluto che il privilegio in causa potesse esercitarsi nelle procedure concorsuali ancora in corso alla data di effettiva attuazione della raccomandazione, al fine di assicurare il pi completo recupero dei crediti derivanti dall'applicazione dei prelievi negli anni precedenti la sua adozione. 35. _,... Contrariamente alla tesi della Busseni, il principio del legittimo affidamento non pu essere opposto all'attribuzione del rango di privilegio ai crediti sorti anteriormente all'entrata in vigore dell'atto che l'istituisce, dal momento che, come la Corte ha gi dichiarato, questo principio non pu essere esteso fino al punto di vietare, in via generale, una nuova normativa che si applichi agli effetti futuri di situazioni sorte in vigenza della normativa antecedente (sentenza 14 gennaio 1987, Repubblica federale di Germania c/ Commissione, 278/84, Racc. pag. 1). 36. -La seconda questione va dunque risolta affermando che l'art. 4, secondo comma, della raccomandazione va interpretato nel senso che, alle condizioni e con le riserve sopra precisate, la CECA pu far valere il proprio privilegio per tutti i crediti da essa vantati nei confronti delle imprese a titolo dei prelievi di cui agli artt. 49 e 50 del Trattato CECA, qualunque sia la data in cui sono sorti, quando la loro ammissione al passivo fallimentare sia ancora possibile secondo la disciplina nazionale sul concorso di creditori. Sulla terza questione. 37. -Con la terza questione, la giurisdizione nazionale chiede in sostanza se il termine del 1 gennaio 1988 impartito dalla raccomandazione agli Stati per conformarvisi abbia natura perentoria. 38. -Come la Corte ha gi dicluarato (sentenza 19 gennaio 1982, Ursula Becker, cit.), dal testo dell'art. 189, terzo comma, del Trattato CEE risulta che agli Stati destinatari della direttiva imposto, in forza di quest'ultima, un obbligo di risultato che dev'essere adempiuto alla scadenza del termine fissato dalla direttiva stessa. 39. -In base a questo principio, che applicabile alle raccomandazioni adottate ex art. 14 del Trattato CECA, il termine di attuazione .del 1 gennaio 1988, impartito agli Stati dall'art. 4, primo comma, della raccomandazione, ha natura perentoria. 40. -L'omessa attuazione della raccomandazione da parte di uno Stato membro entro il termine cos violazione del diritto comunitario. assegnato costituisce, perci, una j: I f I ~ f Ii PARTE I, SEZ. II, GIURISPR. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 41. -La terza questione va dunque risolta affermando che l'art. 4, primo comma, della raccomandazione va in~erpretato nel senso che il termine del 1 gennaio 1988 ha natura perentoria e che la sua inosservanza costituisce una violazione del diritto comunitario. (omissis) CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA EUROPEE, Sed. Plen., 20 mar zo 1990, nella causa C-21/88 -Pres. Due -Avv. Gen. Lenz. -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale amministrativo re gionale della Toscana nella causa soc. Du Pont De Nemours Italiana S.p.A. c/ USL n. 2 di Carrara -Interv.: Governi italiano (avv. Stato Ferri) e francese (ag. Chavane) e Commissione delle C. E. (ag. Berardis). Comunit Europee Libera circolazione delle merci -Misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative all'importazione -Appalti pubblici di fornitura Riserva in favore di imprese ubicate in determinate regioni del territorio nazionale -Regime di aiuti. (Trattato CEE, artt. 30, 92 e 93; direttiva CEE del Consiglio 21 dicemb.re 1976, n. 77/62/CEE; legge 1 marzo 1986, n. 64, art. 17). L'art. 30 del Trattato CEE deve essere interpretato nel senso che esso si oppone ad una normativa nazionale la quale riserva alle imprese ubi cate in determinate regioni del territorio nazionale una percentuale degli appalti pubblici di forniture. L'eventuale qualificazione di una normativa nazionale come un aiuto ai sensi dell'art. 92 del Trattato non pu sottrarre detta normativa al divieto di cui all'art. 30 del Trattato. 1. -Con ordinanza 1 aprile 1987, pervenuta alla Corte il 20 gennaio 1988, il Tribunale amministrativo regionale della Toscana ha proposto, ex art. 177 del Trattato CEE, tre questioni pregiudiziali sull'interpretazione degli artt. 30, 92 e 93 del Trattato. CEE, al fine di valutare la compatibilit con queste disposizioni, della normativa italiana che riserva alle imprese ubicate nel Mezzogiorno una percentuale degli appalti pubblici di forniture. 2. -Le questioni sono state sollevate nell'ambito di una controversia fra la Du Pont de Nemours Italiana S.p.A., sostenuta dalla Du Pont De Nemours Deutschland GmbH, e l'Unit Sanitaria Locale n. 2 di Carrara (in prosieguo: USL), sostenuta dalla societ 3M Italia, in ordine alle condizioni di aggiudicazione di un appalto di forniture di pellicole e liquidi radiologici. 3. -Con l'art. 17, commi 16 e 17, della legge 1 marzo 1986, n. 64 (Disciplina organica dell'intervento straordinario nel Mezzogiorno), lo RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 38 Stato italiano ha esteso a tutte le amministrazioni ed enti pubblici nonch alle societ e agli enti a partecipazione statale, comprese le USL situate nell'intero territorio nazionale, l'obbligo di rifornirsi, per una quota pari ad almeno il 30 % del materiale occorrente, da imprese indu striali agricole ed artigiane, ubicate nel Mezzogiorno, ove venga eseguita una lavorazione dei prodotti in questione. 4. -Conformemente a questa legislazione nazionale, l'USL ha stabilito, con provvedimento del 3 giugno 1986, le modalit della licitazione privata per una fornitura di pellicole e liquidi radiologici. Nell'allegato capitolato speciale, essa ha distinto la fornitura in due lotti, di cui uno, pari al 30 % dell'importo globale della stessa, riservato alle imprese ubicate nel Mezzogiorno. La Du Pont de Nemours Italiana S.p.A. ha impugnato il provvedimento dinanzi al Tribunale amministrativo regionale della Toscana, adducendo di essere stata esclusa dalla procedura di aggiudicazione di detto lotto perch non aveva stabilimenti nel Mezzogiorno. Con provvedimento del 15 luglio 1986, l'USL ha proceduto all'ag giudicazione del lotto pari al 70 % dell'importo globale della fornitura in causa. Anche avverso detto provvedimento la Du Pont De Nemours ha proposto ricorso dinanzi al medesimo tribunale. 5. -Nel contesto dell'esame di questi due ricorsi, il giudice nazionale ha deciso di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: 1) Se l'art. 30 del Trattato CEE, prescrivendo il divieto di restrizioni quantitative all'importazione e di ogni misura di effetto equivalente, debba essere interpretato nel senso che si oppone alla normativa nazionale in causa; 2) Se l'obbligo della riserva di forniture ex art. 17 della legge 1 marzo 1986, n. 64, abbia le caratteristiche dell' aiuto di cui all'art. 92, in quanto diretto a favorire lo sviluppo economico di una regione ove il tenore di vita sia anormalmente basso, mediante l'insediamento di imprese cos da contribuire allo sviluppo economico-sociale di tale regione; 3) Se l'art. 93 del Trattato CEE attribuisca in modo esclusivo alla Commissione il giudizio di ammissibilit degli aiuti di cui all'art. 92 del Trattato CEE o se tale funzione competa anche al giudice nazionale in sede di verifica di un eventuale conflitto tra. la legge nazionale e le norme dell'ordinamento comunitario. 6. -Per una pi ampia illustrazione degli antefatti della causa principale, del contesto normativo nonch delle osservazioni scritte presentate alla Corte, si fa rinvio alla relazione d'udienza. Questi elementi del fascicolo sono richiamati solo nella misura necessaria per la compren sione del ragionamento della Corte. PARTE I, SEZ. II, GIURISPR. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE A) Sulla prima questione 7. -Con tale questione, il giudice nazionale chiede se una legisla zione interna che riserva una percentuale degli appalti pubblici di for niture alle imprese ubicate in determinate regioni del territorio nazionale sia contraria all'art. 30 del Trattato CEE, che vieta le restrizioni quantitative all'importazione e qualsiasi misura di effetto equivalente. 8 . .:...,_Al riguardo, occorre anzitutto ricordare che, secondo la costante giurisprudenza della Corte, enunciata nella sentenza 11 luglio 1974, Dasson ville (causa 8/74, Racc. pag. 837, punto 5 della motivazione), l'art. 30 del Trattato, vietando tra gli Stati .membri le misure di effetto equiva lente alle restrizioni quantitative all'importazione, si applica ad ogni normativa commerciale che possa ostacolare direttamente o indiretta mente, in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari. 9. -Si deve rilevare peraltro che, ai sensi del primo 'considerando' della direttiva del Consiglio 21 dicembre 1976, n. 77/62/CEE, ohe coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture (G. U. n. L 13/1977, pag. 1, in prosieguo: la direttiva n. 77/62), vigente all'epoca dei fatti della causa principale, le restrizioni alla libera circolazione delle merci impste nel campo delle forniture pubbliche sono vietate dagli articoli 30 e seguenti del Trattato. 10. -Occorre quindi determinare gli effetti che un regime preferenziale come quello su cui verte la causa principale pu produrre sulla libera circolazione delle merci. 11. -Va osservato in proposito che un regime di questo genere, favorendo le merci trasformate in una determinata regione di uno Stato membro, impedisce alle amministrazioni ed agli enti pul;>blici interessati di rifornirsi per una parte del materiale occorrente presso imprese ubicate in altri Stati membri. Si deve, pertanto, affermare che i prodotti originari di altri Stati membri sono discriminati rispetto a quelli fabbricati nello Stato membro in questione e che ne risulta ostacolato il corso normale degli scambi intracomunitari. 12. -Questa conclusione non inficiata dalla circostanza che gli effetti restrittivi di un tale regime preferenziale si dispiegano in egual misura nei confronti dei prodotti fabbricati da imprse dello Stato membro in questione, non Jbicate nella regione a cui si applica il regime preferenziale, come nei confronti dei prodotti fabbricati da imprese che hanno sede negli altri Stati membri. 13. -Va infatti sottolineato che se non tutti i prodotti dello Stato membro in questione sono favoriti rispetto ai prodotti stranieri, tutti quelli che beneficiano del regime preferenziale sono nondimeno prodotti RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO nazionali. Inoltre, un provvedimento statale sulle importazioni non pu sottrarsi al divieto dell'art. 30 per il fatto che i suoi effetti restrittivi non favoriscono la totalit dei prodotti nazionali, ma solo una parte di essi. 14. -Si deve poi rilevare che un regime come quello di cui alla causa principale non potrebbe essere giustificato, atteso il suo carattere discriminatorio, dalle esigenze imperative riconosciute dalla giurispru denza della Corte, poich tali esigenze possono essere prese in considerazione solo nei riguardi di una normativa indistintamente vigente per i prodotti nazionali e per quelli importati (sentenza 17 giugno 1981, Commissione c/ Irlanda, causa 113/80, R~cc. pag. 1625). 15. -Si aggiunga che tale regime non entra neppure nella sfera di applicazione delle deroghe tassativamente elencate nell'art. 36 del Trattato. 16. -Il Governo italiano ha invocato tuttavia l'art. 26 della citata direttiva n. 77/62/CEE, ai sensi del quale la presente direttiva non costituisce ostacolo all'applicazione delle disposizioni in vigore al momento dell'adozione della presente direttiva previste nella legge italiana n. 835 del 6 ottobre 1950 (Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 245 del 24 ottobre 1950) nonch nelle sue successive modifiche, fatta salva la compatibilit di tali disposizioni con il Trattato. 17. -Va rilevato, al riguardo, che l'oggetto della legislazione nazionale alla quale fa riferimento il giudice 'a quo (legge n. 64/86) in parte diverso e pi ampio rispetto a quello esistente all'epoca dell'emanazione della direttiva (legge n. 835/50) e che, inoltre, l'art. 26 della direttiva precisa che detta legge si applica fatta salva la compatibilit di tali disposizioni con il Trattato . In ogni caso, la direttiva non pu essere interpretata nel senso di autorizzare l'applicazione di una normativa nazionale contraria alle norme del Trattato, in tal modo opponendosi all'applicazione dell'art. 30 del Trattato in una controversia come quella che oggetto della causa principale. 18. -Si deve, quindi, risolvere la questione posta dal giudice nazionale dichiarando che l'art. 30 del Trattato va interpretato nel senso che si oppone ad una normativa nazionale la quale riserva alle imprese ubicate in determinate regioni del territorio nazionale una percentuale degli appalti pubblici di forniture. B) Sulla seconda questione 19. -Con la seconda questione il giudice nazionale chiede se un'eventuale qualificazione della normativa controversa come un aiuto, ai sensi dell'art. 92 del Trattato, potrebbe sottrarre detta normativa al divieto. di cui all'art. 30 del Trattato. PARTE I, SEZ. II, GIURISPR. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 20. -Basti ricordare in proposito che, secondo una costante giurispmdenza (v., in particolare, sentenza 5 giugno 1986, Commissione c/ Italia, causa 103/84, Racc. pag. 1759), l'art. 92 non pu in ailcun caso servire ad eludere le norme del Trattato relative alla libera circolazione delle merci. Da questa giurisprudenza emerge, infatti, che dette norme perseguono, al pari delle norme del Trattato sugli aiuti statali, il comune sopo di garantire la libera circolazione delle merci fra Stati membri in condizioni normali di concorrenz"'. Pertanto, come la Corte ha precisato nella citata giurisprudenza, il fatto che lJil provvedimento nazionale possa essere eventualmente qualificato come aiuto ai sensi dell'art. 92 non costituisce un motivo sufficiente per sottrarlo al divieto di cui all'art. 30. 21. -Alla luce di tale giurisprudenza, e senza che debba procedersi all'esame della natura di aiuto del' a normativa 'de qua', la questione posta dal giudice nazionale va ris0lta nel senso che l'eventuale qualificazione di una normativa nazionPJe come aiuto ai sensi dell'art. 92 del Trattato non pu sottrarla al (~vieto di cui all'art. 30 del Trattato. C) Sulla terza questione 22. -Dalle risposte date alle questioni precedenti risulta che, in una fattispecie come quella della causa principale, compete al giudice nazionale garantire la piena applicazione dell'art. 30 del Trattato. Di conseguenza, la terza questione, relativa al ruolo del giudice nazionale nell'apprezzamento della compatibilit degli aiuti con l'art. 92 del Trattato, diviene priva di oggetto. CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA EUROPEE, Sed. plen., 27 marzo 1990, nella causa C -10/88 -Pres. f.f. Slym -Avv. Gen. an Gerven Repubblica italiana (avv. Stato Fiumara) c. Commissione delle C. E. (ag. Karpenstein e Marenco). Comunit Europee Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia (F.E.O.G.A.) Liquidazione dei conti Premi per la nascita di vitelli Termini per procedere ad istruttoria delle domande Ragionevolezza . Poteri della Commissione. (Reg. CEE del Consiglio 18 maggio 1982, n. 1201; 17 maggio 1983, n. 1215; reg. CEE della Co'1Jll1ssione 20 maggio 1983, n. 1262). In forza del principio di leale collaborazione fra le amministrazioni comunitarie e nazionali, sancito dall'art. 5 del trattato CEE per assicurare la corretta attuazione del diritto comunitario nell'interesse degli operatori economici che esso riguarda, le amministrazioni nazionali debbono vegliare alla realizzazione delle finalit di un regime comunitario di pre RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO mi per la nascita di vitelli dettato nell'ambito della politica agricola comune. Esse sono pertanto tenute a procedere all'istruttoria delle domande entro un termine che risponda a tali finalit, come definite dai regolamenti CEE nn. 1201/82 e 1215/83, anche se questo termine non stato stabilito nei regolamenti di applicazione emanati dalla Commissione. In tale prospettiva quest'ultima pu indicare agli Stati membri interessati un termine che essa considera ragionevole. Trattandosi, per, di una disciplina da cui possono derivare conseguenze finanziarie, gli imperativi di certezza e prevedibilit s'impongono con particolare rigore, sicch, se la Commissione decide di ricollegare effetti finanziari all'inosservanza di un termine ragionevole per la istruttoria delle domande, il principio di buona amministrazione esige che detto termine sia comunicato tempestivamente a tutti gli Stati membri interessati (condizione non rispettata dalla Commissione nella fattispecie) (1). (omissis) 1. -Con atto introduttivo depositato nella cancelleria della Corte il 13 gennaio 1988, la Repubblica italiana ha chiesto, ex art. 173 del Trattato CEE, l'annullamento parziale della decisione della Commissione 21 ottobre 1987, n. 87/541, recante modifica delle decisioni nn. 87/ 468/CEE e 87/469/CEE, relative alla liquidazione dei conti degli Stati membri per le spese degli esercizi finanziari 1984 e 1985 finanziate dal Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia -sezione garanzia (G. U. n. L324, pag. 32), nella parte in cui esclude dal finanziamento di detto Fondo (in prosieguo: FEAOG) la somma di 19.045.553.222 lire per l'esercizio 1985, dichiarata dalla Repubblica italiana a titolo di premi per la nascita di vitelli durante la campagna 1983-1984. 2. -Il regolamento del Consiglio 18 maggio 1982, n. 1201, relativo alla concessione di un premio alla nascita dei vitelli in Grecia, Irlanda, Italia e Irlanda del Nord (G. U. n. L 140, pag. 34), ha autorizzato questi tre Stati membri, nonch il Regno Unito limitatamente all'Irlanda del Nord, a concedere un premio per ogni vitello nato nel loro territorio durante la campagna 1982-1983 e ancora in vita sei mesi dopo la nascita. (1) La Corte ribadisce il. principio enunciato con la sentenza 14 novembre 1989, nella causa 14/88, REPUBBLICA ITALIANA c. COMMISSIONE di questa Rassegna, 1989, I, 138, nell'analoga fattispecie d'i un ritenuto ritardo nel pagamento di aiuti comunitari alle organizzazioni di produttoni, ma -questa volta accogliendo per intero il ricorso italiano -con alcune importanti precisazioni, che limitano e definiscono i potevi della Commissione in ordine alla fissazione di un termine ragionevole per l'esecuzione di una misura o di una fase procedurale di essa, imponendole condiziom di chiarezza e di tempestivit di informazione. Risulta comunque riaffermata in via generale la necessit di un puntuale ed assoluro rispetto da parte dei servizi nazionali delle modalit di attuazione delle misure di intervento quali previste e definite in sede comunitaria, condizione imprescindibile perch la relativa spesa, anticipata in sede nazionale, possa essere imputata al F.E.0.G.A. I I I I PARTE I, SEZ. II, GIURISPR. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE Il regolamento ha stabilito l'importo unitario del premio in 32 ECU, ponendolo a carico del FEAOG, sezione garanzia. Il regolamento del Consiglio 17 maggio 1983, n. 1215, che modifica il regolamento n. 1201/82 (G. U. n. L 132, pag. 15), ha confermato la disciplina prevista dal citato regolamento n. 1201/82 per i vitelli nati nel corso della campagna 1983 1984. 3. -Il regolamento della Commissione 20 maggio 1983, n. 1262 (G. U. n. L 133, pag. 50), stabilisce le modalit d'applicazione relative all'attribuzione di un premio per la nascita di vitelli durante la campagna 19831984. L'art. l, nn. 1 e 2, di detto regolamento recita: 1. Il premio di cui all'art. 1 del regolamento (CEE) n. 1201/82 concesso, su richiesta del produttore, se viene dimostrato, in modo giudicato soddisfacente dall'autorit competente, che, nei territori in cui concesso il premio, -il vitello nato durante la campagna 1983-1984, - stato identificato, e - ancora in vita all'et di sei mesi. 2. L'importo unitario di tale premio, pari a 32 ECU, pagato in un'unica soluzione entro e non oltre i 90 giorni successivi alla data in cui l'autorit competente ha dato seguito alla domanda di premio. 4. -Per la campagna 1983-1984, l'Italia ha dichiarato premi per la nascita di vitelli, pagati sino a 33 mesi dopo il termine della campagna (fine marzo 1984). La Commissione ha ritenuto che gli Stati membri fossero tenuti a procedere ai controlli richiesti e ad elaborare i dati cos acquisiti, prima del pagamento, entro un termine ragionevole stabilito in 3 mesi. Dapprima, essa ha considerato tardivi i pagamenti eseguiti a pi di 12 mesi dalla fine della campagna. Questo periodo si compone di 6 mesi relativi alla condizione che il vitello sia ancora in vita all'et di sei mesi, 3 mesi per l'istruttoria delle domande e 90 giorni per il pagamento dei premi. La Commissione ha espresso l'intenzione di escludere dal finanziamento una somma di 36.913.409.088 lire. 5. -Le autorit italiane hanno formulato censure contro il termine di 12 mesi, deducendo le particolari difficolt incontrate nell'istruttoria delle domande. La Commissione ha in parte tenuto conto degli argomenti avanzati dalla Repubblica italiana ed ha deciso di portare il termine per la concessione dei premi, giudicato ragionevole, da 12 a 18 mesi dopo la fine della campagna 1983-1984, cio 6 mesi relativi alla condizione che il vitello sia ancora in vita all'et di sei mesi, 9 mesi per l'istruttoria delle domande e 90 giorni per il pagamento dei premi, in confor 44 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO mit dell'art. 1 del regolamento n. 1262/83. Con la citata decisione numero 87/541, la Commissione ha quindi ridotto da 36.913.409.088 lire a 19.045.553.222 lire l'importo escluso dal finanziamento. 6. -Per una pi ampia illustrazione degli antefatti, del procedimento nonch dei mezzi e argomenti delle parti, si fa rinvio alla relazione d'udienza. Questi elementi del fascicolo sono richiamati solo nella misura necessaria alla comprensione del ragionamento della Corte. 7. -Il Governo italiano contesta che, nel silenzio del regolamento n. 1262/83, la Commissione abbia il potere di stabilire un termine ragionevole per l'istruttoria delle domande di premio. 8. -Secondo la Commissione, sebbene il regolamento n. 1262/83 non preveda espressamente un termine entro il quale dar corso alle domande, questo adempimento dovrebbe aver luogo entro un ragionevole lasso di tempo. Pur non rivendicando a se stessa il potere di stabilire un tale termine al di fuori di un procedimento normativo, la Commissione sostiene che il ten:iline ragionevole richiesto dal regolamento corrisponde a quello da essa proposto. 9. -Va osservato anzitutto che se incontestabile l'assenza, nella pertinente disciplina comunitaria, di una esplicita previsione di termini per l'istruttoria delle domande di premio, da una lettura congiunta del primo considerando del citato regolamento n. 1201/82 e del secondo considerando del regolamento n. 1215/83, pu dedursi che questa disciplina stata emanata per migliorare la situazione finanziaria dei produttori interessati, durante la campagna in causa, considerato il livello relativamente basso dei prezzi d'intervento nel settore della carne bovina nel corso di questi anni. 10. -Questo scopo compromesso se gli Stati membri concedono i premi ai produttori con un ritardo ingiustificato. L'imposizione di un termine ragionevole per l'istruttoria delle domande quindi idonea a consentire la realizzazione degli obiettivi posti dai regolamenti nn. 1201/82 e 1215/83. 11. -In forza del principio di leale collaborazione fra le ammrmstrazioni comunitarie e nazionali, sancito dall'art. 5 del Trattato CEE per assicurare la corretta attuazione del diritto comunitario nell'interesse degli operatori economici che esso riguarda, le amministrazioni nazionali debbono vegliare alla realizzazione delle finalit del detto regime comunitario di premi. Esse sono pertanto tenute a procedere all'istruttoria delle domande entro un termine che risponda a tali .finalit, come definite dai regolamenti nn. 1201/82 e 1215/83, anche se questo termine non stato stabilito nei regolamenti di applicazione emanati dalla Com PARTE I, SEZ. II, GIURISPR. COMUNITARIA E INTERNAZiONALE 45 m1ss1one. In tale prospettiva, la Commissione pu indicare agli Stati membri interessati un termine che essa considera ragionevole. 12. -Occorre sottolineare, al riguardo, che durante l'udienza il rappresentante del Governo italiano ha rU::onosciuto l'esigenza di rispettare un termine ragionevole, pur non precisandone la durata. Resta quindi da esaminare se questa sia stata stabilita in modo ragionevole e non arbi trario. In proposito, si deve osservare che il termine di 18 mesi stabilito dalla Commissione abbastanza lungo da consentire agli Stati membri interessati di eseguire i controlli necessari per assicurarsi che siano soddisfatte le condizioni enunciate dall'art. 1 del regolamento n. 1262/83 e per procedere al pagamento del premio. Ci confermato dal fatto che gli altri Stati membri autorizzati, al pari della Repubblica italiana, a concedere preini per la nascita dei vitelli li hanno pagati, in misura compresa fra. il 98,9 % e il 100 %, nei 18 mesi successivi alla fine della campagna 198"3-1984, mentre entro lo stesso termine la Repubblia italiana ha pagato solo il 43,l % dei premi, senza addurre ragioni che possano giustificare un tale divario. 13. -Tuttavia, secondo la costante giurisprudenza della Corte (si veda, da ultimo, sentenza 13 marzo 1990, Commissione c/ Repubblica francese, causa 30/89, non ancora pubblicata nella Raccolta), ove si tratti di una disciplina da cui possano derivare conseguenze finanziarie, gli imperativi di certezza e prevedibilit s'impongono con particolare rigore. Ne consegue che, se la Commissione decide di ricollegare effetti finanziari all'inosservanza di un termine ragionevole per l'istruttoria delle domande, il principio di buona amininistrazione esige che detto termine sia comunicato tempestivamente a tutti gli Stati membri interessati. 14. -Ora, nella fattispecie in esame, il termine per effettuare i controlli richiesti ed elaborare i dati cos cquisiti stato stabilito dalla Commissione solo nella relazione di sintesi, 1 agosto 1987, sul finanziamento di talune spese dichiarate per gli esercizi 1984 e 1985 e nell'Addendum n. 1 alla relazione di sintesi del 24 settembre 1987 (Doc. VI/164/87 - Add. 1). Pertanto, queste indicazioni sono state fornite solo dopo il pagamento dei premi esclusi dal finanziamento comunitario e dopo la fine dell'esercizio finanziario 1985. 15. -Ci considerato, non si pu ritenere che la Commissione abbia stabilito e comunicato tempestivamente il termine entro il quale le auto rit nazionali dovevano dar corso alle domande di premio, in relazione alle spese effettuate nell'esercizio finanziario 1985. 16. -Risulta da quanto precede che la decisione della Commissione 21 ottobre 1987, n. 87/541, recante modifica delle decisioni nn. 87/468 e 87/469, relative alla liquidazione dei conti degli Stati membri per le spese degli esercizi finanziari 1984 e 1985 finanziate dal Fondo europeo agri 46 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO colo di orientamento e di garanzia, sezione garanzia, dev'essere annullata nella parte in cui la Commissione non ha posto a carico del FEAOG, per l'esercizio 1985, la somma di 19.045.553.222 lire dichiarata dalla Repubblica italiana a titolo di premi per la nascita di vitelli nella campagna 1983-1984. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, sez. I civ., 28 novembre 1989, n. 5170 -Pres. Bologna -Est. Saggio -P. M. Grossi (concl. conf.) -San Lorenzo Industrie Olii Conserve Sicilia S.p.A. (avv. Ziino) c. A.I.M.A. (avv. Stato Fiumara). Agricoltura Provvidenze comunitarie per il mercato agricolo Fermo amministrativo Presupposti e limiti. (Regolamenti CEE del Consiglio 21 aprile 1970, n.. 729, e 18 dicem1*e 1969, n. 2601; r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 69; d.P.R. 24 dicembre 1974, n. 7T/, art. 2). Con riguardo alle provvidenze finanziarie, erogate dall'A.I.M.A. in conformit dei regolamenti della Comunit Europea e con anticipazioni della medesima, la sospensione dei pagamenti, in forza di fermo amministrativo , ai sensi dell'art. 2 del d.P.R. 24 dicembre 1974 n. 727, consentita solo per tutelare il recupero di versamenti indebitamente effettuati da detta azienda sempre per tali provvidenze, in deroga quindi all'art. 69 ultimo comma del R.D. 18 novembre 1923 n. 2440, nella parte in cui autorizza quel fermo per qualunque credito della stessa o di altra amministrazione, ma non esige, quale ulteriore requisito, che il diritto al suddetto recupero sia stato definitivamente accertato, e resta di conseguenza adottabile anche in previsione di una compensazione eventuale e futura (nella specie, in pendenza di procedimento penale rivolto ad accertare l'illecita percezione di precedenti sussidi), considerato che il citato art. 2 non introduce un'espressa limitazione in tale senso al menzionato art. 69, e che, inoltre, siffatta limitazione sarebbe incompatibile con la funzione cautelare della misura di autotutela. (1) (omissis) 1. -Con l'unico motivo proposto la societ San Lorenzo denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 2 del d.P.R. 24 dicembre 1974 n. 727, dell'art. 69, ultimo comma, del R.D. 18 novembre 1923 n. 2440 e degli articoli 4 e 5 della legge 20 marzo 1865 n. 2248 All. E, (1) La Corte di cassazione ha riconsiderato, nel senso auspicato dall'Avvocatura, la posizione assunta in precedenza con la sentenza Sez. unite 16 giugno 1984, n. 3611, in questa Rassegna, 1984, I, 709, con nota critica, precisando che l'art. 2 d.P.R. 24 dicembre 1974, n. 727, non impedisce all'A.I.M.A. di disporre il fermo amministrativo di cui all'art. 69 legge di contabilit dello Stato su somme dovute per provvidenze comunitarie a garanzia di una propria ragione di credito relativa anch'essa a provvidenze comunitarie, senza necessit che il PARTE I, SEZ. II, GIURISPR. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 47 in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. La ricorrente censura i giudici di appello per avere ritenuto legittima la sospensione dei pagamenti disposta dall'A. I.M.A. facendo riferimento all'art. 69, ultimo comma, della legge sulla contabilit dello Stato. La fattispecie viceversa ricadrebbe nella sfera d'applicazione dell'art. 2 del d.P.R. n. 727/1974, disposizione, quest'ultima, che non potrebbe giustificare il provvedimento cautelare adottato nella specie dall'A.I.M.A., considerato che -secondo la interpretazione prospettata dalla ricorrente -la detta disposizione, in deroga al su richiamato art. 69, consentirebbe la misura di autotutela soltanto nell'ipotesi in cui il credito dell'A.I.M.A. fosse certo, liquido ed esigibile e per di pi derivasse dailla effettuazione di un pagamento indebito; e considerato altres che nella specie questo presupposto non ricorreva, giacch il credito vantato dall'A.I.M.A., per la cui tutela era stato disposto il fermo dei pagamenti, non era stato ancora definitivamente accertato. La censura, fondata su una interpretazione restrittiva dell'art. 2 del d.P.R. n. 727/74, non pu essere condivisa anche se appare sorretta da un autorevole precedente (Sezioni Unite, 16 giugno 1984, n. 3611). Il detto art. 2 deve infatti essere interpretato nel senso che esso consente al1' A.I.M.A. di adottare la misura di autotutela anche nell'ipotesi in cui il suo credito non sia stato ancora definitivamente accertato e quindi in funzione di una compensazione futura ed eventuale. Ci per i rilievi che seguono. 2. -La societ ricorrente, nell'unico motivo proposto, non contest~ dunque che l'A.I.M.A., ove al caso fosse applicabile l'art. 69, comma sesto, della legge sulla contabilit generale dello Stato, potesse disporre il fermo amministrativo dei pagamenti. La ricorrente si limita a sostenere che la fattispecie ricadrebbe nel campo di applicazione di una norma diversa, l'art. 2 del d.P.R. n. 727/1974, la quale, con riferimento esclusivo all'A.I.M.A., modificherebbe i presupposti sia oggettivi che soggettivi del fermo amministrativo. Questa tesi contrastata dall'A.I.M.A., che nel suo controricorso sostiene che la norma speciale non altererebbe i presupposti oggettivi del fermo amministrativo, cos come questi sono disciplinati nel citato art. 69. Per risolvere la questione conviene brevemente richiamare il contenuto dell'art. 69 e la interpretazione giurisprudenziale che al riguardo si ormai consolidata. Dispone detto articolo, al comma sesto, che qualora un'amministrazione dellp Stato, che abbia, a qualsiasi titolo, ragia- suo credito sia divenuto inoppugnabile. In effetti, come si era rilevato e non ha mancato di sottolineare la Corte, il requisito dell'inoppugnabilit avrebbe svuotato di effettivo contenuto il fermo quale misura cautelare, cosi come qualsivoglia altra misura cautelare (anche se richiesta dal giudice penale a garanzia del recupero di provvidenze comunitarie indebitamente percette), risultando in definitiva operante solo la compensazione fra crediti divenuti entrambi certi, liquidi ed esigibili. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ne di credito verso aventi diritto a somme dovute da altre amministrazioni, richieda la sospensione del pagamento, questa deve essere eseguita in attesa del provvedimento definitivo. Tale disposizione viene interpretata estensivamente nel senso che essa pu trovare applicazione non solo con riguardo a ragioni di credito di amministrazioni diverse rispetto a quella che dispone il fermo, ma anche, e a maggior ragione, a salvaguardia di un credito che la stessa branca dell'amministrazione statale, considerata nella unicit di soggetto di rapporti giuridici, pretenda di avere nei confronti del suo creditore (cos la Corte Cost. nella sentenza 19 aprile 1972 n. 67; nello stesso senso Cass. Sez. Unite 16 giugno 1984 n. 3611). Nessun dubbio quindi che l'A.I.MA., prescindendo per il momento dalla eventuale incidenza sulla fattispecie della normativa speciale, potesse utilizzare, a salvaguardia di propri crediti, l'istituto del fermo amministrativo di cui al citato art. 69. Quanto poi alle caratteristiche oggettive del credito, a tutela del quale il fermo pu essere disposto, la detta fonte si . limita a prevedere, genericamente, che l'amministrazione pu intervenire a tutela di proprie ragioni di credito; formula, questa, che stata interpretata nel senso che il fermo amministrativo diretto a legittimare la sospensione del pagamento di un debito liquido ed esigibile da parte di un'amministrazione dello Stato, a salvaguardia dell'eventuale compensazione di esso con un credito, anche se non attualmente liquido ed esigibile, che la stessa amministrazione pretenda di avere nei confronti del suo creditore (v. Corte Cost. n. 67/1972, nonch Sez. Unite n. 3611/1984, gi citata). L'istituto del fermo previsto dalla legge sulla contabilit generale dello Stato ha dunque lo scopo di rendere possibile una futura compensazione fra un credito ed un debito dell'Amministrazione verso il medesimo soggetto e pu perci essere utilizzato dall'Amministrazione anche a difesa di un proprio credito che non sia n liquido n esigibile, ma unicamente assistito dal fumus boni iuris in relazione alla pendenza di un qualsiasi procedimento dal cui esito deriver il suo accertamento. Anche con riguardo a questo ulteriore profilo pacifico che l'A.I.M.A., che non era portatrice di un credito liquido ed esigibile verso la Societ .San Lorenzo allorch dispose il fermo al pagamento dei contributi in favore della detta societ, poteva ritenere, all'epoca, che un tale credito sarebbe stato accertato all'esito del giudizio penale, cui gli amministratori della societ erano stati sottoposti in relazione alla percezione di precedenti contributi, ed era pertanto legittimata a disporre il fermo in vista di una eventuale e futura compensazione fra il proprio credito (ancora da accertare) ed il proprio debito {liquido ed esigibile). 3. -Ci posto, occorre controllare se e quale incidenza abbia sul funzionamento del fermo amministrativo, disciplinato dall'art. 69 della legge nella contabilit generale dello Stato (la cui ampia portata la giurisprudenza ha puntualizzato), l'art. 2 del d.P.R. X: 727/1984. Questa di PARTE I, SEZ. II, GIURISPR. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE sposizione prevede che le somme dovute dall'A.I.M.A. agli aventi diritto in attuazione di provvidenze indicate all'art. 1 del decreto del Presidente della Repubblica 4 luglio 1973, n. 532 (integrazioni di prezzo dell'olio d'oliva e del grano duro previste dai regolamenti della Comunit economica europea) e all'art. 1 del presente decreto (tutte le provvidenze finanziarie, quali integrazioni di prezzo, sovvenzioni, aiuti, indennit compensative e premi, disposte dai regolamenti della Comunit economica europea, la cui erogazione sia affidata all'A.I.M.A. e sia effettuata con le anticipazioni finanziarie della Comunit stessa), non possono formare oggetto di provvedimenti cautelari, ivi compresi i fermi amministrativi di cui alfart. 69, ultimo comma, del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440, tranne che per il recupero da parte dell'A.I.M.A. di pagamenti indebiti di tali provvidenze. Questa disposizione sicuramente deroga (in senso riduttivo) all'art. 69, comma sesto, laddove prevede che l'A.I.M.A. possa utilizzare il fermo amministrativo, di cui all'art. 69, esclusivamente per la tutela di crediti propri, e precisamente soltanto per il recupero di pagamenti indebiti di provvidenze comunitarie dalla stessa A.I.MA. effettuati. Una tale deroga rispetto all'art. 69 era indispensabile per rispettare le fonti comunitarie, relative all'erogazione dei contributi, fonti alle quali la normativa nazionale in esame ha dato attuazione. Va infatti sottolineato, per la rilevanza che questo elemento assume sul piano interpretativo, che il d.P.R. n. 727 d attuazione alla decisione de1 consiglio dei ministri delle Comunit europee relativa alla sostituzione dei contributi finanziari degli Stati membri con risorse proprie della Comunit, adottata a Lussemburgo il 21 aprile 1970, nonch ai regolamenti comunitari relativi al finanziamento della politica agricola comune, e ci in virt della delega conferita al Governo con l'art. 3 della legge 23 dicembre 1970, n. 1185. Orbene, l'esame delle pertinenti fonti comunitarie (menzionate del resto nel preambolo del d.P.R. n. 1185) mette in evidenza il prioritario interesse della Comunit alla utilizzazione rapida e mirata dei fondi che essa mette a disposizione degli Stati membri per il finanziamento, appunto, della politica agricola comune. Dispone infatti in proposito l'art. 4 del regolamento del Consiglio CEE n. 729 del 21 aprile 1970, relativo al finanziamento della politica agricola comune, che gli Stati membri vigilano che tali fondi siano utilizzati senza indugio ed esclusivamente per gli scopi previsti>>. Dispone altres l'art. 3, part. l, comma terzo, del regolamento del Consiglio CEE n. 2601 del 18 dicembre 1969, sulle misure speciali per favorire il ricorso alla trasformazione per talune variet di arance (G.U.C.E. n. L 324/21 del 27 dicembre 1969), che la particolare compensazione finanziaria concessa ai trasformatari deve essere versata agli interessati su loro richiesta appena le autorit di controllo dello Stato membro nel quale effettuata la trasformazione hanno accertato che i prodotti che sono stati oggetto dei contratti sono stati trasformati >>. Considerato questo quadro normativo, e le finalit 50 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO che lo ispirano, appare chiara la incompatibilit con esso del fermo amministrativo nelle forme previste dal citato art. 69, comma sesto, dal momento che quest'ultima norma consente di bloccare i pagamenti dovuti anche in relazione a crediti di altre branche dell'Amministrazione dello Stato, cui viene riconosciuta ai fini della autotutela una sostanziale unicit: sarebbe invero in aperto contrasto con la politica agricola comune consentire agli organismi dei singoli Stati membri incaricati della erogazione dei fondi comunitari, in conformit a scelte generali di politica agricola compiute dalle istituzioni comunitarie tenendo conto degli interessi di tutti gli Stati membri, di sospendere il pagamento dei contributi, gi riconosciuti se dovuti all'esito dei prescritti controlli, allo scopo di assicurare che una diversa amministrazione statale (ad esempio, un ente previdenziale), portatrice di una pretesa creditoria non ancora accertata nei confronti dello stesso soggetto creditore di quei contributi, possa successivamente compensare il proprio preteso credito (se e quando questo diverr liquido ed esigibile) con quello, gi certo ed esigibile, di cui l'operatore agricolo titolare nei confronti del competente orga nismo nazionale. L'art. 2 del d.P.R. n. 727 ha dunque preso atto della delineata incompatibilit e ne ha tratto le conseguenze, limitando il fun. zionamento del fermo amministrativo alla tutela dei soli crediti dell'A. I.M.A. 4. -Resta a vedere se tale disposizione ha anche modificato, e nel l'affermativa in che misura, i presupposti oggettivi del fermo ammini strativo. Per chiarire questo punto, nel quale si incentra il ricorso, occorre stabilire che significato abbia la prescrizione, secondo cui le somme dovute dall'A.I.M.A. in pagamento di provvidenza comunitaria non possano... formare oggetto di provvedimenti cautelari, ivi compresi i fermi amministrativi di cui all'art. 69, ultimo comma, del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440, tranne che per il recupero da parte dell'A.I.M.A. di pagamenti indebiti di tali provvidenze. Secondo la ricorrente (confortata dalla gi richiamata pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte) detta formula, statuendo che le rnisure cautelari (ivi compreso il fermo amministrativo ex art. 69) possono essere adottate solo per il recupero di indebiti pagamenti di provvidenza, sancirebbe il principio che l'A.I.M.A. pu agire in via cautelare solo se sia gi accertato, in modo inoppugnabile, che i pagamenti in precedenza effettuati siano stati indebiti . Stando a questa interpretazione, dunque, l'art. 2 del D.P.R. 727/1974 modifiche_rebbe profondamente l'istituto del fermo amministrativo rispetto alla disciplina generale dell'art. 69, consentendo all'A.I.M.A. di farvi ricorso esclusivamente a tutela di un suo credito gi definitivamente accertato e come tale gi suscettibile di essere oggetto di compensazione. Questa tesi non persuade. Essa non ha riscontro n nella lettera n nello spirito della norma ed contraddetta dalle finalit perseguite dalle fonti comunitarie rispetto alle quali la norma stessa ha funzione attuativa PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE e rispetto alle quali, pertanto, ragionevole supporla conforme. Dal punto di vista testuale la tesi della ricorrente ancorata alle parole pagamenti indebiti che interpreta nel senso di pagamenti indebiti definitivamente accertati>>. L'uso dell'aggettivo indebito, tuttavia, non autorizza, soprattutto in assenza di altri argomenti nella stessa direzione, ad interpretare la voluntas legis nel senso di una riduzione della utilizzabilit del fermo amministrativo alla sola ipotesi dell'avvenuto accertamento del credito della amministrazione. Si tratterebbe invero di una riduzione del campo d'applicazione dell'istituto cos radicale, da far dubitare che residuino ancora margini ragionevoli per la sua utilizzazione concreta. Appare molto pi ragionevole, e rispettoso del testo, interpretare l'aggettivo indebito nel senso di pagamento che'si presenta come tale nella valutazione dell'Amministrazione: non va trascurato che il fermo amministrativo espressione del potere di autotutela e che la tesi prospettata dalla ricorrente di fatto escluderebbe che esso possa essere azionato in funzione di tale scopo. N va trascurato, sotto profilo della logica complessiva della disposizione, che l'art. 2 fa pur sempre rinvio all'art. 69, considerandolo quindi applicabile sia pure con delle limitazioni; il che comporta che qualsiasi deviazione rispetto alla disciplina generale dell'istituto debba risultare esplicitamente e incontrovertibilmente dal testo, rivestendo carattere derogativo e quindi eccezionale. Ora, il meno che si possa dire che l'espressione pagamenti indebiti ellittica e suscettibile di entrambe le letture, tra le quali, per le ragioni dette, va preferita quella che consente all'A.I.M.A. di utilizzare il fermo anche a tutela di propri crediti non ancora definitivamente accertati. A favore di questa interpretazione sta anche, e risolutivamente, un rilievo d'ordine sistematico. Le misure cautelari per definizione presuppongono la illiquidit o la non attuale esigibilit del credito (come riconoscono le Sezioni Unite nella sentenza pi volte richiamata), sicch appare ulteriormente non giustificata la affermazione che la tipica misura cautelare del fermo amministrativo possa essere utilizzata dall'A.I.M.A. solo a difesa di un credito gi definitivamente accertato. Proprio il carattere cautelare del fermo avrebbe dovuto condurre ad accogliere la opposta interpretazione, che, come gi detto, consentita dalla lettera della disposizione. 5. -Per tutte le ragioni sin qui svolte il ricorso deve essere respinto. (omissis) SEZIONE TERZA GIURISPRUDENZA CIVILE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lav., 9 giugno 1989, n. 2821 Pres. Meni chino Rel. Alibrandi P. G. Martone (conf.) ENTE F. S. (avv. Stato Nucaro) c. Grassano (avv. Agostini). Ferrovie Dipendenti ente F. S. Controversie previdenziali Competenza territoPiale ex art. 23 legge n. 210 del 1985 Esclusione. L'art. 23 delTa legge 17 maggio 1985, n. 210 istitutiva dell'Ente Ferrovie dello Stato si applica esclusivamente alle controversie di lavoro e non anche a quelle di natura previdenziale (1). (omissis) L'art. 23 della legge 17 maggio 1985, n. 210, istitutiva dell'Ente, ha previsto la competenza del giudice del luogo ove ha sede l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato nel cui distretto si trova il giudice che sarebbe competente secondo le norme ordinarie -nella specie Pretore di Torino -esclusivamente per le controversie di lavoro relative al personale dipendente dell'Ente; la presente controversia di natura previdenziale; le due specie di controversie -di lavoro e previdenziai sono state sempre tenute distinte per cui l'invocato art. 23 non applicabile nella specie essendo invece applicabile la normativa ordinaria. La chiara lettura della legge non lascia alcuno spazio alla tesi opposta, improntata alla esigenza di agevolare la attivit dell'Avvocatura dello Stato (e d'altra parte per le cause avanti al Pretore non previsto il foro erariale). (1) Viene :ribadita l'interpretazione restrittiva dell'art. 23 della legge 17 maggio 1985, n. 210, intendendosi per controversie di lavoro quelle relative al rapporto di lavoro individuale, con esclusione di quelle collettive di lavoro (v. Cass. 22 ottobre 1987, n. 7819 in questa Rassegna 1988, I, 79) e di quelle previdenziali, in merito alle quali nulla innovato. In tali sensi stata ritenuta la giurisdizione della Corte dei Conti con riguardo al contenzioso pensionistico (v. Corte dei Conti sez. III, 17 gennaio 1990, n. 63519, in questa Rassegna, I, 67, nonch al contenzioso avente ad oggetto l'indennit di buonuscita corrisposta dall'Opera di previdenza e assistenza per i ferrovieri dello Stato O.P.A.F.S. (vedi TAR Lazio sez. III, 23 novembre 1989, n. 2001, ivi, I, 102). Il foro erariale stabilito dall'art. 23 in argomento stato ritenuto incosti tuzionale con sentenza della Corte costituzionale n. 117 del 1990, dando ingresso a problemi interpretativi per stabilire nei riguardi dei ferrovieri il luogo di dipendenza aziendale di cui all'art. 413 cod. proc. civ. : ! PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 53 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 25 agosto 1989, n. 3768 -Pres. Zucconi Galli Fonseca -Rel. Senese -P. M. Di Renzo (concl. conf.) -Regione Toscana (avv. Stato Ferri) c. IRADIT s.r.l. e Unit sanitaria locale di Livorno. Giurisdizione Civile -Sanit Prestazioni sanitarie Accordo collettivo Aggiornamento dei compensi . Mancata attuazione dell'accordo collettivo Regolamento preventivo di giurisdizione . Giurisdizione del1' AGO. Non si configura difetto assoluto di giurisdizione per improponibilit della domanda sulla richiesta di adeguamento delle tariffe a eventuali aumenti del costo dei materiali occorrenti per le varie prestazioni sanitarie di medici convenzionati, perch con essa si fa valene l'inadempimento di un obbligo sancito in un accordo economico. La controvers'a su questioni Piguardanti i!l corrispettivo di prestlazioni rese da medici convenzionati rientra nella giurisdizione del giudice of(;linario (art. 5, secondo comma, legge, n. 1034/1971) (1). (omissis) Assume l'istante che il meccanismo di adeguamento delle tariffe ad eventuali aumenti del costo dei materiali occorrenti per le varie specialit, cos come regolato dal punto 4 dell'accoro collettivo nazionale invocato ex adverso, funziona sulla base indefettibile di un accertamento convenzionale circa l'esistenza e la misura degli aumenti, mancando tra l'altro nella clausola qualsiasi indicazione di criteri secondo cui stabilire se ed in che misura tali aumenti si siano verificati. La domanda proposta da parte attrice implicherebbe, pertanto, un intervento (1) Le Sezioni Unite, confermando la precedente giurisprudenza (sentenza 20 giugno 1987, n. 5453), hanno escluso il difetto assoluto di giurisdizione sulla domanda che proposta da un concessionario di un pubblico servizio, rivolta ad ottenere l'adeguamento delle tariffe ad eventuali aumenti del costo dei materiali occorrenti per le varie specialit ed hanno precisato che, pur essendo il rapporto tra le unit sanitarie locali e le minori strutture private sanitarie (gabinetti di analisi, laboratori, ecc.) inquadrabile nello schema di concessione amministrativa di pubblico servizio, anzich in quello della parasubordinazione (cfr. Sez. Un. 21 febbraio 1987, n. 1870), la giurisdizione esclusiva del giudice ~nistrativo derogata perch le controversie concernenti indennit canoni ed altri corrispettivi (art. 5, comma II, legge n. 1034 del 1971) rientrano nella giurisdizione dell'a.g.o. Sulla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo a conoscere delle controversie inerenti a .convenzioni stipulate fra gli organi del servizio sanitario nazionale ed i laboratori di analisi, cfr. Sez. Un. 21 febbraio 1987 n. 1872, in Foro it. 1987, I, 2779 con nota. Sulla giurisdizione dell'a.g.o. (Pretore in funzione del giudice del lavoro) a conoscere delle controversie che si svolgono tra i medici specialisti convenzionati esterni e le unit sanitarie locali, e che ineriscono al rapporto di lavoro configurato come parasubordinazione cfr. Sez. Un. 24 giugno 1987, .n. 5522, in Riv. e loc. cit., 2712 con nota. 54 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dell'A.G. che, sostituendosi alla pretesa inerzia delle competenti pubblche amministrazioni, valga a supplire alla mancata convocazione dell'apposita commissione pervenendo ad adottare un provvedimento positivo di attribuzione delle percentuali di aumento pretese, in violazione dei divieti posti dalla 1. n. 12/1982 e dalle varie leggi finanziarie succedutesi nel tempo. Tale intervento esulerebbe dalle attribuzioni dell'A.G. cos come esula da questa la determinazione ex novo di un accordo collettivo, che soltanto le parti ed i loro rappresentanti sindacali sonq legittimate a stipulare. L'istanza infondata. Queste Sezioni Unite, statuendo in sede di regolamento di giurisdizione relativo ad una controversia promossa dinanzi all'AGO dalle organizzazioni sindacali {rappresentanti le categorie di cui agli accordi nazionali resi esecutivi con D.P.R. 16 maggio 1980) nei confronti della presidenza del consiglio e dei ministri della Sanit, del Tesoro e del Lavoro, per ottenere l'adeguamento delle tariffe stabilite nei suddetti accordi e la liquidazione, in favore dei medici convenzionati, delle tariffe di compenso con le maggiorazioni da determinare in corso di giudizio -hanno innanzitutto escluso che, in relazione alla domanda come sopra proposta, potesse coqfigurarsi un difetto assoluto di giurisdizione per improponibilit assoluta della domanda, osservando che nella specie non risultava affatto evidente la mancanza di una situazione configurabile come diritto soggettivo o come interesse legittimo, in quanto con la domanda veniva sostanzialmente a farsi valere l'inadempimento di un obbligo, sancito in un accordo economico relativo alla determinazione ed all'adeguamento della misura delle tariffe professionali, la cui applicabilit era contestata da controparte in relazione a prfili involgenti o una interpretazione delle norme di previsione esistenti nell'ordinamento giuridico o questioni di merito con particolare riguardo alla -legittimazione ovvero ancora questioni inerenti all'esistenza ed all'ampiezza di poteri giuridici; s che non era dato rilevare la mancanza di una situazione giuridicamente azionabile risultante dalla stessa formulazione della domanda prescindendo da ogni concreto esame sui fatti contestati e dalla risoluzione di questioni riflettenti l'interpretazione di norme giuridiche (S. U. 5453/1987). Alla stregua di tali principi, recentemente enunciati in una fattispecie affine a quella in esame ma costituenti espressione di un costante orientamento di queste Sezioni Unite, deve innanzitutto escludersi che, nella fattispecie in esame, possa adombrarsi un difetto assoluto di giurisdizione per improponibilit assoluta della domanda, postoch, attraverso la domanda stessa la parte attrice fa valere l'inadempimento di un obbligo, che assume esser divenuto parte della convenzione stipulata con l'U.S.L. ed in relazione al quale le contestazioni di contro)'arte implicano la interpretazione delle norme di previsione esistenti nell'ordinamento giuridico {artt. 44 e 48 L. n. 833/1978) e/o la soluzione di questioni atti PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 55 nenti all'incidenza dei suindicati accordi nazionali nel rapporto costituitosi tra la U.S.L. e la parte attrice. Del resto, nell'istanza di regolamento s'insiste sul difetto di giurisdizione dell'AGO e sulla devoluzione della controversia alla competenza giurisdizionale del giudice amministrativo, il che conferma l'estraneit alla specie -nonostante alcune suggestioni desumibili dalla prospettazione dei motivi di ricorso -di una questione di difetto assoluto di giurisdizione. Ma il proposto regolamento privo di fondamento anche per quanto riguarda il dedotto difetto di giurisdizione dell'autorit giudiziaria ordinaria. Infatti, con la citata sentenza n. 5453/1987, queste Sezioni Unite dopo aver richiamato la consolidata giurisprudenza di questa corte secondo la quale il rapporto fra medici esterni convenzionati e U.S.L. costituisce un rapporto d'opera professionale, sia pure con caratteristiche tali da integrare una figura di c.d. parasubordinazione >>, e dopo aver ricordato che le relative controversie appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario hanno chiarito che l'accordo, stipulato in conformit dell'articolo 48 della L. n. 833/1978, s'inserisce nel rapporto di parasubordinazione dei medici convenzionati esterni, regolando reciproci obblighi e diritti delle parti, e, per quanto ne interessa, l'aggiornamento del compenso professionale, che costituisce un elemento fondamentale del rapporto stesso. Rilevato poi che tale accordo, stipulato su base paritetica e bilaterale, non incide sul potere imperativo della pubblica amministrazione ma rappresenta piuttosto un'autolimitazione del potere discrezionale della stessa nei riguardi della posizione contrattuale dei medici convenzionati, la citata decisione ha osservato che, ai fini del riparto di giurisdizione, sufficiente osservare che con la propria domanda il medico specialista convenzionato tende ad ottenere l'aggiornamento delle tariffe assumendo che la clausola di cui al punto 4 del detto accordo ha contenuto e funzione analoga a quella dell'art. 1467 e.e., costituendo una clausola di salvaguardia perdurante nel tempo. Siffatti svolgimenti -per infirmare i quali non son stati addotti argomenti e dai quali non v' ragione di discostarsi - sono piena)llente applicabili alla specie, anche se il rapporto tra unit sanitaria locale e minori strutture private sanitarie (gabinetti di analisi, diagnostica strumentale, laboratorio etc.) inquadrabile nello schema della concessione amministrativa di pubblico servizio anzich in quello della parasubordinazione (cfr. S. U. n. 1870/1987). Infatti la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle controversie relative a rapporti di concessione di servizi pubblici derogata, restando salva la giurisdizione dell'AGO, per le controversie concernenti indennit, canoni ed altri corrispettivi (art. 5/2 L. n. 1034/1971). E, nella specie, la controversia riguarda appunto il corrispettivo delle pre RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO stazioni rese dal concessionario del pubblico servizio, il quale -non diversamente dal medico specialista convenzionato -invoca il punto 4 dell'accordo collettivo nazionale assumendo che la clausola pattizia svolge, rispetto al suo diritto al corrispettivo, la medesima funzione che, nell'articolazione della domanda del medico specialista, le venne assegnata rispetto al compenso di quest'ultimo; cos configurandosi il petitum sostanziale, nell'uno e nell'altro caso, come relativo ad una posizione di diritto soggettivo tutelabile dinanzi all'AGO (cit. S. U. n. 5453/1987). N, infine, la giurisdizione dell'A.G.0. potrebbe essere esclusa nel rilievo che la domanda implicherebbe, da parte del giudice, una modificazione del provvedimento autoritativo nel quale l'accordo collettivo si tradotto, perch -quale che sia la natura di detto provvedimento e comunque si configuri il rapporto tra il contenuto di quest'ultimo e la pronuncia richiesta al giudice -la relativa questione non interferisce sulla giurisdizione del giudice ordinario, ma incide sul diverso problema dei limiti interni delle sue attribuzioni ex artt. 4 e 5 legge D.. 2248/1865 All. E (cfr. S. U. 6094/1985). A maggior ragione, non valgono ad escludere la giurisdizione del giudice ordinario i rilievi formulati dall'ente ricorrente in ordine alla pretesa inidoneit, sotto vari profili, della previsione di cui al citato punto 4 dell'Accordo collettivo a fondare il diritto azionato dal sanitario o dalla struttura sanitaria privata; perch le questioni introdotte. da tali rilievi -sulle quali dovr pronunciarsi il giudice del merito e che potranno condurre, se fondate, al rispetto della domanda -non interferiscono sul problema di giurisdizione, da risolversi -secondo quanto sopra avvertito -unicamente in base al criterio del petitum sostanziale. appena il caso di rilevare come sia appunto il petitum sostanziale ci che differenzia la fattispecie in esame da quelle decise con le sentenze nn. 1969 e 1970 del 1987 di queste Sezioni Unite, con le quali sfata affermata la competenza giurisdizionale del giudice amministrativo a conoscere delle domande proposte, nei confronti di una regione e di una U.S.L., rispettivamente, da una casa di cura e da un laboratorio d'analisi privati, per sentirsi riconoscere il diritto al mantenimento della convenzione; in quanto in quelle controversie non si faceva questione di corri spettivi ma del diritto al mantenimento della concessione. Ed altrettanto da dirsi per la decisione n. 3474/1982 di queste stesse Sezioni Unite, nella quale l'affermazione della giurisdizione del giudice amministrativo riposa sul rilievo che il titolare di un laboratorio diagnostico, il quale chieda l'accertamento dell'illegittimit della norma dell'accordo economico colletivo 22 febbraio 1980 nella parte in cui subordina ad autorizzazione il ricorso degli utenti a presidi convenzionati, deduce una posizione avente consistenza d'interesse legittimo e non gi di diritto soggettivo. (omissis) f,, .. I~ r: PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE CORTE DI CASSAZIONE; Sez. Un., 29 novembre 1989, n. 5229 -Pres. Zucconi Galli Fonseca -Rel. Di Ci -P. G. Di Renzo (conf.) -Pennica (avv. Rampelli) c. F. S. (avv. Stato Favara). Giurisidizione civile Regolamento preventivo Sentenza che si limitata ad esaminare il merito nei limiti necessari per risolvere la questione di giurisdizione Ammissibilit del regolamento. Ferrovie Alloggio di servizio concesso a dipendente per motivi diversi dall'espletamento del servizio Opposizione al provvedimento di ri lascio Giurisdizione amministrativa. Per decisione di merito, preclusiva del regolamento preventivo di giurisdizione, deve intendersi quella che affermi o neghi, nel caso sottoposto al giudizio, una volont di legge conforme alla pretesa ivi dedotta, ovvero quella che risolva questioni preliminari attinenti al merito; la preclusione invece non sussiste allorch il giudice adito abbia preso in e~ame il merito ai limitati fini della identificzione dell'oggetto sostanziale dell'azione, onde stabilire se essa si inquadri o meno nella sfera della propria giurisdizione. Inerisce ad un rapporto di concessione e, quindi, devoluta alla giurisdizione esclusiva dei tribunali amministrativi regionali, la controversia promossa da un dipendente ferroviario per opporsi alla pretesa di rilascio di un appartamento destinato ad alloggio di set'!Vizio, che gli era stato assegnato non per ragioni inerenti al servizio, ma in via provvi soria e precaria in forza di un'inizativa meramente discrezionale dell'Amministrazione. (omissis) La preliminare eccezione d'inammissibilit dell'istanza di regolamento preventivo di giurisdizione -sollevata dall'Ente Ferrovie dello Stato perch la sentenza pronunciata dal Pretore di Monopoli avrebbe deciso, nella sostanza , questioni di merito -non fondata. noto che il regolamento preventivo di giurisdizione pu essere proposto in ogni momento fino a che la causa non sia stata decisa nel merito in primo grado, ovvero finch non sia passata in giudicato la sentenza di primo grado che, senza decidere il merito, abbia risolto la questione di giurisdizione. E proprio quest'ultimo caso si verificato nella specie. Va invero tenuto presente che per decisione di merito, preclusiva del regolamento preventivo di giurisdizione, deve intendersi quella che affermi o neghi, nel caso sottoposto al giudizio, una volont di legge conforme alla pretesa ivi dedotta, ovvero quella che risolva questioni preliminari attinenti al merito. La preclusione invece non sussiste allorchi 58 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO il giudice adito abbia preso in esame il merito ai limitati fini della identificazione dell'oggetto sostanziale dell'azione, onde stabilire se essa si inquadri o meno nella sfera della propria giurisdizione: in tal caso le considerazioni della sentenza relative agli aspetti sostanziali della controversia sono strumentali rispetto alla pronuncia sulla giurisdizione e, quindi, hanno un effetto circoscritto ad esso e lasciano impregiudicate le decisioni che dovranno essere adottate dal giudice munito del potere giurisdizionale. Nella specie il pretore si limitato ad esaminare il rapporto nei limiti strettamente necessari per risolvere la questione di giurisdizione sollevata dall'Ente convenuto e la pronuncia finale non ha esorbitato dal tema posto mediante tale eccezione. ~ pacifico e documentato che l'appartamento di cui si tratta compreso nel fabbricato della stazione ferroviaria di Monopoli, essendo destinato ad alloggio di servizio di quel capostazione titolare, e che mediante atto unilaterale amministrativo in data 28 giugno 1984, espressamente qualificato concessione, il compartimento Ferroviario di Bari lo ha dato in uso precario, come abitazione, ad Alessandro Permica il quale, pur non essendo capostazione titolare di Monopoli -e quindi naturale destinatario dell'alloggio di servizio -era dipendente dell'amministrazione ferroviaria. Ci posto, deve innanzi tutto essere rilevato che la legge 17 maggio 1985 n. 210, istitutiva dell'Ente Ferrovie dello Stato, sopravvenuta al rapporto in esame, non ha influenza sulla soluzione del quesito sottoposto a queste Sezioni Unite: per quanto mediante l'art. 23 essa assegni le controversie di lavoro relative al personale dipendente dall'ente all'autorit giudiziaria ordinaria, tuttavia nella specie l'alloggio in questione -pur assegnato al Permica allo scopo di agevolarne il servizio in favore dell'amministrazione ferroviaria -non inerente al servizio stesso ed il suo godimento non parte integrante del rapporto di lavoro tra l'istante e l'ente convenuto. Si tratta, in sostanza, di un alloggio il cui godimento stato conferito al dipendente in via provvisoria e precaria, in forza di un'iniziativa meramente discrezionale dell'amministrazione, riguardante un immobile del proprio demanio o patrimonio indisponibile; cio in forza di un provvedimento di concessione di bene pubblico. Pertanto la controversia promossa dal Permica per opporsi alla pretesa di rilascio del bene avanzata dall'amministrazione -espressa mediante atto amministrativo -inerisce ad un rapporto di concessione e, quindi, devoluta alla competenza giurisdizionale esclusiva dei tribunali amministrativi regionali, ai sensi dell'art. 5, primo comma, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034. PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 59 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un . 1 febbraio 1990, n. 646 -Pres. Bile - Rel. Cantillo -P.G. Grossi (conf.) -De Castro (avv. Costa) c. Min. Tesoro (avv. Stato Nucaro). Pensioni -Pensioni civili -Domanda proposta in via autonoma al fi.e di ottenere la rivalutazione di assegni pensionistici e i relativi interessi legali Giurisdizione della Corte dei Conti. Le domande dirette ad ottenere la rivalutazione di assegni pensionistici corrisposti in ritardo ed i relativi interessi' legali non cessano di essere accessorie rispetto al trattamento di pensione e di appartenere, quindi, alla giurisdizione della Corte de.i Conti, sol.o per.ch venganot proposte autonomamente, per essere cessate o per non esservi mai stata controversia in ordine a quel trattamento (1). (omissis) 1. -Con l'unico motivo a sostegno del regolamento di giurisdizione, volto a porre fine ad una decennale e sterile peregrinazione alla ricerca del giudice della causa, il De Castro deduce che erroneamente la Corte dei conti ha declinato la giurisdizione, la quale non poteva essere negata n per il fatto che la domanda di rivalutazione ed interessi era stata proposta in via autonoma, n in base alla causa petendi, non essendo stata addebitata alcuna specifica colpa all'Amministrzione. Il ricorso fondato. La Corte dei Conti -adita dal De Castro su indicazione del Pretore di Roma, dichiaratosi carente di giurisdizione dopo analoga pronuncia del T.a.r. del Lazio -ha riconosciuto che la materia della rivalutazione monetaria e degli interessi rientra nella giurisdizione della stessa Corte se accessoria e direttamente dipendente dal diritto principale fatto vale re, ma per due ordini di ragioni ha negato che tali caratteri rivesta la domanda in oggetto. La prima ragione che questa stata proposta in modo autonomo, sicch non potrebbe essere qualificata accessoria rispetto a questioni pensionistiche di naturale competenza della Corte; la seconda ragione che la rivalutazione e gli interessi sono stati chiesti in relazione ad ad un ritardo nella liquidazione della pensione dovuto anche a provve (1) La sentenza estende alla materia pensionistica quanto affermato in tema di pubblico impiego con la precedente sentenza delle stesse SS.UU. 6 ottobre 1988, n. 5379, in questa Rassegna 1988, I, 306; in argomento v. pure Cass. SS.UU. 3 dicembre 1987, n. 9019; 17 ottobre 1988, n. 5630, in questa Rassegna 1988, I, 79 e 315. Ferma restando la giurisdizione della Corte dei Conti, tuttavia da considerare che nella ipotesi che il trattamento pensionistico sia stato attribuito a seguito di decisione, la successiva richiesta di interessi e rivalutazione dovrebbe ritenersi preclusa dal giudicato che, come noto, copre il dedotto e il deducibile. 60 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dimenti del Comune di Roma relativi al pregresso rapporto di impiego, sicch il ritardo non sarebbe imputabile soltanto all'ente previdenziale e occorrerebbe accertare l'esistenza, o meno, di una responsabilit del Comune, accertamento, codesto, sicuramente devoluto al giudice ordinario. Entrambi gli argomenti non reggono alla critica. Al primo agevole obiettare che le domande dirette ad ottenere la rivalutazione di assegni pensionistici corrisposti in ritardo e i relativi interessi legali non cessano di essere accessorie rispetto al trattamento di pensione, e di appartenere, quindi, alla giurisdizione della Corte dei Conti, solo perch vengano proposte autonomamente, per essere cessata o per non esservi mai stata controversia in ordine a quel trattamento. Determinandosi la giurisdizione in relazione alla materia, tali pretese sono in ogni caso devolute alla Corte dei Conti (ex artt. 13 e 62 r.d. 12 luglio 1934, n. 1214) in quanto trovano titolo nel rapporto di pensione e sono immediatamente inerenti all'entit degli assegni, mentre del tutto ininfluente la contestualit, o meno, delle richieste di interessi e di rivalutazione rispetto alla liquidazione della pensione (v. sent. 5630, 5568 e 4503 del 1988). Quanto all'altro argomento, vero che esulano dalla giurisdizione della Corte dei Conti (se trattasi di rapporto di pensione) o del giudice amministrativo in sede esclusiva (se trattasi di rapporto di impiego) e spettano, invece, al giudice ordinario, perch investono questioni atti nenti a diritti patrimoniali conseguenziali, le diverse pretese dirette a conseguire un risarcimento superiore a quello consentito dalla rivaluta zione, o gli interessi moratori, le quali siano fondate sulla denuncia di comportamenti dilatori o comunque colposi dell'amministrazione esorbitanti dal puro e semplice ritardo (v., fra altre, sent. 5630 del 1988). Ma il De Castro ha chiesto la rivalutazione con criteri automatici e gli interessi per il ritardo nel pagamento dei ratei di pensione, senza affatto dedurre e far valere un comportamento dilatorio o colposo della p .. a. E poich la giurisdizione si determina in base al petitum SO stanziale, evidente l'errore in cui incorsa la sentenza impugnata nell'attribuire la cognizione della controversia al giudice ordinario. Va pertanto dichiarata la giurisdizione della Corte dei Conti, con conseguenziale condanna del Ministero del Tesoro al pagamento delle spese di questo regolamento. CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 22 febbraio 1990, n. 1308 -Pres. Tilocca Est. Lupo -P. M. Chirico -Irusta Ines (avv. Azzolina) c. Ministero del Tesoro (avv. Stato Guicciardi). Avvocatura dello Stato Rappresentanza e difesa di amministrazioni non statali . Procura ad litem -Necessit Insussistenza. (artt. 1 e 43 r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611; art. 11 legge 3 aprile 1979, n. 103). PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 61 vvocatura dello Stato Esercizio dello ius postulandi Procura ad lltem Necessit Insussistenza Questione di costituzionalit ma nifestamente infondata. (art. 1 r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611). Sanzioni Amministrative . Infrazioni valutarie Potere del Ministro del Tesoro di imporre pene pecuniarie Questione di costituzionalit manifestamente infondata. (r.d.1. 5 dicembre 1938, n. 1923). Sanzioni Amministrative -Infrazioni valutarie Riscossione di pene ue coniarle Prescrizione quinquennale anzich triennale . Questione di costituzionalit manifestamente infondata. (art. 17 legge 7 gennaio 1929, n. 4). Sanzioni Amministrative -Infrazioni valutarie -Responsabilit Requisito della maggiore et Necessit. (artt. 2 e 12 legge 24 novembre 1981, n. 689). Anche nella difesa degli enti semplicemente autorizzati e non obbligati ad avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato, non richiesto alcun atto di procura per l'esercizio dello ius postulandi da parte degli avvocati dello Stato, pertanto la deliberazione dell'ente di confe rimento dell'incarico all'Avvocatura ha natura di atto interno che non deve essere esternato e non ha alcuna incidenza sul processo (1). manifestamente infondata la questione di illegittimit costituzionale dell'art. 1 r.d. 30. ottobre 1933 n. 1611, in relazione all'art. 97 Cast., il quale prevede che le funzioni di rappresentanza e difesa in giudizio delle amministrazioni da parte dell'Avvocatura dello Stato prescindono dal rilascio di una procura (2). manifestamente infondata la questione di illegittimit costituzionale del r.d.l. 5 dicembre 1938 n. 1928, in relazione all'art. 102 Cast., nella parte in cui consente al Ministro del Tesoro di imporre pene pecuni-arie considerato che la pena pecuniaria ha carattere civile e quindi non costituisce una sanzione penale (3). manifestamente infondata la questione di illegittimit costituzionale dell'art. 17, primo comma, legge 7 gennaio 1929 n. 4, in relazio~ agli artt. 3 e '113 Cost., nella parte in cui prevede come termine di pre (1-2) Principio pacifico in giurisprudenza, cfr. da ultimo Cass. Sez. Un. 16 ottobre 1989, n. 4145; Cass. Sez. Un. 29 agosto 1989, n. 3817; Cass. Sez. Un. 5 giugno 1989, n. 2695. (3-4) Entrambe le questioni di costituzionalit sono dichiarate manifestamente infondate sul presupposto dell'eterogeneit delle sanzioni penali ed amministrative. Sulla prima massima cfr. nello stesso senso Cass. 24 luglio 1981, n. 4785 (in Foro It. Mass. 1981, 975) nonch C. Cost. 4 marzo 1970, n. 32 (in Foro it. 1970, I, 1026). Sulla seconda massima v. in senso conforme C. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO scrizione della pena pecuniaria il periodo di cinque anni anzich quello di tre anni previsto dall'art. 157 c.p. per le contravvenzioni (4). L'art. 2 legge 689/81, il quale richiede la maggiore et pe1 l'assoggettamento alle sanzioni amministrative, si applica alle violazioni valutarie punite con pena pecuniaria (nella fattispecie la violazione avvenuta prima dell'entrata in vigore della legge 689/81 ma il provvedimento di applicazione della sanzione stato emesso dopo) (5). (omissis) 1. -Con il primo motivo del ricorso Ines e Maurizio Irusta deducono violazione e falsa applicazione dell'art. 30 (recte: art. 1) del r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611 (testo unico sull'Avvocatura dello Stato) e degli artt. 1 e 2 del regolamento esecutivo di detto testo unico, approvato con r.d. 30 ottobre 1933 n. 1612. In subordine, sollevano la questione di legittimit costituzionale delle citate disposizioni normative, per contrasto con l'art. 97 Cost. In particolare, i ncorrent1, al fme ai riproporre la eccezione d inammissibilit dell'appello respinta dalla sentenza impugnata, censurano detta sentenza nella parte in cui ha aesunto dalla disposizione secondo cui gli avvocati dello Stato non hanno bisogno Cli mandato, la regola che tali avvocati hanno il potere di decidere se una controversia va proposta o una impugnazione presentata. :::>econao 1 ricorrenti, occorre invece una manifestazione di volont dell'Amministrazione rappresentata, che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte di appello, non pu ritenersi un fatto puramente interno. I ricorrenti lamentano ancora che, nell'ambito dell'Avvocatura dello Stato, non esista alcuna delimitazione degli Cost. 19 novembre 1987, n. 420 (in Foro it. 1988, I, 3158) con riguardo all'art. 28, 1. 689/81, nonch Cass. 20 maggio 1987, n. 4610 (in Giur. it. 1988, I, 1, 73) nel senso che il termine quinquennale per la riscossione delle sanzioni pecuniarie amministrative di prescrizione e non di decadenza, quindi interrotto dalla notifica della ordinanza-ingiunzione. (5) Cfr. Cass. 4 febbraio 1986, n. 684 (in Foro it. 1986, I, 1315) in cui si afferma che agli illeciti valutari non sono applicabili le norme processuali contenute nella I. 689/81 (solo le norme processuali ed in particolare l'art. 22 che prevede la competenza funzionale del pretore) pertanto l'opposizione avverso il decreto del ministro del tesoro deve essere proposta dinanzi al giudice ordinario competente per valore secondo le regole generali. Nel senso invece della completa applicabilit della legge 689/81 agli illeciti valutari v. Pret. Roma 28 novembre 1984 (in Foro it. 1986, I, 581). Cfr. altres Cass. 20 maggio 1987, n. 4610 (in Giur. it. 1988, I, 1, 73) nel senso dell'inapplicabilit dell'art. 2 legge 689/81 nell'ipotesi in cui -contestata anteriormente all'entrata in vigore della legge stessa, un'infrazione all'infradiciottenne -l'opposizione sia stata proposta successivamente a tale data facendosi valere solo l'irritualit della contestazione. Da ultimo si segnala Villalta, Orientamenti giurisprudenziali in tema di tutela giurisdizionale avverso le sanzioni amministrative, in Dir. proc. amm. 1987, 317 ss. (F.S.). PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE organi competenti a decidere sulla proposizione delle azioni e delle impugnazioni, ritenendo tale assetto normativo, se sussistente, contrastante con l'art. 97 primo e secondo comma, della Costituzione. Il motivo di ricorso infondato. Contrariamente all'assunto sul quale buona parte di esso si fonda, va affermato che l'iniziativa giudiziaria dell'Avvocatura dello Stato richiede il consenso dell'Amministrazione rappresentata, come chiaramente si desume dall'art. 12 della legge 3 aprile 1979 n. 103, secondo cui le divergenze che insorgono tra il competente ufficio dell'Avvocatura dello Stato e le amministrazioni interessate, circa la instaurazione di un giudizio o la resistenza nel medesimo, sono risolte dal ministro competente con determinazione non delegabile (analogamente dispone il secondo comma dello stesso art. 12 per le divergenze che insorgano tra l'Avvocatura dello Stato e le amministrazioni non statali). Quando, perci, l'Avvocatura dello Stato assume un'iniziativa giudiziaria, in ordine alla stessa vi il consenso della Amministrazione interessata (che ha impedito l'insorgere di una divergenza) ovvero, se divergenza vi stata, essa stata risolta nel senso dell'iniziativa con la determinazione prevista dal trascritto art. 12. Ma il consenso dell'Amministrazione interessata, comunque esso si sia realizzato (in via tacita ed informale ovvero mediante espressa determinazione), costituisce -come stato esattamente affermato dalla sentenza impugnata -un atto che non ha alcuna incidenza sul processo, posto che la legge non richiede l'esistenza di un atto di procura per l'esercizio dello ius postulandi da parte degli avvocati dello Stato (art. l, cpv. t.u. 30 ottobre 1933 n. 1611). Anche per gli enti semplicemente autorizzati (e non obbligati) ad avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato, la deliberazione dell'ente di avvalersi di tale facolt, e di conferimento dell'incarico, ha natura di atto meramente interno e non abbisogna di esteriorizzazione mformale procura (Sez. Un., 18 marzo 1987, n. 2712). L'assetto normativo cos ricostruito non contrasta con l'art. 97 Cast., onde manifestamente infondata la questione di costituzionalit sollevata dai ricorrenti. Non si vede come il mantenimento dei rapporti tra Amministrazione rappresentata ed Avvocatura dello Stato nell'ambito dell'ordinamento amministrativo, e l'esclusione di ogni riflesso degli stessi sulla regolarit del processo, possa incidere negativamente sul buon andamento e sulla imparzialit dell'Amministrazione pubblica ovvero sull'ordinamento interno degli uffict. Al contrario, l'art. 12 della legge n. 103/79, nell'attribuire espressamente all'Amministrazione interessata il potere decisionale in ordine all'iniziativa giudiziaria e nell'individuare in modo rigido l'organo competente ad assumere la decisione nel caso di contrasto con l'Avvocatura dello Stato (il Ministro, per le amministrazioni statali), sembra porsi nel pieno rispetto dei precetti costituzionali invocati dai ricorrenti. 64 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 2. -Con il secondo motivo i ricorrenti sollevano altre due questioni di legittimit costituzionale, deducendo precisamente: a) l'incostituzionalit del r.d.l. 5 dicembre 1938 n. 1928, nella parte in cui consente al Ministro del tesoro di imporre pene pecuniarie, in contrasto con l'art. 102 Cost., che riserva ai giudici la funzione giurisdizionale; b) l'incostituzionalit dell'art. 17, primo comma della legge 7 gennaio 1929 n. 4 (richiamato dall'art. 3 del citato r.d.I. n. 1928/38), che prevede come termine di prescrizione della pena pecuniaria il periodo di cinque anni, anzich il periodo triennale indicato per le contravvenzioni dall'art. 157 c.p. Di questa norma si deduce il contrasto con l'art. 3 e con l'art. 113, secondo comma Cost. Ambedue le questioni di costituzionalit sollevate sono manifestamente infondate. In ordine alla questione sub a), sufficiente osservare che l'obbligazione di pagare la pena pecuniaria, come precisa l'art. 3 cpv. della legge n. 4/29, ha carattere civile; detta pena non costituisce perci una sanzione penale. L'attivit della autorit amministrativa che applica una sanzione non penale ha natura amministrativa, onde detta autorit non pu essere considerata un organo giurisdizionale. Che l'attribuzione ad un organo amministrativo del potere di infliggere una sanzione non penale non implica la creazione di un giudice speciale costituisce una .affermazione pacifica della giurisprudenza della Corte Cost., a partire dalla sentenza n. 32 del 1970, che ebbe a respingere analoghi dubbi di costituzionalit sollevati nei confronti della prima legge di depenalizzazione (legge n. 317/67). utile aggiungere che il potere del Ministro del tesoro di infliggere pene pecuniarie per le violazioni valutarie stato ritenuto non contrastante con l'art. 102 Cost. anche dalla pronunzia di questa Corte 24 luglio 1981 n. 4785. La diversit tra la contravvenzione (illecito penale) e l'illecito valutario punito con pena pecuniaria (illecito amministrativo) ragione sufficiente a giustificare anche la diversit dei termini di prescrizione, come ha affermato di recente anche Corte Cost. 11 novembre 1987 n. 420, la quale ha dichiarato manifestamente infondata una questione di costituzionalit analoga a quella sopra indicata nella. lettera b). 3. -Con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 2043, 2046 e 2047 e.e. e degli artt. 4 e 8 del d.I. 6 giugno 1956 n. 476, nonch vizi di motivazione. Si sostiene che erroneamente stata affermata la responsabilit di Maurizio Irusta, che aveva solo 14 anni all'epoca delle violazioni valutarie. La sentenza impugnata avrebbe dovuto, perci, escludere la imputabilit del minore, secondo il disposto sia del codice civile sia della normativa valutaria. I I' . l PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE Il motivo di ricorso va accolto, ma per ragioni diverse da quelle in esso esposte. Va preme~so che la sentenza impugnata ha affermato la imputabilit del quattordicenne Maurizio Irusta sulla base sia dell'art. 2046 e.e., sia del disposto del primo comma dell'art. 4 del r.d.l. 5 dicembre 1938 n. 1928. Le censure che nel ricorso si muovono a tale affermazioni della sentenza sono infondate. L'art. 2046 e.e. prevede che risponde del fatto illecito anche il minore di et che, quando ha commesso il fatto, aveva la capacit di intendere e di volere, secondo l'accertamento compiuto dal giudice di merito. L'art. 4 del r.d.l. n. 1928/38 prevede che la responsabilit del trasgressore sia solidale (e perci si cumuli) con quella dalla persona rivestita dell'autorit o incaricata dalla direzione o vigilanza, onde erroneo l'assunto sostenuto nel ricorso che, secondo la norma citata, la responsabilit dell'un soggetto sia esclusiva di quella dell'altro. Del tutto irrilevante , altres, che il disposto normativo in esame sia stato indicato nella sentenza impugnata con gli estremi inesatti, in quanto la inesattezza non ha impedito (allo stesso ricorrente) la identificai:ione della disposizione normativa di cui la Corte di appello ha fatto applicazione. La tesi sostenuta nel motivo di ricorso (non assoggettabilit del minore di et alla pena pecuniaria) e la conseguente censura mossa alla sentenza impugnata (che ha respinto tale tesi) vanno per accolte in applicazione dell'art. 2 della legge 24 novembre 1981 n. 689, entrata in vigore dopo le violazioni per cui causa, ma prima del provvedimento ministeriale di applicazione della pena pecuniaria. Il citato art. 2 prevede che non pu essere assoggettato a sanzione amministrativa chi, al momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto i diciotto anni . Questa disposizione che ha fissato il requisito della imputabilit rispetto all'illecito amministrativo si applica alle violazioni valutarie punite con pena pecuniaria, come si desume dall'art. 12 della stessa legge n. 689/81, che appunto ne delimita 1' ambito di applicazione . Le violazioni alle quali si applicano le disposizioni del capo I della legge n. 689/81 sono quelle per le quali prevista la sanzione amministrativa pecuniaria, qualora sussistano due presupposti: a) le disposizioni del capo I siano applicabili , e cio vi sia una compatibilit generale tra dette disposizioni ed il tipo di violazione amministrativa punita con sanzione pecuniaria; b) non sussista, nella disciplina di detto tipo di violazione, na disposizione normativa specificamente contraria al disposto della legge n. 689/81 (salvo che non sia diversame;nte stabilito). Per quanto riguarda il presupposto sub a), va tenuto presente che il capo I della legge n. 689/81 si applica direttamente all'illecito amministrativo di natura punitiva, come si desume dal fatto che detta legge si inserisce nella politica di depenalizzazione e che proprio il citato art. 12 66 . ~~w~-~~Aro parifica all'illecito depenalizzato l'illecito amministrativo per il quale la sanzione pecuniaria sia prevista ab origine (anche quando questa san zione non prevista in sostituzione di una sanzione penale). Anche le violazioni valutarie per le quali comminata una pena pecuniaria costituiscono illeciti di tipo punitivo, come reso evidente dal fatto che tali violazioni hanno subito, negli anni recenti (dal decreto-legge 4 marzo 1976, n. 31 alla legge 21 ottobre 1988, n. 455), penalizzazioni e depenalizzazioni, le quali hanno modificato soltanto la natura della sanzione senza incidere, in linea generale, sui precetti e quindi sul tipo di illecito. La natura di illecito amministrativo punitivo rende compatibile la violazione valutaria punita con pena pecuniaria con la disciplina prevista dal capo I della legge n. 689/81. Questa conclusione non infirmata dalla considerazione che l'art. 3, secondo comma della legge 7 gennaio 1929, n. 4 (richiamato espressamente per le violazioni valutarie dall'art, 3 del r.d.l. 5 dicembre 1938, n. 1928) dispone che l'obbligazione di pagare una somma a titolo di pena pecuniaria ha carattere civile. Questa disposizione in tende precisare, come si bene osservato in dottrina, che la pena pecu niaria costituisce una sanzione non penale, onde essa non idonea a porre una diversificazione intrinseca tra la sanzione amministrativa disciplinata dalla legge n. 689/81 e la pena pecuniaria medesima. Sussiste anche il secondo presupposto previsto dal citato art. 12 per l'applicabilit alle violazioni valutarie punite con pena pecuniaria del disposto dell'art. 2 della legge n. 689/81. Il requisito della capacit di intendere e di volere, infatti, non trova una espressa e univoca disciplina nella normativa relativa a dette violazioni, tanto che la sentenza impu gnata, come si visto, ha ritenuto non sufficiente il disposto dell'art. 4, primo comma del r.d.l. n. 1928/38, ma ha dovuto fare ricorso alla nor mativa del codice civile sulla imputabilit rispetto al fatto illecito civile. Nell'assenza di una espressa e specifica disciplina della imputabilit ri spetto all'illecito amministrativo valutario, deve farsi applicazione del principio generale posto dall'art. 2 della legge n. 689/81. L'affermazione alla quale si qui pervenuti non si pone in contrasto con la precedente sentenza di questa Sezione 4 febbraio 1986, n. 684, che ha dichiarato inapplicabile alle infrazioni valutarie la legge n. 689/81. Il richiamato precedente si riferisce esclusivamente alla disciplina proce dimentale delle infrazioni valutarie, che trova (o, si direbbe meglio, trovava all'epoca della sentenza citata, e cio prima del D.P.R. 29 settembre 1987, n. 454) una completa regolamentazione nel r.d.l. n. 1928/38 secondo un sistema normativo che si differenzia nettamente da quello contenuto nella sezione II del capo I della legge n. 689/81. Per. il procedimento di applicazione della sanzione in materia valutaria assumeva perci rilievo la esistenza di una diversa disciplina idonea a rendere inapplicabile la normativa della legge n. 689/81, mentre tale diversit non sussiste in relazione alla et imputabile del trasgressore. I ~ i~ I I ~: t= l!i PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 67 La interpretazione che si data dell'art. 2 della legge n. 689/81 attribuisce al disposto dell'art. 23, primo comma del d.P.R. 29 settembre 1987, n. 454 (che ha dichiarato espressamente applicabile alle violazioni amministrative valutarie l'art. 2 della legge n. 689/81) una portata non innovativa, ma esplicativa di un principio gi vigente nell'ordinamento preesis. tente. Altrettanto deve dirsi dell'art. 23, primo comma del testo unico delle norme di legge in materia valutaria, approvato con d.P.R. 31 marzo 1988, n. 148, che dal 1 gennaio 1989 ha sostituito il citato d.P.R. n. 454/87 abrogandolo espressamente (art. 42). Va infine osservato che l'art. 2 della legge n. 689/81 di immediata applicazione anche nei giudizi inerenti ad infrazioni commesse prima della sua entrata in vigore, ai sensi della disposizione transitoria contenuta nell'art. 40 della stessa legge (sentenza 20 maggio 1987, n. 4610, in motivazione), senza che possa distinguersi tra infrazioni depenalizzate e violazioni sorte in origine come infrazioni amministrative (Sez. Un., 7 marzo 1985, n. 1879 e 24 aprile 1985, n. 2709). In conclusione, deve ritenersi fondata la censura contenuta nel terzo motivo del ricorso, nella parte in cui si deduce la non imputabilit di Maurizio Irusta, che aveva 14 anni nell'anno (1975) in cui furono commesse le violazioni valutarie per cui causa. (omissis) CORTE DEI CONTI, Sez. III pensioni civili, 17 gennaio 1990, n. 63519 - Pres. Bisogno -Rel. Pergameno -P. M. De Musso (conf.) -Esposito (avv. Del Prete) c. F. S. (avv. Stato Stipo). Pensioni -Pensioni civili -Ricorsi proposti da dipendenti ferroviari dopo la istituzione dell'Ente Ferrovie dello Stato -Giurisdizione della Corte dei Conti. Appartiene al!a giurisdizio~e della Corte dei Conti il giudizio relativo al trattamento pensionistico dei dipendenti ferroviari anche se cessati dal servizio successivamente alla entrata in vigore della legge 17 maggio 1985, n. 210; inoltre, in materia di pensioni ferroviarie, la possibilit di trattamenti a onere ripartito con lo Stato (art. 238 T. U. 29 dicembre 1973, n. 1092) o con le Casse pensioni amministrate dalla Direzione Generale degli Istituti di Previdenza del Ministero del Tesoro (art. 1 legge 22 giugno 1954, n. 523) comporta l'applicazione degli artt. 13 e 62 T. U. 17 luglio 1934, n. 1214, che prevede, la giurisdizione della Corte dei Conti 6 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 68 in materia di pensioni in tutto o in parte a carico dello Stato o altri enti designati dalla legge (1). (omissis) Preliminare si rivela la questione relativa alla giurisdizione della Corte in ordine a una vertenza che trae origine dal diniego di trattamento pensionistico privilegiato, operato con decreto dell'Ente F. S., giurisdizione che la Sezione ritiene~ di poter affermare. E ci in base alle seguenti considerazioni. Giova in primo luogo ricordare che la giurisdizione della Corte dei Conti in materia di ricorsi avverso decreti concernenti il trattamento di quiescenza dei dipendenti delle F. S., facente carico al Fondo pensioni e sussidi del personale ferroviario (che, ai sensi dell'art. 1 del r.d. 22 apri le 1909, n. 229, costituisce una apposita gestione dell'Amministrazione delle F. S.) stata stabilita con l'art. 22 del ricordato regio decreto. La legge istitutiva del nuovo Ente Ferrovie dello Stato (legge 17 maggio 1985, n. 210, pubblicata sulla G. U. del 30 maggio 1985, n. 126) all'art. 23 stabilisce che le controversie di lavoro relative al personale sono di competenza del Pretore del luogo ove ha sede l'Ufficio dell'Avvocatura dello Stato nel cui distretto si trova il giudice che sarebbe competente secondo le norme ordinarie. Si tratta di una disposizione che individua la competenza e non tanto la giurisdizione, la quale presupposta come di spettanza dell'Autorit giudiziaria ordinaria, evidentemente in base alle caratteristiche del rapporto di impiego. Infatti l'art. 21, della stessa legge 210, stabilisce che il rapporto di lavoro del personale dell'Ente F. S. regolato su base contrattuale, collettiva ed individuale; si tratta cio di un rapporto di lavoro su base paritetica e non autoritativa {non prevista l'approvazione con Decreto del Presidente della La istituzione dell'Ente Ferrovie dello Stato e la giurisdizione in materia pensionistica. Non pu che convenirsi con la decisione in rassegna che, per quanto riguarda i ferrovieri, ha affermato la inapplicabilit dell'art. 23 della legge 17 maggio 1985, n. 210, che attribuisce al pretore la giurisdizione nelle controversie di lavoro relative al personale dipendente dall'Ente Ferrovie dello Stato . L'espressione controversie di lavoro va intesa in senso stretto nel senso di comprendere solo le controversie individuali di lavoro (Cass. 22 ottobre 1987, n. 7819, in questa Rassegna 1988, I, 79) con escilUJSione quindi delle controversie di natura previdenziale, (Cass. 9 giugno 1989, n. 2821 retro, pag. 52). La esclusione delle controversie previdenziali dall'oggetto della citata norma dell'art. 23 della legge istitutiva dell'Ente Ferrovie dello Stato, si ricava altres dal tenore dell'ultimo comma del precedente art. 21, ove detto: Fino a quando non sar disciplinato l'assetto generale del trattamento previdenziale e pensionistico dei lavoratori dipendenti, rimane fermo il trattamento in atto all'entrata in vigore della presente legge, trasferendosene a carico dell'Ente Ferrovie dello Stato l'onere finanziario finora gravante sullo Stato, salvo le compensazioni dovute in forza dei regolamenti comunitari. PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 69 Repubblica degli accordi, come ad es. per i Dipendenti degli Enti locali ai sensi dell'art. 6, comma 19" del d.l. 29 dicembre 1977, n. 946, convertito nella legge 27 febbraio 1978, n. 43; e poi la legge 210 parla di contratti collettivi e non di accordi; non , infine neanche prevista la rece zione degli accordi con atto dell'Ente, di natura regolamentare. cio esclusa la regolamentazione autoritativa del rapporto di lavoro. Del tutto diversa invece la configurazione giuridica del rapporto pensionistico. L'art. 21 della legge 210 stabilisce infatti che fino a quando non sar disciplinato l'assetto generale del trattamento previdenziale e pensionistico <;lei lavoratori dipendenti, rimane fermo il trattamento in atto all'entrata in vigore della presente legge, trasferendosene a carico dell'Ente F. S. l'onere finanziario, sinora gravante sullo Stato, salvo le compensazioni dovute in forza dei regolamenti comunitari . Il trattamento di quiescenza resta quindi regolato dalle disposizioni tuttora vigenti e cio dagli artt. 209-251 del T. U. approvato con d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 e dalle disposizioni precedenti. Senza dubbio la competenza ad emettere i relativi provvedimenti deve intendersi tra sferita all'Ente F. S. ed ai suoi organi, stante il fatto che l'onere fa carico all'Ente e ancor pi in considerazione del disposto dell'art. l, comma 3 della legge 210, che stabilisce che l'Ente succede in tutti i rapporti attivi e passivi -beni, partecipazioni, gestioni speciali -gi di pertinenza dell'Azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato. Ma ci, se legittima a ritenere. superate quelle disposizioni che attribuivano la competenza al l'emissione di alcuni provvedimenti di pensione (come ad es.: proprio quello impugnato col presente ricorso) al Ministro dei trasporti, (e al Ministro come tale, senza la specificazione nella qualit di Presidente La giurisdizione della Corte dei Conti si ricava altres dalle disposizioni degli artt. 13 e 62 T.U. 12 luglio 1934, n. 1214 che attribuiscono a detta Corte i giudizi in materia di pensione in tutto o in parte a carico dello Stato. Orbene il Fondo pensioni incrementato dalla partecipazione finan,ziaria dello Stato (art. 209 penultimo comma e 210 ultimo comma T.U. 29 dicembre 1973, n. 1092 sulle pensioni). E lo stesso gi citato art. 21 ultimo comma della Legge n. 210/1985, man tiene ferma la legislazione vigente sul trattamento pensionistico dei ferrovieri, il cui Fondo pensioni incrementato dalle compensazioni dovute in forza dei regolamenti comunitari . Infatti annualmente lo Stato interviene finanziariamente sul Fondo pen sioni, cos in particolare: Per l'anno 1986, sono determinate ... le compensazioni spettanti all'Ente Ferrovie dello Stato ... in lire 1.016,4 miliardi quelle a copertura del disavanzo del fondo pensioni ai sensi dell'art. 21, ultimo comma, della Legge 17 maggio . 1985 n. 210 (art. 10 comma 14 Legge Finanziaria 1986, 28 febbraio 1986, n. 41). Per l'anno 1987 sono determinate ... le compensazioni spettanti all'ente Ferrovie dello Stato ... in lire 1.050,4 miliardi quelle a copertura del disavanzo del Fondo pensioni ai sensi dell'art. 21, ultimo comma, della Legge 17 maggio 1985, n. 210 (art. 2 comma 7, Legge Finanziaria 1987, 22 dicembre 1986, n. 910); RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dell'Azienda F. S. ), non pu per portare a concludere che il rapporto pensionistico sia ora regolato da norme contrattuali. E del resto proprio l'art. 21 della legge 210 ad escludere innovazioni in materia di trattamento pensionistico del personale ferroviario (come innanzi gi si riferito) ed allora non sembra possibile che innovazioni quanto alla giurisdizone si possano indurre dalle disposizioni dell'art. 23, sia perch queste trovano specifiche motivazioni nelle innovazioni della disciplina del rapporto di lavoro (e le norme sulla giurisdizione non possono che innestarsi sulla disciplina e sulle caratteristiche del rapporto sostanziale) sia per l'ovvia specificit della norma sulla giurisdizione del r.d. 229/1929 (gi citato) rispetto alla disposizione generale di cui all'art. 23 della legge 210/1985. C' poi anche da considerare il fatto che l'art. 238 del T. U. 1092 prevede fattispecie di pensioni a onere ripartito con lo Stato e in questo caso -nell'ipotesi di controversie giudiziarie -trova applicazione il disposto degli artt. 13 e 62 del T. U. 12 luglio 1934, n. 1214, che stabiiisce la giurisdizione della Corte dei Conti in materia di pensioni in tutto o in parte a carico dello Stato (e di altri Enti individuati dalla legge, tra cui ad es.: le Casse di Previdenza amministrate dalla Direzione Generale degli Istituti di Previdenza del Ministero del Tesoro; per le pensioni amministrate da tali Casse ammessa la ricongiunzione dei servizi resi con Per l'anno 1988, sono determinate ... le compensazioni spettanti all'Ente Ferrovie dello Stato ... in lire 1.141,l miliardi quelle a copertura del disavanzo del Fondo pensioni ai sensi dell'art. 21, ultimo comma, della Legge 17 maggio 1985, n. 210 (art. 13 comma 4 Legge Finanziaria 1988, 11 marzo 1988, n. 67); Per l'anno 1989, sono determinate ... le compensazioni spettanti all'Ente Ferrovie dello Stato ... in lire 1189 miliardi quelle a copertura del disavanzo del Fondo pensioni ai sensi dell'art. 21, ultimo comma, della Legge 17 maggio 1985, n. 210 (art. 3 comma 4 Legge Finanziaria 1989, 24 dicembre 1988, n. 541). In tale situazione la Corte dei Conti ha ritenuto la permanenza del con trollo sugli atti (art. 18 Il co. citato T.U. n. 1214/1934) in materia di pensioni (v. Decisione e relazione della Corte dei Conti sul rendiconto generale dello Stato per gli esercitl final12liari 1985 e 1986, rispettivamente in Atti Camera dei Deputati IX Legislatura Doc. XIV, n. 4 vol. Il, pag. 649 e in Atti Senato X Legislatura Doc. XIV n. 1 vol. Il, pag. 528). E invero il gi citato art. 21 ult. co. Legge n. 210/1985, mantenendo ferma la normativa sul trattamento pensionistico, ha inteso stralciare il trattamento previdenziale dall'attivit di gestione imprenditoriale del nuovo Ente Ferrovie dello Stato. H controllo continuativo sulla gestione dell'Ente F.S., con le modaliit di cui agli artt. 5, 6, 7, 8 e 9 della Legge 21 marzo 1958, n. 259 per le sue tipologiche peculiarit che non condizionano l'efficacia di alcun atto e che tendono ad accertare che la gestione sia conforme a legge, al pubblico interesse ed ai suoi principi economici, onde riferirne al Parlamento in una relazione annuale non pu perci considerarsi esteso dall'art. 19 della citata Legge n. 210/1985 a materie diverse da quelle inerenti la gestione dell'Ente, ed in particolare alla materia pensionistica. .. PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 71 iscrizione alle stesse con quelli con iscrizione al Fondo pensioni F. S., ai sensi dell'art. 1 della legge 22 giugno 1954, n. 523; il ricorso alla Corte dei Conti in materia di pensioni delle Casse in parola previsto dall'art. 60 del r.d. 3 marzo 1938, n. 680; dall'art. 63 della legge 6 febbraio 1941, n. 176; dall'art. 54 della legge 6 luglio 1939, n. 1035; dagli artt. 46 e 49 del r.d. 12 luglio 1934, n. 2312). Pu infine essere anche ricordato, proprio a sostegno della tesi che in materia pensionistica la legge 210/1985 non ha apportato innovazioni, il fatto che la Corte dei Conti ha ritenuto la permanenza del controllo sugli atti in materia di trattamento di quiescenza del personale ferroviario (v. Decisione e relazione della Corte dei Conti sul rendiconto generale dello Stato per gli esercizi finanziari 1985 e 1986 -Atti Camera dei deputati IX legislatura, doc. XIV, n. 4, vol. II -pag. 649 e Atti Senato X legislatura, doc. XIV, n. 1 -vol. II, pag. 528). Deve quindi ritenersi che, fino a una riorganizzazione legislativa del trattamento pensionistico dei ferrovieri, la materia penisonistica sia stata attribuita all'Ente F. S. quale esercente di pubblica funzione, come tale Fino alla nuova disciplina del trattamento previdenziale dei ferrovieri, la materia pensionistica stata attribuita all'Ente F.S. quale esercizio di una pubblica funzione di spettanza dello Stato, del tutto avulsa dai compiti istituzionali dell'Ente e quindi sottratta ai richiamati profili gestionali. All'uopo da sottolineare come il trattamento pensionistico compito dello Stato e dei suoi enti strumentali, sia nel campo del pubblico impiego come nel campo dell'impiego privato, tanto vero che non rientra neanche nelle materie di competenza regionale di cui all'art. 117 Cost. Solo in virt di una espressa disposizione di legge (art. 245 cit. T.U. n. 1092/1973) la competenza a liquidare il trattamento ordinario di quiescenza spetta ad un organo dell'Ente F.S., e cos pure il trattamento privilegiato in caso di dispensa per inidoneit fisica a causa di servizio (art. 246 stesso T.U.). Ma per il trattamento privilegiato di pensione, che per ferrovieri stato mantenuto malgrado il loro rapporto di lavoro privatistico, la competenza ad emettere provvedimenti concessivi o negativi continua a spettare, ai sensi degli artt. 246, 248 e 249 citato T.U. n. 1092/1973, al Ministro dei Trasporti come tale, in quanto tale competenza non era stata attribuita quale presidente dell'Azienda F.S. In conclusione la giurisdizione della Corte dei Conti in materia di pensioni ai ferrovieri sussiste, per le seguenti ragioni: a) l'art. 23 Legge 17 maggio 1985, n. 210 riguarda le controversie di lavoro e non anche quelle previdenziali; b) l'art. 21, ultimo comma della citata Legge, n. 210 mantiene in vigore l'ordinamento pensionistico vigente; e) l'art. 22 R.D. 22 aprile 1909, n. 229 attribuisce espressamente alla Corte dei Conti la giurisdizione sulle pensioni dei ferrovieri; d) essendo il Fondo pensioni dei ferrovieri incrementato dallo Stato, valgono le norme generali che attribuiscono alla Corte dei Conti la giurisdizione sulle pensioni a carico totale o parziale dello Stato. G. STIPO 72 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO di competenza dello Stato, e quindi non rientrante nei compiti istituzionali e nelle gestioni specifiche e strettamente proprie dell'Ente F. S. La Sezione intende in tal modo confermare ed estendere l'orientamento gi emerso in occasione di decisioni di ricorsi attinenti a personale ferroviario cessato dal servizio prima dell'entrata in vigore della legge 210 {v. dee. Sez. III pensioni civili 29 ottobre 1986, n. 59812 -rie. Vinci Assunta; v. anche Consiglio di Stato -Sez. VI, 5 marzo 1986, n. 239 nella fattispecie di cui al presente ricorso, la questione deve essere definita con riferimento a data successiva all'entrata in vigore della legge 210, essendo il dipendente deceduto il 15 dicembre 1985). (omissis) SEZIONE QUARTA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., 27 novembre 1989, n. 16 -Pres. Crisci Est. Baccarini -Virz (avv. Lenzinger e Ramadori) c. Ministero dei Trasporti (avv. Stato Bruno). Giustizia Amministrativa Ricorso gerarchico Decorso del termine per la decisione Facolt di ricorso giurisdizionale. Ricorsi Amministrativi Ricorso gerarchico Silenzio della P. A. Man cata proposizione del ricorso giurisdizionale Potere di decisione oltre il termine Sussiste. Ricorsi Amministrativi Ricorso gerarchico Proposizione del ricorso giurisdizionale Improcedibilit del ricorso gerarchico. Giustizia Amministrativa Ricorso gerarchico Silenzio della P. A. Proposizione del ricorso giurisdizionale Decisione gerarchica di rigetto sopravvenuta Atto ad effetto confermativo Non occorre impugnativa giurisdizionale. Giustizia Amministrativa Ricorso gerarchico Silenzio della P .A. Proposizione del ricorso giurisdizionale Decisione gerarchica sopravve nuta di accoglimento Mancanza di controinteressati Cessazione della materia del contendere Presenza dei suddetti Illegittimit Impugnazione Necessit. Giustizia Amministrativa Ricorso giurisdizionale Provvedimento amministrativo . Esercizio di discrezionalit tecnica Sindacato. Il ricorrente in via gerarchica, decorso il termine di novanta giorni dalla data di presentazione del ricorso senza che l'organo adito abbia comunicato la decisione, ha la facolt e non l'onere di proporre ricorso giurisdizionale o quello st'rlaordinario contr.o il provvedimenf>a gt'. im pugnato con ricorso gerarchico (1). L'Amministrazione conserva l'obbligo ed il potere di decidere sul ricorso gerarchico qualora il ricorrente non si avvalga della facolt di (1-5) L'Adunanza Plenaria del Consigli di Stato, con la decisione in esame e con quella di seguito pubblicata n. 17 del 1989, ha riesaminato il problema del silenzio della P .A. in seguito alla proposizione del ricorso gerarchico, della esistenza o meno del potere in capo alla P A. di provvedere malgrado il decorso dei termini, del rapporto tra ricorso gerarchico e ricorso giurisdizionale, degli effetti della decisione tardiva del ricorso gerarchico (di rigetto o di accogli ,,,.,,.,,,.,,,,,,,.,, ,~ RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO adire immediatamente il giudice amministrativo; in caso di persistente inerzia, l'interessato pu esperire la procedura per il silenzio-rifiuto prevista dall'art. 25 T. U. 10 gennaio 1957, n. 3 (2). La proposizione del ricorso giurisdizionale determina una situazione di improcedibilit del ricorso gerarchico che deve essere dichiarata dal- l'Amministrazione {3). La decisione gerarchica di rigetto, resa dall'Amministrazione malgrado la proposizione del ricorso giurisdizionale, si configura, in termini sostanziali, rispetto al provvedimento impugnato, come atto ad effetto confermativa, che rt,on deve essere impugnato pench inidoneo a pregiudicare in alcun modo la decisione della causa pendente (4). La decisione gerarchica di accoglimento determina, in rapporto al ricorrente, la cessazione della materia del contendere relativamente al ricorso giurisdizionale da lui proposto; gli eventuali controinteressati possono, per, impugnare una decisione gerarchica ormai nlcm pi consentita (5). La discrezionalit tecnica sindacabile dal giudice amministrativo sotto il profilo dell'eccesso di potere (6). mento) sul ricorso giurisdizionale successivamente proposto dal privato. Le soluzioni date ai sti'ddetti problemi rappresentano un cambiamento di tendenza rispetto al precedente orientamento giurisprudenziale della stessa Adu nanza Plenaria, e, in particolare, rispetto alla decisione 7 febbraio 1978, n. 4 (in questa Rassegna 1978, I, 461), i cui principi erano stati finora sempre confermati e ribaditi dal Consiglio di Stato. L'ordinanza Cons. Stato, sez. VI, 22 luglio 1988, n. 150, che ha rimesso la questione all'Adunanza Plenaria, pubblicata in Foro amm. 1988, 2145 e segg., con osservazioni di E. CANNADA BARTOLI; la decisione in esame stata gi commentata in dottrina: si veda E. CANNADA BARTOLI, Ricorso gerarchico: silenzio e facolt, in Giur. it. 1990, III, 113 e ss. Prima della decisione n. 4 del 1978, si ricorda sull'argomento la dee. 3 maggio 1960, n. 8 della stessa Adunanza Plenaria, in Giur. it. 1960, III, l, 257 e ss., con nota di E. GUICCIARDI, Silenzio e pronuncia sullo stesso ricorso gerarchico. Sui rapporti tra ricorso gerarchico e ricorso giurisdizionale si veda anche Cons. Stato, Ad. Plen., 27 gennaio 1978, n. 2; 3 febbraio 1978, n. 3, in Foro amm. 1978, 20 e ss., in Il Consiglio di Stato 1978, I, 8 e ss. e 141 e ss. Per quanto riguarda la pi recente dottrina sul ricorso gerarchico e sul silenzio della Pubblica Amministrazione formatosi in seguito alla sua proposizione, si veda, anche per ulteriori citazioni: A.M. SANDULLI, Manuale di dir. amm., Napoli 1989, II, 1233 e ss.; l\IJ.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, Milano 1988, II, 770 e ss., 1016 e ss.; DE ROBERTO -TONINI, I ricorsi amministrativi, Milano 1984; AA.VV., Il silenzio della P. A., in Atti XXVIII Convegno Varenna, Milano 1985; CAIANELLO, voce Ricorsi amministrativi, in Noviss. Dig. It., App. VI, Torino 1986, 748 e ss. (6) Sulla discrezionalit tecnica, e sulla sua sindacabilit da parte del giudice amministrativo, si veda, da ultimo, G. BARONE, voce Discrezionalit (dir. amm.), in Enc. giurid. Roma, 1989, in part. 8 e ss. con i richiami di giurisprudenza e dottrina ivi contenuti. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 1) Il Ministero dei Trasporti resistente ha eccepito !'irricevibilit del ricorso in quanto proposto contro la decisione reiettiva del ricorso gerarchico adottata successivamente alla formazione del silenzio-rigetto per decorso del termine di novanta giorni di cui all'art. 6 del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, e precisamente il 4 novembre 1987 in relazione al ricorso proposto il 29 giugno 1987. L'articolata motivazione dell'ordinanza di rimessione della VI Sezione induce ad un'ulteriore riflessione sul tema del silenzio-rigetto e delle sue implicazioni processuali. 2) Sotto il vigore dell'art. 5 t.u.l. com. e prov. 3 marzo 1934, n. 383 che, com' noto, prevedeva il silenzio-rigetto conseguente a diffida, cos consentendone l'impugnazione giurisdizionale, i diversi orientamenti manifestatisi al riguardo, e in particolare in ordine ai problemi della decisione esplicita sopravvenuta del ricorso gerarchico, erano stati composti dall'Adunanza Plenaria con la sentenza 3 maggio 1960, n. 8. Quest'ultima, nell'ottica di una ricostruzione sistematica dell'istituto, muoveva dall'esatta considerazione che il silenzio non un atto, ma un comportamento al quale la legge attribuisce certi effetti, sostanziali e processuali, indipendentemente dal reale contenuto di volont ed anche da qualsiasi contenuto di volont. Ne deduceva che l'autorit amministrativa conservava, pur dopo la formazione del silenzio-rigetto, il potere di decidere il ricorso gerarchico e che la decisione esplicita sopravvenuta faceva venir meno l'oggetto del ricorso giurisdizionale e, se ancora lesiva, onerava l'interessato ad un nuovo ricorso giurisdizionale. Pur traendo queste conclusioni, strettamente conseguenziali al regime giuridico allora vigente, la sentenza dava atto, come da gi remota giurisprudenza, della travagliata posizione processuale del ricorrente contro il silenzio-rigetto, nei confronti del quale la reiezione tardiva del ricorso gerarchico produceva l'effetto di paralizzare l'azione giudiziale in corso e di determinare l'insorgenza dell'onere di un nuovo giudizio avente ad oggetto, questa volta, la decisione gerarchica. Tale dibattito era destinato ad avere una significativa svolta negli negli anni '70, caratterizzati, com' noto, da una intensa stagione di riforme. L'art. 4 della legge 18 marzo 1968, n. 249 sub art. 6 della legge 28 ottobre 1970, n. 775 aveva conferito al Governo una delega legislativa per disciplinare i singoli procedimenti amministrativi, finalizzata alla semplificazione ed allo snellimento delle procedure, tra l'altro mediante l'eliminazione di tutti gli adempimenti non essenziali per una adeguata valutazione del pubblico interesse o per la consistente tutela degli interessi dei cittadini. In dichiarata attuazione di tale delega, veniva emanato il d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, recante semplificazione dei procedimenti in RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO materia di ricorsi amministrativi , il cui art. 6 ridisciplinava l'stituto del silenzio-rigetto disponendo che decorso il termine di novanta giorni dalla data di presentazione del ricorso senza che l'organo adito abbia comunicato la decisione, il ricorso si intende respinto a tutti gli effetti e contro il provvedimento impugnato esperibile il ricorso all'autorit giurisdizionale competente o quello straordinario al Presidente della Repubblica . Sulla materia interveniva, in rapida successione, la legge 6 dicembre 1971, n. 1034, recante istituzione dei tribunali amministrativi regionali , con l'art. 20, che aboliva il presupposto processuale della definitivit del provvedimento impugnato, sancendo il principio della facoltativit del ricorso gerarchico. Perdurando nel vigore della nuova disciplina i dubbi in ordine all'ammissibilit ed alle conseguenze della decisione tardiva del ricorso gerarchico, l'Adunanza Plenaria, ct la questione era stata devoluta, si pronunciava con la sentenza 7 febbraio 1978, n. 4. Con tale sentenza essa, muovendo dal dato testuale secondo il quale il ricorso si intende respinto a tutti gli effetti, affermava i seguenti principi: a) l silenzio in esame costituisce non un rifiuto della decisione, ma una vera e propria decisione di rigetto; b) tale decisione, consumando il relativo potere, irrevocabile; e) la decisione esplicita emanata dopo i 90 giorni, ancorch illegittima, non giuridicamente inesistente n inefficace; d) la decisione esplicita di rigetto emanata dopo i 90 giorni meramente confermativa di quella tacita e, in quanto tale, non riapre i termini per il ricorso giuridisdizonale, non fa sorgere l'onere di una nuova impugnazione da parte di colui che ricorre contro il silenzio-rigetto, n determina in tale giudizio la cessazione della materia del contendere; e) la decisione esplicita di accoglimento emanata dopo i 90 giorni, qualora non vi siano controinteressati, si consolida per mancanza di soggetti legittimati all'impugnazione e, in caso di giudizio gi pendente, fa cessare la materia del contendere; qualora vi siano controinteressati, pu essere da questi fondatamente impugnata per tardivit, in mancanza di che diventa inoppugnabile. Veniva in tal modo definitivamente recepita, alla luce della nuova disciplina, l'antica istanza, di elevata civilt giuridica, di chi tendeva al rafforzamento della tutela giurisdizionale del ricorrente contro il silenziorigetto. Costui era messo al riparo da decisioni tardive di rigetto, tali da determinare la cessazione della materia del contendere e l'onere d'instaurazione di un nuovo giudizio, che potevano indurre l'autorit amministrativa nella tentazione di tattiche defatigatorie e rendere estremamente difficile la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi. .~ 77 PARTE I, S'EZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 3) Senonch, il presupposto logico-giuridico della costruzione, e cio l'equiparazione ape legis: silenzio-decisione di rigetto ed i suoi corollari, comportavano per il ricorrente alcuni inconvenienti, evidenziatisi nel dibattito susseguente e recepiti dall'ordinanza di rimessione: a) onere di immediata impugnazione in giudizio del provvedimento oggetto del ricorso gefarchico nel termine perentorio di sessanta giorni dalla scadenza del novantesimo giorno dalla presentazione del ricorso gerarchico medesimo, a pena di immediata e definitiva perdita della tutela giurisdizionale relativa all'oggetto; b) privazione, in seguito alla formazione del silenzio-rigetto, della tutela di merito, di regola non invocabile in sede giurisdizionale; e) caducabilit della decisione di accoglimento su ricorso dei controinteressati per il solo fatto della sua comunicazione oltre i novanta giorni dalla presentazione del ricorso gerarchico. Queste circostanze, la cui rilevanza di tutta evidenza nell'interpretazione di una normativa preordinata, come si visto alla consistente tutela degli interessi dei cittadini e si sufficientemente manifestata nella esperienza giurisprudenziale di quest'ultimo decennio, inducono ad un riesame complessivo del delicato problema. 4) In prima approssimazione, l'argomento testuale (il ricorso si intende respinto a tutti gli effetti), dal quale si desunta l'equiparazione del silenzio ad una decisione di rigetto, non appare determinante. Ed invero, va considerato che se al legislatore compete disciplinare i singoli istituti, spetta all'interprete fornirne la qualificazione giuridica. E l'interprete non pu non rilevare che la stessa disposizione in esame, a specificazione di quanto gi enunciato, prosegue disponendo che contro il provvedimento impugnato esperibile il ricorso all'autorit giurisdizionale competente o quello straordinario al Presidente della Repubblica , Per l'appunto, l'immutazione dell'oggetto del ricorso giurisdizionale (o straordinario) successivo al silenzio appare il quid proprium della novella del 1971. La formula normativa: il ricorso si intende respinto a tutti gli effetti, malgrado l'apparente perentoriet, tralaticiamente mutuata dall'art. 5 t.u. I. com. e prov. 1934, sotto il cui vigore era prevalsa, come si visto, la qualificazione del silenzio come comportamento e non pos siede la valenza semantica che le si attribuisce. Va altres osservato che il d.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199 non ben coordinato con la quasi coeva legge 6 dicembre 1971 n. 1034 e si inserisce in un tessuto normativo ancora permeato del regime della defi nitivit del provvedimento amministrativo di cui invece, ai limitati fini della giurisdizione, l'art. 20 di questa legge avrebbe fatto giustizia: in tale direzione appare orientata la formula normativa, giacch il rigetto 78 . RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO a tutti gli effetti si risolve nella impugnabilit in giudizio (o in sede straordinaria) di un atto altrimenti non definitivo. Peraltro, la tesi della equiparazione della fattispecie silenziosa alla decisione di rigetto non si armonizza con il fatto che oggetto del ricorso giurisdizionale (o straordinario) non il silenzio, come ritenuto sotto il vigore della norma precedente, ma il provvedimento (di base) impugnato con ricorso gerarchico. Il silenzio ha nella specie, quindi, il valore legale tipico non di decisione di rigetto, ma di rifiuto di annullamento, il cui concretarsi costituisce presupposto processuale per la proposizione del ricorso giurisdizionale o straordinario contro l'unico atto effettivamente emanato dal l'Amministrazione. Appare fermo un primo dato: il nucleo forte della riforma del silenziorigetto del 1971 non nelle modalit procedimentali (silenzio per mero decorso dei termini anzich conseguente a diffida), ma nell'oggetto del ricorso giurisdizionale (o straordinario) susseguente, che costituito ormai direttamente dal provvedimento impugnato in sede gerarchica. 5) Ci posto, mancando sostanzialmente nella fattispecie silenziosa una decisione gerarchica e sfuggendo la sua stessa formazione all'impulso di parte {diffida), appare conseguente affermare che il decorso del breve termine di legge (novanta giorni) per la formazione del silenzio-rigetto non ha effetti sostanziali, non concreta cio alcun provvedimento amministrativo fittizio: il che, non senza notevoli contraddizioni, chiuderebbe definitivamente, prescindendo dalla volont del privato, quel procedimento contenzioso che il medesimo ha instaurato, per lo pi, per sua libera scelta (cfr. art. 20 I. 1034/1971). Esso ha invece effetti processuali, in quanto abilita il ricorrente gerarchico alla immediata proposizione del ricorso giurisdizionale (o straordinario) contro il provvedimento di base, consentendogli, in piena autonomia, in mancanza di una sollecita decisione, un commodus discessus dal ricorso gerarchico. Del resto il ricorso gerarchico, se un rimedio facoltativo in relazione al ricorso giurisdizionale, il quale proponibile anche contro provvedimenti non definitivi, ancora necessario per chi voglia invece scegliere la strada del ricorso straordinario: di qui l'importanza di uno strumento di rapida formazione della definitivit del provvedimento amministrativo. Ne consegue che, formatosi il silenzio: a) l'autorit investita del ricorso gerarchico, in mancanza di effetti di tipo consumativo, non perde per ci solo la potest di decidere (salve, ovviamente, le eventuali responsabilit connesse all'eccessivo ritardo); b) il privato ha la scelta tra ricorrere in sede giurisdizionale o straordinaria nei termini di decadenza, immediatamente contro il provvedimento di base, ai sensi dell'art. 6 cit., o successivamente contro l'eventuale decisione gerarchica, ove lesiva, in base alle norme generali. Egli, PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA ove abbia lasciato scadere i termini di impugnazione, di cui all'art. 6 cit., non pertanto sar esposto sine die al rischio della perdurante inerzia dell'autorit decidente, giacch in tal caso soccorreranno i rimedi normali contro il silenzio-rifiuto della P.A. (laddove finora l'inoppugnabilit della ritenuta decisione silenziosa era irrimediabile); e) i controinteressati sono legittimati ad impugnare l'eventuale decisione gerarchica di accoglimento che, per quanto gi detto, non inficiata dal fatto di essere adottata o comunicata oltre i novanta giorni dalla presentazione del ricorso gerarchico. 6) Le conclusioni fin qui raggiunte consentono una prima messa a punto. Il recupero della qualificazione comportamentale del silenzio, gi recepita dalla sentenza n. 8 del 1960, in luogo di quella attizia , posta a fondamento della n. 4 del 1978, oltre ad essere conforme alla ratio legis nel contesto normativo vigente, ed ai principi generali, consente la costruzione di un sistema nel quale il rafforzamento della tutela delle situazioni soggettive del privato piena ed integrale, in armonia con gli orientamenti costituzionali. Infatti, per il ricorrente gerarchico, soggetto non necessariamente dotato di capacit tecnico-professionale, il rapido accesso alla giurisdizione o al ricorso straordinario non diventa un onere (cio un comportamento imposto a pena di decadenza), ma rimane una facolt, liberamente esercitabile in alternativa al proseguimento del procedimento contenzioso fino alla decisione amministrativa. Resta conseguentemente integra, pertanto, la possibilit di chiedere e di ottenere la tutela di merito, e la decisione gerarchica di accoglimento rimane innattaccabile dai controinteressati per il mero motivo formale della tardivit. 7) Come gi detto al punto 5), formatosi il silenzio, il ricorrente gerarchico pu scegliere tra il ricorso immediato contro il provvedimento di base e quello, successivo, contro la decisione di reiezione. Questa seconda eventualit non d luogo a particolari problemi, giacch in tal caso il procedimento giurisdizionale inizia l dove il procedimento contenzioso termina, senza possibilit di interferenze. Il nodo centrale costituito, invece, dalla prima eventualit e eme da quella del ricorso giurisdizionale (o straordinario) immediato dopo la formazione del silenzio ex art. 6 1. 1034, giacch in tal caso il procedimento giurisdizionale viene ad innestarsi su quello contenzioso pendente, ponendo il prolema della loro interazione. Al riguardo, una prima questione attiene all'effetto del ricorso giurisdizionale sul procedimento contenzioso. La regola di giudizio sembra desumibile dall'art. 20, 2 comma, della legge n. 1034/1971, secondo il quale: Se siano interessate pi persone, il ricorso al tribunale amministrativo regionale proposto da un interessato 80 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO esclude il ricorso gerarchico di tutti gli altri. Gli interessati, che abbiano gi proposto o propongano ricorso gerarchico, devono essere informati a cura della a,mministrazione dell'avvenuta presentazione del ricorso al tribunale amministrativo regionale. Entro 30 giorni da tale comunicazione essi, se il loro ricorso gerarchico era stato presentato in termine, possono ricorrere al tribunale amministrativo regionale . Tale disposizione, ancorch letteralmente formulata per disciplinare le impugnazioni in sedi diverse di una pluralit di interessati, espressione di un principio generale (cui riconducibile anche, nel ricorso straordinario, l'opposizione dei controinteressati ex art. 11 del d.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199) di prevalenza della funzione giurisdizionale su quella amministrativa, della quale quella giustiziale una specie. Detta prevalenza, nel caso di simultanea pendenza, si attua, in presenza di una pluralit di soggetti interessati, mediante la trasponibilit del rimedio giustiziale in sede giurisdizionale e, nel caso di unico soggeto, nella improcedibilit del rimedio amministrativo (in tale ultimo senso gi Ad. plen., 27 gennaio 1978 n. 2 e 3 febbraio 1978 n. 3). Infatti, la proponibilit immediata del ricorso giurisdizionale dopo la formazione del silenzio ex art. 6 ininfluente sul rapporto tra i due procedimenti e non esprime, di per s, alcuna deroga al generale principio della prevalenza della funzione giurisdizionale su quella amministrativa. Tale principio, congiunto a quelli, altrettanto generali, di non contraddizione e di economia dei mezzi giuridici, esclude che due procedimenti di tipo contenzioso aventi il medesimo oggetto, l'uno giurisdizionale e l'altro amministrativo, possano concorrere, e postula invece che il secondo, istituzionalmente subordinato, si arresti quando la controversia stata portata al livello del primo. Non , quindi; che la scadenza del termine di 90 giorni concluda il procedimento contenzioso con una reiezione implicita (che dovrebbe essa formare oggetto di impugnazione in sede giurisdizionale), ma piuttosto vero che il trasferimento in sede giurisdizionale della controversia concernente l'atto amministrativo originariamente lesivo rende inutile e improcedibile il rimedio amministrativo. Questo assetto conforme, del resto, ad un principio di ragione, giac I ch la procedibilit del ricorso gerarchico oltre i novanta giorni dalla sua ~ presentazione in assenza del ricorso giurisdizionale e la sua alternativa improcedibilit per pendenza di giudizio si adeguano coerentemente a I! specifiche opzioni del ricorrente circa la maniera ritenuta pi opportuna di tutelare le proprie situazioni soggettive. f { Ci detto, la questione reciproca, che attiene agli effetti del procedimento contenzioso su quello giurisdizionale, in gran parte gi risolta. Infatti, l'obbligo per l'autorit decidente di dichiarare improcedibile I il ricorso gerarchico in prese:riza di un ricorso giurisdizionale contro il I I i I I I PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA medesimo atto relega nella patologia del provvedimento amministrativo, le ipotesi di decisioni di merito. Peraltro, la eventuale decisione amministrativa di accoglimento, facendo venir meno l'oggetto del giudizio, non potrebbe non determinare la cessazione della materia del contendere ai sensi dell'art. 23, ult. co. 1. n. 1034/1971. Ci, tuttavia, se mancano dei controinteressati, giacch questi, se esistenti, sarebbero legittimati ad impugnare una decisione gerarchica ormai non pi consentita. Va comunque ricordato che, nell'esercizio del generale potere di autotutela, l'autorit competente pu in ogni momento disporre, nel concorso dei presupposti di legge, l'annullamento d'ufficio del provvedimento impugnato in sede giurisdizionale. La decisione di rigetto in pendenza di giudizio, che costituisce il nodo storico tradizionale dell'istituto, non pu ormai pi pregiudicare il ricorrente. Ci non soltanto perch l'autorit amministrativa adita in via gerarchica tenuta ad una declaratoria d'improcedibilit, ma per l'assorbente ragione che il legislatore, in maniera conseguente, ha spostato l'oggetto del ricorso giurisdizionale dal silenzio sul ricorso gerarchico al provvedimento di primo grado impugnato con il ricorso gerarchico, cos da rendere il giudizio indifferente alle vicende del procedimento contenzioso. Tale evento descritto dalla sentenza n. 4 del 1978 in termini di sovrapposizione della sentenza alla decisione di rigetto, e dalla ordinanza di rimessione all'Adunanza Plenaria in termini di inopponibilit della decisione di rigetto al ricorrente in sede giurisdizionale (o straordinaria). Qualunque formula descrittiva si impieghi, il fatto che dal punto di vista dell'oggetto del giudizio la decisione gerarchica di rigetto si cor rela non pi al silenzio, determinandone la cessazione, bens al provve dimento impugnato, nei confronti del quale essa si atteggia, in termini sostanziali, non come conferma in senso tecnico, ma come atto ad effetto confermativo, cio non come rinnovazione del provvedimento precedente, ma come accertamento della sua validit. La diversit tra le due fattlspecie manifesta. La conferma, reiterazione della stessa funzione di amministrazione attiva gi esercitata, concreta una rinnovazione sostanziale, di tipo oriz zontale, della ponderazione di interessi e della volont della regolamen tazione gi attuata con il provvedimento di primo grado, suscettibile di arrecare un'autonoma parallela lesione alla sfera giuridica dell'interessato e, pertanto, comporta un ulteriore onere di impugnazione. L'atto ad effetto confermativo realizza, inv,ece, un accertamento ad oggetto limitato, di tipo verticale, conseguente ad esercizio di funzione giustiziale, circa la validit del precedente provvedimento al quale accede: in tal caso, la tutela giurisdizionale ha ad oggetto, ancorch per il tramite della decisione gerarchica di riesame, le stesse situazioni soggettive sostanziali, attinenti cio a beni della vita, lese dall'atto originario, oltre, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO eventualmente, agli interessi procedimentali strumentali correlati al gravame amministrativo. Pertanto, qualora l'interessato, a ci abilitato, abbia gi dedotto in giudizio (o in sede di ricorso straordinario) le situazioni soggettive lese dal provvedimento (di amministrazione attiva) di base, l'eventuale decisione gerarchica di rigetto in funzione di accertamento, non possedendo una autonoma lesivit ma rendendo definitiva la lesione originaria, non soltanto non immuta l'oggetto del giudizio (o del ricorso straordinario), che costituito non dal silenzio ma dall'atto di base, ma non determina nemmeno l'onere di una sua ulteriore impugnazione, essendo istituzionalmente inidonea a pregiudicare in alcun modo la decisione della causa pendente. Non cos, ovviamente, qualora il ricorrente, avendo atteso la pronuncia della decisione gerarchica, ottenga, sia pure dopo 90 giorni, un prov vedimento' esplicito di rigetto. In tal caso, se non ritenga di impugnare detto provvedimento in sede giurisdizionale (o straordinaria), la decisione di rigetto diviene inoppugnabile, con i conseguenti effetti preclusivi ed estintivi delle situazioni soggettive incise dal provvedimento di base. 8) Applicando i suesposti principi di diritto al caso di specie, ne consegue che, formatosi per decorso del termine il silenzio ex art. 6 1. 1034 sul ricorso gerarchico presentato al Ministero dei Trasporti, il Virz aveva non l'onere bens la facolt di proporre immediato ricorso giurisdizionale, in alternativa a quella, discrezionalmente esercitabile, di attendere la pronuncia della decisione gerarchica. Quest'ultima, se negativa, come nella specie, non era meramente confermativa del silenzio, semplice fatto di legittimazione processuale. Il presente ricorso, proposto nei termini contro la decisione di rigetto, quindi tempestivo e l'eccezione di irricevibilit formulata dal Ministero resistente va respinta. 9) Nel merito, il ricorso va accolto per l'assorbente fondatezza del primo motivo, con il quale si denunciano omessa ed insufficiente motivazione. ~ da osservare che il giudizio di idoneit o di inidoneit alla guida integra un'ipotesi di discrezionalit tecnica, in quanto l'esistenza dei presupposti ai quali condizionata l'efficacia della norma deve essere accertata attraverso valutazioni da farsi secondo criteri tecnici (artt. 470 e ss. d.P.R. 30 giugno 1959 n. 420). La discrezionalit tecnica, come rilevato da autorevole dottrina, non differisce da quella amministrativa se non per ragioni quantitative, giacch si impernia su una guida speciale che il legislatore d all'amministrazione per accertare i fatti che la norma presuppone. Il suo esercizio, quindi, sindacabile dal giudice amministrativo sotto il profilo dell'eccesso di potere, anzi, per le ragioni suddette, lo in ! PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 83 ma.iera pi penetrante di quanto non sia quello della discrezionalit amministrativa. Nella specie, il Ministero resistente ha respinto il ricorso gerarchico proposto dal Virz ai sensi dell'art. 81, 4 comma cod. stradale (d.P.R. 15 giugno 1959 n. 393) contro il giudizio di inidoneit alla guida emesso dalla Commissione medica provinciale di Bolzano del 4 maggio 1987, motivando per. relationem al parere obbligatorio dell'Ufficio sanitario di Verona delle F.S. del 19 settembre 1987. Tale parere, peraltro, esprimeva un giudizio di assoluta inidoneit, pretermettendo nella maniera pi completa e senza alcuna giustificazione le argomentazioni del ricorrente, che aveva allegato l'idoneit al rilascio della patente per la guida di autovetture particolarmente adattate (categoria F) o con particolari prescrizioni per ovviare alla accertata diplopia, suffragate inoltre: a) dal certificato del neurologo dr. Huber della USL Centro-Sud Ospedale Generale Regionale di Bolzano del 7 maggio 1987 (idoneit alla guida di autovetture normali o con modifiche particolari); b) dal parere del direttore compartimentale della motorizzazione civile e dei trasporti in concessione per il Trentino-Alto Adige -Bolzano del 25 maggio 1987 (che esprimeva giudizio di idoneit al conseguimento di patente F in relazione all'invalidit del piede destro), parere richiesto dalla stessa Commissione medica provinciale di Bolzano; e) dal certificato del dott. Unterhofer del 27 agosto 1987 (giudizio di mera revisionabilit della patente B). Non pu certamente, quindi, condividersi l'assunto dell'Avvocatur dello Stato, secondo il quale la decisic~ne gerarchica, in virt della relatio al parere tecnico dell'ufficio E.S. di Verona, sarebbe immune dal denunciato vizio di difetto di motivazione, giacch, invece, vero che il difetto di motivazione (rectius: di giustificazione) del menzionato parere, in relazione alle allegazioni assertive e probatorie del ricorrente ed alla stregua del generale principio del contmrius actus, inficia la decisione gerarchica su di esso acriticamente fondata. Infondato invece il secondo motivo di ricorso, non perch, come eccepito dal Ministero resistente, non proposto in sede gerarchica, giacch con esso si lamenta un vizio proprio del procedimento contenzioso, ma perch, in relazione alla facolt di farsi assistere all'accertamento sanitario da un medico di fiducia, non risulta che l'interessato abbia adempiuto all'onere della richiesta (arg. ex art. 481, 8 comma, d.P.R. 30 giugno 1959 n. 420 sub art. 12 d.P.R. 23 settembre 1976 n. 995 in punto: commissioni mediche provinciali). Per le suesposte considerazioni, il ricorso va accolto, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato. 1 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., 4 dicembre 1989, n. 17 -Pres. Crisci, Est. Santoro -Provveditorato agli studi dell'Aquila e Ministero della pubblica istruzione (avv. Stato Bruno) c. Martinelli (n.c.). Ricorsi Amministrativi Ricorso gerarchico Silenzio della Pubblica Amministrazione Mancata proposizione del ricorso giurisdizionale Potere di decisione oltre il termine Sussiste. Giustizia Amministrativa Ricorso gerarchico -Silenzio della P. A. Proposizione del ricorso giurisdizionale o straordinario Decisione gerarchica reiettiva sopravvenuta Impugnativa giurisdizionale di questa ultin1a Non occorre Quid novi della decisione Presentazione di motivi aggiunti. Giustizia Amministrativa Ricorso gerarchico Silenzio della P. A. Proposizione del ricorso giurisdizionale o straordinario Decisione gerarchica sopravvenuta di accoglimento Controinteressati Mancanza Cessazione della materia del contendere. Giustizia Amministrativa Ricorso gerarchico Silenzio della P. A. Proposizione del ricorso giurisdizionale o straordinario Decisione gerarchica sopravvenuta di accoglimento Controinteressati Impugnazione Necessit. L'Amministrazione, dopo la scadenza del termine di novanta giorni di cui all'art. 6 del d.P.R. 1199 del 1971, ha l'obbligo ed il potere di decidere sul ricorso gerarchico, qualora il privato non si avvalga della facolt di adire immediatamente il giudice amministrativo; infatti, le conseguenze stabilite dalla legge, a seguito del decorso del suddetto termine per la comunicazione della decisione gerarchica, sono dettate nell'interesse del ricorrente in via gerarchica ed hanno carattere processuale (1). La decisione gerarchica di rige~to, resa uguafmente dall'Amministlrazione malgrado la proposizione del ricorso giurisdizionale o straordinario, non idonea a determinare la cessazione della materia del contendere; se adduce nuovi motivi di legittimit o di merito, a sostegno del suo dispositivo, consentito al ricorrente in sede giurisdizionale, o straordinaria, di presentarle motivi aggiuniti (2). La decisione gerarchica tardiva di accoglimento determina, in mancanza di controinteressati, la cessazione della materia del contendere sul ricorso giurisdizionale o straordinario instaurato ai sensi dell'art. 6 del d.P.R. n. 1199 del 1971 (3). Il controinteressato, leso dalla decisione tardiva di accoglimento del ricorso gerarchico, pu impugnarla in sede giurisdizionale o straordinaria, (1-4) La sentenza in esame segue l'indirizzo giurisprudenziale inaugurato dall'Ad. Plen. n. 16 del 1989, supra, affrontanclo specificamente il problema della decisione gerarchica tardiva; tale decisione, se di accoglimento del ricorso gerar PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 85 nei termini di decadenza decorrenti secondo i comuni principi, tale decisione tardiva, peraltro, non pu considerarsi illegittima unicamente per la sua tardivit (4). 1. -L'insegnante Marisa De Luca aveva impugnato, con ricorso gerarchico presentato il 18 ottobre 1980 al Ministero della Pubblica Istruzione, il trasferimento della sua collega Carla Martinelli. Il ricorso gerarchico era stato accolto con decreto ministeriale 3 gennaio 1981, comunicato alle due insegn~ti il 26 dello stesso mese, ed il Provveditore agli Studi de L'Aquila aveva adottato i conseguenti prvvedimenti di trasferimento nei confronti delle due insegnanti. Era allora insorta dinanzi al T.A.R. dell'Abruzzo l'insegnante Martinelli denunciando: a) la tardivit della decisione gerarchica, comunicata dopo il novantesimo giorno dalla presentazione del ricorso; b) il difetto di motivazione. Il T.A.R. aveva accolto il primo motivo. Con l'appello in esame il Ministero della P.I. ha chiesto il rigetto del ricorso della insegnante Martinelli, in riforma della sentenza appellatta. La VI Sezione di questo Consiglio rimette ora la causa all'Adunanza Plenaria ritenendo, difformemente dalla decisione di questa Adunanza 7 febbraio 1978 n. 4 e da altre decisioni che a questa si sono conformate, che: dopo la formazione del cosiddetto silenzio rigetto l'Autorit gerrchica non perda il potere di decidere: -la decisione gerarchica tardiva (tale essendo anche quella soltanto tardivamente comunicata), sia di accoglimento che di rigetto, debba considerarsi esistente anche se invalida; -la decisione tardiva di rigetto non possa considerarsi meramente confermativa del rigetto tacito formatosi allo scadere del novantesimo giorno dalla presentazione del ricorso, in quanto contenente nuovi motivi. 2. -Il tormentato problema della decisione gerarchica tardiva, com' noto, ha ricevuto nel tempo, nella giurisprudenza del Consiglio di Stato ed in particolare di questa Adunanza plenaria, diverse soluzioni sia sotto l'aspetto della sua ammissibilit che della sua natura ed efficacia. chico, non illegittima o inutiliter data ; pertanto, i controinteressati, lesi da tale decisione, non possono impugnarla unicamente per la sua tardivit. Per quanto riguarda la giurisprudenza e la dottrina sull'argomento, si veda la nota redazionale alla sentenza n. 16/89 che precede. 86 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Fino al 1960 era prevista, pur con qualche decisione difforme (ad esempio Cons. Stato Sez. V 19 gennaio 1973 n. 37 e Cons. Giust. Amm.va Reg. Sic. 17 luglio 1953 n. 145, che riconducevano il decorso del termine ad una presunzione di rigetto dal ricorso gerarchico, superabile da una diversa esplicita manifestazione di volont della P.A.), la configurazione del silenzio-rigetto come decisione formatasi la quale l'Autorit gera~chica perdeva il potere di definire esplicitamente il gravame. Da questa premessa la giurisprudenza tuttavia non sempre aveva tratto la conseguenza, pure prevalentemente condivisa (cfr. Cons. Stato Sez. V 2 aprile 1955 n. 562, 16 luglio 1955 n. 945, 17 dicembre 1955 n. 1467, 12 aprile 1957 n. 14, VI Sez. 10 maggio 1955 n. 336, 30 aprile 1958 n. 289), dell'inutilit o inefficacia o nullit della decisione esplicita tardiva del ricorso gerarchico. Si era infatti avvertita l'opportunit di non precludere all'Amministrazione la possibilit di offrire spontaneamente al privato l'indubbio vantaggio di una pronuncia esplicita, in luogo dell'unica tutela, altrimenti concessagli, del ricorso giurisdizionale o straordinario, proponibile soltanto per difetto di motivazione del silenzio-rigetto. In questa ottica si era anche sostenuto, talora argomentando dal carattere presuntivo della decisione silenziosa tacita (esistente cio fino a prova contraria e, quindi, fino al sopraggiungere di una pronuncia esplicita), che anche dopo la formazione della decisione tacita di rigetto ed anche in pendenza dell'eventuale impugnazione giurisdizionale o straordinaria contro la stessa, l'Autorit sovraordinata potesse pronunciarsi esplicitamente sul gravame, per accoglierlo o per respingerlo (Cons. Stato Sez. VI 18 ottobre 1955 n. 646 e 9 gennaio 1957 n. 4). Naturalmente, secondo questo orientamento giurisprudenziale, il sopravvenire della decisione espliita determinava la cessazione della materia del contendere nel giudizio eventualmente instaurato a seguito della formazione del silenzio rigetto (Cons. Stato Sez. VI, 2 aprile 1958 n. 193). La decisione di questa Adunanza plenaria 3 maggio 1960 n. 8 opt definitivamente per l'ammissibilit della decisione tardiva, il cui sopraggiungere (o la cui comunicazione, in caso di delibera adottata prima della formazione del silenzio rigetto, ma comunicata dopo), avrebbe determinato la cessazione della materia del contendere nel giudizio gi instaurato contro il silenzio rigetto, nonch l'onere degli interessati di adire nuovamente la sede giurisdizionale avverso la decisione sopravvenuta. Sopraggiunta la nuova disciplina del silenzio rigetto con la legge istitutiva dei T.A.R. 6 dicembre 1971 n. 1034 (art. 20), con il d.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199 (art. 6) e con il d.P.R. 30 giugno 1972 n. 748 (art. 8), la giurisprudenza in un primo tempo (cfr., tra le tante, Cons. Stato Sez. VI 17 aprile 1975 n. 455), ha ritenuto la decisione tardiva (o meglio tardivamente comunicata) inutiliter data (tamquam non esset) , come tale inesistente o inefficace. Talora (cfr. p.es. Cons. Stato Sez. VI 7 giugno PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 1977 n. 568), questa conseguenza stata ritenuta limitata alle sole decisioni gerarchiche tardive di rigetto, me.ntre quelle di accoglimento avrebbero determinato la sopravvenuta cessazione della materia del contendere nel ricorso proposto a seguito del silenzio rigetto. quindi sopraggiunta la decisione di questa Adunanza plenaria n. 4 del 7 febbraio 1978 che, fondandosi sul disposto dell'art. 6 del d.P.R. 1199 del 1971, piuttosto che su quello dell'art. 20 della L. 1034 del 1971, ha ritenuto tra l'altro: -formatosi il silenzio rigetto (da intendersi non come rifiuto di decisione, ma come vera e propria decisione reiettiva tacita), l'Autorit gerarchica perde il potere decisionale (anche sulle censure di merito, la cui tutela giurisdizionale non garantita dall'art. 24 Cost.); -pertanto, l'eventuale pronuncia esplicita di rigetto deve considerarsi atto confermativo della decisione tacita gi intervenuta, inidoneo come tale a riaprire il termine di impugnativa giurisdizionale tranne che per eventuali altri effetti lesivi, mentre la sua impugdazione, nell'ipotesi che sia stato gi esperito il ricorso giurisdizionale contro il silenziorigetto, sarebbe superflua, venendosi a sovrapporre a tale ricorso; -viceversa, se l'Amministrazione emetta tardivamente una decisione esplicita di accoglimento, questa, pur essendo illegittima, se pienamente satisfattiva degli interessi del ricorrente, fa cessare la materia del contendere nel ricorso giurisdizionale da lui proposto, ove non ci siano controinteressati che l'abbiano impugnata nei termini; -l'autorit decidente, infine, se titolare di poteri di intervento d'ufficio nella materia, pu esercitarli anche dopo la formazione del silenzio- rigetto (con effetti analoghi alla decisione tardiva di accoglimento). Questa decisione stata seguita dalla quasi totalit delle pronunce successive. 3. -Nel riprendere in esame la complessa problematica, nuovamente prospettata dall'ordinanza di rimessione della Sez. VI, l'Adunanza plenaria ritiene di dover limitare la propria indagine all'unico e pi importante degli aspetti della stessa rilevanti nella controversia di cui al presente giudizio, quello cio della tardivit della (comunicazione della) decisione gerarchica e delle relative conseguenze in ordine alla tutela giurisdizionale dell'interessato. L'Adunanza plenaria al riguardo ritiene che, a distanza di un decennio, sia opportuno rimeditare il richiamato orientamento secondo cui l'Amministrazione perderebbe il potere di decidere una volta scaduti i novanta giorni senza che essa abbia comunicato all'interessato la decisione gerarchica sul ricorso amministrativo da questi presentato. La decisione di questa Adunanza n. 4 del 1978 cit. sembra avere fondato il suo convincimento soprattutto sul dato letterale. 88 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Dal disposto dell'art. 6 del d.P.R. 11!)9, del quale sarebbe da escludere un'abrogazione implicita ad opera del praticamente coevo (ma formalmente successivo) art. 40 della L. 1034 del 1971 (cos la dee. 4/1978 cit.), e che stabilisce, a differenza di quest'ultimo, che decorso il termine di novanta giorni ... il ricorso si intende respinto a tutti gli effetti... , sarebbe derivata l'impossibilit di configurare la permanenza in capo all'Amministrazione del potere di decidere il ricorso oltre i novanta giorni, dato che ormai si formata una decisione tacita di rigetto, sicch ne sarebbe altrimenti conseguita una violazione del ne bis in idem. Senonch l'accennato dato letterale relativo alla reiezione tacita del ricorso gerarchico (che peraltro scompare nel gi citato art. 20 della legge n. 1034 del 1971), non sembra cos sicuramente determinante ai fini che interessano. Nell'ottica dell'accennata prospettazione non si riesce infatti a spiegare perch lo stesso art. 6 soggiunga anche, subito dopo l'inciso sopra riportato, e contro il provvedimento impugnato esperibile il ricorso ... giurisdizionale... o straordinario . Se il provvedimento gi impugnato in sede gerarchica a dover essere nuovamente impugnato in sede giurisdizionale o straordinaria dopo Ja formazione della c.d. decisione tacita di rigetto, e se non vi onere di impugnare anche quest'ultima nelle medesime sedi, ci significa che la c.d. decisione reiettiva tacita del ricorso gerarchico non si sovrappone all'atto impugnato in sede amministrativa. Al di l dell'espressione usata (che richiama pedissequamente formule note), l'inutile decorso del termine per l'adozione e la comunicazione di una determinazione esplicita sul gravame gerarchico, sembra non faccia sorgere un atto tacito dal contenuto negativo presunto ex lege , ma piuttosto costituisca un limite di legge oltre il quale, al dichiarato fine acceleratorio dei procedimenti, l'interessato non tenuto ad attendere l'esito del ricorso amministrativo da lui stesso promosso, e pu senz'altro adire il giudice per tutelarsi in sede di legittimit contro l'atto amministrativo lesivo della sua sfera. Resta cos esclusa, tra l'altro, la possibilit di ipotizzare una violazione del ne bis in idem derivante dall'eventuale sopraggiungere, dopo la scadenza dei novanta giorni, della decisione gerarchica. L'art. 6 del d.P.R. 1199, dunque, nel disciplinare le conseguenze dello scadere del termine di novanta giorni per la comunicazione della decisione gerarchica, anzich ipotizzare un caso di silenzio rigetto in senso stretto (come potrebbe far pensare la lettura di una parte della disposizione, isolatamente considerata) deve ricondursi ad una misura processuale, dettata nell';interesse del ricorrente in via gerarchica, atta a consentirgli un'immediata tutela in sede giurisdizionale o straordinaria (sia pure limitata a motivi di sola legittimit), contro l'atto non definitivo impugnato senza risultato in sede amministrativa. Ed appena il caso - PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA di ricordare che la menzione del fittizio rigetto del ricorso in sede gerarchica, va probabilmente ricollegata alla tradizione secondo cui il ricorso giurisdizionale ammesso solo in presenza di atti definitivi. 4. -In relazione all'orientamento sottoposto a revisione, si prospettano, del resto, varii inconvenienti pratici ed alcune difficolt teoriche messi in luce dall'ordinanza di rimessione e da quella della VI Sezione n. 950/88 del 22 luglio 1988. noto innanzitutto che la mancata impugnazione giurisdizionale del provvedimento di primo grado entro sessanta giorni o straordinaria entro centoventi giorni, decorrenti entrambi dal novantesimo giorno successivo alla inutile presentazione del ricorso gerarchico, determina, secondo la giurisprudenza conformatasi alla decisione di questa Adunanza n. 4 del 1978 cit., l'inammissibilit del ricorso stesso, giurisdizionale o straordinario, perch ritenuto rivolto contro atto confermativo (la pretesa decisione tacita di rigetto) di precedente provvedimento (quello di primo grado) non tempestivamente impugnato. Senonch occorre considerare, da un lato, che i ricorsi gerarchici possono presentarsi -cos come pi spesso avviene nella pratica -senza ministero di procuratore dall'altro, che il legislatore delegato del 1971 ha inteso non soltanto semplificare, nell'interesse dell'Amministrazione, il procedimento per la presentazione e la decisione dei ricorsi amministrativi, ma anche prevenire -per una migliore tutela del diritto di difesa del cittadino contro gli atti della P. A. -gli errori nelle formalit del rito in cui possano incorrere coloro che si avvalgano di tali strumenti senza l'assistenza di un professionista legale (cfr. in tale senso l'art. 1, terzo comma del d.P.R. 1199, che nell'imporre alla P. A. l'obbligo di dichiarare nei provvedimenti non definitivi, il termine entro il quale l'organo cui il ricorso amministrativo va presentato, ha certamente inteso eliminare ogni dubbio sulla definitivit del provvedimento e, quindi, uno dei pi insidiosi tranelli in cui poteva incorrere chi adisse la via gerarchica). Ora inconcepibile che, in un sistema chiaramente ispirato ad una sempre pi marcata partita tra cittadino ed Amministrazione, il solo fatto di avere optato per la previa via gerarchica, nel lodevole intento di tentare la composizione della lite ad opera della stessa Amministrazione, determini per il ricorrente il rischio elevato -nella vana attesa della decisione gerarchica -di non fare attenzione al decorso del termine per impugnare, coincidente con lo scadere del novantesimo giorno e di precludersi cos ogni altra possibilit di tutela. Cos come sembra non appropriato, sul piano della tecnica interpretativa, ricondurre alla nozione di atto confermativo la c.d. decisione esplicita di rigetto del ricorso, comunicata dopo lo scadere del novantesimo giorno, nonostante essa rechi, a differenza ovviamente della c.d. decisione tacita confermata, per la prima volta una motivazione ed un esame reale delle doglianze. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 5. -Riconosciuta all'Autorit gerarchica la potest di decidere il ricorso amministrativo (e di comunicarne la decisione) anche dopo il novantesimo giorno dalla sua presentazione, quando il ricorrente non abbia ritenuto di impugnare in via giurisdizionale entro 60 giorni dalla scadenza di detto termine l'atto oggetto del gravame gerarchico, va rilevato che l'esercizio dell'azione giurisdizionale amministrativa esplica deter~inati effetti limitativi o preclusivi rispetto ai poteri ulteriori dell'Amministrazione, a suo tempo adita in via gerarchica. Precisato che, esperito il ricorso giurisdizionale, diviene irrilevante ogni considerazione di merito a conferma dell'atto amministrativo, va osservato che la decisione, di rigetto del ricorso gerarchico, eventualmente sopravvenuta, non idonea a determinare la cessazione della materia del contendere, nel giudizio instaurato dopo lo scadere del novantesimo giorno, avverso il provvedimento di primo grado. Pu al riguardo distinguersi a seconda che la decisione tardiva di rigetto contenga o meno nuovi motivi, di legittimit o di merito, a sostegno del suo dispositivo, rispetto a quelli addotti nel provvedimento di primo grado. Mentre la prima ipotesi comporta un quid novi rispetto al provvedimento' di primo grado, che abilita il ricorrente in sede giurisdizionale o straordinaria alla presentazione di motivi aggiunti, la seconda equivale ad una mera conferma del provvedimento medesimo, inidonea come tale ad avere rilevanza alcuna nel giudizio. Se, viceversa, la decisione di accoglimento, il venire meno ex tunc del provvedimento impugnato, con effetto totalmente satisfattivo dell'interesse del ricorrente, non pu che determinare la cessazione della materia del contendere sul ricorso giurisdizionale o straordinario instaurato ai sensi dell'art. 6 del d.P.R. 1199. Tutto ci nel caso in cui non esistano controinteressati. Quando, come nella fattispecie, il controinteressato esiste, la decisione tardiva di accoglimento del ricorso, non dovendosi considerare illegittima o inutiler data, lede il controinteressato stesso (che nel frattempo si giovato dell'atto amministrativo a lui favorevole) ed quindi da lui impugnabile in sede giurisdizionale o straordinaria, nei termini di decadenza decorrenti secondo i comuni principi. La decisione di accoglimento, adottata e comunicata oltre il novantesimo giorno, non potr, peraltro considerarsi illegittima, secondo quanto detto nei numeri che precedono, unicamente per la sua tardivit. Se infine (ma l'ipotesi sembra di scuola) la decisione gerarchica sopraggiunga dopo che si sia formato il giudicato (o l'inoppugnabilit del decreto decisorio del ricorso straordinario), nel giudizio che sia stato proposto dopo il novantesimo giorno, ai sensi dell'art. 6 cit., contro il provvedimento di primo grado, allora l'eventuale conflitto tra giudicato amministrativo e decisione amministrativa deve risolversi ovviamente col PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 91 riconoscere la prevalenza del primo sulla seconda, in ossequio ai principi generali, secondo cui la pronuncia giurisdizionale prevale, per 1a forza del giudicato, sulla decisione amministrativa (cfr. a proposito della prevalenza della sentenza del Giudice ordinario sul d.P.R. decisorio di ricorso straordinario, Cons. Stato, Ad. gen. 29 aprile 1971, n. 45/71). 6. -Le suesposte considerazioni conducono, all'accoglimento del primo motivo dell'appello dell'Amministrazione. Il T.A.R. nella sentenza appellata aveva infatti annullato la decisione gerarchica impugnata (il D.M. n. 1 del 3 gennaio 1981) soltanto per essere stata questa comunicata all'interessata oltre il novantesimo giorno dalla presentazione del ricorso amministrativo, assorbendo l'altra censura. (peraltro non riproposta in questa sede). Poich il vizio di legittimit riscontrato dal T.A.R. non sussiste, in totale riforma della sentenza appellata si deve ora respingere il ricorso di primo grado della insegnante Martinelli notificato il 17 marzo 1981. CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 16 gennaio 1990, n. 15 -Pres: Buscema Est. Giovannini -D'Aleo (avv. Rampino) c. Ministero Tesoro (avv. Stato Salvatorelli). Impiego pubblico -Stipendi e assegni -Indebito (ripetizione) Doverosit. Impiego pubblico -Stipendi e assegni -Indebito (ripetizione) Buona fede del percipiente Rileva solamente sulle modalit del recupero. Atto amministrativo -Illegittimit Eccesso di potere per disparit di trattamento . Provvedimento vincolato -Insussistenza del vizio. doveroso, per la pubblica Amministrazione, procedere al recupero delle somme illegittimamente erogate ai propri dipendenti, discendendo tale obbligo direttamente dal disposto dell'art. 2033 e.e. in tema di indebito oggettivo (1). (1-2) La decisione conferma il pi recente, restrittivo orientamento della giurisprudenza della Quarta sezione del Consiglio di Stato in materia di recu pero di emolumenti illegittimamente erogati dalla pubblica Amministrazione ai propri dipendenti. Come noto, secondo la tradizionale impostazione seguita dal Giudice amministrativo (si veda la fondamentale decisione del CdS, Ap., 30.3.76, n. 1), il problema della ripetizione di indebito nel pubblico impiego andava inquadrato in ambito strettamente pubblicistico, avendo il provvedimento di recupero carattere discrezionale. Da ci discendevano la necessit di adeguata motiva zione sul punto della comparazione tra l'interesse pubblico e quello del dipen dente (CdS, IV, 23.3.82, n. 159; CdS, IV, 7.6.84, n. 437) ed il rilievo da ricollegare alla buona fede del percipiente (talora anche presunta: v. CdS, VI, 15-7-77, n. 746, VI, 30.9.80, n. 797; CdS, VI, 14.11.88, n. 1211), indotto a ritenere legittimamente RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO In materia di recupero di somme illegittimamente erogate dalla p.A. ai propri dipendenti, la eventuale buona fede del percipiente rileva unicamente sulle modalit del recupero, essendo onere dell'Amministrazione di procedervi senza incidere in misura rilevante sulle esigenze di vita del debitore (2). spettantegli le somme dall'erroneo comportamento della Amministrazione (CdS, IV, 1.12.81, n. 938; CdS, IV, 15.3.83, n. 125). Si era cosl esclusa, ad es., la ripetibilit in caso di mancato accertamento della sussistenza della buona fede (CdS, IV, 175.77, n. 480, CdS, VI, 29.9.79, n. 689), ovvero di situazione obiettivamente dubbia e controversa, tale da ingenerare in capo al dipendente la ragionevole convinzione di essere creditore (CdS, IV, 11.72, n. 39), specie se dall'erogazione delle somme era trascorso un considerevole lasso di tempo (CdS, V, 281.75, n. 271; CdS. IV. 12.12.78. n. 1193: CdS. VI. 25.8.83, n. 497), e se gli importi erogati erano stati consumati per la soddisfazione dei bisogni essenziali della vita (CdS, IV, 81.77, n. 89). Legittimo era stato invece ritenuto il provvedimento di recupero in presenza di riserva di ripetizione (CdS, VI, 28.6.82, n. 319; CdS, IV, 2.3.85, n. 69; CdS, Ap., 4.3.86, n. 2), ovvero in ipotesi di malafede del dipendente (cfr. CdS, IV, 13.12.77, n. 1189; CdS, V, 61.84, n. 118). In alcwie pronunzie, che potremmo definire intermedie , il princ1p10 sopra enunciato viene talvolta temperato: si afferma, infatti, che la ratio su cui .si fonda la irripetibilit la esigenza di evitare un grave disagio economico al dipendente, con conseguente possibile lesione dello stesso interesse pubblico al buon andamento della Amministrazione. Come logica conseguenza, la giurisprudenza riconosce la legittimit dell'operato della P.A. quando le modalit del recupero e la modestia della somma portano ad escludere un grave disagio economico a carico dl ricorrente (CdS, VI, 26.9.75, n. 394), ovvero quando gli importi de quibus vengono recuperati in occasione della corresponsione di emolumenti arretrati (CdS, VI, 19.12.80, n. 1322; CdS VI, 31.1.86, n. 87; Csi, 55.87, n. 93; ma, in senso contrario, v. CdS, VI, 5.3.85, n. 77). Dopo talune isolate sentenze degli anni 70, con la decisione della VI Sezione n. 119 del 27.3.81 si riaffaccia la tesi secondo la quale, in linea di principio, la p.A. ha il potere-dovere di procedere al recupero delle somme erroneamente corrisposte (nella fattispecie, peraltro, si ribadisce che la Amministrazione incorre nel vizio di eccesso di potere ove la ripetizione sia disposta dopo aver ingenerato una legittima aspettativa in capo al dipendente, che poi consumi quanto percetto in buona fede per la soddisfazione delle normali esigenze di vita: conforme CdS, IV, 6.12.85, n. 604). Ed in CdS, VI, 18.11.85, n. 599, si sottolinea come solo un principio equitativo impone di derogare al pi generale disposto dell'art. 2033 e.e., sicch, ove la p.A. rientri comunque in possesso delle somme dovute, ovvero sia per qualunque ragione venuta mew;> la esigenza di soddisfazione dei bisogni alimentari del dipendente, legittimamente si procede al recupero (v. anche CdS, VI, 9.11.85, n. 505 e CdS, V, 22.2.88, n. 85). Una serie di pronunzie rese in primo grado da vari Tribunali Amministra tivi Regionali propone per il problema di una pi radicale revisione della materia, suggerendo che la doverosit del provvedimento di recupero non pu trovare deroga a causa della buona fede del percipiente, ci rilevando unica mente sulle modalit della ripetizione, che deve pur sempre avvenire, ma senza incidere sui bisogni essenziali del dipendente. Accanto a decisioni ancora ispirate ai vecchi principi pramai consolida~i (CdS, IV, 27/J.86, n. 440; CdS, VI, 31.3.87, n. 178; CdS, IV, 31.12.87, n. 1054; Cs1, PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 93 Non mai riscontrabile il vizio di eccesso di potere, nella sua figura sintomatica della disparit di trattamento, laddove il provvedimento adottato dalla p.A. abbia natura vincolata (3). (omissis) Infondati si palesano i primi due motivi dedotti, che per la loro stretta connessione possono essere esaminati congiuntamente, con cui l'istante lamenta che erroneamente l'Amministrazione, prima, ed il tribunale regionale, poi, hanno negato la sussistenza in suo capo di una situazione di buona fede in merito alla percezione deile somme indebitamente erogategli. Ritiene invero il Collegio di aderire al pi recente orientamento giurisprudenziale in materia il quale, alla luce dei principi enunciati dalla decisione dell'Adunanza plenaria 30 marzo 1976, n. l, ha affermato la doverosit del recupero di somme indebitamente corrisposte a titolo retributivo ai pubblici dipendenti, salvo l'onere dell'Amministrazione, in caso di buona fede del percipiente, di procedervi con modalit tali da non incidere soverchiamente sulle esigenze di vita del debitore (cfr. sez. IV, 6 maggio 1989, n. 286; sez. IV, 23 novembre 1988, n. 887; sez. IV 27 ottobre 1988, n. 822; sez. IV, 22 settembre 1987, n. 545; sez. IV, 14 luglio 1987, n. 422). 245.89, n. 212), si giunge cos, nella giurisprudenza della Quarta sezione del Consiglio di Stato, ad un progressivo riesame del vecchio orientamento: si afferma pertanto il dovere in capo alla p.A. di provvedere alla ripetizione dell'indebito, con mancanza di obbligo di motivazione ove la situazione non sia consolidata (CdS, IV, 35.86, n. 320); si evidenzia che vi sufficiente valutazione dell'interesse del privato ogni qual volta il recupero venga disposto ratealmente, in proporzione tale da incidere solo marginalmente sulla retribuzione complessiva (CdS, IV, 14.7.87, n. 422; CdS, IV, 22.9.87, n. 545); si esclude tout court la rilevanza della buona fede se il recupero viene effettuato mediante compen sazione (CdS, IV, 19.1.88, n. 2). Si giunge cos, infine, alla decisione 23-11,88, n. 887 resa dalla IV sezione, con la quale si afferma la piena applicabilit, anche nel rapporto di p.i., del fondamentale canone posto dall'art. 2033 e.e. Tale orientamento viene seguito anche dalle successive sentenze della medesima sezione 65.89 n. 286 (che evi denzia come la rateizzazione costituisca esercizio di una discrezionale facolt della p.A.), 30.10.89, n. 722, 27.12.89, n. 995. Fanno ancora riferimento al principio della buona fede, invece, CdS, V, 19.7.89, n. 420 e Csi, 245.89, n. 212. Sembra tuttavia che la evoluzione della giurisprudenza sia ormai innegabilmente nel senso della pronuncia qui massimata. A conclusione della esposizione giurisprudenziale che precede, sembra dove roso segnalare, a fim di completezza, che, successivamente alla decisione che si riporta, la V sezione del CdS ha ribadito l'orientamento contrario da ultimo evidenziato con le decisioni 15.3.90, n. 289 e 55.90, n. 412, mentre la IV sezione ha confermato di condividere l'indirizzo sostenuto dalla Avvocatura con le pronunzie 26.4.90, n. 321, 175.90, n. 390 e 25.9.90, n. 702. (3) Principio assolutamente pacifico in giurisprudenza; si veda, da ultimo, Csi, 29.6.88, n. 113 e CdS, IV, 16.3.87, n. 151. M.S. 94 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Da un lato si , infatti, rilevato che la doverosit del recupero nasce direttamente dal disposto dell'art. 2033 cod. civ. dettato in tema di indebito oggettivo. D'altro lato, si altres rilevato che l'onere di contenere l'incidenza del recupero nasce, a sua volta, dalla esigenza di garantire, attraverso la tutela in tal guisa assicurata al dipendente incolpevole, la continuit ed il buon andamento dei servizi -lato sensu intesi -della p.a. Quand'anche pertanto avesse a riconoscersi, conformemente a quanto sostenuto dall'appellante, che nel caso egli ha percepito in buona fede le somme indebitamente corrispostegli, resterebbe da verificare se l'Amministrazione, procedendone al recupero, si sia attenuta al limite predetto, E la risposta non potrebbe che essere positiva, essendo stato il recupero disposto, giusta evidenziato nella pregressa esposizione in fatto, mediante compensazione del debito con il credito ad esso appellante spettante per effetto degli aumenti retributivi conseguenti all'intervenuta legge 8 agosto 1984, n. 425. Parimenti infondato si palesa il terzo motivo dedotto, con cui l'istante reitera la censura di disparit di trattamento del provvedimento de quo per essersi in casi analoghi l'Amministrazione diversamente determinata. Esattamente il tribunale regionale ha disatteso simile doglianza, muovendo dalla considerazione della natura vincolata del provvedimento di recupero, natura chiaramente emergente dal soprarichiamato indirizzo giurisprudenziale che nel recupero ravvisa, come si detto, il carattere della doverosit. Ora noto che il vizio di disparit di trattamento, quale figura sintomatica dell'eccesso di potere, Iiscontrabile soltanto in seno ai provvedimenti discrezionali {cfr., da ultimo, Cons. giust.. sic., 29 giugno 1988, n. 113; sez. V, 31 marzo 1987, n. 218; sez. IV, 16 marzo 1987, n. 151). (omissis) CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 14 febbraio 1990, n. 77 -Pres. Quartulli Est. Martorelli -Regione Autonoma Valle d'Aosta (avv. Stato D'Amico) c. Bastrenta e Longis. Impiego pubblico -Accordo sindacale Dipendenti enti locali Accordo aziendale ex art. 3 d.P .R. n. 347 del 1983 Formazione Intervento di tutti i dipendenti Mancata partecipazione delle organizzazioni sindacali Illegittimit dell'accordo. La partecipazione delle organizzazioni sindacali alla negoziazione collettiva nel pubblico impiego deve ormai ritenersi -alla luce dei vari provvedimenti legislativi intervenuti (in particolar modo la legge 29 marzo 1983, n. 93, sul pubblico impiego) -istituzionalizzata. , pertanto, invalido l'accordo aziendale -previsto per gli enti locali rl.all'art. 3, lettera C, d.P.R. 25 giugno 1983, n. 347 -concluso con l'inter PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 95 vento di tutti i dipendenti interessati all'accordo stesso ma senza la prescritta partecipazione al procedimento delle organizzazioni sindacali che devono essere ritenute -per l'esigenza di tutela dell'intero comparto di pubblico impiego -gli unici soggetti titolari della contrattazione sindacale (1). (omissis) da condividere il pnmo motivo della Regione diretto contro il capo delle sentenze impugnate relativo alla pronuncia d'illegittimit dell'organo di controllo di quella parte della delibera consiliare 10 aprile 1984, n. 47, con la quale era stato considerato valido ai fini dell'art. 3 d.P.R. 347 l'accordo aziendale non sottoscritto dalle 00.SS. di pi elevata consistenza. Rileva il Collegio che la partecipazione delle 00.SS. alla negoziazione ~ollettiva nel pubblico impiego pu ormai ritenersi istituzionalizzata, ove si tenga conto dei vari provvedimenti legislativi via via intervenuti (legge 20 marzo 1975, n. 70 sul parastato; legge 22 luglio 1975, n. 382 sull'organizzazione della P. A., e, pi recentemente, la legge 29 marzo 1983, n. 93 sul pubblico impiego). Emerge da detta normativa che, al fine di rendere incisivo il principio della contrattazione collettiva, il legislatore ha det (1) La decisione n. 77/1990 del Consiglio di Stato conferma una precedente pronuncia (IV, 6.4.1987, n. 211, in CdS 1987, 1, 502) nella quale il collegio aveva sostenuto che l'intervento di tutti i dipendenti interessati all'accordo aziendale per gli enti locali -ex art. 3, d.P.R. 25.6.1983, n. 347 -non pu supplire alla mancata partecipazione delle organizzazioni sh1dacali al procedimento stante la necessit -deducibile dall'attuale normativa nel settore pubblico e imputabile a inderogabili esigenze di tutela e di perequazione delle posizioni giuridiche nel pubblico impiego -di perseguire, attraverso l'accordo collettivo, una sostanziale omogeneizzazione e la massima trasparenza nella disciplina del rapporto di pubblico impiego. Tale finalit -che esula dagli interessi dei singoli dipendenti, rende addirittura inconcepibile la conclusione di un accordo sindacale senza la partecipazione delle organizzazioni sindacali al procedimento formativo di esso. Il Consiglio di Stato ha, in definitiva, accolto la ratio, emergente in modo particolare dalla legge 29.3.1983, n. 93, sul pubbld.oo impi.ego, dci iliversi provvedi menti legislativi che, a cominciare dal settore ospedaliero, hanno regolato, in tutto il comparto del pubblico impiego, il procedimento per l'attuazione degli accordi collettivi disciplinanti il trattamento economico e gli altri istituti nor mativi dei pubblici dipendenti. La legge quadro sul pubblico impiego stabilisce, infatti, il principio della omogeneizzazione delle posizioni giuridiche presso tutte le amministrazioni, della perequazione e trasparenza dei trattamenti economici nonch dell'efficienza amministrativa, e prescrive, inoltre, che ad essi debbono ispirarsi tanto gli atti normativi quanto gli accordi sindacali e gli atti attuativi emanati in materia (art. 4) al fine di eliminare la deprecabile realt dei trattamenti differenziati. A tal fine previsto (art. 5) che venga concluso -per ogni comparto di con trattazione collettiva -un unico accordo sindacale tra delegazioni delle amministrazioni interessate e delegazioni sindacali del personale. G.M. 96 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO tato norme regolatrici anche in ordine ai momenti ed alle procedure della negoziazione. Sul piano giuridico-istituzionale stato cos previsto che l'assetto normativo delle carriere dei pubblici dipendenti sia realizzato dall'Amministrazione non in aree di discrezionalit (in senso proprio) ma in attuazione dei nuovi modelli. Specificamente, in riferimento all'art. 3 del d.P.R. 347, al procedimento di formazione non potevano non intervenire le maggiori 00.SS. titolari della contrattazione aziendale -per l'esigenza di tutela dell'intero comparto di pubblico impiego -e non gi i dipendenti interessati, non avendo essi veste di rappresentanza delle organizzazioni medesime. Inoltre, l'accordo aziendale, non esaurendo i suoi effetti al presente, era destinato a disciplinare anche le posizioni dei dipendenti futuri e delle quali non erano certamente titolari quelli che, al momento, hanno sottoscritto l'accordo, di guisa che, anche sotto tale angolazione, di tutta evidenza la violazione della disciplina sostanziale e procedimentale dettata per la soggetta materia. 'Alla stregua di dette considerazioni negative, che si saldano con i principi affermati da questa Sezione nella dee. 6 aprile 19S7, n. 211, la prima determinazione del CO.RE.CO., impugnata dinanzi il T.A.R., si appalesa esente dai vizi di legittimit denunciati. Consegue da ci cne: il successivo inquadramento viene travolto per l'invalidit del contratto aziendale, suo presupposto, secondo i decreti dell'organo di controllo nn. 8161 ed 8158/1984. 3. -In conclusione vanno respinti i ricorsi di primo grado dei Signoli Bastrenta e Longis e riformate le sentenze T.A.R. CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 12 marzo 1990, n. 375 -Pres. Salvatore - Rel. Torsello -Miccolis s.p.a. (avv. Amorosino e Guarino) e Min. Trasporti (avv. Stato Stipo) c. Viaggi e Turismo Marozzi s.r.l. (avv. Zammit). Trasporti pubblici -Autolinee in concessione -Potere discrezionale del1' Amministrazione sulle modalit della procedura. Trasporti pubblici Autolinee in concessione -Commissione istituita per il coordinamento dei servizi automobilistici di linea con quelli ferroviari -Istituzione dell'Ente Ferrovie dello Stato -Mancata convocazione -Legittimit. Trasporti pubblici -Autolinee in concessione -Diritto di preferenza per finitimit -Requisiti. Le disposizioni contenute nella legge 28 settembre 1939, n. 1822 non pongono una disciplina analitica delle modalit istruttorie che deve eseguire l'Amministrazione al fine di giungere ad una ompiuta conoscenza i I II I PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 97 e valutazione degli elementi di fatto da porre a base dell'eventuale provvedimento di concessione, rimettendo al potere discrezionale della stessa Autorit la individuazione delle modalit da seguire per una esaustiva conoscenza e per l'apprezzamento dei fatti (1). La commissione per il coordinamento dei servizi automobilistici di linea con quelli ferroviari era stata istituita con decreto del Ministro dei Trasporti 19 ottobre 1962, n. 35 in funzione di collegamento interorganico tra la Azienda delle Ferrovie dello Stato e l'Amministrazione dei Trasporti; avendo la legge 17 maggio 1985, n. 210 creato il nuovo Ente Ferrovie dello Stato e spostato quindi tale relazione sul piano dei rapporti intersoggettivi, non appare ingiustificato che il Ministero abbia ritenuto di adeguarsi alla ratio della nuova disciplina, non pnocedetndo pi alla convocazione della commissione (2). Ai sensi dell'art. 5, comma 2 della legge 29 settembre 1939, n. 1822, la finitimit, ai fini del dir.itto di prefer'enza, va riferita non $-al.tanto alla materiale conness:ione del!e linee, ma anche alla loro interdipendenza in rapponto al complesso economioa e alla finalit dei servizi, damdo rilievo ad una molteplicit di elementi, taluni di carattere materiale, talaltri di carattere finalistico-funzionale, tutti ricollegantisi al cosiddetto bacino di utenza; pertanto non sussiste finitimit nel caso di autolinee che, pur partendo da uno stesso luogo, si svolgono su percorsi diff erenziati e assolvono ad esigenze di traffico ben distinte (3). (omissis) 1. -Con il primo motivo d'appello la societ Miccolis ripropone l'eccezione di inammissibilit, per carenza d'interesse, nei confronti del ricorso proposto in primo grado dalla societ Marozzi. Osserva sul punto l'impresa appellante che la Marozzi, da un lato, ha contestato radicalmente il provvedimento di attivazione della nuova linea, in quanto fortemente concorrenziale con le Ferrovie dello Stato e dall'altro ha lamentato la mancata assegnazione della stessa, che, invece, le sarebbe spettata in quanto titolare di un diritto di preferenza , per essere gi concessionaria di una autolinea Taranto-Bari-Roma. (1-3) Questa decisione fissa alcuni concetti ben precisi in tema di autolimitazione alla discrezionalit dell'Amministrazione, che non deve intendersi in modo statico ma deve essere rapportata all'evolversi delle situazioni che si vengano a creare, come nel caso della istituzione dell'Ente Ferrovie dello Stato, che ha personalit giuridica distinta dallo Stato, a differenza della cessata Azienda Autonoma. Anche sul diritto di preferenza nella istituzione di nuove autolinee, la sentenza in rassegna ha inteso chiarire il concetto di finitimit, che non pu ritenersi sussistente in ogni caso di coincidenza di percorso iniziale o finale. La finitimit, invero, aveva un senso all'epoca della emanazione della legge 28 settembre 1939 n. 1822, quando le autolinee avevano un percorso limitato, colle gando localit vicine; ma oggi inconcepibile ravvisare una finitimit tra autolinee che svolgono un servizio collegando localit di diverse regioni. 98 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Il Collegio ritiene che tale eccezione -limitatamente al .Primo motivo di ricorso in primo grado -sia da accogliere. Occorre al riguardo premettere che il Ministero dei trasporti, con decreto n. 35 del 19 ott0bre 1962, istitu una commissione per il coordinamento dei servizi automobilistici di linea con quelli ferroviari, con il compito di esaminare le questioni relative alle reciproche interferenze tra i servizi stradali e quelli ferroviari. La Societ Marozzi, nel ricorso in primo grado, ha lamentato che la questione della istituzione della nuova autolinea avrebbe dovuto essere sottoposta a tale comrriissione, ai fini della pronuncia sulla domanda, in relazione all'esistenza ed alla entit del danno derivante alle Ferrovie dello Stato e quindi al pubblico interesse; secondo l'appellata, se tale commissione fosse stata regolarmente sentita, si sarebbe certamente espressa in senso contrario alla iniziativa della societ Miccolis, stante la manifesta concorrenzialit con il servizio ferroviario statale. Orbene non pu dubitarsi che, in relazione alla proposizione di tale motivo di ricorso, la societ Marozzi sia carente di interesse. Ed invero, se si procede a valutare preventivamente, secondo la prospettazione della stesa societ appellata, le conseguenze dell'ipotetico accoglimento della censura sull'assetto degli interessi cos come definito dal provvedimento di concessione dell'autolinea ci si avvede che una pronuncia sul punto eventualmente favorevole non arrecherebbe nessuna soddisfazione dell'interesse della Marozzi. Difatti l'acquisizione al procedimento del parere della commissione non potrebbe in alcun modo indirizzare la potest amministrativa verso la concessione della autolinea ad una piuttosto che ad un'altra sociefa, non essendo preordinato istituzionalmente, a soddisfare un'esigenza in tal genere, potendo anzi, come afferma la Marozzi stessa, impedire radicalmente l'esercizio della stessa potest, attraverso la affermazione della concorrenzialit della nuova linea con il servizio ferroviario. Il Collegio peraltro consapevole che, secondo talune pronunce di questo Consiglio di Stato, l'interesse a ricorrere stato rinvenuto anche in una semplice utilit strumentale, derivante dalla ridiscussione della situazione, in conseguenza della rinnovazione dell'atto, suscettibile peraltro solo in via eventuale di concludersi con un nuovo provvedimento sostanzialmente favorevole al ricorrente. Ci non toglie che, nella particolare fattispecie in esame, il vincolo derivante all'Amministrazione da una pronuncia (eventualmente) favorevole sul punto, determinerebbe evidentemente non un generico obbligo di un nuovo esercizio della potest, attraverso la rinnovazione del procedimento; ma un obbligo qualificato dalla necessaria acquisizione allo stesso del parere della commissione predetta; parere che, per quanto sopra detto, non potrebbe arrecare alcun contributo al procedimento, in termini satisfattori per la societ Marozzi. PARTE I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA Pertanto tale motivo d'appello va accolto e va dichiarata la inammissibilit della prima censura proposta in primo grado dalla societ Marozzi. 2. -Senonch nel giudizio intervenuto l'Ente Ferrovie dello Stato, e ha chiesto la reiezione dell'appello della societ Miccolis e quindi la conferma della decisione impugnata, sostenendo la illegittimit della mancata acquisizione del parere dell'organo tecnico. In tal modo il Collegio chiamato ad accertare la effettiva esistenza del vizio dedotto, essendo evidente l'interesse da parte dell'Ente Ferrovi, a far valere tale vizio, a differenza di quanto detto in precedenza per l'impresa Marozzi. . Al riguardo giova premettere che le disposizioni contenute nella legge 1822/1939 indubbiamente non pongono una disciplina analitica delle modalit istruttorie che deve eseguire l'Amministrazione al fine di giungere ad una compiuta conoscenza e valutazione degli elementi di fatto da porre a base dell'eventuale provvedimento di concessione, in tal modo rimettendo al potere discrezionale della stessa Autorit la individuazione delle modalit da seguire per una esaustiva conoscenza e per l'apprezzamento dei fatti. Ci che, in effetti, avvenuto, per quanto riguarda la conoscenza delle eventuali interferenze tra servizi ferroviari e stradali, attraverso la istituzione di una apposita commissione. Orbene, sotto un primo profilo, certamente da respingere la tesi, sostenuta dal Ministero dei trasporti, secondo la quale l'attivit di tale commissione, essendo meramente interna all'Amministrazione, sarebbe inidonea a far sorgere situazioni soggettive tutelate in capo ai soggetti destinatari del provvedimento. In disparte, difatti, ogni considerazione sulla reale portata della distinzione tra attivit interna ed esterna della pubblica amministrazione, non v' dubbio .che anche i c.d. procedimenti non necessari -cio no11 previsti espressamente dall~ norma -appartengono al rilevante giuridico e possano far sorgere delle situazioni giuridiche tutelabili. Ci non toglie che la circostanza che il parere suddetto non sia stato previsto espressamente dall'ordinamento, ma derivi da una determinazione autonoma dell'Amministrazione, non senza ripercussioni sul piano dei vizi che possono inficiare il procedimento seguito, in quanto, come sostiene la societ appellante, la mancata acquisizione al procedimento del parere della commissione non rileva ex se (come avverrebbe se esso fosse previsto espressamente dalla norma) ma unicamente nella misura in c:ui la predetta omissione sia priva di giustificazione e comunque si risolva in un sintomo di una insufficiente rappresentazione dei fatti su cui si basa il provvedimento. Orbene ritiene il Collegio che, nel caso di specie, tale vizio non sussista. 100 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Risulta infatti dal provvedimento impugnato che il Ministero, pur senza la formale acquisizione del parere della commissione, aveva comunque acquisito una completa conoscenza della posizione delle Ferrovie dello Stato, in ordine ai problemi di coordinamento della autolinea in questione con i servizi ferroviari, in occasione della conferenza nazionale delle autolinee di Torino, a cui era seguita la formalizzazione della relativa opposizione. E al riguardo aveva ritenuto, col provvedimento impugnato, che nessuna grave sottrazione di traffico poteva determinarsi nei confronti delle F. S. con l'orario proposto dall'impresa Miccolis che prevede l'orario di partenza da Taranto ... . N, d'altro canto, la mancata acquisizione del parere appare priva di giustificazione. La commissione, difatti~ era stata istituita in funzione di collegamento interorganico tra la Azienda delle Ferrovie dello Stato e l'Amministrazione dei trasporti, con riguardo alla normativa precedente alla legge n. 210/1985. Avendo invece tale legge spostato tale relazione sul piano dei rapporti intersoggettivi, non appare ingiustificato che il Ministero, nel periodo transitorio intercorrente tra l'entrata in vigore della legge (14 giugno 1985) e l'inizio della gestione del nuovo ente (1 gennaio 1986), abbia ritenuto di adeguarsi immediatamente alla ratio della nuova disciplina, non pro-. cedendo pi alla convocazione della commissione, la cui esistenza e funzionalit, del resto, derivava da una determinazione unilaterale dell'Amministrazione. Senza contare che pu seriamente dubitarsi che il quadro normativo di riferimento, all'iepoca dell;;i emanazione del provvedimento, non fosse gi mutato, in quanto, al di l della data dell'inizio della gestione del nuovo ente, fissato al 1 gennaio 1986, dopo l'entrata in vigore della legge (14 giugno 1985) si era indubbiamente prodotta una immutazione, seppure non totalmente operativa, nella natura giuridica dell'Azienda. Pertanto tale censura dev'essere rigettata. 3. -Vengono poi all'esame del Collegio gli ulteriori motivi proposti in primo grado dalla societ Marozzi, dichiarati assorbiti dal Tribunale amministrativo, ed espressamente riproposti in appello, ex art. 346 del c.p.c. In particolare la ricorrente in primo grado deduce la violazione degli artt. 5, 6, 12 della legge 28 settembre 1939, n. 1822, eccesso di potere per travisamento di fatti, contraddittoriet, difetto di istruttoria e di motivazione, nonch sviamento di potere. Il Ministero dei trasporti avrebbe riconosciuto il diritto di preferenza all'impresa Miccolis perch gi esercente un'autolinea di gran turismo sullo stesso percorso; ma le autolinee di gran turismo costituirebbero una categoria diversa dagli autoservizi ordinari, tanto che la legge lo PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA sottopone ad una speciale disciplina; d'altro canto il Ministero avrebbe trascurato di compiere un'indagine sui requisiti prescritti dafla legge per la concessione, consistenti nella titolariet di autoservizi finitimi o, in mancanza, dal possesso di una migliore organizzazione, requisiti posseduti entrambi dalla societ ricorrente, essendo concessionaria di una autoline finitima (Roma-Bari-Taranto in coincidenza a Grottaminarda con la Grottaminarda-Napoli) e molto meglio organizzata sia per il personale che sotto il profilo tecnico e finanziarfo. Al riguardo osserva il Collegio che, nella fattispecie in esame, n l'impresa appellata, n quella appellante, risultano e_ssere titolari, ai sensi dell'art. 5 della legge 29 settembre 1939, n. 1822, di un diritto di preferenza in senso proprio. Invero da escludere, in primo luogo, che la autolinea ordinaria Taranto-Bari-Roma, gi gestita dalla Societ Marozzi, si ponga in relazione di finitimit con la autolinea di nuova istituzione, che si svolge lungo il tragitto Taranto-Salerno-Napoli. Difatti ai sensi dell'art. 5, comma 2, della legge citata, la finitimit va riferita non soltanto alla materiale connessione delle linee, ma anche alla loro interdipendenza in rapporto al complesso econoinico e alla finalit dei servizi; in altri termini la norma in esame, ai fini della sussistenza di tale relazione, d rilievo ad una molteplicit di elementi, taluni di carattere materiale, talaltri di carattere finalistico-funzionale, tutti ricollegantesi al c.d. bacino di utenza. Orbene, nel caso in esame, le autolinee a confronto non si pongono in tale relazione, sia che si considerino le loro caratteristiche topografiche, sia che si abbi ariguardo agli elementi finalistico-funzionali delle stesse. Come osservato in punto di fatto dalla societ Miccolis, e non contestato dalla societ appellante, la linea gestita dalla Marozzi, da Taranto si muove verso Bari -e quindi in direzione dell'Adriatico, -percorre l'autostrada adriatica sino a Canosa, si immette sull'autostrada CanosaAvellino- Caserta e, non toccando le province di Salerno e Napoli, prosegue per Roma; l'altra invece da Taranto percorre l'entroterra lucano lungo la strada basentana, rasentando Potenza e, attraverso la parte meridionale della provincia di Salerno e dirigendosi verso il Tirreno, si immette sull'autostrada del Sole sino a Salerno e prosegue per Napoli sulla Salerno-Pompei. In conclusione si tratta di autolinee che, pur partendo dallo stesso centro -Taranto -si svolgono su percorsi differenziati, e assolvono ad esigenze di traffico ben distinte. Sotto diverso profilo, peraltro, indubbio che neanche la impresa Miccolis possa vantare un diritto di preferenza propriamente inteso. Se vero, infatti, che tale impresa gi gestisce sulla medesima relazione un'autolinea di gran turismo, anche vero che tale posizione 102 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO giuridica, non essendo espressamente contemplata tra quelle che, ai sensi dell'art.;; citato, attribuiscono una posizione privilegiata, non pone la societ in una condizione di preferenza rispetto alle altre, atteso che, come pi volte ribadito da questo Consiglio, le posizioni giuridiche privilegiate contemplate nella norma citata costituiscono un numerus clausu~ Ritiene per il Collegio che la condizione giuridica in cui si trova tale ultima societ, pur non assurgendo al rango sopra detto, possa tuttavia essere presa in considerazione da parte dell'Amministrazione, quale elemento che, nell'esercizio del suo potere discrezionale, sia ritenuto rile vante ai fini della individuazione della soluzione pi idonea a soddisfare, 102 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO giuridica, non essendo espressamente contemplata tra quelle che, ai sensi dell'art.;; citato, attribuiscono una posizione privilegiata, non pone la societ in una condizione di preferenza rispetto alle altre, atteso che, come pi volte ribadito da questo Consiglio, le posizioni giuridiche privilegiate contemplate nella norma citata costituiscono un numerus clausu~ Ritiene per il Collegio che la condizione giuridica in cui si trova tale ultima societ, pur non assurgendo al rango sopra detto, possa tuttavia essere presa in considerazione da parte dell'Amministrazione, quale elemento che, nell'esercizio del suo potere discrezionale, sia ritenuto rile vante ai fini della individuazione della soluzione pi idonea a soddisfare, il problema del traffico su una data relazione automobilistica. In altri termini legittimo e non irrazionale che il Ministero dei Trasporti, nell'assenza di titoli preferenziali, abbia tenuto conto, ai fini della soluzione pi opportuna nel caso concreto, delle esperienze gi acquisite da una societ che con riferimento al medesimo percorso, seppure con riguardo ai servizi automobilistici di gran turismo, abbia dato prova della propria idoneit a svolgere il servizio pubblico richiesto in concessione. TAR Lazio, Sez. III, 23 novembre 1989, n. 2001 -Pres. Borea-Rel. Cimi nelli -Pucci (avv. Pagano) c. OPAFS (avv. Stato Del Gaizo). Ferrovie -Opera di pre:vfdenza e assistenza dei ferrovieri dello Stato Indennit di buonuscita -Giurisdizione della Corte clei conti. Per i dipendenti collocati a riposo o deceduti dopo l'entrata in vigore della legge 17 maggio 1985 n. 210 istitutiva dell'Ente Ferrovie dello Stato, le controversie in materia di indennit di buonuscita ricadono nella giurisdizione esclusiva della Corte dei conti (1). (omissis) 1.1. Al riguardo va premesso che al personale ferroviario l'indennit di buonuscita corrisposta dall'O.P.A.F.S. -Opera di previdenza ed assistenza per i ferrovieri dello Stato -secondo quanto previsto dall'art. 2 della legge 14 dicembre 1973, n. 829, il cui art. 44 comma III riserva, poi, alla Corte dei conti il giudizio sui ricorsi avverso i provvedimenti definitivi dell'ente in materia di prestazioni obbligatorie, compresi quelli inerenti della indennit. Tale ultima disposizione ha subito poi una deroga per effetto dell'art. 6 della legge 20 marzo 1980, n. 75, che ha devoluto alla giurisdizione (1) Nei sensi che l'art. 23 della legge 175.1985, n. 210, non riguarda le controversie previdenziali si sono espresse Cass. 9.6.1989, n. 2821 (in materia di infortuni sul lavoro) e Corte dei conti 17 gennaio 1990, n. 63519 (in materia di pensioni) pubblicate in questa Rassegna, I, 52 e 67). PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA esclusiva dei tribunali amministrativi regionali le controversie in materia di indennit di buonuscita e di indennit di fine servizio del persvnale dello Stato e delle aziende autonome. Senonch detta deroga, con l'entrata in vigore della legge 17 maggio 1985 n. 210 che ha istituito il nuovo Ente delle Ferrovie dello Stato, deve intendersi venuta meno col passaggio a quest'ultimo dei rapporti di lavoro ancora in corso, trattandosi di ente pubblico distinto dallo Stato e come tale, sottratto dall'obbligo di applicazione dell'art. 6 citato. Con l'ulteriore conseguenza che per i dipendenti collocati a riposo o deceduti (come la dott.ssa Gemma Pucci) dvpo l'entrata in vigore della legge n. 210 la norma contenuta dall'art. 44 comma III della legge 1973, n. 829 deve intendersi da quel momento nuovamente tornata in vigore e le controversie da loro (o da chi per loro) intraprese in tema di indennit di buonuscita sono da ritenere di nuovo ricadenti nella giurisdizione esclusiva della Corte dei conti. 1.1.2. N d'altro canto potrebbe sostenersi che l'art. 44, comma III, pi volte citato sarebbe stato definitivamente abrogato dall'art. 6 della legge 1980, n. 75 al punto da non poter tornare in vigore perch a ben vedere -come rettamente evidenzia l'Avvocatura -nella specie deve parlarsi piuttosto d'inefficacia parziale della norma, nei liiniti conseguenti all'applicazione di detto art. 6, che di vera e propria abrogazione. Ed infatti, vero che l'art. 6 della legge 1980, n. 75, nel devolvere ai tribunali amministrativi regionali la materia dell'indennit di buonuscita del personale statale e delle aziende autonome, dichiara espressamente abrogata ogni diversa statuizione ma, poich l'art. 44, comma III, riguar dava pi tipi di controversie previdenziali, detto comma non poteva n considerarsi abrogato in toto n considerarsi abrogato con esclusione delle parti ove si afferma la giurisdizione della Cvrte dei conti sui provvedimenti definitivi, diversi da quelli relativi all'indennit di buonuscita; bens, pi rettamente, la norma doveva intendersi divenuta soltanto inefficace in parte qua ed ovvero liinitatamente al punto risultante in contrasto con l'art. 6. Ne consegue che, una volta mutata l'Azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato in Ente pubblico munito di una propria personalit giuridica distinta dallo Stato, e quindi una volta sottratte al regime instaurato dall'art. 6 della legge del 1980 le controversie in materia di buonuscita, la portata dell'art. 44, comma III, della legge 1973, n. 829, mai venuta meno, si riespansa fino a ricomprendere anche dette controversie. 1.1.3. Peraltro, pur a voler ritenere abrogata la norma in discorso, essa deve intendersi ripristinata in parte qua dall'art. 21 u.c. La quale, ove dispone che fino a quando non sar disciplinato l'assetto generale del trattamento previdenziale e pensionistico dei lavoratori dipendenti, rimane fermo il trattamento in atto all'entrata in vigore della presente PARTE I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 104 legge , indica chiaramente l'intento del legislatore di mantenere in vigore tutta la pregressa disciplina, ivi compresi (stante l'ampio riferimento al trattamento in atto operato dall'art. 21), gli aspetti processuali e quindi anche la norma contenuta nell'art. 44, comma III, che costituiva parte integrante del sistema previdenziale previsto dalla legge 1973, n. 829. 2. Il ricorso, come preannunciato, va per tutto ci dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione, trattandosi di materia che, riguardando indennit di buonuscita maturata da dipendente ferroviario deceduto dopo l'entrata in vigore della legge 1985, n. 210, deve intendersi deferita alla giurisdizione esclusiva della Corte dei conti. SEZIONE QUINTA GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 7 febbraio 1989, n. 733 -Pres. Bile Est. Tilocca -P. M. Grossi (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Laporta) c. Soc. Italinvest (avv. Giovine). Tributi in genere -Norme tributarie -Disposizioni integrative e correttive -Nozione -Retroattivit -Art. 1 d.P .R. 23 dicembre 1974, n. 688 che modifica l'art. 13, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 13; d.P.R. 23 dicembre 1974, n. 688). Sebbene le disposizioni integrative e correttive dei decreti delegati della riforma tributaria non possano qualificarsi come norma di interpretazione autentica, tuttavia dette norme anche quando sono innovative (ed in particolare l'art. 1 del d.P.R. 23 dicembre 1974, n. 688 contiene un precetto nuovo sicuramente non contenuto nella norma originaria del l'art. 13 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643), sono egualmente retroattive per la loro natura, salvo il limite delle situazioni esaurite. Sono disposizioni integrative quelle che esplicano e sviluppano precetti non espressi nelle precedenti disposizioni ma che erano in queste sottintesi gi deducibili in via di interpretazione; sono disposizioni correttive quelle che essendo dirette ad emendare disposizioni gi in vigore che presentino un vizio di illegittimit sono emanate al fine di prevenire una pronunzia di illegittimit costituzionale. Le une e le altre, quando hanno questi caratteri, sono per ragioni diverse retroattive nei confronti sia della Amministrazione che dei contribuenti (1). (1) Sempre occasionata dalla modifica all'art. 13 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643, la giurisprudenza sta elaborando una categoria nuova dd fonti del diritto con efficacia naturalmente retroattisizione relativa alla sua applicazione retroattiva, non pu che riguardare i presupposti d'imposta venuti in essere dopo la sua entrata in vigore. Inoltre il problema di costituzionalit mal posto nell'impugnata decisione, giaeh non configurabile una ingiustificata disparit di trattamento nel succedersi tra normative diverse. Il ricorso va rigettato. 2. -La legge 9 ottobre 1971, n. 825 deleg il Governo a rifornmre quasi per intero il sistema tributario secondo i principi costituzionali del concorso di ognuno in ragione della propria capacit contributiva e della progressivit e secondo i principi, i criteri direttivi e tempi determi nati da essa stessa (art. 1), con uno o pi decreti aventi valore di legge ordinaria da emanarsi previo il parere di una commissione composta da quindici senatori e quindici deputati, nominati dai Presidenti delle rispettive Assemblee (art. 17, comma I). La legge inoltre autorizz (art. 17, comma 2) il Governo ad emanare disposizioni integrative e correttive, nel rispetto dei principi e criteri direttivi determinati da essa stessa (ossia quelli fissati nell'art. l, sopra riprodotti) e previo parere della commissione parlamentare innanzi indicata. La legge in particolare stabili (art. l, comma l, n. Ili) I' istituzione dell'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili e la contemporanea abolizione dell'imposta sull'incremento di vafore delle aree :fubbricabili e dei contributi di miglioria fissando, poi, i principi e i criteri direttivi ai quali doveva niformarsi la disciplina delegata del nuovo tributo (art. 6). Fra tali principi e criteri direttivi occorre qui ricordare quello norme integrative e norme interpretative, sembra piuttosto arbitrario identificare le norme correttive con quelle dirette a prevenire una eccezione di illegittimit costituzionale. Ma restano ancora seri dubbi sulla portata retroattiva delle disposizioni integrative e correttive. Sembra che in fondo la sentenza riconosca la retroattivit a quelle disposizioni che rispondono alle definizioni date di norme integrative e di norme correttive; ma vi sono certamente fra i decreti emanati in forza della delega dell'art. 17 secondo comma della legge n. 825 del 1971 disposizioni che non rientrano in queste definizioni o per le quali la ricomprensione problematica. In conclusione quello che si pu dire che va a consolidarsi la giurisprudenza sull'art. 13 del d.P.R. n. 643/1972, sia pure per diverse considerazioni. La generalizzazione della questione lascia ancora molti dubbi. In argomento v. TESAURO, Sulla distinzione tra disposizioni interpretative, integrative, correttive e modificative nella legislazione tributaria delegata in Riv. dir. finanz., 1990, II, 9. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA secondo il quale nella determinazione della differenza imponibile fra il valore finale dell'immobile ed il suo valore iniziale, quest'ultimo doveva essere aumentato delle spese di acquisto, di costruzione e incrementative . L'imposta in parola venne istituita con d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, il quale stabilisce, all'art. 11, che ai fini del calcolo dell'incremento imponibile il valore iniziale del bene maggiorato delle spese di acquisto, di costruzione ed incrementative riferibili al periodo considerato per la determinazione dell'incremento stesso e, all'art. 13, che si considerano spese di costruzione ed incrementative quelle relative ad opere ed utilit esistenti alla data di determinazione del valore finale del bene, includendosi fra le utilit la liberazione del bene da servit, oneri reali ed altri vincoli. Il d.P.R. 23 dicembre 1974, n. 688, che s'intitola disposizioni integrative e correttive del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, concernente istituzione dell'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili e che nel preambolo richiama, fra l'altro, la legge 9 ottobre 1971, n. 825 e d atto dell'espresso parere della commissione parlamentare istituita a norma dell'art. 17 della detta legge, dispone nell'art. 1: Al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 643 ...sono apportate le seguenti integrazioni e correzioni: Art. 13 sostituito dal seguente: Spese di costruzione ed incrementative. -Si considerano spese di costruzione e incrementative quelle specificamente relative ad opere ed utilit esistenti alla data di determinazione del valore finale, comprese le spese effettuate per liberare l'immobile da servit, oneri e altri vincoli e per demolire le costruzioni esistenti sulle aree utilizzate ai fini edificatori. Per le opere eseguite in economia, qualora siano documentate soltanto le spese di acquisto del materiale impiegato, il relativo importo aumentato del cinquanta per cento. Per le aree fabbricabili la cui edificazione subordinata a norma di legge all'accollo delle spese per la urbanizzazione primaria o secondaria, il valore iniziale maggiorato anche della quota parte di tali spese, ancorch non eseguite alla data del trasferimento, da computarsi, con ferimento all'edificabilit specifica dell'area, in base all'importo risultante dalle convenzioni o da altri atti di impegno stipulati con i comuni ovvero dalle delibere adottate in merito dai 1.,.omuni stessi. Il contribuente deve versare l'imposta corrispondente alla maggiorazione qualora non provvede all'ultimazione delle opere di urbanizzazione nei termini stabiliti . 3. -La questione su cui si controverte nel presente giudizio se tal ultimo comma sia o meno applicabile alle situazioni maturatesi prima dell'entrata in vigore del relativo decreto, giacch gli atti di alienazione, cui nella specie si ha riferimento, conclusi, appunto, nella vigenza del testo originario dell'art. 13, riguardano terreni per la cui urbanizzazione RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO la societ venditrice era obbligata ad accollarsi le future spese. La decisione impugnata, come sopra si precisato, ha accolto la soluzione positiva motivandola, soprattutto, con l'affermazione che la modifica all'art. 13 si deve considerare interpretativa e come tale appli cabile anche ai rapporti sorti prima della sua entrata in vigore . La sentenza n. 6252 del 1987 della prima sezione civile di questa Corte, pronunciata fra le stesse parti e a seguito di impugnazione di una decisione pure della Commissione centrale, che aveva anch'essa ravvisato nell'art. 1 d.P.R. n. 688 una norma interpretativa dell'originario art. 13, ha esattamente osservato che il concetto di norma interpretativa non si addice ad una norma sostitutiva (qual l'art. 1 cit.), la quale assume come proprio referente non la norma anteriore ma (direttamente) la fattispecie sostanziale regolata e si porge, perci, come norma di prime grado. Non si pu tuttavia condividere il ragionamento posto nella citata sentenza a fondamento del giudizio espresso, secondo il quale la norma sostitutiva (in esame, cio il terzo comma del nuovo testo dell'art. 13) deve ritenersi applicabile anche ai rapporti anteriori non ancora defi niti . Sostiene, in particolare, la sentenza che nell'ambit delle disposizioni integrative e correttive, previste dalrart. 17, comma secondo, legge n. 825 del 1971, si debbono distinguere disposizioni innovative, valevoli come tali -solo per l'avvenire, e disposizioni non innovative, dotate di efficacia retroattiva e che queste . ultime si esauriscono nella semplice riformulazione di precetti normativi che ne esprima pi adeguatamente la portata senza modificarne la sostanza, rimediano, cio, ad inadeguatezze espressive delle norme sostituite senza rimetterne in discussione l'efficacia nel tempo. Di questa tecnica si serve normalmente il legislatore delegato quando le proprie norme presentino siffatte inadeg~atezze non potendo egli fruire autonomamente dell'alternativa offerta dalla retroattivit propria dell'interpretazione autentica . Indi, prosegue la sentenza, una volta verificata l'identit di contenuto precettivo fra nuovo e vecchio testo la norma sostitutiva deve ritenersi applicabile anche ai rapporti anteriori non ancora definiti . La norma dell'art. 1 d.P.R. n. 688 del 1974 nelfa parte in cui sostituisce l'art. 13 non che una riformulazione del medesimo, anche per quanto riguM'da la computazione, ai fini della determinazione del valore iniziate, delle spese di urbanizzazione non ancora effettuate all'atto del trasferimento. Certo, il n>stro ordinamento giuridico conosce disposizioni meramente ripetitive di altre gi in vigore, come, ad es., nell'ipotesi di testi unici che si limitino a riprodurre tali quali (spesso pure nella forma) disposizioni anteriori, emanate in tempi diversi, ai fini di una loro pi agevole individuazione ed applicazione (a proposito si parla di t.u. non innovativi o compilativi di contro a t.u. innovativi: Cort. Cost., sent. n. 54 del 1957). Sebbene da una parte della dottrina si sostenga che anche il mutare PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA l'ordine e la collocazione delle norme precedenti o una semplice operazione di coordinamento formale delle medesime comporti una modificazione, sia pur minima, da escludere che si possa parlar di ripetizione, la dottrina tuttora largamente prevalente e la giurisprudenza della Corte Costituzionale ritengono che le disposizioni meramente ripetitive siano prive di contenuto normativo ed abbiano soltanto valore di fonti di cognizione, mentre conservano vigore le norme riprodotte e sono esse che disciplinano la relativa materia. Ora, a parte il rilievo che la sentenza citata applica la nozione di disposizione ripetitiva (o non innovativa) anche all'ipotesi in cui la disposizione successiva, senza assumere la connotazione di norma d'interpretazione autentica, venga emanata al fine di rimediare ad inadeguatezze espressive della disposizione precedente e, quind, di superare i dubbi interpretativi cui quest'ultima abbia dato o potese dar luogo, a parte, inoltre, la considerazione che la sentenza a siffatta disposizione attribuisce ad un tempo carattere non innovativo e l'efficacia di regolare direttamente le fattispecie, persino quelle perfezionatesi anteriormente, va osservato che la disposizione qui in esame, lungi dal costituire una mera riformulazione di un precetto gi in vigore, pone e crea, invece, un precetto sicuramente non contenuto nell'originaria normativa. L'art. 13, comma primo, del primitivo testo esigeva, senza alcuna eccezione, ai fini della maggiorazione del valore iniziale dell'immobile, che le spese incrementative fossero state gi effettuate. Il terzo comma del testo vigente, che non trova assolutamente riscontro nel testo precedente, oltre che includere fra le dette spese quelle per la urbanizzazione primaria e secondaria delle aree fabbricabili la cui edificazione subordinata a norma di legge all'accollo delle medesime, dispone che esse debbano detrarsi ancorch non eseguite alla data del trasferimento. E in conseguenza di tale innovazione il terzo comma stesso introduce la disposizione, ovviamente inesistente nel testo originario, secondo la quale il contribuente deve versare l'imposta corrispondente alla maggiorazione qualora non provveda all'ultimazione delle opere di urbanizzazione nei termini stabiliti. Che l'art. 11, (rimasto tuttora invariato), pure sopra trascritto, richieda che le spese incrementative siano riferibili al pe riodo considerato per la determinazione dell'incremento stesso non comportava, nella vigenza del vecchio testo del successivo art. 13, che le spese per l'urbanizzazione fossero detraibili pur se ancora non effettuate (come si ritiene nella cit. sent. n. 6252 del 1987), poich esso andava coordinato con quest'ultimo articolo che consentiva, appunto, la compu tazione, senza alcuna deroga, delle sole spese gi sopportate dall'alienante. L'art. 11 stabilisce il periodo al quale debbano riferirsi le spese incre mentative per poter concorrere alla determinazione del valore iniziale dell'immobile e l'art. 13 del vecchio testo limitava, dal suo canto, la detra RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO zione, fra le spese riferibili al detto periodo, esclusivamente di quelle eseguite. 4. -A proposito del cenno critico che nella pi volte citata sentenza viene rivolto alla circolare 30 gennaio 1975, n. 3 del Ministero delle Finanze (indicata anche nella decisione impugnata) si deve osservare che la deroga prevista dal terzo comma del vigente art. 13 attiene al presupposto dell'imposta, ossia al momento genetico del rapporto tributario, tant' vero che in astratto la computazione delle spese per l'urbanizzazione, pure se ancora non effettuate, potrebbe elevare il valore iniziale ad un importo pari od addirittura superiore a quello finale con la c011seguenza che non sorgerebbe l'obbligazione tributaria. Proprio il fatto che la nuova disposizione investa il presupposto dell'imposta, dovrebbe far ritenere, contrariamente a quanto sembra affermarsi nella suindicata sentenza, che essa, ove non sia altrimenti desumibile la retroattivit, non possa farsi risalire alle situaz!oni maturatesi anteriormente alla sua entrata in vigore. Infatti, principio fondamentale che ogni fattispecie tributaria, salvo che non sia diversamente stabilito, regolata, quanto ai suoi momenti costitutivi, dalla legge vigente alla data in cui essa si perfezionata. Solo gli effetti non esauriti di un rapporto giuridico sorto antecedentemente possono essere disciplinati dalla norma nuova e ci, per di pi, solo quando questa sia diretta a regolare soltanto gli effetti medesimi, in se stessi ed indipendentemente dal fatto cui essi si ricollegano. 5. -I risultati fin qui raggiunti, e cio che il terzo comma dell'art. 13 del nuovo testo ha carattere innovativo, non ha natura di norma di interpretazione autentica ed investe il presupposto dell'invim, non consentono di attribuirgli efficacia retroattiva. Tuttavia l'esame va ulteriormente approfondito e poich il Governo, per sostituire il testo originario dell'art. 13, si valso, come si gi detto, della delega legislativa ad emanare disposizioni integrative correttive, di cui all'art. 17, comma 2, della legge n. 825 del 1971, occorre in particolare accertare se siffatte disposizioni possano essere dotate di efficacia retroagente in conseguenza della loro natura e funzione. Disposizioni integrative sono quelle che esplicano e sviluppano principi, aspetti, precetti non espressi da precedenti disposizioni ma in questi sottintesi e perci gi deducibili in via di interpretazione. A differenza delle disposizioni di attuazione che sono necessarie perch altre disposizioni diventino concretamente operanti (ex nunc), quelle integrative non hanno la funzione di rendere possibile l'applicazione, che gi ha e pu aver luogo, delle disposizioni alle quali si riconnettono, ma soltanto di esplicitare e dispiegare, con valore vincolante, tutto quanto tali ultime disposizioni sono suscettibili di rappresentare, seppure non emergente dal loro contenuto immediato. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Le disposizioni integrative soddisfano l'esigenza della certezza e del l'uguaglianza di trattamento giuridico di fronte alla variabilit e sogget tivit delle integrazioni non legislative. Ricorre perci un fenomeno ana logo alla interpretazione autentica; tuttavia, la disposizione integrativa si differenzia nettamente da quella di interpretazione autentica poich essa, pur presupponendo (al pari di quest'ultima) gi esistente il precetto giu ridico che enuncia, non si pone il problema di stabilire ed imporre un determinato significato, fra i vari astrattamente possibili, di una norma antecedente, ma di individuare (con valore vincolante) il preciso precetto deducibile dalla norma o dalle norme cui accede. Disposizioni correttive sono, invece, quelle dirette a emendare dispo sizioni gi in vigore che presentino secondo l'apprezzamento del legislatore delegato (ed ovviamente del Parlamento) un vizio di illegittimit perch contrastino direttamente con una norma costituzionale o violino i criteri fissati dalla legge delega o comunque i limiti della delega stessa o, infine, perch si rivelino irragionevoli. Si tratta di un potere attribuito al Governo dal Parlamento (che potrebbe provvedervi direttamente) al fine di prevenire una pronuncia di illegittimit da parte della Corte Costituzionale e comunque al fine di -armonizzare la disposizione precedente all'ordinamento costituzionale nell'interesse della collettivit nazionale alla stabilit e certezza della nor mativa in un settore di particolare rilevanza generale, qual la materia tributaria. Perci per accertare in concreto se si tratti di disposizione modi ficativa in senso proprio (non inclusa nell'ambito della delega legislativa) o di disposizione correttiva occorre risalire alla ratio legis e considerare, altres, se la precedente disposizione che si dichiara eventualmente nel titolo o nel preambolo {come nel decreto n. 688 del 1974) o nel testo del decreto delegato di correggere, ponga o meno un'attendibile questione di legittimit costituzionale (cos come bisogna far capo alla ratio legis e considerare la norma precedente se si tratti effettivamente o meno di norma integrativa). Il legislatore delegato per operare la correzione talv>lta aggiunge al testo in vigore o sopprime dal medesimo parole, incisi, parti di espressione o commi interi; e talvolta sostituisce in tutto o in parte il testo originario con un altro, per cui pu accadere che il nuovo testo ripeta tal quale, anche formalmente, la disposizione precedente, con la sola eliminazione della parte ritenuta illegittima o con l'aggiunzione di una parte ritenuta idonea a renderla legittima (il che ricorre, appunto, a proposito dell'art. 13, qui in considerazione). Analogo il procedimento di cui di solito si serve il legislatore delegato per le disposizioni integrative: esso, precisamente, talvolta le emana lasciando immutata la disposizione principale corrispondente e talvolta sostituisce quest'ultima disposizione riformulandola gi con l'integrazione. 112 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 6. -Le disposizioni integrative e quelle correttive hanno, per ragioni diverse, efficacia retroattiva, salvo che non si tratti di situazioni esaurite. L'efficacia retroattiva delle disposizioni integrative si evideniia sicuramente ove ci si soffermi a considerare che esse esplicitano, come si detto, precetti gi sottintesi o impliciti nelle corrispondenti disposizioni principali e dispiegabili in sede d'interpretazione. I precetti esplicitati vengono posti con la stessa norma principale e derivano dalla medesima fonte dalla quale questa promana, mentre la disposizione integrativa si limita ad individuarli e formularli in un apposito testo legislativo, con valore perci vincolante e sotto questo riflesso essa ha indubbio carattere normativo. L'efficacia retroattiva delle disposizioni correttive si spiega con il rilievo che esse sono rivolte ad emandare norme che presentano secondo l'apprezzamento del Governo vizi di legittimit costituzionale e, quindi, di invalidit ex tunc nelle parti che vengono appunto emendate. In sostanza la legge delegata, che si propone di prevenire la dichiarazione di illegittimit da parte della Corte Costituzionale, deve poter incidere sul testo normativo come avrebbe inciso siffatta dichiarazione. Sarebbe un non senso che la legge delegata corregga una disposizione che si palesa illegittima, lasciandola in vigore per le situazioni perfezionatesi anteriormente ma ancora non esaurite e consentendo per queste il ricorso alla Corte Costituzionale, che essa si propone di prevenire e di evitare nell'interesse generale alla stabfilit e certezza della normativa in settori di particolare e delicata rilevanza sociale. D'altro canto se il Parlamento ha delegato il Governo ad emanare disposizioni integrative e correttive che per la loro finalit e natura sono destinate ad incidere con efficacia retroattiva sulle disposizioni integrate e corrette, sembra logico escludere che occorresse un esplicito conferimento al Governo del potere di legiferare con siffatta efficacia, nonch un'apposita dichiarazione nella legge delegata che le disposizioni correttive ed integrative da essa contenute si applicano anche alle situazioni anteriori non esaurite. Giova sottolineare che le disposizioni integrative e correttive operano ex tunc, con il limite del giudicato, sia nei confronti dell'amministrazione che nei confronti del contribuente, e questo loro retroagire non pu incontrare preclusioni per il rilievo che potrebbe ledere aspettative gi createsi, poich aspettative meritevoli di tutela non possono fondarsi su deduzioni integrative ad opera dell'interprete (necessariamente soggettive e perci dubbie e modificabili finch non siano trasfusi in un accertamento passato in giudicato) e tantomeno su disposizioni che si rivelino costituzionalmente illegittime e pertanto sempre suscettibili di essere eliminate con efficacia ex tunc ed erga omnes (ad opera della Corte Cost.), con salvezza soltanto delle situazioni gi esauritesi. PARTB I, SBZ. V, GI~ISPRUDBNZA TRIBUTARIA 113 7. -Una volta gi escluso che la disposizione -introdotta dall'art. 1 d.P.R. n. 688 del 1974 con l'aggiunta del terzo comma al testo riformulato dell'art. 13 del decreto istitutivo dell'invim -che include fra le spese detraibili anche quelle relative ad onere di urbanizzazione, ancorch non eseguite, fosse deducibile dal testo originario del detto art. 13 o potesse essere ricavabile dall'art. 12 o da altra norma dello stesso decreto istitutivo dell'invim, ne discende che la menzionata disposizione non pu inquadrarsi fra le disposizioni di carattere integrativo nel senso sopra illustrato. certo, invece, che quella disposizione si inquadri nell'ambito delle disposizioni correttive. Era, infatti, sicuramente irragionevole (per le penetranti considerazioni svolte al riguardo nella pi volte cit. sent. n. 6252) che ne] testo originario dell'art. 13 non fossero incluse fra le spese computabili per la determinazione del valore iniziale dell'immobile quelle per l'urbanizzazione primaria e secondaria, ancorch non ancora eseguite alla data dell'alienazione. Il fatto che l'alienante avesse gi ottenuto a tale data, con la stipulazione della convenzione di urbanizzazione, la possibilit di edificare sul fondo si traduceva in una maggiore appetibilit del fondo medesimo e, quindi, in un aumento del valore, finale, valutabile ai fini dell'accertamento dell'imponibile, mentre non si poteva tener conto, ne] calcolare il valore iniziale, delle spese, ormai obbligatoriamente gravanti sull'alienante stesso, per attuare l'urbanizzazione e determinare, perci, quell'incremento del valore finale dell'immobile. Tanto pi che, qualora l'alienante non vi avesse ottemperato, avrebbe potuto essere chiamato al versamento dell'imposta corrispondente all'attribuita maggiorazione de] valore iniziale. Pertanto con il terzo comma dell'attuale testo legislativo dell'art. 13 il legislatore delegato si proposto di rimediare a tali irragionevolezze; trattandosi, dunque, di una disposizione con funzione correttiva, essa si applica agli atti di alienazione ai quali ha riferimento la controversia, seppure conclusi anteriormente all'entrata in vigore del d. n. 688 del 1974 con il quale venne introdotta la detta disposizione (omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 7 febbraio 1989, 734 -Pres. Brancaccio Est. Cantillo -P. M. Amatucci (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Tallarida) c. Ente Regionale di Sviluppo Agricolo in Abruzzo (avv. Scoca). Tributi erariali indiretti -Imposta di registro e INVIM -Riforma fondiaria Assegnazione di Terreni -Assoggettabilit alla imposta di registro Non assoggettabilit all'INVIM. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 41, 48 e 49; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 2). L'assegnazione di terreni espropriati per l'attuazione della riforma fondiaria, quale concessione traslativa di un bene patrimoniale indispo 114 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO nibile, soggetta all'imposta di registro commisurata al prezzo convenuto di accertamento del valore invece114 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO nibile, soggetta all'imposta di registro commisurata al prezzo convenuto di accertamento del valore invece senza possibilit e non soggetta all'INVIM (1). I (omissis) 1. -I due ricorsi, proposti contro la stessa decisione, debbono essere riuniti (art. 335 c.p.c.). 2. -Con i due motivi del ricorso principale, che possono essere esaminati insieme perch strettamente connessi, l'Amministrazione finanziaria -denunziando la violazione degli artt. 26, 41, 48 e 49 del d.P.R. 2u ottobre 1972, n. 634, e degli artt. 2, 20 e 31 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643 -critica la decisione della Commissione tributaria centrale per avere escluso che le assegnazioni di terreni da parte degli enti di riforma fondiaria siano soggette alla normale imposta di registro in base al loro valore venale e che in relazione ad esse sia dovuta l'invim. Sostiene che l'assegnazione, pur inquadrandosi ontologicamente nello schema della concessione, attuata mediante contratto di vendita avente carattere privatistico, al quale ai fini fiscali va riconosciuta, nonostante il patto di riservato dominio. la natura di atto immediatamente traslativo giacch, ai sensi dell'art. 26, comma 3, cit., le vendite con riserva di propriet non sono considerate sottoposte a condizione sospensiva; e che pertanto si riscontrano i presupposti di entrambi i tributi, la cui disciplina risulta integralmente applicabile con riferimento al valore in comune commerG_io del terreno assegnato. 3. -La censura infondata. La problematica che essa propone all'esame delle Sezioni Unite at tiene al trattamento fiscale degli atti di assegnazione delle terre di riforma fondiaria da parte degli enti di sviluppo in agricoltura, occor rendo stabilire se tali atti debbano essere assoggettati all'imposta di registro con aliquota proporzionale e, in caso positivo, se a questo scopo possa procedersi ad accertamento di valore, secondo la disciplina ordi naria; ed altres se gli atti medesimi siano assoggettabili all'invim, sta bilendo se in capo all'ente concedente possa configurarsi un incremento di valore imponibile. Al riguardo sono intervenute due sentenze della I Sezione di questa Corte, pressoch coeve, le quali, per, hanno dato ai quesiti risposte parzialmente diverse. La sent. n. 7314 del 1987, valorizzando gli aspetti pubblicistici del .l'atto di concessione, ha ritenuto dovuta l'imposta di registro con l'aliquota proporzionale, ma in relazione al prezzo stabilito nell'atto concessorio secondo i parametri tassativi stabiliti dalla legge, senza possibilit di accertare un diverso valore in base ai criteri ordinari; e ha ritenuto, (1) Si prende atto della decisione che ha composto i dissensi sorti in passato. I f.: f.: 1 I - PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA invece, assolutamente inapplicabile l'invim, non potendosi mai configurare, appunto per il peculiare meccanismo di formazione del prezzo, un incre mento di valore suscettibile cli tassazione;. La sent. n. 7345 del 1987 ha fatto leva, invece, sul carattere priva tistico della vendita con riserva di propriet con cui si d attuazione alla concessione amministrativa, pervenendo perci alla conclusione che essa non si sottrae al normale regime impositivo e deve scontare l'imposta di registro e l'invim come atto traslativo definitivo, operando la regola che considera tale anche la vendita con riserva di propriet (art. 26 legge di registro). Le due pronunce, quindi, pur collocandosi in un'ottica concettuale diversa in ordine alla natura dell'atto di assegnazione, convengono en trambe sulla sua assoggettabilit all'imposta proporzionale di registro; e poich la seconda di esse deliberatamente non si occupa della questione dell'ammissibilit dell'accertamento di valore, il dissenso. riguarda, in realt, esclusivamente la soggezione all'invim. Le Sezioni Unite, chiamate a comporre il contrasto, condividono l'opi nione espressa dalla prima sentenza. 4. -Quanto alla natura giuridica degli atti di cui si discute, nella giurisprudenza delle sezioni unite si da tempo consolidato il principio secondo cui nell'assegnazione delle terre espropriate in attuazione della riforma fondiaria, ai sensi degli artt. 17 ss. I. n. 230 del 1950 e succ. modif., si configura una complessa fattispecie, riconducibile nello schema delfa concessione -contratto, che si articola in un provvedimento amministrativo concessorio del terreno, il quale un bene pubblico della categoria dei beni indisponibili, e in una convenzione attuativa diretta al trasferimento del bene, che la legge qualifica come vendita con riserva di pro. priet, prevedendosi il pagamento rateale del prezzo e il riservato dominio dell'ente concedente fino all'integrale pagamento del corrispettivo (v., fra altre, sent. n. 5922 del 1983; n. 4934 e 292 del 1982; n. 6596 del 1981). Per quanto pi direttamente interessa la problematica in esame, stato altres precisato che medio tempore, fino al verificarsi dell'effetto traslativo, viene attribuita all'assegnatario una posizione giuridica di godimento del terreno coerente con i fini di interesse pubblico perseguiti, in quanto durante tale periodo deve gestire l'impresa agricola secondo le direttive imposte dalla legge o impartite dall'ente concedente, il quale esercita il controllo e conserva poteri autoritativi idonei ad incidere sulla posizione soggettiva dell'assegnatario medesimo. Ci non implica, perci, che si possano ravvisare distinti rapporti destinati a succedersi nel tempo, l'uno transitorio di carattere obbligatorio, l'altro definitivo di carattere traslativo-reale, giacch si tratta di momenti inscindibili di unico rapporto complesso, la cui funzione consiste non gi nell'attribuzione del godimento di cosa altrui, ma nel trasferimento della propriet. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Non pu essere condivisa, quindi, la motivazione della decisione impugnata l dove nega, agli effetti fiscali, la natura traslativa dell'assegnazione, la quale, invece, d vita ad un rapporto unitario in cui la funzione traslativo-reale affidata ad un negozio strutturato come compravendita con riserva di propriet e pagamento differito del prezzo. E poich, ai sensi del!l'art. 26 del d.P.R. n. 634 de1 1972, la vendita con riserva di propriet non viene considerata sottoposta a condizione sospen ' siva e non beneficia, quindi, della registrazione con imposta fissa prevista per i negozi sospensivamente condizionati, si deve affermare che gli atti in questione sono soggetti all'imposta di registro con aliquota propor. zionale (tariffa all. A, art. 1) e presentano, in astratto, le caratteristiche della tassabilit con l'invim. Senza dire che, per quanto concerne l'imposta di registro, ad uguale conclusione si dovrebbe pervenire anche se si desse prevalenza all'aspetto 'concessorio del rapporto, annoverandolo, cio, fra le concessioni amministrative di beni pubblici -demaniali o indisponibili, giacch nella nuova legge di registro la tassazione indipendente dal nomen iuris dell'atto ed correlata, invece, agli effetti fiscalmente rilevanti che esso idoneo a produrre, con la conseguenza che l'atto in questione, dando luogo ad una situazione di godimento destinata ad assumere consistenza reale, ugualmente dovrebbe scontare l'imposta proporzionale ex art. 1 della tariffa suddetta (sulla tassazione degli atti di concessione di beni demaniali, da ultimo, v. sent. n. 4631 del 1986 e n. 5627 del 1983). 5. -I principi innanzi ricordati tuttavia escludono con altrettanta evidenza la possibilit di sottoporre gli atti in questione ad accertamento di maggior valore, ai sensi degli artt. 48 e 49 della legge di registro. Come si accennato, i terreni oggetto del rapporto di assegnazione appartengono ad enti pubblici {tali sono gli enti di riforma, ora di sviluppo) e hanno uno statuto analogo a quello di beni indisponibili, essendo destinati ai fini di interesse pubblico della riforma agraria e fondiaria (valorizzazione delle terre attraverso il miglioramento colturale, razionale ripartizione della propriet, etc.) e potendo essere sottratti a tale destinazione solo nei modi tassativamente previsti dalle leggi in materia. Ai sensi del secondo comma dell'art. 830 e.e., i beni degli enti pubblici non territoriali, se destinati ad un pubblico servizio, sono assoggettati alla stessa disciplina di quelli appartenenti allo Stato e agli enti territoriali (art. 128, comma 2); e poich la destinazione a pubblico servizio va intesa in senso ampio, sussistendo tutte le volte che il bene sia adibito ad una funzione direttamente attinente al fine perseguito dall'ente, noq contestabile che siffatta destinazione si riscontra per i terreni in questione, i quali sono stati espropriati e vengono assegnati a 'privati coltivatori, che abbiano la qualit di diretti lavoratori manuali del terreno, per essere utilizzati dagli stessi e da loro predeterminati aventi causa . i ~ f f l ~ I ! II PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 117 (art. 18 1. n.' 230 del 1950) per il raggiungimento delle finalit pubbliche suddette '(e agli stessi obiettivi sono correlati gli obblighi gravanti sul concessionario dopo l'assegnazione e i corrispondenti poteri pubblicistici degli enti concedenti). Tanto trova conferma nella disciplina del prezzo di assegnazione, che non quello venale del bene n remunerativo, ma ha soltanto la funzione di ristorare in parte gli enti di sviluppo delle spese sopportate per l'acquisto e il miglioramento dei terreni, giacch, ai sensi dell'art. 17 comma 2, assicura il riII?-borso delle somme pagate per indennit di espropriazione e di 2/3 del costo delle migliorie. In relazione a tali beni, cos sottratti al libero mercato, la base imponibile deve necessariamente essere commisurata -in conformit al primo criterio dettato per i contratti traslativi dal n. 1 dell'art. 41 legge di registro -al prezzo come sopra determinato nell'atto di assegnazione, senza che sia possibile far capo al valore venale; n in ci si riscontra deroga alla seconda parte di detta disposizione -che assume come base imponibile il valore venale quando i corrispettivi pattuiti siano inferiori ad esso -giacch questo criterio non pu operare, manifestamente, se per il bene trasferito non sia configurabile un diverso valore di mercato. Appunto per questa ragione non pu_ trarsi contrario argomento dell'art. 42 della legge, che per le espropriazioni forzate e--i trasferimenti coattivi espressamente dispone che l'imponibile dato dal prezzo di aggiudicazione e, rispettivamente, dall'ammontare dell'indennizzo; in tali fattispecie, infatti, l'esclusione del criterio del valore venale, in astratto utilizzabile, costituisce deroga alla disciplina suddetta, mentre tanto non si verifica per le ipotesi in esame, in cui l'utilizzazione di quel criterio oggettivamente impossibile per la particolare natura del bene trasferito. Resta escluso in radice, quindi, che per gli atti in questione si possa procedere ad accertamento di maggior valore, ai sensi degli artt. 48 e 49 della legge, sicch l'imposta proporzionale di registro va sempre liquidata sul prezzo determinato per l'assegnazione. 6. -Le osservazioni fatte circa la disciplina di formazione del prezzo conducono a negare anche l'esistenza di un incremento di valore del bene assoggettabile all'invim nei confronti dell'ente concedente. Il presupposto materiale del tributo dato dall'incremento di valore degli immobili fra la data dell'acquisto e quella dell'atto di alienazione (o del decorso decennio), ai sensi degli artt. 1 e 6 del d.P.~. n. 643 del 1972. E nelle ipotesi in esame un incremento di valore a favore dell'ente concedente non pu mai verificarsi, in quanto il prezzo dell'assegnazione per legge non pu essere superiore all'indennit di espropriazione corrisposta per l'acquisizione del terreno. N per determinare il paTametro finale di riferimento possibile far capo al criterio del valore venale, per le stesse ragioni per cui l'accertamento di maggior valore escluso ai fini dell'imposta di registro . ,.,.,,,,,...,,,,,.,,j 118 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO A conferma di ci, va segnalato, infine, che anche il permanere del fondo presso l'ente concedente ritenuto dalla legge non produttivo di incremento di valore, in quanto espressamente esclusa la tassabilit per decorso del decennio (art. 25, lett. N, d.P.R. n. 643 del 1972). (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 9 febbraio 1989, n. 801 -Pres. Bologna Est. Favara -P. M. Martinelli (diff.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Laporta) c. Donati (avv. Di Maio). Tributi erariali indiretti -Imposta sul valore aggiunto -Accertamento Presunzioni -Presunzioni legali e presunzioni semplici -Concorrenza. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 53 e 54). L'infedelt della dichiarazione, quando non pu essere dimostrata con prove dirette, pu essere basata sia sulle presunzioni legali dell'art. 53 sia su presunzioni semplici, gravi precise e concordanti; le presunzioni legali e le presunzioni semplici possono concorrere (1). (omissis) Con l'unico motivo di ricorso l'amministrazione finanziaria deduce violazione e falsa applicazione degli artt.. 53 e 54 d.P .R. 26 ottobre 1972, n. 633, nonch degli artt. 2728 e 2729 e.e., oltre che il vizio di motivazione insufficiente. Sostiene la ricorrente che la C.T.C. non ha considerato che l'art. 54 d.P.R. n. 633/1972, oltre ad autorizzare il ricorso alle presun:ziioni semplici (sulle quali si soffermata la decisione), richiama in modo espresso il precedente art. 53, cos stabilendo che l'esistenza di operazioni imponibili per ammontare superiore a quello dichiarato pu essere, in sede di rettifica, desunto indirettamente alla stregua della presunzione (legale e non semplice) di cessione prevista nel citato art. 53; con la conseguenza che, nel caso di specie, rispetto ai capi di bestiame che risultavano acquistati (in base alle risposte ai questionari e alle notizie acquisite presso le ditte fornitrici), sussisteva la presunzione di cessione di quei capi che non erano stati rinvenuti nel luogo di esercizio dell'impresa, in mancanza di prova della loro perdita o distruzione o utilizzazione, senza peraltro che i corrispettivi di cessione potessero considerarsi compresi nel fattu rato . oggetto della dichiarazione d'imposta, in mancanza di apposita registrazione in carico e non potendosi comunque addossare al riguardo all'Ufficio una prova che sarebbe di tipo negativo. Sostiene poi la ticorrente che la decisione della C.T.C. censurabile anche nella parte relativa alla ritenuta inaffidabilit delle presunzioni poste a base -ai sensi del successivo art. 54 -della concreta determinazione dell'ammontare delle f: (1) Decisione di evidente ~ i f f I f esattezza. f i ~ I - PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA operazioni imponibili. Ci in quanto, rispetto ~d un accertamento fondato sul prezzo di acquisto del bestiame, numero di capi acquistati e numero dei capi venduti, spesa media di allevamento per ciascun capo e utile (stabilito~ in contraddittorio col Donati, nel 15 %) ricavato dalla vendita di ciascun capo, risultava erronea l'esclusione dei requisiti della prova presuntiva, dal momento che la non gravit >> era stata desunta dalla non rilevante differenza tra gli importi presuntivamente accertati e quelli dichiarati (cos confondendo tra risultato del processo logico e elementi di fatto assunti nell'iter logico per risalire dal noto all'ignoto), mentre il requisito della precisione e della concordanza -esclusi perch il ricarico, assunto come fatto noto, sarebbe stato fondato su una doppia presunzione e il costo della merce sarebbe in s elemento inidoneo a fondare la presunzione -erano invece sussistenti, poich la percentuale di ricarico (del 15 %) era stata assunta in contraddittorio con la parte e il costo della merce, genericamente impugnato, era stato invece deter minato in base alle registrazioni contabili esaminate dalla polizia tributaria e a precisi calcoli. Il ricorso fondato. Ai sensi dell'art. 54 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in tema di imposta sul valore aggiunto, in caso di dichiarazione infedele da parte del contribuente, l'Ufficio autorizzato a procedere a rettifica della dichiarazione annuale. La infedelt della dichiarazione pu essere accertata direttamente, in base al raffronto con le altre precedenti dichiarazioni presentate dal contribuente o con le annotazioni dallo stesso fatte sui registri previsti nei precedenti artt. 23, 24 e 25 del d.P.R. n. 633/1972; ovvero in base al controllo delle registrazioni, sulla scorta delle fatture e altri documenti relativi alle operazioni imponibili, delle risultanze di altre scritture contabili e dei dati e notizie raccolti nei modi previsti dall'art. 51. Le omissioni e le false o inesatte indicazioni possono, sempre ai sensi dell'art. 54 sopra citato, essere desunte anche indirettamente' da tali risultanze, dati e notizie, a norma del precedente art. 53, che prevede (1 comma) una presunzione legale di cessione dei beni acquistati dal contribuente che non si rinvengono nei luoghi in cui questi esercita la sua attivit; e una presunzione juris tantum (3 comma) di acquisto dei beni che si rinvengono nei medesimi luoghi, superabile con specifiche prove documentali (in proposito, cfr. Cass. 2 dicembre 1987, n. 8954); ovvero, sempre indirettamnete, anche sulla base di presunzioni semplici, purch queste siano gravi, precise e concordanti . La ricostruzione delle operazioni imponibili (quando l'Ufficio non ricorra. all'accertamento in via diretta) pu perci giovarsi in primo luogo delle presunzioni di cessione o di acquisto ex art. 53, se esistenti; e poi anche di presunzioni semplici, da valutarsi in modo rigoroso secondo il criterio generale gi fissato nell'art. 2729, 1 comma e.e., che cio si tratti di elementi seri ed univoci e, se plurimi, anche tra loro concordanti. 120 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Alle infedelt ed omissioni che risultano in base alle ricordate presunzioni, assolute o relative, di cessione o di acquisto della merce, si contrappongono le infedelt desunte sulla base di presunzioni semplici fondate su altre e diverse risultanze, da valutarsi nel modo .Predetto. Entrambe tali fonti di prova possono evidentemente concorrere, ai fini dell'accertamento sia dell'esistenza, sia dell'entit delle omissioni od irregolarit. La decisione impugnata della C.T.C. non ha preso in considerazione (cos come aveva anche la Commissione di secondo grado omesso di fare) le risultanze fondate sulla presunzione legale di cessione ai sensi dell'art. 53, poste a base dell'accertamento; e risulta altres carente di logica motivazione allorquando ha escluso l'affidabilit delle presunzioni semplici, parimenti utilizzate dall'Ufficio al fine di precisare l'ambito della infedele dichiarazione. Sul primo punto, la C.T.C. -dopo avere dato atto che il Donati aveva omesso di tenere il registro cronologico di carico e scarico dei capi allevati (e non importa qui accertare se in concreto questo era, o meno, obbligatorio), e dopo avere rilevato che in tale situazione l'Ufficio aveva eseguito la ricostruzione delle operazioni imponibili sulla scorta delle fatture e dei documenti rinvenuti presso le ditte fornitrici del bestiame (non avendo il Donati curato la regolare registrazione delle fatture passive di acquisto degli animali da allevamento, n annotato le rimanenze di fine anno) -non ha considerato che l'Ufficio aveva proceduto alla rettifica delle dichiarazioni annuali, per i tre anni in esame, tenendo conto del numero dei capi acquistati e di quelli macellati, riscontrando una disparit rispetto agli animali presenti nell'azienda zootecnica del Donati, che lasciava presumere (ai sensi dell'art. 53 d.P.R. n. 633/1972) la cessione di un determinato numero di capi di bestiame, il cui ricavo non era stato contabilizzato. 1:1. pertanto, relativamente ai capi di bestiame indicati nelle fatture d'acquisto non registrate in carico, la C.T.C. avrebbe dovuto accertare l'esistenza di prove (da fornirsi dal contribuente) circa l'eventuale avvenuta inclusione del prezzo di vendita nell'ammontare complessivo dichiarato. Ed in proposito chiaramente priva di fondamento l'eccezione di novit formulata nell'odierna discussione orale della difesa del Donati, relativamente a tale parte della censura, poich l'accertamento era stato eseguito anche in base alle risultanze fondate sul disposto dell'art. 53 d.P.R. n. 633/1972 e la legittimit dello stesso aveva formato oggetto della contestazione dinanzi alle Commissioni. Sul secondo punto, risulta censurabile sotto vari profili la conclusione cui la C.T.C. pervenuta nel valutare le presunzioni semplici in base alle quali erano stati esaminati i fatti sui qUJali la rettifica dell'Ufficio era stata fondata. Non infatti anzitutto corretta, ed comunque illogica la motivazione che la sostiene, l'affermazione secondo cui mancava il requisito della gravit della presunzione ove si consideri la diffe PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA renza tra gli importi presuntivamente accertati e quelli dichiarati . La C.T.C. intendeva evidentemente riferirsi allo scarso divario tra importo dichiarato e importo accertato, ma ha cos chiaramente eonfuso tra valutazione del dato probatorio posto a base del processo logico inteso a risalire dal fatto noto (che deve essere, oltre che univoco, anche di adeguata consistenza, cio serio e significativo) al fatto ignoto, e intrinseca gravit (o scarsa gravit) del fatto considerato, che pu essere in s grave, ma di nessun valore probatorio (o viceversa). La motivazione della decisione impugnata risulta poi carente ed illo~ica l dove ha ritenuto non utilizzabile (perch concretante una praesumptio de praesumpto ) il dato relativo al ricarico (cio al margine d'utile); e inidoneo altres a fare da supporto al fatto presunto {e cio il prezzo medio di cessione di ciascun capo di bestiame), il fatto noto del costo dei singoli capi di bestiame. In contrario l'Ufficio aveva dedotto che la ricostruzione dell'effettivo ammontare delle operazioni imponibili era stata fondata (come emergeva dal processo verbale della Guardia di Finanza) sul numero dei capi acquistati e di quelli (anche presuntivamente) venduti, sul prezzo di acquisto dei primi (desunto dai questionari e fatture delle ditte fornitrici), sulla spesa media per l'allevamento di ciascun capo (desunta dai costi registrati dei mangimi e della manodopera e sull'utile ricavato dalla vendita di ciascun capo, stabilito nel 15 % in contraddittorio con il Donati); cosicch non poteva considerarsi ignoto, e come tale inidoneo a fondare la presunzione, il fatto del margine di utile che lo stesso contribuente aveva riconosciuto corretto, e non potevano poi considerarsi presunti fatti (come il prezzo di acquisto, il costo di allevamento) ricavati dalle stesse registrazioni contabili rinvenute dalla polizia tributaria o gi provati per presunzione legale (come l'avvenuta cessione dei capi non rinvenuti in azienda). Tali rilievi erano specifici e l'averli ignorati o disattesi con motivazione carente~ solo apparente, concreta il vizio denunciato di cui all'art. 360, n. 5 c.p.c., dal momento che la C.T.C. non si data carico della prospettazione dell'Ufficio ed ha apoditticamente ritenuto la inaffidabilit delle presunzioni sulla base di fatti diversi da quelli allegati o inesattamente riportati, cos negando ad essi ogni validit quale base della invocata prova presuntiva e qualificandoli come non precisi e, ripetitivamente per le medesime ragioni, come non concordanti. In conclusione, la decisione della C.T.C. deve essere annullata (con rinvio alla stessa C.T.C. per nuovo esame) sia per avere disapplicato l'art. 54 d.P.R. n. 633/1972, nella parte (secondo comma u.p.) in cui rinvia alle risultanze derivanti dalla presunzione legale di cessione ex art. 53, sia per avere difettosamente motivato in ordine alla valutazione della prova fondata sulle presunzioni semplici, per una inesatta accezione del requisito della gravit di queste e per una carente ed illogica valutazione di quelli della precisione e della concordanza. (omissis) 122 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STA'l'O CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 18 febbraio 1989, n. 963 -Pres. Scanzano -Est. Cantillo -P. M. Di Renzo (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Zecca) c. Soc. Tratos. Tributi erariali .indiretti -Imposta sul valore aggiunto -Presunzione dell'art. 53 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 -Prova contraria Limiti. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 53). La presunzione di cessione stabilita dall'art. 53 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, nel testo modificato con il d.P.R. 29 gennaio 1979 n. 24, pu essere esclusa mediante prova contraria che pu esser data nelle ipotesi della lettera a) (utilizzazione per la produzione, perdita o distruzione) con qualunque mezzo e nelle ipotesi della lettera b) (consegna a terzi a titolo non traslativo) esclusivamente con i mezzi indicati nel secondo comma; non sono quindi idonee a vincere la presunzione della lettera b) le documentazioni provenienti dai soggetti consegnatari (1). I ~ (omissis) Con il primo e il secondo motivo di ricorso, che vanno esa~ minati insieme perch strettamente connessi, l'Amministrazione denunzia m la violazione dell'art. 53 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, nonch vizi della I moth,-azione, e critica la decisione della Commissione tributaria centrale per avere affermato che la presunzione di cessione di beni, prevista dal I primo comma della disposizione, pu essere vinta con qualsiasi mezzo di prova. Sostiene che ci pu ammettersi nelle ipotesi di cui alla lettera a), ma non in quelle di cui alla lettera b), cio nelle fattispecie di consegna I di beni a terzi per titolo non traslativo della propriet, giacch tali vicende, ai sensi del secondo comma (nel testo originario e in quello mo dificato con d.P.R. 29 gennaio 1979, n. 24), devono essere dimostrate documentalmente, nei modi tassativamente indicati dalla medesima norma; Ie che perci si in presenza di una presunzione mista, cui aveva fatto riferimento, in astratto, la stessa decisione impugnata, tuttavia contraddit toriamente escludendola nel casp concreto in base a ragioni di equit, le quali, invece, giammai si possono configurare nei confronti dell'imprenditore che non tiene le scritture prescritte o non esegue le relative registrazioni, posto che per un tributo su base documentale, qual' l'iva, le omissioni suddette sono lo strumento necessario dell'evasione. Pertanto nella specie la presunzione non poteva ritenersi vinta, giacch la consegna a terzi del rame, mancante in magazzino in conto lavorazione, non risultava da alcuno dei documenti in possesso della contribuente e, anzi, neppure alla stregua degli elementi valorizzati in sentenza (erroneamente, per le ragioni di cui al terzo motivo). (1) Si va a consolidare il prmc1p10 gi affermato che le sentenze 6 ottobre 1988, n. 5409, e 14 dicembre 1988 n. 6805, in questa Rassegna, 1989, I, 297 e 298. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA La doglianza fondta. L'art. 53 primo comma del d.P.R. n. 633 del 1972 -nel testo fissato dall'art. 1 del d.P.R. 29 gennaio 1979, n. 24, cui stato attribuito valore di interpretazione autentica, in quanto espressamente dichiarato applicabile con decorrenza dall'entrata in vigore della legge istitutiva del tributo (1 gennaio 1973) -pone una presunzione di cessione dei beni acquistati, importati o prodotti dall'imprenditore, i quali al momento della verifia:a non si trovino nella sede in cui egli esercita l'attivit (comprese le sedi secondarie, filiali, succursali, dipendenze, stabilimenti, negozi o depositi dell'impresa) n presso suoi rappresentanti: accertati tali presupposti -cio da un lato l'acquisto, l'importazione o la produzione di detenninati beni, dall'altro il mancato rinvenimento nei locali di pertinenza dell'impresa -i beni medesimi si considerano ceduti in evasione all'IVA, costituendo i loro prezzi ricavi non contabilizzati. Si tratta, per, di una presunzione relativa o iuris tantum, giacch essa non opera se viene dimostrato che i beni: a) sono stati utilizzati per la produzione, perduti o distrutti); b) sono stati consegnati a terzi in lavorazione, deposito o comodato o in dipendenza di contratti estimatori o di contratti di opera, appalto, trasporto, commissione o altro titolo non traslativo della propriet. Occorre dimostrare, cio, che l'assenza del bene non dovuta ad un negozio traslativo della propriet ovvero costitutivo o traslativo di un diritto reale di godimento, sicch non si configura un atto giuridicamente qualificabile come cessione, secondo la nozione di tale presupposto del tributo accolta dalla legge (art. 2). Pertanto il contribuente tenuto a provare l'esistenza di una precisa causa, diversa dalla cessione, giustificativa della mancanza del bene, la quale pu consistere, ovviamente, tanto in un fatto elisivo riguardante il bene nella sua entit fisica -riconducibile, quindi, in una delle tre categorie di eventi materiali menzionate nella lettera a) -quanto in un rapporto-giuridico in forza del quale il bene, pur appartenendo ancora al contribuente, non nella sua detenzione, essendo stato consegnato a terzi per un titolo non traslativo della propriet o, comunque, con effetti traslativi o costitutivi differiti o sospesi (fattispecie previste alla lettera b). Il regime probatorio tuttavia diverso per i due tipi di vicende. La norma nulla dispone per quelle del primo tipo e si deve perci ritenere che possano essere provate con ogni mezzo, ai sensi degli arti coli 2697 ss. e.e. E la mancanza di qualsiasi limite pienamente razio nale, in quanto si tratta di accadimenti che determinano la fisica elimi nazione del bene e che non implicano l'esistenza di un titolo di disposi zione risultante da documento: cos, l'impiego dei beni nella produzione o, all'opposto, la loro distruzione da oboloscenza possono risultare da scritture contabili, da coefficienti tecnici, da verbali di constatazione, etc.; l'entit delle perdite da lavorazione e per cali naturali o tecnici pu essere 124 RASSEGNA DELL~AVVOCATURA DELLO STATO determinata in base a dati di comune esperienza o in qualsiasi altro modo idoneo; le perdite e le distruzioni dovute a caso fortuito o forza maggiore possono risultare da denunce alla pubblica autorit o a privati, da verbali di ricognizione, etc. In relazione alle vicende dell'altro tipo, il secondo comma dell'art. 53 dispone, invece, che la consegna di beni a terzi deve risultare dal libro giornale o da altro libro tenuto a norma del codice civile (art. 2214 ss.) o da apposito registro tenuto in conformit all'art. 39 dello stesso d.P.R. n. 633 del 1972 oppure da altro documento conservato a norma dello stesso articolo. La norma, cio, richiede specifiche prove documentali per gli atti negoziali non traslativi della propriet indicati alla lettera b) del primo comma; e poich solo in presenza di siffatti rapporti giuridici non opera -come si visto -la presunzione di vendita, evidente che la disposizione limita ai documenti suddetti, da cui quei rapporti debbono risultare, i mezzi di prova per vincere la presunzione medesima fuori dai casi di materiale eliminazione dei beni non rinvenuti presso l'azienda. Una diversa esegesi non consentita dall'enunciato normativo, in par ticolare dal collegamento testuale e sistematico fra i due precetti qui considerati: non essendo seriamente contestabile che il primo comma pone una presunzione di cessione dei beni non rinvenuti in magazzino, si deve necessariamente riconoscere che il precetto del secondo comma, riferito in modo espresso proprio alla dimostrazione dei (soli) rapporti che valgono ad escluderla, disciplina la prova contraria a quella presunzione, stabilendone il tipo {documentale) e le caratteristiche (libri, regi stri o documenti conformi alla norrpativa fiscale). Non ha fondamento, quindi, la tesi per cui il secondo comma dell'art. 53 imporrebbe oneri di documntazione svincolati dalla presunzione, rispetto alla quale opererebbero nel senso di limitarla ai soli casi di mancanza dei documenti prescritti: soltanto l'inosservanza della disposi zione farebbe scattare la presunzione del primo comma, che perci anche nelle ipotesi in esame potrebbe essere contrastata dal contribuente con ogni mezzo di prova. A parte il palese e arbitrario capovolgimento dello schema normativo (per ci che, in contrasto con l'articolazione dell'enunciato, il primo comma dovrebbe essere letto in funzione del secondo e non viceversa), l'equivoco logico-giuridico che domina quel discorso si coglie agevolmente considerando che esso eleva l'omessa tenuta della documentazione ad elemento costitutivo della presunzione, laddove questa correlata, come si visto, al fatto materiale del mancato rinvenimento di beni che dalla contabilit risultano acquistati o prodotti e non venduti; in relazione a questo fatto che la legge individua gli accadimenti materiali e le vicende giuridiche idonei ad escludere la presunzione, la cui dimostrazione deve essere data dal contribuente i;iel modo suddetto. f ~ . ~ PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Occorre aggiungere che la prescrizione di determinate forme di docu mentazione risulterebbe praticamente inutile se fosse consentito al con tribuente di dimostrare altrimenti l'esistenza di un titolo non traslativo, cio dei medesimi atti cui quelle forme si riferiscono; che se cos fosse la stessa presunzione si svuoterebbe di pratico contenuto, essendo evidente che, in relazione all'assenza di beni documentalmente risultanti ancora in carico all'imprenditore, non configurabile alcun onere probatorio nei confronti della finanza; e che, per contro, la limitazione alle risultanze documentali pienamente in linea con il sistema dell'IVA e con lo specifico oggetto della prova, occorrendo dimostrare atti negoziali costituenti il titolo di operazioni che, in quanto implicano il trasferimento della detenzione dei beni a terzi, presentano in nuce Io stesso aspetto fattuale della cessione e, anzi, molto spesso preludono alla produzione degli effetti traslativi (vendita con riserva di propriet, contratto estimatorio, altre cessioni con effetti differiti e sospesi). Si deve concludere, quindi, che la presunzione di cessione posta dall'art. 53, primo comma, nelle ipotesi di consegrta di beni a terzi previste alla lettera b), pu essere vinta soltanto dimostrando l'esistenza di un atto non traslativo della propriet dei beni mediante le scritture e i documenti elencati nell'ultima parte del secondo comma; e pu pertanto dirsi che la presunzione assume cos i connotati delle presunzioni cosiddette miste, nelle quali la prova contraria tassativamente limitata nell'oggetto e nel mezzo di prova. Ci posto, risulta evidente l'errore in cui incorsa la Commissione tributaria centrale nel ritenere che la prova della consegna di beni in lavorazione possa essere data in modo diverso da quello innanzi precisato; n corretto il riferimento fatto {sia pure ad adiuvandum, in un inciso) a scritti in possesso delle imprese asserite consegnatarie, trattandosi di annotazioni o di documenti (per altro imprecisati) che non sono dell'imprenditore nei cui confronti opera la presunzion e' chiaramente non rientrano, quindi, fra quelli previsti dall'art. 53 cit. L'accoglimento dei due motivi fin qui esaminati comporta l'assorbimento del terzo, riguardante la prova aliunde della consegna in lavorazione. Pertanto la decisione impugnata deve essere cassata con rinvio alla stessa Commissione tributaria centrale, la quale proceder a nuovo esame della controversia attenendosi al seguente principio di diritto: Il primo comma dell'art. 53 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (nel testo introdotto con efficacia retroattiva dall'art. 1 del d.P.R. 29 gennaio 1979, n. 24), stabilisce una presunzione di cessione correlata al fatto materiale del mancato rinvenimento in magazzino di beni che, alla stregua della contabilit, sono stati acquistati o prodotti dall'imprenditore e non risultano ceduti, la quale presunzione pu essere vinta dimostrando l'esistenza di una precisa causa, diversa dalla cessione, giustificativa della mancanza 126 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dei beni e che pu consistere tanto in un evento elisivo riguardante il bene nella sua entit fisica (utilizzazione nella produzione, perdita o distruzione: primo comma, lett. a), quanto in un rapporto giuridico in forza del quale il bene, pur appartenendo ancora al contribuente, non nella sua detenzione, essendo stato consegnato a terzi per un titolo non translativo della propriet o, comunque, con effetti traslativi o costitutivi differiti o sospesi (deposito, mandato, trasporto, conto lavorazione, contratto estimatorio, etc.: fattispecie elencate alla lett. b). Il regime probatorio , per, diverso per i due tipi di vicende: per quelle di cui alla lettera a) manca qualsiasi previsione al riguardo, sicch l'evento elisivo del bene pu essere dimostrato con ogni mezzo di prova (si tratta di una presunzione iuris tantum in senso stretto); per le vicende di cui alla lettera b), invece, il secondo comma, ult. parte, dell'art. 53 stabilisce che esse debbono risultare da un libro tenuto a norma del codice civile ovvero da apposito registro o altro documento tenuto in conformit all'art. 39 I della legge IV A, con la conseguenza che nessuna altra prova, ancorch documentale, idonea a vincere la presunzione (che perci si inquadra I fra le presunzioni c.d. miste). (omissis) I k P. ~ CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 24 febbraio 1989, n . .1022 -Pres. Vela I fil Est. Cantillo -P. M. Minetti (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato f: Zecca) c. Fontanari. Tributi in genere Accertamento Imposte sul reddito Accertamento analitico induttivo e accertamento induttivo Presupposti Motivazione. I (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39). I Tributi erariali diretti Accertamento Metodo induttivo Irregolarit delle scritture Vidimazione dei registri Reiterazione delle stesse I irregolarit in diversi periodi di imposta Rilevanza. (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39). I Nella determinazione del reddito d'impresa e di quello di lavoro autonomo l'art. 39 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 prevede due gruppi di situazioni enucleate a seconda dell'importanza e del numero delle irre I golarit formali e sostanziali delle scritture a cui corrispondono rimecn di intensit cresc.enti: nelle ipotesi meno gravi (primo comma) l'ammi I nistrazione ha il potere di correggere la dchiarazione utilizzando gli stes~ si elementi provenienti dal contribuente apportandovi singole variazioni t anche avvalendosi di prescrizioni gravi, precise e concordanti (rettifica ! analitica-induttiva); nelle ipotesi pi gravi (secondo comma) di reiterate ! irregolarit che rendono le scritture inattendibili nel loro complesso, i l'Amministrazione procede all'accertamento prescindendo dalla contabili-i I I . I - = PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 127 t e utilizzando anche elementi indiziari (rettifica induttiva). In ambedue i casi l'accertamento deve essere motivato sotto due profili riflettenti la giustificazione dell'esercizio del potere di avvalersi di mezzi induttivi e la dimostrazione della quantificazione del reddito; tuttavia nella prima ipotesi della rettifica analitica induttiva l'obbligo di giustificare l'esercizio del potere quasi sempre soddisfatto attraverso la motivazione delle singole riprese delle poste contabili (1). giustificato il ricorso dell'ufficio al metodo di accertamento induttivo (art. 39 secondo comma d.P.R. n. 600/1973) quando il registro del professionista sia stato vidimato solo nel corso dell'anno specialmente se la stessa irregolarit si sia ripetuta in pi periodi di imposta, e quando siano riscontrate irregolarit che vanno apprezzate, non in modo atomistico, ai fini di considerare inattendibile la contabilit nel suo complesso. (2) (omissis) 1. -Con il primo motivo, denunziando la violazione degli artt. 19, 22 e 39 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, dell'art. 40 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, e vizi della motivazione, l'Amministrazione critica la sentenza impugnata per avere ritenuto illegittimo il ricorso all'accertamento induttivo, senza considerare che questo, per entrambe le annualit, era giustificato delle>ripetute irregolarit formali delle scritture contabili, dall'esiguo numero di visite dichiarate dal prof. Fontanari, neurologo molto affermato, e dalla completa obliterazione di quelle fatte presso lo studio in Venezia, i quali elementi, se valutati nel loro complesso, avrebbero fugato ogni dubbio sull'inattendibilit delle scritture e sul corretto esercizio del potere di determinazione ind~ttiva del reddito. La censura fondata. Occorre ricordare che l'art. 39 d.P.R. n. 600 del 1973, nel delineare i poteri di cui dispone l'Ufficio ai fini dell'accertamento, in rettifica della (1-2) Simile la precedente sentenza 9 febbraio 1989 n. 803 (stesso estensore) di cui si omette la pubblicazione. La prima massima, che sintetizza concetti ormai pacifici, va segnalata per la completezza e concisione della motivazione. Notevole poi la precisazione che nell'accertamento analitico induttivo la motivazione sulle rettifiche sostanziali apportate alle singole componenti del reddito contiene in s la giustificazione del potere di procedere induttivamente alla rettifica. Importante la seconda massima che, con riferimento ad ipotesi di specie, pone in limiti assai larghi la ammissibilit dell'accertamento induttivo vero e proprio. A concretare l'ipotesi della lettera d) dell'art. 39 del d.P.R. n. 600/1973 stata ritenuta sufficiente l'omessa tempestiva vidimazione del registro del professionista. Ed ancora da sottolineare la affermazione che la reiterazione delle irregolarit pu essere verificata nella ripetizione delle stesse omissioni in diversi e successivi periodi di imposta. Altre considerazioni della sentenza, se pure esposte sotto il profilo del difetto di motivazione, fanno comprendere come basti poco per cadere nella situazione che giustifica l'induttivit dell'accertamento. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dichiarazione del contribuente, dei redditi d'impresa e di quelli derivanti dall'esercizio di arti e professioni (che al pari dei primi debbono risultare da scritture contabili stabilite dalla legge), prevede due gruppi di situazioni enucleate a seconda dell'importanza e del numero delle irregolarit formali e sostanziali riscontrate, cui corrispondono altrettanti rimedi di intensit crescente. Nelle ipotesi meno gravi, elencate alle lettere da a) a d) del primo comma, in cui le inesattezze, carenze ed omissioni non sono tali da inficiare l'intera contabilit, l'Amministrazione ha il potere di correggere la dichiarazione utilizzando gli stessi dati contabili dichiarati (come, ad es., nell'potesi sub a) ovvero di correggere le risultanze delle scritture, e conseguentemente la dichiarazione, in base a determinate prove della falsit, inesattezza o incompletezza di una o pi poste, le quali prove possono anche consistere in presunzioni semplici, purch gravi, precise e concordanti, ai sensi dell'art. 2729 e.e. (per cui dal fatto noto dato risalfre al fatto ignoto oggetto della prova secondo il criterio dell'id quod plerumque accidit). La norma consente, cio, la c.d. rettifica analitico-induttivia, che viene effettuata a:lla stregua delle scritture contabili, in quanto regolarmente tenute. Nelle ipotesi elencate nel secondo comma, considerate pi gravi di per s o a motivo della reiterazione delle irregolarit, inesattezze od omissioni, le quali rendono inattendibili le scritture nel loro complesso e perci non vengono ritenute emendabili nell'ambito delle stesse, si riconosce all'Amministrazione la facolt di prescindere del tutto dalla contabilit e di procedere ad accertamento induttivo del reddito, utilizzando a questo scopo anche elementi indiziari sforniti dei requisiti di gravit, precisione e concordanza propri delle presunzioni. . In entrambi i tipi di fattispecie l'accertamento deve essere motivato sotto due profili concettualmente e giuridicamente distinti, che riguardano altrettanti momenti dell'iter procedimentale seguito dall'ufficio, aventi autonoma rilevanza esterna. Da un lato, occorre giustificare l'esistenza dei presupposti cui relazionato l'esercizio del potere di correggere o integrare in via induttiva singole poste della dichiarazione ovvero di determinare il reddito con metodo induttivo, disattendendo parzialmente o totalmente le scritture contabili; dall'altro, secondo i principi ordinari, occorre indicare le ragioni poste a fondamento del calcolo analitico o di quello induttivo: quanto al primo, specificando per ciascuna posta corretta o aggiunta gli elementi giustificativi delle modificazioni apportate, anche quando a ci si provveda mediante presunzioni; quanto al secondo, esponendo le circostanze di fatto utilizzate ai fini della valutazione sintetica. Nondimeno l'adempimento di questo obbligo -per cui la motivazione deve essere sufficiente e congrua sotto entrambi i profili suddetti - non sempre richiede una separata considerazione di ciascuno di essi, giac~ ! ~ i f f f't PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA ch le ragioni che hanno determinato l'ufficio a disattendere i dati contabili possono anche risultare da que.i riflettenti l'esistenza e l'ammontare del reddito. In particolare, mentre il ricorso al metodo induttivo ex art. 39 comma 2, normalmente esige un'apposita motivazione -la quale deve dar conto delle ragioni (natura e gravit delle omissioni, entit delle irregolarit, etc.) che giustificano l'apprezzamento di inattendibilit delle scritture -nelle fattispecie . di cui al primo comma della stessa disposizione l'obbligo di giustificare l'esercizio del potere di rettifica deve ritenersi quasi sempre soddisfatto attraverso la motivazione delle singole riprese, riguardante le poste aggiunte o corrette, che di per s evidenziano le falsit, inesattezze o incompletezze che legittimano la rettifica, ancorch basata su presunzioni. 2. -In relazione a tale disciplina risultano evidenti gli errori di diritto e le insufficienze. di motivazione della sentenza impugnata. La Corte di appello, nell'esaminare le ragioni poste dall'Ufficio a fondamento dell'accertamento relativo all'anno 1974, dopo avere apoditticamente affermato di non essere in grado di stabilire se fosse stato seguito il procedimento di cui al comma primo o quello di cui al comma secondo dell'art. 39 cit., ha preso in considerazione uno solo degli elementi addotti, cio la mancata vidimazione del registro di cui all'art. 19 del d.P.R. n. 600 p1ima che venisse messo in uso; e ha ritenuto l'irregolarit inidonea a legittimare la rettifica, con riferimento ad entrambe le fattispecie suddette, per la ragione che la vidimazione era stata effettuata con non rilevante ritardo, cio nel febbraio dello stesso anno, e che le (esigue) annotazioni che figuravano eseguite in date precedenti non potevano essere disattese perch l'art. 22 dello stesso d.P.R. consente che le registrazioni cronologiche vengano effettuate entro sessanta giorni dall'operazione. Gi quest'ultimo argomento non pu essere condiviso, in quanto confonde due obblighi distinti, il secondo dei quali non influenza minimamente il primo e, anzi, ne postula l'adempimento. L'obbligo di preventiva vidimazione (operazione che comprende, com' noto, la numerazione e la bollatura delle pagine del registro) sancito dalla suddetta disposizione -che richiama l'art. 2215 e.e. -a garanzia dell'immutabilit del registro fino al suo esaurimento, in modo da evitare che si possano annullare o modificare registrazioni effettuate ovvero registrare operazioni senza osservare l'ordine cronologico, etc. La violazione di tale obbligo costituisce, quindi, una irregolarit di notevole rilievo, che di per s inficia il valore probatorio delle annotazioni, consentendo di disattenderne il contenuto e, dunque, anche la data delle operazioni cui si riferiscono; e ci comporta che, per le operazioni riportate in registro non (ancora) vidimato, suscettibile di essere sempre cambiato, un discorso circa la tempestivit, o meno, dell'annotazione non si pu neppure porre. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Pertanto incorsa in errore la Corte nel ritenere sostanzialmente regolare la contabilit in base all'argomento suddetto; e lo stesso errore ha commesso in relazione all'anno 1975, nel quale il professionista aveva commesso la stessa violazione, del pari utilizzando, nei primi due mesi dell'anno (fino al 10 febbraio) un registro cronologico non vidimato. Inoltre la Corte non ha considerato che, trovandosi cos in presenza di una violazione reiterata, per entrambi gli anni avrebbe dovuto valutarla anche in relazione al disposto della lettera d) dell'art. 39 comma secondo, che indica le irregolarit formali... ripetute fra gli elementi che giustificano il ricorso al metodo induttivo. 3. -Sempre quanto all'ammissibilit dell'accertamento, manca nella sentenza impugnata una valutazione completa e globale delle irregolarit contabili riscontrate per entrambi gli anni. Per il 1974, oltre alla ritardata vidimazione, furono dedotte con l'accertamento talune difformit fra le scritture, ma di esse si sostanzialmente disinteressata la Corte, che si limitata a far riferimento alle motivazioni addotte dalla Commissione tributaria di secondo grado, le quali, per, a quanto sembra, erano state contestate dall'Amministrazione. Anche per l'anno 1975 furono riscontrate discrepanze fra le scritture, , fra cui l'omessa registrazione nel bollettario IVA di un certo numero di visite; la Corte si occupata di tale irregolarit, ma l'ha considerata di limitata entit e perci non idonea a giustificare l'accertamento induttivo. Sennonch tali violazioni non andavano considerate, in modo atomistico, bens nel loro complesso, insieme con il ritardo nella vidimazione, siccome tutte influenti sull'attendibilit delle scritture contabili. Questo obbligo di valutazione globale, oltre che discendere dai principi generali, risulta specificamente imposto dall'art. 39 cit., in particolare dalla norma della lettera d) del comma secondo, che -come si visto -attribuisce rilievo alle omissioni, falsit, inesattezze e irregolarit formali gravi, numerose e ripetute, al fine di stabilire se, in relazione a tali caratteristiche, siano tali da rendere inattendibili le scritture per mancanza delle garanzie proprie di una contabilit sistematica . 4. -Del pari insieme con le violazioni suddette la Corte avrebbe dovuto controllare l'attendibilit, o meno, del dato relativo al numero (molto contenuto) di visite contabilizzate dal Fontanari, considerando altres che alla rettifica della dichiarazione, ai sensi della lettera d) comma primo dell'art.. 39, si pu procedere anche in presenza di presunzioni che presentino i requisiti della gravit, della precisione e della concordanza. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Il giudizio espresso al riguardo in sentenza -nel senso della mancanza di elementi idonei a disattendere le annotazioni -presenta gli stessi vizi in precedenza evidenziati, posto che la Corte, valutando singolarmente e non nella loro globalit i fatti da assumere a foncla.iento della prova presuntiva, -si messa nella condizione di non potere intendere l'esatto significato degli stessi n di valutarne in modo corret10, la gravit e concordanza. Ma la motivazione risulta altres viziata per l'omessa considerazione di due circostanze di grande rilievo per giudicare dell'attendibilit della dichiarazione sul punto. La prima che lo stesso Fontanari aveva denunziato di esercitare la professione non solo a Mestre, ma anche a Venezia, mentre poi in relazione a questo secondo sti.ldio non aveva annotato in contabilit alcuna visita. La seconda circostanza data dalla scelta del Fontanari, primario ospedaliero, di svolgere' tale attivit a tempo definito e non a tempo pieno; al quale proposito l'Amministrazione aveva osservato che il professionista, se avesse optato per il tempo pieno, avrebbe percepito uno stipendio tale da superare la somma di quello ridotto percepito per il tempo definito e dei modesti redditi dichiarati per la libera professione. Queste circostanze sono state del tutto neglette dalla Corte, mentre evidente l'importanza decisiva che esse possono assumere se valutate insieme con gli ulteriori elementi innanzi accennati. (omissis} I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 1 marzo 1989, n. 1102 Pres. Caturani Est. Bibolini -P. M. Donnarumma (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Zecca) c. Soc. SO.CO.VIN. Tributi in genere Accertamento Notificazione Persona giuridica Impossibilit di notifica presso la sede legale Applicabilit art. 143 c.p.c. Esclusione Notificazione ex art. 140 c.p.c. ~ valida. (c.p.c. art. 140, 143, 145; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60). Tributi in genere Accertamento Notificazione Persona giuridica Impossibilit di notifica presso la sede legale Notifica col rito degli irreperibili al legale rappresentante Nullit. (c.p.c. art. 143, 145; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60). La notificazione a persona giuridica, la cui sede legale sempre conoscibile dalla pubblicit legale, non pu essere eseguita a norma dell'art. 143 c.p.c. Di conseguenza ove la sede dichiarata non coincida con RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 132 quella effettiva la notifica pu essere eseguita nel luogo pubblicizzato come sede legale a norma dell'art. 140 c.p.c. (1). La notifica alla persona giuridica presso il legale rappresentante deve essere eseguita a norma degli art. 138, 139 e 141, richiamati nell'art. 145 terzo comma c.p.c.; pertanto se del legale rappresentante non si conosce la residenza non pu procedersi a norma dell'art. 143 (2). II CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 15 marzo 1989, n. 1296 -Pres. Vercellone Est. Favara -P. M. Zema (diff.). Soc. Lotus 66 (avv. l>omponi) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Guicciardi). Tributi in genere -Accertamento -Notificazione -Persona giuridica Impossibilit di notifica presso la sede legale -Ricerca della sede effettiva -Necessit -Notificazione alla persona fisica del legale rappresentante -Necessit prima di fare applicazione dell'art. 140 c.p.c. (c.p.c. art. 140, 145). La notificazione alla persona giuridica si esegue presso la sede legale o effettiva previe opportune ricerche sull'esistenza e sull'ubicazione attuale della stessa. Qualora non sia possibile eseguire la notifica in tal modo, prima di poter fare applicazione dell'art. 140 c.p.c., necessario un preventivo tentativo di notificazione alla persona fisica del legale rappresentante a norma dell'art. 145, terzo comma (3). (1-3) Come emerge dalle due sentenze, sempre tormentato il problema della notifica degli atti, sia del procedimento amministrativo che del processo contenzioso, alla persona giuridica. La prima sentenza, nel lodevole proposito di fare chiarezza, da un lato esclude l'applicabilit alle persone giuridiche dell'art. 143 c.p.c. sulla premessa che per tali soggetti non configurabile l'impossibilit di conoscere la resi denza, ma coerentemente afferma che in detto luogo conoscibile (la sedi:i legale pubblicizzata) sempre possibile la notifica a norma dell'art. 140. La afferma zione correttissima e da condividere. Ma sorge il dubbio che non esaurisca tutte le ipotesi. Si detto ripetutamente che l'art. 140 va posto in relazione ad una impos sibilit materiale e temporanea di consegna dell'atto ad una delle persone indi cate nell'art. 139 nel luogo in cui esista realmente l'abitazione ,l'ufficio o l'azienda (o la sede legale) del destinatario ma non sia utilizzabile quando nel luogo non esiste pi alcun legame con il destinatario (Cass. 6 dicembre 1978, n. 5753, Foro it., 1979, I, 9, seguita da numerose altre). Ora, nel caso, non certo raro, di societ, pi o meno fantasma, del tutto sconosciuta nel luogo indicato come sede pubblicizzata, sar egualmente applicabile l'art. 140 posto che non pu soccorrere il rimedio residuale dell'art. ]Jl3? Si deve ritenere di si, altrimenti la notifica sarebbe impossibile. Non pu ricercarsi una via di uscita nel terzo comma dell'art. 145 sia perch la residenza effettiva del legale rappresentante PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 133 I (omissis) Con l'unico motivo di ricorso, l'Amministrazione Finanzia ria dello Stato deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 140, 145 e 156, terzo comma, c.p.c., dell'art. 38 d.P.R. 29 gennaio 1958 n. 645, dell'art. 60 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, dell'art. 21 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, nonch l'omessa, ~nsufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti (art. 360 n. 5 c.p.c.). Il ricorso articolato su quattro posizioni, e cio: 1) L'eventuale vizio di notifica degli avvisi di accertamento sanato, in quanto gli atti hanno raggiunto lo scopo; 2) la notifica ex art. 140 c.p.c. stata eseguita ritualmente, essendo stata inviata, dal messo notificatore, la racomandata alla societ; 3) a norma dell'art. 38 d.P.R. 29 gennaio 1958 n. 645 T.U. sulle imposte dirette, la formalit dell'invio della raccomandata non deve essere eseguita; 4) a norma dell'art. 21 d.P.R. n. 636/72 nel testo modificato dall'art. 13 d.P.R. n. 739/81, la C.T.C. avrebbe dovuto disporre la rinnovazione deia notificazione. per lo pi non nota (e giustamente si afferma che non pu in questo caso ricorrersi all'art. 143) e sarebbe comunque difficoltoso rintracciare il legale rappresentante in luogo diverso, anche di altro Comune, da quello della sede della societ, sia soprattutto perch la notifica per la societ alla persona del legale rappresentante una facolt ma non un obbligo. Comunque se la persona del legale rappresentante non indicata, l'impossibilit di una utile notifica sarebbe insuperabile. Si deve quindi stabilire con fermezza che per le persone giuridiche di fatto irreperibili sempre applicabile rart. 140 (piuttosto che l'art. 143). Inaccettabile quindi la seconda sentenza che prima di ammettere la notifica a norma dell'art. 140 presso la sede legale impone un duplice onere di ricercare prima la sede effettiva in luogo diverso da quello pubblicizzato e di tentare poi la notifica alla persona del legale rappresentante. Non realistico imporre una tale complessa attivit quando incombe un termine perentorio. A conferma di quanto affermato nella prima sentenza occorre considerare che sia per la notifica dell'accertamento nel corso del procedimento amministrativo sia per la notifica degli atti del processo esiste gi un domicilio fiscale dichiarato o nella dichiarazione (art. 2, 4, 7 e 60 d.P.R. n. 600/1973) o nel ricorso (art. 15 e 32-bis d.P.R. n. 636/1972) di cui devono essere comunicate le variazioni successive (Cass. 16 giugno 1980 n. 3824, in questa Rassegna, 1981, I, 369; 16 aprile 1983, n. 2631, ivi, 1983, I, 744). Quando sia incardinato un procedimento, amministrativo o giurisdizionale, deve essere precostituito in modo certo un luogo in cui possono eseguirsi le notifiche, eventualmente a norma dell'art. 140 (regola enunciata per il processo ordinario dall'art. 170 c.p.c.) senza che possa essere necessario affrontare indagini o tentativi impossibili nella osservanza del termine. 134 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO In mancanza di deposito di controricorso da parte della s.r.l. SO.CO. VIN. Italia, la quale non stata rappresentata all'udienza odierna, occorre preliminarmente accertare la ritualit dell'instaurazione del contraddittorio nel presente grado di giudizio. Al fine si rileva che la notifica del ricorso proposto dalla Amministrazione Finanziaria venne tentata prima alla societ nella sua sede in Palermo, via Siracusa n. 10, senza esito; quindi al liquidatore della societ, sig. Joolph Rodrigue, ancora presso la sede sociale ed ancora senza esito positivo; infine, su richiesta del ricorrente il quale aveva chiesto la notifica ancora al liquidatore ai sensi dell'art. 143 c.p.c., l'Ufficiale Giudiziario depositava una copia del ricorso presso l'Ufficio del Pubblico Ministero di Palermo ed altra copia veniva affissa all'albo della Corte Suprema di Cassazione. Le due formalit della notifica, eseguita con le modalit ora descritte, nonch la vacatio a norma dell'ultimo comma dell'art. 143 c.p.c., si sono compiute nell'ambito del termine dell'art. 327, primo comma c.p.c., termine lungo richiamabile nella specie, volta che la decisione impugnata non risulta notificata all'Amministrazione Finanziaria presso l'Avvocatura Generale dello Stato (la decisione fu pubblicata il 4 luglio 1986 per cui, tenendo conto della sospensione dei termini per ferie nel 1986 e 1987, il termine lungo di impugnazione scadeva il 4 ottobre 1987; gli effetti delle formalit di cui all'art. 143 c.p.c., compiute il d 11 luglio 1987, si sareb bero puntualizzati a1la data del 1 ottobre 1987). Il problema della validit, o no, della instaurazione del contraddit torio, in una situazione rilevabile di ufficio, deve essere impostato in relazione all'ammissibilit della forma di notifica adottata nella specie. La notifica, si ribadisce, era diretta al legale rappresentante della societ, di cui stato indicato solo il nome ed il cognome senza enunciazione n del luogo di nascita n della residenza, nella forma prevista dal secondo comma dell'art. 143 c.p.c. per le persone di cui non siano noti n l'ultima residenza n il luogo di nascita (consegna di copia dell'atto al Pubblico Ministero). Il che, peraltro, decisamente in contrasto con la previsione del terzo comma dell'art. 145 c.p.c. il quale prevede la forma di notifica sussidiaria ivi regolata, se ed in quanto sia indicata la persona fisica che rappresenta l'ente; detta indicazione, a sua volta ed in relazione alle richiamate disposizioni degli artt. 138 e 139 e 141, primo comma, c.p.c., non pu essere costituita solo da nome e dal cognome, ma deve contenere l'indirizzo, diverso da quello della sede sociale, del legale rappresentante ch diversamente, una volta constatata la mancanza di soggetti atti a ricevere l'atto presso la sede sociale, l'ulteriore tentativo presso la stessa sede in persona del legale rappresentante (che per l'appunto una delle persone legittimate a ricevere secondo l'art. 138 c.p.c.) sarebbe formalit superflua ed inutile (v. sul punto specifico Cass. Sent. 9 febbraio 1985, n. 6218). I i ~ PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Conseguentemente, la notifica al legale rappresentante, di cui non si conosca la residenza, la dimora o il domicilio diversi dalla sede aziendale, ed al quale, pertanto, la notifica non possa avvenire nelle forme degli artt. 138, 139 o 141 c.p.c. (le uniche forme richiamate dal terzo comma dell'art. 145 per l'ipotesi sussidiaria di notifica) impossibile in relazione alla disciplina della norma ora richiamata, cos come illegittimo il ricorso alla disciplina residuale dell'art. 143, secondo comma, che contrasta sia con la lettera, sia con il sistema dell'art. 145, terzo comma, pi volte richiamato. La questione, peraltro, deve essere affrontata in un ambito di pi ampia portata, che superi la lettera del terzo comma dell'art. 145 c.p.c. ed esamini l'intera disciplina dell'articolo nella sua letteralit e nella sua sistematicit, al fine di valutare se la notificazione ad una persona giuridica consenta il ricorso alle forme dell'art. 143 c.p.c., vuoi con riferimento alla societ in quanto tale, vuoi come forma di notifica al suo legale rappresentante. . Chi ritiene di riscontrare un vuoto legislativo nella disposizione dell'art. 145 c.p.c. che, prevedendo l'ipotesi in cui risulti indicata nell'atto da notificare la persona avente la rappresentanza dell'ente, non detta alcuna disciplina in relazione alla distinta ipotesi in cui nell'atto da notificare sia mancante una idonea indicazione in relazione a detta persona; chi, si ripete, ravvisa il vuoto legislativo in detta situazione, ritiene altres che in essa sussistano tutti i presupposti per l'applicazione analogica della parallela disposizione dell'art. 143, enunciata con riferimento all'ipotesi in cui risultino sconosciute la residenza, la dimora o il domicilio delle persone fisiche. Questo orientamento ha trovato conferme da parte della dottrina ed in due pronuncie di questa Corte (v. Cass. Sent. 12 maggio 1979, n. 2758; Cass. Sent. 16 ottobre 1979 n. 5392, che ha confermato la ritualit della notificazione al rappresentante di una societ a responsabilit limitata eseguita a norma dell'art. 143 c.p.c.), ancorch il prevalente e pi recente orientamento di questa Corte segua diverso indirizzo (v. Cass. Sent. 3 luglio 1971, n. 2070; Sent. 14 luglio 1971, n. 2295; Sent. 21 luglio 1979, n. 4378; Sent. 4 aprile 1983, n. 2604; Sent. 9 dicembre 1985, n. 6128; Sent. 28 febbraio 1987, n. 2152). Quest'ultimo indirizzo si ritiene di dovere confermare, ove si consideri che tra la disciplina dell'art. 143 e le fattispecie rientranti nel disposto dell'art. 145 c.p.c. esiste una essenziale difformit di presupposti. Ed invero, le disposizioni dell'art. 143 postulano essenzialmente che sia sconosciuto il luogo in cui il destinatario ha la sua residenza, il domicilio o la dimora ed inoltre che detta non conoscenza non sia superabile attraverso le normali ricerche ed adottando la comune diligenza. N l'una, n l'altra situazione, per, pu realizzarsi per le societ di capitali, munite di personalit giuridica, per le quali vige l'obbligo di 136 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dichiarare quale sia la sede della societ all'atto stesso della costituzione' (artt. 2328, 2464, 2475 e.e.), nonch l'obbligo di dichiarare i mutamenti della sede (art. 2436 e.e.); per le quali, infine, esiste un sistema di pubblicit legale atto a consentire di conoscere l'attualit della sede dichiarata e l'inopponibilit ai terzi dei mutamenti non pubblicizzati. Conseguentemente, qualora la sede dichiarata non coincida con quella effettiva e questa non sia nota, il terzo potr legittimamente ignorare la sede effettiva, effettuando le notifiche nel luogo pubblicizzato come sede dalla stessa societ e risultante dai pubblici registri, salvo giovarsi del disposto dell'art. 140 nel caso in cui il legale rappresentante della societ, o altre persone legittimate a ricevere l'atto, risultino irreperibili in taile luogo (v. Cass. Sent. 6 giugno 1975, n. 2254; specificamente per l'applicabilit della disciplina dell'art. 140 alle persone giuridiche, v. Cass. Sent. 2 maggio 1%4, n. 1054, nonch le sentenze nn. 2604/83 e 6218/85, gi citate). Nel caso, quindi, di irreperibilit di persone legittimate a -ricevere l'atto nella sede sociale indicata nei pubblici registri, e di impossibilit di notifica al legale rappresentante della societ a norma degli artt. 138, 139 e 141 c.p.c. richiamati dal terzo comma dell'art. 145 c.p.c., la notifica deve essere fatta alla societ nella sede sociale risultante dai pubblici registri, nella forma dell'art. 140 c.p.c. e non in quella dell'art. 143, i cui presupposti non sussistono. Conseguentemente, la notificazione del ricorso, .eseguita nelle forme sopra descritte, deve ritenersi inidonea all'instaurazione del contraddittorio. Si tratta, ora, di individuare se detta inidoneit abbia le caratteristiche della nullit (art. 160 c.p.c.), ovvero assuma rilievo quale totale inesistenza dell'atto. Nella specie, le anomalie concernenti le modalit di notifica poste in essere, furono diverse e tali da incidere sostanzialmente su una qualsiasi reperibilit dell'atto da parte della societ, ~he della notifica dove'\ra essere l'unica destinataria, e cio: 1) si ricorsi, come gi rilevato, alla forma dell'art. 143 c.p.c., anzich alle modalit dell'art. 140, applicabile in via sussidiaria per le notifiche alle societ di capitali; 2) si indirizzata la notifica alla persona fisica del liquidatore, di cui era noto domicilio diverso daHa sede sociale, dimora o residenza alcuna, presente o passata, anzich direttamente alla societ di cui era nota o accertabile la sede legale, ricorrendo quindi alla scelta sussidiaria prevista dal terzo comma dell'art. 145, pur in mancanza del presupposto essenziale dell'indicazione della persona fisica del legale rappresentante, indicazione che, in relazione alle necessarie forme degli artt. 138, 139 e 141 richiamati, presuppone la conoscenza della residenza, del domicilio o della dimora del liquidatore; PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 3) si ricorsi, infine, alla norma dell'art. 143, secondo comma, c.p.c. nei confronti della persona del liquidatore, come persona di cui non era noto n il luogo di nascita n quello di residenza, mediante consegna all'Uffico del Pubblico Ministero di Palermo, luogo che non aveva alcun collegamento n con il destinatario dell'atto (per l'appunto il liquidatore) n con il giudizio che con il ricorso veniva instaurato. Il collegamento con Palermo esisteva con riferimento alla sede della societ, ma in tal caso destinatario dell'atter di notifica avrebbe dovuto essere la societ stessa nella sua sede, e non il liquidatore con residenza presente o passata sconosciuta. La consegna all'ufficio del Pubblico Ministero, che integra l'ultima delle possibilit di ricerca e di reperimento di un atto da parte del destinatario e che nel contempo diretta ad attivare un organo per la ricerca del destinatario stesso, in mancanza di qualsiasi altro criterio di collegamento con Ja causa o con la persona, che il pre~mpposto stesso dell'art. 143, secondo comma c.p.c., non pu che avvenire nel luogo in cui il giudizio (o il grado) viene instaurato e, nella specie, in Roma. Si deve tenere conto che, al di fuori della consegna dell'atto a mani proprie del destinatario, tutte le altre forme di notifica sono volte ad instaurare presunzioni legali di conoscenza nelle quali, man mano che ci si allontana dai criteri strettamente collegati alle persone che hanno vincoli col destinatario ed ai luoghi in cui lo stesso opera, la distanza tra la realt effettiva della conoscenza e quella presunta, destinata ad aumentare. Detta discrepanza massima proprio nella forma dell'art. 143, secondo comma c.p.c. Ci premesso, ci si rende conto come il mancato rispetto della gradualit delle forme alternativ.e di notifica, secondo una sequenza di situazioni successive dalla legge prevista, pone la notifica al di fuori dei presupposti stessi necessari perch una qualsiasi presunzione di conoscenza possa sorgere. Nella specie, vi stata anomalia 'sul tipo di notifica scelto, anomalia nell'individuazione del destinatario delle formalit di notifica, anomalia sul luogo di esecuzione delle formalit. Vi , quindi, tutta una serie di situazioni in base alle quali si creata una tale difformit dal modello legale da non riuscire ad inserirsi nel ciclo del processo, per cui non vengono in considerazione le norme che disciplinano gli effetti della fatti specie, nemmeno quelle che sanciscono la. nullit, ma si versa in caso di inesistenza della notificazione. Se in linea di principio, riaffermato anche recentemente da questa Corte (v. Cass. Sent. 3 agosto 1988, n. 4806), una notifica deve ritenersi giuridicamente inesistente quando difettano totalmente gli elementi carat terizzanti che consentano la qualificazione di atto sostanzialmente con forme al modello legale delle notificazioni, ben pu dirsi che formalit, pur previste dalla legge per casi specifici e residuali, eseguite al di 138 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO fuori dei presupposti soggettivi ed oggettivi e di qualsiasi collegamento con lo schema legale delle notificazioni alle persone giuridiche, quale emerge nella sua completezza dall'art. 145 c.p.c., pone un principio di irrilevanza che si esprime nella inesistenza dell'atto. L'avvenuta scadenza del termine per il ricorso e l'impossibilit di far luogo alla salvaguardia dalla decadenza a norme dell'art. 291 c.p.c. in presenza di notifica inesistente, comporta l'inammissibilit del ri corso. (omissis) II (omissis) Con l'unico motivo di ricorso la societ Lotus, incorporante della S.p.A. S.A.BO., denuda violazione e falsa applicaizone degli artt. 140 e 145 c.p.c., e sostiene che erroneamente la C.T.C. ha ritenuto regolare la notifica della decisione di primo grado, e conseguentemente tardivo l'appello proposto avverso la stessa, in quanto per la notifica delle per sone giuridiche l'art. 145 c.p.c. (richiamato ne'art. 32 del d.P.R. n. 636/1972) non prevede l'applicazione delle disposizioni di cui al precedente art. 140; che comunque nessuna ricerca era stata effettuata circa la nuova sede della societ, n circa l'abitazione del suo legale rappresentante, essendosi proceduto alla notifica col rito degli irreperibili per il solo fatto che era risultato trasferito, al momento della notifica dell'avviso di fissazione d'udienza, il legale rappresentante della societ, indicato anche come persona fisica. Il ricorso fondato. A norma dell'art. 145 primo comma c.p.c. (richiamato nell'art. 32 del d.P.R. n. 636/1972) tra le disposizioni applicabili per la notifica degli atti del procedimento tributario), la notificazione alle persone giuridiche si esegue nella loro sede (legale, od effettiva, come consentito dall'art. 46 e.e.) previe le opportune ricerche sull'esistenza e l'ubicazione attuale della stessa, ove quella indicata negli atti non coincida con la sede dichiarata nei pubblioi registri (Cass. 5 giugno 1987 n. 4927). Qualora non sia possi bile effettuare la notificazione a norma dell'art. 145, primo comma c.p.c., la notificazione ai sensi dell'art. 140 stesso codice -applicabile anche nei confronti delle persone giuridiche (Cass. 28 febbraio 1987, n. 2152) -richiede un preventivo tentativo di notificazione, ai sensi del terzo comma dell'art. 145 c.p.c., alla persona fisica del legale rappresentante della persona giuridica, se l'atto da notificare indichi le generalit di detta persona fisica. Ai fini cio dell'ammissibilit della notificazine ex art. 140 c.p.c., come ha precisato questa S. Corte con la sentenza n. 2604/1983, occorre distinguere a seconda che nell'atto da notificare sia indicata o meno la persona che rappresenta l'ente, perch ove tale persona sia indicata, occorre non solo che non sia possibile la notificazione a norma del primo comma dell'art. 145 ma anche che si accerti l'impossibilit di notificazione dell'atto a mani proprie, nella residenza, nella dimora o nel PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 139 domicilio della persona che rappresenta l'ente o presso il domiciliatario di quest'ultima, ai sensi degli artt. 138, 139 e 141 richiamati nell'art. 145, terzo comma c.p.c. Nel caso d specie, dopo l'avviso di udienza, non notificato perch trasferito il destinatario -che era la SABO, soc. az. Bonifiche Ostia, rappr. Alberto Lombardi, via Orti della Farnesina 81, Roma si procedette alla notificazione della decisione della Commissione di I grado al signor Alberto Lombardi A.D. S0c. Azionaria Bonifiche Ostia, residente in Roma, via Orti della Farnesina n. 81 . Senza accertare se a tale indirizzo corrispondesse la sede legale della societ o .solo l'abitazione del legale suo rappresentante e senza eseguire indagini sull'una e sull'altra non poteva l'ufficiale giudiziario procedere direttamente alla persona giuridica a norma dell'art. 140 c.p.c., poich l'atto da notificare indicava espressamente la persona fisica del legale rappresentante ed a ql,lesti la notificazione non era stata neppure tentata (ai sensi. degli artt. 138, 139 e 141 c.p.c.). Ci tanto pi in quanto la dizione trasferito che era stata annotata sulla comunicazione dell'udienza, non consegnata, riferita al destinatario di quell'atto SABO, rapp. Alberto Lombardi non consentiva di comprendere se il trasferimento riguardava la sede della societ o il rappresentante legale. La circostanza della indicazione della persona fisica era pertanto decisiva e non consentiva la notificazione alla persona giuridica con il rito degli irreperibili senza le preventive opportune ricerche sopra ricordate. (omissis) I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 17 marzo 1989, n. 1333 -Pres. Brancaccio -Est. Maltese -P. M. Caristo (Conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Palatiello) c. Moret. Tributi in genere Accertamento Imposte Indirette Accertamento non motivato Notifica di nuovo accertamento prima della maturazione del termine di decadenza Validit. Prima della scadenza del termine di decadenza, l'ufficio pu notificare validamente un nuovo accertamento anche dopo che contro il primo accertamento era stato proposto ricorso deducendo la nullit per difetto di motivazione (1). (1-2) La prima massima di evidente esattezza. L'esercizio del potere non consuma il potere e non prelude la reiterazione di un atto irregolare. Del tutto inconferente il richiamo all'art. 21 del d.P.R. n. 636/1972 che esclude dalla sanatoria il vizio di difetto di motivazione; questa norma riguarda la sanatoria che si verifica, a seguito di ordinanza del giudice, nonostante la maturazione del termine di decadenm e non influisce affatto sulla autonoma inimativa dell'ufficio. 140 RASSEGNA DEU.'AWOCATURA DEU.O STATO II CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 17 marzo 1989, n. 1336 -Pres. Brancaccio -Est. Maltese -P. M. Caristo (Conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Palatiello) c. Zoppoli (avv. Pellegrini). Tributi in genere Accertamento Imposte indirette Difetto totale di maturazione Nullit. V a dichiarata la nullit dell'accertamento di valore totalmente immotivato (contenente solo la indicazione dei cespiti e dei valori) come tale privo di esistenza giuridica (2). I (omissis) Col primo mezzo l'amministrazione ricorrente denuncia la violazione dell'art. 13 decr. 3 novembre 1981, n. 739 e dell'art. 49 decr. 26 ottobre 1972, n. 634. Osserva che la disposizione dell'art. 13 conferisce alla Commissione il potere di disporre la rinnovazione della notificazione dell'atto impugnato in casi particolari, con esclusione del difetto della motivazione (si deve trattare soltanto del difetto di competenza o di vizi analoghi), nel presupposto dell'avvenuta scadenza del termine pe remanare il provvedimento stesso; mentre rimane sempre fermo il potere dell'ufficio finanziario di rinnovare, modificare, integrare il proprio provvedimento quando sia ancora aperto il termine per la sua emanazione. La censura pienamente fondata. La Commissione Centrale non ha distinto, come avrebbe dovuto, fra il potere processuale delle Commissioni di disporre, in certi limitati casi, la rinnovazione della notificazione dell'atto impugnato ed il potere sostanziale dell'amministrazione di correggere gli errori dei propri provvedimenti entro i termini di legge. Esattamente l'Avvocatura dello Stato si richiama al principio secondo il quale l'esercizio di un potere non determina la consumazione del potere; principio applicabile nel caso in esame, avendo l'ufficio del registro di Montebelluna notificato alle parti il secondo avviso di accertamento, a integrazione della motivazione contenuta nel primo, entro il La seconda sentenza si ricollega a numerose pronunzie (3 giugno 1987, n. 4844 e 13 luglio 1987, n. 6096 in questa Rassegna, 1988, I 132; 26 ottobre 1988, n. 5783 e n. 5782 ivi, 304) che, pur riducendo al minimo l'esigenza della motivazione, hanno sancito la nullit dell'accertamento totalmente immotivato. Nello stesso senso Cass. 15 maggio 1989, n. 2219-2223 di cui si omette la pubblicazione. Se vero che sufficiente una motivazione, anche stereotipa, che indichi il metodo di valutazione seguito, si dovrebbe considerare, ove non risulti il contrario, che il metodo seguito sia quello, pressoch universale, della comparazione. Verso una pi larga concezione della sufficienza sembrano orientarsi le sentenze delle Sez. Un. 13 luglio 1989, nn. 3285-3286 3 e agosto 1989, nn. 3578-3585. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA termine di legge prorogato dal successivo decreto, di cui si gi fatta menzione (n. 237 del 1974). La decisione della Commissione tributaria centrale non si sottrae, pertanto, a questa prima censura riguardante l'efficacia giuridica del secondo avviso; e deve essere, per conseguenza, cassata con rinvio, rima nendo assorbiti il secondo e il terzo motivo -dedotti dall'amministrazione in via subordinata -, concernenti la validit del primo avviso. (omissis) II (omissis) Col primo mezzo la ricorrente denuncia vizi di negata giurisdizione e di eccesso di potere giurisdizionale, con riguardo agli artt. 1 e 35 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636. Col secondo mezzo denuncia la violazione degli artt. 22, 48 e 49 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634 e dell'art. 26 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, anche nella modifica introdotta qal d.P.R. 6 dicembre 1977, n. 914 e con riguardo all'art. 20 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 543; e vizio di insufficiente motiva zione circa un punto decisivo della controversia. Il ricorso , in ogni suo aspetto, infondato: La Commissione tributaria centrale, invero, non incorsa negli errori e nelle violazioni di norme giuridiche, che la ricorrente le addebita, ma ha semplicemente rilevato che l'avviso di accertamento contiene la sola indicazione dei cespiti immobiliari e le cifre dei valori iniziali e finali di ohiarati nell'atto di compravendita e dei maggiori valori accertati. Ne ha coerentemente dedotto che, nel caso concreto, si tratta non di motivazione stereotipa bens di mancanza, anche grafica, di qualsiasi motivazione. Tale pronuncia si sottrae alle censure della ricorrente poich, riducendosi la struttura dell'avviso di accertamento alla semplice indicazione di cespiti e di valori, manca in esso qualsiasi elemento valutativo e, di conseguenza, non sorge un problema di validit o nullit dell'atto per motivazione apparente, bens un problema di esistenza giuridica dell'atto stesso che la Commissione, pur esprimendosi ancora in termini di nullit, ha ineccepibilmente risolto in senso negativo. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 21 marzo 1989, n. 1418 Pres. Tilocca Est. Maltese P. M. Di Renzo (diff.). Alessandri (avv. Stella Richter) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Palatiello). Tributi erariali indiretti -Imposta di registro Presunzione di accessioni Accordo per l'edificazione con effetto obbligatorio -Non vince la presunzione. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 23). La presunzione dell'art. 23 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. '634 pu essere vinta soltanto con un atto costitutivo di un diritto reale di superficie che 142 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO esclude l'accessione; nessun valore pu invece essere riconosciuto ad un accordo di natura obbligatoria per consentire l'edificazione che non escluderebbe ma riconfermerebbe l'accessione (1). (omissis) Con l'unico mezzo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 23, primo comma d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634 e 934 e.e. Afferma che la presunzione di trasferimento delle accessioni prevista dall'art. 23 decr. 634 del '72 vinta, nel caso concreto, dall'esistenza di atti e documenti -la cui data certa non pu esser messa in discussione perch provenienti da uffici pubblici o perch registrati -comprovanti che la costruzione stata eseguita da soggetto diverso dal proprietario del fondo e col consenso del proprietario medesimo. Precisa che l'atto di compravendita riguarda solamente il terreno senza alcuna menzione dei fabbricati, e che nessuna rilevanza si pu attri buire alla clausola di stile secondo la quale il terreno viene trasferito nello stato fisico e giuridico in cui si trova . Sostiene che, in generale, l'accordo impeditivo dell'accessione, col quale il proprietario dell'area autorizza il terzo a costruire e ad occupare con la costruzione una porzione del suolo, ben pu avere contenuto meramente obbligatorio e non esser, quindi, soggetto ai requisiti di forma e di pubblicit richiesti per i negozi costitutivi dei diritti reali. Nel caso in esame, essendo intercorso un patto di tale natura fra il proprietario dell'area e il costruttore, nessuna accessione si sarebbe verificata a favore del primo.. Pertanto con il successivo atto di compravendita si sarebbe trasferito solamente il suolo, unico bene tassabile con l'imposta di registro. Il ricorso infondato. L'art. 23, primo comma decr. n. 63 del 1972, dal titolo Presunzione di trasferimento dell'accessione e delle pertinenze, testualmente dispo ne: Nei trasferimenti immobiliari le accessioni, i frutti pendenti e le pertinenze si presumono trasferiti all'acquirente dell'immobile, a meno che siano esclusi espressamente dalla vendita o si provi, con atto che abbia acquistato data certa mediante la registrazione, che appartengono ad un terzo o sono stati ceduti all'acquirente da un terzo,,: Trattasi di una presunzione iuris tantum , che, come ha correttamente deciso la Commissione tributaria centrale, non vinta, nella specie, da una prova contraria. pacifico, invero, che i due fabbricati in questione non sono stati espressamente esclusi dalla vendita; n risulta dimostrato con atto di data certa che essi appartengano a un terzo o allo stesso compratore per cessione da parte di un terzo. (1) Decisione di evidente esattezza conforme alla tradizione formatasi sotto la precedente legge. I ' i .. . I --.-I PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 143 Con le parole in assenza di regolare costituzione di diritti ad aedificandum la Commissione Centrale ha inteso, appunto, riferirsi alla mancanza di un formale atto costitutivo del diritto reale di superficie, che sarebbe stato necessario, secondo la previsione degli artt. 952 e 1350, n. 2 e.e .. per impedire l'effetto giuridico dell'accessione. Neppure il ricorrente assume che esista a proprio favore un negozio costitutivo. di tale diritto reale. Egli si basa soltanto sulla documentazione del << consenso del proprietario alla costruzione. Asserisce, inoltre ~ come si gi accennato -, che fra il proprietario e il costruttore sarebbe intervenuto un accordo ad aedificandum di natura obbligatoria, non soggetto alle rigorose forme dei negozi costitutivi di diritti reali e di per s impeditivo dell'accessione. Ora, per quanto riguarda la prima di queste due proposizioni difensive, imperniata sulla prestazione del consenso da parte del proprietario, bisogna premettere che l'esistenza di una documentazione di data anteriore alla vendita, riguardante la costruzione degli edifici ad opera del futuro acquirente, non disconosciuta ed, anzi, affermata come fatto storico nella decisione impugnata. Quel i;he la Commissione Centrale esattamente esclude non solo la possibilit di collegare a quei documenti la nascita di un diritto reale di superficie, ma, implicitamente, anche la rilevanza del consenso alla co struzione del proprietario del suolo, se ed in quanto desumibile dai docu menti stessi. Tale consenso, invero, non escluderebbe l'accessione ma, tutt'al con trario, la presupporrebbe, importando esso una scelta preventiva e immo dificabile, da parte del proprietario, di ritenere l'opera, anzich pre tenderne la rimozione dal costruttore, come, invece, gli sarebbe concesso dall'art. 936 e.e., in alternativa alla ritenzione. Sotto questo primo profilo, pertanto, l'effetto reale dell'accessione non controvertibile, in assenza d un fatto impeditivo, non identifica bile nel consenso del proprietario. La seconda proposizione difensiva, basata sulla necessit di ricolle gare ad un asserito patto obbligatorio ad aedificandum gli effetti impe ditivi dell'accessione, si riferisce a casi non pertinenti al presente giu dizio. fuori campo, invero, il richiamo del ricorrente alla giurisprudenza di questa Corte, che, nella sentenza n. 2413 del 1976 (citata nel ricorso) riguarda il comodato del suolo con facolt del costruttore di asportare i materiali alla scadenza del rapporto; e che, nella sentenza n. 1463 del 1976 (anch'essa citata nel ricorso) concerne l'impegno del proprietario di ritenere la porzione di muro costruito a cavaliere del confine e insi 144 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO stente sulla sua propriet, con preclusione di chiederne l'arretramento e con le conseguenti implicazioni in tema di acquisto del suolo da parte del vicino per accessione invertita. Nel presente giudizio non in alcun modo controversa, nei rapporti interni fra le parti, la facolt del proprietario del suolo di ritenere la costruzione; con esclusione, se mai, della sola facolt alternativa concessagli dal citato art. 936 e.e. Talch esattamente la Commissione Centrale ha affermato che il consenso del proprietrio alla costruzione non ha impedito l'effetto reale dell'accessione. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 31 marzo 1989, n. 1582 -Pres. Vercellone Est. Lupo -P. M. Lanni (conf.). Monti (avv. Gallo) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Palatiello). Tributi erariali diretti Imposta unica sul reddito delle persone fisiche . Redditi fondiari Catasto Classamento Notifica . ~ necessaria ai fini della decorrenza del termine per l'impugnazione Nullit di classamento non notificato Esclusione. (d.I'.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 1). Nel procedimento catastale l'atto di classamento, contro il quale consentito il ricorso alla Commissione espressamente previsto nell'art. 1 del d.P.R. n. 636/1972, deve essere notificato anche in assenza di una norma specifica (la norma che prevede la pubblicazione degli atti di formazione del catasto riferibile soltanto all'impianto del nuovo catasto). Tuttavia l'omessa notifica non comporta la nullit del classamento (1). (omissis) 1. -Con il primo motivo i ricorrenti deducono violazione e falsa appiicazione degli art. 28 e 30 del r.d.l. 13 aprile 1939 n. 652 (con vertito nella legge U agosto 1939 n. 1249), nonch vizi di motivazione della decisione impugnata. Nel motivo si sostiene che mancata la notifica dell'accertamento, onde illegittimo e quindi inefficace il classamento operato dall'ufficio. Si rileva a tal proposito che la Commissione tributaria centrale. caduta in errore quando ha ritenuto non necessaria la notifica individuale, in quanto il classamento delle unit immobiliari urbane era stato pubblicato ai sensi dell'art. 65 del d.P.R. 1 dicembre (7) Decisione esatta. La notifica del classamento se pure necessaria per far decorrere il termine per l'impugnazione non essenziale al classamento. ci non tanto perch il classamento un atto che si differenzia dal normale accertamento (Cass. 17 novembre 1983, n. 6854 in questa Rassegna, 1983, I, 161), ma piuttosto perch non essendo previsto un termine di decadenza per l'emanazione dell'atto, non pu mai essere eccepito il difetto di notificazione. - PARIB I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1949, n. 1142; osservano i ricorrenti che tale pubblicazione varrebbe solo per le operazioni di primo impianto del nuovo catasto edilizio urbano, e quindi per gli immobili gi esistenti al momento della entrata in vigore del d.P.R. n. 1142/49, ma non per il procedimento di accatastamento delle nuove costruzioni successive, come quella appartenente ai Monti Quattrocolo. Nella memoria i ricorrenti, in replica alla tesi sostenuta nel contro ricorso dell'Amministrazione finanziaria, secondo cui la necessit della notifica individuale non sarebbe prevista da alcuna norma, prospettano il dubbio di legittimit costituzionale di siffatta esclusione, se essa do, vesse desumersi dall'ordinamento. 2. -Il motivo di ricorso, pur censurando a ragione parte della motivazione della decisione impugnata, va respinto, in quanto il dispositivo della stessa decisione conforme al diritto, onde ne va soltanto corretta la motivazione (art. 384 cpv. c.p.c.). Ed invero esatta la affermazione dei ricorrenti sulla necessit che venisse loro notificato l'avviso di classamento del nuovo immobile che era stato dichiarato all'Ufficio tecnico erariale a norma dell'art. 28 del citato r.d.l. n. 652/39. Poich pacificamente si trattava di una costruzione successiva alla attivazione del catasto, era inapplicabile l'art. 65 del d.P.R. 1 dicembre 1949 n. 1142 (regolamento sul nuovo catasto edilizio urbano) che prevede, come dice la stessa rubrica, la pubblicazione degli atti di formazione del catasto, i quali precedono l'attivazione dello stesso (disci plinata nel successivo capo VIII del regolamento). Questa disciplina inapplicabile all'accatastamento di singole unit immobiliari, quando ad essa si deve procedere dopo la conclusione del procedimento formativo del nuovo catasto edilizio urbano, previsto dal r.d.l. n. 652/39. Ha errato, pertanto, la Commissione tributaria centrale quando, in relazione al classamento dell'immobile dei ricorrenti, ha fatto richiamo agli artt. 65 e 71 del citato d.P.R. n. 1142/49, i quali si riferiscono esclu sivamente alla procedura di formazione iniziale del catasto. Fondata anche l'affermazione dei ricorrenti che l'avviso di classamento del loro immobile doveva essere .notificato, pur in assenza di una specifica previsione normativa in tal senso. L'art. l, ultimo comma del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 attribuisce alla competenza delle commis sioni tributarie le controversie promosse dai singoli possessori concernenti il classamento delle singole unit immobiliari urbane (in precedenza le stesse controversie erano attribuite alle commissioni censuarie dalla legge 8 marzo 1943 n. 153). Il soggetto interessato non posto normalmente in grado di instaurare una controversia in ordine al classamento effettuato dall'Amministrazione se tale atto non gli viene portato a conoscenza, in conformit del principio generale secondo cui i provvedimenti amministrativi vanno notificati alle persone che in essi sono direttamente contemplate, al fine del decorso del termine per l'impugna 146 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO zione (principio desumibile dalla disciplina contenuta nel r.d. 17 agosto 1907 n. 642). Conferma della interpretazione qui sostenuta pu trarsi dalla istruzione del Ministero delle finanze in data 13 dicembre 1961 -correttamente richiamata dai ricorrenti -la quale, nel paragrafo 29, prescrive che in evasione alle dichiarazioni di nuove costruzioni sottoposte ad accertamento tecnico l'ufficio notifica a mezzo di Mod. 84, a cia,Scuna ditta interessata, i risultati dell'accertamento stesso. Trascorsi 30 giorni dalla notifica senza pposizione degli interessati, l'ufficio dispone la registrazione definitiva delle variazioni negli atti di conservazione (scil.: del nuovo catasto edilizio urbano). Dalla trascritta istruzione ministeriale si trae conferma sia della necessit della notifica dell'avviso di classamento, sia del collegamento tra la notifica medesima e la impugnativa giurisdizionale del provvedimento (alla quale ora si applica la disciplina del d.P.R. n. 636/72). Deve quindi concludersi che, contrariamente alla tesi sostenuta dal1' Amministrazione finanziaria nel controricorso (ma non ripresa nella discussione orale), l'avviso di classamento del nuovo immobile doveva essere notificato alla parte ricorrente. 3. -In contrasto con l'assunto dei ricorrenti, va per affermato che la ml:lcata notifica non ha comportato la illegittimit o la inefficacia dell'atto di classamento. Anche in assenza di notifica, invero, gli interessati hanno impugnato il classamento, facendo valere tutte le ragioni di merito ritenute prospettabili, senza che mai fosse posta in questione la tempestivit del ricorso alle commissioni tributarie, tanto che il ricorso stato esaminato e deciso nel merito, anche da parte delila Commissione tributaria centrale, la quale ha fatto riferimento alla definitivit della classificazione dell'immobile come unit tipo, affermando che tale c1as sificazione non pu formare oggetto di ulteriore esame da parte dei giu dici di merito n pu ammettersi per essa una richiesta di declassamen to (punti di diritto della decisione -questi ultimi -non impugnati dagli odierni ricorrenti). In linea generale, va osservato che, come si detto (par. 2), l'obbligo di notifica dell'avviso di classamento deriva dalla disciplina dell'impugna tiva giurisdizionale dei provvedimenti amministrativi, in cui noto che la notifica dell'atto trova un perfetto equipollente nella piena conoscenza di esso, comunque acquisita dall'interessato. Con riguardo all'atto di classamento, deve affermarsi, cio, che la notifica non un requisito di effi. cacia dell'atto, ma serve soltanto a fare acquisire al soggetto interessate la conoscenza di esso ai fini della possibilit di instaurazione della con troversia. N sono, al riguardo, invocabili i principi giuridici relativi all'avviso di accertamento tributario quale atto finale tipico del procedimento di determinazione degli imponibili delle imposte sui redditi. Come ha gi I I I ~= I I I PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 147 affermato questa Corte (sentenza 17 novembre 1983, n. 6854), l'avviso cli classamento concerne un'operazione diversa e preliminare rispetto all'ac certamento dei redditi fondiari tassabili, consistendo nella determinazio ne della categoria e classe della singola unit immobiliare e, in conseguenza, della rendita catastale, la quale, per, non si identifica con il reddito imponibile, anche se ne costituisce la normale base cli calcolo. Correlativamente anche la motivazione dell'avviso cli classamento si differenzia -sempre secondo il citato precedente -da quella dell'avviso di accertamento del tributo, in quanto la prima si sostanzia nella mera indicazione dei dati oggettivi acclarati dall'ufficio tecnico e della classe conseguentemente attribuita all'immobile, i quali sono elementi idonei a consentire all'interessato, mediante il rapporto con quelli indicati nella propria dichiarazione, cli intendere le ragioni del classamento e di tutelarsi mediante ricorso alle commissioni tributarie. In conclusione, deve affermarsi che la mancata notifica dell'avviso di classamento non ha determinato la inefficacia dell'atto, che stato impugnato dai ricorrenti con pieno esame del merito. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 4 mggio 1989, n. 2079 -Pres. Zucconi G~lli Fonseca -Est. Lipari P. M. Di Renzo (conf.). Galmuzzi c. Mi nistero delle Finanze (avv. Stato Braguglia). Tributi erariali diretti -Soggetti passivi Liquidatore di societ di capitali . Responsabilit Natura. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 265; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 36). Tributi in genere -Contenzioso tributario Competenza e giurisdizione Azione di mero accertamento in sede ordinaria Liquidatore di societ di capitali Ammissibilit anteriormente all'accertamento della responsabilit Ricorso successivo all'accertamento Giurlsdi zione delle commissioni. (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 36). La responsabilit dei liquidatori, amministratori e soci di persone giuridiche per inosservanza dell'obbligo di pagare con le attivit disponibili le imposte dovute dal soggetto in liquidazione, d luogo, sia a norma dell'art. 265 del T. U. 29 gennaio 1958 n. 645, sia a norma dell'art. 36 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, che non ha modificato i caratteri sostanziali dell'istituto, ad un debito per fatto proprio nascente ex lege, non solidale n sussidiario, autonomo e distinto da quello tributario (1). (1-2) Su una improbabile ipotesi di giurisdizione mutevole in materia di responsabilit personale del liquidatore delle persone giuridiche. I -Con questa sentenza le Sezioni Unite, partendo da premesse che avrebbero meritato una riflessione critica, giungono ad una conclusione sconcertante. 11 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La responsabilit dei liquidatori, amministratori e soci di persone giuridiche non avente natura tributaria naturalmente soggetta alla giurisdizione ordinaria s che consentito p1oporre innanzi a tale giurisdizione azione di accertamento preventivo diretta a far dichiarare l'insussistenza dei presupposti della responsabilit. La giurisdizione delle commissioni tributarie imposta in modo anomalo dall'art. 36 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, per una controversia che non ha natura tributaria sorge solo per effetto dell'accertamento dell'ufficio tributario e successivamente alla notifica di esso (2). 1. -Con atto di citazione in riassunzione del 22-28 dicembre 1988, Ernesto Galmuzzi conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Cremona la s.p.a. Logam in liquidazione, il liquidatore Carlo Vercelli, i soci Mario Paesetti, Marco Paesetti e Giacomina Dossena in Paesetti, nonch il ministero delle finanze e (per notizia) i procuratori della repubblica presso i Tribunali di Crema e di Milano. Premetteva l'attore che nel periodo dal 14 febbraio 1972 al 9 aprile' 1979 aveva ricoperto formalmente la carica di amministratore unico di detta soc. Logam, ma che, in realt, l'effettivo incarico di amministratore era stato svolto da Mario Paesetti, essendo egli un semplice inter- Si prendono le mosse dalla affermazione che la responsabilit del liqui datore di societ tassabili in base a bilancio prevista nell'art. 265 del t.u. del 1958 (per inosservanza dell'obbligo di pagare con le attivit della liquida zione le imposte dovute dalla societ) concretava non un debito tributario ma un comportamento illecito da cui derivava un debito per fatto proprio non soggetto alla disciplina processuale tributaria al tempo vigente; la responsabilit del liquidatore trova la sua fonte in un rapporto obbligatorio autonomo e distinto da quello tributario, non solidale n sussidiario, il quale nasce ope legis in presenza di determinati presupposti; il liquidatore cio responsabile secondo le norme comuni degli artt. 1176 e 1218 cod. civ. Da questa premessa, pigramente ripetitiva bench avallata da abbondanza di precedenti, si passa alla proposizione secondo la quale la modifica introdotta con l'art. 36 del d.P.R. n. 602/1973 avrebbe portata esclusivamente processuale, mentre resterebbero perfettamente valide tutte le argomentazioni elaborate anteriormente alla riforma sulla natura sostanziale (non tributaria) della responsabilit del liquidatore. Si trae quindi la conclusione che l'azione di mero accertamento preventivo volta a verificare la insussistenza della qualit di liquidatore avente natura negativa di un diritto soggettivo extratributario rientra per sua natura nella giurisdizione del giudice ordinario e che la deroga a questa giurisdizione introdotta con l'art. 36 del d.P.R. 602/1973 opera solo dal momento in cui interviene l'atto di accertamento della responsabilit per effetto del quale l'obbligazione non tributaria la cui inesistenza ben pu accertare il giudice ordinario, in via preventiva, si irrigidisce negli schemi del provvedimento amministrativo tributario di cui segue la disciplina anche giurisdizionale , L'art. 36 ha introdotto una giurisdizione tributaria anomala giacch senza un intervento espresso del legislatore non sarebbe stata in nessun modo ipotizzabile la giurisdizione del giudice tributario; ma ci non comporta un ripensamento sulla natura del .. .. . I PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRmUTARIA 149 posto, legato alla societ da un rapporto di lavoro subordinato e privo di qualsiasi potere decisionale; che nell'ambito dell'attivit di commercio petrolifero della societ erano state rilevate, ed erano in corso di accertamento da parte di varie autorit giudiziarie, gravi infrazioni di carattere penale e fiscale nelle quali egli era rimasto coinvolto per la sua qualit di amministratore unico, bench del tutto ignaro della doppia attivit di contrabbando coperta dalla societ; che dalle inchieste penali in corso emergeva, o stava per emergere, la sua estraneit alle frodi e, per converso, la reale figura del Paesetti quale titolare del pacchetto di maggioranza ed effettivo proprietario e amministratore della societ; che per le vicende di evasioni petrolifere, delle quali egli non aveva neppure conoscenza, l'amministrazione finanziaria aveva emesso nei suoi confronti numerosi atti ed avvisi di pagamento riguardanti sanzioni per alcuni miliardi. Tutto ci premesso, l'attore chiedeva: 1) dichiararsi la simulazione assoluta del rapporto organico solo formalmente intercorso tra lui e la Logam nel periodo 14 febbraio 1972 -9 aprile 1979 ed accertarsi conseguentemente che l'unica persona avente poteri decisionali e di rappresentanza nell'ambito della societ era sempre stato Mario Paesetti; 2) accertarsi la sua estraneit, anche ai fini della responsabilit civile e fiscale, l'obbligo ma rappresenta la riprova del carattere non tributario del medesimo " Da tutto questo discende che finch l'atto di accertamento non sia venuto in essere il soggetto interessato pu adire il giudice ordinario per far accertare l'inesistenza dei presupposti della responsabilit senza che gli si possa obiettare che non sono proponibili azioni di accertamento negativo di obbligazioni tributarie , mentre dopo la notifica dell'accertamento scatta la previsione innovativa dell'art. 36 e si radica la giurisdizione innanzi alle commissioni nonostante la natura non tributaria della pretesa . II -:t> forse la prima volta che si profila una ipotesi di spostamento della giurisdizione in dipendenza dell'emanazione di un atto di accertamento dell'Am ministrazione finanziaria con l'effetto veramente singolare di ammettere la per- corribilit di un doppio binario (1), senza peraltro nemmeno proporre i modi in cui le due diverse iniziative processuali possano coordinarsi senza sovrapporsi (2). Va subito precisato che il mutamento della giurisdizione non posto in relazione all'effetto costitutivo dell'atto di accertamento come operante una modificazione della situazione soggettiva (ad es. degradazione da diritto soggettivo ad interesse legittimo) che possa giustificare il venir meno della giurisdizione (3); l'accertamento darebbe solo concretezza ad una giurisdizione anomala, che attrae forzatamente verso le commissioni la controversia che per sua natura (1) SPECA, Esperibilit davanti al giudice ordinario dell'azione di disconoscimento della qualit di amministratore, in Dir. prat. trib., 1990, II, 41, a commento della stessa sentenza. (2) GtENDI, Commentario alle leggi sul contenzioso tributario, Milano, 1990, 70, sempre con riferimento alla sentenza in esame. (3) E. sufficiente considerare al riguardo che la ipotesi di azioni di mero accertamento preventivo innanzi all'A.G.O., pi che mai in duplicazione del ricorso alla commissione, decisamente rifiutata da GtENDI, L'oggetto del processo tributario, Padova, 1984, 58 ss. e 728 ss.; Io., Commentario, cit., 34 ss., che ncora la giurisdizione tributaria all'interesse le~ttimo. I150 RASSEGNA DEU..'AWOCATURA DEU..O STATO Imalle attivit di evasione fiscale per mancato pagamento delle imposte di fabbricazione e di ogni altro tributo della Logam , con efficacia di tale accertamento nei confronti del ministero delle finanze e delle altre parti in causa, e ci anche ai sensi e per tutti gli effetti di cui all'art. 36 d.P.R. I n. 602 del 1973; 3) condannarsi i convenuti (eccetto gli uffici del p.m.) alle spese in caso di resistenza. Si costituivano in causa il ministero delle finanze, la s.p.a. Logam, I in persona del suo liquidatore Carlo Vercelli e quest'ultimo in proprio. Il g.i. del Tribunale di Crema, con provvedimento 1 ottobre 1981 ex articolo 38 c.p.c., su eccezioni dell'amministrazione finanziaria, dichiarava l'incompetenza per territorio di detto tribunale e designava come competente il Tribunale di Brescia, ordinando la cancellazione della causa dal ruolo. Con atto del dicembre 1981 il Galmuzzi provvedev a riassumere la causa davanti al Tribunale di Brescia, insistendo nelle richieste originarie. Il ministero delle finanze si costituiva in giudizio ed oltre a chiedere il rigetto o la declaratoria di inammissibilit delle domande, eccepiva il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore delle commissioni tributarie. In relazione a tale eccezione di Galmuzzi ha proposto la presente istanza di regolamento di giurisdizione, chiedendo affermarsi che per la e resta extratributaria. Del resto la S.C., pur senza dichiararlo espressamente, si muove nel solco della sua ferma tradizione giurisprudenziale che concepisce il processo speciale tributario come di accertamento del rapporto del diritto soggettivo sia pure introdotto sotto forma di impugnazione di atti (4). Ma se la situazione soggettiva resta la medesima, come pu un atto di accertamento dei presupposti di una responsabilit ex lege (quindi necessariamente un atto dichiarativo) operare lo spostamento della giurisdizione? Non si pu pensare che la S.C. abbia inteso affermare in termini generali che la giurisdizione tributaria, condizionata ad uno degli atti di cui all'art. 16 del d.P.R. n. 636/1972, si radica solo a seguito della emanazione di uno di quegli atti e che anteriormente non esclusa la sussistenza della giurisdizione ordinaria per l'accertamento di rapporti di diritto comune. Se cos fosse, sarebbe sempre consentito far accertare dall'A.G.O., prima della notifica di un provvedimento, con giudicato efficace nei confronti dell'Am ministrazione finanziaria, la qualit di erede, la simulazione di un contratto, la qualdt di socio di una societ, di coniuge, di cessionario di azienda, di possessore di immobile e di tante altre situazioni giuridiche ipoteticamente rile vanti su future pretese di imposta (5). Ma evidente che la giurisdizione predeterminata (nell'art. 1 del d.P.R. n. 636 piuttosto che nell'art. 16) in relazione alle situazioni sostanziali ,e se il ricorso al giudice tributario non ammesso prima della emanazione di un atto (4) Senza entrare in questo vastissimo territorio mi limito a rinviare a BAFl'LE, Motivazione dell'accertamento e natura del processo secondo l'ultimo indirizzo delle Sezioni Unite, in Rass. trib., 1989, I, 247. (5) Per la confutazione di tale prospettiva v. GLENDI, Commentario, cit., 36, con ampie citazioni di dottrina e giurisprudenza. ~ ~j PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 151 causa e le domande da lui formulate davanti al Tribunale di Brescia sussiste giurisdizione dell'.A.G.O. e non quella delle commissioni tributarie. Sostiene all'uopo il ricorrente che le responsabilit e le sanzioni previste dall'art. 36 d.P.R. 602/73 (disposizioni sulla riscossione dell'imposta sui redditi) a carico degli amministratori, ex amministratori o soci di soggetti tassabili in base a bilancio non determinano una coobbligazione solidale per responsabilit di imposta, dovendosi escludere la natura tributaria della responsabilit prevista dalla suddetta norma, la quale non si riferisce al mancato pagamento del tributo, tenendone le veci, ma dipende da fatto proprio del liquidatore, amministratore e socio, che, in presenza di attivit sociali, non ne ha fatto impiego prioritario per il pagamento delle obbligazioni tributarie facenti carico alla societ, trattandosi di responsabilit sussidiaria di natura sanzionatoria. Non pu revocarsi in dubbio, pertanto, il diritto del soggetto obbligato ex art. 36 d.P.R. n. 602 del 1973 di reagire alla pretesa, che potrebbe essere fatta valere secondo moduli amministrativi e provvedimenti autoritativi del fisco, chiedendo in prevenzione al giudice ordinario l'accertamento negativo di quella responsabilit, con onere a proprio carico di fornire la prova liberatoria al riguardo. L'amministrazione delle finanze non ha svolto attivit difensiva. Motivi della decisione. -1. -Ernesto Galmuzzi, avendo ricoperto la carica di amministratore unico della societ per azioni Logam, in liqui (giurisdizione condizionata) ci da un lato rileva solo temporalmente sui modi dell'esercizio dell'azione, dall'altro esclude che la identica questione possa essere comunque deferita ad altra giurisdizione. Si deve quindi escludere che l'art. 36 nel deferire al giudice tributario il ricorso contro l'accertamento della responsabilit del liquidatore (parliamo per brevit di liquidatore e societ intendendo riferire il discorso secondo quanto prevede l'art. 36, anche all'amministratore ed ai soci o associati di soggetti all'imposta sul reddito delle persone giuridiche) la abbia limitata temporalmente ponendo come dies a quo la notifica dell'accertamento. Alla giurisdizione delle commissioni deferita nella totalit la controversia sulla responsabilit del liquidatore; tutt'altro ordine cli questione la disciplina del momento e della forma in cui l'a:lli.one pu essere esercitata. Ma certo che il clifetto temporaneo cli giurisdi:lli.one del ~udice tributario anteriormente all'emissione di un provvedimento de1J.'Amminist!l'a2lione non ammette la sussistenza cli altra giurisdizione. La giurisdizione, per quanto anomala, creata dall'art. 36 ha sottratto alla giurisdizione dell'A.G.O. la controversia, in qualunque modo prospettata, della responsabilit del liquidatore. Se la norma, sia pure in pi.odo anomalo, ha ricompreso nella giurisdizione tributaria un rapporto extratributario, essa va applicata a meno che non si voglia dubitare della sua legittimit (6); ma non concepibile applicare la (6) ti. stata anche sostenuta, irragionevolmente, la illegittimit costituzionale dell'art. 36 per eccesso di delega: v. autori citati in GLENDI, Commentario, cit., 70. RASSEGNA DELl..'AVVOCATURA DELLO STATO dazione, coinvolta in violazioni fiscali per evasione delle imposte di fab bricazione sui prodotti petroliferi, dell'IVA e delle imposte dirette, ha chiesto al giudice ordinario di accertare che la copertura della carica di amministratore da parte sua era meramente fittizia, essendo egli effettivamente solo un dipendente della socit come lavoratore subordinato, chiamato alla carica in senso meramente formale essendo dominus della societ medesima Mario Paesetti, e dovendosi, pertanto, considerare simulato il rapporto organico che apparentemente lo legava alla societ. In connessione con tale domanda (principale) di simulazione il medesimo Galmuzzi ha chiesto altres l'accertamento negativo della propria responsabilit, ai fini tributari per le evasioni fiscali, con efficacia dell'accertamento stesso nei confronti dell'amministrazione finanziaria ai sensi e per gli effetti dell'art. 36 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 riguardante gli obblighi degli amministratori e liquidatori delle societ che non abbiano provveduto a soddisfare le obbligazioni creditorie di questa. ~ Stabilisce il primo comma dell'art. 36 che i liquidatori dei soggetti I all'imposta sul reddito che non adempiano all'obbligo di pagare con le ~ attivit della liquidazione le imposte dovute per il periodo della liqui~ dazione medesima e per quelli anteriori, rispondono in proprio del paga J mento delle imposte se soddisfano crediti di ordine inferiore a quello t ; I " norma in modo parziale, aprendo una, forse unica, incoerente e pericolosa breccia verso il doppio binario e verso la reintroduzione delle azioni di mero accertamento preventivo. Non esistono nella esperienza giuridica altre ipotesi di situazioni in cui la giurisdizione si trasferisce con l'evolversi (senza trasformazioni) della situazione medesima (7). i III Con quanto affermato con la sentenza che si commenta, non solo si ~ riconosciuto praticabile un doppio binario, ma si anche ammessa la proponibilit ,di un'azione di mero accertamento preventivo; ci in base alla semplice considerazione che non si incontrano i divieti che valgono solo in materia I tributaria. ~ Senza affrontare il problema delle azioni di mero accertamento, si ritiene r necessario rilevare che, posta come pacifica l'improponibilit di tali azioni sia IE innanzi alle commissioni sia innanzi all'A.G.O. relativamente a tutte le controE versie tributarie (o almeno a quelle devolute alla giurisdizione delle commisI !! sioni (8)), non pu non seguirsi lo stesso orientamento per tutte le situazioni i (7) Veramente problematica la c;ostruzione secondo la 9uale l'obbligazione ex lege del liquidatore che gi esiste come obbligazione civile, si irrigidisce ne~li schemi del provvedimento amministrativo tributario di cui segue la disciplina anche giurisdizionale . (8) Correntemente si ripete che le azioni di mero accertamento sono state ammesse dalla I ~urisprudenza nelle imposte indirette e lo sarebbero tuttora (una riaffermazione in tal SIJnso e stata ultimamente fatta dalle Sezioni Unite con la sent. 1 aprile 1987, n. 3107, in Boli. trib., I 1987, 839, in un caso molto particolare); ma la affermazione va rivista perch a seguito della riforma il principio della giurisdizione condizionata stata ribadita in via generale per tutti i tributi; anzi per le imposte indirette soggette alla giurisdizione ordinaria l'azione deve essere preceduta non solo da un provvedimento dell'ufficio ma anche da un ricorso amministrativo (art. 38 d.P.R. n. 640/1972; art. 11 d.P.R. n. 641/1972; art. 33 d.P.R. n. 642/1972; art. 20 d.P.R. I n. 638/1972; art. 24 d.P.R. n. 639/1972; pi recentemente art. 3 legge 24 gennaio 1978, n. 27. Sullo stesso piano aitt. 76 e 82 d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 sulle imposte doganali). Ed I coerente che sul punto non vi sia differenza tra imposte dirette ed indirette e tra giurisdi i zione ordinaria e giudisdizione speciale. Per la inammissibilit in via generale delle azioni di mero accertamento cfr. da ultimo Cass., 19 giugno 1990, n. 6174, in Corr. trib., 1990, 2595. I ; I I I PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 153 tributario, o assegnano beni ai soci o associati senza avere prima soddisfatto i crediti tributari. Ai sensi del secondo comma la stessa responsabilit si estende agli amministratori in carica al momento dello scioglimento della societ. Infine il quarto comma prevede la responsabilit personale anche per gli amministratori che abbiano compiuto nel corso dei due ultiini periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione operazioni di liquidazione ovvero di occultamento di beni. Come evidenziato nella relazione ministeriale la norma dell'art. 36 costituisce una pi attenta rilettura del precedente art. 265 del testo unico n. 645 del 1958 la cui portata viene estesa alla responsabilit solidale dei soci ed associati che hanno ricevuto in assegnazione beni nei due periodi di imposta precedenti alla liquidazione ed agli amministratori che, nello stesso periodo, hanno compiuto operazioni di liquidazione o di occultamento di beni. 2. -Questa essendo la base normativa dell'azione di accertamento negativo proposta dal Galmuzzi che intende sottrarsi alla responsabilit che discende dal richiamato articolo, risulta giuridicamente fondata la tesi del ricorrente il quale, richiamando il costante orientamento della giurisprudenza di questa corte regolatrice, sostiene la giurisprudenza del giudice ordinario al riguardo, avendo proposto il presente regolamento preper le quali attribuita alla Amministrazione finanziaria, sia pure in modo anomalo, una potest di accertamento ed designata la giurisdizione delle commissioni. Tutte le ragioni che sostengono la regola che vieta la proponibilit dell'accertamento preventivo valgono allo stesso modo per il problema in questione: se nell'attribuzione dell'ufficio tributario accertare la responsabilit del liquidatore, questa attribuzione non pu essere usurpata anticipando con una pronunzia giurisdizionale la verifica della sussistenza della obbligazione; e se la giurisdizione prestabilita in via successiva sotto forma di ricorso contro l'accertamento innanzi al giudice speciale, non pu esservi concorrenza di altra giurisdizione in via preventiva. A tutte le ragioni che si adducono per escludere la proponibilit delle azioni di mero accertamento, che qui superfluo richiamare, si pu aggiungere che nella controversia in esame, come in ogni altra controversia di imposta, l'azione preventiva, oltre a sovvertire in modo sostanziale le regole dell~ attuazione del rapporto con la soppressione del procedimento amministrativo, la modificazione del regime della prova e del relativo onere, costringe l'Ammini strazione a seguire in tempi e sedi non proprie l'iniziativa del soggetto passivo, mentre essa deve perseguire la sua attivit secondo programmi e moduli orga nizzativi predisposti (art. 36-bis e 37 d.P.R. n. 600/1973) e in ragione di termini che l'iniziativa casuale del privato non pu sovvertire. Ma vi di pi. Perch l'azione di accertamento preventivo possa essere ammissibile sul piano dell'in teresse deve esservi un principio di attivit dell'Amministrazione (un procedi mento in itinere) che concreti quanto meno una minaccia capace di ingenerare incertezza. Ma se in questo momento interviene una azione preventiva di accer tamento, la materia in quel momento controvertibile risulta diversa da quella che potr essere al termine del procedimento amministrativo. Nel caso di specie, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 154 vntivo, per confutare in radice l'eccezione dell'amministrazione finan~: ~ ziaria di difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore delle com II ili missioni tributarie rispetto alla proposta azione qualificata inesattamente come azione di accertamento negativo di obbligazione tributaria. . . La responsabilit del liquidatore od amministratore di una societ tassabile in base a bilancio, contemplata dall'art. 265 d.P.R. 26 gennaio 1958 n. 645 per inosservanza dell'obbligo di pagare con le attivit della liquidazione le imposte dovute dalla societ medesima, integrava per univoco in dirizzo giurisprudenziale, non un debito tributario, ma un debito da comportamento illecito, la cui esigibilit non richiedeva un'autonoma iscrizione a ruolo, ma derivava dall'iscrizione a ruolo delle suddette imposte a carico della societ, nonch dal provvedimento con il quale l'intendente di finanza I disponeva l'applicazione della citata norma sanzionatoria (Cass., sez. un., 2145/85, Foro it., Rep. 1985, voce Riscossione delle imposte, n. 122). Non trattandosi di obbligazione (o coobbligazione) riferita al debito tributario, ma di debito per fatto proprio, ne consegue che l'azione di detto I liquidatore od amministratore davanti al giudice ordinario, per contestare la sussistenza degli elementi costitutivi di quella responsabilit, non investe il rapporto tributario, e non quindi soggetta n alle preclusioni previste dagli artt. 208 e 209 del citato decreto, in relazione alla pendenza dell'esecu I zione esattoriale, n al preventivo esperimento di ricorso alle commissioni tributarie (Cass. 6477-86, id., Rep. 1987, voce Tributi in genere, n. 1165; li 2955/86 ibid., voce Guerra (provvedimenti), n. 2; 549/81, id., Rep. 1981, voce Ila responsabilit del liquidatore pu concretarsi solo al termine della liquidazione, sia essa formale o di fatto, quando sar certo che non esistono pi fil ~ at1livit sociali e che non si provveduto e non pu p.i provvedersi al pagamento dei debiti di imposta; ma se l'azione di accertamento mero viene anticipata ad un momento in cui la liquidazione ancora in corso, essa avr ad oggetto una situazione diversa, non solo come materiale probatorio ma come presupposti, da quella che sar (o potr eventualmente essere) materia dell'accertamento. E cos si pone in termini assolutamente insolubili il problema, signific;:ativamente taciuto nella sentenza in esame, del coordinamento tra azione preventiva innanzi all'A.G.O. e ricorso successivo innanzi alla Commisisone. Infine l'azione di mero accertamento si giustifica solo quando corrisponde a sentite esigenze di tutela insuscettibili di essere altrimenti appagate >>, il che non si verifica quando data, come in tutti i rapporti tributari, una efficace tutela tipica innanzi alla giurisdizione speciale (9). IV -L'occasione sarebbe stata propizia per una maggiore riflessione sulla natura della responsabilit del liquidatore ed una pi attenta verifica della portata dell'art. 36 del d.P.R. n. 602. La troppo affrettata affermazione che nulla sarebbe cambiato sul piano sostanziale ha portato alla inaccettabile concezione di un provvedimento amministrativo, che solo dal trattamento formale >>, trasforma un'obbligazione civile in un rapporto tributario anche sostanziale. (9) GLENDI, L'oggetto, cit., 736. :: PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 155 Riscossione delle imposte, n. 62; 2925/78, id., R~p. 1978, voce cit., n. 90 1273/78, ibid., n. 87; 1484/72, id., Rep. 1972, voce Tributi in genere, n. 181). Alla radice dell'espresso indirizzo giurisprudenziale sta il rilievo che la responsabilit considerata non collegata all'inadempimento di una obbligazione tributaria, ma al fatto proprio del liquidatore, individuato in talune decisioni nella condotta dolosa o colposa del soggetto (cfr. Cass. 3021/71 id., Rep. 1971, voce Riscossione delle imposte, e 1484/72, cit.), ma succes sivamente puntualizzato nel senso che la responsabilit stessa trova fonte in un rapporto obbligatorio autonomo e distinto da quello tributario, non solidale n sussidiario, il quale nasce ape legis, per effetto della sussistenza di attivit nel patrimonio della societ in liquidazione, ovvero di quella per la quale si sia verificata una causa di scioglimento, nonch per effetto della circostanza della distrazione di tali attivit '" da parte dei liquida tori od amministratori, a fini diversi dal pagamento delle imposte dovute (Cass. 1273/78, cit.). Deve essere, pertanto, ribadito che il rapporto giuridico in forza del quale il liquidatore ed amministratore tenuto a rispondere in proprio delle imposte evase, non fondato sul dolo o sulla colpa, ma ha la sua fonte in una obbligazione ex lege, di cui il liquidatore responsabile se condo le norme comuni degli artt. 1176 e 1218 e.e. in relazione agli elementi obiettivi della sussistenza di attivit nel patrimonio della societ in liquida Gi sotto la vigenza del T.U. del 1958 la responsabilit del liquidatore si doveva riportare nell'obbligazione tributaria (10). Inizialmente la responsabilit del liquidatore veniva fondata su un com portamento doloso o colposo fonte di una obbligazione risarcitoria autonoma rispetto all'imposta (11). Successivamente la ricostruzione dell'istituto stata operata dalla giurisprudenza della S.C. Con le sentenze 6 luglio 1977, n. 2972 e 2 agosto 1977, n. 3411 (12) fu affermato che il liquidatore risponde a titolo proprio (non in solido con la societ e nemmeno in via sussidiaria) per il sol fatto dell'esistenza di un attivo sociale non utilizzato per il soddisfacimento del debito di imposta, indipendentemente da una condotta colposa; tale responsa bilit creata dalla norma tributaria di natura totalmente diversa da quella regolata dall'art. 2456 C.C. con la conseguenza che la relativa obbligazione soggetta alla prescrizione ordinaria e non alla prescrizione quinquennale del l'art. 2947. Ritornando sul tema, le sentenze 14 marzo 1978 D.. 1273 e 10 giugno 1978, n. 2927 (13) aggiunsero che bench la responsabilit ex lege fosse di carattere obiettivo, il liquidatore non pu essere considerato un responsabile, di (10) BAFILE, Sulla responsabilit personale del liquidatore e dell'amministratore delle per sane giuridiche, in questa Rassegna, 1977, I, 700; Io., Ancora sulla responsabilit personale del l'amministratore e del liquidatore delle persone giuridiche, ivi, 1978, I, 478; Io., Responsabiledi imposta, in Nuovissimo digesto italiano -Appendice, VI, 633. (11) PARLATO, Il responsabile di imposta, Milano, 1962, 131 ss.; FALSITTA. Natura ed accertamento della responsabilit dei liquidatori per il mancato pagamento delle imposte dirette dovute dagli enti tassabili in base a bilancio, in Riv. dir. finanz., 1963, 253 ss.; FEDELE, Diritto tribuiario e diritto civile nella disciplina dei rapporti interni tra i soggetti passivi del tributo, ivi, 1969, I, 45, nota 72; pi recentemente DoLFIN, Profili innovativi della disciplina della responsabilit dei liquidatori, degli amministratori e dei soci introdotta dall'art. 36 d.P.R. n. 602 del 1973, ivi, 1976, II, 271. (12) In questa Rassegna, 1977, I, 699. (13) In questa Rassegna, 1978, I, 478. 156 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO zione e della distrazione di tali attivit a fini diversi dal pagamento delle imposte dovute (Cass. 2972/77, id., 1978, I, 709). Stante la natura non fiscale dell'obbligazione, l'azione di accertamento proposta dal liquidatore o dall'amministratore per dimostrare l'inesistenza dei presupposti di tale obbligazione ex lege non compete alla giurisdizione della commissione tributaria la quale risulta configurabile alla stregua del ricordato art. 36 solo in presenza di atto di accertamento (ex art. 60 d.P.R. n. 600 del 1973) contro il quale ammesso ricorso, secondo le disposi zioni relative al contenzioso tributario, di cui al d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, che non sospende di per s l'esecuzione, potendo provvedere al riguardo su istanza dell'interessato, l'intendente di finanza (cfr. art. 36 quinto e sesto comma, ed art. 39, primo comma, d.P.R. n. 602 del 1973). Non senza significato che il legislatore abbia ritenuto di richiamare espressamente le norme sul contenzioso tributario di cui al d.P.R. n. 636 del 1972, il cui art. 1 contiene un elenco rigorosamente tassativo dell'area di giurisdizione riservata .alle commissioni medesime, che in tanto spetta in quanto si tratti di controversie attinenti a quelle ben specificate imposte che sono richiamate dalla norma, e si tratti di impugnare taluno degli atti ivi specificati (anche se la tassativit dell'elencazione suscettibile di interpretazione adeguatrice, per evitare vuoti di tutela come ha puntualizzato la Corte costituzionale). imposta obbligato in via sussidiaria al pagamento del tributo, perch risponde a titolo proprio di un'obbligazione civile di misura solo oggettivamente corri spondente all'imposta; conseguentemente la domanda da esso proposta per opporre l'inesistenza della sua responsabilit (non dell'obbligazione tributaria della societ che non pu contestare) si configura come una controversia non tributaria devoluta alla giurisdizione ordinaria, bench la responsabilit, avente anche natura sanzionatoria (14) venisse accertata (pr nel silenzio della legge) con provvedimento autoritativo contro il quale il responsabile ha l'onere di assumere l'iniziativa processuale. Questa giurisprudenza si consolidata (15); ed stata accolta da parte della dottrina (16). La detta costruzione dell'istituto per pi profili contraddittoria. A parte l'idea non lineare di una obbligazione civile di ammontare corrispondente all'imposta, difficile spiegare come una responsabilit di natura obiettiva di diritto comune possa trarre origine da una norma tributaria e come la sottolineata differenziazione dalla responsabilit ex art. 2456 non attragga la posi zione del liquidatore, pur soggetto alla potest di accertamento, nell'orbita (14) La natura prettamente sanzionatoria della responsabilit del liquidatore sostenuta dal D'ORSI, Sulla responsabilit dei liquidatori ed amministratori per le imposte non pagatedalla societ, in Dir. prat. trib., 1979, II, 273; ID., La responsabilit degli amministratori e dei liquidatori di societ per le sanzioni fiscali e le imposte non pagate dalla societ, in Le san zioni in materia tributaria, Milano, 1979, 204 ss.; v. anche MltHEU, Corso di diritto tributario, Torino, 1981, 147. (15) Ca!!s., 19 maggio 1980, n. 3270, in questa Rass~gna., 1980, I, 22?; 6 maggio 1985, nn. 2820, 2821 e 2822, ivi, 1985, I, 846; 6 novembre 1986, n. 6477, m Dir. prat. trzb., 1988, Il, 65. ,, ~~ (16) TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, Torino, 1987, 96; VIGLIOTTI, Note sulla disci f' plina della responsabilit dei liquidatori e amministratori per le imposte non pagate dalla so ciet, in Dir. prat. trib., 1986, II, 21; SPECA, Problemi controversi sulla responsabilit fiscale degli amministratori, ivi, 1988, II, 65. 1: i: !! Il ~ PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRmUTARIA 157 Condicio sine qua non per ipotizzare la giurisdizione (speciale) delle commissioni tributarie , dunque, l'esistenza di una controversia che riguardi obbligazioni tributarie afferenti agli indicati tributi e concerne l'impugnazione di specificati atti; ma poich l'obbligazione di cui deve rispondere il liquidatore non ha natura tributaria, alla stregua di un costantissimo indirizzo giurisprudenziale che abbraccia quasi un ventennio, la profilabilit di una competenza delle commissioni tributarie per quanto attiene all'accertamento dei presupposti della responsabilit relativa, va esclusa, restando perfettamente valide a dieci anni di distanza, le rigorose argomentazioni che si leggono nella sentenza 2925 del 1978, cit., per negare che la fattispecie di cui all'art. 265 t.u. del 1958, cosl come poi quella di cui all'art. 36 t.u. n. 602 del 1973, integrasse una obbligazione tributaria (sia pure al livello della solidariet), trattandosi di rispondere ex lege per fatto proprio secondo una misura di responsabilit che nell'obbligazione tributaria trova il suo limite (cfr. il primo comma del cit. art. 36 secondo cui tale responsabilit commisurata all'importo dei crediti di imposta che avrebbero trovato capienza.in sede di graduazione dei crediti nei limiti del valore dei beni occultati) come precisa il comma successivo. Posto che l'azione di accertamento non riguarda la consistenza di una obbligazione tributaria, per contestare la giurisdizione del giudice ordinario tributaria. poi difficile negare che la responsabilit del liquidatore non sia sussidiaria: se il liquidatore per contestare la sua responsabilit pu solo opporre di non aver avuto la disponibilit di attivit sociali o di aver impegnato tutte le attivit per il pagamento delle imposte, senza poter contestari> l'obbligazione tributaria della societ, chiaro che la sua responsabilit non autonoma dalla obbligazione principale, ma da essa dipendente tanto che si modifica o si estingue parallelamente al debito tributamo della societ; neppure pu dirsi che il liquidatore non assistito dal beneficio di escussione, p.::rch la sua responsabilit sorge in conseguenza del mancato adempimento della societ (obbligato principale) contro la quale stato emesso il ruolo; anzi la responsabilit del liquidatore non si concreta minimamente fino a quando l'adempimento da parte della societ ancora possibile per non essere conclusa la liquidazione. Se la responsabilit del liquidatore fosse veramente autonoma e di natr.:i civile, dovrebbero in qualche modo individuarsi le regole che la disciplinano, e che invece mancano completamente. Ci avviene perch il ldquidatore responsabile dell'imposta, cos come accertata nei confronti della societ, che con serva anche nei confronti del liquidatore i suoi connotati quanto al regime della prescrizione, dei privilegi, della riscossione, della mora, ecc. vero che il liquidatore risponde a titolo proprio, ma l'oggetto di questa responsabilit l'obbligazione di altri secondo la regola del responsabile di imposta di cui all'art. 64 del d.P.R. n. 600/1973 (17). Questa conclusione la giuri sprudenza ha tenacemente evitato per una ragione che fra breve si tenter di individuare. Per escludere la ricomprensione del liquidatore nel responsabile di imposta si opposto che la responsabilit non sorge esclusivamente in (17) Per l'inquadramento del liquidatore nella figura del responsabile di imposta, pur con alcune particolarit, si esprime POTITO, L'ordinamento tributario italiano, Milano, 1978, 370. 158 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I non varrebbe richiamare l'orientamento che dopo la riforma tributaria ritiene improponibile nel nostro ordinamento l'azione di accertamento negativo dell'obbligazione tributaria anteriormente riconosciuta ammissibile davanti al giudice ordinario, dovendosi ritenere che un'azione siffatta non trovi pi spazio n davanti al giudice ordinario, n davanti al giudice f: I :.: tributario (cfr. Cass., sez. un., 6042/83, id., Rep.1983, voce Tributi in genere, n. 602; 660/86, id., 1986, I, 1902; 2218/81, id., 1981, I, 2206 1240/81, id., Rep. 1981, voce cit., n. 998; 942/77, id., 1977, I, 811). Quella che il Galmuzzi ha incardinato , davanti al tribunale , quindi, un'azione negativa di un diritto soggettivo extratributario che rientra, in assenza di disposizione derogatoria, nella giurisdizione del giudice dei diritti per antonomasia e cio del giudice ordinario, avendo natura di deroga ai principi generali sul riparto della giurisdizione l'attribuzione che l'ultimo comma dell'art. 36 prevede rispetto all'atto di accertamento delle relative responsabilit, dando prevalenza alla forma dell'atto che quantifica la pretesa ed intima l'adempimento all'obbligo rispetto all'intrinseca natura (non tributaria) della pretesa azionata, sicch sotto questo profilo l'obbligazione, la cui inesistenza ben pu accertare il giudice ordinario, in via preventiva, si irrigidisce negli schermi del provvedimento amministrativo tributario di cui segue la disciplina anche giurisdizionale. conseguenza dell'inadempimento dell'obbligato principale ma richiede un ulteriore elemento, ossia un comportamento contra legem del liquidatore. Ma il :responsabile di imposta risponde in via sussidiaria non semplicemente in conseguenza dell'inadempimento dell'obbligato principale, ma anche in quanto si avverino i presupposti volta a volta considerati dalla legge che costituiscono il titolo della responsabilit; vi sempre un quid pluris oltre l'inadempimento che d fondamento alla responsabilit per l'obbligo altrui altrimenti ingiustificabile. In tutte le ipotesi dell'art. 64 a concretare la responsabilit sussidiaria concorre un presupposto (cessione di azienda, qualit di socio illimitatamente responsabile) a volte rapportabile ad un comportamento attivo (socio accomandante che compie atti di amministrazione) s che non v:i ragione per dare un particolare rilievo al fatto che la responsabilit del liquidatore presuppone qualcosa di pi dell'inadempimento. In conclusione gi sotto il vigore del T.U. del 1958 si doveva ritenere che la responsabilit del liquidatore fosse da riportare nell'ambito della soggettivit passiva tributaria. Peraltro la sentenza n. 1273/1978 gi citata aveva unificato sott la normativa dell'art. 265 anche la responsabilit del liquidatore per le imposte relative alle nuove iniziative da esso intraprese, per le quali a normi> dell'art. 2279 e.e. risponde illimitatamente; in questo caso non potrebbe minimamente dubitarsi della natura tributaria della obbligazione del liquidatore, che non disomogenea rispetto all'altra ipotesi di responsabilit. V -Le incongruenze che si sono riscontrate nella impostazione della giurisptudenza erano tttavia, al tempo, in larga misura giustificate. Stante la povert della disciplina del T.U. del 1958 e sulla premessa che il liquidatore vincolato alla obbligazione accertata verso la societ .che chiamato ad adempiere nella fase esecutiva, la giurisprudenza si preoccup di lasciare a questo soggetto gravemente minacciato una possibilit di difesa, pur PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 159 In altre parole, mentre prima della innovazione normativa di cui ai commi quinto e sesto dell'art. 36, l'esigibilit dell'obbligo a carico dell'am. ministratore o liquidatore della societ non richiedeva una autonoma iscrizione a ruolo e si ricollegava puramente e semplicemente al prov vedimento applicativo disposto dall'intendente di finanza, il nuovo testo unico si preoccupato di disciplinare la fase procedimentale dell'accertamento ex art. 60 d.P.R. n. 600 del 1973. E rispetto al provvedimento amministrativo di accertamento ha ritenuto di prevedere una fase impugnatoria tipica davanti alle commissioni tributarie. La previsione di questa giurisdizione tributaria anomala~~on comporta un ripensamento sulla natura dell'obbligo, ma rappresenta la riprova del carattere non tributario del medesimo; ed infatti, se il legislatore non fosse intervenuto con una previsione espressa, non sarebbe stato in nessun modo ipotizzabile l'intervento del giudice tributario. Si ritenuto, invece, opportuno rendere omogeneo il procedimento di accertamento dell'obbligo per responsabilit extratributaria dell'amministratore o liquidatore, ai procedimenti di accertamento dei tributi e delle obbligazioni accessorie. Ed una volta pre nei ristretti limiti ammessi; affermando la natura tributaria dell'obbligazione e la sua riscuotibilit a mezzo ruolo, si andava incontro ai divieti delle opposizioni previsti dagli artt. 208 e 209 del T.U. Originariamente si ammetteva che al liquidatore fosse concessa soltanto l'azione di risarcimento del danno contro l'esattore dopo il compimento della esecuzione (18); ma questo rigore non era accettabile. D'altra parte assai incerta era pi in generale la posizione deJ responsabile Qi imposta quanto alla sua tutela giurisdizionale. E cos per riequilibrare un sistema imperfetto la S.C. afferm che il liquidatore, come altri soggetti responsabili diversi dal contribuente, potessero tutelare la loro posizione innanzi all'A.G.O. con un'azione che si presentava con i caratte.:i dell'accertamento negativo (furono queste le sole ipotesi in cui venne riC<>nosciuta l'ammissibilit dell'accertamento preventivo nelle imposte dirette (19J). In vista di questo risultato si afferm (e forse non era indispensabile) che la responsabilit del liquidatore si ponesse al di fuori del rapporto di impm.ta, bt:nch rimanesse alquanto nel vago la affermata natura civile della responsabilit. Peraltro al tempo non si poneva una questione di giurisdizione e~se.ndo tutte le controversie di imposta deferibili all'A.G.O., s che il dubbio da superare era solo se fosse o meno necessario il preventivo ricorso alla commissione almeno in un grado a norma dell'art. 22 del D.L. 7 agosto 1936, n. 1639. Ma a seguito della riforma tributaria si imponeva una riconsiderazione completa del problema. E bench la S.C. avesse gi affermato chi:: l'ultimo comma dell'art. 36 quale norma processuale fosse immediatamente applicabile anche ai rapporti anteriorl che rimanevano per la sostanza soggetti alla disciplina anteriore (20), ponendo cos l'attenzione sulle sostanziali . Rassegna, 1977, I, 453). a da segnalare la precisazione sulla rilevabilit di ufficio. I .. '-~: PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRmUTARIA (omissis) Il ricorso non merita accoglimento per una ragione preliminare preclusiva dell'esame dei motivi con esso svolti, cio perch sulla pronuncia della Commissione tributaria di primo grado, di rigetto del ricorso della contribuente, si formato il giudicato formale per inammissibilit dell'appello, erroneamente non rilevata dalla Commissione tributaria di secondo grado e dalla Commissione tributaria centrale. Si legge nella decisione impwmata e risulta dagli atti -il cui diretto esame consentito in questa sede, trattandosi di accertare il'esistenza di un giudicato interno al processo -che la Soc. Baia Felice. con il ricorso alla commissione di secondo grado. dichiar di imnugnare la prima pronuncia per gli stessi motivi gi esposti nel ricorso e nelle memorie depositate e che qui si intendono integralmente riportati. Si limit, in pratica, ad un generico rinvio agli scritti difensivi di primo grado, senza svolgere alcuna specifica critica alla decisione che intendeva impugnare. Ma questa Corte ha altre volte chiarito che anche per le impugnazioni innanzi alla commissione tributaria di secondo grado e alla Commissione centrale vige l'obbligo di specificazione dei motivi del gravame (sancito, rispettivamente, dagli artt. 21 e 25 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636). N questo principio pu ritenersi derogato, per l'appllo alla commissione di secondo grado, dalla disposizione di cui all'art. 19 bis dello stesso d.P.R., che nel procedimento di primo grado prevede la possibilit di integrare, secondo determinate modalit, i motivi del ricorso. In primo luogo, l'esercizio di tale facolt postula un ricorso valido anche quanto all'osservanza dell'obbligo suddetto, essendo consentito ag giungere nuovi motivi a quelli gi svolti, ma non introdurre per la prima volta la motivazione di un ricorso che ne sia inizialmente del tutto privo, perci ab initio inammissibile; in secondo luogo, la facolt di integrazione dei motivi non pu ammettersi in appello, posto che la disposizione suddetta (aggiunta con la novella n. 739 del 1981) non espressamente richiamata dall'art. 23, che disciplina il giudizio di secondo grado, e non compatibile in parte qua con le regole generali ordinatrici del giudizio di appello. Nell'esegesi dell'art. 342, c.p.c., poi, l'orientamento di questa Corte si da tempo consolidato nel senso che l'onere di specificazione dei motivi -previsto in funzione della duplice esigenza di delimitare l'ambito del riesame demandato al giudice di appello, in conformit del principio tantum devolutum quantum appellatum, e di consentire alla controparte e al giudice il puntuale e ragionato esame delle critiche mosse alla deci sione impugnata -pu ritenersi assolto solo quando l'atto di appello consenta di individuare in modo sufficientemente preciso, oltre ai capi e ai punti impugnati, le ragioni di fatto e di diritto per le quali si chiede la reviso prioris istantiae, sebbene non occorra che ci avvenga mediante una specificazione rigorosa o l'adozione di formule particolari. 170 Pertanto non soddisfa il precetto l'atto che si limiti ad un generico rinvio a tutte le eccezioni e difese svolte in primo grado, in tal caso mancando, anche al livello di mera enunciazione, una critica della sentenza impugnata, il cui valore giustificativo della statuizione viene sostanzialmente negletto; e la violazione determina l'inammissibilit dell'impugnazione, non sanabile per effetto di successiva attivit difensiva -dello stesso appellante o della controparte -e rilevabile di ufficio (v., fra numerose altre, sent. n. 363 del 1989; n. 7811 del 1987; n. 2610 del 1987). Questi principi valgono a definire anche l'ambito dell'obbligo di specificazione dei motivi nel giudizio tributario di appello, la cui violazione nel caso in esame risulta perci evidente, con l'ulteriore conseguenza che, essendo per questa ragione inammissibile l'appello, si deve prendere atto del passaggio in giudicato della decisione della Commissione tributaria di primo grado. (omissis) PARTE SECONDA QUESTIONI LA GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA (100 ANNI DOPO L'ISTITUZIONE DELLA IV SEZIONE DEL CONSIGLIO DI STATO) L'articolo tratto dalla relazione presentata da I.F. Caramazza al Convegno cos intitolato organizzato dalla Societ italiana degli avvocati amministrativisti e tenutosi presso il Consiglio di Stato il 29 aprile 1989. 1. INTRODUZIONE. Il tema in trattazione, quanto mai stimolante, costituiva, in fondo, in questo anno 1989, oggetto di una scelta obbligata. impossibile sfuggire alla suggestione pitagorica dei numeri fatidici ed il compimento del secolo di vita da parte di una istituzione merita indubbiamente sia la celebrazione che la riflessione. La riflessione si impone poi quando, come nel nostro caso, il centenario cade nel bel mezzo di una profonda crisi di trasformazione, qual' quella che sta attraversando la giustizia amministrativa italiana. Si diceva di una nota casa regnante che avesse la discutibile tradizione di non uscire mai da una guerra dalla stessa parte da cui vi era entrata: crediamo che, parafrasando l'aforisma, si possa dire alla nostra giustizia amministrativa che, nel corso di tutta la sua evoluzione storica, non mai uscita la una riforma nella direzione voluta dal legislatore. 2. LA RIFORMA DEL 1865-1889. Prima dimostrazione emblematica dell'assunto' proprio la nascita del giudice amministrativo italiano, frutto di una riforma travagliata e sofferta, articolata in tre tappe (1865, 1877, 1889/90), durata ben un quarto di secolo ed informata al principio-guida della esclusione di un qualsiasi giudice amministrativo contrapposto al giudice ordinario. La vicenda storica ben not, ma merita forse un accenno. Il legislatore del 1865, sotto la spinta delle rivoluzioni liberali di mezzo secolo, soppresse il contenzioso amministrativo di modello francese devolvendo al giudice ordinario -almeno nelle intenzioni, quali risultano chiarissime dai lavori preparatori -la cognizione di tutte le materie di amministra zione contenziosa, che erano per il passato attribuite ai Tribunali del 2 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO contenzioso, riservando alla Amministrazione soltanto quelli di ammi nistrazione pura (1). Oper cio una scelta di civilt giuridica quale pi netta non poteva essere, optando per il sistema anglosassone -mediato attraverso la esperienza belga -e rifiutando il sistema francese cli una giustizia interna alla Amministrazione o comunque di un giudice amministrativo diverso da quello ordinario e nella Amministrazione in qualche modo incardinato. Tale scelta di civilt giuridica, oltre che netta, fu anche consapevole, come risulta dal dibattito parlamentare che precedette la riforma, tutto intessuto di sottilissime analisi sui diversi sistemi giuridici, testimonianz~ di una notevole cultura comparatistica che precedeva di quasi mezzo secolo l'atto di nascita del diritto comparato come autonoma disciplina (2). Sorprendentemente, per, tale cultura comparatistica che aveva fatto sfoggio di s nelle aule parlamentari e nei dibattiti dottrinari, svan nelle aule di giustizia. L'attuazione della riforma ne trad, infatti, lo spirito: la timidezza del giudice ordinario nei confronti dell'Amministrazione ridusse a ben poca cosa la tutela dell'amministrato: non che giudicare di tutti i diritti civili e politici seconl.o la formula mutuata dalla Costituzione belga del 1831 ed accogliendo -come sarebbe stato logico -quella tradizione giurisprudenziale, il giudice italiano autolimit la propria competenza ai diritti pieni, a fronte dei quali vi fosse una attivit di mero diritto privato dell'Amministrazione (3), cos accordando al nostro concittadino di un secolo fa la stessa tutela giurisdizionale che i giudici di Berlino accor davano, in pieno '700, al mugnaio di Sans Souci sotto Federico II. In un regime, quindi, che, per essere illuminato, non cessava di essere assoluto. Ii self-restraint del giudice italiano oper lungo tre direttive: la negazione della qualit di diritti civili o politici a quelli derivanti da leggi amministrative, la negazione del potere di disapplicazione di atti quando la illegittimit fosse dedotta in via diretta e principale, in quanto immediatamente lesiva di una posizione tutelata, e, infine -questa la limita (1) F. CAMMEO, Commentario delle leggi sulla giustizia amministrativa, Milano, s.d., I, 430. (2) I. F. CARAMAZZA, Il diritto civile e politico del cittadino nella cognizione dell'autorit giudiziaria ordinaria, Atti del VII Convegno di Studi Giuridici Contributi per la storia dell'interesse legittimo , in corso di pubblicazione. (3) Nonostante alcune diverse opinioni deve ritenerisi che fu quello il criterio generalmente seguito: cfr. G. VACCHELLI, La difesa giurisdizionale dei diritti dei cittadini verso l'autorit amministrativa, in Primo Trattato completo di diritto amministrativo italiano, Milano, 1901, Voi. III, 437, nota (1); adde M. NIGRO, Giustizia Amministrativa, Bologna, 1983, p. 89; F. BENVENUTI, Giustizia Amministrativa, Enciclopedia del Diritto, XIX, 599; F. BATISTONI FERRARA, La difesa dello Stato in giudizio e la soluzione italiana, in L'Avvocatura dello Stato, Studio storico giuridico per la celebrazione del Centenario, Roma, 1976, 278 ss. PARTE II, QUESTIONI zione pi grave -la negazione della propria potestas judicandi a fronte di una attivit iure imperii della Amministrazione (4). Non questa certo la sede per analizzare le ragioni del formarsi di un tale indirizzo giurisprudenziale: dovere di istituto mi impone solo di ricordare che la politica difensiva dell'Avvocatura -allora denominata Erariale e non dello Stato -istituita nel 1876 al dichiarato scopo di apprestare criteri difensivi unitari che concorressero all'elaborazione giurisprudenziale dei limiti del sindacato del giudice ordinario nell'atto am ministrativo, contribu in modo determinante. Non si pu d'altronde far carico ad un avvocato -anche se avvocato pubblico istituzionale -di aver vinto le cause affidategli adottando la linea difensiva pi radicale possibile: quella di negare in capo al giudice la potest di giudicare (5). Il diritto vivente cos formatosi non poteva non generare uno stato di acuta insoddisfazione: una insoddisfazione di cui il discorso di Bergamo di Silvio Spaventa rimane la pi alta testimonianza. Per ovvfare a tale insoddisfazione il legislatore si trov a dover risolvere un dilemma: o ampliare -eventualmente in via di interpretazione autentica -il numero delle situazioni soggettive tutelate dinnanzi al giudice ordinario, disconoscendo i risultati giurisprudenziahl. raggiunti, come suggerivano alcuni (6), ovvero accettare per buono quel diritto vivente ed istituire un altro organo per tutelare situazioni diverse dai diritti. Una volta scelta tale seconda soluzione, fu giocoforza accettare il postulato che ci che andava tutelato, per garantire la legalit nell'azione amministrativa, erano meri "interessi (aventi cio ad oggetto beni della vita non conseguibili senza l'intermediazione dell'esercizio di un potere discrezionale) e che di essi non avrebbe potuto conoscere che un organo incardinato nell'esecutivo. Cos infatti si disse espressamente nella relazione alla legge istitutiva della IV Sezione del Consiglio di Stato: il nuovo istituto non un tri bunale giudiziario speciale o eccezionale, ma rimane nella sfera del potere esecutivo, da cui prende la materia e le persone he lo devono mettere in atto. lo stesso potere esecutivo ordinato in modo da tutelare maggiormente gli interessi dei cittadini. Perci, a differenza dell'antico contenzioso amministrativo, esclude ogni confusione di poteri costituzionali... soltanto un corpo deliberante che il potere esecutivo forma con elementi scelti nel suo seno, come a sindacare dei suoi atti, e per mantenere la sua azione nei limiti della legalit e della giustizia (7). (4) I. F. CARAMAZZA, Primo centenario della legge 31 marzo 1889 n. 5992, Rela zione tenuta nell'incontro celebrativo organizzato dal CISA e tenuto il 12 aprile 1989 nella Sala della Protomoteca in Campidoglio Atti in corso di pubblicazione. (5) Relazioni dell'Avvocato Generale Erariale per l'anno 1878, 18 e ss.; per l'anno 1879, 22 e ss.; per l'anno 1883, 53. (6) Cfr. Atti parlamentari Senato 20-3-1888, 1170. (7) V. ScIALOJA, Come il Consiglio di Stato divenne organo giurisdizionale, in Ri\'. Dir. Pubbl. 1931, 417. 4 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Il fatto che nella concezione del legislatore il nuovo istituto fosse un organo dell'Amministrazione consent peraltro di attribuirgli un potere che giammai, all'epoca, sarebbe stato affidato ad un organo giurisdizionale, cio quello di sospendere, annullare e revocare l'atto amministrativo (8), il che contribu a far s che la nuova Sezione, sapientemente guidata da quello stesso Silvio Spaventa che l'aveva cos fortemente voluta, conquistasse ben presto il favore del pubblico, dimostrando che la tutela offerta non cedeva, per indipendenza di giudizio, a quella che si poteva ottenere, per i diritti, dall'Amministrazione giudiziaria ordinaria (9). La forza delle cose, comunque, non tard a prevalere sull'involucro formale costruito dal legislatore, tant' che la natura giurisdizionale della nuova Magistratura fu pressoch immediatamente riconosciuta dalla giurisprudenza: gi nel 1893, infatti, la Cassazione di Roma a Sezioni Unite, con sentenza 21 marzo 1893, n. 177 (10), statuiva che la IV Sezione dcl Consiglio di Stato stata investita dalle leggi 31 marzo 1889 e 1 maggio 1890 di una vera e propria giurisdizidne, la quale ha pure il carattere speciale di fronte a quelle generiche assegnate all'autorit giudiziaria, donde l'ammissibilit del ricorso per incompetenza o eccesso di potere anche contro le decisioni della IV Sezione (11). _ In definitiva e per concludere sul punto, occorre constatare che da un corpus normativo che affermava l'unicit della giurisdizione in capo al giudice ordinario ed istituiva un procedimento amministrativo contenzioso quasi giudiziale interno all'Amministrazione a garanzia oggettiva di legalit e negava quindi la ipotizzabilit stessa di un giudice amministrativo, nasceva un giudice amministrativo incardinato nell'Amministrazione, sull'esempio del modello francese. Un modello la cui evoluzione doveva essere imitata bruciando le tappe: quella trasformazione da organo amministrativo in organo giurisdizionale che aveva richiesto tre quarti di secolo al Consiglio di Stato transalpino doveva consumarsi, infatti, per la IV Sezione di quello italiano, nel'breve volgere di pochi anni. 3. IL GIUDICE AMMINISTRATIVO ITALIANO ISPIRATO AL MODELLO FRANCESE. Cominciava cos la singolarissima -e per tanti versi ambigua costruzione del giudizio dinanzi al Consiglio di Stato italiano, nato nell'amministrazione ed evoluto nella giurisdizione per giudicare di un interesse legittimo considerato come situazione sostanziale fino alle soglie (8) Scrisse infatti V. SCIALOJA, op. cit., 412, che attribuire quest'ultima facolt al Consiglio di Stato, infatti, non significa, nel concetto della legge del 1889, sottrarla ali'Amministrazione . (9) F. BATISTONI FERRARA, op. cit., 284. (10) In Foro lt., 1893, I, 294 ss. (11) La massima tratta dalla Relazione dell'Avvocato Generale per l'anno I 'f 1898, 32. PARTE II, QUESTIONI J del giudizio, al cui accesso legittimava, per perdere poi in esso tale cormo tato in quanto la natura cassatoria della pronuncia non riconosceva o disconosceva alcun bene della vita, limitandosi ad annullare -o non annullare -un atto amministrativo. . Fu detto a suo tempo che, con l'istituzione della IV Sezione del Consiglio di Stato, una parte della classe dirigente fu chiamata a controllare se stessa (12): questo in linea con quella tradizione transalpina che riconosceva nel Coinseil d'Etat -nato come massima espressione logica di una amministrazione senza giudice ed evolutosi in giudice dell'amministrazione (13) -il duplice ruolo di garante dei diritti del cittadino contro gli abusi dell'amministrazione e di protettore delle prerogative del potere pubblico (14), considerato non solo parte da giudicare, ma anche apparato da dirigere e da consigliare (15). Alla conseguente ambiguit del relativo giudizio si aggiunge poi quella ulteriore derivante logicamente da un sindacato di tipo cassatorio non omogeneamente collegato con un previo giudizio di merito . In tale ambiguit di fondo nacque e prosper l'interesse legittimo come creatura di laboratorio o pianta di serra che da tale origine fu sempre d'altronde perseguitato, meritando da parte della dottrina le pi irrispettose qualificazioni: da inesistente quiddit (16) a criterio inafferabile ec! imponderabile (17), a informe creatura (18), a diritto soggettivo sottosviluppato (19), a fantasma (20), a oggetto misterioso (21), a esclusiva e poco invidiabile peculiarit del nostro sistema (22), a figura mitologica che non si pu n comprendere n di (12) L. PICCIARDI, Intervento al X Convegno di Studi di scienza dell'amministrazione, 1964, Atti, 97. (13) G. VEDEL, Il controllo giurisdizionale della pubblica amministrazione m Francia, in Il controllo giurisdizionale della P. A. '" Studi di diritto comparato di A. Piras, Torino, 1971, 84-85. (14) A. MESTRE, Le Conseil d'Etat, protecteur des prrogatives de l'Administration, Parigi, 1974. (15) M. HAURIOU, Principes de droit public, Parigi, 1910, 491. (16) G. D. TIEPOLO, La giustizia amministrativa e il discentramento, in Giustizia Amministrativa, III, 1892, 103. (17) V. E. ORLANDO, Contenzioso Amministrativo, in Il Digesto Italiano, vol. VIII, prt. 2, Torino, 1895-98, 988. (18) G. BERTI, Amministrazione autonoma e giustizia amministrativa nella legislazione unificatrice del 1865: il contributo del deputato Francesco Borgatti, in l'Unificazione amministrativa e i suoi protagonisti, a cura di F. Benvenuti e G. Miglio, Milano, 1969, 418. (19) M. S. GIANNINI -A. PIRAS, Giurisdizione amministrativa, in Enciclopedia del diritto, XIX, 281. (20) E. FAZZALARI, Il futuro del processo amministrativo visto da un processualcivilista, Foro amm., 1985, II, 349. (21) E. FAZZALARI, op. loc. cit. (22) F. LoNGO, Proposta per una riforma del supremo organo regolatore del riparto delle giurisdizioni e delle questioni di attribuzione giurisdizionale, in Studi per il centocinquantenario del Consiglio di Stato, Roma, 1981, III, 1368. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO scutere (23), a pseudo-conceto di misteriosofia giuridica (24), per non citarne che alcune in ordine cronoio~ico. Nato come espediente esegetico (25) per superare le aporie del sistema di giustizia creato dalle leggi del 1865 e del 1889 (o piuttosto dalla loro interpretazione) fu teorizzato come situazione giuridica soggettiva sostanziale unitaria sulla scorta del seguente sillogisma: se alla 1va Sezione doveva riconoscersi natura giurisdizionale e se l'interesse davanti ad essa fatto valere poteva essere protetto denunciando incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere, occorreva allora riconoscere che la rifoxma del 1889 aveva attribuito natura giuridica a situazioni diverse al tempo stesso dal diritto civile e politico e dall'interesse semplice, materiale, economico (26). L'argomento appare discutibile in s e comunque condizionato dal postulato della situazione giuridica soggettiva come prodotto immutabile della ragione (27). Pur con tutti i suoi vizi di origine sta per di fatto che l'interesse legittimo crebbe e si svilupp al centro di quella elegantissima costruzione giuridica che il Consiglio di Stato italiano ha creato in tre quarti di secolo, una costruzione in cui non si sa mai se ammirare di pi la fantasia nell'escogitare nuove soluzioxii (basti ricordare il silenzio e l'atto paritetico), il rigore giuridico nell'argomentarle o il pragmatismo nel raggiungere sostanziali risultati di giustizia attraverso un armamentario normativo rozzo e limitatissimo. Condizione di vita per l'interesse legittimo in quanto fiore di serra era per il permanere della serra, cio di quello specialissimo giudizio di cui si detto e che era, s, processo di parti, ma in cui una parte meno parte dell'altra (28) ed in cui il giudice anche il padre spirituale di quella (29). Un processo, insomma, datato e connotato in peculiarissimi dati politologici, sociologici e culturali. (23) M. NIGRO, Ma che cos' questo interesse legittimo? Interrogativi vecchi e nuovi spunti di riflessione, in Foro it., 1987, V, 470. (24) R. CARBONI, Gli aiuti comunitari fra diritto soggettivo e interesse legittimo, in Diritto comunitrio e degli scambi internazionali, 1985, 137. (25) E. GUICCIARDI, Concetti tradizionali e principi ricostruttivi della giustizia amministrativa, in Studi di giustiza ammnistrativa, Torino, 1967, I. (26) O. RANELLETTI, cit. in B. SORDI, Giustizia e amministrazione nell'Italia liberale -La formazione della nozione di interesse legittimo, Milano, 1985, 373. (27) L. ,MENGONI, Diritto e politica nella dottrina giuridica, Iustitia, 1974, 337 ss. (28) L. PICCARDI, Il problema della difesa dello Stato in giudizio e la solu zione italiana, Riv. dir. pubbl., 1931, 595. (29) E. CANNADA BARTOLI, in Atti Parlamentari, Camera, I Commissione permanente, Audizioni sullo stato della giustizia amministrativa, seduta 30 ottobre 1984. PARTE II, QUESTIONI 4. LA COSTITUZIONE REPUBBLICANA E LA LEGGE ISTITUTIVA DEI TRIBUNALI AMMINISTRATIVI REGIONALI. Il sistema evolvette fino alla Carta repubblicana del 1948 che, in modo quasi notarile, lo costituzionalizz con tutte le sue originalit e le sue contraddizioni: basti pensare a quella che vede contrapporre da un lato la qualificazione dell'interesse legittimo come posizione soggettiva sostanziale (art. 24), dall'altro la qualificazione del giudizio amministrativo come giudizio sull'atto e quindi come giudizio cassatorio, inidoneo a garantire il riconoscimento di un bene della vita (art. 113). Unico, modesto, elemento innovativo, l'introduzione del principio de~ doppio grado, con la previsione (art. 125) dell'istituzione a livello regionale di organi di giustizia amministrativa di primo grado. Previsione cui doveva dare attuazione la legge istitutiva dei Tribunali Amministrativi Regionali (6 dicembre 1971 n. 1034) che, come noto, non contiene alcuna rivoluzionaria innovazione normativa ed appare anzi, in larga misura, rispettosa delle formule tradizionali. Normativa costituzionale e normativa ordinaria sui T.A.R. sembravano dunque segnare, a prima vista, il consolidamento di un sistema di giustizia amministrativa ispirato alla tradizione transalpina che, nello stesso torno di anni (1953), istituiva i Tribunali Amministrativi Regionali in luogo dei vecchi consigli di Prefettura. L'evoluzione della giurisprudenza mostra invece una profonda e progressiva divaricazione della nostra giustizia amministrativa rispetto al modello francese, cio al modello di un giudice che con l'Amministrazione ha un rapporto privilegiato in quanto non solo la giudica ma la consiglia o addirittura la dirige. Ci sembra dovuto a due fattori, l'uno normativo l'altro sociologico. Il primo, attiene al fatto che il principio del doppio grado in Francia non stato generalizzato: i settori pi importanti del contenzioso amministrativo -segnatamente quelli relativi alla impugnativa degli atti ammi nistrativi pi rilevanti ed ai rapporti di impiego dei pi alti funzionari sono rimasti affidati alla competenza del Consiglio di Stato come giudice di unico ed ultimo grado, con tutte le sue tradizionali caratteristiche di imbricazione nell'Amministrazione. Il secondo -in qualche modo al primo connesso - la creazione di una nuova classe di giudici amministrativi italiani, di estrazione diversR da quella tradizionale del Consiglio di Stato e sganciati da ogni '.tanzione di consulenza. Ci ha fatto s che nei confronti dell'Amministrazione la giurisdizione amministrativa abbia manifestato, per la prima volta nella sua storia, un netto distacco, cui si aggiunge una nota di diffidenza e sospetto ogni qualvolta la questione sottoposta al giudizio abbia 8 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DEU.O STATO una particolare rilevanza politica o comunque incida su fatti politicamente rilevanti (30). La diffusione sul territorio dei giudici amministrativi ha reso, poi, di massa una domanda di giustizia che era primo solo elitaria. La forza delle cose ha imposto quindi al nuovo giudice amministrativo di soddisfare un'esigenza di giustizia sostanziale. La richiesta sempre crescente montante dalla societ era che egli si trasformasse da giudice dell'atto in giudice del rapporto per la conseguibilit nel processo l;\mmi nistrativo di quel bene della vita che dovrebbe pur essere conseguibile se vero che l'interesse legittimo un~ situazione sostanziale. Orbene, bench stretto nelle angustie di una giurisdizione generale di legittimit che rimane pur sempre una giurisdizione di annullamento, il giudice amministrativo itailiam.o riuscito a rendere giustizia nel rapporto attraverso lo strumento cautelare, usato con molta 'pi frequenza di quanto non abbia fatto il confratello transalpino. Il fenomeno troppo noto perch vi si debba indugiare: basti ricordare come in buona sostanza il processo amministrativo italiano oggi si risolva con la concessione o il diniego della sospensiva (31). Da un lato ci pu essere ricondotto a quella funzione di supplenza cui ogni tipo di giurisdizione oggi chiamata da un eccesso di domanda di ginstizia. Se questo induce a certo non confortanti considerazioni, ci consente per di rilevare come nel momento cautelare il giudice amministrativo diventi Jisiologicamente giudice del rapporto e quindi di un bene della vita da riconoscere o da negare. Nella fase di merito, infatti, tradizionalmente, la valutazione dell'in teresse sostanziale tutelato ha sempre condizionato solo l'ammissibilit del giudizio; nella fase cautelare, invece,, dovendo il giudice conoscere della gravit e irreparabilit del pregiudizio, la valutazione dell'interesse sostnziale condiziona anche il merito della decisione: decisione che regola, dunque, sia pure interinalmente, il rapporto (32). Il Consiglio di Stato d'altronde, ormai investito di una funzione moderatrice di un contenzioso di massa ha in un certo senso avallato le tendenze espansive dei T.A.R. in materia di giudizio cautelare. Creando pretoriamente l'appello sulle sospensive esso si posto, in fatti, in grado di filtrare l'operato del giudice di primo grado essenzialmente attraverso una valutazione dei profili giuridici della controversia (in genere la decisione sull'appello anticipa la decisione di merito in (30) F. PIGA, 150 anni del Consiglio di Stato, in Atti del Convegno celebrativo del 150 anniversario della istituzione del Consiglio di Stato, Milano, 1983, 391. (31) M. NIGRO, in Atti Parlamentari -audizioni cit., seduta 16 ottobre 1984. (32) E. FoLLIERI, Giudizio cautelare amministrativo e interessi tutelati, Milano, 1981, 46 ss. PARTE Il, QUESTIONI 9 quanto incentrata sul fumus boni iuris). Per contro, il Consiglio di Stato, attraverso la decisione della istanza di sospensione della sentenza di primo grado, interviene direttamente ed interinalmente a conformare l'assetto di interessi su cui dovr da ultimo operare il giudicato, basandosi sul periculum in mora e senza che la pronuncia cautelare preluda ad una decisione definitiva dello stesso segno. Il che, a ben vedere, anche con seguenza della prassi ormai invalsa di non motivare i provvedimenti cautelari. Al fenomeno sopra accennato si accompagna una nettissima tendenza all'ampliamento delle materie attribuite al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva. La legge istitutiva dei T.A.R. segn l'avvio, con l'attribuzione a detta competenza della materia delle concessioni, cos intaccando per la prima volta un' criterio di ripartizione non pi basato sulla contrapposizione (o, nella specie, sulla possibile -confusione) fra diritto e interesse legittimo ma su una distinzione di blocchi di materie (33). Sulla stessa via sembra .d'altronde essersi posta la Corte di Cassazione (34), in una linea di tendenza che sembra destinata a privare del suo principa'le significato quella distinzione di situazioni soggettive che tradizionalmente segna il discrimine fra le due giurisdizioni (39). Il tendenziale aumento dei casi di giurisdizione esclusiva (confermato dalle leggi 28 gennaio 1977 n. 10, 20 marzo 1980 n. 75 e 24 marzo 1981 n. 145) (36) riceve una corposa conferma dal testo dell'ultimo disegno di legge-delega che prevede una estensione della giurisdizione esclusiva alle materie connesse e conseguenti, all'espropriazione e all'occupazione di urgenza e alle prestazioni dei pubblici servizi di sanit, istruzione e assistenza pubbliche (37). Altra conferma viene dal disegno di legge sul procedimento, che riserva alla giurisdizione esclusiva le controversie in materia di accordi (38). Ove si ponga mente al fatto che normalmente la giurisdizione per materie una giurisdizione piena (39), sembra potersi concludere che (33) F. BENVENUTI, Atti parlamentari cit., seduta del 24 ottobre 1984. (34) M. NIGRO, Atti parlamentari cit., seduta del 16 ottobre 1984. (35) A. NoccELu. Principio di partecipazione e funzione del giudice amministrativo, in Studi per il centocinquantenario cit., III, 1671-1672. (36) M. NIGRO, Giustizia Amministrativa, Bologna, 1983, 103. (37) Art. 1-3 n. 3 del Disegno di legge delega n. 788 presentato dai deputati Martinazzoli ed altri il 7 luglio 1987 intitolato Delega al Governo per l'emanazione di norme sul processo amministrativo dinanzi ai Tribunali Amministrativi Regionali, al Consiglio di Stato ed al Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, nonch sul ricorso straordinario al Presidente della Repubblica e sui ricorsi amministrativi . Il relativo testo riproduce quello approvato in sede referente dalla I Commissione nella IX legislatura (A.C. 1353-1803-A). (38) Ora divenuta legge 241/90. (39) F. MERUSI, Atti parlamentari cit., seduta del 23 ottobre 1984. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 10 in via tendenziale attraverso l'evoluzione della giurisprudenza ed in via conclusiva attraverso le riforme legislative in itinere gran parte delle situazioni soggettive sostanziali finora qualificate come interessi legittimi avviata a trovare nel processo amministrativo quella soluzione pienamente satisfattiva che il tradizionale giudizio rigorosamente cassatorio non assicurava se non in alcuni casi di degradazione o di affievolimento. Il quadro della giustizia amministrativa che va cos delineandosi in prospettiva prevede dunque una piena tutela delle situazioni sostanziali, siano esse qualificate come diritti soggettivi o come interessi legittimi, con riparto di competenza giurisdizionale fra il giudice ordinario e un giudice amministrativo da esso diverso solo per specializzazione e fornito di poteri istruttori, cautelari e decisori atti a garantire il conseguimento del bene della vita ed operante, quanto meno tendenzialmente, in sede di giurisdizione esclusiva (40). Il sistema italiano sembra dunque avviato verso una soluzione di tipo tedesco, con una giustizia amministrativa omologa a quella civile e da questa distinta unicamente per diversit di materia giudicabile e non per disomogeneit di poteri, o di situazioni tutelate, o di reclutamento dei magistrati o di particolari connessioni con l'amministrazione. 5. CONCLUSIONI. Tirando le fila del discorso sin qui svolto sembra potersi concludere che ancora una volta risulta dimostrato l'assioma dell'effetto paradosso prodotto dalle leggi amministrative. Il sistema di giustizia amministrativo italiano, infatti, nacque e si svilupp all'insegna del modello francese del consulente-giudice imbricato nell'amministrazione. Ci per avvenne sotto l'impero di una legislazione che, escludendo il giudice amministrativo, devolveva ogni controversia al giudice ordinario secondo il modello inglese. La crisi di trasformazione che ora la nostra giustizia amministrativa sta attraversando, sembra portare decisamente verso un modello di tipo tedesco. Ci per avviene sotto l'impero di una normativa -costituzio nale e successiva -che appare, invece, dichiaratamente volta a raffor zare e potenziare il modello francese. Decisamente la via italiana alla giustizia amministrativa, dal modello inglese al modello tedesco, passando per quello francese, appare a~sai im pervia e se la regola empirica enunciata all'inizio dovesse confermare ancora una volta la sua validit, nemmeno la nuova legge sul processo da tanti anni in gestazione potr fornirci indicazioni attendibili sulla sua direzione futura. IGNAZIO F. CARAMAZZA PAOLO GENTILI (40) Cfr. G. BERTI, Momenti della trasformazione della giustizia amministrativa, Riv. Trim. dir. pubbl., 1972, 1861. PARTE II, QUESTIONI 11 L'AVVOCATO DEL PROCESSO AMMINISTRATIVO(*) SOMMARIO: 1. Premessa -2. L'istituzione dell'Avvocatura e la giustizia nell'amministrazione; 2.1. Gli uffici del contenzioso; 2.2. La riforma del 1865 e l'istituzione dell'Avvocatura Erariale; 2.3. L'attivit di istituto dal 1876 al 1889; 2.4. La riforma Crispi e l'attivit di istituto fra Ottocento e Novecento -3. La Costituzione repubblica e la legge istitutiva dei Tribunali Amministrativi Regionali -4. Prospettive di evoluzione del processo amministrativo. Il nuovo ruolo dell'Avvocatura. 1. PREMESSA. L'argomento sar affrontato nell'ottica dell'avvocato della parte pubblica resistente, ed in particolare dell'avvocato dello Stato, ottica che naturalmente diversa tanto da quella del giudice quanto da quella dell'avvocato di parte ricorrente. D'altronde la peculiarit della posizione dell'avvocato dello Stato nel processo amministrativo simbolicamente espressa da una situazione (che spesso fonte di polemiche): la sua collocazione alla destra del giudice e non al banco della difesa. A scanso di equivoci sar bene subito aggiungere, anticipando le conclusioni cui ci si ripromette di arrivare, che se questo dato differenziale rispecchiava, all'origine, un ben preciso significato istituzionale, non costituisce oggi che la testimonianza di un'antica tradizione. Affrontare il problema della difesa dello Stato in giudizio, soprattutto nel giudizio amministrativo, e quello della sua evoluzione, significa affrontare uno dei capitoli della giustizia amministrativa italiana, una giustizia che, come insegnava Mario Nigro, non si pu comprendere a fondo se non ripercorrendo le tappe della sua storia. D'altronde il richiamo alla storia indotto anche dalla suggestione pitagorica dei numeri fatidici: difficile sfuggire al richiamo del secolo di vita che, per il giudice amministrativo italiano, si compiuto quest'anno. Non appaia quindi fuori luogo un richiamo al passato, e sia consentito scegliere un tale approccio al tema in quanto solo l'analisi del pas (*) L'articolo tratto dalla relazione presentata da I. F. Caramazza alla Tavola rotonda organizzata sull'argomento dal C.I.SA., sez. Calabria, e tenutasi in Catanzaro il 16 dicembre 1989. 12 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sato consente la piena comprensione del presente e forse anche qualche cauta profezia. D'altronde la particolare natura e funzione dell'Avvocatura dello Stato forniscono un punto di osservazione privilegiato. L'assoggettamento dello Stato come potere al giudizio rappresenta, infatti, nell'evolvere delle sue regole, un indicatore quanto mai sensibile del punto di equilibrio fra principio di libert e principio di autorit: punto di equilibrio mobile nell'evolversi della concezione del diritto, nel progredire della societ e nel mutare dello Stato. Quando, come nel nostro ordinamento, che in questo aspetto si presenta con caratteri di assoluta originalit, la difesa dello Stato sia affidata ad un organo tecnico che assume in forma organica ed esclusiva la rappresentanza e l'assistenza 1n giudizio del pubblfoo potere, ebbene tale organo diviene direttamente partecipe del processo di determinazione di tale equilibrio nel suo continuo evolvere. La creazione di un organo tecnico distinto dall'amministrazione parte in causa, epper incardinato nell'organizzazione statuale, lo rende infatti particolarmente sensibile al divenire dell'esperienza giuridica e partecipe della sua costruzione, in quanto i segnali che riceve e trasmette percorrono due canali privilegiati: quello esteriore e professionale del concorso alla formazione del diritto vivente attraverso la dialettica del contenzioso e quello interiore ed istituzionale della appartenenza all'organismo statale, da cui riceve e cui pu trasmettere, soprattutto attraverso l'attivit consultiva, impulsi idonei a meglio comprendere il continuo divenire della societ e favorire l'adeguamento ad esso dell'attivit statuale. L'esperienza giuridica dell'Avvocatura dello Stato riflette dunque le grandi crisi di trasformazione attraversate dal diritto, dalla societ e dallo Stato italiano a partire dalla sua originaria configurazione. Con specifico riferimento alla giustizia amministrativa si potrebbe dire anzi qualcosa di pi: vi una profonda interrelazione fra l'istituzione dell'Avvocatura dello Stato e la nascita del processo amministrativo in Italia ed una profonda interrelazione fra l'evolvere di questo ed il mutare di quella. 2. L'ISTITUZIONE DELL'AVVOCATURA E LA GIUSTIZIA NELL'AMMINISTRAZIONE. L'istituzione dell'Avvocatura, coeva con l'affidamento alla Cassazione ~ romana della funzione di giudice dei conflitti (1876-1877), si pone temporal I !~ mente a mezza via fra la legge abolitrice del contenzioso amministrativo (1865) e la legge istitutiva della IV Sezione del Consiglio di Stato (1889). Fu voluta come controspinta ad una riforma liberale troppo in anticipo sui tempi ed oper peraltro anche come forza propulsiva per la modifica V i: ~:: del sistema poi attuata dalla riforma Crispi. !ij i @ PARTE II, QUESTIONI 2J. Gli uffici del contenzioso. Come noto, l'Avvocatura dello Stato italiana deriva dall'avvocato regio di Toscana. Il trapianto dell'istituto lorenese nell'ordinamento italiano non fu, per, immediato. All'indomani dell'unificazione, con R.D. 9 ottobre 1862, n. 915 venne esteso invece a tutto il Regno il sistema borbonico delle agenzie dl contenzioso, modellato sull'esempio francese dell'agent judiciaire du trsor. Il che era perfettamente logico in un sistema, ispirato anch'esso a quello francese, di un contenzioso dello Stato affidato essenzialmente ai tribunali ordinari del contenzioso amministrativo, che costituivano una sorta di sistema di giustizia intemo all'Amministrazione e dinanzi ai quali lo Stato si difendeva direttamente con propri funzionari. Gli uffici del contenzioso interpretarono in maniera estremamente riduttiva i loro compiti e si ridussero ...ad una amministrazione di spese pagate e di spese riscosse per liti perdute o per liti guadagnate... (1) guadagnando inoltre una fama di scarsa trasparenza nei metodi seguiti per l'affidamento ai liberi professionisti delle (peraltro poche) cause dello Stato che dovevano essere trattate dinanzi ai giudici ordinari. La loro inadeguatezza apparve poi drammaticamente evidente dopo l'abolizione, nel 1865, dei Tribunali ordinari del contenzioso con la contestuale devoluzione alla giurisdizione ordinaria di tutte le materie nelle quali si facesse questione di un diritto civile o politico. 2.2 La riforma del 1865 e l'istituzione dell'Avvocatura Erariale. Il legislatore del 1865, infatti, sotto la spinta delle rivoluzioni liberali di mezzo secolo, soppresse il contenzioso amministrativo di modello francese, devolvendo al giudice ordinario -almeno nelle intenzioni, quali risultano chiarissime dai lavori preparatori -la cognizione di tutte le m~terie di amministrazione contenziosa, che erano per il passato attribuite ai Tribunali del contenzioso, riservando alla Amministrazione sol tanto quelle di amministrazione pura (2). Oper, cio, una scelta di civilt giuridica quale pi netta non poteva essere, optando per il sistema anglosassone -mediato attraverso (1) G. MANTELLINI, Lo Stato e il Codice civile: Firenze, 1883, III, 37. (2) I. F. CARAMAZZA, Il diritto civile e politico del cittadino nella cognizione dell'autorit giudiziaria ordinaria, in Atti del Settimo Convegno di studi giuridici Contributi per la storia dell'interesse legittimo (Legge 31 marzo 1889, n. 5992) organizzato dalla Sezione Toscana del CISA, in Firenze, 2-3 dicembre 1988, in corso di pubblicazione. 14 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO la esperienza belga -e rifiutando il sistema francese di una giustizia interna alla Amministrazione o comunque di un giudice amministrativo diverso da quello ordinario e nella Amministrazione in qualche modo incardinato. Tale scelta di civilt giuridica, oltre che netta, fu anche consapevole, come risulta dal dibattito parlamentare che precedette la riforma, tutto intessuto di sottilissime analisi sui diversi sistemi giuridici, testimonianza di una notevole cultura compartistica che precedeva di quasi mezzo secolo l'atto di nascita del diritto comparato come autonoma disciplina. Sorprendentemente, per, tale cultura comparatistica, che aveva fatto sfoggio di s nelle aule parlamentari e nei dibattiti dottrinari, svan nelle aule di giustizia. L'attuazione della riforma ne trad, infatti, lo spirito: la timidezza del giudice ordinario nei confronti dell'Amministrazione ridusse a ben poca cosa la tutela dell'amministrato: non che giudicare di tutti i diritti civili e politici , secondo la formula mutuata dalla Costituzione belga del 1831, ed accogliendo -come sarebbe stato logico -quella.tradizione giurisprudenziale ormai ben consolidata, il giudice italiano autolimit la propria competenza ai diritti pieni, a fronte dei quali vi fosse una attivit di mero diritto privato dell'Amministrazione (3). Le ragioni del formarsi di tale indirizzo giurisprudenziale -e quindi del vero e proprio tradimento della riforma liberale -a parte le difficolt di attecchimento di tutti gli istituti provenienti da diverse culture giuridiche, vanno ricercati negli strumenti di controllo posti in opera per impedire che il giudice ordinario, eccedendo dai suoi poteri, invadesse il campo dell'esecutivo. In realt l'istituto del giudice unico, nel passare dal natio sistema di common law ad un sistema a regime amministrativo si imbatte nel problema dell'atto amministrativo. Nel sistema originario, infatti, l'atto del pubblico potere non aveva forza privilegiata. Un pubblico funzionario inglese era soltanto qualcuno pagato per fare, in adempimento di un dovere, quello che qualunque cittadino avrebbe potuto fare, volendo, nell'esercizio di un diritto (4). La giurisdizione del giudice unico non poneva quindi quel problema di interferenze con l'esecutivo che pose, invece, in Belgio ed in Italia, con riguardo al trattamento dell'atto amministrativo. Entrambe le legislazioni vietarono, infatti, al giudice ogni intervento caducatorio ed introdussero il principio della disapplicazione. (3) I. F. CARAMAZZA, op. cit. (4) P. HEWITT, The abuse of power, Oxford, 1982, 56. PARTE II, QUESTIONI 15 A garanzia del rispetto della sfera di competenza dell'esecutivo in Belgio si ritenne sufficiente il potere di annullamento della Corte di Cassazione, che, peraltro, limit i propri interventi nei confronti delle sentenze che avessero pronunciato l'annullamento di atti ami;ninistrativi (5). Il legislatore italiano fu invece molto pi rigoroso, conservando originariamente al Consiglio di Stato -che era allora organo dell'esecutivo le funzioni di giudice dei conflitti (6). Come era prevedibile, il Consiglio mont una severissima guardia ai privilegi del potere che rappresentava, operando secondo lo schema paralogico del tu hai torto e perci ti nego il giudice e negando giurisdizione al giudice ordinario ogniqualvolta l'Amministrazione avesse agito jure imperii. La stortura logica cosi istituzionalizzata non poteva durare a lungo e difatti 12 anni dopo, nel 1877, le funzioni di giudice di conflitti venivano devolute alla Cassazione romana (7). In sintomatica coincidenza temporale veniva peraltro istituita l'Avvocatura erariale, al duplice dichiarato fine di sopperire alle insufficienze mostrate dal sistema delle agenzie del contenzioso nel nuovo sistema di giustizia, da un lato, e di controllo del rispetto delle prerogative dell'esecutivo da parte del giudiziario, dall'altro. In effetti l'istituto dell'Avvocatura -la cui originaria denominazione di erariale forse gi denunziava le limitate dimensioni che lo Stato intendeva attribuire al proprio contenzioso -nacque con il dichiarato intento di concorrere, con l'adozione di criteri di difesa unitari, alla elaborazione giurisprudenziale della distinzione fra diritti ed interessi e a definire i limiti oggettivi del potere del giudice ordinario in ordine all'atto amministrativo (8). A fronte della formula generale del legislatore del 1865, di semplicit 1ngannatrice (9) parve infatti necessaria la istituzione di un organo unitario di difesa in giudizio (10) per supplire ailla soppressione di un foro amministrativo speciale (11), soprattutto in previsione del passaggio alla Cassazione della competenza sui conflitti. Ci a differenza di quanto aocadeva in Francia, dove -scriveva il Mantellini, ultimo Avvocato regio di Toscana e primo Avvocato Generale erariale - ...si fidano del Pubblico Ministero e del Prefetto: e poterono (5) G. MANTELLINI, I conflitti di attribuzione, Firenze, 1871, I, 24. (6) L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, art. 13. (7) L. 31 marzo 1877, n. 3761. (8) F. BATISTONI FERRARA, La difesa dello Stato in giudizio e la soluzione italiana, .in L'Avvocatura dello Stato>>, Studio storico-giuridico per la celebrazione del centenario, Roma, 1976, 278 ss. (9) L. ARMANI, Il Consiglio di Stato, in Trattato di V. E. Orlando, s.d., I, 949. (10) F. BATISTONI FERRARA, op. cit., 254 ss. (11) Relazion~ al Regolamento 16 gennaio 1876 n. 2914, serie II, pubblicata in allegato alla Relazione dell'Avvocato Generale erariale per il 1876, pag., 74. RASSEGNA, DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dispensarsi da un istituto di consiglieri, di avvocati demaniali o erariali, in grazia di quel loro foro amministrativo ~he ne avoca le maggiori cause e dove l'amministrazione trova nei giudici quanta assistenza a lei bisogna (12 ). 2.3 L'attivit di istituto dal 1876 al 1889. In realt, nell'Italia del 1876, vi era per la neonata Avvocatura una china da rimontare, almeno in un'ottica conservatrice: quella di una certa giurisprudenza liberale della Cassazione formatasi nonostante l'arcigna guardia montata dal Consiglio di Stato, giudice dei conflitti. Nel 1876, infatti, come risulta da una nota redazionale del Foro italiano, vi era un orientamento prevalente che affermava la risarcibilit del danno recato ad una situazione regolata da leggi amministrative; la risarcibilit del danno oausato da atti autoritativi (o iure imperii); la potest del giudice di disapplicare gli atti autoritativi non solo in via di eccezione ma anche in via di impugnativa principale (13). Tale orientamento era d'altronde allineato a quello della coeva giurisprudenza belga ed era quanto mai ragionevole in quanto gli artt. 2, 4 e 5 della legge abolitrice rappresentavano la quasi letterale traduzione degli artt. 92, 93 e 107 della Costituzione belga del 1831, Costituzione dalla quale 11 nostro legislatore aveva tratto dichiarata ispirazione e che consent ad un Paese per molti aspetti paragonabile al nostro di considerare soddisfacente per oltre un secolo la tutela offerta in tal modo dal giudice ordinario. Dopo tale prima iniziale apertura, invece, come noto, la interpretazione che si consolid nella giurisprudenza italiana, in accoglimento delle tesi difensive dell'Avvocatura erariale, fu assai pi restrittiva e ridusse in confini molto angusti la tutela dell'amministrato nei confronti dell'amministrazione operando lungo tre direttive: la negazione della qualit di diritti civili o politici alle situazioni soggettive derivanti da leggi amministrative, la negazione del potere di disapplicazione di atti quantlo la illegittimit fosse dedotta in via diretta e principale, in quanto immediatamente lesiva di una posizione tutelata, e, infine la negazione della propria potestas judicandi a fronte di una attivit iure imperii dell'Amministrazione (14). (12) Relazione lilt. cit. (13) Cass. Roma 13 marzo 1876 in Foro it. 1876, I, 842; I. F. CARAMAZZA, op. cit. (14) Nonostante alcune diverse opinioni deve ritenersi che fu quello il criterio generalmente seguito: cfr. G. VACCHELLI, La difesa giurisdizionale dei diritti dei cittadini verso l'autorit amministrativa, in Primo Trattato completo di diritto amministrativo italiano, Milano, 1901, Vol. III, 437, nota (1); adde M. NIGRo, Giustizia Amministrativa, Bologna, 1983, p. 89; F. BENVENUTI, Giustizia Aml}linistrativa, Enciclopedia del Diritto, XIX, 599; F. BATISTONI FERRARA, op. cit., 278 ss. I I I f ~ ! ! PARTE II, QUESTIONI 1.7 Delle tre autolimitazioni che il giudice italiano si era imposto in quegli anni e di cui si ora detto, questa ultima era certo la pi grave e significativa, riducendo la tutela del nostro concittadino di cento anni fa a quella gi goduta, oltre un secolo prima, dai sudditi di molti regimi assoluti. Tanto vero che una polemica sulla sufficienza o meno della tutela offerta dal giudice unico nacque in Belgio a cavallo fra Ottocento e Novecento proprio in coinoirdenza con una oscillazione della giurisprudenza di quella Cas'Sazione, che, abbandonando le proprie tradizionali posizioni, aveva fatto propria, in alcune decisioni, la teoria francese degli atti d'impero come limite al sindacato del giudice ordinario (15). Criticabile per quanto fosse sta di fatto, per, che la interpretazione restrittiva pl'ima descritta, in tutte e tre le sue direttrici, divenne ben presto in Italia diritto vivente, dando cos causa ad uno stato di acuta ID.soddisfazione per la scarsissima e spesso inesistente tutela offerta all'amministrato contro gli arbitrii dell'Amministrazione e creando cos il terreno favorevole alla riforma Crispi. Al formarsi e consolidarsi di tale giurisprudenza contribu in misura rilevante, come si detto, l'opera del!' Avvocatura erariale, la cui direzione era stata affidata a Giuseppe Mantellini, nome molto pi spesso citato dai cultori della materia per evocare il giuspubblicista autore dello Stato e il codice civile piuttosto che non il primo Avvocato generale erariale. Ed in genere la citazione viene fatta per criticare -non senza durezza -un misoneismo giudicato eccessivo (16). In realt, come risulta da tutte le sue attivit di studioso e di parlamentare, il suo pensiero fu tutt'altro che illiberale. Suo torto fu -se torto questo si pu chiamare per un avvocato una volta investito delle funzioni, quello di vincere le cause dello Stato affidategli adottando la linea difensiva pi radicale possibile, quella di negare in capo al giudice la potest di guidicare. La tesi della responsabilit storica dell'Avvocatura erariale nel determinare la linea interpretativa restrittiva di cui si detto, fu gi enunciata nell'infuocato dibattito parlamentare sulla legge istitutiva della IV Sezione del Consiglio di Stato, dal senatore Pierantoni (genero del Mancini) il quale, opponendosi strenuamente al disegno, vedeva come unico vero rimedio alla insufficiente difesa degli amministrati una pi esatta lettura, da parte del giudice ordinario italiano, della legge del 1865, una lettura conforme alla lettera della norma ed all'interpretazione datane dalla giurisprudenza belga di fronte ad analogo. testo e, criticando la distinzione fra atti di gestione e atti di impero, ammoniva gli onorevoli colleghi come tale interpretazione, fatta propria dal giudice italiano, fosse errata: l'opera della Cassazione -precis -fu spinta su questa via dall'Avvocatura (15) I. F. CARAMAZZA, op. cit. (16) B. SORDI, Giustizia e amministrazione nell'Italia liberale, Milano, 1985, 174. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO erariale, forte istituto, prevalente nell'opera del potere amministrativo e giudiziario (17). Il capo dell'Istituto, Giuseppe Mantellini, portava infatti nella sua nuova attivit non solo la fama del cultore di diritto pubblico di livello internazionale, non solo il prestigio del parlamentare, ma anche la specifica esperienza di Direttore del Contenzioso, di consigliere di Stato, di consigliere di Cassazione e, soprattutto, di Avvocato regio di Toscana nel decennio precedente l'unificazione. Nella nuova istituzione, da lui stesso voluta, port, quindi, tutto il bagaglio professionale accumulato nell'antico istituto lorenese e gli schemi logici e dialettici matUJrati in un regime 1che, bench illuminato -e quanto illuminato! i(18) -era pur sempre stato un regime assoluto. Fin dall'inizio dell'attivit di istituto Mantellini elabor la linea difensiva della distinzione fra atti di impero e atti di gestione e della sindacabilit incidenter tantum dell'atto di impero solo in via di eccezione e solo quando lo stesso atto aggiungesse al rapporto politico un rapporto accidentale e contip.gente di natura civile (19), coordinando con molta energia e molta fermezza le attivit delle varie Avvocature distrettuali (20). Particolare cura mise nello spingere quanto pi avanti possibile la linea di difesa della negazione al giudice della potestas iudicandi, soprattutto in materia di responsabilit aquiliana, attraverso l'argomento che sotto le mentite spoglie di una pretesa risarcitoria si sindacava -inammissibilmente -l'emanazione o la mancata emanazione di un atto amministrativo: Tanto fa chiedere la condanna del sindaco quale ufficiale di Governo a rilasciare il certificato di buoni costumi, quanto il chiedere la condanna del sindaco a soddisfare al danno lamentato dall'attore per negatogli certificato (12). L'autorevolezza, l'esperienza oranizzativa, l'uniformit di 1indirizzo difensivo, la grande capacit ed esperienza professionale, si imposero ad una magistratura di varie matrici geo-culturali e ancora separata tra tante Cassazioni -spesso abilmente giocate le une contro le altre -e la pi restrittiva delle interpretazioni della legge del 1865 divenne diritto vivente . Con palese capovolgimento dei concetti ispiratori della riforma si afferm, quindi, la regola -come fu detto con qualche pessimismo che il punto di equilibrio fra principio di libert e principio di autorit (17) Atti Parlamentari, Senato del Regno, Discussioni, Tornata del 20 marzo 1888, 1170. (18) I. F. CARAMAZZA, L'Avvocato regio di Toscana, in L'Avvocatura dello Stato, Studio storico-giuridico per la celebrazione del Centenario, Roma 1976. (19) Relazione dell'Avvocato Generale Erariale per l'anno 1880, 49 ss. (20) Relazione dell'Avvocato Generale Erariale per l'anno 1878, pagg. 18 e ss., e 1879, pagg. 22 e ss. (21) Relazione cit. 1882, 6. ,. 19 PARTE II, QUESTIONI andava trovato nell'assioma che dove vi esercizio di autorit non pu esservi libert. In defintiva, pu concludersi che l'Avvocatura erariale nacque e si afferm come difensore di uno stato inteso nelle sue dimensioni meramente patrimonialistiche, e che si sottoponeva al giudice soltanto per le attivit svolte nella sua capacit di diritto privato, ad imitazione di quanto era accaduto nella Toscana preunitaria, ferma restando naturalmente la considerazione che ci che poteva essere considerato di avanguardia in un .regime assoluto del Settecento diventava retroguardia in uno Stato liberale della seconda met dell'Ottocento. 2.4. La riforma Crispi e l'attivit di istituto fra Ottocento e Novecento. Se aH'Avvocature pu ascriversi dunque una sorta di corresponsabi lit storica in ordine al consolidamento dell'interpreta~ione in chiave Te strittiva della legge abolitiva del contenzioso, sarebbe tuttavia errato ritenere che la sua opera aves'S'e costituito anche una controspinta al l'affermazione della giustizia neH'amministrazione . Va invece osservato che, se, da un canto, l'Avvocatura difendeva vitto riosamente i confini dell'area riservata all'esecutivo e come tale interdetta al sindacato del giudice ordinario, dall'altro non mancava di denunciare vigorosamente la manifesta inadeguatezza del sistema di giustizia ammini strativa, quale risultava dal diritto vivente cos creato e di conclamare l'urgenza di apprestare adeguate forme di tutela per i cittadini. Illuminante, per comprendere appieno la ratio che ispir la poli tica difensiva dell'Avvocatura ed apprezzarne l'intima coerenza di condotta sull'intera problematica della giustizia amministrativa, il seguente brano della Relazione per l'anno 1883 (22): Fino a che non si riconosca competenza se non al giudice del di ritto, sarebbe non senza pericolo, per la indipenqenza dei poteri, attri buirgli l'indagine della prudenza o della opportunit sulla misura o sul l'atto amministrativo. !ntanto che basta l'addentrarsi anche di poco nelle pratiche della giustizia amministrativa per accorgersi che nulla pi ne offende, o disdice, quanto lo scompagnare nell'atto amministrativo l'esame della legittimit, dove ogni regola diventa pieghevole, dall'esame della giustizia, la quale non pu tornare che di convenienza ... E dunque, affran cati da ogni scrupolo, commettasi al Consiglio di Stato, a questo Supremo Collegio dell'ordine amministrativo, l'esame di ogni atto amministrativo nel doppio aspetto di quella speciale legittimit e di quella speciale giu stizia, che si comportano dalla giustizia amministrativa. Lo possiamo col Consiglio di Stato, senza sospettare che ne restino trascesi i limiti, offesi i criteri, di1sdetti i fini della giustizia amministrativa, (22) Relazione dell'AvvocatO Generale erariale per l'anno 1883, 53. RASSEGNA DEIL'AVVOCATURA DELLO STATO per astrazioni inutili se non pericolose, e con invece ila istituzionale garanzia di riportarne sempre applicazioni concrete e rassicuranti . Nella stessa relazione, peraltro, si contesta apertamente che la responsabilit politica possa configurarsi come sufficiente garanzia per ila legalit nell'azione amministrativa: Ma sono troppi o ben gravi gli interessi raccomandati alle autorit amministrative, i quali aspettano dalle nostre leggi l'ordinamento che ne tuteli seriet e verit, da non potersi aspettare da quella politica responsabilit la quale nel fatto e nell'opinione licenzia i ministri all'arbitrio pi che non li esponga a rese di conti. Questa responsabilit per nessuno si ha pi per vera e seria garanzia della retta, imparziale amministrazione della giustizia amministrativa; e anche per noi tempo di mettere gli interessi che le sono raccomandati al coperto delle calunnie e contro le esagerazioni di ingerenza indebita, le quali pur sono il tarlo che pi rode e corrode il Governo dei parlamenti (23). Non davvero difficile cogliere nei passi or ora trascritti la stessa convinta determinazione, nell'auspicare la piena ed effettiva affermazione della giustizia nell'Amministrazione, che connot i discorsi dei pi illuminati e vivaci propugnatori di essa, e primo fra tutti lo Spaventa (24). La posizione appena delineata -che assunse l'Avvocatura in ordine al problema dell'adozione di un sistema di giustizia amministrativa era peraltro del tutto coerente con le condizioni storico-culturali nelle quali essa venne maturando, tenuto conto anche del fatto che tra l'evoluzione della giustizia amministrativa e la definizione dell'assetto istituzionale del sistema difensivo dello Stato, venne a determinarsi ~a sorta di interrelazione (25) che fece s che i due fenomeni traessero naturalmente alimento l'uno dall'altro. Il che, a ben vedere, trova una intuitiva spiegazione gi sul piano pragmatico: da un canto, infatti, l'organo attributario della funzione giustiziale tanto pi avrebbe potuto affermare il proprio carattere di giudice indipendente quanto pi netta fosse stata, in relazione al giudizio amministrativo, l'affermazione del carattere di parte (ancorch affatto sui generis), e per ci stesso abbisognevole di un difensore, dell'Amministrazione; dall'altro l'Avvocatura non poteva che guardare con favore all'istituzione ed al consolidamento di un sistema che le avrebbe consentito di affrancare la propria istituzionale funzione di patrocinio e di consulenza dai limiti angusti impressile in origine dall'ordinamento (23) Relazione, ult. cit., p. 46. (24) S. SPAVENTA, La giustizia nell'amministrazione in Codice della giustizia amministrativa (per cura dell'avv. Ranieri Porrini), Firenze, 1900. (25) F. BATISTONI FERRARA, La difesa dello Stato in giudizio e la soluzione italiana, in L'Avvocatura dello Stato, cit., 254 ss. nonch 282 ss. ~ / . 1 > I:I - 21 PARTE II, QUESTIONI per proiettarla nell'ambito pluridimensionale degli interessi generali (e non pi soltanto patrimoniali) dello Stato. Con il patrocinio dell'Amministrazine di fronte ad un organo giurisdizionale amministrativo la Avvocatura passava infatti, quanto meno in via di evoluzione prospettica, dalla dimensione privatistica di difensore dell'erario a quella pubblicistica di difensore delle prerogative del potere esecutivo, cos gettando le basi della sua futura promozionti da Avvocatura erariale ad Avvocatura dello Stato. Esiste peraltro, forse, una ragione ancor pi profonda dell'interrela zione di cui si detto: i due fenomeni sembrano invero riconducibili ad una comune matrice teorico-culturale, verosimilmente ravvisabile nella teoria del Rechtsstaat elaborata dalla dottrina tedesca (che ebbe in Rodolfo Gneist il pi autorevole assertore), teoria che penetra in Italia nell'ambito dei dibattiti sul completamento e il consolidamento delle Istituzioni dell'Italia unificata (26) ed alla quale dichiaratamente si ispirarono tanto lo Spaventa (27), quanto il Mantellini (28), il quale oltretutto era profondamente legato alla tradizione giuridica leopoldina di un unico Esecutivo ripartito in Amministrativo e Giudiziario, entrambi caratterizzati da un'unica funzione di garanzia di legalit, anche se con diversi strumenti esercitata ed era quindi istintivamente ostile ad ogni forma di giustizia nell'amministrazione che non trovasse nell'Amministrazione stessa la sua radice. noto d'altronde come il legislatore, con l'attuazione della riforma del 1889, non intendesse affatto costituire una giurisdizione speciale (il che avrebbe minato in radice il principio della giurisdizione unica introdotto con la legge abolitiva del contenzioso): all'epoca, infatti, il concetto che la fonte di giurisdizione unica e che, di regola almeno, debba essere esercitata dal solo potere giudiziario dominava ancora tenacemente (29). Il legislatore, in realt, di fronte all'acuta insoddisfazione per le liinitatissime garanzie che il diritto vivente offriva al cittadino nei confronti della Pubblica Amininistrazione, si trov a dover risolvere un dilemma: o ampliare -eventualmente in via di interpretazione autentica -il numero delle situazioni soggettive tutelate dinnanzi al giudice ordinario -disconoscendo i risultati giurisprudenziali raggiunti -come suggerivano alcuni (30), ovvero accettare per buono quel diritto vivente ed istituire un altro organo per tutelare situazioni diverse dai diritti. (26) Cos M. NIGRO, in Silvio Spaventa e lo Stato di diritto , in Foro it. 1989, V, 109 ss. (27) Vedasi, al riguardo, l'opera di Nigro appena citata. (28) Relazione dell'Avvocato Generale erariale per l'anno 1883, 50. (29) Cfr. V. SCIALOIA, Come il Consiglio di Stato divenne organo giurisdizionale, in Riv. Dir. Pubbl., 1931, 411. (30) Cfr. I. F. CARAMAZZA, in Il diritto civile e politico, cit. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Una volta scelta tale seconda soluzione, fu giocoforza accettare il postulato che ci che andava tutelato, per garantire la legalit nell'azione amministrativa, erano meri interessi (aventi cio ad oggetto beni della vita non conseguibili senza l'intermediazione dell'esercizio di un potere discrezionale) e che di essi non avrebbe potuto conoscere che un organo incardinato nell'esecutivo. Cos, infatti, si disse espressamente .nella relazione alla legge istitutiva .della IV Sezione del Consiglio di Stato: il nuovo istituto non un tribunale giudiziario speciale o eccezion,ale, ma rimane nella sfera del potere esecutivo, da cui prende la materia e le persone che lo devono mettere in atto. Io stesso potere esecutivo ordinato in modo da tutelare maggiormente gli interessi dei cittadini. Perci, a differenza dell'antico contenzioso amministrativo, esclude ogni confusione di poteri costituzionali... soltanto un corpo deliberante che il potere esecutivo forma con elementi scelti nel suo seno, come a sindacare dei suoi atti, e per mantenere la sua azione nei limiti della legalit e della giustizia (31). Il fatto che nella concezione del legislatore il nuovo istituto fosse un organo dell'Amministrazione consent, peraltro, di attribuirgli un potere che giammai, all'epoca, sarebbe stato affidato ad un organo giurisdizionale, cio quello di sospendere, annullare e revocare l'atto amministrativo (32). Il che contribu a far s che la nuova Sezione, sapientemente guidata da quello stesso Silvio Spaventa che l'aveva cos fortemente voluta, conquistasse ben presto il favore del pubblico, dimostrando che la tutela offerta non cdeva, per indipendenza di giudizio, a quella che si poteva ottenere, per i diritti, dall'Amministrazione giudiziaria ordinaria (33). La forza delle cose, comunque, non tard a prevalere sull'involucro formale costruito dal legislatore, tant' che la natura giurisdizionale della nuova Magistratura fu pressoch immediatamente riconosciuta dalla giurisprudenza: gi nel 1893, infatti, la Cassazione di Roma a Sezioni Unite, con sentenza 21 marzo 1893 n. 177 (34), statuiva che la IV Sezione del Consiglio di Stato stata investita dalle foggi 31 marzo 1889 e 1 maggio 1890 di una vera e propria giurisdizione, la quale ha pure il carattere speciale di fronte a quelle generiche assegnate all'autorit giudiziaria, donde l'ammissibilit del ricorso per incompetenza o eccesso di potere anche contro le decisioni della IV Sezione (35). (31) V. ScIALOIA, op. loc. cit. (32) Scrisse infatti SCIALOIA, op. cit., 412, che attribuire quest'ultima facolt al Consiglio di Stato, infatti, non significa, nel concetto della legge del 1889, sottrarla all'Amministrazione. (33) F. BATISTONI FERRARA, op. cit., 284. (34) In Foro lt., 1893, I, 294 ss. (35) La massima tratta dalla Relazione dell'Avvocato Generale per l'anno 1898, 32. I I fil I ili PARTE II, QUESTIONI 2J Il Consiglio di Stato italiano compiva cos, nel breve volgere di qualche anno, quella evoluzione da organo amministrativo a giudice che, per il confratello transalpino, era durata quasi tre quarti di secolo. L'Avvocatura erariale -sia pur combattendo, come si visto, pro domo sua -svolse un ruolo non secondario per ~'affermazione di tali principi ed il consolidamento del nuovo sistema, impugnando le decisioni del Consiglio di Stato davanti alle Sezioni Unite della Cassazione ed affermandone, anche in relazione ai limiti soggettivi, la loro piena equiparazione alle sentenze dei Tribunali (36). La natura giurisdizionale della IV Sezione doveva, com' noto, trovare il suo crisma normativo nel 1907 ed il salto di qualit dell'Avvocatura dalle dimensioni patrimonialistiche originarie a quelle totalizzanti dello Stato doveva trovare consacrazione legislativa nelle riforme degli anni 20 e 30 che, in sintomatica coincidenza temporale, unificarono la Cassazione in Roma, incardinarono nella Presidenza del Consiglio di Stato, Corte dei Conti ed Avvocatura, fino allora rispettivamente facenti capo a Ministero dell'Interno e Ministero delle Finanze, istituirono il foro dello Stato ed estesero a tutte le Amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo e, previa autorizzazione, ad enti sovvenzionati, sottoposti a tutela e vigilanza, nonch ad agenti ed impiegati pubblici, il patrocinio dell'Avvocatura (37). In questa prima mutazione, iniziatasi a cavallo dei due secoli e compiutasi negli 'anni '30, l'istituto si trasform dunque -proprio grazie alla nascita di un processo amministrativo ed al ruolo in esso giocato -in difensore del potere esecutivo che, nella sua epifania di Statoamministrazione, si sottopone al giudizio, ordinario o amministrativo che sia. Piccardi, a proposito dello Stato-parte in giudizio, parl di un processo di parti in cui una parte un po' meno parte dell'altra . L'affermazione ha una duplice valenza, in quanto se, da un lato, allude al rispetto del principio di legalit da parte della Pubblica Amministrazione anche quando parte in giudizio (con conseguente dovere per il suo avvocato di essere, per il proprio particolare cliente, prima giudice che difensore) dall'altro evoca tutti i privilegi sia sostanziali che processuali di cui godeva allora lo Stato in giudizio. A parte quelli del giudizio amministrativo tradizionale, di per s evidenti, (non era l'avvocato dello Stato addirittura sostituibile con un referendario del Consiglio di Stato?) basti ricordare, per il giudizio civile, tutta la nutrita serie di domande considerate improponibili nei confronti della Pubblica Amministrazione, il salve et repete, l'individuazione dell'organo legittimato a stare in giudizio prima della riforma Trabucchi per non citare che alcuni privilegi. (36) F. BATISTONI FERRARA, op. loc. cit. (37) G. MANZARI, Avvocatura dello Stato, Digesto, IV Ed., Torino, 1988, 11 ss. 14 24 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO L'Avvocatura dello Stato a seguito della crisi di trasformazione che si dipan fra i due secoli e si consolid nel 1933 si trasform dunque da difensore dello Stato italiano inteso nelle sue dimensioni patrimonialistiche, quale era stata all'origine, in difensore delle prerogative del potere esecutivo di fronte al giudiziario. Ci comport naturalmente anche una mutazione nella intima essenza dell'istituto, nel rapporto cio fra le sue due anime tradizionali, sottese l'una alla professione, l'altra alla pubblica funzione, con prevalenza della seconda sulla prima, divenuta strumento tecnico servente per il miglior esercizio di quella. Tirando le fila del discorso sin qui svolto si pu dunque trarre una prima conclusione. L'istituzione dell'Avvocatura ed il primo svolgimento dell'attivit di istituto si colloca nel quadro di quel pacchetto di riforme e di evoluzione dell'ordinamento italian.o che in poco pi di un quarto di secolo (1865-1893), attraverso un singolare processo di eterogenesi, istitu il processo amministrativo. Da un corpus normativo che affermava l'unicit della giurisdizione in capo al giudice ordinario ed istituiva un procedimento amministrativo contenzioso quasi giudiziale interno all'Amministrazione a garanzia oggettiva di legalit e negava quindi la potizzabilit stessa di un giudice amministrativo, nasceva, infatti, un giudice amministrativo incardinato nell'Amministrazione, sull'esempio del modello francese. Cominciava cos la singolarissima -e per tanti versi ambigua costruzione del processo amministrativo italiano, nato nell'amministrazione ed evoluto nella giurisdizione per giudicare di un interesse legittimo considerato come situazione sostanziale fino alle soglie del giudizio, al cui accesso legittimava, per perdere poi in esso tale connotato i:r quanto la natura cassatoria della pronuncia non riconosceva o disconosceva alcun bene della vita, limitandosi ad annullare -o non annullare un atto amministrativo. Fu detto a suo tempo che, con l'istituzione della IV Sezione del Con siglio di Stato, una parte della classe dirigente fu chiamata a control lare se stessa (38): questo in linea con quella tradizione transalpina che riconosceva nel Coinseil d'Etat -nato come massima espressione logica di una amministrazione senza giudice ed evolutosi in giudice dell'am ministrazione (39) -il duplice ruolo di garante dei diritti del cittadino contro gli abusi dell'amministrazione e di protettre delle prerogative del (38) L. PICCARDI, Intervento al X Convegno di Studi di scienza dell'amministrazione, 1964, Atti, 97. (39) G. VEDEL, Il controllo giurisdizionale della pubblica amministrazione in Francia, in Il controllo giurisdizionale della P.A. , Studi di diritto comparato di A. Piras, Torino, 1971, 84-85. PARTE II, QUESTIONI 2J potere pubblico (40), considerato non solo parte da giudicare, ma anche apparato da dirigere e da consigliare (41). Ad esso si accompagnava la evoluzione di una figura di avvocato dello Stato che assumeva le vesti di difensore istituzionale di quelle prerogative. Alla conseguente ambiguit del relativo giudizio si aggiunge poi quella ulteriore derivante logicamente da un sindacato di tipo cassatorio non omogeneamente collegato con un previo giudizio di merito . In tale ambiguit di fondo nacque e prosper l'interesse legittimo come creatura di laboratorio' o pianta di serra singolarit tutta italiana e che solo le vicende storiche che gli dettero vita possono in qualche modo spiegare. Nato come espediente esegetico (42) per superare le aporie del sistema. di giustizia creato dalle leggi del 1865 e del 1889 (o piuttosto dalla loro interpretazione) fu teorizzato come situazione giuridica soggettiva sostanziale unitaria sulla scorta del seguente sillogisma: se alla IV Sezione doveva riconoscersi natura giurisdizionale e se l'interesse davanti ad essa fatto valere poteva essere protetto denunciando indifferentemente uno di tre vizi di incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere, occorreva allora riconoscere che la riforma del 1889 aveva attribuito natura giuridica a situazioni diverse al tempo stesso dal diritto civile e politico e dall'interesse semplice, materiale, economico (43). L'argomento appare discutibile in s e comunque condizionato dal postulato della situazione giuridica soggettiva come prodotto immutabile della ragione (44). La verit che la nascita de1la categoria dell'interesse legittimo sembra essere il frutto di un complesso processo di eterogenesi al quale partecip in prima linea l'Avvocatura Erariale e che si articol nei seguenti momenti: 1) soppressione del contenzioso amministrativo con devoluzione al giudice civile, come giudice unico, della cognizione di ogni questione relativa a diritti, sull'esempio dell'esperienza belga, a sua volta mutuata da quella anglosassone; 2) applicazione della normativa in senso tanto restrittivo da postulare la necessit di una sua integrazione per la tutela di tutte le situazioni sottratte alla cognizione del giudice civile (molte delle quali erano sicuramente diritti soggettivi); (40) A. MESTRE, Le Conseil d'Etat, protecteur des prrogatives de l'Administration, Parigi, 1974. (41) M. HAURIOU, Principes de droit public, Parigi, 1910, 491. (42) E. GuICCIARDI, Concetti tradizionali e principi ricostruttivi della giustizia amministrativa, Torino, 1967, I. (43) O. RANEUJlTTI, cit. in B. SORDI, Giustizia e amministrazione nell'Italia liberale -La formazione della nozione di interesse legittimo, Milano, 1985, 373. (44) L. MENGONI, Diritto e politica nella dottrina giuridica, Iustitia, 1974, 337 ss. 26 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 3) introduzione della integrazione -istituzione della IV Sezione del Consiglio di Stato -sul presupposto che la interpretazione della legge del 1865 fosse esatta e quindi con configurazione del nuovo rimedio come istituto puramente ammhstrativo per la tutela di semplici interessi; 4) rapidissima evoluzione della IV Sezione del Consiglio di Stato da organo di amministrazione in organo di giustizia; 5) razionalizzazione di tale ulteriore evoluzione con attribuzione di una natura sostanziale unitaria agli interessi eterogenei tutelati dinanzi al Consiglio di Stato, con conseguente necessaria creazione dogmatica di una categoria capace di ridurre ad unit tanto diritti soggettivi rimasti orfani di tutela quanto semplici interessi dotati di particolare rilevanza. Sintetizzando e schematizzando questa singolare eterogenesi, si potrebbe quindi dire che il diritto vivente formatosi -abbiamo visto come -nel quarto di secolo successivo al 1865 fu il tradimento di una riforma, che l'istituzione della IV Sezione fu la razionalizzazione di quel tradimento; che la trasformazione della IV Sezione da organo amministrativo in organo giurisdizionale fu il tradimento di quella razionalizzazione; infine che la creazione della categoria dell'interesse legittimo come situazione soggettiva sostanziale ancipite fra diritto e interesse, secondo la nota prospettazione del Ranelletti, fu l'ulteriore razionalizzazione di quel secondo tradimento. Pur con tutti i suoi vizi di origine sta per di fatto che l'interesse legittimo crebbe e si svilupp al centro di quella elegantissima costruzione giuridica che il Consiglio di Stato italiano ha creato in tre quarti di secolo, una costruzione in cui non si sa mai se ammirare di pi la fantasia nell'escogitare nuove soluzioni (basti ricordare il silenzio e l'atto paritetico), il rigore giuridico nell'argomentarle o il pragmatismo nel raggiungere sostanziali risultati di giustizia attraverso un armamentario normativo rozzo e limitatissimo. Condizione di vita per l'interesse legittimo in quanto fiore di serra era per il permanere della serra, cio di quello specialissimo giudizio di cui si detto e che era, s, processo di parti, ma in cui una parte meno parte dell'altra (45) assistita da un avvocato pubblico che ha la funzione di difenderne le prerogative ed in cui il giudice anche il padre spirituale di quella (46). Un processo, insomma, datato e connotato da peculiarissimi dati politologici, sociologici e culturali. (45) L. PICCARDI, Il problema della difesa dello Stato in giudizio e la soluzione italiana, Riv. dir. pubbl., 1931, 595. (46) E. CANNADA BARTOLI, in Atti Parlamentari, Camera, I Commissione prmanente, Audizioni sullo stato della giustizia amministrativa, seduta 30 ottobre 1984. PARTE II, QUESTIONI 3. -LA COSTITUZIONE REPUBBLICANA E LA LEGGE ISTITUTIVA DEI TRIBUNALI AMMINISTRATIVI REGIONALI. Il sistema evolvette fino alla Carta repubblicana del 1948 che, in modo quasi notarile, lo costituzionalizz con tutte le sue originalit e le sue contraddizioni: basti pensare a quella che vede contrapporre da un lato la qualificazione dell'interesse legittimo come posizione sogget~ tiva sostanziale (art. 24), dall'altro la qualificazione del giudizio amministrativo come giudizio sull'atto e quindi come giudizio cassatorio, inidoneo a garantire il riconoscimento di un bene della vita (art. 113). Unico, modesto, elemento innovativo, l'introduzione del principio del doppio grado, con la previsione (art. 125) dell'istituzione a livello regionale di organi di giustizia amministrativa di primo grado. Previsione cui doveva dare attuazione la legge istitutiva dei Tribunali Amministrativi Regionali (legge 6 dicembre 1971 n. 1034) che, come noto, non contiene alcuna rivoluzionaria innovazione normativa ed appare anzi, in larga misura, rispettosa delle formule tradizionali. Normativa costituzionale e normativa ordinaria sui T.A.R. sembravano dunque segnare, a prima vista, il consolidamento di un sistema di giustizia amministrativa ispirato alla tradizione transalpina che, nello stesso torno di anni (1953), istituiva i Tribunali Amministrativi Regionali in luogo dei vecchi consigli di Prefettura. L'evoluzione della giurisprudenza mostra invece una profonda e progressiva divaricazione della nostra giustizia amministrativa rispetto al modello francese, cio al modello di un giudice che con l'Amministrazione ha un rapporto privilegiato in quanto non solo la giudica ma la consiglia o addirittura la dirige. Il fenomeno non sorprende: tutta la storia della giustizia amministrativa italiana prova che il processo amministrativo sempre uscito dalle riforme in direzioni diverse da quelle volute dal riformatore. Cos come -lo si appena visto -il processo amministrativo italiano classico, pur uscito da una normazione dichiaratamente ispirata al modello inglese, si conformato al modello francese, cos l'attuale processo amministrativo, come si cercher di dimostrare, pur uscito da una norma zione ispirat,a al modello francese, si va conformando a quello tedesco. Ci dovuto a due fattori, l'uno normativo l'altro sociologico. Il primo attiene al fatto che il principio del doppio grado in Francia non stato generalizzato: i settori pi importanti del contenzioso amministrativo -segnatamente quelli relative alla impugnativa degli atti amministrativi pi rilevanti ed ai rapporti di impiego dei pi alti funzionar} sono rimasti affidati alla competenza del Consiglio di Stato come giudice 28 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO di unico ed ultimo grado, con tutte le sue tradizionali caratteristiche di I imbricazione nell'Amministrazione. I . Il secondo -in qualche modo al primo connesso - la creazione , di una nuova classe di giudici amministrativi italiani, di estrazione di I versa da quella tradizionale del Consiglio di, Stato e sganciati da ogni funzione di consulenza. Ci ha fatto s che nei confronti dell'Amministra zione la giurisdizione amministrativa abbia manifestato, per la prima volta nella sua storia, un netto distacco, cui si aggiunge una nota di diffidenza e sospetto ogni qualvolta la questione sottoposta al giudizio abbia una particolare rilevanza politica o comunque incida su fatti politicamente rilevanti (47). La diffusione sul territorio dei giudici amministrativi ha reso, poi, di massa una domanda di giustizia che era prima solo elitaria. La forza delle cose ha imposto quindi al nuovo giudice amministra tivo di soddisfare un'esigenza di giustizia sostanziale. La richiesta sem pre crescente montante dalla societ era che egli si trasformasse da giudice dell'atto in giudice del rapporto per la conseguibilit nel processo amministrativo di quel bene della vita che dovrebbe pur essere conseguibile se vero che l'interess legittimo una situazione sostan ziale. Orbene, bench stretto nelle angustie di una giurisdizione generale di legittimit che rimane pur sempre una giurisdizione di annullamento, il giudice amministrativo italiano riuscito a rendere giustizia nel rapporto attraverso lo strumento cautelare, usato con molta pi frequenza di quanto non abbia fatto il confratello transalpino. Il fenomeno troppo noto perch vi si debba indugiare; basti ricordare come in buona sostanza il processo amministrativo italiano oggi si risolva con la concessione o il diniego della sospensiva (48). Da un lato ci pu essere ricondotto a quella funzione di supplenza cui ogni tipo di giurisdizione oggi chiamata da un eccesso di domanda di giustizia. Se questo induce a certo non confortanti considerazioni, ci consente per di rilevare come nel momento cautelare il giudice amministrativo diventi fisiologicamente giudice del rapporto e quindi di un bene della vita da riconoscere o da negare. Nella fase di merito, infatti, tradizionalmente, la valutazione dell'interesse sostanziale tutelato ha sempre condizionato solo l'ammissibilit del giudizio; nella fase cautelare, invece, dovendo il giudice conoscere della gravit e irreparabilit del pregiudizio, la valutazione dell'inte- I (47) F. PIGA, 150 anni del Consiglio di Stato, in Atti del Convegno celebra f: tivo :del 15()<> anniversario della istituzione del Consiglio di Stato, Milano, 1983, 391. (48) M. NIGRO, in Atti Parlamentari Audizioni cit., seduta 16 ottobre 1984. -~ ~ PARTE II, QUESTIONI 29 resse sostanziale condi.Ziona anche il merito della decisione: decisione che regola, dunque, sia pure interinalment(;l, il rapporto (49). A differenza di quanto accade in altri tipi di processo, dunque, in quello amministrativo la fase cautelare involge una pronuncia ontologicamente diversa da quella di merito, di cui non mera anticipazione. L'evoluzione della giurisprudenza amministrativa in tema di sospensiva (e in sede di giurisdizione generale di legittimit) nell'ultimo decennio troppo nota perch vi si debba indugiare: stata, infatti, affermata e sistematizzata la sospendibilit di una serie di atti amministrativi (quali dinieghi di ammissione, atti intermedi di procedimenti, atti negativi di controllo, ecc.) esclusi dalla sospendibilit secondo le teorie classiche perch atti negativi. Oltretutto ,il giudice l;\mministrativo ha utilizzato con estrema duttibilit lo strumento cautelare piegandolo, per esempio, a fini istruttori o mirandolo meglio al fine attraverso l'introduzione di elementi accessori come il termine o la condizione. Si cos giunti a soddisfare, in sede di sospensiva, non solo interessi oppositi'\"i , ma anche interessi pretensivi (quanto meno quelli a soddisfazione preregolata ) (50), restando quindi esclusi, come posizioni conoscibili, soltanto quegli interessi pretensivi per la cui soddisfazione l'Amministrazione conservi margini di discrezionalit in ordine all'an, al quomodo ed al quando. Certo, per tale via, il giudice amministrativo sconfina non poco da quel mero effetto anticipatorio della pronuncia di merito che dovrebbe avere la decisione cautelare alla luce dell'insegnamento chiovendiano secondo cui il tempo necessario ad avere ragione nel processo non deve tornare a danno di chi ha ragione (51). In qualche modo il giudice ammi nistrativo rimedia con quelle prescrizioni ordinatorie o ad effetto conformativo (52) che costituiscono idoneo ponte fra le attuali conquiste dell'evoluzione giurisprudenziale e le proposte norme di riforma del processo che, sintomaticamente, prevedono una statuizione del giudice pienamente satisfattiva deJI'interesse del ricorrente ad eccezione dei casi in (49) E. FOLLIERI, Giudizio cautelare amministrativo e interessi tutelati, Milano, 1981, 46 ss. (50) E. FOLLIERI, op. loc. cit. . (51) G. CHIOVENDA, Nota a Cass. Roma, 7 marzo 1921, in Giur. civ. comm. 1921, 362 ss. (52) Fra le pi tipiche decisioni in tal senso vedasi T A.R. Toscana 21 giugno 1978 n. 344, in I T.A.R. 1978, I, 349, che recita, in parte qua: L'accoglimento del ricorso giurisdizionale per vizi di carattere sostanziale non comporta sol tanto l'annullamento dell'atto impugnato, ma altresl l'accertamento della situa iione giuridica fatta valere dinanzi al giudice amministrativo, ossia in un certo modo la situazione giuridica controversa; pertanto, allorch l'annullamento dell'atto non sia pienamente satisfattorio della pretesa di ulteriori provvedimenti dell'amministrazione, quest'ultima soggiace, nella rinnovazione dell'atto annui lato, al vincolo. derivante dal giudicato, di non pregiudicare l'interesse del ricorrente, nei limiti in cui dalla decisione sia stato riconosciuto giuridicamente protetto. JO RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO cui alla p.a. siano attribuiti poteri discrezionali in ordine alle modalit ed al tempo dell'adozione dell'atto o del comportamento (53) .. Il Consiglio di Stato d'altronde, ormai investito di una funzione moderatrice di un contenzioso di massa, ha in un certo senso avallato le tendenze espansive dei T.A.R. in materia di giudizio cautelare. Creando pretoriamente l'appello sulle sospensive esso si posto, infatti, in grado di filtrare l'operato del giudice di primo grado essenzialmente attraverso una valutazione dei profili giuridici della controversia (in genere la decisione sull'appello anticipa la decisione di merito in quanto incentrata sul fumus boni iuris). Per contro, il Consiglio di Stato, attraverso fa decisione della istanza di sospensione della sentenza di primo grado, interviene direttamente ed interinalmente a conformare l'assetto di interessi su cui dovr da ultimo operare il giudicato, basandosi sul periculum in mora e senza che la pronuncia cautelare preluda ad una decisione definitiva dello stesso segno. Il che, a ben vedere, anche conseguenza della prassi ormai invalsa di non motivare i provvedimenti cautelari. Al fenomeno sopra accennato si accompagna una nettissima tendenza all'ampliamento delle materie attribuite al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva. La legge istitutiva dei T.A.R. segn l'avvio, con l'attribuzione a detta competenza de1la materia delle concessioni, cos intaccando per la prima volta un criterio di ripartizione non pi basato sulla contrapposizione (o, nella specie, sulla possibile confusione) fra diritto e interesse iegittimo ma su una distinzione di blocchi di materie (54). Sulla stessa via sembra d'altronde essersi posta la Corte di Cassazione (55), in una linea di tendenza che sembra destinata a pri vare del suo principale significato quella distinzione di situazioni sogget tive che tradizionalmente segna il discrimine fra le due giurisdizioni (56) 4. PROSPETTIVE DI EVOLUZIONE DEL PROCESSO AMMINISTRATIVO. IL NUOVO RUOLO DELL'AVVOCATURA DELLO STATO. Il tendenziale aumento dei casi di giurisdizione esclusiva (confermato dalle leggi 28 gennaio 1977, n. 10, 20 marzo 1980, n. 75, e 24 marzo 1981, (53) Art. 1-3 n. 2 del disegno di legge delega n. 788 presentato dai deputati Martinazzoli ed altri il 9 luglio 1987 intitolato Delega al Governo per l'emanazione di norme sul processo amministrativo dinanzi ai Tribunali Amministrativi Regionali, al Consiglio di Stato ed al Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, nonch sul ricorso straordinario al Presidente della Repubblica e sui ricorsi amministrativi . Il relativo testo riproduce quello approvato in sede referente dalla I Commissione nella IX legislatura (A.C. 1353-1803-A). (54) F. BENVENUTI, Atti parlamentari cit., seduta del 24 ottobre 1984. (55) M. NIGRO, Atti parlamentari cit., seduta del 16 ottobre 1984. (56) A. NoccELLI, Principio di partecipazione e funzione del giudice amministrativo, in Studi per il centocinquantenario cit., Ili, 1671-1672. 31 PARTE Il, QUESTIONI n. 145) (57) riceve una corposa conferma dal testo dell'ultimo disegno di legge-delega che prevede una estensione della giurisdizione esclusiva alle materie _connesse e conseguenti, all'espropriazione e all'occupazione di urgenza e alle prestazioni dei pubblici servizi di sanit, istruzione e assistenza pubbliche (58). Altra conferma viene dal disegno di legge sul procedimento, che riserva alla giurisdizione esclusiva le controversie in materia di accordi (59). Ove si ponga mente al fatto che normalmente la giurisdizione per materie una giurisdizione piena (60), sempra potersi concludere che in via tendenziale attraverso l'evoluzione della giurisprudenza ed in via conclusiva attraverso le riforme legislative in itinere gran parte delle situazioni soggettive sostanziali finora qualificate come interessi legittimi avviata a trovare nel processo amministrativo quella soluzione pienamente satisfattiva che il tradizionale giudizio rigorosamente cassatorio non assicurava se non in alcuni casi di degradazione o di affievolimento. N a tale tipo di conclusione potrebbe opporsi il dettato della Costituzione in materia di situazioni soggettive e di riparto di giurisdizioni. A parte l'ovvia considerazione che ogni problema, anche formale, risulterebbe superato con l'ampliamento dell'area della giurisdizione esclusiva la cui forza espansiva non sembra limitata in modo categorico dal costituente) (61), giova osservare come il compito del legislatore costituzionale sia quello di porre delle norme di principio e non quello di scrivere un dizionario giuridico: i termini ed i concetti usati nella Costituzione del '47 rispecchiano i dati semantici che la cultura del tempo forniva (62); riflettono, quindi, ovviamente un diritto vivente che era, in tema di interesse legittimo e di processo amministrativo, tutto una intima anche se elegante contraddizione. Sembra sussistere dunque per l'interprete un largo margine di manovra anche in materia di ridefinizione dei concetti di di:ritto e di interesse. In realt, in materia di tutela giurisdizionale e di riparto delle giurisdizioni, la voluntas legis del costituente mir soprattutto (se non soltanto) ad assicurare il massimo di garanzia della giurisdizione per ogni (57) M. NIGRO, Giustizia Amministrativa, Bolgna, 1983, 103. (58) Artt. 1-3 n. 3 del Disegno di legge citato a nota 53. (59) Art. 12 del Disegno di legge delega presentato dal Presidente del Con siglio dei Ministri il 19 novembre 1987 (Camera dei Deputati n. 1913), intitolato Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ad documenti ammimstrativi . Oggi legge 241/90. (60) F. MERUSI, Atti parlamentari cir., seduta del 23 ottobre 1984. (61) F. LONGO, Proposte per una riforma del supremo organo regolatore del riparto delle giurisdizioni e delle questioni di attribuzioni giurisdizionali, in Studi per il centocinquantenario del Consiglio di Stato, Roma, 1981, III, 1350, nota 22. (62) A. ROMANO, Il giudice amministrativo di fronte alla tutela degli interessi c.d.; diffusi, Foro it., 1979, V, 8. flllllllltll1lllllllJllllllllllllllllllJllllll1 J2 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO possibile situazione giuridica soggettiva rilevante (diritti e interessi legit Itimi fu l'endiadi ritenuta esaustiva) e nei confronti di tutti gli atti della p.a. con esclusione di tutte quelle eccezioni (per categorie di atti e per mezzi di impugnazioni) di cui il precedente regime aveva offerto J rioco florilegio (63). o Il quadro della giustizia amministrativa che va cos delineandosi in prospettiva prevede dunque una piena tutela delle situazioni sostan ziali, siano esse qualificate come diritti soggettivi o come interessi legittimi, con riparto di competenza giurisdizionale fra il giudice ordinario I e un giudice amministrativo da esso diverso solo per specializzazione e ~ fornito di potere istruttori, cautelari e decisori atti a garantire il conseguimento del bene della vita ed operante, quanto meno tendenzialmente, in sede di giurisdizione esclusiva (64). Il sistema italiano sembra dunque avviato verso una soluzione di tipo tedesco, con una giustizia amministrativa omologa a quella civile Ie da questa distinta unicamente per diversit di . materia giudicabile e non per disomogeneit di poteri, o di situazioni tutelate, o di recluta I mento dei magistrati o di particolari connessioni con l'amministrazione. In tale mutato contesto la partecipazione dell'avvocato dello Stato al giudizio amministrativo subisce una profonda trasformazione, in I quanto il soggetto assistito si presenta non pi come potere rive I & stito dal privilegio della funzione, ma come parte equiordinata, quanto meno in via tendenziale, a quella privata. Tale linea di tendenza ha ricevuto d'altronde anche il crisma nor mativo dell'art. 10, terzo comma, della legge 3 aprile 1979, n. 103 che ha equiparato nel regime delle notifiche il processo amministrativo al pro I I ili cesso civile. L'avvocato dello Stato assolve dunque oggi nel processo amministra tivo ad un compito squisitamente professionale, che passa in prima linea rispetto alla pubblica funzione della quale continua pur sempre ad essere investito. (63) Sembra opportuno riportare la dichiarazione formulata in occasione della discussione dell'art. 103 del Presidente Ruini: Non occorre che ricordi da quali criteri era stata dettata la disposizione. Vi stata, durante il fascismo, l'abitudine di privare del ricorso giurisdizionale molte categorie di atti della ili ' autorit amministrativa lesivi degli interessi e dei diritti dei privati. Ad ogni pi sospinto veniva una legge e pi spesso un decreto-legge fascista che diceva: per questi atti non ammesso alcun ricorso n davanti ai tribunali n davanti al Consiglio di Stato. Ci ha preoccupato la Commissione ed abbiamo di conseguenza stabilito che non si pu togliere ai cittadini, per segmento di materie e di atti, la garanZJia del ricorso ~urisdizionale. Nessun dubbio che fin qui tutti noi dell'Assemblea siamo d'accordo (M. RUINI, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell'Assemblea Costituente, vol. V, Camera dei Deputati p. 4194. (64) Cfr. G. BERTI, Momenti della trasformazione della giustizia ammini strativa, Riv. Trim. dir. pubbl., 1972, 1861. PARTE Il, QUESTIONI H La dignit, di sedia, che tuttora si riconosce al difensore dello Stato, non dunque pi il simbolo di un privilegio dell'Esecutivo, privilegio ormai volto al tramonto, ma soltanto la testimonianza di una tradizione lontana, fortna antica capace di recepire contenuti moderni in quel continuo mescolarsi di vecchio e di nuovo che caratteristico di ogni civilt giuridica. I. F. CARAMAZZA M.L. SPINA RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO GIACOMO ARENA NOTE A MARGINE DEL PROBLEMA DELL'ESECUZIONE DELLE PRONUNCE DEL GIUDICE AMMINISTRATIVO (*) 1. Desidero innanzitutto ringraziare la Societ Italiana degli Avvocati Amministrativisti per il cortese invito a intervenire in questo Convegno dedicato a un argomento centrale della giustizia amministrativa che ha suscitato e suscita ricorrenti vivaci interventi della giurisprudenza e della dottrina h'11 segno del riconoscimento dell'esigenza di una garanzia immediata e totale dell'individuo nei confronti delle pubbliche amministrazioni. Il tentativo si sviluppato con una coerenza che lascia tuttavia sorpresi e comporta l'inadeguatezza di ogni giudizio positivo su un ceto professionale che ha saputo adeguare il suo ruolo alle profonde modifiche intervenute nelle relazioni tra amministratori e amministrati. Da pi parti, per, si chiede se al giudice amministrativo rimangano ancora margini di intervento in assenza di incisive riforme. L'mterrogativo, polarizzato sul tema del Convegno, rende necessaria l'indicazione delle coordinate lungo cui si sviluppato il discorso continuo della giurisprudenza. Rinviando alle penetranti osservazioni del professor Nigro nella lezione tenuta il 18 maggio 1983 nella Facolt di giurisprudenza della Universit La Sapienza (1) mi limito a ricordare che l'amministrazione liberale presentava un'organizzazione semplice, una struttura accentrata e unitaria, un carattere prevalentemente autoritativo, una nota marcata di separatezza rispetto alle altre strutture e istituzioni sociali, un rego lamento astratto e formalizzato delle sue relazioni con gli amministrati. L'attivit amministrativa esecuzione e sviluppo della legge e l'intervento dei pubblici poteri si concreta normalmente con l'adozione di atti unilaterali dotati di esecutoriet. (*) Relazione del Convegno su Il principio di esecutivit degli atti e delle decisioni amministrative -tenuto a Rom.a 1'11 novembre 1988 presso l'Avvocatura generale dello Stato e organizzato dalla Societ Italiana degli Avvocati Amministrativisti che si pubblica col consenso della Rivista Amministrativa della Repubblica italiana nella quale gi apparsa (fascicolo n. 9 del settembre 1989). (1) Che ora si legge nel Foro Italiano (1983, V, 243 ss.) col titolo: 1J, ancora attuale una giustizia amministrativa? Sulle trasformazioni e sulle insufficienze della giustizia amministrativa v. F. G. ScocA, Modello tradizionale e trasforma zioni del processo amministrativo dopo il primo decennio di attivit dei Tribunali Amministrativi Regionali, in D.P.A. 1984, 253 ss. .. .......::: .:..".f:.:-:-:-- ... - PARTE II, QUESTIONI La giustizia amministrativa ha una funzione di garanzia obiettiva e il giudice amministrativo un organo.della classe dirigente che controlla se stessa. Il processo, un processo di parti, s, in cui una parte meno parte dell'altra (2) e in cui il giudice il padre spirituale di quella (3) con il compito di ripristinare la legalit annullando gli atti illegittimi dopo... l'affare ritorna nelle mani dell'amministrazione, sola competente a curare gli interessi pubblici (4). Un processo di tipo impugnatorio si attaglia perfettamente alla funzione primaria di impedire la lesione delle sfere dei privati destinatari di provvedimenti amministrativi. Lo scenario oggi completamente mutato. L'amministrazione un complesso di organizzazioni e un complesso di attivit diretti a prestare effettivamente alla societ le molteplici utilit di cui ha bisogno. Ha perso gran parte del suo carattere esecutivo, opera con moduli di derivazione privatistica, definisce i suoi obiettivi mediante piani e programmi, si assegna una funzione prevalente di assistenza e integrazione sociale. Al cittadino non pi sufficiente una tutela in negativo -qual quella rappresentata dal giudizio di annullamento e, in sede cautelare, dalla sospensione dell'esecu~ione dei provvedimenti impugnati; ha bisogno di strumenti giuridici che garantiscano l'effettivo e tempestivo conseguimento delle utilit sostanziali che la legge gli riconosce. Dunque di provvedimenti cautelari e di decisioni in positivo con un superamento di quell'ideologia e sistema della separazione che rappresenta un serio ostacolo all'intervento del giudice nelle aree in cui operano le pubbliche amministrazioni. Ci ha comportato un mutamento radicale di concezione e df impiego del proc!'!sso amministrativo. Sulla crisi del modello si fa strada sempre pi insistentemente la ricostruzione del giudizio amministrativo come esteso al rapporto; correlativamente si auspica una sempre maggiore estensione al giudice am ~. ministrativo dei poteri propri del giudice civile. Il processo si svolge ormai fra parti eguali e il giudice ha preso definitivamente le distanze dall'amministrazione: dunque poteri sempre pi incisivi e, nelle prospettive estreme, riverifica dell'attualit del riparto fra giurisdizioni (5). (2) L. PICCARDI, Il problema della difesa dello Stato in giudizio e la soluzione italiana, in R.D.P., 1931, 595. (3) E. CANNADA BARTOLI, in Atti Parlamentari Camera, I Commissione Permanente, Audizioni sullo stato della giustizia amministrativa, seduta del 30 ottobre 1984. (4) M. NIGRO, op. cit., 252. (5) M. S. GIANNINI, Problemi attuali della giustizia amministrativa (rela zione introduttiva al Convegno L'effettivit della tutela giurisdizionale tra la RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 2. Ma le riforme tardano e al giudice toccato il compito di rendere giustizia con gli strumenti di un processo costruito in funzione di garanzia di interessi oppositivi. La situazione si aggrava per la rilevata frequenza con cui le amministrazioni evit~o di portare ad effetto la sentenza fino al formarsi della cosa giudicata, fenomeno questo che ha orientato la pi recente giurisprudenza a battere nuove strade per la concretizzazione delle regole definite in decisioni non ancora passate in giudicato. Un punto di riferimento per chi debba affrontare il problema costituito dalle note pronunce dell'Adunanza Plenaria del 23 marzo 1979, n. 12 (6) del 1 aprile 1980, n. 10 (7) che hanno con sicurezza delineato le aree dell'esecutivit e dell'efficacia del giudicato. Nella prospettiva del Consiglio di Stato l'esecutivit si esplica sul piano dell'immediata produzione degli effetti che dalle pronunce direttamente scaturiscono e si rivela inidonea a realizzare in concreto le pretese del ricorrente tutte le volte in cui sono necessari ulteriori interventi satisfattori dell'amministrazione poich questa se ha facolt di uniformarsi spontaneamente alle pronunce esecutive non pu esservi costretta a mezzo I dell'azione di ottemperanza prima che si sia formato il giudicato. Di diverso avviso si dichiarava il professor Sandulli nel noto saggio t tematicamente dedicato al problema dell'esecuzione delle pronunce del giudice amministrativo (8). I ' Secondo l'Autore esiste un obbligo dell'amministrazione di portare immediatamente ad effetto le pronunce esecutive contenenti comandi tassativi e puntuali. Tale obbligo pu contare (anche prima del passaggio della sentenza in cosa giudicata) sulla responsabilit patrimoniale dell'amministrazione e sulla responsabilit penale, patrimoniale e contabile del funzionario nonch, nelle ipotesi di condanna al pagamento di s<;>mme, sui rimedi previsti dalla procedura civile (9). Il professor Sandulli metteva a fuoco con estrema precisione i limiti di intervento del giudice amministrativo e, pur lodandone l'impegno per il recupero di aree crescenti di tutela effettiva, manifestava la sua opposizione a interventi che non fossero assistiti da adeguati supporti teorici (10). pluralit delle giurisdizioni e la disciplina della finanza pubblica tenuto a Napoli e Salerno nei giorni 11-13 novembre 1983) in D.P.A., 1984, 167 ss.; M. NIGRO, op. cit., loco ult. cit.; G. SILVESTRI, Giudici ordinari, giudici speciali e unit della giurisdizione nella Costituzione italiana, in Scritti in onore di Massimo Severo Giannini, Milano 1988, III, 709 ss. (6) In Cons. Stato, 1979, I, 321 ss. (7) In Cons. Stato, 1980, I, 441 ss. (8) Relazione al Convegno torinese celebrativo del CL anniversario del Consiglio di Stato, ora in Dir. Soc., 1982, 19 ss. (9) A. M. SANDULLI, op. cit., 23 ss., spec. 29. (10) A. M. SANDULLI, op. cit., 20. PARTE Il, QUESTIONI 3. L'occasione per la ricerca di nuove soluzioni venne offerta al Consiglio di Stato da una assai nota vicenda che ritengo di dover ricordare nei suoi tratti essenziali convinto che, in tal modo, si possa saggiare il fondamento, la portata e i limiti dei principi poi affermati. Dopo la legittima esecuzione di un decreto di occupazione di urgenza, il ricorrente, in sede di gravame, ottiene la sospensione del provvedimento impugnato e propone quindi un'azione di ottemperanza ai sensi dell'art. 27, n. 4 del T,.U. sul Consiglio di Stato. La IV Sezione del Consiglio di Stato, con ordinanza del 27 ottobre 1981, n. 799, rimette gli atti all'Adunanza Plenaria perch venga deciso: a) se possa esperirsi l'azione di ottemperanza prevista dall'art. 27 del T.U. sul Consiglio di Stato per l'esecuzione coattiva dell'ordinanza cautelare di sospensione di un provvedimento amministrativo; b) se le ordinanze di sospensiva dei giudici amministrativi abbiano efficacia ex nunc ovvero ex tunc (11). L'Adunanza Plenaria (12), esaminati accuratamente i termini del problema dell'esecuzione delle pronunce del giudice amministrativo, riafferma l'impossibilit di esperire l'azione di ottemperanza prima della formazione del giudicato ma costruisce nel contempo, con argomenti tratti dal regime dei procedimenti cautelari nel processo civile, il potere di adire nuovamente il giudice della cautela per ottenere l'emanazione dei provvedimenti ritenuti idonei (e consentiti dal sistema) per assicurare l'esecuzione delle sospensive. Significativo nella pronuncia il silenzio serbato sull'efficacia da assegnare alle ordinanze cautelari, silenzio mantenuto anche nel successivo intervento sulla stessa vicenda in cui si anzi espressamente accantonato il problema ritenendo sufficiente oservare: dalla sospensione consegue direttamente l'inidoneit degli atti sospesi a produrre i propri effetti determinandosi in tal modo una situazione giuridica in tutto identica (salvo la sua transitoriet) a quella che si avrebbe se l'atto fosse annullato; pertanto, nel caso di specie, ben poteva il giudice amministrativo ordinare all'amministrazione la restituzione di quanto detenuto sine titulo (13). Una tale conolusione appariva in linea con la tendenza a !riconoscere al giudice amministrativo strumenti ampiamente eccedenti la pura e semplice paralisi dell'atto impugnato tutte le volte in cui gli effetti caducatori della sosp~sione non sono idonei a realizzare, in via di cautela, l'interesse del ricorrente (14). (11) In Cons. Stato, 1981, I, 1019 ss. . (12) 27 aprile 1982, n. 6, in D.P.A., 1983, 97 ss., con nota di R. VILLATA, Esecuzione delle ordinanze di sospensione e giudizio di ottemperanza, e in Foro lt., 1982, III, 229 ss., con nota di G. SAPORITO, Ottemperanza e ordinanze cautelari amministrative. (13) Cons. Stato, Adunanza Plenaria, 1 giugno 1983, n. 14, in Cons. Stato, 1983, I, 623 ss., spec. 624, e in Foro lt., 1984, III, ss. con nota di G. SAPORITO. (14) Cons. Stato, Adunanza Plenaria ult. cit., in Cons. Stato cit., 625. -- JB RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 4. Le pronunce ricordate, a mio avviso, risentono della mancata puntuale identificazione dell'ambito di incidenza degli effetti delle sospensive. In una battuta: se davvero si ritiene che l'ordinanza cautelare abbia una integrale efficacia ripristinatoria della situaziione preesistente allora si deve coerentemente concludere che, nell'ipotesi esaminata, il ricorrente aveva a sua disposizione il potere di adire il giudice ordinario con tutti i mezzi che gli sarebbero stati riconosciuti se il provvedimento non fosse mai venuto in essere (15). La conclusione ingenera il dubbio che la sospensione blocchi solo l'esecutoriet dell'atto, come orientano a ritenere sia l'origine della cautela che l'espressione legislativa che la definisce (16) che, pi in generale, l'inesistenza nel processo amministrativo di un potere cautelare innominato idoneo a coprire tutte le esigenze di effettiva tutela provvisoria. Delle due l'una: o la sospensiva ha un'integrale efficacia ripristinatoria e la situazione pregiudicata, nelle ipotesi analoghe a quella decisa, trova nel processo civile adeguati strumenti di garanzia, ovvero, come ritengo, Idetermina solo un blocco iell'attivit autorizzata dal provvedimento del tutto funzionale alla garanzia del tipo di interesse azionato dinanzi al giudice amministrativo nella fase cautelare e, di poi, nella fase del merito. Per altro verso i1l dubbio prof.nato sembra trovare valida conferma nella incontestabile coincidenza, sul piano sostanziale, tra interesse ad I agire in via di cautela e posizione soggettiva legittimante la proposizione i i: della domanda giudiziale di merito (ancorch vi si aggiunga, sul piano processuale, l'ulteriore requisito del periculum in mora che per correlato alla pendenza dello stesso giudizio di merito ed anzi trae da questo esclusiva giustificazione). Inoltre, il potere esercitabile dai giudici della cautela (anche nella fase di attuazione della cautela concessa) deve essere di natura identica a quella del potere spettante al giudice del merito poich diversamente non si spiegherebbe n l'automatico esaurirsi deH'efficacia del provvedimento cautelare con la sentenza conclusiva del giudizio, n, in senso opposto, l'inidoneit della pronuncia cautelare ad esaurire il potere giurisdizionale di cui la parte, proponendo ad un tempo ricorso di merito e istanza di sospensiva, postula per intero l'esercizio (17). 5. Ad nanaloghe riflessioni si presta la pronuncia della I Sezione del T.A.R. Lazio, del 27 febbraio 1986, n. 252 (18) che, pur riaffermando il principio secondo cui il giudizio di ottemperanza presuppone la formazione (15) G. PALEOLOGO, Il giudizio cautelare amministrativo, Padova, 1971, spec. 250 e 254. (16) Art. 39 R.D. 26 giugno 1924 n. 1054. (17) Cons. Stato, Adunanza Plenaria, ordinanza 5 settembre 1984, n. 17, in Foro lt., III, 51 ss., (con nota di G. SAPORITO, Provvedimenti cautelari: limiti di esigibilit. (18) In Foro amm., 1986, 2257 s. I 19 PARIB Il, QUESTIONI del giudicato, ha ritenuto possibile, per rendere effettiva la tutela definita in una pronuncia di primo grado, il ricorso allo stesso giudice che l'ha emessa. Secondo il T.A.R., il giudice amministrativo ha il potere di annullare l'atto illegittimo, gli spetta, pertanto, il potere di disporre che l'ammi nistrazione ponga in essere quegli atti adempitivi che portano a confor mare la realt fenomenica alla statuizione di annullamento e a restaurare le situazioni soggettive automaticamente ripristinate in forza della sen tenza di primo grado (19). A ben vedere, nel caso deciso, i ricorrenti avevano ottenuto l'annulla mento di una delibera estintiva di diritti soggettivi innestati in un rap porto di pubblico impiego con la conseguenza che potevano azionare tutti i rimedi propri della giurisdizione esclusiva (nell'ampiezza assunta a se guito degli interventi della Corte Costituzionale) per ottenere una tutela effettiva non tanto della decisione del primo giudice quanto delle posizioni giuridiche soggettive di vantaggio che taile pronuncia aveva fatto rivivere. Addirittura gi forse la prima decisione, sulla base di articolate do mande, avrebbe potuto disporre l'annullamento deMa delibera impugnata, accertare la ricostituzione in capo ai ricorrenti delle situazioni giuridiche preesistenti, condannare l'amministrazione all'adempimento dei propri ob blighi all'interno del rapporto di pubblico impiego. Probabilmente ci non avvenuto perch esistevano tuttavia larghi margini di incertezza in relazione alle domande proposte, agli accerta menti eseguiti, alla sussistenza di tutti i presupposti necessari per l'inte grale attribuzione dei benefici rivendicati. I casi esaminati, al! di l dell'esattezza della ricostruzione proposta, segnalano le difficolt del giudice amministrativo per la estrema povert degli strumenti che gli sono stati consegnati. Ha l'ambizioso progetto di fornire di una effettiva e celere tutela non pi gli interessi strumentali di tipo oppositivo che abituato a conoscere ma gli interessi sostanziali finali delle parti private. Per questa opera zione ha per bisogno di sentenze di accertamento e di condanna, di una serie di provvedimenti cautelari, di un ben strutturato processo esecutivo, di un'articolata istruttoria. Un'attrezzatura che solo il legislatore pu dargli (20). (19) T.A.R. Lazio, I, 27 gennaio 1986, n. 252, loco cit.; nello stesso senso, T.A.R. Lazio, I, 20 gennaio 1987, n. 146, in T.A.R., 1987, 423; T.A.R. Lazio, I, 29 agosto 1988, n. 1289, ivi, 1988, 2973 e v. gi T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 27 aprile 1984 n. 126, ivi, 2108; sull'orientamento ricordato, cfr. M1cozz1, Intorno ad alcune recenti decisioni in tema di esecutivit della sentenza amministrativa, in D.P.A. 1985, 157 s. (20) Cfr. NIGRO. E. ancora attuale una giustizia amministrativa? cit., spec. 25 ss. Significativa al riguardo la proposta di legge sulla Delega al Governo per l'emanazione di norme sul processo amministrativo dinanzi ai Tribunali 40 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Giurisprudenza e dottrina hanno costruito un modello di processo significativamente diverso da quello originario devono ora darsi carico dell'esigenza di definire tutti gli ambiti in cui permane la necessit di forme differenziate di tutela. Le tensioni interpretative hanno superato il limite di resistenza del modello e le posizioni estreme della dottrina, a volte eccessivamente condizionate da un giudizio pesantemente negativo sull'operato della pubblica amministrazione, rischiano di divenire fonte di non pochi equivoci. Insistere sul processo amministrativo come processo tra parti eguali pu risultare fuorviante, ove non si tenga conto, ai fini della giustificazione di forme di tutela differenziate, della sostanza deg1i interessi in gioco nena loro diversa specificit. Spero di non essere frainteso. Non intendo rivendicare posizioni di privilegio per le amministrazioni pubbliche con riguardo alla disciplina di istituti di diritto sostanziale e di diritto processuale, desidero solo sottolineare l'esigenza di mantenere sempre all'attivit interpretativa un ampio respiro conservando un costante collegamento tra diritto sostanziale e diritto processuale nella prospettiva definita dal 2 comma dell'art. 3 della Costituzione. In un intervento alla tavola rotonda tenuta a Roma nella Facolt di giurisprudenza dell'Universit La Sapienza il 28 aprile 1984 il professor Fazzalari (21) ammoniva ancorch non dubiti che la posizione del cittadino di fronte alla pubblica amministrazione meriti adeguato rispetto, non si pu dimenticare che perno dell'attivit amministrativa l',interesse generale, e che esso, per, pu contemperarsi in una certa misura, con l'interesse del singolo, ma non soccombere rispetto ad esso. Mentre qualsiasi norma che disciplini rigorosamente l'attivit dell'amministrazione una conquista per tutti, non sempre la tutela di ciascuno pu essere diretta ad autonoma posizione giuridica sostanziale, come tale spendibile e tutelabile. I processualisti devono ripensare la tutela giurisdizionale in corrispondenza della posizione sostanziale da tutelare. Non credo che il processo amministrativo debba e possa mai diventare un omologo del processo civile, nel senso che, come tale processo, il giudice amministrativo si surroghi sempre e comunque alla pubblica amministrazione nella riparazione dell'interesse . Amministrativi Regionali, al Consiglio di Stato ed al Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilana, nonch sul ricorso straordinario al Presidente della Repubblica e sui ricorsi amministrativi presentata il 9 luglio 1987 (A.C. X Legislatura n. 788). (21) Il futuro del processo amministrativo visto da un processualcivilista, in I Tribunali Amministrativi Regionali dieci anni dopo, Foro Amm., 1985, Sez. Il, 342 ss. 41 PARTE II, QUESTIONI Una posizione questa che trova sensibili echi nella pi recente giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Cassazione (22) che ha ad un tempo esaltato la tutela di valori fondamentali dell'individuo trasformando posizioni di interesse in posizioni di diritto soggettivo non modificabili dall'attivit amministrativa senza mancare in altre ipotesi (23) di ribadire che sull'interesse del privato alla restituzione del bene trasformato ille -citamente dall'amministrazione prevale l'interesse della collettivit allo sfruttamento dell'opera pubblica realizzata anche in assenza di un processo di qualificazione giuridica di quest'ultima. (22) SS.UU. 9 marzo 1979 n. 1463 in Giust. civ. 1979, I, 764 ss. (con nota di A. POSTIGLIONE, Localizzazione di centrali nucleari e tutela della salute e dell'ambiente); SS.UU. 6 ottobre 1979, n. 5172, in Giust. civ. 1980, I, 357 ss. (con nota di F. PIGA, Nuovi criteri di discriminazione delle giurisdizioni amministrativa e ordinaria: siamo ad una svolta?). (23) Cass. SS.UU. 1 giugno 1988 n. 3940, in Foro lt., 1988, I, 2262 ss. RASSEGNA DI LEGISLAZIONE QUESTIONI DI LEGITTIMIT COSTITUZIONALE I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI Codice di procedura penale del 1930 (art. 263, secondo comma [testo sostituito in forza dell'art. 22 della 1. 5 agosto 1988, n. 330], nella parte in cui non riconosce all'imputato il diritto di proporre appello contro l'ordinanza che rigetta l'istanza di revoca del mandato di cattura. Sentenza 29 dicembre 1989, n. 584, G. U. 3 gennaio 1990, n. 1. codice di procedura penale del 1988 (norme di attuazione del) art. 247, primo, secondo e terzo comma [testo approvato con d.l. 28 luglio 1989, n. 271], nella parte in cui non prevede che il pubblico ministero, in caso di dissenso, debba enunciarne le ragioni e nella parte in cui non prevede che il giudice, quando, a dibattimento concluso, ritiene ingiustificato il dissenso del pubblico ministero, possa applicare all'imputato la riduzione di pena contemplata dall'art. 442, secondo comma, del codice di procedura penale del 1988. Sentenza 8 febbraio 1990, n. 66, G. U. 14 febbraio 1990, n. 7. legge 16 febbraio 1913, n. 89, art. 139, n. 2, nella parte in cui prevede che il giudice penale inabiliti de jure , anzich sulla base di valutazioni discrezionali, il notaio che sia stato condannato, per alcuno dei reati indicati nell'art. 5 n. 3 della legge stessa, con sentenza non ancora passata _in cosa giudicata. Sentenza 2 febbraio 1990, n. 40, G. U. 7 febbraio 1990, n. 6. legge 16 febbraio 1913, n. 89, art. 142, ultimo comma, nella parte in cui prevede che destituito di diritto il notaio che ha riportato condanna per uno dei reati indicati nell'art. 5 n. 3 della legge stessa, anzich riservare ogni provvedimento al procedimento disciplinare camerale del Tribunale civile, come per le altre cause enunciate nello stesso art. 142. Sentenza 2 febbraio 1990, n. 40, G. U. 7 febbraio 1990, n. 6. legge 16 febbraio 1913, n. 89, art. 146, nella parte in cui non prevede che l'azione disciplinare rimanga sospesa fino al passaggio in giudicato della sentenza quando, per il fatto illecito, sia promosso processo penale. Sentenza 2 febbraio 1990, n. 40, G. U. 7 febbraio 1990, n. 6. legge 16 febbraio 1913, n. 89, art. 158, primo, secondo e terzo comma. Sentenza 2 febbraio 1990, n. 40, G. U. 7 febbraio 1990, n. 6. 16 44 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO legge 27 maggio 1959, n. 324, art. 1, terzo comma, lett. b), nella parte in cui non prevede la pignorabilit, sequestrabilit e cedibilit dell'indennit integrativa speciale istituita al primo comma dell'articolo, fino alla concorrenza di un quinto, per ogni credito vantato nei confronti del personale. Sentenza 9 marzo 1990, n. 115, G. U. 14 marzo 1990, n. 11. legge 22 novembre 1962, n. 1646, art. 6, sesto comma, limitatamente alle parole sia durato almeno due anni . Sentenza 16 marzo 1990, n. 123, G. U. 21 marzo 1990, n. 12. legge 9 gennaio 1963, n. 9, art. 1, secondo comma, nelle parti in cui non consente l'integrazione al minimo della pensione di riversibilit erogata dal Fondo speciale per i coltivatori diretti, mezzadri e coloni ai titolari di pensione diretta di vecchiaia a carico dello stesso Fondo, di pensione diretta di invalidit a carico della Gestione speciale per i commercianti e di pensione diretta a carico dello Stato, qualora, per effetto del cumulo, il complessivo trattamento risulti superiore al minimo. Sentenza 22 febbraio 1990, n. 69, G. U. 28 febbraio 1990, n. 9. legge 9 gennaio 1963, n. 9, art. 1, secondo comma, nella parte in cui esclude l'integrazione al minimo della pensione di reversibilit erogata dalla Gestione speciale coltivatori diretti ai titolari di pensione diretta di vecchiaia a carico della Gestione speciale commercianti, qualora, per effetto del cumulo il complessivo trattamento risulti superiore al minimo anzidetto. Sentenza 22 febbraio 1990, n. 70, G. U. 28 febbraio 1990, n. 9. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 9, primo comma, nella parte in cui non comprende fra i datori di lavoro soggetti all'assicurazione coloro che occupano persone, fra quelle indicate nell'art. 4, in attivit previste dall'art. 1 dello stesso d.P.R., anche se ttsercitate da altri. Sentenza 2 marzo 1990, n. 98, G. U. 7 marzo 1990, n. 10. legge 14 luglio 1967, n. 585, art. l, nella parte in cui non prevede, tra gli aventi diritto a percepire gli assegni familiari per i figli a carico, in alternativa, la madre lavoratrice o pensionata alle stesse condizioni e con gli stessi limiti previsti per il padre. Sentenza 9 marzo 1990, n. 116, G. U. 14 marzo 1990, n. 11. legge 6 agosto 1967, n. 699, art. 10, settimo comma, limitatamente alle parole e sia durato almeno due anni. Sentenza 16 marzo 1990, n. 123, G. U. 21 marzo 1990, n. 12. lgge 2 aprile 1968, n. 482, art. 5, nella parte in cui non considera, ai fini della legge stessa, invalidi civili anche gli affetti da minorazione psichica, i quali abbiano una capacit lavorativa che ne consente il proficuo impiego in mansioni compatibili. Sentenza 2 febbraio 1990, n. 50, G. U. 7 febbraio 1990, n. 6. PARTE II, RASSEGNA DI LEG~SLAZIONE 4J legge 2 aprile 1968 n. 482, art. 20, nella parte in cui in ordine agli accerta menti medici non prevede anche i minorati psichici, agli effetti della valutazione concreta di compatibilit dello stato del soggetto con le mansioni a lui affidate all'atto dell'assunzione o successivamente, da disporsi a cura del collegio sani tario ivi previsto ed integrato con .un componente specialista nelle discipline neurologiche o psichiatriche. Sentenza 2 febbraio 1990, n. 50, G. V. 7 febbraio 1990, n. 6. d.P.R. 27 marzo 1969, n. 128, art. 23, secondo comma, nella parte in cui non prevede nell'organico del servizio di virologia le posizioni funzionali di biologo coadiutore e collaboratore e di chimico coadiutore e collaboratore. Sentenza 26 gennaio 1990, n. 29, G. U. 31 gennaio 1990, n. 5. legge reg. Friuli-Venezia Giulia 24 luglio 1969, n. 17, art. 1, nella parte in cui autorizza l'uccellagione praticata con appostamenti fissi, e artt. 2 e 10. Sentenza 16 marzo 1990, n; 124, G. V. 21 marzo 1990, n. 12. legge 7 ottobre 1969, n. 742, art. 1, nella parte in cui non dispone che la sospensione ivi prevista si applichi anche al termine di trenta giorni, di cui all'art. 1137 del codice civile per l'impugnazione delle delibere dell'assemblea di condominio. Sentenza 2 febbraio 1990, n. 49, G. V. 7 febbraio 1990, n. 6. d.P.R. 30 maggio 1970, n. 797, art. 3, secondo comma, lett. a), nella parte in cui, ai fini dell'attribuzione degli assegni familiari, non prevede anche l'ipotesi dello stato di disoccupazione del padre senza indennit. Sentenza 2 febbraio 1990, n. 42, G V. 7 febbraio 1990, n. 6. legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 19 [come modificato dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10], nella parte in cui, pur dopo l'avvenuta espropriazione, non consente agli aventi diritto di agire in giudizio per la determinazione della indennit, finch manchi la relazione di stima prevista dagli artt. 15 e 16 della legge Sentenza 22 febbraio 1990, n. 67, G. V. 28 febbraio 1990, n. 9. d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 81, terzo comma, limitatamente alle parole a condizione che il matrimonio sia durato almeno due anni . Sentenza 16 marzo 1990, n. 123, G. V. 21 marzo 1990, n. 12. legge 31 maggio 1975, n. 191, art. 21, secondo comma, nella parte in cui non prevede che la chiamata alle armi di chi ha fruito del ritardo del servizio militare sia disposta non oltre il termine di un anno dalla data di cessazione del titolo al ritardo medesimo. Sentenza 2 febbraio 1990, n. 41, G. V. 7 febbraio 1990, n. 6. 46 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge prov. aut. di Bolzano 23 maggio 1977, n. 13, art. 8, secondo comma [modificato dalla legge 2 novembre 1988, n. 44], nella parte in cui, in caso di decesso dell'assegnatario originario, esclude dal diritto d succedere nel rap porto di locazione i figli di un figlio premorto del conduttore, i quali abbiano I continuato a convivere con quest'ultimo fino al momento della sua morte. I Sentenza 26 gennaio 1990, n. 28, G. U. 31 gennaio 1990, n. 5. :: legge 3 gennaio 1981, n. 6, art. 2, quinto comma. Sentenza 2 marzo 1990, n. 99, G U. 7 marzo 1990, n. 10. legge 3 gennaio 1981, n. 6, art. 2, settimo comma, nella parte in cui prevede che il supplemento della pensione spettante a coloro che dopo la maturazione del diritto a pensione continuano per cinque anni l'esercizio della professipne, pari, per ognuno di tali anni, alla met delle percentuali di cui al primo e al quinto (recte: quarto) comma, riferite alla media dei redditi professionali risultanti dalle dichiarazioni successive a quelle considerate per il calcolo del pensionamento , anzich alle percentuali intere. Sentenza 2 marzo 1990, n. 99, G. U. 7 marzo 1990, n. 10. legge 4 maggio 1983, n. 184, art. 44, quinto comma, nella parte in cui, limitatamente al disposto della lett. b) del primo cGmma, non consente al giudice < I competente di ridurre, quando sussistano validi motivi per la realizzazione della unit familiare, l'intervallo di et di diciotto anni. Sentenza 2 febbraio 1990, n. 44, G. U. 7 febbraio 1990, n. 6. legge reg. Veneto 16 aprile 1985, n. 33, art. 61, ultimo comma, nella parte in cui esclude l'obbligo dell'autorizzazione regionale di cui agli artt. 6, iett. d), e 16, primo comma, del d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, per gli accumuli temporanei di rifiuti tossici e nocivi presso il produttore o presso l'impianto di depurazione o trattamento. Sentenza 2 febbraio 1990, n. 43, G. U. 7 febbraio 1990, n. 6. legge 17 maggio 1985, n. 210, art. 23, nella parte in cui prevede che le controversie di lavoro relative al personale dipendente dell'ente siano 'devolute alla competenza del pretore del luogo ove ha sede l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato nel cui distretto si trova il giudice che sarebbe competente secondo le norme ordinarie >>, anzich del pretore competente secondo la disciplina generale delle controversie in materia di lavoro (art. 413 del codice di procedura civile). Sentenza 9 marzo 1990, n. 117, G. U. 14 marzo 1990, n. 11. legge 18 maggio 1989, n. 183, art. 15, quarto comma e, a decorrere dall'entrata in vigore del decreto legislativo 16 dicembre 1989, n. 418 (17 gennaio 1990) dell'art. 20, quarto comma, nella parte in cui non prevedono un congruo preav viso alla regione (o provincia autonoma) interessata all'adozione degli atti s0stitutivi ivi previsti. Sentenza 26 febbraio 1990 n. 85, G. U. 7 marzo 1990, n. 10. 47 PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE legge reg. Umbria riapprovata il 24 luglio 1989. Sentenza 16 marzo 1990, n. 122, G. U. 21 marzo 1990, n. 12. legge approvata dalla reg. Abruzzo il 7 giugno 1989 e riapprovata il 29 luglio 1989, nella parte in cui non prevede la gratuit della partecipazione alle sedute aventi ad oggetto i problemi dei lavoratori extracomunitari e delle loro famiglie, per tutti i componenti del Consiglio regionale per l'emigrazione e l'immi grazione. Sentenza 22 febbraio 1990, n. 68, G. U. 28 febbraio 1990, n. 9. [ B -AMMISSIBILITA DELLA RICHIESTA DI REFERENDUM ABROGATIVO codice civile, art. 842, primo e secondo comma. Sentenza 26 gennaio 199Q, n. 63, G. U. 7 febbraio 1990, n. 6. legge 30 aprile 1962, n. 283, art. 5, lett. h), seconda parte. Sentenza 2 febbraio 1990, n. 64, G. U. 7 febbraio 1990, n. 6. legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 35, primo comma, limitatamente alle parole dell'art. 18 e . Sentenza 2 febbraio 1990, n. 65, G. U. 7 febbraio 1990, n. 6. legge 27 dicembre 1977, n. 968, artt. 2, 3, secondo comma, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, secondo e terzo comma, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, secondo e quarto comma. 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, dal secondo al settimo comma, 30, 31, 32, 33, 34, 36 e 37. Sentenza 26 gennaio 1990, n. 63, G. U. 7 febbraio 1990, n. 6. II -QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE codice civile, art. 1936 (artt. 3 e 24 della Costituzione}. Sentenza 16 marzo 1990, n. 128, G. U. 21 marzo 1990, n. 12. codice di procedura civile, art. 545 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 22 dicembre 1989, n. 580, G. U. 3 gennaio 1990, n. 1. combinato disposto codice penale, art. 674, e d.P.R. 24 maggio 1983, n. 203, art. 2, n. 7 (artt. 32; primo comma, e 41, primo e secondo comma, della Costituzione). Sentenza 16 marzo 1990, n. 127, G. U. 21 marzo 1990, n. 12. 48 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 24 giugno 1923, n. 1395, art. 7, terzo comma (art. 33, quinto comma, della Costituzione). Sentenza 23 gennaio 1990, n. 26, G. U. 31 gennaio 1990, n. 5. legge 1 giugno 1939, n. 1089, artt. 1 e 2 (art. 9 della Costituzione). Sentenza 9 marzo 1990, n. 118, G. U. 14 marzo 1990, n. 11. legge 17 agosto 1942, n. 1150, artt. 7, nn. 2, 3 e 4, e 40 (art. 42, terzo comma. della Costituzione). Sentenza 22 dicembre 1989, n. 575, G. U. 3 gennaio 1990, n. 1. legge 21 marzo 1953, n. 161, art. 3, terzo comma (art. 24 della Costituzione). Sentenza 22 dicembre 1989, n. 578, G. U. 3 gennaio 1990, n. 1. legge 8 dicembre 1956, n. 1378, art. 3, secondo comma (art. 33, quinto comma della Costituzione). Sentenza 26 gennaio 1990, n. 29, G. U. 31 gennaio 1990, n. 5. d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 310, primo, secondo e terzo comma (art. 3 della C0stituzione). Sentenza 22 febbraio 1990, n. 73, G. U. 28 febbraio 1990, n. 9. legge 26 maggio 1965, n. 590, art. 8 (artt. 3 e 44 della Costituzione). Sentenza 26 gennaio 1990, n. 32, G. U. 31 gennaio 1990, n. 5. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 80, ultimo comma e 212 (artt. 38, secondo comma e 3, primo comma, della Costituzione. Sentenza 22 febbraio 1990, n. 71, G. U. 28 febbraio 1990, n. 9. legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 11 e legge 29 maggio 1982, n. 297, art. 4 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 26 febbraio 1990, n. 86, G. U. 7 marzo 1990, n. 10. legge 19 novembre 1968, n. 1187, art. 2, primo comma (art. 42, terzo cqmma, della Costituzione). Sentenza 22 dicembre 1989, n. 575, G. U. 3 gennaio 1990, n. 1. legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 7 (artt. 3 e 41 della Costituzione). Sentenza 29 dicembre 1989, n. 586, G. U. 3 gennaio 1990, n. 1. legge 20 maggio 1970, n. 300, artt. 19, 17 e 23 (artt. 3 e 39 della Costituzione). Sentenza 26 gennaio 1990, n. 30, G. U. 31 gennaio 1990, n. 5. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE legge 9 ottobre 1970, n. 740, art. 27, ultimo comma (art. 3 e 36 della Costituzione). Sentenza 22 dicembre 1989, n. 577, G. U. 3 gennaio 1990, n. 1. legge 1 dicembre 1970, n. 898, art. 4, dodicesimo comma [come novellato dall'art. 8 della legge 6 marzo 1987, n. 74] (art. 24 della Costituzione). Sentenza 22 dicembre 1989, n. 573, G. U. 3 gennaio 1990, n. 1. legge 14 agosto 1971, n 817, art. 7 (artt. 3 e 44 della Costituzione). Sentenza 26 gennaio 1990, n. 32, G. U. 31 gennaio 1990, n. 5. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 10 (artt. 2 e 38 della Costituzione). Sentenza 23 gennaio 1990, n. 11, G. U. 31 gennaio 1990, n. 5. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 12, quarto comma (art. :3 della Costituzione). Sentenza 21 febbraio 1990, n. 103, G. U. 7 marzo 1990, n. 10. d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 13, primo comma (artt. 3 e 97 della Costituzione). Sentenza 2 marzo 1990, n. 104, G. U. 7 marzo 1990, n. 10. d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 52, terzo comma (art .76 della Costituzione). Sentenza 2 gennaio 1990, n. 1, G. U. 10 gennaio 1990, n. 2. legge 11 luglio 1980, n. 312, art. 162 (artt. 3 e 97 della Costituzione). Sentenza 9 marzo 1990, n. 119, G. U. 14 marzo 1990, n. 11. legge 23 aprile 1981, n. 154, art. 2, quarto comma (artt. 3 e 51 della Costituzione). Sentenza 2 febbraio 1990, n. 53, G. U. 14 febbraio 1990, n. 7. combinato disposto legge 29 maggio 1982, n. 297, art. 4 e legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 11 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 26 febbraio 1990, n. 86, G. U. 7 marzo 1990, n. 10. d.l. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 10, settimo comma [nel testo sostituito dalla legge di conversione 25 marzo 1983, n. 79] (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). Sentenza 22 dicembre 1989, n. 576, G. U. 3 gennaio 1990, n. 1. legge 6 ottobre 1986, n. 656, art. 2, terzo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 2 febbraio 1990, n. 52, G. U. 14 febbraio 1990, n. 7. JO RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO legge 11 marzo 1988, n. 67, art. 21, sesto comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 22 febbraio 1990, n. 72, G. U. 28 febbraio 1990, n. 9. d.l. 21 marzo 1988, n. 86, art. 3, comma 2-bis [convertito in legge 20 mag gio 1988, n. 160] (art. 3 della Costituzione). Sentenza 22 febbraio 1990, n. 72, G. U. 28 febbraio 1990, n. 9. combinato disposto d.P.R. 24 maggio 1988, n. 203, art. 2, n. 7, e codice penale, art. 674 (artt. 32, primo comma e 41, primo e secondo comma, della Costituzione). Sentenza 16 marzo 1990, n. 127, G. U. 21 marzo 1990, n. 12. legge 29 dicembre 1988, n. 544, art. 6, primo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 2 marzo 1990, n. 101, G. U. 7 marzo 1990, n. 10. legge 18 maggio 1989, n. 183, artt. 1, quinto comma; 3, secondo comma; 4, primo comma, lett. a), b), c), d), e), nonch terzo comma, 9, ottavo comma, lett. a), e nono comma, lett. a), b), c), e commi successivi; 10; 12, comma quinto e seguenti; 13; 14, terzo comma; 15, secondo comma; 16 secondo comma; 17 e 18; 21, terzo comma; 22, primo e sesto comma; 24, primo comma; 25, quinto comma; 31; 32, primo e secondo comma; 35 (artt. 117, 118 e 125 della Costituzione e varie norme statuti reg. Friuli-Venezia Giulia, Veneto, prov. aut. di Trento, prov. aut. di Bolzano). Sentenza 26 febbraio 1990, n. 85, G. U. 7 marzo 1990, n. 10. legge reg. Piemonte riapprovata il 31 maggio 1989 (art. 117 della Costituzione). Sentenza 2 gennaio 1990, n. 2, G. U. 10 gennaio 1990, n. 2. legge reg. Valle d'Aosta riapprovata il 7 giugno 1989 (statuto spec. reg. Valle d'Aosta). Sentenza 2 febbraio 1990, n. 51, G. U. 14 febbraio 1990, n. 7. legge approvata dalla reg. Abruzzo il 7 giugno 1989 e riapprovata il 29 lu glio 1989, artt. 14, primo comma e 20 (art. 117 della Costituzione). Sentenza 22 febbraio 1990 n .68 G. U. 28 febbraio 1990 n. 9. legge 28 agosto 1989 n. 305, art. 10, primo e terzo comma (artt. 3 e 6 dello statuto speciale reg. Sardegna). Sentenza 16 marzo 1990 n. 125 G. U. 21 marzo 1990, n. 12. legge reg. Toscana riapprovata il 26 settembre 1989, art. 2 (artt. 5, 81, 117 e 119 della Costituzione). Sentenza 2 marzo 1990, n. 100, G. V. 7 marzo 1990, n. 10. ~ ~ CONSULTAZIONI AVVOCATURA DELLO STATO E.D.I.S.U. -Se sono ammessi al patrocinio dell'Avvocatura. Se gli E.D.I.S.U. istituiti in Puglia con legge regionale 11 marzo 1989, n. 22 che ha disposto il subentro della Regione nella titolarit dei rapporti attivi e passivi delle disciolte Opere Universitarie, siano ammessi al patrocinio dell'Av vocatura dello Stato (cons. 5373/89). BORSA Consob -Trattamento giuridico ed economico del personale. Se possano riconoscersi, e in quali limiti, al personale di ruolo della Commissione Nazionale per le societ e la Borsa, gli aumenti periodici previsti dal relativo regolamento reso esecutivo con D.P,C.M. del 20 luglio 1987 (cons. 6640/89). CIRCOLAZIONE STRADALE Anas -Automezzi -Utilizzazione della luce lampeggiante di colore bleu. Se gli automezzi dell'Anas, adibiti a servizi antincendio, possano utilizzare la luce lampeggiante di colore bleu (cons. 3141/89). COMMERCIO Licenza commerciale -Sospensione -Impugnativa -Giudice competente -Commissioni tributarie. Se avverso il decreto dell'Intendente di finanza che ha disposto la sospensione della . licenza commerciale sia proponibile ricorso alla Commissione tributaria (cons. 9581/89). DEMANIO Demanio aeronautico Concessione ad enti o a privati ;per ifini di beneficenza Criteri nella determinazione del canone. Se in materia di concessioni di aree demaniali aeronautiche ad Enti pubblici o a privati per fini di beneficenza, il canone debba essere determinato con riferimento ai valori del libero mercato ovvero in misura meramente ricognitiva del carattere demaniale del bene (cons. 9189/88). Demanio archeologico -Ritrovamento avvenuto sotto il previgente diritto austriaco. Se sia ammissibile un acquisto originario da parte dello Stato dei reperti ritrovati nel tempo in cui era in vigore il diritto austriaco che non prevedeva un simile acquisto (cons. 2411/88). Demanio armentizio Trasferimento alle Regioni Trasferimento dei relativi beni. Se, in seguito all'avvenuto trasferimento alle Regioni dei beni appartenenti al demanio armentizio, possano ritenersi trasferiti anche i suoli tratturali (cons. 10712/89). J2 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Parco del Circeo -Fauna selvatica -Protezioni idonee ad evitare danni -Posizione dei proprietari. Se sia onere esclusivo dei proprietari degli insediamenti turistici nell'ambito del Parco del Circeo predisporre protezioni idonee ad evitare danni dalla presenza di fauna selvatica (cons. 6997/89). Patrimonio indisponibile -Beni del disciolto P.N.F. -Vincolo di destinazione a servizio pubblico o a scopi di interesse generale -Cessazione del vincolo. Se sia cessato il vincolo di destinazione dei beni del P.N.F. a seguito dell'entrata in vigore della legge 13 maggio 1978, n. 208, che ha abrogato l'art. 38 del d.1.1. 27 luglio 1944, n. 159 (cons. 5164/89). DOGANE Personale -Servizi resi oltre l'orario e fuori del circuito doganale -Indennit Natura. Se le indennit dovute per i servizi resi, su richiesta, dal personale delle dogane, oltre l'orario d'ufficio e fuori del circuito doganale, abbiano o meno natura tributaria e quale sia il soggetto obbligato a corrisponderle (cons. 2413/86). ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILIT. Indennit in caso di cessione volontaria e indennit aggiuntiva -Valore (tabellare) dell'area di sedime dei fabbricati rurali. I ' Se le maggiorazioni della indennit prevista in caso di cessione volontaria ex art. 12 e la indennit aggiuntiva ex art. 17 della legge n. 865/1971 vadano ' calcolate anche sul valore (tabellare) dell'area di sedime dei fabbricati compresi nell'espropriazione ovvero sulla sola superficie effettivamente coltivata (cons. 6996/89). FAMIGLIA Matrimonio -Scioglimento -Effetti fiscali sulle attribuzioni dei beni. Se, nel caso di scioglimento del matrimonio, l'esenzione, prevista dall'art. 19 della legge 6 marzo 1987, n. 74, si riferisca anche alle attribuzioni di beni (immobili) gi facenti parte della comunione dei coniugi ( cons. 3217/89). LOCAZIONE Canone previsto nel contratto -Scadenza -Pagamento di un maggior canone da parte della P. A. -Effetti -Se sia necessaria una formale manifestazione di volont. Se la P.A. conduttrice, che provveda spontaneamente al pagamento di un canone in misura maggiore di quella prevista nel contratto, nel periodo intercorrente tra la scadenza legale dello stesso e la data fissata per il rilascio, debba manifestare formalmente la sua volont con un atto aggiuntivo ovvero con due atti distinti per ottenere gli effetti previsti dall'art. 2, ultima parte, del d.l. 25 settembre 1987, n. 393 (cons. 979/88). Locazioni passive -Aggiornamento ai sensi dell'art. 32 ,della legge n. 392/1978 e della successiva legge n; 118/1985. Se debbano essere aggiornati, e secondo quali criteri, ai sensi del cit. art. 32, il canone degli immobili urbani ad uso abitazione ed il canone degli immobili urbani adibiti ad uso diverso (cons. 9727/89). PARTE II, CONSULTAZIONI NAVE Propriet -Societ di armamento o di esercizio -Societ di fatto o irregolari Possibilit di regolarizzazione. Se sia applicabile, e in quali limiti, alle societ di fatto o irregolari, di armamento o di esercizio di nave, la disciplina prevista dalla legge 23 dicembre 1982, n. 947 (cons. 4175/89). OBBLIGAZIONI (IN GENERE) Finanziamenti nel settore industriale -Riattivazione di impianto -Condizioni per il rilascio di garanzia statale. Se, nel caso di finanziamento diretto alla riattivazione di un impianto industriale la garanzia statale per gli interessi si estenda sino a concorrenza del relativo ammontare, determinato secondo il tasso di riferimento per il credito agevolato al settore industriale (vigente al momento della concessione del finanziamento) e la P. A. sia tenuta a versare l'importo della garanzia entro due mesi dalla ricl:esta di operativit (da intendersi riferita al momento in cui la P.A. posta in condizione di operare) (cons. 4960/86). OPERE PUBBLICHE Appalto concorso -Procedimento -Entrata in vigore della legge n. 41 del 1986 (art. 33) -Effetti. Se, con l'entrata in vigore della legge n. 41 del 1986, che all'art. 33 detta una nuova disciplina per la revisione dei prezzi, le imprese che avevano in precedenza presentato l'offerta possano adeguare i prezzi ai costi reali vigenti al momento della aggiudicazione, successiva alla nuova disciplina (cons. 5679/89). PROCEDIMENTO CIVILE Dichiarazione di terza -Se sia necessario l'intervento dell'Avvocatura dello Stato. Se nei procedimenti esecutivi presso terzi, la dichiarazione di quantit debba essere resa dal terzo personalmente o dall'Avvocatura dello Stato (cons. 122/90). PROFESSIONISTI Psicologi ,. Albo professionale Commissario.~ Patrocinio dell'Avvocatura dello Stato. Se il patrocinio del Commissario nominato ai sensi dell'art. 31 della legge 18 febbraio 1989, n. 56 spetti all'Avvocatura dello Stato (cons. 185/90). RISARCIMENTO DEL DANNO Danno -Danno ambientale -Responsabilit amministrativo-contabile -Risarcimento Competenza. Se sussiste la giurisdizione dell'A.G.O. ovvero quella della Corte dei Conti in tema di risarcimento per danno ambientale, derivante da responsabilit amministrativo- contabile (cons. 6925/89). f4 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO SPESE GIUDIZIALI IN MATERIA PENALE Remissione di debito concessa dal magistrato di sorveglianza -Pluralit di condannati -Effetti. Quali effetti si producano nei confronti degli altri condannati, condebitori solidali, nel caso di remissione del debito concessa dal magistrato di sorveglianza ad un solo condannato (cons. 8144/89). SUCCESSIONE Legato -Onere -Destinazione a scopi artistici-culturali -Inadempimento -Conseguenze. Se la destinazione di un immobile, oggetto di legato modale, a scopi artistico- culturali possa ritenersi soddisfatta destinando . l'immobile a sede della scuola superiore della P.A. (cons. 125/90). TRASPORTI Ferrovie dello Stato -Personale -Retribuzione -Competenze accessorie. Se spetti, e con quale criterio, la rivalutazione dei compensi erogati ai sensi dell'art. 81 della legge 11 febbraio 1970, n. 34 (cons. 8468/89). Ferrovie del Sud-Est -Gestione commissariale governativa -Bollette telefoniche -Rimborso ai dirigenti. Se sia ammissibile il rimborso parziale delle bollette telefoniche private ai dirigenti (cons. 3216/87). TRIBUTI ERARIALI DIRETTI Condono -Riscossione di imposta per ammontare maggiore di quello dovuto a seguito di dichiarazione integrativa -Rimborso -Interessi. Se siano dovuti gli interessi legali sulla maggiore imposta versata dai contribuenti rispetto a quella dovuta in seguito alla liquidazione effettuata in base alla dichiarazione integrativa (cons. 937/89). TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI Finanziamento a medio e lungo termine -Atti stipulati fra gli Istituti di credito e la Banca Europea degli Investimenti. Se gli atti di finanziamento a medio e lungo termine stipulati fra gli Istituti di credito nell'esercizio della loro ordinaria attivit istituzionale e la Banca Europea degli Investimenti (nella qualit di mutuataria) possano godere dell'esenzione dall'imposta sostitutiva di cui all'art. 17 D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, in applicazione dell'art. 2 della legge 31 ottobre 1961, n. 1231 (cons. 6309/89). ILOR -Rimborso a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 42/ 1980 Silenzio- rifiuto -Domanda di rimborso. Se, dichiarato incostituzionale il tributo per effetto della sentenza n. 42/1980, il contribuente debba presentare la domanda di rimborso, all'Ufficio delle Imposte o all'Intendente di Finanza nel termine decadenziale dei 18 mesi di cui all'art. 38 D.P.R. n. 602/1973 (cons. 5374/87). Imposta di registro -Fusione tra enti diversi dalla societ -Quale sia l'aliquota applicabile. Quali criteri occorra seguire per accertare la base imponibile e l'aliquota applicabile nel caso di fusioni di enti diversi dalle societ (cons. 2886/88). PARTE II, CONSULTAZIONI JJ Imposta sul valore aggiunto -Crediti di rimborso IVA -Pignorabilit. Se siano pignorabili presso l'Amministrazione, terza, i crediti di rimborso IVA non ancora definitivamente accertati (cons. 698/89). lVA -Espropriazione per pubblica utilit -Cessione del terreno edificatorio soggetto ad esproprio da parte del comune -Se sia assoggettabile ad IVA. Se sia assoggettabile ad IVA (o ad imposta di registro in misura fissa) la cessione consensuale di un terreno edificatorio da parte del Comune espropriando, per la costruzione della casa circondariale (cons. 4913/87).