ANNO XLII -N. 1 GENNAIO -MARZO 1990 


RASSEGNA 


DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 



Pubblicazione trimestrale di servizio 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 
ROMA 1991 




ABBONAMENTI ANNO 1991 

ANNO L. 42.000 
UN NUMERO SEPARATO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . :it 8.000 


Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 
Attivit� Commerciali -Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma 
e/e postale n: 387001 

Stampato in Italia -Printed in Italy 
Autorizzazione Tribunale di Roma Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 


(3219001) Roma, 1991 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato P.V. 



INDICE 

Parte prima: GIURISPRUDENZA 

Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura del


/'avv. Franco Favara) ............. pag. 


Sezione seconda: 
GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 
(a cura del/'avv. Oscar Fiumara) . . . � 28 

Sezione terza: 
GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 
(a cura degli avvocati Antonio Cingolo e 
Giuseppe Stipo) . . . . . . . . . . . . . . . . � 52 

Sezione quarta: 
GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura del/'
avv. Raffaele Tamiozzo . . . . . � 73 

Sezione quinta: 
GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura de/l'avvocato 
Carlo Bafile) . . . . . . . � 105 

Pate seconda: QUESTIONI -RASSEGNA DI DOTTRINA 
RASSEGNA DI LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO 
CONSULTAZIONI 


QUESTIONI ........ . 
)) 1 


)) 43

RASSEGNA DI LEGISLAZIONE . 

))

CONSULTAZIONI 
51 

Comitato di redazione: Avv. D. Del Gaizo -Avv. G. Mangia -
Avv. M. Salvatorelli -Avv. F. Sclafani 


La pubblicazione � diretta dall'avvocato: 
UGO GARGIULO 



CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA 
DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AWOCATURE 


Avvocati 


Glauco NORI, Ancona; Carlo BAFILE, L'Aquila; Nicasio MANcuso, Palermo; 
Rocco BERARDI, Potenza; Maurizio DE F'RANcHIS, Trento; Paolo SCOTTI, 
Trieste; Giancarlo MAND�, Perugia 



ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI 


G. 
ARENA, Note a margine del problema dell'esecuzione delle pronunce 
del giudice amministrativo . . . . . . . . . . . . . . . . 

C. 
BAFILE, Su una improbabile ipotesi di giurisdizione mutevole 
in materi~ ~i. responsabilit� personale del liquidatore delle 
persone giuridiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

I.M. BRAGUGLIA, Raccomandazioni CECA: interpretazione ed efficacia 

I.F. CARAMAZZA e P. GENTILI, La giurisdizione amministrativa (100 
anni dopo l'istituzione della IV sezione del Consiglio di Stato) 

I. F. CARAMAZZA e M. L. SPINA, L'avvocato del processo amministrativo 
............................ . 

G. 
STIPO, L'istituzione dell'Ente Ferrovie dello Stato e la giurisdizione 
in materia pensionistica . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Il, 

I, 
I, 


Il, 

II, 

I, 

34 

147 
28 
1 
11 
68 


nascita di vitelli -Termini per procedere 
ad istruttoria delle domande 
-Ragionevolezza -Poteri della 
Commissione, 41. 
-Libera circolazione delle merci -Misure 
di effetto equivalente a restri-
Ricorso gerarchico -Silenzio della 
P.A. -Proposizione del ricorso giurisdizionale 
-Decisione gerarchica 
di rigetto sopravvenuta -Atto ad 
effetto confermativo -Non occorre 
impugnativa giurisdizionale, 73. 
nascita di vitelli -Termini per procedere 
ad istruttoria delle domande 
-Ragionevolezza -Poteri della 
Commissione, 41. 
-Libera circolazione delle merci -Misure 
di effetto equivalente a restri-
Ricorso gerarchico -Silenzio della 
P.A. -Proposizione del ricorso giurisdizionale 
-Decisione gerarchica 
di rigetto sopravvenuta -Atto ad 
effetto confermativo -Non occorre 
impugnativa giurisdizionale, 73. 
PARTE PRIMA 
INDICE ANALITICO ALFABETICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 
AGRICOLTURA 

-Provvidenze comunitarie per il mercato 
agricolo -Fermo amministrativo 
-Presupposti e limiti, 46. 

ATTO AMMINISTRATIVO 

-Illegittimit� -Eccesso di potere per 
disparit� di trattamento -Provvedimento 
vincolato -Insussistenza 
del vizio, 91. 

AVVOCATURA DELLO STATO 

"--Esercizio dello � ius postulandi � Procura 
� ad litem � -Necessit� � 
Insussistenza -Questione di costi� 
tuzionalit� manifestamente infondata, 
61. 

-Rappresentanza e difesa di amministrazioni 
non statali -Procura 
� ad litem � � Necessit� -Insussistenza, 
60. 

COMUNIT� EUROPEE 

-CECA -Interpretazione del Trattato 
CECA e degli atti emanati in 
forza di esso -Rinvio pregiudiziale 
-Competenza della Corte di giustizia, 
28. 

-CECA -Privilegi dei crediti per 
prelievi della CECA -Decorrenza, 28. 

-CECA -Raccomandazioni -Efficacia 
diretta -Limiti -Privilegio dei 
crediti CECA, 28. 

-Fondo europeo agricolo di orientamento 
e garanzia (F.E.O.G.A.) -Liquidazione 
dei conti -Premi per la 

zioni quantitative all'importazione Appalti 
pubblici di fornitura -Riserva 
in favore di imprese ubicate 
in determinate regioni del territorio 
nazionale -Regime di aiuti, 37. 

FERROVIE 

-Alloggio di seI'V!z10 concesso a dipendente 
per motivi diversi dallo 
espletamento del servizio -Opposizione 
al provvedimento di rilascio � 
Giurisdizione amministrativa, 57. 

-Dipendenti ente F.S. -Controversie 
previdenziali -Competenza territoriale 
ex art. 23 legge n. 210 del 
1985 -Esclusione, 52. 

-Opera di previdenza e assistenza 
dei ferrovieri dello Stato -Indennit� 
di buonuscita -Giurisdizione della 
Corte dei conti, 102. 

GIURISDIZIONE CIVILE 

-Regolamento preventivo -Sentenza 
che si � limitata ad esaminare nei 
limiti necessari per risolvere la questione 
di giurisdizione -Ammissibilit� 
del regolamento, 57. 

-Sanit� -Prestazioni sanitarie -Accordo 
collettivo -Aggiornamento 
dei compensi -Mancata attuazione 
dell'accordo collettivo -Regolamento 
preventivo di giurisdizione -Giurisdizione 
dell'AGO, 53. 

GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA 

-Ricorso gerarchico -Decorso del 
termine per la decisione -Facolt� 
di ricorso giurisdizionale, 73. 


INDICE DELLA GIURISPRUDENZA 

-Ricorso gerarchico -Silenzio della 
PA. -Proposizione del ricorso giurisdizionale 
-Decisione gerarchica 
sopravvenuta di accoglimento -Mancanza 
di controinteressati -Cessazione 
della materia del contendere 
-Presenza dei suddetti -Illegittimit� 
-Impugnazione � Necessit�, 

73. 
-Ricorso gerarchico -Silenzio della 
PA. -Proposizione del ricorso giurisdizionale 
o straordinario � Decisione 
gerru;-chica reiettiva sopravvenuta 
� Impugnativa giurisdizionale 
di questa ultima � Non occorre � 
� Quid novi � della decisione � Presentazione 
di motivi aggiunti, 84. 

- 
Ricorso gerarchico � Silenzio della 

P.A. -Proposizione del ricorso giurisdizionale 
o straordinario -Decisione 
gerarchica sopravvenuta di 
accoglimento � Controinteressati Impugnazione 
-Necessit�, 84. 
- 
Ricorso gerarchico -Silenzio della 

P.A. -Proposizione del ricorso giurisdizionale 
o straordinario -Decisione 
gerarchica sopravvenuta di 
accoglimento -Controinteressati Mancanza 
-Cessazione della materia 
del contendere, 84. 
- 
Ricorso giurisdizionale � Provvedimento 
amministrativo -Esercizio 
di discrezionalit� tecnica � Sindacato, 
73. 

IMPIEGO PUBBLICO 

-Accordo sindacale � Dipendenti enti 
locali � Accordo aziendale ex 
art. 3 d.P.R. n. 347 del 1983 -Formazione 
-Intervento di tutti i dipendenti 
� Mancata partecipazione 
delle organizzazioni sindacali -Illegittimit� 
dell'accordo, 94. 

-Stipendi e assegni � Indebito (ripetizione) 
-Buona fede del percipiente 
� Rileva solamente sulle modalit� 
del recupero, 91. 

-Stipendi e assegni -Indebito (ripetizione) 
-Doverosit�, 91. 

OPERE PUBBLICHE 

-Albo nazionale costruttori � Sospensione 
dell'efficacia dell'iscrizione Non 
ha carattere sanzionatorio, 1. 

-Piano di bacino -Interferenze con 
attribuzioni regionali � Legittimit� 
costituzionale, 10. 

PENSIONI 

-Pensioni civili � Domanda proposta 
in via autonoma al fine di ottenere 
la rivalutazione di assegni pen� 
sionistici e i relativi interessi legali 
� Giurisdizione della Corte dei 
conti, 59. 

-Pensioni civili � Ricorsi proposti da 
dipendenti ferroviari dopo l'istituzione 
dell'Ente Ferrovie dello Stato 
� Giurisdizione della Corte dei 
conti, con nota di G. STIPO, 67. 

REGIONI 

-Atti di pianificazione e/o programmazione, 
atti di indirizzo e coordinamento, 
ed atti di coordinamento 
tecnico � Distinzioni, 10. 

-Controlli sugli atti amministrativi Controlli 
diversi da quelli previsti 
in via generale � Legittimit� costituzionale, 
10. 

-Cooperazione tra Stato e Regioni Organi 
misti � Parere obbligatorio 
di organo statale -Non comprimono 
le autonomie regionali, 10. 

-Poteri sostitutivi attribuiti ad organi 
statali � Requisiti � Necessit� 
anche del congruo preavviso allo 
esercizio di detti poteri, 10. 

-Principi e norme fondamentali -
Autoqualificazione ad opera del legislatore 
statale � Non � determinante, 
10. 

-Regioni a statuto ordinario � Norme 
interposte contenute nel d.P.R. 

n. 616 del 1977 � Modificabilit� con 
legge ordinaria, 10. 
RICORSI AMMINISTRATIVI 

-Ricorso gerarchico -Proposizione 
del i;.icorso giurisdizionale � Improcedibilit� 
del ricorso gerarchico, 73. 

- 
Ricorso gerarchico � Silenzio della 

P.A. � Mancata proposizione del 
ricorso giurisdizionale -Potere di 
decisione oltre il termine � Sussiste, 
73. 

vm 
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 


-Ricorso gerarchico -Silenzio della 
Pubblica Amministrazione -Mancata 
proposizione del ricorso giurisdizionale 
-Potere di decisione oltre 
il termine � Sussiste, 84. 

SANZIONI AMMINISTRATIVE 

-Infrazioni valutarie � Potere del Ministro 
del Tesoro di imporre pene 
pecuniarie -Questione di costituzionalit� 
manifestamente infondata, 

61. 
-Infrazioni valutarie -Responsabilit� 
-Requisito della maggiore et� � 
Necessit�, 61. � 

-Infrazioni valutarie -Riscossione di 
pene pecuniarie -Prescrizione quinquennale 
anzich� triennale � Questione 
di costituzionalit� manifestamente 
infondata, 61. 

TRASPORTI PUBBLICI 

-Autolinee in concessione -Commissione 
istituita per il coordinamento 
dei servizi automobilistici di linea 
con quelli ferroviari -Istituzione 
dell'Ente Ferrovie dello Stato 
-Mancata convocazione -Legittimit�, 
96. 

-Autolinee in concessione � Diritto 
di preferenza per finitimit� -Requisiti, 
96. 

-Autolinee in concessione -Potere 
discrezionale dell'Amministrazione 
sulle modalit� della procedura, 96. 

TRENTINO ALTO ADIGE 

-Provincia di Bolzano -Proporzionale 
linguistica � Pianta organica 
degli uffici giudiziari -Potenziamento 
degli uffici -Inammissibilit� del 
ricorso per mancanza di interesse, 

8. 
TRIBUTI ERARIALI DIRETTI 

-Accertamento -Metodo induttivo Irregolarit� 
delle scritture � Vidimazione 
dei registri -Reiterazione 
delle stesse irregolarit� in diversi 
periodi di imposta -Rilevanza, 126. 

-Imposta unica sul reddito delle 
persone fisiche -Redditi fondiari 
Catasto -Classamento -Notifica 


l> necessaria ai fini della decorrenza 
del termine per l'impugnazione � 
Nullit� di classamento non notificato 
-Esclusione, 144. 

-Restituzioni e rimborsi -Procedimento 
-Termine di decadenza -Applicabilit� 
del term~e dell'art. 43 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 � 
Esclusione, 164. 
-Restituzioni e rimborsi -Versamenti 
diretti -Procedimento amministrativo 
di rimborso -Art. 38 d.P.R. 
29 settembre 1973, n. 602 -Tipicit� Limitazione 
a versamenti in esattoria 
-Esclusione, 164. 

- 
Soggetti passivi � Liquidatore di 
societ� di capitali -Responsabilit� Natura, 
con nota di C. BAFILE, 147. 

TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI 

-Imposta di registro e INVIM � Riforma 
fondiaria -Assegnazione di 
terreni -Assoggettabilit� alla imposta 
di registro -Non assoggettabilit� 
all'INVIM, 113. 

-Imposta di registro -Presunzione 
di accessioni -Accordo per l'edificazione 
con effetto� obbligatorio Non 
vince la presunzione, 141. 

-Imposta sul valore aggiunto -Accertamento 
-Presunzioni -Presunzioni 
legali e presunzioni semplici Concorrenza, 
118. 

-Imposta sul valore aggiunto -Presunzione 
dell'art. 53 d.P.R. 26 ottobre 
1972, n. 633 -Prova contraria Limiti, 
122. 

-Imposte varie -Imposta sostitutiva 
-Credito a medio e lungo termine 
-Estensione -Operazioni strumentali 
ai fini istituzionali -Locazione 
di immobile -Esclusione, 165. 

TRIBUTI IN GENERE 

-Accertamento -Imposte indirette Accertamento 
non motivato � Notifica 
di nuovo accertamento prima 
della maturazione del termine di 
decadenza -Validit�, 139. 

-Accertamento -Imposte indirette Difetto 
totale di maturazione � Nullit�, 
140. 


INDICE DELLA GIURISPRUDENZA 

-Accertamento -Imposte sul reddito 
-Accertamento analitico induttivo 
e accertamento induttivo Presupposti 
-Motivazione, 126. 

-Accertamento -Notificazione -Persona 
giuridica -Impossibilit� di 
notifica presso la sede legale -Applicabilit� 
art. 143 c.p.c. -Esclusione 
-Notificazione ex art. 140 c.p.c. :
e valida, 131. 

-Accertamento -Notificazione -Persona 
giuridica -Impossibilit� di notifica 
presso la sede legale -Notifica 
col rito degli irreperibili al 
legale rappresentante -Nullit�, 131. 

-Accertamento -Notificazione -Persona 
giuridica -Impossibilit� di notifica 
presso la sede legale -Ricerca 
della sede effettiva -Necessit� Notificazione 
alla persona fisica del 
legale rappresentante -Necessit� 
prima di fare applicazione dell'art. 
140 c.p.c., 132. 

-Contenzioso tributario -Appello Motivazione 
� per relationem � Inammissibilit� 
-Rilevabilit� di uf


ficio -Motivi aggiunti -Inammissibilit�, 
168. 

-Contenzioso tributario -Competenza 
e giurisdizione -Azione di mero 
accertamento in sede ordinaria Liquidatore 
di societ� di capitali Ammissibilit� 
anteriormente all'accertamento 
della responsabilit� -Ricorso 
successivo all'accertamento giurisdizione 
delle commissioni, con 
nota di C. BAFILE, 147. 

-Norme tributarie -Disposizioni integrative 
e correttive -Nozione Retroattivit� 
-Art. 1 d.P.R. 23 dicembre 
1974, n. 688 che modifica 
l'art. 13, d.P.R. 26 ottobre 1972, 

n. 
643, 105. 
- 
Restituzioni e rimborsi -Caducazione 
della norma di imposizione Azione 
generale di indebito -Esclusione, 
164. Il 

URBANISTICA 

-Vincolo urbanistico di natura espro� 
priativa -Reiterazione mediante va� 
riante al P.R.G., 5. 


INDICE CRONOLOGICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


CORTE COSTITUZIONALE 

20 dicembre 1989, n. 563 . 

22 dicembre 1989, n. 575 

29 dicembre 1989, n. 585 

26 febbraio 1990, n. 85 . . 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE 

Sed.1>leri., 2 febbraio 1990, nella causa C-221/88 

Sed. plen., 20 marzo 1990, nella causa C-21/88 

Sed. plen., 27 marzo 1990, nella causa C-10/88 

CORTE DI CASSAZIONE 

Sez. Un., 7 febbraio 1989, n. 733 
Sez. Un., 7 febbraio 1989, n. 734 
Sez. II, 9 febbraio 1989, n. 801 . 
Sez. I, 18 febbraio 1989, n. 963 . 
Sez. I, 24 febbraio 1989, n. 1022 
Sez. I, 1 marzo 1989, n. 1102 . . 
Sez. I, 15 marzo 1989, n. 1296 . 
Sez. Un., 17 marzo 1989, n. 1333 
Sez. Un., 17 marzo 1989, n. 1336 
Sez. I, 21 marzo 1989, n. 1418 . 
Sez. I, 31 marzo 1989, n. 1582 . 
Sez. Un., 4 maggio 1989, n. 2079 
Sez. Un., 9 giugno 1989, n. 2786 
Sez. Lav., 9 giugno 1989, n. 2821 
Sez. I, 9 luglio 1989, n. 3243 . . 
Sez. I, 28 luglio 1989, n. 3542 . . 

Sez. Un., 25 agosto 1989, n. 3768 
Sez. I, 28 novembre 1989, n. 5170 
Sez. Un., 29 novembre 1989, n. 5229 
Sez. Un., 1 febbraio 1990, n. 646 
Sez. I, 22 febbraio 1990, n. 1308 

CORTE DEI CONTI 

Sez. III, pensioni civili, 17 gennaio 1990, n. 63519 

Pag. 1 
,. 5 
)) 8 
)) 10 

Pag. 28 

)) 37 
)) 41 


Pag. 105 
)) 113 
� 118 
)) 122 
)) 126 

� 131 
� 132 
� 139 
)) 140 
� 141 
)) 144 


)) 

147 
)) 164 
)) 52 
)) 165 
)) 168 


)) 53 

)) 46 

)) 57 
� 59 
)) 60 


Pag. 67 

I 

I 

I 


INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA Xl 

GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE 

CONSIGLIO DI STATO 

Ad. Plen., 27 novembre 1989, n. 16 Pag. 73 
Ad. Plen., 4 dicembre 1989, n. 17 � 84 
Sez. IV, 16 gennaio 1990, n. 15 . � 91 
Sez. IV, 14 febbraio 1990, n. 77 � 94 
Sez. VI, 12 marzo 1990, n. 375 . � 96 

TAR Lazio, Sez. III, 23 novembre 1989, n. 2001 )) 102 


PARTE SECONDA 

Questioni 

Rassegna di legislazione 
Questioni di legittimit� costituzionale: 
I � Norme dichiarate incostituzionali .......... . 


IB � Ammissibilit� della richiesta di referendum abrogativo 

II � Questioni dichiarate non fondate 

Consultazioni 

Pag. 

Pag. 
� 
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� 

1 

43 

47 
47 

51 


PARTE PRIMA 

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GIURISPRUDENZA 


SEZIONE PRIMA 

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

CORTE COSTITUZIONALE, 20 dicembre 1989, n. 563 -Pres. Saja -Rel. Gallo 
-S.a.s. Arturo Cassina (avv. Biagini) e Presidente Consiglio dei Mi


1 

nistri (avv. Stato Onufrio). 

Opere pubbliche -Albo nazionale costruttori -Sospensione dell'efficacia 
dell'iscrizione -Non ha carattere sanzionatorio. 
(Cost., art. 27; 1. 10 febbraio 1962, n. 57, art. 20, come modificato dal 1. 13 settembre 

1982, n. 646, art. 23). 

La sospensione dell'efficacia dell'iscrizione nell'albo nazionale dei costruttori 
� misura cautelare amministrativa e non atto di anticipazione 
di una sanzione (e perci� sanzionatorio); le conseguenze della sospensione, 
ancorch� irreversibili, sono solo indirette ed eventuali. La societ� sopporta 
le conseguenze civili dei comportamenti tenuti dall'amministratore 
e/o legale rappresentante, nell'esercizio di dette funzioni. 

L'art. 20, n. 2 del comma primo della legge 10 febbraio 1962 n. 57 pre


vede che il costruttore, inscritto nell'Albo nazionale, debba essere sottoposto, 
a cura del Comitato centrale dell'Albo stesso, a sospensione dell'efficacia 
dell'iscrizione quando siano in corso a suo carico procedimenti penali 
relativi ai casi contemplati nel successivo art. 21 n. 2 (nonch� per 
altra ipotesi che non interessa il caso di specie). Il n. 2 del richiamato 
Jirt. 21, che disciplina la cancellazione dall'Albo, si rierisce a �delitto che 
per la sua natura o per la sua gravit� faccia venir meno i requisiti di 
natura morale richiesti per l'iscrizione all'Albo�. Il secondo comma dell'art. 
20 precisa poi che, nel caso di cui al n. 2, il provvedimento di sospensione 
si adotta allorquando (correlato al caso di specie) l'ipotesi si 

riferisce a uno o a pi� soci di societ� in accomandita semplice. 

Con deliberazione 6 aprile 1989, il Comitato Centrale predetto ha so


speso l'efficacia della iscrizione della S.a.s. Arturo Cassina all'Albo na


zionale, essendo risultato che il socio e legale rappresentante della societ� 

era stato rinviato a giudizio del Tribunale, con sentenz~-ordinanza del 

Giudice Istruttore presso lo stesso Tribunale, confermata da sentenza 

della Corte d'Appello, per rispondere dei delitti di concorso in interesse 

priv:rto continuato in atti d'ufficio, nonch� di false comunicazioni sociali. 

r�111r1r111-111r1r1111111111t111111111111�1111111�r1�11J11111 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

A seguito del ricorso della societ�, il TAR del Lazio aveva respinto 
l'istanza di sospensione, in via cautelare, del provvedimento impugnato, 
e la societ� si era allora appellata... 

Il Consiglio di Stato, Sezione VI, ritenuto che, allo stato, gli altri 
motivi non potessero essere presi in considerazione in sede di riesame, 
giudicava invece rilevante e non manifestamente infondata la questione 
di legittimit� costituzionale dell'art. 20 della legge e, con ordinanza 7 luglio 
1989, rimetteva gli atti a questa Corte. Secondo l'ordinanza, la sospensione 
dall'Albo in questione sarebbe misura sostanzialmente sanzionatoria, 
che viene inflitta prima che una condanna penale sia stata definitivamente 
pronunziata: essa sarebbe, perci�, incompatibile con la presunzione 
di non colpevolezza contenuta nel principio di cui all'art. 27, secondo 
comma della Costituzione. La natura anticipatoria della sanzione 
sarebbe comprovata dalla irreversibilit� dei danni cagionati dalla mancata 
ammissione agli appalti pubblici, conseguente alla sospensione. Al 
contrario gli effetti dei provvedimenti cautelari tipici -come quelli rigua1idanti, 
ad esempio, il pubblico impiego -sono quelli di sospendere 
temporaneamente una certa situazione, che viene poi integralmente ri


I 

pristinata al cessare della misura. (omissis) 
Non sembra che si possano nutrire dubbi sulla natura del provvedi


I 

mento di sospensione dell'efficacia dell'iscrizione all'Albo nazionale dei 

I

costruttori, a' sensi dell'art. 20, primo comma, n. 2 della legge epigrafata. ,.f.: 

I 
I 
'"' 

Gi� il termine stesso usato dal legislatore � in proposito eloquente. 
Esso esprime sicuramente il temporaneo arresto di ci� che � in corso, e 
non soltanto nell'ormai invalsa terminologia giuridica, ma anche nella 
comune significazione, cos� come figurativamente derivata dal senso originario 
del verbo �sospendere�, che vale appunto �tenere appeso in alto, I 

~ 

e perci� � pendente �. 

~ 

Ma poi � sufficiente dare uno sguardo comparativo al successivo articolo 
21 della legge, cui il n. 2 dell'art. 20 espressamente si riferisce, per 

~ 

rendersi conto che le cause fondamentali, che danno origine ai provvedimenti 
diversi contemplati nei due articoli, sono le stesse: la perpetra! 
zione da parte del costruttore di reati di gravit� e natura tale da compromettere 
i requisiti di carattere morale per l'iscrizione. 


I 

Nell'art. 20, n. 2, si prevede l'ipotesi che l'accertamento dei reati sia 
in corso mediante procedimento penale, nell'art. 21 n. 2 che l'accertamento 

I 

si sia positivamente compiuto mediante condanna definitiva del costruttore. 
g allora evidente che la prima ipotesi corrisponde ad una situazione 

I 

provvisoria, nella quale non vi � ancora certezza che i fatti di reato siano ~� 
r 
stati commessi, ma vi � certezza della pendenza di un accertamento da !: 
I: 

I: 
parte dell'autorit� giudiziaria penale. Ad una situazione precaria, non (: 

~: 

pu� che corrispondere un provvedimento provvisorio: la sospensione appunto 
dell'efficacia dell'iscrizione. Alla situazione ormai definitiva, dr com


f. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

piuto ed irrevocabile accertamento dei fatti di reato, corrisponde il provvedimento 
definitivo di cancellazione dall'Albo. 

Questa diversa natura dei due provvedimenti si riverbera poi nel 
differente potere che il legislatore attribuisce alla pubblica amministrazione. 
Un potere di atto dovuto, vincolato al definitivo accertamento, nel 
caso dell'art. 21, espresso dal verbo �sono cancellati�, un potere invece 
discrezionale nella ipotesi contemplata nell'art. 20. E si capisce il perch�. 
Nel primo caso � gi� stato accertato il venir meno dei requisiti cui la 
legge subordina l'iscrizione all'Albo nazionale dei costruttori, e perci� 
la conseguenza � la cancellazione, in quanto l'Albo ha la specifica funzione 
di selezionare in via generale l'ammissione agli appalti pubblici dei costruttori, 
garantendo l'amministrazione dall'imprendere trattative con chi non 
possieda requisiti di moralit� e seriet�. 

Nel caso della sospensione, invece, varie potendo essere le situazioni 
che legittimano la penden�:a di un procedimento penale, il legislatore ha 
rimesso ogni decisione al prudente apprezzamento dell'amministrazione 
( � pu� essere sospeso ... �). 

� fuori dubbio, dunque, che trattasi di un provvedimento provvisorio, 
di carattere cautelare, destinato a trasformarsi nel definitivo provvedimento 
di cancellazione se dovesse seguire condanna definitiva, o a caducarsi, 
se il costruttore dovesse essere assolto, per il venire meno delle 
condizioni che l'avevano legittimato. 

Ma non meno provvisori -cos� come giustamente richiedono ad un 
provvedimento cautelare giudice rimettente e difesa privata -sono gli 
effetti che la sospensione determina. Ovviamente non si deve equivocare 
tra gli effetti propri della sospensione e quelli che possono derivare dalle 
ulteriori conseguenze di quegli effetti, che � situazione diversa. L'effetto 
che deriva dalla �sospensione dell'efficacia dell'iscrizione all'albo� � uno 
soltanto: l'iscrizione che era stata a suo tempo ottenuta non dispiega 
temporaneamente alcuna efficacia, e il costruttore, perci�, viene provvisoriamente 
a trovarsi nella situazione di colui che non � stato iscritto. 
Situazione che dura soltanto per il tempo della sospensione, perch� non 
appena questa si caduca, l'efficacia riprende pieno vigore e il costruttore 
si ritrova con tutte le facolt� e i diritti che possedeva prima della sospensione. 
Si capisce che durante la sospensione egli non possa partecipare 
alle gare dei pubblici appalti, ed � intuitivo che, se non partecipa, non 
ha alcuna possibilit� di vincere, sicch� l'appalto sar� assegnato ad altri 
ed il costruttore sospeso non potr� mai pi� sperare di vedersi attribuire 
quel certo appalto. Queste ultime, per�, sono conseguenze, certamente 
irreversibili ma, del tutto indirette ed eventuali; proprio come si verifica 
in qualsiasi altra situazione di provvedimento cautelare sia essa quella 
dell'impiegato pubblico che del professionista. 


4 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 
Per entrambi l'effetto diretto della sospensione cautelare � provvisorio, 
e riguarda l'impossibilit� di esercitare temporaneamente l'ufficio e, per 
l'impiegato, anche di riscuotere lo stipendio se la sospensione riguarda 
anche quest'ultimo: per il professionista l'effetto provvisorio diretto � 
rappresentato dal temporaneo divieto di esercitare la professione. Se 
l'impiegato verr� assolto, � vero che gli dovranno essere corrisposti gli 
stipendi arretrati rimasti sospesi, ma ci� dipende dal fatto che fra amministrazione 
e impiegato esisteva un rapporto d'impiego, e l'impiegato era 
tuttavia rimasto a disposizione dell'amministrazione durante la sospen4 
RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 
Per entrambi l'effetto diretto della sospensione cautelare � provvisorio, 
e riguarda l'impossibilit� di esercitare temporaneamente l'ufficio e, per 
l'impiegato, anche di riscuotere lo stipendio se la sospensione riguarda 
anche quest'ultimo: per il professionista l'effetto provvisorio diretto � 
rappresentato dal temporaneo divieto di esercitare la professione. Se 
l'impiegato verr� assolto, � vero che gli dovranno essere corrisposti gli 
stipendi arretrati rimasti sospesi, ma ci� dipende dal fatto che fra amministrazione 
e impiegato esisteva un rapporto d'impiego, e l'impiegato era 
tuttavia rimasto a disposizione dell'amministrazione durante la sospensione, 
risultata poi non rispondente alla realt� del suo comportamento: 
sempre, comunque, con salvezza delle misure disciplinari qualora la formula 
assolutoria non le escluda. Ma, com'� ben noto, tutto questo non 
riguarda il professionista che, in pendenza di procedimento penale, pu� 
venire assoggettato sia al provvedim~nto interdittivo cautelare del giudice 
penale che al provvedimento cautelare disciplinare del Consiglio dell'Ordine. 
Anche qui l'effetto diretto della sospensione � rappresentato per il 
professionista dal divieto temporaneo di esercitare la professione; ed egli 
verr� ripristinato nel pieno e libero esercizio quando la sospensione verr� 
a cessare. Ma anche per lui si verificher� un temporanea perdita di clientela, 
e quindi di cause e consulenze da trattare, senza che per questo 
si sia mai ritenuto che il provvedimento di sospensione abbia carattere 
di anticipazione di una sanzione, in assenza di accertamento definitivo. 

Il principio della presunzione di non colpevolezza dell'imputato, pertanto, 
non viene in causa nei provvedimenti cautelari, se non per la 
prudenza con cui questi devono essere adottati e per la rigorosa osser� 
vanza delle condizioni tassativamente previste dalla legge: l'ordinamento 
giuridico-processuale ne offre riprova ogniqualvolta venga cautelarmente 
limitata o ristretta perfino la libert� personale del cittadino. 

Il vero � che alla base della cautela posta in essere dall'Ente pubblico 
vi � un preminente interesse della generalit�, a fronte di comportamenti 
del singolo suscettibili di essere temporaneamente assunti come 
pericolosi per quell'interesse. 

Nemmeno pu� trovare ingresso il tentativo della difesa di utilizzare 
il primo comma dell'art. 27 della Costituzione (principio di personalit� 
della responsabilit� penale). Innanzitutto perch� il parametro e il relativo 
profilo non sono stati dedotti dal Consiglio di Stato nella sollevata questione: 
ma anche perch�, comunque, se pur fosse stata proposta, la 
questione non avrebbe avuto fondamento. 

Nessuno, infatti, �ha addebitato alla societ� una responsabilit� penale, 
anche perch�, oltre tutto, non � stato ancora superato il principio �so


cietas delinquere non potest �: e, d'altra parte, � solo di questa responsabilit� 
che parla l'art. 27, primo comma, della Costituzione. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

La responsabilit� della societ� -che non � penale -sorge ex art. 20, 
secondo comma della legge in esame, quando i fatti, di cui al primo 
comma, sono stati commessi, in una societ� in accomandita semplice, 
da uno o pi� dei soci o dal direttore tecnico. Nella specie, il rinvio a 
giudizio per i reati sopraindicati x:iguardava il socio amininistratore, 
legale rappresentante. � evidente che si tratta di responsabilit� della societ� 
per fatti commessi nell'esercizio di funzioni societarie da chi la 
rappresenta e l'amministra. Vero � che alle societ� a base personale 
non � conferita personalit� giuridica: esse, tuttavia, come appare da 
numerose disposizioni sulle societ� semplici, in nome collettivo e in 
accomandita semplice (artt. 2266, 2271, 2282, 2304, 2305 e 2315 codice civile), 
sono dotate di autonomia patrimoniale e costituiscono pur sempre 
un centro di imputazione di situazioni soggettive, con il duplice corollario 
della irrilevanza, nei confronti dei terzi, dei mutamenti delle persone 
dei soci, nonch� del riconoscimento alla societ�, come tale, persino 
di un'autonoma capacit� processuale. 

Deriva da siffatti principi, pacifici nella giurisprudenza civile di 
legittimit�, che la societ�, come tale, � responsabile dei comportamenti 
esterni compiuti dal socio che la rappresenta nell'esercizio delle sue funzioni, 
e ne sopporta le conseguenze civili. Per cui, se alla condotta 
penalmente rilevante del socio amministratore nell'esercizio delle funzioni 
consegue una misura cautelare concernente la partecipazione alle 
gare dei'pubblici appalti, essa necessariamente riguarda anche la societ� 
come tale. 

Ma dagli ste~si principi deriva altres� -come si � accennato 


l'irrilevanza delle successive vicende inerenti al mutamento dei soci nella 

rappresentanza della societ�, quando il procedimento penale riguardi il 

socio che aveva veste di amministratore e rappresentante nel momento 

in cui l'azione penale � stata promossa. Altrimenti, nonostante le ma


lefatte di soci e amministratori, la societ� uscirebbe sempre immune 

da ogni vicenda nei suoi rapporti con la pubblica amministrazione. 

Che poi il codice penale preveda fra le pene accessorie anche l'inca


pacit� di contrattare con la pubblica amministrazione (art. 32 ter) non � 

argomento che tolga il carattere di misura cautelare amministrativa a 

quella in esame. E ci� sia perch� quella pena accessoria non consegue 

alla condanna per i delitti imputati nel caso di specie (art. 32 quater), 

sia perch�, gi� sotto l'impero del codice processuale precedente, anche 

la pena accessoria, comunque, poteva essere applicata in via provvisoria 

dal giudice nell'istruzione (art. 140 codice penale), ed in tal caso non 

poteva certo essere considerata pena. Tant'� vero che, molto pi� corret


tamente, il codice processuale in vigore ha collocato la misura fra quelle 

cosidette � interdittive � (art. 290) applicabili dal giudice delle indagini 

preliminari su richiesta del pubblico ministero (art. 291). (omissis) 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CORTE COSTITUZIONALE, 22 dicembre 1989, n. 575 -Pres. Saja -Rel. 
Caianello -S.p.A. Mag�c (avv. Scrosati e Corselli) e Presidente Consiglio 
dei Ministri (avv. Stato Ferri). 

Urbanistica � Vincolo urbanistico di natura espropriativa � Reitera


zione mediante variante al P .R.G. 
(Cost., art. 42; 1. urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150, artt. 7 e 40, 1. 19 novembre 1968, 
n. 1187, art. 2). . 
La potest� amministrativa di pianificazione urbanistica pu� esplicarsi 
in strumenti (ad esempio, una variante di P.R.G.) che d,~terminano rinnovo 
di destinazione urbanistica divenuta inefficace per decorso del quinquennio; 
l'esercizio di tale potest� non pu� tuttavia determinare un vincolo 
di durata indefinita, il quale sarebbe incompatibile con la garanzia 
della propriet� (1). 
� stata sollevata questione di legittimit� costituzionale degli artt. 7, 
nn. 2, 3 e 4, e 40 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 e 2, primo comma, 
della legge 19 dicembre 1968, n. 1187 nella parte in cui, ad avviso del giudice 
a quo, consentono alla pubblica amministrazione di reiterare, senza 
la corresponsione di indennizzo, il vincolo urbanistico di natura espropriativa 
su di un bene determinato, decaduto per l'inutile decorso del 
termine di efficacia. 
L'ordinanza di rinvio considera tale eventualit� in contrasto con 
l'art. 42, terzo comma, della Costituzione, in quanto sottoporrebbe singoli 
beni, cos� discriminandone l'utilizzabilit� rispetto ad altri beni aventi 
le stesse caratteristiche, ad un regime vincolistico indeterminato nel 
tempo, tale da risolversi in una limitazione della propriet� sostanzialmente 
espropriativa senza indennizzo. (omissis) 
Nel merito la questione, sollevata in riferimento i;i.Il'art. 42, comma 
terzo, della Costituzione, non � fondata. 
(1) La sentenza (che pare �interpretativa cli -rigetto�) � da condividere 
laddove pone in giusto rilievo la potest� amministrativa cli pianificazione urbanistica 
e conferma che tale potest� rimane per cos� dire �piena � e non si 
� esaurisce � per effetto del decorso del noto termine quinquennale di durata 
del c.d. vincolo urbanistico cli natura espropriativa su bene determinato. 
La sentenza sembra meno condivisibile laddove raffigura una sorta di 
� condizione� esterna alla predetta potest�, rectius all'esercizio di essa senza 
attivazione cli un procedimento cli espropriazione per p.u.: ancora una volta � 
riproposto un collegamento tra procedimenti (di pianificazione urbanistica eventualmente 
anche attuativa, e cli espropriazione per p.u.) che finisce per contraddire 
la pur proclamata potest� di pianificazione, rendendola subalterna alla 
� garanzia della propriet�� quando la � indennizzabi1it� � � resa praticamente 
possibiile per la compresenza, tutto considerato solo occasionale, di un procedimento 
di espropriazione. 
In realt�, il concetto stesso cli c.d. vincolo urbanistico cli materia espropriativa 
su bene determinato, ancorch� ampiamente utilizzato dalla giurisprudenza 
e persino da qualche disposizione legislativa, appare privo cli validit� 
sistematica. Le destinazioni urbanistiche sono tutte indifferentemente espressione 
della potest� cli pianificazione; e la nozione cli vincolo esprime effetti giuridici 
!�'. r 
prodotti da discipline diverse da quella urbanistica. ~:
f�r: 

------I~.


I ~ 


PARTE I, SEZ. I, GFURISPRUD'ENZA COSTITUZIONALE 

7 

Gli artt. 7 nn. 2, 3 e 4, e 40 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, in 
relazione al predetto parametro costituzionale, sono stati gi� esaminati 
da questa Corte nella sentenza n. 55 del 1968. Questa li dichiar� costituzionalmente 
illegittimi nella parte in cui escludevano espressamente 
l'indennizzabilit� dei vincoli su beni individuati che privavano il proprietario 
delle utlit� consentite ad altri, sia pure secondo indici differenziati 
(sent. n. 38 del 1966) in relazione a beni aventi le stesse caratteristiche. 


Tali norme vengono ora denunciate in connessione con l'art. 2 della 
legge n. 1187 del 1968, ed il giudice a quo, pur dichiarandosi consapevole 
della legittimit� costituzionale di leggi che prevedano l'imposizione a tempo 
indeterminato di vincoli su beni determinati, purch� subordinati alla 
previsione dell'indennizzo della propriet�, prospetta la questione in relazione 
alla possibilit�, insita nelle norme denunciate, di protrarre a tempo 
indeterminato, come nel caso del giudizio a quo, vincoli scaduti, 
attraverso l'introduzione di varianti agli strumenti urbanistici, la cui adozione 
comporta, in relazione ai vincoli in esse contenuti, una nuova 
decorrenza del termine quinquennale di efficacia previsto dall'art. 2 della 
legge del 1968, n. 1187. 

Osserva in proposito la Corte che � propria della potest� pianificatoria 
la possibilit� di rinnovare illimitatamente nel tempo i vincoli su 
beni individuati, purch�, come ritenuto dalla giurispru,denza amministrativa, 
risulti adeguatamente motivata in relazione alle effettive esigenze 
urbanistiche. Tale possibilit�, tuttavia, darebbe luogo ad un sistema 
non conforme ai principi affermati nella richiamata sentenza n. 55 
del 1968, qualora il vincolo venga protratto a tempo indeterminato senza 
la previsione di indennizzo. 

Come si evince dalla stessa sentenza e come � stato ribadito pi� di 
recente (sent. n. 82 del 1982), i due requisiti della temporaneit� e della 
indennizzabilit� sono difatti tra loro alternativi, per cui l'indeterminatezza 
temporale dei vincoli, resa possibile dalla potest� di reiterarli indefinitamente 
nel tempo anche se con diversa destinazione o con altri 
mezzi, � costituzionalmente legittima a condizione che l'esercizio di detta 
potest� non determini situazioni incompatibili con la garanzia della propriet� 
secondo i principi affermati nelle sentenze n. 6 del 1966 e n. 55 
del 1968. 

� proprio per questa ragione che la Corte, chiamata in precedenza 
a giudicare della legittimit� costituzionale dell'art. 2 della legge n. 1187 
del 1968, in riferimento agli stessi parametri costituzionali ora invocati, 
lo ha ritenuto, nella sentenza n. 92 del 1982, rispondente ai principi affermati 
nella sentenza n. 55 del 1968 e ci� in quanto tale norma era stata 
emanata all'indomani di quest'ultima solo per graduarne gli effetti nel 
tempo e non per reintrodurre il principio dell'esclusione dell'indennizzo 
dei vincoli urbanistici a tempo indeterminato. (omissis) 

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RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CORTE COSTITUZIONALE, 29 dicembre 1989, n. 585 -Pres. Saja -Rel. 

Conso -Provincia di Bolzano (avv. Panunzio) e Presidente Consiglio 

dei Ministri (avv. Stato Bruno). 

Trentino Alto Adige -Provincia di Bolzano � Proporzionale linguistica 
Pianta organica degli uffici giudiziari -Potenziamento degli uffici Inammissibilit� 
del ricorso per mancanza di interesse. 

Il principio della proporzionale etnica (rectius, linguistica) deve essere 
applicato all'atto della concreta assegnazione personale dei posti 
di magistrato, ancorch� non formalmente compresi nella relativa tabella. 
Il ricorso della Provincia avverso una modificazione della tabella predetta 
disposta senza la consultazione della commissione paritetica � dei 
sei� prevista dal' art. 107 dello Statuto speciale � inammissibile per mancanza 
di interesse quando la modificazione si risolve in un potenziamento 

e 

degli uffici statali nella provincia (1). 

La Provincia Autonoma qi Bolzano ha sollevato conflitto di attribuzione 
nei confronti dello Stato relativamente al decreto del Presidente 
della Repubblica 4 febbraio 1989, recante �Modifiche alle piante organiche 
dei magistrati di alcuni uffici giudiziari �. Tale decreto -� sostituendo 
e modificando la ripartizione dei posti di pianta organica � degli 
uffici giudiziari della Provincia di Bolzano (� gi� risultante non solo 
dalla tabella allegata al d.P.R. 31 dicembre 1966, n. 1185, ma dalla stessa 
tabella allegata al d.P.R. 26 luglio 1976, n. 752 �) senza osservare la procedura 
prevista dall'art. 107 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, che, a tutela 
delle minoranze linguistiche, richiede la previa consultazione della speciale 
� commissione paritetica � chiamata ad � esprimere parere su tutte 
le norme di attuazione statutarie � -sarebbe � lesivo delle competenze 
costituzionalmente assegnate alla Provincia Autonoma di Bolzano � dagli 
� artt. 89, 100 e 107 dello Statuto della Regione Trentino-Alto Ad�ge e 
relative norme di attuazione (artt. 33 ss., spec. art. 34 e tabella 23, del 

d.P.R. 26 luglio 1976, n. 752) �. 
(1) Il principio di cui alla prima parte della massima suscita qualche perplessit�. 
Non si intende mettere in discussione il metodo della proporzionale 
linguistica, ancorch� qualche attenuazione di esso potrebbe essere utile per 
prevenire inconvenienti pratici (e conseguenti risentimenti) e per garantire il 
�buon andamento � (art. 'J7 Cost.) delle amministrazioni. Parrebbe invece meritevole 
di ulteriore e forse diversa considerazione la tendenza, rinvenibile nella 
sentenza in rassegna (ed anche nella successiva n. 85 del 1990), ad estendere 
l'applicazione della proporzionale oltre l'ambito dei � ruoli locali. � (che in realt� 
veri ruoli organici non sono). Ora, tali ruoli sono stati previsti proprio come 
strumento al servizio della proporzionale; e la � riserva � di cui all'art. 89 dello 
Statuto speciale opera soltanto per �i posti dei ruoli� (art. 89, comma terzo 
citato, ed art. 8, comma secondo, del d.P.R. 26 luglio 1976, n. 752). 

PARTE I, SBZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Pur parlando in generale � dei posti di pianta organica degli uffici 
giudiziari della Provincia di Bolzano�, la doglianza della Provincia deve 
intendersi circoscritta alla sola parte del decreto impugnato che concerne 
la pianta organica dei � magistrati giudicanti e del pubblico ministero 
addetti � alla Pretura di Bolzano (20� alinea della tabella C allegata 
al decreto). Si tratta, infatti, dell'unica parte che introduce modificazioni 
alla pianta organica degli uffici giudiziari della Provincia di 
Bolzano. 

(omissis) Una volta chiarito che, in quanto estratto di altre piante 
organiche, la tabella 23 � da intendersi virtualmente e, quindi, sostanzialmente 
coinvolta dai mutamenti apportati alle pi� generali tabelle 
dalle quali � tratta, viende a perdere rilevanza anche il terzo argomento 
addotto dalla Provincia di Bolzano a sostegno della sua impugnativa: 
quello in base a cui i mutamenti previsti dal d.P.R. 4 febbraio 1989, 
in quanto non formalmente ricompresi nella tabella 23, sfuggirebbero 
all'istituto della proporzionale etnica. L'applicabilit� di questo fondamentale 
principio, costituzionalmente tutelato e normativamente regolato, 
�, invece, da ritenersi, in ogni caso -comunque avvenga, cio�, la ri� 
partizione dei posti -fuori discussione all'atto della concreta assegnazione 
personale degli stessi, magistrato per magistrato. 

Rimane, invece, da verificare l'incidenza del secondo ordine di considerazioni 
poste a base del ricorso della Provincia: le considerazioni, 
cio�, volte a rimarcare la natura sostanziale delle modifiche apportate 
dal decreto impugnato alla � disciplina dei posti di pianta organica degli 
uffici giudiziari della Provincia di Bolzano gi� stabilita dalla tabella 23 
allegata al d.P.R. n. 752/76 (e dalle tabelle allegate al d.P.R. n. 1185/1966) �. 
In quanto costituite, per un verso, dall'inserimento ex novo di cinque 
posti di magistrati del pubblico ministero addetti alla Pretura circondariale 
di Bolzano e, per l'altro �verso, dalla variante qualitativa introdotta 
nei posti dei magistrati giudicanti addetti alla Pretura circondariale 
di Bolzano attraverso l'istituzione di un posto di magistrato d'appello 
in funzione di consigliere pretore dirigente e la corrispondente soppressione 
di un posto di magistrato di tribunale o di uditore in funzione 
di pretore, tali modificazioni hanno tutte una consistenza innegabile, 
sempre, per�, nel senso di un potenziamento degli uffici. Un potenzia� 
mento, per di pi�, dovuto a scelte non meramente discrezionali, ma strettamente 
collegate all'attuazione, non tanto e non solo (come si limita a 
ricordare l'ultima memoria difensiva per la Provincia) dell'art. 1 della 
legge 3 febbraio 1989, n. 32, che ha aumentato l'organico complessivo 
della magistratura, quanto e soprattutto all'attuazione di precedenti leggi, 
che hanno reso necessario quell'aumento in relazione alle generali esigenze 
collegate all'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale. 

Ma -una volta riscontrato che le modificazioni si risolvono tutte 
in un potenziamento degli uffici nella Provincia di Bolzano, alla stregua 


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10 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

cli criteri uniformemente adottati per ogni ufficio analogo, senza il verificarsi 
cli compressione alcuna in ordine alla � riserva � dei posti gi� 
inclusi nelle relative piante organiche, e riconosciuto, al tempo stesso, 
che il fondamentale principio della proporzionale etnica rimane salvaguardato, 
dovendosene verificare scrupolosamente il rispetto in sede cli 
concreta �copertura dei posti in questione -il conflitto viene a risultare 
inammissibile per mancanza cli interesse (sentenza n. 79 del 1989). 

CORTE COSTITUZIONALE, 26 febbraio 1990, n. 85 -Pres. Saja -Rel. 
Baldassarre -Regione Friuli Venezia Giulia (avv. Pacia), Regione Veneto 
(avv. Berti), Provincia Bolzano (avv. Riz e Panunzio), Provincia 
Trento (avv. Onida e Rueca), e Presidente Consiglio dei Ministri 
(avv. Stato Ferri). 

Regioni -Principi e norme fondamentali � Autoquallficazione ad opera 
del legislatore statale � Non � determinante. 
(Cast., artt. 116 e 117; I. 18 maggio 1989, n. 183, art. 1). 

Regioni � Atti di pianificazione e/o programmazione, atti di indirlzzo e 

coordinamento, ed atti di coordinamento tecnico � Distinzioni. 
(Cast., artt. 116 e 117; I. 18 maggio 1989, n. 183, artt. 3, 4 e 9). 
Regioni � Cooperazione tra Stato e Regioni � Organi misti � Parere obbligatorio 
di organo statale � Non comprimono le autonomie regionali. 
(Cast., artt. 116 e 117; I. 18 maggio 1989, n. 183, artt. 12 e 25). 
Opere pubbliche � Piano di bacino � Interferenze con attribuzioni regionali 
� Legittimit� costituzionale. 
(Cast., artt. 116 e 117; I. 18 maggio 1989, n. 183, artt. 17 e 18). 
Regioni � Regioni a statuto ordinario � Norme interposte contenute nel 
d.P.R. n. 616 del 1977 � Modificabilit� con legge ordinaria. 
(Cast., artt. 116 e 117; I. 18 maggio 1989, n. 183, artt. 13, 14, 15 e 16). 
Regioni � Controlli sugli atti amministrativi � Controlli diversi da quelli 
previsti in _via generale � Legittimit� costituzionale. 
(Statuto Friuli-Venezia Giulia, art. 58; I. 18 magi:tio 1989, n. 183, art. 4). 
Regioni � Poteri sostitutivi attribuiti ad organi statali � Requisiti � Necessit� 
anche del congruo preavviso all'esercizio di detti poteri. 
(Cast., artt. 116 e 117; I. 18 maggio 1989, n. 183, artt. 15, 18 e 20). 
La qualificazione di una legge o di alcune sue disposizioni come principi 
fondamentali della legislazione statale o come norme fondamentali 
di riforma economico-sociale non pu� discendere soltanto da apodittiche 
affermazioni del legislatore stesso, ma deve avere una puntuale rispondenza 
nella natura effettiva delle disposizioni interessate, quale si desume 
dal loro contenuto normativo, dal loro oggetto, dal loro scopo e dalla 
loro incidenza nei confronti di altre norme dell'ordinamento o dei rapporti 
sociali disciplinati (1). 
(1) Forse occorrerebbe evidenziare maggiormente la distinzione tra a) competenza 
a qualificare un insieme di (o singole) disposizioni legislative statali 

11

PARTE I; SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

La legge n. 183 del 1989 non si propone in via principale di stabilire 
una nuova ripartizione di materie e di competenze fra Stato e regioni 
(o province autonome), ma fissa piuttosto un obiettivo -la difesa de1 
suolo -da raggiungere attraverso una complessa pianificazione dei settori 
materiali coinvolti. Gli atti di pianificazione e/o programmazione 
sono pi� comprensivi e pi� complessi di quelli di indirizzo e coordinamento, 
soprattutto perch� non interessano soltanto materie riservate alla 
competenza regionale (o provinciale) e non hanno, quindi, come propri 
destinatari soltanto le regioni o le province autonome, ma sono diretti 
all'insieme dei soggetti statali e regionali (o provinciali) coinvolti nella 
complessa opera finalizzata alla difesa del suolo; in questo quadro, la 
menzione nell'art. 4, comma 1 lettera f) della funzione statale di indirizzo 
e coordinamento � prevalentemente ricognitiva. Dalla funzione di indirizzo 
�e coordinamento va tenuto distinto il coordinamento tecnico, che 
non esige il rispetto delle norme procedurali attinenti allo svolgimento 
della predetta funzione (2). 

come recanti principi e norme fondamentali costituenti limiti alle legislaz�oni 
regionali (e provinciali), e b) sindacato della giurisdizione costituzionale sulla 
predetta qualificazione. V'� indubbiamente l'esigenza di garantire le auonomie 
da ipotizzabili �abusi � del legislatore statale nell'imprimere la qualificazione 
di ohe trattasi; e v'� anche -altrettanto pressante "(e in pratica pi� frequentemente 
ricorrente) -l'esigenza di non escludere il sussistere di principi e norme 
fondamentali in assenza di esplicita qualificazione ad opera del legislatore. 
Tuttavia, occorre evitare di leggere la regola costituzionale di cui alla massima 
come se affermasse una attribuzione immediata ed esclusiva della Corte (e 
quindi un diniego di attribuzione in capo al legislatore statale) quanto alla 
qualificazione di che trattasi. Senza dubbio, alla Corte deve essere riconosciuta 
pienezza di sindacato giurisdizionale, e quindi anche la possibilit� di sindacare 
la �congruit�� (e costituzionalit�) della qualificazione; per�, altro � giudicare 
sulle disposizioni legislative recanti enunciazioni in proposito, secondo parametri 
quali la � natura effettiva � e forse anche la ragionevolezza delle disposizioni 
stesse, altro � affermare tout court la � irrilevanza� delle enunciazioni del 
legislatore. 

Occorre avere ben presente che protagonista principale dell'ordinamento � 
il cittadino (anche eventualmente nella veste di amministratore pubblico); ed 
il cittadino ha �bisogno � di certezza giuridica, deve essere posto in grado di 
individuare prontamente e per quanto possibile agevolmente le norme vigenti 
e da applicare, e non � giusto sia coinvolto oltre misura nei pur fisiologici 
conflitti tra produttori di diritto oggettivo (Stato e regioni). Dal punto di vista 
del cittadino, escludere � rilevanza � alla qualificazione impressa dal legislatore 
statale si traduce in un pregiudizio tutto considerato neppur utile alla salvaguardia 
delle autonomie. 

Quanto osservato pu� trovare conforto nella constatazione che la Corte 
ha reso una pronuncia di non fondatezza (laddove la � irrilevanza � avrebbe 
dovuto condurre ad una pronuncia di inammissibilit�). 

(2) Palese l'importanza dei principi massimati. Giustamente la Corte distingue 
tra atti di pianificazione e/o prograqunazione, atti di indirizzo e coordinamento, 
ed atti di coordinamento tecnico: tre nozioni diverse, a ciascuna delle 
quali corrisponde una disciplina differenziata quanto a competenze e procedi

12 RASSEGNA DEI.L'AVVOCATURA DEI.LO STATO 
In quanto un obiettivo comune allo Stato e alle regioni, la difesa del 
suolo pu� essere perseguita soltanto attraverso la via della cooperazione 
fra l'uno e gli altri soggetti; le forme della cooperazione possono essere 
svariate, poich� oscillano dalla concorrenza (paritaria o non) delle due 
parti nella produzione del medesimo atto (intese, pareri, etc.) al coordinamento 
dell'esercizio delle rispettive funzioni, dalla possibilit� di utilizzazione 
di organi dell'altra parte alla creazione di �organi misti� in cui 
siano rappresentate, paritariamente o non, le due parti. Di per s� l'istituzione 
di tali � organi misti � non pu� considerarsi costituzionalmente 
illegittima, dal momento che rientra fra le possibilit� che il legislatore 
ha di conformare la cooperazione fra Stato e regioni in relazione al 
perseguimento di obiettivi comportanti numerosi punti di interferenza e 
di intreccio tra competenze statali e competenze regionali. La previsione 
di un parere obbligatorio, ma non vincolante, che deve essere prestato 
da un organo statale di natura tecnica in ordine a opere che le regioni 
dovranno realizzare nell'esercizio delle loro competenze, ma che rivestono 
anche � grande rilevanza tecnico-idraulica per la modifica del reticolo 
idrografico principale e del demanio idrico �, non pu� essere considerato 
un onere irragionevole all'esercizio delle proprie competenze (3). 
I piani di bacino previsti dagli artt. 17 e 18 della legge n. 183 del 
1989 non si svolgono attt;averso misure e opere inerenti alle competenze 
urbanistiche o a quelle della protezione civile ovvero a quelle attinenti 
ad altre cqmpetenze regionali o provinciali, quali le cave e miniere, l'agrimenti. 
Purtroppo, � riscontrabile una tendenza del legislatore statale (e, per 
esso, degli uffici legislativi dei Ministeri) ad utilizzare senza adeguata vigilanza 
una terminologia in 
pratica, le parole �indirizzo e cooroinamento � -avente 
un significato tecnico-giuridico costituzionale ben preciso. Per alcune regioni 
(o province autonome), queste parole sono come il panno rosso nella corrida; 
ragion di pi� per evitarne non appropriate utilizzazioni (come ad esempio nell'art. 
9, comma 8, lettera a) della legge n. 183 del 1989), e per evitare altresl 
inesatti accostamenti (quale, ad esempio, quello risultante dall'aggettivo �altro� 
contenuto nell'art. 4, comma 1, lettera f) della legge anzidetta). 
Ci� detto (per inciso) quanto alla terminologia, rimane la gi� sottolineata 
importanza del riconoscimento che gli atti di pianificazione e/o programmazione 
possono costituire strumento ulteriore e concettualmente autonomo di 
proficua cooperazione tra Stato e regioni (o province autonome) al di sopra 
delle pur persistenti � ripartizioni � delle competenze: lo Stato regionale (ed 
anche lo Stato federale) vive di una continua dialettica tra separazione degli 
ambiti di competenza e risposta armonizzata ed occorrendo unitaria alle esigenze 
concrete delle popolazioni. 
(3) L'insegnamento della Corte in tema di cooperazione tra Stato e regioni 
(o province autonome), insegnamento che costituisce una delle pagine pi� felici 
della giurisprudenza costituzionale, raggiunge in questa pronuncia organicit� 
e completezza quanto a modalit� procedimentali utilizzabili. 
Il brano relativo alla previsione ,di un voto obbligatorio e non vincolante 
12 RASSEGNA DEI.L'AVVOCATURA DEI.LO STATO 
In quanto un obiettivo comune allo Stato e alle regioni, la difesa del 
suolo pu� essere perseguita soltanto attraverso la via della cooperazione 
fra l'uno e gli altri soggetti; le forme della cooperazione possono essere 
svariate, poich� oscillano dalla concorrenza (paritaria o non) delle due 
parti nella produzione del medesimo atto (intese, pareri, etc.) al coordinamento 
dell'esercizio delle rispettive funzioni, dalla possibilit� di utilizzazione 
di organi dell'altra parte alla creazione di �organi misti� in cui 
siano rappresentate, paritariamente o non, le due parti. Di per s� l'istituzione 
di tali � organi misti � non pu� considerarsi costituzionalmente 
illegittima, dal momento che rientra fra le possibilit� che il legislatore 
ha di conformare la cooperazione fra Stato e regioni in relazione al 
perseguimento di obiettivi comportanti numerosi punti di interferenza e 
di intreccio tra competenze statali e competenze regionali. La previsione 
di un parere obbligatorio, ma non vincolante, che deve essere prestato 
da un organo statale di natura tecnica in ordine a opere che le regioni 
dovranno realizzare nell'esercizio delle loro competenze, ma che rivestono 
anche � grande rilevanza tecnico-idraulica per la modifica del reticolo 
idrografico principale e del demanio idrico �, non pu� essere considerato 
un onere irragionevole all'esercizio delle proprie competenze (3). 
I piani di bacino previsti dagli artt. 17 e 18 della legge n. 183 del 
1989 non si svolgono attt;averso misure e opere inerenti alle competenze 
urbanistiche o a quelle della protezione civile ovvero a quelle attinenti 
ad altre cqmpetenze regionali o provinciali, quali le cave e miniere, l'agrimenti. 
Purtroppo, � riscontrabile una tendenza del legislatore statale (e, per 
esso, degli uffici legislativi dei Ministeri) ad utilizzare senza adeguata vigilanza 
una terminologia in 
pratica, le parole �indirizzo e cooroinamento � -avente 
un significato tecnico-giuridico costituzionale ben preciso. Per alcune regioni 
(o province autonome), queste parole sono come il panno rosso nella corrida; 
ragion di pi� per evitarne non appropriate utilizzazioni (come ad esempio nell'art. 
9, comma 8, lettera a) della legge n. 183 del 1989), e per evitare altresl 
inesatti accostamenti (quale, ad esempio, quello risultante dall'aggettivo �altro� 
contenuto nell'art. 4, comma 1, lettera f) della legge anzidetta). 
Ci� detto (per inciso) quanto alla terminologia, rimane la gi� sottolineata 
importanza del riconoscimento che gli atti di pianificazione e/o programmazione 
possono costituire strumento ulteriore e concettualmente autonomo di 
proficua cooperazione tra Stato e regioni (o province autonome) al di sopra 
delle pur persistenti � ripartizioni � delle competenze: lo Stato regionale (ed 
anche lo Stato federale) vive di una continua dialettica tra separazione degli 
ambiti di competenza e risposta armonizzata ed occorrendo unitaria alle esigenze 
concrete delle popolazioni. 
(3) L'insegnamento della Corte in tema di cooperazione tra Stato e regioni 
(o province autonome), insegnamento che costituisce una delle pagine pi� felici 
della giurisprudenza costituzionale, raggiunge in questa pronuncia organicit� 
e completezza quanto a modalit� procedimentali utilizzabili. 
Il brano relativo alla previsione ,di un voto obbligatorio e non vincolante 
del Consiglio superiore dei lavori pubblici potrebbe, in astratto, riguardare anche 
l'Avvocatura dello Stato (cfr. art. 105 del d.P.R. n. 616 del 1977). 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

13 

coltura o la tutela del paesaggio e dell'ambiente, anche se indubbiamente 
incidono o interferiscono nei confronti di ciascuna di queste attribuzioni; 
detti piani pongono vincoli che le amministrazioni ed enti pubblici 
statali e regionali (nonch� eventualmente i privati) sono tenuti ad 
osservare (4). 

Se il rapporto di immediata attuazione con la Costituzione pu� portare 
a considerare le disposizioni del d.P.R. n. 616 del 1977 come norme 
interposte suscettibili di integrare il significato dei parametri costituzionali, 
esso non pu� avere alcuna influenza sulla determinazione del 
rango o del valore formale delle stesse disposizioni, tanto che queste 
ultime non possono fungere da autonomo parametro nei giudizi di legittimit� 
costituzionale (5). 

La previsione di una determinata forma di controllo di legittimit� 
su singoli atti non pu� essere minimamente considerata come preclusiva 
di altri tipi di controllo (6). 

(4) La legge n. 183 del 1989 ha introdotto -finalmente -i piani di bacino, 
ntiovi strumenti di pianificazione territoriale (�il piano di bacino ha valore di 
piano territoriale di settore�) ed anche di programmazione di molteplici attivit� 
delle amministrazioni pubbliche (realizzazione di talune categorie di opere 
pubbliche, utilizzazioni dei demani idrici forestali etc., conservazione del suolo 
e salvaguardia dell'ambiente, ed altre) ed anche, � ove trattasi di prescrizioni 
dichiarate di tale efficacia (vincolante) dallo stesso piano di bacino�, dei 
soggetti privati. 
I piani di bacino di rilievo nazionale sono approvati con decreto del Presidente 
del Consiglio dei Ministri; la regione Veneto e le due province autonome 
hanno dubitato della legittimit� costituzionale degli airtt. 17 e 18 della legge 
anzidetta. La Corte ha superato i dubbi, riguardanti le inevitabili interferenze 
in ambiti di competenza regionale (e delle province) valorizzando la � contemporanea 
qualifica come atti di indirizzo e coordinamento � resa esplicita dal 
riferimento all'art. 81, primo comma, lettera a) del d.P .R. n. 616 del 1977. 
La pronuncia appare di notevole importanza anche perch� necessariamente 
eleva quest'ultima disposizione a principio fondamentale (od addirittura a principio 
generale dell'ordinamento) operante pure nei confronti delle regioni (e 
province) a statuto speciale; il principio in questione ( � codificato � nel citato 
art. 81) ha una portata molto ampia, che non si esaurisce nell'occorrente alla 
difesa del suolo e pu� estendersi ad ogni aspetto delle � politiche del territorio �. 
Resta il fatto che finora lo Stato non ha in concreto esercitato, nel settore 
organico di materie di che trattasi, la funzione di indirizzo e coordinamento. 

(5) Affermazione di persino ovvia esattezza sul piano giuridico; e per� di 
notevole significato, se solo si considera quanto frequentemente talune c.d. 
norme interposte sono invocate perch� reputate (ingiustificatamente) � pi� forti � 
di sopravvenute disposizioni legislative statali, alle quali invece si vorrebbe 
negare l'idoneit� ad operare alla stregua di � nuove � norme interposte. L'argomento 
meriterebbe una accurata analisi e concettuale e storica. 
(6) Principio di cospicua importanza, e che parrebbe suscettibile di sviluppi. 
II controllo non pu� essere raffigurato come modalit� a s� stante (e 
totalmente separata) di confronto e di collaborazione; del resto, gi� da tempo 
sono state rilevate le connessioni tra controllo ed indirizzo (cfr. Atti del XXIX 
Convegno di Varenna, 1979). 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Il potere di sostituzione di organi statali a quelli regionali deve avere 
una base legale, deve essere strumentale all'adempimento di obblighi o 
al perseguimento di interessi tutelati costituzionalmente come limiti all'autonomia 
regionale, dev'essere esercitato da un'autorit� di governo, deve 
essere assistito da garanzie ispirate al principio della � leale cooperazione 
� e, infine, deve riguardare attivit� sottoposte a termini perentori o 
la cui mancanza metterebbe in serio pericolo la cura di interessi affidati 
alla responsabilit� finale dello Stato. Nei casi disciplinati dalla legge 

n. 183 del 1989 ricorrono tutti i predetti requisiti. Peraltro, va dichiarata 
l'illegittimit� costituzionale dell'art. 15, quarto comma, nonch� dell'art. 20, 
comma quarto, nella parte in cui non prevedono un congruo preavviso 
alla regione (o provincia autonoma) interessate in ordine all'adozione 
degli atti sostitutivi ivi previsti. 
(omissis) L'art. l, quinto comma, il quale prevede che �le disposizioni 
della presente legge costituiscono norme fondamentali cli riforma 
economico-sociale, nonch� principi fondamentali ai sensi dell'art. 117 della 
Costituzione �, � oggetto cli impugnazione da parte cli tutte le ricorrenti. 
A loro avviso, infatti, non ,potrebbe ammettersi una duplice e diversa 
qualificazione delle stesse disposizioni e, in ogni caso, tali qualificazioni 
non potrebbero essere indiscriminatamente estese a tutte le norme contenute 
nella legge, comprese quelle cli dettaglio. 

Nei termini appresso indicati la questione non � fondata. 

� affermazione costante di questa Corte (sentt. nn. 219 del 1984, 192 
del 1987 e 1002 del 1988) che la qualificazione di una legge o cli alcune 
sue disposizioni come principi fondamentali della legislazione statale o 
come norme fondamentali di riforma economico-sociale non pu� cliscen� 
dere soltanto da apodittiche affermazioni del legislatore stesso, ma deve 
avere una puntuale rispondenza nella natura effettiva delle disposizioni 
interessate, quale si desume dal loro contenuto normativo, dal loro og� 
getto, dal loro scopo e dalla loro incidenza nei confronti di altre norme 
dell'ordinamento o dei rapporti sociali disciplinati. Se, dunque, l'autoqualificazione 
di per s� non � determinante, appare conseguentemente 
irrilevante anche la duplice e divergente autodefinizione contenuta nell'articolo 
impugnato, tanto pi� che, riferita a tutta la legge, una cli esse 
potrebbe riguardare alcune disposizioni e la seconda altre distinte disposizioni. 


La Regione Veneto e la Provincia autonoma di Bolzano contestano 
la legittimit� costituzionale dell'art. 3, secondo comma, il quale stabili� 
sce che le attivit� di pianificazione, di programmazione e di attuazione, 
previste dallo stesso articolo e deliberate ai sensi del successivo art. 4, 
primo comma, �sono svolte (...) secondo criteri, metodi e standards, 
nonch� modalit� di coordinamento e di collaborazione tra i soggetti 
pubblici comunque competenti al fine, fra l'altro, di garantire omoge


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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

neit� di: a) condizioni di salvaguardia della vita umana e del territorio, 
ivi compresi gli abitati e i beni; b) modalit� di utilizzazione delle risorse 
e dei beni, e di gestione dei servizi connessi �. Secondo le ricorrenti, tali 
disposizioni contravverrebbero ai requisiti minimi costituzionalmente posti 
in ordine allo svolgimento della funzione governativa di indirizzo e 
coordinamento. 

La questione non � fondata. 

La legge n. 183 del 1989 predispone un'articolata disciplina v�lta al 
raggiungimento degli obiettivi della difesa del suolo, del risanamento 
delle acque, della fruizione e della gestione del patrimonio idrico per gli 
usi di razionale sviluppo economico e sociale, nonch� della tutela degli 
aspetti ambientali ad essa connessi (art. l, comma primo). Si tratta, in 
sostanza, di una legge che, come riconoscono l'Avvocatura dello Stato 
e alcune delle ricorrenti, non si propone in via principale di stabilire 
una nuova ripartizione di materie e di competenze fra Stato e regioni 
(o province autonome), ma fissa piuttosto un obiettivo -la difesa del 
suolo -da raggiungere attraverso una complessa pianificazione dei settori 
materiali coinvolti. In altre parole, la legge contestata pone molteplici 
obiettivi imperniati sulla difesa del suolo, per il perseguimento dei 
quali, fermo restando nella sostanza il quadro generale di ripartizione 
delle competenze fra Stato e regioni (o province autonome) stabilito da 
vari articoli del d.P.R. n. 616 del 1977 (o delle norme di attuazione), si 
prevede un'articolata pianificazione degli interventi (piani di bacino), una 
programmazione dei finanziamenti (programmi triennali d'intervento), la 
creazione di nuove istituzioni (centrali e periferiche) di supporto per i 
predetti interventi (Comitato di ministri; Comitato nazionale per la difesa 
del suolo e autorit� di bacino), la previsione di forme di collaborazione 
e di atti di indirizzo e coordinamento, la predisposizione di controlli 
e di atti sostitutivi in ordine agli adempimenti connessi alle attivit� 
di pianificazione e di programmazione e, infine, l'accollamento allo 
Stato di tutti i conseguenti oneri finanziari. 

In questo quadro, l'art. 3, mentre determina, al primo comma, le 
attivit� che dovranno essere oggetto nelle misure pianificatorie previste 
nella legge stessa (sistemazione, conservazione e recupero del suolo 
nei bacini idrografici; difesa, sistamazione e regolazione dei cor:si d'acqua; 
moderazione delle piene; limiti alle attivit� estrattive ai fini della 
tutela del suolo; etc.), stabilisce nel secondo comma -e cio� nel comma 
la cui contestazione � ora in discussione -che le predette programmazioni 
dovranno essere adottate con le procedure di cui al successivo 
art. 4 e secondo criteri, metodi, standards, modalit� di coordinamento 
e di collaborazione, tendenti al fine di garantire l'omogeneit� riguardo 
alle condizioni di salvaguardia della vita umana e del territorio e riguardo 
ai modi di utilizzazione delle risorse e dei beni, oltrech� di gestione 
dei servizi connessi. In s� considerata, quest'ultima disposizione 


16 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

non contiene alcuna lesione della sfera di autonomia costituzionalmente 
garantita alle ricorrenti, n� comporta alcuna violazione dei principi costituzionali 
in ordine alla funzione governativa di indirizzo e di coordinamento, 
dal momento che si limita a stabilire un potere di programmazione, 
giustificato dall'esigenza di perseguire uniformemente determinati 
obiettivi, senza toccare minimamente il problema della ripartizione 
delle relative competenze pianificatorie fra i vari � sogg~tti pubblici comunque 
competenti � e senza porre norme particolari sullo svolgimento 
della funzione governativa di indirizzo e coordinamento al di l� del semplice 
rinvio al successivo art. 4 (sul quale si veda il punto seguente). 
In sintesi, la mera previsione di programmi e di piani, finalizzati all'obiettivo 
della difesa del suolo e dei beni umani e naturali a ci� connessi, 
non pu� comportare, di per s�, alcuna forma di illegittimit� costituzionale. 


La Provincia autonoma di Bolzano dubita della legittimit� costituzionale 
dell'art. 4, primo comma, in quanto quest'ultimo prevederebbe poteri 
di indirizzo e coordinamento non rispettosi del principio di legalit� e 
delle procedure stabilite per il loro esercizio. 

La questione non � fondata. 

Va premesso, innanzitutto, che, a norma delle disposizioni impugnate, 
determinati atti, conseguenti all'esercizio di talune funzioni connesse 
alla disciplina della difesa del suolo, sono sottoposti all'approvazione del 
Presidente del Consiglio dei ministri (che li adotta con proprio decreto), 
previa deliberazione del Consiglio dei ministri e su proposta del 
Ministro dei lavori pubblici o del Comitato dei ministri previsto nel comma 
secondo dello stesso articolo. Molti di tali atti -e precisamente 
quelli indicati nelle lettere a), e) e d) -consistono in piani e programmi 
nazionali, nonch� in deliberazioni di metodi e di criteri per lo svolgimento 
degli stessi e delle connesse attivit� conoscitive e di controllo. 
Si tratta, in altre parole, di atti pi� comprensivi e pi� complessi di quelli 
di indirizzo e coordinamento, soprattutto perch� non interessano soltanto 
materie riservate alla competenza regionale (o provinciale) e non 
hanno, quindi, come propri destinatari soltanto le regioni o le province 
autonome, ma sono diretti all'insieme dei soggetti statali e regionali (o 
provinciali) coinvolti nella complessa opera finalizzata alla difesa del 
suolo (v. anche sentt. nn. 389 e 452 del 1989). Allo stesso modo non ricadono 
oggettivamente nell'ambito delle censure prospettate dalla ricorrente 
anche altre disposizioni -come quelle alle lettere b) ed e) che 
si riferiscono ad atti non riconducibili alla funzione di indirizzo e 
coordinamento: tali sono gli atti relativi alla delimitazione dei bacfui di 
rilievo nazionale e interregionale, i quali rimandano a una competenza 
gi� attribuita al Governo dall'art. 89 del d.P.R. n. 616 del 1977, nonch� 
gli atti di sostituzione in caso di inerzia persistente dei vari soggetti coinvolti 
nei processi pianificatori delineati dalla legge impugnata. Solo la 


17

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

lettera /) � rilevante ai fini della censura ora esaminata, in quanto sottopone 
all'approvazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, 
previa deliberazione del Consiglio dei ministri, � ogni altro atto 
di indirizzo e coordinamento nel settore disciplinato dalla presente 
legge�. 

Tuttavia, contrariamente a quanto suppone la ricorrente, quest'ultima 
disposizione non disciplina una determinata funzione di indirizzo e 
coordinamento, tanto che non stabilisce criteri o principi direttivi in 
relazione a una particolare materia o funzione, non prevede procedure, 
non fissa obiettivi o finalit� particolari. Essa �, pi� semplicemente, una 
disposizione analoga a quella contenuta, nell'art. 2, terzo comma, lett. d), 
della legge 23 agosto 1988, n. 400, volta a precisare, in funzione prevalentemente 
ricognitiva, che anche gli atti governativi di indirizzo e coordinamento 
occorrenti nel settore della difesa del suolo devono essere 
deliberati dal Consiglio dei ministri ed emanati con decreto del Presidente 
del Consiglio dei ministri. Sicch� non resta a questa Corte che 
pervenire sul punto alla medesima conclusione raggiunta nella sentenza 

n. 242 del 1989 e ribadire, in particolare, la peculiare posizione dell'autonomia 
costituzionale riconosciuta alla Provincia di Bolzano nei confronti 
della funzione di indirizzo e coordinamento (v. punto 8.2 della medesima 
pronunzia). 
La Regione Veneto e le Province autonome di Trento e Bolzano contestano 
la legittimit� ..costituzionale dell'art. 12 -che istituisce le autorit� 
di bacino di rilievo nazionale, ne determina le competenze e ne stabilisce 
la formazione -, ritenendolo illegittimo in quanto creerebbe nuove 
istituzioni statali in luogo di quelle regionali (o provinciali) attributarie 
delle medesime competenze. 

La questione non � fondata. 
Come si � precedentemente accennato, la legge n. 183 del 1989 � 
essenzialmente una legge di obiettivi, poich� la difesa del suolo � una 

finalit� il cui raggiungimento coinvolge funzioni e materie assegnate 
tanto alla competenza statale quanto a quella regionale (o provinciale). 
Essendo, dunque, un obiettivo comune allo Stato e alle regioni, la difesa 
del suolo pu� .essere perseguita soltanto attraverso la via della cooperazione 
fra l'uno e gli altri soggetti; le forme della cooperazione possono 
essere svariate, poich� oscillano dalla concorrenza (paritaria o 
non) delle due parti nella produzione del medesimo atto (intese, pareri, 
etc.) al coordinamento dell'esercizio delle rispettive funzioni, dalla 

possibilit� di utilizzazione di organi dell'altra parte alla creazione di 
� organi misti � in cui siano rappresentate, paritairiamente o non, le 
parti. Nel caso dell'impugnato art. 12, quest'ultima � la soluzione prescelta, 
dal momento che il governo dei bacini idrografici di rilievo 
nazionale � affidato ad � autorit� � appositamente costituite, alla cui 

llllr&11111111illlllrlllllll_,llllllJIJllllllllt��lll�I 



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RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

composizione concorrono sia rappresentanti statali che regionali � ~ provinciali). 


Di per s�,� l'istituzione di tali � organi misti � non pu� considerarsi 
costituzionalmente illegittima, dal momento che rientra fra le possibilit� 
che il legislatore ha di conformare la cooperazione fra Stato e regioni 
in relazione al perseguimento di obiettivi comportanti numerosi punti 
di interferenza e di intreccio tra competenze statali e competenze regionali. 
N� pu� dirsi che la creazione delle suddette istituzioni sia di 
per s� irragionevole, poich�, anzi, quando ricorrono ipotesi di discipline 
funzionalmente e materialmente complesse e di reti pianificatorie particolarmente 
articolate, appare tutt'altro che arbitrario prevedere istituzioni 
a composizione mista dirette a fungere da supporto di organizzazione 
e di direzione unitaria del complesso governo del settore. 

Secondo le ricorrenti, un ulteriore motivo di illegittimit� costituzionale 
deriverebbe dal rilievo che in tali � organi misti � la rappresentanza 
regionale sarebbe sistematicamente minoritaria. Questa affermazione 
�, in realt�, espressamente contraddetta dallo stesso art. 12, comma 
quinto, per quanto riguarda il Comitato tecnico, nel quale si raccolgono 
rappresentanti statali e rappresentanti regionali � in numero complessivamente 
paritetico � al fine di operare come organo di consulenza del 
Comitato istituzionale e, soprattutto, di provvedere all'elaborazione del 
piano di bacino. La tesi interpretativa prospettata dalle ricorrenti non pu� 
valere neppure per quanto riguarda il Comitato istituzionale, in relazione 
al quale, proprio perch� si tratta dell'organo che, oltre a stabilire i principi 
direttivi e i criteri per l'elaborazione dei piani interessanti gli specifici 
bacini idrografici, provvede alla loro approvazione e determina quali 
componenti del piano costituiscano interesse esclusivo delle singole regioni, 
si segue un criterio di composizione non meramente numerico o 
per quote, ma clipendente dalle competenze e dagli interessi incidenti 
sull'area considerata. ~ per tale motivo che il Comitato istituzionale � 
formato, oltrech� dai quattro ministri competenti, dai presidenti del1e 
regioni maggiormente interessate. Si tratta, in altre parole, di una composizione 
che non prestabilisce quale � componente � sia maggioritaria e 
quale no (come dimostra anche l'attuazione della legge che vede le 
regioni in � minoranza � solo in tre delle sei Autorit� dei bacini di rilievo 
nazionale), per il semplice fatto che ci� � irrilevante o, quantomeno secondario 
rispetto al criterio di composizione non irragionavolmente prescelto 
dal legislatore. 

Numerose censure proposte dalle ricorrenti prospettano la presunta 
violazione del principio costituzionale di cooperazione fra Stato e regioni. 

In relazione all'art. 4, primo comma, lett. a), la Regione Veneto solleva 
il dubbio se sia costituzionalmente legittimo che il Presidente del 
Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, stabilisca 
i metodi e i criteri, anche tecnici, per lo svolgimento delle attivit� 

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

conoscitive e pianificatorie di cui agli artt. 2 e 3 della stessa legge, nonch� 
per la verifica e il controllo dei piani ivi indicati, senza prevedere alcuna 
forma di collaborazione con le regioni. 

La questione non � fondata. 

La disposizione impugnata concerne il potere governativo di deliberare 
le linee essenziali relative ai metodi e ai criteri, anche tecnici, che devono 
essere seguiti nell'esercizio delle attivit� conoscitive, pianificatorie e di 
attuazione indicate, in via generale, dagli artt. 2 e 3 della stessa legge. 
Sull'esercizio di tale competenza statale le regioni possono influire attraverso 
il Comitato nazionale per la difesa del suolo -cio� attraverso un 
� organo misto >>, fra i cui componenti vi sono anche membri prescelti 
da ciascuna regione o provincia autonoma -, il quale ha un potere generale 
di proposta nei confronti del Ministero dei lavori pubblici (art. 6, 
settimo comma) cui spetta portare gli atti all'esame del Consiglio dei 
Ministri (art. 4, primo comma). Se si considera che, da un lato, per gli 
atti di indirizzo e coordinamento, i quali perseguono finalit� non lontane 
da quelle degli atti in esame, non sussiste una previsione generale di una 
qualche forma di cooperazio'i:ie con le regioni interessate, e che, dall'altro 
lato, lo svolgimento della competenza in questione ha ad oggetto le linee 
direttive pi� generali, che dovranno poi essere determinate nei piani elaborati 
dagli � organi misti � indicati nel numero precedente (ai quali, 
come si � gi� ricordato, partecipano le regioni interessate) la scelta del 
legislatore non pu� essere considerata irragionevole. 

La Regione Friuli-Venezia Giulia impugna l'art. 4, primo comma, 
lett. c) e d), argomentando che le predette disposizioni prevedono l'approvazione 
di programmi nazionali o di rilievo nazionale da parte del Presidente 
del Consiglio senza stabilire la necessit� dell'intesa con la regione 
stessa in relazione alle attivit� interferenti con quelle di competenza 
regionale, come invece sarebbe richiesto dall'art. 23 del d.P.R. 26 agosto 
1965, n. 1116 (norme d� attuazione dello Statuto speciale della regione 
Friuli-Venezia Giulia). Analoghe censure sono mosse dalla Regione 
Veneto e dalle Province autonome di Trento e di Bolzano in relazione 
all'art. 22, primo comma, che prevede l'adozione dei programmi di intervento 
da parte dei Comitati istituzionali senza esigere un parere della 
singola regione o provincia interessata. 

Le questioni non sono fondate. 

In realt�, n� la norma di attuazione invocata dalla Regione FriuliVenezia 
Giulia n� altre prevedono alcuna intesa o parere delle singole 
regioni (o province) interessate. Ed, in verit�, non � irragionevole che 
cos� sia, in quanto i piani e i programmi considerati dalle disposizioni 
impugnate comportano interventi, anche statali, comunque incidenti -nel 
territorio di pi� regioni. Pertanto, non � arbitrario che la legge n. 183 
del 1989 preveda per quei piani forme di cooperazione quali gli �organi 


20 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

misti � di cui al punto n. 6, che permettono un confronto anche fra le 
varie regioni interessate. (omissis) 

La Regione Veneto e le Province autonome di Trento e di Bolzano 
contestano la legittimit� costituzionale degli artt. 17 e 18, i quali, nel 
prevedere i piani di bacino e nel sovraordinarli a ogni altra funzione 
regionale (o provinciale), violerebbero le competenze che le ricorrenti 
posseggono in materia di assetto del territorio, di opere di difesa, di 
utilizzo delle risorse idriche e di disciplina dell'estrazione di materiali. 
Per la sola Provincia di Trento le disposizioni appena citate, in combinato 
disposto con quelle contenute negli artt. 25 e 31, sarebbero altres� 
lesive dell'autonomia finanziaria della provincia stessa, in quanto porrebbero 
vincoli alle spese in materie di competenza provinciale. 

Nei termini di seguito indicati, la� questione � infondata. 

Le censure delle ricorrenti nascono dalla imprecisa formulazione dell'art. 
17, che, al primo comma, assegna ai piani di bacino il valore di 
piano territoriale di settore e, al secondo comma, li definisce come atti 
di indirizzo e di coordinamento ai sensi dell'art. 81, primo comma, lett. a), 
del d.P.R. n. 616 del 1977. In realt�, n� l'un� n� l'altra qualificazione rispondono 
perfettamente all'effettiva natura dei predetti piani, quale si 
desume dalla disciplina delineata dalla legge n. 183 del 1989. Come si � 
gi� precisato, la complessiva natura dei piani di bacino non pu� essere 
ridotta a quella degli atti di indirizzo e coordinamento, in quanto si 
tratta di atti che interessano anche competenze statali (ad esempio, le 
opere idrauliche di seconda categoria) e che, quindi, si dirigono anche 
ad uffici ed enti dello Stato. Pi� in particolare, si tratta di piani esclusivamente 
finalizzati alla � difesa del suolo �, e cio�, come risulta dai lavori 
delle varie commissioni di studio ministeriali e parlamentari preparatorie 
della legge impugnata, finalizzati alla conservazione dinamica del suolo 
attraverso l'imposizione di vincoli e di opere di carattere idraulico, 
idroulico-agrario e forestale. In altre parole, i piani di bacino contengono 
varie prescrizoni dirette alla preservazione e alla salvaguardia del suolo 
e dell'attitudine di questo ad essere utilizzato a fini produttivi e civili 
rispetto alle cause di aggressione dovute alle acque meteoriche, fluviali 
e marine o a qualsisi altro fattore meteorico. Come tali, essi non si 
svolgono attraverso misure e opere inerenti alle competenze urbanistiche 

o a quelle della protezione civile ovvero a quelle attinenti ad altre competenze 
regionali o provinciali, quali le cave e miniere, l'agricoltura o 
la tutela del paesaggio e dell'ambiente, anche se indubbiamente incidono 
o interferiscono nei confronti di ciascuna di queste attribuzioni. 
In base a questa loro natura, i piani di bacino vengono equiparati 
ai piani territoriali di settore, non gi� per significare che si tratta di 
strumenti inerenti alla disciplina urbanistica (di competenza regionale 

o provinciale), ma semplicemente al fine -esplicitato dall'art. 17, comma 
quinto -, di stabilire che i vincoli posti dal predetto piano obbligano 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONAJ.E 

immediatamente le amministrazioni e gli enti pubblici (statali e regionali), 
i quali sono tenuti ad osservarli e ad operare in conseguenza. Allo stesso 
modo, la loro contemporanea qualifica come atti di indirizzo e di coordinamento 
sta semplicemente a significare che, quando i vincoli posti dai 
predetti piani incidono su materie di competenza regionale o provinciale, 
questi devono mantenersi entro i limiti imposti alla funzione di indirizzo 
e coordinamento e, in particolare, a quella prevista dall'art. 81, primo 
comma, lett. a), del d.P.R. n. 616 del 1977. 

Questa interpretazione appare pi� in armonia con la natura complessa 
del piano di bacino e con la sua efficacia diversificata in relazione alle 
prescrizioni di interesse regionale (v. spec. artt. 12, quarto comma, lett. e 
e 18, primo comma, lett. b). Nello stesso tempo, il carattere vincolante 
delle prescrizioni idrogeologiche o, comunque, finalizzate alla difesa del 
suolo � legato all'esigenza logica che il fine conservativo dei piani di 
bacino sia pregiudiziale e condizionante rispetto agli usi del territorio a fini 
urbanistici, civili, di sfruttamento dei materiali e di produzione. L'indubbia 
interferenza che si realizza tra i piani di bacino e questi ultimi 
usi, rientranti nell'ambito di competenze regionali o provinciali, dava 
luogo nel d.P.R. n. 616 del 1977 a forme cooperative imperniate sull'intesa 
fra Stato e regioni (o province autonome) (v. artt. 81 e 89). La legge 

n. 183 del 1989, come si � gi� detto, ha invece non arbitrariamente prescelto 
forme cooperative diverse, pi� adeguate alla complessit� della rete 
pianificatoria in essa prevista. 
Considerazioni analoghe a quelle svolte in relazione al richiamo all'art. 
81 del d.P.R. n. 616 del 1977 valgono anche nei confronti della censura 
promossa dalla Provincia autonoma di Trento in relazione all'efficacia 
dei programmi triennali prevista dall'art. 22, comma sesto. 

Una volta riconosciuta come costituzionalmente non illegittima una 
programmazione degli interventi per piani di bacino, i vincoli che ne 
derivano sul piano della spesa provinciale sono una conseguenza necessaria 
di quella programmazione, in quanto non avrebbe alcun senso consentire 
alla provincia di spendere liberamente somme che sono state 
ripartite tra le Amministrazioni dello Stato e le province autonome (o 
regioni) tenendo conto delle priorit� indicate nei singoli programmi (articolo 
25, terzo comma). 

Non fondata �, inoltre, la censura prospettata dalla Regione Veneto 
nei confronti all'art. 35, il quale, in relazione a quanto previsto dall'art. 17, 
comma terzo, lett. e), stabilisce che i piani di bacino possono individuare 
� gli ambiti territoriali ottimali per la gestione mediante consorzio obbligatorio 
dei servizi pubblici di acquedotto, fognatura, collettamento e 
depurazione delle acque usate�. Da questa disposizione, infatti, non pu� 
derivare alcuno sconvolgimento delle competenze regionali in ordine alla 
definizione degli ambiti territoriali e alla costituzione di consorzi per 
la gestione di servizi pubblici, per il fatto che essa si limita a prevedere 


22 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

la possibilit� per il piano di bacino di prefigurare gli ambiti territoriali 
ottimali per la gestione dei servizi anzidetti senza stabilire alcuna ripartizione 
di competenza e senza imporne l'attuazione alle regioni o alle 
province autonome. Di per s�, dunque, l'art. 35 non pu� esser considerato 
lesivo di competenze regionali. 

Priva di qualsiasi fondamento � anche la censura proposta contro 
l'art. 25, quinto comma, dalla Regione Friuli-Venezia Giulia, per la quale 
la previsione del parere obbligatorio del Consiglio superiore dei lavori 
pubblici in relazione ad opere rientranti nelle competenze regionali lede� 
rebbe la sfera di autonomia costituzionalmente garantita alle regioni 
medesime. In realt�, la previsione di un parere obbligatorio, ma non vincolante, 
che deve essere prestato da un organo statale di natura tecnica 
in ordine a opere che le regioni dovranno realizzare nell'esercizio delle 
loro competenze, ma che rivestono anche � grande rilevanza tecnicoidraulica 
pr la modifica del reticolo idrografico principale e del demanio 
idrico �, non pu� esser� considerato un onere irragionevole all'esercizio 
delle proprie competenze. Per tale motivo, la sfera di autonomia costituzionalmente 
attribuita alla Regione Friuli-Venezia Giulia non pu� considerarsi 
lesa dall'art. 25, quinto comma. 

Non fondate sono le questioni proposte contro gli artt. 13, 14, terzo 
comma, 15, secondo comma, e 16, secondo comma. 

La Regione Veneto e la Provincia autonoma di Trento contestano 
la legittimit� costituzionale dell'art. 13 sulla classificazione dei bacini 
idrografici e sulla loro delimitazione assumendo che la legge n. 183 del 
1989, nel modificare il d.P.R. n. 616 del 1977, si porrebbe in contrasto con 
norme di rango superiore in quanto adottate in attuazione di un preciso 
dovere costituzionale. Questa interpretazione non pu� essere condivisa, 
poich�, anche se il d.P.R. n. 616 del 1977 deve essere considerato un atto 
legislativo adottato in immediata attuazione della Costituzione, non pu� 
per ci� stesso ritenersi che sia dotato di una forza o di un valore di 
legge peculiare o superiore a quello delle leggi ordinarie (v. spec. sent. 

n. 188 del 1984). Ed in effetti, se il rapporto di immediata attuazione 
con la Costituzione pu� portare a considerare le disposizioni del d.P.R. 
n. 616 del 1977 come norme interposte suscettibili di integrare il significato 
dei parametri costituzionali, esso non pu� avere alcuna influenza 
sulla determinazione del rango o del valore formale delle stesse disposizioni, 
tanto che queste ultime, non possono fungere da autonomo parametro 
nei giudizi di legittimit� costituzionale. Da ci� consegue che leggi 
ordinarie successive ben possono modificare disposizioni contenute nel 
d.P.R. n. 616 del 1977 e ripartire diversamente le competenze assegnate 
o delegate alle regioni con quel decreto. 
Per le considerazioni ora fatte, che valgono a maggior ragione quando 
le nuove disposizioni di legge mantengono ferme le competenze gi� assegnate 
alle regioni o ne trasferiscono (o promettono di trasferirne) di 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

nuove, vanno rigettate anche le censure prospettate dalla Regione FriuliVenezia 
Giulia e dalla Provincia autonoma di Trento contro l'art. 14, 
comma terzo, nonch� dalla sola Regione Friuli-Venezia Giulia contro gli 
artt. 15, comma secondo, e 16, comma secondo. 

Parimenti non fondata � la questione proposta dalla Regione Veneto 
nei confronti dell'art. 14, terzo comma, laddove si sottopone la regione 
a decisioni del Ministro dei lavori pubblici in merito a competenze amministrative 
da esercitare in materia di opere idrauliche o di polizia 
idraulica in ordine ai corsi d'acqua compresi nel proprio territorio. Non 
si pu�, infatti, condividere l'interpretazione proposta dalla ricorrente, secondo 
la quale l'art. 14, terzo comma, sarebbe un segno della riduzione 
della regione a puro organo esecutivo della pianificazione statale, dal 
momento che la disposizione impugnata, riprendendo valutazioni gi� svolte 
dalla c.d. Commissione Giannini., appare rivolta a superare i preesistenti 
criteri di ripartizione delle competenze tra Stato e regioni in materia 
di opere idrauliche, basati sulla categoria delle opere stesse. 

Le Province autonome di Trento e di Bolzano contestano la legittimit� 
costituzionale dell'art. 9, ottavo comma, lett. a), in quanto quest'ultimo 
costituirebbe un illegittimo esercizio della funzione di indirizzo e 
coordinamento allorch� affida al Consiglio dei direttori il coordinamento 
dei servizi tecnici provinciali. 

La questione non � fondata. 

Nell'affidare al Consiglio dei dirittori, istituito nel comma precedente, 
il coordinamento dell'attivit� svolta dai singoli servizi tecnici, compresi 
quelli trasferiti alle province autonome, l'art. 9, ottavo comma, lett. a), 
imputa a quell'organo tecnico una funzione che non pu� essere ricondotta 
all'indirizzo e coordinamento politico-amministrativo, ma che va collegata 
al distinto concetto di coordinamento tecnico. Si tratta di una nozione 
che, come questa Corte'ha altre v�lte affermato (v. sentt. nn. 924 del 1988 
e 242 del 1989), non � disciplinata dalle regole proprie della funzione di 
indirizzo e coordinamento politico-amministrativo e, in particolare, non 
esige il rispetto delle norme procedurali attinenti allo svolgimento della 
predetta funzione. 

L'art., 9, comma nono, lett. a) e b) � impugnato dalla Provincia di 

Bolzano, in quanto, prevedendo la delega per la riorganizzazione dei 

servizi tecnici nazionali ivi indicati (lett. a) e per la fissazione dei criteri 

generali per il coordinamento dell'attivit� dei servizi tecnici stessi (lett. b), 

lederebbe le competenze in materia di ordinamento dei propri uffici che 

la ricorrente possiede riguardo ai servizi tecnici del medesimo tipo ad 

essa trasferiti. 

La questione non � fondata. 

Mentre la disposizione ricompresa nella lett. b) concerne attivit� di 

coordinamento tecnico che, per le ragioni esposte nel punto precedente, 

non possono non esser ricondotte al Governo e alla sua potest� regola



24 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
mentare, la disposizione di cui alla lett. a) riguarda espressamente il 
24 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
mentare, la disposizione di cui alla lett. a) riguarda espressamente il 
riordinamento dei servizi tecnici nazionali, tanto centrali che periferici, 
e, pertanto, non si vede come i futuri regolamenti possano riguardare 
uffici della Provincia di Bolzano. 

La Regione Friuli-Venezia Giulia contesta la legittimit� costituzionale 
dell'art. 4, primo comma, lettere a) ed e), nonch� terzo comma, in quanto 
contrasterebbe, con l'art. 58 dello Statuto speciale, che, a suo giudizio, con 
la previsione del solo controllo di legittimit� sugli atti amministrativi 
regionali da parte della Corte dei conti, escluderebbe la ammissibilit� di 
qualsiasi altro controllo. 

La questione non � fondata. 

L'interpretazione che la ricorrente d� dell'art. 58 dello Statuto friulano 
non pu� essere accolta, poich� la previsione di una determinata 
forma di controllo di legittimit� su singoli atti non pu� essere minimamente 
considerata come preclusiva di altri tipi di controllo, come quelli 

previsti dalla disposizione impugnata. 

Per analoghi motivi va rigettata la questione prospettata dalla Regione 
Veneto in ordine alla pretesa violazione dell'art. 125 della Costituzione 
da parte dell'art. 21, comma terzo, il quale, nel prevedere che le 

regioni., previo parere del comitato di bacino, possano provvedere con 
propri stanziamenti alla realizz�zione di opere e di interventi previsti dai 
piani di bacino di rilievo nazionale, sottopone il loro operato al controllo 
del predetto comitato. Quest'ultima disposizione � impugnata anche dalle 
Province di Trento e di Bolzano sul presupposto dell'illegittimit� di qualsiasi 
controllo di organi statali su attivit� provinciali svolte nell'esercizio 
della propria competenza e a carico delle proprie finanze. 

La questione non � fondata. La disposizione impugnata prevede che 
anche sulle opere eseguite dalle regioni o dalle province autonome in 
attuazione dei piani di bacino di rilievo nazionale si estenda la vigilanza 
del Comitato istituzionale, al fine evidente di venire a conoscenza se il 
piano sia 'correttamente attuato e di acquisire informazioni circa la redazione 
dei piani futuri, la cui adozione, come si � gi� detto spetta al suddetto 
Comitato. Si tratta, dunque, di controlli strettamente strumentali al 
potere di pianificaz�one degli organi delle Autorit� di bacino di rilievo 
nazionale di cui � stata gi� esclusa la illegittimit� costituzionale. 

Le province autonome di Trento e di Bolzano contestano la legittimit� 
costituzionale dell'art. 4, primo comma, lett. e), osservando che il 
potere sostitutivo ivi previsto non risponderebbe ai requisiti costituzionali 
pi� volte indioati da questa Corte. 

La questione non � fondata. 

La disposizione impugnata stabilisce semplicemente quali siano gli 
organi competenti a deliberare sui vari atti sostitutivi previsti nella 
legge n. 183 del 1989, individuandoli nel Consiglio dei ministri quale 
organo decisionale e nel Presidente del Consiglio dei ministri quale 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 25 

organo di emanazione. Essa, tuttavia, non istituisce un particolare potere 
di sostituzione, tanto che non indica le ipotesi specifiche in cui quello 
deve essere esercitato, n� disciplina l'intero procedimento per l'adozione 
dei relativi atti, ma si limita, piuttosto, a prevedere in via generale un 
potere di sostituzione da esercitare ogni volta che vi sia una persistente 
inattivit� dei vari soggetti coinvolti nella complessiva rete pianificatoria 
delineata dalla legge impugnata (regioni, province, comuni, comunit� 
montane, consorzi di bonifica ed irrigazione e di bacino imbrifero montano) 
in relazione a funzioni o attivit� da svolgere entro termini essenziali o 
per loro natura improcrastinabili. In riferimento agli aspetti disciplinati 
dalla fattispecie legislativa considerata (deliberazione governativa, presupposto 
della persistente inerzia dell'organo competente, inserimento in 
procedimenti pianificatori, improcrastinabilit� dell'adempimento), il potere 
sostitutivo previsto � pienamente conforme ai requisiti costituzionali pi� 
volte indicati da questa Corte (v. seiltt. nn. 153 e 294 del 1986, 177 del 1988, 
101 del 1989). Sicch� non hanno ragion d'essere le censure proposte dalle 
ricorrenti. 

La Regione Veneto e le Province autonome di Trento e di Bolzano 
contestano la legittimit� costituzionale dell'art. 18, secondo comma, per 
il quale, in caso di inerzia in ordine agli adempimenti regionali, il Presidente 
del Consiglio, sentito il Comitato istituzionale di bacino,� assume i 
provvedimenti necessari per garantire comunque lo svolgimento delle 
procedure e l'adozione degli atti necessari per la formazione dei piani di 
bacino di rilievo nazionale, ivi compresa la nomina di commissari ad acta. 
Secondo le ricorrenti tale potere di sostituzione non sarebbe conforme ai 
principi costituzionali vigenti in materia e pi� volte affermati da questa 
Corte e, in particolare, non rispetterebbe il requisito della necessaria 
previa deliberazione del Consiglio dei ministri, prescritta dall'art. 2, terzo 
comma, lettera f) della legge n. 400 del 1988. 

Le questioni non sono fondate nei sensi di cui in motivazione. Come 
si � ricordato nel punto precedente, questa Corte ha pi� volte affermato 
che, in materia di sostituzione di organi statali a quelli regionali 
in relazione al compimento di particolari adempimenti, il relativo potere 
deve avere una base legale, deve essere strumentale all'adempimento di 
obblighi o al perseguimento di interessi tutelati costituzionalmente come 
limiti all'autonomia regionale, dev'essere esercitato da un'autorit� di governo, 
deve essere assistito da garanzie ispirate al principio della � leale 
cooperazione � e, infine, deve riguardare attivit� sottoposte a termini 
perentori o la cui mancanza metterebbe in serio pericolo la cura di 
interessi affidati alla responsabilit� finale dello Stato. Nei casi disciplinati 
dalle disposizioni impugnate ricorrono tutti i predetti requisiti, 
compreso quello del termine per il compimento dell'attivit�, che � implicato 
dal primo comma, lett. a), del medesimo articolo, il quale prevede 
che il Comitato istituzionale, insieme alla proposta del piano di bacino, 

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26 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

approvi una deliberazione contenente la fissazione dei termini alla regione 
per l'adozione dei provvedimenti di sua competenza. Per quanto 
riguarda, poi, la pretesa mancata deliberazione del Consiglio dei ministri 
m ordine alle sostituzioni previste, � sufficiente ricordare che tutti gli 
atti sostitutivi previsti dalla legge n. 183 del 1989 devono essere adottati 
in base alla procedura stabilita dall'art. 4, primo comma, della stessa 
legge, che prevede, fra l'altro, la predetta deliberazione. Infine, per quanto 
riguarda le garanzie procedurali di �leale cooperazione�, occorre precisare 
che l'art. 18, secondo comma, stabilisce che il Presidente del 
Consiglio deve .Previamente sentire il Comitato istituzionale, di cui fa 
parte il Presidente della regione (o provincia autonoma) interessata. 

La Provincia autonoma di Trento dubita della legittimit� costituzionale: 
a) dell'art. 15, quarto comma, che, nel caso di mancata intesa, 
entro un anno, fra le regioni (o province autonome) interessate ad un 
bacino di rilievo interregionale, prevede l'istituzione degli organi di 
bacino da parte del Presidente del Consigilo dei ministri; b) dell'art. 20, 
commi secondo, terzo e quarto, il quale prevede, per i bacini di rilievo 
regionale che possono interessare pi� regioni, un potere sostitutivo del 
Presidente del Consiglio dei ministri, sentito il Comitato nazionale per 
la difesa del suolo. 

Le questioni vanno parzialmente accolte. 

Anche se per i motivi addotti nel punto precedente il potere sostitutivo 
oggetto dell'attuale impugnazione risponde a tutti gli altri elementi 
costituzionalmente richiesti, non v'� traccia nelle disposizioni impugnate 
del requisito delle garanzie procedurali ispirate al principio della 
leale cooperazione. Mentre nell'art. 15, quarto comma, manca del tutto 
qualsiasi preavviso alle regioni (o province autonome) inadempienti, nell'art. 
20, quarto comma, invece, esso � venuto meno a seguito di una 
modifica legislativa introdotta successivamente all'entrata in vigore della 
legge n. 183 del 1989. L'art. 20, quarto comma, dispone, infatti, che per 
l'adozione dell'atto di sostituzione ivi previsto il Presidente del Consiglio 
debba previamente sentire il Comitato nazionale per la difesa del suolo, 
di cui facevano parte i presidenti di tutte le regioni e province autonome. 
Tuttavia, a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 5 del decreto legislativo 
16 dicembre 1989, n. 418, la partecipazione dei suddetti presidenti in 
organi del tipo del citato Comitato � sostituita con quella di un pari 
numero di esperti scelti, di norma, fra i funzionari delle regioni e delle 
province autonome. Da qui consegue che la previa audizione dell'anzidetto 
Comitato non pu� pi� fungere da preavviso nei confronti della regione 
(o provincia autonoma) interessata. Va, pertanto, dichiarata l'illegittimit� 
costituzionale dell'art. 15, quarto comma nonch� dell'art. 20, comma 
quarto, nella parte in cui non prevedono un congruo preavviso alla 
regione (o provincia autonoma) interessate in ordine all'adozione degli ;::: 

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atti sostitutivi ivi previsti. V 

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

La Provincia autonoma di Bolzano dubita della legittimit� costituzionale 
degli artt. 9, nono comma, lett. e) e commi successivi, 12, comma 
5 e seguenti e 24, primo comma, in quanto, nel disciplinare, rispettivamente, 
i ruoli e il trattamento del personale dei servizi tecnici, nonch� 
gli uffici periferici delle autorit� di bacino e la rideterminazione delle 
dotazioni organiche, violerebbero, per la parte in cui si riferiscono alle 
competenze trasferite alla provincia stessa, le speciali norme sul bilinguismo 
e sulla proporzionale etnica nel pubblico impiego. 

~e questioni non sono fondate. Questa Corte ha gi� affermato (v. sentenza 
n. 571 del 1988, nonch� anche n. 1145 del 1988) che non � necessario 
che ogn� legge la quale disciplini in generale problemi di personale 

o di accesso nei pubblici uffici richiami espressamente, laddove si riferisca 
all'ordinamento della Provincia di Bolzano, le norme statutarie sul 
bilinguismo e sulla proporzionale etnica, le quali trovano applicazione 
indipendentemente dai predetti richiami. Tanto pi� ci� � vero quando 
si � in presenza, come nel caso, di una legge che contiene una disciplina 
generale, la quale, lungi dal voler restringere le pi� ampie competenze 
delle regioni a statuto speciale o delle province autonome, tende a modellare 
le proprie norme, per ragione di brevit�, sulle competenze proprie 
delle regioni a statuto ordinario. 
Analoga argomentazione e analoga conclusione debbono farsi in 
ordine ad altre censure mosse dalla Provincia autonoma di Bolzano nei 
confronti degli artt. 10, 24, primo comma, 35, e 32, primo "comma (quest'ultimo 
� impugnato pure dalla Provincia di Trento), che, secondo la ricorrente, 
pretenderebbe di disciplinare materie le quali sono (parzialmente) 
trasferite alla provincia stessa, in base a norme di attuazione dello 
Statuto non espressamente richiamate dalle disposizioni impugnate. Anche 
in tali casi, infatti, la mancanza di un'espressa clausola di salvezza delle 
pi� ampie competenze riservate in materia alle regioni speciali e alle 
province autonome non pu� significare che si sia tentato, illegittimamente, 
di ridurre, o comunque modificare, le competenze stesse, quando, 
come nelle ipotesi considerate, non si riscontra un puntuale contrasto 
con le disposizioni poste dalle norme di attuazione in base alla loro separata 
e riservata competenza (v. sentt. nn. 180 del 1980, 237 del 1983, 451 
del 1988). (omissis) 


SEZIONE SECONDA 

GIURISPRUDENZA COMUNITARIA 
E INTERNAZIONALE 


CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, sed. plen., 2 febbraio 
1990, nella causa C -221/88 -Pres. Due -Avv. Gen. Mischo Domanda 
di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale di Brescia, 
sez. fall., nella causa CECA (ag. Traversa) c. Fall. Acciaierie e 
Ferriere Busseni s.p.a. (avv. Conti) -Interv.: Governo italiano (avv. 
Stato Braguglia). 

Comunit� Europee � CECA � Interpretazione del Trattato CECA e degli 
atti emanati in forza di esso � Rinvio pregiudiziale � Competenza 
della Corte di giustizia. 

(Trattato CECA, artt. 31 e 41). 

Comunit� Europee � CECA Raccomandazioni � Efficacia diretta � Limiti � 
Privilegio dei crediti CECA. 
(Raccomandazione della Commissione 13 maggio 1936, n. 86/198/CECA). 

Comunit� Europee � CECA � Privilegi dei crediti per prelievi della CECA � 
Decorrenza. 
(Trattato CECA, ' artt. 49 e 50; raccomandazione della Commissione 13 maggio 1986, 

n. 86/198/CECA, art. 4). 
La Corte di giustizia � competente a conoscere di un rinvfo pregiudiziale 
per interpretazione del trattato CECA o degli atti, fra cui le raccomandazioni, 
emanati in forza di esso (1). 

La raccomandazione della Commissione 13 maggio 1986 n. 86/198/ 
CECA va interpretata nel senso che, in mancanza di provvedimenti nazionali 
di attuazione, la CECA pu� far valere la raccomandazione, alla 
scadenza del termine per conformarvisi, nei confronti di uno Stato mem-. 
bro che non l'abbia attuata, purch� il riconoscimento del privi�gio ai 
suoi crediti abbia effetto solo nei riguardi di detto Stato, ponendo eventualmente 
questa Comunit� in concorso con esso, ma non comprima i 
diritti dei creditori diversi dallo Stato quali risulterebbero dalla disciplina 
nazionale sul concorso di creditori in assenza della raccomandazione 
(2). 

RACCOMANDAZIONE CECA: interpretazione ed efficacia. 

(1-3) :E! pienamente da condividere la statuizione di cui alla prima massima, 
con la quale la Corte di giustizia ha affermato la propria competenza ad inter� 
pretare le disposizioni del trattato CECA e degli atti derivati. 

Di particolare rilievo appare l'argomento sistematico sviluppato nei punti 10 
e 13 della motivazione, argomento che ha consentito alla Corte di superare, senza 
grande difficolt�, il tenore letterale dell'articolo 41 trattato CECA, secondo il 


PARTE I, SEZ. II, GIURISPR. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

29 

L'art. 4, secondo comma, della raccomandazione� va interpretato nel 
senso che, alle condizioni e con le riserve sopra precisate, la CECA pu� 
far valere il proprio privilegio per tutti i crediti da essa vantati nei confronti 
delle imprese a. titolo dei prelievi di cui agli artt. 49 e 50 del trattato 
CECA, qualunque sia la data in cui sono sorti, quando la loro am-� 
missione al passivo fallimentare sia ancora possibile secondo la disciplina 
nazionale sul concorso di creditori. L'art. 4, primo comma, della 
raccomandazione va interpretato� nel senso che il termine del 1� gennaio 
1988 ha natura perentoria e che la sua inosservanza costituisce una 
violazione del diritto comunitario (3). 

(omissis) 1. -Con ordinanza 28 aprile 1988, pervenuta alla Corte il 
4 agosto successivo, il Tribunale di Brescia ha proposto, ex art. 41 del 
trattato CECA, varie questioni pregiudiziali sull'interpretazione della raccom~
dazione della Commissione 13 maggio 1986 n. 86/198/CECA, relativa 
all'istituzione di un privilegio per i crediti derivanti dall'applicazione 
dei prelievi sulla produzione del carbone e dell'acciaio (G. U. 

n. L 144, pag. 40, in prosieguo: la raccomandazione). 
2. -Tali questioni sono state sollevate nell'ambito di una controversia 
fra la CECA e il Fallimento Acciaierie e Ferriere Busseni S.p.A. 
(in prosieguo: Busseni) in merito all'ammissione al passivo di detto fallimento, 
in via privilegiata, di alcuni crediti della CECA. 
3. -A seguito della dichiarazione di fallimento della Busseni, il 3 
febbraio 1987, la CECA ha chiesto l'ammissione al passivo per due crediti, 
l'uno, in via privilegiata, di 246.652.086 lire, a titolo di prelievi e 
maggiorazioni di mora, l'altro, in via chirografaria, di 4.480.192.938 lire, 
a titolo di ammende e maggiorazioni di mora 
quale alla Corte medesima apparterrebbe soltanto il potere di � ... giudicare, a 
titolo pregiudiziale, della validit� delle deliberazioni dell'Alta Autorit� e del Consiglio... 
�. Del resto, come la sentenza in rassegna non manca di notare, sembra 
arduo. ipotizzare l'attribuzione alla Corte del potere di giudicare la validit� 
delle suddette deliberazioni, escludendo per� il potere di (previamente) interpretarle. 


Alcuni dubbi si possono invece esprimere sulla soluzione di cui alla seconda 
massima. 

In effetti, durante la discussione l'Avvocatura generale, intervenuta in difesa 
del Governo, aveva cercato di dimostrare che, nel caso, si era in presenza di 
un � conflitto orizzontale � tra creditori del fallimento (la CECA da un lato e 
l'Amministrazione finanze dall'altro). Sicch� -secondo l'Avvocatura -non 
avrebbe potuto trovare applicazione la nota giurisprudenza della Corte sulla c.d. 
efficacia diretta di disposizioni di direttive aventi particolari caratteristiche 
(v., per tale giurisprudenza, il punto 22 della motivazione). Questa �efficacia 
diretta � sarebbe invero idonea a risolvere soltanto i conflitti verticali, tra 
amministrati e Stato sovrano, il quale abbia omesso di attuare la direttiva o 
l'abbia male attuata. In questo caso, l'amministrato pu� opporre allo Stato 



30 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

4. -Il giudice delegato ha respinto la richiesta della CECA di collocare 
al privilegio una parte dei suoi crediti, sul fondamento della raccomandazione. 
La CECA ha proposto allora opposizione dinanzi al Tribunale 
di Brescia. 
S. -Il tribunale ha considerato che in forza della raccomandazione 
gli Stati membri erano tenuti, entro e non oltre il 1� gennaio 1988, ad 
attribuire ai crediti derivanti dall'applicazione dei prelievi di cui agli 
artt. 49 e SO del Trattato CECA, lo stesso privilegio di cui godono i loro 
crediti fiscali e, nel caso di privilegi di ordine differente a seconda dell'imposta, 
lo stesso grado di privilegio conferito �i crediti dello Stato 
per l'imposta sul valore aggiunto. Poich� la Repubblica italiana non 
aveva emanato alcun provvedimento per conformarsi alla raccomandazione, 
il tribunale si � chiesto se in simile situazione questa potesse 
produrre direttamente nell'ordinamento giuridico italiano l'effetto di attribuire 
un privilegio ai crediti della CECA. 
6. -Ci� considerato, il tribunale ha posto alla Corte le seguenti 
questioni: 
� 1) Se la raccomandazione 13 maggio 1986 n. 86/198/CECA, nel 
prevedere (in ipotesi di procedure concorsuali (artt. 1 e 2) per gli Stati 
membri che attribuiscono ai crediti fiscali dello Stato stesso un privilegio 
su tutti i beni o su alcuni beni del contribuente, l'obbligo di attribuire 
lo stesso privilegio ai crediti derivanti dall'applicazione dei prelievi 
di cui agli artt. 49 e SO del trattato e, ove quegli Stati abbiano stabilito 
per i crediti fiscali privilegi generali o speciali di ordine differente 
a seconda dei singoli crediti di imposta, anche l'obbligo di attribuire 
ai prelievi CECA lo stesso grado di privilegio dell'imposta sul valore 
aggiunto, abbia valore diretto e immediato nello Stato membro e tale 

inadempiente, come eccezione, la disposizione della direttiva incondizionata e 

sufficientemente precisa e lo Stato inadempiente non pu� pretendere di veder 

applicata la propria legislazione contrastante, n� pu� rifugiarsi dietro la carenza 

legislativa. 

La Corte non ha disconosciuto tali principi quando si � trattato di stabilire 

se la raccomandazione in questione potesse esser fatta valere, in quanto tale, 

nei confronti dei singoli (altri creditori del fallimento). Essa ha per� -e ci� 

non appare condivisibile -equiparato lo Stato sovrano inadempiente (che non 

ha attuato per tempo la raccomandazione CECA) con lo Stato amministrazione, 

che invece avrebbe dovuto esser considerato alla stregua di ogni altro creditore 

del fallimento. Ed ha giudicato opponibile allo Stato amministrazione la norma 

ad efficacia diretta contenuta nella raccomandazione, diversamente da quanto 

ritenuto per i creditori �privati� (cfr. punti 25 e 26 della motivazione). 

Con il sostanziale risultato di attribuire alla norma della raccomandazione 

CECA, ad efficacia diretta, la funzione di risolvere un conflitto orizzontale tra 

�privati �, quali -nel caso -non possono non essere ritenuti sia la CECA 

che l'Amministrazione finanze. 

I.M.B. 
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PARTE I, SEZ. II, GIURISPR. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

da poter essere applicata dal giudice nazionale a prescindere da ogni 
ulteriore provvedimento di attuazione dello Stato destinatario, oppure, 
se detta Raccomandazione conservi (art. 15 trattato CECA) la propria 
natura di atto normativo che importa obbligo negli scopi ma libert� 
nei mezzi per gli Stati destinatari; 

2) se, nella ipotesi clfe la Raccomandazione citata abbia efficacia 
diretta e immediata, la sua applicabilit� deve ritenersi limitata ai crediti 
per prelievi sorti dopo la sua emanazione (11 maggio 1986) ovvero 
anche a quelli sorti per titolo antecedente; 

3) se, nella ipotesi in cui, al contrario, la Raccomandazione in pa� 
rola conserva il proprio valore di atto normativo che importa obbligo 
negli scopi ma libert� nei mezzi per gli Stati destinatari, il termine del 
1� gennaio 1988, posto dall'art. 4 agli Stati membri per conformarsi alla 
raccomandazione, abbia natura perentoria, onde, la sua violazione, in con� 
formit� degli insegnamenti posti dalla Giurisprudenza del Giudice delle 
Leggi, importi il sospetto di incostituzionalit� (per violazione dell'art. 11 
della Costituzione) della normativa sui privilegi l� ove non prevede la 
estensione del privilegio fiscale ai crediti per prelievi ex art. 49 e 50 del 
Trattato�. 

7. -Per una pi� ampia illustrazione degli antefatti della causa prin� 
cipale, dello svolgimento del procedimento nonch� delle osservazioni presentate 
alla Corte, si fa rinvio alla relazione d'udienza. Questi elementi 
del fascicolo sono richiamati solo nella misura necessaria alla comprensione 
del ragionamento della Corte. 
Sulla competenza della Corte. 

8. -Va immediatamente osservato che, al contrario di quanto sostiene 
la Busseni, l'atto che si chiede di interpretare non � un parere, ma 
una raccomandazione della Commissione emanata ex art. 14 del Trattato 
CECA, e quindi un atto che, secondo detta norma, importa un obbligo 
negli scopi che prescrive ma lascia ai destinatari la scelta dei mezzi 
atti a conseguirlo. Pertanto, gli argomenti della Busseni su tale punto 
sono in ogni caso privi di pertinenza. 
9. -Occorre tuttavia interrogarsi sulla competenza della Corte a conoscere 
di un rinvio pregiudiziale per interpretazione del Trattato CECA 
o degli atti emanati in forza di questo. 
10. -Gli artt. 31 del Trattato CECA, 164 del Trattato CEE e 146 del 
Trattato CEEA, nonostante differenze di redazione meramente formali fra 
il primo e gli altri due trattati, sono norme di identico tenore, secondo 
le quali la Corte assicura il rispetto del diritto nell'interpretazione e nell'applicazione 
di tali trattati. 

32 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

11. -Tuttavia, mentre i Trattati CEE e CEEA definiscono negli 
stessi termini, il primo all'art. 177 e il secondo all'art. 150, le condizioni 
di esercizio del potere della Corte di interpretare il diritto comunitario 
pronunziandosi sulle questioni pregiudiziali poste dalle giurisdizioni nazionali, 
i'l Trattato CECA non detta alcuna regola esplicita sull'esercizio 
di un p9tere d'interpretazione della Corte. 
12. -Per contro, il Trattato CECA prevede espressamente all'art. 41 
che � soltanto la Corte � competente a giudicare, a titolo pregiudiziale, 
della validit� delle deliberazioni dell'Alta Autorit� e del Consiglio, qualora 
una controversia proposta avanti a un tribunale nazionale metta in causa 
tale validit��. 
13. -Per quanto diverse nel tenore letterale, le disposizioni degli 
artt. 41 del Trattato CECA, 177 del Trattato CEE e 150 del Trattato CEEA 
-trattati succedutisi nel tempo, essendo stati conclusi il primo nel 1951 
e gli altri due nel 1957 -esprimono, tutte, la duplice esigenza di assicurare 
il meglio possibile l'uniforme applicazione del diritto comunitario 
e di istituire a tal fine un'efficace cooperazione �fra la Corte di giustizia 
e le giurisdizioni nazionali. 
14. -Occorre del resto rilevare il nesso esistente fra interpretazione 
e sindacato di validit�. Se �� vero che l'art. 41 del Trattato CECA menziona 
solo la competenza della Corte a giudicare a titolo pregiudiziale 
della validit� delle deliberazioni della Commissione e del Consiglio, � 
vero altres� che il sindacato di validit� di un atto implica necessariamente 
la sua previa interpretazione. Pronunziandosi, inoltre, sull'applicazione 
dell'art. 177 del Trattato CEE -ove il punto non � esplicitamente precisato 
-la Corte ha affermato che il potere di dichiarare l'invalidit� 
di un atto delle istituzioni comunitarie le � riservato (sentenza 22 ottobre 
1987, Foto Frost, 314/85, Racc. pag. 4199), ricollegandosi cos� sostanzialmente 
all'esplicita disposizione dell'art. 41 del Trattato CECA. 
15. -Se, per la natura dei poteri devoluti dal Trattato CECA alle 
autorit� comunitarie e in particolare alla Commissione, le giurisdizioni 
nazionali hanno meno spesso occasione di applicare questo trattato, come 
pure gli atti da esso derivati -e, pertanto, d'interrogarsi sulla loro interpretazione 
-, la collaborazione in questo campo fra esse e la Corte di 
giustizia non � per� meno necessaria nel contesto del Trattato CECA che 
in quello dei Trattati CEE e CEEA, poich� l'esigenza di assicurare l'uniforme 
applicazione del diritto comunitario vi si impone con la medesima 
forza ed evidenza. 
16. -Sarebbe quindi contrario allo scopo e alla coerenza sistematica 
dei trattati che nel caso di disposizioni fondate sui Trattati CEE e CEEA 
la determinazione del loro significato e del loro ambito di applicazione 
sp~ttasse in ultima istanza alla Corte di giustizia -come con uguale for-
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PARTE I, SEZ. II, GIURISPR. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

mulaziofte prevedono gli artt. 177 del Trattato, CEE e 150 del Trattato 
CEEA -, assicurando cos� l'uniformit� della loro applicazione, mentre 
nel caso di norme relative al Trattato CECA questa competenza spetterebbe 
unicamente alle molteplici giurisdizioni nazionali, con possibili 
divergenze d'interpretazione e senza che la Corte di giustizia fosse abilitata 
a garantire l'uniforme interpretazione di tali norme. 

17. -Risulta da quanto precede che la Corte � competente a pronunziarsi 
sulle questioni propostele dal tribunale di Brescia. 
Sulla prima questione. 

18. -Con la prima questione pregiudiziale la giurisdizione nazionale 
chiede se, in assenza di provvedimenti di attuazione nel diritto interno, 
la CECA possa invocare gli artt. 1 e 2 della raccomandazione affinch�, 
nel caso di concorso di creditori previsto da una legislazione nazionale, 
alcuni suoi crediti derivanti dall'applicazione dei prelievi di cui agli articoli 
49 e 50 del Trattato CECA godano dello stesso grado di privilegio 
generale o speciale attribuito dalla legge dello Stato di cui trattasi ai 
crediti di questo per l'imposta sul valore aggiunto. 
19. -Secondo la Commissione, sarebbero soddisfatte le condizioni 
cui la giurisprudenza della Corte ha subordinato la possibilit� di far valere 
dinanzi ad una giurisdizione nazionale le disposizioni di una direttiva 
rimasta inattuata nell'ordinamento giuridico interno di uno Stato membro. 
20. -La Busseni ritiene, invece, che in assenza di norme nazionali 
d'attuazione la CECA non potrebbe invocare dinanzi al tribunale le disposizioni 
della raccomandazione. 
21. -Va osservato, �in limine�, che i criteri elaborati dalla Corte 
per definire gli effetti di una direttiva inattuata nel .diritto nazionale si 
applicano anche alle raccomandazioni del Trattato CECA, in quanto atti 
della stessa natura che importano un obbligo negli scopi che prescrivono, 
ma lasciano ai destinatati la scelta dei mezzi idonei a conseguirli. 
22. -Secondo la giurisprudenza della Corte, quando le autorit� comunitarie 
abbiano, mediante direttiva, imposto agli Stati membri di adottare 
un determinato comportamento, l'� effetto utile � dell'atto sarebbe 
attenuato se agli amministrati e ai giudici nazionali fosse precluso di 
prenderlo in considerazione come elemento del diritto comunitario. Di 
conseguenza, lo Stato membro che non abbia adottato, entro i termini, 
i provvedimenti d'attuazione imposti dalla direttiva non pu� opporre ai 
singoli il suo inadempimento degli obblighi derivanti dalla direttiva stessa. 
Perci�, in tutti i casi in cui una o pi� disposizioni di una direttiva appaiano, 
dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, 
tali disposizioni possono essere richiamate, in mancanza di provvedimenti 
d'attuazione adottati entro i termini, per opporsi a qualsiasi 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

disposizione di diritto interno non conforme alla direttiva, ovvero in 
quanto siano atte a definire diritti che i singoli possono far valere nei 
confronti dello Stato (si veda, in particolare, sentenza 19 gennaio 1982, 
Ursula Becker, 8/81, Racc. pag. 53). 

23. -Questa possibilit� esiste per� solo nei confronti dello Stato 
membro interessato e delle altre pubbliche autorit�. Ne consegue che 
la direttiva non pu� di . per s� creare obblighi a carico di un singolo e 
che una disposizione di una direttiva non pu� quindi essere fatta valere 
in quanto tale nei confronti dello stesso (sentenza 26 febbraio 1986, 
Marshall, 152/84, Racc. pag. 723). 
24. -Ora, quando, come nel caso di specie, la CECA si trovi in con� 
corso non solo con lo Stato membro interessato ma anche con altri ereditori 
della societ�, l'applicazione della raccomandazione, lungi dall'operare 
soltanto nei confronti dello Stato destinatario, potrebbe ridurre le 
possibilit� di soddisfare �le ragioni degli altri creditori. 
25. -Infatti, l'accoglimento della domanda proposta dalla CECA dinanzi 
ai competenti organi nazionali al fine di ottenere che, sulla base 
della raccomandazione, taluni suoi crediti siano considerati crediti privilegiati, 
non inciderebbe soltanto sulla situazione dello Stato interessato, 
ma modificherebbe necessariamente la situazione relativa dei diversi 
creditori nella procedura concorsuale. Fra tali creditori, pertanto, tutti 
i titolari di crediti non privilegiati o muniti di un privilegio pari o inferiore 
a quello dei crediti IV A dello Stato interessato, sarebbero direttamente 
lesi -nei loro diritti dal riconoscimento di quest'ultimo privilegio 
a taluni crediti della CECX. 
26. -Risulta da quanto precede che, ove la raccomandazione in 
causa presenti i requisiti necessari a far valere dinanzi alle giurisdizioni 
nazionali una direttiva inattuata, la CECA pu� invocare detta raccomandazione 
nei confronti di uno Stato, purch� il riconoscimento del rango 
di privilegio ai crediti della CECA abbia effetto nei soli ri~ardi di detto 
Stato, mettendo eventualmente questa Comunit� in concorso con esso. 
Per contro, il privilegio accordato alla CECA non pu� comprimere i diritti 
dei creditori diversi dallo Stato rispetto a quanto previsto dalla 
disciplina nazionale sul concorso di creditori, in assenza della racco� 
mandazione. 
27. -Resta perci� da accertare se la raccomandazione presenti i requisiti 
necessari a renderla invocabile dinanzi alla giurisdizione nazio� 
nale, ossia se le sue disposizioni siano incondizionate e sufficientemente 
precise. 
28. -Da un lato, l'obbligo a carico degli Stati membri, ex artt. 1 e 2 
della raccomandazione, di attribuire rango di privilegio ai crediti della 

PARTE I, SEZ. II, GIURISPR. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

CECA derivanti dall'applicazione dei prelievi di cui agli artt. 49 e 50 del 
Trattato CECA � sufficientemente preciso. 

29. -Dall'altro, se l'art. 4, secondo comma, della raccomandazione, 
ai sensi del quale essa si applica alle procedure di recupero in corso alla 
data della sua attuazione, condiziona l'applicazione della raccomandazione 
all'obbligo degli Stati di assicurare, �mediante apposite disposizioni 
transitorie, un'adeguata tutela giuridica dei diritti degli altri creditori 
dell'impresa debitrice�, risulta dallo stesso tenore della norma che questa 
riguarda solo la tutela dei diritti dei creditori diversi dalla CECA e 
dallo Stato interessato. 
30. -La prima questione va dunque risolta affermando che la raccomandazione 
va interpretata nel senso che, in mancanza di provvedimenti 
nazionali di attuazione, la CECA pu� far valere la raccomandazione, 
alla scadenza del termine per conformarvisi, nei confronti di uno 
Stato membro che non l'abbia attuata, purch� il riconoscimento del privilegio 
ai suoi crediti abbia effetto solo nei riguardi di detto Stato, ponendo 
eventualmente questa Comunit� in concorso con esso, ma non comprima 
i diritti dei creditori diversi dallo Stato quali risulterebbero dalla 
disciplina nazionale sul concorso di creditori in assenza della raccomandazione. 
Sulla seconda questione. 

31. -Con la seconda questione pregiudiziale, la giurisdizione nazionale 
chiede se, nella misura in cui la CECA possa reclamarne l'applicazione 
nell'ordinamento giuridico di uno Stato membro, la raccomandazione 
attribuisca alla Comunit� un privilegio su tutti i crediti di cui � 
titolare nei confronti delle imprese per i prelievi di cui agli artt. 49 e 50 
del Trattato CECA, qualunque sia la data del relativo titolo costitutivo, 
ovvero solo su quelli sorti dopo la sua emanazione. , 
32. -In forza dell'art. 4, primo comma, della raccomandazione, gli 
Stati membri dovevano emanare i provvedimenti necessari a conformarvisi, 
�entro e non oltre il 1� gennaio 1988 "� Ne consegue che, come si � 
prima affermato, in mancanza di provvedimenti d'attuazione le sue disposizioni 
potevano essere fatte valere dinanzi ai giudici nazionali a partire 
dal 2 gennaio 1988. 
33. -Ai ,sensi del secondo comma del medesimo articolo: � Gli Stati 
membri prescrivono che queste disposizioni siano applicabili alle procedure 
di recupero in corso alla data di attuazione della presente raccomandazione 
�. Dalla lettera stessa della norma emerge che la raccomandazione 
poteva essere invocata dinanzi ai giudici nazionali in tutte le 
procedure concorsuali ancora in corso alla data del 2 gennaio 1988. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

36 

34. -Quanto�al preciso oggetto della questione proposta, vale a dire 
se la raccomandazione possa avere l'effetto di attribuire il rango di privilegio 
ai crediti della CECA di titolo antecedente, va rilevato che, come 
risulta dal settimo � considerando � del preambolo, con questa disposizione 
la Commissione ha voluto che il privilegio in causa potesse esercitarsi 
� nelle procedure concorsuali ancora in corso alla data � di effettiva attuazione 
della raccomandazione, � al fine di assicurare il pi� completo recupero 
dei crediti derivanti dall'applicazione dei prelievi negli anni precedenti 
� la sua adozione. 
35. _,... Contrariamente alla tesi della Busseni, il principio del legittimo 
affidamento non pu� essere opposto all'attribuzione del rango di privilegio 
ai crediti sorti anteriormente all'entrata in vigore dell'atto che 
l'istituisce, dal momento che, come la Corte ha gi� dichiarato, questo 
principio non pu� essere esteso fino al punto di vietare, in via generale, 
una nuova normativa che si applichi agli effetti futuri di situazioni sorte 
in vigenza della normativa antecedente (sentenza 14 gennaio 1987, Repubblica 
federale di Germania c/ Commissione, 278/84, Racc. pag. 1). 
36. -La seconda questione va dunque risolta affermando che l'art. 4, 
secondo comma, della raccomandazione va interpretato nel senso che, alle 
condizioni e con le riserve sopra precisate, la CECA pu� far valere il 
proprio privilegio per tutti i crediti da essa vantati nei confronti delle 
imprese a titolo dei prelievi di cui agli artt. 49 e 50 del Trattato CECA, 
qualunque sia la data in cui sono sorti, quando la loro ammissione al 
passivo fallimentare sia ancora possibile secondo la disciplina nazionale 
sul concorso di creditori. 
Sulla terza questione. 

37. -Con la terza questione, la giurisdizione nazionale chiede in sostanza 
se il termine del 1� gennaio 1988 impartito dalla raccomandazione 
agli Stati per conformarvisi abbia natura perentoria. 
38. -Come la Corte ha gi� dicluarato (sentenza 19 gennaio 1982, Ursula 
Becker, cit.), dal testo dell'art. 189, terzo comma, del Trattato CEE 
risulta che agli Stati destinatari della direttiva � imposto, in forza di 
quest'ultima, un obbligo di risultato che dev'essere adempiuto alla scadenza 
del termine fissato dalla direttiva stessa. 
39. -In base a questo principio, che � applicabile alle raccomandazioni 
adottate ex art. 14 del Trattato CECA, il termine di attuazione .del 
1� gennaio 1988, impartito agli Stati dall'art. 4, primo comma, della raccomandazione, 
ha natura perentoria. 
40. -L'omessa attuazione della raccomandazione da parte di uno 
Stato membro entro il termine cos� 
violazione del diritto comunitario. 

assegnato costituisce, perci�, una 

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PARTE I, SEZ. II, GIURISPR. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

41. -La terza questione va dunque risolta affermando che l'art. 4, 
primo comma, della raccomandazione va in~erpretato nel senso che il 
termine del 1� gennaio 1988 ha natura perentoria e che la sua inosservanza 
costituisce una violazione del diritto comunitario. (omissis) 
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA EUROPEE, Sed. Plen., 20 mar


zo 1990, nella causa C-21/88 -Pres. Due -Avv. Gen. Lenz. -Domanda 
di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale amministrativo re� 
gionale della Toscana nella causa soc. Du Pont De Nemours Italiana 

S.p.A. c/ USL n. 2 di Carrara -Interv.: Governi italiano (avv. Stato 
Ferri) e francese (ag. Chavane) e Commissione delle C. E. (ag. Berardis). 
Comunit� Europee � Libera circolazione delle merci -Misure di effetto 
equivalente a restrizioni quantitative all'importazione -Appalti pubblici 
di fornitura � Riserva in favore di imprese ubicate in determinate 
regioni del territorio nazionale -Regime di aiuti. 

(Trattato CEE, artt. 30, 92 e 93; direttiva CEE del Consiglio 21 dicemb.re 1976, n. 77/62/CEE;

legge 1 marzo 1986, n. 64, art. 17). 

L'art. 30 del Trattato CEE deve essere interpretato nel senso che esso 
si oppone ad una normativa nazionale la quale riserva alle imprese ubi� 
cate in determinate regioni del territorio nazionale una percentuale degli 
appalti pubblici di forniture. L'eventuale qualificazione di una normativa 
nazionale come un aiuto ai sensi dell'art. 92 del Trattato non pu� sottrarre 
detta normativa al divieto di cui all'art. 30 del Trattato. 

1. -Con ordinanza 1� aprile 1987, pervenuta alla Corte il 20 gennaio 
1988, il Tribunale amministrativo regionale della Toscana ha proposto, 
ex art. 177 del Trattato CEE, tre questioni pregiudiziali sull'interpretazione 
degli artt. 30, 92 e 93 del Trattato. CEE, al fine di valutare la 
compatibilit� con queste disposizioni, della normativa italiana che riserva 
alle imprese ubicate nel Mezzogiorno una percentuale degli appalti pubblici 
di forniture. 
2. -Le questioni sono state sollevate nell'ambito di una controversia 
fra la Du Pont de Nemours Italiana S.p.A., sostenuta dalla Du Pont De 
Nemours Deutschland GmbH, e l'Unit� Sanitaria Locale n. 2 di Carrara 
(in prosieguo: USL), sostenuta dalla societ� 3M Italia, in ordine alle 
condizioni di aggiudicazione di un appalto di forniture di pellicole e 
liquidi radiologici. 
3. -Con l'art. 17, commi 16 e 17, della legge 1� marzo 1986, n. 64 
(Disciplina organica dell'intervento straordinario nel Mezzogiorno), lo 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

38 

Stato italiano ha esteso a tutte le amministrazioni ed enti pubblici 
nonch� alle societ� e agli enti a partecipazione statale, comprese le USL 
situate nell'intero territorio nazionale, l'obbligo di rifornirsi, per una 
quota pari ad almeno il 30 % del materiale occorrente, da imprese indu� 
striali agricole ed artigiane, ubicate nel Mezzogiorno, ove venga eseguita 
una lavorazione dei prodotti in questione. 

4. -Conformemente a questa legislazione nazionale, l'USL ha stabilito, 
con provvedimento del 3 giugno 1986, le modalit� della licitazione privata 
per una fornitura di pellicole e liquidi radiologici. Nell'allegato 
capitolato speciale, essa ha distinto la fornitura in due lotti, di cui uno, 
pari al 30 % dell'importo globale della stessa, riservato alle imprese 
ubicate nel Mezzogiorno. La Du Pont de Nemours Italiana S.p.A. ha 
impugnato il provvedimento dinanzi al Tribunale amministrativo regionale 
della Toscana, adducendo di essere stata esclusa dalla procedura 
di aggiudicazione di detto lotto perch� non aveva stabilimenti nel Mezzogiorno. 
Con provvedimento del 15 luglio 1986, l'USL ha proceduto all'ag� 
giudicazione del lotto pari al 70 % dell'importo globale della fornitura 
in causa. Anche avverso detto provvedimento la Du Pont De Nemours 
ha proposto ricorso dinanzi al medesimo tribunale. 
5. -Nel contesto dell'esame di questi due ricorsi, il giudice nazionale 
ha deciso di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: 
1) Se l'art. 30 del Trattato CEE, prescrivendo il divieto di restrizioni 
quantitative all'importazione e di ogni misura di effetto equivalente, 
debba essere interpretato nel senso che si oppone alla normativa nazionale 
in causa; 

2) Se l'obbligo della riserva di forniture ex art. 17 della legge 

1� marzo 1986, n. 64, abbia le caratteristiche dell'� aiuto� di cui all'art. 92, 

in quanto diretto a � favorire lo sviluppo economico � di una regione 

�ove il tenore di vita sia anormalmente basso�, mediante l'insediamento 

di imprese cos� da contribuire allo sviluppo economico-sociale di tale 

regione; 

3) Se l'art. 93 del Trattato CEE attribuisca in modo esclusivo alla 

Commissione il giudizio di ammissibilit� degli aiuti di cui all'art. 92 del 

Trattato CEE o se tale funzione competa anche al giudice nazionale in 

sede di verifica di un eventuale conflitto tra. la legge nazionale e le 

norme dell'ordinamento comunitario. 

6. -Per una pi� ampia illustrazione degli antefatti della causa principale, 
del contesto normativo nonch� delle osservazioni scritte presentate 
alla Corte, si fa rinvio alla relazione d'udienza. Questi elementi del 
fascicolo sono richiamati solo nella misura necessaria per la compren� 
sione del ragionamento della Corte. 

PARTE I, SEZ. II, GIURISPR. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

A) Sulla prima questione 

7. -Con tale questione, il giudice nazionale chiede se una legisla� 
zione interna che riserva una percentuale degli appalti pubblici di for� 
niture alle imprese ubicate in determinate regioni del territorio nazionale 
sia contraria all'art. 30 del Trattato CEE, che vieta le restrizioni 
quantitative all'importazione e qualsiasi misura di effetto equivalente. 
8 . .:...,_Al riguardo, occorre anzitutto ricordare che, secondo la costante 
giurisprudenza della Corte, enunciata nella sentenza 11 luglio 1974, Dasson� 
ville (causa 8/74, Racc. pag. 837, punto 5 della motivazione), l'art. 30 
del Trattato, vietando tra gli Stati .membri le misure di effetto equiva� 
lente alle restrizioni quantitative all'importazione, si applica ad ogni 
normativa commerciale che possa ostacolare direttamente o indiretta� 
mente, in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari. 
9. -Si deve rilevare peraltro che, ai sensi del primo 'considerando' 
della direttiva del Consiglio 21 dicembre 1976, n. 77/62/CEE, ohe coordina 
le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture (G. U. 
n. L 13/1977, pag. 1, in prosieguo: la direttiva n. 77/62), vigente all'epoca 
dei fatti della causa principale, � le restrizioni alla libera circolazione 
delle merci imp�ste nel campo delle forniture pubbliche sono vietate 
dagli articoli 30 e seguenti del Trattato�. 
10. -Occorre quindi determinare gli effetti che un regime preferenziale 
come quello su cui verte la causa principale pu� produrre sulla 
libera circolazione delle merci. 
11. -Va osservato in proposito che un regime di questo genere, 
favorendo le merci trasformate in una determinata regione di uno Stato 
membro, impedisce alle amministrazioni ed agli enti pul;>blici interessati 
di rifornirsi per una parte del materiale occorrente presso imprese 
ubicate in altri Stati membri. Si deve, pertanto, affermare che i prodotti 
originari di altri Stati membri sono discriminati rispetto a quelli fabbricati 
nello Stato membro in questione e che ne risulta ostacolato il corso 
normale degli scambi intracomunitari. 
12. -Questa conclusione non � inficiata dalla circostanza che gli 
effetti restrittivi di un tale regime preferenziale si dispiegano in egual 
misura nei confronti dei prodotti fabbricati da impr�se dello Stato 
membro in questione, non Jbicate nella regione a cui si applica il regime 
preferenziale, come nei confronti dei prodotti fabbricati da imprese che 
hanno sede negli altri Stati membri. 
13. -Va infatti sottolineato che se non tutti i prodotti dello Stato 
membro in questione sono favoriti rispetto ai prodotti stranieri, tutti 
quelli che beneficiano del regime preferenziale sono nondimeno prodotti 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

nazionali. Inoltre, un provvedimento statale sulle importazioni non pu� 
sottrarsi al divieto dell'art. 30 per il fatto che i suoi effetti restrittivi 
non favoriscono la totalit� dei prodotti nazionali, ma solo una parte 
di essi. 

14. -Si deve poi rilevare che un regime come quello di cui alla 
causa principale non potrebbe essere giustificato, atteso il suo carattere 
discriminatorio, dalle esigenze imperative riconosciute dalla giurispru� 
denza della Corte, poich� tali esigenze possono essere prese in considerazione 
solo nei riguardi di una normativa indistintamente vigente per i 
prodotti nazionali e per quelli importati (sentenza 17 giugno 1981, Commissione 
c/ Irlanda, causa 113/80, R~cc. pag. 1625). 
15. -Si aggiunga che tale regime non entra neppure nella sfera di 
applicazione delle deroghe tassativamente elencate nell'art. 36 del Trattato. 
16. -Il Governo italiano ha invocato tuttavia l'art. 26 della citata 
direttiva n. 77/62/CEE, ai sensi del quale �la presente direttiva non 
costituisce ostacolo all'applicazione delle disposizioni in vigore al momento 
dell'adozione della presente direttiva previste nella legge italiana 
n. 835 del 6 ottobre 1950 (Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana 
n. 245 del 24 ottobre 1950) nonch� nelle sue successive modifiche, fatta 
salva la compatibilit� di tali disposizioni con il Trattato�. 
17. -Va rilevato, al riguardo, che l'oggetto della legislazione nazionale 
alla quale fa riferimento il giudice 'a quo� (legge n. 64/86) � in parte 
diverso e pi� ampio rispetto a quello esistente all'epoca dell'emanazione 
della direttiva (legge n. 835/50) e che, inoltre, l'art. 26 della direttiva 
precisa che detta legge si applica � fatta salva la compatibilit� di tali 
disposizioni con il Trattato �. In ogni caso, la direttiva non pu� essere 
interpretata nel senso di autorizzare l'applicazione di una normativa 
nazionale contraria alle norme del Trattato, in tal modo opponendosi 
all'applicazione dell'art. 30 del Trattato in una controversia come quella 
che � oggetto della causa principale. 
18. -Si deve, quindi, risolvere la questione posta dal giudice nazionale 
dichiarando che l'art. 30 del Trattato va interpretato nel senso che si 
oppone ad una normativa nazionale la quale riserva alle imprese ubicate 
in determinate regioni del territorio nazionale una percentuale degli 
appalti pubblici di forniture. 
B) Sulla seconda questione 

19. -Con la seconda questione il giudice nazionale chiede se un'eventuale 
qualificazione della normativa controversa come un aiuto, ai sensi 
dell'art. 92 del Trattato, potrebbe sottrarre detta normativa al divieto. di 
cui all'art. 30 del Trattato. 

PARTE I, SEZ. II, GIURISPR. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

20. -Basti ricordare in proposito che, secondo una costante giurispmdenza 
(v., in particolare, sentenza 5 giugno 1986, Commissione c/ 
Italia, causa 103/84, Racc. pag. 1759), l'art. 92 non pu� in ailcun caso 
servire ad eludere le norme del Trattato relative alla libera circolazione 
delle merci. Da questa giurisprudenza emerge, infatti, che dette norme 
perseguono, al pari delle norme del Trattato sugli aiuti statali, il comune 
s�opo di garantire la libera circolazione delle merci fra Stati membri 
in condizioni normali di concorrenz"'�. Pertanto, come la Corte ha precisato 
nella citata giurisprudenza, il fatto che lJil provvedimento nazionale 
possa essere eventualmente qualificato come aiuto ai sensi dell'art. 92 non 
costituisce un motivo sufficiente per sottrarlo al divieto di cui all'art. 30. 
21. -Alla luce di tale giurisprudenza, e senza che debba procedersi 
all'esame della natura di aiuto del' a normativa 'de qua', la questione 
posta dal giudice nazionale va ris0lta nel senso che l'eventuale qualificazione 
di una normativa nazionPJe come aiuto ai sensi dell'art. 92 del 
Trattato non pu� sottrarla al (~vieto di cui all'art. 30 del Trattato. 
C) Sulla terza questione 

22. -Dalle risposte date alle questioni precedenti risulta che, in una 
fattispecie come quella della causa principale, compete al giudice nazionale 
garantire la piena applicazione dell'art. 30 del Trattato. Di conseguenza, 
la terza questione, relativa al ruolo del giudice nazionale nell'apprezzamento 
della compatibilit� degli aiuti con l'art. 92 del Trattato, 
diviene priva di oggetto. 
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA EUROPEE, Sed. plen., 27 marzo 
1990, nella causa C -10/88 -Pres. f.f. Slym -Avv. Gen. an Gerven Repubblica 
italiana (avv. Stato Fiumara) c. Commissione delle C. E. 
(ag. Karpenstein e Marenco). 

Comunit� Europee � Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia 
(F.E.O.G.A.) � Liquidazione dei conti � Premi per la nascita di vitelli � 
Termini per procedere ad istruttoria delle domande � Ragionevolezza . 
Poteri della Commissione. 

(Reg. CEE del Consiglio 18 maggio 1982, n. 1201; 17 maggio 1983, n. 1215; reg. CEE della 
Co'1Jll1�ssione 20 maggio 1983, n. 1262). 

In forza del principio di leale collaborazione fra le amministrazioni 
comunitarie e nazionali, sancito dall'art. 5 del trattato CEE per assicurare 
la corretta attuazione del diritto comunitario nell'interesse degli operatori 
economici che esso riguarda, le amministrazioni nazionali debbono 
vegliare alla realizzazione delle finalit� di un regime comunitario di pre



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

mi per la nascita di vitelli dettato nell'ambito della politica agricola 
comune. Esse sono pertanto tenute a procedere all'istruttoria delle domande 
entro un termine che risponda a tali finalit�, come definite dai 
regolamenti CEE nn. 1201/82 e 1215/83, anche se questo termine non � 
stato stabilito nei regolamenti di applicazione emanati dalla Commissione. 
In tale prospettiva quest'ultima pu� indicare agli Stati membri 
interessati un termine che essa considera ragionevole. Trattandosi, per�, 
di una disciplina da cui possono derivare conseguenze finanziarie, gli 
imperativi di certezza e prevedibilit� s'impongono con particolare rigore, 
sicch�, se la Commissione decide di ricollegare effetti finanziari all'inosservanza 
di un termine ragionevole per la istruttoria delle domande, il 
principio di buona amministrazione esige che detto termine sia comunicato 
tempestivamente a tutti gli Stati membri interessati (condizione non 
rispettata dalla Commissione nella fattispecie) (1). 

(omissis) 1. -Con atto introduttivo depositato nella cancelleria della 
Corte il 13 gennaio 1988, la Repubblica italiana ha chiesto, ex art. 173 
del Trattato CEE, l'annullamento parziale della decisione della Commissione 
21 ottobre 1987, n. 87/541, recante modifica delle decisioni nn. 87/ 
468/CEE e 87/469/CEE, relative alla liquidazione dei conti degli Stati 
membri per le spese degli esercizi finanziari 1984 e 1985 finanziate dal 
Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia -sezione garanzia 

(G. U. n. L324, pag. 32), nella parte in cui esclude dal finanziamento di 
detto Fondo (in prosieguo: FEAOG) la somma di 19.045.553.222 lire per 
l'esercizio 1985, dichiarata dalla Repubblica italiana a titolo di premi per 
la nascita di vitelli durante la campagna 1983-1984. 
2. -Il regolamento del Consiglio 18 maggio 1982, n. 1201, relativo 
alla concessione di un premio alla nascita dei vitelli in Grecia, Irlanda, 
Italia e Irlanda del Nord (G. U. n. L 140, pag. 34), ha autorizzato questi 
tre Stati membri, nonch� il Regno Unito limitatamente all'Irlanda del 
Nord, a concedere un premio per ogni vitello nato nel loro territorio 
durante la campagna 1982-1983 e ancora in vita sei mesi dopo la nascita. 
(1) La Corte ribadisce il. principio enunciato con la sentenza 14 novembre 
1989, nella causa 14/88, REPUBBLICA ITALIANA c. COMMISSIONE di questa Rassegna, 
1989, I, 138, nell'analoga fattispecie d'i un ritenuto ritardo nel pagamento 
di aiuti comunitari alle organizzazioni di produttoni, ma -questa volta accogliendo 
per intero il ricorso italiano -con alcune importanti precisazioni, 
che limitano e definiscono i potevi della Commissione in ordine alla fissazione 
di� un termine ragionevole per l'esecuzione di una misura o di una fase 
procedurale di essa, imponendole condiziom di chiarezza e di tempestivit� 
di informazione. Risulta comunque riaffermata in via generale la necessit� di 
un puntuale ed assoluro rispetto da parte dei servizi nazionali delle modalit� 
di attuazione delle misure di intervento quali previste e definite in sede comunitaria, 
condizione imprescindibile perch� la relativa spesa, anticipata in 
sede nazionale, possa essere imputata al F.E.0.G.A. 
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PARTE I, SEZ. II, GIURISPR. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

Il regolamento ha stabilito l'importo unitario del premio in 32 ECU, ponendolo 
a carico del FEAOG, sezione garanzia. Il regolamento del Consiglio 
17 maggio 1983, n. 1215, che modifica il regolamento n. 1201/82 

(G. U. n. L 132, pag. 15), ha confermato la disciplina prevista dal citato 
regolamento n. 1201/82 per i vitelli nati nel corso della campagna 1983� 
1984. 
3. -Il regolamento della Commissione 20 maggio 1983, n. 1262 (G. U. 
n. L 133, pag. 50), stabilisce le modalit� d'applicazione relative all'attribuzione 
di un premio per la nascita di vitelli durante la campagna 19831984. 
L'art. l, nn. 1 e 2, di detto regolamento recita: 
� 1. Il premio di cui all'art. 1 del regolamento (CEE) n. 1201/82 � 
concesso, su richiesta del produttore, se viene dimostrato, in modo giudicato 
soddisfacente dall'autorit� competente, che, nei territori in cui � 
concesso il premio, 
-il vitello � nato durante la campagna 1983-1984, 
-� stato identificato, 
e 
-� ancora in vita all'et� di sei mesi. 


2. L'importo unitario di tale premio, pari a 32 ECU, � pagato in 
un'unica soluzione entro e non oltre i 90 giorni successivi alla data in 
cui l'autorit� competente ha dato seguito alla domanda di premio�. 
4. -Per la campagna 1983-1984, l'Italia ha dichiarato premi per la 
nascita di vitelli, pagati sino a 33 mesi dopo il termine della campagna 
(fine marzo 1984). La Commissione ha ritenuto che gli Stati membri 
fossero tenuti a procedere ai controlli richiesti e ad elaborare i dati 
cos� acquisiti, prima del pagamento, entro un termine ragionevole stabilito 
in 3 mesi. Dapprima, essa� ha considerato tardivi i pagamenti eseguiti 
a pi� di 12 mesi dalla fine della campagna. Questo periodo si compone 
di 6 mesi relativi alla condizione che il vitello sia ancora in vita 
all'et� di sei mesi, 3 mesi per l'istruttoria delle domande e 90 giorni per 
il pagamento dei premi. La Commissione ha espresso l'intenzione di 
escludere dal finanziamento una somma di 36.913.409.088 lire. 
5. -Le autorit� italiane hanno formulato censure contro il termine 
di 12 mesi, deducendo le particolari difficolt� incontrate nell'istruttoria 
delle domande. La Commissione ha in parte tenuto conto degli argomenti 
avanzati dalla Repubblica italiana ed ha deciso di portare il termine 
per la concessione dei premi, giudicato ragionevole, da 12 a 18 mesi 
dopo la fine della campagna 1983-1984, cio� 6 mesi relativi alla condizione 
che il vitello sia ancora in vita all'et� di sei mesi, 9 mesi per l'istruttoria 
delle domande e 90 giorni per il pagamento dei premi, in confor

44 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

mit� dell'art. 1 del regolamento n. 1262/83. Con la citata decisione numero 
87/541, la Commissione ha quindi ridotto da 36.913.409.088 lire a 

19.045.553.222 lire l'importo escluso dal finanziamento. 
6. -Per una pi� ampia illustrazione degli antefatti, del procedimento 
nonch� dei mezzi e argomenti delle parti, si fa rinvio alla relazione 
d'udienza. Questi elementi del fascicolo sono richiamati solo nella misura 
necessaria alla comprensione del ragionamento della Corte. 
7. -Il Governo italiano contesta che, nel silenzio del regolamento 
n. 1262/83, la Commissione abbia il potere di stabilire un termine ragionevole 
per l'istruttoria delle domande di premio. 
8. -Secondo la Commissione, sebbene il regolamento n. 1262/83 non 
preveda espressamente un termine entro il quale dar corso alle domande, 
questo adempimento dovrebbe aver luogo entro un ragionevole lasso di 
tempo. Pur non rivendicando a se stessa il potere di stabilire un tale 
termine al di fuori di un procedimento normativo, la Commissione sostiene 
che il ten:iline ragionevole richiesto dal regolamento corrisponde 
a quello da essa proposto. 
9. -Va osservato anzitutto che se � incontestabile l'assenza, nella 
pertinente disciplina comunitaria, di una esplicita previsione di termini 
per l'istruttoria delle domande di premio, da una lettura congiunta del 
primo � considerando � del citato regolamento n. 1201/82 e del secondo 
� considerando� del regolamento n. 1215/83, pu� dedursi che questa disciplina 
� stata emanata per migliorare la situazione finanziaria dei produttori 
interessati, durante la campagna in causa, considerato il livello 
relativamente basso dei prezzi d'intervento nel settore della carne bovina 
nel corso di questi anni. 
10. -Questo scopo � compromesso se gli Stati membri concedono i 
premi ai produttori con un ritardo ingiustificato. L'imposizione di un 
termine ragionevole per l'istruttoria delle domande � quindi idonea a consentire 
la realizzazione degli obiettivi posti dai regolamenti nn. 1201/82 
e 1215/83. 
11. -In forza del principio di leale collaborazione fra le ammrmstrazioni 
comunitarie e nazionali, sancito dall'art. 5 del Trattato� CEE 
per assicurare la corretta attuazione del diritto comunitario nell'interesse 
degli operatori economici che esso riguarda, le amministrazioni 
nazionali debbono vegliare alla realizzazione delle finalit� del detto regime 
comunitario di premi. Esse sono pertanto tenute a procedere all'istruttoria 
delle �domande entro un termine che risponda a tali .finalit�, come 
definite dai regolamenti nn. 1201/82 e 1215/83, anche se questo termine 
non � stato stabilito nei regolamenti di applicazione emanati dalla Com

PARTE I, SEZ. II, GIURISPR. COMUNITARIA E INTERNAZiONALE 45 

m1ss1one. In tale prospettiva, la Commissione pu� indicare agli Stati 
membri interessati un termine che essa considera ragionevole. 

12. -Occorre sottolineare, al riguardo, che durante l'udienza il rappresentante 
del Governo italiano ha rU::onosciuto l'esigenza di rispettare 
un termine ragionevole, pur non precisandone la durata. Resta quindi 
da esaminare se questa sia stata stabilita in modo ragionevole e non arbi� 
trario. In proposito, si deve osservare che il termine di 18 mesi stabilito 
dalla Commissione � abbastanza lungo da consentire agli Stati membri 
interessati di eseguire i controlli necessari per assicurarsi che siano soddisfatte 
le condizioni enunciate dall'art. 1 del regolamento n. 1262/83 e 
per procedere al pagamento del premio. Ci� � confermato dal fatto che 
gli altri Stati membri autorizzati, al pari della Repubblica italiana, a 
concedere preini per la nascita dei vitelli li hanno pagati, in misura 
compresa fra. il 98,9 % e il 100 %, nei 18 mesi successivi alla fine della 
campagna 198"3-1984, mentre entro lo stesso termine la Repubbli�a italiana 
ha pagato solo il 43,l % dei premi, senza addurre ragioni che possano 
giustificare un tale divario. 
13. -Tuttavia, secondo la costante giurisprudenza della Corte (si 
veda, da ultimo, sentenza 13 marzo 1990, Commissione c/ Repubblica 
francese, causa 30/89, non ancora pubblicata nella Raccolta), ove si tratti 
di una disciplina da cui possano derivare conseguenze finanziarie, gli 
imperativi di certezza e prevedibilit� s'impongono con particolare rigore. 
Ne consegue che, se la Commissione decide di ricollegare effetti finanziari 
all'inosservanza di un termine ragionevole per l'istruttoria delle domande, 
il principio di buona amininistrazione esige che detto termine 
sia comunicato tempestivamente a tutti gli Stati membri interessati. 
14. -Ora, nella fattispecie in esame, il termine per effettuare i 
controlli richiesti ed elaborare i dati cos� �cquisiti � stato stabilito dalla 
Commissione solo nella relazione di sintesi, 1� agosto 1987, sul finanziamento 
di talune spese dichiarate per gli esercizi 1984 e 1985 e nell'Addendum 
n. 1 alla relazione di sintesi del 24 settembre 1987 (Doc. VI/164/87 -
Add. 1). Pertanto, queste indicazioni sono state fornite solo dopo il pagamento 
dei premi esclusi dal finanziamento comunitario e dopo la fine 
dell'esercizio finanziario 1985. 
15. -Ci� considerato, non si pu� ritenere che la Commissione abbia 
stabilito e comunicato tempestivamente il termine entro il quale le auto� 
rit� nazionali dovevano dar corso alle domande di premio, in relazione 
alle spese effettuate nell'esercizio finanziario 1985. 
16. -Risulta da quanto precede che la decisione della Commissione 
21 ottobre 1987, n. 87/541, recante modifica delle decisioni nn. 87/468 e 
87/469, relative alla liquidazione dei conti degli Stati membri per le spese 
degli esercizi finanziari 1984 e 1985 finanziate dal Fondo europeo agri

46 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

colo di orientamento e di garanzia, sezione garanzia, dev'essere annullata 
nella parte in cui la Commissione non ha posto a carico del FEAOG, per 
l'esercizio 1985, la somma di 19.045.553.222 lire dichiarata dalla Repubblica 
italiana a titolo di premi per la nascita di vitelli nella campagna 
1983-1984. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I civ., 28 novembre 1989, n. 5170 -Pres. 
Bologna -Est. Saggio -P. M. Grossi (concl. conf.) -San Lorenzo Industrie 
Olii Conserve Sicilia S.p.A. (avv. Ziino) c. A.I.M.A. (avv. Stato 
Fiumara). 

Agricoltura � Provvidenze comunitarie per il mercato agricolo � Fermo 
amministrativo � Presupposti e limiti. 

(Regolamenti CEE del Consiglio 21 aprile 1970, n.. 729, e 18 dicem1*e 1969, n. 2601; 

r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 69; d.P.R. 24 dicembre 1974, n. 7T/, art. 2). 
Con riguardo alle provvidenze finanziarie, erogate dall'A.I.M.A. in 
conformit� dei regolamenti della Comunit� Europea e con anticipazioni 
della medesima, la sospensione dei pagamenti, in forza di � fermo amministrativo
�, ai sensi dell'art. 2 del d.P.R. 24 dicembre 1974 n. 727, � consentita 
solo per tutelare il recupero di versamenti indebitamente effettuati 
da detta azienda sempre per tali provvidenze, in deroga quindi 
all'art. 69 ultimo comma del R.D. 18 novembre 1923 n. 2440, nella parte 
in cui autorizza quel fermo per qualunque credito della stessa o di altra 
amministrazione, ma non esige, quale ulteriore requisito, che il diritto 
al suddetto recupero sia stato definitivamente accertato, e resta di conseguenza 
adottabile anche in previsione� di una compensazione eventuale 
e futura (nella specie, in pendenza di procedimento penale rivolto ad 
accertare l'illecita percezione di precedenti sussidi), considerato che il 
citato art. 2 non introduce un'espressa limitazione in tale senso al menzionato 
art. 69, e che, inoltre, siffatta limitazione sarebbe incompatibile 
con la funzione cautelare della misura di autotutela. (1) 

(omissis) 1. -Con l'unico motivo proposto la societ� �San Lorenzo
� denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 2 del d.P.R. 24 dicembre 
1974 n. 727, dell'art. 69, ultimo comma, del R.D. 18 novembre 
1923 n. 2440 e degli articoli 4 e 5 della legge 20 marzo 1865 n. 2248 All. E, 

(1) La Corte di cassazione ha riconsiderato, nel senso auspicato dall'Avvocatura, 
la posizione assunta in precedenza con la sentenza Sez. unite 16 giugno 
1984, n. 3611, in questa Rassegna, 1984, I, 709, con nota critica, precisando 
che l'art. 2 d.P.R. 24 dicembre 1974, n. 727, non impedisce all'A.I.M.A. di disporre 
il fermo amministrativo di cui all'art. 69 legge di contabilit� dello Stato su 
somme dovute per provvidenze comunitarie a garanzia di una propria � ragione 
di credito � relativa anch'essa a provvidenze comunitarie, senza necessit� che il 

PARTE I, SEZ. II, GIURISPR. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

47 

in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. La ricorrente censura i giudici di appello 
per avere ritenuto legittima la sospensione dei pagamenti disposta dall'A.
I.M.A. facendo riferimento all'art. 69, ultimo comma, della legge sulla 
contabilit� dello Stato. La fattispecie viceversa ricadrebbe nella sfera 
d'applicazione dell'art. 2 del d.P.R. n. 727/1974, disposizione, quest'ultima, 
che non potrebbe giustificare il provvedimento cautelare adottato nella 
specie dall'A.I.M.A., considerato che -secondo la interpretazione prospettata 
dalla ricorrente -la detta disposizione, in deroga al su richiamato 
art. 69, consentirebbe la misura di autotutela soltanto nell'ipotesi 
in cui il credito dell'A.I.M.A. fosse certo, liquido ed esigibile e per di 
pi� derivasse dailla effettuazione di un pagamento indebito; e considerato 
altres� che nella specie questo presupposto non ricorreva, giacch� il credito 
vantato dall'A.I.M.A., per la cui tutela era stato disposto il fermo 
dei pagamenti, non era stato ancora definitivamente accertato. 

La censura, fondata su una interpretazione restrittiva dell'art. 2 del 

d.P.R. n. 727/74, non pu� essere condivisa anche se appare sorretta da 
un autorevole precedente (Sezioni Unite, 16 giugno 1984, n. 3611). Il detto 
art. 2 deve infatti essere interpretato nel senso che esso consente al1'
A.I.M.A. di adottare la misura di autotutela anche nell'ipotesi in cui il 
suo credito non sia stato ancora definitivamente accertato e quindi in 
funzione di una compensazione futura ed eventuale. Ci� per i rilievi che 
seguono. 
2. -La societ� ricorrente, nell'unico motivo proposto, non contest~ 
dunque che l'A.I.M.A., ove al caso fosse applicabile l'art. 69, comma sesto, 
della legge sulla contabilit� generale dello Stato, potesse disporre 
il fermo amministrativo dei pagamenti. La ricorrente si limita a sostenere 
che la fattispecie ricadrebbe nel campo di applicazione di una norma 
diversa, l'art. 2 del d.P.R. n. 727/1974, la quale, con riferimento esclusivo 
all'A.I.M.A., modificherebbe i presupposti sia oggettivi che soggettivi 
del fermo amministrativo. Questa tesi � contrastata dall'A.I.M.A., che nel 
suo controricorso sostiene che la norma speciale non altererebbe i presupposti 
oggettivi del fermo amministrativo, cos� come questi sono disciplinati 
nel citato art. 69. 
Per risolvere la questione conviene brevemente richiamare il contenuto 
dell'art. 69 e la interpretazione giurisprudenziale che al riguardo si 
� ormai consolidata. Dispone detto articolo, al comma sesto, che � qualora 
un'amministrazione dellp Stato, che abbia, a qualsiasi titolo, ragia-

suo credito sia divenuto inoppugnabile. In effetti, come si era rilevato e non 
ha mancato di sottolineare la Corte, il requisito dell'inoppugnabilit� avrebbe 
svuotato di effettivo contenuto il fermo quale misura cautelare, cosi come 
qualsivoglia altra misura cautelare (anche se richiesta dal giudice penale a 
garanzia del recupero di provvidenze comunitarie indebitamente percette), 
risultando in definitiva operante solo la compensazione fra crediti divenuti 
entrambi certi, liquidi ed esigibili. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

ne di� credito verso aventi diritto a somme dovute da altre amministrazioni, 
richieda la sospensione del pagamento, questa deve essere eseguita 
in attesa del provvedimento definitivo�. Tale disposizione viene interpretata 
estensivamente nel senso che essa pu� trovare applicazione non 
solo con riguardo a ragioni di credito di amministrazioni diverse rispetto 
a quella che dispone il fermo, ma anche, e a maggior ragione, a salvaguardia 
di un credito che la stessa � branca dell'amministrazione statale, 
considerata nella unicit� di soggetto di rapporti giuridici, pretenda di 
avere nei confronti del suo creditore� (cos� la Corte Cost. nella sentenza 
19 aprile 1972 n. 67; nello stesso senso Cass. Sez. Unite 16 giugno 1984 

n. 3611). Nessun dubbio quindi che l'A.I.MA., prescindendo per il momento 
dalla eventuale incidenza sulla fattispecie della normativa speciale, 
potesse utilizzare, a salvaguardia di propri crediti, l'istituto del 
fermo amministrativo di cui al citato art. 69. Quanto poi alle caratteristiche 
oggettive del credito, a tutela del quale il fermo pu� essere disposto, 
la detta fonte si . limita a prevedere, genericamente, che l'amministrazione 
pu� intervenire a tutela di proprie �ragioni di credito�; formula, 
questa, che � stata interpretata nel senso che il fermo amministrativo 
� � diretto a legittimare la sospensione del pagamento di un 
debito liquido ed esigibile da parte di un'amministrazione dello Stato, a 
salvaguardia dell'eventuale compensazione di esso con un credito, anche 
se non attualmente liquido ed esigibile�, che la stessa amministrazione 
pretenda di avere nei confronti del suo creditore (v. Corte Cost. n. 67/1972, 
nonch� Sez. Unite n. 3611/1984, gi� citata). L'istituto del fermo previsto 
dalla legge sulla contabilit� generale dello Stato ha dunque lo scopo 
di rendere possibile una futura compensazione fra un credito ed un 
debito dell'Amministrazione verso il medesimo soggetto e pu� perci� 
essere utilizzato dall'Amministrazione anche a difesa di un proprio credito 
che non sia n� liquido n� esigibile, ma unicamente assistito dal 
fumus boni iuris in relazione alla pendenza di un qualsiasi procedimento 
dal cui esito deriver� il suo accertamento. Anche con riguardo a questo 
ulteriore profilo � pacifico che l'A.I.M.A., che non era portatrice di un 
credito liquido ed esigibile verso la Societ� �.San Lorenzo � allorch� dispose 
il fermo al pagamento dei contributi in favore della detta societ�, 
poteva ritenere, all'epoca, che un tale credito sarebbe stato accertato 
all'esito del giudizio penale, cui gli amministratori della societ� erano 
stati sottoposti in relazione alla percezione di precedenti contributi, ed 
era pertanto legittimata a disporre il fermo in vista di una eventuale e 
futura compensazione fra il proprio credito (ancora da accertare) ed il 
proprio debito {liquido ed esigibile). 

3. -Ci� posto, occorre controllare se e quale incidenza abbia sul 
funzionamento del fermo amministrativo, disciplinato dall'art. 69 della 
legge nella contabilit� generale dello Stato (la cui ampia portata la giurisprudenza 
ha puntualizzato), l'art. 2 del d.P.R. X:� 727/1984. Questa di

PARTE I, SEZ. II, GIURISPR. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

sposizione prevede che �le somme dovute dall'A.I.M.A. agli aventi diritto 
in attuazione di provvidenze indicate all'art. 1 del decreto del Presidente 
della Repubblica 4 luglio 1973, n. 532 � (integrazioni di prezzo dell'olio 
d'oliva e del grano duro previste dai regolamenti della Comunit� economica 
europea) �e all'art. 1 del presente decreto� (tutte le provvidenze 
finanziarie, quali integrazioni di prezzo, sovvenzioni, aiuti, indennit� compensative 
e premi, disposte dai regolamenti della Comunit� economica 
europea, la cui erogazione sia affidata all'A.I.M.A. e sia effettuata con 
le anticipazioni finanziarie della Comunit� stessa), �non possono formare 
oggetto di provvedimenti cautelari, ivi compresi i fermi amministrativi 
di cui alfart. 69, ultimo comma, del regio decreto 18 novembre 1923, 

n. 2440, tranne che per il recupero da parte dell'A.I.M.A. di pagamenti 
indebiti di tali provvidenze�. Questa disposizione sicuramente deroga 
(in senso riduttivo) all'art. 69, comma sesto, laddove prevede che l'A.I.M.A. 
possa utilizzare il fermo amministrativo, di cui all'art. 69, esclusivamente 
per la tutela di crediti propri, e precisamente soltanto per il recupero 
di pagamenti indebiti di provvidenze comunitarie dalla stessa A.I.MA. 
effettuati. Una tale deroga rispetto all'art. 69 era indispensabile per rispettare 
le fonti comunitarie, relative all'erogazione dei contributi, fonti 
alle quali la normativa nazionale in esame ha dato attuazione. Va infatti 
sottolineato, per la rilevanza che questo elemento assume sul piano interpretativo, 
che il d.P.R. n. 727 d� attuazione alla decisione de1 consiglio 
dei ministri delle Comunit� europee relativa alla sostituzione dei contributi 
finanziari degli Stati membri con risorse proprie della Comunit�, 
adottata a Lussemburgo il 21 aprile 1970, nonch� ai regolamenti comunitari 
relativi al finanziamento della politica agricola comune, e ci� in virt� 
della delega conferita al Governo con l'art. 3 della legge 23 dicembre 
1970, n. 1185. Orbene, l'esame delle pertinenti fonti comunitarie (menzionate 
del resto nel preambolo del d.P.R. n. 1185) mette in evidenza il prioritario 
interesse della Comunit� alla utilizzazione rapida e mirata dei 
fondi che essa mette a disposizione degli Stati membri per il finanziamento, 
appunto, della politica agricola comune. Dispone infatti in proposito 
l'art. 4 del regolamento del Consiglio CEE n. 729 del 21 aprile 
1970, relativo al finanziamento della politica agricola comune, che �gli 
Stati membri vigilano che tali fondi siano utilizzati senza indugio ed 
esclusivamente per gli scopi previsti>>. Dispone altres� l'art. 3, part. l, 
comma terzo, del regolamento del Consiglio CEE n. 2601 del 18 dicembre 
1969, sulle misure speciali per favorire il ricorso alla trasformazione 
per talune variet� di arance (G.U.C.E. n. L 324/21 del 27 dicembre 1969), 
che la particolare compensazione finanziaria concessa ai trasformatari 
deve essere �versata agli interessati su loro richiesta appena le autorit� 
di controllo dello Stato membro nel quale � effettuata la trasformazione 
hanno accertato che i prodotti che sono stati oggetto dei contratti sono 
stati trasformati >>. Considerato questo quadro normativo, e le finalit� 


50 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

che lo ispirano, appare chiara la incompatibilit� con esso del fermo amministrativo 
nelle forme previste dal citato art. 69, comma sesto, dal 
momento che quest'ultima norma consente di bloccare i pagamenti dovuti 
anche in relazione a crediti di altre branche dell'Amministrazione dello 
Stato, cui viene riconosciuta ai fini della autotutela una sostanziale unicit�: 
sarebbe invero in aperto contrasto con la politica agricola comune 
consentire agli organismi dei singoli Stati membri incaricati della erogazione 
dei fondi comunitari, in conformit� a scelte generali di politica 
agricola compiute dalle istituzioni comunitarie tenendo conto degli interessi 
di tutti gli Stati membri, di sospendere il pagamento dei contributi, 
gi� riconosciuti se dovuti all'esito dei prescritti controlli, allo scopo di 
assicurare che una diversa amministrazione statale (ad esempio, un ente 
previdenziale), portatrice di una pretesa creditoria non ancora accertata 
nei confronti dello stesso soggetto creditore di quei contributi, possa� 
successivamente compensare il proprio preteso credito (se e quando 
questo diverr� liquido ed esigibile) con quello, gi� certo ed esigibile, 
di cui l'operatore agricolo � titolare nei confronti del competente orga� 
nismo nazionale. L'art. 2 del d.P.R. n. 727 ha dunque preso atto della 
delineata incompatibilit� e ne ha tratto le conseguenze, limitando il fun. 
zionamento del fermo amministrativo alla tutela dei soli crediti dell'A.
I.M.A. 

4. -Resta a vedere se tale disposizione ha anche modificato, e nel� 
l'affermativa in che misura, i presupposti oggettivi del fermo ammini� 
strativo. Per chiarire questo punto, nel quale si incentra il ricorso, occorre 
stabilire che significato abbia la prescrizione, secondo cui � le somme 
dovute dall'A.I.M.A. in pagamento di provvidenza comunitaria non possano... 
formare oggetto di provvedimenti cautelari, ivi compresi i fermi 
amministrativi di cui all'art. 69, ultimo comma, del regio decreto 18 novembre 
1923, n. 2440, tranne che per il recupero da parte dell'A.I.M.A. di 
pagamenti indebiti di tali provvidenze�. Secondo la ricorrente (confortata 
dalla gi� richiamata pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte) 
detta formula, statuendo che le rnisure cautelari (ivi compreso il fermo 
amministrativo ex art. 69) possono essere adottate solo per il recupero 
di indebiti pagamenti di provvidenza, sancirebbe il principio che l'A.I.M.A. 
pu� agire in via cautelare solo se sia gi� accertato, in modo inoppugnabile, 
che i pagamenti in precedenza effettuati siano stati � indebiti �. Stando 
a questa interpretazione, dunque, l'art. 2 del D.P.R. 727/1974 modifiche_rebbe 
profondamente l'istituto del fermo amministrativo rispetto alla 
disciplina generale dell'art. 69, consentendo all'A.I.M.A. di farvi ricorso 
esclusivamente a tutela di un suo credito gi� definitivamente accertato 
e come tale gi� suscettibile di essere oggetto di compensazione. 
Questa tesi non persuade. Essa non ha riscontro n� nella lettera n� 
nello spirito della norma ed � contraddetta dalle finalit� perseguite dalle 
fonti comunitarie rispetto alle quali la norma stessa ha funzione attuativa 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

e rispetto alle quali, pertanto, � ragionevole supporla conforme. Dal 
punto di vista testuale la tesi della ricorrente � ancorata alle parole 
� pagamenti indebiti � che interpreta nel senso di � pagamenti indebiti 
definitivamente accertati>>. L'uso dell'aggettivo �indebito�, tuttavia, non 
autorizza, soprattutto in assenza di altri argomenti nella stessa direzione, 
ad interpretare la voluntas legis nel senso di una riduzione della utilizzabilit� 
del fermo amministrativo alla sola ipotesi dell'avvenuto accertamento 
del credito della amministrazione. Si tratterebbe invero di una 
riduzione del campo d'applicazione dell'istituto cos� radicale, da far dubitare 
che residuino ancora margini ragionevoli per la sua utilizzazione 
concreta. Appare molto pi� ragionevole, e rispettoso del testo, interpretare 
l'aggettivo � indebito � nel senso di pagamento che'si presenta come 
tale nella valutazione dell'Amministrazione: non va trascurato che il 
fermo amministrativo � espressione del potere di autotutela e che la 
tesi prospettata dalla ricorrente di fatto escluderebbe che esso possa 
essere azionato in funzione di tale scopo. N� va trascurato, sotto profilo 
della logica complessiva della disposizione, che l'art. 2 fa pur sempre 
rinvio all'art. 69, considerandolo quindi applicabile sia pure con delle 
limitazioni; il che comporta che qualsiasi deviazione rispetto alla disciplina 
generale dell'istituto debba risultare esplicitamente e incontrovertibilmente 
dal testo, rivestendo carattere derogativo e quindi eccezionale. 
Ora, il meno che si possa dire � che l'espressione � pagamenti indebiti � 
� ellittica e suscettibile di entrambe le letture, tra le quali, per le ragioni 
dette, va preferita quella che consente all'A.I.M.A. di utilizzare il fermo 
anche a tutela di propri crediti non ancora definitivamente accertati. 

A favore di questa interpretazione sta anche, e risolutivamente, un 
rilievo d'ordine sistematico. Le misure cautelari per definizione presuppongono 
la illiquidit� o la non attuale esigibilit� del credito (come riconoscono 
le Sezioni Unite nella sentenza pi� volte richiamata), sicch� 
appare ulteriormente non giustificata la affermazione che la tipica misura 
cautelare del fermo amministrativo possa essere utilizzata dall'A.I.M.A. 
solo a difesa di un credito gi� definitivamente accertato. Proprio il carattere 
cautelare del fermo avrebbe dovuto condurre ad accogliere la 
opposta interpretazione, che, come gi� detto, � consentita dalla lettera 
della disposizione. 

5. -Per tutte le ragioni sin qui svolte il ricorso deve essere respinto. 
(omissis) 

SEZIONE TERZA 

GIURISPRUDENZA CIVILE 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lav., 9 giugno 1989, n. 2821 � Pres. Meni� 

chino � Rel. Alibrandi � P. G. Martone (conf.) � ENTE F. S. (avv. Stato 

Nucaro) c. Grassano (avv. Agostini). 

Ferrovie � Dipendenti ente F. S. � Controversie previdenziali � Competenza 
territoPiale ex art. 23 legge n. 210 del 1985 � Esclusione. 

L'art. 23 delTa legge 17 maggio 1985, n. 210 istitutiva dell'Ente Ferrovie 
dello Stato si applica esclusivamente alle controversie di lavoro e non 
anche a quelle di natura previdenziale (1). 

(omissis) L'art. 23 della legge 17 maggio 1985, n. 210, istitutiva dell'Ente, 
ha previsto la competenza del giudice del luogo ove ha sede 
l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato nel cui distretto si trova il giudice 
che sarebbe competente secondo le norme ordinarie -nella specie Pretore 
di Torino -esclusivamente per le controversie di lavoro relative 
al personale dipendente dell'Ente; la presente controversia � di natura 
previdenziale; le due specie di controversie -di lavoro e previdenzia�i sono 
state sempre tenute distinte per cui l'invocato art. 23 non � applicabile 
nella specie essendo invece applicabile la normativa ordinaria. 
La chiara lettura� della legge non lascia alcuno spazio alla tesi opposta, 
improntata alla esigenza di agevolare la attivit� dell'Avvocatura dello 
Stato (e d'altra parte per le cause avanti al Pretore non � previsto il 
foro erariale). 

(1) Viene :ribadita l'interpretazione restrittiva dell'art. 23 della legge 17 maggio 
1985, n. 210, intendendosi per controversie di lavoro quelle relative al rapporto 
di lavoro individuale, con esclusione di quelle collettive di lavoro (v. 
Cass. 22 ottobre 1987, n. 7819 in questa Rassegna 1988, I, 79) e di quelle previdenziali, 
in merito alle quali nulla � innovato. 
In tali sensi � stata ritenuta la giurisdizione della Corte dei Conti con 
riguardo al contenzioso pensionistico (v. Corte dei Conti sez. III, 17 gennaio 
1990, n. 63519, in questa Rassegna, I, 67, nonch� al contenzioso avente ad oggetto 
l'indennit� di buonuscita corrisposta dall'Opera di previdenza e assistenza per 
i ferrovieri dello Stato � O.P.A.F.S. � (vedi TAR Lazio sez. III, 23 novembre 
1989, n. 2001, ivi, I, 102). 

Il foro erariale stabilito dall'art. 23 in argomento � stato ritenuto incosti� 
tuzionale con sentenza della Corte costituzionale n. 117 del 1990, dando ingresso 
a problemi interpretativi per stabilire nei riguardi dei ferrovieri il 
luogo di dipendenza aziendale di cui all'art. 413 cod. proc. civ. 

: 

! 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 53 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 25 agosto 1989, n. 3768 -Pres. Zucconi 
Galli Fonseca -Rel. Senese -P. M. Di Renzo (concl. conf.) -Regione 
Toscana (avv. Stato Ferri) c. IRADIT s.r.l. e Unit� sanitaria locale 
di Livorno. 

Giurisdizione Civile -Sanit� � Prestazioni sanitarie � Accordo collettivo � 
Aggiornamento dei compensi . Mancata attuazione dell'accordo collettivo 
� Regolamento preventivo di giurisdizione . Giurisdizione del1'
AGO. 

Non si configura difetto assoluto di giurisdizione per improponibilit� 
della domanda sulla richiesta di adeguamento delle tariffe a eventuali 
aumenti del costo dei materiali occorrenti per le varie prestazioni sanitarie 
di medici convenzionati, perch� con essa si fa valene l'inadempimento 
di un obbligo sancito in un accordo economico. 

La controvers'a su questioni Piguardanti i!l corrispettivo di prestlazioni 
rese da medici convenzionati rientra nella giurisdizione del giudice of(;linario 
(art. 5, secondo comma, legge, n. 1034/1971) (1). 

(omissis) Assume l'istante che il meccanismo di adeguamento delle 
tariffe ad eventuali aumenti del costo dei materiali occorrenti per le 
varie specialit�, cos� come regolato dal punto 4 dell'accor�o collettivo 
nazionale invocato ex adverso, funziona sulla base indefettibile di un 
accertamento convenzionale circa l'esistenza e la misura degli aumenti, 
mancando tra l'altro nella clausola qualsiasi indicazione di criteri secondo 
cui stabilire se ed in che misura tali aumenti si siano verificati. La domanda 
proposta da parte attrice implicherebbe, pertanto, un intervento 

(1) Le Sezioni Unite, confermando la precedente giurisprudenza (sentenza 
20 giugno 1987, n. 5453), hanno escluso il difetto assoluto di giurisdizione sulla 
domanda che � proposta da un concessionario di un pubblico servizio, rivolta 
ad ottenere l'adeguamento delle tariffe ad eventuali aumenti del costo dei 
materiali occorrenti per le varie specialit� ed hanno precisato che, pur essendo 
il rapporto tra le unit� sanitarie locali e le minori strutture private sanitarie 
(gabinetti di analisi, laboratori, ecc.) inquadrabile nello schema di concessione 
amministrativa di pubblico servizio, anzich� in quello della parasubordinazione 
(cfr. Sez. Un. 21 febbraio 1987, n. 1870), la giurisdizione esclusiva del 
giudice ~nistrativo � derogata perch� le controversie concernenti indennit� 
canoni ed altri corrispettivi (art. 5, comma II, legge n. 1034 del 1971) 
rientrano nella giurisdizione dell'a.g.o. 
Sulla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo a conoscere delle 
controversie inerenti a .convenzioni stipulate fra gli organi del servizio sanitario 
nazionale ed i laboratori di analisi, cfr. Sez. Un. 21 febbraio 1987 n. 1872, in 
Foro it. 1987, I, 2779 con nota. 

Sulla giurisdizione dell'a.g.o. (Pretore in funzione del giudice del lavoro) 
a conoscere delle controversie che si svolgono tra i medici specialisti convenzionati 
esterni e le unit� sanitarie locali, e che ineriscono al rapporto di lavoro 
configurato come parasubordinazione cfr. Sez. Un. 24 giugno 1987, .n. 5522, in 
Riv. e loc. cit., 2712 con nota. 



54 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

dell'A.G. che, sostituendosi alla pretesa inerzia delle competenti pubbl�che 
amministrazioni, valga a supplire alla mancata convocazione dell'apposita 
commissione pervenendo ad adottare un provvedimento positivo 
di attribuzione delle percentuali di aumento pretese, in violazione 
dei divieti posti dalla 1. n. 12/1982 e dalle varie leggi finanziarie succedutesi 
nel tempo. 

Tale intervento esulerebbe dalle attribuzioni dell'A.G. cos� come esula 
da questa la determinazione ex novo di un accordo collettivo, che soltanto 
le parti ed i loro rappresentanti sindacali sonq legittimate a stipulare. 

L'istanza � infondata. 

Queste Sezioni Unite, statuendo in sede di regolamento di giurisdizione 
relativo ad una controversia promossa dinanzi all'AGO dalle organizzazioni 
sindacali {rappresentanti le categorie di cui agli accordi nazionali 
resi esecutivi con D.P.R. 16 maggio 1980) nei confronti della presidenza 
del consiglio e dei ministri della Sanit�, del Tesoro e del Lavoro, per 
ottenere l'adeguamento delle tariffe stabilite nei suddetti accordi e la 
liquidazione, in favore dei medici convenzionati, delle tariffe di compenso 
con le maggiorazioni da determinare in corso di giudizio -hanno 
innanzitutto escluso che, in relazione alla domanda come sopra proposta, 
potesse coqfigurarsi un difetto assoluto di giurisdizione per improponibilit� 
assoluta della domanda, osservando che nella specie non risultava 
affatto evidente la mancanza di una situazione configurabile come diritto 
soggettivo o come interesse legittimo, in quanto con la domanda veniva 
sostanzialmente a farsi valere l'inadempimento di un obbligo, sancito 
in un accordo economico relativo alla determinazione ed all'adeguamento 
della misura delle tariffe professionali, la cui applicabilit� era contestata 
da controparte in relazione a pr�fili involgenti o una interpretazione 
delle norme di previsione esistenti nell'ordinamento giuridico o questioni 
di merito con particolare riguardo alla -legittimazione ovvero ancora 
questioni inerenti all'esistenza ed all'ampiezza di poteri giuridici; s� che 
non era dato rilevare la mancanza di una situazione giuridicamente 
azionabile risultante dalla stessa formulazione della domanda prescindendo 
da ogni concreto esame sui fatti contestati e dalla risoluzione di 
questioni riflettenti l'interpretazione di norme giuridiche (S. U. 5453/1987). 

Alla stregua di tali principi, recentemente enunciati in una fattispecie 
affine a quella in esame ma costituenti espressione di un costante orientamento 
di queste Sezioni Unite, deve innanzitutto escludersi che, nella 
fattispecie in esame, possa adombrarsi un difetto assoluto di giurisdizione 
per improponibilit� assoluta della domanda, postoch�, attraverso 
la domanda stessa la parte attrice fa valere l'inadempimento di un 
obbligo, che assume esser divenuto parte della convenzione stipulata con 
l'U.S.L. ed in relazione al quale le contestazioni di contro)'arte implicano 
la interpretazione delle norme di previsione esistenti nell'ordinamento 
giuridico {artt. 44 e 48 L. n. 833/1978) e/o la soluzione di questioni atti



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 55 

nenti all'incidenza dei suindicati accordi nazionali nel rapporto costituitosi 
tra la U.S.L. e la parte attrice. 

Del resto, nell'istanza di regolamento s'insiste sul difetto di giurisdizione 
dell'AGO e sulla devoluzione della controversia alla competenza 
giurisdizionale del giudice amministrativo, il che conferma l'estraneit� 
alla specie -nonostante alcune suggestioni desumibili dalla prospettazione 
dei motivi di ricorso -di una questione di difetto assoluto di 
giurisdizione. 

Ma il proposto regolamento � privo di fondamento anche per quanto 
riguarda il dedotto difetto di giurisdizione dell'autorit� giudiziaria ordinaria. 


Infatti, con la citata sentenza n. 5453/1987, queste Sezioni Unite dopo 
aver richiamato la consolidata giurisprudenza di questa corte secondo la 
quale il rapporto fra medici esterni convenzionati e U.S.L. costituisce 
un rapporto d'opera professionale, sia pure con caratteristiche tali da 
integrare una figura di c.d. � parasubordinazione >>, e dopo aver ricordato 
che le relative controversie appartengono alla giurisdizione del giudice 
ordinario hanno chiarito che �l'accordo, stipulato in conformit� dell'articolo 
48 della L. n. 833/1978, s'inserisce nel rapporto di parasubordinazione 
dei medici convenzionati esterni, regolando reciproci obblighi e diritti 
delle parti, e, per quanto ne interessa, l'aggiornamento del compenso 
professionale, che costituisce un elemento fondamentale del rapporto 
stesso�. Rilevato poi che tale accordo, stipulato su base paritetica e 
bilaterale, non incide sul potere imperativo della pubblica amministrazione 
ma rappresenta piuttosto un'autolimitazione del potere discrezionale 
della stessa nei riguardi della posizione contrattuale dei medici 
convenzionati, la citata decisione ha osservato che, ai fini del riparto di 
giurisdizione, � sufficiente osservare che con la propria domanda il 
medico specialista convenzionato tende ad ottenere l'aggiornamento delle 
tariffe assumendo che la clausola di cui al punto 4 del detto accordo ha 
contenuto e funzione analoga a quella dell'art. 1467 e.e., costituendo una 
clausola di salvaguardia perdurante nel tempo. 

Siffatti svolgimenti -per infirmare i quali non son stati addotti 
argomenti e dai quali non v'� ragione di discostarsi -� sono piena)llente 
applicabili alla specie, anche se il rapporto tra unit� sanitaria locale 
e minori strutture private sanitarie (gabinetti di analisi, diagnostica strumentale, 
laboratorio etc.) � inquadrabile nello schema della concessione 
amministrativa di pubblico servizio anzich� in quello della parasubordinazione 
(cfr. S. U. n. 1870/1987). 

Infatti la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle controversie 
relative a rapporti di concessione di servizi pubblici � derogata, 
restando salva la giurisdizione dell'AGO, per le controversie concernenti 
�indennit�, canoni ed altri corrispettivi� (art. 5/2 L. n. 1034/1971). E, 
nella specie, la controversia riguarda appunto il corrispettivo delle pre




RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

stazioni rese dal concessionario del pubblico servizio, il quale -non 
diversamente dal medico specialista convenzionato -invoca il punto 4 
dell'accordo collettivo nazionale assumendo che la clausola pattizia svolge, 
rispetto al suo diritto al corrispettivo, la medesima funzione che, nell'articolazione 
della domanda del medico specialista, le venne assegnata 
rispetto al compenso di quest'ultimo; cos� configurandosi il petitum sostanziale, 
nell'uno e nell'altro caso, come relativo ad una posizione di 
diritto soggettivo tutelabile dinanzi all'AGO (cit. S. U. n. 5453/1987). 
N�, infine, la giurisdizione dell'A.G.0. potrebbe essere esclusa nel 
rilievo che la domanda implicherebbe, da parte del giudice, una modificazione 
del provvedimento autoritativo nel quale l'accordo collettivo si 
� tradotto, perch� -quale che sia la natura di detto provvedimento e 
comunque si configuri il rapporto tra il contenuto di quest'ultimo e la 
pronuncia richiesta al giudice -la relativa questione non interferisce 
sulla giurisdizione del giudice ordinario, ma incide sul diverso problema 
dei limiti interni delle sue attribuzioni ex artt. 4 e 5 legge D.. 2248/1865 
All. E (cfr. S. U. 6094/1985). 
A maggior ragione, non valgono ad escludere la giurisdizione � del 
giudice ordinario i rilievi formulati dall'ente ricorrente in ordine alla 
pretesa inidoneit�, sotto vari profili, della previsione di cui al citato 
punto 4 dell'Accordo collettivo a fondare il diritto azionato dal sanitario 
o dalla struttura sanitaria privata; perch� le questioni introdotte. da tali 
rilievi -sulle quali dovr� pronunciarsi il giudice del merito e che potranno 
condurre, se fondate, al rispetto della domanda -non interferiscono 
sul problema di giurisdizione, da risolversi -secondo quanto 
sopra avvertito -unicamente in base al criterio del petitum sostanziale. 
� appena il caso di rilevare come sia appunto il petitum sostanziale 
ci� che differenzia la fattispecie in esame da quelle decise con le sentenze 
nn. 1969 e 1970 del 1987 di queste Sezioni Unite, con le quali � sfata 
affermata la competenza giurisdizionale del giudice amministrativo a conoscere 
delle domande proposte, nei confronti di una regione e di una 
U.S.L., rispettivamente, da una casa di cura e da un laboratorio d'analisi 
privati, per sentirsi riconoscere il diritto al mantenimento della convenzione; 
in quanto in quelle controversie non si faceva questione di corri� 
spettivi ma del diritto al mantenimento della concessione. Ed altrettanto 
� da dirsi per la decisione n. 3474/1982 di queste stesse Sezioni Unite, 
nella quale l'affermazione della giurisdizione del giudice amministrativo 
riposa sul rilievo che il titolare di un laboratorio diagnostico, il quale 
chieda l'accertamento dell'illegittimit� della norma dell'accordo economico 
colletivo 22 febbraio 1980 nella parte in cui subordina ad autorizzazione il 
ricorso degli utenti a presidi convenzionati, deduce una posizione avente 
consistenza d'interesse legittimo e non gi� di diritto soggettivo. (omissis) f,, 

.. I~ 


r: 

PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 

CORTE DI CASSAZIONE; Sez. Un., 29 novembre 1989, n. 5229 -Pres. 
Zucconi Galli Fonseca -Rel. Di Ci� -P. G. Di Renzo (conf.) -Pennica 
(avv. Rampelli) c. F. S. (avv. Stato Favara). 

Giurisidizione civile � Regolamento preventivo � Sentenza che si � limitata 
ad esaminare il merito nei limiti necessari per risolvere la questione 
di giurisdizione � Ammissibilit� del regolamento. 

Ferrovie � Alloggio di servizio concesso a dipendente per motivi diversi 
dall'espletamento del servizio � Opposizione al provvedimento di ri� 
lascio � Giurisdizione amministrativa. 

Per decisione di merito, preclusiva del regolamento preventivo di giurisdizione, 
deve intendersi quella che affermi o neghi, nel caso sottoposto 
al giudizio, una volont� di legge conforme alla pretesa ivi dedotta, ovvero 
quella che risolva questioni preliminari attinenti al merito; la preclusione 
invece non sussiste allorch� il giudice adito abbia preso in e~ame 
il merito ai limitati fini della identific�zione dell'oggetto sostanziale dell'azione, 
onde stabilire se essa si inquadri o meno nella sfera della propria 
giurisdizione. 

Inerisce ad un rapporto di concessione e, quindi, � devoluta alla 
giurisdizione esclusiva dei tribunali amministrativi regionali, la controversia 
promossa da un dipendente ferroviario per opporsi alla pretesa 
di rilascio di un appartamento destinato ad alloggio di set'!Vizio, che gli 
era stato assegnato non per ragioni inerenti al servizio, ma in via provvi� 
soria e precaria in forza di un'inizativa meramente discrezionale dell'Amministrazione. 


(omissis) La preliminare eccezione d'inammissibilit� dell'istanza di 
regolamento preventivo di giurisdizione -sollevata dall'Ente Ferrovie 
dello Stato perch� la sentenza pronunciata dal Pretore di Monopoli avrebbe 
deciso, � nella sostanza �, questioni di merito -non � fondata. 

� noto che il regolamento preventivo di giurisdizione pu� essere 
proposto in ogni momento fino a che la causa non sia stata decisa nel 
merito in primo grado, ovvero finch� non sia passata in giudicato la sentenza 
di primo grado che, senza decidere il merito, abbia risolto la questione 
di giurisdizione. 

E proprio quest'ultimo caso si � verificato nella specie. 

Va invero tenuto presente che per decisione di merito, preclusiva 
del regolamento preventivo di giurisdizione, deve intendersi quella che 
affermi o neghi, nel caso sottoposto al giudizio, una volont� di legge conforme 
alla pretesa ivi dedotta, ovvero quella che risolva questioni preliminari 
attinenti al merito. La preclusione invece non sussiste allorchi 


58 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

il giudice adito abbia preso in esame il merito ai limitati fini della identificazione 
dell'oggetto sostanziale dell'azione, onde stabilire se essa si 
inquadri o meno nella sfera della propria giurisdizione: in tal caso le 
considerazioni della sentenza relative agli aspetti sostanziali della controversia 
sono strumentali rispetto alla pronuncia sulla giurisdizione e, 
quindi, hanno un effetto circoscritto ad esso e lasciano impregiudicate 
le decisioni che dovranno essere adottate dal giudice munito del potere 
giurisdizionale. 

Nella specie il pretore si � limitato ad esaminare il rapporto nei limiti 
strettamente necessari per risolvere la questione di giurisdizione sollevata 
dall'Ente convenuto e la pronuncia finale non ha esorbitato dal tema 
posto mediante tale eccezione. 

~ pacifico e documentato che l'appartamento di cui si tratta � compreso 
nel fabbricato della stazione ferroviaria di Monopoli, essendo destinato 
ad alloggio di servizio di quel capostazione titolare, e che mediante 
atto unilaterale amministrativo in data 28 giugno 1984, espressamente qualificato 
�concessione�, il compartimento Ferroviario di Bari lo ha dato 
in uso precario, come abitazione, ad Alessandro Permica il quale, pur 
non essendo capostazione titolare di Monopoli -e quindi naturale destinatario 
dell'alloggio di servizio -era dipendente dell'amministrazione 
ferroviaria. 

Ci� posto, deve innanzi tutto essere rilevato che la legge 17 maggio 
1985 n. 210, istitutiva dell'Ente Ferrovie dello Stato, sopravvenuta al rapporto 
in esame, non ha influenza sulla soluzione del quesito sottoposto 
a queste Sezioni Unite: per quanto mediante l'art. 23 essa assegni �le 
controversie di lavoro relative al personale dipendente dall'ente all'autorit� 
giudiziaria ordinaria, tuttavia nella specie l'alloggio in questione 
-pur assegnato al Permica allo scopo di agevolarne il servizio in favore 
dell'amministrazione ferroviaria -non � inerente al servizio stesso ed 
il suo godimento non � parte integrante del rapporto di lavoro tra l'istante 
e l'ente convenuto. 

Si tratta, in sostanza, di un alloggio il cui godimento � stato conferito 
al dipendente �in via provvisoria e precaria�, in forza di un'iniziativa 
meramente discrezionale dell'amministrazione, riguardante un immobile 
del proprio demanio o patrimonio indisponibile; cio� in forza di 
un provvedimento di concessione di bene pubblico. Pertanto la controversia 
promossa dal Permica per opporsi alla pretesa di rilascio del bene 
avanzata dall'amministrazione -espressa mediante atto amministrativo 
-inerisce ad un rapporto di concessione e, quindi, � devoluta alla 
competenza giurisdizionale esclusiva dei tribunali amministrativi regionali, 
ai sensi dell'art. 5, primo comma, della legge 6 dicembre 1971, 

n. 1034. 

PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 59 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un .� 1 febbraio 1990, n. 646 -Pres. Bile -

Rel. Cantillo -P.G. Grossi (conf.) -De Castro (avv. Costa) c. Min. 

Tesoro (avv. Stato Nucaro). 

Pensioni -Pensioni civili -Domanda proposta in via autonoma al fi.e 
di ottenere la rivalutazione di assegni pensionistici e i relativi interessi 
legali � Giurisdizione della Corte dei Conti. 

Le domande dirette ad ottenere la rivalutazione di assegni pensionistici 
corrisposti in ritardo ed i relativi interessi' legali non cessano di 
essere accessorie rispetto al trattamento di pensione e di appartenere, 
quindi, alla giurisdizione della Corte de.i Conti, sol.o per.ch� venganot proposte 
autonomamente, per essere cessate o per non esservi mai stata 
controversia in ordine a quel trattamento (1). 

(omissis) 1. -Con l'unico motivo a sostegno del regolamento di giurisdizione, 
volto a porre fine ad una decennale e sterile peregrinazione 
alla ricerca del giudice della causa, il De Castro deduce che erroneamente 
la Corte dei conti ha declinato la giurisdizione, la quale non poteva 
essere negata n� per il fatto che la domanda di rivalutazione ed interessi 
era stata proposta in via autonoma, n� in base alla causa petendi, 
non essendo stata addebitata alcuna specifica colpa all'Amministrzione. 

Il ricorso � fondato. 

La Corte dei Conti -adita dal De Castro su indicazione del Pretore 

di Roma, dichiaratosi carente di giurisdizione dopo analoga pronuncia 

del T.a.r. del Lazio -ha riconosciuto che la materia della rivalutazione 

monetaria e degli interessi rientra nella giurisdizione della stessa Corte 

se accessoria e direttamente dipendente dal diritto principale fatto vale


re, ma per due ordini di ragioni ha negato che tali caratteri rivesta la 

domanda in oggetto. 

La prima ragione � che questa � stata proposta in modo autonomo, 

sicch� non potrebbe essere � qualificata accessoria rispetto a questioni 

pensionistiche di naturale competenza della Corte�; la seconda ragione 

� che la rivalutazione e gli interessi sono stati chiesti in� relazione ad 

ad un ritardo nella liquidazione della pensione dovuto anche a provve


(1) La sentenza estende alla materia pensionistica quanto affermato in 
tema di pubblico impiego con la precedente sentenza delle stesse SS.UU. 6 ottobre 
1988, n. 5379, in questa Rassegna 1988, I, 306; in argomento v. pure 
Cass. SS.UU. 3 dicembre 1987, n. 9019; 17 ottobre 1988, n. 5630, in questa 
Rassegna 1988, I, 79 e 315. 
Ferma restando la giurisdizione della Corte dei Conti, � tuttavia da considerare 
che nella ipotesi che il trattamento pensionistico sia stato attribuito 
a seguito di decisione, la successiva richiesta di interessi e rivalutazione dovrebbe 
ritenersi preclusa dal giudicato che, come noto, copre il dedotto e 
il deducibile. 



60 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

dimenti del Comune di Roma relativi al pregresso rapporto di impiego, 
sicch� il ritardo non sarebbe imputabile soltanto all'ente previdenziale e 
occorrerebbe accertare l'esistenza, o meno, di una responsabilit� del Comune, 
accertamento, codesto, sicuramente devoluto al giudice ordinario. 

Entrambi gli argomenti non reggono alla critica. 

Al primo � agevole obiettare che le domande dirette ad ottenere la 
rivalutazione di assegni pensionistici corrisposti in ritardo e i relativi 
interessi legali non cessano di essere accessorie rispetto al trattamento 
di pensione, e di appartenere, quindi, alla giurisdizione della Corte dei 
Conti, solo perch� vengano proposte autonomamente, per essere cessata 

o per non esservi mai stata controversia in ordine a quel trattamento. 
Determinandosi la giurisdizione in relazione alla materia, tali pretese 
sono in ogni caso devolute alla Corte dei Conti (ex artt. 13 e 62 r.d. 12 luglio 
1934, n. 1214) �in quanto trovano titolo nel rapporto di pensione e 
sono immediatamente inerenti all'entit� degli assegni, mentre � del tutto 
ininfluente la contestualit�, o meno, delle richieste di interessi e di rivalutazione 
rispetto alla liquidazione della pensione (v. sent. 5630, 5568 e 
4503 del 1988). 
Quanto all'altro argomento, � vero che esulano dalla giurisdizione 
della Corte dei Conti (se trattasi di rapporto di pensione) o del giudice 
amministrativo in sede esclusiva (se trattasi di rapporto di impiego) e 
spettano, invece, al giudice ordinario, perch� investono questioni atti� 
nenti a diritti patrimoniali conseguenziali, le diverse pretese dirette a 
conseguire un risarcimento superiore a quello consentito dalla rivaluta� 
zione, o gli interessi moratori, le quali siano fondate sulla denuncia di 
comportamenti dilatori o comunque colposi dell'amministrazione esorbitanti 
dal puro e semplice ritardo (v., fra altre, sent. 5630 del 1988). 

Ma il De Castro ha chiesto la rivalutazione con criteri automatici e 
gli interessi per il ritardo nel pagamento dei ratei di pensione, senza 
affatto dedurre e far valere un comportamento dilatorio o colposo 
della p .. a. E poich� la giurisdizione si determina in base al petitum SO� 
stanziale, � evidente l'errore in cui � incorsa la sentenza impugnata nell'attribuire 
la cognizione della controversia al giudice ordinario. 

Va pertanto dichiarata la giurisdizione della Corte dei Conti, con 
conseguenziale condanna del Ministero del Tesoro al pagamento delle 
spese di questo regolamento. 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 22 febbraio 1990, n. 1308 -Pres. Tilocca � 
Est. Lupo -P. M. Chirico -Irusta Ines (avv. Azzolina) c. Ministero 
del Tesoro (avv. Stato Guicciardi). 

Avvocatura dello Stato �Rappresentanza e difesa di amministrazioni non 
statali . Procura � ad litem � -Necessit� � Insussistenza. 
(artt. 1 e 43 r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611; art. 11 legge 3 aprile 1979, n. 103). 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 

61 

�vvocatura dello Stato � Esercizio dello � ius postulandi � � Procura �ad 
lltem � � Necessit� � Insussistenza � Questione di costituzionalit� ma� 
nifestamente infondata. 

(art. 1 r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611). 

Sanzioni Amministrative . Infrazioni valutarie � Potere del Ministro del 

Tesoro di imporre pene pecuniarie � Questione di costituzionalit� 

manifestamente infondata. 

(r.d.1. 5 dicembre 1938, n. 1923). 
Sanzioni Amministrative -Infrazioni valutarie � Riscossione di pene ue� 
coniarle � Prescrizione quinquennale anzich� triennale �. Questione 
di costituzionalit� manifestamente infondata. 

(art. 17 legge 7 gennaio 1929, n. 4). 

Sanzioni Amministrative -Infrazioni valutarie -Responsabilit� � Requisito 
della maggiore et� � Necessit�. 
(artt. 2 e 12 legge 24 novembre 1981, n. 689). 

Anche nella difesa degli enti semplicemente autorizzati e non obbligati 
ad avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato, non � richiesto 
alcun atto di procura per l'esercizio dello ius postulandi da parte 
degli avvocati dello Stato, pertanto la deliberazione dell'ente di confe� 
rimento dell'incarico all'Avvocatura ha natura di atto interno che non 
deve essere esternato e non ha alcuna incidenza sul processo (1). 

� manifestamente infondata la questione di illegittimit� costituzionale 
dell'art. 1 r.d. 30. ottobre 1933 n. 1611, in relazione all'art. 97 Cast., 
il quale prevede che le funzioni di rappresentanza e difesa in giudizio 
delle amministrazioni da parte dell'Avvocatura dello Stato prescindono 
dal rilascio di una procura (2). 

� manifestamente infondata la questione di illegittimit� costituzionale 
del r.d.l. 5 dicembre 1938 n. 1928, in relazione all'art. 102 Cast., nella 
parte in cui consente al Ministro del Tesoro di imporre pene pecuni-arie 
considerato che la pena pecuniaria ha carattere civile e quindi non 
costituisce una sanzione penale (3). 

� manifestamente infondata la questione di illegittimit� costituzionale 
dell'art. 17, primo comma, legge 7 gennaio 1929 n. 4, in relazio~ 
agli artt. 3 e '113 Cost., nella parte in cui prevede come termine di pre


(1-2) Principio pacifico in giurisprudenza, cfr. da ultimo Cass. Sez. Un. 
16 ottobre 1989, n. 4145; Cass. Sez. Un. 29 agosto 1989, n. 3817; Cass. Sez. Un. 
5 giugno 1989, n. 2695. 

(3-4) Entrambe le questioni di costituzionalit� sono dichiarate manifestamente 
infondate sul presupposto dell'eterogeneit� delle sanzioni penali ed amministrative. 
Sulla prima massima cfr. nello stesso senso Cass. 24 luglio 
1981, n. 4785 (in Foro It. Mass. 1981, 975) nonch� C. Cost. 4 marzo 1970, n. 32 
(in Foro it. 1970, I, 1026). Sulla seconda massima v. in senso conforme C. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

scrizione della pena pecuniaria il periodo di cinque anni anzich� quello 
di tre anni previsto dall'art. 157 c.p. per le contravvenzioni (4). 

L'art. 2 legge 689/81, il quale richiede la maggiore et� pe1� l'assoggettamento 
alle sanzioni amministrative, si applica alle violazioni valutarie 
punite con pena pecuniaria (nella fattispecie la violazione � avvenuta 
prima dell'entrata in vigore della legge 689/81 ma il provvedimento di 
applicazione della sanzione � stato emesso dopo) (5). 

(omissis) 1. -Con il primo motivo del ricorso Ines e Maurizio Irusta 
deducono violazione e falsa applicazione dell'art. 30 (recte: art. 1) del 

r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611 (testo unico sull'Avvocatura dello Stato) e 
degli artt. 1 e 2 del regolamento esecutivo di detto testo unico, approvato 
con r.d. 30 ottobre 1933 n. 1612. In subordine, sollevano la questione 
di legittimit� costituzionale delle citate disposizioni normative, per contrasto 
con l'art. 97 Cost. 
In particolare, i ncorrent1, al fme ai riproporre la eccezione d� inammissibilit� 
dell'appello respinta dalla sentenza impugnata, censurano detta 
sentenza nella parte in cui ha aesunto dalla disposizione secondo cui 
gli avvocati dello Stato non hanno bisogno Cli mandato, la regola che 
tali avvocati hanno il potere di decidere se una controversia va proposta 
o una impugnazione presentata. :::>econao 1 ricorrenti, occorre invece 
una manifestazione di volont� dell'Amministrazione rappresentata, che, 
contrariamente a quanto affermato dalla Corte di appello, non pu� ritenersi 
un fatto puramente interno. I ricorrenti lamentano ancora che, nell'ambito 
dell'Avvocatura dello Stato, non esista alcuna delimitazione degli 

Cost. 19 novembre 1987, n. 420 (in Foro it. 1988, I, 3158) con riguardo all'art. 28, 

1. 689/81, nonch� Cass. 20 maggio 1987, n. 4610 (in Giur. it. 1988, I, 1, 73) nel 
senso che il termine quinquennale per la riscossione delle sanzioni pecuniarie 
amministrative � di prescrizione e non di decadenza, quindi � interrotto dalla 
notifica della ordinanza-ingiunzione. 
(5) Cfr. Cass. 4 febbraio 1986, n. 684 (in Foro it. 1986, I, 1315) in cui si 
afferma che agli illeciti valutari non sono applicabili le norme processuali 
contenute nella I. 689/81 (solo le norme processuali ed in particolare l'art. 22 
che prevede la competenza funzionale del pretore) pertanto l'opposizione avverso 
il decreto del ministro del tesoro deve essere proposta dinanzi al giudice 
ordinario competente per valore secondo le regole generali. Nel senso invece 
della completa applicabilit� della legge 689/81 agli illeciti valutari v. Pret. 
Roma 28 novembre 1984 (in Foro it. 1986, I, 581). Cfr. altres� Cass. 20 maggio 
1987, n. 4610 (in Giur. it. 1988, I, 1, 73) nel senso dell'inapplicabilit� dell'art. 2 
legge 689/81 nell'ipotesi in cui -contestata anteriormente all'entrata in vigore 
della legge stessa, un'infrazione all'infradiciottenne -l'opposizione sia stata 
proposta successivamente a tale data facendosi valere solo l'irritualit� della 
contestazione. 
Da ultimo si segnala Villalta, Orientamenti giurisprudenziali in tema di 
tutela giurisdizionale avverso le sanzioni amministrative, in Dir. proc. amm. 
1987, 317 ss. (F.S.). 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 

organi competenti a decidere sulla proposizione delle azioni e delle impugnazioni, 
ritenendo tale assetto normativo, se sussistente, contrastante 
con l'art. 97 primo e secondo comma, della Costituzione. 

Il motivo di ricorso � infondato. Contrariamente all'assunto sul quale 
buona parte di esso si fonda, va affermato che l'iniziativa giudiziaria 
dell'Avvocatura dello Stato richiede il consenso dell'Amministrazione rappresentata, 
come chiaramente si desume dall'art. 12 della legge 3 aprile 
1979 n. 103, secondo cui �le divergenze che insorgono tra il competente 
ufficio dell'Avvocatura dello Stato e le amministrazioni interessate, circa 
la instaurazione di un giudizio o la resistenza nel medesimo, sono risolte 
dal ministro competente con determinazione non delegabile � (analogamente 
dispone il secondo comma dello stesso art. 12 per le divergenze 
che insorgano tra l'Avvocatura dello Stato e le amministrazioni non statali). 
Quando, perci�, l'Avvocatura dello Stato assume un'iniziativa giudiziaria, 
in ordine alla stessa vi � il consenso della Amministrazione interessata 
(che ha impedito l'insorgere di una �divergenza�) ovvero, se 
�divergenza� vi � stata, essa � stata risolta nel senso dell'iniziativa con 
la � determinazione � prevista dal trascritto art. 12. 

Ma il consenso dell'Amministrazione interessata, comunque esso si 
sia realizzato (in via tacita ed informale ovvero mediante espressa determinazione), 
costituisce -come � stato esattamente affermato dalla sentenza 
impugnata -un atto che non ha alcuna incidenza sul processo, 
posto che la legge non richiede l'esistenza di un atto di procura per 
l'esercizio dello ius postulandi da parte degli avvocati dello Stato (art. l, 
cpv. t.u. 30 ottobre 1933 n. 1611). Anche per gli enti semplicemente autorizzati 
(e non obbligati) ad avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura dello 
Stato, la deliberazione dell'ente di avvalersi di tale facolt�, e di conferimento 
dell'incarico, ha natura di atto meramente interno e non abbisogna 
di esteriorizzazione mformale procura (Sez. Un., 18 marzo 1987, 

n. 2712). 
L'assetto normativo cos� ricostruito non contrasta con l'art. 97 Cast., 
onde � manifestamente infondata la questione di costituzionalit� sollevata 
dai ricorrenti. Non si vede come il mantenimento dei rapporti tra 
Amministrazione rappresentata ed Avvocatura dello Stato nell'ambito dell'ordinamento 
amministrativo, e l'esclusione di ogni riflesso degli stessi 
sulla regolarit� del processo, possa incidere negativamente sul buon andamento 
e sulla imparzialit� dell'Amministrazione pubblica ovvero sull'ordinamento 
interno degli uffict. Al contrario, l'art. 12 della legge n. 103/79, 
nell'attribuire espressamente all'Amministrazione interessata il potere decisionale 
in ordine all'iniziativa giudiziaria e nell'individuare in modo 
rigido l'organo competente ad assumere la decisione nel caso di contrasto 
con l'Avvocatura dello Stato (il Ministro, per le amministrazioni statali), 
sembra porsi nel pieno rispetto dei precetti costituzionali invocati 
dai ricorrenti. 


64 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

2. -Con il secondo motivo i ricorrenti sollevano altre due questioni 
di legittimit� costituzionale, deducendo precisamente: 
a) l'incostituzionalit� del r.d.l. 5 dicembre 1938 n. 1928, nella parte 
in cui consente al Ministro del tesoro di imporre pene pecuniarie, in 
contrasto con l'art. 102 Cost., che riserva ai giudici la funzione giurisdizionale; 


b) l'incostituzionalit� dell'art. 17, primo comma della legge 7 gennaio 
1929 n. 4 (richiamato dall'art. 3 del citato r.d.I. n. 1928/38), che prevede 
come termine di prescrizione della pena pecuniaria il periodo di 
cinque anni, anzich� il periodo triennale indicato per le contravvenzioni 
dall'art. 157 c.p. Di questa norma si deduce il contrasto con l'art. 3 e con 
l'art. 113, secondo comma Cost. 

Ambedue le questioni di costituzionalit� sollevate sono manifestamente 
infondate. 
In ordine alla questione sub a), � sufficiente osservare che l'obbligazione 
di pagare la pena pecuniaria, come precisa l'art. 3 cpv. della legge 

n. 4/29, �ha carattere civile�; detta pena non costituisce perci� una sanzione 
penale. L'attivit� della autorit� amministrativa che applica una sanzione 
non penale ha natura amministrativa, onde detta autorit� non pu� 
essere considerata un organo giurisdizionale. Che l'attribuzione ad un 
organo amministrativo del potere di infliggere una sanzione non penale 
non implica la creazione di un giudice speciale costituisce una .affermazione 
pacifica della giurisprudenza della Corte Cost., a partire dalla sentenza 
n. 32 del 1970, che ebbe a respingere analoghi dubbi di costituzionalit� 
sollevati nei confronti della prima legge di depenalizzazione 
(legge n. 317/67). 
� utile aggiungere che il potere del Ministro del tesoro di infliggere 
pene pecuniarie per le violazioni valutarie � stato ritenuto non contrastante 
con l'art. 102 Cost. anche dalla pronunzia di questa Corte 24 luglio 
1981 n. 4785. 

La diversit� tra la contravvenzione (illecito penale) e l'illecito valutario 
punito con pena pecuniaria (illecito amministrativo) � ragione sufficiente 
a giustificare anche la diversit� dei termini di prescrizione, come 
ha affermato di recente anche Corte Cost. 11 novembre 1987 n. 420, la 
quale ha dichiarato manifestamente infondata una questione di costituzionalit� 
analoga a quella sopra indicata nella. lettera b). 

3. -Con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione 
degli artt. 2, 2043, 2046 e 2047 e.e. e degli artt. 4 e 8 del d.I. 6 giugno 1956 
n. 476, nonch� vizi di motivazione. Si sostiene che erroneamente � stata 
affermata la responsabilit� di Maurizio Irusta, che aveva solo 14 anni 
all'epoca delle violazioni valutarie. La sentenza impugnata avrebbe dovuto, 
perci�, escludere la imputabilit� del minore, secondo il disposto 
sia del codice civile sia della normativa valutaria. 
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PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 

Il motivo di ricorso va accolto, ma per ragioni diverse da quelle 
in esso esposte. 

Va preme~so che la sentenza impugnata ha affermato la imputabilit� 
del quattordicenne Maurizio Irusta sulla base sia dell'art. 2046 e.e., 
sia del disposto del primo comma dell'art. 4 del r.d.l. 5 dicembre 1938 

n. 1928. Le censure che nel ricorso si muovono a tale affermazioni della 
sentenza sono infondate. 
L'art. 2046 e.e. prevede che risponde del fatto illecito anche il minore 
di et� che, quando ha commesso il fatto, aveva la capacit� di intendere 
e di volere, secondo l'accertamento compiuto dal giudice di merito. 

L'art. 4 del r.d.l. n. 1928/38 prevede che la responsabilit� del trasgressore 
sia solidale (e perci� si cumuli) con quella dalla �persona rivestita 
dell'autorit� o incaricata dalla direzione o vigilanza�, onde � erroneo l'assunto 
sostenuto nel ricorso che, secondo la norma citata, la responsabilit� 
dell'un soggetto sia esclusiva di quella dell'altro. Del tutto irrilevante 
�, altres�, che il disposto normativo in esame sia stato indicato 
nella sentenza impugnata con gli estremi inesatti, in quanto la inesattezza 
non ha impedito (allo stesso ricorrente) la identificai:ione della disposizione 
normativa di cui la Corte di appello ha fatto applicazione. 

La tesi sostenuta nel motivo di ricorso (non assoggettabilit� del minore 
di et� alla pena pecuniaria) e la conseguente censura mossa alla 
sentenza impugnata (che ha respinto tale tesi) vanno per� accolte in 
applicazione dell'art. 2 della legge 24 novembre 1981 n. 689, entrata in 
vigore dopo le violazioni per cui � causa, ma prima del provvedimento 
ministeriale di applicazione della pena pecuniaria. 

Il citato art. 2 prevede che � non pu� essere assoggettato a sanzione 
amministrativa chi, al momento in cui ha commesso il fatto, non aveva 
compiuto i diciotto anni �. Questa disposizione che ha fissato il requisito 
della imputabilit� rispetto all'illecito amministrativo si applica alle violazioni 
valutarie punite con pena pecuniaria, come si desume dall'art. 12 
della stessa legge n. 689/81, che appunto ne delimita 1'� ambito di applicazione
�. 

Le violazioni alle quali si applicano le disposizioni del capo I della 
legge n. 689/81 sono quelle �per le quali � prevista la sanzione amministrativa 
pecuniaria�, qualora sussistano due presupposti: a) le disposizioni 
del capo I siano � applicabili �, e cio� vi sia una compatibilit� generale 
tra dette disposizioni ed il tipo di violazione amministrativa punita 
con sanzione pecuniaria; b) non sussista, nella disciplina di detto tipo 
di violazione, �na disposizione normativa specificamente contraria al disposto 
della legge n. 689/81 (�salvo che non sia diversame;nte stabilito�). 

Per quanto riguarda il presupposto sub a), va tenuto presente che 
il capo I della legge n. 689/81 si applica direttamente all'illecito amministrativo 
di natura punitiva, come si desume dal fatto che detta legge 
si inserisce nella politica di depenalizzazione e che proprio il citato art. 12 


66 .
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parifica all'illecito depenalizzato l'illecito amministrativo per il quale la 
sanzione pecuniaria sia prevista ab origine (�anche quando questa san� 
zione non � prevista in sostituzione di una sanzione penale�). Anche le 
violazioni valutarie per le quali � comminata una pena pecuniaria costituiscono 
illeciti di tipo punitivo, come � reso evidente dal fatto che tali 
violazioni hanno subito, negli anni recenti (dal decreto-legge 4 marzo 1976, 

n. 31 alla legge 21 ottobre 1988, n. 455), penalizzazioni e depenalizzazioni, 
le quali hanno modificato soltanto la natura della sanzione senza incidere, 
in linea generale, sui precetti e quindi sul tipo di illecito. 
La natura di illecito amministrativo punitivo rende compatibile la 

violazione valutaria punita con pena pecuniaria con la disciplina prevista 

dal capo I della legge n. 689/81. Questa conclusione non � infirmata dalla 

considerazione che l'art. 3, secondo comma della legge 7 gennaio 1929, n. 4 

(richiamato espressamente per le violazioni valutarie dall'art, 3 del r.d.l. 

5 dicembre 1938, n. 1928) dispone che l'obbligazione di pagare una somma 

a titolo di pena pecuniaria �ha carattere civile�. Questa disposizione in


tende precisare, come si � bene osservato in dottrina, che la pena pecu


niaria costituisce una sanzione non penale, onde essa non � idonea a porre 

una diversificazione intrinseca tra la sanzione amministrativa disciplinata 

dalla legge n. 689/81 e la pena pecuniaria medesima. 

Sussiste anche il secondo presupposto previsto dal citato art. 12 per 

l'applicabilit� alle violazioni valutarie punite con pena pecuniaria del 

disposto dell'art. 2 della legge n. 689/81. Il requisito della capacit� di 

intendere e di volere, infatti, non trova una espressa e univoca disciplina 

nella normativa relativa a dette violazioni, tanto che la sentenza impu� 

gnata, come si � visto, ha ritenuto non sufficiente il disposto dell'art. 4, 

primo comma del r.d.l. n. 1928/38, ma ha dovuto fare ricorso alla nor� 

mativa del codice civile sulla imputabilit� rispetto al fatto illecito civile. 

Nell'assenza di una espressa e specifica disciplina della imputabilit� ri


spetto all'illecito amministrativo valutario, deve farsi applicazione del 

�principio generale� posto dall'art. 2 della legge n. 689/81. 

L'affermazione alla quale si � qui pervenuti non si pone in contrasto 
con la precedente sentenza di questa Sezione 4 febbraio 1986, n. 684, che 
ha dichiarato inapplicabile alle infrazioni valutarie la legge n. 689/81. Il 
richiamato precedente si riferisce esclusivamente alla disciplina proce� 
dimentale delle infrazioni valutarie, che trova (o, si direbbe meglio, trovava 
all'epoca della sentenza citata, e cio� prima del D.P.R. 29 settembre 1987, 

n. 454) una completa regolamentazione nel r.d.l. n. 1928/38 secondo un 
sistema normativo che si differenzia nettamente da quello contenuto 
nella sezione II del capo I della legge n. 689/81. Per. il procedimento di 
applicazione della sanzione in materia valutaria assumeva perci� rilievo 
� la esistenza di una diversa disciplina idonea a rendere inapplicabile la 
normativa della legge n. 689/81, mentre tale diversit� non sussiste in 
relazione alla et� imputabile del trasgressore. 

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PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 67 

La interpretazione che si � data dell'art. 2 della legge n. 689/81 attribuisce 
al disposto dell'art. 23, primo comma del d.P.R. 29 settembre 1987, 

n. 454 (che ha dichiarato espressamente applicabile alle violazioni amministrative 
valutarie l'art. 2 della legge n. 689/81) una portata non innovativa, 
ma esplicativa di un principio gi� vigente nell'ordinamento preesis.
tente. Altrettanto deve dirsi dell'art. 23, primo comma del testo unico 
delle norme di legge in materia valutaria, approvato con d.P.R. 31 marzo 
1988, n. 148, che dal 1� gennaio 1989 ha sostituito il citato d.P.R. n. 454/87 
abrogandolo espressamente (art. 42). 
Va infine osservato che l'art. 2 della legge n. 689/81 � di immediata 
applicazione anche nei giudizi inerenti ad infrazioni commesse prima della 
sua entrata in vigore, ai sensi della disposizione transitoria contenuta 
nell'art. 40 della stessa legge (sentenza 20 maggio 1987, n. 4610, in motivazione), 
senza che possa distinguersi tra infrazioni depenalizzate e violazioni 
sorte in origine come infrazioni amministrative (Sez. Un., 7 marzo 
1985, n. 1879 e 24 aprile 1985, n. 2709). 

In conclusione, deve ritenersi fondata la censura contenuta nel terzo 
motivo del ricorso, nella parte in cui si deduce la non imputabilit� di 
Maurizio Irusta, che aveva 14 anni nell'anno (1975) in cui furono commesse 
le violazioni valutarie per cui � causa. (omissis) 

CORTE DEI CONTI, Sez. III pensioni civili, 17 gennaio 1990, n. 63519 -
Pres. Bisogno -Rel. Pergameno -P. M. De Musso (conf.) -Esposito 
(avv. Del Prete) c. F. S. (avv. Stato Stipo). 

� 

Pensioni -Pensioni civili -Ricorsi proposti da dipendenti ferroviari dopo 
la istituzione dell'Ente Ferrovie dello Stato -Giurisdizione della 
Corte dei Conti. 

Appartiene al!a giurisdizio~e della Corte dei Conti il giudizio relativo 
al trattamento pensionistico dei dipendenti ferroviari anche se cessati 
dal servizio successivamente alla entrata in vigore della legge 17 maggio 
1985, n. 210; inoltre, in materia di pensioni ferroviarie, la possibilit� 
di trattamenti a onere ripartito con lo Stato (art. 238 T. U. 29 dicembre 
1973, n. 1092) o con le Casse pensioni amministrate dalla Direzione 
Generale degli Istituti di Previdenza del Ministero del Tesoro (art. 1 legge 
22 giugno 1954, n. 523) comporta l'applicazione degli artt. 13 e 62 T. U. 
17 luglio 1934, n. 1214, che prevede, la giurisdizione della Corte dei Conti 

6 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

68 

in materia di pensioni in tutto o in parte a carico dello Stato o altri enti 
designati dalla legge (1). 

(omissis) Preliminare si rivela la questione relativa alla giurisdizione 
della Corte in ordine a una vertenza che trae origine dal diniego di 
trattamento pensionistico privilegiato, operato con decreto dell'Ente F. S., 
giurisdizione che la Sezione ritiene~ di poter affermare. E ci� in base alle 
seguenti considerazioni. 

Giova in primo luogo ricordare che la giurisdizione della Corte dei 
Conti in materia di ricorsi avverso decreti concernenti il trattamento 
di quiescenza dei dipendenti delle F. S., facente carico al Fondo pensioni 
e sussidi del personale ferroviario (che, ai sensi dell'art. 1 del r.d. 22 apri� 
le 1909, n. 229, costituisce una apposita gestione dell'Amministrazione 
delle F. S.) � stata stabilita con l'art. 22 del ricordato regio decreto. 

La legge istitutiva del nuovo Ente � Ferrovie dello Stato � (legge 
17 maggio 1985, n. 210, pubblicata sulla G. U. del 30 maggio 1985, n. 126) 
all'art. 23 stabilisce che le controversie di lavoro relative al personale 
sono di competenza del Pretore del luogo ove ha sede l'Ufficio dell'Avvocatura 
dello Stato nel cui distretto si trova il giudice che sarebbe competente 
secondo le norme ordinarie. Si tratta di una disposizione che 
individua la competenza e non tanto la giurisdizione, la quale � presupposta 
come di spettanza dell'Autorit� giudiziaria ordinaria, evidentemente 
in base alle caratteristiche del rapporto di impiego. Infatti l'art. 21, 
della stessa legge 210, stabilisce che il rapporto di lavoro del personale 
dell'Ente F. S. � regolato su base contrattuale, collettiva ed individuale; 
si tratta cio� di un rapporto di lavoro su base paritetica e non autoritativa 
{non � prevista l'approvazione con Decreto del Presidente della 

La istituzione dell'Ente Ferrovie dello Stato e la giurisdizione in materia pensionistica. 


Non pu� che convenirsi con la decisione in rassegna che, per quanto riguarda 
i ferrovieri, ha affermato la inapplicabilit� dell'art. 23 della legge 17 maggio 
1985, n. 210, che attribuisce al pretore la giurisdizione nelle � controversie di 
lavoro relative al personale dipendente dall'Ente Ferrovie dello Stato �. 

L'espressione �controversie di lavoro � va intesa in senso stretto nel senso 
di comprendere solo le controversie individuali di lavoro (Cass. 22 ottobre 
1987, n. 7819, in questa Rassegna 1988, I, 79) con escilUJSione quindi delle controversie 
di natura previdenziale, (Cass. 9 giugno 1989, n. 2821 retro, pag. 52). 

La esclusione delle controversie previdenziali dall'oggetto della citata norma 
dell'art. 23 della legge istitutiva dell'Ente Ferrovie dello Stato, si ricava 
altres� dal tenore dell'ultimo comma del precedente art. 21, ove � detto: 
� Fino a quando non sar� disciplinato l'assetto generale del trattamento previdenziale 
e pensionistico dei lavoratori dipendenti, rimane fermo il trattamento 
in atto all'entrata in vigore della presente legge, trasferendosene a 
carico dell'Ente Ferrovie dello Stato l'onere finanziario finora gravante sullo 
Stato, salvo le compensazioni dovute in forza dei regolamenti comunitari�. 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 69 

Repubblica degli accordi, come ad es. per i Dipendenti degli Enti locali 

ai sensi dell'art. 6, comma 19" del d.l. 29 dicembre 1977, n. 946, convertito 

nella legge 27 febbraio 1978, n. 43; e poi la legge 210 parla di � contratti 

collettivi� e non di �accordi�; non �, infine neanche prevista la � rece


zione� degli accordi con atto dell'Ente, di natura regolamentare. � cio� 

esclusa la regolamentazione autoritativa del rapporto di lavoro. 

Del tutto diversa � invece la configurazione giuridica del rapporto 

pensionistico. L'art. 21 della legge 210 stabilisce infatti che � fino a quando 

non sar� disciplinato l'assetto generale del trattamento previdenziale e 

pensionistico <;lei lavoratori dipendenti, rimane fermo il trattamento in 

atto all'entrata in vigore della presente legge, trasferendosene a carico 

dell'Ente F. S. l'onere finanziario, sinora gravante sullo Stato, salvo le 

compensazioni dovute in forza dei regolamenti comunitari �. 

Il trattamento di quiescenza resta quindi regolato dalle disposizioni 

tuttora vigenti e cio� dagli artt. 209-251 del T. U. approvato con d.P.R. 

29 dicembre 1973, n. 1092 e dalle disposizioni precedenti. Senza dubbio 

la competenza ad emettere i relativi provvedimenti deve intendersi tra


sferita all'Ente F. S. ed ai suoi organi, stante il fatto che l'onere fa carico 

all'Ente e ancor pi� in considerazione del disposto dell'art. l, comma 3� 

della legge 210, che stabilisce che l'Ente succede in tutti i rapporti attivi 

e passivi -beni, partecipazioni, gestioni speciali -gi� di pertinenza 

dell'Azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato. Ma ci�, se legittima a 

ritenere. superate quelle disposizioni che attribuivano la competenza al


l'emissione di alcuni provvedimenti di pensione (come ad es.: proprio 

quello impugnato col presente ricorso) al Ministro dei trasporti, (e al 

Ministro come tale, senza la specificazione �nella qualit� di Presidente 

La giurisdizione della Corte dei Conti si ricava altres� dalle disposizioni 

degli artt. 13 e 62 T.U. 12 luglio 1934, n. 1214 che attribuiscono a detta Corte 

i giudizi in materia di pensione in tutto o in parte a carico dello Stato. 

Orbene il Fondo pensioni � incrementato dalla partecipazione finan,ziaria 

dello Stato (art. 209 penultimo comma e 210 ultimo comma T.U. 29 dicembre 

1973, n. 1092 sulle pensioni). 

E lo stesso gi� citato art. 21 ultimo comma della Legge n. 210/1985, man


tiene ferma la legislazione vigente sul trattamento pensionistico dei ferrovieri, 

il cui Fondo pensioni � incrementato dalle � compensazioni dovute in forza 

dei regolamenti comunitari �. 

Infatti annualmente lo Stato interviene finanziariamente sul Fondo pen


sioni, cos� in particolare: 

� Per l'anno 1986, sono determinate ... le compensazioni spettanti all'Ente 
Ferrovie dello Stato ... in lire 1.016,4 miliardi quelle a copertura del disavanzo 
del fondo pensioni ai sensi dell'art. 21, ultimo comma, della Legge 17 maggio 
. 1985 n. 210 � (art. 10 comma 14 Legge Finanziaria 1986, 28 febbraio 1986, n. 41). 
� Per l'anno 1987 sono determinate ... le compensazioni spettanti all'ente 
Ferrovie dello Stato ... in lire 1.050,4 miliardi quelle a copertura del disavanzo 
del Fondo pensioni ai sensi dell'art. 21, ultimo comma, della Legge 17 maggio 
1985, n. 210 � (art. 2 comma 7, Legge Finanziaria 1987, 22 dicembre 1986, n. 910); 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

dell'Azienda F. S. �), non pu� per� portare a concludere che il rapporto 
pensionistico sia ora regolato da norme contrattuali. 

E del resto � proprio l'art. 21 della legge 210 ad escludere innovazioni 
in materia di trattamento pensionistico del personale ferroviario (come 
innanzi gi� si � riferito) ed allora non sembra possibile che innovazioni 
quanto alla giurisdizone si possano indurre dalle disposizioni dell'art. 23, 
sia perch� queste trovano specifiche motivazioni nelle innovazioni della 
disciplina del rapporto di lavoro (e le norme sulla giurisdizione non 
possono che innestarsi sulla disciplina e sulle caratteristiche del rapporto 
sostanziale) sia per l'ovvia specificit� della norma sulla giurisdizione del 

r.d. 229/1929 (gi� citato) rispetto alla disposizione generale di cui all'art. 23 
della legge 210/1985. 
C'� poi anche da considerare il fatto che l'art. 238 del T. U. 1092 
prevede fattispecie di pensioni a onere ripartito con lo Stato e in questo 
caso -nell'ipotesi di controversie giudiziarie -trova applicazione il 
disposto degli artt. 13 e 62 del T. U. 12 luglio 1934, n. 1214, che stabiiisce 
la giurisdizione della Corte dei Conti in materia di pensioni in tutto o 
in parte a carico dello Stato (e di altri Enti individuati dalla legge, tra 
cui ad es.: le Casse di Previdenza amministrate dalla Direzione Generale 
degli Istituti di Previdenza del Ministero del Tesoro; per le pensioni amministrate 
da tali Casse � ammessa la ricongiunzione dei servizi resi con 

� Per l'anno 1988, sono determinate ... le compensazioni spettanti all'Ente 
Ferrovie dello Stato ... in lire 1.141,l miliardi quelle a copertura del disavanzo 
del Fondo pensioni ai sensi dell'art. 21, ultimo comma, della Legge 17 maggio 
1985, n. 210 � (art. 13 comma 4 Legge Finanziaria 1988, 11 marzo 1988, n. 67); 

� Per l'anno 1989, sono determinate ... le compensazioni spettanti all'Ente 

Ferrovie dello Stato ... in lire 1189 miliardi quelle a copertura del disavanzo 

del Fondo pensioni ai sensi dell'art. 21, ultimo comma, della Legge 17 maggio 

1985, n. 210 � (art. 3 comma 4 Legge Finanziaria 1989, 24 dicembre 1988, n. 541). 

In tale situazione la Corte dei Conti ha ritenuto la permanenza del con


trollo sugli atti (art. 18 Il co. citato T.U. n. 1214/1934) in materia di pensioni 

(v. Decisione e relazione della Corte dei Conti sul rendiconto generale dello 
Stato per gli esercitl final12liari 1985 e 1986, rispettivamente in Atti Camera 
dei Deputati IX Legislatura Doc. XIV, n. 4 vol. Il, pag. 649 e in Atti Senato X 
Legislatura Doc. XIV n. 1 vol. Il, pag. 528). 
E invero il gi� citato art. 21 ult. co. Legge n. 210/1985, mantenendo ferma 
la normativa sul trattamento pensionistico, ha inteso stralciare il trattamento 
previdenziale dall'attivit� di gestione imprenditoriale del nuovo Ente Ferrovie 
dello Stato. 

H controllo continuativo sulla gestione dell'Ente F.S., con le modaliit� di cui 
agli artt. 5, 6, 7, 8 e 9 della Legge 21 marzo 1958, n. 259 per le sue tipologiche 
peculiarit� che non condizionano l'efficacia di alcun atto e che tendono ad 
accertare che la gestione sia conforme a legge, al pubblico interesse ed ai 
suoi principi economici, onde riferirne al Parlamento in una relazione annuale 
non pu� perci� considerarsi esteso dall'art. 19 della citata Legge n. 210/1985 
a materie diverse da quelle inerenti la gestione dell'Ente, ed in particolare alla 
materia pensionistica. 


.. 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 71 

iscrizione alle stesse con quelli con iscrizione al Fondo pensioni F. S., ai 
sensi dell'art. 1 della legge 22 giugno 1954, n. 523; il ricorso alla Corte dei 
Conti in materia di pensioni delle Casse in parola � previsto dall'art. 60 
del r.d. 3 marzo 1938, n. 680; dall'art. 63 della legge 6 febbraio 1941, n. 176; 
dall'art. 54 della legge 6 luglio 1939, n. 1035; dagli artt. 46 e 49 del r.d. 
12 luglio 1934, n. 2312). 

Pu� infine essere anche ricordato, proprio a sostegno della tesi che 
in materia pensionistica la legge 210/1985 non ha apportato innovazioni, 
il fatto che la Corte dei Conti ha ritenuto la permanenza del controllo 
sugli atti in materia di trattamento di quiescenza del personale ferroviario 

(v. Decisione e relazione della Corte dei Conti sul rendiconto generale 
dello Stato per gli esercizi finanziari 1985 e 1986 -Atti Camera dei deputati 
IX legislatura, doc. XIV, n. 4, vol. II -pag. 649 e Atti Senato X legislatura, 
doc. XIV, n. 1 -vol. II, pag. 528). 
Deve quindi ritenersi che, fino a una riorganizzazione legislativa del 
trattamento pensionistico dei ferrovieri, la materia penisonistica sia stata 
attribuita all'Ente F. S. quale esercente di pubblica funzione, come tale 

Fino alla nuova disciplina del trattamento previdenziale dei ferrovieri, la 
materia pensionistica � stata attribuita all'Ente F.S. quale esercizio di una 
pubblica funzione di spettanza dello Stato, del tutto avulsa dai compiti istituzionali 
dell'Ente e quindi sottratta ai richiamati profili gestionali. 

All'uopo � da sottolineare come il trattamento pensionistico � compito 
dello Stato e dei suoi enti strumentali, sia nel campo del pubblico impiego 
come nel campo dell'impiego privato, tanto � vero che non rientra neanche 
nelle materie di competenza regionale di cui all'art. 117 Cost. 

Solo in virt� di una espressa disposizione di legge (art. 245 cit. T.U. 

n. 1092/1973) la competenza a liquidare il trattamento ordinario di quiescenza 
spetta ad un organo dell'Ente F.S., e cos� pure il trattamento privilegiato in 
caso di dispensa per inidoneit� fisica a causa di servizio (art. 246 stesso T.U.). 
Ma per il trattamento privilegiato di pensione, che per ferrovieri � stato 
mantenuto malgrado il loro rapporto di lavoro privatistico, la competenza 
ad emettere provvedimenti concessivi o negativi continua a spettare, ai sensi 
degli artt. 246, 248 e 249 citato T.U. n. 1092/1973, al Ministro dei Trasporti 
come tale, in quanto tale competenza non era stata attribuita quale presidente 
dell'Azienda F.S. 

In conclusione la giurisdizione della Corte dei Conti in materia di pensioni 
ai ferrovieri sussiste, per le seguenti ragioni: 
a) l'art. 23 Legge 17 maggio 1985, n. 210 riguarda le controversie di 
lavoro e non anche quelle previdenziali; 
b) l'art. 21, ultimo comma della citata Legge, n. 210 mantiene in vigore 
l'ordinamento pensionistico vigente; 
e) l'art. 22 R.D. 22 aprile 1909, n. 229 attribuisce espressamente alla 
Corte dei Conti la giurisdizione sulle pensioni dei ferrovieri; 

d) essendo il Fondo pensioni dei ferrovieri incrementato dallo Stato, 
valgono le norme generali che attribuiscono alla Corte dei Conti la giurisdizione 
sulle pensioni a carico totale o parziale dello Stato. 

G. STIPO 

72 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

di competenza dello Stato, e quindi non rientrante nei compiti istituzionali 
e nelle gestioni specifiche e strettamente proprie dell'Ente F. S. 

La Sezione intende in tal modo confermare ed estendere l'orientamento 
gi� emerso in occasione di decisioni di ricorsi attinenti a personale 
ferroviario cessato dal servizio prima dell'entrata in vigore della legge 
210 {v. dee. Sez. III pensioni civili 29 ottobre 1986, n. 59812 -rie. Vinci 
Assunta; v. anche Consiglio di Stato -Sez. VI, 5 marzo 1986, n. 239 nella 
fattispecie di cui al presente ricorso, la questione deve essere 
definita con riferimento a data successiva all'entrata in vigore della 
legge 210, essendo il dipendente deceduto il 15 dicembre 1985). (omissis) 



SEZIONE QUARTA 

GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., 27 novembre 1989, n. 16 -Pres. Crisci Est. 
Baccarini -Virz� (avv. Lenzinger e Ramadori) c. Ministero dei 
Trasporti (avv. Stato Bruno). 

Giustizia Amministrativa � Ricorso gerarchico � Decorso del termine per 
la decisione � Facolt� di ricorso giurisdizionale. 

Ricorsi Amministrativi � Ricorso gerarchico � Silenzio della P. A. � Man� 
cata proposizione del ricorso giurisdizionale � Potere di decisione 
oltre il termine � Sussiste. 

Ricorsi Amministrativi � Ricorso gerarchico � Proposizione del ricorso 
giurisdizionale � Improcedibilit� del ricorso gerarchico. 

Giustizia Amministrativa � Ricorso gerarchico � Silenzio della P. A. � Proposizione 
del ricorso giurisdizionale � Decisione gerarchica di rigetto 
sopravvenuta � Atto ad effetto confermativo � Non occorre impugnativa 
giurisdizionale. 

Giustizia Amministrativa � Ricorso gerarchico � Silenzio della P .A. � Proposizione 
del ricorso giurisdizionale � Decisione gerarchica sopravve� 
nuta di accoglimento � Mancanza di controinteressati � Cessazione 
della materia del contendere � Presenza dei suddetti � Illegittimit� � 
Impugnazione � Necessit�. 

Giustizia Amministrativa � Ricorso giurisdizionale � Provvedimento amministrativo 
. Esercizio di discrezionalit� tecnica � Sindacato. 

Il ricorrente in via gerarchica, decorso il termine di novanta giorni 
dalla data di presentazione del ricorso senza che l'organo adito abbia 
comunicato la decisione, ha la facolt� e non l'onere di proporre ricorso 
giurisdizionale o quello st'rlaordinario contr.o il provvedimenf>a gt'�. im� 
pugnato con ricorso gerarchico (1). 

L'Amministrazione conserva l'obbligo ed il potere di decidere sul 
ricorso gerarchico qualora il ricorrente non si avvalga della facolt� di 

(1-5) L'Adunanza Plenaria del Consigli� di Stato, con la decisione in esame 
e con quella di seguito pubblicata n. 17 del 1989, ha riesaminato il problema 
del silenzio della P .A. in seguito alla proposizione del ricorso gerarchico, della 
esistenza o meno del potere in capo alla P A. di provvedere malgrado il decorso 
dei termini, del rapporto tra ricorso gerarchico e ricorso giurisdizionale, degli 
effetti della decisione tardiva del ricorso gerarchico (di rigetto o di accogli


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RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

adire immediatamente il giudice amministrativo; in caso di persistente 
inerzia, l'interessato pu� esperire la procedura per il silenzio-rifiuto prevista 
dall'art. 25 T. U. 10 gennaio 1957, n. 3 (2). 

La proposizione del ricorso giurisdizionale determina una situazione 
di improcedibilit� del ricorso gerarchico che deve essere dichiarata dal-
l'Amministrazione {3). 

La decisione gerarchica di rigetto, resa dall'Amministrazione malgrado 
la proposizione del ricorso giurisdizionale, si configura, in termini sostanziali, 
rispetto al provvedimento impugnato, come atto ad effetto confermativa, 
che rt,on deve essere impugnato pench� inidoneo a pregiudicare 
in alcun modo la decisione della causa pendente (4). 

La decisione gerarchica di accoglimento determina, in rapporto al 
ricorrente, la cessazione della materia del contendere relativamente al 
ricorso giurisdizionale da lui proposto; gli eventuali controinteressati 
possono, per�, impugnare una decisione gerarchica ormai nlcm pi� consentita 
(5). 

La discrezionalit� tecnica � sindacabile dal giudice amministrativo 
sotto il profilo dell'eccesso di potere (6). 

mento) sul ricorso giurisdizionale successivamente proposto dal privato. Le 
soluzioni date ai sti'ddetti problemi rappresentano un cambiamento di tendenza 
rispetto al precedente orientamento giurisprudenziale della stessa Adu� 
nanza Plenaria, e, in particolare, rispetto alla decisione 7 febbraio 1978, n. 4 
(in questa Rassegna 1978, I, 461), i cui principi erano stati finora sempre confermati 
e ribaditi dal Consiglio di Stato. 

L'ordinanza Cons. Stato, sez. VI, 22 luglio 1988, n. 150, che ha rimesso la 
questione all'Adunanza Plenaria, � pubblicata in Foro amm. 1988, 2145 e segg., 
con osservazioni di E. CANNADA BARTOLI; la decisione in esame � stata gi� 
commentata in dottrina: si veda E. CANNADA BARTOLI, Ricorso gerarchico: 
silenzio e facolt�, in Giur. it. 1990, III, 113 e ss. 

Prima della decisione n. 4 del 1978, si ricorda sull'argomento la dee. 3 maggio 
1960, n. 8 della stessa Adunanza Plenaria, in Giur. it. 1960, III, l, 257 e ss., 
con nota di E. GUICCIARDI, Silenzio e pronuncia sullo stesso ricorso gerarchico. 

Sui rapporti tra ricorso gerarchico e ricorso giurisdizionale si veda anche 
Cons. Stato, Ad. Plen., 27 gennaio 1978, n. 2; 3 febbraio 1978, n. 3, in Foro 
amm. 1978, 20 e ss., in Il Consiglio di Stato 1978, I, 8 e ss. e 141 e ss. 

Per quanto riguarda la pi� recente dottrina sul ricorso gerarchico e sul 
silenzio della Pubblica Amministrazione formatosi in seguito alla sua proposizione, 
si veda, anche per ulteriori citazioni: A.M. SANDULLI, Manuale di dir. 
amm., Napoli 1989, II, 1233 e ss.; l\IJ.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, Milano 
1988, II, 770 e ss., 1016 e ss.; DE ROBERTO -TONINI, I ricorsi amministrativi, 
Milano 1984; AA.VV., Il silenzio della P. A., in Atti XXVIII Convegno Varenna, 
Milano 1985; CAIANELLO, voce �Ricorsi amministrativi�, in Noviss. Dig. It., 
App. VI, Torino 1986, 748 e ss. 

(6) Sulla discrezionalit� tecnica, e sulla sua sindacabilit� da parte del giudice 
amministrativo, si veda, da ultimo, G. BARONE, voce �Discrezionalit�� (dir. 
amm.), in Enc. giurid. Roma, 1989, in part. 8 e ss. con i richiami di giurisprudenza 
e dottrina ivi contenuti. 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

1) Il Ministero dei Trasporti resistente ha eccepito !'irricevibilit� 
del ricorso in quanto proposto contro la decisione reiettiva del ricorso 
gerarchico adottata successivamente alla formazione del silenzio-rigetto 
per decorso del termine di novanta giorni di cui all'art. 6 del d.P.R. 24 novembre 
1971, n. 1199, e precisamente il 4 novembre 1987 in relazione al 
ricorso proposto il 29 giugno 1987. 

L'articolata motivazione dell'ordinanza di rimessione della VI Sezione 
induce ad un'ulteriore riflessione sul tema del silenzio-rigetto e delle 
sue implicazioni processuali. 

2) Sotto il vigore dell'art. 5 t.u.l. com. e prov. 3 marzo 1934, n. 383 
che, com'� noto, prevedeva il silenzio-rigetto conseguente a diffida, cos� 
consentendone l'impugnazione giurisdizionale, i diversi orientamenti manifestatisi 
al riguardo, e in particolare in ordine ai problemi della decisione 
esplicita sopravvenuta del ricorso gerarchico, erano stati composti 
dall'Adunanza Plenaria con la sentenza 3 maggio 1960, n. 8. 

Quest'ultima, nell'ottica di una ricostruzione sistematica dell'istituto, 
muoveva dall'esatta considerazione che il silenzio non � un atto, ma un 
comportamento al quale la legge attribuisce certi effetti, sostanziali e 
processuali, indipendentemente dal reale contenuto di volont� ed anche 
da qualsiasi contenuto di volont�. 

Ne deduceva che l'autorit� amministrativa conservava, pur dopo la 
formazione del silenzio-rigetto, il potere di decidere il ricorso gerarchico 
e che la decisione esplicita sopravvenuta faceva venir meno l'oggetto del 
ricorso giurisdizionale e, se ancora lesiva, onerava l'interessato ad un 
nuovo ricorso giurisdizionale. 

Pur traendo queste conclusioni, strettamente conseguenziali al regime 
giuridico allora vigente, la sentenza dava atto, come da gi� remota giurisprudenza, 
della travagliata posizione processuale del ricorrente contro 
il silenzio-rigetto, nei confronti del quale la reiezione tardiva del ricorso 
gerarchico produceva l'effetto di paralizzare l'azione giudiziale in corso e 
di determinare l'insorgenza dell'onere di un nuovo giudizio avente ad oggetto, 
questa volta, la decisione gerarchica. 

Tale dibattito era destinato ad avere una significativa svolta negli � 
negli anni '70, caratterizzati, com'� noto, da una intensa stagione di 
riforme. 

L'art. 4 della legge 18 marzo 1968, n. 249 sub art. 6 della legge 28 ottobre 
1970, n. 775 aveva conferito al Governo una delega legislativa per 
disciplinare i singoli procedimenti amministrativi, finalizzata alla semplificazione 
ed allo snellimento delle procedure, tra l'altro mediante l'eliminazione 
di tutti gli adempimenti non essenziali per una adeguata valutazione 
del pubblico interesse o per la consistente tutela degli interessi 
dei cittadini. 

In dichiarata attuazione di tale delega, veniva emanato il d.P.R. 
24 novembre 1971, n. 1199, recante �semplificazione dei procedimenti in 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

materia di ricorsi amministrativi �, il cui art. 6 ridisciplinava l'stituto 
del silenzio-rigetto disponendo che � decorso il termine di novanta giorni 
dalla data di presentazione del ricorso senza che l'organo adito abbia 
comunicato la decisione, il ricorso si intende respinto a tutti gli effetti 
e contro il provvedimento impugnato � esperibile il ricorso all'autorit� 
giurisdizionale competente o quello straordinario al Presidente della 
Repubblica �. 

Sulla materia interveniva, in rapida successione, la legge 6 dicembre 
1971, n. 1034, recante �istituzione dei tribunali amministrativi regionali 
�, con l'art. 20, che aboliva il presupposto processuale della definitivit� 
del provvedimento impugnato, sancendo il principio della facoltativit� del 
ricorso gerarchico. � 

Perdurando nel vigore della nuova disciplina i dubbi in ordine all'ammissibilit� 
ed alle conseguenze della decisione �tardiva� del ricorso 
gerarchico, l'Adunanza Plenaria, ct� la questione era stata devoluta, si 
pronunciava con la sentenza 7 febbraio 1978, n. 4. 

� Con tale sentenza essa, muovendo dal dato testuale secondo il quale 
�il ricorso si intende respinto a tutti gli effetti�, affermava i seguenti 
principi: 

a) �l silenzio in esame costituisce non un rifiuto della decisione, ma 
una vera e propria decisione di rigetto; 

b) tale decisione, consumando il relativo potere, � irrevocabile; 

e) la decisione esplicita emanata dopo i 90 giorni, ancorch� illegittima, 
non � giuridicamente inesistente n� inefficace; 

d) la decisione esplicita di rigetto emanata dopo i 90 giorni � meramente 
confermativa di quella tacita e, in quanto tale, non riapre i termini 
per il ricorso giuridisdizonale, non fa sorgere l'onere di una nuova 
impugnazione da parte di colui che ricorre contro il silenzio-rigetto, 
n� determina in tale giudizio la cessazione della materia del contendere; 

e) la decisione esplicita di accoglimento emanata dopo i 90 giorni, 
qualora non vi siano controinteressati, si consolida per mancanza di soggetti 
legittimati all'impugnazione e, in caso di giudizio gi� pendente, fa 
cessare la materia del contendere; qualora vi siano controinteressati, 
pu� essere da questi fondatamente impugnata per tardivit�, in mancanza 
di che diventa inoppugnabile. 

Veniva in tal modo definitivamente recepita, alla luce della nuova 
disciplina, l'antica istanza, di elevata civilt� giuridica, di chi tendeva al 
rafforzamento della tutela giurisdizionale del ricorrente contro il silenziorigetto. 


Costui era messo al riparo da decisioni tardive di rigetto, tali da 
determinare la cessazione della materia del contendere e l'onere d'instaurazione 
di un nuovo giudizio, che potevano indurre l'autorit� amministrativa 
nella tentazione di tattiche defatigatorie e rendere estremamente 
difficile la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi. 

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77

PARTE I, S'EZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

3) Senonch�, il presupposto logico-giuridico della costruzione, e cio� 
l'equiparazione ape legis: silenzio-decisione di rigetto ed i suoi corollari, 
comportavano per il ricorrente alcuni inconvenienti, evidenziatisi nel dibattito 
susseguente e recepiti dall'ordinanza di rimessione: 

a) onere di immediata impugnazione in giudizio del provvedimento 
oggetto del ricorso gefarchico nel termine perentorio di sessanta giorni 
dalla scadenza del novantesimo giorno dalla presentazione del ricorso 
gerarchico medesimo, a pena di immediata e definitiva perdita della tutela 
giurisdizionale relativa all'oggetto; 

b) privazione, in seguito alla formazione del silenzio-rigetto, della 
tutela di merito, di regola non invocabile in sede giurisdizionale; 

e) caducabilit� della decisione di accoglimento su ricorso dei controinteressati 
per il solo fatto della sua comunicazione oltre i novanta 
giorni dalla presentazione del ricorso gerarchico. 

Queste circostanze, la cui rilevanza � di tutta evidenza nell'interpretazione 
di una normativa preordinata, come si � visto alla � consistente 
tutela degli interessi dei cittadini � e si � sufficientemente manifestata 
nella esperienza giurisprudenziale di quest'ultimo decennio, inducono ad 
un riesame complessivo del delicato problema. 

4) In prima approssimazione, l'argomento testuale (�il ricorso si intende 
respinto a tutti gli effetti�), dal quale si � desunta l'equiparazione 
del silenzio ad una decisione di rigetto, non appare determinante. 

Ed invero, va considerato che se al legislatore compete disciplinare 
i singoli istituti, spetta all'interprete fornirne la qualificazione giuridica. 

E l'interprete non pu� non rilevare che la stessa disposizione in 

esame, a specificazione di quanto gi� enunciato, prosegue disponendo che 

� contro il provvedimento impugnato � esperibile il ricorso all'autorit� 

giurisdizionale competente o quello straordinario al Presidente della 

Repubblica �, 

Per l'appunto, l'immutazione dell'oggetto del ricorso giurisdizionale 

(o straordinario) successivo al silenzio appare il quid proprium della 

novella del 1971. 

La formula normativa: � il ricorso si intende respinto a tutti gli 

effetti�, malgrado l'apparente perentoriet�, � tralaticiamente mutuata 

dall'art. 5 t.u. I. com. e prov. 1934, sotto il cui vigore era prevalsa, come 

si � visto, la qualificazione del silenzio come comportamento e non pos


siede la valenza semantica che le si attribuisce. 

Va altres� osservato che il d.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199 non � 

ben coordinato con la quasi coeva legge 6 dicembre 1971 n. 1034 e si 

inserisce in un tessuto normativo ancora permeato del regime della defi


nitivit� del provvedimento amministrativo di cui invece, ai limitati fini 

della giurisdizione, l'art. 20 di questa legge avrebbe fatto giustizia: in 

tale direzione appare orientata la formula normativa, giacch� il � rigetto 



78 . RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
a tutti gli effetti� si risolve nella impugnabilit� in giudizio (o in sede 
straordinaria) di un atto altrimenti non definitivo. 

Peraltro, la tesi della equiparazione della fattispecie silenziosa alla 
decisione di rigetto non si armonizza con il fatto che oggetto del ricorso 
giurisdizionale (o straordinario) non � il silenzio, come ritenuto sotto il 

vigore della norma precedente, ma il provvedimento (di base) impugnato 
con ricorso gerarchico. 

Il silenzio ha nella specie, quindi, il valore legale tipico non di decisione 
di rigetto, ma di rifiuto di annullamento, il cui concretarsi costituisce 
presupposto processuale per la proposizione del ricorso giurisdizionale 
o straordinario contro l'unico atto effettivamente emanato dal� 
l'Amministrazione. 

Appare fermo un primo dato: il nucleo forte della riforma del silenziorigetto 
del 1971 non � nelle modalit� procedimentali (silenzio per mero 
decorso dei termini anzich� conseguente a diffida), ma nell'oggetto del 

ricorso giurisdizionale (o straordinario) susseguente, che � costituito ormai 
direttamente dal provvedimento impugnato in sede gerarchica. 

5) Ci� posto, mancando sostanzialmente nella fattispecie silenziosa 
una decisione gerarchica e sfuggendo la sua stessa formazione all'impulso 
di parte {diffida), appare conseguente affermare che il decorso del breve 
termine di legge (novanta giorni) per la formazione del silenzio-rigetto 
non ha effetti sostanziali, non concreta cio� alcun provvedimento amministrativo 
fittizio: il che, non senza notevoli contraddizioni, chiuderebbe 
definitivamente, prescindendo dalla volont� del privato, quel procedimento 
contenzioso che il medesimo ha instaurato, per lo pi�, per sua libera 
scelta (cfr. art. 20 I. 1034/1971). 

Esso ha invece effetti processuali, in quanto abilita il ricorrente gerarchico 
alla immediata proposizione del ricorso giurisdizionale (o straordinario) 
contro il provvedimento di base, consentendogli, in piena autonomia, 
in mancanza di una sollecita decisione, un commodus discessus 
dal ricorso gerarchico. Del resto il ricorso gerarchico, se � un rimedio 
facoltativo in relazione al ricorso giurisdizionale, il quale � proponibile 
anche contro provvedimenti non definitivi, � ancora necessario per chi 
voglia invece scegliere la strada del ricorso straordinario: di qui l'importanza 
di uno strumento di rapida formazione della definitivit� del 
provvedimento amministrativo. 

Ne consegue che, formatosi il silenzio: 
a) l'autorit� investita del ricorso gerarchico, in mancanza di effetti 
di tipo consumativo, non perde per ci� solo la potest� di decidere (salve, 
ovviamente, le eventuali responsabilit� connesse all'eccessivo ritardo); 
b) il privato ha la scelta tra ricorrere in sede giurisdizionale o 
straordinaria nei termini di decadenza, immediatamente contro il provvedimento 
di base, ai sensi dell'art. 6 cit., o successivamente contro l'eventuale 
decisione gerarchica, ove lesiva, in base alle norme generali. Egli, 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

ove abbia lasciato scadere i termini di impugnazione, di cui all'art. 6 cit., 
non pertanto sar� esposto sine die al rischio della perdurante inerzia 
dell'autorit� decidente, giacch� in tal caso soccorreranno i rimedi normali 
contro il silenzio-rifiuto della P.A. (laddove finora l'inoppugnabilit� della 
ritenuta decisione silenziosa era irrimediabile); 

e) i controinteressati sono legittimati ad impugnare l'eventuale decisione 
gerarchica di accoglimento che, per quanto gi� detto, non � inficiata 
dal fatto di essere adottata o comunicata oltre i novanta giorni 
dalla presentazione del ricorso gerarchico. 

6) Le conclusioni fin qui raggiunte consentono una prima messa a 
punto. 

Il recupero della qualificazione � comportamentale � del silenzio, gi� 
recepita dalla sentenza n. 8 del 1960, in luogo di quella � attizia �, posta 
a fondamento della n. 4 del 1978, oltre ad essere conforme alla ratio legis 
nel contesto normativo vigente, ed ai principi generali, consente la costruzione 
di un sistema nel quale il rafforzamento della tutela delle situazioni 
soggettive del privato � piena ed integrale, in armonia con gli orientamenti 
costituzionali. 

Infatti, per il ricorrente gerarchico, soggetto non necessariamente dotato 
di capacit� tecnico-professionale, il rapido accesso alla giurisdizione 

o al ricorso straordinario non diventa un onere (cio� un comportamento 
imposto a pena di decadenza), ma rimane una facolt�, liberamente esercitabile 
in alternativa al proseguimento del procedimento contenzioso 
fino alla decisione amministrativa. 
Resta conseguentemente integra, pertanto, la possibilit� di chiedere 
e di ottenere la tutela di merito, e la decisione gerarchica di accoglimento 
rimane innattaccabile dai controinteressati per il mero motivo formale 
della �tardivit��. 

7) Come gi� detto al punto 5), formatosi il silenzio, il ricorrente gerarchico 
pu� scegliere tra il ricorso immediato contro il provvedimento 
di base e quello, successivo, contro la decisione di reiezione. 

Questa seconda eventualit� non d� luogo a particolari problemi, giacch� 
in tal caso il procedimento giurisdizionale inizia l� dove il procedimento 
contenzioso termina, senza possibilit� di interferenze. 

Il nodo centrale � costituito, invece, dalla prima eventualit� e eme 
da quella del ricorso giurisdizionale (o straordinario) immediato dopo 
la formazione del silenzio ex art. 6 1. 1034, giacch� in tal caso il procedimento 
giurisdizionale viene ad innestarsi su quello contenzioso pendente, 
ponendo il prolema della loro interazione. 

Al riguardo, una prima questione attiene all'effetto del ricorso giurisdizionale 
sul procedimento contenzioso. 

La regola di giudizio sembra desumibile dall'art. 20, 2� comma, della 
legge n. 1034/1971, secondo il quale: � Se siano interessate pi� persone, 
il ricorso al tribunale amministrativo regionale proposto da un interessato 


80 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

esclude il ricorso gerarchico di tutti gli altri. Gli interessati, che abbiano 
gi� proposto o propongano ricorso gerarchico, devono essere informati a 
cura della a,mministrazione dell'avvenuta presentazione del ricorso al tribunale 
amministrativo regionale. Entro 30 giorni da tale comunicazione 
essi, se il loro ricorso gerarchico era stato presentato in termine, possono 
ricorrere al tribunale amministrativo regionale �. 

Tale disposizione, ancorch� letteralmente formulata per disciplinare le 
impugnazioni in sedi diverse di una pluralit� di interessati, � espressione 
di un principio generale (cui � riconducibile anche, nel ricorso straordinario, 
l'opposizione dei controinteressati ex art. 11 del d.P.R. 24 novembre 
1971 n. 1199) di prevalenza della funzione giurisdizionale su quella 
amministrativa, della quale quella giustiziale � una specie. Detta prevalenza, 
nel caso di simultanea pendenza, si attua, in presenza di una pluralit� 
di soggetti interessati, mediante la trasponibilit� del rimedio giustiziale 
in sede giurisdizionale e, nel caso di unico soggeto, nella improcedibilit� 
del rimedio amministrativo (in tale ultimo senso gi� Ad. plen., 
27 gennaio 1978 n. 2 e 3 febbraio 1978 n. 3). 

Infatti, la proponibilit� immediata del ricorso giurisdizionale dopo 
la formazione del silenzio ex art. 6 � ininfluente sul rapporto tra i due 
procedimenti e non esprime, di per s�, alcuna deroga al generale principio 
della prevalenza della funzione giurisdizionale su quella amministrativa. 


Tale principio, congiunto a quelli, altrettanto generali, di non contraddizione 
e di economia dei mezzi giuridici, esclude che due procedimenti 
di tipo contenzioso aventi il medesimo oggetto, l'uno giurisdizionale e l'altro 
amministrativo, possano concorrere, e postula invece che il secondo, 
istituzionalmente subordinato, si arresti quando la controversia � stata 
portata al livello del primo. 

Non �, quindi; che la scadenza del termine di 90 giorni concluda il 
procedimento contenzioso con una reiezione implicita (che dovrebbe essa 
formare oggetto di impugnazione in sede giurisdizionale), ma piuttosto � 
vero che il trasferimento in sede giurisdizionale della controversia concernente 
l'atto amministrativo originariamente lesivo rende inutile e improcedibile 
il rimedio amministrativo. 

Questo assetto � conforme, del resto, ad un principio di ragione, giac


I 

ch� la procedibilit� del ricorso gerarchico oltre i novanta giorni dalla sua ~ 
presentazione in assenza del ricorso giurisdizionale e la sua alternativa 
improcedibilit� per pendenza di giudizio si adeguano coerentemente a 


I!

specifiche opzioni del ricorrente circa la maniera ritenuta pi� opportuna 
di tutelare le proprie situazioni soggettive. f 


{

Ci� detto, la questione reciproca, che attiene agli effetti del procedimento 
contenzioso su quello giurisdizionale, � in gran parte gi� risolta. 
Infatti, l'obbligo per l'autorit� decidente di dichiarare improcedibile 


I

il ricorso gerarchico in prese:riza di un ricorso giurisdizionale contro il 

I 
I 


i

I

I

I 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

medesimo atto relega nella patologia del provvedimento amministrativo, 
le ipotesi di decisioni di merito. 

Peraltro, la eventuale decisione amministrativa di accoglimento, facendo 
venir meno l'oggetto del giudizio, non potrebbe non determinare la 
cessazione della materia del contendere ai sensi dell'art. 23, ult. co. 1. 

n. 1034/1971. Ci�, tuttavia, se mancano dei controinteressati, giacch� questi, 
se esistenti, sarebbero legittimati ad impugnare una decisione gerarchica 
ormai non pi� consentita. Va comunque ricordato che, nell'esercizio del 
generale potere di autotutela, l'autorit� competente pu� in ogni momento 
disporre, nel concorso dei presupposti di legge, l'annullamento d'ufficio 
del provvedimento impugnato in sede giurisdizionale. 
La decisione di rigetto in pendenza di giudizio, che costituisce il nodo 
storico tradizionale dell'istituto, non pu� ormai pi� pregiudicare il ricorrente. 


Ci� non soltanto perch� l'autorit� amministrativa adita in via gerarchica 
� tenuta ad una declaratoria d'improcedibilit�, ma per l'assorbente 
ragione che il legislatore, in maniera conseguente, ha spostato l'oggetto 
del ricorso giurisdizionale dal silenzio sul ricorso gerarchico al provvedimento 
di primo grado impugnato con il ricorso gerarchico, cos� da rendere 
il giudizio indifferente alle vicende del procedimento contenzioso. 

Tale evento � descritto dalla sentenza n. 4 del 1978 in termini di 

�sovrapposizione� della sentenza alla decisione di rigetto, e dalla ordinanza 

di rimessione all'Adunanza Plenaria in termini di � inopponibilit� � della 

decisione di rigetto al ricorrente in sede giurisdizionale (o straordinaria). 

Qualunque formula descrittiva si impieghi, il fatto � che dal punto 

di vista dell'oggetto del giudizio la decisione gerarchica di rigetto si cor


rela non pi� al silenzio, determinandone la cessazione, bens� al provve


dimento impugnato, nei confronti del quale essa si atteggia, in termini 

sostanziali, non come conferma in senso tecnico, ma come atto ad effetto 

confermativo, cio� non come rinnovazione del provvedimento precedente, 

ma come accertamento della sua validit�. 

La diversit� tra le due fattlspecie � manifesta. 

La conferma, reiterazione della stessa funzione di amministrazione 

attiva gi� esercitata, concreta una rinnovazione sostanziale, di tipo oriz


zontale, della ponderazione di interessi e della volont� della regolamen


tazione gi� attuata con il provvedimento di primo grado, suscettibile di 

arrecare un'autonoma parallela lesione alla sfera giuridica dell'interessato 

e, pertanto, comporta un ulteriore onere di impugnazione. 

L'atto ad effetto confermativo realizza, inv,ece, un accertamento ad 
oggetto limitato, di tipo verticale, conseguente ad esercizio di funzione 
giustiziale, circa la validit� del precedente provvedimento al quale accede: 
in tal caso, la tutela giurisdizionale ha ad oggetto, ancorch� per il tramite 
della decisione gerarchica di riesame, le stesse situazioni soggettive 
sostanziali, attinenti cio� a beni della vita, lese dall'atto originario, oltre, 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

eventualmente, agli interessi procedimentali strumentali correlati al gravame 
amministrativo. 

Pertanto, qualora l'interessato, a ci� abilitato, abbia gi� dedotto in 
giudizio (o in sede di ricorso straordinario) le situazioni soggettive lese 
dal provvedimento (di amministrazione attiva) di base, l'eventuale decisione 
gerarchica di rigetto in funzione di accertamento, non possedendo 
una autonoma lesivit� ma rendendo definitiva la lesione originaria, non 
soltanto non immuta l'oggetto del giudizio (o del ricorso straordinario), 
che � costituito non dal silenzio ma dall'atto di base, ma non determina 
nemmeno l'onere di una sua ulteriore impugnazione, essendo istituzionalmente 
inidonea a pregiudicare in alcun modo la decisione della causa 
pendente. 

Non cos�, ovviamente, qualora il ricorrente, avendo atteso la pronuncia 
della decisione gerarchica, ottenga, sia pure dopo 90 giorni, un prov


vedimento' esplicito di rigetto. In tal caso, se non ritenga di impugnare 
detto provvedimento in sede giurisdizionale (o straordinaria), la decisione 
di rigetto diviene inoppugnabile, con i conseguenti effetti preclusivi ed 
estintivi delle situazioni soggettive incise dal� provvedimento di base. 

8) Applicando i suesposti principi di diritto al caso di specie, ne consegue 
che, formatosi per decorso del termine il silenzio ex art. 6 1. 1034 
sul ricorso gerarchico presentato al Ministero dei Trasporti, il Virz� aveva 
non l'onere bens� la facolt� di proporre immediato ricorso giurisdizionale, 
in alternativa a quella, discrezionalmente esercitabile, di attendere la pronuncia 
della decisione gerarchica. 

Quest'ultima, se negativa, come nella specie, non era meramente confermativa 
del silenzio, semplice fatto di legittimazione processuale. 

Il presente ricorso, proposto nei termini contro la decisione di rigetto, 
� quindi tempestivo e l'eccezione di irricevibilit� formulata dal Ministero 
resistente va respinta. 

9) Nel merito, il ricorso va accolto per l'assorbente fondatezza del 
primo motivo, con il quale si denunciano omessa ed insufficiente motivazione. 


~ da osservare che il giudizio di idoneit� o di inidoneit� alla guida 
integra un'ipotesi di discrezionalit� tecnica, in quanto l'esistenza dei presupposti 
ai quali � condizionata l'efficacia della norma deve essere accertata 
attraverso valutazioni da farsi secondo criteri tecnici (artt. 470 e ss. 

d.P.R. 30 giugno 1959 n. 420). 
La discrezionalit� tecnica, come rilevato da autorevole dottrina, non 
differisce da quella amministrativa se non per ragioni quantitative, giacch� 
si impernia su una �guida speciale� che il legislatore d� all'amministrazione 
per accertare i fatti che la norma presuppone. 

Il suo esercizio, quindi, � sindacabile dal giudice amministrativo sotto 
il profilo dell'eccesso di potere, anzi, per le ragioni suddette, lo � in 

! 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 83 

ma.iera pi� penetrante di quanto non sia quello della discrezionalit� 
amministrativa. 

Nella specie, il Ministero resistente ha respinto il ricorso gerarchico 
proposto dal Virz� ai sensi dell'art. 81, 4� comma cod. stradale (d.P.R. 
15 giugno 1959 n. 393) contro il giudizio di inidoneit� alla guida emesso 
dalla Commissione medica provinciale di Bolzano del 4 maggio 1987, motivando 
per. relationem al parere obbligatorio dell'Ufficio sanitario di 
Verona delle F.S. del 19 settembre 1987. 

Tale parere, peraltro, esprimeva un giudizio di assoluta inidoneit�, 
pretermettendo nella maniera pi� completa e senza alcuna giustificazione 
le argomentazioni del ricorrente, che aveva allegato l'idoneit� al rilascio 
della patente per la guida di autovetture particolarmente adattate (categoria 
F) o con particolari prescrizioni per ovviare alla accertata diplopia, 
suffragate inoltre: 

a) dal certificato del neurologo dr. Huber della USL Centro-Sud Ospedale 
Generale Regionale di Bolzano del 7 maggio 1987 (idoneit� alla 
guida di autovetture normali o con modifiche particolari); 

b) dal parere del direttore compartimentale della motorizzazione 
civile e dei trasporti in concessione per il Trentino-Alto Adige -Bolzano 
del 25 maggio 1987 (che esprimeva giudizio di idoneit� al conseguimento 
di patente F in relazione all'invalidit� del piede destro), parere richiesto 
dalla stessa Commissione medica provinciale di Bolzano; 

e) dal certificato del dott. Unterhofer del 27 agosto 1987 (giudizio 
di mera revisionabilit� della patente B). 

Non pu� certamente, quindi, condividersi l'assunto dell'Avvocatur� 
dello Stato, secondo il quale la decisic~ne gerarchica, in virt� della relatio 
al parere tecnico dell'ufficio E.S. di Verona, sarebbe immune dal denunciato 
vizio di difetto di motivazione, giacch�, invece, � vero che il difetto 
di motivazione (rectius: di giustificazione) del menzionato parere, in relazione 
alle� allegazioni assertive e probatorie del ricorrente ed alla stregua 
del generale principio del contmrius actus, inficia la decisione gerarchica 
su di esso acriticamente fondata. 

Infondato � invece il secondo motivo di ricorso, non perch�, come 
eccepito dal Ministero resistente, non proposto in sede gerarchica, giacch� 
con esso si lamenta un vizio proprio del procedimento contenzioso, 
ma perch�, in relazione alla facolt� di farsi assistere all'accertamento sanitario 
da un medico di fiducia, non risulta che l'interessato abbia adempiuto 
all'onere della richiesta (arg. ex art. 481, 8� comma, d.P.R. 30 giugno 
1959 n. 420 sub art. 12 d.P.R. 23 settembre 1976 n. 995 in punto: commissioni 
mediche provinciali). 

Per le suesposte considerazioni, il ricorso va accolto, con conseguente 
annullamento del provvedimento impugnato. 

1 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., 4 dicembre 1989, n. 17 -Pres. Crisci, 
Est. Santoro -Provveditorato agli studi dell'Aquila e Ministero della 
pubblica istruzione (avv. Stato Bruno) c. Martinelli (n.c.). 

Ricorsi Amministrativi � Ricorso gerarchico � Silenzio della Pubblica 
Amministrazione � Mancata proposizione del ricorso giurisdizionale Potere 
di decisione oltre il termine � Sussiste. 

Giustizia Amministrativa � Ricorso gerarchico -Silenzio della P. A. � Proposizione 
del ricorso giurisdizionale o straordinario � Decisione gerarchica 
reiettiva sopravvenuta � Impugnativa giurisdizionale di questa 
ultin1a � Non occorre � � Quid novi � della decisione � Presentazione 
di motivi aggiunti. 

Giustizia Amministrativa � Ricorso gerarchico � Silenzio della P. A. � Proposizione 
del ricorso giurisdizionale o straordinario � Decisione gerarchica 
sopravvenuta di accoglimento � Controinteressati � Mancanza � 
Cessazione della materia del contendere. 

Giustizia Amministrativa � Ricorso gerarchico � Silenzio della P. A. � Proposizione 
del ricorso giurisdizionale o straordinario � Decisione gerarchica 
sopravvenuta di accoglimento � Controinteressati � Impugnazione 
� Necessit�. 

L'Amministrazione, dopo la scadenza del termine di novanta giorni 
di cui all'art. 6 del d.P.R. 1199 del 1971, ha l'obbligo ed il potere di decidere 
sul ricorso gerarchico, qualora il privato non si avvalga della facolt� 
di adire immediatamente il giudice amministrativo; infatti, le conseguenze 
stabilite dalla legge, a seguito del decorso del suddetto termine per la 
comunicazione della decisione gerarchica, sono dettate nell'interesse del 
ricorrente in via gerarchica ed hanno carattere processuale (1). 

La decisione gerarchica di rige~to, resa uguafmente dall'Amministlrazione 
malgrado la proposizione del ricorso giurisdizionale o straordinario, 
non � idonea a determinare la cessazione della materia del contendere; 
se adduce nuovi motivi di legittimit� o di merito, a sostegno del suo 
dispositivo, � consentito al ricorrente in sede giurisdizionale, o straordinaria, 
di presentarle motivi aggiuniti (2). 

La decisione gerarchica tardiva di accoglimento determina, in mancanza 
di controinteressati, la cessazione della materia del contendere sul 
ricorso giurisdizionale o straordinario instaurato ai sensi dell'art. 6 del 

d.P.R. n. 1199 del 1971 (3). 
Il controinteressato, leso dalla decisione tardiva di accoglimento del 
ricorso gerarchico, pu� impugnarla in sede giurisdizionale o straordinaria, 

(1-4) La sentenza in esame segue l'indirizzo giurisprudenziale inaugurato 
dall'Ad. Plen. n. 16 del 1989, supra, affrontanclo specificamente il problema della 
decisione gerarchica tardiva; tale decisione, se di accoglimento del ricorso gerar



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 85 

nei termini di decadenza decorrenti secondo i comuni principi,� tale decisione 
tardiva, peraltro, non pu� considerarsi illegittima unicamente per 
la sua tardivit� (4). 

1. -L'insegnante Marisa De Luca aveva impugnato, con ricorso gerarchico 
presentato il 18 ottobre 1980 al Ministero della Pubblica Istruzione, il 
trasferimento della sua collega Carla Martinelli. 
Il ricorso gerarchico era stato accolto con decreto ministeriale 3 gennaio 
1981, comunicato alle due insegn~ti il 26 dello stesso mese, ed il 
Provveditore agli Studi de L'Aquila aveva adottato i conseguenti pr�vvedimenti 
di trasferimento nei confronti delle due insegnanti. 

Era allora insorta dinanzi al T.A.R. dell'Abruzzo l'insegnante Martinelli 
denunciando: 

a) la tardivit� della decisione gerarchica, comunicata dopo il novantesimo 
giorno dalla presentazione del ricorso; 
b) il difetto di motivazione. 

Il T.A.R. aveva accolto il primo motivo. 
Con l'appello in esame il Ministero della P.I. ha chiesto il rigetto del 
ricorso della insegnante Martinelli, in riforma della sentenza appellatta. 

La VI Sezione di questo Consiglio rimette ora la causa all'Adunanza 
Plenaria ritenendo, difformemente dalla decisione di questa Adunanza 
7 febbraio 1978 n. 4 e da altre decisioni che a questa si sono conformate, 
che: 

dopo la formazione del cosiddetto silenzio rigetto l'Autorit� ger�rchica 
non perda il potere di decidere: 

-la decisione gerarchica tardiva (tale essendo anche quella soltanto 
tardivamente comunicata), sia di accoglimento che di rigetto, debba considerarsi 
esistente anche se invalida; 

-la decisione tardiva di rigetto non possa considerarsi meramente 
confermativa del rigetto tacito formatosi allo scadere del novantesimo 
giorno dalla presentazione del ricorso, in quanto contenente nuovi motivi. 

2. -Il tormentato problema della decisione gerarchica tardiva, com'� 
noto, ha ricevuto nel tempo, nella giurisprudenza del Consiglio di Stato 
ed in particolare di questa Adunanza plenaria, diverse soluzioni sia sotto 
l'aspetto della sua ammissibilit� che della sua natura ed efficacia. 
chico, non � illegittima o � inutiliter data �; pertanto, i controinteressati, lesi 
da tale decisione, non possono impugnarla unicamente per la sua tardivit�. 

Per quanto riguarda la giurisprudenza e la dottrina sull'argomento, si veda 
la nota redazionale alla sentenza n. 16/89 che precede. 



86 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

Fino al 1960 era prevista, pur con qualche decisione difforme (ad esempio 
Cons. Stato Sez. V 19 gennaio 1973 n. 37 e Cons. Giust. Amm.va Reg. 
Sic. 17 luglio 1953 n. 145, che riconducevano il decorso del termine ad 
una presunzione di rigetto dal ricorso gerarchico, superabile da una diversa 
esplicita manifestazione di volont� della P.A.), la configurazione 
del silenzio-rigetto come decisione formatasi la quale l'Autorit� gera~chica 
perdeva il potere di definire esplicitamente il gravame. 

Da questa premessa la giurisprudenza tuttavia non sempre aveva 
tratto la conseguenza, pure prevalentemente condivisa (cfr. Cons. Stato 
Sez. V 2 aprile 1955 n. 562, 16 luglio 1955 n. 945, 17 dicembre 1955 n. 1467, 
12 aprile 1957 n. 14, VI Sez. 10 maggio 1955 n. 336, 30 aprile 1958 n. 289), 
dell'inutilit� o inefficacia o nullit� della decisione esplicita tardiva del 
ricorso gerarchico. 

Si era infatti avvertita l'opportunit� di non precludere all'Amministrazione 
la possibilit� di offrire spontaneamente al privato l'indubbio vantaggio 
di una pronuncia esplicita, in luogo dell'unica tutela, altrimenti 
concessagli, del ricorso giurisdizionale o straordinario, proponibile soltanto 
per difetto di motivazione del silenzio-rigetto. 

In questa ottica si era anche sostenuto, talora argomentando dal carattere 
�presuntivo� della decisione silenziosa tacita (esistente cio� fino 
� a prova contraria � e, quindi, fino al sopraggiungere di una pronuncia 
esplicita), che anche dopo la formazione della decisione tacita di rigetto 
ed anche in pendenza dell'eventuale impugnazione giurisdizionale o straordinaria 
contro la stessa, l'Autorit� sovraordinata potesse pronunciarsi esplicitamente 
sul gravame, per accoglierlo o per respingerlo (Cons. Stato 
Sez. VI 18 ottobre 1955 n. 646 e 9 gennaio 1957 n. 4). 

Naturalmente, secondo questo orientamento giurisprudenziale, il sopravvenire 
della decisione espli�ita determinava la cessazione della materia 
del contendere nel giudizio eventualmente instaurato a seguito della 
formazione del silenzio rigetto (Cons. Stato Sez. VI, 2 aprile 1958 n. 193). 

La decisione di questa Adunanza plenaria 3 maggio 1960 n. 8 opt� definitivamente 
per l'ammissibilit� della decisione tardiva, il cui sopraggiungere 
(o la cui comunicazione, in caso di delibera adottata prima della 
formazione del silenzio rigetto, ma comunicata dopo), avrebbe determinato 
la cessazione della materia del contendere nel giudizio gi� instaurato 
contro il silenzio rigetto, nonch� l'onere degli interessati di adire nuovamente 
la sede giurisdizionale avverso la decisione sopravvenuta. 

Sopraggiunta la nuova disciplina del silenzio rigetto con la legge istitutiva 
dei T.A.R. 6 dicembre 1971 n. 1034 (art. 20), con il d.P.R. 24 novembre 
1971 n. 1199 (art. 6) e con il d.P.R. 30 giugno 1972 n. 748 (art. 8), la giurisprudenza 
in un primo tempo (cfr., tra le tante, Cons. Stato Sez. VI 
17 aprile 1975 n. 455), ha ritenuto la decisione tardiva (o meglio tardivamente 
comunicata) � inutiliter data (tamquam non esset) �, come tale 
inesistente o inefficace. Talora (cfr. p.es. Cons. Stato Sez. VI 7 giugno 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

1977 n. 568), questa conseguenza � stata ritenuta limitata alle sole decisioni 
gerarchiche tardive di rigetto, me.ntre quelle di accoglimento avrebbero 
determinato la sopravvenuta cessazione della materia del contendere 
nel ricorso proposto a seguito del silenzio rigetto. 

� quindi sopraggiunta la decisione di questa Adunanza plenaria n. 4 
del 7 febbraio 1978 che, fondandosi sul disposto dell'art. 6 del d.P.R. 1199 
del 1971, piuttosto che su quello dell'art. 20 della L. 1034 del 1971, ha ritenuto 
tra l'altro: 

-formatosi il silenzio rigetto (da intendersi non come rifiuto di 
decisione, ma come vera e propria decisione reiettiva tacita), l'Autorit� 
gerarchica perde il potere decisionale (anche sulle censure di merito, la 
cui tutela giurisdizionale non � garantita dall'art. 24 Cost.); 

-pertanto, l'eventuale pronuncia esplicita di rigetto deve considerarsi 
atto confermativo della decisione tacita gi� intervenuta, inidoneo 
come tale a riaprire il termine di impugnativa giurisdizionale tranne che 
per eventuali altri effetti lesivi, mentre la sua impugdazione, nell'ipotesi 
che sia stato gi� esperito il ricorso giurisdizionale contro il silenziorigetto, 
sarebbe superflua, venendosi a sovrapporre a tale ricorso; 

-viceversa, se l'Amministrazione emetta tardivamente una decisione 
esplicita di accoglimento, questa, pur essendo illegittima, se � pienamente 
satisfattiva degli interessi del ricorrente, fa cessare la materia 
del contendere nel ricorso giurisdizionale da lui proposto, ove non ci 
siano controinteressati che l'abbiano impugnata nei termini; 

-l'autorit� decidente, infine, se � titolare di poteri di intervento 
d'ufficio nella materia, pu� esercitarli anche dopo la formazione del silenzio-
rigetto (con effetti analoghi alla decisione tardiva di accoglimento). 

Questa decisione � stata seguita dalla quasi totalit� delle pronunce 
successive. 

3. -Nel riprendere in esame la complessa problematica, nuovamente 
prospettata dall'ordinanza di rimessione della Sez. VI, l'Adunanza plenaria 
ritiene di dover limitare la propria indagine all'unico e pi� importante 
degli aspetti della stessa rilevanti nella controversia di cui al presente 
giudizio, quello cio� della tardivit� della (comunicazione della) decisione 
gerarchica e delle relative conseguenze in ordine alla tutela giurisdizionale 
dell'interessato. 
L'Adunanza plenaria al riguardo ritiene che, a distanza di un decennio, 
sia opportuno rimeditare il richiamato orientamento secondo cui 
l'Amministrazione perderebbe il potere di decidere una volta scaduti i 
novanta giorni senza che essa abbia comunicato all'interessato la decisione 
gerarchica sul ricorso amministrativo da questi presentato. 

La decisione di questa Adunanza n. 4 del 1978 cit. sembra avere fondato 
il suo convincimento soprattutto sul dato letterale. 


88 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Dal disposto dell'art. 6 del d.P.R. 11!)9, del quale sarebbe da escludere 
un'abrogazione implicita ad opera del praticamente coevo (ma formalmente 
successivo) art. 40 della L. 1034 del 1971 (cos� la dee. 4/1978 cit.), e 
che stabilisce, a differenza di quest'ultimo, che � decorso il termine di 
novanta giorni ... il ricorso si intende respinto a tutti gli effetti... �, sarebbe 
derivata l'impossibilit� di configurare la permanenza in capo all'Amministrazione 
del potere di decidere il ricorso oltre i novanta giorni, dato 
che ormai si � formata una decisione tacita di rigetto, sicch� ne sarebbe 
altrimenti conseguita una violazione del �ne bis in idem�. 

Senonch� l'accennato dato letterale relativo alla reiezione tacita del 
ricorso gerarchico (che peraltro scompare nel gi� citato art. 20 della legge 

n. 1034 del 1971), non sembra cos� sicuramente determinante ai fini che 
interessano. 
Nell'ottica dell'accennata prospettazione non si riesce infatti a spiegare 
perch� lo stesso art. 6 soggiunga anche, subito dopo l'inciso sopra 
riportato, � e contro il provvedimento impugnato � esperibile il ricorso ... 
giurisdizionale... o straordinario �. Se � il provvedimento gi� impugnato 
in sede gerarchica a dover essere nuovamente impugnato in sede giurisdizionale 
o straordinaria dopo Ja formazione della c.d. decisione tacita 
di rigetto, e se non vi � onere di impugnare anche quest'ultima nelle 
medesime sedi, ci� significa che la c.d. decisione reiettiva tacita del ricorso 
gerarchico non si sovrappone all'atto impugnato in sede amministrativa. 


Al di l� dell'espressione usata (che richiama pedissequamente formule 
note), l'inutile decorso del termine per l'adozione e la comunicazione di 
una determinazione esplicita sul gravame gerarchico, sembra non faccia 
sorgere un atto tacito dal contenuto negativo presunto � ex lege �, ma 
piuttosto costituisca un limite di legge oltre il quale, al dichiarato fine 
acceleratorio dei procedimenti, l'interessato non � tenuto ad attendere 
l'esito del ricorso amministrativo da lui stesso promosso, e pu� senz'altro 
adire il giudice per tutelarsi in sede di legittimit� contro l'atto amministrativo 
lesivo della sua sfera. 

Resta cos� esclusa, tra l'altro, la possibilit� di ipotizzare una violazione 
del � ne bis in idem � derivante dall'eventuale sopraggiungere, dopo 
la scadenza dei novanta giorni, della decisione gerarchica. 

L'art. 6 del d.P.R. 1199, dunque, nel disciplinare le conseguenze dello 
scadere del termine di novanta giorni per la comunicazione della decisione 
gerarchica, anzich� ipotizzare un caso di � silenzio rigetto � in senso 
stretto (come potrebbe far pensare la lettura di una parte della disposizione, 
isolatamente considerata) deve ricondursi ad una misura processuale, 
dettata nell';interesse del ricorrente in via gerarchica, atta a consentirgli 
un'immediata tutela in sede giurisdizionale o straordinaria (sia 
pure limitata a motivi di sola legittimit�), contro l'atto non definitivo 
impugnato senza risultato in sede amministrativa. Ed � appena il caso 

-



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

di ricordare che la menzione del fittizio rigetto del ricorso in sede gerarchica, 
va probabilmente ricollegata alla tradizione secondo cui il ricorso 
giurisdizionale � ammesso solo in presenza di atti definitivi. 

4. �-In relazione all'orientamento sottoposto a revisione, si prospettano, 
del resto, varii inconvenienti pratici ed alcune difficolt� teoriche 
messi in luce dall'ordinanza di rimessione e da quella della VI Sezione 
n. 950/88 del 22 luglio 1988. 
� noto innanzitutto che la mancata impugnazione giurisdizionale del 
provvedimento di primo grado entro sessanta giorni o straordinaria 
entro centoventi giorni, decorrenti entrambi dal novantesimo giorno successivo 
alla inutile presentazione del ricorso gerarchico, determina, secondo 
la giurisprudenza conformatasi alla decisione di questa Adunanza n. 4 
del 1978 cit., l'inammissibilit� del ricorso stesso, giurisdizionale o straordinario, 
perch� ritenuto rivolto contro atto confermativo (la pretesa decisione 
tacita di rigetto) di precedente provvedimento (quello di primo 
grado) non tempestivamente impugnato. 

Senonch� occorre considerare, da un lato, che i ricorsi gerarchici 
possono presentarsi -cos� come pi� spesso avviene nella pratica -senza 
ministero di procuratore dall'altro, che il legislatore delegato del 1971 ha 
inteso non soltanto semplificare, nell'interesse dell'Amministrazione, il procedimento 
per la presentazione e la decisione dei ricorsi amministrativi, 
ma anche prevenire -per una migliore tutela del diritto di difesa del 
cittadino contro gli atti della P. A. -gli errori nelle formalit� del rito in 
cui possano incorrere coloro che si avvalgano di tali strumenti senza l'assistenza 
di un professionista legale (cfr. in tale senso l'art. 1, terzo comma 
del d.P.R. 1199, che nell'imporre alla P. A. l'obbligo di dichiarare nei 
provvedimenti non definitivi, il termine entro il quale l'organo cui il ricorso 
amministrativo va presentato, ha certamente inteso eliminare ogni 
dubbio sulla definitivit� del provvedimento e, quindi, uno dei pi� insidiosi 
tranelli in cui poteva incorrere chi adisse la via gerarchica). 

Ora � inconcepibile che, in un sistema chiaramente ispirato ad una 
sempre pi� marcata partita tra cittadino ed Amministrazione, il solo 
fatto di avere optato per la previa via gerarchica, nel lodevole intento di 
tentare la composizione della lite ad opera della stessa Amministrazione, 
determini per il ricorrente il rischio elevato -nella vana attesa della 
decisione gerarchica -di non fare attenzione al decorso del termine per 
impugnare, coincidente con lo scadere del novantesimo giorno e di precludersi 
cos� ogni altra possibilit� di tutela. 

Cos� come sembra non appropriato, sul piano della tecnica interpretativa, 
ricondurre alla nozione di � atto confermativo � la c.d. decisione 
esplicita di rigetto del ricorso, comunicata dopo lo scadere del novantesimo 
giorno, nonostante essa rechi, a differenza ovviamente della c.d. 
decisione tacita confermata, per la prima volta una motivazione ed un 
esame reale delle doglianze. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

5. -Riconosciuta all'Autorit� gerarchica la potest� di decidere il ricorso 
amministrativo (e di comunicarne la decisione) anche dopo il novantesimo 
giorno dalla sua presentazione, quando il ricorrente non abbia 
ritenuto di impugnare in via giurisdizionale entro 60 giorni dalla scadenza 
di detto termine l'atto oggetto del gravame gerarchico, va rilevato che 
l'esercizio dell'azione giurisdizionale amministrativa esplica deter~inati effetti 
limitativi o preclusivi rispetto ai poteri ulteriori dell'Amministrazione, 
a suo tempo adita in via gerarchica. 
Precisato che, esperito il ricorso giurisdizionale, diviene irrilevante 
ogni considerazione di merito a conferma dell'atto amministrativo, va 
osservato che la decisione, di rigetto del ricorso gerarchico, eventualmente 
sopravvenuta, non � idonea a determinare la cessazione della materia 
del contendere, nel giudizio instaurato dopo lo scadere del novantesimo 
giorno, avverso il provvedimento di primo grado. 

Pu� al riguardo distinguersi a seconda che la decisione tardiva di 
rigetto contenga o meno nuovi motivi, di legittimit� o di merito, a sostegno 
del suo dispositivo, rispetto a quelli addotti nel provvedimento di 
primo grado. 

Mentre la prima ipotesi comporta un � quid novi � rispetto al provvedimento' 
di primo grado, che abilita il ricorrente in sede giurisdizionale 

o straordinaria alla presentazione di motivi aggiunti, la seconda equivale 
ad una mera conferma del provvedimento medesimo, inidonea come 
tale ad avere rilevanza alcuna nel giudizio. 
Se, viceversa, la decisione � di accoglimento, il venire meno � ex 
tunc � del provvedimento impugnato, con effetto totalmente satisfattivo 
dell'interesse del ricorrente, non pu� che determinare la cessazione della 
materia del contendere sul ricorso giurisdizionale o straordinario instaurato 
ai sensi dell'art. 6 del d.P.R. 1199. 

Tutto ci� nel caso in cui non esistano controinteressati. 

Quando, come nella fattispecie, il controinteressato esiste, la decisione 
tardiva di accoglimento del ricorso, non dovendosi considerare illegittima 
o � inutiler data�, lede il controinteressato stesso (che nel frattempo 
si � giovato dell'atto amministrativo a lui favorevole) ed � quindi da 
lui impugnabile in sede giurisdizionale o straordinaria, nei termini di 
decadenza decorrenti secondo i comuni principi. La decisione di accoglimento, 
adottata e comunicata oltre il novantesimo giorno, non potr�, peraltro 
considerarsi illegittima, secondo quanto detto nei numeri che precedono, 
unicamente per la sua tardivit�. 

Se infine (ma l'ipotesi sembra di scuola) la decisione gerarchica sopraggiunga 
dopo che si sia formato il giudicato (o l'inoppugnabilit� del 
decreto decisorio del ricorso straordinario), nel giudizio che sia stato 
proposto dopo il novantesimo giorno, ai sensi dell'art. 6 cit., contro il 
provvedimento di primo grado, allora l'eventuale conflitto tra giudicato 
amministrativo e decisione amministrativa deve risolversi ovviamente col 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 91 

riconoscere la prevalenza del primo sulla seconda, in ossequio ai principi 
generali, secondo cui la pronuncia giurisdizionale prevale, per 1a 
forza del giudicato, sulla decisione amministrativa (cfr. a proposito della 
prevalenza della sentenza del Giudice ordinario sul d.P.R. decisorio di 
ricorso straordinario, Cons. Stato, Ad. gen. 29 aprile 1971, n. 45/71). 

6. -Le suesposte considerazioni conducono, all'accoglimento del primo 
motivo dell'appello dell'Amministrazione. 
Il T.A.R. nella sentenza appellata aveva infatti annullato la decisione 
gerarchica impugnata (il D.M. n. 1 del 3 gennaio 1981) soltanto per essere 
stata questa comunicata all'interessata oltre il novantesimo giorno dalla 
presentazione del ricorso amministrativo, assorbendo l'altra censura. (peraltro 
non riproposta in questa sede). 

Poich� il vizio di legittimit� riscontrato dal T.A.R. non sussiste, in 
totale riforma della sentenza appellata si deve ora respingere il ricorso 
di primo grado della insegnante Martinelli notificato il 17 marzo 1981. 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 16 gennaio 1990, n. 15 -Pres: Buscema Est. 
Giovannini -D'Aleo (avv. Rampino) c. Ministero Tesoro (avv. 
Stato Salvatorelli). 

Impiego pubblico -Stipendi e assegni -Indebito (ripetizione) � Doverosit�. 

Impiego pubblico -Stipendi e assegni -Indebito (ripetizione) � Buona 
fede del percipiente � Rileva solamente sulle modalit� del recupero. 

Atto amministrativo -Illegittimit� � Eccesso di potere per disparit� di 
trattamento . Provvedimento vincolato -Insussistenza del vizio. 

� doveroso, per la pubblica Amministrazione, procedere al recupero 
delle somme illegittimamente erogate ai propri dipendenti, discendendo 
tale obbligo direttamente dal disposto dell'art. 2033 e.e. in tema di indebito 
oggettivo (1). 

(1-2) La decisione conferma il pi� recente, restrittivo orientamento della 

giurisprudenza della Quarta sezione del Consiglio di Stato in materia di recu


pero di emolumenti illegittimamente erogati dalla pubblica Amministrazione ai 

propri dipendenti. 

Come � noto, secondo la tradizionale impostazione seguita dal Giudice 

amministrativo (si veda la fondamentale decisione del CdS, Ap., 30.3.76, n. 1), il 

problema della ripetizione di indebito nel pubblico impiego andava inquadrato 

in ambito strettamente pubblicistico, avendo il provvedimento di recupero 

carattere discrezionale. Da ci� discendevano la necessit� �di adeguata motiva


zione sul punto della comparazione tra l'interesse pubblico e quello del dipen


dente (CdS, IV, 23.3.82, n. 159; CdS, IV, 7.6.84, n. 437) ed il rilievo da ricollegare 

alla buona fede del percipiente (talora anche presunta: v. CdS, VI, 15-7-77, n. 746, 

VI, 30.9.80, n. 797; CdS, VI, 14.11.88, n. 1211), indotto a ritenere legittimamente 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

In materia di recupero di somme illegittimamente erogate dalla p.A. 
ai propri dipendenti, la eventuale buona fede del percipiente rileva unicamente 
sulle modalit� del recupero, essendo onere dell'Amministrazione 
di procedervi senza incidere in misura rilevante sulle esigenze di vita del 
debitore (2). 

spettantegli le somme dall'erroneo comportamento della Amministrazione (CdS, 
IV, 1.12.81, n. 938; CdS, IV, 15.3.83, n. 125). 

Si era cosl esclusa, ad es., la ripetibilit� in caso di mancato accertamento 
della sussistenza della buona fede (CdS, IV, 175.77, n. 480, CdS, VI, 29.9.79, n. 689), 
ovvero di situazione obiettivamente dubbia e controversa, tale da ingenerare in 
capo al dipendente la ragionevole convinzione di essere creditore (CdS, IV, 
11.72, n. 39), specie se dall'erogazione delle somme era trascorso un considerevole 
lasso di tempo (CdS, V, 281.75, n. 271; CdS. IV. 12.12.78. n. 1193: CdS. VI. 
25.8.83, n. 497), e se gli importi erogati erano stati consumati per la soddisfazione 
dei bisogni essenziali della vita (CdS, IV, 81.77, n. 89). 

Legittimo era stato invece ritenuto il provvedimento di recupero in presenza 
di riserva di ripetizione (CdS, VI, 28.6.82, n. 319; CdS, IV, 2.3.85, n. 69; CdS, 
Ap., 4.3.86, n. 2), ovvero in ipotesi di malafede del dipendente (cfr. CdS, IV, 
13.12.77, n. 1189; CdS, V, 61.84, n. 118). 

In alcwie pronunzie, che potremmo definire � intermedie �, il princ1p10 
sopra enunciato viene talvolta temperato: si afferma, infatti, che la ratio su 
cui .si fonda la irripetibilit� � la esigenza di evitare un grave disagio economico 
al dipendente, con conseguente possibile lesione dello stesso interesse 
pubblico al buon andamento della Amministrazione. Come logica conseguenza, 
la giurisprudenza riconosce la legittimit� dell'operato della P.A. quando le 
modalit� del recupero e la modestia della somma portano ad escludere un 
grave disagio economico a carico d�l ricorrente (CdS, VI, 26.9.75, n. 394), ovvero 
quando gli importi de quibus vengono recuperati in occasione della corresponsione 
di emolumenti arretrati (CdS, VI, 19.12.80, n. 1322; CdS VI, 31.1.86, n. 87; 
Csi, 55.87, n. 93; ma, in senso contrario, v. CdS, VI, 5.3.85, n. 77). 

Dopo talune isolate sentenze degli anni 70, con la decisione della VI Sezione 
n. 119 del 27.3.81 si riaffaccia la tesi secondo la quale, in linea di principio, 
la p.A. ha il potere-dovere di procedere al recupero delle somme erroneamente 
corrisposte (nella fattispecie, peraltro, si ribadisce che la Amministrazione incorre 
nel vizio di eccesso di potere ove la ripetizione sia disposta dopo aver 
ingenerato una legittima aspettativa in capo al dipendente, che poi consumi 
quanto percetto in buona fede per la soddisfazione delle normali esigenze di 
vita: conforme � CdS, IV, 6.12.85, n. 604). Ed in CdS, VI, 18.11.85, n. 599, si 
sottolinea come solo un principio equitativo impone di derogare al pi� generale 
disposto dell'art. 2033 e.e., sicch�, ove la p.A. rientri comunque in possesso delle 
somme dovute, ovvero sia per qualunque ragione venuta mew;> la esigenza di 
soddisfazione dei � bisogni alimentari del dipendente, legittimamente si procede 
al recupero (v. anche CdS, VI, 9.11.85, n. 505 e CdS, V, 22.2.88, n. 85). 

Una serie di pronunzie rese in primo grado da vari Tribunali Amministra


tivi Regionali propone per� il problema di una pi� radicale revisione della 

materia, suggerendo che la doverosit� del provvedimento di recupero non pu� 

trovare deroga a causa della buona fede del percipiente, ci� rilevando unica


mente sulle modalit� della ripetizione, che deve pur sempre avvenire, ma senza 

incidere sui bisogni essenziali del dipendente. 

Accanto a decisioni ancora ispirate ai vecchi principi pramai consolida~i 

(CdS, IV, 27/J.86, n. 440; CdS, VI, 31.3.87, n. 178; CdS, IV,� 31.12.87, n. 1054; Cs1, 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 93 

Non � mai riscontrabile il vizio di eccesso di potere, nella sua figura 
sintomatica della disparit� di trattamento, laddove il provvedimento adottato 
dalla p.A. abbia natura vincolata (3). 

(omissis) Infondati si palesano i primi due motivi dedotti, che per la 
loro stretta connessione possono essere esaminati congiuntamente, con 
cui l'istante lamenta che erroneamente l'Amministrazione, prima, ed il tribunale 
regionale, poi, hanno negato la sussistenza in suo capo di una 
situazione di buona fede in merito alla percezione deile somme indebitamente 
erogategli. 

Ritiene invero il Collegio di aderire al pi� recente orientamento giurisprudenziale 
in materia il quale, alla luce dei principi enunciati dalla 
decisione dell'Adunanza plenaria 30 marzo 1976, n. l, ha affermato la doverosit� 
del recupero di somme indebitamente corrisposte a titolo retributivo 
ai pubblici dipendenti, salvo l'onere dell'Amministrazione, in caso di 
buona fede del percipiente, di procedervi con modalit� tali da non incidere 
soverchiamente sulle esigenze di vita del debitore (cfr. sez. IV, 6 maggio 
1989, n. 286; sez. IV, 23 novembre 1988, n. 887; sez. IV 27 ottobre 1988, 

n. 822; sez. IV, 22 settembre 1987, n. 545; sez. IV, 14 luglio 1987, n. 422). 
245.89, n. 212), si giunge cos�, nella giurisprudenza della Quarta sezione del 
Consiglio di Stato, ad un progressivo riesame del vecchio orientamento: si 
afferma pertanto il dovere in capo alla p.A. di provvedere alla ripetizione 
dell'indebito, con mancanza di obbligo di motivazione ove la situazione non 
sia consolidata (CdS, IV, 35.86, n. 320); si evidenzia che vi � sufficiente valutazione 
dell'interesse del privato ogni qual volta il recupero venga disposto ratealmente, 
in proporzione tale da incidere solo marginalmente sulla retribuzione 
complessiva (CdS, IV, 14.7.87, n. 422; CdS, IV, 22.9.87, n. 545); si esclude tout court 
la rilevanza della buona fede se il recupero viene effettuato mediante compen


sazione (CdS, IV, 19.1.88, n. 2). 

Si giunge cos�, infine, alla decisione 23-11,88, n. 887 resa dalla IV sezione, 

con la quale si afferma la piena applicabilit�, anche nel rapporto di p.i., del 

fondamentale canone posto dall'art. 2033 e.e. Tale orientamento viene seguito 

anche dalle successive sentenze della medesima sezione 65.89 n. 286 (che evi


denzia come la rateizzazione costituisca esercizio di una discrezionale facolt� 

della p.A.), 30.10.89, n. 722, 27.12.89, n. 995. Fanno ancora riferimento al principio 

della buona fede, invece, CdS, V, 19.7.89, n. 420 e Csi, 245.89, n. 212. Sembra 

tuttavia che la evoluzione della giurisprudenza sia ormai innegabilmente nel 

senso della pronuncia qui massimata. 

A conclusione della esposizione giurisprudenziale che precede, sembra dove


roso segnalare, a fim di completezza, che, successivamente alla decisione che 

si riporta, la V sezione del CdS ha ribadito l'orientamento contrario da ultimo 

evidenziato con le decisioni 15.3.90, n. 289 e 55.90, n. 412, mentre la IV sezione 

ha confermato di condividere l'indirizzo sostenuto dalla Avvocatura con le 

pronunzie 26.4.90, n. 321, 175.90, n. 390 e 25.9.90, n. 702. 

(3) Principio assolutamente pacifico in giurisprudenza; si veda, da ultimo, 
Csi, 29.6.88, n. 113 e CdS, IV, 16.3.87, n. 151. 
M.S. 

94 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Da un lato si �, infatti, rilevato che la doverosit� del recupero nasce 
direttamente dal disposto dell'art. 2033 cod. civ. dettato in tema di indebito 
oggettivo. D'altro lato, si � altres� rilevato che l'onere di contenere 
l'incidenza del recupero nasce, a sua volta, dalla esigenza di garantire, 
attraverso la tutela in tal guisa assicurata al dipendente incolpevole, la 
continuit� ed il buon andamento dei servizi -lato sensu intesi -della p.a. 

Quand'anche pertanto avesse a riconoscersi, conformemente a quanto 
sostenuto dall'appellante, che nel caso egli ha percepito� in buona fede 
le somme indebitamente corrispostegli, resterebbe da verificare se l'Amministrazione, 
procedendone al recupero, si sia attenuta al limite predetto, 
E la risposta non potrebbe che essere positiva, essendo stato il recupero 
disposto, giusta evidenziato nella pregressa esposizione in fatto, mediante 
compensazione del debito con il credito ad esso appellante spettante per 
effetto degli aumenti retributivi conseguenti all'intervenuta legge 8 agosto 
1984, n. 425. 

Parimenti infondato si palesa il terzo motivo dedotto, con cui l'istante 
reitera la censura di disparit� di trattamento del provvedimento de quo 
per essersi in casi analoghi l'Amministrazione diversamente determinata. 

Esattamente il tribunale regionale ha disatteso simile doglianza, muovendo 
dalla considerazione della natura vincolata del provvedimento di 
recupero, natura chiaramente emergente dal soprarichiamato indirizzo giurisprudenziale 
che nel recupero ravvisa, come si � detto, il carattere della 
doverosit�. Ora � noto che il vizio di disparit� di trattamento, quale figura 
sintomatica dell'eccesso di potere, � Iiscontrabile soltanto in seno ai provvedimenti 
discrezionali {cfr., da ultimo, Cons. giust.. sic., 29 giugno 1988, 

n. 113; sez. V, 31 marzo 1987, n. 218; sez. IV, 16 marzo 1987, n. 151). (omissis) 
CONSIGLIO DI STATO, Sez.� IV, 14 febbraio 1990, n. 77 -Pres. Quartulli Est. 
Martorelli -Regione Autonoma Valle d'Aosta (avv. Stato D'Amico) 

c. Bastrenta e Longis. 
Impiego pubblico -Accordo sindacale � Dipendenti enti locali � Accordo 
aziendale ex art. 3 d.P .R. n. 347 del 1983 � Formazione � Intervento 
di tutti i dipendenti � Mancata partecipazione delle organizzazioni 
sindacali � Illegittimit� dell'accordo. 

La partecipazione delle organizzazioni sindacali alla negoziazione collettiva 
nel pubblico impiego deve ormai ritenersi -alla luce dei vari provvedimenti 
legislativi intervenuti (in particolar modo la legge 29 marzo 
1983, n. 93, sul pubblico impiego) -istituzionalizzata. 

�, pertanto, invalido l'accordo aziendale -previsto per gli enti locali 
rl.all'art. 3, lettera C, d.P.R. 25 giugno 1983, n. 347 -concluso con l'inter



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 95 

vento di tutti i dipendenti interessati all'accordo stesso ma senza la prescritta 
partecipazione al procedimento delle organizzazioni sindacali che 
devono essere ritenute -per l'esigenza di tutela dell'intero comparto di 
pubblico impiego -gli unici soggetti titolari della contrattazione sindacale 
(1). 

(omissis) � da condividere il pnmo motivo della Regione diretto contro 
il capo delle sentenze impugnate relativo alla pronuncia d'illegittimit� 
dell'organo di controllo di quella parte della delibera consiliare 10 aprile 
1984, n. 47, con la quale era stato considerato valido ai fini dell'art. 3 

d.P.R. 347 l'accordo aziendale non sottoscritto dalle 00.SS. di pi� elevata 
consistenza. 
Rileva il Collegio che la partecipazione delle 00.SS. alla negoziazione 
~ollettiva nel pubblico impiego pu� ormai ritenersi istituzionalizzata, ove 
si tenga conto dei vari provvedimenti legislativi via via intervenuti (legge 
20 marzo 1975, n. 70 sul parastato; legge 22 luglio 1975, n. 382 sull'organizzazione 
della P. A., e, pi� recentemente, la legge 29 marzo 1983, n. 93 sul 
pubblico impiego). Emerge da detta normativa che, al fine di rendere 
incisivo il principio della contrattazione collettiva, il legislatore ha det


(1) La decisione n. 77/1990 del Consiglio di Stato conferma una precedente 
pronuncia (IV, 6.4.1987, n. 211, in CdS 1987, 1, 502) nella quale il collegio aveva 
sostenuto che � l'intervento di tutti i dipendenti interessati all'accordo aziendale 
per gli enti locali -ex art. 3, d.P.R. 25.6.1983, n. 347 -non pu� supplire alla 
mancata partecipazione delle organizzazioni sh1dacali al procedimento � stante 
la necessit� -deducibile dall'attuale normativa nel settore pubblico e imputabile 
a inderogabili esigenze di tutela e di perequazione delle posizioni giuridiche 
nel pubblico impiego -di perseguire, attraverso l'accordo collettivo, una 
sostanziale omogeneizzazione e la massima trasparenza nella disciplina del rapporto 
di pubblico impiego. Tale finalit� -che esula dagli interessi dei singoli 
dipendenti, rende addirittura inconcepibile la conclusione di un accordo sindacale 
senza la partecipazione delle organizzazioni sindacali al procedimento formativo 
di esso. 
Il Consiglio di Stato ha, in definitiva, accolto la ratio, emergente in modo 

particolare dalla legge 29.3.1983, n. 93, sul pubbld.oo impi�.ego, dci iliversi provvedi


menti legislativi che, a cominciare dal settore ospedaliero, hanno regolato, in 

tutto il comparto del pubblico impiego, il procedimento per l'attuazione degli 

accordi collettivi disciplinanti il trattamento economico e gli altri istituti nor


mativi dei pubblici dipendenti. 

La legge quadro sul pubblico impiego stabilisce, infatti, il principio della 

omogeneizzazione delle posizioni giuridiche presso tutte le amministrazioni, 

della perequazione e trasparenza dei trattamenti economici nonch� dell'efficienza 

amministrativa, e prescrive, inoltre, che ad essi debbono ispirarsi tanto gli atti 

normativi quanto gli accordi sindacali e gli atti attuativi emanati in materia 

(art. 4) al fine di eliminare la deprecabile realt� dei trattamenti differenziati. 

A tal fine � previsto (art. 5) che venga concluso -per ogni comparto di con


trattazione collettiva -un unico accordo sindacale tra delegazioni delle amministrazioni 
interessate e delegazioni sindacali del personale. 

G.M. 

96 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

tato norme regolatrici anche in ordine ai momenti ed alle procedure della 
negoziazione. 

Sul piano giuridico-istituzionale � stato cos� previsto che l'assetto normativo 
delle carriere dei pubblici dipendenti sia realizzato dall'Amministrazione 
non in aree di discrezionalit� (in senso proprio) ma in attuazione 
dei nuovi modelli. Specificamente, in riferimento all'art. 3 del d.P.R. 347, 
al procedimento di formazione non potevano non intervenire le maggiori 
00.SS. titolari della contrattazione aziendale -per l'esigenza di tutela 
dell'intero comparto di pubblico impiego -e non gi� i dipendenti interessati, 
non avendo essi veste di rappresentanza delle organizzazioni medesime. 
Inoltre, l'accordo aziendale, non esaurendo i suoi effetti al presente, 
era destinato a disciplinare anche le posizioni dei dipendenti futuri e 
delle quali non erano certamente titolari quelli che, al momento, hanno 
sottoscritto l'accordo, di guisa che, anche sotto tale angolazione, � di tutta 
evidenza la violazione della disciplina sostanziale e procedimentale dettata 
per la soggetta materia. 

'Alla stregua di dette considerazioni negative, che si saldano con i 
principi affermati da questa Sezione nella dee. 6 aprile 19S7, n. 211, la 
prima determinazione del CO.RE.CO., impugnata dinanzi il T.A.R., si appalesa 
esente dai vizi di legittimit� denunciati. 

Consegue da ci� cne: il successivo inquadramento viene travolto per 
l'invalidit� del contratto aziendale, suo presupposto, secondo i decreti 
dell'organo di controllo nn. 8161 ed 8158/1984. 

3. -In conclusione vanno respinti i ricorsi di primo grado dei Signoli 
Bastrenta e Longis e riformate le sentenze T.A.R. 
CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 12 marzo 1990, n. 375 -Pres. Salvatore -
Rel. Torsello -Miccolis s.p.a. (avv. Amorosino e Guarino) e Min. Trasporti 
(avv. Stato Stipo) c. Viaggi e Turismo Marozzi s.r.l. (avv. 
Zammit). 

Trasporti pubblici -Autolinee in concessione -Potere discrezionale del1'
Amministrazione sulle modalit� della procedura. 

Trasporti pubblici � Autolinee in concessione -Commissione istituita per 
il coordinamento dei servizi automobilistici di linea con quelli ferroviari 
-Istituzione dell'Ente Ferrovie dello Stato -Mancata convocazione 
-Legittimit�. 

Trasporti pubblici -Autolinee in concessione -Diritto di preferenza per 
finitimit� -Requisiti. 

Le disposizioni contenute nella legge 28 settembre 1939, n. 1822 non 
pongono una disciplina analitica delle modalit� istruttorie che deve eseguire 
l'Amministrazione al fine di giungere ad una �ompiuta conoscenza 


i 
I 


II 

I 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 97 

e valutazione degli elementi di fatto da porre a base dell'eventuale 
provvedimento di concessione, rimettendo al potere discrezionale della 
stessa Autorit� la individuazione delle modalit� da seguire per una esaustiva 
conoscenza e per l'apprezzamento dei fatti (1). 

La commissione per il coordinamento dei servizi automobilistici di 
linea con quelli ferroviari era stata istituita con decreto del Ministro 
dei Trasporti 19 ottobre 1962, n. 35 in funzione di collegamento interorganico 
tra la Azienda delle Ferrovie dello Stato e l'Amministrazione dei 
Trasporti; avendo la legge 17 maggio 1985, n. 210 creato il nuovo Ente 
Ferrovie dello Stato e spostato quindi tale relazione sul piano dei rapporti 
intersoggettivi, non appare ingiustificato che il Ministero abbia 
ritenuto di adeguarsi alla ratio della� nuova disciplina, non pnocedetndo 
pi� alla convocazione della commissione (2). 

Ai sensi dell'art. 5, comma 2� della legge 29 settembre 1939, n. 1822, 
la finitimit�, ai fini del dir.itto di prefer'enza, va riferita non $-al.tanto 
alla materiale conness:ione del!e linee, ma anche alla loro interdipendenza 
in rapponto al complesso economioa e alla finalit� dei servizi, damdo 
rilievo ad una molteplicit� di elementi, taluni di carattere materiale, 
talaltri di carattere finalistico-funzionale, tutti ricollegantisi al cosiddetto 
bacino di utenza; pertanto non sussiste finitimit� nel caso di autolinee 
che, pur partendo da uno stesso luogo, si svolgono su percorsi diff erenziati 
e assolvono ad esigenze di traffico ben distinte (3). 

(omissis) 1. -Con il primo motivo d'appello la societ� Miccolis ripropone 
l'eccezione di inammissibilit�, per carenza d'interesse, nei confronti 
del ricorso proposto in primo grado dalla societ� Marozzi. 

Osserva sul punto l'impresa appellante che la Marozzi, da un lato, 
ha contestato radicalmente il provvedimento di attivazione della nuova 
linea, in quanto fortemente concorrenziale con le Ferrovie dello Stato 
e dall'altro ha lamentato la mancata assegnazione della stessa, che, invece, 
le �sarebbe spettata in quanto titolare di un � diritto di preferenza �, per 
essere gi� concessionaria di una autolinea Taranto-Bari-Roma. 

(1-3) Questa decisione fissa alcuni concetti ben precisi in tema di autolimitazione 
alla discrezionalit� dell'Amministrazione, che non deve intendersi in 
modo statico ma deve essere rapportata all'evolversi delle situazioni che si 
vengano a creare, come nel caso della istituzione dell'Ente Ferrovie dello Stato, 
che ha personalit� giuridica distinta dallo Stato, a differenza della cessata 
Azienda Autonoma. 

Anche sul diritto di preferenza nella istituzione di nuove autolinee, la 

sentenza in rassegna ha inteso chiarire il concetto di finitimit�, che non pu� 

ritenersi sussistente in ogni caso di coincidenza di percorso iniziale o finale. 

La finitimit�, invero, aveva un senso all'epoca della emanazione della legge 

28 settembre 1939 n. 1822, quando le autolinee avevano un percorso limitato, colle


gando localit� vicine; ma oggi � inconcepibile ravvisare una finitimit� tra 

autolinee che svolgono un servizio collegando localit� di diverse regioni. 



98 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Il Collegio ritiene che tale eccezione -limitatamente al .Primo 
motivo di ricorso in primo grado -sia da accogliere. 

Occorre al riguardo premettere che il Ministero dei trasporti, con 
decreto n. 35 del 19 ott0bre 1962, istitu� una commissione per il coordinamento 
dei servizi automobilistici di linea con quelli ferroviari, con 
il compito di esaminare le questioni relative alle reciproche interferenze 
tra i servizi stradali e quelli ferroviari. 

La Societ� Marozzi, nel ricorso in primo grado, ha lamentato che 
la questione della istituzione della nuova autolinea avrebbe dovuto essere 
sottoposta a tale comrriissione, ai fini della pronuncia sulla domanda, in 
relazione all'esistenza ed alla entit� �del danno derivante alle Ferrovie 
dello Stato e quindi al pubblico interesse; secondo l'appellata, se tale 
commissione fosse stata regolarmente sentita, si sarebbe certamente espressa 
in senso contrario alla iniziativa della societ� Miccolis, stante la manifesta 
concorrenzialit� con il servizio ferroviario statale. 

Orbene non pu� dubitarsi che, in relazione alla proposizione di tale 
motivo di ricorso, la societ� Marozzi sia carente di interesse. 

Ed invero, se si procede a valutare preventivamente, secondo la 
prospettazione della stesa societ� appellata, le conseguenze dell'ipotetico 
accoglimento della censura sull'assetto degli interessi cos� come definito 
dal provvedimento di concessione dell'autolinea ci si avvede che una 
pronuncia sul punto eventualmente favorevole non arrecherebbe nessuna 
soddisfazione dell'interesse della Marozzi. 

Difatti l'acquisizione al procedimento del parere della commissione 
non potrebbe in alcun modo indirizzare la potest� amministrativa verso 
la concessione della autolinea ad una piuttosto che ad un'altra sociefa, 
non essendo preordinato istituzionalmente, a soddisfare un'esigenza in 
tal genere, potendo anzi, come afferma la Marozzi stessa, impedire 
radicalmente l'esercizio della stessa potest�, attraverso la affermazione 
della concorrenzialit� della nuova linea con il servizio ferroviario. 

Il Collegio peraltro � consapevole che, secondo talune pronunce di 
questo Consiglio di Stato, l'interesse a ricorrere � stato rinvenuto anche 
in una semplice utilit� strumentale, derivante dalla ridiscussione della 
situazione, in conseguenza della rinnovazione dell'atto, suscettibile peraltro 
solo in via eventuale di concludersi con un nuovo provvedimento 
sostanzialmente favorevole al ricorrente. 

Ci� non toglie che, nella particolare fattispecie in esame, il vincolo 
derivante all'Amministrazione da una pronuncia (eventualmente) favorevole 
sul punto, determinerebbe evidentemente non un generico obbligo 
di un nuovo esercizio della potest�, attraverso la rinnovazione del procedimento; 
ma un obbligo qualificato dalla necessaria acquisizione allo 
stesso del parere della commissione predetta; parere che, per quanto 
sopra detto, non potrebbe arrecare alcun contributo al procedimento, in 
termini satisfattori per la societ� Marozzi. 


PARTE I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

Pertanto tale motivo d'appello va accolto e va dichiarata la inammissibilit� 
della prima censura proposta in primo grado dalla societ� 
Marozzi. 

2. -Senonch� nel giudizio � intervenuto l'Ente Ferrovie dello Stato, 
e ha chiesto la reiezione dell'appello della societ� Miccolis e quindi la 
conferma della decisione impugnata, sostenendo la illegittimit� della mancata 
acquisizione del parere dell'organo tecnico. 
In tal modo il Collegio � chiamato ad accertare la effettiva esistenza 
del vizio dedotto, essendo evidente l'interesse da parte dell'Ente �Ferrovi�, 
a far valere tale vizio, a differenza di quanto detto in precedenza per 
l'impresa Marozzi. . 

Al riguardo giova premettere che le disposizioni contenute nella legge 
1822/1939 indubbiamente non pongono una disciplina analitica delle modalit� 
istruttorie che deve eseguire l'Amministrazione al fine di giungere 
ad una compiuta conoscenza e valutazione degli elementi di fatto da 
porre a base dell'eventuale provvedimento di concessione, in tal modo 
rimettendo al potere discrezionale della stessa Autorit� la individuazione 
delle modalit� da seguire per una esaustiva conoscenza e per l'apprezzamento 
dei fatti. 

Ci� che, in effetti, � avvenuto, per quanto riguarda la conoscenza 
delle eventuali interferenze tra servizi ferroviari e stradali, �attraverso 
la istituzione di una apposita commissione. 

Orbene, sotto un primo profilo, � certamente da respingere la tesi, 
sostenuta dal Ministero dei trasporti, secondo la quale l'attivit� di tale 
commissione, essendo meramente interna all'Amministrazione, sarebbe 
inidonea a far sorgere situazioni soggettive tutelate in capo ai soggetti 
destinatari del provvedimento. 

In disparte, difatti, ogni considerazione sulla reale portata della distinzione 
tra attivit� interna ed esterna della pubblica amministrazione, 
non v'� dubbio .che anche i c.d. procedimenti non necessari -cio� no11 
previsti espressamente dall~ norma -appartengono al rilevante giuridico 
e possano far sorgere delle situazioni giuridiche tutelabili. 

Ci� non toglie che la circostanza che il parere suddetto non sia 
stato previsto espressamente dall'ordinamento, ma derivi da una determinazione 
autonoma dell'Amministrazione, non � senza ripercussioni sul 
piano dei vizi che possono inficiare il procedimento seguito, in quanto, 
come sostiene la societ� appellante, la mancata acquisizione al procedimento 
del parere della commissione non rileva ex se (come avverrebbe se 
esso fosse previsto espressamente dalla norma) ma unicamente nella 
misura in c:ui la predetta omissione sia priva di giustificazione e comunque 
si risolva in un sintomo di una insufficiente rappresentazione 
dei fatti su cui si basa il provvedimento. 

Orbene ritiene il Collegio che, nel caso di specie, tale vizio non 
sussista. 


100 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Risulta infatti dal provvedimento impugnato che il Ministero, pur 
senza la formale acquisizione del parere della commissione, aveva comunque 
acquisito una completa conoscenza della posizione delle Ferrovie 
dello Stato, in ordine ai problemi di coordinamento della autolinea in 
questione con i servizi ferroviari, in occasione della conferenza nazionale 
delle autolinee di Torino, a cui era seguita la formalizzazione della 
relativa opposizione. 

E al riguardo aveva ritenuto, col provvedimento impugnato, che 
� nessuna grave sottrazione di traffico poteva determinarsi nei confronti 
delle F. S. con l'orario proposto dall'impresa Miccolis che prevede l'orario 
di partenza da Taranto ... �. 

N�, d'altro canto, la mancata acquisizione del parere appare priva 
di giustificazione. 

La commissione, difatti~ era stata istituita in funzione di collegamento 
interorganico tra la Azienda delle Ferrovie dello Stato e l'Amministrazione 
dei trasporti, con riguardo alla normativa precedente alla legge 

n. 210/1985. 
Avendo invece tale legge spostato tale relazione sul piano dei rapporti 
intersoggettivi, non appare ingiustificato che il Ministero, nel periodo 
transitorio intercorrente tra l'entrata in vigore della legge (14 giugno 1985) 
e l'inizio della gestione del nuovo ente (1� gennaio 1986), abbia ritenuto 
di adeguarsi immediatamente alla ratio della nuova disciplina, non pro-. 
cedendo pi� alla convocazione della commissione, la cui esistenza e 
funzionalit�, del resto, derivava da una determinazione unilaterale dell'Amministrazione. 


Senza contare che pu� seriamente dubitarsi che il quadro� normativo 
di riferimento, all'iepoca dell;;i emanazione del provvedimento, non fosse 
gi� mutato, in quanto, al di l� della data dell'inizio della � gestione � del 
nuovo ente, fissato al 1� gennaio 1986, dopo l'entrata in vigore della 
legge (14 giugno 1985) si era indubbiamente prodotta una immutazione, 
seppure non totalmente operativa, nella natura giuridica dell'Azienda. 

Pertanto tale censura dev'essere rigettata. 

3. -Vengono poi all'esame del Collegio gli ulteriori motivi proposti 
in primo grado dalla societ� Marozzi, dichiarati assorbiti dal Tribunale 
amministrativo, ed espressamente riproposti in appello, ex art. 346 del 
c.p.c. 
In particolare la ricorrente in primo grado deduce la violazione degli 
artt. 5, 6, 12 della legge 28 settembre 1939, n. 1822, eccesso di potere per 
travisamento di fatti, contraddittoriet�, difetto di istruttoria e di motivazione, 
nonch� sviamento di potere. 

Il Ministero dei trasporti avrebbe riconosciuto il diritto di preferenza 
all'impresa Miccolis perch� gi� esercente un'autolinea di gran turismo 
sullo stesso percorso; ma le autolinee di gran turismo costituirebbero 
una categoria diversa dagli autoservizi ordinari, tanto che la legge lo 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

sottopone ad una speciale disciplina; d'altro canto il Ministero avrebbe 
trascurato di compiere un'indagine sui requisiti prescritti dafla legge 
per la concessione, consistenti nella titolariet� di autoservizi finitimi 
o, in mancanza, dal possesso di una migliore organizzazione, requisiti 
posseduti entrambi dalla societ� ricorrente, essendo concessionaria di 
una autoline� finitima (Roma-Bari-Taranto in coincidenza a Grottaminarda 
con la Grottaminarda-Napoli) e molto meglio organizzata sia per il personale 
che sotto il profilo tecnico e finanziarfo. 

Al riguardo osserva il Collegio che, nella fattispecie in esame, n� 
l'impresa appellata, n� quella appellante, risultano e_ssere titolari, ai sensi 
dell'art. 5 della legge 29 settembre 1939, n. 1822, di un �diritto di preferenza 
� in senso proprio. 

Invero � da escludere, in primo luogo, che la autolinea ordinaria 
Taranto-Bari-Roma, gi� gestita dalla Societ� Marozzi, si ponga in relazione 
di finitimit� con la autolinea di nuova istituzione, che si svolge 
lungo il tragitto Taranto-Salerno-Napoli. 

Difatti ai sensi dell'art. 5, comma 2, della legge citata, la finitimit� 
va riferita non soltanto alla materiale connessione delle linee, ma anche 
alla loro interdipendenza in rapporto al complesso econoinico e alla 
finalit� dei servizi; in altri termini la norma in esame, ai fini della sussistenza 
di tale relazione, d� rilievo ad una molteplicit� di elementi, taluni 
di carattere materiale, talaltri di carattere finalistico-funzionale, tutti ricollegantesi 
al c.d. bacino di utenza. 

Orbene, nel caso in esame, le autolinee a confronto non si pongono 
in tale relazione, sia che si considerino le loro caratteristiche topografiche, 
sia che si abbi ariguardo agli elementi finalistico-funzionali delle 
stesse. 

Come osservato in punto di fatto dalla societ� Miccolis, e non contestato 
dalla societ� appellante, la linea gestita dalla Marozzi, da Taranto 
si muove verso Bari -e quindi in direzione dell'Adriatico, -percorre 
l'autostrada adriatica sino a Canosa, si immette sull'autostrada CanosaAvellino-
Caserta e, non toccando le province di Salerno e Napoli, prosegue 
per Roma; l'altra invece da Taranto percorre l'entroterra lucano 
lungo la strada basentana, rasentando Potenza e, attraverso la parte meridionale 
della provincia di Salerno e dirigendosi verso il Tirreno, si immette 
sull'autostrada del Sole sino a Salerno e prosegue per Napoli sulla 
Salerno-Pompei. 

In conclusione si tratta di autolinee che, pur partendo dallo stesso 
centro -Taranto -si svolgono su percorsi differenziati, e assolvono ad 
esigenze di traffico ben distinte. 

Sotto diverso profilo, peraltro, � indubbio che neanche la impresa 
Miccolis possa vantare un � diritto di preferenza � propriamente inteso. 
Se � vero, infatti, che tale impresa gi� gestisce sulla medesima � relazione 
� un'autolinea di gran turismo, � anche vero che tale posizione 


102 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
giuridica, non essendo espressamente contemplata tra quelle che, ai sensi 
dell'art.�;; citato, attribuiscono una posizione privilegiata, non pone la societ� 
in una condizione di preferenza rispetto alle altre, atteso che, come 
pi� volte ribadito da questo Consiglio, le posizioni giuridiche privilegiate 
contemplate nella norma citata costituiscono un numerus clausu~ 
Ritiene per� il Collegio che la condizione giuridica in cui si trova tale 
ultima societ�, pur non assurgendo al rango sopra detto, possa tuttavia 
essere presa in considerazione da parte dell'Amministrazione, quale elemento 
che, nell'esercizio del suo potere discrezionale, sia ritenuto rile� 
vante ai fini della individuazione della soluzione pi� idonea a soddisfare, 
102 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
giuridica, non essendo espressamente contemplata tra quelle che, ai sensi 
dell'art.�;; citato, attribuiscono una posizione privilegiata, non pone la societ� 
in una condizione di preferenza rispetto alle altre, atteso che, come 
pi� volte ribadito da questo Consiglio, le posizioni giuridiche privilegiate 
contemplate nella norma citata costituiscono un numerus clausu~ 
Ritiene per� il Collegio che la condizione giuridica in cui si trova tale 
ultima societ�, pur non assurgendo al rango sopra detto, possa tuttavia 
essere presa in considerazione da parte dell'Amministrazione, quale elemento 
che, nell'esercizio del suo potere discrezionale, sia ritenuto rile� 
vante ai fini della individuazione della soluzione pi� idonea a soddisfare, 
il problema del traffico su una data � relazione � automobilistica. 

In altri termini � legittimo e non irrazionale che il Ministero dei 
Trasporti, nell'assenza di titoli preferenziali, abbia tenuto conto, ai fini 
della soluzione pi� opportuna nel caso concreto, delle esperienze gi� 
acquisite da una societ� che con riferimento al medesimo percorso, seppure 
con riguardo ai servizi automobilistici di gran turismo, abbia dato 
prova della propria idoneit� a svolgere il servizio pubblico richiesto 
in concessione. 

TAR Lazio, Sez. III, 23 novembre 1989, n. 2001 -Pres. Borea�-Rel. Cimi 
nelli -Pucci (avv. Pagano) c. OPAFS (avv. Stato Del Gaizo). 

Ferrovie -Opera di pre:vfdenza e assistenza dei ferrovieri dello Stato 
Indennit� di buonuscita -Giurisdizione della Corte clei conti. 

Per i dipendenti collocati a riposo o deceduti dopo l'entrata in vigore 
della legge 17 maggio 1985 n. 210 istitutiva dell'Ente Ferrovie dello Stato, 
le controversie in materia di indennit� di buonuscita ricadono nella giurisdizione 
esclusiva della Corte dei conti (1). 

(omissis) 1.1. Al riguardo va premesso che al personale ferroviario 
l'indennit� di buonuscita � corrisposta dall'O.P.A.F.S. -Opera di previdenza 
ed assistenza per i ferrovieri dello Stato -secondo quanto previsto 
dall'art. 2 della legge 14 dicembre 1973, n. 829, il cui art. 44 comma III 
riserva, poi, alla Corte dei conti il giudizio sui ricorsi avverso i provvedimenti 
definitivi dell'ente in materia di prestazioni obbligatorie, compresi 
quelli inerenti della indennit�. 

Tale ultima disposizione ha subito poi una deroga per effetto dell'art. 
6 della legge 20 marzo 1980, n. 75, che ha devoluto alla giurisdizione 

(1) Nei sensi che l'art. 23 della legge 175.1985, n. 210, non riguarda le 
controversie previdenziali si sono espresse Cass. 9.6.1989, n. 2821 (in materia di 
infortuni sul lavoro) e Corte dei conti 17 gennaio 1990, n. 63519 (in materia di 
pensioni) pubblicate in questa Rassegna, I, 52 e 67). 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

esclusiva dei tribunali amministrativi regionali le controversie in materia 
di indennit� di buonuscita e di indennit� di fine servizio del persvnale 
dello Stato e delle aziende autonome. 

Senonch� detta deroga, con l'entrata in vigore della legge 17 maggio 
1985 n. 210 che ha istituito il nuovo Ente delle Ferrovie dello Stato, deve 
intendersi venuta meno col passaggio a quest'ultimo dei rapporti di 
lavoro ancora in corso, trattandosi di ente pubblico distinto dallo Stato 
e come tale, sottratto dall'obbligo di applicazione dell'art. 6 citato. Con 
l'ulteriore conseguenza che per i dipendenti collocati a riposo o deceduti 
(come la dott.ssa Gemma Pucci) dvpo l'entrata in vigore della legge 

n. 210 la norma contenuta dall'art. 44 comma III della legge 1973, n. 829 
deve intendersi da quel momento nuovamente tornata in vigore e le 
controversie da loro (o da chi per loro) intraprese in tema di indennit� 
di buonuscita sono da ritenere di nuovo ricadenti nella giurisdizione 
esclusiva della Corte dei conti. 
1.1.2. N� d'altro canto potrebbe sostenersi che l'art. 44, comma III, 
pi� volte citato sarebbe stato definitivamente abrogato dall'art. 6 della 
legge 1980, n. 75 al punto da non poter tornare in vigore perch� a 
ben vedere -come rettamente evidenzia l'Avvocatura -nella specie deve 
parlarsi piuttosto d'inefficacia parziale della norma, nei liiniti conseguenti 
all'applicazione di detto art. 6, che di vera e propria abrogazione. 
Ed infatti, � vero che l'art. 6 della legge 1980, n. 75, nel devolvere ai 
tribunali amministrativi regionali la materia dell'indennit� di buonuscita 
del personale statale e delle aziende autonome, dichiara espressamente 
abrogata ogni diversa statuizione ma, poich� l'art. 44, comma III, riguar� 
dava pi� tipi di controversie previdenziali, detto comma non poteva 
n� considerarsi abrogato �in toto � n� considerarsi abrogato con esclusione 
delle parti ove si afferma la giurisdizione della Cvrte dei conti sui 
provvedimenti definitivi, diversi da quelli relativi all'indennit� di buonuscita; 
bens�, pi� rettamente, la norma doveva intendersi divenuta soltanto 
inefficace �in parte qua� ed ovvero liinitatamente al punto risultante 
in contrasto con l'art. 6. � 

Ne consegue che, una volta mutata l'Azienda autonoma delle Ferrovie 
dello Stato in Ente pubblico munito di una propria personalit� giuridica 
distinta dallo Stato, e quindi una volta sottratte al regime instaurato dall'art. 
6 della legge del 1980 le controversie in materia di buonuscita, la 
portata dell'art. 44, comma III, della legge 1973, n. 829, mai venuta meno, 
si � riespansa fino a ricomprendere anche dette controversie. 

1.1.3. Peraltro, pur a voler ritenere abrogata la norma in discorso, 
essa deve intendersi ripristinata �in parte qua� dall'art. 21 u.c. La quale, 
ove dispone che �fino a quando non sar� disciplinato l'assetto generale 
del trattamento previdenziale e pensionistico dei lavoratori dipendenti, 
rimane fermo il trattamento in atto all'entrata in vigore della presente 

PARTE I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

104 

legge �, indica chiaramente l'intento del legislatore di mantenere in vigore 
tutta la pregressa disciplina, ivi compresi (stante l'ampio riferimento al 
�trattamento in atto� operato dall'art. 21), gli aspetti processuali e 
quindi anche la norma contenuta nell'art. 44, comma III, che costituiva 
parte integrante del sistema previdenziale previsto dalla legge 1973, n. 829. 

2. Il ricorso, come preannunciato, va per tutto ci� dichiarato inammissibile 
per difetto di giurisdizione, trattandosi di materia che, riguardando 
indennit� di buonuscita maturata da dipendente ferroviario deceduto 
dopo l'entrata in vigore della legge 1985, n. 210, deve intendersi 
deferita alla giurisdizione esclusiva della Corte dei conti. 

SEZIONE QUINTA 

GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 7 febbraio 1989, n. 733 -Pres. Bile � 

Est. Tilocca -P. M. Grossi (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato 

Laporta) c. Soc. Italinvest (avv. Giovine). 

Tributi in genere -Norme tributarie -Disposizioni integrative e correttive 
-Nozione -Retroattivit� -Art. 1 d.P .R. 23 dicembre 1974, n. 688 
che modifica l'art. 13, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 13; d.P.R. 23 dicembre 1974, n. 688). 
Sebbene le disposizioni integrative e correttive dei decreti delegati 
della riforma tributaria non possano qualificarsi come norma di interpretazione 
autentica, tuttavia dette norme anche quando sono innovative 
(ed in particolare l'art. 1 del d.P.R. 23 dicembre 1974, n. 688 contiene un 
precetto nuovo sicuramente non contenuto nella norma originaria del� 
l'art. 13 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643), sono egualmente retroattive 
per la loro natura, salvo il limite delle situazioni esaurite. Sono disposizioni 
integrative quelle che esplicano e sviluppano precetti non espressi 
nelle precedenti disposizioni ma che erano in queste sottintesi � gi� deducibili 
in via di interpretazione; sono disposizioni correttive quelle che 
essendo dirette ad emendare disposizioni gi� in vigore che presentino 
un vizio di illegittimit� sono emanate al fine di prevenire una pronunzia 
di illegittimit� costituzionale. Le une e le altre, quando hanno questi 
caratteri, sono per ragioni diverse retroattive nei confronti sia della Amministrazione 
che dei contribuenti (1). 

(1) Sempre occasionata dalla modifica all'art. 13 del d.P.R. 26 ottobre 1972 
n. 643, la giurisprudenza sta elaborando una categoria nuova dd fonti del diritto 
con efficacia naturalmente retroatti<va. 
Con la sent. 16 luglio 1987 n. 6252 (in questa Rassegna, 1988, I, 157), sempre 
escludendo la configurabilit� della interpretazione autentica, era stata proposta 
una distinzione tra norme (integrative e correttive) innovative e non innovative 
ammettendosi per le prime, in quanto � precisano meglio i presupposti di fatto 
del tributo �, la retroattivit�. 

Ed in questa prospettiva la sentenza si sforzava di dimostrare (non senza 
fatica) che il d.P.R. n. 688/1974 non aveva introdotto mutamenti consistenti al 
testo originario dell'art. 13 del d.P.R. n. 643/1972. 

Ora le Sez. unite, dopo aver sottolineato che la norma integrativa all'art. 13 
� manifestamente e consistentemente innovativa (tanto che poi qualificheranno 
questa norma correttiva), ammettono egualmente la retroattivit� che generaliz� 
zano anche riguardo alle norme correttive. 

Le definizioni date rispettivamente alle norme integrative e correttive non 
danno sufficiente affidamento. Se da un lato non si coglie la differenza fra 



106 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
(omissis) 1. -L'Amministrazione ricorrente denuncia la violazione 
dell'art. 13 d.P.R. n. 643 del 1972 e la falsa applicazione dell'art. 1 d.P.R. 
n. 688 del 1974 sostenendo che tal ultima norma enuncia un principio 
opposto a quello vigente secondo l'originario testo dell'art. 13 e perci� 
non pu� classificarsi fra le norme interpretative e � di conseguenza, in 
difetto di una specifica dispc:>sizione relativa alla sua applicazione retroattiva, 
non pu� che riguardare i presupposti d'imposta venuti in essere 
dopo la sua entrata in vigore�. Inoltre �il problema di costituzionalit� 
� mal posto nell'impugnata decisione, giae�h� non � configurabile una ingiustificata 
disparit� di trattamento nel succedersi tra normative diverse�. 

Il ricorso va rigettato. 

2. -La legge 9 ottobre 1971, n. 825 deleg� il Governo a rifornmre 
quasi per intero il sistema tributario � secondo i principi costituzionali 
del concorso di ognuno in ragione della propria capacit� contributiva e 
della progressivit� e secondo i principi, i criteri direttivi e tempi determi
�nati � da essa stessa (art. 1), �con uno o pi� decreti aventi valore di 
legge ordinaria � da emanarsi previo � il parere di una commissione composta 
da quindici senatori e quindici deputati, nominati dai Presidenti delle 
rispettive Assemblee� (art. 17, comma I). La legge inoltre autorizz� 
(art. 17, comma 2) il Governo ad emanare �disposizioni integrative e 
correttive, nel� rispetto dei principi e criteri direttivi determinati� da 
essa stessa (ossia quelli fissati nell'art. l, sopra riprodotti) �e previo 
parere della commissione � parlamentare innanzi indicata. La legge in 
particolare stabili (art. l, comma l, n. Ili) I'� istituzione dell'imposta 
comunale sull'incremento di valore degli immobili � e la � contemporanea 
abolizione dell'imposta sull'incremento di vafore delle aree :fubbricabili 
e dei contributi di miglioria� fissando, poi, �i principi e i criteri direttivi 
� ai quali doveva �niformarsi la disciplina delegata del nuovo tributo 
(art. 6). Fra tali �principi e criteri direttivi� occorre qui ricordare quello 
norme integrative e norme interpretative, sembra piuttosto arbitrario identificare 
le norme correttive con quelle dirette a prevenire una eccezione di illegittimit� 
costituzionale. 

Ma restano ancora seri dubbi sulla portata retroattiva delle disposizioni 
integrative e correttive. Sembra che in fondo la sentenza riconosca la retroattivit� 
a quelle disposizioni che rispondono alle definizioni date di norme integrative 
e di norme correttive; ma vi sono certamente fra i decreti emanati in 
forza della delega dell'art. 17 secondo comma della legge n. 825 del 1971 disposizioni 
che non rientrano in queste definizioni o per le quali la ricomprensione � 
problematica. 

In conclusione quello che si pu� dire � che va a consolidarsi la giurisprudenza 
sull'art. 13 del d.P.R. n. 643/1972, sia pure per diverse considerazioni. 
La generalizzazione della questione lascia ancora molti dubbi. 

In argomento v. TESAURO, Sulla distinzione tra disposizioni interpretative, 
integrative, correttive e modificative nella legislazione tributaria delegata in 
Riv. dir. finanz., 1990, II, 9. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

secondo il quale nella determinazione della differenza imponibile fra il 
valore finale dell'immobile ed il suo valore iniziale, quest'ultimo doveva 
essere � aumentato delle spese di acquisto, di costruzione e incrementative
�. L'imposta in parola venne istituita con d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, 
il quale stabilisce, all'art. 11, che �ai fini del calcolo dell'incremento 
imponibile il valore iniziale del bene � maggiorato delle spese di acquisto, 
di costruzione ed incrementative riferibili al periodo considerato per la 
determinazione dell'incremento stesso� e, all'art. 13, che �si considerano 
spese di costruzione ed incrementative quelle relative ad opere ed utilit� 
esistenti alla data di determinazione del valore finale del bene�, includendosi 
�fra le utilit� la liberazione del bene da servit�, oneri reali ed 
altri vincoli�. 

Il d.P.R. 23 dicembre 1974, n. 688, che s'intitola �disposizioni integrative 
e correttive del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, concernente istituzione 
dell'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili � e 
che nel preambolo richiama, fra l'altro, �la legge 9 ottobre 1971, n. 825 � 
e d� atto dell'espresso �parere della commissione parlamentare istituita 
a norma dell'art. 17 � della detta legge, dispone nell'art. 1: �Al decreto 
del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 643 ...sono apportate 
le seguenti integrazioni e correzioni: 

Art. 13 � sostituito dal seguente: 

� Spese di costruzione ed incrementative. -Si considerano spese 
di costruzione e incrementative quelle specificamente relative ad opere 
ed utilit� esistenti alla data di determinazione del valore finale, comprese 
le spese effettuate per liberare l'immobile da servit�, oneri e altri vincoli 
e per demolire le costruzioni esistenti sulle aree utilizzate ai fini edificatori. 

Per le opere eseguite in economia, qualora siano documentate soltanto 
le spese di acquisto del materiale impiegato, il relativo importo 
� aumentato del cinquanta per cento. Per le aree fabbricabili la cui edificazione 
� subordinata a norma di legge all'accollo delle spese per la 
urbanizzazione primaria o secondaria, il valore iniziale � maggiorato 
anche della quota parte di tali spese, ancorch� non eseguite alla data del 
trasferimento, da computarsi, con �ferimento all'edificabilit� specifica 
dell'area, in base all'importo risultante dalle convenzioni o da altri atti 
di impegno stipulati con i comuni ovvero dalle delibere adottate in 
merito dai 1.,.omuni stessi. Il contribuente deve versare l'imposta corrispondente 
alla maggiorazione qualora non provvede all'ultimazione delle 
opere di urbanizzazione nei termini stabiliti �. 

3. -La questione su cui si controverte nel presente giudizio � se tal 
ultimo comma sia o meno applicabile alle situazioni maturatesi prima 
dell'entrata in vigore del relativo decreto, giacch� gli atti di alienazione, 
cui nella specie si ha riferimento, conclusi, appunto, nella vigenza del 
testo originario dell'art. 13, riguardano terreni per la cui urbanizzazione 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

la societ� venditrice era obbligata ad accollarsi le future spese. 

La decisione impugnata, come sopra si � precisato, ha accolto la 
soluzione positiva motivandola, soprattutto, con l'affermazione che � la 
modifica all'art. 13 si deve considerare interpretativa e come tale appli� 
cabile anche ai rapporti sorti prima della sua entrata in vigore �. 

La sentenza n. 6252 del 1987 della prima sezione civile di questa Corte, 
pronunciata fra le stesse parti e a seguito di impugnazione di una decisione 
pure della Commissione centrale, che aveva anch'essa ravvisato 
nell'art. 1 d.P.R. n. 688 una norma interpretativa dell'originario art. 13, 
ha esattamente osservato che � il concetto di norma interpretativa non 
si addice ad una norma sostitutiva (qual � l'art. 1 cit.), la quale assume 
come proprio referente non la norma anteriore ma (direttamente) la 
fattispecie sostanziale regolata e si porge, perci�, come norma di prime 
grado�. 

Non si pu� tuttavia condividere il ragionamento posto nella citata 
sentenza a fondamento del giudizio espresso, secondo il quale � la norma 
sostitutiva � (in esame, cio� il terzo comma del nuovo testo dell'art. 13) 
� deve ritenersi applicabile anche ai rapporti anteriori non ancora defi� 
niti �. Sostiene, in particolare, la sentenza che nell'ambit� delle � disposizioni 
integrative e correttive�, previste dalrart. 17, comma secondo, legge 

n. 825 del 1971, si debbono distinguere disposizioni innovative, valevoli come 
tali -solo per l'avvenire, e disposizioni non innovative, dotate di 
efficacia retroattiva e che queste . ultime si esauriscono nella � semplice 
riformulazione di precetti normativi che ne esprima pi� adeguatamente 
la portata senza modificarne la sostanza, rimediano, cio�, ad inadeguatezze 
espressive delle norme sostituite senza rimetterne in discussione 
l'efficacia nel tempo�. Di questa tecnica si serve normalmente il legislatore 
delegato quando le proprie norme� presentino siffatte inadeg~atezze 
� non potendo egli fruire autonomamente dell'alternativa offerta dalla 
retroattivit� propria dell'interpretazione autentica �. Indi, prosegue la 
sentenza, � una volta verificata l'identit� �di contenuto precettivo fra 
nuovo e vecchio testo la norma sostitutiva deve ritenersi applicabile 
anche ai rapporti anteriori non ancora definiti �. La norma dell'art. 1 
d.P.R. n. 688 del 1974 nelfa parte in cui sostituisce l'art. 13 non � che una 
riformulazione del medesimo, anche per quanto riguM'da la computazione, 
ai fini della determinazione del valore iniziate, delle spese di urbanizzazione 
non ancora effettuate all'atto del trasferimento. 
Certo, il n�>stro ordinamento giuridico conosce disposizioni meramente 
ripetitive di altre gi� in vigore, come, ad es., nell'ipotesi di testi unici 
che si limitino a riprodurre tali quali (spesso pure nella forma) disposizioni 
anteriori, emanate in tempi diversi, ai fini di una loro pi� agevole 
individuazione ed applicazione (a proposito si parla di t.u. non innovativi 

o compilativi di contro a t.u. innovativi: Cort. Cost., sent. n. 54 del 1957). 
Sebbene da una parte della dottrina si sostenga che anche il mutare 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

l'ordine e la collocazione delle norme precedenti o una semplice operazione 
di coordinamento formale delle medesime comporti una modificazione, 
sia pur minima, da escludere che si possa parlar� di ripetizione, la 
dottrina tuttora largamente prevalente e la giurisprudenza della Corte 
Costituzionale ritengono che le disposizioni meramente ripetitive siano 
prive di contenuto normativo ed abbiano soltanto valore di fonti di 
cognizione, mentre conservano vigore le norme riprodotte e sono esse che 
disciplinano la relativa materia. 

Ora, a parte il rilievo che la sentenza citata applica la nozione di 
disposizione ripetitiva (o �non innovativa�) anche all'ipotesi in cui la 
disposizione successiva, senza assumere la connotazione di norma d'interpretazione 
autentica, venga emanata al fine di rimediare ad inadeguatezze 
espressive della disposizione precedente e, quind�, di superare i 
dubbi interpretativi cui quest'ultima abbia dato o potese dar luogo, a 
parte, inoltre, la considerazione che la sentenza a siffatta disposizione 
attribuisce ad un tempo carattere non innovativo e l'efficacia di regolare 
direttamente le fattispecie, persino quelle perfezionatesi anteriormente, 
va osservato che la disposizione qui in esame, lungi dal costituire una 
mera riformulazione di un precetto gi� in vigore, pone e crea, invece, 
un precetto sicuramente non contenuto nell'originaria normativa. L'art. 13, 
comma primo, del primitivo testo esigeva, senza alcuna eccezione, ai 
fini della maggiorazione del valore iniziale dell'immobile, che le spese 
incrementative fossero state gi� effettuate. Il terzo comma del testo 
vigente, che non trova assolutamente riscontro nel testo precedente, oltre 
che includere fra le dette spese quelle � per la urbanizzazione primaria e 
secondaria � delle �aree fabbricabili la cui edificazione � subordinata a 
norma di legge all'accollo � delle medesime, dispone che esse debbano 
detrarsi � ancorch� non eseguite alla data del trasferimento�. E in 
conseguenza di tale innovazione il terzo comma stesso introduce la disposizione, 
ovviamente inesistente nel testo originario, secondo la quale � il 
contribuente deve versare l'imposta corrispondente alla maggiorazione 
qualora non provveda all'ultimazione delle opere di urbanizzazione nei 
termini stabiliti�. Che l'art. 11, (rimasto tuttora invariato), pure sopra 
trascritto, richieda che le spese incrementative siano � riferibili al pe� 
riodo considerato per la determinazione dell'incremento stesso � non 
comportava, nella vigenza del vecchio testo del successivo art. 13, che le 
spese per l'urbanizzazione fossero detraibili pur se ancora non effettuate 

(come si ritiene nella cit. sent. n. 6252 del 1987), poich� esso andava 

coordinato con quest'ultimo articolo che consentiva, appunto, la compu


tazione, senza alcuna deroga, delle sole spese gi� sopportate dall'alienante. 

L'art. 11 stabilisce il periodo al quale debbano riferirsi le spese incre


mentative per poter concorrere alla determinazione del valore iniziale 

dell'immobile e l'art. 13 del vecchio testo limitava, dal suo canto, la detra



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

zione, fra le spese riferibili al detto periodo, esclusivamente di quelle 
eseguite. 

4. -A proposito del cenno critico che nella pi� volte citata sentenza 
viene rivolto alla circolare 30 gennaio 1975, n. 3 del Ministero delle 
Finanze (indicata anche nella decisione impugnata) si deve osservare che 
la deroga prevista dal terzo comma del vigente art. 13 attiene al presupposto 
dell'imposta, ossia al momento genetico del rapporto tributario, 
tant'� vero che in astratto la computazione delle spese per l'urbanizzazione, 
pure se ancora non effettuate, potrebbe elevare il valore iniziale 
ad un importo pari od addirittura superiore a quello finale con la c011seguenza 
che non sorgerebbe l'obbligazione tributaria. Proprio il fatto che 
la nuova disposizione investa il presupposto dell'imposta, dovrebbe far 
ritenere, contrariamente a quanto sembra affermarsi nella suindicata 
sentenza, che essa, ove non sia altrimenti desumibile la retroattivit�, non 
possa farsi risalire alle situaz!oni maturatesi anteriormente alla sua 
entrata in vigore. Infatti, � principio fondamentale che ogni fattispecie 
tributaria, salvo che non sia diversamente stabilito, � regolata, quanto ai 
suoi momenti costitutivi, dalla legge vigente alla data in cui essa si � 
perfezionata. Solo gli effetti non esauriti di un rapporto giuridico sorto 
antecedentemente possono essere disciplinati dalla norma nuova e ci�, 
per di pi�, solo quando questa sia diretta a regolare soltanto gli 
effetti medesimi, in se stessi ed indipendentemente dal fatto cui essi si 
ricollegano. 
5. -I risultati fin qui raggiunti, e cio� che il terzo comma dell'art. 13 
del nuovo testo ha carattere innovativo, non ha natura di norma di 
interpretazione autentica ed investe il presupposto dell'invim, non consentono 
di attribuirgli efficacia retroattiva. Tuttavia l'esame va ulteriormente 
approfondito e poich� il Governo, per sostituire il testo originario dell'art. 
13, si � valso, come si � gi� detto, della delega legislativa ad emanare 
�disposizioni integrative correttive, di cui all'art. 17, comma 2, della legge 
n. 825 del 1971, occorre in particolare accertare se siffatte disposizioni possano 
essere dotate di efficacia retroagente in conseguenza della loro natura 
e funzione. 
Disposizioni integrative sono quelle che esplicano e sviluppano principi, 
aspetti, precetti non espressi da precedenti disposizioni ma in questi 
sottintesi e perci� gi� deducibili in via di interpretazione. A differenza 
delle disposizioni di attuazione che sono necessarie perch� altre disposizioni 
diventino concretamente operanti (ex nunc), quelle integrative non 
hanno la funzione di rendere possibile l'applicazione, che gi� ha e pu� 
aver luogo, delle disposizioni alle quali si riconnettono, ma soltanto di 
esplicitare e dispiegare, con valore vincolante, tutto quanto tali ultime 
disposizioni sono suscettibili di rappresentare, seppure non emergente dal 
loro contenuto immediato. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Le disposizioni integrative soddisfano l'esigenza della certezza e del


l'uguaglianza di trattamento giuridico di fronte alla variabilit� e sogget


tivit� delle integrazioni non legislative. Ricorre perci� un fenomeno ana


logo alla interpretazione autentica; tuttavia, la disposizione integrativa si 

differenzia nettamente da quella di interpretazione autentica poich� essa, 

pur presupponendo (al pari di quest'ultima) gi� esistente il precetto giu


ridico che enuncia, non si pone il problema di stabilire ed imporre un 

determinato significato, fra i vari astrattamente possibili, di una norma 

antecedente, ma di individuare (con valore vincolante) il preciso precetto 

deducibile dalla norma o dalle norme cui accede. 

Disposizioni correttive sono, invece, quelle dirette a emendare dispo


sizioni gi� in vigore che presentino secondo l'apprezzamento del legislatore 

delegato (ed ovviamente del Parlamento) un vizio di illegittimit� perch� 

contrastino direttamente con una norma costituzionale o violino i criteri 

fissati dalla legge delega o comunque i limiti della delega stessa o, infine, 

perch� si rivelino irragionevoli. 

Si tratta di un potere attribuito al Governo dal Parlamento (che potrebbe 
provvedervi direttamente) al fine di prevenire una pronuncia di 
illegittimit� da parte della Corte Costituzionale e comunque al fine di 
-armonizzare la disposizione precedente all'ordinamento costituzionale nell'interesse 
della collettivit� nazionale alla stabilit� e certezza della nor� 
mativa in un settore di particolare rilevanza generale, qual � la materia 
tributaria. Perci� per accertare in concreto se si tratti di disposizione modi


ficativa in senso proprio (non inclusa nell'ambito della delega legislativa) 

o di disposizione correttiva occorre risalire alla ratio legis e considerare, 
altres�, se la precedente disposizione che si dichiara eventualmente nel 
titolo o nel preambolo {come nel decreto n. 688 del 1974) o nel testo del 
decreto delegato di correggere, ponga o meno un'attendibile questione di 
legittimit� costituzionale (cos� come bisogna far capo alla ratio legis e 
considerare la norma precedente se si tratti effettivamente o meno di 
norma integrativa). 
Il legislatore delegato per operare la correzione talv�>lta aggiunge al 
testo in vigore o sopprime dal medesimo parole, incisi, parti di espressione 

o commi interi; e talvolta sostituisce in tutto o in parte il testo originario 
con un altro, per cui pu� accadere che il nuovo testo ripeta tal quale, 
anche formalmente, la disposizione precedente, con la sola eliminazione 
della parte ritenuta illegittima o con l'aggiunzione di una parte ritenuta 
idonea a renderla legittima (il che ricorre, appunto, a proposito dell'art. 13, 
qui in considerazione). Analogo � il procedimento di cui di solito si serve 
il legislatore delegato per le disposizioni integrative: esso, precisamente, 
talvolta le emana lasciando immutata la disposizione principale corrispondente 
e talvolta sostituisce quest'ultima disposizione riformulandola 
gi� con l'integrazione. 

112 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

6. -Le disposizioni integrative e quelle correttive hanno, per ragioni 
diverse, efficacia retroattiva, salvo che non si tratti di situazioni esaurite. 
L'efficacia retroattiva delle disposizioni integrative si evideniia sicuramente 
ove ci si soffermi a considerare che esse esplicitano, come si � 
detto, precetti gi� sottintesi o impliciti nelle corrispondenti disposizioni 
principali e dispiegabili in sede d'interpretazione. I precetti esplicitati vengono 
posti con la stessa norma principale e derivano dalla medesima fonte 
dalla quale questa promana, mentre la disposizione integrativa si limita 
ad individuarli e formularli in un apposito testo legislativo, con valore 
perci� vincolante e sotto questo riflesso essa ha indubbio carattere normativo. 


L'efficacia retroattiva delle disposizioni correttive si spiega con il rilievo 
che esse sono rivolte ad emandare norme che presentano secondo l'apprezzamento 
del Governo vizi di legittimit� costituzionale e, quindi, di 
invalidit� ex tunc nelle parti che vengono appunto emendate. In sostanza 
la legge delegata, che si propone di prevenire la dichiarazione di illegittimit� 
da parte della Corte Costituzionale, deve poter incidere sul testo 
normativo come avrebbe inciso siffatta dichiarazione. Sarebbe un non senso 
che la legge delegata corregga una disposizione che si palesa illegittima, 
lasciandola in vigore per le situazioni perfezionatesi anteriormente ma 
ancora non esaurite e consentendo per queste il ricorso alla Corte Costituzionale, 
che essa si propone di prevenire e di evitare nell'interesse generale 
alla stabfilit� e certezza della normativa in settori di particolare e 
delicata rilevanza sociale. 

D'altro canto se il Parlamento ha delegato il Governo ad emanare 
disposizioni integrative e correttive che per la loro finalit� e natura sono 
destinate ad incidere con efficacia retroattiva sulle disposizioni integrate 
e corrette, sembra logico escludere che occorresse un esplicito conferimento 
al Governo del potere di legiferare con siffatta efficacia, nonch� 
un'apposita dichiarazione nella legge delegata che le disposizioni correttive 
ed integrative da essa contenute si applicano anche alle situazioni anteriori 
non esaurite. 

Giova sottolineare che le disposizioni integrative e correttive operano 
ex tunc, con il limite del giudicato, sia nei confronti dell'amministrazione 
che nei confronti� del contribuente, e questo loro retroagire non pu� incontrare 
preclusioni per il rilievo che potrebbe ledere aspettative gi� createsi, 
poich� aspettative meritevoli di tutela non possono fondarsi su deduzioni 
integrative ad opera dell'interprete (necessariamente soggettive e 
perci� dubbie e modificabili finch� non siano trasfusi in un accertamento 
passato in giudicato) e tantomeno su disposizioni che si rivelino costituzionalmente 
illegittime e pertanto sempre suscettibili di essere eliminate 
con efficacia ex tunc ed erga omnes (ad opera della Corte Cost.), con 
salvezza soltanto delle situazioni gi� esauritesi. 



PARTB I, SBZ. V, GI~ISPRUDBNZA TRIBUTARIA 113 

7. -Una volta gi� escluso che la disposizione -introdotta dall'art. 1 
d.P.R. n. 688 del 1974 con l'aggiunta del terzo comma al testo riformulato 
dell'art. 13 del decreto istitutivo dell'invim -che include fra le spese 
detraibili anche quelle relative ad onere di urbanizzazione, ancorch� non 
eseguite, fosse deducibile dal testo originario del detto art. 13 o potesse 
essere ricavabile dall'art. 12 o da altra norma dello stesso decreto istitutivo 
dell'invim, ne discende che la menzionata disposizione non pu� inquadrarsi 
fra le disposizioni di carattere integrativo nel senso sopra illustrato. � 
certo, invece, che quella disposizione si inquadri nell'ambito delle disposizioni 
correttive. Era, infatti, sicuramente irragionevole (per le penetranti 
considerazioni svolte al riguardo nella pi� volte cit. sent. n. 6252) che ne] 
testo originario dell'art. 13 non fossero incluse fra le spese computabili 
per la determinazione del valore iniziale dell'immobile quelle per l'urbanizzazione 
primaria e secondaria, ancorch� non ancora eseguite alla data 
dell'alienazione. Il fatto che l'alienante avesse gi� ottenuto a tale data, 
con la stipulazione della convenzione di urbanizzazione, la possibilit� di 
edificare sul fondo si traduceva in una maggiore appetibilit� del fondo 
medesimo e, quindi, in un aumento del valore, finale, valutabile ai fini 
dell'accertamento dell'imponibile, mentre non si poteva tener conto, ne] 
calcolare il valore iniziale, delle spese, ormai obbligatoriamente gravanti 
sull'alienante stesso, per attuare l'urbanizzazione e determinare, perci�, 
quell'incremento del valore finale dell'immobile. Tanto pi� che, qualora 
l'alienante non vi avesse ottemperato, avrebbe potuto essere chiamato al 
versamento dell'imposta corrispondente all'attribuita maggiorazione de] 
valore iniziale. Pertanto con il terzo comma dell'attuale testo legislativo 
dell'art. 13 il legislatore delegato si � proposto di rimediare a tali irragionevolezze; 
trattandosi, dunque, di una disposizione con funzione correttiva, 
essa si applica agli atti di alienazione ai quali ha riferimento la 
controversia, seppure conclusi anteriormente all'entrata in vigore del 
d. n. 688 del 1974 con il quale venne introdotta la detta disposizione 
(omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 7 febbraio 1989, 734 -Pres. Brancaccio 
� Est. Cantillo -P. M. Amatucci (conf.). Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Tallarida) c. Ente Regionale di Sviluppo Agricolo in 
Abruzzo (avv. Scoca). 

Tributi erariali indiretti -Imposta di registro e INVIM -Riforma fondiaria 
� Assegnazione di Terreni -Assoggettabilit� alla imposta di registro 
� Non assoggettabilit� all'INVIM. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 41, 48 e 49; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 2). 
L'assegnazione di terreni espropriati per l'attuazione della riforma 
fondiaria, quale concessione traslativa di un bene patrimoniale indispo� 



114 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
nibile, � soggetta all'imposta di registro commisurata al prezzo convenuto 
di accertamento del valore � invece114 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
nibile, � soggetta all'imposta di registro commisurata al prezzo convenuto 
di accertamento del valore � invece
senza possibilit� e non soggetta 
all'INVIM (1). 


I

(omissis) 1. -I due ricorsi, proposti contro la stessa decisione, 
debbono essere riuniti (art. 335 c.p.c.). 


2. -Con i due motivi del ricorso principale, che possono essere 
esaminati insieme perch� strettamente connessi, l'Amministrazione finanziaria 
-denunziando la violazione degli artt. 26, 41, 48 e 49 del d.P.R. 
2u ottobre 1972, n. 634, e degli artt. 2, 20 e 31 del d.P.R. 26 ottobre 1972, 
n. 643 -critica la decisione della Commissione tributaria centrale per 
avere escluso che le assegnazioni di terreni da parte degli enti di riforma 
fondiaria siano soggette alla normale imposta di registro in base al 
loro valore venale e che in relazione ad esse sia dovuta l'invim. Sostiene 
che l'assegnazione, pur inquadrandosi ontologicamente nello schema della 
concessione, � attuata mediante contratto di vendita avente carattere 
privatistico, al quale ai fini fiscali va riconosciuta, nonostante il patto 
di riservato dominio. la natura di atto immediatamente traslativo giacch�, 
ai sensi dell'art. 26, comma 3, cit., le vendite con riserva di propriet� non 
sono considerate sottoposte a condizione sospensiva; e che pertanto si 
riscontrano i presupposti di entrambi i tributi, la cui disciplina risulta 
integralmente applicabile con riferimento al valore in comune commerG_io 
del terreno assegnato. 
3. -La censura � infondata. 
La problematica che essa propone all'esame delle Sezioni Unite at


tiene al trattamento fiscale degli atti di assegnazione delle terre di 

riforma fondiaria da parte degli enti di sviluppo in agricoltura, occor


rendo stabilire se tali atti debbano essere assoggettati all'imposta di 

registro con aliquota proporzionale e, in caso positivo, se a questo scopo 

possa procedersi ad accertamento di valore, secondo la disciplina ordi


naria; ed altres� se gli atti medesimi siano assoggettabili all'invim, sta


bilendo se in capo all'ente concedente possa configurarsi un incremento 

di valore imponibile. 

Al riguardo sono intervenute due sentenze della I Sezione di questa 

Corte, pressoch� coeve, le quali, per�, hanno dato ai quesiti risposte 

parzialmente diverse. 
� 

La sent. n. 7314 del 1987, valorizzando gli aspetti pubblicistici del


.l'atto 
di concessione, ha ritenuto dovuta l'imposta di registro con l'aliquota 
proporzionale, ma in relazione al prezzo stabilito nell'atto concessorio 
secondo i parametri tassativi stabiliti dalla legge, senza possibilit� 
di accertare un diverso valore in base ai criteri ordinari; e ha ritenuto, 

(1) Si prende atto della decisione che ha composto i dissensi sorti in passato. 
I

f.:

f.: 

1 

I 

-



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

invece, assolutamente inapplicabile l'invim, non potendosi mai configurare, 

appunto per il peculiare meccanismo di formazione del prezzo, un incre


mento di valore suscettibile cli tassazione;. 

La sent. n. 7345 del 1987 ha fatto leva, invece, sul carattere priva


tistico della vendita con riserva di propriet� con cui si d� attuazione 

alla concessione amministrativa, pervenendo perci� alla conclusione che 

essa non si sottrae al normale regime impositivo e deve scontare l'imposta 

di registro e l'invim come atto traslativo definitivo, operando la regola 

che considera tale anche la vendita con riserva di propriet� (art. 26 legge 

di registro). 

Le due pronunce, quindi, pur collocandosi in un'ottica concettuale 

diversa in ordine alla natura dell'atto di assegnazione, convengono en� 

trambe sulla sua assoggettabilit� all'imposta proporzionale di registro; 

e poich� la seconda di esse deliberatamente non si occupa della questione 

dell'ammissibilit� dell'accertamento di valore, il dissenso. riguarda, in 

realt�, esclusivamente la soggezione all'invim. 

Le Sezioni Unite, chiamate a comporre il contrasto, condividono l'opi� 

nione espressa dalla prima sentenza. 

4. -Quanto alla natura giuridica degli atti di cui si discute, nella 
giurisprudenza delle sezioni unite si � da tempo consolidato il principio 
secondo cui nell'assegnazione delle terre espropriate in attuazione della 
riforma fondiaria, ai sensi degli artt. 17 ss. I. n. 230 del 1950 e succ. modif., 
si configura una complessa fattispecie, riconducibile nello schema delfa 
concessione -contratto, che si articola in un provvedimento amministrativo 
concessorio del terreno, il quale � un bene pubblico della categoria 
dei beni indisponibili, e in una convenzione attuativa diretta al trasferimento 
del bene, che la legge qualifica come vendita con riserva di pro. 
priet�, prevedendosi il pagamento rateale del prezzo e il riservato dominio 
dell'ente concedente fino all'integrale pagamento del corrispettivo (v., fra 
altre, sent. n. 5922 del 1983; n. 4934 e 292 del 1982; n. 6596 del 1981). 
Per quanto pi� direttamente interessa la problematica in esame, � stato 
altres� precisato che medio tempore, fino al verificarsi dell'effetto traslativo, 
viene attribuita all'assegnatario una posizione giuridica di godimento 
del terreno coerente con i fini di interesse pubblico perseguiti, 
in quanto durante tale periodo deve gestire l'impresa agricola secondo 
le direttive imposte dalla legge o impartite dall'ente concedente, il quale 
esercita il controllo e conserva poteri autoritativi idonei ad incidere sulla 
posizione soggettiva dell'assegnatario medesimo. Ci� non implica, perci�, 
che si possano ravvisare distinti rapporti destinati a succedersi nel tempo, 
l'uno transitorio di carattere obbligatorio, l'altro definitivo di carattere 
traslativo-reale, giacch� si tratta di momenti inscindibili di unico rapporto 
complesso, la cui funzione consiste non gi� nell'attribuzione del godimento 
di cosa altrui, ma nel trasferimento della propriet�. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Non pu� essere condivisa, quindi, la motivazione della decisione impugnata 
l� dove nega, agli effetti fiscali, la natura traslativa dell'assegnazione, 
la quale, invece, d� vita ad un rapporto unitario in cui la 
funzione traslativo-reale � affidata ad un negozio strutturato come compravendita 
�con riserva di propriet� e pagamento differito del prezzo. E 
poich�, ai sensi del!l'art. 26 del d.P.R. n. 634 de1 1972, la vendita con 
riserva di propriet� non viene considerata sottoposta a condizione sospen


' siva e non beneficia, quindi, della registrazione con imposta fissa prevista 
�per i negozi sospensivamente condizionati, si deve affermare che gli atti 
in questione sono soggetti all'imposta di registro con aliquota propor. 
zionale (tariffa all. A, art. 1) e presentano, in astratto, le caratteristiche 


della tassabilit� con l'invim. 
Senza dire che, per quanto concerne l'imposta di registro, ad uguale 
conclusione si dovrebbe pervenire anche se si desse prevalenza all'aspetto 

'concessorio del rapporto, annoverandolo, cio�, fra le concessioni � amministrative 
di beni pubblici -demaniali o indisponibili, giacch� nella nuova 
legge di registro la tassazione � indipendente dal nomen iuris dell'atto ed 
� correlata, invece, agli effetti fiscalmente rilevanti che esso � idoneo a 
produrre, con la conseguenza che l'atto in questione, dando luogo ad una 
situazione di godimento destinata ad assumere consistenza reale, ugualmente 
dovrebbe scontare l'imposta proporzionale ex art. 1 della tariffa 
suddetta (sulla tassazione degli atti di concessione di beni demaniali, da 
ultimo, v. sent. n. 4631 del 1986 e n. 5627 del 1983). 

5. -I principi innanzi ricordati tuttavia escludono con altrettanta 
evidenza la possibilit� di sottoporre gli atti in questione ad accertamento 
di maggior valore, ai sensi degli artt. 48 e 49 della legge di registro. 
Come si � accennato, i terreni oggetto del rapporto di assegnazione 
appartengono ad enti pubblici {tali sono gli enti di riforma, ora di 
sviluppo) e hanno uno statuto analogo a quello di beni indisponibili, 
essendo destinati ai fini di interesse pubblico della riforma agraria e 
fondiaria �(valorizzazione delle terre attraverso il miglioramento colturale, 
razionale ripartizione della propriet�, etc.) e potendo essere sottratti a 
tale destinazione solo nei modi tassativamente previsti dalle leggi in 
materia. 

Ai sensi del secondo comma dell'art. 830 e.e., i beni degli enti pubblici 
non territoriali, se destinati ad un pubblico servizio, sono assoggettati 
alla stessa disciplina di quelli appartenenti allo Stato e agli enti 
territoriali (art. 128, comma 2); e poich� la destinazione a pubblico servizio 
va intesa in senso ampio, sussistendo tutte le volte che il bene sia adibito 
ad una funzione direttamente attinente al fine perseguito dall'ente, noq 
� contestabile che siffatta destinazione si riscontra per i terreni in questione, 
i quali sono stati espropriati e vengono assegnati a 'privati coltivatori, 
che abbiano la qualit� di diretti lavoratori manuali del terreno, 
per essere utilizzati dagli stessi e da loro predeterminati aventi causa 

. 


i ~ 

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l ~ 

I ! II 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 117 

(art. 18 1. n.' 230 del 1950) per il raggiungimento delle finalit� pubbliche 
suddette '(e agli stessi obiettivi sono correlati gli obblighi gravanti sul 
concessionario dopo l'assegnazione e i corrispondenti poteri pubblicistici 
degli enti concedenti). 

Tanto trova conferma nella disciplina del prezzo di assegnazione, che 
non � quello venale del bene n� � remunerativo, ma ha soltanto la funzione 
di ristorare in parte gli enti di sviluppo delle spese sopportate per 
l'acquisto e il miglioramento dei terreni, giacch�, ai sensi dell'art. 17 
comma 2, assicura il riII?-borso delle somme pagate per indennit�� di 
espropriazione e di 2/3 del costo delle migliorie. 

In relazione a tali beni, cos� sottratti al libero mercato, la base 
imponibile deve necessariamente essere commisurata -in conformit� al 
primo criterio dettato per i contratti traslativi dal n. 1 dell'art. 41 legge 
di registro -al prezzo come sopra determinato nell'atto di assegnazione, 
senza che sia possibile far capo al valore venale; n� in ci� si riscontra 
deroga alla seconda parte di detta disposizione -che assume come base 
imponibile il valore venale quando i corrispettivi pattuiti siano inferiori 
ad esso -giacch� questo criterio non pu� operare, manifestamente, se 
per il bene trasferito non sia configurabile un diverso valore di mercato. 
Appunto per questa ragione non pu_� trarsi contrario argomento dell'art. 42 
della legge, che per le espropriazioni forzate e--i trasferimenti coattivi 
espressamente dispone che l'imponibile � dato dal prezzo di aggiudicazione 
e, rispettivamente, dall'ammontare dell'indennizzo; in tali fattispecie, 
infatti, l'esclusione del criterio del valore venale, in astratto utilizzabile, 
costituisce deroga alla disciplina suddetta, mentre tanto non si verifica 
per le ipotesi in esame, in cui l'utilizzazione di quel criterio � oggettivamente 
impossibile per la particolare natura del bene trasferito. 

Resta escluso in radice, quindi, che per gli atti in questione si possa 
procedere ad accertamento di maggior valore, ai sensi degli artt. 48 e 49 
della legge, sicch� l'imposta proporzionale di registro va sempre liquidata 
sul prezzo determinato per l'assegnazione. 

6. -Le osservazioni fatte circa la disciplina di formazione del prezzo 
conducono a negare anche l'esistenza di un incremento di valore del bene 
assoggettabile all'invim nei confronti dell'ente concedente. 
Il presupposto materiale del tributo � dato dall'incremento di valore 
degli immobili fra la data dell'acquisto e quella dell'atto di alienazione 
(o del decorso decennio), ai sensi degli artt. 1 e 6 del d.P.~. n. 643 del 
1972. E nelle ipotesi in esame un incremento di valore a favore dell'ente 
concedente non pu� mai verificarsi, in quanto il prezzo dell'assegnazione 
per legge non pu� essere superiore all'indennit� di espropriazione corrisposta 
per l'acquisizione del terreno. N� per determinare il paTametro 
finale di riferimento � possibile far capo al criterio del valore venale, 
per le stesse ragioni per cui l'accertamento di maggior valore � escluso 
ai fini dell'imposta di registro . 

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118 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

A conferma di ci�, va segnalato, infine, che anche il permanere del 
fondo presso l'ente concedente � ritenuto dalla legge non produttivo di 
incremento di valore, in quanto � espressamente� esclusa la tassabilit� 
per decorso del decennio (art. 25, lett. N, d.P.R. n. 643 del 1972). (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 9 febbraio 1989, n. 801 -Pres. Bologna 


Est. Favara -P. M. Martinelli (diff.). Ministero delle Finanze (avv. 

Stato Laporta) c. Donati (avv. Di Maio). 

Tributi erariali indiretti -Imposta sul valore aggiunto -Accertamento Presunzioni 
-Presunzioni legali e presunzioni semplici -Concorrenza. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 53 e 54). 
L'infedelt� della dichiarazione, quando non pu� essere dimostrata con 
prove dirette, pu� essere basata sia sulle presunzioni legali dell'art. 53 
sia su presunzioni semplici, gravi precise e concordanti; le presunzioni 
legali e le presunzioni semplici possono concorrere (1). 

(omissis) Con l'unico motivo di ricorso l'amministrazione finanziaria 
deduce violazione e falsa applicazione degli artt.. 53 e 54 d.P .R. 26 ottobre 
1972, n. 633, nonch� degli artt. 2728 e 2729 e.e., oltre che il vizio 
di motivazione insufficiente. 

Sostiene la ricorrente che la C.T.C. non ha considerato che l'art. 54 

d.P.R. n. 633/1972, oltre ad autorizzare il ricorso alle presun:ziioni semplici 
(sulle quali si � soffermata la decisione), richiama in modo espresso 
il precedente art. 53, cos� stabilendo che l'esistenza di operazioni imponibili 
per ammontare superiore a quello dichiarato pu� essere, in sede 
di rettifica, desunto indirettamente alla stregua della presunzione (legale 
e non semplice) di cessione prevista nel citato art. 53; con la conseguenza 
che, nel caso di specie, rispetto ai capi di bestiame che risultavano acquistati 
(in base alle risposte ai questionari e alle notizie acquisite presso 
le ditte fornitrici), sussisteva la presunzione di cessione di quei capi che 
non erano stati rinvenuti nel luogo di esercizio dell'impresa, in mancanza 
di prova della loro perdita o distruzione o utilizzazione, senza peraltro 
che i corrispettivi di cessione potessero considerarsi compresi nel fattu� 
rato . oggetto della dichiarazione d'imposta, in mancanza di apposita� 
registrazione in carico e non potendosi comunque addossare al riguardo 
all'Ufficio una prova che sarebbe di tipo negativo. Sostiene poi la ticorrente 
che la decisione della C.T.C. � censurabile anche nella parte relativa 
alla ritenuta inaffidabilit� delle presunzioni poste a base -ai sensi del 
successivo art. 54 -della concreta determinazione dell'ammontare delle f: 
(1) Decisione di evidente 
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esattezza. 

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PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

operazioni imponibili. Ci� in quanto, rispetto ~d un accertamento fondato 
sul prezzo di acquisto del bestiame, numero di capi acquistati e numero 
dei capi venduti, spesa media di allevamento per ciascun capo e utile 
(stabilito~ in contraddittorio col Donati, nel 15 %) ricavato dalla vendita 
di ciascun capo, risultava erronea l'esclusione dei requisiti della prova 
presuntiva, dal momento che la non � gravit� >> era stata desunta dalla 
non rilevante differenza tra gli importi presuntivamente accertati e 
quelli dichiarati (cos� confondendo tra risultato del processo logico e 
elementi di fatto assunti nell'iter logico per risalire dal noto all'ignoto), 
mentre il requisito della � precisione � e della concordanza -esclusi 
perch� il ricarico, assunto come fatto noto, sarebbe stato fondato su una 
doppia presunzione e il costo della merce sarebbe in s� elemento inidoneo 
a fondare la presunzione -erano invece sussistenti, poich� la percentuale 
di ricarico (del 15 %) era stata assunta in contraddittorio con la parte 
e il costo della merce, genericamente impugnato, era stato invece deter� 
minato in base alle registrazioni contabili esaminate dalla polizia tributaria 
e a precisi calcoli. 

Il ricorso � fondato. 

Ai sensi dell'art. 54 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in tema di imposta 
sul valore aggiunto, in caso di dichiarazione infedele da parte del contribuente, 
l'Ufficio � autorizzato a procedere a rettifica della dichiarazione 
annuale. La infedelt� della dichiarazione pu� essere accertata direttamente, 
in base al raffronto con le altre precedenti dichiarazioni presentate 
dal contribuente o con le annotazioni dallo stesso fatte sui registri 
previsti nei precedenti artt. 23, 24 e 25 del d.P.R. n. 633/1972; ovvero in 
base al controllo delle registrazioni, sulla scorta delle fatture e altri 
documenti relativi alle operazioni imponibili, delle risultanze di altre scritture 
contabili e dei dati e notizie raccolti nei modi previsti dall'art. 51. 
Le omissioni e le false o inesatte indicazioni possono, sempre ai sensi 
dell'art. 54 sopra citato, essere desunte anche indirettamente' da tali 
risultanze, dati e notizie, a norma del precedente art. 53, che prevede 
(1� comma) una presunzione legale di cessione dei beni acquistati dal 
contribuente che non si rinvengono nei luoghi in cui questi esercita la sua 
attivit�; e una presunzione � juris tantum � (3� comma) di acquisto dei 
beni che si rinvengono nei medesimi luoghi, superabile con specifiche 
prove documentali (in proposito, cfr. Cass. 2 dicembre 1987, n. 8954); 
ovvero, sempre indirettamnete, � anche sulla base di presunzioni semplici, 
purch� queste siano gravi, precise e concordanti �. 

La ricostruzione delle operazioni imponibili (quando l'Ufficio non 
ricorra. all'accertamento in via diretta) pu� perci� giovarsi in primo luogo 
delle presunzioni di cessione o di acquisto ex art. 53, se esistenti; e poi 
� anche � di presunzioni semplici, da valutarsi in modo rigoroso secondo 
il criterio generale gi� fissato nell'art. 2729, 1� comma e.e., che cio� si 
tratti di elementi seri ed univoci e, se plurimi, anche tra loro concordanti. 


120 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Alle infedelt� ed omissioni che � risultano � in base alle ricordate presunzioni, 
assolute o relative, di cessione o di acquisto della merce, si 
contrappongono le infedelt� desunte sulla base di presunzioni semplici 
fondate su altre e diverse risultanze, da valutarsi nel modo .Predetto. 
Entrambe tali fonti di prova possono evidentemente concorrere, ai fini 
dell'accertamento sia dell'esistenza, sia dell'entit� delle omissioni od irregolarit�. 


La decisione impugnata della C.T.C. non ha preso in considerazione 
(cos� come aveva anche la Commissione di secondo grado omesso di fare) 
le risultanze fondate sulla presunzione legale di cessione ai sensi dell'art. 
53, poste a base dell'accertamento; e risulta altres� carente di logica 
motivazione allorquando ha escluso l'affidabilit� delle presunzioni semplici, 
parimenti utilizzate dall'Ufficio al fine di precisare l'ambito della 
infedele dichiarazione. 

Sul primo punto, la C.T.C. -dopo avere dato atto che il Donati aveva 
omesso di tenere il registro cronologico di carico e scarico dei capi 
allevati (e non importa qui accertare se in concreto questo era, o meno, 
obbligatorio), e dopo avere rilevato che in tale situazione l'Ufficio aveva 
eseguito la ricostruzione delle operazioni imponibili sulla scorta delle 
fatture e dei documenti rinvenuti presso le ditte fornitrici del bestiame 
(non avendo il Donati curato la regolare registrazione delle fatture passive 
di acquisto degli animali da allevamento, n� annotato le rimanenze 
di fine anno) -non ha considerato che l'Ufficio aveva proceduto alla 
rettifica delle dichiarazioni annuali, per i tre anni in esame, tenendo 
conto del numero dei capi acquistati e di quelli macellati, riscontrando 
una disparit� rispetto agli animali presenti nell'azienda zootecnica del 
Donati, che lasciava presumere (ai sensi dell'art. 53 d.P.R. n. 633/1972) 
la cessione di un determinato numero di capi di bestiame, il cui ricavo 
non era stato contabilizzato. 1:1. pertanto, relativamente ai capi di bestiame 
indicati nelle fatture d'acquisto non registrate in carico, la C.T.C. 
avrebbe dovuto accertare l'esistenza di prove (da fornirsi dal contribuente) 
circa l'eventuale avvenuta inclusione del prezzo di vendita nell'ammontare 
complessivo dichiarato. Ed � in proposito chiaramente priva di 
fondamento l'eccezione di novit� formulata nell'odierna discussione orale 
della difesa del Donati, relativamente a tale parte della censura, poich� 
l'accertamento era stato eseguito anche in base alle risultanze fondate 
sul disposto dell'art. 53 d.P.R. n. 633/1972 e la legittimit� dello stesso 
aveva formato oggetto della contestazione dinanzi alle Commissioni. 

Sul secondo punto, risulta censurabile sotto vari profili la conclusione 
cui la C.T.C. � pervenuta nel valutare le presunzioni semplici in 
base alle quali erano stati esaminati i fatti sui qUJali la rettifica dell'Ufficio 
era stata fondata. Non � infatti anzitutto corretta, ed � comunque illogica 
la motivazione che la sostiene, l'affermazione secondo cui mancava 
il requisito della � gravit� � della presunzione � ove si consideri la diffe



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

renza tra gli importi presuntivamente accertati e quelli dichiarati �. La 

C.T.C. intendeva evidentemente riferirsi allo scarso divario tra importo 
dichiarato e importo accertato, ma ha cos� chiaramente eonfuso tra 
valutazione del dato probatorio posto a base del processo logico inteso 
a risalire dal fatto noto (che deve essere, oltre che univoco, anche di 
adeguata consistenza, cio� serio e significativo) al fatto ignoto, e intrinseca 
gravit� (o scarsa gravit�) del fatto considerato, che pu� essere in s� 
grave, ma di nessun valore probatorio (o viceversa). La motivazione della 
decisione impugnata risulta poi carente ed illo~ica l� dove ha ritenuto 
non utilizzabile (perch� concretante una � praesumptio de praesumpto �) 
il dato relativo al ricarico (cio� al margine d'utile); e inidoneo altres� 
�a fare da supporto al fatto presunto� {e cio� il prezzo medio di cessione 
di ciascun capo di bestiame), il fatto noto del costo dei singoli capi di 
bestiame. In contrario l'Ufficio aveva dedotto che la ricostruzione dell'effettivo 
ammontare delle operazioni imponibili era stata fondata (come 
emergeva dal processo verbale della Guardia di Finanza) sul numero dei 
capi acquistati e di quelli (anche presuntivamente) venduti, sul prezzo 
di acquisto dei primi (desunto dai questionari e fatture delle ditte fornitrici), 
sulla spesa media per l'allevamento di ciascun capo (desunta dai 
costi registrati dei mangimi e della manodopera e sull'utile ricavato dalla 
vendita di ciascun capo, stabilito nel 15 % in contraddittorio con il Donati); 
cosicch� non poteva considerarsi ignoto, e come tale inidoneo a fondare 
la presunzione, il fatto del margine di utile che lo stesso contribuente 
aveva riconosciuto corretto, e non potevano poi considerarsi presunti fatti 
(come il prezzo di acquisto, il costo di allevamento) ricavati dalle stesse 
registrazioni contabili rinvenute dalla polizia tributaria o gi� provati per 
presunzione legale (come l'avvenuta cessione dei capi non rinvenuti in 
azienda). 
Tali rilievi erano specifici e l'averli ignorati o disattesi con motivazione 
carente~ solo apparente, concreta il vizio denunciato di cui all'art. 360, 

n. 5 c.p.c., dal momento che la C.T.C. non si � data carico della prospettazione 
dell'Ufficio ed ha apoditticamente ritenuto la inaffidabilit� delle 
presunzioni sulla base di fatti diversi da quelli allegati o inesattamente 
riportati, cos� negando ad essi ogni validit� quale base della invocata 
prova presuntiva e qualificandoli come non precisi e, ripetitivamente per 
le medesime ragioni, come non concordanti. 
In conclusione, la decisione della C.T.C. deve essere annullata (con 
rinvio alla stessa C.T.C. per nuovo esame) sia per avere disapplicato 
l'art. 54 d.P.R. n. 633/1972, nella parte (secondo comma u.p.) in cui rinvia 
alle risultanze derivanti dalla presunzione legale di cessione ex art. 53, 
sia per avere difettosamente motivato in ordine alla valutazione della 
prova fondata sulle presunzioni semplici, per una inesatta accezione del 
requisito della gravit� di queste e per una carente ed illogica valutazione 
di quelli della precisione e della concordanza. (omissis) 


122 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STA'l'O 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 18 febbraio 1989, n. 963 -Pres. Scanzano 
-Est. Cantillo -P. M. Di Renzo (conf.). Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Zecca) c. Soc. Tratos. 

Tributi erariali .indiretti -Imposta sul valore aggiunto -Presunzione dell'art. 
53 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 -Prova contraria � Limiti. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 53). 
La presunzione di cessione stabilita dall'art. 53 del d.P.R. 26 ottobre 
1972 n. 633, nel testo modificato con il d.P.R. 29 gennaio 1979 n. 24, pu� 
essere esclusa mediante prova contraria che pu� esser data nelle ipotesi 
della lettera a) (utilizzazione per la produzione, perdita o distruzione) con 
qualunque mezzo e nelle ipotesi della lettera b) (consegna a terzi a titolo 
non traslativo) esclusivamente con i mezzi indicati nel secondo comma; 
non sono quindi idonee a vincere la presunzione della lettera b) le documentazioni 
provenienti dai soggetti consegnatari (1). 

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(omissis) Con il primo e il secondo motivo di ricorso, che vanno esa~ 
minati insieme perch� strettamente connessi, l'Amministrazione denunzia m 
la violazione dell'art. 53 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, nonch� vizi della 

I 

moth,-azione, e critica la decisione della Commissione tributaria centrale 
per avere affermato che la presunzione di cessione di beni, prevista dal 

I 

primo comma della disposizione, pu� essere vinta con qualsiasi mezzo di 
prova. Sostiene che ci� pu� ammettersi nelle ipotesi di cui alla lettera a), 
ma non in quelle di cui alla lettera b), cio� nelle fattispecie di consegna 

I di beni a terzi per titolo non traslativo della propriet�, giacch� tali vicende, 
ai sensi del secondo comma (nel testo originario e in quello mo� 
dificato con d.P.R. 29 gennaio 1979, n. 24), devono essere dimostrate documentalmente, 
nei modi tassativamente indicati dalla medesima norma; 

Ie che perci� si � in presenza di una presunzione mista, cui aveva fatto 
riferimento, in astratto, la stessa decisione impugnata, tuttavia contraddit� 
toriamente escludendola nel casp concreto in base a ragioni di equit�, le 
quali, invece, giammai si possono configurare nei confronti dell'imprenditore 
che non tiene le scritture prescritte o non esegue le relative registrazioni, 
posto che per un tributo su base documentale, qual'� l'iva, le 
omissioni suddette sono lo strumento necessario dell'evasione. Pertanto 
nella specie la presunzione non poteva ritenersi vinta, giacch� la consegna 
a terzi del rame, mancante in magazzino in conto lavorazione, non 
risultava da alcuno dei documenti in possesso della contribuente e, anzi, 
neppure alla stregua degli elementi valorizzati in sentenza (erroneamente, 
per le ragioni di cui al terzo motivo). 

(1) Si va a consolidare il prmc1p10 gi� affermato che le sentenze 6 ottobre 
1988, n. 5409, e 14 dicembre 1988 n. 6805, in questa Rassegna, 1989, I, 297 e 298. 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

La doglianza � fondta. 

L'art. 53 primo comma del d.P.R. n. 633 del 1972 -nel testo fissato 
dall'art. 1 del d.P.R. 29 gennaio 1979, n. 24, cui � stato attribuito valore 
di interpretazione autentica, in quanto espressamente dichiarato applicabile 
con decorrenza dall'entrata in vigore della legge istitutiva del tributo 
(1� gennaio 1973) -pone una presunzione di cessione dei beni acquistati, 
importati o prodotti dall'imprenditore, i quali al momento della 
verifia:a non si trovino nella sede in cui egli esercita l'attivit� (comprese 
le sedi secondarie, filiali, succursali, dipendenze, stabilimenti, negozi o 
depositi dell'impresa) n� presso suoi rappresentanti: accertati tali presupposti 
-cio� da un lato l'acquisto, l'importazione o la produzione di 
detenninati beni, dall'altro il mancato rinvenimento nei locali di pertinenza 
dell'impresa -i beni medesimi si considerano ceduti in evasione 
all'IVA, costituendo i loro prezzi ricavi non contabilizzati. 

Si tratta, per�, di una presunzione relativa o iuris tantum, giacch� 
essa non opera se viene dimostrato che i beni: a) sono stati utilizzati per 
la produzione, perduti o distrutti); b) sono stati consegnati a terzi in lavorazione, 
deposito o comodato o in dipendenza di contratti estimatori o 
di contratti di opera, appalto, trasporto, commissione o altro titolo non 
traslativo della propriet�. 

Occorre dimostrare, cio�, che l'assenza del bene non � dovuta ad 
un negozio traslativo della propriet� ovvero costitutivo o traslativo di un 
diritto reale di godimento, sicch� non si configura un atto giuridicamente 
qualificabile come cessione, secondo la nozione di tale presupposto del 
tributo accolta dalla legge (art. 2). Pertanto il contribuente � tenuto a 
provare l'esistenza di una precisa causa, diversa dalla cessione, giustificativa 
della mancanza del bene, la quale pu� consistere, ovviamente, tanto 
in un fatto elisivo riguardante il bene nella sua entit� fisica -riconducibile, 
quindi, in una delle tre categorie di eventi materiali menzionate 
nella lettera a) -quanto in un rapporto-giuridico in forza del quale il 
bene, pur appartenendo ancora al contribuente, non � nella sua detenzione, 
essendo stato consegnato a terzi per un titolo non traslativo della 
propriet� o, comunque, con effetti traslativi o costitutivi differiti o sospesi 
(fattispecie previste alla lettera b). 

Il regime probatorio � tuttavia diverso per i due tipi di vicende. 

La norma nulla dispone per quelle del primo tipo e si deve perci� 

ritenere che possano essere provate con ogni mezzo, ai sensi degli arti


coli 2697 ss. e.e. E la mancanza di qualsiasi limite � pienamente razio� 

nale, in quanto si tratta di accadimenti che determinano la fisica elimi


nazione del bene e che non implicano l'esistenza di un titolo di disposi


zione risultante da documento: cos�, l'impiego dei beni nella produzione 

o, all'opposto, la loro distruzione da oboloscenza possono risultare da 

scritture contabili, da coefficienti tecnici, da verbali di constatazione, etc.; 

l'entit� delle perdite da lavorazione e per cali naturali o tecnici pu� essere 


124 

RASSEGNA DELL~AVVOCATURA DELLO STATO 

determinata in base a dati di comune esperienza o in qualsiasi altro 
modo idoneo; le perdite e le distruzioni dovute a caso fortuito o forza 
maggiore possono risultare da denunce alla pubblica autorit� o a privati, 
da verbali di ricognizione, etc. 

In relazione alle vicende dell'altro tipo, il secondo comma dell'art. 53 
dispone, invece, che la consegna di beni a terzi deve risultare dal libro 
giornale �o da altro libro tenuto a norma del codice civile (art. 2214 ss.) o 
da apposito registro tenuto in conformit� all'art. 39 dello stesso d.P.R. 

n. 633 del 1972 oppure da altro documento conservato a norma dello stesso 
articolo. 
La norma, cio�, richiede specifiche prove documentali per gli atti 
negoziali non traslativi della propriet� indicati alla lettera b) del primo 
comma; e poich� solo in presenza di siffatti rapporti giuridici non opera 
-come si � visto -la presunzione di vendita, � evidente che la disposizione 
limita ai documenti suddetti, da cui quei rapporti debbono risultare, 
i mezzi di prova per vincere la presunzione medesima fuori dai casi 
di materiale eliminazione dei beni non rinvenuti presso l'azienda. 

Una diversa esegesi non � consentita dall'enunciato normativo, in par� 
ticolare dal collegamento testuale e sistematico fra i due precetti qui 
considerati: non essendo seriamente contestabile che il primo comma 
pone una presunzione di cessione dei beni non rinvenuti in magazzino, 
si deve necessariamente riconoscere che il precetto del secondo comma, 
riferito in modo espresso proprio alla dimostrazione dei (soli) rapporti 
che valgono ad escluderla, disciplina la prova contraria a quella presunzione, 
stabilendone il tipo {documentale) e le caratteristiche (libri, regi 
stri o documenti conformi alla norrpativa fiscale). 

Non ha fondamento, quindi, la tesi per cui il secondo comma dell'art. 
53 imporrebbe oneri di docum�ntazione svincolati dalla presunzione, 
rispetto alla quale opererebbero nel senso di limitarla ai soli casi di 
mancanza dei documenti prescritti: soltanto l'inosservanza della disposi� 
zione farebbe scattare la presunzione del primo comma, che perci� anche 
nelle ipotesi in esame potrebbe essere contrastata dal contribuente con 
ogni mezzo di prova. 

A parte il palese e arbitrario capovolgimento dello schema normativo 
(per ci� che, in contrasto con l'articolazione dell'enunciato, il primo comma 
dovrebbe essere letto in funzione del secondo e non viceversa), l'equivoco 
logico-giuridico che domina quel discorso si coglie agevolmente considerando 
che esso eleva l'omessa tenuta della documentazione ad elemento 
costitutivo della presunzione, laddove questa � correlata, come 
si � visto, al fatto materiale del mancato rinvenimento di beni che dalla 
contabilit� risultano acquistati o prodotti e non venduti; � in relazione 
a questo fatto che la legge individua gli accadimenti materiali e le vicende 
giuridiche idonei ad escludere la presunzione, la cui dimostrazione 
deve essere data dal contribuente i;iel modo suddetto. 

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~ . ~ 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Occorre aggiungere che la prescrizione di determinate forme di docu� 
mentazione risulterebbe praticamente inutile se fosse consentito al con� 
tribuente di dimostrare altrimenti l'esistenza di un titolo non traslativo, 
cio� dei medesimi atti cui quelle forme si riferiscono; che se cos� fosse 
la stessa presunzione si svuoterebbe di pratico contenuto, essendo evidente 
che, in relazione all'assenza di beni documentalmente risultanti ancora 
in carico all'imprenditore, non � configurabile alcun onere probatorio 
nei confronti della finanza; e che, per contro, la limitazione alle risultanze 
documentali � pienamente in linea con il sistema dell'IVA e con lo 
specifico oggetto della prova, occorrendo dimostrare atti negoziali costituenti 
il titolo di operazioni che, in quanto implicano il trasferimento 
della detenzione dei beni a terzi, presentano in nuce Io stesso aspetto fattuale 
della cessione e, anzi, molto spesso preludono alla produzione degli 
effetti traslativi (vendita con riserva di propriet�, contratto estimatorio, 
altre cessioni con effetti differiti e sospesi). 

Si deve concludere, quindi, che la presunzione di cessione posta dall'art. 
53, primo comma, nelle ipotesi di consegrta di beni a terzi previste 
alla lettera b), pu� essere vinta soltanto dimostrando l'esistenza di un 
atto non traslativo della propriet� dei beni mediante le scritture e i documenti 
elencati nell'ultima parte del secondo comma; e pu� pertanto 
dirsi che la presunzione assume cos� i connotati delle presunzioni cosiddette 
miste, nelle quali la prova contraria � tassativamente limitata nell'oggetto 
e nel mezzo di prova. 

Ci� posto, risulta evidente l'errore in cui � incorsa la Commissione 
tributaria centrale nel ritenere che la prova della consegna di beni in 
lavorazione possa essere data in modo diverso da quello innanzi precisato; 
n� � corretto il riferimento fatto {sia pure ad adiuvandum, in 
un inciso) a scritti in possesso delle imprese asserite consegnatarie, trattandosi 
di annotazioni o di documenti (per altro imprecisati) che non 
sono dell'imprenditore nei cui confronti opera la presunzion� e' chiaramente 
non rientrano, quindi, fra quelli previsti dall'art. 53 cit. � 

L'accoglimento dei due motivi fin qui esaminati comporta l'assorbimento 
del terzo, riguardante la prova aliunde della consegna in lavorazione. 


Pertanto la decisione impugnata deve essere cassata con rinvio alla 
stessa Commissione tributaria centrale, la quale proceder� a nuovo esame 
della controversia attenendosi al seguente principio di diritto: �Il 
primo comma dell'art. 53 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (nel testo introdotto 
con efficacia retroattiva dall'art. 1 del d.P.R. 29 gennaio 1979, n. 24), 
stabilisce una presunzione di cessione correlata al fatto materiale del 
mancato rinvenimento in magazzino di beni che, alla stregua della contabilit�, 
sono stati acquistati o prodotti dall'imprenditore e non risultano 
ceduti, la quale presunzione pu� essere vinta dimostrando l'esistenza di 
una precisa causa, diversa dalla cessione, giustificativa della mancanza 


126 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

dei beni e che pu� consistere tanto in un evento elisivo riguardante il 
bene nella sua entit� fisica (utilizzazione nella produzione, perdita o distruzione: 
primo comma, lett. a), quanto in un rapporto giuridico in forza 
del quale il bene, pur appartenendo ancora al contribuente, non � 
nella sua detenzione, essendo stato consegnato a terzi per un titolo non 
translativo della propriet� o, comunque, con effetti traslativi o costitutivi 
differiti o sospesi (deposito, mandato, trasporto, conto lavorazione, contratto 
estimatorio, etc.: fattispecie elencate alla lett. b). Il regime probatorio 
�, per�, diverso per i due tipi di vicende: per quelle di cui alla 
lettera a) manca qualsiasi previsione al riguardo, sicch� l'evento elisivo 
del bene pu� essere dimostrato con ogni mezzo di prova (si tratta di una 
presunzione iuris tantum in senso stretto); per le vicende di cui alla 
lettera b), invece, il secondo comma, ult. parte, dell'art. 53 stabilisce che 
esse debbono risultare da un libro tenuto a norma del codice civile ovvero 
da apposito registro o altro documento tenuto in conformit� all'art. 39 

I della legge IV A, con la conseguenza che nessuna altra prova, ancorch� 
documentale, � idonea a vincere la presunzione (che perci� si inquadra 

I 

fra le presunzioni c.d. miste)�. (omissis) 

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P. 
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CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 24 febbraio 1989, n . .1022 -Pres. Vela 


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Est. Cantillo -P. M. Minetti (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato f: 
Zecca) c. Fontanari. 

Tributi in genere � Accertamento � Imposte sul reddito � Accertamento 
analitico induttivo e accertamento induttivo � Presupposti � Motivazione. 


I 

(d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39). 
I 

Tributi erariali diretti � Accertamento � Metodo induttivo � Irregolarit� 
delle scritture � Vidimazione dei registri � Reiterazione delle stesse 

I 

irregolarit� in diversi periodi di imposta � Rilevanza. 

(d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39). 
I 

Nella determinazione del reddito d'impresa e di quello di lavoro autonomo 
l'art. 39 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 prevede due gruppi di 
situazioni enucleate a seconda dell'importanza e del numero delle irre


I golarit� formali e sostanziali delle scritture a cui corrispondono rimecn 
di intensit� cresc.enti: nelle ipotesi meno gravi (primo comma) l'ammi


I 
nistrazione ha il potere di correggere la d�chiarazione utilizzando gli stes~ 
si elementi provenienti dal contribuente apportandovi singole variazioni t� 
anche avvalendosi di prescrizioni gravi, precise e concordanti (rettifica ! 
analitica-induttiva); nelle ipotesi pi� gravi (secondo comma) di reiterate 

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irregolarit� che rendono le scritture inattendibili nel loro complesso, i 
l'Amministrazione procede all'accertamento prescindendo dalla contabili-i 

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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 127 

t� e utilizzando anche elementi indiziari (rettifica induttiva). In ambedue 
i casi l'accertamento deve essere motivato sotto due profili riflettenti 
la giustificazione dell'esercizio del potere di avvalersi di mezzi induttivi 
e la dimostrazione della quantificazione del reddito; tuttavia nella prima 
ipotesi della rettifica analitica induttiva l'obbligo di giustificare l'esercizio 
del potere � quasi sempre soddisfatto attraverso la motivazione delle 
singole riprese delle poste contabili (1). 

� giustificato il ricorso dell'ufficio al metodo di accertamento induttivo 
(art. 39 secondo comma d.P.R. n. 600/1973) quando il registro del professionista 
sia stato vidimato solo nel corso dell'anno specialmente se la 
stessa irregolarit� si sia ripetuta in pi� periodi di imposta, e quando siano 
riscontrate irregolarit� che vanno apprezzate, non in modo atomistico, 
ai fini di considerare inattendibile la contabilit� nel suo complesso. (2) 

(omissis) 1. -Con il primo motivo, denunziando la violazione degli 
artt. 19, 22 e 39 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, dell'art. 40 d.P.R. 26 ottobre 
1972, n. 636, e vizi della motivazione, l'Amministrazione critica la sentenza 
impugnata per avere ritenuto illegittimo il ricorso all'accertamento 
induttivo, senza considerare che questo, per entrambe le annualit�, era 
giustificato delle>ripetute irregolarit� formali delle scritture contabili, dall'esiguo 
numero di visite dichiarate dal prof. Fontanari, neurologo molto 
affermato, �e dalla completa obliterazione di quelle fatte presso lo studio 
in Venezia, i quali elementi, se valutati nel loro complesso, avrebbero 
fugato ogni dubbio sull'inattendibilit� delle scritture e sul corretto esercizio 
del potere di determinazione ind~ttiva del reddito. 

La censura � fondata. 

Occorre ricordare che l'art. 39 d.P.R. n. 600 del 1973, nel delineare i 

poteri di cui dispone l'Ufficio ai fini dell'accertamento, in rettifica della 

(1-2) Simile � la precedente sentenza 9 febbraio 1989 n. 803 (stesso estensore) 
di cui si omette la pubblicazione. 
La prima massima, che sintetizza concetti ormai pacifici, va segnalata per 
la completezza e concisione della motivazione. 

Notevole � poi la precisazione che nell'accertamento analitico induttivo la 
motivazione sulle rettifiche sostanziali apportate alle singole componenti del 
reddito contiene in s� la giustificazione del potere di procedere induttivamente 
alla rettifica. 

Importante � la seconda massima che, con riferimento ad ipotesi di specie, 
pone in limiti assai larghi la ammissibilit� dell'accertamento induttivo vero e 
proprio. A concretare l'ipotesi della lettera d) dell'art. 39 del d.P.R. n. 600/1973 � 
stata ritenuta sufficiente l'omessa tempestiva vidimazione del registro del 
professionista. Ed ancora � da sottolineare la affermazione che la� reiterazione 
delle irregolarit� pu� essere verificata nella ripetizione delle stesse omissioni 
in diversi e successivi periodi di imposta. 

Altre considerazioni della sentenza, se pure esposte sotto il profilo del 

difetto di motivazione, fanno comprendere come basti poco per cadere nella 

situazione che giustifica� l'induttivit� dell'accertamento. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

dichiarazione del contribuente, dei redditi d'impresa e di quelli derivanti 
dall'esercizio di arti e professioni (che al pari dei primi debbono risultare 
da scritture contabili stabilite dalla legge), prevede due gruppi di situazioni 
enucleate a seconda dell'importanza e del numero delle irregolarit� 
formali e sostanziali riscontrate, cui corrispondono altrettanti rimedi di 
intensit� crescente. 
Nelle ipotesi meno gravi, elencate alle lettere da a) a d) del primo 
comma, in cui le inesattezze, carenze ed omissioni non sono tali da inficiare 
l'intera contabilit�, l'Amministrazione ha il potere di correggere la 
dichiarazione utilizzando gli stessi dati contabili dichiarati (come, ad es., 
nell'potesi sub a) ovvero di correggere le risultanze delle scritture, e conseguentemente 
la dichiarazione, in base a determinate prove della falsit�, 
inesattezza o incompletezza di una o pi� poste, le quali prove possono 
anche consistere in presunzioni semplici, purch� gravi, precise e concordanti, 
ai sensi dell'art. 2729 e.e. (per cui dal fatto noto � dato risalfre 
al fatto ignoto oggetto della prova secondo il criterio dell'id quod plerumque 
accidit). La norma consente, cio�, la c.d. rettifica analitico-induttivia, 
che viene effettuata a:lla stregua delle scritture contabili, in quanto 
regolarmente tenute. 
Nelle ipotesi elencate nel secondo comma, considerate pi� gravi di 
per s� o a motivo della reiterazione delle irregolarit�, inesattezze od omissioni, 
le quali rendono inattendibili le scritture nel loro complesso e perci� 
non vengono ritenute emendabili nell'ambito delle stesse, si riconosce 
all'Amministrazione la facolt� di prescindere del tutto dalla contabilit� e 
di procedere ad accertamento induttivo del reddito, utilizzando a questo 
scopo anche elementi indiziari sforniti dei requisiti di gravit�, precisione 
e concordanza propri delle presunzioni. . 
In entrambi i tipi di fattispecie l'accertamento deve essere motivato 
sotto due profili concettualmente e giuridicamente distinti, che riguardano 
altrettanti momenti dell'iter procedimentale seguito dall'ufficio, aventi 
autonoma rilevanza esterna. Da un lato, occorre giustificare l'esistenza 
dei presupposti cui � relazionato l'esercizio del potere �di correggere o 
integrare in via induttiva singole poste della dichiarazione ovvero di determinare 
il reddito con metodo induttivo, disattendendo parzialmente 
o totalmente le scritture contabili; dall'altro, secondo i principi ordinari, 
occorre indicare le ragioni poste a fondamento del calcolo analitico o di 
quello induttivo: quanto al primo, specificando per ciascuna posta corretta 
o aggiunta gli elementi giustificativi delle modificazioni apportate, 
anche quando a ci� si provveda mediante presunzioni; quanto al secondo, 
esponendo le circostanze di fatto utilizzate ai fini della valutazione 
sintetica. 
Nondimeno l'adempimento di questo obbligo -per cui la motivazione 
deve essere sufficiente e congrua sotto entrambi i profili suddetti -
non sempre richiede una separata considerazione di ciascuno di essi, giac~ 
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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

ch� le ragioni che hanno determinato l'ufficio a disattendere i dati contabili 
possono anche risultare da que.i riflettenti l'esistenza e l'ammontare 
del reddito. In particolare, mentre il ricorso al metodo induttivo 
ex art. 39 comma 2, normalmente esige un'apposita motivazione -la 
quale deve dar conto delle ragioni (natura e gravit� delle omissioni, entit� 
delle irregolarit�, etc.) che giustificano l'apprezzamento di inattendibilit� 
delle scritture -nelle fattispecie . di cui al primo comma della 
stessa disposizione l'obbligo di giustificare l'esercizio del potere di rettifica 
deve ritenersi quasi sempre soddisfatto attraverso la motivazione 
delle singole riprese, riguardante le poste aggiunte o corrette, che di per 
s� evidenziano le falsit�, inesattezze o incompletezze che legittimano la 
rettifica, ancorch� basata su presunzioni. 

2. -In relazione a tale disciplina risultano evidenti gli errori di diritto 
e le insufficienze. di motivazione della sentenza impugnata. 
La Corte di appello, nell'esaminare le ragioni poste dall'Ufficio a fondamento 
dell'accertamento relativo all'anno 1974, dopo avere apoditticamente 
affermato di non essere in grado di stabilire se fosse stato seguito 
il procedimento di cui al comma primo o quello di cui al comma secondo 
dell'art. 39 cit., ha preso in considerazione uno solo degli elementi addotti, 
cio� la mancata vidimazione del registro di cui all'art. 19 del d.P.R. 

n. 600 p1ima che venisse messo in uso; e ha ritenuto l'irregolarit� inidonea 
a legittimare la rettifica, con riferimento ad entrambe le fattispecie 
suddette, per la ragione che la vidimazione era stata effettuata con non 
rilevante ritardo, cio� nel febbraio dello stesso anno, e che le (esigue) 
annotazioni che figuravano eseguite in date precedenti non potevano essere 
disattese perch� l'art. 22 dello stesso d.P.R. consente che le registrazioni 
cronologiche vengano effettuate entro sessanta giorni dall'operazione. 
Gi� quest'ultimo argomento non pu� essere condiviso, in quanto confonde 
due obblighi distinti, il secondo dei quali non influenza minimamente 
il primo e, anzi, ne postula l'adempimento. L'obbligo di preventiva 
vidimazione (operazione che comprende, com'� noto, la numerazione 
e la bollatura delle pagine del registro) � sancito dalla suddetta disposizione 
-che richiama l'art. 2215 e.e. -a garanzia dell'immutabilit� del 
registro fino al suo esaurimento, in modo da evitare che si possano 
annullare o modificare registrazioni effettuate ovvero registrare operazioni 
senza osservare l'ordine cronologico, etc. 

La violazione di tale obbligo costituisce, quindi, una irregolarit� di 
notevole rilievo, che di per s� inficia il valore probatorio delle annotazioni, 
consentendo di disattenderne il contenuto e, dunque, anche la data 
delle operazioni cui si riferiscono; e ci� comporta che, per le operazioni 
riportate in registro non (ancora) vidimato, suscettibile di essere sempre 
cambiato, un discorso circa la tempestivit�, o meno, dell'annotazione 
non si pu� neppure porre. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Pertanto � incorsa in errore la Corte nel ritenere sostanzialmente 
regolare la contabilit� in base all'argomento suddetto; e lo stesso errore 
ha commesso in relazione all'anno 1975, nel quale il professionista aveva 
commesso la stessa violazione, del pari utilizzando, nei primi due mesi 
dell'anno (fino al 10 febbraio) un registro cronologico non vidimato. 

Inoltre la Corte non ha considerato che, trovandosi cos� in presenza 
di una violazione reiterata, per entrambi gli anni avrebbe dovuto valutarla 
anche in relazione al disposto della lettera d) dell'art. 39 comma secondo, 
che indica le � irregolarit� formali... ripetute � fra gli elementi che 
giustificano il ricorso al metodo induttivo. 

3. -Sempre quanto all'ammissibilit� dell'accertamento, manca nella 
sentenza impugnata una valutazione completa e globale delle irregolarit� 
contabili riscontrate per entrambi gli anni. 
Per il 1974, oltre alla ritardata vidimazione, furono dedotte con l'accertamento 
talune difformit� fra le scritture, ma di esse si � sostanzialmente 
disinteressata la Corte, che si � limitata a far riferimento alle 
motivazioni addotte dalla Commissione tributaria di secondo grado, le 
quali, per�, a quanto sembra, erano state contestate dall'Amministrazione. 


Anche per l'anno 1975 furono riscontrate discrepanze fra le scritture, , 
fra cui l'omessa registrazione nel bollettario IVA di un certo numero di 
visite; la Corte si � occupata di tale irregolarit�, ma l'ha considerata 
di �limitata entit�� e perci� non idonea a giustificare l'accertamento 
induttivo. 

Sennonch� tali violazioni non andavano considerate, in modo atomistico, 
bens� nel loro complesso, insieme con il ritardo nella vidimazione, 
siccome tutte influenti sull'attendibilit� delle scritture contabili. Questo 
obbligo di valutazione globale, oltre che discendere dai principi generali, 
risulta specificamente imposto dall'art. 39 cit., in particolare dalla norma 
della lettera d) del comma secondo, che -come si � visto -attribuisce 
rilievo alle omissioni, falsit�, inesattezze e irregolarit� formali � gravi, 
numerose e ripetute�, al fine di stabilire se, in relazione a tali caratteristiche, 
siano tali da � rendere inattendibili � le scritture per mancanza 
delle garanzie proprie di una � contabilit� sistematica �. 

4. -Del pari insieme con le violazioni suddette la Corte avrebbe 
dovuto controllare l'attendibilit�, o meno, del dato relativo al numero 
(molto contenuto) di visite contabilizzate dal Fontanari, considerando altres� 
che alla rettifica della dichiarazione, ai sensi della lettera d) comma 
primo dell'art.. 39, si pu� procedere anche in presenza di presunzioni 
che presentino i requisiti della gravit�, della precisione e della concordanza. 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Il giudizio espresso al riguardo in sentenza -nel senso della mancanza 
di elementi idonei a disattendere le annotazioni -presenta gli 
stessi vizi in precedenza evidenziati, posto che la Corte, valutando singolarmente 
e non nella loro globalit� i fatti da assumere a foncla.iento 
della prova presuntiva, -si � messa nella condizione di non potere 
intendere l'esatto significato degli stessi n� di valutarne in modo corret10, 
la gravit� e concordanza. 

Ma la motivazione risulta �altres� viziata per l'omessa considerazione 
di due circostanze di grande rilievo per giudicare dell'attendibilit� della 
dichiarazione sul punto. 

La prima � che lo stesso Fontanari aveva denunziato di esercitare 
la professione non solo a Mestre, ma anche a Venezia, mentre poi in relazione 
a questo secondo sti.ldio non aveva annotato in contabilit� alcuna 
visita. 

La seconda circostanza � data dalla scelta del Fontanari, primario 
ospedaliero, di svolgere' tale attivit� a tempo definito e non a tempo 
pieno; al quale proposito l'Amministrazione aveva osservato che il professionista, 
se avesse optato per il tempo pieno, avrebbe percepito uno 
stipendio tale da superare la somma di quello ridotto percepito per il 
tempo definito e dei modesti redditi dichiarati per la libera professione. 

Queste circostanze sono state del tutto neglette dalla Corte, mentre 
� evidente l'importanza decisiva che esse possono assumere se valutate 
insieme con gli ulteriori elementi innanzi accennati. (omissis} 

I 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 1 marzo 1989, n. 1102 � Pres. Caturani Est. 
Bibolini -P. M. Donnarumma (conf.). Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Zecca) c. Soc. SO.CO.VIN. 

Tributi in genere � Accertamento � Notificazione � Persona giuridica � 
Impossibilit� di notifica presso la sede legale � Applicabilit� art. 143 

c.p.c. � Esclusione � Notificazione ex art. 140 c.p.c. � ~ valida. 
(c.p.c. art. 140, 143, 145; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60). 
Tributi in genere � Accertamento � Notificazione � Persona giuridica � 
Impossibilit� di notifica presso la sede legale � Notifica col rito degli 
irreperibili al legale rappresentante � Nullit�. 

(c.p.c. art. 143, 145; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60). 
La notificazione a persona giuridica, la cui sede legale � sempre conoscibile 
dalla pubblicit� legale, non pu� essere eseguita a norma dell'art. 
143 c.p.c. Di conseguenza ove la sede dichiarata non coincida con 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

132 

quella effettiva la notifica pu� essere eseguita nel luogo pubblicizzato 
come sede legale a norma dell'art. 140 c.p.c. (1). 

La notifica alla persona giuridica presso il legale rappresentante deve 
essere eseguita a norma degli art. 138, 139 e 141, richiamati nell'art. 145 
terzo comma c.p.c.; pertanto se del legale rappresentante non si conosce 
la residenza non pu� procedersi a norma dell'art. 143 (2). 

II 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 15 marzo 1989, n. 1296 -Pres. Vercellone Est. 
Favara -P. M. Zema (diff.). Soc. Lotus 66 (avv. l>omponi) c. Ministero 
delle Finanze (avv. Stato Guicciardi). 

Tributi in genere -Accertamento -Notificazione -Persona giuridica Impossibilit� 
di notifica presso la sede legale -Ricerca della sede 
effettiva -Necessit� -Notificazione alla persona fisica del legale rappresentante 
-Necessit� prima di fare applicazione dell'art. 140 c.p.c. 

(c.p.c. art. 140, 145). 
La notificazione alla persona giuridica si esegue presso la sede legale 

o effettiva previe opportune ricerche sull'esistenza e sull'ubicazione attuale 
della stessa. Qualora non sia possibile eseguire la notifica in tal modo, 
prima di poter fare applicazione dell'art. 140 c.p.c., � necessario un preventivo 
tentativo di notificazione alla persona fisica del legale rappresentante 
a norma dell'art. 145, terzo comma (3). 
(1-3) Come emerge dalle due sentenze, � sempre tormentato il problema 

della notifica degli atti, sia del procedimento amministrativo che del processo 

contenzioso, alla persona giuridica. 

La prima sentenza, nel lodevole proposito di fare chiarezza, da un lato 

esclude l'applicabilit� alle persone giuridiche dell'art. 143 c.p.c. sulla premessa 

che per tali soggetti non � configurabile l'impossibilit� di conoscere la resi


denza, ma coerentemente afferma che in detto luogo conoscibile (la sedi:i legale 

pubblicizzata) � sempre possibile la notifica a norma dell'art. 140. La afferma


zione � correttissima e da condividere. Ma sorge il dubbio che non esaurisca 

tutte le ipotesi. 

Si � detto ripetutamente che l'art. 140 va posto in relazione ad una impos� 

sibilit� materiale e temporanea di consegna dell'atto ad una delle persone indi� 

cate nell'art. 139 nel luogo in cui esista realmente l'abitazione ,l'ufficio o 

l'azienda (o la sede legale) del destinatario ma non sia utilizzabile quando nel 

luogo non esiste pi� alcun legame con il destinatario (Cass. 6 dicembre 1978, 

n. 5753, Foro it., 1979, I, 9, seguita da numerose altre). Ora, nel caso, non certo 
raro, di societ�, pi� o meno fantasma, del tutto sconosciuta nel luogo indicato 
come sede pubblicizzata, sar� egualmente applicabile l'art. 140 posto che non 
pu� soccorrere il rimedio residuale dell'art. ]Jl3? Si deve ritenere di si, altrimenti 
la notifica sarebbe impossibile. Non pu� ricercarsi una via di uscita nel terzo 
comma dell'art. 145 sia perch� la residenza effettiva del legale rappresentante 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 133 

I 

(omissis) Con l'unico motivo di ricorso, l'Amministrazione Finanzia� 
ria dello Stato deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 140, 
145 e 156, terzo comma, c.p.c., dell'art. 38 d.P.R. 29 gennaio 1958 n. 645, 
dell'art. 60 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, dell'art. 21 d.P.R. 26 ottobre 
1972 n. 636, nonch� l'omessa, ~nsufficiente e contraddittoria motivazione 
su un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti (art. 360 

n. 
5 c.p.c.). 
Il ricorso � articolato su quattro posizioni, e cio�: 
1) L'eventuale vizio di notifica degli avvisi di accertamento � sanato, 
in quanto gli atti hanno raggiunto lo scopo; 

2) la notifica ex art. 140 c.p.c. � stata eseguita ritualmente, essendo 
stata inviata, dal messo notificatore, la ra�comandata alla societ�; 

3) a norma dell'art. 38 d.P.R. 29 gennaio 1958 n. 645 T.U. sulle imposte 
dirette, la formalit� dell'invio della raccomandata non deve essere 
eseguita; 

4) a norma dell'art. 21 d.P.R. n. 636/72 nel testo modificato dall'art. 
13 d.P.R. n. 739/81, la C.T.C. avrebbe dovuto disporre la rinnovazione 
dei�a notificazione. 

per lo pi� non � nota (e giustamente si afferma che non pu� in questo caso 
ricorrersi all'art. 143) e sarebbe comunque difficoltoso rintracciare il legale 
rappresentante in luogo diverso, anche di altro Comune, da quello della sede 
della societ�, sia soprattutto perch� la notifica per la societ� alla persona del 
legale rappresentante � una facolt� ma non un obbligo. Comunque se la persona 
del legale rappresentante non � indicata, l'impossibilit� di una utile 
notifica sarebbe insuperabile. Si deve quindi stabilire con fermezza che per le 
persone giuridiche di fatto irreperibili � sempre applicabile rart. 140 (piuttosto 
che l'art. 143). � 

Inaccettabile � quindi la seconda sentenza che prima di ammettere la 
notifica a norma dell'art. 140 presso la sede legale impone un duplice onere 
di ricercare prima la sede effettiva in luogo diverso da quello pubblicizzato e 
di tentare poi la notifica alla persona del legale rappresentante. Non � realistico 
imporre una tale complessa attivit� quando incombe un termine perentorio. 

A conferma di quanto affermato nella prima sentenza occorre considerare 
che sia per la notifica dell'accertamento nel corso del procedimento amministrativo 
sia per la notifica degli atti del processo esiste gi� un domicilio fiscale 
dichiarato o nella dichiarazione (art. 2, 4, 7 e 60 d.P.R. n. 600/1973) o nel ricorso 
(art. 15 e 32-bis d.P.R. n. 636/1972) di cui devono essere comunicate le variazioni 
successive (Cass. 16 giugno 1980 n. 3824, in questa Rassegna, 1981, I, 369; 
16 aprile 1983, n. 2631, ivi, 1983, I, 744). 

Quando sia incardinato un procedimento, amministrativo o giurisdizionale, 
deve essere precostituito in modo certo un luogo in cui possono eseguirsi le 
notifiche, eventualmente a norma dell'art. 140 (regola enunciata per il processo 
ordinario dall'art. 170 c.p.c.) senza che possa essere necessario affrontare indagini 
o tentativi impossibili nella osservanza del termine. 



134 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

In mancanza di deposito di controricorso da parte della s.r.l. SO.CO.
VIN. Italia, la quale non � stata rappresentata all'udienza odierna, 
occorre preliminarmente accertare la ritualit� dell'instaurazione del contraddittorio 
nel presente grado di giudizio. 

Al fine si rileva che la notifica del ricorso proposto dalla Amministrazione 
Finanziaria venne tentata prima alla societ� nella sua sede 
in Palermo, via Siracusa n. 10, senza esito; quindi al liquidatore della 
societ�, sig. Joolph Rodrigue, ancora presso la sede sociale ed ancora 
senza esito positivo; infine, su richiesta del ricorrente il quale aveva 
chiesto la notifica ancora al liquidatore ai sensi dell'art. 143 c.p.c., l'Ufficiale 
Giudiziario depositava una copia del ricorso presso l'Ufficio del 
Pubblico Ministero di Palermo ed altra copia veniva affissa all'albo della 
Corte Suprema di Cassazione. 

Le due formalit� della notifica, eseguita con le modalit� ora descritte, 
nonch� la vacatio a norma dell'ultimo comma dell'art. 143 c.p.c., si sono 
compiute nell'ambito del termine dell'art. 327, primo comma c.p.c., termine 
lungo richiamabile nella specie, volta che la decisione impugnata non 
risulta notificata all'Amministrazione Finanziaria presso l'Avvocatura Generale 
dello Stato (la decisione fu pubblicata il 4 luglio 1986 per cui, 
tenendo conto della sospensione dei termini per ferie nel 1986 e 1987, il 
termine lungo di impugnazione scadeva il 4 ottobre 1987; gli effetti delle 
formalit� di cui all'art. 143 c.p.c., compiute il d� 11 luglio 1987, si sareb 
bero puntualizzati a1la data del 1� ottobre 1987). 

Il problema della validit�, o no, della instaurazione del contraddit 
torio, in una situazione rilevabile di ufficio, deve essere impostato in 
relazione all'ammissibilit� della forma di notifica adottata nella specie. 
La notifica, si ribadisce, era diretta al legale rappresentante della societ�, 
di cui � stato indicato solo il nome ed il cognome senza enunciazione n� 
del luogo di nascita n� della residenza, nella forma prevista dal secondo 
comma dell'art. 143 c.p.c. per le persone di cui non siano noti n� l'ultima 
residenza n� il luogo di nascita (consegna di copia dell'atto al Pubblico 
Ministero). Il che, peraltro, � decisamente in contrasto con la previsione 
del terzo comma dell'art. 145 c.p.c. il quale prevede la forma di notifica 
sussidiaria ivi regolata, se ed in quanto sia indicata la persona fisica 
che rappresenta l'ente; detta indicazione, a sua volta ed in relazione alle 
richiamate disposizioni degli artt. 138 e 139 e 141, primo comma, c.p.c., 
non pu� essere costituita solo da nome e dal cognome, ma deve contenere 
l'indirizzo, diverso da quello della sede sociale, del legale rappresentante 
ch� diversamente, una volta constatata la mancanza di soggetti 
atti a ricevere l'atto presso la sede sociale, l'ulteriore tentativo presso 
la stessa sede in persona del legale rappresentante (che � per l'appunto 
una delle persone legittimate a ricevere secondo l'art. 138 c.p.c.) sarebbe 
formalit� superflua ed inutile (v. sul punto specifico Cass. Sent. 9 febbraio 
1985, n. 6218). 

I 

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~ 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Conseguentemente, la notifica al legale rappresentante, di cui non si 
conosca la residenza, la dimora o il domicilio diversi dalla sede aziendale, 
ed al quale, pertanto, la notifica non possa avvenire nelle forme degli 
artt. 138, 139 o 141 c.p.c. (le uniche forme richiamate dal terzo comma 
dell'art. 145 per l'ipotesi sussidiaria di notifica) � impossibile in relazione 
alla disciplina della norma ora richiamata, cos� come illegittimo � il ricorso 
alla disciplina residuale dell'art. 143, secondo comma, che contrasta sia 
con la lettera, sia con il sistema dell'art. 145, terzo comma, pi� volte 
richiamato. 

La questione, peraltro, deve essere affrontata in un ambito di pi� 
ampia portata, che superi la lettera del terzo comma dell'art. 145 c.p.c. 
ed esamini l'intera disciplina dell'articolo nella sua letteralit� e nella sua 
sistematicit�, al fine di valutare se la notificazione ad una persona giuridica 
consenta il ricorso alle forme dell'art. 143 c.p.c., vuoi con riferimento 
alla societ� in quanto tale, vuoi come forma di notifica al suo 
legale rappresentante. . 

Chi ritiene di riscontrare un vuoto legislativo nella disposizione dell'art. 
145 c.p.c. che, prevedendo l'ipotesi in cui risulti indicata nell'atto 
da notificare la persona avente la rappresentanza dell'ente, non detta 
alcuna disciplina in relazione alla distinta ipotesi in cui nell'atto da 
notificare sia mancante una idonea indicazione in relazione a detta persona; 
chi, si ripete, ravvisa il vuoto legislativo in detta situazione, ritiene 
altres� che in essa sussistano tutti i presupposti per l'applicazione analogica 
della parallela disposizione dell'art. 143, enunciata con riferimento 
all'ipotesi in cui risultino sconosciute la residenza, la dimora o il domicilio 
delle persone fisiche. 

Questo orientamento ha trovato conferme da parte della dottrina 
ed in due pronuncie di questa Corte (v. Cass. Sent. 12 maggio 1979, n. 2758; 
Cass. Sent. 16 ottobre 1979 n. 5392, che ha confermato la ritualit� della 
notificazione al rappresentante di una societ� a responsabilit� limitata 
eseguita a norma dell'art. 143 c.p.c.), ancorch� il prevalente e pi� recente 
orientamento di questa Corte segua diverso indirizzo (v. Cass. Sent. 3 luglio 
1971, n. 2070; Sent. 14 luglio 1971, n. 2295; Sent. 21 luglio 1979, n. 4378; 
Sent. 4 aprile 1983, n. 2604; Sent. 9 dicembre 1985, n. 6128; Sent. 28 febbraio 
1987, n. 2152). 

Quest'ultimo indirizzo si ritiene di dovere confermare, ove si consideri 
che tra la disciplina dell'art. 143 e le fattispecie rientranti nel disposto 
dell'art. 145 c.p.c. esiste una essenziale difformit� di presupposti. 

Ed invero, le disposizioni dell'art. 143 postulano essenzialmente che 
sia sconosciuto il luogo in cui il destinatario ha la sua residenza, il 
domicilio o la dimora ed inoltre che detta non conoscenza non sia superabile 
attraverso le normali ricerche ed adottando la comune diligenza. 
N� l'una, n� l'altra situazione, per�, pu� realizzarsi per le societ� di 
capitali, munite di personalit� giuridica, per le quali vige l'obbligo di 


136 � RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

dichiarare quale sia la sede della societ� all'atto stesso della costituzione' 
(artt. 2328, 2464, 2475 e.e.), nonch� l'obbligo di dichiarare i mutamenti 
della sede (art. 2436 e.e.); per le quali, infine, esiste un sistema di pubblicit� 
legale atto a consentire di conoscere l'attualit� della sede dichiarata 
e l'inopponibilit� ai terzi dei mutamenti non pubblicizzati. 

Conseguentemente, qualora la sede dichiarata non coincida con quella 
effettiva e questa non sia nota, il terzo potr� legittimamente ignorare la 
sede effettiva, effettuando le notifiche nel luogo pubblicizzato come 
�sede� dalla stessa societ� e risultante dai pubblici registri, salvo giovarsi 
del disposto dell'art. 140 nel caso in cui il legale rappresentante 
della societ�, o altre persone legittimate a ricevere l'atto, risultino irreperibili 
in taile luogo (v. Cass. Sent. 6 giugno 1975, n. 2254; specificamente 
per l'applicabilit� della disciplina dell'art. 140 alle persone giuridiche, 

v. Cass. Sent. 2 maggio 1%4, n. 1054, nonch� le sentenze nn. 2604/83 e 
6218/85, gi� citate). 
Nel caso, quindi, di irreperibilit� di persone legittimate a -ricevere 
l'atto nella sede sociale indicata nei pubblici registri, e di impossibilit� 
di notifica al legale rappresentante della societ� a norma degli artt. 138, 
139 e 141 c.p.c. richiamati dal terzo comma dell'art. 145 c.p.c., la notifica 
deve essere fatta alla societ� nella sede sociale risultante dai pubblici 
registri, nella forma dell'art. 140 c.p.c. e non in quella dell'art. 143, i cui 
presupposti non sussistono. 

Conseguentemente, la notificazione del ricorso, .eseguita nelle forme 
sopra descritte, deve ritenersi inidonea all'instaurazione del contraddittorio. 

Si tratta, ora, di individuare se detta inidoneit� abbia le caratteristiche 
della nullit� (art. 160 c.p.c.), ovvero assuma rilievo quale totale inesistenza 
dell'atto. 

Nella specie, le anomalie concernenti le modalit� di notifica poste 
in essere, furono diverse e tali da incidere sostanzialmente su una qualsiasi 
reperibilit� dell'atto da parte della societ�, ~he della notifica dove'\ra 
essere l'unica destinataria, e cio�: 

1) si � ricorsi, come gi� rilevato, alla forma dell'art. 143 c.p.c., 
anzich� alle modalit� dell'art. 140, applicabile in via sussidiaria per le 
notifiche alle societ� di capitali; 

2) si � indirizzata la notifica alla persona fisica del liquidatore, 
di cui era noto domicilio diverso daHa sede sociale, dimora o residenza 
alcuna, presente o passata, anzich� direttamente alla societ� di 
cui era nota o accertabile la sede legale, ricorrendo quindi alla scelta 
sussidiaria prevista dal terzo comma dell'art. 145, pur in mancanza del 
presupposto essenziale dell'indicazione della persona fisica del legale 
rappresentante, indicazione che, in relazione alle necessarie forme degli 
artt. 138, 139 e 141 richiamati, presuppone la conoscenza della residenza, 
del domicilio o della dimora del liquidatore; 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

3) si � ricorsi, infine, alla norma dell'art. 143, secondo comma, 

c.p.c. nei confronti della persona del liquidatore, come persona di cui 
non era noto n� il luogo di nascita n� quello di residenza, mediante 
consegna all'Uffico del Pubblico Ministero di Palermo, luogo che non 
aveva alcun collegamento n� con il destinatario dell'atto (per l'appunto 
il liquidatore) n� con il giudizio che con il ricorso veniva instaurato. Il 
collegamento con Palermo esisteva con riferimento alla sede della societ�, 
ma in tal caso destinatario dell'atter di notifica avrebbe dovuto essere 
la societ� stessa nella sua sede, e non il liquidatore con residenza presente 
o passata sconosciuta. La consegna all'ufficio del Pubblico Ministero, 
che integra l'ultima delle possibilit� di ricerca e di reperimento di un atto 
da parte del destinatario e che nel contempo � diretta ad attivare un 
organo per la ricerca del destinatario stesso, in mancanza di qualsiasi 
altro criterio di collegamento con Ja causa o con la persona, che � il 
pre~mpposto stesso dell'art. 143, secondo comma c.p.c., non pu� che 
avvenire nel luogo in cui il giudizio (o il grado) viene instaurato e, nella 
specie, in Roma. 
Si deve tenere conto che, al di fuori della consegna dell'atto a mani 
proprie del destinatario, tutte le altre forme di notifica sono volte ad 
instaurare presunzioni legali di conoscenza nelle quali, man mano che 
ci si allontana dai criteri strettamente collegati alle persone che hanno 
vincoli col destinatario ed ai luoghi in cui lo stesso opera, la distanza 
tra la realt� effettiva della conoscenza e quella presunta, � destinata ad 
aumentare. Detta discrepanza � massima proprio nella forma dell'art. 143, 
secondo comma c.p.c. Ci� premesso, ci si rende conto come il mancato 
rispetto della gradualit� delle forme alternativ.e di notifica, secondo una 
sequenza di situazioni successive dalla legge prevista, pone la notifica 
al di fuori dei presupposti stessi necessari perch� una qualsiasi presunzione 
di conoscenza possa sorgere. 

Nella specie, vi � stata anomalia 'sul tipo di notifica scelto, anomalia 

nell'individuazione del destinatario delle formalit� di notifica, anomalia 

sul luogo di esecuzione delle formalit�. Vi �, quindi, tutta una serie di 

situazioni in base alle quali si � creata una tale difformit� dal modello 

legale da non riuscire ad inserirsi nel ciclo del processo, per cui non 

vengono in considerazione le norme che disciplinano gli effetti della fatti


specie, nemmeno quelle che sanciscono la. nullit�, ma si versa in caso 

di inesistenza della notificazione. 

Se in linea di principio, riaffermato anche recentemente da questa 

Corte (v. Cass. Sent. 3 agosto 1988, n. 4806), una notifica deve ritenersi 

giuridicamente inesistente quando difettano totalmente gli elementi carat


terizzanti che consentano la qualificazione di atto sostanzialmente con


forme al modello legale delle notificazioni, ben pu� dirsi che formalit�, 

pur previste dalla legge per casi specifici e residuali, eseguite al di 


138 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 

fuori dei presupposti soggettivi ed oggettivi e di qualsiasi collegamento 

con lo schema legale delle notificazioni alle persone giuridiche, quale 

emerge nella sua completezza dall'art. 145 c.p.c., pone un principio di 

irrilevanza che si esprime nella inesistenza dell'atto. 

L'avvenuta scadenza del termine per il ricorso e l'impossibilit� di 

far luogo alla salvaguardia dalla decadenza a norme dell'art. 291 c.p.c. 

in presenza di notifica inesistente, comporta l'inammissibilit� del ri


corso. (omissis) 

II 

(omissis) Con l'unico motivo di ricorso la societ� Lotus, incorporante 
della S.p.A. S.A.BO., denuda violazione e falsa applicaizone degli artt. 140 � 
e 145 c.p.c., e sostiene che erroneamente la C.T.C. ha ritenuto regolare 
la notifica della decisione di primo grado, e conseguentemente tardivo 
l'appello proposto avverso la stessa, in quanto per la notifica delle �per� 
sone giuridiche l'art. 145 c.p.c. (richiamato ne�'art. 32 del d.P.R. n. 636/1972) 
non prevede l'applicazione delle disposizioni di cui al precedente art. 140; 
che comunque nessuna ricerca era stata effettuata circa la nuova sede 
della societ�, n� circa l'abitazione del suo legale rappresentante, essendosi 
proceduto alla notifica col rito degli irreperibili per il solo fatto 
che era risultato trasferito, al momento della notifica dell'avviso di fissazione 
d'udienza, il legale rappresentante della societ�, indicato anche come 
persona fisica. 

Il ricorso � fondato. 

A norma dell'art. 145 primo comma c.p.c. (richiamato nell'art. 32 del 

d.P.R. n. 636/1972) tra le disposizioni applicabili per la notifica degli atti 
del procedimento tributario), la notificazione alle persone giuridiche si 
esegue nella loro sede (legale, od effettiva, come consentito dall'art. 46 
e.e.) previe le opportune ricerche sull'esistenza e l'ubicazione attuale della 
stessa, ove quella indicata negli atti non coincida con la sede dichiarata 
nei pubblioi registri (Cass. 5 giugno 1987 n. 4927). Qualora non sia possi� 
bile effettuare la notificazione a norma dell'art. 145, primo comma c.p.c., 
la notificazione ai sensi dell'art. 140 stesso codice -applicabile anche nei 
confronti delle persone giuridiche (Cass. 28 febbraio 1987, n. 2152) -richiede 
un preventivo tentativo di notificazione, ai sensi del terzo comma dell'art. 
145 c.p.c., alla persona fisica del legale rappresentante della persona 
giuridica, se l'atto da notificare indichi le generalit� di detta persona 
fisica. Ai fini cio� dell'ammissibilit� della notificazi�ne ex art. 140 c.p.c., 
come ha precisato questa S. Corte con la sentenza n. 2604/1983, occorre 
distinguere a seconda che nell'atto da notificare sia indicata o meno 
la persona che rappresenta l'ente, perch� ove tale persona sia indicata, 
occorre non solo che non sia possibile la notificazione a norma del 
primo comma dell'art. 145 ma anche che si accerti l'impossibilit� di notificazione 
dell'atto a mani proprie, nella residenza, nella dimora o nel 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 139 

domicilio della persona che rappresenta l'ente o presso il domiciliatario 
di quest'ultima, ai sensi degli artt. 138, 139 e 141 richiamati nell'art. 145, 
terzo comma c.p.c. 

Nel caso d specie, dopo l'avviso di udienza, non notificato perch� 
�trasferito� il destinatario -che era la SABO, soc. az. Bonifiche Ostia, 
rappr. Alberto Lombardi, via Orti della Farnesina 81, Roma� si procedette 
alla notificazione della decisione della Commissione di I grado 
al signor � Alberto Lombardi A.D. S0c. Azionaria Bonifiche Ostia, residente 
in Roma, via Orti della Farnesina n. 81 �. Senza accertare se a 
tale indirizzo corrispondesse la sede legale della societ� o .solo l'abitazione 
del legale suo rappresentante e senza eseguire indagini sull'una� e sull'altra 
non poteva l'ufficiale giudiziario procedere direttamente alla persona 
giuridica a norma dell'art. 140 c.p.c., poich� l'atto da notificare indicava 
espressamente la persona fisica del legale rappresentante ed a ql,lesti la 
notificazione non era stata neppure tentata (ai sensi. degli artt. 138, 139 
e 141 c.p.c.). Ci� tanto pi� in quanto la dizione �trasferito� che era 
stata annotata sulla comunicazione dell'udienza, non consegnata, riferita 
al destinatario di quell'atto � SABO, rapp. Alberto Lombardi� non consentiva 
di comprendere se il trasferimento riguardava la sede della societ� 

o il rappresentante legale. La circostanza della indicazione della persona 
fisica era pertanto decisiva e non consentiva la notificazione alla persona 
giuridica con il rito degli irreperibili senza le preventive opportune ricerche 
sopra ricordate. (omissis) 
I 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 17 marzo 1989, n. 1333 -Pres. Brancaccio 
-Est. Maltese -P. M. Caristo (Conf.). Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Palatiello) c. Moret. 

Tributi in genere � Accertamento � Imposte Indirette � Accertamento 
non motivato � Notifica di nuovo accertamento prima della maturazione 
del termine di decadenza � Validit�. 

Prima della scadenza del termine di decadenza, l'ufficio pu� notificare 
validamente un nuovo accertamento anche dopo che contro il primo 
accertamento era stato proposto ricorso deducendo la nullit� per difetto 
di motivazione (1). 

(1-2) La prima massima � di evidente esattezza. L'esercizio del potere non 
consuma il potere e non prelude la reiterazione di un atto irregolare. Del tutto 
inconferente � il richiamo all'art. 21 del d.P.R. n. 636/1972 che esclude dalla sanatoria 
il vizio di difetto di motivazione; questa norma riguarda la sanatoria che si 
verifica, a seguito di ordinanza del giudice, nonostante la maturazione del termine 
di decadenm e non influisce affatto sulla autonoma inimativa dell'ufficio. 



140 

RASSEGNA DEU.'AWOCATURA DEU.O STATO 

II 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 17 marzo 1989, n. 1336 -Pres. Brancaccio 
-Est. Maltese -P. M. Caristo (Conf.). Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Palatiello) c. Zoppoli (avv. Pellegrini). 

Tributi in genere � Accertamento � Imposte indirette � Difetto totale di 
maturazione � Nullit�. 

V a dichiarata la nullit� dell'accertamento di valore totalmente immotivato 
(contenente solo la indicazione dei cespiti e dei valori) come 
tale privo di esistenza giuridica (2). 

I 

(omissis) Col primo mezzo l'amministrazione ricorrente denuncia la 
violazione dell'art. 13 decr. 3 novembre 1981, n. 739 e dell'art. 49 decr. 
26 ottobre 1972, n. 634. 

Osserva che la disposizione dell'art. 13 conferisce alla Commissione 
il potere di disporre la rinnovazione della notificazione dell'atto impugnato 
in casi particolari, con esclusione del difetto della motivazione 
(si deve trattare soltanto del difetto di competenza o di vizi analoghi), 
nel presupposto dell'avvenuta scadenza del termine pe remanare il provvedimento 
stesso; mentre rimane sempre fermo il potere dell'ufficio finanziario 
di rinnovare, modificare, integrare il proprio provvedimento quando 
sia ancora aperto il termine per la sua emanazione. 

La censura � pienamente fondata. 

La Commissione Centrale non ha distinto, come avrebbe dovuto, fra 
il potere processuale delle Commissioni di disporre, in certi limitati casi, 
la rinnovazione della notificazione dell'atto impugnato ed il potere sostanziale 
dell'amministrazione di correggere gli errori dei propri provvedimenti 
entro i termini di legge. 

Esattamente l'Avvocatura dello Stato si richiama al principio secondo 
il quale �l'esercizio di un potere non determina la consumazione del 
potere�; principio applicabile nel caso in esame, avendo l'ufficio del 
registro di Montebelluna notificato alle parti il secondo avviso di accertamento, 
a integrazione della motivazione contenuta nel primo, entro il 

La seconda sentenza si ricollega a numerose pronunzie (3 giugno 1987, 

n. 4844 e 13 luglio 1987, n. 6096 in questa Rassegna, 1988, I 132; 26 ottobre 1988, 
n. 5783 e n. 5782 ivi, 304) che, pur riducendo al minimo l'esigenza della motivazione, 
hanno sancito la nullit� dell'accertamento totalmente immotivato. Nello 
stesso senso Cass. 15 maggio 1989, n. 2219-2223 di cui si omette la pubblicazione. 
Se � vero che � sufficiente una motivazione, anche stereotipa, che indichi 
il metodo di valutazione seguito, si dovrebbe considerare, ove non risulti il 
contrario, che il metodo seguito sia quello, pressoch� universale, della comparazione. 
Verso una pi� larga concezione della sufficienza sembrano orientarsi 
le sentenze delle Sez. Un. 13 luglio 1989, nn. 3285-3286 3 e agosto 1989, nn. 3578-3585. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

termine di legge prorogato dal successivo decreto, di cui si � gi� fatta 
menzione (n. 237 del 1974). 

La decisione della Commissione tributaria centrale non si sottrae, 
pertanto, a questa prima censura riguardante l'efficacia giuridica del 
secondo avviso; e deve essere, per conseguenza, cassata con rinvio, rima� 
nendo assorbiti il secondo e il terzo motivo -dedotti dall'amministrazione 
in via subordinata -, concernenti la validit� del primo avviso. 

(omissis) 

II 

(omissis) Col primo mezzo la ricorrente denuncia vizi di negata 
giurisdizione e di eccesso di potere giurisdizionale, con riguardo agli 
artt. 1 e 35 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636. 

Col secondo mezzo denuncia la violazione degli artt. 22, 48 e 49 d.P.R. 
26 ottobre 1972, n. 634 e dell'art. 26 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, anche 
nella modifica introdotta qal d.P.R. 6 dicembre 1977, n. 914 e con riguardo 
all'art. 20 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 543; e vizio di insufficiente motiva� 
zione circa un punto decisivo della controversia. 

Il ricorso �, in ogni suo aspetto, infondato: 

La Commissione tributaria centrale, invero, non � incorsa negli errori 
e nelle violazioni di norme giuridiche, che la ricorrente le addebita, ma 
ha semplicemente rilevato che l'avviso di accertamento contiene la sola 
indicazione dei cespiti immobiliari e le cifre dei valori iniziali e finali di� 
ohiarati nell'atto di compravendita e dei maggiori valori accertati. 

Ne ha coerentemente dedotto che, nel caso concreto, si tratta non 
di motivazione stereotipa bens� di mancanza, anche grafica, di qualsiasi 
motivazione. 

Tale pronuncia si sottrae alle censure della ricorrente poich�, riducendosi 
la struttura dell'avviso di accertamento alla semplice indicazione 
di cespiti e di valori, manca in esso qualsiasi elemento valutativo e, di 
conseguenza, non sorge un problema di validit� o nullit� dell'atto per 
motivazione apparente, bens� un problema di esistenza giuridica dell'atto 
stesso che la Commissione, pur esprimendosi ancora in termini di nullit�, 
ha ineccepibilmente risolto in senso negativo. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 21 marzo 1989, n. 1418 � Pres. Tilocca � 
Est. Maltese � P. M. Di Renzo (diff.). Alessandri (avv. Stella Richter) 

c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Palatiello). 
Tributi erariali indiretti -Imposta di registro � Presunzione di accessioni 
� Accordo per l'edificazione con effetto obbligatorio -Non 
vince la presunzione. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 23). 
La presunzione dell'art. 23 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. '634 pu� essere 
vinta soltanto con un atto costitutivo di un diritto reale di superficie che 


142 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

esclude l'accessione; nessun valore pu� invece essere riconosciuto ad un 
accordo di natura obbligatoria per consentire l'edificazione che non escluderebbe 
ma riconfermerebbe l'accessione (1). 

(omissis) Con l'unico mezzo il ricorrente denuncia la violazione degli 

artt. 23, primo comma d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634 e 934 e.e. 

Afferma che la presunzione di trasferimento delle accessioni prevista 
dall'art. 23 decr. 634 del '72 � vinta, nel caso concreto, dall'esistenza di 
�atti e documenti -la cui data certa non pu� esser messa in discussione 
perch� provenienti da uffici pubblici o perch� registrati -comprovanti 
che la costruzione � stata eseguita da soggetto diverso dal proprietario 
del fondo e col consenso del proprietario medesimo. 

Precisa che l'atto di compravendita riguarda solamente il terreno 
senza alcuna menzione dei fabbricati, e che nessuna rilevanza si pu� attri� 
buire alla clausola di stile secondo la quale il terreno viene trasferito 
� nello stato fisico e giuridico in cui si trova �. 

Sostiene che, in generale, l'accordo impeditivo dell'accessione, col quale 
il proprietario dell'area autorizza il terzo a costruire e ad occupare con 
la costruzione una porzione del suolo, ben pu� avere contenuto meramente 
obbligatorio e non esser, quindi, soggetto ai requisiti di forma e 
di pubblicit� richiesti per i negozi costitutivi dei diritti reali. 

Nel caso in esame, essendo intercorso un patto di tale natura fra il 
proprietario dell'area e il costruttore, nessuna accessione si sarebbe verificata 
a favore del primo.. 

Pertanto con il successivo atto di compravendita si sarebbe trasferito 
solamente il suolo, unico bene tassabile con l'imposta di registro. 

Il ricorso � infondato. 

L'art. 23, primo comma decr. n. 63 del 1972, dal titolo � Presunzione 
di trasferimento dell'accessione e delle pertinenze�, testualmente dispo� 
ne: �Nei trasferimenti immobiliari le accessioni, i frutti pendenti e le 
pertinenze si presumono trasferiti all'acquirente dell'immobile, a meno 
che siano esclusi espressamente dalla vendita o si provi, con atto che 
abbia acquistato data certa mediante la registrazione, che appartengono 
ad un terzo o sono stati ceduti all'acquirente da un terzo,,: 

Trattasi di una presunzione � iuris tantum �, che, come ha correttamente 
deciso la Commissione tributaria centrale, non � vinta, nella specie, 
da una prova contraria. 

� pacifico, invero, che i due fabbricati in questione non sono stati 
espressamente esclusi dalla vendita; n� risulta dimostrato con atto di 
data certa che essi appartengano a un terzo o allo stesso compratore per 
cessione da parte di un terzo. 

(1) Decisione di evidente esattezza conforme alla tradizione formatasi sotto 
la precedente legge. 
I ' 

i 

.. . I 

--.-I 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 143 

Con le parole � in assenza di regolare costituzione di diritti ad aedificandum 
� la Commissione Centrale ha inteso, appunto, riferirsi alla 
mancanza di un formale atto costitutivo del diritto reale di superficie, 
che sarebbe stato necessario, secondo la previsione degli artt. 952 e 1350, 

n. 
2 e.e .. per impedire l'effetto giuridico dell'accessione. 
Neppure il ricorrente assume che esista a proprio favore un negozio 
costitutivo. di tale diritto reale. 
Egli si basa soltanto sulla documentazione del << consenso � del proprietario 
alla costruzione. 
Asserisce, inoltre ~ come si � gi� accennato -, che fra il proprietario 
e il costruttore sarebbe intervenuto un accordo ad aedificandum 
di natura obbligatoria, non soggetto alle rigorose forme dei negozi costitutivi 
di diritti reali e di per s� impeditivo dell'accessione. 

Ora, per quanto riguarda la prima di queste due proposizioni difensive, 
imperniata sulla prestazione del consenso da parte del proprietario, 
bisogna premettere che l'esistenza di una documentazione di data anteriore 
alla vendita, riguardante la costruzione degli edifici ad opera del 
futuro acquirente, non � disconosciuta ed, anzi, � affermata come fatto 
storico nella decisione impugnata. 

Quel i;he la Commissione Centrale esattamente esclude � non solo la 

possibilit� di collegare a quei documenti la nascita di un diritto reale di 

superficie, ma, implicitamente, anche la rilevanza del consenso alla co


struzione del proprietario del suolo, se ed in quanto desumibile dai docu


menti stessi. 

Tale consenso, invero, non escluderebbe l'accessione ma, tutt'al con


trario, la presupporrebbe, importando esso una scelta preventiva e immo


dificabile, da parte del proprietario, di �ritenere� l'opera, anzich� pre


tenderne la rimozione dal costruttore, come, invece, gli sarebbe concesso 

dall'art. 936 e.e., in alternativa alla ritenzione. 

Sotto questo primo profilo, pertanto, l'effetto reale dell'accessione 

non 
� controvertibile, in assenza d� un fatto impeditivo, non identifica


bile nel consenso del proprietario. 

La 
seconda proposizione difensiva, basata sulla necessit� di ricolle


gare ad un asserito patto obbligatorio ad aedificandum gli effetti impe


ditivi dell'accessione, si riferisce a casi non pertinenti al presente giu� 

dizio. 

� fuori campo, invero, il richiamo del ricorrente alla giurisprudenza 
di questa Corte, che, nella sentenza n. 2413 del 1976 (citata nel ricorso) 
riguarda il comodato del suolo con facolt� del costruttore di asportare 
i materiali alla scadenza del rapporto; e che, nella sentenza n. 1463 del 
1976 (anch'essa citata nel ricorso) concerne l'impegno del proprietario 
di ritenere la porzione di muro costruito a cavaliere del confine e insi� 


144 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

stente sulla sua propriet�, con preclusione di chiederne l'arretramento 
e con le conseguenti implicazioni in tema di acquisto del suolo da parte 
del vicino per accessione invertita. 

Nel presente giudizio non � in alcun modo controversa, nei rapporti 
interni fra le parti, la facolt� del proprietario del suolo di �ritenere� la 
costruzione; con esclusione, se mai, della sola facolt� alternativa concessagli 
dal citato art. 936 e.e. 

Talch� esattamente la Commissione Centrale ha affermato che il consenso 
del propriet�rio alla costruzione non ha impedito l'effetto reale 
dell'accessione. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 31 marzo 1989, n. 1582 -Pres. Vercellone Est. 
Lupo -P. M. Lanni (conf.). Monti (avv. Gallo) c. Ministero delle 
Finanze (avv. Stato Palatiello). 

Tributi erariali diretti � Imposta unica sul reddito delle persone fisiche . 
Redditi fondiari � Catasto � Classamento � Notifica . ~ necessaria 
ai fini della decorrenza del termine per l'impugnazione � Nullit� di 
classamento non notificato � Esclusione. 

(d.I'.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 1). 

Nel procedimento catastale l'atto di classamento, contro il quale � 
consentito il ricorso alla Commissione espressamente previsto nell'art. 1 
del d.P.R. n. 636/1972, deve essere notificato anche in assenza di una 
norma specifica (la norma che prevede la pubblicazione degli atti di formazione 
del catasto � riferibile soltanto all'impianto del nuovo catasto). 
Tuttavia l'omessa notifica non comporta la nullit� del classamento (1). 

(omissis) 1. -Con il primo motivo i ricorrenti deducono violazione e 
falsa appiicazione degli art. 28 e 30 del r.d.l. 13 aprile 1939 n. 652 (con� 
vertito nella legge U agosto 1939 n. 1249), nonch� vizi di motivazione 
della decisione impugnata. Nel motivo si sostiene che � mancata la notifica 
dell'accertamento, onde � illegittimo e quindi inefficace il classamento 
operato dall'ufficio. Si rileva a tal proposito che la Commissione 
tributaria centrale. � caduta in errore quando ha ritenuto non necessaria 
la notifica individuale, in quanto il classamento delle unit� immobiliari 
urbane era stato pubblicato ai sensi dell'art. 65 del d.P.R. 1� dicembre 

(7) Decisione esatta. La notifica del classamento se pure necessaria per far 
decorrere il termine per l'impugnazione non � essenziale al classamento. � ci� 
non tanto perch� il classamento � un atto che si differenzia dal normale accertamento 
(Cass. 17 novembre 1983, n. 6854 in questa Rassegna, 1983, I, 161), ma 
piuttosto perch� non essendo previsto un termine di decadenza per l'emanazione 
dell'atto, non pu� mai essere eccepito il difetto di notificazione. 

-� 


PARIB I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

1949, n. 1142; osservano i ricorrenti che tale pubblicazione varrebbe solo 

per le operazioni di primo impianto del nuovo catasto edilizio urbano, e 

quindi per gli immobili gi� esistenti al momento della entrata in vigore 

del d.P.R. n. 1142/49, ma non per il procedimento di accatastamento 

delle nuove costruzioni successive, come quella appartenente ai Monti


Quattrocolo. 

Nella memoria i ricorrenti, in replica alla tesi sostenuta nel contro


ricorso dell'Amministrazione finanziaria, secondo cui la necessit� della 

notifica individuale non sarebbe prevista da alcuna norma, prospettano 

il dubbio di legittimit� costituzionale di siffatta esclusione, se essa do, 
vesse desumersi dall'ordinamento. 

2. -Il motivo di ricorso, pur censurando a ragione parte della motivazione 
della decisione impugnata, va respinto, in quanto il dispositivo 
della stessa decisione � conforme al diritto, onde ne va soltanto corretta 
la motivazione (art. 384 cpv. c.p.c.). 
Ed invero esatta � la affermazione dei ricorrenti sulla necessit� che 

venisse loro notificato l'avviso di classamento del nuovo immobile che 

era stato dichiarato all'Ufficio tecnico erariale a norma dell'art. 28 del 

citato r.d.l. n. 652/39. Poich� pacificamente si trattava di una costruzione 

successiva alla attivazione del catasto, era inapplicabile l'art. 65 del d.P.R. 

1 dicembre 1949 n. 1142 (regolamento sul nuovo catasto edilizio urbano) 

che prevede, come dice la stessa rubrica, la pubblicazione degli atti di 

formazione del catasto, i quali precedono l'attivazione dello stesso (disci


plinata nel successivo capo VIII del regolamento). Questa disciplina � 

inapplicabile all'accatastamento di singole unit� immobiliari, quando ad 

essa si deve procedere dopo la conclusione del procedimento formativo 

del nuovo catasto edilizio urbano, previsto dal r.d.l. n. 652/39. 

Ha errato, pertanto, la Commissione tributaria centrale quando, in 

relazione al classamento dell'immobile dei ricorrenti, ha fatto richiamo 

agli artt. 65 e 71 del citato d.P.R. n. 1142/49, i quali si riferiscono esclu


sivamente alla procedura di formazione iniziale del catasto. 

Fondata � anche l'affermazione dei ricorrenti che l'avviso di classamento 
del loro immobile doveva essere .notificato, pur in assenza di una 
specifica previsione normativa in tal senso. L'art. l, ultimo comma del 

d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 attribuisce alla competenza delle commis� 
sioni tributarie le controversie � promosse dai singoli possessori � concernenti 
� il classamento delle singole unit� immobiliari urbane � (in precedenza 
le stesse controversie erano attribuite alle commissioni censuarie 
dalla legge 8 marzo 1943 n. 153). Il soggetto interessato non � posto 
normalmente in grado di instaurare una controversia in ordine al classamento 
effettuato dall'Amministrazione se tale atto non gli viene portato 
a conoscenza, in conformit� del principio generale secondo cui i provvedimenti 
amministrativi vanno notificati alle persone che in essi sono 
direttamente contemplate, al fine del decorso del termine per l'impugna

146 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

zione (principio desumibile dalla disciplina contenuta nel r.d. 17 agosto 
�1907 n. 642). 

Conferma della interpretazione qui sostenuta pu� trarsi dalla istruzione 
del Ministero delle finanze in data 13 dicembre 1961 -correttamente 
richiamata dai ricorrenti -la quale, nel paragrafo 29, prescrive che 
� in evasione alle dichiarazioni di nuove costruzioni sottoposte ad accertamento 
tecnico l'ufficio notifica a mezzo di Mod. 84, a cia,Scuna ditta 
interessata, i risultati dell'accertamento stesso. Trascorsi 30 giorni dalla 
notifica senza �pposizione degli interessati, l'ufficio dispone la registrazione 
definitiva delle variazioni negli atti di conservazione � (scil.: del 
nuovo catasto edilizio urbano). Dalla trascritta istruzione ministeriale si 
trae conferma sia della necessit� della notifica dell'avviso di classamento, 
sia del collegamento tra la notifica medesima e la impugnativa giurisdizionale 
del provvedimento (alla quale ora si applica la disciplina 
del d.P.R. n. 636/72). 

Deve quindi concludersi che, contrariamente alla tesi sostenuta dal1'
Amministrazione finanziaria nel controricorso (ma non ripresa nella discussione 
orale), l'avviso di classamento del nuovo immobile doveva essere 
notificato alla parte ricorrente. 

3. -In contrasto con l'assunto dei ricorrenti, va per� affermato che 
la ml:�lcata notifica non ha comportato la illegittimit� o la inefficacia 
dell'atto di classamento. Anche in assenza di notifica, invero, gli interessati 
hanno impugnato il classamento, facendo valere tutte le ragioni di 
merito ritenute prospettabili, senza che mai fosse posta in questione la 
tempestivit� del ricorso alle commissioni tributarie, tanto che il ricorso 
� �stato esaminato e deciso nel merito, anche da parte delila Commissione 
tributaria centrale, la quale ha fatto riferimento alla definitivit� della 
classificazione dell'immobile come unit� tipo, affermando che tale c1as� 
sificazione � non pu� formare oggetto di ulteriore esame da parte dei giu� 
dici di merito n� pu� ammettersi per essa una richiesta di declassamen� 
to � (punti di diritto della decisione -questi ultimi -non impugnati 
dagli odierni ricorrenti). 
In linea generale, va osservato che, come si � detto (par. 2), l'obbligo 
di notifica dell'avviso di classamento deriva dalla disciplina dell'impugna� 
tiva giurisdizionale dei provvedimenti amministrativi, in cui � noto che la 
notifica dell'atto trova un perfetto equipollente nella piena conoscenza di 
esso, comunque acquisita dall'interessato. Con riguardo all'atto di classamento, 
deve affermarsi, cio�, che la notifica non � un requisito di effi. 
cacia dell'atto, ma serve soltanto a fare acquisire al soggetto interessate 
la conoscenza di esso ai fini della possibilit� di instaurazione della con� 
troversia. 

N� sono, al riguardo, invocabili i principi giuridici relativi all'avviso 
di accertamento tributario quale atto finale tipico del procedimento di 
determinazione degli imponibili delle imposte sui redditi. Come ha gi� 

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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 147 

affermato questa Corte (sentenza 17 novembre 1983, n. 6854), l'avviso cli 
classamento concerne un'operazione diversa e preliminare rispetto all'ac� 
certamento dei redditi fondiari tassabili, consistendo nella determinazio� 
ne della categoria e classe della singola unit� immobiliare e, in conseguenza, 
della rendita catastale, la quale, per�, non si identifica con il 
reddito imponibile, anche se ne costituisce la normale base cli calcolo. 
Correlativamente anche la motivazione dell'avviso cli classamento si differenzia 
-sempre secondo il citato precedente� -da quella dell'avviso 
di accertamento del tributo, in quanto la prima si sostanzia nella mera 
indicazione dei dati oggettivi acclarati dall'ufficio tecnico e della classe 
conseguentemente attribuita all'immobile, i quali sono elementi idonei a 
consentire all'interessato, mediante il rapporto con quelli indicati nella 
propria dichiarazione, cli intendere le ragioni del classamento e di tutelarsi 
mediante ricorso alle commissioni tributarie. 

In conclusione, deve affermarsi che la mancata notifica dell'avviso di 
classamento non ha determinato la inefficacia dell'atto, che � stato impugnato 
dai ricorrenti con pieno esame del merito. 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 4 m�ggio 1989, n. 2079 -Pres. Zucconi 
G~lli Fonseca -Est. Lipari � P. M. Di Renzo (conf.). Galmuzzi c. Mi� 
nistero delle Finanze (avv. Stato Braguglia). 

Tributi erariali diretti -Soggetti passivi � Liquidatore di societ� di capitali 
. Responsabilit� � Natura. 

(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 265; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 36). 
Tributi in genere -Contenzioso tributario � Competenza e giurisdizione � 
Azione di mero accertamento in sede ordinaria � Liquidatore di 
societ� di capitali � Ammissibilit� anteriormente all'accertamento 
della responsabilit� � Ricorso successivo all'accertamento � Giurlsdi� 
zione delle commissioni. 

(d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 36). 
La responsabilit� dei liquidatori, amministratori e soci di persone 
giuridiche per inosservanza dell'obbligo di pagare con le attivit� disponibili 
le imposte dovute dal soggetto in liquidazione, d� luogo, sia a norma 
dell'art. 265 del T. U. 29 gennaio 1958 n. 645, sia a norma dell'art. 36 del 

d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, che non ha modificato i caratteri sostanziali 
dell'istituto, ad un debito per fatto proprio nascente ex lege, non 
solidale n� sussidiario, autonomo e distinto da quello tributario (1). 
(1-2) Su una improbabile ipotesi di giurisdizione mutevole in materia di 
responsabilit� personale del liquidatore delle persone giuridiche. 

I -Con questa sentenza le Sezioni Unite, partendo da premesse che avrebbero 
meritato una riflessione critica, giungono ad una conclusione sconcertante. 

11 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

La responsabilit� dei liquidatori, amministratori e soci di persone 
giuridiche non avente natura tributaria � naturalmente soggetta alla giurisdizione 
ordinaria s� che � consentito p1�oporre innanzi a tale giurisdizione 
azione di accertamento preventivo diretta a far dichiarare l'insussistenza 
dei presupposti della responsabilit�. La giurisdizione delle commissioni 
tributarie imposta in modo anomalo dall'art. 36 del d.P.R. 29 settembre 
1973 n. 602, per una controversia che non ha natura tributaria 
sorge solo per effetto dell'accertamento dell'ufficio tributario e successivamente 
alla notifica di esso (2). 

1. -Con atto di citazione in riassunzione del 22-28 dicembre 1988, 
Ernesto Galmuzzi conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Cremona 
la s.p.a. Logam in liquidazione, il liquidatore Carlo Vercelli, i soci Mario 
Paesetti, Marco Paesetti e Giacomina Dossena in Paesetti, nonch� il ministero 
delle finanze e (�per notizia�) i procuratori della repubblica 
presso i Tribunali di Crema e di Milano. 
Premetteva l'attore che nel periodo dal 14 febbraio 1972 al 9 aprile' 
1979 aveva ricoperto formalmente la carica di amministratore unico di 
detta soc. Logam, ma che, in realt�, l'effettivo incarico di amministratore 
era stato svolto da Mario Paesetti, essendo egli un semplice inter-

Si prendono le mosse dalla affermazione che la responsabilit� del liqui� 
datore di societ� tassabili in base a bilancio prevista nell'art. 265 del t.u. 
del 1958 (per inosservanza dell'obbligo di pagare con le attivit� della liquida� 
zione le imposte dovute dalla societ�) concretava non un debito tributario ma 
un comportamento illecito da cui derivava un � debito per fatto proprio� non 
soggetto alla disciplina processuale tributaria al tempo vigente; la responsabilit� 
del liquidatore � trova la sua fonte in un rapporto obbligatorio autonomo e 
distinto da quello tributario, non solidale n� sussidiario, il quale nasce ope legis � 
in presenza di determinati presupposti; il liquidatore � cio� responsabile secondo 
le norme comuni degli artt. 1176 e 1218 cod. civ. 

Da questa premessa, pigramente ripetitiva bench� avallata da abbondanza 
di precedenti, si passa alla proposizione secondo la quale la modifica introdotta 
con l'art. 36 del d.P.R. n. 602/1973 avrebbe portata esclusivamente processuale, 
mentre resterebbero perfettamente valide tutte le argomentazioni elaborate 
anteriormente alla riforma sulla natura sostanziale (non tributaria) della 
responsabilit� del liquidatore. 

Si trae quindi la conclusione che l'azione di mero accertamento preventivo 
volta a verificare la insussistenza della qualit� di liquidatore avente natura 
� negativa di un diritto soggettivo extratributario � rientra per sua natura nella 
giurisdizione del giudice ordinario e che la deroga a questa giurisdizione introdotta 
con l'art. 36 del d.P.R. 602/1973 opera solo dal momento in cui interviene 
l'atto di accertamento della responsabilit� per effetto del quale l'obbligazione 
non tributaria � la cui inesistenza ben pu� accertare il giudice ordinario, in via 
preventiva, si irrigidisce negli schemi del provvedimento amministrativo tributario 
di cui segue la disciplina anche giurisdizionale �, L'art. 36 ha introdotto 
una � giurisdizione tributaria anomala� giacch� senza un intervento espresso 
del legislatore non sarebbe stata in nessun modo ipotizzabile la giurisdizione del 
giudice tributario; ma ci� �non comporta un ripensamento sulla natura del


.. .. . I 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRmUTARIA 149 

posto, legato alla societ� da un rapporto di lavoro subordinato e privo 
di qualsiasi potere decisionale; che nell'ambito dell'attivit� di commercio 
petrolifero della societ� erano state rilevate, ed erano in corso di 
accertamento da parte di varie autorit� giudiziarie, gravi infrazioni di 
carattere penale e fiscale nelle quali egli era rimasto coinvolto per la 
sua qualit� di amministratore unico, bench� del tutto ignaro della � doppia 
attivit� � di contrabbando coperta dalla societ�; che dalle inchieste 
penali in corso emergeva, o stava per emergere, la sua estraneit� alle 
frodi e, per converso, la reale figura del Paesetti quale titolare del pacchetto 
di maggioranza ed effettivo proprietario e amministratore della 
societ�; che per le vicende di evasioni petrolifere,� delle quali egli non 
aveva neppure conoscenza, l'amministrazione finanziaria aveva emesso nei 
suoi confronti numerosi atti ed avvisi di pagamento riguardanti sanzioni 
per alcuni miliardi. 

Tutto ci� premesso, l'attore chiedeva: 1) dichiararsi la simulazione 
assoluta del rapporto organico solo formalmente intercorso tra lui e la 
Logam nel periodo 14 febbraio 1972 -9 aprile 1979 ed accertarsi conseguentemente 
che l'unica persona avente poteri decisionali e di rappresentanza 
nell'ambito della societ� era sempre stato Mario Paesetti; 2) accertarsi 
la sua estraneit�, anche ai fini della responsabilit� civile e fiscale, 

l'obbligo ma rappresenta la riprova del carattere non tributario del medesimo "� 

Da tutto questo discende che finch� l'atto di accertamento non sia venuto 
in essere il soggetto interessato pu� adire il giudice ordinario per far accertare 
l'inesistenza dei presupposti della responsabilit� � senza che gli si possa obiettare 
che non sono proponibili azioni di accertamento negativo di obbligazioni tributarie 
�, mentre dopo la notifica dell'accertamento scatta la previsione innovativa 
dell'art. 36 e si radica la giurisdizione innanzi alle commissioni �nonostante 
la natura non tributaria della pretesa �. 

II -:t> forse la prima volta che si profila una ipotesi di spostamento della 
giurisdizione in dipendenza dell'emanazione di un atto di accertamento dell'Am� 
ministrazione finanziaria con l'effetto veramente singolare di ammettere la per-� 
corribilit� di un �doppio binario� (1), senza peraltro nemmeno proporre i 
modi in cui le due diverse iniziative processuali possano coordinarsi senza 
sovrapporsi (2). 

Va subito precisato che il mutamento della giurisdizione non � posto in 
relazione all'effetto costitutivo dell'atto di accertamento come operante una 
modificazione della situazione soggettiva (ad es. degradazione da diritto soggettivo 
ad interesse legittimo) che possa giustificare il venir meno della giurisdizione 
(3); l'accertamento darebbe solo concretezza ad una giurisdizione anomala, 
che attrae forzatamente verso le commissioni la controversia che per sua natura 

(1) SPECA, Esperibilit� davanti al giudice ordinario dell'azione di disconoscimento della 
qualit� di amministratore, in Dir. prat. trib., 1990, II, 41, a commento della stessa sentenza. 
(2) GtENDI, Commentario alle leggi sul contenzioso tributario, Milano, 1990, 70, sempre con 
riferimento alla sentenza in esame. 
(3) E. sufficiente considerare al riguardo che la ipotesi di azioni di mero accertamento 
preventivo innanzi all'A.G.O., pi� che mai in duplicazione del ricorso alla commissione, � decisamente 
rifiutata da GtENDI, L'oggetto del processo tributario, Padova, 1984, 58 ss. e 728 ss.; 
Io., Commentario, cit., 34 ss., che �ncora la giurisdizione tributaria all'interesse le~ttimo. 

I150 RASSEGNA DEU..'AWOCATURA DEU..O STATO 

Imalle attivit� di evasione fiscale per mancato pagamento delle imposte di 
fabbricazione e di ogni altro tributo della � Logam �, con efficacia di tale 
accertamento nei confronti del ministero delle finanze e delle altre parti 
in causa, e ci� anche ai sensi e per tutti gli effetti di cui all'art. 36 d.P.R. 

I

n. 602 del 1973; 3) condannarsi i convenuti (eccetto gli uffici del p.m.) alle 
spese 
in caso di resistenza. 
Si costituivano in causa il ministero delle finanze, la s.p.a. Logam, 

I 
in persona del suo liquidatore Carlo Vercelli e quest'ultimo in proprio. 
Il g.i. del Tribunale di Crema, con provvedimento 1� ottobre 1981 ex articolo 
38 c.p.c., su eccezioni dell'amministrazione finanziaria, dichiarava l'incompetenza 
per territorio di detto tribunale e designava come competente 
il Tribunale di Brescia, ordinando la cancellazione della causa dal 
ruolo. 

Con atto del dicembre 1981 il Galmuzzi provvedev� a riassumere la 
causa davanti al Tribunale di Brescia, insistendo nelle richieste originarie. 

Il ministero delle finanze si costituiva in giudizio ed oltre a chiedere 
il rigetto o la declaratoria di inammissibilit� delle domande, eccepiva il 
difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore delle commissioni 
tributarie. 

In relazione a tale eccezione di Galmuzzi ha proposto la presente 
istanza di regolamento di giurisdizione, chiedendo affermarsi che per la 

� e resta extratributaria. Del resto la S.C., pur senza dichiararlo espressamente, 
si muove nel solco della sua ferma tradizione giurisprudenziale che concepisce 
il processo speciale tributario come di accertamento del rapporto del diritto 
soggettivo sia pure introdotto sotto forma di impugnazione di atti (4). 

Ma se la situazione soggettiva resta la medesima, come pu� un atto di 
accertamento dei presupposti di una responsabilit� ex lege (quindi necessariamente 
un atto dichiarativo) operare lo spostamento della giurisdizione? 

Non si pu� pensare che la S.C. abbia inteso affermare in termini generali 
che la �giurisdizione tributaria, condizionata ad uno degli atti di cui all'art. 16 
del d.P.R. n. 636/1972, si radica solo a seguito della emanazione di uno di quegli 
atti e che anteriormente non � esclusa la sussistenza della giurisdizione ordinaria 
per l'accertamento di rapporti di diritto comune. 

Se 
cos� fosse, sarebbe sempre consentito far accertare dall'A.G.O., prima 

della notifica di un provvedimento, con giudicato efficace nei confronti dell'Am


ministrazione finanziaria, la qualit� di erede, la simulazione di un contratto, la 

qualdt� di socio di una societ�, di coniuge, di cessionario di azienda, di 

possessore di immobile e di tante altre situazioni giuridiche ipoteticamente rile


vanti su future pretese di imposta (5). 

Ma � evidente che la giurisdizione � predeterminata (nell'art. 1 del d.P.R. 

n. 636 piuttosto che nell'art. 16) in relazione alle situazioni sostanziali ,e se il 
ricorso al giudice tributario non � ammesso prima della emanazione di un atto 
(4) Senza entrare in questo vastissimo territorio mi limito a rinviare a BAFl'LE, Motivazione 
dell'accertamento e natura del processo secondo l'ultimo indirizzo delle Sezioni Unite, in Rass. 
trib., 1989, I, 247. 
(5) Per la confutazione di tale prospettiva v. GLENDI, Commentario, cit., 36, con ampie 
citazioni di dottrina e giurisprudenza. 
~ 
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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 151 

causa e le domande da lui formulate davanti al Tribunale di Brescia sussiste 
giurisdizione dell'.A.G.O. e non quella delle commissioni tributarie. 

Sostiene all'uopo il ricorrente che le responsabilit� e le sanzioni previste 
dall'art. 36 d.P.R. 602/73 (disposizioni sulla riscossione dell'imposta 
sui redditi) a carico degli amministratori, ex amministratori o soci di 
soggetti tassabili in base a bilancio non determinano una coobbligazione 
solidale per responsabilit� di imposta, dovendosi escludere la natura tributaria 
della responsabilit� prevista dalla suddetta norma, la quale non 
si riferisce al mancato pagamento del tributo, tenendone le veci, ma 
dipende da fatto proprio del liquidatore, amministratore e socio, che, 
in presenza di attivit� sociali, non ne ha fatto impiego prioritario per 
il pagamento delle obbligazioni tributarie facenti carico alla societ�, trattandosi 
di responsabilit� sussidiaria di natura sanzionatoria. 

Non pu� revocarsi in dubbio, pertanto, il diritto del soggetto obbligato 
ex art. 36 d.P.R. n. 602 del 1973 di reagire alla pretesa, che potrebbe 
essere fatta valere secondo moduli amministrativi e provvedimenti autoritativi 
del fisco, chiedendo in prevenzione al giudice ordinario l'accertamento 
negativo di quella responsabilit�, con onere a proprio carico di 
fornire la prova liberatoria al riguardo. 

L'amministrazione delle finanze non ha svolto attivit� difensiva. 

Motivi della decisione. -1. -Ernesto Galmuzzi, avendo ricoperto la 
carica di amministratore unico della societ� per azioni Logam, in liqui


(giurisdizione condizionata) ci� da un lato rileva solo temporalmente sui modi 
dell'esercizio dell'azione, dall'altro esclude che la identica questione possa essere 
comunque deferita ad altra giurisdizione. 

Si deve quindi escludere che l'art. 36 nel deferire al giudice tributario il 
ricorso contro l'accertamento della responsabilit� del liquidatore (parliamo per 
brevit� di liquidatore e societ� intendendo riferire il discorso secondo quanto 
prevede l'art. 36, anche all'amministratore ed ai soci o associati di soggetti 
all'imposta sul reddito delle persone giuridiche) la abbia limitata temporalmente 
ponendo come dies a quo la notifica dell'accertamento. 

Alla giurisdizione delle commissioni � deferita nella totalit� la controversia 
sulla responsabilit� del liquidatore; tutt'altro ordine cli questione � la disciplina 
del momento e della forma in cui l'a:lli.one pu� essere esercitata. Ma 
� certo che il clifetto temporaneo cli giurisdi:lli.one del ~udice tributario anteriormente 
all'emissione di un provvedimento de1J.'Amminist!l'a2lione non ammette 
la sussistenza cli altra giurisdizione. 

La giurisdizione, per quanto anomala, creata dall'art. 36 ha sottratto alla 
giurisdizione dell'A.G.O. la controversia, in qualunque modo prospettata, della 
responsabilit� del liquidatore. 

Se la norma, sia pure in pi.odo anomalo, ha ricompreso nella giurisdizione 
tributaria un rapporto extratributario, essa va applicata a meno che non si 
voglia dubitare della sua legittimit� (6); ma non � concepibile applicare la 

(6) ti. stata anche sostenuta, irragionevolmente, la illegittimit� costituzionale dell'art. 36 
per eccesso di delega: v. autori citati in GLENDI, Commentario, cit., 70. 

RASSEGNA DELl..'AVVOCATURA DELLO STATO 

dazione, coinvolta in violazioni fiscali per evasione delle imposte di fab� 
bricazione sui prodotti petroliferi, dell'IVA e delle imposte dirette, ha 
chiesto al giudice ordinario di accertare che la copertura della carica 
di amministratore da parte sua era meramente fittizia, essendo egli effettivamente 
solo un dipendente della soci�t� come lavoratore subordinato, 
chiamato alla carica in senso meramente� formale essendo dominus della 
societ� medesima Mario Paesetti, e dovendosi, pertanto, considerare simulato 
il rapporto organico che apparentemente lo legava alla societ�. 

In connessione con tale domanda (principale) di simulazione il medesimo 
Galmuzzi ha chiesto altres� l'accertamento negativo della propria 
responsabilit�, ai fini tributari per le evasioni fiscali, con efficacia dell'accertamento 
stesso nei confronti dell'amministrazione finanziaria ai 
sensi e per gli effetti dell'art. 36 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 riguardante 
gli obblighi degli amministratori e liquidatori delle societ� che non 
abbiano provveduto a soddisfare le obbligazioni creditorie di questa. ~ 

Stabilisce il primo comma dell'art. 36 che i liquidatori dei soggetti 

I

all'imposta sul reddito che non adempiano all'obbligo di pagare con le ~ 
attivit� della liquidazione le imposte dovute per il periodo della liqui~ 
dazione medesima e per quelli anteriori, rispondono in proprio del paga


J

mento delle imposte se soddisfano crediti di ordine inferiore a quello 

t 

;


I " 

norma in modo parziale, aprendo una, forse unica, incoerente e pericolosa 
breccia verso il doppio binario e verso la reintroduzione delle azioni di mero 
accertamento preventivo. Non esistono nella esperienza giuridica altre ipotesi 
di situazioni in cui la giurisdizione si trasferisce con l'evolversi (senza trasformazioni) 
della situazione medesima (7). i 

III � Con quanto affermato con la sentenza che si commenta, non solo si ~ 
� riconosciuto praticabile un doppio binario, ma si � anche ammessa la proponibilit� 
,di un'azione di mero accertamento preventivo; ci� in base alla semplice 
considerazione che non si incontrano i divieti che valgono solo in materia 

I 

tributaria. ~ 
Senza affrontare il problema delle azioni di mero accertamento, si ritiene r 
necessario rilevare che, posta come pacifica l'improponibilit� di tali azioni sia 

IE

innanzi alle commissioni sia innanzi all'A.G.O. relativamente a tutte le controE 
versie tributarie (o almeno a quelle devolute alla giurisdizione delle commisI 


!!

sioni (8)), non pu� non seguirsi lo stesso orientamento per tutte le situazioni 

i 

(7) Veramente problematica � la c;ostruzione secondo la 9uale l'obbligazione ex lege del 
liquidatore che gi� esiste come obbligazione civile, � si irrigidisce ne~li schemi del provvedimento 
amministrativo tributario di cui segue la disciplina anche giurisdizionale �. 
(8) Correntemente si ripete che le azioni di mero accertamento sono state ammesse dalla 
I

~urisprudenza nelle imposte indirette e lo sarebbero tuttora (una riaffermazione in tal SIJnso 
e stata ultimamente fatta dalle Sezioni Unite con la sent. 1� aprile 1987, n. 3107, in Boli. trib., I 
1987, 839, in un caso molto particolare); ma la affermazione va rivista perch� a seguito della 
riforma il principio della giurisdizione condizionata � stata ribadita in via generale per tutti 
i tributi; anzi per le imposte indirette soggette alla giurisdizione ordinaria l'azione deve essere 
preceduta non solo da un provvedimento dell'ufficio ma anche da un ricorso amministrativo 
(art. 38 d.P.R. n. 640/1972; art. 11 d.P.R. n. 641/1972; art. 33 d.P.R. n. 642/1972; art. 20 d.P.R. 

I

n. 638/1972; art. 24 d.P.R. n. 639/1972; pi� recentemente art. 3 legge 24 gennaio 1978, n. 27. 
Sullo stesso piano aitt. 76 e 82 d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 sulle imposte doganali). Ed � I 

coerente che sul punto non vi sia differenza tra imposte dirette ed indirette e tra giurisdi


i

zione ordinaria e giudisdizione speciale. Per la inammissibilit� in via generale delle azioni 
di mero accertamento cfr. da ultimo Cass., 19 giugno 1990, n. 6174, in Corr. trib., 1990, 2595. 


I

; 

I 

I 

I 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 153 

tributario, o assegnano beni ai soci o associati senza avere prima soddisfatto 
i crediti tributari. 
Ai sensi del secondo comma la stessa responsabilit� si estende agli 
amministratori in carica al momento dello scioglimento della societ�. 

Infine il quarto comma prevede la responsabilit� personale anche per 
gli amministratori che abbiano compiuto nel corso dei due ultiini periodi 
di imposta precedenti alla messa in liquidazione operazioni di liquidazione 
ovvero di occultamento di beni. 

Come evidenziato nella relazione ministeriale la norma dell'art. 36 
costituisce una pi� attenta rilettura del precedente art. 265 del testo unico 

n. 645 del 1958 la cui portata viene estesa alla responsabilit� solidale dei 
soci ed associati che hanno ricevuto in assegnazione beni nei due periodi 
di imposta precedenti alla liquidazione ed agli amministratori che, nello 
stesso periodo, hanno compiuto operazioni di liquidazione o di occultamento 
di beni. 
2. -Questa essendo la base normativa dell'azione di accertamento 
negativo proposta dal Galmuzzi che intende sottrarsi alla responsabilit� 
che discende dal richiamato articolo, risulta giuridicamente fondata la 
tesi del ricorrente il quale, richiamando il costante orientamento della 
giurisprudenza di questa corte regolatrice, sostiene la giurisprudenza del 
giudice ordinario al riguardo, avendo proposto il presente regolamento preper 
le quali � attribuita alla Amministrazione finanziaria, sia pure in modo 
anomalo, una potest� di accertamento ed � designata la giurisdizione delle commissioni. 
Tutte le ragioni che sostengono la regola che vieta la proponibilit� 
dell'accertamento preventivo valgono allo stesso modo per il problema in questione: 
se � nell'attribuzione dell'ufficio tributario accertare la responsabilit� 
del liquidatore, questa attribuzione non pu� essere usurpata anticipando con 
una pronunzia giurisdizionale la verifica della sussistenza della obbligazione; 
e se la giurisdizione � prestabilita in via successiva sotto forma di ricorso contro 
l'accertamento innanzi al giudice speciale, non pu� esservi concorrenza 
di altra giurisdizione in via preventiva. 

A tutte le ragioni che si adducono per escludere la proponibilit� delle 
azioni di mero accertamento, che � qui superfluo richiamare, si pu� aggiungere 
che nella controversia in esame, come in ogni altra controversia di imposta, 
l'azione preventiva, oltre a sovvertire in modo sostanziale le regole dell~ attuazione 
del rapporto con la soppressione del procedimento amministrativo, la 
modificazione del regime della prova e del relativo onere, costringe l'Ammini� 
strazione a seguire in tempi e sedi non proprie l'iniziativa del soggetto passivo, 
mentre essa deve perseguire la sua attivit� secondo programmi e moduli orga� 
nizzativi predisposti (art. 36-bis e 37 d.P.R. n. 600/1973) e in ragione di termini 
che l'iniziativa casuale del privato non pu� sovvertire. Ma vi � di pi�. Perch� 
l'azione di accertamento preventivo possa essere ammissibile sul piano dell'in� 
teresse deve esservi un principio di attivit� dell'Amministrazione (un procedi� 
mento in itinere) che concreti quanto meno una minaccia capace di ingenerare 
incertezza. Ma se in questo momento interviene una azione preventiva di accer


tamento, la materia in quel momento controvertibile risulta diversa da quella 

che potr� essere al termine del procedimento amministrativo. Nel caso di specie, 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

154 

v�ntivo, per confutare in radice l'eccezione dell'amministrazione finan~: 


~ 
ziaria di difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore delle com


II 
ili

missioni tributarie rispetto alla proposta azione qualificata inesattamente 
come azione di accertamento negativo di obbligazione tributaria. . 


.

La responsabilit� del liquidatore od amministratore di una societ� tassabile 
in base a bilancio, contemplata dall'art. 265 d.P.R. 26 gennaio 1958 

n. 645 per inosservanza dell'obbligo di pagare con le attivit� della liquidazione 
le imposte dovute dalla societ� medesima, integrava per univoco in� 
dirizzo giurisprudenziale, non un debito tributario, ma un debito da comportamento 
illecito, la cui esigibilit� non richiedeva un'autonoma iscrizione 
a ruolo, ma derivava dall'iscrizione a ruolo delle suddette imposte a carico 
della societ�, nonch� dal provvedimento con il quale l'intendente di finanza 
I 

disponeva l'applicazione della citata norma sanzionatoria (Cass., sez. un., 
2145/85, Foro it., Rep. 1985, voce Riscossione delle imposte, n. 122). 
Non trattandosi di obbligazione (o coobbligazione) riferita al debito 
tributario, ma di debito per fatto proprio, ne consegue che l'azione di detto 

I

liquidatore od amministratore davanti al giudice ordinario, per contestare 
la sussistenza degli elementi costitutivi di quella responsabilit�, non investe 
il rapporto tributario, e non � quindi soggetta n� alle preclusioni previste 
dagli artt. 208 e 209 del citato decreto, in relazione alla pendenza dell'esecu


I

zione esattoriale, n� al preventivo esperimento di ricorso alle commissioni 
tributarie (Cass. 6477-86, id., Rep. 1987, voce Tributi in genere, n. 1165; � 

li

2955/86 ibid., voce Guerra (provvedimenti), n. 2; 549/81, id., Rep. 1981, voce 

Ila responsabilit� del liquidatore pu� concretarsi solo al termine della liquidazione, 
sia essa formale o di fatto, quando sar� certo che non esistono pi� fil 

~ 

at1livit� sociali e che non si � provveduto e non pu� p.i� provvedersi al pagamento 
dei debiti di imposta; ma se l'azione di accertamento mero viene anticipata 
ad un momento in cui la liquidazione � ancora in corso, essa avr� ad 
oggetto una situazione diversa, non solo come materiale probatorio ma come 
presupposti, da quella che sar� (o potr� eventualmente essere) materia dell'accertamento. 


E cos� si pone in termini assolutamente insolubili il problema, signific;:ativamente 
taciuto nella sentenza in esame, del coordinamento tra azione preventiva 
innanzi all'A.G.O. e ricorso successivo innanzi alla Commisisone. 

Infine l'azione di mero accertamento si giustifica solo quando corrisponde 
� a sentite esigenze di tutela insuscettibili di essere altrimenti appagate >>, il 
che non si verifica quando � data, come in tutti i rapporti tributari, una efficace 
tutela tipica innanzi alla giurisdizione speciale (9). 

IV -L'occasione sarebbe stata propizia per una maggiore riflessione sulla 
natura della responsabilit� del liquidatore ed una pi� attenta verifica della 
portata dell'art. 36 del d.P.R. n. 602. La troppo affrettata affermazione che nulla 
sarebbe cambiato sul piano sostanziale ha portato alla inaccettabile concezione 
di un provvedimento amministrativo, che solo �dal trattamento formale >>, trasforma 
un'obbligazione civile in un rapporto tributario �anche sostanziale�. 

(9) GLENDI, L'oggetto, cit., 736. 
:: 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 155 

Riscossione delle imposte, n. 62; 2925/78, id., R~p. 1978, voce cit., n. 90 
1273/78, ibid., n. 87; 1484/72, id., Rep. 1972, voce Tributi in genere, n. 181). 

Alla radice dell'espresso indirizzo giurisprudenziale sta il rilievo che la 
responsabilit� considerata non � collegata all'inadempimento di una obbligazione 
tributaria, ma al fatto proprio del liquidatore, individuato in talune 
decisioni nella condotta dolosa o colposa del soggetto (cfr. Cass. 3021/71 
id., Rep. 1971, voce Riscossione delle imposte, e 1484/72, cit.), ma succes� 
sivamente puntualizzato nel senso che la responsabilit� stessa trova fonte 
in un rapporto obbligatorio autonomo e distinto da quello tributario, non 
solidale n� sussidiario, il quale nasce ape legis, per effetto della sussistenza 
di � attivit� � nel patrimonio della societ� in liquidazione, ovvero di quella 
per la quale si sia verificata una causa di scioglimento, nonch� per effetto 
della circostanza della distrazione di tali � attivit� '" da parte dei liquida� 
tori od amministratori, a fini diversi dal pagamento delle imposte dovute 
(Cass. 1273/78, cit.). 

Deve essere, pertanto, ribadito che il rapporto giuridico in forza del 
quale il liquidatore ed amministratore � tenuto a rispondere in proprio 
delle imposte evase, non � fondato sul dolo o sulla colpa, ma ha la sua 
fonte in una obbligazione ex lege, di cui il liquidatore � responsabile se� 
condo le norme comuni degli artt. 1176 e 1218 e.e. in relazione agli elementi 
obiettivi della sussistenza di attivit� nel patrimonio della societ� in liquida� 

Gi� sotto la vigenza del T.U. del 1958 la responsabilit� del liquidatore si 
doveva riportare nell'obbligazione tributaria (10). 

Inizialmente la responsabilit� del liquidatore veniva fondata su un com� 
portamento doloso o colposo fonte di una obbligazione risarcitoria autonoma 
rispetto all'imposta (11). Successivamente la ricostruzione dell'istituto � stata 
operata dalla giurisprudenza della S.C. Con le sentenze 6 luglio 1977, n. 2972 e 
2 agosto 1977, n. 3411 (12) fu affermato che il liquidatore risponde a titolo 
proprio (non in solido con la societ� e nemmeno in via sussidiaria) per il sol 
fatto dell'esistenza di un attivo sociale non utilizzato per il soddisfacimento del 
debito di imposta, indipendentemente da una condotta colposa; tale responsa� 
bilit� creata dalla norma tributaria � di natura totalmente diversa da quella 
regolata dall'art. 2456 C.C. con la conseguenza che la relativa obbligazione � 
soggetta alla prescrizione ordinaria e non alla prescrizione quinquennale del� 
l'art. 2947. Ritornando sul tema, le sentenze 14 marzo 1978 D.. 1273 e 10 giugno 
1978, n. 2927 (13) aggiunsero che bench� la responsabilit� ex lege fosse di carattere 
obiettivo, il liquidatore non pu� essere considerato un responsabile, di 

(10) BAFILE, Sulla responsabilit� personale del liquidatore e dell'amministratore delle per�
sane giuridiche, in questa Rassegna, 1977, I, 700; Io., Ancora sulla responsabilit� personale del� 
l'amministratore e del liquidatore delle persone giuridiche, ivi, 1978, I, 478; Io., Responsabiledi imposta, in Nuovissimo digesto italiano -Appendice, VI, 633. 
(11) PARLATO, Il responsabile di imposta, Milano, 1962, 131 ss.; FALSITTA. Natura ed accertamento 
della responsabilit� dei liquidatori per il mancato pagamento delle imposte dirette 
dovute dagli enti tassabili in base a bilancio, in Riv. dir. finanz., 1963, 253 ss.; FEDELE, Diritto 
tribuiario e diritto civile nella disciplina dei rapporti interni tra i soggetti passivi del tributo, 
ivi, 1969, I, 45, nota 72; pi� recentemente DoLFIN, Profili innovativi della disciplina della responsabilit� 
dei liquidatori, degli amministratori e dei soci introdotta dall'art. 36 d.P.R. n. 602 
del 1973, ivi, 1976, II, 271. 
(12) In questa Rassegna, 1977, I, 699. 
(13) In questa Rassegna, 1978, I, 478. 

156 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

zione e della distrazione di tali attivit� a fini diversi dal pagamento delle 
imposte dovute (Cass. 2972/77, id., 1978, I, 709). 

Stante la natura non fiscale dell'obbligazione, l'azione di accertamento 
proposta dal liquidatore o dall'amministratore per dimostrare l'inesistenza 
dei presupposti di tale obbligazione ex lege non compete alla giurisdizione 
della commissione tributaria la quale risulta configurabile alla stregua 
del ricordato art. 36 solo in presenza di atto di accertamento (ex art. 60 

d.P.R. n. 600 del 1973) contro il quale � ammesso ricorso, secondo le disposi� 
zioni relative al contenzioso tributario, di cui al d.P.R. 26 ottobre 1972 
n. 636, che non sospende di per s� l'esecuzione, potendo provvedere al 
riguardo su istanza dell'interessato, l'intendente di finanza (cfr. art. 36 
quinto e sesto comma, ed art. 39, primo comma, d.P.R. n. 602 del 1973). 
Non � senza significato che il legislatore abbia ritenuto di richiamare 
espressamente le norme sul contenzioso tributario di cui al d.P.R. n. 636 
del 1972, il cui art. 1 contiene un elenco rigorosamente tassativo dell'area 
di giurisdizione riservata .alle commissioni medesime, che in tanto spetta 
in quanto si tratti di controversie attinenti a quelle ben specificate imposte 
che sono richiamate dalla norma, e si tratti di impugnare taluno degli atti 
ivi specificati (anche se la tassativit� dell'elencazione � suscettibile di interpretazione 
adeguatrice, per evitare vuoti di tutela come ha puntualizzato 
la Corte costituzionale). 

imposta obbligato in via sussidiaria al pagamento del tributo, perch� risponde 
a titolo proprio di un'obbligazione civile di misura solo oggettivamente corri� 
spondente all'imposta; conseguentemente la domanda da esso proposta per 
opporre l'inesistenza della sua responsabilit� (non dell'obbligazione tributaria 
della societ� che non pu� contestare) si configura come una controversia non 
tributaria devoluta alla giurisdizione ordinaria, bench� la responsabilit�, avente 
anche natura sanzionatoria (14) venisse accertata (p�r nel silenzio della legge) 
con provvedimento autoritativo contro il quale il responsabile ha l'onere di 
assumere l'iniziativa processuale. 

Questa giurisprudenza si � consolidata (15); ed � stata accolta da parte 
della dottrina (16). 

La detta costruzione dell'istituto � per pi� profili contraddittoria. A parte 
l'idea non lineare di una obbligazione civile di ammontare corrispondente 
all'imposta, � difficile spiegare come una responsabilit� di natura obiettiva di 
diritto comune possa trarre origine da una norma tributaria e come la sottolineata 
differenziazione dalla responsabilit� ex art. 2456 non attragga la posi� 
zione del liquidatore, pur soggetto alla potest� di accertamento, nell'orbita 

(14) La natura prettamente sanzionatoria della responsabilit� del liquidatore � sostenuta 
dal D'ORSI, Sulla responsabilit� dei liquidatori ed amministratori per le imposte non pagatedalla societ�, in Dir. prat. trib., 1979, II, 273; ID., La responsabilit� degli amministratori e dei 
liquidatori di societ� per le sanzioni fiscali e le imposte non pagate dalla societ�, in Le san� 
zioni in materia tributaria, Milano, 1979, 204 ss.; v. anche MltHEU, Corso di diritto tributario, 
Torino, 1981, 147. 

(15) Ca!!s., 19 maggio 1980, n. 3270, in questa Rass~gna., 1980, I, 22?; 6 maggio 1985, nn. 2820, 
2821 e 2822, ivi, 1985, I, 846; 6 novembre 1986, n. 6477, m Dir. prat. trzb., 1988, Il, 65. ,, ~~ 
(16) TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, Torino, 1987, 96; VIGLIOTTI, Note sulla disci� 
f'

plina della responsabilit� dei liquidatori e amministratori per le imposte non pagate dalla so


ciet�, in Dir. prat. trib., 1986, II, 21; SPECA, Problemi controversi sulla responsabilit� fiscale 
degli amministratori, ivi, 1988, II, 65. 

1: 
i: 
!! 

Il 

~ 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRmUTARIA 157 

Condicio sine qua non per ipotizzare la giurisdizione (speciale) delle 
commissioni tributarie �, dunque, l'esistenza di una controversia che 
riguardi obbligazioni tributarie afferenti agli indicati tributi e concerne 
l'impugnazione di specificati atti; ma poich� l'obbligazione di cui deve 
rispondere il liquidatore non ha natura tributaria, alla stregua di un 
costantissimo indirizzo giurisprudenziale che abbraccia quasi un ventennio, 
la profilabilit� di una competenza delle commissioni tributarie per 
quanto attiene all'accertamento dei presupposti della responsabilit� relativa, 
va esclusa, restando perfettamente valide a dieci anni di distanza, le 
rigorose argomentazioni che si leggono nella sentenza 2925 del 1978, cit., per 
negare che la fattispecie di cui all'art. 265 t.u. del 1958, cosl come poi quella 
di cui all'art. 36 t.u. n. 602 del 1973, integrasse una obbligazione tributaria 
(sia pure al livello della solidariet�), trattandosi di rispondere ex lege per 
fatto proprio secondo una misura di responsabilit� che nell'obbligazione 
tributaria trova il suo limite (cfr. il primo comma del cit. art. 36 secondo 
cui tale �responsabilit� � commisurata all'importo dei crediti di imposta 
che avrebbero trovato capienza.in sede di graduazione dei crediti � � nei 
limiti del valore dei beni occultati�) come precisa il comma successivo. 

Posto che l'azione di accertamento non riguarda la consistenza di una 
obbligazione tributaria, per contestare la giurisdizione del giudice ordinario 

tributaria. � poi difficile negare che la responsabilit� del liquidatore non sia 
sussidiaria: se il liquidatore per contestare la sua responsabilit� pu� solo 
opporre di non aver avuto la disponibilit� di attivit� sociali o di aver impegnato 
tutte le attivit� per il pagamento delle imposte, senza poter contestari> 
l'obbligazione tributaria della societ�, � chiaro che la sua responsabilit� non � 
autonoma dalla obbligazione principale, ma � da essa dipendente tanto che si 
modifica o si estingue parallelamente al debito tributamo della societ�; neppure 
pu� dirsi che il liquidatore non � assistito dal beneficio di escussione, p.::rch� 
la sua responsabilit� sorge in conseguenza del mancato adempimento della 
societ� (obbligato principale) contro la quale � stato emesso il ruolo; anzi 
la responsabilit� del liquidatore non si concreta minimamente fino a quando 
l'adempimento da parte della societ� � ancora possibile per non essere conclusa 
la liquidazione. 

Se la responsabilit� del liquidatore fosse veramente autonoma e di nat�r.:i 
civile, dovrebbero in qualche modo individuarsi le regole che la disciplinano, e 
che invece mancano completamente. Ci� avviene perch� il ldquidatore � responsabile 
dell'imposta, cos� come accertata nei confronti della societ�, che con� 
serva anche nei confronti del liquidatore i suoi connotati quanto al regime 
della prescrizione, dei privilegi, della riscossione, della mora, ecc. 

� vero che il liquidatore risponde a titolo proprio, ma l'oggetto di questa 
responsabilit� � l'obbligazione di altri secondo la regola del responsabile di 
imposta di cui all'art. 64 del d.P.R. n. 600/1973 (17). Questa conclusione la giuri� 
sprudenza ha tenacemente evitato per una ragione che fra breve si tenter� di 
individuare. Per escludere la ricomprensione del liquidatore nel responsabile 
di imposta si � opposto che la responsabilit� non sorge esclusivamente in 

(17) Per l'inquadramento del liquidatore nella figura del responsabile di imposta, pur con 
alcune particolarit�, si esprime POTITO, L'ordinamento tributario italiano, Milano, 1978, 370. 

158 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

I

non varrebbe richiamare l'orientamento che dopo la riforma tributaria 
ritiene improponibile nel nostro ordinamento l'azione di accertamento 
negativo dell'obbligazione tributaria anteriormente riconosciuta ammissibile 
davanti al giudice ordinario, dovendosi ritenere che un'azione siffatta 
non trovi pi� spazio n� davanti al giudice ordinario, n� davanti al giudice f:

I

:.:

tributario (cfr. Cass., sez. un., 6042/83, id., Rep.1983, voce Tributi in genere, 

n. 602; 660/86, id., 1986, I, 1902; 2218/81, id., 1981, I, 2206 1240/81, id., Rep. 
1981, voce cit., n. 998; 942/77, id., 1977, I, 811). 
Quella che il Galmuzzi ha incardinato , davanti al tribunale �, quindi, 
un'azione negativa di un diritto soggettivo extratributario che rientra, in 
assenza di disposizione derogatoria, nella giurisdizione del giudice dei 
diritti per antonomasia e cio� del giudice ordinario, avendo natura di 
deroga ai principi generali sul riparto della giurisdizione l'attribuzione che 
l'ultimo comma dell'art. 36 prevede rispetto all'atto di accertamento delle 
relative responsabilit�, dando prevalenza alla forma dell'atto che quantifica 
la pretesa ed intima l'adempimento all'obbligo rispetto all'intrinseca natura 
(non tributaria) della pretesa azionata, sicch� sotto questo profilo 
l'obbligazione, la cui inesistenza ben pu� accertare il giudice ordinario, in 
via preventiva, si irrigidisce negli schermi del provvedimento amministrativo 
tributario di cui segue la disciplina anche giurisdizionale. 

conseguenza dell'inadempimento dell'obbligato principale ma richiede un ulteriore 
elemento, ossia un comportamento contra legem del liquidatore. 

Ma il :responsabile di imposta risponde in via sussidiaria non semplicemente 
in conseguenza dell'inadempimento dell'obbligato principale, ma anche 
in quanto si avverino i presupposti volta a volta considerati dalla legge che 
costituiscono il titolo della responsabilit�; vi � sempre un quid pluris oltre 
l'inadempimento che d� fondamento alla responsabilit� per l'obbligo altrui 
altrimenti ingiustificabile. In tutte le ipotesi dell'art. 64 a concretare la responsabilit� 
sussidiaria concorre un presupposto (cessione di azienda, qualit� di 
socio illimitatamente responsabile) a volte rapportabile ad un comportamento 
attivo (socio accomandante che compie atti di amministrazione) s� che non v:i 
� ragione per dare un particolare rilievo al fatto che la responsabilit� del liquidatore 
presuppone qualcosa di pi� dell'inadempimento. 

In conclusione gi� sotto il vigore del T.U. del 1958 si doveva ritenere che 
la responsabilit� del liquidatore fosse da riportare nell'ambito della soggettivit� 
passiva tributaria. Peraltro la sentenza n. 1273/1978 gi� citata aveva unificato 
sott� la normativa dell'art. 265 anche la responsabilit� del liquidatore per le 
imposte relative alle nuove iniziative da esso intraprese, per le quali a normi> 
dell'art. 2279 e.e. risponde illimitatamente; in questo caso non potrebbe minimamente 
dubitarsi della natura tributaria della obbligazione del liquidatore, che 
non � disomogenea rispetto all'altra ipotesi di responsabilit�. 

V -Le incongruenze che si sono riscontrate nella impostazione della giurisptudenza 
erano t�ttavia, al tempo, in larga misura giustificate. 
Stante la povert� della disciplina del T.U. del 1958 e sulla premessa che 
il liquidatore � vincolato alla obbligazione accertata verso la societ� .che � 

chiamato ad adempiere nella fase esecutiva, la giurisprudenza si preoccup� di 
lasciare a questo soggetto gravemente minacciato una possibilit� di difesa, pur 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 159 

In altre parole, mentre prima della innovazione normativa di cui ai 
commi quinto e sesto dell'art. 36, l'esigibilit� dell'obbligo a carico dell'am. 
ministratore o liquidatore della societ� non richiedeva una autonoma 
iscrizione a ruolo e si ricollegava puramente e semplicemente al prov� 
vedimento applicativo disposto dall'intendente di finanza, il nuovo testo 
unico si � preoccupato di disciplinare la fase procedimentale dell'accertamento 
ex art. 60 d.P.R. n. 600 del 1973. E rispetto al provvedimento amministrativo 
di accertamento ha ritenuto di prevedere una fase impugnatoria 
tipica davanti alle commissioni tributarie. La previsione di questa 
giurisdizione tributaria anomala~~on comporta un ripensamento sulla natura 
dell'obbligo, ma rappresenta la riprova del carattere non tributario 
del medesimo; ed infatti, se il legislatore non fosse intervenuto con una 
previsione espressa, non sarebbe stato in nessun modo ipotizzabile l'intervento 
del giudice tributario. Si � ritenuto, invece, opportuno rendere omogeneo 
il procedimento di accertamento dell'obbligo per responsabilit� 
extratributaria dell'amministratore o liquidatore, ai procedimenti di accertamento 
dei tributi e delle obbligazioni accessorie. Ed una volta pre� 

nei ristretti limiti ammessi; affermando la natura tributaria dell'obbligazione 
e la sua riscuotibilit� a mezzo ruolo, si andava incontro ai divieti delle opposizioni 
previsti dagli artt. 208 e 209 del T.U. Originariamente si ammetteva che 
al liquidatore fosse concessa soltanto l'azione di risarcimento del danno contro 
l'esattore dopo il compimento della esecuzione (18); ma questo rigore non 
era accettabile. D'altra parte assai incerta era pi� in generale la posizione deJ 
responsabile Qi imposta quanto alla sua tutela giurisdizionale. E cos� per riequilibrare 
un sistema imperfetto la S.C. afferm� che il liquidatore, come altri 
soggetti responsabili diversi dal contribuente, potessero tutelare la loro posizione 
innanzi all'A.G.O. con un'azione che si presentava con i caratte.:i dell'accertamento 
negativo (furono queste le sole ipotesi in cui venne riC<>nosciuta 
l'ammissibilit� dell'accertamento preventivo nelle imposte dirette (19J). In vista 
di questo risultato si afferm� (e forse non era indispensabile) che la responsabilit� 
del liquidatore si ponesse al di fuori del rapporto di impm.ta, bt:nch� 
rimanesse alquanto nel vago la affermata natura civile della responsabilit�. 

Peraltro al tempo non si poneva una questione di giurisdizione e~se.ndo 
tutte le controversie di imposta deferibili all'A.G.O., s� che il dubbio da superare 
era solo se fosse o meno necessario il preventivo ricorso alla commissione 
almeno in un grado a norma dell'art. 22 del D.L. 7 agosto 1936, n. 1639. 

Ma a seguito della riforma tributaria si imponeva una riconsiderazione 
completa del problema. E bench� la S.C. avesse gi� affermato chi:: l'ultimo 
comma dell'art. 36 quale norma processuale fosse immediatamente applicabile 
anche ai rapporti anteriorl che rimanevano per la sostanza soggetti alla disciplina 
anteriore (20), ponendo cos� l'attenzione sulle sostanziali <lifferenze, la 
sentenza ora intervenuta ha senza esitazione stabilito che la riforma non ha 
mutato la essenza della responsabilit� del liquidatore. 

(18) Cass., 28 marzo 1973, n. 824, in questa Rassegna, 1973, I, 712. 
(19) BAFILE, Introduzione al diritto tributario, Padova, 1978, 262 ss.; v. anche annotazione 
alla 
sentenza in rassegna, in Boli. trib., 1989, 1661. 
(20} Sent. 6 maggio 1985, n. 2822, cit.; 24 giugno 1985, n. 3797, in Rass. trib., 1985, Il, 375. 



160 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
scelta tale strada rispetto all'atto di accertamento si � introdotta la giurisdizione 
impugnatoria di legittimit� rispetto alle obbligazioni medesime 
che tributarie non sono, ma scaturiscono dalla responsabilit� per il mancato 
pagamento delle attivit� della liquidazione delle imposte dovute 
dalla societ�. 
Elemento determinante ai fini dell'attribuzione della giurisdizione (non 
essendo dubbio che la ripartizione fra giudice ordinario e giudice tributario, 
nonostante la possibile inserzione in quel procedimento della corte 
d'appello ex art. 40 d.P.R. n. 636 del 1972, d� luogo a profili di giurisdizione) 
� quindi il concretizzarsi della pretesa @ll'amministrazione in un formale 
atto di accertamento ex art. 60 d.P.R. n. 600 del 1970. 

Venuto in essere, il soggetto interessato pu� adire il giudice ordinario 
per fare accertare l'inesistenza dei presupposti della responsabilit� per il 
mancato pagamento delle imposte a carico della societ�, o per l'occultamento 
di attivit� sociali, senza che gli si possa obiettare che non sono 

VI -L'art. 36 del D.P.R. n. 602, che sostituisce con un testo assai pi� 
articolato la previsione pi� che sommaria dell'art. 265 del r.u. del 1958, ha 
dato una definizione della responsabilit� del liquidatore che, sia o meno 
innovativa rispetto al passato, � sufficientemente chiara. 

Nel primo comma si legge che i liquidatori, che non adempicmo : il'c bbiigo 
di pagare con le attivit� della liquidazione le imposte dovute � rispondono in 
proprio al pagamento delle imposte�. Questa espressione, peraltro uguale a 
quella della precedente norma, non consente dubbi interpretativi; colui che 
risponde in proprio del pagamento� delle imposte dovute da altri i precisamente 
il. responsabile di imposta, soggetto ad una obbligazione tributana che ha per 
oggetto, per l'aippunto, l'imposta riferibile ad altri e non una obbligazione civile. 
Ma il testo normativo aggiunge, ed in questa parte � chiaramente irnovativo, 
che la responsabilit� nasce se i liquidatori soddisfano crediti di ordine inft:riore 
a quelli tributari o assegnano beni ai soci o associati senza aver prima soddisfatto 
i crediti tributari; la responsabilit� � commisurata ail'importo dei crediti 
di imposta che, sulla base di un piano di ripartizione nco�nmito ex post, 
avrebbero trovato capienza in sede di gradu�zione dd crediti. Da ci� emerge 
con tutta evidenza che la responsabilit� � dipendente rispetto alla obb!igazione 
principale al punto che si persegue il risultato di ric..oruporre la situazione 
normale che si sarebbe avuta se si fosse proceduto alla liquidazione nsp.�ttando 
l'ordine dei privilegi; quel che si pretende dal liquidatore in proprio � il 
pagamento di quella stessa imposta che il liquidatore, quale organo d"lla societ�, 
avrebbe dovuto pagare. 

Si deve osservare al riguardo che nella liquidazione della societ� il liquidatore 
non deve (e non pu�) tutelare la par condicio dei creditori e deve anzi soddisfare i 
editori nell'ordine in cui si presentano, ma se si avvede di non poter estinguere 
tutti i crediti, e segnatamente quelli tributari, per sottrarsi alla sua responsabilit� 
ha il dovere di promuovere la dichiarazione di fallimento (21). Ma ove il fallimento 
non sia stato dichiarato, l'art. 36 prevede la ricostruzione ex post, ovviamente 
nei soli confronti dell'amministrazione finanziaria, di una sorta di procedura con


(21) Cass., 6 maggio 1985, n. 2822, cit. 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 161 

proponibili azioni di accertamento negativo di obbligazioni tributarie 
per l'evidente ragione che l'obbligazione in contestazione non ha carattere 
tributario. 

Se per� l'amministrazione finanziaria si sia attivata ed abbia concre� 
tato la sua pretesa in accertamento formale, scatta la previsione normativa 
innovativa di cui all'art. 36 cit. e la giurisdizione oppositiva, solo in 
forza di questa espressa previsione di legge, si radica davanti alle commissioni, 
nonostante la natura non tributaria della pretesa. 

Sotto il vigore dell'art. 265 t.u. 29 gennaio 1958 n. 645, era stato precisato 
con estrema chiarezza (cfr. Cass., sez. un., 2925/78, cit.) che l'accertamento 
e l'affermazione della responsabilit� in proprio dei liquidatori ed amministratori 
di una societ� tassabile in base al bilancio, per il mancato paga� 
mento dei tributi dovuti dalla societ� medesima, spettano, lo stesso, all'intendente 
di finanza, secondo la procedura autoritativa prevista per l'accertamento 
di infrazioni e l'irrogazione di sanzioni dalla legge 7 gennaio 1929 

corsuale figurativa per porre a carico del liquidatore l'imposta che la societ� 
avrebbe dovuto pagare se l'ordine dei privilegi fosse stato rispettato. Tale finalit� 
di attuazione di una liquidazione concorsuale � perseguita in modo ancor piil 
evidente nel 3� comma dell'art. 36 che, dichiarando � responsabili del pagamento 
delle imposte � dovute dalla societ� i soci o associati che hanno ricevuto nel 
corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione 
denaro o altri beni in assegnazione dagli amministratori, d� luogo ad una sorta 
di revocatoria fallimentare. Tutto il sistema tende a recuperare verso il liquidatore 
o verso i soci l'imposta insoluta della societ�. 

Ora affermare che tutto questo complesso costrutto � estraneo aHa soggezione 
tributaria � veramente difficile. Pi� che mai � azzardato ritenere, come 
fa la sentenza in esame, che la responsabilit� del liquidatore � regolata dalle 
norme comuni degli artt. 1136 e 1218 e.e.-E quando pure fossero esatte le 
conclusioni raggiunte nel vigore dell'art. 265 del T.U. del 1958, del che � lecito 
dubitare, � arduo affermare che l'art. 36 conterrebbe la riprova del carattere non 
tributario dell'obbligo del liquidatore. Oltretutto il 3� comma dell'art. 36 nel 
disciplinare in modo particolarissimo la responsabilit� dei soci fa salve le maggiori 
responsabilit� stabilite dal codice civile. 

Nel 5� comma dell'art. 36 si riconduce l'accertamento della responsabilit� 
sulla potest� dell'ufficio tributario abilitato ad emettere un avviso di accertamento 
ordinario soggetto alle regole del� D.P.R. n. 600/1973. ~ appena necessario 
rilevare l'importanza della norma per escludere che la materia dell'accerta� 
mento possa essere una obbligazione civile; se cos� fosse l'art. 36 avrebbe imposto 
non soltanto una � anomala giurisdizione �, irrazionale ma pur ammis� 
sibile, ma anche una anomala attribuzione amministrativa ben difficilmente 
compatibile con i principi. 

Ma questa parte della norma � anche ben chiara nello stabilire che con il 
provvedimento dell'ufficio tributario si accerta � la responsabilit� di cui ai com� 
mi precedenti ,, non l'obbligazione che � quella gi� accertata nei confronti della 
societ�. Ci� riconferma il principio, ripetutamente affermato nella giurisprudenza, 
come si � visto, che il liquidatore pu� contestare la sussistenza della sua 
responsabilit�, ma non pu� contestare l'obbligazione tributaria gi� accertata nei 
confronti della societ�. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

162 

n. 4, sicch�, l'azione giudiziaria promossa da uno di quei soggetti, per insor� 
gere avverso il provvedimento dell'intendente affermativo di dette respon� 
sabilit�, si traduceva in un'azione di accertamento negativo della sussi� 
stenza dei relativi presupposti, nella quale l'obbligato assumeva la veste 
processuale e sostanziale di attore, e, come tale, era tenuto a fornire la 
prova della pretesa illegittimit� del provvedimento stesso, muovendo dal 
presupposto che tale responsabilit� non traeva origine da un'obbligazio~e 
e coobbligazione nel debito tributario, ma configurava una responsabilit� 
per fatto proprio, che presuppone l'esistenza, e la definitivit� di quel debito, 
restando escluso che l'azione proposta contro l'amministrazione fi. 
nanziaria da detti liquidatori od amministratori, per l'accertamento negativo 
degli elementi costitutivi dell'indicata responsabilit�, vertesse su rapporto 
tributario, e fosse quindi soggetta alle preclusioni previste dagli art. 
208 e 209 del citato decreto, in relazione alla pendenza dell'esecuzione esattoriale, 
ed al preventivo esperimento di ricorso alle commissioni tributarie. 
Da tutto quanto precede risulta ben evidente che la responsabilit� del 
liquidatore non � affatto autonoma e distinta ma strettamente dipendente dalla 
obbligazione tributaria; essa � sicuramente sussidiaria nel duplice significato 
che l'obbligo del liquidatore � conseguente al definitivo inadempimento della 
societ� precedentemente escussa e ormai incapace di a:de:mpiere, ma allo stesso 
tempo ha per oggetto la stessa obbligazione tributaria della societ� come accer� 
tata nei suoi confronti con atto opponibile al liquidatore (22). Ne consegue 
che la obbligazione del liquidatore � di natura tributaria e come tale natural� 
mente soggetta alla relativa disciplina quanto all'accertamento ed al conten� 
zioso (23). 

Pi� propriamente il liquidatore va definito a tutti gli effetti come un respon� 
sabile di imposta. 

A questo punto poteva anche essere superfluo l'ultimo comma dell'art. 36 
che esplicitamente ammette contro l'accertamento il ricorso secondo le disposizioni 
del D.P.R. n. 636/1972. Trattasi soltanto di una ripetizione che si risolve 
in una naturale, coerente e per nulla anomala conferma di quanto emergeva 
gi� dall'art. 16 del d.P .R. n. 636 (simile portata hanno altre norme, piuttosto 
pleonastiche, quali l'art. 61 del d.P .R. n. 600/1973, l'art. 59 del d.P.R. n. 633/1972, 
l'art. 49 del d.P.R. n. 634/1972, l'art. 26 del d.P.R. n. 637/1972). Tuttavia l'ultimo 
comma dell'art. 36 ha avuto importanza come indicazione di tendenza a ricomprendere 
nella giurisdizione speciale tributaria le controversie, pur sempre 
tributarie, relative a soggetti diversi dal contribuente. Nella previsione originaria 

(22) Se l'obbligazione del liquidatore fosse veramente autonoma rispetto a quella della societ�, 
ne seguirebbe che l'adempimento di una delle due obbligazioni � indifferente per l'altra 
ed anche che il liquidatore che ha adempiuto la sua personale obbligazione non ha facolt� di 
rivalsa verso la societ�. � invece evidente che se, dopo la liquidazione, alla societ� affluiscono 
sopravvenienze che consentono di estinguere o decurtare il debito di imposta, il liquidatore � 
nei limiti liberato e, al contrario, se il liquidatore ha versato quanto preteso contro di lui, 
la societ� � assolta da!l'obblillazione tributaria e potr� far proprie eventuali sopravvenienze. 
Parimenti � evidente che il liquidatore adempiente ha facolt� di rivalsa verso la societ� (o 
verso i soci che hanno ricevuto assegnazioni), sia pure difficilmente esercitabile in fatto. 
(23) GLENDI, Commentario, cit., 69; MONTI, La responsabilit� dei liquidatori amministratori 
e soci prevista dall'art. 36 d.P.R. n. 602/1973: gli aspetti procedimentali dell'istituto, in 
Rass. trib., 1984, I, 17, che per� inquadra la responsabilit� nell'ambito sanzionatorio. 

PARm I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 163 

A seguito dell'entrata in vigore del d.P.R. n. 602 del 1972 in un contesto 
normativo che non lascia pi� spazio all'azione di accertamento negativo di 
obbligazioni tributarie (vuoi davanti al giudice ordinario, vuoi davanti al 
giudice tributario) poich� l'innovazione normativa non ha riguardato la 
natura giuridica dell'obbligazione, ma il suo trattamento formale, si deve 
prendere atto della voluntas legis equiparativa del regime in!rodotto rispetto 
all'accertamento di quell'obbligo (sia pure non tributario) a quello 
di un accertamento tributario in senso non soltanto formale, ma anche sostanziale, 
e quindi postulare la giurisdizione delle commissioni per la con


'testazione della legittimit� dell'accertamento, ferma restando la possibilit� 
di adire in prevenzione il giudice ordinario per fare accertare non gi� in 
relazione ad una obbligazione tributaria (il che non sarebbe consentito), 
ma in relazione ad una obbligazione extratributaria,, l'inesistenza dell'obbligazione 
stessa senza incontrare al riguardo preclusione veruna del 
sistema. 

5. -In conclusione deve essere confermato l'orientamento giurisprudenziale 
di queste sezioni unite e ribadire che rispetto all'obbligazione a 
carico del liquidatore o amministratore della societ� per il pagamento delle 
imposte e per l'occultamento di beni, che non ha carattere tributario, � 
esperibile l'azione di accertamento negativo davanti al giudice ordinario, 
restando circoscritta la giurisdizione delle commissioni tributarie all'imdel 
d.P.R. n. 636 restava incerta la definizione del tipo di tutela da accordare 
agli altri responsabili di imposta che erano chiamati ad adempiere direttamente 
nella fase esecutiva, non essendo per essi necessario un preventivo accerta� 
mento; i coobbligati venivano aggrediti direttamente con l'avviso di mora (art 
46 d.P.R. n. 602) e non risultava chiaro che tipo di reazione potessero mani� 
festare. L'indicazione dell'art. 36 pot� essere utile ad orientare verso il giudice 
tributario le impugnazioni di questi coobbligati. Con la novella del 1981 del 
contenzioso tributario l'inclusione dell'avviso di mora fra gli atti impugnabili 
dell'art. 16 problematica sotto altri aspetti, ha espressamente diretto verso le 
Commissioni il ricorso dei responsablli dii imposta contro i quali si procede 
all'esecuzione (24). Questa linea di tendenza esclude la supposta anomalia della 
giurisdizlione. 

Facile corollario di quanto precede � che la natura tributaria della responsabilit� 
del liquidatore, che tale � sostanzialmente sin dall'origine e non lo 
diventa per effetto dell'accertamento, � soggetta soltanto alla giurisdizione tributaria 
condizionata all'emanazione dell'avviso di accertamento, s� che prima che 
l'accertamento intervenga non � proponibile alcuna azione di mero accertamento 
preventivo innanzi al giudice ordinario o ad altro giudice. 

Cade cos� l'ipotesi (questa s� anomala) della imposizione quasi violenta 
di una giurisdizione speciale ad una controversia civile ordinaria, e cade, 
cosa ancor pi� importante, la ragione per recuperare, con forzature insostenibili, 
uno spazio alla giurisdizione ordinaria. 

CARLO BAFILE 

(24) BAFILE, Responsabile di imposta, cit.; ID., L'avviso di mora come atto impugnabile, 
in Dir. prat. trib., 1983, I, 1214. 
12 



164 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
pugnazione dell'atto di accertamento della consistenza della obbligazione 
stessa in forza dell'espressa attribuzione contenuta nell'art. 36 d.P.R. 29 
settembre 1973 n. 602 che ha esteso l'ambito della giurisdizione stessa rispetto 
ad una pretesa non avente oggettivamente carattere tributario. 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. un. 9 giugno 1989 n. 2786. Pres. Brancaccio Est. 
Lipari -P. M. Minetti (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato 
Palatiello) c. Chini (avv. Luly). 
Tributi in genere � Restituzioni e rimborsi � Caducazione della norma 
di imposiziobe � Azione generale di indebito � Esclusione. 
Tributi erariali diretti � Restituzioni e rimborsi � Procedimento � Termine 
di decadenza � Applicabilit� del termine dell'art. 43 d.P .R. 
29 settembre 1973, n. 600 � Esclusione. 
(d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43). 
Tributi erariali diretti -Restituzioni e rimborsi � Versamenti diretti � 
Procedimento amministrativo di rimborso -Art. 38 d.P .R. 29 settembre 
1973, n. 602 � Tipicit� � Limitazione a versamenti in esattoria � 
Esclusione. 
(d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 30 e 38; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 16). 
La caducaz.ione della norma di imposizione (nella specie l'art. 1 del 
D.P.R. 29 settembre 1973 n. 699 che assoggettava all'ILOR i redditi di lavoro 
autonomo dichiarato illegittimo con sentenza della Corte Costituzionale 
26 marzo 1980 n. 42) non apre la via ad una azione generale di indebito, 
soggetta alla prescrizione ordinaria, perch� il rapporto tributario resta soggetto 
alle vicende legali di esso s� che anche l'azione di ripetizione resta 
regolata dalle norme del contenzioso tributario e dalle relative preclusioni 
(1). 
La domanda di rimborso deve essere proposta nelle forme e nei termini 
per essa stabiliti senza che possa invocarsi dal soggetto passivo, sulla 
base di una inesistente par condicio, il termine stabilito nell'art. 43 del 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 per la notifica dell'accertamento (2). 
(1-4) Il testo ampissimo della sentenza si pu� leggere in Giust. civ., 
1989, I, 2321. 

Pronunzia di enorme importanza che, oltre a mettere la parola fine alla 
lunga discussione del rimborso dell'ILOR sul lavoro autonomo ha offerto 
spunti di riflessione di grande rilievo su problemi generali. 

La prima massima � conforme a precedenti specifici (Cass. 10 marzo 1982 

n. 1544, in questa Rassegna 1982 I, 861; 20 aprile 1985 n. 2605, ivi, 1985, I, 845: 
24 febbraio 1987 n. 1948, ivi, 1987, 423); la prospettazione come azione di indebito 
oggettivo non pu� sottrarre il rimborso di somme pagate a titolo di imposta 
alle regole del rapporto tributario ed alle relative forme, competenze e preclusioni. 
E non vale a tale proposito distinguere fra atti emessi in (asserita) 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 165 

Quando la riscossione del tributo sia avvenuta mediante ruolo, il 
rimborso deve essere domandato con il ricorso contro il ruolo da proporsi 
nel termine di 60 giorni a norma dell'art. 16 del d.P.R. 26 ottobre 
1972 n. 636; l'omessa impugnazione del ruolo preclude il rimborso senza 
che possa distinguersi tra ruolo meramente esecutivo, perch� conseguenziale 
alla dichiarazione o all'accertamento, e ruolo a rilevanza autonoma (3). 

il rimborso dei versamenti diretti deve essere domandato con istanza 
amministrativa nei modi e nelle forme stabiliti nell'art. 38 del t.u. 29 settembre 
1973 n. 602, che si riferisce a tutte le ipotesi di rimborso per qualsiasi 
causa ed ai versamenti eseguiti sia in esattoria che in tesoreria (4). 

carenza di potere e atti emessi con illegittimo esercizio del potere; quel che 
rileva � che la somma di cui si chiede il rimborso sia stata richiesta o versata 
a titolo di imposta. 

La soluzione della questione posta dalla seconda massima era facile (Cass. 
27 aprile 1988 n. 3174 in questa Rassegna, 1988, I 421); non � minimamente proponibile 
una par condicio fra l'Amministrazione che deve indagare sul contribuente 
e il contribuente che deve riflettere sul fatto proprio. 

Anche la terza massima si rif� a precedenti specifici (Cass. 7 maggio 1986 

n. 3059 in Boll. trib. 1986, 1436). Il ruolo ha sempre, anche quando costituisce 
mera esecuzione della dichiarazione, la capacit� di consolidare il ricorso, ove non 
venga impugnato nel termine. Se cos� non fosse e se fosse consentito, anche ritrattando 
la dichiarazione, domandare il rimborso di quanto pagato nel termine della 
prescrizione ordinaria, l'Amministrazione, osserva la sentenza, sarebbe esposta 
ad un inaccettabile pericolo di vera eversione. 
Molto ampia � la trattazione relativa al rimborso dei versamenti diretti. Si 
sosteneva che il termine dell'art. 38 del d.P .R. n. 602/1973 � stabilito per i rimborsi 
fondati sull'inesistenza dell'obbligo di versamento e che tutte le questioni 
riflettenti l'inesistenza dell'obbligazione tributaria rientrassero nella pi� generale 
previsione dell'art. 16 del d.P.R. n. 636/1972; in subordine si sosteneva che l'art:38 
fosse da applicare soltanto per i versamenti diretti in esattoria e non per gli 
ormai prevalenti, versamenti in tesoreria. Ma le Sez. unite hanno insegnato che 
nel procedimento dell'art. 38 sono ricomprese tutte le istanze di rimborso dei 
versamenti diretti, eseguiti dal contribuente e dal sostituto di imposta, su qualunque 
causa fondati e comunque effettuati e che questo procedimento � l'unico 
previsto come preliminare al ricorso alla commissione contro il provvedimento 
dell'intendente di finanza o il relativo silenzio. 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 9 luglio 1989, n. 3243 -Pres. Maltese Est. 
Corda -P. M. Caristo (conf.). Ministero delle Finanze (Avv. Stato 
Palatiello) c. I.M.I. (avv. Zito). 

Tributi erariali indiretti -Imposte varie -Imposta sostitutiva -Credito 
a medio e lungo termine -Estensione -Operazioni strumentali ai 
fini istituzionali -Locazione di immobile � Esclusione. 

(d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 17). 
L'imposta sostitutiva di cui al D.P.R. 29 settembre 1973 n. 601 supplisce 
le imposte indirette varie sugli atti necessari, oltre che per l'attivit� 



166 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

istituzionale, per il funzionamento degli istituti; tuttavia la strumentalit� 
v� intesa in senso proprio e diretto e non comprende la locazione di 
immobili di propriet� degli istituti. (1) 

(Omissis) 1. -Con l'unico motivo di ricorso (denunciando, ai sensi dell'art. 
360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione dell'art. 17, secondo comma, del 

D.P.R: 29 settembre 1973, n. 601, con riferimento al precedente art. 15 e all'art. 
2 del R.D.L. 13 novembre 1931, n. 1398 e relative norme statutarie 
approvate col D.M. 11 giugno 1962) la ricorrente Amministrazione finanziaria 
censura la sentenza per avere ritenuto che anche la concessione in 
locazione degli immobili di propriet� costituisce, per l'IMI, svolgimento di 
quell'attivit� istituzionale che la legge agevolativa considera ai fini della 
applicabilit� dell'imposta � sostitutiva � in luogo di quella proporzionale 
di registro. Deduce che la norma agevolativa sarebbe stata male interpretata, 
per non essersi tenuto conto ch'essa presuppone la contestuale sussistenza 
di due condizioni: una soggettiva, attinente alla ricomprensione 
del soggetto (che compie l'atto da sottoporre a registrazione) fra quelli 
tassativamente indicati dalla norma (e l'IMI � sicuramente fra essi); l� 
altra oggettiva, attinente alla strumentalit� immediata dell'atto rispetto al 
funzionamento dell'ente, ovvero allo svolgimento dell'attivit� istituzionale 
(ed � questo il problema che veniva dibattuto nel caso concreto). 
Ora, la ricorrente sostiene che l'agevolazione compete solo se quel 
rapporto di strumentalit� ha la caratteristica dell'immediatezza (parla, infatti, 
di strumentalit� immediata, diretta o pura); e assume che una tale 
interpretazione della norma agevolativa � coerente con l'evoluzione legislativa 
in materia di agevolazioni tributarie concesse all'IMI. Infatti, mentre 
l'art. 8 del R.D.L. 13 novembre 1931, n. 1398 (legge istitutiva dell'IMI) 
aveva adottato un criterio di agevolazione meramente soggettivo, sicch� il 
regime dell'imposta sostitutiva era applicabile a ogni e qualunque atto 
posto in essere dall'Istituto, l'art. 1, primo comma, della legge 27 luglio 
1962, n. 1228, aveva radicalmente modificato il sistema, introducendo il 
criterio meramente oggettivo, poich� aveva concesso l'esenzione in relazione 
ai soli atti concernenti le operazioni di finanziamento. Infine, l'art. 17 
del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, ha adottato il criterio misto, poich� 
ha combinato il sistema soggettivo con quello oggettivo, concedendo l'agevolazione 
per gli atti concernenti sia il funzionamento dell'ente che lo 
svolgimento dell'attivit� istituzionale. 

Sulla base di tali premesse, la ricorrente Amministrazione sostiene che 
l'acquisto di immobili da parte dell'IMI gi� costituirebbe atto che si pone 
fuori della previsione agevolativa (perch� non direttamente strumentale 
allo scopo dell'Istituto, che � quello di effettuare operazioni creditizie e 
finanziarie, e neppure al funzionamento di esso poich� conduce all'immo


(1) Decisione esatta. Non constano precedenti specifici. 
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PARIB I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

bilizzo dei capitali); e cos�, a fortiori, la locazione degli immobili predetti, 
la quale ha per scopo la c.d. � rendita di posizione �, che non �, certo, da 
porre in relazione con fini istituzionali di un istituto di credito. 

2. -Per contraddire tale impostazione e tali conclusioni, il resistente 
IMI sostiene che la corretta interpretazione dell'art. 17, secondo comma, 
del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, porterebbe a concludere che qualsiasi 
atto giuridico posto in essere dall'IMI, direttamente o indirettamente utile 
al conseguimento dei fini statutari dell'ente, godrebbe dell'agevolazione. 
Con detta norma, infatti, il legislatore avrebbe inteso concedere una vera 
e propria � esenzione � da ogni imposta e tassa a taluni istituti di credito 
(tra cui l'IMI). E ci� sarebbe dimostrato, in primo luogo, dal fatto che il 
legislatore ha tassativamente elencato gli istituti di credito che ha inteso 
agevolare; e, in secondo luogo, dal fatto che la dizione adoperata non 
consentirebbe la distinzione fra strumentalit� diretta e strumentalit� 
indiretta. La norma, infatti, dopo avere concesso l'agevolazione per le 
operazioni di credito e di finanziamento, estende la concessione agli �altri 
atti che gli istituti pongono in essere per il loro funzionamento e per lo 
svolgimento della loro attivit��; e poich� tale attivit� non � definita come 
�istituzionale� (ch�, se cos� fosse, sarebbero agevolati unicamente gli atti 
che direttamente fanno da supporto all'attivit� creditizia), l'unico limite 
imposto dalla legge sarebbe quello della � conformit� � degli atti alle norme 
di legge e alle previsioni statuitarie. 
3. -Osserva la Corte che 11 ricorso � fondato. 
L'analisi storica della disciplina legislativa, come opporttmamente fa 
notare l'Amministrazione ricorrente, induce a rilevare che, in realt�, il 
legislatore -il quale in un primo tempo (legge istitutiva dell'IMI, del 
1931) aveva concesso l'agevolazione soggettiva, applicabile per il solo fatto 
che un atto da sottoporre a registrazione fosse stato compiuto dall'IMI; 
e successivamente (legge del 1962, concernente il trattamento tributario 
degli istituti di credito a medio e lungo termine) aveva liinitato l'applicabilit� 
della esenzione ai soli atti relativi allo svolgimento dell'attivit� creditizia 
-con la normativa oggi in vigore ha inteso introdurre un sistema 
�misto�, poich� oltre gli atti concernenti l'attivit� creditizia istituzionale 
ha agevolato anche quelli collegati ad essa in modo strumentale, ossia 
�agli atti che gli istituti pongono in essere per il loro funzionamento e 
per lo svolgimento della loro attivit� �. 

Ora, giustamente osserva la ricorrente che qi.ialora tale norma venisse 
interpretata nel senso proposto dal resistente IMI si finirebbe per ritornare 
al sistema di agevolazione � soggettivo �, sicuramente abbandonato 
nel 1962 (cfr., sul punto, la sent. 12 maggio 1976, n. 1665): posto, infatti, 
che una stn1mentalit� �indiretta� � sempre ravvisabile negli atti consentiti 
dalla legge e dalle norme statuitarie, nel senso che l'attivit� compiuta 
pu� sempre essere considerata come finalizzata al perseguimento 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

degli scopi istituzionali, sopr.attutto se volta all'acquisizione di mezzi finanziari, 
non potrebbe sfuggirsi alla conclusione che ogni e qualunque atto 
compiuto dall'IMI, solo perch� lecito e consentito dallo statuto, dovrebbe 
godere dell'agevolazione tributaria. Ma questo, sicuramente, non � l'intendimento 
del legislatore, il quale ha, palesemente, inteso estendere l'agevolazione 
(dopo che la legge del 1962 ne aveva ristretto l'applicabilit� nel 
senso che si � detto) agli atti direttamente finalizzati al fmraionamento 
dell'istituto e allo svolgimento della sua attivit� istituzionale. Non basta, 
cio�, che l'atto posto in essere sia lecito e consentito dallo statuto, richiedendosi, 
invece, ch'esso sia in rapporto di stretta strumentalit� col perseguimento 
dei fini istituzionali, cio� con lo svolgimento della loro particolare 
attivit� creditizia. 

Il resistente, per contrastare tale interpretazione del sistema, sostiene 
in definitiva che la norma non consentirebbe l'interpretazione suggerita 
dalle Finanze, in quanto non enuncia esplicitamente che la strumentalit� 
degli atti posti in essere debba essere diretta (non contiene, cio�, alcun 
elemento testuale che consenta la distinzione tra strumentalit� diretta 

o indiretta, pura o impura). Ma � agevole osservare in contrario che 
quella esaminata � una norma agevolativa e che, quindi, � di stretta 
interpretazione; e l'interpretazione restrittiva non pu� condurre ad altro 
risulthto che a quello proposto dalla ricorrente. Poich�, infatti, la norma 
configura un rapporto di strumentalit� dell'atto col funzionamento dell'istituto 
e con lo svolgimento della sua attivit�, � d'obbligo ritenere, se 
la norma viene interpretata restrittivamente, che una strumentalit� soltanto 
indiretta esula completamente dalla previsione. 
Che, poi, in concreto, la strumentalit� dell'atto compiuto (locazione a 
terzi di immobili di propriet� dell'IMI) fosse soltanto indiretta non � 
neppure discusso dalle parti. (omissis) 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 28 luglio 1989, n. 3542 -Pres. Granata Est. 
Cantillo -P. M. Micita (conf.). Soc. Baia Felice (avv. Manfredonia) 


c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Zotta). 
!

Tributi in genere . Contenzioso tributarlo -Appello -Motivazione � per 
relationem � � Inammissibilit� � Rilevabilit� di ufficio -Motivi agI 
giunti � Inammissibilit�. 

(d.P.R. 26 aprile 1972, n. 636, art. 19 bis, 21 e 23). 
I 

� inammissibile, e l'inammissibilit� deve essere rilevata di ufficio, 
l'appello motivato per relationem ai motivi del ricorso di primo grado; ne Ii: 
f: 
� ammessa la deduzione di motivi aggiunti (1). ~j 

(1) Giurisprudenza ormai specifica (Cass. 28 maggio 1987 n. 4772, in questa >. 
Rassegna, 1977, I, 453). a da segnalare la precisazione sulla rilevabilit� di ufficio. 
I 

.. '-~: 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRmUTARIA 

(omissis) Il ricorso non merita accoglimento per una ragione preliminare 
preclusiva dell'esame dei motivi con esso svolti, cio� perch� sulla 
pronuncia della Commissione tributaria di primo grado, di rigetto del 
ricorso della contribuente, si � formato il giudicato formale per inammissibilit� 
dell'appello, erroneamente non rilevata dalla Commissione tributaria 
di secondo grado e dalla Commissione tributaria centrale. 

Si legge nella decisione impwmata e risulta dagli atti -il cui diretto 
esame � consentito in questa sede, trattandosi di accertare il'esistenza di 
un giudicato interno al processo -che la Soc. Baia Felice. con il ricorso 
alla commissione di secondo grado. dichiar� di imnugnare la prima pronuncia 
�per gli stessi motivi gi� esposti nel ricorso e nelle memorie 
depositate e che qui si intendono integralmente riportati�. Si limit�, in 
pratica, ad un generico rinvio agli scritti difensivi di primo grado, senza 
svolgere alcuna specifica critica alla decisione che intendeva impugnare. 

Ma questa Corte ha altre volte chiarito che anche per le impugnazioni 

innanzi alla commissione tributaria di secondo grado e alla Commissione 

centrale vige l'obbligo di specificazione dei motivi del gravame (sancito, 

rispettivamente, dagli artt. 21 e 25 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636). N� 

questo principio pu� ritenersi derogato, per l'app�llo alla commissione di 

secondo grado, dalla disposizione di cui all'art. 19 bis dello stesso d.P.R., 

che nel procedimento di primo grado prevede la possibilit� di integrare, 

secondo determinate modalit�, i motivi del ricorso. 

In primo luogo, l'esercizio di tale facolt� postula un ricorso valido 
anche quanto all'osservanza dell'obbligo suddetto, essendo consentito ag� 
giungere nuovi motivi a quelli gi� svolti, ma non introdurre per la prima 
volta la motivazione di un ricorso che ne sia inizialmente del tutto privo, 
perci� ab initio inammissibile; in secondo luogo, la facolt� di integrazione 
dei motivi non pu� ammettersi in appello, posto che la disposizione 
suddetta (aggiunta con la novella n. 739 del 1981) non � espressamente 
richiamata dall'art. 23, che disciplina il giudizio di secondo grado, e non 
� � compatibile in parte qua con le regole generali ordinatrici del giudizio 

di appello. 

Nell'esegesi dell'art. 342, c.p.c., poi, l'orientamento di questa Corte si 

� da tempo consolidato nel senso che l'onere di specificazione dei motivi 

-previsto in funzione della duplice esigenza di delimitare l'ambito del 

riesame demandato al giudice di appello, in conformit� del principio 

tantum devolutum quantum appellatum, e di consentire alla controparte 

e al giudice il puntuale e ragionato esame delle critiche mosse alla deci


sione impugnata -pu� ritenersi assolto solo quando l'atto di appello 

consenta di individuare in modo sufficientemente preciso, oltre ai capi 

e ai punti impugnati, le ragioni di fatto e di diritto per le quali si chiede 

la reviso prioris istantiae, sebbene non occorra che ci� avvenga mediante 

una specificazione rigorosa o l'adozione di formule particolari. 


170 

Pertanto non soddisfa il precetto l'atto che si limiti ad un generico 
rinvio a tutte le eccezioni e difese svolte in primo grado, in tal caso 
mancando, anche al livello di mera enunciazione, una critica della sentenza 
impugnata, il cui valore giustificativo della statuizione viene sostanzialmente 
negletto; e la violazione determina l'inammissibilit� dell'impugnazione, 
non sanabile per effetto di successiva attivit� difensiva -dello 
stesso appellante o della controparte -e rilevabile di ufficio (v., fra 
numerose altre, sent. n. 363 del 1989; n. 7811 del 1987; n. 2610 del 1987). 

Questi principi valgono a definire anche l'ambito dell'obbligo di specificazione 
dei motivi nel giudizio tributario di appello, la cui violazione nel 
caso in esame risulta perci� evidente, con l'ulteriore conseguenza che, 
essendo per questa ragione inammissibile l'appello, si deve prendere atto 
del passaggio in giudicato della decisione della Commissione tributaria 
di primo grado. (omissis) 



PARTE SECONDA 



QUESTIONI 


LA GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA 


(100 ANNI DOPO L'ISTITUZIONE 
DELLA IV SEZIONE DEL CONSIGLIO DI STATO) 


L'articolo � tratto dalla relazione presentata da I.F. Caramazza al 
Convegno cos� intitolato organizzato dalla Societ� italiana degli avvocati 
amministrativisti e tenutosi presso il Consiglio di Stato il 29 aprile 1989. 

1. INTRODUZIONE. 
Il tema in trattazione, quanto mai stimolante, costituiva, in fondo, 
in questo anno 1989, oggetto di una scelta obbligata. 

� impossibile sfuggire alla suggestione pitagorica dei numeri fatidici 
ed il compimento del secolo di vita da parte di una istituzione merita 
indubbiamente sia la celebrazione che la riflessione. 

La riflessione si impone poi quando, come � nel nostro caso, il 
centenario cade nel bel mezzo di una profonda crisi di trasformazione, 
qual'� quella che sta attraversando la giustizia amministrativa italiana. 

Si diceva di una nota casa regnante che avesse la discutibile tradizione 
di non uscire mai da una guerra dalla stessa parte da cui vi era 
entrata: crediamo che, parafrasando l'aforisma, si possa dire alla nostra 
giustizia amministrativa che, nel corso di tutta la sua evoluzione storica, 
non � mai uscita �la una riforma nella direzione voluta dal legislatore. 

2. LA RIFORMA DEL 1865-1889. 
Prima dimostrazione emblematica dell'assunto' � proprio la nascita 
del giudice amministrativo italiano, frutto di una riforma travagliata e 
sofferta, articolata in tre tappe (1865, 1877, 1889/90), durata ben un quarto 
di secolo ed informata al principio-guida della esclusione di un qualsiasi 
giudice amministrativo contrapposto al giudice ordinario. 

La vicenda storica � ben not�, ma merita forse un accenno. Il legislatore 
del 1865, sotto la spinta delle rivoluzioni liberali di mezzo secolo, 
soppresse il contenzioso amministrativo di modello francese devolvendo 
al giudice ordinario -almeno nelle intenzioni, quali risultano chiarissime 
dai lavori preparatori -la cognizione di tutte le materie di � amministra� 
zione contenziosa�, che erano per il passato attribuite ai Tribunali del 



2 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

contenzioso, riservando alla Amministrazione soltanto quelli di � ammi� 
nistrazione pura� (1). 

Oper� cio� una scelta di � civilt� giuridica � quale pi� netta non poteva 
essere, optando per il sistema anglosassone -mediato attraverso la esperienza 
belga -e rifiutando il sistema francese cli una giustizia interna 
alla Amministrazione o comunque di un giudice amministrativo diverso 
da quello ordinario e nella Amministrazione in qualche modo incardinato. 

Tale scelta di civilt� giuridica, oltre che netta, fu anche consapevole, 
come risulta dal dibattito parlamentare che precedette la riforma, tutto 
intessuto di sottilissime analisi sui diversi sistemi giuridici, testimonianz~ 
di una notevole cultura comparatistica che precedeva di quasi mezzo 
secolo l'atto di nascita del diritto comparato come autonoma disciplina (2). 
Sorprendentemente, per�, tale cultura comparatistica che aveva fatto 
sfoggio di s� nelle aule parlamentari e nei dibattiti dottrinari, svan� nelle 
aule di giustizia. 

L'attuazione della riforma ne trad�, infatti, lo spirito: la timidezza 
del giudice ordinario nei confronti dell'Amministrazione ridusse a ben 
poca cosa la tutela dell'amministrato: non che giudicare di tutti i diritti 
� civili e politici � secon�l.o la formula mutuata dalla Costituzione belga 
del 1831 ed accogliendo -come sarebbe stato logico -quella tradizione 
giurisprudenziale, il giudice italiano autolimit� la propria competenza ai 
diritti pieni, a fronte dei quali vi fosse una attivit� di mero diritto privato 
dell'Amministrazione (3), cos� accordando al nostro concittadino di un 
secolo fa la stessa tutela giurisdizionale che i giudici di Berlino accor� 
davano, in pieno '700, al mugnaio di Sans Souci sotto Federico II. In un 
regime, quindi, che, per essere illuminato, non cessava di essere assoluto. 

Ii self-restraint del giudice italiano oper� lungo tre direttive: la negazione 
della qualit� di diritti civili o politici a quelli derivanti da leggi 
amministrative, la negazione del potere di disapplicazione di atti quando 
la illegittimit� fosse dedotta in via diretta e principale, in quanto immediatamente 
lesiva di una posizione tutelata, e, infine -questa la limita


(1) F. CAMMEO, Commentario delle leggi sulla giustizia amministrativa, Milano, 
s.d., I, 430. 
(2) I. F. CARAMAZZA, Il � diritto civile e politico � del cittadino nella cognizione 
dell'autorit� giudiziaria ordinaria, Atti del VII Convegno di Studi Giuridici � Contributi 
per la storia dell'interesse legittimo �, in corso di pubblicazione. 
(3) Nonostante alcune diverse opinioni deve ritenerisi che fu quello il criterio 
generalmente seguito: cfr. G. VACCHELLI, La difesa giurisdizionale dei diritti dei 
cittadini verso l'autorit� amministrativa, in Primo Trattato completo di diritto 
amministrativo italiano, Milano, 1901, Voi. III, 437, nota (1); adde M. NIGRO, Giustizia 
Amministrativa, Bologna, 1983, p. 89; F. BENVENUTI, Giustizia Amministrativa, 
Enciclopedia del Diritto, XIX, 599; F. BATISTONI FERRARA, La difesa dello Stato in 
giudizio e la soluzione italiana, in �L'Avvocatura dello Stato�, Studio storico 
giuridico per la celebrazione del Centenario, Roma, 1976, 278 ss. 

PARTE II, QUESTIONI 

zione pi� grave -la negazione della propria potestas judicandi a fronte 
di una attivit� iure imperii della Amministrazione (4). 

Non � questa certo la sede per analizzare le ragioni del formarsi di 
un tale indirizzo giurisprudenziale: dovere di istituto mi impone solo di 
ricordare che la politica difensiva dell'Avvocatura -allora denominata 
Erariale e non dello Stato -istituita nel 1876 al dichiarato scopo di 
apprestare criteri difensivi unitari che concorressero all'elaborazione giurisprudenziale 
dei limiti del sindacato del giudice ordinario nell'atto am� 
ministrativo, contribu� in modo determinante. Non si pu� d'altronde far 
carico ad un avvocato -anche se avvocato pubblico istituzionale -di 
aver vinto le cause affidategli adottando la linea difensiva pi� radicale 
possibile: quella di negare in capo al giudice la potest� di giudicare (5). 

Il diritto vivente cos� formatosi non poteva non generare uno stato 
di acuta insoddisfazione: una insoddisfazione di cui il discorso di Bergamo 
di Silvio Spaventa rimane la pi� alta testimonianza. Per ovvfare a tale 
insoddisfazione il legislatore si trov� a dover risolvere un dilemma: o 
ampliare -eventualmente in via di interpretazione autentica -il numero 
delle situazioni soggettive tutelate dinnanzi al giudice ordinario, disconoscendo 
i risultati giurisprudenziahl. raggiunti, come suggerivano alcuni (6), 
ovvero accettare per buono quel �diritto vivente� ed istituire un altro 
organo per tutelare situazioni diverse dai diritti. Una volta scelta tale 
seconda soluzione, fu giocoforza accettare il postulato che ci� che andava 
tutelato, per garantire la legalit� nell'azione amministrativa, erano meri 
"interessi� (aventi cio� ad oggetto beni della vita non conseguibili senza 
l'intermediazione dell'esercizio di un potere discrezionale) e che di essi 
non avrebbe potuto conoscere che un organo incardinato nell'esecutivo. 
Cos� infatti si disse espressamente nella relazione alla legge istitutiva 
della IV Sezione del Consiglio di Stato: �il nuovo istituto non � un tri� 
bunale giudiziario speciale o eccezionale, ma rimane nella sfera del potere 
esecutivo, da cui prende la materia e le persone �he lo devono mettere 
in atto. � lo stesso potere esecutivo ordinato in modo da tutelare maggiormente 
gli interessi dei cittadini. Perci�, a differenza dell'antico contenzioso 
amministrativo, esclude ogni confusione di poteri costituzionali... � soltanto 
un corpo deliberante che il potere esecutivo forma con elementi 
scelti nel suo seno, come a sindacare dei suoi atti, e per mantenere la 
sua azione nei limiti della legalit� e della giustizia� (7). 

(4) I. F. CARAMAZZA, Primo centenario della legge 31 marzo 1889 n. 5992, Rela� 
zione tenuta nell'incontro celebrativo organizzato dal CISA e tenuto il 12 aprile 
1989 nella Sala della Protomoteca in Campidoglio �Atti in corso di pubblicazione. 
(5) Relazioni dell'Avvocato Generale Erariale per l'anno 1878, 18 e ss.; per 
l'anno 1879, 22 e ss.; per l'anno 1883, 53. 
(6) Cfr. Atti parlamentari Senato 20-3-1888, 1170. 
(7) V. ScIALOJA, Come il Consiglio di Stato divenne organo giurisdizionale, in 
Ri\'. Dir. Pubbl. 1931, 417. 

4 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
Il fatto che nella concezione del legislatore il nuovo istituto fosse un 
organo dell'Amministrazione consent� peraltro di attribuirgli un potere 
che giammai, all'epoca, sarebbe stato affidato ad un organo giurisdizionale, 
cio� quello di sospendere, annullare e revocare l'atto amministrativo (8), 
il che contribu� a far s� che la nuova Sezione, sapientemente guidata da 
quello stesso Silvio Spaventa che l'aveva cos� fortemente voluta, conquistasse 
ben presto il favore del pubblico, dimostrando che la tutela offerta 
� non cedeva, per indipendenza di giudizio, a quella che si poteva ottenere, 
per i diritti, dall'Amministrazione giudiziaria ordinaria� (9). 
La forza delle cose, comunque, non tard� a prevalere sull'involucro 
formale� costruito dal legislatore, tant'� che la natura giurisdizionale della 
nuova Magistratura fu pressoch� immediatamente riconosciuta dalla giurisprudenza: 
gi� nel 1893, infatti, la Cassazione di Roma a Sezioni Unite, 
con sentenza 21 marzo 1893, n. 177 (10), statuiva che � la IV Sezione dcl 
Consiglio di Stato � stata investita dalle leggi 31 marzo 1889 e 1� maggio 
1890 di una vera e propria giurisdizidne, la quale ha pure il carattere 
speciale di fronte a quelle generiche assegnate all'autorit� giudiziaria, 
donde l'ammissibilit� del ricorso per incompetenza o eccesso di potere 
anche contro le decisioni della IV Sezione� (11). _ 
In definitiva e per concludere sul punto, occorre constatare che da 
un corpus normativo che affermava l'unicit� della giurisdizione in capo 
al giudice ordinario ed istituiva un procedimento amministrativo contenzioso 
�quasi giudiziale� interno all'Amministrazione a garanzia oggettiva 
di legalit� e negava quindi la ipotizzabilit� stessa di un giudice amministrativo, 
nasceva un giudice amministrativo incardinato nell'Amministrazione, 
sull'esempio del modello francese. Un modello la cui evoluzione 
doveva essere imitata bruciando le tappe: quella trasformazione da organo 
amministrativo in organo giurisdizionale che aveva richiesto tre quarti 
di secolo al Consiglio di Stato transalpino doveva consumarsi, infatti, per 
la IV Sezione di quello italiano, nel'breve volgere di pochi anni. 
3. IL GIUDICE AMMINISTRATIVO ITALIANO ISPIRATO AL MODELLO FRANCESE. 
Cominciava cos� la singolarissima -e per tanti versi ambigua 
costruzione del giudizio dinanzi al Consiglio di Stato italiano, nato nell'amministrazione 
ed evoluto nella giurisdizione per giudicare di un interesse 
legittimo considerato come situazione sostanziale fino alle soglie 
(8) Scrisse infatti V. SCIALOJA, op. cit., 412, che � attribuire quest'ultima facolt� 
al Consiglio di Stato, infatti, non significa, nel concetto della legge del 1889, 
sottrarla ali'Amministrazione �. 
(9) F. BATISTONI FERRARA, op. cit., 284. 
(10) In Foro lt., 1893, I, 294 ss. 
(11) La massima � tratta dalla Relazione dell'Avvocato Generale per l'anno I 'f 
1898, 32. 


PARTE II, QUESTIONI J 

del giudizio, al cui accesso legittimava, per perdere poi in esso tale cormo� 
tato in quanto la natura cassatoria della pronuncia non riconosceva o 
disconosceva alcun bene della vita, limitandosi ad annullare -o non 
annullare -un atto amministrativo. 

. Fu detto a suo tempo che, con l'istituzione della IV Sezione del Consiglio 
di Stato, una parte della classe dirigente fu chiamata a controllare 
se stessa (12): questo in linea con quella tradizione transalpina che riconosceva 
nel Coinseil d'Etat -nato come massima espressione logica di 
una � amministrazione senza giudice � ed evolutosi in giudice dell'amministrazione 
(13) -il duplice ruolo di garante dei diritti del cittadino 
contro gli abusi dell'amministrazione e di protettore delle prerogative del 
potere pubblico (14), considerato non solo �parte� da giudicare, ma anche 
apparato da dirigere e da consigliare (15). 

Alla conseguente ambiguit� del relativo giudizio si aggiunge poi quella 
ulteriore derivante logicamente da un sindacato di tipo cassatorio non 
omogeneamente collegato con un previo giudizio � di merito �. 

In tale ambiguit� di fondo nacque e prosper� l'interesse legittimo 
come creatura di laboratorio o pianta di serra che da tale origine fu 
sempre d'altronde perseguitato, meritando da parte della dottrina le pi� 
irrispettose qualificazioni: da �inesistente quiddit� � (16) a �criterio inafferabile 
ec! imponderabile� (17), a �informe creatura� (18), a �diritto 
soggettivo sottosviluppato� (19), a �fantasma� (20), a �oggetto misterioso
� (21), a �esclusiva e poco invidiabile peculiarit� del nostro sistema 
� (22), a � figura mitologica che non si pu� n� comprendere n� di


(12) L. PICCIARDI, Intervento al X Convegno di Studi di scienza dell'amministrazione, 
1964, Atti, 97. 
(13) G. VEDEL, Il controllo giurisdizionale della pubblica amministrazione m 
Francia, in � Il controllo giurisdizionale della P. A. '" Studi di diritto comparato 
di A. Piras, Torino, 1971, 84-85. 
(14) A. MESTRE, Le Conseil d'Etat, protecteur des pr�rogatives de l'Administration, 
Parigi, 1974. 
(15) M. HAURIOU, Principes de droit public, Parigi, 1910, 491. 
(16) G. D. TIEPOLO, La giustizia amministrativa e il discentramento, in Giustizia 
Amministrativa, III, 1892, 103. 
(17) V. E. ORLANDO, Contenzioso Amministrativo, in Il Digesto Italiano, 
vol. VIII, prt. 2�, Torino, 1895-98, 988. 
(18) G. BERTI, Amministrazione autonoma e giustizia amministrativa nella 
legislazione unificatrice del 1865: il contributo del deputato Francesco Borgatti, 
in l'Unificazione amministrativa e i suoi protagonisti, a cura di F. Benvenuti 
e G. Miglio, Milano, 1969, 418. 
(19) M. S. GIANNINI -A. PIRAS, Giurisdizione amministrativa, in Enciclopedia 
del diritto, XIX, 281. 
(20) E. FAZZALARI, Il futuro del processo amministrativo visto da un processualcivilista, 
Foro amm., 1985, II, 349. 
(21) E. FAZZALARI, op. loc. cit. 
(22) F. LoNGO, Proposta per una riforma del supremo organo regolatore 
del riparto delle giurisdizioni e delle questioni di attribuzione giurisdizionale, 
in Studi per il centocinquantenario del Consiglio di Stato, Roma, 1981, III, 1368. 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

scutere � (23), a � pseudo-conceto di misteriosofia giuridica� (24), per non 
citarne che alcune in ordine cronoio~ico. 

Nato come espediente esegetico (25) per superare le aporie del sistema 
di giustizia creato dalle leggi del 1865 e del 1889 (o piuttosto dalla loro 
interpretazione) fu teorizzato come situazione giuridica soggettiva sostanziale 
unitaria sulla scorta del seguente sillogisma: se alla 1va Sezione 
doveva riconoscersi natura giurisdizionale e se l'interesse davanti ad essa 
fatto valere poteva essere protetto denunciando incompetenza, violazione 
di legge ed eccesso di potere, occorreva allora riconoscere che la rifoxma 
del 1889 aveva attribuito natura giuridica a situazioni diverse al tempo 
stesso dal diritto civile e politico e dall'interesse semplice, materiale, 
economico (26). 

L'argomento appare discutibile in s� e comunque condizionato dal 
postulato della situazione giuridica soggettiva come � prodotto immutabile 
della ragione � (27). 

Pur con tutti i suoi vizi di origine� sta per� di fatto che l'interesse 
legittimo crebbe e si svilupp� al centro di quella elegantissima costruzione 
giuridica che il Consiglio di Stato italiano ha creato in tre quarti 
di secolo, una costruzione in cui non si sa mai se ammirare di pi� la 
fantasia nell'escogitare nuove soluzioxii (basti ricordare il silenzio e l'atto 
paritetico), il rigore giuridico nell'argomentarle o il pragmatismo nel 
raggiungere sostanziali risultati di giustizia attraverso un armamentario 
normativo rozzo e limitatissimo. 

Condizione di vita per l'interesse legittimo in quanto � fiore di serra � 
era per� il permanere della serra, cio� di quello specialissimo giudizio 
di cui si � detto e che era, s�, processo di parti, ma in cui una parte � 
�meno parte dell'altra� (28) ed in cui il giudice � anche il �padre 
spirituale� di quella (29). 

Un processo, insomma, � datato � e connotato in peculiarissimi dati 
politologici, sociologici e culturali. 

(23) M. NIGRO, Ma che cos'� questo interesse legittimo? Interrogativi vecchi 
e nuovi spunti di riflessione, in Foro it., 1987, V, 470. 
(24) R. CARBONI, Gli aiuti comunitari fra diritto soggettivo e interesse legittimo, 
in Diritto comunit�rio e degli scambi internazionali, 1985, 137. 
(25) E. GUICCIARDI, Concetti tradizionali e principi ricostruttivi della giustizia 
amministrativa, in Studi di giustiza ammnistrativa, Torino, 1967, I. 
(26) O. RANELLETTI, cit. in B. SORDI, Giustizia e amministrazione nell'Italia 
liberale -La formazione della nozione di interesse legittimo, Milano, 1985, 373. 
(27) L. ,MENGONI, Diritto e politica nella dottrina giuridica, Iustitia, 1974, 
337 ss. 
(28) L. PICCARDI, Il problema della difesa dello Stato in giudizio e la solu� 
zione italiana, Riv. dir. pubbl., 1931, 595. 
(29) E. CANNADA BARTOLI, in Atti Parlamentari, Camera, I Commissione 
permanente, Audizioni sullo stato della giustizia amministrativa, seduta 30 ottobre 
1984. 

PARTE II, QUESTIONI 

4. 
LA COSTITUZIONE REPUBBLICANA E LA LEGGE ISTITUTIVA DEI TRIBUNALI AMMINISTRATIVI 
REGIONALI. 
Il sistema evolvette fino alla Carta repubblicana del 1948 che, in 
modo quasi notarile, lo costituzionalizz� con tutte le sue originalit� e le 
sue contraddizioni: basti pensare a quella che vede contrapporre da un 
lato la qualificazione dell'interesse legittimo come posizione soggettiva 
sostanziale (art. 24), dall'altro la qualificazione del giudizio amministrativo 
come giudizio sull'atto e quindi come giudizio cassatorio, inidoneo 
a garantire il riconoscimento di un bene della vita (art. 113). Unico, modesto, 
elemento innovativo, l'introduzione del principio de~ doppio grado, 
con la previsione (art. 125) dell'istituzione a livello regionale di organi 
di giustizia amministrativa di primo grado. Previsione cui doveva dare 
attuazione la legge istitutiva dei Tribunali Amministrativi Regionali (6 dicembre 
1971 n. 1034) che, come � noto, non contiene alcuna rivoluzionaria 
innovazione normativa ed appare anzi, in larga misura, rispettosa delle 
formule tradizionali. 

Normativa costituzionale e normativa ordinaria sui T.A.R. sembravano 
dunque segnare, a prima vista, il consolidamento di un sistema di 
giustizia amministrativa ispirato alla tradizione transalpina che, nello 
stesso torno di anni (1953), istituiva i Tribunali Amministrativi Regionali 
in luogo dei vecchi consigli di Prefettura. 

L'evoluzione della giurisprudenza mostra invece una profonda e progressiva 
divaricazione della nostra giustizia amministrativa rispetto al 
modello francese, cio� al modello di un giudice che con l'Amministrazione 
ha un rapporto privilegiato in quanto non solo la giudica ma la consiglia 

o addirittura la dirige. 
Ci� sembra dovuto a due fattori, l'uno normativo l'altro sociologico. 
Il primo, attiene al fatto che il principio del doppio grado in Francia 
non � stato generalizzato: i settori pi� importanti del contenzioso amministrativo 
-segnatamente quelli relativi alla impugnativa degli atti ammi� 
nistrativi pi� rilevanti ed ai rapporti di impiego dei pi� alti funzionari sono 
rimasti affidati alla competenza del Consiglio di Stato come giudice 
di unico ed ultimo grado, con tutte le sue tradizionali caratteristiche 
di imbricazione nell'Amministrazione. 

Il secondo -in qualche modo al primo connesso -� la creazione 
di una nuova classe di giudici amministrativi italiani, di estrazione diversR 
da quella tradizionale del Consiglio di Stato e sganciati da ogni '.tanzione 
di consulenza. Ci� ha fatto s� che nei confronti dell'Amministrazione 
la giurisdizione amministrativa abbia manifestato, per la prima volta 
nella sua storia, un netto distacco, cui si aggiunge una nota di diffidenza 
e sospetto ogni qualvolta la questione sottoposta al giudizio abbia 


8 

RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DEU.O STATO 

una particolare rilevanza politica o comunque incida su fatti politicamente 
rilevanti (30). 
La diffusione � sul territorio � dei giudici amministrativi ha reso, poi, 
di massa una domanda di giustizia che era primo solo elitaria. 

La forza delle cose ha imposto quindi al nuovo giudice amministrativo 
di soddisfare un'esigenza di giustizia sostanziale. La richiesta sempre 
crescente montante dalla societ� era che egli si trasformasse da giudice 
dell'atto in giudice del rapporto per la conseguibilit� nel processo l;\mmi� 
nistrativo di quel � bene della vita � che dovrebbe pur essere conseguibile 
se � vero che l'interesse legittimo � un~ situazione sostanziale. Orbene, 
bench� stretto nelle angustie di una giurisdizione generale di legittimit� 
che rimane pur sempre una giurisdizione di annullamento, il giudice 
amministrativo itailiam.o � riuscito a rendere giustizia nel rapporto attraverso 
lo strumento cautelare, usato con molta 'pi� frequenza di quanto 
non abbia fatto il confratello transalpino. 

Il fenomeno � troppo noto perch� vi si debba indugiare: basti ricordare 
come in buona sostanza il processo amministrativo italiano oggi si 
risolva con la concessione o il diniego della sospensiva (31). 

Da un lato ci� pu� essere ricondotto a quella funzione di supplenza 
cui ogni tipo di giurisdizione � oggi chiamata da un eccesso di domanda 
di ginstizia. 

Se questo induce a certo non confortanti considerazioni, ci consente 
per� di rilevare come nel momento cautelare il giudice amministrativo 
diventi J�isiologicamente giudice del rapporto e quindi di un bene della 
vita da riconoscere o da negare. 

Nella fase di merito, infatti, tradizionalmente, la valutazione dell'in� 
teresse sostanziale tutelato ha sempre condizionato solo l'ammissibilit� 
del giudizio; nella fase cautelare, invece,, dovendo il giudice conoscere 
della gravit� e irreparabilit� del pregiudizio�, la valutazione dell'interesse 
sost�nziale condiziona anche il merito della decisione: decisione che regola, 
dunque, sia pure interinalmente, il rapporto (32). 

Il Consiglio di Stato d'altronde, ormai investito di una funzione moderatrice 
di un contenzioso di massa ha in un certo senso avallato le 
tendenze espansive dei T.A.R. in materia di giudizio cautelare. 

Creando pretoriamente l'appello sulle sospensive esso si � posto, in� 
fatti, in grado di filtrare l'operato del giudice di primo grado essenzialmente 
attraverso una valutazione dei profili giuridici della controversia 
(in genere la decisione sull'appello anticipa la decisione di merito in 

(30) F. PIGA, 150 anni del Consiglio di Stato, in Atti del Convegno celebrativo 
del 150� anniversario della istituzione del Consiglio di Stato, Milano, 
1983, 391. 
(31) M. NIGRO, in Atti Parlamentari -audizioni cit., seduta 16 ottobre 1984. 
(32) E. FoLLIERI, Giudizio cautelare amministrativo e interessi tutelati, 
Milano, 1981, 46 ss. 

PARTE Il, QUESTIONI 

9 

quanto incentrata sul fumus boni iuris). Per contro, il Consiglio di Stato, 

attraverso la decisione della istanza di sospensione della sentenza di primo 

grado, interviene direttamente ed interinalmente a conformare l'assetto 

di interessi su cui dovr� da ultimo operare il giudicato, basandosi sul 

periculum in mora e senza che la pronuncia cautelare preluda ad una 

decisione definitiva dello stesso segno. Il che, a ben vedere, � anche con


seguenza della prassi ormai invalsa di non motivare i provvedimenti 

cautelari. 

Al fenomeno sopra accennato si accompagna una nettissima tendenza 
all'ampliamento delle materie attribuite al giudice amministrativo in 
sede di giurisdizione esclusiva. La legge istitutiva dei T.A.R. segn� l'avvio, 
con l'attribuzione a detta competenza della materia delle concessioni, 
cos� intaccando per la prima volta un' criterio di ripartizione non pi� 
basato sulla contrapposizione (o, nella specie, sulla possibile -confusione) 
fra diritto e interesse legittimo ma su una distinzione di � blocchi di 
materie � (33). Sulla stessa via sembra .d'altronde essersi posta la Corte 
di Cassazione (34), in una linea di tendenza che sembra destinata a privare 
del suo principa'le significato quella distinzione di situazioni soggettive 
che tradizionalmente segna il discrimine fra le due giurisdizioni (39). 

Il tendenziale aumento dei casi di giurisdizione esclusiva (confermato 
dalle leggi 28 gennaio 1977 n. 10, 20 marzo 1980 n. 75 e 24 marzo 1981 

n. 145) (36) riceve una corposa conferma dal testo dell'ultimo disegno di 
legge-delega che prevede una estensione della giurisdizione esclusiva alle 
materie �connesse e conseguenti�, all'espropriazione e all'occupazione 
di urgenza e alle prestazioni dei pubblici servizi di sanit�, istruzione e 
assistenza pubbliche (37). Altra conferma viene dal disegno di legge sul 
procedimento, che riserva alla giurisdizione esclusiva le controversie in 
materia di accordi (38). 
Ove si ponga mente al fatto �che normalmente la giurisdizione per 
materie � una � giurisdizione piena � (39), sembra potersi concludere che 

(33) F. BENVENUTI, Atti parlamentari cit., seduta del 24 ottobre 1984. 
(34) M. NIGRO, Atti parlamentari cit., seduta del 16 ottobre 1984. 
(35) A. NoccELu. Principio di partecipazione e funzione del giudice amministrativo, 
in Studi per il centocinquantenario cit., III, 1671-1672. 
(36) M. NIGRO, Giustizia Amministrativa, Bologna, 1983, 103. 
(37) �Art. 1-3 n. 3 del Disegno di legge delega n. 788 presentato dai deputati 
Martinazzoli ed altri il 7 luglio 1987 intitolato � Delega al Governo per l'emanazione 
di norme sul processo amministrativo dinanzi ai Tribunali Amministrativi 
Regionali, al Consiglio di Stato ed al Consiglio di giustizia amministrativa 
per la Regione siciliana, nonch� sul ricorso straordinario al Presidente della 
Repubblica e sui ricorsi amministrativi �. Il relativo testo riproduce quello 
approvato in sede referente dalla I Commissione nella IX legislatura 
(A.C. 1353-1803-A). 
(38) Ora divenuta legge 241/90. 
(39) F. MERUSI, Atti parlamentari cit., seduta del 23 ottobre 1984. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

10 

in via tendenziale attraverso l'evoluzione della giurisprudenza ed in via 
conclusiva attraverso le riforme legislative in itinere gran parte delle 
situazioni soggettive sostanziali finora qualificate come interessi legittimi 
� avviata a trovare nel processo amministrativo quella soluzione pienamente 
satisfattiva che il tradizionale giudizio rigorosamente cassatorio 
non assicurava se non in alcuni casi di degradazione o di affievolimento. 

Il quadro della giustizia amministrativa che va cos� delineandosi in 
prospettiva prevede dunque una piena tutela delle situazioni sostanziali, 
siano esse qualificate come diritti soggettivi o come interessi legittimi, 
con riparto di competenza giurisdizionale fra il giudice ordinario e un 
giudice amministrativo da esso diverso solo per specializzazione e fornito 
di poteri istruttori, cautelari e decisori atti a garantire il conseguimento 
del bene della vita ed operante, quanto meno tendenzialmente, in sede di 
giurisdizione esclusiva (40). 

Il sistema italiano sembra dunque avviato verso una soluzione di tipo 
tedesco, con una giustizia amministrativa omologa a quella civile e da 
questa distinta unicamente per diversit� di materia giudicabile e non per 
disomogeneit� di poteri, o di situazioni tutelate, o di reclutamento dei 
magistrati o di particolari connessioni con l'amministrazione. 

5. CONCLUSIONI. 
Tirando le fila del discorso sin qui svolto sembra potersi concludere 

che ancora una volta risulta dimostrato l'assioma dell'effetto paradosso 

prodotto dalle leggi amministrative. 

Il sistema di giustizia amministrativo italiano, infatti, nacque e si 

svilupp� all'insegna del modello francese del consulente-giudice imbricato 

nell'amministrazione. Ci� per� avvenne sotto l'impero di una legislazione 

che, escludendo il giudice amministrativo, devolveva ogni controversia al 

giudice ordinario secondo il modello inglese. 

La crisi di trasformazione che ora la nostra giustizia amministrativa 

sta attraversando, sembra portare decisamente verso un modello di tipo 

tedesco. Ci� per� avviene sotto l'impero di una normativa -costituzio


nale e successiva -che appare, invece, dichiaratamente volta a raffor


zare e potenziare il modello francese. 

Decisamente la via italiana alla giustizia amministrativa, dal modello 

inglese al modello tedesco, passando per quello francese, appare a~sai im


pervia e se la regola empirica enunciata all'inizio dovesse confermare 

ancora una volta la sua validit�, nemmeno la nuova legge sul processo 

da tanti anni in gestazione potr� fornirci indicazioni attendibili sulla sua 

direzione futura. 

IGNAZIO F. CARAMAZZA 
PAOLO GENTILI 

(40) Cfr. G. BERTI, Momenti della trasformazione della giustizia amministrativa, 
Riv. Trim. dir. pubbl., 1972, 1861. 

PARTE II, QUESTIONI 11 

L'AVVOCATO DEL PROCESSO AMMINISTRATIVO(*) 

SOMMARIO: 1. Premessa -2. L'istituzione dell'Avvocatura e la giustizia 
nell'amministrazione; 2.1. Gli uffici del contenzioso; 2.2. La riforma 
del 1865 e l'istituzione dell'Avvocatura Erariale; 2.3. L'attivit� di istituto 
dal 1876 al 1889; 2.4. La riforma Crispi e l'attivit� di istituto fra 
Ottocento e Novecento -3. La Costituzione repubblica e la legge istitutiva 
dei Tribunali Amministrativi Regionali -4. Prospettive di evoluzione 
del processo amministrativo. Il nuovo ruolo dell'Avvocatura. 

1. PREMESSA. 
L'argomento sar� affrontato nell'ottica dell'avvocato della parte pubblica 
resistente, ed in particolare dell'avvocato dello Stato, ottica che � 
naturalmente diversa tanto da quella del giudice quanto da quella dell'avvocato 
di parte ricorrente. 

D'altronde la peculiarit� della posizione dell'avvocato dello Stato nel 
processo amministrativo � simbolicamente espressa da una situazione 
(che � spesso fonte di polemiche): la sua collocazione alla destra del giudice 
e non al banco della difesa. 

A scanso di equivoci sar� bene subito aggiungere, anticipando le 
conclusioni cui ci si ripromette di arrivare, che se questo dato differenziale 
rispecchiava, all'origine, un ben preciso significato istituzionale, non 
costituisce oggi che la testimonianza di un'antica tradizione. 

Affrontare il problema della difesa dello Stato in giudizio, soprattutto 
nel giudizio amministrativo, e quello della sua evoluzione, significa affrontare 
uno dei capitoli della giustizia amministrativa italiana, una giustizia 
che, come insegnava Mario Nigro, non si pu� comprendere a fondo se non 
ripercorrendo le tappe della sua storia. 

D'altronde il richiamo alla storia � indotto anche dalla suggestione 
pitagorica dei numeri fatidici: difficile sfuggire al richiamo del secolo 
di vita che, per il giudice amministrativo italiano, si � compiuto quest'anno. 

Non appaia quindi fuori luogo un richiamo al passato, e sia consentito 
scegliere un tale approccio al tema in quanto solo l'analisi del pas


(*) L'articolo � tratto dalla relazione presentata da I. F. Caramazza alla 
Tavola rotonda organizzata sull'argomento dal C.I.SA., sez. Calabria, e tenutasi 
in Catanzaro il 16 dicembre 1989. 



12 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

sato consente la piena comprensione del presente e forse anche qualche 
cauta profezia. 

D'altronde la particolare natura e funzione dell'Avvocatura dello Stato 
forniscono un punto di osservazione privilegiato. 

L'assoggettamento dello Stato come potere al giudizio rappresenta, 
infatti, nell'evolvere delle sue regole, un indicatore quanto mai sensibile 
del punto di equilibrio fra principio di libert� e principio di autorit�: 
punto di equilibrio mobile nell'evolversi della concezione del diritto, nel 
progredire della societ� e nel mutare dello Stato. 

Quando, come nel nostro ordinamento, che in questo aspetto si 
presenta con caratteri di assoluta originalit�, la difesa dello Stato sia 
affidata ad un organo tecnico che assume in forma organica ed esclusiva 
la rappresentanza e l'assistenza 1n giudizio del pubblfoo potere, ebbene 
tale organo diviene direttamente partecipe del processo di determinazione 
di tale equilibrio nel suo continuo evolvere. 

La creazione di un organo tecnico distinto dall'amministrazione parte 
in causa, epper� incardinato nell'organizzazione statuale, lo rende infatti 
particolarmente sensibile al divenire dell'esperienza giuridica e partecipe 
della sua costruzione, in quanto i segnali che riceve e trasmette percorrono 
due canali privilegiati: quello esteriore e professionale del concorso 
alla formazione del diritto vivente attraverso la dialettica del contenzioso 
e quello interiore ed istituzionale della appartenenza all'organismo statale, 
da cui riceve e cui pu� trasmettere, soprattutto attraverso l'attivit� consultiva, 
impulsi idonei a meglio comprendere il continuo divenire della 
societ� e favorire l'adeguamento ad esso dell'attivit� statuale. 

L'esperienza giuridica dell'Avvocatura dello Stato riflette dunque le 
grandi crisi di trasformazione attraversate dal diritto, dalla societ� �e 
dallo Stato italiano a partire dalla sua originaria configurazione. 

Con specifico riferimento alla giustizia amministrativa si potrebbe 
dire anzi qualcosa di pi�: vi � una profonda interrelazione fra l'istituzione 
dell'Avvocatura dello Stato e la nascita del processo amministrativo 
in Italia ed una profonda interrelazione fra l'evolvere di questo ed 
il mutare di quella. 

2. L'ISTITUZIONE DELL'AVVOCATURA E LA GIUSTIZIA NELL'AMMINISTRAZIONE. 
L'istituzione dell'Avvocatura, coeva con l'affidamento alla Cassazione 

�~ 

romana della funzione di giudice dei conflitti (1876-1877), si pone temporal


I !~ 

mente a mezza via fra la legge abolitrice del contenzioso amministrativo 
(1865) e la legge istitutiva della IV Sezione del Consiglio di Stato (1889). 
Fu voluta come controspinta ad una riforma liberale troppo in anticipo 
sui tempi ed oper� peraltro anche come forza propulsiva per la modifica V

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del sistema poi attuata dalla riforma Crispi. 

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PARTE II, QUESTIONI 

2J. Gli uffici del contenzioso. 

Come � noto, l'Avvocatura dello Stato italiana deriva dall'avvocato 
regio di Toscana. 

Il trapianto dell'istituto lorenese nell'ordinamento italiano non fu, per�, 
immediato. All'indomani dell'unificazione, con R.D. 9 ottobre 1862, n. 915 
venne esteso invece a tutto il Regno il sistema borbonico delle agenzie d�l 
contenzioso, modellato sull'esempio francese dell'agent judiciaire du tr�sor. 

Il che era perfettamente logico in un sistema, ispirato anch'esso a 
quello francese, di un contenzioso dello Stato affidato essenzialmente ai 
tribunali ordinari del contenzioso amministrativo, che costituivano una 
sorta di sistema di giustizia intemo all'Amministrazione e dinanzi ai 
quali lo Stato si difendeva direttamente con propri funzionari. 

Gli uffici del contenzioso interpretarono in maniera estremamente 
riduttiva i loro compiti e si ridussero � ...ad una amministrazione di spese �� 
pagate e di spese riscosse per liti perdute o per liti guadagnate... (1) � 
guadagnando inoltre una fama di scarsa trasparenza nei metodi seguiti 
per l'affidamento ai liberi professionisti delle (peraltro poche) cause dello 
Stato che dovevano essere trattate dinanzi ai giudici ordinari. 

La loro inadeguatezza apparve poi drammaticamente evidente dopo 
l'abolizione, nel 1865, dei Tribunali ordinari del contenzioso con la contestuale 
devoluzione alla giurisdizione ordinaria di tutte le materie nelle 
quali si facesse questione di un diritto civile o politico. 

2.2 La riforma del 1865 e l'istituzione dell'Avvocatura Erariale. 
Il legislatore del 1865, infatti, sotto la spinta delle rivoluzioni liberali 
di mezzo secolo, soppresse il contenzioso amministrativo di modello 
francese, devolvendo al giudice ordinario -almeno nelle intenzioni, quali 
risultano chiarissime dai lavori preparatori -la cognizione di tutte le 
m~terie di �amministrazione contenziosa�, che erano per il passato attribuite 
ai Tribunali del contenzioso, riservando alla Amministrazione sol� 
tanto quelle di � amministrazione pura � (2). 

Oper�, cio�, una scelta di �civilt� giuridica� quale pi� netta� non 
poteva essere, optando per il sistema anglosassone -mediato attraverso 

(1) G. MANTELLINI, Lo Stato e il Codice civile: Firenze, 1883, III, 37. 
(2) I. F. CARAMAZZA, Il diritto civile e politico del cittadino nella cognizione 
dell'autorit� giudiziaria ordinaria, in Atti del Settimo Convegno di studi giuridici 
�Contributi per la storia dell'interesse legittimo� (Legge 31 marzo 1889, 
n. 5992) organizzato dalla Sezione Toscana del CISA, in Firenze, 2-3 dicembre 
1988, in corso di pubblicazione. 

14 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 


la esperienza belga -e rifiutando il sistema francese di una giustizia 
interna alla Amministrazione o comunque di un giudice amministrativo 
diverso da quello ordinario e nella Amministrazione in qualche modo 
incardinato. 

Tale scelta di civilt� giuridica, oltre che netta, fu anche consapevole, 
come risulta dal dibattito parlamentare che precedette la riforma, tutto 
intessuto di sottilissime analisi sui diversi sistemi giuridici, testimonianza 
di una notevole cultura compartistica che precedeva di quasi mezzo secolo 
l'atto di nascita del diritto comparato come autonoma disciplina. Sorprendentemente, 
per�, tale cultura comparatistica, che aveva fatto sfoggio di 
s� nelle aule parlamentari e nei dibattiti dottrinari, svan� nelle aule di 
giustizia. 

L'attuazione della riforma ne trad�, infatti, lo spirito: la timidezza 
del giudice ordinario nei confronti dell'Amministrazione ridusse a ben 
poca cosa la tutela dell'amministrato: non che giudicare di tutti i diritti 
� civili e politici �, secondo la formula mutuata dalla Costituzione belga 
del 1831, ed accogliendo -come sarebbe stato logico -quella.tradizione 
giurisprudenziale ormai ben consolidata, il giudice italiano autolimit� la 
propria competenza ai diritti pieni, a fronte dei quali vi fosse una attivit� 
di mero diritto privato dell'Amministrazione (3). 

Le ragioni del formarsi di tale indirizzo giurisprudenziale -e quindi 
del vero e proprio tradimento della riforma liberale -a parte le difficolt� 
di attecchimento di tutti gli istituti provenienti da diverse culture 
giuridiche, vanno ricercati negli strumenti di controllo posti in opera per 
impedire che il giudice ordinario, eccedendo dai suoi poteri, invadesse 
il campo dell'esecutivo. 

In realt� l'istituto del giudice unico, nel passare dal natio sistema di 
common law ad un sistema a regime amministrativo si imbatte nel 
problema dell'atto amministrativo. 

Nel sistema originario, infatti, l'atto del pubblico potere non aveva 
forza privilegiata. Un pubblico funzionario inglese era soltanto qualcuno 
pagato per fare, in adempimento di un dovere, quello che qualunque 
cittadino avrebbe potuto fare, volendo, nell'esercizio di un diritto (4). La 
giurisdizione del giudice unico non poneva quindi quel problema di interferenze 
con l'esecutivo che pose, invece, in Belgio ed in Italia, con riguardo 
al trattamento dell'atto amministrativo. 

Entrambe le legislazioni vietarono, infatti, al giudice ogni intervento 
caducatorio ed introdussero il principio della disapplicazione. 

(3) I. F. CARAMAZZA, op. cit. 
(4) P. HEWITT, The abuse of power, Oxford, 1982, 56. 

PARTE II, QUESTIONI 15 

A garanzia del rispetto della sfera di competenza dell'esecutivo in 
Belgio si ritenne sufficiente il potere di annullamento della Corte di 
Cassazione, che, peraltro, limit� i propri interventi nei confronti delle 
sentenze che avessero pronunciato l'annullamento di atti ami;ninistrativi (5). 

Il legislatore italiano fu invece molto pi� rigoroso, conservando originariamente 
al Consiglio di Stato -che era allora organo dell'esecutivo le 
funzioni di giudice dei conflitti (6). 

Come era prevedibile, il Consiglio mont� una severissima guardia ai 
privilegi del potere che rappresentava, operando secondo lo schema paralogico 
del � tu hai torto e perci� ti nego il giudice � e negando giurisdizione 
al giudice ordinario ogniqualvolta l'Amministrazione avesse agito jure 
imperii. 

La stortura logica cosi istituzionalizzata non poteva durare a lungo 
e difatti 12 anni dopo, nel 1877, le funzioni di giudice di conflitti 
venivano devolute alla Cassazione romana (7). 

In sintomatica coincidenza temporale veniva peraltro istituita l'Avvocatura 
erariale, al duplice dichiarato fine di sopperire alle insufficienze 
mostrate dal sistema delle agenzie del contenzioso nel nuovo sistema di 
giustizia, da un lato, e di controllo del rispetto delle prerogative dell'esecutivo 
da parte del giudiziario, dall'altro. 

In effetti l'istituto dell'Avvocatura -la cui originaria denominazione 
di �erariale� forse gi� denunziava le limitate dimensioni che lo Stato 
intendeva attribuire al proprio contenzioso -nacque con il dichiarato 
intento di concorrere, con l'adozione di criteri di difesa unitari, alla 
elaborazione giurisprudenziale della distinzione fra diritti ed interessi e 
a definire i limiti oggettivi del potere del giudice ordinario in ordine 
all'atto� amministrativo (8). A fronte della formula generale del legislatore 
del 1865, �di semplicit� 1ngannatrice � (9) parve infatti necessaria la 
istituzione di un organo unitario di difesa in giudizio (10) per supplire 
ailla soppressione di un foro amministrativo speciale (11), soprattutto in 
previsione del passaggio alla Cassazione della competenza sui conflitti. 
Ci� a differenza di quanto aocadeva in Francia, dove -scriveva il 
Mantellini, ultimo Avvocato regio di Tos�cana e primo Avvocato Generale 
erariale -� ...si fidano del Pubblico Ministero e del Prefetto: e poterono 

(5) G. MANTELLINI, I conflitti di attribuzione, Firenze, 1871, I, 24. 
(6) L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, art. 13. 
(7) L. 31 marzo 1877, n. 3761. 
(8) F. BATISTONI FERRARA, La difesa dello Stato in giudizio e la soluzione 
italiana, .in �L'Avvocatura dello Stato>>, Studio storico-giuridico per la celebrazione 
del centenario, Roma, 1976, 278 ss. 
(9) L. ARMANI, Il Consiglio di Stato, in Trattato di V. E. Orlando, s.d., I, 949. 
(10) F. BATISTONI FERRARA, op. cit., 254 ss. 
(11) Relazion~ al Regolamento 16 gennaio 1876 n. 2914, serie II, pubblicata 
in allegato alla Relazione dell'Avvocato Generale erariale per il 1876, pag., 74. 

RASSEGNA, DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

dispensarsi da un istituto di consiglieri, di avvocati demaniali o erariali, 
in grazia di quel loro foro amministrativo ~he ne avoca le maggiori 
cause e dove l'amministrazione trova nei giudici quanta assistenza a 
lei bisogna (12 ). 

2.3 L'attivit� di istituto dal 1876 al 1889. 
In realt�, nell'Italia del 1876, vi era per la neonata Avvocatura una 
china da rimontare, almeno in un'ottica conservatrice: quella di una certa 
giurisprudenza liberale della Cassazione formatasi nonostante l'arcigna 
guardia montata dal Consiglio di Stato, giudice dei conflitti. 

Nel 1876, infatti, come risulta da una nota redazionale del Foro italiano, 
vi era un orientamento prevalente che affermava la risarcibilit� del 
danno recato ad una situazione regolata da leggi amministrative; la risarcibilit� 
del danno oausato da atti autoritativi (o iure imperii); la potest� 
del giudice di disapplicare gli atti autoritativi non solo in via di eccezione 
ma anche in via di impugnativa principale (13). 

Tale orientamento era d'altronde allineato a quello della coeva giurisprudenza 
belga ed era quanto mai ragionevole in quanto gli artt. 2, 4 e 
5 della legge abolitrice rappresentavano la quasi letterale traduzione degli 
artt. 92, 93 e 107 della Costituzione belga del 1831, Costituzione dalla 
quale 11 nostro legislatore aveva tratto dichiarata ispirazione e che consent� 
ad un Paese per molti aspetti paragonabile al nostro di considerare soddisfacente 
per oltre un secolo la tutela offerta in tal modo dal giudice 
ordinario. 

Dopo tale prima iniziale apertura, invece, come � noto, la interpretazione 
che si consolid� nella giurisprudenza italiana, in accoglimento 
delle tesi difensive dell'Avvocatura erariale, fu assai pi� restrittiva e ridusse 
in confini molto angusti la tutela dell'amministrato nei confronti 
dell'amministrazione operando lungo tre direttive: la negazione della qualit� 
di diritti civili o politici alle situazioni soggettive derivanti da leggi 
amministrative, la negazione del potere di disapplicazione di atti quantlo 
la illegittimit� fosse dedotta in via diretta e principale, in quanto immediatamente 
lesiva di una posizione tutelata, e, infine la negazione della 
propria potestas judicandi a fronte di una attivit� iure imperii dell'Amministrazione 
(14). 

(12) Relazione lilt. cit. 
(13) Cass. Roma 13 marzo 1876 in Foro it. 1876, I, 842; I. F. CARAMAZZA, op. cit. 
(14) Nonostante alcune diverse opinioni deve ritenersi che fu quello il 
criterio generalmente seguito: cfr. G. VACCHELLI, La difesa giurisdizionale dei 
diritti dei cittadini verso l'autorit� amministrativa, in Primo Trattato completo 
di diritto amministrativo italiano, Milano, 1901, Vol. III, 437, nota (1); adde 
M. NIGRo, Giustizia Amministrativa, Bologna, 1983, p. 89; F. BENVENUTI, Giustizia 
Aml}linistrativa, Enciclopedia del Diritto, XIX, 599; F. BATISTONI FERRARA, op. 
cit., 278 ss. 
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PARTE II, QUESTIONI 1.7 

Delle tre autolimitazioni che il giudice italiano si era imposto in quegli 
anni e di cui si � ora detto, questa ultima era certo la pi� grave e significativa, 
riducendo la tutela del nostro concittadino di cento anni fa a 
quella gi� goduta, oltre un secolo prima, dai sudditi di molti regimi assoluti. 
Tanto vero che una polemica sulla sufficienza o meno della tutela 
offerta dal giudice unico nacque in Belgio a cavallo fra Ottocento e Novecento 
proprio in coinoirdenza con una oscillazione della giurisprudenza 
di quella Cas'Sazione, che, abbandonando le proprie tradizionali posizioni, 
aveva fatto propria, in alcune decisioni, la teoria francese degli atti d'impero 
come limite al sindacato del giudice ordinario (15). 

Criticabile per quanto fosse sta di fatto, per�, che la interpretazione 
restrittiva pl'ima descritta, in tutte e tre le sue direttrici, divenne ben 
presto in Italia diritto vivente, dando cos� causa ad uno stato di acuta 
ID.soddisfazione per la scarsissima e spesso inesistente tutela offerta all'amministrato 
contro gli arbitrii dell'Amministrazione e creando cos� il 
terreno favorevole alla riforma Crispi. Al formarsi e consolidarsi di tale 
giurisprudenza contribu� in misura rilevante, come si � detto, l'opera del!'
Avvocatura erariale, la cui direzione era stata affidata a Giuseppe Mantellini, 
nome molto pi� spesso citato dai cultori della materia per evocare 
il giuspubblicista autore dello � Stato e il codice civile� piuttosto che 
non il primo Avvocato generale erariale. Ed in genere la citazione viene 
fatta per criticare -non senza durezza -un misoneismo giudicato 
eccessivo (16). In realt�, come risulta da tutte le sue attivit� di studioso 
e di parlamentare, il suo pensiero fu tutt'altro che illiberale. 

Suo torto fu -se torto questo si pu� chiamare per un avvocato una 
volta investito delle funzioni, quello di vincere le cause dello Stato 
affidategli adottando la linea difensiva pi� radicale possibile, quella di 
negare in capo al giudice la potest� di guidicare. 

La tesi della responsabilit� storica dell'Avvocatura erariale nel determinare 
la linea interpretativa restrittiva di cui si � detto, fu gi� enunciata 
nell'infuocato dibattito parlamentare sulla legge istitutiva della IV Sezione 
del Consiglio di Stato, dal senatore Pierantoni (genero del Mancini) il 
quale, opponendosi strenuamente al disegno, vedeva come unico vero rimedio 
alla insufficiente difesa degli amministrati una pi� esatta lettura, 
da parte del giudice ordinario italiano, della legge del 1865, una lettura 
conforme alla lettera della norma ed all'interpretazione datane dalla giurisprudenza 
belga di fronte ad analogo. testo e, criticando la distinzione 
fra atti di gestione e atti di impero, ammoniva gli onorevoli colleghi come 
tale interpretazione, fatta propria dal giudice italiano, fosse errata: �l'opera 
della Cassazione -precis� -fu spinta su questa via dall'Avvocatura 

(15) I. F. CARAMAZZA, op. cit. 
(16) B. SORDI, Giustizia e amministrazione nell'Italia liberale, Milano, 1985, 174. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

erariale, forte istituto, prevalente nell'opera del potere amministrativo e 
giudiziario� (17). 

Il capo dell'Istituto, Giuseppe Mantellini, portava infatti nella sua nuova 
attivit� non solo la fama del cultore di diritto pubblico di livello internazionale, 
non solo il prestigio del parlamentare, ma anche la specifica esperienza 
di Direttore del Contenzioso, di consigliere di Stato, di consigliere 
di Cassazione e, soprattutto, di Avvocato regio di Toscana nel decennio 
precedente l'unificazione. 

Nella nuova istituzione, da lui stesso voluta, port�, quindi, tutto il 
bagaglio professionale accumulato nell'antico istituto lorenese e gli schemi 
logici e dialettici matUJrati in un regime 1che, bench� illuminato -e quanto 
illuminato! i(18) -era pur sempre stato un regime assoluto. 

Fin dall'inizio dell'attivit� di istituto Mantellini elabor� la linea difensiva 
della distinzione fra atti di impero e atti di gestione e della sindacabilit� 
incidenter tantum dell'atto di impero solo in via di eccezione e solo 
quando lo stesso atto aggiungesse al rapporto �politico� un �rapporto 
accidentale e contip.gente di natura civile� (19), coordinando con molta 
energia e molta fermezza le attivit� delle varie Avvocature distrettuali (20). 

Particolare cura mise nello spingere quanto pi� avanti possibile la 
linea di difesa della negazione al giudice della potestas iudicandi, soprattutto 
in materia di responsabilit� aquiliana, attraverso l'argomento che 
sotto le mentite spoglie di una pretesa risarcitoria si sindacava -inammissibilmente 
-l'emanazione o la mancata emanazione di un atto amministrativo: 
� Tanto fa chiedere la condanna del sindaco quale ufficiale di 
Governo a rilasciare il certificato di buoni costumi, quanto il chiedere la 
condanna del sindaco a soddisfare al danno lamentato dall'attore per negatogli 
certificato � (12). 

L'autorevolezza, l'esperienza oranizzativa, l'uniformit� di 1indirizzo difensivo, 
la grande capacit� ed esperienza professionale, si imposero ad una 
magistratura di varie matrici geo-culturali e ancora separata tra tante 
Cassazioni -spesso abilmente giocate le une contro le altre -e la pi� 
restrittiva delle interpretazioni della legge del 1865 divenne �diritto vivente
�. Con palese capovolgimento dei concetti ispiratori della riforma 
si afferm�, quindi, la regola -come fu detto con qualche pessimismo che 
il punto di equilibrio fra principio di libert� e principio di autorit� 

(17) Atti Parlamentari, Senato del Regno, Discussioni, Tornata del 20 marzo 
1888, 1170. 
(18) I. F. CARAMAZZA, L'Avvocato regio di Toscana, in L'Avvocatura dello 
Stato, Studio storico-giuridico per la celebrazione del Centenario, Roma 1976. 
(19) Relazione dell'Avvocato Generale Erariale per l'anno 1880, 49 ss. 
(20) Relazione dell'Avvocato Generale Erariale per l'anno 1878, pagg. 18 e ss., 
e 1879, pagg. 22 e ss. 
(21) Relazione cit. 1882, 6. 

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19

PARTE II, QUESTIONI 

andava trovato nell'assioma che dove vi � esercizio di autorit� non pu� 

esservi libert�. 

In defintiva, pu� concludersi che l'Avvocatura erariale nacque e si 
afferm� come difensore di uno stato inteso nelle sue dimensioni meramente 
patrimonialistiche, e che si sottoponeva al giudice soltanto per le 
attivit� svolte nella sua capacit� di diritto privato, ad imitazione di quanto 
era accaduto nella Toscana preunitaria, ferma restando naturalmente la 
considerazione che ci� che poteva essere considerato di avanguardia in un 
.regime assoluto del Settecento diventava retroguardia in uno Stato liberale 

della seconda met� dell'Ottocento. 

2.4. La riforma Crispi e l'attivit� di istituto fra Ottocento e Novecento. 
Se aH'Avvocature pu� ascriversi dunque una sorta di � corresponsabi


lit� storica� in ordine al consolidamento dell'interpreta~ione in chiave Te


strittiva della legge abolitiva del contenzioso, sarebbe tuttavia errato 

ritenere che la sua opera aves'S'e costituito anche una �controspinta � al


l'affermazione della �giustizia neH'amministrazione �. 

Va invece osservato che, se, da un canto, l'Avvocatura difendeva vitto


riosamente i confini dell'area riservata all'esecutivo e come tale interdetta 

al sindacato del giudice ordinario, dall'altro non mancava di denunciare 

vigorosamente la manifesta inadeguatezza del sistema di giustizia ammini


strativa, quale risultava dal �diritto vivente� cos� creato e di conclamare 

l'urgenza di apprestare adeguate forme di tutela per i cittadini. 

Illuminante, per comprendere appieno la � ratio � che ispir� la poli


tica difensiva dell'Avvocatura ed apprezzarne l'intima coerenza di condotta 

sull'intera problematica della giustizia amministrativa, � il seguente brano 

della � Relazione � per l'anno 1883 (22): 

� Fino a che non si riconosca competenza se non al giudice del di


ritto, sarebbe non senza pericolo, per la indipenqenza dei poteri, attri


buirgli l'indagine della prudenza o della opportunit� sulla misura o sul


l'atto amministrativo. !ntanto che basta l'addentrarsi anche di poco nelle 

pratiche della giustizia amministrativa per accorgersi che nulla pi� ne 

offende, o disdice, quanto lo scompagnare nell'atto amministrativo l'esame 

della legittimit�, dove ogni regola diventa pieghevole, dall'esame della 

giustizia, la quale non pu� tornare che di convenienza ... E dunque, affran


cati da ogni scrupolo, commettasi al Consiglio di Stato, a questo Supremo 

Collegio dell'ordine amministrativo, l'esame di� ogni atto amministrativo 

nel doppio aspetto di quella speciale legittimit� e di quella speciale giu


stizia, che si comportano dalla giustizia amministrativa. 

�Lo possiamo col Consiglio di Stato, senza sospettare che ne restino 

trascesi i limiti, offesi i criteri, di1sdetti i fini della giustizia amministrativa, 

(22) Relazione dell'AvvocatO Generale erariale per l'anno 1883, 53. 

RASSEGNA DEIL'AVVOCATURA DELLO STATO 

per astrazioni inutili se non pericolose, e con invece ila istituzionale garanzia 
di riportarne sempre applicazioni concrete e rassicuranti �. 
Nella stessa relazione, peraltro, si contesta apertamente che la responsabilit� 
politica possa configurarsi come sufficiente garanzia per ila legalit� 
nell'azione amministrativa: �Ma sono troppi o ben gravi gli interessi 
raccomandati alle autorit� amministrative, i quali aspettano dalle nostre 
leggi l'ordinamento che ne tuteli seriet� e verit�, da non potersi aspettare 
da quella politica responsabilit� la quale nel fatto e nell'opinione licenzia 
i ministri all'arbitrio pi� che non li esponga a rese di conti. Questa responsabilit� 
per nessuno si ha pi� per vera e seria garanzia della retta, imparziale 
amministrazione della giustizia amministrativa; e anche per noi � 
tempo di mettere gli interessi che le sono raccomandati al coperto delle 
calunnie e contro le esagerazioni di ingerenza indebita, le quali pur sono 
il tarlo che pi� rode e corrode il Governo dei parlamenti� (23). 
Non � davvero difficile cogliere nei passi or ora trascritti la stessa 
convinta determinazione, nell'auspicare la piena ed effettiva affermazione 
della giustizia nell'Amministrazione, che connot� i discorsi dei pi� illuminati 
e vivaci propugnatori di essa, e primo fra tutti lo Spaventa (24). 
La posizione appena 
delineata -che assunse l'Avvocatura in ordine 
al problema dell'adozione di un sistema di giustizia amministrativa 
era peraltro del tutto coerente con le condizioni storico-culturali nelle 
quali essa venne maturando, tenuto conto anche del fatto che tra l'evoluzione 
della giustizia amministrativa e la definizione dell'assetto istituzionale 
del sistema difensivo dello Stato, venne a determinarsi ~a sorta 
di interrelazione (25) che fece s� che i due fenomeni traessero naturalmente 
alimento l'uno dall'altro. 
Il che, a ben vedere, trova una intuitiva spiegazione gi� sul piano 
pragmatico: da un canto, infatti, l'organo attributario della funzione giustiziale 
tanto pi� avrebbe potuto affermare il proprio carattere di giudice 
indipendente quanto pi� netta fosse stata, in relazione al giudizio 
amministrativo, l'affermazione del carattere di �parte� (ancorch� affatto 
�sui generis�), e per ci� stesso abbisognevole di un difensore, dell'Amministrazione; 
dall'altro l'Avvocatura non poteva che guardare con 
favore all'istituzione ed al consolidamento di un sistema che le avrebbe 
consentito di affrancare la propria istituzionale funzione di patrocinio 
e di consulenza dai limiti angusti impressile in origine dall'ordinamento 
(23) Relazione, ult. cit., p. 46. 
(24) S. SPAVENTA, La giustizia nell'amministrazione in Codice della giustizia 
amministrativa (per cura dell'avv. Ranieri Porrini), Firenze, 1900. 
(25) F. BATISTONI FERRARA, La difesa dello Stato in giudizio e la soluzione 
italiana, in L'Avvocatura dello Stato, cit., 254 ss. nonch� 282 ss. 
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21

PARTE II, QUESTIONI 

per proiettarla nell'ambito pluridimensionale degli interessi �generali� 
(e non pi� soltanto patrimoniali) dello Stato. Con il patrocinio dell'Amministrazi�ne 
di fronte ad un organo giurisdizionale amministrativo la 
Avvocatura passava infatti, quanto meno in via di evoluzione prospettica, 
dalla dimensione privatistica di difensore dell'erario a quella pubblicistica 
di difensore delle prerogative del potere esecutivo, cos� gettando le 
basi della sua futura promozionti da Avvocatura erariale ad Avvocatura 
dello Stato. 

Esiste peraltro, forse, una ragione ancor pi� profonda dell'interrela� 
zione di cui si � detto: i due fenomeni sembrano invero riconducibili 
ad una comune matrice teorico-culturale, verosimilmente ravvisabile nella 
teoria del Rechtsstaat elaborata dalla dottrina tedesca (che ebbe in Rodolfo 
Gneist il pi� autorevole assertore), teoria che �penetra in Italia 
nell'ambito dei dibattiti sul completamento e il consolidamento delle 
Istituzioni dell'Italia unificata� (26) ed alla quale dichiaratamente si ispirarono 
tanto lo Spaventa (27), quanto il Mantellini (28), il quale oltretutto 
era profondamente legato alla tradizione giuridica leopoldina di un 
unico Esecutivo ripartito in Amministrativo e Giudiziario, entrambi caratterizzati 
da un'unica funzione di garanzia di legalit�, anche se con 
diversi strumenti esercitata ed era quindi istintivamente ostile ad ogni 
forma di giustizia nell'amministrazione che non trovasse nell'Amministrazione 
stessa la sua radice. 

� noto d'altronde come il legislatore, con l'attuazione della riforma 
del 1889, non intendesse affatto costituire una giurisdizione speciale (il 
che avrebbe minato in radice il principio della giurisdizione unica introdotto 
con la legge abolitiva del contenzioso): all'epoca, infatti, il concetto 
che �la fonte di giurisdizione � unica e che, di regola almeno, debba 
essere esercitata dal solo potere giudiziario dominava ancora tenacemente
� (29). 

Il legislatore, in realt�, di fronte all'acuta insoddisfazione per le liinitatissime 
garanzie che il � diritto vivente � offriva al cittadino nei confronti 
della Pubblica Amininistrazione, si trov�� a dover risolvere un dilemma: 
o ampliare -eventualmente in via di interpretazione autentica 
-il numero delle situazioni soggettive tutelate dinnanzi al giudice 
ordinario -disconoscendo i risultati giurisprudenziali raggiunti -come 
suggerivano alcuni (30), ovvero accettare per buono quel � diritto vivente
� ed istituire un altro organo per tutelare situazioni diverse dai diritti. 

(26) Cos� M. NIGRO, in � Silvio Spaventa e lo Stato di diritto �, in Foro it. 
1989, V, 109 ss. 
(27) Vedasi, al riguardo, l'opera di Nigro appena citata. 
(28) Relazione dell'Avvocato Generale erariale per l'anno 1883, 50. 
(29) Cfr. V. SCIALOIA, Come il Consiglio di Stato divenne organo giurisdizionale, 
in Riv. Dir. Pubbl., 1931, 411. 
(30) Cfr. I. F. CARAMAZZA, in Il diritto civile e politico, cit. 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

Una volta scelta tale seconda soluzione, fu giocoforza accettare il postulato 
che ci� che andava tutelato, per garantire la legalit� nell'azione amministrativa, 
erano meri � interessi � (aventi cio� ad oggetto beni della 
vita non conseguibili senza l'intermediazione dell'esercizio di un potere 
discrezionale) e che di essi non avrebbe potuto conoscere che un organo 
incardinato nell'esecutivo. Cos�, infatti, si disse espressamente .nella relazione 
alla legge istitutiva .della IV Sezione del Consiglio di Stato: �il 
nuovo istituto non � un tribunale giudiziario speciale o eccezion,ale, ma 
rimane nella sfera del potere esecutivo, da cui prende la materia e le 
persone che lo devono mettere in atto. � Io stesso potere esecutivo ordinato 
in modo da tutelare maggiormente gli interessi dei cittadini. Perci�, 
a differenza dell'antico contenzioso amministrativo, esclude ogni confusione 
di poteri costituzionali... � soltanto un corpo deliberante che il 
potere esecutivo forma con elementi scelti nel suo seno, come a sindacare 
dei suoi atti, e per mantenere la sua azione nei limiti della legalit� 
e della giustizia� (31). 

Il fatto che nella concezione del legislatore il nuovo istituto fosse 
un organo dell'Amministrazione consent�, peraltro, di attribuirgli un potere 
che giammai, all'epoca, sarebbe stato affidato ad un organo giurisdizionale, 
cio� quello di sospendere, annullare e revocare l'atto amministrativo 
(32). Il che contribu� a far s� che la nuova Sezione, sapientemente 
guidata da quello stesso Silvio Spaventa che l'aveva cos� fortemente 
voluta, conquistasse ben presto il favore del pubblico, dimostrando che 
la tutela offerta � non c�deva, per indipendenza di giudizio, a quella che 
si poteva ottenere, per i diritti, dall'Amministrazione giudiziaria ordinaria
� (33). 

La forza delle cose, comunque, non tard� a prevalere sull'involucro 
formale costruito dal legislatore, tant'� che la natura giurisdizionale della 
nuova Magistratura fu pressoch� immediatamente riconosciuta dalla giurisprudenza: 
gi� nel 1893, infatti, la Cassazione di Roma a Sezioni Unite, 
con sentenza 21 marzo 1893 n. 177 (34), statuiva che �la IV Sezione 
del Consiglio di Stato � stata investita dalle foggi 31 marzo 1889 e 1� maggio 
1890 di una vera e propria giurisdizione, la quale ha pure il carattere 
speciale di fronte a quelle generiche assegnate all'autorit� giudiziaria, 
donde l'ammissibilit� del ricorso per incompetenza o eccesso di potere 
anche contro le decisioni della IV Sezione� (35). 

(31) V. ScIALOIA, op. loc. cit. 
(32) Scrisse infatti SCIALOIA, op. cit., 412, che �attribuire quest'ultima facolt� 
al Consiglio di Stato, infatti, non significa, nel concetto della legge del 1889, 
sottrarla all'Amministrazione�. 
(33) F. BATISTONI FERRARA, op. cit., 284. 
(34) In Foro lt., 1893, I, 294 ss. 
(35) La massima � tratta dalla Relazione dell'Avvocato Generale per l'anno 
1898, 32. 
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PARTE II, QUESTIONI 2J 

Il Consiglio di Stato italiano compiva cos�, nel breve volgere di qualche 
anno, quella evoluzione da organo amministrativo a giudice che, per 
il confratello transalpino, era durata quasi tre quarti di secolo. 

L'Avvocatura erariale -sia pur combattendo, come si � visto, pro 
domo sua -svolse un ruolo non secondario per ~'affermazione di tali 
principi ed il consolidamento del nuovo sistema, impugnando le decisioni 
del Consiglio di Stato davanti alle Sezioni Unite della Cassazione ed 
affermandone, anche in relazione ai limiti soggettivi, la loro piena equiparazione 
alle sentenze dei Tribunali (36). 

La natura giurisdizionale della IV Sezione doveva, com'� noto, trovare 
il suo crisma normativo nel 1907 ed il salto di qualit� dell'Avvocatura 
dalle dimensioni patrimonialistiche originarie a quelle totalizzanti 
�dello Stato� doveva trovare consacrazione legislativa nelle riforme degli 
anni 20 e 30 che, in sintomatica coincidenza temporale, unificarono 
la Cassazione in Roma, incardinarono nella Presidenza del Consiglio di 
Stato, Corte dei Conti ed Avvocatura, fino allora rispettivamente facenti 
capo a Ministero dell'Interno e Ministero delle Finanze, istituirono il foro 
dello Stato ed estesero a tutte le Amministrazioni dello Stato, anche ad 
ordinamento autonomo e, previa autorizzazione, ad enti sovvenzionati, 
sottoposti a tutela e vigilanza, nonch� ad agenti ed impiegati pubblici, il 
patrocinio dell'Avvocatura (37). 

In questa prima �mutazione�, iniziatasi a cavallo dei due secoli e 
compiutasi negli 'anni '30, l'istituto si trasform� dunque -proprio grazie 
alla nascita di un processo amministrativo ed al ruolo in esso giocato 
-in difensore del potere esecutivo che, nella sua epifania di Statoamministrazione, 
si sottopone al giudizio, ordinario o amministrativo 
che sia. 

Piccardi, a proposito dello Stato-parte in giudizio, parl� di un � processo 
di parti in cui una parte � un po' meno parte dell'altra �. L'affermazione 
ha una duplice valenza, in quanto se, da un lato, allude al rispetto 
del principio di legalit� da parte della Pubblica Amministrazione 
anche quando � parte in giudizio (con conseguente dovere per il suo 
avvocato di essere, per il proprio particolare cliente, prima giudice che 
difensore) dall'altro evoca tutti i privilegi sia sostanziali che processuali 
di cui godeva allora lo �Stato in giudizio. A parte quelli del giudizio amministrativo 
tradizionale, di per s� evidenti, (non era l'avvocato dello 
Stato addirittura sostituibile con un referendario del Consiglio di Stato?) 
basti ricordare, per il giudizio civile, tutta la nutrita serie di domande 
considerate improponibili nei confronti della Pubblica Amministrazione, 
il salve et repete, l'individuazione dell'organo legittimato a stare in giudizio 
prima della riforma Trabucchi per non citare che alcuni privilegi. 

(36) F. BATISTONI FERRARA, op. loc. cit. 
(37) G. MANZARI, Avvocatura dello Stato, Digesto, IV Ed., Torino, 1988, 11 ss. 
14 



24 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

L'Avvocatura dello Stato a seguito della crisi di trasformazione che 
si dipan� fra i due secoli e si consolid� nel 1933 si trasform� dunque 
da difensore dello Stato italiano inteso nelle sue dimensioni patrimonialistiche, 
quale era stata all'origine, in difensore delle prerogative del 
potere esecutivo di fronte al giudiziario. 

Ci� comport� naturalmente anche una mutazione nella intima 
essenza dell'istituto, nel rapporto cio� fra le sue due anime tradizionali, 
sottese l'una alla professione, l'altra alla pubblica funzione, con prevalenza 
della seconda sulla prima, divenuta strumento tecnico servente per 
il miglior esercizio di quella. 

Tirando le fila del discorso sin qui svolto si pu� dunque trarre una 
prima conclusione. L'istituzione dell'Avvocatura ed il primo svolgimento 
dell'attivit� di istituto si colloca nel quadro di quel pacchetto di riforme 
e di evoluzione dell'ordinamento italian.o che in poco pi� di un quarto 
di secolo (1865-1893), attraverso un singolare processo di eterogenesi, istitu� 
il processo amministrativo. 

Da un corpus normativo che affermava l'unicit� della giurisdizione 
in capo al giudice ordinario ed istituiva un procedimento amministrativo 
contenzioso �quasi giudiziale� interno all'Amministrazione a garanzia oggettiva 
di legalit� e negava quindi la �potizzabilit� stessa di un giudice 
amministrativo, nasceva, infatti, un giudice amministrativo incardinato 
nell'Amministrazione, sull'esempio del modello francese. 

Cominciava cos� la singolarissima -e per tanti versi ambigua costruzione 
del processo amministrativo italiano, nato nell'amministrazione 
ed evoluto nella giurisdizione per giudicare di un interesse legittimo 
considerato come situazione sostanziale fino alle soglie del giudizio, 
al cui accesso legittimava, per perdere poi in esso tale connotato i:r� quanto 
la natura cassatoria della pronuncia non riconosceva o disconosceva 
alcun bene della vita, limitandosi ad annullare -o non annullare un 
atto amministrativo. 

Fu detto a suo tempo che, con l'istituzione della IV Sezione del Con


siglio di Stato, una parte della classe dirigente fu chiamata a control


lare se stessa (38): questo in linea con quella tradizione transalpina che 

riconosceva nel Coinseil d'Etat -nato come massima espressione logica 

di una � amministrazione senza giudice � ed evolutosi in giudice dell'am


ministrazione (39) -il duplice ruolo di garante dei diritti del cittadino 

contro gli abusi dell'amministrazione e di protett�re delle prerogative del 

(38) L. PICCARDI, Intervento al X Convegno di Studi di scienza dell'amministrazione, 
1964, Atti, 97. 
(39) G. VEDEL, Il controllo giurisdizionale della pubblica amministrazione in 
Francia, in �Il controllo giurisdizionale della P.A. �, Studi di diritto comparato 
di A. Piras, Torino, 1971, 84-85. 

PARTE II, QUESTIONI 2J 

potere pubblico (40), considerato non solo �parte� da giudicare, ma anche 
apparato da dirigere e da consigliare (41). Ad esso si accompagnava 
la evoluzione di �una figura di avvocato dello Stato che assumeva le 
vesti di difensore istituzionale di quelle prerogative. 

Alla conseguente ambiguit� del relativo giudizio si aggiunge poi quella 
ulteriore derivante logicamente da un sindacato di tipo cassatorio non 
omogeneamente collegato con un previo giudizio � di merito �. 

In tale ambiguit� di fondo nacque e prosper� l'interesse legittimo 
come �creatura di laboratorio'� o �pianta di serra� singolarit� tutta 
italiana e che solo le vicende storiche che gli dettero vita possono in 
qualche modo spiegare. 

Nato come espediente esegetico (42) per superare le aporie del sistema. 
di giustizia creato dalle leggi del 1865 e del 1889 (o piuttosto dalla 
loro interpretazione) fu teorizzato come situazione giuridica soggettiva 
sostanziale unitaria sulla scorta del seguente sillogisma: se alla IV Sezione 
doveva riconoscersi natura giurisdizionale e se l'interesse davanti 
ad essa fatto valere poteva essere protetto denunciando indifferentemente 
uno d�i tre vizi di incompetenza, violazione di legge ed eccesso di 
potere, occorreva allora riconoscere che la riforma del 1889 aveva attribuito 
natura giuridica a situazioni diverse al tempo stesso dal diritto 
civile e politico e dall'interesse semplice, materiale, economico (43). 

L'argomento appare discutibile in s� e comunque condizionato dal 
postulato della situazione giuridica soggettiva come � prodotto immutabile 
della ragione� (44). 

La verit� � che la nascita de1la categoria dell'interesse legittimo sembra 
essere il frutto di un complesso processo di eterogenesi al quale partecip� 
in prima linea l'Avvocatura Erariale e che si articol� nei seguenti 
momenti: 

1) soppressione del contenzioso amministrativo con devoluzione al 
giudice civile, come giudice unico, della cognizione di ogni questione relativa 
a diritti, sull'esempio dell'esperienza belga, a sua volta mutuata da 
quella anglosassone; 

2) applicazione della normativa in senso tanto restrittivo da postulare 
la necessit� di una sua integrazione per la tutela di tutte le situazioni 
sottratte alla cognizione del giudice civile (molte delle quali erano 
sicuramente diritti soggettivi); 

(40) A. MESTRE, Le Conseil d'Etat, protecteur des pr�rogatives de l'Administration, 
Parigi, 1974. 
(41) M. HAURIOU, Principes de droit public, Parigi, 1910, 491. 
(42) E. GuICCIARDI, Concetti tradizionali e principi ricostruttivi della giustizia 
amministrativa, Torino, 1967, I. 
(43) O. RANEUJlTTI, cit. in B. SORDI, Giustizia e amministrazione nell'Italia 
liberale -La formazione della nozione di interesse legittimo, Milano, 1985, 373. 
(44) L. MENGONI, Diritto e politica nella dottrina giuridica, Iustitia, 1974, 
337 ss. 

26 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

3) introduzione della integrazione -istituzione della IV Sezione del 
Consiglio di Stato -sul presupposto che la interpretazione della legge 
del 1865 fosse esatta e quindi con configurazione del nuovo rimedio come 
istituto puramente ammh�strativo per la tutela di semplici interessi; 

4) rapidissima evoluzione della IV Sezione del Consiglio di Stato 
da organo di amministrazione in organo di giustizia; 

5) razionalizzazione di tale ulteriore evoluzione con attribuzione di 
una natura sostanziale unitaria agli interessi eterogenei tutelati dinanzi 
al Consiglio di Stato, con conseguente necessaria creazione dogmatica 
di una categoria capace di ridurre ad unit� tanto diritti soggettivi rimasti 
orfani di tutela quanto semplici interessi dotati di particolare rilevanza. 


Sintetizzando e schematizzando questa singolare eterogenesi, si potrebbe 
quindi dire che il diritto vivente formatosi -abbiamo visto come 
-nel quarto di secolo successivo al 1865 fu il tradimento di una 
riforma, che l'istituzione della IV Sezione fu la razionalizzazione di quel 
tradimento; che la trasformazione della IV Sezione da organo amministrativo 
in organo giurisdizionale fu il tradimento di quella razionalizzazione; 
infine che la creazione della categoria dell'interesse legittimo 
come situazione soggettiva sostanziale ancipite fra diritto e interesse, 
secondo la nota prospettazione del Ranelletti, fu l'ulteriore razionalizzazione 
di quel secondo tradimento. 

Pur con tutti i suoi vizi di origine sta per� di fatto che l'interesse 
legittimo crebbe e si svilupp� al centro di quella elegantissima costruzione 
giuridica che il Consiglio di Stato italiano ha creato in tre quarti 
di secolo, una costruzione in cui non si sa mai se ammirare di pi� la 
fantasia nell'escogitare nuove soluzioni (basti ricordare il silenzio e l'atto 
paritetico), il rigore giuridico nell'argomentarle o il pragmatismo nel 
raggiungere sostanziali risultati di giustizia attraverso un armamentario 
normativo rozzo e limitatissimo. 

Condizione di vita per l'interesse legittimo in quanto � fiore di serra 
� era per� il permanere della serra, cio� di quello specialissimo giudizio 
di cui si � detto e che era, s�, processo di parti, ma in cui una 
parte � �meno parte dell'altra� (45) � assistita da un avvocato pubblico 
che ha la funzione di difenderne le prerogative ed in cui il giudice 
� anche il �padre spirituale� di quella (46). 

Un processo, insomma, �datato� e connotato da peculiarissimi dati 
politologici, sociologici e culturali. 

(45) L. PICCARDI, Il problema della difesa dello Stato in giudizio e la soluzione 
italiana, Riv. dir. pubbl., 1931, 595. 
(46) E. CANNADA BARTOLI, in Atti Parlamentari, Camera, I Commissione 
p�rmanente, Audizioni sullo stato della giustizia amministrativa, seduta 30 ottobre 
1984. 

PARTE II, QUESTIONI 

3. 
-LA COSTITUZIONE REPUBBLICANA E LA LEGGE ISTITUTIVA DEI TRIBUNALI AMMINISTRATIVI 
REGIONALI. 
Il sistema evolvette fino alla Carta repubblicana del 1948 che, in 
modo quasi notarile, lo costituzionalizz� con tutte le sue originalit� e 
le sue contraddizioni: basti pensare a quella che vede contrapporre da 
un lato la qualificazione dell'interesse legittimo come posizione sogget~ 
tiva sostanziale (art. 24), dall'altro la qualificazione del giudizio amministrativo 
come giudizio sull'atto e quindi come giudizio cassatorio, inidoneo 
a garantire il riconoscimento di un bene della vita (art. 113). Unico, 
modesto, elemento innovativo, l'introduzione del principio del doppio grado, 
con la previsione (art. 125) dell'istituzione a livello regionale di organi 
di giustizia amministrativa di primo grado. Previsione cui doveva dare 
attuazione la legge istitutiva dei Tribunali Amministrativi Regionali (legge 
6 dicembre 1971 n. 1034) che, come � noto, non contiene alcuna rivoluzionaria 
innovazione normativa ed appare anzi, in larga misura, rispettosa 
delle formule tradizionali. 

Normativa costituzionale e normativa ordinaria sui T.A.R. sembravano 
dunque segnare, a prima vista, il consolidamento di un sistema di giustizia 
amministrativa ispirato alla tradizione transalpina che, nello stesso 
torno di anni (1953), istituiva i Tribunali Amministrativi Regionali in 
luogo dei vecchi consigli di Prefettura. 

L'evoluzione della giurisprudenza mostra invece una profonda e progressiva 
divaricazione della nostra giustizia amministrativa rispetto al 
modello francese, cio� al modello di un giudice che con l'Amministrazione 
ha un rapporto privilegiato in quanto non solo la giudica ma la consiglia 

o 
addirittura la dirige. 
Il fenomeno non sorprende: tutta la storia della giustizia amministrativa 
italiana prova che il processo amministrativo � sempre uscito 
dalle riforme in direzioni diverse da quelle volute dal riformatore. Cos� 
come -lo si � appena visto -il processo amministrativo italiano classico, 
pur uscito da una normazione dichiaratamente ispirata al modello 
inglese, si � conformato al modello francese, cos� l'attuale processo amministrativo, 
come si cercher� di dimostrare, pur uscito da una norma� 
zione ispirat,a al modello francese, si va conformando a quello tedesco. 
Ci� � dovuto a due fattori, l'uno normativo l'altro sociologico. Il primo 
attiene al fatto che il principio del doppio grado in Francia non � 
stato generalizzato: i settori pi� importanti del contenzioso amministrativo 
-segnatamente quelli relative alla impugnativa degli atti amministrativi 
pi� rilevanti ed ai rapporti di impiego dei pi� alti funzionar} sono 
rimasti affidati alla competenza del Consiglio di Stato come giudice 


28 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

di unico ed ultimo grado, con tutte le sue tradizionali caratteristiche di 

I

imbricazione nell'Amministrazione. 

I 
. 
Il secondo -in qualche modo al primo connesso -� la creazione , 
di una nuova classe di giudici amministrativi italiani, di estrazione di


I versa da quella tradizionale del Consiglio di, Stato e sganciati da ogni 
funzione di consulenza. Ci� ha fatto s� che nei confronti dell'Amministra� 
zione la giurisdizione amministrativa abbia manifestato, per la prima 
volta nella sua storia, un netto distacco, cui si aggiunge una nota di 
diffidenza e sospetto ogni qualvolta la questione sottoposta al giudizio 
abbia una particolare rilevanza politica o comunque incida su fatti politicamente 
rilevanti (47). 

La diffusione � sul territorio � dei giudici amministrativi ha reso, poi, 
di massa una domanda di giustizia che era prima solo elitaria. 

La forza delle cose ha imposto quindi al nuovo giudice amministra� 
tivo di soddisfare un'esigenza di giustizia sostanziale. La richiesta sem� 
pre crescente montante dalla societ� era che egli si trasformasse da 
giudice dell'atto in giudice del rapporto per la conseguibilit� nel processo 
amministrativo di quel �bene della vita � che dovrebbe pur essere 
conseguibile se � vero che l'interess� legittimo � una situazione sostan� 
ziale. Orbene, bench� stretto nelle angustie di una giurisdizione generale 
di legittimit� che rimane pur sempre una giurisdizione di annullamento, 
il giudice amministrativo italiano � riuscito a rendere giustizia 
nel rapporto attraverso lo strumento cautelare, usato con molta pi� frequenza 
di quanto non abbia fatto il confratello transalpino. 

Il fenomeno � troppo noto perch� vi si debba indugiare; basti ricordare 
come in buona sostanza il processo amministrativo italiano oggi 
si risolva con la concessione o il diniego della sospensiva (48). 

Da un lato ci� pu� essere ricondotto a quella funzione di supplenza 
cui ogni tipo di giurisdizione � oggi chiamata da un eccesso di domanda 
di giustizia. 

Se questo induce a certo non confortanti considerazioni, ci consente 
per� di rilevare come nel momento cautelare il giudice amministrativo 
diventi fisiologicamente giudice del rapporto e quindi di un bene della 
vita da riconoscere o da negare. 

Nella fase di merito, infatti, tradizionalmente, la valutazione dell'interesse 
sostanziale tutelato ha sempre condizionato solo l'ammissibilit� 
del giudizio; nella fase cautelare, invece, dovendo il giudice conoscere 
della �gravit� e irreparabilit� del pregiudizio�, la valutazione dell'inte-

I

(47) F. PIGA, 150 anni del Consiglio di Stato, in Atti del Convegno celebra� 
f: 
tivo :del 15()<> anniversario della istituzione del Consiglio di Stato, Milano, 1983, 391. 

(48) M. NIGRO, in Atti Parlamentari � Audizioni cit., seduta 16 ottobre 1984. 
-~ 
~ 


PARTE II, QUESTIONI 29 

resse sostanziale condi.Ziona anche il merito della decisione: decisione 
che regola, dunque, sia pure interinalment(;l, il rapporto (49). 

A differenza di quanto accade in altri tipi di processo, dunque, in 
quello amministrativo la fase cautelare involge una pronuncia ontologicamente 
diversa da quella di merito, di cui non � mera anticipazione. 

L'evoluzione della giurisprudenza amministrativa in tema di sospensiva 
(e in sede di giurisdizione generale di legittimit�) nell'ultimo decennio � 
troppo nota perch� vi si debba indugiare: � stata, infatti, affermata e 
sistematizzata la sospendibilit� di una serie di atti amministrativi (quali 
dinieghi di ammissione, atti intermedi di procedimenti, atti negativi di 
controllo, ecc.) esclusi dalla sospendibilit� secondo le teorie classiche 
perch� atti negativi. Oltretutto ,il giudice l;\mministrativo ha utilizzato 
con estrema duttibilit� lo strumento cautelare piegandolo, per esempio, a 
fini istruttori o mirandolo meglio al fine attraverso l'introduzione di elementi 
accessori come il termine o la condizione. Si � cos� giunti a soddisfare, 
in sede di sospensiva, non solo �interessi oppositi'\"i �, ma anche 
�interessi pretensivi � (quanto meno quelli �a soddisfazione preregolata 
�) (50), restando quindi esclusi, come posizioni conoscibili, soltanto 
quegli interessi pretensivi per la cui soddisfazione l'Amministrazione conservi 
margini di discrezionalit� in ordine all'an, al quomodo ed al quando. 

Certo, per tale via, il giudice amministrativo sconfina non poco da 
quel mero � effetto anticipatorio � della pronuncia di merito che dovrebbe 
avere la decisione cautelare alla luce dell'insegnamento chiovendiano secondo 
cui il tempo necessario ad avere ragione nel processo non deve 
tornare a danno di chi ha ragione (51). In qualche modo il giudice ammi� 
nistrativo rimedia con quelle prescrizioni � ordinatorie � o � ad effetto 
conformativo �(52) che costituiscono idoneo ponte fra le attuali conquiste 
dell'evoluzione giurisprudenziale e le proposte norme di riforma del processo 
che, sintomaticamente, prevedono una statuizione del giudice pienamente 
satisfattiva deJI'interesse del ricorrente ad eccezione dei casi in 

(49) E. FOLLIERI, Giudizio cautelare amministrativo e interessi tutelati, 
Milano, 1981, 46 ss. 
(50) E. FOLLIERI, op. loc. cit. . 
(51) G. CHIOVENDA, Nota a Cass. Roma, 7 marzo 1921, in Giur. civ. comm. 
1921, 362 ss. 
(52) Fra le pi� tipiche decisioni in tal senso vedasi T A.R. Toscana 21 giugno 
1978 n. 344, in I T.A.R. 1978, I, 349, che recita, in parte qua: �L'accoglimento 
del ricorso giurisdizionale per vizi di carattere sostanziale non comporta sol� 
tanto l'annullamento dell'atto impugnato, ma altresl l'accertamento della situa� 
iione giuridica fatta valere dinanzi al giudice amministrativo, ossia in un certo 
modo la situazione giuridica controversa; pertanto, allorch� l'annullamento dell'atto 
non sia pienamente satisfattorio della pretesa di ulteriori provvedimenti 
dell'amministrazione, quest'ultima soggiace, nella rinnovazione dell'atto annui� 
lato, al vincolo. derivante dal giudicato, di non pregiudicare l'interesse del 
ricorrente, nei limiti in cui dalla decisione sia stato riconosciuto giuridicamente 
protetto�. 



JO 
RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

cui alla p.a. siano attribuiti poteri discrezionali in ordine alle modalit� ed 
al tempo dell'adozione dell'atto o del comportamento (53) .. 

Il Consiglio di Stato d'altronde, ormai investito di una funzione moderatrice 
di un contenzioso di massa, ha in un certo senso avallato le tendenze 
espansive dei T.A.R. in materia di giudizio cautelare. 

Creando pretoriamente l'appello sulle sospensive esso si � posto, infatti, 
in grado di filtrare l'operato del giudice di primo grado essenzialmente 
attraverso una valutazione dei profili giuridici della controversia (in genere 
la decisione sull'appello anticipa la decisione di merito in quanto incentrata 
sul fumus boni iuris). Per contro, il Consiglio di Stato, attraverso 
fa decisione della istanza di sospensione della sentenza di primo grado, 
interviene direttamente ed interinalmente a conformare l'assetto di interessi 
su cui dovr� da ultimo operare� il giudicato, basandosi sul periculum in 
mora e senza che la pronuncia cautelare preluda ad una decisione definitiva 
dello stesso segno. Il che, a ben vedere, � anche conseguenza della 
prassi ormai invalsa di non motivare i provvedimenti cautelari. 

Al fenomeno sopra accennato si accompagna una nettissima tendenza 
all'ampliamento delle materie attribuite al giudice amministrativo in sede 
di giurisdizione esclusiva. La legge istitutiva dei T.A.R. segn� l'avvio, 
con l'attribuzione a detta competenza de1la materia delle concessioni, 
cos� intaccando per la prima volta un criterio di ripartizione non pi� 
basato sulla contrapposizione (o, nella specie, sulla possibile confusione) 
fra diritto e interesse iegittimo ma su una distinzione di � blocchi di 
materie� (54). Sulla stessa via sembra d'altronde essersi posta la Corte 
di Cassazione (55), in una linea di tendenza che sembra destinata a pri� 
vare del suo principale significato quella distinzione di situazioni sogget� 
tive che tradizionalmente segna il discrimine fra le due giurisdizioni (56) 

4. 
PROSPETTIVE DI EVOLUZIONE DEL PROCESSO AMMINISTRATIVO. IL NUOVO RUOLO 
DELL'AVVOCATURA DELLO STATO. 
Il tendenziale aumento dei casi di giurisdizione esclusiva (confermato 
dalle leggi 28 gennaio 1977, n. 10, 20 marzo 1980, n. 75, e 24 marzo 1981, 

(53) Art. 1-3 n. 2 del disegno di legge delega n. 788 presentato dai deputati 
Martinazzoli ed altri il 9 luglio 1987 intitolato � Delega al Governo per l'emanazione 
di norme sul processo amministrativo dinanzi ai Tribunali Amministrativi 
Regionali, al Consiglio di Stato ed al Consiglio di giustizia amministrativa 
per la Regione siciliana, nonch� sul ricorso straordinario al Presidente della 
Repubblica e sui ricorsi amministrativi �. Il relativo testo riproduce quello 
approvato in sede referente dalla I Commissione nella IX legislatura (A.C. 
1353-1803-A). 
(54) F. BENVENUTI, Atti parlamentari cit., seduta del 24 ottobre 1984. 
(55) M. NIGRO, Atti parlamentari cit., seduta del 16 ottobre 1984. 
(56) A. NoccELLI, Principio di partecipazione e funzione del giudice amministrativo, 
in Studi per il centocinquantenario cit., Ili, 1671-1672. 

31

PARTE Il, QUESTIONI 

n. 145) (57) riceve una corposa conferma dal testo dell'ultimo disegno di 
legge-delega che prevede una estensione della giurisdizione esclusiva alle 
materie _�connesse e conseguenti�, all'espropriazione e all'occupazione di 
urgenza e alle prestazioni dei pubblici servizi di sanit�, istruzione e assistenza 
pubbliche (58). Altra conferma viene dal disegno di legge sul procedimento, 
che riserva alla giurisdizione esclusiva le controversie in 
materia di accordi (59). 
Ove si ponga mente al fatto che normalmente la giurisdizione per 
materie � una �giurisdizione piena� (60), sempra potersi concludere che 
in via tendenziale attraverso l'evoluzione della giurisprudenza ed in via 
conclusiva attraverso le riforme legislative in itinere gran parte delle 
situazioni soggettive sostanziali finora qualificate come interessi legittimi 
� avviata a trovare nel processo amministrativo quella soluzione pienamente 
satisfattiva che il tradizionale giudizio rigorosamente cassatorio 
non assicurava se non in alcuni casi di degradazione o di affievolimento. 

N� a tale tipo di conclusione potrebbe opporsi il dettato della Costituzione 
in materia di situazioni soggettive e di riparto di giurisdizioni. 
A parte l'ovvia considerazione che ogni problema, anche formale, risulterebbe 
superato con l'ampliamento dell'area della giurisdizione esclusiva 
la cui forza espansiva non sembra limitata in modo categorico dal costituente) 
(61), giova osservare come il compito del legislatore costituzionale 
sia quello di porre delle norme di principio e non quello di scrivere 
un dizionario giuridico: i termini ed i concetti usati nella Costituzione 
del '47 rispecchiano �i dati semantici che la cultura del tempo forniva
� (62); riflettono, quindi, ovviamente un diritto vivente che era, in 
tema di interesse legittimo e di processo amministrativo, tutto una 
intima anche se elegante contraddizione. 

Sembra sussistere dunque per l'interprete un largo margine di manovra 
anche in materia di ridefinizione dei concetti di di:ritto e di interesse. 

In realt�, in materia di tutela giurisdizionale e di riparto delle giurisdizioni, 
la voluntas legis del costituente mir� soprattutto (se non soltanto) 
ad assicurare il massimo di garanzia della giurisdizione per ogni 

(57) M. NIGRO, Giustizia Amministrativa, Bol�gna, 1983, 103. 
(58) Artt. 1-3 n. 3 del Disegno di legge citato a nota 53. 
(59) Art. 12 del Disegno di legge delega presentato dal Presidente del Con� 
siglio dei Ministri il 19 novembre 1987 (Camera dei Deputati n. 1913), intitolato 
� Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso 
ad documenti ammimstrativi �. Oggi legge 241/90. 
(60) F. MERUSI, Atti parlamentari cir., seduta del 23 ottobre 1984. 
(61) F. LONGO, Proposte per una riforma del supremo organo regolatore 
del riparto delle giurisdizioni e delle questioni di attribuzioni giurisdizionali, in 
Studi per il centocinquantenario del Consiglio di Stato, Roma, 1981, III, 1350, 
nota 22. 
(62) A. ROMANO, Il giudice amministrativo di fronte alla tutela degli interessi 
c.d.; diffusi, Foro it., 1979, V, 8. 
flllllllltll1lllllllJllllllllllllllllllJlllll�l���1�� 



J2 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

possibile situazione giuridica soggettiva rilevante (diritti e interessi legit� 

Itimi fu l'endiadi ritenuta esaustiva) e nei confronti di �tutti gli atti 
della p.a. � con esclusione di tutte quelle eccezioni (per categorie di atti 
e per mezzi di impugnazioni) di cui il precedente regime aveva offerto 

J

rioco florilegio (63). 

o 

Il quadro della giustizia amministrativa che va cos� delineandosi 
in prospettiva prevede dunque una piena tutela delle situazioni sostan� 
ziali, siano esse qualificate come diritti soggettivi o come interessi legittimi, 
con riparto di competenza giurisdizionale fra il giudice ordinario 

I e un giudice amministrativo da esso diverso solo per specializzazione e ~ 
fornito di potere istruttori, cautelari e decisori atti a garantire il conseguimento 
del bene della vita ed operante, quanto meno tendenzialmente, 
in sede di giurisdizione esclusiva (64). 

Il sistema italiano sembra dunque avviato verso una soluzione di 
�tipo tedesco, con una giustizia amministrativa omologa a quella civile 

Ie da questa distinta unicamente per diversit� di . materia giudicabile e 
non per disomogeneit� di poteri, o di situazioni tutelate, o di recluta


I

mento dei magistrati o di particolari connessioni con l'amministrazione. 
In tale mutato contesto la partecipazione dell'avvocato dello Stato 
al giudizio amministrativo subisce una profonda trasformazione, in 

I 

quanto il soggetto assistito si presenta non pi� come �potere� rive


I & 

stito dal privilegio della funzione, ma come �parte� equiordinata, quanto 

meno in via tendenziale, a quella privata. 

Tale linea di tendenza ha ricevuto d'altronde anche il crisma nor


mativo dell'art. 10, terzo comma, della legge 3 aprile 1979, n. 103 che ha 

equiparato nel regime delle notifiche il processo amministrativo al pro


I 
I 
ili 

cesso civile. 

L'avvocato dello Stato assolve dunque oggi nel processo amministra


tivo ad un compito squisitamente professionale, che passa in prima linea 

rispetto alla pubblica funzione della quale continua pur sempre ad essere 

investito. 

(63) Sembra opportuno riportare la dichiarazione formulata in occasione 
della discussione dell'art. 103 del Presidente Ruini: � Non occorre che ricordi 
da quali criteri era stata dettata la disposizione. Vi � stata, durante il fascismo, 
l'abitudine di privare del ricorso giurisdizionale molte categorie di atti della 
ili

' 

autorit� amministrativa lesivi degli interessi e dei diritti dei privati. Ad ogni 

pi� sospinto veniva una legge e pi� spesso un decreto-legge fascista che diceva: 

per questi atti non � ammesso alcun ricorso n� davanti ai tribunali n� davanti 

al Consiglio di Stato. 

Ci� ha preoccupato la Commissione ed abbiamo di conseguenza stabilito 
che non si pu� togliere ai cittadini, per segmento di materie e di atti, la 
garanZJia del ricorso ~urisdizionale. Nessun dubbio che fin qui tutti noi dell'Assemblea 
siamo d'accordo � (M. RUINI, in La Costituzione della Repubblica nei 
�lavori preparatori dell'Assemblea Costituente, vol. V, Camera dei Deputati p. 4194. 

(64) Cfr. G. BERTI, Momenti della trasformazione della giustizia ammini� 
strativa, Riv. Trim. dir. pubbl., 1972, 1861. 

PARTE Il, QUESTIONI H 

La dignit�, di sedia, che tuttora si riconosce al difensore dello Stato, 
non � dunque pi� il simbolo di un privilegio dell'Esecutivo, privilegio 
ormai volto al tramonto, ma soltanto la testimonianza di una tradizione 
lontana, fortna antica capace di recepire contenuti moderni in quel continuo 
mescolarsi di vecchio e di nuovo che � caratteristico di ogni 
civilt� giuridica. 

I. F. CARAMAZZA 
M.L. SPINA 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

GIACOMO ARENA 

NOTE A MARGINE DEL PROBLEMA DELL'ESECUZIONE 
DELLE PRONUNCE DEL GIUDICE AMMINISTRATIVO (*) 


1. Desidero innanzitutto ringraziare la Societ� Italiana degli Avvocati 
Amministrativisti per il cortese invito a intervenire in questo Convegno 
dedicato a un argomento centrale della giustizia amministrativa che ha 
suscitato e suscita ricorrenti vivaci interventi della giurisprudenza e 
della dottrina h'11 segno del riconoscimento dell'esigenza di una garanzia 
immediata e totale dell'individuo nei confronti delle pubbliche amministrazioni. 
Il tentativo si � sviluppato con una coerenza che lascia tuttavia sorpresi 
e comporta l'inadeguatezza di ogni giudizio positivo su un ceto 
professionale che ha saputo adeguare il suo ruolo alle profonde modifiche 
intervenute nelle relazioni tra amministratori e amministrati. 

Da pi� parti, per�, si chiede se al giudice amministrativo rimangano 
ancora margini di intervento in assenza di incisive riforme. 

L'mterrogativo, polarizzato sul tema del Convegno, rende necessaria 
l'indicazione delle coordinate lungo cui si � sviluppato il discorso continuo 
della giurisprudenza. 

Rinviando alle penetranti osservazioni del professor Nigro nella 
lezione tenuta il 18 maggio 1983 nella Facolt� di giurisprudenza della 
Universit� La Sapienza (1) mi limito a ricordare che l'amministrazione 
liberale presentava un'organizzazione semplice, una struttura accentrata� 
e unitaria, un carattere prevalentemente autoritativo, una nota marcata 
di separatezza rispetto alle altre strutture e istituzioni sociali, un rego� 
lamento astratto e formalizzato delle sue relazioni con gli amministrati. 

L'attivit� amministrativa � esecuzione e sviluppo della legge e l'intervento 
dei pubblici poteri si concreta normalmente con l'adozione di atti 
unilaterali dotati di esecutoriet�. 

(*) Relazione del Convegno su � Il principio di esecutivit� degli atti e delle 
decisioni amministrative� -tenuto a Rom.a 1'11 novembre 1988 presso l'Avvocatura 
generale dello Stato e organizzato dalla Societ� Italiana degli Avvocati 
Amministrativisti che si pubblica col consenso della Rivista Amministrativa 
della Repubblica italiana nella quale � gi� apparsa (fascicolo n. 9 del settembre 
1989). 

(1) Che ora si legge nel Foro Italiano (1983, V, 243 ss.) col titolo: 1J, ancora 
attuale una giustizia amministrativa? Sulle trasformazioni e sulle insufficienze 
della giustizia amministrativa v. F. G. ScocA, Modello tradizionale e trasforma� 
zioni del processo amministrativo dopo il primo decennio di attivit� dei Tribunali 
Amministrativi Regionali, in D.P.A. 1984, 253 ss. 

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-

PARTE II, QUESTIONI 

La giustizia amministrativa ha una funzione di garanzia obiettiva e 
il giudice amministrativo � un organo.della classe dirigente che controlla 
se stessa. 

Il processo, un processo di parti, s�, in cui una parte � meno parte 
dell'altra (2) e in cui il giudice � il padre spirituale di quella (3) con 
il compito di ripristinare la legalit� annullando gli atti illegittimi dopo... 
l'affare ritorna nelle mani dell'amministrazione, sola competente a curare 
gli interessi pubblici (4). 

Un processo di tipo impugnatorio si attaglia perfettamente alla funzione 
primaria di impedire la lesione delle sfere dei privati destinatari 
di provvedimenti amministrativi. 

Lo scenario oggi � completamente mutato. 

L'amministrazione � un complesso di organizzazioni e un complesso 
di attivit� diretti a prestare effettivamente alla societ� le molteplici 
utilit� di cui ha bisogno. Ha perso gran parte del suo carattere esecutivo, 
opera con moduli di derivazione privatistica, definisce i suoi obiettivi 
mediante piani e programmi, si assegna una funzione prevalente di assistenza 
e integrazione sociale. 

Al cittadino non � pi� sufficiente una tutela in negativo -qual � 
quella rappresentata dal giudizio di annullamento e, in sede cautelare, 
dalla sospensione dell'esecu~ione dei provvedimenti impugnati; ha bisogno 
di strumenti giuridici che garantiscano l'effettivo e tempestivo 
conseguimento delle utilit� sostanziali che la legge gli riconosce. Dunque 
di provvedimenti cautelari e di decisioni in positivo con un superamento 
di quell'ideologia e sistema della separazione che rappresenta un serio 
ostacolo all'intervento del giudice nelle aree in cui operano le pubbliche 
amministrazioni. 

Ci� ha comportato un mutamento radicale di concezione e df impiego 
del proc!'!sso amministrativo. 

Sulla crisi del modello si fa strada sempre pi� insistentemente la 
ricostruzione del giudizio amministrativo come esteso al rapporto; correlativamente 
si auspica una sempre maggiore estensione al giudice am


~. ministrativo dei poteri propri del giudice civile. 
Il processo si svolge ormai fra parti eguali e il giudice ha preso 
definitivamente le distanze dall'amministrazione: dunque poteri sempre 
pi� incisivi e, nelle prospettive estreme, riverifica dell'attualit� del riparto 
fra giurisdizioni (5). 

(2) L. PICCARDI, Il problema della difesa dello Stato in giudizio e la soluzione 
italiana, in R.D.P., 1931, 595. 
(3) E. CANNADA BARTOLI, in Atti Parlamentari Camera, I Commissione Permanente, 
Audizioni sullo stato della giustizia amministrativa, seduta del 30 ottobre 
1984. 
(4) M. NIGRO, op. cit., 252. 
(5) M. S. GIANNINI, Problemi attuali della giustizia amministrativa (rela� 
zione introduttiva al Convegno �L'effettivit� della tutela giurisdizionale tra la 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

2. Ma le riforme tardano e al giudice � toccato il compito di rendere 
giustizia con gli strumenti di un processo costruito in funzione di garanzia 
di interessi oppositivi. 
La situazione si aggrava per la rilevata frequenza con cui le amministrazioni 
evit~o di portare ad effetto la sentenza fino al formarsi 
della cosa giudicata, fenomeno questo che ha orientato la pi� recente 
giurisprudenza a battere nuove strade per la concretizzazione delle regole 
definite in decisioni non ancora passate in giudicato. 

Un punto di riferimento per chi debba affrontare il problema � costituito 
dalle note pronunce dell'Adunanza Plenaria del 23 marzo 1979, 

n. 12 (6) � del 1� aprile 1980, n. 10 (7) che hanno con sicurezza delineato 
le aree dell'esecutivit� e dell'efficacia del giudicato. 
Nella prospettiva del Consiglio di Stato l'esecutivit� si esplica sul 
piano dell'immediata produzione degli effetti che dalle pronunce direttamente 
scaturiscono e si rivela inidonea a realizzare in concreto le pretese 
del ricorrente tutte le volte in cui sono necessari ulteriori interventi satisfattori 
dell'amministrazione poich� questa se ha facolt� di uniformarsi 
spontaneamente alle pronunce esecutive non pu� esservi costretta a mezzo 

I

dell'azione di ottemperanza prima che si sia formato il giudicato. 
Di diverso avviso si dichiarava il professor Sandulli nel noto saggio 

t

tematicamente dedicato al problema dell'esecuzione delle pronunce del 
giudice amministrativo (8). 

I 

' 

Secondo l'Autore esiste un obbligo dell'amministrazione di portare 
immediatamente ad effetto le pronunce esecutive contenenti comandi tassativi 
e puntuali. Tale obbligo pu� contare (anche prima del passaggio 
della sentenza in cosa giudicata) sulla responsabilit� patrimoniale dell'amministrazione 
e sulla responsabilit� penale, patrimoniale e contabile 
del funzionario nonch�, nelle ipotesi di condanna al pagamento di s<;>mme, 
sui rimedi previsti dalla procedura civile (9). 

Il professor Sandulli metteva a fuoco con estrema precisione i limiti 
di intervento del giudice amministrativo e, pur lodandone l'impegno per 
il recupero di aree crescenti di tutela effettiva, manifestava la sua opposizione 
a interventi che non fossero assistiti da adeguati supporti teorici (10). 

pluralit� delle giurisdizioni e la disciplina della finanza pubblica � tenuto a 
Napoli e Salerno nei giorni 11-13 novembre 1983) in D.P.A., 1984, 167 ss.; M. NIGRO, 
op. cit., loco ult. cit.; G. SILVESTRI, Giudici ordinari, giudici speciali e unit� 
della giurisdizione nella Costituzione italiana, in Scritti in onore di Massimo 
Severo Giannini, Milano 1988, III, 709 ss. 

(6) In Cons. Stato, 1979, I, 321 ss. 
(7) In Cons. Stato, 1980, I, 441 ss. 
(8) Relazione al Convegno torinese celebrativo del CL anniversario del Consiglio 
di Stato, ora in Dir. Soc., 1982, 19 ss. 
(9) A. M. SANDULLI, op. cit., 23 ss., spec. 29. 
(10) A. M. SANDULLI, op. cit., 20. 

PARTE Il, QUESTIONI 

3. L'occasione per la ricerca di nuove soluzioni venne offerta al Consiglio 
di Stato da una assai nota vicenda che ritengo di dover ricordare 
nei suoi tratti essenziali convinto che, in tal modo, si possa saggiare il 
fondamento, la portata e i limiti dei principi poi affermati. 
Dopo la legittima esecuzione di un decreto di occupazione di urgenza, 
il ricorrente, in sede di gravame, ottiene la sospensione del provvedimento 
impugnato e propone quindi un'azione di ottemperanza ai sensi 
dell'art. 27, n. 4 del T,.U. sul Consiglio di Stato. 

La IV Sezione del Consiglio di Stato, con ordinanza del 27 ottobre 1981, 

n. 799, rimette gli atti all'Adunanza Plenaria perch� venga deciso: a) se 
possa esperirsi l'azione di ottemperanza prevista dall'art. 27 del T.U. sul 
Consiglio di Stato per l'esecuzione coattiva dell'ordinanza cautelare di 
sospensione di un provvedimento amministrativo; b) se le ordinanze di 
sospensiva dei giudici amministrativi abbiano efficacia ex nunc ovvero ex 
tunc (11). 
L'Adunanza Plenaria (12), esaminati accuratamente i termini del problema 
dell'esecuzione delle pronunce del giudice amministrativo, riafferma 
l'impossibilit� di esperire l'azione di ottemperanza prima della formazione 
del giudicato ma costruisce nel contempo, con argomenti tratti dal 
regime dei procedimenti cautelari nel processo civile, il potere di adire 
nuovamente il giudice della cautela per ottenere l'emanazione dei provvedimenti 
ritenuti idonei (e consentiti dal sistema) per assicurare l'esecuzione 
delle sospensive. 

Significativo nella pronuncia � il silenzio serbato sull'efficacia da assegnare 
alle ordinanze cautelari, silenzio mantenuto anche nel successivo 
intervento sulla stessa vicenda in cui si � anzi espressamente accantonato 
il problema ritenendo sufficiente oservare: dalla sospensione consegue 
direttamente l'inidoneit� degli atti sospesi a produrre i propri effetti 
determinandosi in tal modo una situazione giuridica in tutto identica (salvo 
la sua transitoriet�) a quella che si avrebbe se l'atto fosse annullato; 
pertanto, nel caso di specie, ben poteva il giudice amministrativo ordinare 
all'amministrazione la restituzione di quanto detenuto sine titulo (13). 

Una tale conolusione appariva in linea con la tendenza a !riconoscere 
al giudice amministrativo strumenti ampiamente eccedenti la pura e semplice 
paralisi dell'atto impugnato tutte le volte in cui gli effetti caducatori 
della sosp~sione non sono idonei a realizzare, in via di cautela, l'interesse 
del ricorrente (14). 

(11) In Cons. Stato, 1981, I, 1019 ss. . 
(12) 27 aprile 1982, n. 6, in D.P.A., 1983, 97 ss., con nota di R. VILLATA, 
Esecuzione delle ordinanze di sospensione e giudizio di ottemperanza, e in Foro 
lt., 1982, III, 229 ss., con nota di G. SAPORITO, Ottemperanza e ordinanze cautelari 
amministrative. 
(13) Cons. Stato, Adunanza Plenaria, 1 giugno 1983, n. 14, in Cons. Stato, 
1983, I, 623 ss., spec. 624, e in Foro lt., 1984, III, ss. con nota di G. SAPORITO. 
(14) Cons. Stato, Adunanza Plenaria ult. cit., in Cons. Stato cit., 625. 

--
JB 
RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

4. Le pronunce ricordate, a mio avviso, risentono della mancata puntuale 
identificazione dell'ambito di incidenza degli effetti delle sospensive. 
In una battuta: se davvero si ritiene che l'ordinanza cautelare abbia 
una integrale efficacia ripristinatoria della situaziione preesistente allora 
si deve coerentemente concludere che, nell'ipotesi esaminata, il ricorrente 
aveva a sua disposizione il potere di adire il giudice ordinario con 
tutti i mezzi che gli sarebbero stati riconosciuti se il provvedimento non 
fosse mai venuto in essere (15). 

La conclusione ingenera il dubbio che la sospensione blocchi solo 
l'esecutoriet� dell'atto, come orientano a ritenere sia l'origine della cautela 
che l'espressione legislativa che la definisce (16) che, pi� in generale, 
l'inesistenza nel processo amministrativo di un potere cautelare innominato 
idoneo a coprire tutte le esigenze di effettiva tutela provvisoria. 

Delle due l'una: o la sospensiva ha un'integrale efficacia ripristinatoria 
e la situazione pregiudicata, nelle ipotesi analoghe a quella decisa, trova 
nel processo civile adeguati strumenti di garanzia, ovvero, come ritengo, 

Idetermina solo un blocco �iell'attivit� autorizzata dal provvedimento del 
tutto funzionale alla garanzia del tipo di interesse azionato dinanzi al 
giudice amministrativo nella fase cautelare e, di poi, nella fase del merito. 

Per altro verso i1l dubbio prof.nato sembra trovare valida conferma 
nella incontestabile coincidenza, sul piano sostanziale, tra interesse ad I 
agire in via di cautela e posizione soggettiva legittimante la proposizione 

i i: 
della domanda giudiziale di merito (ancorch� vi si aggiunga, sul piano 
processuale, l'ulteriore requisito del periculum in mora che � per� correlato 
alla pendenza dello stesso giudizio di merito ed anzi trae da questo 
esclusiva giustificazione). 

Inoltre, il potere esercitabile dai giudici della cautela (anche nella 
fase di attuazione della cautela concessa) deve essere di natura identica 
a quella del potere spettante al giudice del merito poich� diversamente 
non si spiegherebbe n� l'automatico esaurirsi deH'efficacia del provvedimento 
cautelare con la sentenza conclusiva del giudizio, n�, in senso opposto, 
l'inidoneit� della pronuncia cautelare ad esaurire il potere giurisdizionale 
di cui la parte, proponendo ad un tempo ricorso di merito e istanza 
di sospensiva, postula per intero l'esercizio (17). 

5. Ad nanaloghe riflessioni si presta la pronuncia della I Sezione del 
T.A.R. Lazio, del 27 febbraio 1986, n. 252 (18) che, pur riaffermando il principio 
secondo cui il giudizio di ottemperanza presuppone la formazione 
(15) G. PALEOLOGO, Il giudizio cautelare amministrativo, Padova, 1971, spec. 
250 e 254. 
(16) Art. 39 R.D. 26 giugno 1924 n. 1054. 
(17) Cons. Stato, Adunanza Plenaria, ordinanza 5 settembre 1984, n. 17, in 
Foro lt., III, 51 ss., (con nota di G. SAPORITO, Provvedimenti cautelari: limiti 
di esigibilit�. 
(18) In Foro amm., 1986, 2257 s. 
I 


19

PARIB Il, QUESTIONI 

del giudicato, ha ritenuto possibile, per rendere effettiva la tutela definita 

in una pronuncia di primo grado, il ricorso allo stesso giudice che l'ha 

emessa. 

Secondo il T.A.R., il giudice amministrativo ha il potere di annullare 

l'atto illegittimo, gli spetta, pertanto, il potere � di disporre che l'ammi


nistrazione ponga in essere quegli atti adempitivi che portano a confor


mare la realt� fenomenica alla statuizione di annullamento e a restaurare 

le situazioni soggettive automaticamente ripristinate in forza della sen


tenza di primo grado� (19). 

A ben vedere, nel caso deciso, i ricorrenti avevano ottenuto l'annulla


mento di una delibera estintiva di diritti soggettivi innestati in un rap


porto di pubblico impiego con la conseguenza che potevano azionare tutti 

i rimedi propri della giurisdizione esclusiva (nell'ampiezza assunta a se


guito degli interventi della Corte Costituzionale) per ottenere una tutela 

effettiva non tanto della decisione del primo giudice quanto delle posizioni 

giuridiche soggettive di vantaggio che taile pronuncia aveva fatto rivivere. 

Addirittura gi� forse la prima decisione, sulla base di articolate do


mande, avrebbe potuto disporre l'annullamento deMa delibera impugnata, 

accertare la ricostituzione in capo ai ricorrenti delle situazioni giuridiche 

preesistenti, condannare l'amministrazione all'adempimento dei propri ob


blighi all'interno del rapporto di pubblico impiego. 

Probabilmente ci� non � avvenuto perch� esistevano tuttavia larghi 

margini di incertezza in relazione alle domande proposte, agli accerta


menti eseguiti, alla sussistenza di tutti i presupposti necessari per l'inte� 

grale attribuzione dei benefici rivendicati. 

I casi esaminati, al! di l� dell'esattezza della ricostruzione proposta, 

segnalano le difficolt� del giudice amministrativo per la estrema povert� 

degli strumenti che gli sono stati consegnati. 

Ha l'ambizioso progetto di fornire di una effettiva e celere tutela non 
� pi� gli interessi strumentali di tipo oppositivo che � abituato a conoscere 

ma gli interessi sostanziali finali delle parti private. Per questa opera


zione ha per� bisogno di sentenze di accertamento e di condanna, di una 

serie di provvedimenti cautelari, di un ben strutturato processo esecutivo, 

di un'articolata istruttoria. Un'attrezzatura che solo il legislatore pu� 

dargli (20). 

(19) T.A.R. Lazio, I, 27 gennaio 1986, n. 252, loco cit.; nello stesso senso, 
T.A.R. Lazio, I, 20 gennaio 1987, n. 146, in T.A.R., 1987, 423; T.A.R. Lazio, I, 
29 agosto 1988, n. 1289, ivi, 1988, 2973 e v. gi� T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 
27 aprile 1984 n. 126, ivi, 2108; sull'orientamento ricordato, cfr. M1cozz1, Intorno 
ad alcune recenti decisioni in tema di esecutivit� della sentenza amministrativa, 
in D.P.A. 1985, 157 s. 

(20) Cfr. NIGRO. E. ancora attuale una giustizia amministrativa? cit., spec. 
25 ss. Significativa al riguardo la proposta di legge sulla � Delega al Governo 
per l'emanazione di norme sul processo amministrativo dinanzi ai Tribunali 

40 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

Giurisprudenza e dottrina hanno costruito un modello di processo 
significativamente diverso da quello originario devono ora darsi carico 
dell'esigenza di definire tutti gli ambiti in cui permane la necessit� di 
forme differenziate di tutela. 

Le tensioni interpretative hanno superato il limite di resistenza del 
modello e le posizioni estreme della dottrina, a volte eccessivamente condizionate 
da un giudizio pesantemente negativo sull'operato della pubblica 
amministrazione, rischiano di divenire fonte di non pochi equivoci. 

Insistere sul processo amministrativo come processo tra parti eguali 
pu� risultare fuorviante, ove non si tenga conto, ai fini della giustificazione 
di forme di tutela differenziate, della sostanza deg1i interessi in gioco nena 
loro diversa specificit�. 

Spero di non essere frainteso. 

Non intendo rivendicare posizioni di privilegio per le amministrazioni 
pubbliche con riguardo alla disciplina di istituti di diritto sostanziale e 
di diritto processuale, desidero solo sottolineare l'esigenza di mantenere 
sempre all'attivit� interpretativa un ampio respiro conservando un costante 
collegamento tra diritto sostanziale e diritto processuale nella prospettiva 
definita dal 2� comma dell'art. 3 della Costituzione. 

In un intervento alla tavola rotonda tenuta a Roma nella Facolt� di 
giurisprudenza dell'Universit� La Sapienza il 28 aprile 1984 il professor 
Fazzalari (21) ammoniva � ancorch� non dubiti che la posizione del cittadino 
di fronte alla pubblica amministrazione meriti adeguato rispetto, 

non si pu� dimenticare che perno dell'attivit� amministrativa � l',interesse 
generale, e che esso, per�, pu� contemperarsi in una certa misura, con 
l'interesse del singolo, ma non soccombere rispetto ad esso. Mentre qualsiasi 
norma che disciplini rigorosamente l'attivit� dell'amministrazione � 
una conquista per tutti, non sempre la tutela di ciascuno pu� essere diretta 
ad autonoma posizione giuridica sostanziale, come tale spendibile 
e tutelabile. 

I processualisti devono ripensare la tutela giurisdizionale in corrispondenza 
della posizione sostanziale da tutelare. 

Non credo che il processo amministrativo debba e possa mai diventare 
un omologo del processo civile, nel senso che, come tale processo, 
il giudice amministrativo si surroghi sempre e comunque alla pubblica 
amministrazione nella riparazione dell'interesse �. 

Amministrativi Regionali, al Consiglio di Stato ed al Consiglio di Giustizia 
Amministrativa per la Regione Sicilana, nonch� sul ricorso straordinario al 
Presidente della Repubblica e sui ricorsi amministrativi � presentata il 9 luglio 
1987 (A.C. X Legislatura n. 788). 

(21) Il futuro del processo amministrativo visto da un processualcivilista, 
in I Tribunali Amministrativi Regionali dieci anni dopo, Foro Amm., 1985, Sez. 
Il, 342 ss. 

41

PARTE II, QUESTIONI 

Una posizione questa che trova sensibili echi nella pi� recente giurisprudenza 
della Corte Costituzionale e della Cassazione (22) che ha ad un 
tempo esaltato la tutela di valori fondamentali dell'individuo trasformando 
posizioni di interesse in posizioni di diritto soggettivo non modificabili 
dall'attivit� amministrativa senza mancare in altre ipotesi (23) di ribadire 
che sull'interesse del privato alla restituzione del bene trasformato ille


-citamente dall'amministrazione prevale l'interesse della collettivit� allo 
sfruttamento dell'opera pubblica realizzata anche in assenza di un processo 
di qualificazione giuridica di quest'ultima. 

(22) SS.UU. 9 marzo 1979 n. 1463 in Giust. civ. 1979, I, 764 ss. (con nota di 
A. POSTIGLIONE, Localizzazione di centrali nucleari e tutela della salute e dell'ambiente); 
SS.UU. 6 ottobre 1979, n. 5172, in Giust. civ. 1980, I, 357 ss. (con nota 
di F. PIGA, Nuovi criteri di discriminazione delle giurisdizioni amministrativa e 
ordinaria: siamo ad una svolta?). 
(23) Cass. SS.UU. 1 giugno 1988 n. 3940, in Foro lt., 1988, I, 2262 ss. 

RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 


QUESTIONI DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE 

I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI 

Codice di procedura penale del 1930 (art. 263, secondo comma [testo sostituito 
in forza dell'art. 22 della 1. 5 �agosto 1988, n. 330], nella parte in cui non 
riconosce all'imputato il diritto di proporre appello contro l'ordinanza che 
rigetta l'istanza di revoca del mandato di cattura. 

Sentenza 29 dicembre 1989, n. 584, G. U. 3 gennaio 1990, n. 1. 

codice di procedura penale del 1988 (norme di attuazione del) art. 247, primo, 
secondo e terzo comma [testo approvato con d.l. 28 luglio 1989, n. 271], nella 
parte in cui non prevede che il pubblico ministero, in caso di dissenso, debba 
enunciarne le ragioni e nella parte in cui non prevede che il giudice, quando, 
a dibattimento concluso, ritiene ingiustificato il dissenso del pubblico ministero, 
possa applicare all'imputato la riduzione di pena contemplata dall'art. 442, 
secondo comma, del codice di procedura penale del 1988. 

Sentenza 8 febbraio 1990, n. 66, G. U. 14 febbraio 1990, n. 7. 

legge 16 febbraio 1913, n. 89, art. 139, n. 2, nella parte in cui prevede che 
il giudice penale inabiliti � de jure �, anzich� sulla base di valutazioni discrezionali, 
il notaio che sia stato condannato, per alcuno dei reati indicati nell'art. 
5 n. 3 della legge stessa, con sentenza non ancora passata _in cosa giudicata. 

Sentenza 2 febbraio 1990, n. 40, G. U. 7 febbraio 1990, n. 6. 

legge 16 febbraio 1913, n. 89, art. 142, ultimo comma, nella parte in cui 
prevede che � � destituito di diritto � il notaio che ha riportato condanna per 
uno dei reati indicati nell'art. 5 n. 3 della legge stessa, anzich� riservare ogni 
provvedimento al procedimento disciplinare camerale del Tribunale civile, come 
per le altre cause enunciate nello stesso art. 142. 

Sentenza 2 febbraio 1990, n. 40, G. U. 7 febbraio 1990, n. 6. 

legge 16 febbraio 1913, n. 89, art. 146, nella parte in cui non prevede che 
l'azione disciplinare rimanga sospesa fino al passaggio in giudicato della sentenza 
quando, per il fatto illecito, sia promosso processo penale. 

Sentenza 2 febbraio 1990, n. 40, G. U. 7 febbraio 1990, n. 6. 

legge 16 febbraio 1913, n. 89, art. 158, primo, secondo e terzo comma. 

Sentenza 2 febbraio 1990, n. 40, G. U. 7 febbraio 1990, n. 6. 

16 



44 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

legge 27 maggio 1959, n. 324, art. 1, terzo comma, lett. b), nella parte in cui 
non prevede la pignorabilit�, sequestrabilit� e cedibilit� dell'indennit� integrativa 
speciale istituita al primo comma dell'articolo, fino alla concorrenza di un 
quinto, per ogni credito vantato nei confronti del personale. 

Sentenza 9 marzo 1990, n. 115, G. U. 14 marzo 1990, n. 11. 

legge 22 novembre 1962, n. 1646, art. 6, sesto comma, limitatamente alle parole 
� sia durato almeno due anni �. 

Sentenza 16 marzo 1990, n. 123, G. U. 21 marzo 1990, n. 12. 

legge 9 gennaio 1963, n. 9, art. 1, secondo comma, nelle parti in cui non 
consente l'integrazione al minimo della pensione di riversibilit� erogata dal 
Fondo speciale per i coltivatori diretti, mezzadri e coloni ai titolari di pensione 
diretta di vecchiaia a carico dello stesso Fondo, di pensione diretta di invalidit� 
a carico della Gestione speciale per i commercianti e di pensione diretta a 
carico dello Stato, qualora, per effetto del cumulo, il complessivo trattamento 
risulti superiore al minimo. 

Sentenza 22 febbraio 1990, n. 69, G. U. 28 febbraio 1990, n. 9. 

legge 9 gennaio 1963, n. 9, art. 1, secondo comma, nella parte in cui esclude 
l'integrazione al minimo della pensione di reversibilit� erogata dalla Gestione 
speciale coltivatori diretti ai titolari di pensione diretta di vecchiaia a carico 
della Gestione speciale commercianti, qualora, per effetto del cumulo il complessivo 
trattamento risulti superiore al minimo anzidetto. 

Sentenza 22 febbraio 1990, n. 70, G. U. 28 febbraio 1990, n. 9. 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 9, primo comma, nella parte in cui non 
comprende fra i datori di lavoro soggetti all'assicurazione coloro che occupano 
persone, fra quelle indicate nell'art. 4, in attivit� previste dall'art. 1 dello stesso 
d.P.R., anche se ttsercitate da altri. 
Sentenza 2 marzo 1990, n. 98, G. U. 7 marzo 1990, n. 10. 

legge 14 luglio 1967, n. 585, art. l, nella parte in cui non prevede, tra gli 
aventi diritto a percepire gli assegni familiari per i figli a carico, in alternativa, 
la madre lavoratrice o pensionata alle stesse condizioni e con gli stessi limiti 
previsti per il padre. 

Sentenza 9 marzo 1990, n. 116, G. U. 14 marzo 1990, n. 11. 

legge 6 agosto 1967, n. 699, art. 10, settimo comma, limitatamente alle parole 
� e sia durato almeno due anni�. 

� Sentenza 16 marzo 1990, n. 123, G. U. 21 marzo 1990, n. 12. 

l�gge 2 aprile 1968, n. 482, art. 5, nella parte in cui non considera, ai fini 
della legge stessa, invalidi civili anche gli affetti da minorazione psichica, i quali 
abbiano una capacit� lavorativa che ne consente il proficuo impiego in mansioni 
compatibili. 

Sentenza 2 febbraio 1990, n. 50, G. U. 7 febbraio 1990, n. 6. 



PARTE II, RASSEGNA DI LEG~SLAZIONE 4J 

legge 2 aprile 1968 n. 482, art. 20, nella parte in cui in ordine agli accerta� 
menti medici non prevede anche i minorati psichici, agli effetti della valutazione 
concreta di compatibilit� dello stato del soggetto con le mansioni a lui affidate 
all'atto dell'assunzione o successivamente, da disporsi a cura del collegio sani� 
tario ivi previsto ed integrato con .un componente specialista nelle discipline 
neurologiche o psichiatriche. 

Sentenza 2 febbraio 1990, n. 50, G. V. 7 febbraio 1990, n. 6. 

d.P.R. 27 marzo 1969, n. 128, art. 23, secondo comma, nella parte in cui non 
prevede nell'organico del servizio di virologia le posizioni funzionali di biologo 
coadiutore e collaboratore e di chimico coadiutore e collaboratore. 
Sentenza 26 gennaio 1990, n. 29, G. U. 31 gennaio 1990, n. 5. 

legge reg. Friuli-Venezia Giulia 24 luglio 1969, n. 17, art. 1, nella parte in 
cui autorizza l'uccellagione praticata con appostamenti fissi, e artt. 2 e 10. 

Sentenza 16 marzo 1990, n; 124, G. V. 21 marzo 1990, n. 12. 

legge 7 ottobre 1969, n. 742, art. 1, nella parte in cui non dispone che la 
sospensione ivi prevista si applichi anche al termine di trenta giorni, di cui 
all'art. 1137 del codice civile per l'impugnazione delle delibere dell'assemblea 
di condominio. 

Sentenza 2 febbraio 1990, n. 49, G. V. 7 febbraio 1990, n. 6. 

d.P.R. 30 maggio 1970, n. 797, art. 3, secondo comma, lett. a), nella parte in 
cui, ai fini dell'attribuzione degli assegni familiari, non prevede anche l'ipotesi 
dello stato di disoccupazione del padre senza indennit�. 
Sentenza 2 febbraio 1990, n. 42, G V. 7 febbraio 1990, n. 6. 

legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 19 [come modificato dall'art. 14 della legge 
28 gennaio 1977, n. 10], nella parte in cui, pur dopo l'avvenuta espropriazione, 
non consente agli aventi diritto di agire in giudizio per la determinazione della 
indennit�, finch� manchi la relazione di stima prevista dagli artt. 15 e 16 della 
legge 

Sentenza 22 febbraio 1990, n. 67, G. V. 28 febbraio 1990, n. 9. 

d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 81, terzo comma, limitatamente alle 
parole � a condizione che il matrimonio sia durato almeno due anni �. 
Sentenza 16 marzo 1990, n. 123, G. V. 21 marzo 1990, n. 12. 

legge 31 maggio 1975, n. 191, art. 21, secondo comma, nella parte in cui non 
prevede che la chiamata alle armi di chi ha fruito del ritardo del servizio 
militare sia disposta non oltre il termine di un anno dalla data di cessazione 
del titolo al ritardo medesimo. 

Sentenza 2 febbraio 1990, n. 41, G. V. 7 febbraio 1990, n. 6. 


46 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge prov. aut. di Bolzano 23 maggio 1977, n. 13, art. 8, secondo comma 
[modificato dalla legge 2 novembre 1988, n. 44], nella parte in cui, in caso di 
decesso dell'assegnatario originario, esclude dal diritto d� succedere nel rap� 
porto di locazione i figli di un figlio premorto del conduttore, i quali abbiano 

I

continuato a convivere con quest'ultimo fino al momento della sua morte. 

I

Sentenza 26 gennaio 1990, n. 28, G. U. 31 gennaio 1990, n. 5. :: 

legge 3 gennaio 1981, n. 6, art. 2, quinto comma. 

Sentenza 2 marzo 1990, n. 99, G U. 7 marzo 1990, n. 10. 

legge 3 gennaio 1981, n. 6, art. 2, settimo comma, nella parte in cui prevede 
che il supplemento della pensione spettante a coloro che dopo la maturazione 
del diritto a pensione continuano per cinque anni l'esercizio della professipne, 
� � pari, per ognuno di tali anni, alla met� delle percentuali di cui al primo e 
al quinto (recte: quarto) comma, riferite alla media dei redditi professionali 
risultanti dalle dichiarazioni successive a quelle considerate per il calcolo del 
pensionamento �, anzich� alle percentuali intere. 

Sentenza 2 marzo 1990, n. 99, G. U. 7 marzo 1990, n. 10. 

legge 4 maggio 1983, n. 184, art. 44, quinto comma, nella parte in cui, limitatamente 
al disposto della lett. b) del primo cGmma, non consente al giudice <

I competente di ridurre, quando sussistano validi motivi per la realizzazione della 
unit� familiare, l'intervallo di et� di diciotto anni. 

Sentenza 2 febbraio 1990, n. 44, G. U. 7 febbraio 1990, n. 6. 

legge reg. Veneto 16 aprile 1985, n. 33, art. 61, ultimo comma, nella parte 
in cui esclude l'obbligo dell'autorizzazione regionale di cui agli artt. 6, iett. d), 
e 16, primo comma, del d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, per gli accumuli temporanei 
di rifiuti tossici e nocivi presso il produttore o presso l'impianto di 
depurazione o trattamento. 

Sentenza 2 febbraio 1990, n. 43, G. U. 7 febbraio 1990, n. 6. 

legge 17 maggio 1985, n. 210, art. 23, nella parte in cui prevede che le controversie 
di lavoro relative al personale dipendente dell'ente siano 'devolute 
alla competenza del pretore �del luogo ove ha sede l'ufficio dell'Avvocatura 
dello Stato nel cui distretto si trova il giudice che sarebbe competente secondo 
le norme ordinarie >>, anzich� del pretore competente secondo la disciplina 
generale delle controversie in materia di lavoro (art. 413 del codice di procedura 
civile). 

Sentenza 9 marzo 1990, n. 117, G. U. 14 marzo 1990, n. 11. 

legge 18 maggio 1989, n. 183, art. 15, quarto comma e, a decorrere dall'entrata 
in vigore del decreto legislativo 16 dicembre 1989, n. 418 (17 gennaio 1990) 
dell'art. 20, quarto comma, nella parte in cui non prevedono un congruo preav 
viso alla regione (o provincia autonoma) interessata all'adozione degli atti s0stitutivi 
ivi previsti. 

Sentenza 26 febbraio 1990 n. 85, G. U. 7 marzo 1990, n. 10. 



47

PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

legge reg. Umbria riapprovata il 24 luglio 1989. 

Sentenza 16 marzo 1990, n. 122, G. U. 21 marzo 1990, n. 12. 

legge approvata dalla reg. Abruzzo il 7 giugno 1989 e riapprovata il 29 luglio 
1989, nella parte in cui non prevede la gratuit� della partecipazione alle sedute 
aventi ad oggetto i problemi dei lavoratori extracomunitari e delle loro famiglie, 
per tutti i componenti del Consiglio regionale per l'emigrazione e l'immi


grazione. 

Sentenza 22 febbraio 1990, n. 68, G. U. 28 febbraio 1990, n. 9. 

[ B -AMMISSIBILITA DELLA RICHIESTA DI REFERENDUM ABROGATIVO 

codice civile, art. 842, primo e secondo comma. 

Sentenza 26 gennaio 199Q, n. 63, G. U. 7 febbraio 1990, n. 6. 

legge 30 aprile 1962, n. 283, art. 5, lett. h), seconda parte. 

Sentenza 2 febbraio 1990, n. 64, G. U. 7 febbraio 1990, n. 6. 

legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 35, primo comma, limitatamente alle parole 
� dell'art. 18 e �. 

Sentenza 2 febbraio 1990, n. 65, G. U. 7 febbraio 1990, n. 6. 

legge 27 dicembre 1977, n. 968, artt. 2, 3, �secondo comma, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 
secondo e terzo comma, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, secondo e quarto comma. 20, 
21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, dal secondo al settimo comma, 30, 31, 32, 33, 34, 
36 e 37. 

Sentenza 26 gennaio 1990, n. 63, G. U. 7 febbraio 1990, n. 6. 

II -QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE 

codice civile, art. 1936 (artt. 3 e 24 della Costituzione}. 

Sentenza 16 marzo 1990, n. 128, G. U. 21 marzo 1990, n. 12. 

codice di procedura civile, art. 545 (art. 3 della Costituzione). 

Sentenza 22 dicembre 1989, n. 580, G. U. 3 gennaio 1990, n. 1. 

combinato disposto codice penale, art. 674, e d.P.R. 24 maggio 1983, n. 203, 
art. 2, n. 7 (artt. 32; primo comma, e 41, primo e secondo comma, della Costituzione). 


Sentenza 16 marzo 1990, n. 127, G. U. 21 marzo 1990, n. 12. 



48 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 24 giugno 1923, n. 1395, art. 7, terzo comma (art. 33, quinto comma, 
della Costituzione). 

Sentenza 23 gennaio 1990, n. 26, G. U. 31 gennaio 1990, n. 5. 

legge 1� giugno 1939, n. 1089, artt. 1 e 2 (art. 9 della Costituzione). 
Sentenza 9 marzo 1990, n. 118, G. U. 14 marzo 1990, n. 11. 


legge 17 agosto 1942, n. 1150, artt. 7, nn. 2, 3 e 4, e 40 (art. 42, terzo comma. 
della Costituzione). 

Sentenza 22 dicembre 1989, n. 575, G. U. 3 gennaio 1990, n. 1. 

legge 21 marzo 1953, n. 161, art. 3, terzo comma (art. 24 della Costituzione). 
Sentenza 22 dicembre 1989, n. 578, G. U. 3 gennaio 1990, n. 1. 

legge 8 dicembre 1956, n. 1378, art. 3, secondo comma (art. 33, quinto comma 
della Costituzione). � 

Sentenza 26 gennaio 1990, n. 29, G. U. 31 gennaio 1990, n. 5. 

d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 310, primo, secondo e terzo comma (art. 3 
della C0stituzione). 
Sentenza 22 febbraio 1990, n. 73, G. U. 28 febbraio 1990, n. 9. 

legge 26 maggio 1965, n. 590, art. 8 (artt. 3 e 44 della Costituzione). 
Sentenza 26 gennaio 1990, n. 32, G. U. 31 gennaio 1990, n. 5. 


d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 80, ultimo comma e 212 (artt. 38, secondo 
comma e 3, primo comma, della Costituzione. 
Sentenza 22 febbraio 1990, n. 71, G. U. 28 febbraio 1990, n. 9. 

legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 11 e legge 29 maggio 1982, n. 297, art. 4 
(art. 3 della Costituzione). 

Sentenza 26 febbraio 1990, n. 86, G. U. 7 marzo 1990, n. 10. 

legge 19 novembre 1968, n. 1187, art. 2, primo comma (art. 42, terzo cqmma, 
della Costituzione). 

Sentenza 22 dicembre 1989, n. 575, G. U. 3 gennaio 1990, n. 1. 

legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 7 (artt. 3 e 41 della Costituzione). 
Sentenza 29 dicembre 1989, n. 586, G. U. 3 gennaio 1990, n. 1. 

legge 20 maggio 1970, n. 300, artt. 19, 17 e 23 (artt. 3 e 39 della Costituzione). 
Sentenza 26 gennaio 1990, n. 30, G. U. 31 gennaio 1990, n. 5. 



PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

legge 9 ottobre 1970, n. 740, art. 27, ultimo comma (art. 3 e 36 della 
Costituzione). 

Sentenza 22 dicembre 1989, n. 577, G. U. 3 gennaio 1990, n. 1. 

legge 1� dicembre 1970, n. 898, art. 4, dodicesimo comma [come novellato 
dall'art. 8 della legge 6 marzo 1987, n. 74] (art. 24 della Costituzione). 

Sentenza 22 dicembre 1989, n. 573, G. U. 3 gennaio 1990, n. 1. 

legge 14 agosto 1971, n 817, art. 7 (artt. 3 e 44 della Costituzione). 
Sentenza 26 gennaio 1990, n. 32, G. U. 31 gennaio 1990, n. 5. 


d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 10 (artt. 2 e 38 della Costituzione). 
Sentenza 23 gennaio 1990, n. 11, G. U. 31 gennaio 1990, n. 5. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 12, quarto comma (art. :3 della 
Costituzione). 
Sentenza 21 febbraio 1990, n. 103, G. U. 7 marzo 1990, n. 10. 

d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 13, primo comma (artt. 3 e 97 della 
Costituzione). 
Sentenza 2 marzo 1990, n. 104, G. U. 7 marzo 1990, n. 10. 

d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 52, terzo comma (art .76 della 
Costituzione). 
Sentenza 2 gennaio 1990, n. 1, G. U. 10 gennaio 1990, n. 2. 

legge 11 luglio 1980, n. 312, art. 162 (artt. 3 e 97 della Costituzione). 
Sentenza 9 marzo 1990, n. 119, G. U. 14 marzo 1990, n. 11. 

legge 23 aprile 1981, n. 154, art. 2, quarto comma (artt. 3 e 51 della 
Costituzione). 

Sentenza 2 febbraio 1990, n. 53, G. U. 14 febbraio 1990, n. 7. 

combinato disposto legge 29 maggio 1982, n. 297, art. 4 e legge 8 marzo 1968, 

n. 
152, art. 11 (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 26 febbraio 1990, n. 86, G. U. 7 marzo 1990, n. 10. 
d.l. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 10, settimo comma [nel testo sostituito dalla 
legge di conversione 25 marzo 1983, n. 79] (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). 
Sentenza 22 dicembre 1989, n. 576, G. U. 3 gennaio 1990, n. 1. 

legge 6 ottobre 1986, n. 656, art. 2, terzo comma (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 2 febbraio 1990, n. 52, G. U. 14 febbraio 1990, n. 7. 


JO RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

legge 11 marzo 1988, n. 67, art. 21, sesto comma (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 22 febbraio 1990, n. 72, G. U. 28 febbraio 1990, n. 9. 

d.l. 21 marzo 1988, n. 86, art. 3, comma 2-bis [convertito in legge 20 mag� 
gio 1988, n. 160] (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 22 febbraio 1990, n. 72, G. U. 28 febbraio 1990, n. 9. 

combinato disposto d.P.R. 24 maggio 1988, n. 203, art. 2, n. 7, e codice 
penale, art. 674 (artt. 32, primo comma e 41, primo e secondo comma, della 
Costituzione). 

Sentenza 16 marzo 1990, n. 127, G. U. 21 marzo 1990, n. 12. 

legge 29 dicembre 1988, n. 544, art. 6, primo comma (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 2 marzo 1990, n. 101, G. U. 7 marzo 1990, n. 10. 

legge 18 maggio 1989, n. 183, artt. 1, quinto comma; 3, secondo comma; 
4, primo comma, lett. a), b), c), d), e), nonch� terzo comma, 9, ottavo comma, 
lett. a), e nono comma, lett. a), b), c), e commi successivi; 10; 12, comma quinto 
e seguenti; 13; 14, terzo comma; 15, secondo comma; 16 secondo comma; 17 
e 18; 21, terzo comma; 22, primo e sesto comma; 24, primo comma; 25, quinto 
comma; 31; 32, primo e secondo comma; 35 (artt. 117, 118 e 125 della Costituzione 
e varie norme statuti reg. Friuli-Venezia Giulia, Veneto, prov. aut. 
di Trento, prov. aut. di Bolzano). 

Sentenza 26 febbraio 1990, n. 85, G. U. 7 marzo 1990, n. 10. 

legge reg. Piemonte riapprovata il 31 maggio 1989 (art. 117 della Costituzione). 


Sentenza 2 gennaio 1990, n. 2, G. U. 10 gennaio 1990, n. 2. 

legge reg. Valle d'Aosta riapprovata il 7 giugno 1989 (statuto spec. reg. 
Valle d'Aosta). 

Sentenza 2 febbraio 1990, n. 51, G. U. 14 febbraio 1990, n. 7. 

legge approvata dalla reg. Abruzzo il 7 giugno 1989 e riapprovata il 29 lu� 
glio 1989, artt. 14, primo comma e 20 (art. 117 della Costituzione). 

Sentenza 22 febbraio 1990 n .68 G. U. 28 febbraio 1990 n. 9. 

legge 28 agosto 1989 n. 305, art. 10, primo e terzo comma (artt. 3 e 6 dello 
statuto speciale reg. Sardegna). 

Sentenza 16 marzo 1990 n. 125 G. U. 21 marzo 1990, n. 12. 

legge reg. Toscana riapprovata il 26 settembre 1989, art. 2 (artt. 5, 81, 117 

e 119 della Costituzione). 
Sentenza 2 marzo 1990, n. 100, G. V. 7 marzo 1990, n. 10. 

~ 
~ 


CONSULTAZIONI 


AVVOCATURA DELLO STATO 

E.D.I.S.U. -Se sono ammessi al patrocinio dell'Avvocatura. 
Se gli E.D.I.S.U. istituiti in Puglia con legge regionale 11 marzo 1989, n. 22 
che ha disposto il subentro della Regione nella titolarit� dei rapporti attivi e 
passivi delle disciolte Opere Universitarie, siano ammessi al patrocinio dell'Av� 
vocatura dello Stato (cons. 5373/89). 

BORSA 

Consob -Trattamento giuridico ed economico del personale. 
Se possano riconoscersi, e in quali limiti, al personale di ruolo della Commissione 
Nazionale per le societ� e la Borsa, gli aumenti periodici previsti 
dal relativo regolamento reso esecutivo con D.P,C.M. del 20 luglio 1987 (cons. 
6640/89). 

CIRCOLAZIONE STRADALE 

Anas -Automezzi -Utilizzazione della luce lampeggiante di colore bleu. 
Se gli automezzi dell'Anas, adibiti a servizi antincendio, possano utilizzare 
la luce lampeggiante di colore bleu (cons. 3141/89). 

COMMERCIO 

Licenza commerciale -Sospensione -Impugnativa -Giudice competente -Commissioni 
tributarie. 

Se avverso il decreto dell'Intendente di finanza che ha disposto la sospensione 
della . licenza commerciale sia proponibile ricorso alla Commissione tributaria 
(cons. 9581/89). 

DEMANIO 

Demanio aeronautico � Concessione ad enti o a privati ;per ifini di beneficenza � 
Criteri nella determinazione del canone. 

Se in materia di concessioni di aree demaniali aeronautiche ad Enti pubblici 
o a privati per fini di beneficenza, il canone debba essere determinato con 
riferimento ai valori del libero mercato ovvero in misura meramente ricognitiva 
del carattere demaniale del bene (cons. 9189/88). 

Demanio archeologico -Ritrovamento avvenuto sotto il previgente diritto 
austriaco. 

Se sia ammissibile un acquisto originario da parte dello Stato dei reperti 
ritrovati nel tempo in cui era in vigore il diritto austriaco che non prevedeva 
un simile acquisto (cons. 2411/88). 

Demanio armentizio � Trasferimento alle Regioni � Trasferimento dei relativi beni. 
Se, in seguito all'avvenuto trasferimento alle Regioni dei beni appartenenti 
al demanio armentizio, possano ritenersi trasferiti anche i suoli tratturali (cons. 
10712/89). 



J2 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Parco del Circeo -Fauna selvatica -Protezioni idonee ad evitare danni -Posizione 
dei proprietari. 

Se sia onere esclusivo dei proprietari degli insediamenti turistici nell'ambito 
del Parco del Circeo predisporre protezioni idonee ad evitare danni dalla presenza 
di fauna selvatica (cons. 6997/89). 

Patrimonio indisponibile -Beni del disciolto P.N.F. -Vincolo di destinazione a 
servizio pubblico o a scopi di interesse generale -Cessazione del vincolo. 
Se sia cessato il vincolo di destinazione dei beni del P.N.F. a seguito dell'entrata 
in vigore della legge 13 maggio 1978, n. 208, che ha abrogato l'art. 38 del 

d.1.1. 27 luglio 1944, n. 159 (cons. 5164/89). 
DOGANE 

Personale -Servizi resi oltre l'orario e fuori del circuito doganale -Indennit� � 
Natura. 

Se le indennit� dovute per i servizi resi, su richiesta, dal personale delle 
dogane, oltre l'orario d'ufficio e fuori del circuito doganale, abbiano o meno 
natura tributaria e quale sia il soggetto obbligato a corrisponderle (cons. 2413/86). 

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILIT�. 

Indennit� in caso di cessione volontaria e indennit� aggiuntiva -Valore (tabellare) 
dell'area di sedime dei fabbricati rurali. 

I 

' 

Se le maggiorazioni della indennit� prevista in caso di cessione volontaria 
ex art. 12 e la indennit� aggiuntiva ex art. 17 della legge n. 865/1971 vadano 

' 

calcolate anche sul valore (tabellare) dell'area di sedime dei fabbricati compresi 
nell'espropriazione ovvero sulla sola superficie effettivamente coltivata (cons. 
6996/89). 

FAMIGLIA 

Matrimonio -Scioglimento -Effetti fiscali sulle attribuzioni dei beni. 
Se, nel caso di scioglimento del matrimonio, l'esenzione, prevista dall'art. 19 
della legge 6 marzo 1987, n. 74, si riferisca anche alle attribuzioni di beni (immobili) 
gi� facenti parte della comunione dei coniugi ( cons. 3217/89). 

LOCAZIONE 

Canone previsto nel contratto -Scadenza -Pagamento di un maggior canone 
da parte della P. A. -Effetti -Se sia necessaria una formale manifestazione 
di volont�. 

Se la P.A. conduttrice, che provveda spontaneamente al pagamento di un 
canone in misura maggiore di quella prevista nel contratto, nel periodo intercorrente 
tra la scadenza legale dello stesso e la data fissata per il rilascio, 
debba manifestare formalmente la sua volont� con un atto aggiuntivo ovvero 
con due atti distinti per ottenere gli effetti previsti dall'art. 2, ultima parte, 
del d.l. 25 settembre 1987, n. 393 (cons. 979/88). 

Locazioni passive -Aggiornamento ai sensi dell'art. 32 ,della legge n. 392/1978 
e della successiva legge n; 118/1985. 

Se debbano essere aggiornati, e secondo quali criteri, ai sensi del cit. art. 32, 
il canone degli immobili urbani ad uso abitazione ed il canone degli immobili 
urbani adibiti ad uso diverso (cons. 9727/89). 



PARTE II, CONSULTAZIONI 

NAVE 

Propriet� -Societ� di armamento o di esercizio -Societ� di fatto o irregolari Possibilit� 
di regolarizzazione. � 

Se sia applicabile, e in quali limiti, alle societ� di fatto o irregolari, di 
armamento o di esercizio di nave, la disciplina prevista dalla legge 23 dicembre 
1982, n. 947 (cons. 4175/89). 

OBBLIGAZIONI (IN GENERE) 

Finanziamenti nel settore industriale -Riattivazione di impianto -Condizioni per 
il rilascio di garanzia statale. 

Se, nel caso di finanziamento diretto alla riattivazione di un impianto 
industriale la garanzia statale per gli interessi si estenda sino a concorrenza 
del relativo ammontare, determinato secondo il tasso di riferimento per il credito 
agevolato al settore industriale (vigente al momento della concessione del finanziamento) 
e la P. A. sia tenuta a versare l'importo della garanzia entro due 
mesi dalla ricl:�esta di operativit� (da intendersi riferita al momento in cui la 

P.A. � posta in condizione di operare) (cons. 4960/86). 
OPERE PUBBLICHE 

Appalto concorso -Procedimento -Entrata in vigore della legge n. 41 del 1986 
(art. 33) -Effetti. 

Se, con l'entrata in vigore della legge n. 41 del 1986, che all'art. 33 detta 
una nuova disciplina per la revisione dei prezzi, le imprese che avevano in 
precedenza presentato l'offerta possano adeguare i prezzi ai costi reali vigenti 
al momento della aggiudicazione, successiva alla nuova disciplina (cons. 
5679/89). 

PROCEDIMENTO CIVILE 

Dichiarazione di terza -Se sia necessario l'intervento dell'Avvocatura dello Stato. 

Se nei procedimenti esecutivi presso terzi, la dichiarazione di quantit� debba 
essere resa dal terzo personalmente o dall'Avvocatura dello Stato (cons. 122/90). 

PROFESSIONISTI 

Psicologi ,. Albo professionale � Commissario.~ Patrocinio dell'Avvocatura dello 
Stato. 

Se il patrocinio del Commissario nominato ai sensi dell'art. 31 della legge 
18 febbraio 1989, n. 56 spetti all'Avvocatura dello Stato (cons. 185/90). 

RISARCIMENTO DEL DANNO 

Danno -Danno ambientale -Responsabilit� amministrativo-contabile -Risarcimento 
� Competenza. 

Se sussiste la giurisdizione dell'A.G.O. ovvero quella della Corte dei Conti in 
tema di risarcimento per danno ambientale, derivante da responsabilit� amministrativo-
contabile (cons. 6925/89). 


f4 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

SPESE GIUDIZIALI IN MATERIA PENALE 

Remissione di debito concessa dal magistrato di sorveglianza -Pluralit� di 
condannati -Effetti. 

Quali effetti si producano nei confronti degli altri condannati, condebitori 
solidali, nel caso di remissione del debito concessa dal magistrato di sorveglianza 
ad un solo condannato (cons. 8144/89). 

SUCCESSIONE 

Legato -Onere -Destinazione a scopi artistici-culturali -Inadempimento -Conseguenze. 


Se la destinazione di un immobile, oggetto di legato modale, a scopi artistico-
culturali possa ritenersi soddisfatta destinando . l'immobile a sede della 
scuola superiore della P.A. (cons. 125/90). 

TRASPORTI 

Ferrovie dello Stato -Personale -Retribuzione -Competenze accessorie. 
Se spetti, e con quale criterio, la rivalutazione dei compensi erogati ai 
sensi dell'art. 81 della legge 11 febbraio 1970, n. 34 (cons. 8468/89). 

Ferrovie del Sud-Est -Gestione commissariale governativa -Bollette telefoniche 
-Rimborso ai dirigenti. 
Se sia ammissibile il rimborso parziale delle bollette telefoniche private ai 
dirigenti (cons. 3216/87). 

TRIBUTI ERARIALI DIRETTI 

Condono -Riscossione di imposta per ammontare maggiore di quello dovuto a 
seguito di dichiarazione integrativa -Rimborso -Interessi. 

Se siano dovuti gli interessi legali sulla maggiore imposta versata dai contribuenti 
rispetto a quella dovuta in seguito alla liquidazione effettuata in base 
alla dichiarazione integrativa (cons. 937/89). 

TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI 

Finanziamento a medio e lungo termine -Atti stipulati fra gli Istituti di credito 
e la Banca Europea degli Investimenti. 

Se gli atti di finanziamento a medio e lungo termine stipulati fra gli Istituti 
di credito nell'esercizio della loro ordinaria attivit� istituzionale e la Banca 
Europea degli Investimenti (nella qualit� di mutuataria) possano godere dell'esenzione 
dall'imposta sostitutiva di cui all'art. 17 D.P.R. 29 settembre 1973, 

n. 601, in applicazione dell'art. 2 della legge 31 ottobre 1961, n. 1231 (cons. 6309/89). 
ILOR -Rimborso a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 42/ 1980 Silenzio-
rifiuto -Domanda di rimborso. 
Se, dichiarato incostituzionale il tributo per effetto della sentenza n. 42/1980, 
il contribuente debba presentare la domanda di rimborso, all'Ufficio delle Imposte 

o all'Intendente di Finanza nel termine decadenziale dei 18 mesi di cui all'art. 38 
D.P.R. n. 602/1973 (cons. 5374/87). 
Imposta di registro -Fusione tra enti diversi dalla societ� -Quale sia l'aliquota 
applicabile. 

Quali criteri occorra seguire per accertare la base imponibile e l'aliquota 
applicabile nel caso di fusioni di enti diversi dalle societ� (cons. 2886/88). 


PARTE II, CONSULTAZIONI JJ 

Imposta sul valore aggiunto -Crediti di rimborso IVA -Pignorabilit�. 
Se siano pignorabili presso l'Amministrazione, terza, i crediti di rimborso 
IVA non ancora definitivamente accertati (cons. 698/89). 

lVA -Espropriazione per pubblica utilit� -Cessione del terreno edificatorio soggetto 
ad esproprio da parte del comune -Se sia assoggettabile ad IVA. 

Se sia assoggettabile ad IVA (o ad imposta di registro in misura fissa) la 
cessione consensuale di un terreno edificatorio da parte del Comune espropriando, 
per la costruzione della casa circondariale (cons. 4913/87).