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ANNOLI-N. l-2 GENNAIO -GIUGNO 1999 


ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 

ROMA 1999 


Progetto grafico dell'architetto CAROLINA VACCARO. 



ANNO LI -N. 1-2 GENNAIO -GIUGNO 1999 


RA��EGNA 
AVVOCATURA 
DELLO STATO 


PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 
ROMA 1999 



ABBONAMENTI ANNO 1999 


ABBONAMENTO ANNuo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . L. 70.000 
UN NUMERO SINGOLO . . � . � . . . . . . . . . . . . . . . . � � � � � � � � 18.000 
UN NUMERO DOPPIO . . . . . � . . . . . . . . . � . � � . . . . � � � � � � � 36.000 

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ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 
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Stampato in Italia -Printed in Italy 

Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 

(2219049) Roma, 1999 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato -P.V. 


INDICE 
CERIMONIA D'INSEDIAMENTO DELL'AWOCATO GENERALE DELLO STATO 
PLINIO SACCHETTO: DISCORSI DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 
E DELL'AWOCATO GENERALE DELLO STATO pag. XV 
Parte prima: GIURISPRUDENZA 
Sezione prima: 
Sezione seconda: 
Sezione terza: 
Sezione quarta: 
Sezione quinta: 
Sezione sesta: 
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura di Ignazio 
Francesco Caramazza) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 
(a cura di Oscar Fiumara) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 
(a cura di Sergio Laporta) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura di Raffaele 
Tamiozzo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura di Carlo Bafile) . . . . 
GIURISPRUDENZA PENALE (a cura di Paolo di Tarsia 
di Belmonte) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
pag. 
� 
� 
� 
� 
� 
3 
25 
83 
113 
198 
243 
Parte seconda: DOTTRINA -OSSERVATORIO LEGISLATIVO 
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA -CONSULTAZIONI 
DOTTRINA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
CONSULTAZIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
pag. 
� 
3 
59 
Comitato di redazione: C. Aiello -F. Basilica -R. De Felice 
P. Gentili -D. Giacobbe -G. Mangia -G. Palmieri P. 
Palmieri -G.P. Palizzi -F. Quadri -F. Sclafani L. 
Ventrella 
Hanno collaborato inoltre al presente numero: Giacomo Aiello 
Giuseppe Albano -Maurizio Borgo -Massimo Giannuzzi 
Maria Vittoria Lumetti -Domenico Mutino -Fabrizio Urbani Neri 
La pubblicazione � diretta da 
PLINIO SACCHETTO 


ARTICOLI, NOTE, DOTTRINA, RECENSIONI 


Cerimonia d'insediamento dell'Avvocato Generale dello Stato Plinio Sacchetto: discorsi 
del Presidente del Consiglio dei Ministri e dell'Avvocato Generale dello Stato. 

G. AIELLO, La clausola attributiva della competenza nelle polizze di carico . ..... . 
G. ALBANO, Il regime dell'affidamento dei lavori pubblici a trattativa privata dopo 
la Merloni-ter. ................................................. . 
F. BASILICA, Il caso delle auto blu ed il difetto di legittimazione all'accesso del Codacons 
. ............................................................ . 
F. BASILICA, La riforma dell'immigrazione al primo esame della Corte di Cassazione 
e la novit� contenuta nel Decreto Legislativo 13 aprile 1999, n. 113 . ......... . 
M. BORGO, Apprensione," sine titulo, di area privata da parte della P A.: individuazione 
del momento acquisitivo della propriet�, in capo alla stessa. Problemi connessi 
alla formalizzazione dell'acquisto, operato dalla P .A.. . .................... . 
M. GIANNUZZI, Discrezionalit� amministrativa e sindacato del giudice penale tra corruzione 
propria e corruzione impropria. . ................................ . 
M. V. LUMEITI, Ballottaggio e programmi di governo locale . ................. . 
G. MANGIA, L'accesso ai documenti amministrativi e il rispetto della legge sulla pri.
vacy, con particolare riferimento all'attivit� contrattuale di diritto privato della 
Pubblica Amministrazione. . ........................................... . 
D. MUTINO, I conflitti di amministrazione tra incertezze e metamorfosi degli interessi 
pubblici............................................................. . 
G. PALMIERI, Brevi osservazioni in tema di atti di alta amministrazione. . ....... . 
G. PALMIERI, La prova di preselezione informatica. . ....................... . 
P. PALMIERI, Ancora una pronuncia in tema di retribuzione di mansioni superiori. Una 
questione ancora dibattuta in attesa della definitiva attuazione dell'art. 56 del 
decreto legislativo n. 29/93. . ...................................... . 
F. 
SCALFANI, La prassi interpretativa della Commissione per l'accesso ai documenti 
amministrativi sul rapporto tra accesso e riservatezza . ................... . 
pag. XV 

I, 71 

Il, 3 

I, 145 

I, 102 

Il, 11 
I, 246 
Il, 16 

Il, 51 

Il, 26 
I, 133 
I, 194 

I, 140 
Il, 36 


PARTE PRIMA 

INDICE ANALITICO -ALFABETICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


ARBITRATO 

-Lodo -Impugnazione per nullit� Intervento 
del terzo -Ammissibilit� Esclusione, 
94. 

ATTO AMMINISTRATIVO 

-Accesso ai documenti -Attivit� di diritto 
privato della pubblica amministrazione Configurabilit�, 
113. 

-Accesso ai documenti amministrativi Istanza 
presentata da un deputato al 
Parlamento -Legittimazione -Status di 
parlamentare -Insussistenza, 192. 

-Diritto d'accesso -Interesse rilevante Insussistenza 
di un interesse personale e 
concreto del Codacons ad accedere alla 
documentazione sull'uso delle c.d. auto 
blu, con nota di F. BASILICA, 145. 

CITTADINANZA 

-Diritto internazionale in genere 
Disciplina ex art. 10, terzo comma legge 
555 del 1912 -Perdita automatica della 
cittadinanza per il solo fatto del 
matrimonio della cittadina di quest'ultimo 
-Pronuncia di incostituzionalit� ex sent. n. 
87/75 -Efficacia retroattiva -Limiti -Nel 
caso di matrimonio celebrato prima del 1 � 
gennaio 1948, 87. 

COMUNIT� EUROPEE 

-Concorrenza -Abuso di posizione 
dominante -Norme bancarie uniformi Apertura 
di credito in conto corrente e 
fideiussione omnibus, 48. 

-Convenzione di Bruxelles sulla 
competenza giurisdizionale e l'esecuzione 
delle decisioni in materia civile e 
commerciale -Clausola attributiva di 
competenza -Forma ammessa dagli usi del 
commercio internazionale, con nota di G. 
AIELLO, 70. 

-Diritto di stabilimento -Libera prestazione 
di servizi -Medici -Specializzazioni 
mediche -Riconoscimento di diplomi Obbligo 
di retribuzione -Effetto diretto, 

59. 
-Imposta di consumo sulle banane Ripetizione 
dell'indebito -Conseguenze 
dell'incompatibilit� con il diritto 
comunitario di un tributo nazionale Disposizioni 
di rimborso di diritto interno, 

26. 
-Imposta di consumo sulle banane Ripetizione 
dell'indebito Regole 
procedurali nazionali, 26. 

-Imposta di consumo sulle banane Ripetizione 
dell'indebito -Traslazione 
dell'imposta -Onere della prova, 26. 

- 
Imposte gravanti sulla raccolta di capitali Fusione 
di societ� -Incorporazione ad 
opera di una societ� che gi� detiene l'intero 
capitale sociale delle societ� incorporate, 

36. 
- 
Imposte gravanti sulla raccolta di capitali Imposta 
sul patrimonio netto delle imprese, 

35. 
-Libera circolazione delle persone -Parit� 
di trattamento -Regime linguistico 
applicabile ai procedimenti penali -Lingua 

tedesca nella provincia di Bolzano, 43. 
-Tasse di concessione governativa Ripetizione 
dell'indebito -Conseguenze 
dell'incompatibilit� con il diritto 
comunitario di un tributo nazionale Regole 
di competenza giurisdizionale e 
disposizioni di rimborso di diritto interno, 

25. 
CONCORRENZA 

-Intesa restrittiva -Pratiche concordate Provvedimenti 
dell'Autorit� Garante della 
Concorrenza e del Mercato -Procedimento 
-Prova -Mercato rilevante -Definizione Parallelismo 
oligopolistico -Non esclude 
le pratiche concordate Sanzioni 
amministrative -Presupposti, 159. 

-Provvedimenti dell'Autorit� Garante della 
Concorrenza e del Mercato -Poteri del 
titolare del diritto di esclusiva utilizzazione 
delle immagini di calciatori professionisti 
in tenuta da gioco -Cessione a terzi del 
diritto di esclusiva (parziale o totale) 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO �

VIII 

Intesa restrittiva della concorrenza vietata Configurabilit� 
-Esclusione -Abuso di 
posizione dominante -Presupposti -Danni 
ai consumatori Dimostrazione 
Necessit�, 158. 

CONCORSO 

-Esami a posti di notaio -Prova di 
preselezione informatica Mancato 
superamento -Domanda cautelare Ammissione 
con riserva alle prove scritte 
del concorso -Accoglimento, con nota di 

G. PALMIERI, 196. 
-Esami a posti di notaio -Prova di 
preselezione informatica Mancato 
superamento -Domanda cautelare Ammissione 
con riserva alle prove scritte 
del concorso -Rigetto, con nota di G. 
PALMIERI, 193. 

CORTE COSTITUZIONALE 

-Conflitto di attribuzione -Tra Provincia 
autonoma e Stato -Relativo ad un atto di 
giurisdizione -Ammissibilit� -Limiti, 22. 

-Giudizio incidentale di legittimit� Decisioni 
-Accoglimento -In genere Effetti 
-Retroattivit� -Operativit� -Limiti 
-Nel caso di norme incostituzionali ab 
inizio, 87. 

DELITTI CONTRO LA PUBBLICA 
AMMINISTRAZIONE 

-Atto discrezionale -Esercizio distorto della 
discrezionalit� -Contrariet� ai doveri di 
ufficio -Corruzione propria, con nota di M. 
GIANNUZZI, 245. 

-Corruzione impropria -Atto discrezionale Configurabilit�, 
con nota di M. GIANNUZZI, 

245. 
-Corruzione propria -Concorso formale con 
il reato di collusione -Configurabilit�, con 
nota di M. GIANNUZZI, 245. 

DEMANIO 

-Trasformazione bene di propriet� privata in 
bene demaniale -Acquisto per accessione Ammissibilit� 
-Fattispecie, 83. 

ESECUZIONE DEL GIUDICATO 

-Ricorso in ottemperanza -Giudicato in 
materia pensionistica della Corte dei conti 
-Rivalutazione monetaria -Proponibilit� 
innanzi al giudice amministrativo in sede 
di ottemperanza -Esclusione, 130. 

FALLIMENTO E PROCEDURE CONCORSUALI 


-Ripartizione dell'attivo -Crediti in 
prededuzione -Imposte dovute in base al 
condono di cui alla legge 30 dicembre 
1991 n. 413 -Inclusione -Fallimento e 
altre procedure concorsuali -Ripartizione 
dell'attivo -Vendita o realizzo di immobili 
gravati da cause speciali di prelazione Concorso 
tra creditori privilegiati e crediti 
prededucibili -Limiti -Tributi in generale 
-Sanatorie e condoni -Legge 30 dicembre 
1991 n. 413 -Credito erariale conseguente 
al condono -Ipoteca a garanzia -Concorso 
con altre cause di prelazione -Effetti, 215. 

GIUDIZIO PENALE 

-Amministrazione dello Stato parte civile Avvocatura 
dello Stato difensore ex lege Procura 
ex lege -Nomina del sostituto Non 
� richiesta, 243. 

-Decreto di rinvio a giudizio 
Modificazione del capo di imputazione da 
parte del GUP -Abnormit� -Non sussiste Difformit� 
fra dispositivo e motivazione Inapplicabilit� 
dell'art. 456 c.p.p., a decreti 
ed ordinanze, 269. 

-Dichiarazione di incompetenza dopo la 
scadenza del termine di cui all'art. 491 

c.p.p. Abnormit� Requisiti 
Insussistenza -Inoppugnabilit� della 
sentenza, 270. 
- 
Reati commessi da magistrati -Persona 
offesa -Non � il Ministero di Grazia e 
Giustizia, 273. 

GIURISDIZIONE CIVILE 

-Concessione lavori pubblici 
Giurisdizione A.G.O. -Legge n. 109/1994 
e succ. modifiche -Controversie anteriori Competenza 
arbitrale -Sussiste, 93. 

GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA 

-Sentenza esecutiva Ricorso per 
ottemperanza -Necessit� del giudicato Legittimit�, 
13. 

IMMIGRAZIONE 

-Decreto pretorile -Ricorso per cassazione Inammissibilit� 
dell'impugnazione, con 
nota di F. BASILICA, 102. 

IMPIEGO PUBBLICO 

-Concorsi -Universit� -Predeterminazione 
criteri di valutazione -Obbligo -Sussiste, 155. 



INDICE ANALITICO ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA 

-Concorso universitario -Procedimento Commissione 
giudicatrice -Astensione e 
incompatibilit� -Cause -Rapporto 
professionale stabile tra commissario 
d'esame e candidato -Dovere di astensione 
-Sussiste, 152. 

-Dirigenti generali -Nomina -Atto di alta 
amministrazione -Motivazione -Necessit�, 
con nota di G. PALMIERI,131. . 

-Responsabilit� amministrativa 
Limitazione ai casi di dolo e colpa grave Ragionevolezza 
-Non fondatezza, 8. 

PROCEDIMENTO CIVILE 

-Notificazioni -Notifica a mezzo del 
servizio poste -Art. 8 legge 20 novembre 
1982 n. 890 -Assenza o rifiuto del 
destinatario e delle altre persone 
legittimate a ricevere l'atto -Omessa 
previsione -Incostituzionalit�, 3. 

-Notificazioni -Notifica a mezzo del 
servizio postale -Art. 8 legge 20 novembre 
1982 n. 890 -Deposito del piego presso 
l'ufficio postale -Mancato ritiro da parte 
del destinatario -Restituzione al mittente 
dopo dieci giorni -Incostituzionalit�, 3. 

PROCEDURA PENALE 

-Contestazione originaria risultante dal capo 
di imputazione Condanna per fatto 
risultante da successive integrazioni Identit� 
sostanziale del fatto contestato Principio 
di correlazione tra accusa e 
sentenza -Violazione -Esclusione, con 
nota di M. GIANNUZZI, 245. 

-Giudizio di appello -Rito camerale Legittimo 
impedimento dell'imputato Mancato 
preannuncio al giudice 
dell'intenzione di partecipare all'udienza 
camerale -Richiesta di rinvio dell'udienza 
-Rigetto -Legittimit�, con nota di M. 
GIANNUZZI, 245. 

-Giudizio di appello -Rito camerale Legittimo 
impedimento del difensore Non 
comparizione del difensore in camera 
di consiglio -Rilevanza quale causa di 
nullit� -Esclusione, con nota di M. 
GIANNUZZI, 245. 

-Omesso deposito da parte del p.m. di tutti 
gli atti di indagine -Declaratoria di 
inutilizzabilit� degli atti non depositati Ordinanza 
che dispone il giudizio 
abbreviato -Invalidit� -Esclusione, 262. 

-Ricorso per Cassazione dell'imputato Richiamo 
ai motivi dedotti da altri 
coimputati -Inammissibilit�, 262. 

REATI CONTRO L'ORDINE PUBBLICO 

-Associazione a delinquere -Mancanza di 
un'organizzazione con gerarchie interne e 
distribuzione di cariche Vincolo 
associativo esteso ad un generico 
programma delittuoso -Sussistenza del 
reato, 263. 

REATI CONTRO LA PUBBLICA 
AMMINISTRAZIONE 

-Inserimento del privato in un sistema di 
mercanteggiamento dei pubblici poteri Sistematicit� 
della pratica della �tangente� 
�Concussione ambientale� 
Inconfigurabilit�, 263. 

SANIT� PUBBLICA 

-USL -Personale -Stipendi e assegni Mansioni 
superiori -Rilevanza 
Esclusione, con nota di P. PALMIERI, 140. 

TRIBUTI (in generale) 

-Accertamento -Istruttoria -Perquisizioni Perquisizioni 
sull'ambito del processo 
penale e perquisizioni amministrative Forme 
e autorizzazioni -Mezzi di tutela, 

221. 
-Contenzioso tributario -Nuovo rito Ricorso 
per cassazione -Art. 360 n. 5 
codice procedura civile Applicabilit�, 

240. 
-Contenzioso tributario -Ricorso per 
cassazione -Notificazione -Inesistenza e 
nullit� -Consegna dell'atto alle parti nel 
domicilio reale -Sanabilit�, 206. 

TRIBUTI ERARIALI DIRETTI 

-Imposta sul reddito delle persone fisiche Fallimento 
del contribuente 
Dichiarazione del curatore ex art. 125, I 
comma, TUIR-Effetti, 198. 

-Imposta sul reddito delle persone fisiche Fallimento 
del contribuente -IRPEF 
dovuta per l'anno in corso -Opponibilit� ai 
creditori -Esclusione, 198. 

-Imposta sul reddito delle persone fisiche Fallimento 
del contribuente -Periodo 
compreso tra l'inizio dell'anno e la 
dichiarazione di fallimento -Autonoma 
obbligazione d'imposta ai fini IRPEF Esclusione, 
198. 

-Imposta sul reddito delle persone fisiche Redditi 
di capitale -Obbligazioni di societ� 
commerciali -Ritenuta alla fonte operata 
dalla societ� emittente su somme erogate a 


Rimborso dell'imposta versata -Termini, 225. Esclusione, 211. Rimborso dell'imposta versata -Termini, 225. Esclusione, 211. 
RASSEGNA AVVOCATIJRA DELLO STATO

X 

titolo di rivalutazione del capitale 
asseritamente non imponibili prima della 
vigenza del TUIR -Domanda di rimborso 
del sostituto d'imposta -Sopravvenuta 
imponibilit� dei proventi in base al TUIR Retroazione 
-Sussistenza -Condizioni Effetti, 
207. 

-Imposte sul reddito -Reddito risultante dalla 
dichiarazione -Liquidazione dell'imposta 
art. 36-bis decreto del Presidente della 
Repubblica 29 settembre 1973 n. 600 -
Condonabilit� -Esclusione, 213. 

-ILOR -Esenzione decennale per i redditi 
derivanti da impianti riammodernati nel 
Mezzogiorno -Applicazione -Modalit� Applicazione 
immediata o differita all'atto 
del riconoscimento dell'Ufficio -Facolt� di 
scelta del contribuente, 225. 

-ILOR -Esenzione decennale per i redditi 
derivanti da impianti riammodernati nel 
Mezzogiorno -Applicazione differita 


-ILOR -Esenzione decennale per i redditi 
derivanti da impianti riammodernati nel 
Mezzogiorno -Natura, 225. 

-IRPEG -Reddito d'impresa -Elementi 
negativi -Somme versate per sanatoria di 
infrazioni tributarie -Sanatoria disposta 
con decreto-legge 10 luglio 1982 n. 429 Detraibilit� 
-Limiti -Principi di inerenza e 
di competenza -Limiti, 232. 

-Societ� di persone -Accertamento in capo 
alla societ� -Effetti nei riguardi dei singoli 
soci -Automaticit� -Esclusione, 237. 

TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI 

-Imposta sul valore aggiunto -Rimborsi Fideiussione 
-Giurisdizione ordinaria, 204. 

-Imposta sul valore aggiunto -Rimborso Interessi 
dovuti dall'Amministrazione 
Finanziaria -Anatocismo -Spettanza 



INDICE CRONOLOGICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


CORTE COSTITUZIONALE 

23 settembre 1998, n. 346 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 3 
11-20 novembre 1998, n. 371 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 8 
12 dicembre 1998, n. 406 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 13 
11febbraio1999, n. 27 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 22 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE. 

Plenum, 22 ottobre 1998, nelle cause riunite da C-10/97 a C-22/97 ............. . pag. 25 
Sez. 6�, 27 ottobre 1998, nella causa C-4/97 .............................. . � 35 
Sez. 6�, 27 ottobre 1998, nella causa C-152/97 ............................ . � 36 
Plenum, 24 novembre 1998, nella causa C-274/96 ......................... . � 43 
Sez. 6�, 21gennaio1999, nelle cause riunite C-215/96 e C-216/96 ............. . � 48 
Sez. 5�, 9 febbraio 1999, nella causa C-343/96 ............................ . � 26 
Sez. 5�, 25 febbraio 1999, nella causa C-131/97 ........................... . � 59 
Plenum, 16 marzo 1999, nella causa C-159/97 ............................ . � 70 


GIURISDIZIONI CIVILI 

CORTE DI CASSAZIONE 

Sez. I, 3 luglio1998, n. 6518 .......................................... . pag. 198 
Sez. Un., 28 luglio 1998, n. 7395 ...................................... . � 204 
Sez. I, 5 settembre 1998, n. 8835 ...................................... . � 206 
Sez. I, 11 settembre 1998, n. 9023 ...................................... . � 207 
Sez. I, 23 settembre 1998, n. 9497 ...................................... . � 211 
Sez. I, 9 ottobre 1998 n. 9965 ......................................... . � 213 
Sez. I, 26 ottobre 1998 n. 10614 ....................................... . � 215 
Sez. I, 27 ottobre 1998 n. 10664 ....................................... . � 221 
Sez. I, 4 novembre 1998 n. 11053 ...................................... . � 225 
Sez. Un., 6 novembre 1998, n. 11211 .... , .............................. . � 83 
Sez. I, 19 novembre 1998 n. 11653 ..................................... . � 232 
Sez. Un., 27 novembre 1998, n. 12061 .................................. . � 87 
Sez. Un., 17 dicembre 1998, n. 12622 ................................... . � 93 
Sez. I, 11gennaio1999 n. 166 ........................................ . � 237 
Sez. I, 22 gennaio 1999 n. 580 ................................... �..... . � 240 
Sez. I, 9 febbraio 1999, n. 1082 ........................................ . � 102 


GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE 

CONSIGLIO DI STATO 

Ad. Plen., 28 aprile 1999, n. 4 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 113 
Ad. Plen., 28 aprile 1999, n. 5 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 113 


INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA 

XII 


Ad. Plen., 28 aprile 1999, n. 6 ......................................... . pag. 113 
Sez. IV, 8 febbraio 1999 n. 128 ........................................ . � 130 
Sez. IV, ordinanza 2 marzo 1999, n. 421 ................................. . � 195 &l 
Sez. IV, 11marzo1999, n. 260 ........................................ . � 131 Y. 
Sez. V, 19 marzo 1999, n. 290 ......................................... . � 140 I 


I 
&
Sez. VI, 3 dicembre 1998, n. 1649 ..................................... . � 145 ?: 
Sez. VI, 11gennaio1999, n. 8 ........................................ . � 152 
Sez. VI, 1febbraio1999, n. 99 ........................................ . � 155 
Sez. VI, 17 febbraio 1999, n. 172 ...................................... . � 158 


TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO 

Sez. I, 9 novembre 1998, n. 3143 ...................................... . pag. 192 
Sez. I, ordinanza 24 febbraio 1999, n. 684 ................................ . � 193 
Sez. I, 7 aprile 1999 n. 873 ........................................... . � 159 


GIURISDIZIONI PENALI 

CORTE DI CASSAZIONE. 

Sez. III, 10 febbraio 1997 n. 257 ....................................... . pag. 243 
Sez.VI, 28 novembre 1997-4 febbraio 1998, n. 1319 ........................ . � 245 
Sez. VI, 30 marzo 1998 n. 468 ........................................ . � 262 
Sez. VI, 16 novembre 1998 n. 3658 .................................... . � 269 
Sez. VI, 24 novembre 1998 n. 3746 .................................... . � 270 
Sez. VI, 13 aprile 1999 n. 751 ......................................... . � 273 




PARTE SECONDA 
DOTTRINA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 3 
CONSULTAZIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 59 


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CERIMONIA D'INSEDIAMENTO 
DELL'AVVOCATO 
GENERALE DELLO STATO 
PLINIO SACCHETTO 


Roma, 22 giugno 1999 


DISCORSO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 
ON. MASSIMO D'ALEMA 


Desidero innanzitutto ringraziare il Presidente della Repubblica per aver voluto 
partecipare a questa cerimonia di insediamento del nuovo Avvocato Generale 
dello Stato, Dott. Plinio Sacchetto. 

Ritengo sia un appuntamento significativo che ci offre la possibilit� di sottolineare 
il ruolo di questo Istituto nella piena espressione dello Stato di diritto e nel1 
'affermazione di quei principi di legalit� e giustizia che rappresentano una componente 
essenziale nell'amministrazione della cosa pubblica. 

� noto che nel nostro ordinamento la difesa dello Stato � affidata da sempre ad 
un organo tecnico che assume in forma organica ed esclusiva la rappresentanza e 
l'assistenza in giudizio della Pubblica Amministrazione. Non a caso la nascita 
dell'Avvocatura dello Stato risale al 1875 e segue di pochi anni quella dello Stato 
unitario. 

Questa lunga tradizione ha progressivamente rafforzato il ruolo 
dell'Avvocatura dello Stato nell'individuazione del punto di giustizia nei rapporti tra 
il cittadino e la pubblica autorit�, soprattutto sotto il profilo dell'assicurazione di una 
unit� di indirizzo nella difesa dell'interesse pubblico. Su ci� ha certamente pesato in 
positivo, la scelta di aver incardinato tale Istituto nell 'Ammistrazione statale -esso 
fa capo direttamente alla Presidenza del Consiglio -ma in una posizione di indipendenza 
nei confronti dei diversi apparati amministrativi che rappresenta e consiglia. 


Da questo punto di vista ritengo sia un aspetto certamente positivo il fatto che 
gli avvocati dello Stato -appartenendo ad un corpo professionale autonomo e incaricato 
in via istituzionale di provvedere alla tutela della Pubblica Amministrazione 
-possano cogliere l'interesse pubblico in una visione d'insieme che trascende l'ottica 
di una difesa contingente dell'interesse particolare dell'Amministrazione per 
rivolgersi, costantemente, all'interesse generale della collettivit�. 

Il valore del nostro sistema di rappresentanza e difesa in giudizio 
dell'Amministrazione risulta, quindi, costituito da un corpo altamente qualificato di 
professionisti che, in quanto pubblici funzionari, operano alle dipendenze dello 
Stato ma, in quanto avvocati, esercitano la loro attivit� con l'autonomia e l'indipendenza 
professionali che ogni avvocato deve avere per assolvere nel modo migliore 
al proprio lavoro. 

� una soluzione, del resto, comune ad altri ordinamenti giuridici (Austria, 
Spagna, Svizzera, Norvegia, solo per citare alcuni esempi) e che si � rivelata particolarmente 
efficace nel corso del tempo, oltre ad apparire tuttora, in un'epoca caratterizzata 
da profondi mutamenti istituzionali, come una soluzione irrinunciabile poich� 
priva di una valida e convincente alternativa. 

Non a caso la stessa proposta di revisione della seconda parte della 
Costituzione, elaborata dalla Commissione bicamerale per le riforme costit~zionali, 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

XVIII 

prevedeva per la prima volta un esplicito rilievo per l'Avvocatura dello Stato, con 
una sottolineatura particolarmente significativa delle sue funzioni di tutela ed assistenza 
della Pubblica Amministrazione. 

Non � questa la sede per ripercorrere le tappe del processo storico di formazione 
del nostro sistema di giustizia amministrativa. Credo sia sufficiente ricordare 
come l'Avvocatura dello Stato ha assolto ad un ruolo di primissimo piano sin da 
quando si pose la necessit� di interpretare la legge che aboliva il contenzioso amministrativo 
contribuendo, in questo modo, all'elaborazione di quella dottrina in materia 
di distinzione tra diritti ed interessi che pure oggi � oggetto di riflessione e giudizio, 
e delimitando il potere del giudice ordinario sull'atto amministrativo. 

In una fase storica successiva, i principi di democrazia e pluralismo introdotti 
dalla nostra Costituzione hanno delegato all'Avvocatura dello Stato compiti sempre 
pi� delicati. Mi riferisco, in particolare, al ruolo dell'Istituto dinanzi alla Corte 
Costituzionale dove � previsto che possa intervenire in difesa della legittimit� delle 
leggi, quando il Governo lo ritenga necessario; a tutela delle competenze dello 
Stato in conflitto con quelle regionali; in rappresentanza del Governo in caso di 
conflitto con altri poteri; ed infine nei giudizi di ammissibilit� dei referendum dove, 
secondo una definizione offerta dalla stessa Corte, l'Avvocatura dello Stato finisce 
coll'assumere una posizione di amicus curiae quale rappresentante dello Stato 
nella sua unit�. 

� giusto ricordare, inoltre, come lo sviluppo degli ordinamenti sovranazionali 
ed internazionali, abbia conferito all'Istituto funzioni di difesa dello Stato italiano 
sia dinanzi alla Corte internazionale dell' Aja sia, pi� frequentemente, dinanzi alla 
Corte di Giustizia della Comunit� Europea dove ha contribuito a rendere armonico 
ed equilibrato il progredire dell'unificazione europea. Ci�, in particolare, ha significato 
tenere conto dell'immediata applicabilit� della normativa comunitaria dinanzi 
ai giudici nazionali e, quindi, adottare iniziative di raccordo e coordinamento con 
l'attivit� amministrativa in relazione all'evolversi dell'ordinamento comunitario. 

Il numero dei soggetti pubblici assistiti dall'Avvocatura dello Stato � venuto, 
dunque, aumentando progressivamente sino ad investire l'estensione del patrocinio 
alle regioni e ad alcuni importanti organismi internazionali come la Commissione 
della Comunit� Europea, la Banca Europea degli investimenti e la F.A.O .. 

Queste tendenze, ovviamente, vanno analizzate e interpretate anche alla luce di 
una crescente domanda di giustizia e del mutamento profondo subito dal contenzioso 
tradizionale dello Stato. Mutamento influenzato da diversi fattori, a partire dalla 
perdita progressiva di molti privilegi riservati all'Amministrazione nel processo 
civile e ad una evoluzione del processo amministrativo in senso sempre pi� garantistico 
per l'amministrato. 

Tutto ci� ha comportato, inevitabilmente, un cambiamento del ruolo dell 'avvocato 
dello Stato il quale appare non tanto come il difensore delle prerogative del 
potere esecutivo quanto come rappresentante di una parte pubblica che nel processo 
� ormai uguale alle altre, pure perseguendo un obiettivo che non � di parte, dal 
momento che deve costantemente ispirare la propria azione al rispetto della legalit� 
e al perseguimento dell'interesse pubblico generale. 

Infine, se ci avviciniamo ai giorni nostri e ai temi del dibattito pi� attuale, � evidente 
che la crisi e l'evoluzione del modello di Stato sociale che abbiamo cono



CERIMONIA DI INSEDIAMENTO 

sciuto, insieme ad un fenomeno diffuso di privatizzazione, stanno cambiando radicalmente 
le forme dell'intervento dello Stato nell'economia. 

Da un lato, importanti enti pubblici si trasformano in societ� per azioni, dal1'
altro nascono nuovi soggetti pubblici dotati di poteri incisivi di intervento con funzioni 
di regolamentazione e garanzia di interessi fondamentali che li pongono in una 
posizione di indipendenza rispetto al Governo. 

Mi riferisco alle autorit� indipendenti per le quali l'ausilio dell'Avvocatura 
dello Stato, quale difensore pubblico istituzionale, sta diventando sempre pi� 
rilevante, consolidandosi cos� quella funzione di difesa imparziale della legge 
che l'Istituto che ci ospita gi� svolge egregiamente nei giudizi di legittimit� 
costituzionale. 

N� va dimenticato, in questo scenario, il processo fondamentale di trasformazione 
dell'azione amministrativa conseguente alle pi� recenti e incisive riforme del 
settore. Riforme che stanno innovando la stessa cultura dell'organizzazione e della 
gestione dei pubblici uffici, attuando cos� una concezione diversa del rapporto tra il 
Cittadino e l'Amministrazione. Dal principio di autorit�, muoviamo, dunque verso 
il principio del servizio, da svolgere -se saranno riprese le indicazioni che emersero 
dal lavoro della Commissione Bicamerale -in direzione della estensione del 
diritto comune alle prevalenti relazioni tra cittadini e pubbliche amministrazioni. 

Questo complesso di evoluzioni e mutamenti, a mio avviso, non soltanto non 
rimuove ma accentua la necessit� per la Pubblica Amministrazione di un organo di 
legalit�. Un Istituto che sia in grado -come nel caso dell'Avvocatura dello Stato 
-di accompagnare, consigliare e difendere quando necessario la Pubblica 
Amministrazione, e con essa i diritti del Cittadino, in questo processo di trasformazione 
profonda che la legislazione interna e internazionale stanno determinando. 

N� ritengo che la forte spinta verso un progressivo decentramento delle funzioni 
e dei poteri pubblici, renda in prospettiva meno necessaria una Avvocatura pubblica 
istituzionale in grado di funzionare come punto di raccordo tra l'ordinamento 
generale e quelli particolari, assicurando cos� una linea di indirizzo unitaria su tutti 
gli snodi fondamentali di questa materia complessa. 

In un'ottica di questo genere, la funzione consultiva dell'Avvocatura dar� un 
contributo prezioso all'eliminazione, in via preventiva, di un contenzioso vastissimo 
che danneggia innanzitutto il Cittadino dal momento che lo costringe a ricorrere al 
giudice per ottenere giustizia, ma anche l'Amministrazione e l'Avvocatura, perch� 
impegnate entrambe in una mole enorme di cause ripetitive che si potrebbero evitare. 
E che danneggia infine -conseguenza certamente pi� grave -la stessa attivit� 
della Giustizia poich� contribuisce ad allungare sempre di pi� i tempi del processo. 

Ecco perch� l'esigenza di individuare subito una linea di indirizzo chiara ed 
univoca � essenziale, in primo luogo, per la stessa Pubblica Amministrazione che 
dovr� cercare sempre pi� di prevenire il contenzioso, componendo nel procedimento 
gli interessi in conflitto e traendo il pi� rapidamente possibile le dovute indicazioni 
dagli orientamenti della giurisprudenza. Il tutto sotto la guida attenta ed esperta 
del suo difensore istituzionale. 

Vorrei dire, infine, che sono convinto -anche per le osservazioni qui svolte che 
l'esperienza preziosa acquisita dall'Avvocatura dello Stato in oltre un secolo di 
storia, potr� essere utilizzata e valorizzata anche al momento del varo delle riforme 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

xx 

istituzionali che il Paese attende con urgenza, cos� da evitare il sorgere di lunghe e 
costose fasi di contenzioso sulla interpretazione delle nuove norme. 

Confido, quindi, nelle capacit� degli avvocati dello Stato e nel loro senso di 
responsabilit�. Quelle capacit� e quella responsabilit� che hanno consentito 
ali'Avvocatura di svolgere sempre i suoi alti compiti con la professionalit� che tutti 
conosciamo. 

Signor Avvocato Generale, la sua storia professionale di Avvocato dello Stato 
-interamente dedicata all'Avvocatura, prima come Avvocato distrettuale di 
Venezia e poi come Vice Avvocato Generale -consente di poter continuare a far 
sicuro affidamento sul ruolo di questo prestigioso Istituto. 

� quindi con animo fiducioso che porgo a Lei e a tutti i suoi colleghi i miei 
auguri sinceri di buon lavoro. 

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DISCORSO DELL'AVVOCATO GENERALE DELLO STATO 
PLINIO SACCHETTO 


Signor Presidente della Repubblica, 

non posso innanzi tutto non rivolgere a Lei l'espressione del mio ringrazia


mento pi� vivo per avere accordato la Sua disponibilit� -solo a pochi giorni di 

distanza dalla assunzione del Suo altissimo Ufficio -a presenziare a questa ceri


monia: Presenza che onora profondamente l'Avvocatura dello Stato e conforta 

anche me personalmente a cercare di adempiere ai miei doveri secondo un modello 

ideale di impegno civile e sociale. 

Nell'accingermi ora a parlare dinanzi a Lei ed alle altre maggiori cariche dello 

Stato -in un clima che accentua la mia gratitudine per la fiducia accordatami e ad 

un tempo il senso di responsabilit� per l'impegno che me ne deriva, tanto pi� dopo 

le lusinghiere espressioni del Presidente del Consiglio -non posso non prendere 

l'avvio dalle considerazioni che, in analoghe occasioni, hanno formulato i miei pre


decessori. 

Ora, la mia prima reazione, nel rileggere i loro discorsi, � stata di personale 

preoccupazione e di disagio per la difficolt� di aggiungere qualcosa di originale 


come sempre si vorrebbe poter fare -alla illustrazione gi� fatta allora delle origi


ni, della ragion d'essere, della esperienza e della funzione della Avvocatura dello 

Stato. 

� Ma, re melius perpensa, mi sono detto che sarebbe stato assai pi� sconcertante 

che -nel frattempo -quell'impostazione fosse superata e divenuta repentina


mente inattuale. 

Perch� anche la vita istituzionale, al pari della natura, non facit saltus -come 

anche i pi� avveduti riformatori sanno bene -ed i cardini di un sistema, quando sono 

solidi e ben articolati, costituiscono la migliore garanzia per assicurarne la pi� effica


ce evoluzione: un'evoluzione come quella che proprio nell'ultimo periodo � in atto. 

Certo, dopo aver ascoltato il Presidente del Consiglio -e non lo dico per adu


lazione -mi trovo ancor pi� a disagio, perch� mi verrebbe naturale richiamarmi 

integralmente a tutto quello che Egli ha detto e delle sue parole non potrei -e non 

potr� in effetti -che effettuare qualche nota a margine e qualche parafrasi. Ma 

penso che l'occasione non mi consenta di astenermi dall'aggiungere qualcosa. 

Cercher� quindi anch'io di illustrare brevemente l'identit� attuale e le possibi. 
lit� future dell'Avvocatura, muovendo dalle sue caratteristiche strutturali tipiche per 

verificarne l'attitudine ad inserirsi costruttivamente nel processo in corso: e vorrei 

evitare che mi faccia velo l'attaccamento -per altro comprensibile -ad un Istituto 

al quale appartengo e nel quale ho prestato ininterrottamente servizio dal 1956. 

Ed allora, qual � innanzi tutto l'identit� dell'Avvocatura -nata nel 1875 -in 

questo scorcio di millennio cos� gravido di domande, di attese e di speranze per il 

mondo ed anche per l'Italia? Credo di poter rispondere che, nella sua fun~ione al 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

XXII 

servizio delle Pubbliche Istituzioni, � sempre stata e continua ad essere uno strumento 
preparato, vigile e operoso, attento a che il comportamento della Pubblica 
Amministrazione corrisponda all'evoluzione dell'ordinamento voluta dal 
Legislatore ed alla linea d'indirizzo indicata dal Governo. 

Non a caso, quindi, l'Avvocatura -sorta come organo di tutela in sede giudiziale 
degli interessi dell'Erario -� divenuta ben presto organo di consulenza e 
patrocinio di tutte le Amministrazioni dello Stato (cos� come di numerosi altri Enti 
che concorrevano a perseguire finalit� d'interesse pubblico) ed � stata ricondotta 
direttamente nella sfera della Presidenza del Consiglio, in modo da assicurarne l'obiettivit�, 
il senso critico e la libert� di giudizio: qualit� necessarie per commisurare 
il perseguimento dell'interesse generale ad una visione che -al di l� dei singoli 
problemi contingenti che si pongono alle Amministrazioni nelle loro specifiche 
competenze -consentisse un contemperamento, una ponderazione ed un raccordo 
dei diversi interessi pubblici concorrenti, nel quadro di una prospettiva mirata al 
bene della comunit� dei cittadini. 

E tanto pi� tale esigenza si rafforza quanto pi� l'ordinamento generale si evolve, 
le strutture istituzionali si modificano ed il rapporto tra interesse generale e posizioni 
dei singoli si articola in modo diverso. 

Quindi, in un'ottica corretta della funzione dell'Avvocatura anche in sede giudiziaria, 
essa non doveva e non deve essere lo strenuo difensore del potere pubblico 
ad oltranza, perinde ac cadaver, ma lo strumento di una verifica e di un approfondimento 
per cui a volte � necessario bens� il ricorso alle vie giudiziarie ma per 
raggiungere nel comune interesse delle parti la interpretazione delle norme pi� corrispondente 
alla volont� del Legislatore. 

Ed a questa interpretazione -una volta che essa abbia raggiunto la sua compiuta 
elaborazione -l'Avvocatura deve portare l'Amministrazione ad adeguarsi, 
mettendo meglio a fuoco la sua azione ed i suoi procedimenti: secondo un iter di 
assistenza legale che ne investe tutte le possibili fasi ma non sarebbe a rigore -in 
un sistema ottimale -inevitabile, perch� esiste come primaria (in ogni caso preliminare 
e non di rado in s� sufficiente) l'azione consultiva, quella per cui gi� ab origine 
il Mantellini ebbe a definire l'Avvocatura come Giudice prima ancora che 
come avvocato. Accostamento e confronto che esprime una peculiarit� tipica -ed 
oserei dire unica -del nostro Istituto. 

Una peculiarit�, per altro, che richiede un permanente, rapido e puntuale coordinamento 
tra Avvocatura e Amministrazioni, ordinariamente in modo diretto ma nelle 
questioni pi� complesse, che investono pi� Amministrazioni o che comunque 
coinvolgono problemi d'indirizzo politico-costituzionale -anche attraverso, e con 
l'intervento, della Presidenza del Consiglio: cos� appunto come oggi � particolarmente 
urgente e necessario. 

Ora, se questa � l'attitudine coltivata dall'Avvocatura dello Stato nel corso della 

sua storia, non esito ad affermare che ancor oggi non esiste nessun'altra istituzione 

che abbia un patrimonio di esperienza delle problematiche giuridiche attinenti 

all'interesse pubblico cos� ampia e diffusa come quella dell'Avvocatura. 

Non cercher� a questo punto -posso assicurarlo -di ricostruire la storia 

d'Italia dall'angolo visuale dell'Avvocatura dello Stato; n� -sottolineando l'am


piezza della nostra preparazione -intendo interpretare riduttivamente altre presen



CERIMONIA DI INSEDIAMENTO 

XXIII 

ze fondamentali nel percorso della vita istituzionale, come quella del Consiglio di 
Stato, ma voglio evidenziarne la diversit� e cio� la distinta ragion d'essere, perch�, 
da un lato, l'attivit� dell'Avvocatura � estesa a tutti i settori dell'esperienza giuridica 
e giudiziaria che coinvolge la P.A. (da quella amministrativistica a quella civilistica 
a quella penalistica, in sede di consultazione preventiva come di gestione processuale) 
e, dall'altro, � innestata sulle radici stesse della P.A. e preordinata a 
consentire la puntuale applicazione dei principi normativi alla realt� operativa, 
traendone le indicazioni fondamentali per un indirizzo giuridico-amministrativo non 
avulso -appunto -dalla realt�, ma aderente alle esigenze che le norme astratte 
sono dirette a realizzare. 

Ed oggi siamo arrivati ad una svolta decisiva, perch� negli ultimi lustri si era 
verificata una progressiva ripartizione (se non, in qualche caso, frammentazione) 
delle competenze istituzionali che aveva accentuato la difficolt� di una reductio ad 
unitatem: esigenza che � da ultimo emersa in modo ineludibile, tanto � vero che 
(come ha rilevato il Presidente del Consiglio) proprio in sede di definizione delle 
regole per il conferimento di funzioni dello Stato alle Regioni ed agli enti locali la 
legge n. 59 del 1997 (legata al nome del prof. Bassanini) ha avvertito la necessit� di 
operare una riforma dell'amministrazione centrale e periferica dello Stato (oltre che 
la ridefinizione delle regole essenziali dell'attivit� amministrativa). 

E proprio nei giorni scorsi questa riforma � stata messa a punto, prevedendo una 
radicale ristrutturazione, ed un ridimensionamento di modelli operativi altrettanto 
innovativo, dei Ministeri sinora esistenti. 

A questo punto, potrebbe sembrare pretenzioso e superfluo ricordare -in questa 
occasione ed a questo uditorio -che l'unit� ed indivisibilit� della Repubblica 
restano, e tanto pi� di fronte all'amplissimo conferimento di poteri e di funzioni alle 
regioni ed agli enti locali di cui ho appena fatto cenno, l'asse portante dell'ordinamento 
costituzionale. Ma proprio in questo contesto � essenziale che l'omogeneit� 
dei fini generali e la coerenza dei criteri di massima diretti a realizzarli siano garantiti 
sul piano tecnico-giuridico dall'unitariet� dell'azione legale: e ben difficilmente, 
a mio avviso, questo intento potrebbe attuarsi senza mantenere un diretto riferimento 
all'istituzione che, unitariamente, ha sin qui assolto il relativo compito. 

Ora, a tale esigenza mi sembra che abbia gi� prestato vigile attenzione il 
Legislatore, l� dove ha voluto confermare -ed in certa misura rafforzare -la posizione 
dell'Avvocatura quale centro di riferimento unitario pur nella molteplicit� del1'
esperienza. 

Particolarmente significative mi sembrano, in proposito, due recenti disposizioni: 
quella contenuta nel Decreto legislativo n. 80/98 sull'organizzazione amministrativa, 
che, nell: assegnare la trattazione delle controversie di impiego direttamente 
alle stesse Amministrazioni, ha accordato all'Avvocatura quello che tecnicamente 
possiamo chiamare un potere di avocazione per la gestione delle cause coinvolgenti 
questioni di massima o di particolare importanza giuridica od economica; e l'altra, 
recentissima, contenuta nella legge n. 133/99 in materia di perequazione, razionalizzazione 
e federalismo fiscale, con la disposizione sulle notificazioni delle 
sentenze d'appello dei giudici tributari, che devono essere effettuate all'Avvocatura 
dello Stato: disposizione che potrebbe apparire meramente processuale ma possiede 
invece una portata sostanziale, perch� conferma il ruolo unitario e unificante 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

XXIV 

dell'Istituto nel momento delle valutazioni preordinate al giudizio di legittimit� 
davanti alla Corte di Cassazione. 

Le due disposizioni, che confermano all'Avvocatura il compito prestigioso e 
impegnativo di ultimo filtro interpretativo, prima della massima istanza giudiziaria, 
della legge -e mi � qui difficile sottrarmi alla tentazione di evocare lo ius respondendi 
dell'esperienza romana o i privilegi funzionali dell 'advocatus fisci -avvalorano 
il suo ruolo e ne ratificano la vocazione a porsi come garante -sia pure con 
la g minuscola visto che vi sono oggi delle Autorit� Garanti -della legalit� nell'azione 
dello Stato. 

Garante della legalit�, che ha un gravissimo compito proprio da svolgere ed una 
peculiarit� tutta sua: il compito � quello di assicurare l'uniformit� dei comportamenti 
affinch� sia attuato anche nel campo dei procedimenti amministrativi il fondamentale 
precetto costituzionale dell'eguaglianza; la peculiarit� � data dal fatto che 
il garante � �accanto� -non �sopra� -ai soggetti la cui uniformit� di comportamenti 
va garantita. 

E la richiesta di assistenza che proviene da quei soggetti � divenuta particolarmente 
intensa da quando, con i provvedimenti dei primi anni Novanta, � stata 
meglio definita e redistribuita la responsabilit� degli operatori. � cos� che l'attivit� 
consultiva dell'Avvocatura, tradizionalmente espletata con pareri formali, ora si va 
evolvendo in attivit� di assistenza, dove la legalit� della condotta si incorpora sempre 
pi� strettamente nell'azione concreta e da questa non pu� prescindere; la legalit� 
dell'azione amministrativa non pu� rimanere nell'enunciazione astratta a priori 
ma si trasfonde nella legittimit� dei singoli atti che nell'esperienza del quotidiano 
vengono adottati. E ci� richiede tempestivit� e duttilit�, caratteri della funzione che 
non si aggiungono dall'esterno a quelli tradizionali, e non certo obsoleti, dell'approfondimento 
e della ricerca di prospettive unitarie e unificanti, ma li presuppongono 
e vi si innestano. 

N� tale raccordo sar� meno necessario, a mio avviso, neppure in materia tributaria, 
come il Legislatore (lo abbiamo appena visto) ha avvertito: anche di fronte a 
nuove strutture operative come le agenzie, pi� adeguate sul piano sociale ed economico-
finanziario, rester� ferma ed anzi dovr� essere pi� rigorosa l'esigenza di un 
indirizzo unitario che sar�, per questa parte, la ragion d'essere del Ministero 
dell'Economia e delle Finanze e richieder� una continua attuazione, verifica e messa 
a punto in sede processuale, che solo un organo di consulenza unitario potr� assicurare 
a livello di vertice, in permanente confronto strategico -ma anche strumentale, 
ad evitare frammentazioni e dispersioni -con la massima Autorit� Giudiziaria. 

N� l'Avvocatura � meno attenta all'azione delle emergenti Autorit�, con cui 
anzi gi� collabora e le cui esperienze precedenti rappresentano un presupposto 
essenziale per la loro nuova e fondamentale azione, come molte di esse hanno gi� 
avuto occasione di riconoscere. 

Al medesimo tempo, non meno essenziale -come pure ha rilevato il Presidente 
del Consiglio -� l'apporto dell'Istituto in questa nuova fase di evoluzione verso la 
piena realizzazione dell'Unione Europea, snodo fondamentale verso il futuro. 

Infatti, le funzioni istituzionali dell'Avvocatura dello Stato si estendono alla 
dimensione sovranazionale costituita dall'ordinamento giuridico della Comunit� 
europea nel quale ha una posizione centrale la giurisdizione della Corte di Giustizia. 


CERIMONIA DI INSEDIAMENTO 

Sin dall'inizio, l'Avvocatura Generale dello Stato assicura anche dinanzi alla 
Corte di Giustizia la difesa, sia nei giudizi che vedono la Repubblica italiana convenuta 
dalla Commissione Europea per inadempimento di obblighi derivanti dal 
Trattato, sia in quelli che il Governo promuove per reagire contro atti delle 
Istituzioni comunitarie lesive degli interessi nazionali. 

E non meno attiva � la partecipazione dell'Avvocatura ai giudizi incidentali di 
interpretazione delle norme comunitarie promossi ad iniziativa dei giudici nazionali. 

Non per compiacimento tecnicistico, ma per la portata determinante che assume 
la giurisdizione interpretativa della Corte, desidero sottolineare il ruolo propulsore 
che essa riveste nel processo fortemente evolutivo che caratterizza il diritto comunitario, 
costruito attorno alle norme fondamentali in tema di libert� di circolazione, di 
concorrenza, di divieto di discriminazioni. La sentenza interpretativa, proprio perch� 
diretta a garantire una applicazione uniforme del diritto comunitario su tutto il territorio 
dell'Unione, spiega i suoi effetti ben al di l� del caso che l'ha suscitata, e spesso 
al di l� della stessa situazione nazionale che ha fatto insorgere la questione. 

Ecco perch� la politica di intervento nei giudizi di interpretazione, per prospettare 
alla Corte una soluzione giuridicamente corretta ma al contempo conforme 
all'interesse nazionale, merita di essere sempre pi� vigorosamente sostenuta: 
anche per mantenere un equilibrio con l'azione svolta dai nostri principali partners 
europei. 

Per intervenire tempestivamente ed efficacemente in queste controversie, 
occorre per� una valutazione complessa, in cui l'analisi dei termini giuridici della 
questione deve coniugarsi con quella politico-amministrativa della possibile incidenza 
della pronuncia della Corte sugli interessi nazionali. 

Anche qui, perci�, � sempre pi� necessario l'impegno dell'Avvocatura dello 
Stato, mettendo a punto procedure che assicurino l'apporto tecnico-giuridico 
dell'Avvocatura presso il Ministero degli Affari Esteri, che presto disporr� di una 
Direzione Generale per l'Integrazione europea, dove dovranno convergere gli 
apprezzamenti dei Ministeri di volta in volta interessati. 

Vorrei soffermarmi anche sulla nostra assidua presenza alla Corte 
Costituzionale per il Governo -ma anche di questo ha parlato il Presidente del 
Consiglio -e sulla nostra dedizione ai beni culturali, ma mi rendo conto che 
rischierei, venendo meno al mio impegno di brevit�, di esporre gradualmente tutti 
gli aspetti salienti dell'attivit� -o almeno delle buone intenzioni dell'Avvocatura. 


Ed allora a questo punto doverosamente concludo. 

Non senza aggiungere che mi si potrebbe chiedere facilmente se il quadro, pur 
elementare ed incompleto che ho proposto, dell'esperienza e della potenzialit� 
dell'Avvocatura non ne adombri una visuale trionfalistica se non un sotteso desiderio 
di potere (per l'Istituto, non per me). Ma il potere -sopra tutto nell'epoca della 
globalizzazione -� e sar� sempre di pi� altrove! 

Ora, noi siamo consapevoli di essere soltanto strumento dell'azione pubblica, 
nei limiti voluti dalla legge e con le modalit� operative che nell'interesse del Paese 
ci indica il Governo: ma, in questo ambito, che un ufficio per definizione legale non 
potrebbe certo ignorare, siamo convinti di essere, senza false modestie, uno strumento 
utile ed efficiente. 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

XXVI 

Sarebbe forse inelegante cogliere questa occasione per lamentare l'insufficienza 
delle nostre forze, fenomeno per altro noto e tanto pi� preoccupante per tutti gli 
apparati -amministrativi e giudiziari -che richiedono una elevata qualificazione 
professionale: e quindi soggiungo di nutrire fiducia che le difficolt� potranno essere 
ridotte, in prospettiva, con un'azione diretta a privilegiare quell'impegno organico, 
articolato e mirato su obiettivi chiari e puntuali, che il Legislatore ed il Governo 
appaiono decisi a realizzare. 

Confido di avere cos� individuato alcune coordinate che avvalorano l'utilit�, se 
non l'insostituibilit�, dell'Avvocatura in questa prospettiva: da parte mia non posso 
non assicurare tutto l'impegno, doveroso ma anche profondamente sentito. 

Vedranno il Legislatore ed il Governo se, nell'interesse generale, questo impegno 
meriti di essere sorretto, come l'apprezzamento del Presidente del Consiglio ci 
lascia sperare. 

Grazie Signor Presidente della Repubblica, grazie Signor Presidente del 
Consiglio della disponibilit� e della fiducia: e grazie a tutti per la pazienza, che spero 
non completamente inutile. 



PARTE PRIMA 



GIURISPRUDENZA 


SEZIONE PRIMA 

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

CORTE COSTITUZIONALE, 23 settembre 1998, n. 346 -Pres. Granata -Red. 
Marini -Brucia c. Comune di Lucca; Soc. ICIT c. Soc. Officine di Seveso Presidente 
del Consiglio dei Ministri (avv. Stato Laporta). 
(ordd. Pret. Lucca 28 settembre 1996 e C. App. Milano 22 aprile 1997). 

Procedimento civile -Notificazioni -Notifica a mezzo del servizio poste -Art. 8 
legge 20 novembre 1982 n. 890 -Assenza o rifiuto del destinatario e delle 
altre persone legittimate a ricevere l'atto -Omessa previsione � 
Incostituzionalit�. 

Procedimento civile -Notificazioni -Notifica a mezzo del servizio postale � 
Art. 8 legge 20 novembre 1982 n. 890 -Deposito del piego presso l'ufficio 
postale -Mancato ritiro da parte del destinatario -Restituzione al mittente 
dopo dieci giorni -Incostituzionalit�. 
(Cost. art. 24; codice procedura civile, artt. 140 e 149; legge 20 novembre 1982, n. 890, art. 8). 

L'art. 8, secondo comma, legge 20 novembre 1982 n. 890 � illegittimo, per 
contrasto con l'art. 24 Cost., nella parte in cui non prevede che nella notifica a mezzo 
posta sia data notizia al destinatario a mezzo di raccomandata con avviso di 
ricevimento del compimento delle formalit� prescritte dalla legge in caso di rifiuto 
di ricevere il piego o di firmare il registro di consegna da parte delle persone 
abilitate alla ricezione ovvero, in caso di mancato recapito per temporanea assenza 
del destinatario o per mancanza, inidoneit� o assenza delle suddette persone (1). 

L'art. 8, terzo comma, legge 20 novembre 1982 � illegittimo per contrasto con 
l'art. 24 Cost. nella parte in cui prevede che l'atto notificato a mezzo posta sia 
restituito al mittente in caso di mancato ritiro dopo dieci giorni dal deposito presso 
l'ufficio postale (2). 

(1-2) La prima massima corrisponde ad una pronuncia additiva la cui �rima obbligata� 
(usando l'espressione di V. Crisafulli) � offerta dall'art. 140 codice procedura civile, il quale per la 
notifica eseguita personalmente dall'ufficiale giudiziario prevede che si dia comunicazione al 
destinatario a mezzo di raccomandata a.r. del compimento delle formalit� prescritte quando non � 
possibile eseguire la consegna. La Corte osserva che solo tale adempimento garantisce l'effettiva 
conoscenza dell'avvenuto deposito dell'atto e quindi non c'� ragione di escluderlo per la notifica a 
mezzo posta se esso � previsto dall'art. 140 codice procedura civile. Peraltro nella sentenza viene 
sottolineato che un differente regime di garanzia per il destinatario appare ancor pi� ingiustificato 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO' 

4 

(omissis) 

1. -Data l'identit� della materia, le questioni sollevate dalle ordinanze del 
pretore di Lucca e della Corte di appello di Milano vanno riunite per essere decise 
con unica sentenza. 
2. -Il pretore di Lucca denuncia l'illegittimit� costituzionale dell'art. 8, 
secondo, terzo e quarto comma, della legge 20 novembre 1982, n. 890, in 
riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, nella parte in cui detta norma non 
prevede che il destinatario della notifica effettuata a mezzo posta, dopo l'avviso 
lasciato presso la sua abitazione, ufficio o azienda, riceva notizia delle attivit� 
compiute per raccomandata a.r., cos� come previsto dall'art. 140 del codice di 
procedura civile per il caso di notifica effettuata personalmente dall'ufficiale 
giudiziario. 
3. -La Corte di appello di Milano dubita, in riferimento all'art. 24, secondo 
comma, della Costituzione, della legittimit� costituzionale del medesimo art. 8, 
secondo e terzo comma, della citata legge n. 890 del 1982, nella parte in cui prevede 
che il piego, notificato per compiuta giacenza dopo il decimo giorno dalla data di 
deposito presso l'ufficio postale, venga restituito al mittente senza che il destinatario 
sia messo in grado di conoscere tipo, natura, provenienza e contenuto dell'atto che 
gli � stato notificato. 
4. -La prima questione � fondata, nei limiti di seguito precisati. 
4.1. -Nel sistema delineato dalla legge 20 novembre 1982, n. 890, l'ufficiale 
giudiziario pu� utilizzare il servizio postale per la notificazione di tutti gli atti in 
materia civile, amministrativa e penale, salvo che l'autorit� giudiziaria disponga, o 
la parte richieda, che la notificazione sia eseguita personalmente (art. 1, primo 
se si considera che la scelta del modo della notifica non dipende da lui bens� dal notificante e 
dall'ufficiale giudiziario. 

La seconda massima corrisponde ad una pronuncia non additiva ma anch'essa ispirata 
all'art. 140 codice procedura civile, il quale non prevede la restituzione del piego al mittente in 
caso di mancato ritiro dopo dieci giorni dal deposito presso l'ufficio postale e quindi -rileva la 
Corte -anche qui non v'� ragione di stabilire una regola diversa per la notifica a mezzo posta. 

Per quanto concerne i giudizi in corso tale pronunzia non sembra assumere rilevanza in tutti 
i casi in cui il destinatario dell'atto notificato a mezzo posta abbia comunque svolto la sua attivit� 
difensiva (art. 156, terzo comma, codice procedura civile) nonch� nei casi di gi� awenuta 
dichiarazione di contumacia salva la facolt� del contumace di costituirsi tardivamente e chiedere 
la rimessione in termini ai sensi dell'art. 294 codice procedura civile. 

In argomento, oltre ai precedenti di rigetto citati in motivazione, si veda Corte Cost. 
30 marzo 1992, n. 140 che ha dichiarato l'incostituzionalit� dell'art. 5, terzo comma, legge 
20 novembre 1982, n. 890 nella parte in cui non prevede la sua applicabilit� al processo 
amministrativo; nonch� per il processo penale Corte Cost. 12 dicembre 1998, n. 399, che ha 
dichiarato non fondata la questione di legittimit� costituzionale degli artt. 159 e 160 in riferimento 
agli artt. 3, 10 e 24 Cost., per la parte in cui prevedono che in caso di irreperibilit� dell'imputato 
le notificazioni siano eseguite mediante consegna di copia al difensore. 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

comma). In materia civile e amministrativa, inoltre, egli deve sempre avvalersi del 
servizio postale per le notificazioni da eseguirsi fuori del comune ove ha sede 
l'ufficio, eccetto che la parte chieda che la notificazione sia eseguita personalmente 
(art. 1, secondo comma). Salva la richiesta del notificante di eseguire la 
notificazione personalmente, l'ufficiale giudiziario ha dunque la facolt� -e talvolta 
l'obbligo -di utilizzare il servizio postale. 

4.2. -In caso di assenza del destinatario di una notificazione a mezzo posta (e 
di rifiuto, mancanza, inidoneit� o assenza delle altre persone abilitate a ricevere 
l'atto), l'art. 8 della legge n. 890 del 1982 prevede che l'agente postale depositi il 
piego nell'ufficio postale, rilasciando avviso al destinatario �mediante affissione 
alla porta d'ingresso oppure mediante immissione nella cassetta della 
corrispondenza dell'abitazione, dell'ufficio o dell'azienda�, e che di tutte le 
formalit� eseguite e del deposito nonch� dei motivi che li hanno determinati sia fatta 
menzione sull'avviso di ricevimento che, datato e sottoscritto dall'agente postale, � 
unito al piego (secondo comma). Trascorsi dieci giorni dalla data del deposito senza 
che il piego sia stato ritirato dal destinatario, il piego stesso viene restituito al 
mittente, unitamente all'avviso di ricevimento, con l'indicazione �non ritirato� 
(terzo comma). La notificazione si ha per eseguita decorso il suddetto termine di 
dieci giorni dal deposito (quarto comma). 
4.3. -Ora, se rientra nella discrezionalit� del legislatore la conformazione degli 
istituti processuali e, quindi, la disciplina delle notificazioni, un limite inderogabile 
di tale discrezionalit� � rappresentato dal diritto di difesa del notificatario. Deve 
pertanto escludersi che la diversit� di disciplina tra le notificazioni a mezzo posta e 
quelle personalmente eseguite dall'ufficiale giudiziario possa comportare una 
menomazione delle garanzie del destinatario delle prime. 
Per l'ipotesi di notificazione eseguita personalmente dall'ufficiale giudiziario, 
l'art. 140 del codice di procedura civile impone a quest'ultimo di dare 
comunicazione al destinatario, mediante raccomandata con avviso di ricevimento, 
del compimento delle formalit� indicate (deposito dell'atto nella casa comunale e 
affissione dell'avviso di deposito alla porta dell'abitazione, dell'azienda o 
dell'ufficio). E ci� allo scopo di garantire che il notificatario abbia una effettiva 
possibilit� di conoscenza dell'avvenuto deposito dell'atto, ritenendosi 
evidentemente insufficiente l'affissione del relativo avviso alla porta d'ingresso o la 
sua immissione nella cassetta della corrispondenza dell'abitazione, dell'azienda o 
dell'ufficio ed individuandosi nella successiva comunicazione a mezzo 
raccomandata con avviso di ricevimento lo strumento idoneo a realizzare 
compiutamente lo scopo perseguito. Una disposizione siffatta -pur se compatibile 
con la specificit� propria del mezzo postale -manca invece nella disciplina 
censurata che, pertanto, risulta, al tempo stesso, priva di ragionevolezza e lesiva 
della possibilit� di conoscenza dell'atto da parte del notificatario e, quindi, del 
diritto di difesa garantito dall'art. 24 della Costituzione. 

E ci� senza considerare che le insufficienti garanzie di conoscibilit� che 
presenta per il notificatario la notificazione a mezzo del servizio postale derivano, 
in ultima analisi, dalla scelta del modo di notificazione effettuata da soggetti, 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

6 

l'ufficiale giudiziario e il notificante, privi di qualsivoglia interesse alla 
conoscibilit� dell'atto da parte del notificatario: il solo notificante, infatti, pu� 
richiedere all'ufficiale giudiziario di effettuare la notifica personalmente e, qualora 
ci� non faccia, l'ufficiale giudiziario pu�, a sua discrezione, scegliere l'uno o l'altro 
modo di notificazione. 

4.4. -L'art. 8, secondo comma, della legge 20 novembre 1982, n. 890, va 
pertanto dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che, 
in caso di assenza del destinatario (e di rifiuto, mancanza, inidoneit� o assenza delle 
altre persone abilitate a ricevere l'atto), sia data notizia al destinatario medesimo con 
raccomandata con avviso di ricevimento del compimento delle formalit� prescritte. 
5. -Anche la questione sollevata dalla Corte di appello di Milano � fondata nei 
limiti di seguito precisati. 
5.1. -La funzione propria della notificazione � quella di portare l'atto a 
conoscenza del destinatario, al fine di consentire l'instaurazione del contraddittorio 
e l'effettivo esercizio del diritto di difesa. Compete naturalmente al legislatore, nel 
bilanciamento tra l'interesse del notificante e quello del notificatario, determinare i 
modi attraverso i quali tale scopo possa realizzarsi individuando altres� i rimedi per 
evitare che il diritto di agire in giudizio del notificante sia paralizzato da circostanze 
personali -come ad esempio l'assenza dalla abitazione o dall'ufficio riguardanti 
il destinatario della notificazione. 
I termini di tale bilanciamento di interessi possono naturalmente essere i pi� 
vari come emerge dalle soluzioni adottate in alcuni degli ordinamenti processuali 
europei a noi pi� vicini per cultura e tradizione. 

5 .2. -Ci� premesso, non sembra in ogni caso potersi dubitare che la 
discrezionalit� del legislatore incontri un limite nel fondamentale diritto del 
destinatario della notificazione ad essere posto in condizione di conoscere, con 
l'ordinaria diligenza e senza necessit� di effettuare ricerche di particolare 
complessit�, il contenuto dell'atto e l'oggetto della procedura instaurata nei suoi 
confronti, non potendo ridursi il diritto di difesa del destinatario medesimo ad una 
garanzia di conoscibilit� puramente teorica dell'atto notificatogli. � opportuno, 
altres�, sottolineare che la questione di cui si tratta non concerne in alcun modo 
l'individuazione del momento perfezionativo della notificazione (in relazione al 
quale dispone il quarto comma del citato art. 8) bens� la legittimit� della norma che 
dispone la restituzione al mittente del piego non ritirato dal destinatario entro i dieci 
giorni dal deposito presso l'ufficio postale (art. 8, terzo comma). 
Disposizione quest'ultima che, in un contesto sociale ben diverso da quello 
esistente all'epoca della sua emanazione, risulta gravemente pregiudizievole per il 
notifica tari o, il quale -nel caso (oggi non certo infrequente, specie nel periodo 
estivo) di assenza dall'abitazione, dall'azienda o dall'ufficio che si protragga per 
oltre dieci giorni e di mancanza delle persone indicate al secondo e terzo comma 
dell'art. 7 della citata legge n. 890 del 1982 -non � pi� posto in condizioni di 
ritirare il piego, diversamente da quanto si verifica per il destinatario di una 


PARTE I, SEZ. !, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

7 

notificazione effettuata ai sensi dell'art. 140 del codice di procedura civile, e si trova 
perci� in una situazione di impossibilit� o comunque di notevole difficolt� di 
individuazione dell'atto notificatogli (talvolta provocata dal notificante, mediante la 
scelta dell'epoca della notifica e la mancata richiesta di notificazione personale da 
parte dell'ufficiale giudiziario) tale da potergli in concreto precludere ogni effettiva 
possibilit� di difesa. 

Anche in tal caso, non si tratta dunque di sostituirsi al legislatore 
nell'individuare uno dei possibili correttivi alla disciplina delle notificazioni a 
mezzo posta, bens� di rimuovere una previsione (quella di restituzione del piego al 
mittente dopo il decorso di un termine del tutto inidoneo, per la sua brevit�, a 
garantire l'effettiva possibilit� di conoscenza) lesiva del diritto di difesa del 
destinatario della notificazione, non presente nella parallela disciplina codicistica 
delle notificazioni a mezzo di ufficiale giudiziario e non connaturata, quanto meno 
nella sua dimensione temporale, alla specificit� del mezzo postale. 

Il legislatore, nella sua discrezionalit�, sar� quindi libero di adeguare la 
disciplina delle notificazioni a mezzo posta (per il caso di assenza del destinatario) 
a quella dettata dall'art. 140 del codice di procedura civile (che non prevede affatto 
la restituzione dell'atto al mittente) ovvero di stabilire regole diverse: il limite della 
discrezionalit� sar� rappresentato esclusivamente dal diritto di difesa del 
destinatario, in relazione al quale deve ritenersi illegittima qualsiasi disciplina che, 
prevedendo la restituzione del piego al mittente dopo un termine di deposito 
eccessivamente breve, pregiudichi la concreta possibilit� di conoscenza del 
contenuto dell'atto da parte del destinatario medesimo. 

5.3. -La mancata restituzione del piego al mittente dopo il decimo giorno di 
giacenza non solo non incide -come gi� si � visto -sull'individuazione del 
momento perfezionativo della notificazione, ma nemmeno pregiudica l'interesse del 
notificante alla tempestiva formazione della prova dell'avvenuta notifica che ben 
pu� essere fornita, indipendentemente dal piego, dall'avviso di ricevimento, da 
restituirsi al mittente in raccomandazione e mediante il quale questi potr� dimostrare 
la regolarit� della notificazione. 
5.4. -L'art. 8, ~erzo comma, della legge 20 novembre 1982, n. 890, va pertanto 
dichiarato illegittimo nella parte in cui prevede che il piego sia restituito al mittente, 
in caso di mancato ritiro da parte del destinatario, dopo dieci giorni dal deposito 
presso l'ufficio postale. 
PER QUESTI MOTIVI 

LA CORTE COSTITUZIONALE 

Riuniti i giudizi, dichiara l'illegittimit� costituzionale dell'art. 8, secondo 
comma, della legge 20 novembre 1982, n. 890 (Notificazioni di atti a mezzo posta 
e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari), 
nella parte in cui non prevede che, in caso di rifiuto di ricevere il piego o di firmare 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

8 

il registro di consegna da parte delle persone abilitate alla ricezione ovvero in caso 
di mancato recapito per temporanea assenza del destinatario o per mancanza, 

inidoneit� o assenza delle persone sopra menzionate, del compimento delle 
formalit� descritte e del deposito del piego sia data notizia al destinatario medesimo 
con raccomandata con avviso di ricevimento; 

dichiara l'illegittimit� costituzionale dell'art. 8, terzo comma, della legge 
20 novembre 1982, n. 890 (Notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a 
mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari), nella parte in cui 
prevede che il piego sia restituito al mittente, in caso di mancato ritiro da parte del 
destinatario, dopo dieci giorni dal deposito presso l'ufficio postale (omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 11-20 novembre 1998, n. 371 -Pres. Vassalli -Red. 
Vari -Presidente del Consiglio dei Ministri (avv. Stato Caramazza). 

Impiego pubblico -Responsabilit� amministrativa -Limitazione ai casi di dolo 

e colpa grave -Ragionevolezza -Non fondatezza. 

(Cost. artt. 3, 11, 24, 81, 97 e 103, 2� comma; decreto-legge 23 ottobre 1996 n. 546, art. 3, 

comma 1, lett. A), convertito, con modificazioni, in legge 20 dicembre 1996 n. 639). 

La limitazione della responsabilit� amministrativa e contabile dei pubblici 
dipendenti dinanzi alla Corte dei Conti ai soli casi di dolo e colpa grave risponde 
ad un ragionevole esercizio della discrezionalit� del legislatore ed � congruente con 
una concezione efficientistica dell'impiego pubblico (1). 

(1) Multa renascentur quae iam cecidere: l'istituto della responsabilit� amministrativa 
ritorna all'originaria configurazione voluta dal legislatore subalpino del 1853. Come 
incisivamente ebbe a esprimersi Cavour, la responsabilit� del pubblico dipendente delineata dal 
disegno di legge di contabilit� generale era una responsabilit� da sanzionarsi con un (modico) 
�castigo in denaro� (1): volerla punire come quella civile avrebbe comportato, infatti, un 
inammissibile trasferimento in capo al dipendente pubblico del �rischio d'impresa� della P.A. (2). 
Furono gi� allora delineate due caratteristiche della responsabilit� amministrativa esclusione 
della solidariet� passiva e potere riduttivo del giudice -che dovevano connotare 
l'istituto anche nell'ordinamento unitario e che lo differenziavano nettamente dalla responsabilit� 
civile. 

Un errore storico (3) e una pregiudiziale pancivilistica avevano per� condotto la 
giurisprudenza della Corte dei Conti a modellare la responsabilit� amministrativa sul paradigma 
civilistico della responsabilit� civile ex contractu, con la considerazione della colpa come criterio 
privilegiato di imputazione (contraddittoriamente, peraltro, la stessa Corte qualificava il proprio 
potere riduttivo come parte di un unico potere determinativo, volto ad infliggere una sanzione 
pecuniaria parametrata -in relazione al grado di colpevolezza -in una percentuale del danno 
economico (4). 

(1) Atti del parlamento subalpino, sessione 1852, voi. VI, 1831. 
(2) P. MADDALENA, Responsabilit� civile e amministrativa: diversit� e punti di convergenza dopo le 
leggi nn. 19 e 20 del 14 gennaio 1994. 
(3) P. MADDALENA, Relazione del Procuratore Regionale della Corte dei Conti, Roma 30 gennaio 1997. 
(4) Corte dei Conti, Sez. Riunite 27 settembre 1976, n. 1773. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

9 

1. -I giudizi di cui alle ordinanze in epigrafe possono essere riuniti e decisi con 
un'unica pronunzia, in ragione dell'identit� o connessione dell'oggetto, atteso che 
concernono la legittimit� costituzionale dell'art. 3, comma 1, lettera a), del decretolegge 
23 ottobre 1996, n. 543, recante �Disposizioni urgenti in materia di 
ordinamento della Corte dei conti�, convertito, con modificazioni, nella legge 
20 dicembre 1996, n. 639, nella parte in cui, sostituendo l'art. 1, comma 1, della 
legge 14 gennaio 1994, n. 20, limita la responsabilit� dei soggetti sottoposti alla 
giurisdizione della Corte dei conti, in materia di contabilit� pubblica, ai fatti ed 
omissioni posti in essere con dolo o colpa grave. 
2. -I giudici rimettenti ritengono che la disposizione censurata si ponga in 
contrasto con l'art. 3 della Costituzione: 
per l'irragionevole livellamento della responsabilit�, conseguente 
all'estensione indifferenziata, a tutte le categorie di dipendenti ed amministratori 
pubblici, della limitazione della responsabilit� stessa ai soli casi di dolo o colpa 
grave (r.o. nn. 182, 185, 500 e 881 del 1997); 

per l'assoggettamento di situazioni analoghe a regimi giuridici diversi, a 
seconda del giudice chiamato a pronunziarsi, come nel caso di costituzione di parte 
civile della pubblica amministrazione nel giudizio penale, per il reato colposo 
commesso dal dipendente (r.o. n. 881 del 1997). 

2.1. -In riferimento al predetto art. 3 della Costituzione, e con specifico 
riguardo ai casi di responsabilit� degli agenti contabili e degli altri soggetti 
La nuova normativa del 1994 (legge 14 gennaio 1994 n. 20), modificata nel 1996 (decretolegge 
23 ottobre 1996 n. 543, convertito, con modificazioni in legge 20 dicembre 1996 n. 639) 
opera un riscrittura dell'istituto, razionalizzandone i principi ispiratori, distinguendo una 
responsabilit� civile per illecito arricchimento (in cui vige il principio risarcitorio) da una 
responsabilit� amministrativa per colpa grave di tipo sanzionatorio, che ha natura pubblicistica e 
funzione diretta ad assicurare l'efficienza della P.A. Su tale secondo tipo di responsabilit� il 
potere riduttivo ha la fondamentale funzione di distinguere fra quella parte di danno che la 
collettivit� ha subito e che deve restare a carico della collettivit� in applicazione del criterio del 
rischio e quella parte, invece, che va accollata, come sanzione, al dipendente (5) sulla base del 
criterio di imputazione della colpa grave. 

Con la sentenza in rassegna la Corte Costituzionale ha sanzionato la conformit� a 
Costituzione del principio di generalizzazione della colpa grave come criterio di imputazione di 
tutte le ipotesi di responsabilit� amministrativa. 

La scelta di un grado qualificato di colpa come criterio di imputazione sarebbe censurabile 
infatti, secondo un consolidato insegnamento della Corte, solo sotto il profilo della ragionevolezza 
e nella specie, ha argomentato la Corte Costituzionale, la scelta del legislatore appare perfettamente 
ragionevole e pienamente congruente con le esigenze di efficienza della pubblica amministrazione 
perseguite con la nuova disciplina dell'impiego pubblico. Come si desume anche dai lavori 
parlamentari, che evidenziano l'intento di predisporre un assetto normativo in cui il timore della 
responsabilit� non esponga ad incertezze od inerzie nell'azione amministrativa. 

l.F.C. 
(5) P. MADDALENA, Responsabilit� civile e amministrativa, cit. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO

10 

sottoposti alla giurisdizione della Corte in virt� di obblighi propriamente contabili, 
l'ordinanza iscritta al r.o. n. 211 del 1998 sviluppa ulteriori censure sotto il profilo: 

della violazione dei principi di �ragionevolezza ed equit��, atteso che 
l'esclusione della responsabilit� contabile nel caso di �colpa normale� equivale a 
rimuovere l'effetto garantistico delle regole contabili ed a rendere, altres�, incerta la 
consistenza patrimoniale e finanziaria dello Stato e degli enti pubblici; 

dell'introduzione, in favore dei contabili pubblici, di un regime meno rigoroso 
di quello previsto per le consimili figure privatistiche; il che sarebbe tanto pi� 
irrazionale, ove si consideri che tale regime si estende anche ai soggetti con i quali 
la pubblica amministrazione instaura rapporti convenzionali, per i servizi di 
riscossione, tesoreria e cassa; 

del diseguale trattamento riservato al creditore pubblico e al datore di lavoro 
pubblico rispetto ai corrispondenti soggetti privati, per quel che concerne 
l'ampiezza della tutela dei rispettivi interessi, nei riguardi degli agenti contabili e dei 
dipendenti addetti ad adempimenti contabili. 

3. -Comune ai diversi giudici rimettenti �, altres�, il dubbio di illegittimit� 
costituzionale della disposizione in questione, per violazione dell'art. 97 della 
Costituzione, che le prime quattro ordinanze (r.o. nn. 182, 185, 500 e 881del1997) 
pongono in connessione con l'art. 103, secondo comma, denunciando gli effetti di 
permissivit� ed incuria che la disposizione stessa pu� indurre nell'esercizio delle 
pubbliche funzioni; e ci� in palese contrasto con i principi costituzionali volti a 
realizzare l'efficienza e la regolarit� della gestione finanziaria e patrimoniale degli 
enti pubblici. Viene sottolineata, altres�, la sostanziale sottrazione alla giurisdizione 
contabile di una serie di comportamenti lesivi del patrimonio pubblico la cui tutela, 
ai sensi del predetto art. 103, secondo comma, della Costituzione, � affidata alla 
Corte dei conti (r.o. n. 881 del 1997). 
Analogamente l'ordinanza di cui al r.o. n. 211 del 1998, nell'evocare i test� 
ricordati parametri, rileva: 

quanto all'art. 97, gli effetti negativi derivanti dagli introdotti ampi margini di 
immunit� per gli errori compiuti, restando cos� disattesi, tra l'altro, i canoni di 
precisione e di coerenza nelle operazioni contabili, a fronte della crescente domanda 
di professionalit� e delle esigenze di salvaguardia della finanza pubblica; 

quanto all'art. 103, secondo comma, i riflessi negativi che la disposizione 
censurata avrebbe sull'effettivit� del giudizio di conto e, quindi, sulla verifica della 
regolarit� delle gestioni pubbliche, nonch� sull'effettivit� della garanzia 
giurisdizionale dei diritti patrimoniali dell'erario, assicurata dall'art. 24 della 
Costituzione. 

4. -Quest'ultima ordinanza, infine, prospetta la violazione dell'art. 81 della 
Costituzione, giacch� la nuova disciplina, data la stretta connessione fra le varie 
gestioni in cui si articola la finanza pubblica, potrebbe non garantire la 
tempestivit� e la co.mpletezza dei dati finanziari e patrimoniali generali, con 
implicazioni negative sul piano del riequilibrio della finanza pubblica e dei dati 
dimostrativi del rispetto dei parametri di Maastricht, s� da restarne inciso anche 

PARTE I, SEZ. I, GIDRISPRUDENZA COSTITUZIONAf-E 

l'art. 11 della Costituzione, sotto il profilo del mancato rispetto degli obblighi 
internazionali e delle limitazioni derivanti da quel Trattato, oltre che da quello 
precedente di Roma. 

5. -In via preliminare va esaminata l'eccezione di inammissibilit� della 
questione, sollevata dall'Avvocatura generale dello Stato negli atti di intervento 
depositati, in base al rilievo che la legge di conversione sarebbe intervenuta 
successivamente alle ordinanze di rimessione, recando, peraltro, una norma pi� 
complessa ed articolata di quella dell'art. 3, comma 1, lettera a) del decreto-legge 
n. 543 del 1996, portata all'esame della Corte. 
Preso atto della precisazione effettuata nella difesa orale dall'Avvocatura 
erariale, nel senso che la eccezione preliminare non riguarda le ordinanze di cui al 

r.o. n. 500 e n. 881del1997 e n. 211del1998, le quali, emesse in epoca successiva 
all'entrata in vigore della legge n. 639 del 1996, fanno in effetti riferimento alla 
disposizione quale risulta dall'avvenuta conversione, la medesima eccezione va 
respinta con riferimento alle restanti ordinanze (r.o. n. 182 e n. 185 del 1997), che 
sono, invece, anteriori a detta legge. 
Invero, non � riscontrabile nella �norma� censurata una diversit� tale, rispetto 
a quella contenuta nella legge di conversione, da ostare allo scrutinio di 
costituzionalit�, alla luce dell'orientamento secondo il quale � l'immutata 
persistenza della norma stessa ad assicurare la perdurante ammissibilit� del giudizio 
innanzi a questa Corte, sotto il profilo dell'inalterata sussistenza del suo oggetto 
(sentenza n. 84 del 1996). Pur considerando che la legge n. 639 del 1996 reca 
integrazioni e modificazioni di non scarso momento alla disposizione in cui � 
ricompresa la norma denunciata, tuttavia le stesse non appaiono sufficienti a 
concretare la dedotta diversit� dell'oggetto dello scrutinio, poich� riguardano profili 
e connotazioni dell'istituto della responsabilit� amministrativa e contabile, che non 
investono l'elemento soggettivo dell'illecito, in ordine al quale la legge stessa si � 
limitata a riprodurre, in maniera pressoch� letterale, la formulazione dell'enunciato 
gi� contenuto nel decreto-legg� n. 543 del 1996. 

6. -Nel merito le questioni non sono fondate con riguardo ad alcuno degli 
invocati parametri. 
I rimettenti, nel richiamare le sentenze con le quali questa Corte, in riferimento 
a molteplici settori della p.a., ha ritenuto non incostituzionale la limitazione della 
responsabilit� di amministratori o dipendenti pubblici ai soli casi di dolo o colpa 
grave (sentenze n. 1032 del 1988, n. 164 del 1982 e n. 54 del 1975), ritengono che 
da tali precedenti, ancorch� non sia possibile desumere l'esistenza di un principio 
di inderogabilit� delle comuni regole in tema di elemento soggettivo della 
responsabilit�, si possa, tuttavia, ricavare quello secondo il quale la discrezionalit� 
del legislatore, per essere correttamente esercitata, deve determinare e graduare i 
tipi e i limiti della responsabilit�, caso per caso, in riferimento alle diverse 
categorie di dipendenti pubblici ovvero alle particolari situazioni, stabilendo, per 
ciascuna di esse, le forme pi� idonee a garantire i principi del buon andamento e 
del controllo contabile. Ne conseguirebbe la non conformit� ai principi dell'art. 3 
della Costituzione di un esercizio di detta discrezionalit� intesa ad introdurre una 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO ..

12 

previsione limitativa in forma generalizzata ovvero con riferimento indiscriminato 

a tutti i pubblici dipendenti. 

La Corte �, invece, dell'avviso che i termini in cui le richiamate decisioni 
enunciano il principio relativo alla discrezionalit� di cui gode il legislatore, nella 
conformazione delle fattispecie di responsabilit�, riflettano la singolarit� dei casi di 

IIvolta in volta esaminati, ma non consentano di accreditare una lettura riduttiva del 
principio stesso, nel senso che allo stesso legislatore sia preclusa la facolt� di 
valutare anche l'ampiezza dell'esigenza cui si ritiene di far fronte. 

Non v'�, infatti, alcun motivo di dubitare che il legislatore sia arbitro di stabilire 
non solo quali comportamenti possano costituire titolo di responsabilit�, ma anche 
quale grado di colpa sia richiesto ed a quali soggetti la responsabilit� sia ascrivibile 
(sentenza n. 411del1988), senza limiti o condizionamenti che non siano quelli della 
non irragionevolezza e non arbitrariet�. 

In proposito occorre rilevare che la norma denunciata si colloca nel quadro di 
una nuova conformazione della responsabilit� amministrativa e contabile, alla 
stregua di peculiari connotazioni di cui d� dimostrazione, tra l'altro, il principio 
peraltro gi� anticipato in parte dall'art. 58 della legge n. 142 del 1990 (Ordinamento 
delle autonomie locali) secondo il quale il debito per il fatto dannoso non si 
trasmette agli eredi, salvo il caso dell'illecito arricchimento del dante causa e, 
conseguentemente, dell'indebito arricchimento anche degli stessi eredi. 

A tale processo di nuova conformazione dell'istituto, sviluppato con le ulteriori 
previsioni contenute nella legge di conversione, fa riscontro la revisione 
dell'ordinamento del pubblico impiego, attuata, in epoca di poco precedente, dal 
decreto legislativo n. 29 del 1993 (cui ha fatto seguito il decreto legislativo n. 80 del 
1998) attraverso la c.d. �privatizzazione�, in una prospettiva di maggiore 
valorizzazione anche dei risultati dell'azione amministrativa, alla luce di obiettivi di 
efficienza e di rigore di gestione. 

Quali siano le finalit� ispiratrici della contestata norma � dato desumere, del 
resto, dagli stessi lavori parlamentari, che evidenziano l'intento di predisporre, nei 
confronti degli amministratori e dei dipendenti pubblici, un assetto normativo in cui 
il timore delle responsabilit� non esponga all'eventualit� di rallentamenti ed inerzie 
nello svolgimento dell'attivit� amministrativa. 

Nella combinazione di elementi restitutori e di deterrenza, che connotano 
l'istituto qui in esame, la disposizione risponde, perci�, alla finalit� di determinare 
quanto del rischio dell'attivit� debba restare a carico dell'apparato e quanto a carico 

del dipendente, nella ricerca di un punto di equilibrio tale da rendere, per dipendenti 
ed amministratori pubblici, la prospettiva della responsabilit� ragione di stimolo, e 
non di disincentivo. E ci� secondo valutazioni che, ovviamente, non spetta alla 
Corte sindacare dal punto di vista della convenienza ed opportunit�, restando, 
perci�, fuori dal presente giudizio ogni apprezzamento al quale, sotto il profilo da 
ultimo accennato, potrebbe, in ipotesi, prestarsi l'avvenuta generalizzazione del 
criterio della colpa grave; parimenti sfuggono all'apprezzamento, che va espresso in 
questa sede, anche altri profili, fra quelli segnalati da taluna delle ordinanze, che 
possono evidenziare, tutt'al pi�, problemi di mera disarmonia ovvero di non 
compiuto raccordo fra il nuovo regime introdotto ed altri istituti vigenti 
nell'ordinamento. 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

13 

Quanto test� osservato vale, ovviamente, sia per la responsabilit� 
amministrativa che per quella contabile, posto che, quanto ad elementi costitutivi, 
quest'ultima, a prescindere dalla specificit� delle obbligazioni che incombono su 
coloro che hanno maneggio di beni e valori di pubblica pertinenza, si modella come 
da tempo chiarito dalla stessa giurisprudenza contabile sullo stesso paradigma che 
caratterizza la c.d. responsabilit� amministrativa. 

Per le medesime ragioni va escluso, altres�, il contrasto della disposizione 
all'esame con l'art. 97, primo comma, della Costituzione, sotto l'aspetto del buon 
andamento nonch� della efficienza e regolarit� delle gestioni pubbliche, atteso che, 
per i motivi sopra esposti, la modifica introdotta dalla disposizione censurata non 
appare n� arbitraria n� irragionevole. 

7. -Priva di fondamento � anche la censura di violazione dell'art. 103, secondo 
comma, della Costituzione; articolo che ha soltanto la finalit� di riservare alla Corte 
dei conti la giurisdizione nelle materie di contabilit� pubblica, secondo ambiti la cui 
concreta determinazione, peraltro, � rimessa alla discrezionalit� del legislatore, 
mentre la norma denunciata concerne la disciplina sostanziale della responsabilit� 
degli amministratori e dei dipendenti pubblici. 
8. -Ugualmente infondate sono le censure prospettate (nell'ordinanza r.o. 
n. 211 del 1998) in riferimento, da un canto, all'art. 24, e, dall'altro, all'art. 81 in 
connessione con l'art. 11 della Costituzione. 
Quanto all'art. 24, � da rammentare, a tacer d'altro, il pacifico orientamento 
della giurisprudenza costituzionale secondo il quale la garanzia apprestata da detto 
articolo opera attribuendo la tutela processuale delle situazioni giuridiche soggettive 
nei termini in cui queste risultano riconosciute dal legislatore; di modo che quella 
garanzia trova confini nel contenuto del diritto al quale serve e si modella sui 
concreti lineamenti che il diritto stesso riceve dall'ordinamento. 

8.1. -Infine, circa gli altri due parametri evocati, � sufficiente rilevare che la 
disciplina censurata non presenta nesso diretto n� con l'adempimento di obblighi 
internazionali, cui ha riguardo l'art. 11 della Costituzione, n� con l'art. 81, il quale 
attiene ai limiti al cui rispetto � vincolato il legislatore ordinario nella sua politica 
finanziaria, ma non concerne le scelte che il medesimo compie nel ben diverso 
ambito della disciplina della responsabilit� amministrativa (da ultimo, v. sentenza n. 
327 del 1998) (omissis). 
CORTE COSTITUZIONALE, 12 dicembre 1998, n. 406 -Pres. Vassalli-Red. 
Chieppa -Presidenza del Consiglio dei Ministri (avv. Stato Fiumara). 

Giustizia amministrativa -Sentenza esecutiva -Ricorso per ottemperanza 


Necessit� del giudicato -Legittimit�. 

(Cost. artt. 3, 24, 103, 113; regio decreto 26 giugno 1924 n. 1054, art. 27, comma 1, n. 4; 

legge 6 dicembre 1971 n. 1034, art. 37). 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATo��.

14 

Non contrasta con il principio dell'effettivit� della tutela giudiziaria la norma 
che consente il ricorso per ottemperanza dinanzi al giudice amministrativo solo in 
base ad una sentenza passata in giudicato e non anche in forza di una diversa 
pronuncia che sia tuttavia gi� esecutiva come quella del TAR (1). 

(omissis) 

1. -Nel corso del giudizio promosso nei confronti del Comune di Vigliano 
Biellese, ai sensi dell'art. 33 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, dalla Societ� 
Italiana per il gas p.a. per l'esecuzione della sentenza n. 293 del 1996 con la 
quale erano stati annullati gli atti di aggiudicazione della gara per l'affidamento 
in concessione del servizio di distribuzione dell'acqua potabile alla Sigesa s.p.a., 
il Tribunale amministrativo regionale del Piemonte, ha sollevato questione di 
legittimit� degli artt. 37 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, 27, primo comma, 
numero 4, del regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, 90 e 91 del regio decreto 
17 agosto 1907, n. 642. 
Il giudice rimettente, dopo aver ricostruito in fatto l'iter processuale della 
vicenda avente ad oggetto l'impugnazione degli atti del Comune di Vigliano 
Biellese relativi alla procedura di aggiudicazione, a trattativa privata, della 
concessione del servizio di distribuzione dell'acqua potabile in favore della Sigesa 
s.p.a., decisa con sentenza d'annullamento n. 293 del 1996 e nei cui confronti 
l'amministrazione comunale aveva interposto appello al Consiglio di Stato, ha 
sottolineato che quest'ultima amministrazione, senza richiedere la sospensione 
dell'esecutivit� della sentenza innanzi al giudice di secondo grado investito 
dell'esame dell'appello, si era rifiutata espressamente di assumere i provvedimenti 
necessari per conformarsi alla statuizione del Tribunale amministrativo regionale; 
tanto � che l'originaria affidataria del servizio, controinteressata nel giudizio 
amministrativo, continuava a svolgere il servizio. 

(1) La decisione che si annota appare di grandissimo interesse in quanto -per inquadrare 
la questione costituzionale sollevata -affronta la complessa tematica del rapporto tra giudizio 
di ottemperanza e principio di esecutivit� della sentenza di primo grado del G.A., rapporto nel 
quale la logica prima che la pratica individuano in prima battuta una. intrinseca contraddizione, 
foriera di ogni genere di dubbi sulla valenza della funzione giurisdizionale nel suo complesso. 

Giova seguire l'iter argomentativo della Corte per far risaltare gli aspetti pi� significativi 
della pronuncia. 

Ricorda la sentenza che il giudizio di ottemperanza aveva gi� una sua collocazione nel t.u. 
delle leggi sul Consiglio di Stato, ove esso riguardava specificamente l'esecuzione delle decisioni 
dei tribunali ordinari (e quindi si sommava ai giudizi di esecuzione del cod. civ. come uno , 
strumento ulteriore disponibile solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza da eseguire). ~ 

Per l'esecuzione della sentenza del Consiglio di Stato il problema si poneva solo ~ 
marginalmente nelle rare ipotesi in cui le stesse fossero state impugnate con ricorso per Cass. ex !:[ 

art. l~~;~~~ue la disponibilit� del rimedio in parola per dare esecuzione sia alle sentenze del ri 

r.::

G.O. sia a quelle del G.A. porta ad escludere una disparit� .di trattamento tra i soggetti ricorrenti ( 
in relazione al diverso titolo giurisdizionale disponibile secondo l'ordine delle giurisdizioni. I'~,--,,= 
In questo confronto invece la differenza emerge quando si consideri che le tipiche azioni 
esecutive esperibili dinanzi al giudice civile non richiedono il passaggio in giudicato della r~ 

. Ji:: 

[i1��-�:::v:::.,.:::~',�::,y:::=?%"]m�'~~


'"'-~A:f~--&~ll+11�'-ilr+wll'�wtdff��~~-�&L�:.t&WtL



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

15 

In diritto, il giudice a quo richiama nelle premesse che il ricorso era basato 
sull'art. 33 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 contenente la previsione che le 
sentenze del giudice amministrativo sono immediatamente esecutive, mentre un 
consolidato orientamento giurisprudenziale � contrario all'esperibilit� immediata 
del giudizio di �esecuzione� coattiva, essendo questo il tipico rimedio del giudizio 
d'ottemperanza, fondato sul presupposto che la sentenza da eseguire sia passata in 
cosa giudicata ai sensi dell'art. 324 del codice di procedura civile (tra le tante, v. 
Consiglio di Stato, ad plen., 23 marzo 1979, n. 12; 1� aprile 1980, n. 10) . 

. Poich� il riscontro del dato normativo, come conformato dall'indirizzo 
ermeneutico giurisprudenziale, depone in senso contrario alla pretesa fatta valere nel 
giudizio di merito, ad avviso del collegio rimettente, si imporrebbe l'indagine sulla 
legittimit� costituzionale delle disposizioni che disciplinano il giudizio di 
ottemperanza, preclusive all'ottenimento del bene della vita cui sarebbe preordinata 
la tutela giurisdizionale, in contrasto altres� con il precetto scaturente dalla 
proclamata esecutivit� della sentenza del giudice amministrativo. 

Sul piano dell'effettivit� della tutela giurisdizionale che trova presidio 
costituzionale negli artt. 24 e 113 della Costituzione, atti a garantire il 
soddisfacimento effettivo dei diritti e degli interessi accertati in giudizio nei 
confronti di qualsiasi soggetto, dovrebbe essere affermata, secondo la 
prospettazione del giudice a quo, l'incostituzionalit� delle disposizioni che regolano 
il giudizio di ottemperanza nella parte in cui precludono che siano portate ad 
esecuzione coattiva le decisioni giustiziali di per s� esecutive, prima di aver 
acquisito autorit� di cosa giudicata. 

Il dubbio di legittimit� costituzionale troverebbe ulteriore fondamento alla 
stregua della sentenza n. 419 del 1995 della Corte, che ha riconosciuto il potere del 
giudice amministrativo di assumere tutti i provvedimenti necessari all'esecuzione 
delle proprie ordinanze cautelari; il che oltretutto, quale portato logico-giuridico, 

sentenza, essendo gi� azionabili in base a decisioni esecutive di diritto o espressamente dichiarate 
tali dal giudice del merito. 

Per dare conto di tale diversit� la Corte opportunamente illustra le diverse modalit� con cui 
si atteggia il giudizio di ottemperanza in relazione alla diversa natura delle sentenze pronunciate 
dal TAR; il che consente di portare alla luce la peculiarit� di questo giudizio nel cui alveo sono 
state fatte confluire dalla normativa e dalla stessa giurisprudenza (a sua volta sollecitata da una 
pressante domanda di giustizia sostanziale) una serie articolata di pronunce di varia natura. 

Si passa cos� dal giudizio di condanna al pagamento di una somma di denaro, che � il pi� 
simile a quello del G.O., a quello che vincola strettamente l'Amministrazione ad adottare 
provvedimenti o a compiere operazioni materiali, ad un'ulteriore situazione in cui il deciso 
lascia un certo margine di discrezionalit� all'Amministrazione, rispetto al quale il giudizio di 
ottemperanza assume quindi una funzione del tutto peculiare assolutamente estranea ai 
principi del processo civile, ove l'esecuzione richiede un titolo esecutivo per un diritto certo, 
liquido ed esigibile. 

� su tale contrapposizione di fondo che la Corte perviene a negare l'esistenza di disparit� di 
trattamento, rilevando che proprio la peculiarit� del giudizio amministrativo esclude l'esigenza 
costituzionale di una uniformit� nei presupposti relativi al passaggio in giudicato della decisione. 

Questa rigorosa analisi dei possibili contenuti del giudizio amministrativo ha in effetti portato 
ad emergenza la corretta ratio della scelta legislativa, che ha voluto negare al ricorrente vittorioso 



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

cc

16 

sottintenderebbe che a maggior ragione tale potere venisse attribuito alla sentenza 
che, a differenza della misura cautelare, abbia definito un grado di giudizio. 

Sul piano dell'intrinseca ragionevolezza delle disposizioni censurate, che si 
tradurrebbe altres� in ingiustificata disparit� di trattamento, rileverebbe, sempre 

I* 

secondo il giudice a quo, la distinzione fra effetti demolitori, ripristinatori e 
conformativi, conseguenti alle sentenze del giudice amministrativo, in diretta 
corrispondenza alla natura dell'interesse fatto valere in giudizio: solo i c.d. interessi 
oppositivi, che non necessitano di misure attuative concrete, sarebbero 
immediatamente garantiti dall'annullamento degli atti impugnati; non quelli 
pretensivi, pur sempre omogenei quanto a tutela giurisdizionale. 

Sotto altro profilo, la violazione dell'art. 3 in relazione agli artt. 24, 103 e 113 
della Costituzione si evincerebbe dalla comparazione con l'esecutivit� ex lege delle 
sentenze emesse dal giudice ordinario, suscettibili di essere portate ad esecuzione 
coattiva, a prescindere dalla natura della sentenza e dal contenuto della statuizione, 
nei confronti della pubblica amministrazione senza che possano invocarsi ostacoli 
all'esecuzione forzata che la prassi giudiziale ha progressivamente ridotto; 
irrazionalit� vieppi� palese se considerata con riguardo alla giurisdizione esclusiva 
del giudice amministrativo avente ad oggetto i rapporti paritetici, le cui decisioni 
sono di contenuto omologo a quelle rese dal giudice ordinario. 

D'altra parte il presunto grado di certezza, sguarnito di tutela costituzionale, 
insito nell'autorit� di cosa giudicata delle sentenze emesse dal giudice 
amministrativo, si rivelerebbe, secondo la prospettazione delle censure, meramente 
ipotetico se verificato, con riguardo alle sentenze del Consiglio di Stato, alla luce 
dell'esclusivit� del difetto di giurisdizione quale unico motivo di ricorso in 
Cassazione; mentre il ricorso straordinario per revocazione e l'opposizione di terzo 
pongono in discussione la stessa nozione teorica di definitiva certezza della 
situazione giuridica definita con sentenza passata in giudicato. 

Inoltre l'eventuale pregiudizio scaturente dal mutamento dell'assetto di 
interessi in forza dell'esecuzione della pronuncia non definitiva sarebbe scongiurato 
dall'attribuzione del potere di sospensione della sentenza al giudice investito della 
cognizione dell'appello. 

in primo grado il potere di attivare un giudizio idoneo a conseguire l'adozione di provvedimenti 
che l'Amministrazione avrebbe eventualmente realizzato solo di fronte ad una pronuncia 
irreversibile. 

Naturalmente il giudizio della Corte attiene alla correttezza sul piano dei princ�pi 
costituzionali, i quali anche per quanto concerne l'effettivit� della tutela giurisdizionale 
impongono solo che sia realizzabile in sede giurisdizionale l'obbligo della P.A. di conformarsi 
alle sentenze, ma non pretendono che ci� avvenga ancora prima della formazione del giudicato, 
sicch� esso nega rilievo costituzionale alla questione ma non affronta radicalmente il problema 
sull'assunta contraddittoriet� del sistema. 

Anzi, la Corte incidentalmente osserva che la limitazione del giudizio di ottemperanza al 
giudicato � una �interpretazione plausibile� che il giudice a quo ritiene di seguire, e soprattutto 
ripropone l'antinomia concettuale quando rileva che rispetto ad una sentenza del G.A. di primo 
grado, in quanto tale immediatamente esecutiva anche se non passata in giudicato, la �spontanea 
esecuzione� da parte dell'Amministrazione sarebbe pur sempre �un atto dovuto�. 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

17 

Infine, sempre secondo il collegio rimettente, sul piano sistematico, 
l'irragionevolezza delle disposizioni censurate si evidenzierebbe dal pi� frequente 
intervento del legislatore volto ad introdurre disposizioni acceleratorie del corso del 
giudizio amministrativo (cfr., da ultimo, art. 31-bis della legge 11 febbraio 1994, 

n. 109), tale da porsi in insanabile contrasto con disposizioni che, viceversa, 
subordinano il soddisfacimento della pretesa fatta valere in giudizio ad eventi 
temporali remoti, quali il passaggio in giudicato della sentenza. 
2. -Nel giudizio � intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, 
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la 
questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata. 
La questione, come proposta dal giudice a quo, difetterebbe della rilevanza 
avendo questi autonomamente modificato il titolo della domanda del ricorso, 
avanzato ai sensi dell'art. 33 della legge n. 1034 del 1971, e non come giudizio 
di ottemperanza verso le cui disposizioni si appuntano le censure di legittimit� 
costituzionale. 

Nel merito, secondo la difesa erariale, la questione sarebbe infondata poich� 
il giudice a quo, pur muovendo dall'esatto presupposto dell'imprescindibilit� 
della tutela esecutiva, non considera la specificit� del processo amministrativo 
ed, altres�, i limiti che circoscrivono l'esecuzione coattiva delle sentenze nei 
confronti dell'attivit� provvedimentale dell'amministrazione. 

D'altra parte la censura che investe la postulata incoerenza dell'esecutivit� 
delle sentenze di primo grado e l'ammissibilit� del ricorso per ottemperanza 
delle sole sentenze passate in giudicato, si rivelerebbe ad una indagine 
approfondita insostenibile. 

L'esecutivit�, infatti, rileva l'Avvocatura, sarebbe propria delle sentenze 
autoesecutive, quali sono le sentenze di annullamento emesse dal giudice 
amministrativo all'esito di un giudizio impugnatorio; mentre l'azione di 
ottemperanza � diretta a conseguire effetti ulteriori, mediati, tali da 
presupporre l'adozione di provvedimenti, diversi da quelli oggetto di 
impugnazione. 

Ora, sembra potersi arguire dalla parte successiva della motivazione. che spontaneit� stia qui 
per autonomia, in quanto l'Amministrazione, essendo tenuta a conformarsi al decisum, resta 
tuttavia autonoma riguardo alla determinazione da assumere, nel caso concreto, secondo il tipo di 
sentenza che � stata pronunciata. 

Vale a dire che la P.A. non potrebbe adottare nuovi atti in contrasto con la pronuncia esecutiva 

o che abbiano il loro necessario presupposto nell'atto impugnato ed annullato, ma non sarebbe invece 
tenuta a modificare da subito il proprio orientamento od a reiterare le valutazioni la cui legittimit� 
rimane sub judice, per cui il vincolo derivante dalla decisione esecutiva paralizza il suo agire ma non 
le impone di conformarsi de plano alle linee di condotta che la sentenza ritiene legittima. 
Il che sembra convalidare la tesi difensiva proposta dall'Avvocatura, laddove essa 
sottolinea la diversit� tra le sentenze autoesecutive come le sentenze di annullamento, che 
vincolano la P.A. senza bisogno di alcun giudizio di ottemperanza, rispetto a quelle altre 
pronunce che, per essere attuate, richiedono l'adozione di nuovi provvedimenti diversi da quelli 
oggetto dell'impugnazione. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO '

18 

Del resto la natura stessa del giudizio di ottemperanza, riconducibile per 
espressa previsione normativa alla giurisdizione estesa al merito riservata alla ,, 
cognizione esclusiva del giudice amministrativo, renderebbe intuitiva ragione del ,_:.,':;_.�

carattere sostitutivo di tale giudizio rispetto a provvedimenti discrezionali, : 

altrimenti rimessi alle attribuzioni dell'amministrazione. 

N� si rivelerebbe fondata l'argomentazione incentrata sulla comparazione delle 
misure esecutive proprie della fase cautelare, che per sua natura � meramente 
interinale ed inidonea ad incidere in via definitiva sull'assetto di interessi dedotto in 
giudizio, con il giudizio di ottemperanza, diretto ad adeguare stabilmente la 
situazione anteriore alla statuizione, imponendo misure attuative e provvedimenti 
all'amministrazione, al fine di ricercare un momento di equilibrio fra la necessit� di 
garantire la effettivit� della decisione giurisdizionale e quella, in ossequio al 
principio di divisione dei poteri, di non invadere la sfera destinata alla 
amministrazione da parte del potere giudiziario. 

CONSIDERATO IN DIRITTO 

1. -Il Tribunale amministrativo regionale del Piemonte, con ordinanza 
22 gennaio 1997, ha sollevato questione di legittimit� costituzionale degli artt. 37 
della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi 
regionali), 27, primo comma, numero 4, del regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054 
(Approvazione del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato), 90 e 91 del regio 
decreto 17 agosto 1907, n. 642 (Regolamento per la procedura dinanzi alle sezioni 
giurisdizionali del Consiglio di Stato), nella parte in cui stabiliscono che i ricorsi 
diretti ad ottenere l'adempimento dell'obbligo dell'autorit� amministrativa di 
conformarsi alle decisioni pronunciate dagli organi di giustizia amministrativa 
possano essere proposti esclusivamente avverso le sentenze passate in giudicato e 
non anche con riferimento a sentenze di primo grado, esecutive e non sospese dal 
giudice di appello, ma non passate in giudicato. 
A parere del tribunale rimettente, le norme anzidette violerebbero gli artt. 3, 
24, 103 e 113 della Costituzione, in quanto l'effettivit� della tutela giudiziaria 
esecutiva sarebbe procrastinata in modo irragionevole tanto pi� se comparata con 
le misure esecutive proprie della tutela cautelare; traducendosi, inoltre, nella 
violazione del principio di uguaglianza stante l'ingiusta discriminazione fra chi 
abbia ottenuto una sentenza civile immediatamente esecutiva anche in mancanza di 

Per queste ultime infatti non si giustifica il giudizio di ottemperanza, secondo l'avveduta 
valutazione del legislatore -che solo al giudicato ha voluto ricollegare la funzione di indirizzo 
del decisum giurisdizionale rispetto alla deliberazione amministrativa e quindi la traduzione della 
prima nell'agire di un organo straordinario, qual'� il Commissario ad acta -poich� appunto nel 
delicato equilibrio tra funzione amministrativa e giurisdizionale la prevalenza della seconda, che 
si fa azione amministrativa, postula quanto meno che essa sia espressione di ultima istanza, cio� 
provenga da quell'autorit� giudiziaria legittimata nel caso di specie ad esprimere in via definitiva 
la determinazione del potere cui appartiene. 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITIJZIONALE 

19 

giudicato, e chi, pur avendo ottenuto una sentenza esecutiva amministrativa, non 
pu� esperire il ricorso per ottemperanza. 

2. -Va preliminarmente rilevato che il richiesto scrutinio di costituzionalit� 
deve incentrarsi sugli artt. 37 della legge n. 1034 del 1971, e 27, primo comma, 
numero 4, del regio decreto n. 1054 del 1924, che sono le norme dalle quali pu� 
dedursi il presupposto contestato, mentre gli artt. 90 e 91 del regio decreto n. 642 
del 1907 hanno la sola funzione di regolamentazione della procedura per i ricorsi cui 
le prime si riferiscono. 
3. -La questione non � fondata. Giova premettere che lo speciale (per l'oggetto 
e la procedura) giudizio ex art. 27, numero 4, del regio decreto 26 giugno 1924, 
n. 1054 (Testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato) era concepito con specifico 
riguardo alle sentenze dei tribunali ordinari ed � stato esteso a tutte le decisioni di 
organi giurisdizionali, compresi quelli della giustizia amministrativa, prima dalla 
giurisprudenza e poi espressamente, per quanto riguarda il giudicato degli organi di 
giustizia amministrativa, dall'art. 37 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 nel 
regolare la distribuzione della competenza tra Tribunale amministrativo regionale e 
Consiglio di Stato. Mentre solo con il decreto legislativo 31dicembre1992, n. 546, 
art. 70, � stata enucleata -salvo quanto previsto per la esecuzione forzata dal 
codice procedura civile -una particolare procedura di �ottemperanza agli obblighi 
derivanti dalla sentenza delle commissioni tributarie� purch� �passata in giudicato�, 
attribuita alla competenza delle commissioni tributarie, laddove in precedenza la 
giurisprudenza, sia pure in modo non uniforme, aveva ammesso l'azionabilit� del 
giudizio avanti al giudice amministrativo. 
Di conseguenza, stante l'unicit� dei presupposti del ricorso per ottemperanza di 
sentenze dei giudici ordinari e di quelle dei giudici amministrativi, deve escludersi 
in radice qualsiasi disparit� nell'ambito dei ricorsi per l'esecuzione del giudicato. 

Invece differenti, rispetto all'azione in base a ricorso per ottemperanza, e quindi 
non comparabili, sono le azioni esecutive davanti al giudice ordinario secondo le 
norme del codice di procedura civile, sia nella forma dell'espropriazione forzata 
mobiliare ed immobiliare sia nelle forme per consegna o rilascio ovvero per violazione 
di un obbligo di fare o di non fare. Rispetto a dette azioni esecutive � ininfluente il 
mancato passaggio in giudicato della sentenza o provvedimento giudiziale purch� 
esecutivo, trattandosi di circostanza necessaria solo per il concorrente strumento di 
tutela costituito dal giudizio di ottemperanza davanti al giudice amministrativo. 

Ed � questo uno schema che in materia di conflitto ricalca esattamente i presupposti della 
legittimazione a ricorrere dinanzi alla Corte nel tipico giudizio, che le compete di risolvere, tra i 
poteri dello Stato. 

Si tratta in effetti, spostando la problematica dal piano delle pronunce a quello dei soggetti, 
proprio di un conflitto tra potere amministrativo e potere giurisdizionale, che viene risolto dalla legge 
accordando la prevalenza al primo fino alla formazione del giudicato ed al secondo dopo tale 
momento, secondo un equilibrio che la Corte ha valutato legittimo sul piano dei princ�pi costituzionali. 

GIAN PAOLO POUZZI 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

20 

D'altro canto il giudizio di ottemperanza, secondo l'attuale elaborazione 
giurisprudenziale, ricomprende una pluralit� di configurazioni (in relazione alla 
situazione concreta, alla statuizione del giudice e alla natura dell'atto impugnato), J-: 
assumendo talora (quando si tratta di sentenza di condanna al pagamento di somma 
di denaro esattamente quantificata e determinata nell'importo, senza che vi sia 
esigenza ulteriore di sostanziale contenuto cognitorio) natura di semplice giudizio 
esecutivo -come tale assoggettabile alle limitazioni proprie delle �azioni 
esecutive� nei confronti degli enti locali dissestati -e quindi qualificabile come 
rimedio complementare che si aggiunge al procedimento espropriativo del codice di 
procedura civile, rimesso alla scelta del creditore. In altri casi il giudizio di 
ottemperanza pu� essere diretto a porre in essere operazioni materiali o atti giuridici 
di pi� stretta esecuzione della sentenza; in altri ancora ha l'obiettivo di conseguire 
una attivit� provvedimentale dell'amministrazione ed anche effetti ulteriori e diversi 
rispetto al provvedimento originario oggetto della impugnazione; inoltre pu� essere 
utilizzato, in caso di materia attribuita alla giurisdizione amministrativa, anche in 
mancanza di completa individuazione del contenuto della prestazione o attivit� cui 
� tenuta l'amministrazione, laddove invece l'esecuzione forzata attribuita al giudice 
ordinario presuppone un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile. 

Del resto il giudizio di ottemperanza non deve necessariamente (sotto il profilo 
costituzionale) modellarsi, anche nei presupposti, al processo esecutivo ordinario, 
attese le peculiarit� funzionali del giudizio amministrativo (esteso al merito) con 
potenzialit� sostitutive e intromissive nell'azione amministrativa, non comparabili 
con i poteri del giudice dell'esecuzione nel processo civile. 

Infatti, non esiste un principio (costituzionalmente rilevante) di necessaria 
uniformit� di regole processuali tra i diversi tipi di processo (civile e 
amministrativo), potendo i rispettivi ordinamenti processuali differenziarsi sulla 
base di una scelta razionale del legislatore, derivante dal tipo di configurazione del 
processo e dalle situazioni sostanziali dedotte in giudizio, naturalmente a condizione 
che non siano vulnerati i principi fondamentali di garanzia ed effettivit� della tutela 
(sentenza n. 82 del 1996). 

4. -Il limitare l'ambito dello speciale giudizio di ottemperanza -diretto ad 
ottenere l'adempimento coattivo dell'obbligo dell'autorit� amministrativa di 
II 
I 
conformarsi, in quanto riguarda il caso deciso -al giudicato, inteso come cosa 
giudicata, � una interpretazione plausibile che il giudice a quo ritiene di seguire. 

Tale limitazione costituisce una scelta che rientra nella discrezionalit� 
legislativa, in quanto non obbligata sul piano costituzionale, essendo libero il 
legislatore di adottare particolari sistemi di esecuzione in via amministrativa delle 
sentenze dei giudici nei confronti delle pubbliche amministrazioni, quando queste 

w 

non si conformino spontaneamente (scelta di recente ripetuta nel processo & 

~ 

tributario), fermo il principio (v. sentenza n. 435 del 1995) che in caso di �pronuncia V.� 
giurisdizionale la quale riconosca come ingiustamente lesivo dell'interesse del 

Il

cittadino un determinato comportamento dell'amministrazione, incombe su ~: 
quest'ultima l'obbligo di conformarsi ad essa, ed il contenuto di tale obbligo 
consiste appunto nell'attuazione di quel risultato pratico, tangibile, riconosciuto 

l

come giusto e necessario dal giudice�. La fase di esecuzione coattiva di questo 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

obbligo, che pur nasce con la pronuncia del giudice con il carattere della esecutivit�, 
� costituzionalmente necessaria senza alcuna possibilit� di distinzioni tra funzioni 
giurisdizionali di natura diversa o tra pubbliche autorit� anche di rilevanza 
costituzionale (sentenza n. 435 del 1995), mentre non necessariamente sul piano 
costituzionale la proponibilit� della speciale azione deve coincidere con la 
pronuncia di primo grado non passata in giudicato. 

La procedura di ottemperanza -con la possibilit� di esercizio di poteri 
sostitutivi rispetto all'amministrazione inadempiente e di inserimento nello 
svolgimento concreto dell'azione amministrativa mediante un commissario ad acta 
o, a seconda della fattispecie, direttamente da parte del giudice -nei confronti della 
pubblica amministrazione comporta l'esercizio di una giurisdizione estesa anche al 
merito, di modo che non � irragionevole, nell'attuale contesto del sistema 
processuale, la scelta di porre, come presupposto della speciale azione, l'esistenza 
di una cosa giudicata, anche se � stata auspicata una diversa soluzione legislativa 
accompagnata da modifiche al processo amministrativo. 

5. -L'azione di ottemperanza al giudicato, cos� come configurata, non esclude 
n� limita la ulteriore tutela giurisdizionale, potendo il soggetto interessato, da un 
canto, avvalersi dell'azione esecutiva ordinaria per espropriazione forzata in base a 
sentenza esecutiva contenente condanna al pagamento di somma di denaro; dall'altro 
canto, proporre le normali azioni di fronte all'inerzia dell'amministrazione, nonch� 
le impugnazioni contro gli atti della amministrazione che siano in contrasto con le 
statuizioni contenute in una sentenza provvista di esecutivit�, ancorch� non 
definitiva. Del resto, la spontanea esecuzione (pur sempre atto dovuto) da parte della 
Amministrazione di una sentenza del giudice amministrativo di primo grado, in 
quanto immediatamente esecutiva, non pu� configurare di per s� acquiescenza alla 
sentenza stessa, anche se intervenga successivamente all'appello e senza riserva 
alcuna circa l'obbligatoriet� del comportamento sulla base della sentenza, proprio 
perch� l'Amministrazione Ǐ tenuta a darvi esecuzione�, secondo un indirizzo 
giurisprudenziale tutt'altro che isolato. 
Sullo stesso piano qualsiasi nuovo atto dell'Amministrazione, che sia in 
contrasto con la statuizione contenuta nella sentenza esecutiva o che trovi 
fondamento o giustificazione o che si basi sul presupposto dell'esistenza di un atto 
annullato con la medesima sentenza ovvero dia ulteriore seguito ai provvedimenti 
eliminati dal mondo giuridico con l'annullamento disposto da sentenza esecutiva, � 
affetto da antigiuridicit� derivata (per violazione dell'obbligo, in precedenza 
sottolineato, a carico della Amministrazione di conformarsi alla pronuncia 
giurisdizionale), suscettibile di essere censurato in sede giurisdizionale con gli 
ordinari rimedi previsti per la tutela delle posizioni di diritto soggettivo o di 
interesse legittimo, restando affidato ai giudici l'esercizio dei poteri cautelari 
conferiti dagli ordinamenti processuali, con le conseguenze attuative (v., sulle 
possibilit� di esecuzione delle ordinanze di sospensiva del giudice amministrativo, 
sentenza n. 419 del 1995). 

D'altro canto, secondo un indirizzo della giurisprudenza amministrativa, 
perfino il giudice che ha provveduto sulla sospensione di una sentenza impugnata 
in appello conserva il potere di emanare provvedimenti cautelari che impongano 


RASSEGNA AWOCATlillA DELLO STATO cc

22 

alla Amministrazione la assunzione di atti ritenuti necessari per l'effettiva tutela 
interinale dell'interesse perseguito. Infatti, su un piano pi� generale � stato 
affermato il principio che qualora il diritto assistito da fumus boni iuris sia I 
minacciato da pregiudizio imminente ed irreparabile provocato dalla cadenza dei 

I 

tempi necessari per farlo valere in via ordinaria, spetta al giudice il potere di 
emanare i provvedimenti di urgenza che appaiono, secondo le circostanze, pi� 
idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito 
(sentenza n. 190 del 1985 a proposito di controversie patrimoniali attribuite alla 
giurisdizione esclusiva). 

In ogni caso, la mancata adozione da parte dell'Amministrazione di 
provvedimel)ti che rimuovano o interrompano gli effetti persistenti e produttivi di 
ulteriori conseguenze giuridiche a seguito di atti annullati o comportamenti 
dichiarati illegittimi da sentenza esecutiva o il mancato conformarsi alle statuizioni 
della medesima sentenza esecutiva -ancorch� non ancora suscettibile di coazione 
in forma specifica attraverso il giudizio di ottemperanza -� un comportamento a 
rischio dell'Amministrazione inadempiente (e del funzionario responsabile), 
potendo ravvisarsi responsabilit� nelle diverse forme -a seconda della sussistenza 
dei relativi presupposti -e nelle sedi competenti (omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 11 febbraio 1999, n. 27 -Pres. Granata -Red. 
Zagrebelsky -Provincia autonoma di Trento (avv. Falcon) c. Presidente del 
Consiglio dei Ministri (avv. Stato Caramazza). 

Corte Costituzionale -Conflitto di attribuzione -Tra Provincia autonoma e 
Stato -Relativo ad un atto di giurisdizione -Ammissibilit� -Limiti. 

Riguardo agli atti di giurisdizione il conflitto di attribuzione � configurabile 

solo quando viene contestata radicalmente la riconducibilit� del!' atto alla funzione 
giurisdizionale o viene messa in discussione l'esistenza stessa del potere 
giurisdizionale nei confronti del soggetto ricorrente; pertanto � inammissibile il 
conflitto di attribuzione diretto a censurare il modo di esercizio della funzione 
giurisdizionale (1). 

(omissis) 

1. -La Provincia autonoma di Trento propone conflitto di attribuzione contro 
il Presidente del Consiglio dei Ministri, in riferimento alla sentenza del Consiglio 
di Stato, sezione IV, n. 625 del 6 giugno 1997, che ha confermato una pronuncia 
(1) Principio pacifico in giurisprudenza, come risulta dai precedenti citati in motivazione. 
Nella fattispecie l'inammissibilit� del conflitto appare evidente in quanto la Provincia ricorrente 
contesta non gi� l'esistenza del potere giurisdizionale, bens� l'interpretazione del diritto vigente 
contenuta in una sentenza del Consiglio di Stato, introducendo cos� un terzo grado di giudizio in 
cui si chiede alla Corte Costituzionale di correggere gli errori in iudicando del giudice di vertice 
del plesso della giustizia amministrativa. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

del Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento di annullamento, per 
incompetenza, dell'ordinanza del Presidente della Giunta provinciale di 
sospensione dell'autorizzazione all'apertura di un esercizio commerciale. 
Sarebbero violati l'art. 20, primo comma, dello statuto speciale per la Regione 
Trentino-Alto Adige (decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, 

n. 670) e il decreto del Presidente della Repubblica 1� novembre 1973, n. 686 
(recante �Norme di attuazione dello statuto speciale per la Regione Trentino-Alto 
Adige concernente esercizi pubblici e spettacoli pubblici�). La norma statutaria 
-confermata dall'art. 3, primo comma, delle menzionate norme di attuazione � 
stabilisce che �i Presidenti delle Giunte provinciali esercitano le attribuzioni 
spettanti all'autorit� di pubblica sicurezza previste dalle leggi vigenti�, tra le quali 
dovrebbe ritenersi inclusa quella relativa alla sospensione della licenza degli 
esercizi pubblici, prevista dall'art. 100 del testo unico delle leggi di pubblica 
sicurezza (regio decreto 18 giugno 1931, n. 773). 

Ad avviso della ricorrente, la decisione del giudice amministrativo che ha 
dato origine al conflitto disconoscerebbe una competenza provinciale avente 
fondamento nello statuto speciale, in quanto il Consiglio di Stato ha qualificato il 
provvedimento adottato dal Presidente della Giunta provinciale ai sensi dell'art. 
100 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza come provvedimento per 
l'ordine pubblico, di competenza dello Stato, a norma dell'art. 21 dello statuto 
speciale. 

2. -Il conflitto non � ammissibile. 
2.1. -Atti di giurisdizione, secondo consolidata giurisprudenza di questa 
Corte, possono essere a base di conflitto di attribuzione tra Regioni e Stato, oltre 
che tra poteri dello Stato, purch�� il conflitto medesimo non si risolva in mezzo 
improprio di censura del modo di esercizio della funzione giurisdizionale 
(sentenze nn. 289 del 1974, 98 e 183 del 1981, 70 del 1985, 285 del 1990, 99 e 
175 del 1991, 357 del 1996). 
Contro gli errori in iudicando di diritto sostanziale o processuale, infatti, 
valgono i rimedi consueti riconosciuti dagli ordinamenti processuali delle diverse 
giurisdizioni; non vale il conflitto di attribuzione. A ritenere diversamente, il 
giudizio presso la Corte costituzionale si trasformerebbe inammissibilmente in un 
nuovo grado di giurisdizione avente portata tendenzialmente generale. Avendo 
infatti per lo piu' le situazioni soggettive delle Regioni base diretta o almeno 
indiretta in norme di rango costituzionale attributive di competenza, la gran parte 
dei motivi di doglianza da parte delle stesse contro decisioni giurisdizionali 
finirebbe per potersi trasformare automaticamente in motivo di ricorso per 
conflitto di attribuzione, con evidente forzatura dei caratteri propri di quest'ultimo 
e alterazione dei rapporti tra la giurisdizione costituzionale e quella riconosciuta a 
istanze giurisdizionali non costituzionali. 

Invece, ancora secondo la giurisprudenza di questa Corte sopra ricordata, il 
rimedio del conflitto di attribuzione relativamente ad atti di giurisdizione � 
configurabile quando sia contestata radicalmente la riconducibilit� dell'atto che 
determina il conflitto alla funzione giurisdizionale ( cfr., ad esempio, sentenze nn. 


24 RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATCr" 
150 del 1981 e 283 del 1986) ovvero sia messa in questione l'esistenza stessa del 
potere giurisdizionale nei confronti del soggetto ricorrente. In tutti questi casi, il 
conflitto verrebbe infatti a configurarsi non come controllo sul contenuto 
,I 
dell'attivit� giurisdizionale, ma come garanzia di sfere di attribuzioni che si ~J 
vogliono costituzionalmente protette da interferenze da parte di organi della I:_;_ 
giurisdizione o che si vogliono riservare al controllo di altra istanza costituzionale. � 

2.2. -Nella specie, la Provincia autonoma ricorrente non contesta l'esistenza 
del potere giurisdizionale relativamente alla legittimit� dei provvedimenti di 
sospensione della autorizzazione all'apertura degli esercizi commerciali. Essa 
contesta invece l'argomentazione contenuta nella sentenza del Consiglio di Stato 
secondo la quale tali provvedimenti sarebbero da ascrivere alla difesa dell'ordine 
pubblico e non invece della sicurezza pubblica, con la conseguente affermazione 
della competenza statale invece che regionale. 
Trattasi quindi di una controversia che, avendo base in una questione di 
interpretazione del diritto vigente che influisce sulla decisione del giudice che si 
vorrebbe censurare, non attiene all'esistenza della giurisdizione in quanto tale. Il 
ricorso per conflitto di attribuzione deve pertanto essere dichiarato inammissibile. 

PER QUESTI MOTIVI 

LA CORTE COSTITUZIONALE 

I 

~ 

dichiara inammissibile il conflitto di attribuzione sollevato dalla Provincia 
autonoma di Trento nei confronti dello Stato, in relazione alla sentenza del I 
Consiglio di Stato, sezione IV, n. 625 del 6 giugno 1997, con il ricorso indicato in I 

I ~

epigrafe (omissis). 

,, 

Il 



SEZIONE SECONDA 

GIURISPRUDENZA 
COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 


I 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Plenum, 22 ottobre 
1998, nelle cause riunite da C-10/97 a C-22/97 -Pres. Rodr�guez Iglesias -Rei. 
Puissochet -Avv. Gen. Ruiz -Jarabo Colomber -Domande di pronuncia pregiudiziale 
proposte dal Pretore di Roma nelle cause Min. Finanze c. IN.CO.GE. 
srl ed altri. Interv.: Governi italiano (avv. Braguglia e Quadri), francese (ag. 
Rispal -Bellanger e Mignot) e del Regno unito (ag. Nicoll) e Commissione 
delle C.E. (ag. Traversa). 

Comunit� europee -Tasse di concessione governativa -Ripetizione dell'indebito 
-Conseguenze dell'incompatibilit� con il diritto comunitario di un tributo 
nazionale -Regole di competenza giurisdizionale e disposizioni di rimborso 
di diritto interno. 
(Trattato CE, art. 5; direttiva del Consiglio 17 luglio 1969, n. 69/335/CEE; decreto del 
Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 641, art. 13; decreto-legge 19 dicembre 
1984, n. 853. conv. in legge 17 febbraio 1985 n. 17; decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, 
conv. in legge 29 ottobre 1993 n. 427; codice civile, art. 2946). 

L'obbligo incombente al giudice nazionale di disapplicare una normativa nazionale 
che abbia istituito un tributo contrario al diritto comunitario deve portarlo, di 
regola, ad accogliere le domande di rimborso del detto tributo. Tale rimborso dev'essere 
garantito conformemente alle disposizioni del suo diritto nazionale, fermo 
restando che queste ultime non devono essere meno favorevoli di quelle che riguardano 
ricorsi analoghi di natura interna n� rendere praticamente impossibile o eccessivamente 
difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario. 
Un'eventuale riqualificazione dei rapporti giuridici sorti tra l'amministrazione 
fiscale di uno Stato membro e singole societ� del detto Stato all'atto della riscossione 
di un tributo nazionale successivamente riconosciuto contrario al diritto comunitario 
rientra, pertanto, nella sfera dell'ordinamento nazionale (1). 

(1-4) Soluzione logica, quella della prima sentenza, conforme a quanto proposto dal 
Governo italiano, in quanto il fatto che l'indebita riscossione di un'imposta -nella specie la 
tassa di concessione governativa gi� ritenuta incompatibile con la direttiva 69/335/CEE -sia 
conseguenza del contrasto della norma tributaria interna con il diritto comunitario non elimina 
certo la natura fiscale della lite innescata dalla domanda di rimborso del contribuente, con la conseguente 
applicazione delle regole processuali e sostanziali della particolare materia, fermo che 
-come ripetutamente affermato dalla Corte di giustizia -le disposizioni di diritto nazionale 
non siano meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna e non rendano 
praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordi




RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO.

26 

II 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, sez. 5�, 9 febbraio 1999, n

{:: 

nella causa C-343/96 -Pres. rei. Puissochet -Avv. Gen. Ruiz -Jarabo Colomber 
-Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Pretore di Bolzano nella 
causa Dilexport srl c. Min. Finanze. Interv.: Governi italiano (avv. Stato 
Braguglia), francese (ag. de Salins e Mignot) e del Regno unito (ag. Nicoll) e 
Commissione delle C.E. (ag. Traversa). 

Comunit� europea -Imposta di consumo sulle banane -Ripetizione dell'indebito 
-Conseguenze dell'incompatibilit� con il diritto comunitario di un tributo 
nazionale -Disposizioni di rimborso di diritto interno. 
(Trattato CE, art. 95; legge 9 ottobre 1964, n. 986; decreto del Presidente della Repubblica 
23 gennaio 1973, n. 43, art. 91; d.l. 30 settembre 1982, n. 688, conv. nella legge 27 novembre 
1982, n. 873, art. 19; legge 29 dicembre 1990, n. 428, art. 29). 

Comunit� europea -Imposta di consumo sulle banane -Ripetizione dell'indebito 
-Traslazione dell'imposta -Onere della prova. 
(Trattato CE, art. 95; legge 29 dicembre 1990, n. 428, art. 29). 

Comunit� europea -Imposta di consumo sulle banane -Ripetizione dell'indebito 
-Regole procedurali nazionali. 

(Trattato CE, art. 95; legge 29 dicembre 1990, n. 428, art 29). 

Il diritto comunitario non osta a disposizioni nazionali che assoggettino il rimborso 
di dazi doganali o di tributi incompatibili con il diritto comunitario a modalit� 
relative ai termini e alla procedura meno favorevoli di quelle previste per l'azione 
di ripetizione dell'indebito tra privati, purch� tali modalit� si applichino 

namento comunitario. Cfr., per la giurisprudenza nazionale, Cass. sez. un. 23 febbraio 1996, 

n. 3458, citata in motivazione. 
Le sentenze della Corte di giustizia 15 settembre 1998, nelle cause C-231/96, EDIS, e 
C-260/96, SPAC, citate al n. 27 della motivazione, sono pubblicate in questa Rassegna, 1998, I, 
365, con nota. 

Nello stesso senso la successiva sentenza 17 novembre 1998, nella causa C-228/96, FALL. 
APRILE, con la quale la Corte ha statuito che: �1) il diritto comunitario non osta all'applicazione 
di una disposizione nazionale che mira a sostituire, per tutte le azioni di rimborso in materia 
doganale, un termine speciale di decadenza, quinquennale e poi triennale, che deroga al termine 
ordinario di prescrizione di ripetizione dell'indebito di dieci anni, purch� il detto termine di 
decadenza, analogo a quello gi� previsto per diverse imposizioni, si applichi allo stesso modo alle 
azioni di ripetizione fondate sul diritto comunitario e a quelle fondate sul diritto interno; 2) in 
circostanze come quelle della causa a qua, il diritto comunitario non vieta a uno Stato membro di 
opporre un termine nazionale di decadenza alle azioni di rimborso di tributi percepiti in 
violazione di disposizioni comunitarie, anche se questo Stato membro non ha ancora modificato 
la propria normativa interna per renderla compatibile con tali disposizioni�. E nello stesso senso 
anche, sostanzialmente, la seconda sentenza annotata, con la prima e l'ultima massima (se ne 
omette, quindi, la motivazione). 



PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

27 

ugualmente alle azioni di rimborso fondate sul diritto comunitario e a quelle fondate 
sul diritto interno e non rendano impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio 
del diritto al rimborso. Il diritto comunitario non osta a che, a seguito di sentenze 
della Corte che dichiarano l'incompatibilit� con il diritto comunitario di 
determinati diritti o tributi, uno Stato membro adotti disposizioni che rendono le 
modalit� di rimborso applicabili a questi diritti e tributi meno favorevoli di quelle 
che sarebbero applicate in loro assenza, purch� tali modificazioni non riguardino 
specificamente i diritti o tributi in questione e le nuove disposizioni non rendano 
impossibile o eccessivamente difficile il diritto al rimborso (2). � 

Il diritto comunitario osta a che uno Stato membro assoggetti il rimborso di 
diritti doganali e d� imposte incompatibili con il diritto comunitario a una condizione, 
quale l'assenza di ripercussione di tali diritti e imposte su altri soggetti, 
relativamente al ricorrere della quale l'onere della prova incomberebbe al ricorrente 
(3). 

Il diritto comunitario non osta a che una domanda di rimborso di diritti doganali 
o di imposizioni incompatibili con il diritto comunitario sia soggetta, a pena 
di irricevibilit�, a una condizione non retroattiva di notifica al servizio tributario 
che ha ricevuto la dichiarazione dei redditi dell'interessato per l'esercizi� di competenza 
(4). 

I 

(Omissis). 

1. -Con tredici ordinanze 17 dicembre 1996, giunte alla Corte il 16 gennaio 
1997, la Pretura circondariale di Roma ha proposto, a norma dell'art. 177 
del Trattato CE, una questione pregiudiziale vertente sulle conseguenze derivanti, 
in diritto interno, dall'incompatibilit� di un tributo nazionale con il diritto 
comunitario. 
Con la massima (3) la Corte, nel presunto contrasto interpretativo della norma nazionale, ha 
osservato, con la motivazione che si riporta, che sarebbe contraria al diritto comunitario una 
norma nazionale che presuma l'avvenuta traslazione dell'imposta sui consumatori trasferendo 
quindi l'onere della prova contraria al contribuente, mentre perfettamente compatibile con il diritto 
comunitario sarebbe una norma nazionale secondo la quale spetta all'amministrazione dimostrare 
mediante �tutti i mezzi di prova generalmente ammessi dal diritto nazionale� l'avvenuta 
traslazione: ma proprio quest'ultima -come ha rilevato in causa il governo italiano -� la portata 
dell'artt. 29 comma 2 della legge 428/1990, il quale ha precisato che �i diritti .... riscossi in 
applicazione di disposizioni nazionali incompatibili con norme comunitarie sono rimborsati a 
meno che il relativo onere non sia stato trasferito su altri soggetti�, derogando cos� espressamente, 
come precisato nel comma 3, alla regola generale dell'art. 19 del decreto-legge 688/1982 
conv. in legge 873/82, rimasta ferma per il rimborso di tributi che �non rilevano per l'ordinamento 
comunitario� (cfr. Cass. 26 febbraio 1998 n. 2083; 5 maggio 1995 n. 4922), per cui spetta 
al contribuente dare la prova della mancata traslazione. In tal senso quindi resta ferma la giurisprudenza 
della Corte di cassazione che addossa l'onere della prova dell'avvenuta traslazione all'amministrazione 
ma consente anche che questa prova venga data attraverso presunzioni, gravi precise 
e concordanti, riferibili ovviamente al caso esaminato e basata su elementi rilevanti per il caso di 
specie (Cass. 7 marzo 1997 n. 2086; 1� settembre 1995 n. 9215). 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

28 

2. -Tale questione � stata sollevata nell'ambito di controversie tra il Ministero 
delle Finanze e la IN.CO.GE '90 e altre dodici societ� a responsabilit� limitata (in 
prosieguo: la �IN.CO.GE '90 e a.�) in merito alle modalit� di rimborso della tassa 
di concessione governativa per l'iscrizione delle societ� nel registro delle imprese 
(in prosieguo: la �tassa di concessione�). 
3. -La tassa di concessione � stata istituita dal decreto del Presidente della 
Repubblica 26 ottobre 1972, n. 641 (GURI n. 292, dell'll novembre 1972, 
Supplemento n. 3; in prosieguo: il �decreto n. 641/1972�). Essa � stata oggetto, in 
quanto applicata all'iscrizione nel registro dell'atto costitutivo delle societ�, di 
modifiche successive in relazione ai suoi importi e alla sua periodicit�. 
4. -Gli importi della tassa di concessione sono stati anzitutto notevolmente 
aumentati con decreto legge 19 dicembre 1984, n. 853 (GURI n. 347, del 19 dicembre 
1984), convertito nella legge 17 febbraio 1985, n. 17 (GURI n. 41-bis, del 
17 febbraio 1985), il quale ha anche stabilito che il versamento della tassa sarebbe 
dovuto avvenire, in futuro, non solo al momento dell'iscrizione nel registro 
dell'atto costitutivo della societ�, ma anche il 30 giugno di ciascun anno solare 
successivo. 

Gli importi della tassa sono stati poi di nuovo modificati nel 1988 e nel 1989. 
In quest'ultima occasione, essi hanno raggiunto il livello di 12 milioni di LIT per le 
societ� per azioni e in accomandita per azioni, di 3,5 milioni di LIT per le societ� a 
responsabilit� limitata e di 500.000 LIT per le altre societ�.' 

5. -Nella sentenza 20 aprile 1993, cause riunite C-71/91 e C-178/91, Ponente 
Carni e Cispadana Costruzioni (Racc., I-1915), pronunciata con riferimento alla tassa 
di concessione, la Corte ha dichiarato che l'art. 10 della direttiva del Consiglio 
17 luglio 1969, 69/335/CEE, concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali 
(GU L 249, 25), dev'essere interpretato nel senso che, fatte salve le disposizioni derogatorie 
dell'art. 12, esso vieta un tributo annuale dovuto in ragione dell'iscrizione delle 
i

societ� di capitali anche qualora il gettito di tale tributo contribuisca al finanziamento 

del servizio incaricato della tenuta del registro in cui sono iscritte le societ�. La Corte 
ha parimenti deciso che l'art. 12 della direttiva 69/335 dev'essere interpretato nel senso 
che i diritti di carattere remunerativo di cui al n. 1, lette), dello stesso articolo possono 

Iessere remunerazioni riscosse come corrispettivo di operazioni imposte dalla legge per 
uno scopo di interesse generale, come l'iscrizione delle societ� di capitali. L'entit� di 
tali diritti, che pu� variare a seconda della forma giuridica della societ�, dev'essere calcolata 
in base al costo dell'operazione, che pu� essere determinato forfettariamente. 

6. -In seguito a tale sentenza, il decreto legge 30 agosto 1993, n. 331 (GURI 
n. 203, del 30 agosto 1993), convertito nella legge 29 ottobre 1993, n. 427 (GURI 
n. 255, del 29 ottobre 1993), ha ridotto la tassa di concessione a 500.000 LIT per 
tutte le societ� e ne ha soppresso la riscossione annuale. 

7. -La IN.CO.GE. '90 e a. hanno proposto con successo, ai sensi degli artt. 633 
e ss. del codice di procedura civile, dinanzi al Pretore di Roma, diversi ricorsi 

PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

ingiuntivi per ottenere dal Ministero delle Finanze la restituzione delle somme che 
avevano versato a titolo di tassa di concessione negli anni precedenti. 

8. -Il Ministero delle Finanze ha proposto tuttavia opposizione ai decreti 
ingiuntivi del Pretore di Roma sollevando due eccezioni relative, l'una, all'incompetenza 
di quest'ultimo a conoscere di una controversia di natura tributaria, e l'altra, 
alla decadenza dal diritto al rimborso delle ricorrenti limitatamente alle somme 
versate oltre un triennio prima della presentazione delle loro domande di ripetizione, 
ai sensi dell'art. 13 del decreto n. 641/1972. 
9. -Dall'ordinanza di rinvio risulta che tali eccezioni vanno accolte o respinte 
insieme in quanto sono ambedue vincolate alla natura tributaria o civile della controversia. 
Infatti, se questa � di natura fiscale, il Pretore � incompetente a conoscerne e 
non gli spetter� quindi esaminare l'eccezione di decadenza. Per contro, se la lite non 
ha natura tributaria, ma rientra nel regime della ripetizione dell'indebito del diritto 
civile, non soltanto spetter� al giudice a quo risolverla, ma non sar� nemmeno applicabile 
il termine di decadenza triennale di cui all'art. 13 del decreto n. 641/1972. 
10. -Il Pretore di Roma aggiunge in proposito che, nella sentenza 23 febbraio 
1996, n. 3458, la Corte suprema di cassazione (sezioni unite) ha dichiarato che 
la restituzione della tassa di concessione rientra in quest'ultima disposizione poich� 
questa si applica a tutti i tributi indebitamente pagati, indipendentemente dalla causa 
dell'indebito pagamento. 
11. -Il giudice a quo non condivide tuttavia quest'analisi. Esso ricorda che, 
conformemente alla giurisprudenza della Corte, la normativa nazionale, anche 
posteriore, contraria al diritto comunitario va disapplicata dal giudice statale senza 
che se ne debba chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante 
qualsiasi altro procedimento costituzionale (sentenza 4 giugno 1992, cause riunite 
C-13/91 e C-113/91, Debus, Racc., I-3617). Ora, nel caso di specie, la disapplicazione 
integrale della legge italiana che ha istituito la tassa di concessione avrebbe 
necessariamente l'effetto di privare della loro natura tributaria i rapporti giuridici 
sorti tra il Ministero delle Finanze e le societ� ricorrenti all'atto del versamento delle 
somme controverse. Dato che queste sono state riscosse sulla base di un tributo 
ormai inesistente e quindi in mancanza di qualsiasi credito tributario dello Stato, il 
loro rimborso rientrerebbe nel regime della ripetizione dell'indebito, soggetto altermine 
di prescrizione decennale del codice civile. 
12. -� alla luce di ci� che il Pretore di Roma ha sospeso il procedimento e ha 
sottoposto alla Corte la seguente questione pregiudiziale: 
�Se l'incompatibilit� tra l'art. 10 della direttiva del Consiglio 17 luglio 1969, 
69/335/CEE, interpretato nel senso risultante dalla sentenza della Corte in data 20 aprile 
1993 (resa nelle cause riunite C-71/91 e C-178/91 ), e l'art. 3, commi 18 e 19, del 
decreto-legge 19 dicembre 1984, n. 853, convertito in legge 17 febbraio 1985, n. 17, 
comporti, in base ai criteri di integrazione tra la normativa nazionale e quella comunita



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

30 

~::;l~bo~!i d:.C~rte medesima, la ~~a~li~ai:i~e total~ d~citati C::U/8 e 19 d~l-~ 

. d. , e m p . 1co are se eshsa ~mpdo d1 ~ ealifi~u ~e nazd10n e non ~ ~d.ene~e :.On o l[
d1 ette norme mteme neanc e m se e 1 qu caz1one e1rapporto gmn 1co, m i.orza 1'. 
del quale un soggetto di uno Stato ~emb:o ri~hiede all'amministrazionedfinll.anziaria la 
restituzione delle somme versate m v10laz1one del citato art. 10 e a direttiva ~ 

69/335/CEE�. ~ 

~ 

Sulla competenza della Corte 

13. -Il governo del Regno Unito afferma che la Corte � incompetente in merito 
alla questione sollevata dal Pretore di Roma per la parte in cui quest'ultima verte 
sull'interpretazione del diritto italiano e non su quella del diritto comunitario. Infatti, 
spetterebbe a ciascuno Stato membro designare i giudici competenti e stabilire le 
modalit� procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela dei diritti 
spettanti ai singoli in forza delle norme di diritto comunitario (sentenze 16 dicembre 
1976, causa 33/76, Rewe, Racc., 1989, e causa 45/76, Comet, Racc., 2043). 
14. -A tal riguardo va rilevato che, conformemente alla giurisprudenza costante 
della Corte, incombe effettivamente a ciascuno Stato membro il compito di designare 
il giudice competente a risolvere liti vertenti sui diritti soggettivi, scaturenti 
dall'ordinamento comunitario, fermo restando, tuttavia, che gli Stati membri sono 
tenuti a garantire, in ogni caso, la tutela effettiva dei detti diritti. Alla luce di questa 
riserva, non spetta alla Corte intervenire nella soluzione dei problemi di competenza 
che possono discendere, nell'ambito dell'ordinamento giudiziario nazionale, 
dalla definizione di determinate situazioni giuridiche fondate sul diritto comunitario 
(sentenze 9 luglio 1985, causa 179/84, Bozzetti, Racc., 2301, punto 17; 18 gennaio 
1996, causa C-446/93, SEIM, Racc., 1-73, punto 32, e 17 settembre 1997, causa 
C-54/96, Dorsch Consult, Racc., 1-4961, punto 40). 
15. -Tuttavia, la Corte � competente a indicare al giudice nazionale gli elementi 
del diritto comunitario che possono contribuire alla soluzione del problema 
di competenza che esso deve risolvere (sentenze Bozzetti, punto 18, e SEIM, punto 
33, citate). A tal fine essa pu�, eventualmente, desumere gli elementi di cui trattasi 
dal testo della questione proposta e dai dati riferiti dal giudice nazionale (v., in 
particolare, sentenza 4 dicembre 1980, causa 54/80, Wilner, Racc. 3673, punto 4). 
16. -A tal riguardo, dall'ordinanza di rinvio si ricava che il Pretore di Roma 
s'interroga sulle conseguenze derivanti, in diritto interno, dall'incompatibilit� di un 
tributo nazionale con il diritto comunitario. Il giudice a quo fonda infatti il suo convincimento 
che le controversie pendenti innanzi ad esso non siano di natura tributarja 
ma rientrino, secondo l'ordinamento italiano, nel regime generale della ripetizione 
dell'indebito sul fatto che una siffatta incompatibilit�, comportando la 
disapplicazione integrale delle disposizioni nazionali rilevanti e rendendo giuridicamente 
del tutto inesistente il tributo di cui trattasi, dovrebbe produrre necessariamente 
l'effetto di privare quest'ultimo della sua natura fiscale. 

PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

17. Ne discende che la Corte � competente in merito alla questione proposta. 
Sulla questione proposta 

18. -La Commissione ricorda che, nella sentenza 9 marzo 1978, causa 106/77, 
Simmenthal (Racc., 629), la Corte ha dichiarato, in particolare, che le disposizioni 
del Trattato e degli atti delle istituzioni, qualora siano direttamente applicabili, 
hanno l'effetto, nei loro rapporti con il diritto interno degli Stati membri, non solo 
di rendere �ipso iure� inapplicabile qualsiasi disposizione contrastante della legislazione 
nazionale preesistente, ma anche di impedire la valida formazione di nuovi 
atti legislativi nazionali in quanto incompatibili con norme comunitarie. La 
Commissione ne deduce che uno Stato membro sarebbe del tutto incompetente ad 
adottare una disposizione fiscale incompatibile con il diritto comunitario di modo 
che una norma del genere e l'obbligo fiscale corrispondente dovrebbero essere considerati 
inesistenti. 
19. -Questa interpretazione non pu� essere accolta. 
20. -Occorre rilevare che, nella citata sentenza Simmenthal, la Corte era chiamata 
a pronunciarsi segnatamente sulle conseguenze dell'applicabilit� diretta di una 
disposizione del diritto comunitario in caso di incompatibilit� di quest'ultima con 
una disposizione successiva della legislazione di uno Stato membro. Ebbene, nella 
sua giurisprudenza anteriore (v., in particolare, sentenza 15 luglio 1964, causa 6/64, 
Costa, Racc., 1158), la Corte aveva gi� sottolineato l'impossibilit� per uno Stato 
membro di far prevalere una norma nazionale su una norma comunitaria contraria, 
senza fare distinzioni tra diritto nazionale anteriore e successivo. Nella citata sentenza 
Simmenthal la Corte pertanto ha affermato che qualsiasi giudice nazionale, 
adito nell'ambito della sua competenza, ha l'obbligo di applicare integralmente il 
diritto comunitario e di tutelare i diritti che questo attribuisce ai singoli, disapplicando 
le disposizioni eventualmente contrastanti della legge interna, sia anteriore 
che successiva alla norma comunitaria (sentenza Simmenthal, cit., punti 21 e 24). 
Questa giurisprudenza � stata riconfermata in numerose occasioni (v., in particolare, 
sentenze Debus, cit., punto 32; 2 agosto 1993, causa C-158/91, Levy, Racc., 
I-4287, punto 9, e 5 marzo 1998, causa C-347/96, Solred, Racc., I-937, punto 30). 
21. -Contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, non pu� pertanto 
dedursi dalla citata sentenza Simmenthal che l'incompatibilit� con il diritto comunitario 
di una norma di diritto nazionale successiva abbia 1'effetto di rendere quest'ultima 
inesistente. Posto di fronte a una situazione del genere, il giudice nazionale 
� viceversa obbligato a disapplicare la detta norma, fermo restando che 
quest'obbligo non limita il potere dei giudici nazionali competenti di applicare, tra 
i vari mezzi offerti dall'ordinamento interno, quelli che appaiono loro pi� appropriati 
per tutelare i diritti attribuiti agli individui dal diritto comunitario (v. sentenza 
4 aprile 1968, causa 34/67, Liick, Racc., 325, in particolare 334 es.). 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STAT6.

32 

22. -Occorre ancora chiedersi se la disapplicazione, in seguito a una sentenza 
della Corte, di una normativa nazionale che abbia istituito un tributo contrario al 
diritto comunitario abbia l'effetto di privare retroattivamente il detto tributo della 
sua natura di tassa e quindi di far venir meno la natura tributaria dei rapporti giuridici 
sorti tra l'amministrazione fiscale nazionale e le societ� debitrici del tributo 
all'atto della riscossione di quest'ultimo. 
23. -Conformemente a una giurisprudenza costante, l'interpretazione di una 
norma di diritto comunitario data dalla Corte nell'esercizio della competenza ad essa 
attribuita dall'art. 177 del Trattato chiarisce e precisa, quando ve ne sia bisogno, il 
significato e la portata della norma, quale deve, o avrebbe dovuto, essere intesa ed 
applicata dal momento della sua entrata in vigore. Ne risulta che la norma cos� interpretata 
pu� e deve essere applicata dal giudice anche a rapporti giuridici sorti e 
costituiti prima della sentenza interpretativa se, per il resto, sono soddisfatte le condizioni 
che consentono di portare alla cognizione dei giudici competenti una controversia 
relativa all'applicazione di detta norma (sentenze 27 marzo 1980, causa 
61/79, Denkavit italiana, Racc., 1205, punto 16, e 2 dicembre 1997, causa C-188/95, 
Fantask e a., Racc., I-6783, punto 37). 
I

24. -Sempre secondo tale giurisprudenza, il diritto di ottenere il rimborso di tributi 
percepiti in violazione delle norme del diritto comunitario � la conseguenza e il 
I 
complemento dei diritti riconosciuti ai singoli dalle norme comunitarie cos� come 
interpretate dalla Corte. Lo Stato membro � pertanto tenuto, il linea di principio, a 

I

rimborsare i tributi riscossi in violazione del diritto comunitario (sentenza Fantask e 

ili 

a., cit., punto 38). ~ 

25. -Tuttavia, in assenza di una normativa comunitaria in materia, tale rimborso 
pu� essere richiesto solo in osservanza delle modalit� formali e sostanziali stabilite 
dalle diverse legislazioni nazionali, fermo restando che le dette modalit� non 
Ipossono essere meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura 
interna n� rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio 
dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario (v., in particolare, sentenze 
14 dicembre 1995, causa C-312/93, Peterbroeck, Racc., 1-4599, punto 12, e 

I8 febbraio 1996, causa C-212/94, FMC e a., Racc., 1-389, punto 71). 

26. -Pertanto, l'obbligo incombente al giudice nazionale di garantire il rimborso 
di un tributo nazionale riscosso in violazione del diritto comunitario dev' esI


sere adempiuto, fatto salvo il rispetto delle due condizioni stabilite dalla giurispru


denza della Corte, conformemente alle disposizioni del suo diritto interno. Ne 

discende che la fissazione delle modalit� di rimborso applicabili e la qualificazione, 

I

a tal fine, dei rapporti giuridici tra l'amministrazione fiscale di uno Stato membro e 
singole societ� del detto Stato all'atto della riscossione di un tributo del genere rienIl 
trano nella sfera dell'ordinamento nazionale. 

27. -Occorre del resto ricordare che, come deciso recentemente dalla Corte, il 
diritto comunitario non osta, il linea di principio, a che la normativa di uno Stato 

PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

membro contempli, accanto a un termine di prescrizione ordinario applicabile alle 
azioni di ripetizione dell'indebito tra privati, modalit� particolari di reclamo e di 
azione giudiziale per la contestazione delle tasse e degli altri tributi (sentenze 15 settembre 
1998, causa C-231/96, Edis, punto 37, e causa C-260/96, Spac, punto 21, 
non ancora pubblicate nella Raccolta). 

28. -Ebbene, il potere in tal modo riconosciuto dalla Corte di prevedere 
anche modalit� particolari per il rimborso di tributi ed altre imposte riconosciuti 
contrari al diritto comunitario sarebbe del tutto svuotato d'efficacia se, come 
sostenuto dalla Commissione, il contrasto fra un tributo nazionale e il diritto 
comunitario portasse necessariamente a privare il detto tributo del suo carattere di 
tassa e facesse venir meno la natura tributaria dei rapporti giuridici sorti tra l'amministrazione 
fiscale nazionale e i soggetti passivi all'atto della riscossione del tributo 
di cui trattasi. 
29. -Occorre pertanto risolvere la questione proposta dichiarando che l'obbligo 
incombente al giudice nazionale di disapplicare una normativa nazionale che 
abbia istituito un tributo contrario al diritto comunitario deve portarlo, di regola, ad 
accogliere le domande di rimborso del detto tributo. Tale rimborso dev'essere garantito 
conformemente alle disposizioni del suo diritto nazionale, fermo restando che 
queste ultime non devono essere meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi 
analoghi di natura interna n� rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile 
l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario. 
Un'eventuale riqualificazione dei rapporti giuridici sorti tra l'amministrazione fiscale 
di uno Stato membro e singole societ� del detto Stato all'atto della riscossione di 
un tributo nazionale successivamente riconosciuto contrario al diritto comunitario 
rientra, pertanto, nella sfera dell'ordinamento nazionale (omissis). 
II 

(omissis). 

44. -Con la quarta e la quinta questione il giudice nazionale domanda se il 
diritto comunitario osti a che uno Stato membro assoggetti il rimborso di diritti 
doganali e di imposizioni incompatibili con il diritto comunitario a una condizione, 
quale l'assenza di traslazione su terzi di tali diritti e imposizioni, relativamente al 
ricorrere della quale l'onere della prova incomberebbe al ricorrente. 
45. -Secondo Dilexport e la Commissione a tali questioni si deve dare una 
risposta affermativa. Esse ricordano che la Corte ha dichiarato, in particolare nella 
citata sentenza San Giorgio, che il diritto comunitario osta a presunzioni o a discipline 
della prova dirette a far incombere sul contribuente l'onere di dimostrare che 
i tributi indebitamente pagati non sono stati trasferiti su altri soggetti, o a limitazioni 
particolari per quanto riguarda la forma delle prove da apportare, come l 'esclusione 
di mezzi di prova non documentali. Il governo francese, che rileva che la 
formulazione dell'art. 29, n. 2, della legge del 1990, non contiene alcuna disciplina 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

34 

dell'onere della prova, condivide questo punto di vista nel caso in cui la normativa 
nazionale dovesse essere interpretata nel senso indicato dal giudice a quo. 

46. -Il governo italiano sostiene che, contrariamente a quanto indicato dal giudice 
a quo, l'art. 29, n. 2, della legge del 1990 � stato oggetto di un'interpretazione 
costante da parte della Corte suprema di cassazione secondo la quale � a carico del1'
amministrazione la prova che il diritto o l'imposizione controversa sono stati trasferiti 
su altri soggetti, sulla base dei mezzi di prova ammessi dal diritto nazionale, 
quali presunzioni gravi, precise e concordanti o consulenze tecniche. 
4 7. -Si deve ricordare che, secondo la giurisprudenza della Corte, il diritto 
comunitario non osta a che un ordinamento giuridico nazionale rifiuti il rimborso di 
una tassa indebitamente riscossa quando ci� comporti un arricchimento senza causa 
degli aventi diritto. Nulla si oppone quindi, sotto il profilo del diritto comunitario, a 
che i giudici tengano conto, secondo il loro diritto nazionale, della circostanza che i 
tributi indebitamente riscossi abbiano potuto essere incorporati nel prezzo delle 
merci e ripercossi sui consumatori. Non possono quindi considerarsi nel loro complesso 
contrarie al diritto comunitario disposizioni legislative nazionali che escludano 
il rimborso di imposte, dazi e tasse riscossi in violazione del diritto comunitario 
quando sia appurato che la persona tenuta al pagamento del tributo lo ha di fatto 
riversato su altri soggetti (v. sentenze citate San Giorgio, punto 13, Comateb e a., 
punto 21, e 27 febbraio 1980, causa 68/79, Just, Racc., 501, punto 26). 
48. -Sono per contro incompatibili con il diritto comunitario tutte le modalit� 
di prova il cui effetto sia di rendere praticamente impossibile o �eccessivamente 
difficile l'ottenimento del rimborso della tassa riscossa in violazione del diritto 
comunitario. Tale � il caso, in particolare, di presunzioni o di discipline della 
prova dirette a far incombere sul contribuente l'onere di dimostrare che i tributi 
indebitamente pagati non sono stati trasferiti su altri soggetti, o di limitazioni particolari 
per quanto riguarda la forma delle prove da apportare, come l'esclusione 
di mezzi di prova non documentali (sentenze San Giorgio, cit., punto 14, e 25 febbraio 
1988, cause riunite 331/85, 376/85 e 378/85, Bianco e Girard, Racc., 1099, 
punto 12). 
49. -Nel caso di specie, l'art. 29, n. 2, della legge del 1990 prevede che i diritti 
e le imposizioni ivi menzionati sono rimborsati quando sono incompatibili con la 
legislazione comunitaria, salvo che l'onere corrispondente sia stato trasferito su altri 
soggetti. 
50. -Il governo italiano e il giudice nazionale contestano, tuttavia, l'interpretazione 
data a questa disposizione dalle giurisdizioni nazionali. 
51. -Occorre ricordare che la Corte non � competente a interpretare il diritto 
nazionale (v., tra l'altro, la citata sentenza Deville, punto 17) e che spetta al giudice 
nazionale, e a lui solo, determinare l'esatta portata delle disposizioni legislative, 
regolamentari o amministrative nazionali (v. sentenza 16 aprile 1991, causa 

PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZlONALE 

35 

C-347/89, Eurim-Pharm, Racc., 1-1747, punto 15, e 16 dicembre 1992, cause 
riunite C-132/91, C-138/91 e C-139/91, Katsikas, Racc., 1-6577, punto 39). 

52. -Se, come ritiene il giudice nazionale, esiste una presunzione di ripercussione 
su altri soggetti dei diritti e dei tributi illegittimamente pretesi o indebitamente 
riscossi e se � a carico del ricorrente la prova contraria di tale presunzione per 
ottenere il rimborso del tributo, si dovr� considerare che le disposizioni di cui si tratta 
sono contrarie al diritto comunitario. 
53. -Se, per contro, come sostiene il governo italiano, spetta all'amministrazione 
dimostrare, m.ediante tutti i mezzi di prova generalmente ammessi dal diritto 
nazionale, che il tributo � stato trasferito su altri soggetti, si dovr� invece considerare 
che le disposizioni di cui si tratta non sono contrarie al diritto comunitario. 
54. -La quarta e la quinta questione devono quindi risolversi nel senso che 
il diritto comunitario osta a che uno Stato membro assoggetti il rimborso di diritti 
doganali e di imposte incompatibili con il diritto comunitario a una condizione, quale 
l'assenza di ripercussione di tali diritti e imposte su altri soggetti, relativamente al 
ricorrere della quale l'onere della prova incomberebbe al ricorrente (omissis). 
I 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, sez. 6�, 27 ottobre 1998, 
nella causa C-4/97 -Pres. Kapteyn -Rei. Ragnemalm -Avv. Gen. Fennelly Domanda 
di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Commissione tributaria 
provinciale di Firenze nella causa Manifattura italiana Nonwoven s.p.a. c. Dir. 
Gen. Entrate Toscana -Interv.: Governi Italiano (avv. Stato de Bellis) ed ellenico 
(ag. Kanellopoulos) e Commissione delle C.E. (ag. Traversa). 

Comunit� europee -Imposte gravanti sulla raccolta di capitali -Imposta sul 
patrimonio netto delle imprese. 

(Direttiva del Consiglio 17 luglio 1969, n. 69/335/CEE come mod. dalla direttiva 10 giugno 
1985, n. 85/303/CEE, artt. 4 e 7; decreto-legge 30 settembre 1992 n. 394). 

La direttiva del Consiglio 17 luglio 1969, 69/335/CEE, concernente le imposte 
indirette sulla raccolta di capitali, come modificata dalla direttiva del Consiglio 
10 giugno 1985, 85/303/CEE, non osta alla riscossione, a carico delle societ� di 
capitali, di un'imposta come l'imposta sul patrimonio netto delle imprese (in Italia) (1). 

(1-2) Soluzioni conformi a quelle proposte dal governo italiano. Di ampio respiro � la prima 
sentenza, riguardante in generale l'imposta sul patrimonio netto delle imprese, qualificabile come 
imposta diretta e quindi non rientrante nell'ambito di applicazione della direttiva comunitaria. Un 
caso di specie � invece quello della seconda sentenza, dove l'imposta, pur indiretta, sfugge 
comunque alla previsione della medesima direttiva. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

36 

II 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, sez. 6�, 27 ottobre 1998, 
nella causa C-152/97 -Pres. Hirsch -Rei. Ragnemalm -Avv. Gen. Cosmas. 
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Commissione tributaria 
provinciale di Milano nella causa Abbruzzi Gas s.p.a. c. Amm.ne tributaria di 
Milano -Interv. Governo italiano ( avv. Stato de Bellis) e Commissione delle 

C.E. (ag. Traversa). 
Comunit� europee -Imposte gravanti sulla raccolta di capitali -Fusione di 
societ� -Incorporazione ad opera di una societ� che gi� detiene l'intero 
capitale sociale delle societ� incorporate. 

(Direttiva del Consiglio 17 luglio 1969, n. 69/335/CEE, come mod. dalla direttiva 
10 giugno 1985, n. 85/303/CEE, artt. 4 e 7; decreto del Presidente della Repubblica 
26 aprile 1986, n. 131, artt. 1, 2 e 50; decreto-legge 20 giugno 1996 n. 323, conv. in 
legge 8 agosto 1996 n. 425). 

I 

La direttiva del Consiglio 17luglio1969, 69/335/CEE, concernente le imposte 
indirette sulla raccolta di capitali, come modificata dalla direttiva del Consiglio 
10giugno1985, 85/303/CEE, non osta alla riscossione di un'imposta di registro in 
caso di incorporazione di societ� ad opera di un'altra societ� che gi� detiene la 
totalit� delle azioni e delle quote delle societ� incorporate (in Italia) (2). 

I 

(omissis) 

1. -Con ordinanza 18 ottobre 1996, pervenuta in cancelleria il 9 gennaio 1997, 
la Commissione tributaria provinciale di Firenze ha sottoposto a questa Corte, ai 
sensi dell'art. 117 del Trattato CE, una questione pregiudiziale relativa all'interpretazione 
della direttiva del Consiglio 17 luglio 1969, 69/335/CEE, concernente le 
imposte indirette sulla raccolta di capitali (GU L 249, 25), come modificata dalla 
direttiva del Consiglio 10 giugno 1985, 85/303/CEE (GU L 156, 23; in prosieguo: 
la �direttiva�). 
2. -Tale questione � stata sollevata nell'ambito di una controversia tra la 
Manifattura italiana Nonwoven S.p.A. (in prosieguo: la �Nonwoven�) e la 
Direzione regionale delle entrate per la Toscana (in prosieguo: 1'�amministrazione 
tributaria�) riguardo alla domanda della N onwoven diretta al rimborso di una 
somma versata a titolo di imposta sul patrimonio netto delle imprese. 
3. -La direttiva mira, in particolare, ad armonizzare gli elementi che contribuiscono 
alla fissazione e alla riscossione dell'imposta gravante sui conferimenti 
di capitali nelle societ� nell'ambito della Comunit�, nel contesto dell'eliminazione 
degli ostacoli fiscali che si frappongono alla libera circolazione dei 
capitali (v., in particolare, sentenza 5 marzo 1998, causa C-347/96, Solred, Racc., 
1-937, punto 3). 

PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

4. -L'art. 4, n. 1, della direttiva dispone: 
�Sono sottoposte all'imposta sui conferimenti le operazioni seguenti: 
a) la costituzione di una societ� di capitali; 
b) la trasformazione in societ� di capitali di una societ�, associazione o 
persona giuridica che non sia una societ� di capitali; 
e) l'aumento del capitale sociale di una societ� di capitali mediante 
conferimento di beni di qualsiasi natura; 
d) l'aumento del patrimonio sociale di una societ� di capitali mediante 
conferimento di beni di qualsiasi natura, remunerato non con quote rappresentative 
del capitale o del patrimonio stesso, bens� con diritti della stessa natura di quelli dei 
soci ( ... )�. 

5. -L'art. 4, n. 1, lett. e), h), della direttiva stabilisce che il trasferimento da un 
paese terzo o da un altro Stato membro della sede della direzione effettiva o della sede 
statutaria di una societ� di capitali � anch'esso soggetto all'imposta sui conferimenti. 
6. -L'art. 4, n. 2, della direttiva elenca le diverse operazioni che possono essere 
assoggettate all'imposta sui conferimenti: 
�a) l'aumento del capitale sociale di una societ� di capitali mediante 
incorporazione di utili, riserve o provvigioni; 
b) l'aumento del patrimonio sociale di una societ� di capitali mediante 
prestazioni effettuate da un socio che non implicano un aumento del capitale sociale, 
ma che trovano la loro contropartita in una modifica dei diritti sociali ovvero che 
possono aumentare il valore delle quote sociali; 

e) il prestito contratto da una societ� di capitali se il creditore ha diritto ad una 
quota degli utili della societ�; 
d) il prestito contratto da una societ� di capitali presso un socio, un congiunto 

o un figlio di un socio, nonch� quello contratto presso un terzo quando esso � 
garantito da un socio, a condizione che tali prestiti abbiano la stessa funzione di un 
aumento del capitale sociale�. 
7. -L'art. 7, n. 2, della direttiva dispone che gli Stati membri possono esentare 
dall'imposta sui conferimenti o assoggettare ad un'unica aliquota non superiore 
all'l% talune operazioni previste dalla direttiva. 
8. -La direttiva prescrive anche, ai sensi dell'ultimo �considerando�, la soppressione 
di altre imposte indirette aventi le stesse caratteristiche dell'imposta sui conferimenti 
e dell'imposta di bollo sui titoli e il cui mantenimento rischia di rimettere in 
questione le misure previste dalla medesima direttiva. Tali tributi, di cui � vietata la 
riscossione, sono in particolare elencati nell'art. 10 della direttiva, ai sensi del quale: 
�oltre all'imposta sui conferimenti, gli Stati membri non applicano, per quanto 
concerne le societ�, associazioni o persone giuridiche che perseguono scopi di lucro, 
nessuna altra imposizione, sotto qualsiasi forma: 

a) per le operazioni previste all'articolo 4; 


RASSEGNA AVVOCATl.JRA DELLO STATO '

38 

b) per i conferimenti, prestiti o prestazioni, effettuati nel quadro delle 
operazioni previste all'articolo 4; 

e) per l'immatricolazione o per qualsiasi altra formalit� preliminare 
all'esercizio di un'attivit�, alla quale una societ�, associazione o persona giuridica 
che persegue scopi di lucro pu� essere sottoposta in ragione della sua forma 
giuridica�. 

9. -L'imposta sul patrimonio netto delle imprese � stata introdotta nel sistema 
tributario italiano con il decreto legge 30 settembre 1992, n. 394 (GURI n. 230 del 
30 settembre 1992). I soggetti passivi dell'imposta sono, in particolare, le societ� di 
capitali, le societ� cooperative e le societ� di mutua assicurazione, gli enti pubblici 
e privati diversi dalle societ�, che hanno per oggetto esclusivo e/o principale 
l'esercizio di attivit� commerciali, nonch� le persone fisiche che svolgono attivit� 
produttive di reddito d'impresa. 
10. -La base imponibile dell'imposta � costituita dal patrimonio netto della 
societ� risultante dal bilancio di fine esercizio, detratti gli utili dell'esercizio 
considerato, e comprendente in particolare i seguenti elementi: 
-il capitale sociale sottoscritto, ancorch� non versato, nonch� i versamenti a 
fondo perduto o in conto capitale eseguiti dai soci; 

-le riserve variamente denominate e costituite: riserva legale o statutaria, 
riserve da sovrapprezzo delle azioni o per azioni proprie in portafoglio, riserve 
vincolate al reinvestimento e altre riserve o fondi; 

-i fondi destinati alla copertura di oneri generici ed a futuri investimenti; 

-gli utili di precedenti esercizi riportati a nuovo; 

-le perdite afferenti all'esercizio considerato e le eventuali perdite di esercizi 

precedenti riportate a nuovo. 

11. -Dal patrimonio imponibile sono detratte le partecipazioni azionarie, 
possedute alla fine dell'esercizio da almeno tre mesi, in societ� assoggettate 
all'imposta medesima. 
12. -L'aliquota dell'imposta � pari allo 0,75% del patrimonio netto risultante 
alla chiusura del periodo d'imposta. 
13. -La procedura di recupero e il contenzioso sono disciplinati dalle norme in 
materia di imposta sui redditi. 
14. -Il 30 novembre 1994 la Nonwoven, non avendo ottenuto risposta da parte 
dell'amministrazione tributaria alla domanda di rimborso della somma di 
93.063.000 LIT che aveva dovuto versare come imposta sul patrimonio netto delle 
imprese per i periodi d'imposta 1992 e 1993, ha presentato dinanzi alla 
Commissione tributaria provinciale di Firenze un ricorso avverso il silenzio-rifiuto 
opposto alla detta domanda. 

PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

15. -A sostengo del ricorso la Nonwoven ha fatto valere che l'imposta sul 
patrimonio netto delle imprese �� illegittima in quanto grava sul capitale sociale che 
� gi� stato assoggettato all'imposta di registro allorch� � stato conferito alla societ�. 
Pertanto essa disconoscerebbe il divieto, sancito dalla direttiva, di assoggettare la 
raccolta di capitali a qualsiasi altro tributo diverso dall'imposta sui conferimenti. 
16. -L'amministrazione tributaria ha contestato tale argomentazione, 
deducendo, da un lato, che l'imposta sul patrimonio netto delle imprese � 
un'imposta diretta, per cui sarebbe erroneo sostenere che possa considerarsi, sia 
sotto il profilo giuridico che sotto quello economico, come imposta indiretta, e, 
dall'altro, che, per la sua natura, essa esula dalla sfera d'applicazione della direttiva. 
17. -In considerazione degli argomenti dinanzi ad esso prospettati, il giudice 
nazionale ha ritenuto che la soluzione della controversia dipenda essenzialmente 
dell'applicabilit� della direttiva in ordine alla decisione sulla domanda di rimborso 
ad esso sottoposta, nonostante che l'imposta sul patrimonio netto delle imprese sia 
unanimemente qualificata come imposta diretta. La Commissione tributaria 
provinciale di Firenze ha quindi deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre 
alla Corte la seguente questione: 
�se sia compatibile con l'ordinamento comunitario, e segnatamente con la 
direttiva 69/335/CEE, la previsione legislativa di un'imposta sul patrimonio netto 
delle societ� di capitali che abbia effetti economicamente equivalenti a quelli di 
un'imposta indiretta sui conferimenti�. 

18. -Il giudice a quo chiede quindi, in sostanza, se la direttiva osti alla 
riscossione, a carico delle societ� di capitali, di un'imposta come l'imposta sul 
patrimonio netto delle imprese. 
19. -In via preliminare, poich� il giudice a quo ha accertato che l'imposta sul 
patrimonio netto delle imprese � unanimemente qualificata come imposta diretta, si 
deve rilevare che risulta da una giurisprudenza costante che la qualificazione di 
un'imposta, tassa, dazio o prelievo alla luce del diritto comunitario dev'essere 
compiuta dalla Corte in base alle caratteristiche oggettive del tributo, 
indipendentemente dalla qualificazione che gli viene attribuita nel diritto nazionale 
(v. sentenza 13 febbraio 1996, cause riunite C-197/94 e C-252/94, Bautiaa e Soci�t� 
fran�aise maritime, Racc., I-505, punto 39, e giurisprudenza cit.). 
20. -In primo luogo, per quanto riguarda le caratteristiche oggettive 
dell'imposta di cui trattasi nella causa a qua, occorre osservare, come ha fatto 
l'avvocato generale nel paragrafo 14 delle sue conclusioni, che le varie operazioni 
che, ai sensi dell'art. 4, n. 1, della direttiva, devono essere assoggettate all'imposta 
sui conferimenti sono tutte caratterizzate dal trasferimento di capitali o di beni ad una 
societ� di capitali nello Stato membro che riscuote l'imposta. Del pari, le categorie di 
operazioni che, ai sensi dell'art. 4, n. 2, possono essere assoggettate a tale tributo si 
risolvono tutte in un effettivo aumento del capitale o del patrimonio sociale. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

40 

21. -Per contro, l'imposta sul patrimonio, come quella in esame nella causa a 
qua, � riscossa annualmente, al momento della chiusura dell'esercizio, sul 
patrimonio sociale netto delle imprese risultante dal bilancio. Essa non presuppone 
alcuna operazione implicante un movimento di capitali o di beni e non corrisponde 
quindi a nessuna delle operazioni imponibili enumerate nell'art. 4 della direttiva, al 
quale fa riferimento l'art. 10, lett. a) e b). 
22. -In secondo luogo;anche se la base dell'imposta di cui alla causa a qua 
tiene conto dell'ammontare del capitale sottoscritto, che deve o pu� essere 
assoggettato all'imposta sui conferimenti, tale capitale rappresenta solo un 
componente del patrimonio netto delle imprese. Infatti la base imponibile � 
costituita dalla somma di svariate voci contabili, tra le quali le riserve o i fondi 
nonch� gli utili degli esercizi precedenti portati a nuovo e le perdite, tanto quelle 
dell'esercizio attuale che quelle degli esercizi anteriori. 
23. -Pertanto un'imposta siffatta, diversamente dall'imposta sui conferimenti 
che colpisce operazioni per la raccolta di capitali, � riscossa sul patrimonio netto 
delle societ� di capitali, come definito dalla normativa nazionale. Di conseguenza, e 
contrariamente a quanto sostenuto dalla Nonwoven, l'imposta di cui trattasi nella 
causa a qua non si risolve in un aumento dell'aliquota dell'imposta sui conferimenti 
o in un'ulteriore riscossione di tale imposta. 
24. -Ne risulta che un'imposta come quella di cui trattasi nella causa a qua non 
costituisce un'imposta sui conferimenti n� un'imposta avente le stesse 
caratteristiche di questa. 
25. -Pertanto, la questione sollevata dev'essere risolta nel senso che la direttiva 
non osta alla riscossione, a carico delle societ� di capitali, di un'imposta come 
l'imposta sul patrimonio netto delle imprese (omissis). 
II 

(omissis). 

12. -La Agas deteneva l'intero capitale sociale delle societ� Briangas S.p.A. e 
Italgasdotti S.r.l. Il 20 dicembre 1994 le assemblee degli azionisti e dei soci di queste 
tre societ� ne deliberavano la fusione, mediante l'incorporazione della Briangas e 
della Italgasdotti da parte della Agas. La fusione non comportava alcun aumento del 
capitale sociale della Agas, bens� l'annullamento delle sue partecipazioni, 
corrispondenti ad azioni e a quote delle societ� incorporate, che erano iscritte 
all'attivo del bilancio. 
13. -La Brianga.s_ e -irttalgasctotti conferivano alla Agas, a seguito 
dell'operazione di fusione, un patrimonio netto che ammonta rispettivamente a 
LIT 1.439.682.051 e a LIT 22.105:502.52&.

PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

14. -Alla registrazione dell'atto di fusione, il 28 dicembre 1994, l'Ufficio del 
Registro Atti Pubblici-di Milano riscuoteva la somma di LIT 236.052.000 a titolo di 
imposta di registro, applicando un'aliquota pari all'l % del valore del patrimonio 
netto delle societ� incorporate, quale risultante dalla loro situazione patrimoniale 
valutata ai fini dell'atto di fusione. 
15. -L'll luglio 1996 la Agas domandava all'Ufficio del Registro la 
restituzione dell'impsta di registro corrisposta, maggiorata degli interessi, facendo 
valere, in sostanza, l'incompatibilit� dell'art. 4 della tariffa allegata al decreto n. 131 
con gli artt. 4 e 7 della direttiva. 
16. -In mancanza di una risposta da parte dell'amministrazione fiscale, il 
13 novembre 1996 la Agas ha proposto ricorso avverso tale decisione dinanzi alla 
Commissione tributaria provinciale di Milano. 
17. -Dubitando dell'interpretazione da dare alla direttiva, la Commissione 
tributaria provinciale di Milano ha deciso di sospendere il procedimento fino a che 
la Corte non si sia pronunciata a titolo pregiudiziale sulla questione seguente: 
�le disposizioni per l'uniformit� della tassazione indiretta sui conferimenti a 
societ� di capitali nell'Unione si riferiscono anche all'ipotesi di fusione per 
incorporazione di una societ� in un'altra che gi� era proprietaria del 100% del 
capitale della prima?�. 

La questione pregiudiziale 

18. -Con tale questione il giudice a quo domanda in sostanza se la direttiva osti 
alla riscossione di un'imposta di registro in caso di fusione per incorporazione di 
societ� ad opera di un'altra societ� che gi� detiene la totalit� delle azioni e delle 
quote delle societ� incorporate. 
19. -A questo proposito, risulta dal combinato disposto degli artt. 1 e 4 della 
direttiva che l'imposta riscossa sui conferimenti a societ� di capitali costituisce 
un' �imposta sui conferimenti� ai sensi della direttiva allorch� si applica alle 
operazioni elencate da quest'ultima (sentenza 13 febbraio 1996, cause riunite 
C-197/94 e C-252/94, Bautiaa e Soci�t� fran�aise maritime, Racc., I-505, punto 31). 
20. -Infatti, le operazioni soggette o che possono essere assoggettate dagli Stati 
membri all'imposta armonizzata sui conferimenti sono definite all'art. 4 della direttiva 
in modo oggettivo e uniforme per tutti gli Stati membri, senza fare riferimento alle 
eventuali peculiarit� dei singoli diritti nazionali o all'organizzazione dei regimi fiscali 
nazionali (sentenza Bautiaa e Soci�t� fran�aise maritime, cit., punto 32). 
21. -Ne consegue che, per rientrare nell'ambito di applicazione della direttiva, 
l'operazione considerata deve potersi ricollegare a una delle fattispecie previste 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

42 

all'art. 4 cui fa riferimento l'art. 10, lett. a) e b), della direttiva. A ci� va aggiunto 
in divieto, enunciato all'art. 10, lett. e), della direttiva, di assoggettare ad imposta la 
registrazione o qualsiasi altra formalit� preliminare all'esercizio di un'attivit� alla 
quale una societ� pu� essere sottoposta in ragione della sua forma giuridica. 
Quest'ultimo divieto � giustificato dal fatto che, anche se i tributi di cui trattasi non 
colpiscono i conferimenti di capitali in quanto tali, essi sono tuttavia riscossi per le 
formalit� connesse alla forma giuridica della societ�, vale a dire a motivo dello 
strumento usato per raccogliere capitali, per cui il loro mantenimento rischierebbe 
di mettere in discussione anche gli scopi perseguiti dalla direttiva (sentenza 
11 giugno 1996, causa C-2/94, Denkavit International e a., Racc., 1-2827, punto 23). 

22. -Tenuto conto del caso di cui si tratta nella controversia a qua, si deve 
dichiarare, in primo luogo, che un'operazione di fusione ad opera di una societ� che 
gi� detiene la totalit� delle azioni e delle quote delle societ� incorporate non 
comporta un aumento del capitale sociale della stessa e non rientra, pertanto, nella 
previsione dell'art. 4, n. 1, lett. e), della direttiva. 
23. -Una simile operazione non rientra neanche nell'ambito di applicazione 
dell'art. 4, n. 1, lett. d), della direttiva. 
24. -Certamente, il conferimento alla societ� incorporante dei patrimoni netti delle 
societ� incorporate pu� causare un aumento del patrimonio sociale della prima societ�. 
ITuttavia, per essere assoggettabile ad imposta, tale operazione deve, secondo la 
disposizione in esame, trovare una contropartita non in quote rappresentative del capitale I 

o del patrimonio sociale, bens� in diritti della stessa natura di quelli dei soci, quali il fil 
diritto di voto, la partecipazione agli utili o all'attivo risultante dalla liquidazione. 
I�

25. -Ora, nel caso di incorporazione ad opera di una societ� che detiene la 
~ 

totalit� delle azioni o delle quote sociali della societ� incorporata, una 

fil 

remunerazione di questo tipo � semplicemente inapplicabile. 

I ~ 

26. -Si deve infine dichiarare che un'operazione come quella considerata nella causa 
a qua non rientra nell'ambito di applicazione dell'art. 4, n. 2, lett. b), della direttiva. 
Questa disposizione presuppone infatti che l'aumento del patrimonio sociale consista in 
I

prestazioni effettuate da un socio, il che non si verifica nell'operazione in esame. 

I

27. -Per quanto riguarda, in secondo luogo, l'applicabilit� dell'art. 10, lett. e), 
della direttiva, si deve rilevare che, in un caso come quello in esame, non sembra che I l'imposta di registro sia stata versata per l'immatricolazione di una nuova societ� di 
capitali, vale a dire per una formalit� preliminare all'esercizio di un'attivit�. I 

f: 
L'imposta non � stata percepita neanche per l'iscrizione di un aumento di capitale che ~! 

sia condizione per l'esercizio e la prosecuzione di tale attivit� (v., in proposito, 

I I� 

sentenza 2 dicembre 1997, causa C-188/95, Fantask e a.,Racc., 1-6783, punto 22). 

28. -Ne consegue che il divieto previsto dall'art. 10, lett. e), della direttiva non 
vige nei confronti dell'imposta di registro controversa nella causa a qua. 
I

I 


PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

29. -Si deve concludere che, sebbene la direttiva abbia segnatamente 
l'obiettivo di evitare che i trasferimenti di attivi tra societ� incontrino ostacoli di 
natura fiscale in modo da favorire la riorganizzazione e il raggruppamento di 
imprese (v., in questo senso, sentenza 13 ottobre 1992, causa C-50/91, CommerzCredit-
Bank, Racc., I-5225, punto 11), essa non trova applicazione nel caso di 
un'imposta di registro riscossa per l'incorporazione di societ� ad opera di un'altra 
societ� che gi� ne detiene la totalit� del capitale. 
30. -Si deve quindi risolvere la questione sottoposta alla Corte nel senso che la 
direttiva non osta alla riscossione di un'imposta di registro in caso di incorporazione 
di societ� ad opera di un'altra societ� che gi� detiene la totalit� delle azioni e delle 
quote delle societ� incorporate (omissis). 
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Plenum, 24 novembre 
1998, nella causa C-27 4/96 -Pres. Rodr�guez Iglesias -Rei. Ragnemalm -Avv. 
Gen. Jacobs -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal.Pretore di Bolzano 
nei procedimenti penali c. H.0. Bickel e U. Franz. -Interv.: Governo italiano (avv; 
Stato Ferri) e Commissione delle C.E. ( ag. Van Nuffel e Altieri). 

Comunit� europee -Libera circolazione delle persone -Parit� di trattamento Regime 
linguistico applicabile ai procedimenti penali -Lingua tedesca 
nella provincia di Bolzano. 

(Trattato CE, artt. 6, SA e 59; Statuto Trentino Alto Adige appr. con decreto del Presidente 
della Repubblica 30 agosto 1972 n. 670, artt. 99 e 100; decreto del Presidente della 
Repubblica 15 luglio 1988 n. 574 artt. 13-15). 

Il diritto riconosciuto da una normativa nazionale di ottenere che il 
procedimento penale si svolga in una lingua diversa dalla lingua principale dello 
Stato interessato rientra nella sfera di applicazione del Trattato e deve conformarsi 
all'art. 6 di quest'ultimo. L'art. 6 osta ad una normativa nazionale che riconosce ai 
cittadini di una lingua determinata, diversa dalla lingua principale dello Stato 
membro interessato, i quali risiedono nel territorio di un determinato ente locale, il 
diritto di ottenere che il procedimento penale si svolga nella loro lingua, senza 
garantire il medesimo diritto ai cittadini degli altri Stati membri, della stessa 
lingua, che circolano e soggiornano nel detto territorio. 

(omissis). 

1. -Con ordinanze 2 agosto 1996, pervenute in cancelleria il 12 agosto 
successivo, la Pretura circondariale di Bolzano, Sezione distaccata di Silandro, ha 
sottoposto alla Corte, a norma dell'art. 177 del Trattato CE, una questione 
pregiudiziale vertente sull'interpretazione degli artt. 6, 8 A e 59 del Trattato CE. 
2. -La questione � stata sollevata nell'ambito di due procedimenti penali 
promossi, l'uno, nei confronti del signor Bickel e, l'altro, nei confronti del signor Franz. 

44 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STA1U � 

3. -Il signor Bickel, cittadino-austriaco, residente a Niiziders in Austria, esercita 
la professione di camionista. Il 15 febbraio 1994 veniva fermato alla guida del suo 
autocarro a Castelbello, nella Regione Trentino-Alto Adige in Italia, da una pattuglia 
di carabinieri che gli notificava una contravvenzione per guida in stato di ebbrezza. 
4. -Il signor Franz, cittadino tedesco, residente a Peissenberg, in Germania, si 
recava nella Regione Trentino-Alto Adige come turista. Il 5 maggio 1995 veniva 
sottoposto a un controllo doganale in esito al quale risultava in possesso di un 
coltello di tipo proibito. 
5. -Entrambi gli imputati d�chiaravano al Pretore di Bolzano di non conoscere 
la lingua italiana e chiedevano che il procedimento avviato nei loro confronti si 
svolgesse in tedesco, avvalendosi delle norme intese a tutelare la comunit� di lingua 
tedesca della Provincia di Bolzano. 
(omissis). 

11. -Nutrendo dubbi sull'applicabilit�, ai sensi del diritto comunitario, delle 
norme processuali previste per i cittadini della Provincia di Bolzano ai cittadini di altri 
Stati membri che si recano nella medesima Provincia, il giudice nazionale ha deciso di 
sospendere il procedimento sino alla pronuncia della Corte sulla seguente questione: 
�Se i principi della non discriminazione ai sensi dell'art. 6, primo comma, del 
diritto di viaggio e di soggiorno dei cittadini dell'Unione ai sensi dell'art. SA nonch� 
della libert� dei servizi ai sensi dell'art. 59 del Trattato impongano che a un cittadino 
dell'Unione il quale possiede la cittadinanza di uno Stato membro e dimora in un 
altro Stato membro venga concesso il diritto di chiedere che un procedimento penale 
nei suoi confronti venga svolto in un'altra lingua, quando i cittadini di questo Stato, 
che si trovano nella stessa situazione, godono di tale diritto�. 

12. -Con tale questione il giudice nazionale chiede in sostanza se il diritto 
riconosciuto da una normativa nazionale di ottenere che un procedimento penale si 
svolga in una lingua diversa dalla lingua principale dello Stato interessato rientri 
nella sfera di applicazione del Trattato e debba quindi conformarsi al suo art. 6. In 
caso di soluzione affermativa, il giudice nazionale chiede inoltre se l'art. 6 del 
Trattato osti ad una normativa �nazionale, come la normativa di cui trattasi, che 
riconosce ai cittadini di una lingua determinata, diversa dalla lingua principale dello 
Stato membro interessato, e residenti nel territorio di un determinato ente locale, il 
diritto di ottenere che il procedimento penale si svolga nella loro lingua, senza 
garantire il medesimo diritto ai cittadini degli altri Stati membri, della stessa lingua, 
che circolano e soggiornano nel detto territorio. 
Sulla prima parte della questione 

13. -Va rammentato anzitutto che nell'ottica di una Comunit� basata sul 
principio della libera circolazione delle persone e della libert� di stabilimento la 
tutela dei diritti e delle prerogative dei singoli in materia linguistica riveste 

PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

un'importanza particolare (sentenza 11 luglio 1985, causa 137/84, Mutsch, Racc., 
2681, punto 11). 

14. -Vietando �ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalit��, 
l'art. 6 del Trattato impone la completa parit� di trattamento per soggetti che si 
trovino in una situazione disciplinata dal diritto comunitario, rispetto ai cittadini 
dello Stato membro (sentenza 2 febbraio 1989, causa 186/87, Cowan, Racc., 195, 
punto 10). 
15. -Le situazioni disciplinate dal diritto comunitario comprendono 
segnatamente quelli'! rientranti nel diritto alla libera prestazione dei servizi conferito 
dall'art. 59 del Trattato. Conformemente alla giurisprudenza della Corte, tale diritto 
include la libert� per i destinatari dei servizi di recarsi in un altro Stato membro per 
fruirvi di un servizio (citata sentenza Cowan, punto 15). Rientrano quindi nell'art. 
59 tutti i cittadini degli Stati membri i quali, senza godere di un'altra libert� garantita 
dal Trattato, si recano in un altro Stato membro al fine di ricevervi determinati 
servizi o avendo la facolt� di riceverne. Tali cittadini, fra cui rientrano i signori 
Bickel e Franz, possono recarsi e spostarsi liberamente nello Stato ospitante. Del 
resto, ai sensi dell'art. SA del Trattato �ogni cittadino dell'Unione ha il diritto di 
circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le 
limitazioni e le condizioni previste dal presente trattato e dalle disposizioni adottate 
in applicazione dello stesso�. 
16. -A tale proposito, la possibilit� per i cittadini dell'Unione di comunicare in 
una data lingua con le autorit� amministrative e giudiziarie di uno Stato, alla stessa 
stregua dei cittadini di quest'ultimo, � idonea a facilitare l'esercizio della libert� di 
circolare e di soggiornare in un altro Stato membro. Ne consegue che soggetti come 
i signori Bickel e Franz, quando esercitano il loro diritto di circolare e soggiornare 
in un altro Stato membro, hanno in linea di principio il diritto di fruire di un 
trattamento non discriminatorio rispetto ai cittadini di tale Stato, ai sensi dell'art. 6 
del Trattato, quanto all'uso delle lingue che vi sono utilizzate. 
17. -Se la legislazione penale e le norme di procedura penale, nel novero delle 
quali rientra la controversa disposizione nazionale, sono in linea di principio 
riservate alla competenza degli Stati membri, tuttavia dalla giurisprudenza costante 
della Corte risulta che il diritto comunitario pone dei limiti a tale competenza. Le 
norme considerate non possono infatti porre in essere discriminazioni nei confronti 
di soggetti cui il diritto comunitario attribuisce il diritto alla parit� di trattamento n� 
limitare le libert� fondamentali garantite dal diritto comunitario (v., in tal senso, 
citata sentenza Cowan, punto 19). 
18. -Ne risulta che, nella misura in cui possa riguardare il diritto alla parit� di 
trattamento dei cittadini degli Stati membri che esercitano il diritto di circolare e 
soggiornare in un altro Stato membro, una normativa nazionale relativa alla lingua 
processuale applicabile dinanzi ai guidici penali di tale Stato dev'essere conforme 
all'art. 6 del Trattato. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAT-0�

46 

19. -La prima parte della questione sottoposta alla Corte va quindi risolta nel 
senso che il diritto riconosciuto da una normativa nazionale di ottenere che un 
procedimento penale di svolga in una lingua diversa dalla lingua principale dello 
Stato interessato rientra nella sfera di applicazione del Trattato e deve conformarsi 
all'art. 6 di quest'ultimo. 
Sulla seconda parte della questione 

20. -Secondo i signori Bickel e Franz, al fine di evitare qualsiasi 
discriminazione contraria all'art. 6 del Trattato, il diritto di ottenere che il processo 
si svolga in tedesco dovrebbe essere garantito a tutti i cittadini dell'Unione, quando 
il medesimo diritto sussista in capo ai cittadini di uno degli Stati che ne fanno parte. 
21. -Il governo italiano fa valere che il diritto in questione � esclusivamente 
conferito ai cittadini appartenenti al gruppo linguistico tedesco della Provincia di 
Bolzano e residenti in tale Provincia. L'obiettivo delle norme controverse 
consisterebbe nel riconoscere l'identit� etnico-culturale della persona che 
appartiene alla minoranza tutelata. Ne deriverebbe che il diritto di ottenere 
l'impiego della lingua della minoranza etnico-culturale interessata non dovrebbe 
essere esteso al cittadino di uno Stato membro che si trovi occasionalmente e 
temporaneamente presente nella regione in questione, nella misura in cui gli 
siano garantiti strumenti che gli consentano di esercitare adeguatamente il suo 
diritto di difersa nonostante egli non conosca la lingua ufficiale dello Stato in 
questione. 
22. -Quanto alla Commissione, essa rileva che, nella fattispecie di cui alla 
causa a qua, il diritto di ottenere che il procedimento si svolgga in tede~co non � 
riconosciuto a tutte le persone di cittadinanza italiana ma soltanto a quelle che, da 
un lato, risiedono nella Provincia di Bolzano e, dall'altro, appartengono al gruppo di 
lingua tedesca di tale Provincia. Spetterebbe quindi al giudice nazionale determinare 
anzitutto in modo concreto se la normativa di cui trattasi istituisca una 
discriminazione in ragione della nazionalit�, circoscrivere la cerchia di persone che 
sarebbero vittime della discriminazione ed esaminare in seguito se quest'ultima 
possa essere giustificata da circostanze oggettive. 
23. -Dagli atti di causa emerge che la normativa italiana riserva ai cittadini di 
lingua tedesca della Provincia di Bolzano il diritto di ottenere che il processo si 
svolga in questa lingua. Ne risulta che i cittadini di lingua tedesca di altri Stati 
membri e segnatamente della Germania e dell'Austria, come i signori Bickel e 
Franz, i quali circolano o soggiornano in tale Provincia, non possono esigere che un 
procedimento penale si svolga in tedesco bench�, secondo le norme nazionali, tale 
lingua sia parificata alla lingua italiana. 
24. -Alla luce di tale situazione, risulta che i cittadini di lingua tedesca degli 
altri Stati membri, i quali circolano e soggiornano nella Provincia di Bolzano, sono 

PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

47. 
svantaggiati rispetto ai cittadini italiani di lingua tedesca residenti in questa stessa 
regione. Infatti, mentre un cittadino italiano di lingua tedesca residente nella 
Provincia di Bolzano pu�, se � imputato in tale Provincia, ottenere che il 
procedimento si svolga in tedesco, tale diritto sar� rifiutato ad un cittadino di lingua 
tedesca di un altro Stato membro che circoli nella stessa Provincia. 


25. -Anche supponendo, come sostiene il governo italiano, che i cittadini di lingua 
tedesca degli altri Stati membri residenti nella Provincia di Bolzano possano 
effettivamente avvalersi della normativa controversa e svolgervi le loro difese in 
tedesco, cosicch� non vi sarebbe discriminazione in base alla nazionalit� tra i residenti 
nella regione, va rilevato che i cittadini italiani sono favoriti rispetto ai cittadini di altri 
Stati membri. Infatti, la maggior parte dei cittadini italiani di lingua tedesca pu� esigere 
che il tedesco venga utilizzato per tutta la durata del procedimento nella Provincia di 
Bolzano, in quanto essi soddisfano il criterio di residenza previsto dalla normativa 
controversa, mentre la maggior parte dei cittadini di lingua tedesca degli altri Stati 
membri, non soddisfacendo tale criterio, non pu� avvalersi della detta normativa. 
26. -Ne discende che una normativa, come quella di cui trattasi nella causa a 
qua, che subordina il �diritto di ottenere che, nel territorio di un determinato en,te 
locale, un procedimento penale si svolga nella lingua dell'interessato a condizione '" 
che quest'ultimo risieda in tale territorio favorisce i cittadini dello Stato in questibne 
rispetto ai cittadini degli altri Stati membri che esercitano il proprio diritto alla Fber� 
circolazione e, di conseguenza, � in contrasto con il principio di non discriminazione 
affermato all'art. 6 del Trattato. 
27. -Una siffatta condizione di residenza pu� essere giustificata solo.se basata 
su considerazioni oggettive, indipendenti dalla cittadinanza delle persone 
interessate, e adeguatamente commisurate allo scopo legittimamente perseguito 
dall'ordinamento nazionale (v., in particolare, sentenza 15 gennaio 1998, causa 
C-15/96, Schoning-Kougebetopoulou, Racc., I-47, punto 21). 
28. -Tuttavia, risulta dall'ordinanza a qua che non � questo il caso della 
normativa controversa. 
29. -L'argomento del governo italiano, secondo cui tale normativa � diretta a 
tutelare la minoranza etnico-culturale che risiede nella Provincia interessata non 
� costituisce, nel presente contesto, una valida giustificazione. Certo, la tutela di una 
minoranza, come quella di cui trattasi, pu� costituire un obiettivo legittimo. Non 
risulta tuttavia dagli atti di causa che l'estensione della normativa controversa ai 
cittadini di lingua tedesca di altri Stati membri che esercitano il loro diritto di libera 
circolazione lederebbe tale obiettivo. 

30. -Va peraltro rilevato che, all'udienza, i signori Bickel e Franz hanno 
osservato, senza essere contraddetti sul punto, che i giudici interessati sono in grado 
di svolgere i procedimenti in lingua tedesca senza che ci� dia luogo a complicazioni 
o costi supplementari. 

. 48 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO� 

31. -La seconda parte della questione pregiudiziale va quindi risolta nel senso 
che l'art. 6 osta ad una normativa nazionale che riconosce ai cittadini di una lingua 
lli.i,. 

determinata, diversa dalla lingua principale dello Stato membro interessato, i quali ~.,:=,�. 
risiedono sul territorio di un determinato ente locale, il diritto di ottenere che il �. 
procedimento penale si svolga nella loro lingua, senza garantire il medesimo diritto 
ai cittadini degli altri Stati membri, della stessa lingua, che circolano e soggiornano ~ 

nel detto territorio (omissis). 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, sez. 6�, 21 gennaio 
1999, nelle cause riunite C-215/96 e C-216/96 -Pres. rei. Hirsch -Avv. 
Gen. Ruiz. -Jarabo Colomber -Domande di pronuncia pregiudiziale proposte 
dal Tribunale di Genova nelle cause C. Bagnasco ed altri c. Banca Popolare di 
Novara e Cassa di risparmio di Genova e Imperia -Interv.: Governo italiano 
(avv. Stato Fiumara) e Commissione delle C.E. (ag. Mascardi e Wils). 

Comunit� europee -Concorrenza -Abuso di posizione dominante -Norme bancarie 
uniformi � Apertura di credito in conto corrente e fideiussione omnibus. 


~ 
(Trattato CE, artt. 85 e 86; legge 10 ottobre 1990 n. 287). ~ 

I 
~ 

Norme bancarie uniformi che permettono alle banche, nei contratti relativi 
~= 
all'apertura di credito in conto corrente, di modificare in qualsiasi momento il tasso 
d'interesse in ragione di cambiamenti intervenuti sul mercato monetario, mediante 

I 
I
rJ

una comunicazione affissa nei loro locali oppure con le modalit� che esse ritengano 

~ 

pi� opportune, non hanno per oggetto o per effetto di restringere la concorrenza ai 

I 
~ 
m 

sensi dell'art. 85, n. 1, del Trattato CE. Norme bancarie uniformi relative alla E:;

ff 
fideiussione omnibus a garanzia dell'apertura di credito in conto corrente che !!1 
derogano alla disciplina comune della fidejussione, come quelle in esame nella 
causa a qua, non sono atte, nel loro complesso, a pregiudicare il commercio tra Stati 
membri ai sensi dell'art. 85, n. 1, del Trattato. L'applicazione delle dette norme 
bancarie uniformi non costituisce sfruttamento abusivo di una posizione dominante 
nel senso dell'art. 86 del Trattato CE (1). 

I 

(1) Nel corso del 1993 l'ABI -Associazione bancaria italiana, associazione di imprese che 
I~ 

raggruppa la quasi totalit� delle banche operanti sul territorio nazionale per la tutela degli inte-< 
~es~i dei propri _membbri,_ aveva not~ficaNto alla Cbommi.ssio~ef del~e(NCBomUu)nit� europee le circola .ri ~=,::_� 
mviate a1 propn mem n contenenti 1e orme ancane um orm1 per ottenerne un vag 110 i:: 
alla luce dell'art. 85 del Trattato di Roma. La stessa documentazione era stata inviata anche alla 1~~ 
Banca d'Italia, in qualit� di autorit� nazionale competente all'applicazione della normativa a tute-!:1 
la della concorrenza e del mercato al settore creditizio ai sensi dell'art. 20 della legge italiana !il 
10 ottobre 1990, n. 287. t: 
La Commissione delle C.E. rispondeva precisando che la maggior parte degli accordi noti-( 
~:ficatile 
dall' ABI non apparivano in grado di pregiudicare, totalmente o in modo sensibile, il com-

l:J:= 

mercio fra gli Stati membri. In effetti, essa precisava che: �a) i servizi bancari in questione si : 

.. ti 

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1ra1.111i1111�1w111.1��1.���11:::'.z�zi�t1��1 



PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

(omissis) 

1. -Con due ordinanze del 15 maggio 1996, pervenute in cancelleria il 
21 giugno successivo, il Tribunale di Genova ha sottoposto a questa Corte, ai sensi 
dell'art. 177 del Trattato CE, quattro questioni relative all'interpretazione degli artt. 
85 e 86 dello stesso Trattato rispetto ad alcune norme bancarie uniformi (in 
prosieguo: le �NBU�) che l'Associazione Bancaria Italiana (in prosieguo: l'�ABI�) 
impone ai propri membri in occasione della conclusione di contratti relativi 
all'apertura di credito in conto corrente e alla fideiussione omnibus. 
2. -Tali questioni sono sorte nell'ambito di due controvers�e tra il signor 
Bagnasco e altri e la Banca Popolare di Novara soc. coop. a r.l. (in prosieguo: la 
�BPN�), nel procedimento C-215/96, e il signor Bagnasco e altri e la Cassa di 
Risparmio di Genova e Imperia S.p.a. (in prosieguo: la �Carige�), nel procedimento 
C-216/96, in merito alla restituzione di crediti concessi da questi istituti bancari. 
3. -Gli attori nel procedimento a quo, il signor Bagnasco, quale debitore 
principale, ed i suoi fideiussori, debitori in solido, hanno proposto opposizione 
contro due decreti ingiuntivi del 1� giugno 1992 -provvisoriamente esecutivi con 
i quali il presidente del Tribunale di Genova aveva loro ingiunto, su ricorso della 
BPN e della Carige, di pagare in favore della BPN, la somma di Lit. 222.440.332 in 
relazione alle seguenti causali (omissis). 
12. -In relazione al complesso di tali clausole, il giudice a quo ritiene che una 
decisione della Corte sia pertinente con riferimento alle somme che la BPN e la 
Carige considerano loro dovute in relazione ai contratti di conto corrente stipulati 
dal signor Bagnasco e alle garanzie fideiussorie rilasciate al riguardo dagli altri 
opponenti. Il giudice a quo ha quindi deciso di sospendere il procedimento e di 
sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: 
�1) se le Norme Bancarie Uniformi dettate dall' ABI alle sue associate, 
relativamente al contratto per l'apertura di credito in conto corrente, in quanto 
dettate e applicate in modo uniforme e vincolante da parte delle banche associate 
nell 'ABI, siano compatibili, nella parte in cui sottopongono l'apertura del credito a 
un regime di determinazione del tasso di interesse non previamente determinato n� 

limitano al territorio nazionale e concernono delle attivit� economiche che per disposizione contrattuale 
o per la loro stessa natura non possono esercitarsi che sul territorio italiano oppure hanno 
una influenza molto ridotta sul commercio fra gli Stati membri; b) la partecipazione a questi 
accordi delle filiali o succursali di istituzioni finanziarie non italiane � limitata�. Pertanto essa 
dichiarava di non voler procedere a ulteriori attivit� istruttorie relative a tali accordi, ritenendo 
loro inapplicabile l'art. 85 del Trattato. 

I soli accordi che invece la Commssione riteneva di propria competenza riguardavano le 

�norme sul conto corrente di corrispondenza utilizzabile in valuta�, le �norme sul conto corren


te di corrispondenza aperto in valuta estera�, le �norme che regolano i servizi di incasso o di 

accettazione degli effetti, documenti o assegni sull'Italia e sull'estero�, le �norme uniformi rela


tive ai finanziamenti in valuta�, accordi estranei a quelli interessanti la causa. 



50 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO� 
determinabile dal cliente, con la norma di cui all'art. 85 del Trattato, in quanto 
idonee a pregiudicare il commercio tra Stati membri, e aventi a oggetto e come 
effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del 
mercato comune; 
2) quali effetti l'eventuale riconoscimento dell'incompatibilit� sub 1) pu� 
produrre sulle corrispondenti clausole dei contratti di apertura di credito in conto 
corrente, stipulati �a valle� dalle banche associate con i singoli clienti, posto che 
l'insieme delle banche associate nell' ABI possa venire considerato, ai sensi e per gli 
effetti dell'art. 86 del Trattato, come detentore di una posizione dominante collettiva 
sul mercato nazionale del credito, di cui I'applicazione concreta della normativa in 
esame (relativamente alla determinazione del tasso di interesse debitore) si configuri 
come sfruttamento abusivo; 
3) se le NBU dettate dall' ABI alle sue associate relativamente al contratto di 
fideiussione omnibus a garanzia dell'apertura di credito in 
quanto dettate e applicate 
in modo uniforme e vincolato da parte delle banche associate -siano compatibili, in 
relazione alle singole clausole di cui alla motivazione della presente ordinanza e nel 
loro complesso, con la norma di cui all'art. 85 del Trattato, in quanto idonee a 
pregiudicare il commercio tra Stati membri, e aventi a oggetto e per effetto di impedire, 
restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato comune; 
4) quali effetti l'eventuale riconoscimento dell'incompatibilit� sub 3) pu� 
produrre sulle corrispondenti clausole dei contratti di fideiussione �omnibus� e sui 
Sulle stesse NBU, per�, in quanto rientranti nell'ambito di applicazione della normativa 
nazionale a tutela della concorrenza, la Banca d'Italia avviava un'istruttoria, ai sensi dell'art. 14 
della suddetta legge n. 287/90. Al termine di essa la Banca d'Italia emanava il provvedimento n. 
12 -�Associazione Bancaria Italiana� del 3 dicembre 1994: in esso si precisava che la predisposizione, 
la divulgazione e la raccomandazione dell 'ABI alle banche aderenti di utilizzare i modelli 
di contratto, noti come �Norme Bancarie Uniformi�, nel regolamento dei rapporti con la clientela 
con criteri di stretta uniformit� dovevano ritenersi attivit� che, quali decisioni di 
un'associazione di imprese, integravano intese vietate ai sensi dell'art. 2, comma 2, della legge 
suddetta. Tenuto conto che l'ABI raggruppa la quasi totalit� delle banche italiane, l'adozione uniforme 
degli schemi contrattuali da essa predisposti era suscettibile di incidere in maniera consistente 
sulle condizioni di mercato. 
In particolare la Banca d'Italia rilevava che alcune NBU contenevano clausole lesive della 
concorrenza, altre contenevano clausole anch'esse lesive della concorrenza ma si riferivano a procedure 
ormai da tempo desuete e/o rifluite, in tutto o in parte, in altri schemi contrattuali, altre 
ancora non restringevano affatto la concorrenza. Il contrasto con l'art. 2, comma 2, lett. a), della 
legge n. 287/90 veniva constatato per alcune clausole che determinavano le condizioni economi~ 
che sia in termini di prezzo sia in termini di oneri a carico delle parti al verificarsi delle possibili 
vicende del rapporto contrattuale. In particolare, si riteneva che le clausole che fissano direttamente 
o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita o altre condizioni contrattuali erano 
fil 
<i1:: 
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limitative della concorrenza, indipendentemente dal fatto che le restrizioni costituissero lo scopo 
o fossero l'effetto di tali indicazioni. � ~: 
Nel frattempo, in corso dell'istruttoria l'ABI aveva modificato alcune delle NBU all'esame 
della Banca d'Italia, sicch� quest'ultima, nel provvedimento di chiusura adottato, si limitava a 
indicare specificatamente all 'ABI le ulteriori condizioni contrattuali che avrebbero dovuto essere 
eliminate, concludendo con la disposizione all' ABI: -di adottare e comunicare alle associa~: 
ll; 
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r.:��1�a,a.t.181Wt-S�6~M�~�11a 



PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

51 

contratti stessi, stipulati �a valle� dalle singole banche, posto che l'insieme delle 
banche associate nell' ABI possa essere considerato, ai sensi e per l'effetto dell'art. 
86 del Trattato, come detentore di una posizione dominante collettiva sul 
mercato nazionale del credito, di cui l'applicazione concreta della normativa in 
esame si configuri come sfruttamento abusivo�. 

13. -Occorre innanzitutto precisare che, successivamente alla stipula dei 
contratti in discussione di fronte al giudice a quo, la disciplina applicabile agli 
istituti di apertura di credito in conto corrente e di fideiussione omnibus � stata 
modificata. La legge n. 154/92 ha infatti riformato l'istituto della fideiussione 
omnibus introducendo l'obbligo di predeterminare l'importo massimo garantito. 
14. -Inoltre, 1'ABI ha deciso di notificare, in data 22 febbraio 1993, le proprie 
NBU alla Commissione perch� venissero esaminate alla luce dell'art. 85 del 
Trattato. Gli stessi documenti sono stati notificati alla Banca d'Italia, in qualit� di 
autorit� nazionale competente all'applicazione della normativa a tutela della 
concorrenza e del mercato nel settore creditizio. 
15. -Con lettera 7 luglio 1993 la Commissione ha comunicato alla Banca 
d'Italia di aver deciso di esaminare solo 3 dei 26 accordi notificatile. Senza 
prendere posizione sulla questione di un'eventuale restrizione della concorrenza, 
la Commissione ha comunicato che la maggior parte degli accordi, fra cui quelli 
te in un termine di 60 giorni le modifiche sopra indicate; -di comunicare alle associate in un 
termine di 30 giorni che le NBU costituiscono una mera traccia priva di valore vincolante o di 
raccomdazione e che, quindi, ogni associata ha la facolt� di avvalersene o meno, nonch� di apportare 
tutte le modifiche ritenute opportune. 

I predetti obblighi venivano adempiuti dall' ABI a cavallo degli anni 1994-1995 e, pertanto, 
dalla NBU disciplinanti i contratti tipo predisposti dall'Associazione, venivano eliminate le clausole 
lesive della concorrenza. 

Quanto infine all'ipotesi che le NBU potessero costituire un'ipotesi di abuso di posizione 
dominante collettiva, la Banca d'Italia riteneva che tale fattispecie non potesse essere valutata in 
relazione alla predisposizione e divulgazione da parte dell 'ABI di contratti tipo bens� con riferimento 
ai comportamenti fattuali delle banche sul mercato. E nel valutare le conseguenze sulle 
NBU della caducazione delle condizioni contrattuali lesive della concorrenza, la Banca d'Italia, 
adeguandosi al principio affermato dalla giurisdizione comunitaria, riteneva che la presenza nel1'
oggetto dell'intesa di alcune clausole non consentite dalle regole di concorrenza non rendesse 
necessariamente l'intesa nel suo complesso sottoposta al divieto. 

Tale situazione veniva rappresentata dal governo italiano alla Corte, la quale non poteva che 
constatare che non emergeva alcun elemento di contrasto, passato o presente, con gli artt. 85 e 86 
del Trattato (mentre la violazione di regole di concorrenza a livello nazionale era stata adeguatamente 
rilevata e fatta cessare). Conseguente � stata la risposta ai quesiti posti dal giudice nazionale 
nel senso che le Norme bancarie uniformi dettate dall'Associazione bancaria italiana alle 
proprie associate relativamente ai contratti per l'apertura di credito in conto corrente e ai contratti 
di fideiussione omnibus a garanzia dell'apertura di credito non erano n� sono incompatibili con 
gli artt. 85 e 86 del Trattato CE. 

O.F. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO" 

relativi all'apertura di un credito in conto corrente e alla fideiussione omnibus, 
non sembravano in grado di pregiudicare, totalmente o in modo sensibile, il 
commercio fra gli Stati membri. In tal senso essa ha precisato che, da un lato, i 
servizi bancari in questione si limitano al territorio nazionale e concernono delle 
attivit� economiche che per disposizione contrattuale o per loro stessa natura non 
possono esercitarsi che sul territorio italiano oppure hanno una influenza molto 
ridotta sul commercio fra gli Stati membri e che, dall'altro, la partecipazione a 
questi accordi delle filiali o succursali di istituzioni finanziarie non italiane � 
limitata. Pertanto essa ha dichiarato di non voler procedere a ulteriori attivit� 
istruttorie relative a tali accordi, ritenendo loro inapplicabile l'art. 85 del 
Trattato. 

16.-I soli accordi che invece la Commissione ha ritenuto di propria 
competenza riguardano le norme sul conto corrente di corrispondenza utilizzabile in 
valuta, le norme sul conto corrente di corrispondenza aperto in valuta estera, le 
norme che regolano i servizi di incasso o di accettazione degli effetti, documenti o 
assegni sull'Italia e sull'estero. � 

17. -Il 23 novembre 1993 la Banca d'Italia ha avviato una procedura ai sensi 
della legge n. 287/90, il cui art. 2, paragrafo 2, riproduce il disposto dell'art. 85, 
n. 1 del Trattato, per l'esame dei 23 accordi esclusi dall'inchiesta della 
Commissione. La procedura si � chiusa con il provvedimento n. 12 del 3 dicembre 
1994 (Bollettino dell'Autorit� garante della concorrenza e del mercato del 19 
dicembre 1994, anno IV, n. 48, 75) nel quale la Banca d'Italia ha dichiarato lesive 
della concorrenza le NBU relative sia alle fidejussioni a garanzia di apertura di 
credito sia all'apertura di credito utilizzabile in conto corrente. Con tale 
provvedimento l'ABI � stata invitata a modificare gli accordi e a comunicare tali 
modifiche ai suoi membri. L' ABI � stata altres� invitata a precisare che le dette 
NBU costituiscono una mera traccia, priva di valore vincolante o di 
raccomandazione, e che, quindi, ogni associato ha la facolt� di avvalersene o meno, 
nonch� di apportare tutte le modifiche ritenute opportune. 
18. -A seguito di tale decisione l'ABI ha modificato le NBU nel senso richiesto 
dalla Banca d'Italia. Tali modifiche tuttavia non hanno avuto effetto retroattivo sui 
contratti gi� conclusi. (omissis) 
Sulla prima questione 

23. -Con la prima questione il giudice nazionale domanda, in sostanza, se le 
NBU, permettendo alle banche, nei contratti relativi all'apertura di credito in conto 
corrente, di modificare in ogni momento il tasso d'interesse a seconda delle 
variazioni intervenute sul mercato monetario mediante una comunicazione affissa 
nei loro locali oppure nel modo che esse ritengano pi� opportuno, abbiano per 
'[~ 
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oggetto o per effetto di restringere la concorrenza o possano pregiudicare il ! 
commercio tra Stati membri nel senso dell'art. 85, n. 1, del Trattato. 

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PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

53 

24. -Gli attori nel procedimento a quo sostengono che esistono in Italia un 
cartello per la fissazione dei tassi di interesse praticati dalle banche nei confronti dei 
loro debitori nonch� accordi e/o intese aventi ad oggetto le condizioni generali di 
contratto, elaborate in sede ABI mediante le NBU, che le banche inseriscono 
sistematicamente nei contratti standard sottoposti alla clientela. In forza di tali 
clausole la posizione del debitore principale e del fidejussore (di qualunque 
nazionalit�) che abbiano debiti nei confronti di una banca italiana � deteriore rispetto 
a quella di qualunque altro debitore e/o fidejussore che negozi con una banca di un 
altro Stato membro. 
25. -Neppure il tasso iniziale � frutto di una libera negoziazione tra le parti in 
quanto, essendo le banche aderenti all' ABI tenute a rispettare le decisioni del 
cartello, il cliente non trover� variazioni significative nei tassi praticati tra i vari 
istituti di credito. 
26. -Secondo gli attori del procedimento a quo le banche avrebbero inoltre la 
facolt� di modificare unilateralmente i tassi, i prezzi e le altre condizioni. L'unica 
tutela per il cliente sarebbe costituita dal recesso. Tale possibilit� sarebbe per� del 
tutto teorica, in quanto il cliente ben difficilmente trover�, proprio per l'esistenza del 
cartello, aziende di credito che applichino tassi di interesse diversi. Il cliente che si 
trovi a dover ricorrere all'apertura di credito in conto corrente sarebbe quindi in 
posizione di assoluta soggezione nei confronti delle banche aderenti all 'ABI. 
27. -La BPN sostiene che l'ipotesi di dipendenza e di vincolo dei suoi contratti 
da imposizioni dell 'ABI, vale a dire la situazione descritta nell'ordinanza di rinvio, 
� del tutto inesistente ed inconcepibile. Inoltre, l'analisi del mercato rilevante 
-merceologico e geografico -mostra come l'attivit� bancaria non lasci spazio ad 
ampi margini di �politica� bancaria uniforme, idonea ad impedire, restringere o 
falsare il gioco della concorrenza. 
28. -La Carige osserva che il regime del tasso di interesse non pienamente 
determinato n� determinabile non � incompatibile con l'art. 85 del Trattato, in 
quanto esso non � frutto di accordi tra imprese atti a pregiudicare in maniera 
rilevante la concorrenza sul mercato delle prestazioni relative ai trasferimenti di 
capitali. 
29. -Il governo italiano osserva che, con nota 22 febbraio 1993, l'ABI ha 
notificato alla Commissione le circolari inviate ai propri membri contenenti le NBU, 
chiedendone l'esame alla luce dell'art. 85 del Trattato. La stessa documentazione � 
stata inviata anche alla Banca d'Italia, in qualit� di autorit� nazionale competente 
per l'applicazione della normativa a tutela della concorrenza e del mercato nel 
settore creditizio. 
30. -Il governo italiano sottolinea che i soli accordi che la Commissione ha 
ritenuto di propria competenza riguardavano le norme sul conto corrente di 
corrispondenza utilizzabile in valuta, le norme sul conto corrente di corrispondenza 

54 RASSEGNA AVVOCA1URA DELLO STAT6 

aperto in valuta estera e le norme che regolano i servizi di incasso o di accettazione 
degli effetti, documenti o assegni sull'Italia e sull'estero. Tali accordi non 
interesserebbero la presente causa. 

� '� 31. -Secondo la Commissione, se non � escluso che le clausole in esame 
abbiano effetti restrittivi sulla concorrenza, comportando una limitazione della 
libert� contrattuale delle banche associate dell' ABI, le stesse clausole non sono 
tuttavia incompatibili con l'art. 85 del Trattato, in assenza di un pregiudizio 
sensibile del commercio tra Stati membri. 

32. -Si deve ricordare che, ai sensi dell'art. 85, n. 1, del Trattato, sono 
incompatibili con il mercato comune e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le 
dedsioni di associazioni d'imprese e tutte le pratiche concordate che possano 
pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto 
di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato 
comune. 
33. -In base alla giurisprudenza costante della Corte, per stabilire se un accordo 
debba considerarsi vietato in ragione delle alterazioni del gioco della concorrenza 
che ne conseguono, occorre considerare come la concorrenza si svolgerebbe in 
mancanza dell'accordo stesso (v. sentenze 28 maggio 1998, causa C-7/95 P, 
Deere/Commissione, Racc., I-3111, punto 76, e causa C-8/95 P, New Holland 
Ford/Commissione, Racc., 11-3175, punto 90). 
34.'-Orbene, se l'art. 85, n. 1, del Trattato non limita siffatta valutazione ai soli 
effetti attuali, ma quest'ultima deve anche tener conto degli effetti potenziali 
dell'accordo sulla concorrenza nel mercato comune, un accordo non ricade sotto il 
divieto dell'art. 85 qualora esso pregiudichi il mercato in misura irrilevante (sentenze 
citate Deere/Commissione, punto 77, e New Holland Ford/Commissione, punto 91). 

35. -A questo proposito, occorre constatare che l'apertura di credito in conto 
corrente costituisce un'operazione bancaria che, per sua natura, � legata alla facolt� 
della banca di modificare il tasso d'interesse convenuto in funzione di elementi di 
riferimento quali, in particolare, le condizioni di rifinanziamento del credito da parte 
dell� banche. Se questa facolt� implica per il cliente della banca il rischio di un 
aumento degli interessi in corso di contratto, essa gli offre ugualmente la possibilit� 
di una diminuzione degli stessi. Poich�, come avviene nel caso di specie, le 
variazioni del tasso d'interesse dipendono da elementi oggettivi, quali sono i 
cambiamenti intervenuti sul mercato monetario, un'intesa che esclude la facolt� di 
stabilire un tasso d'interesse fisso non pu� avere un'influenza restrittiva sensibile sul ~t.
gioco della concorrenza. 
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36. -Per quanto riguarda la clausola per la quale le banche comunicano le 
modificazioni del tasso d'interesse mediante l'affissione nei loro locali oppure nel 
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mondo che esse considerano pi� opportuno, basta constatare che tale clausola non 
vieta alle banche di prevedere forme di comunicazione pi� idonee con i loro clienti. 11 

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PARTE I, SEZ. Il, GWRISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

55 

37. -Si deve quindi risolvere la prima questione nel senso che le NBU, 
permettendo alle banche, nei contratti relativi all'apertura di credito in conto 
corrente, di modificare in qualsiasi momento il tasso d'interesse in ragione di 
cambiamenti intervenuti sul mercato monetario, mediante una comunicazione 
affissa nei loro locali oppure nelle modalit� che esse ritengano pi� opportune, non 
hanno per oggetto o per effetto di restringere la concorrenza ai sensi dell'art. 85, 
n. 1, del Trattato. 
Sulla terza questione 

38. -Con la terza questione il giudice nazionale domanda, in sostanza, se le 
NBU relative alla fideiussione omnibus a garanzia dell'apertura di credito in 
conto corrente, come descritte al punto 11 della presente sentenza, abbiano, nel 
loro complesso, per oggetto o per effetto di restringere la concorrenza o possano 
pregiudicare il commercio tra Stati membri ai sensi dell'art. 85, n. 1, del 
Trattato. 
39. -Gli attori nel procedimento a quo rilevano che il fidejussore di una banca 
operante in Italia � tenuto, secondo la giurisprudenza italiana, a pagare tutte le 
somme richieste dalla banca con riferimento alle operazioni bancarie da essa 
realizzate a favore del debitore principale, siano queste tipiche, accessorie od 
occasionali, in corso o da intraprendere, nonostante le suddette operazioni, a causa 
del potere discrezionale della banca, possano comportare un aumento imprevedibile, 
nel corso dell'esecuzione del rapporto bancario, dell'esposizione complessiva del 
cliente nei confronti della banca. 
40. -A sostegno di tale argomento gli attori della causa a qua richiamano il 
punto 7, paragrafo 5, del contratto di fidejussione, secondo il quale l'obbligazione 
mantiene tutti i suoi effetti anche se l'obbligazione principale �, per qualsiasi 
motivo, invalida, intendendosi il fidejussore, per l'ipotesi di dichiarata nullit� o 
annullamento dell'obbligazione principale, obbligato come se la stessa fosse stata da 
esso assunta in proprio. 
41. -La Carige osserva, per contro, che le NBU dettate dall'ABI 
relativamente al contratto di fideiussione omnibus a garanzia dell'apertura di 
credito sono compatibili con l'art. 85 del Trattato dal momento che non sono atte 
a pregiudicare in misura rilevante la concorrenza sul mercato a causa della natura 
del servizio. 
42. -La Commissione rileva che, allo stato attuale delle sue conoscenze circa i 
flussi a carattere transfrontaliero di domanda ed offerta dei servizi bancari di 
apertura di credito in conto corrente e di fideiussione omnibus, i servizi in questione 
non sembrano rivestire un'importanza determinante per l'entrata sul mercato 
finanziario italiano di banche provenienti da altri Stati membri. Riferendosi 
all'argomentazione svolta nella sua lettera 7 luglio 1993, la Commissione sostiene 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

56 

che le NBU disciplinanti i due contratti della controversia a qua non soddisfano una 
delle condizioni necessarie all'applicazione dell'art. 85, n. 1, del Trattato, ovvero 
l'essere idonee a pregiudicare in modo sensibile il commercio tra Stati membri. 

43. -Si deve ricordare, in via preliminare, che la fideiussione costituisce una 
forma classica di garanzia mediante la quale pu� garantire, in particolare, il saldo 
debitore di un conto corrente. Nel diritto italiano, la fideiussione � oggetto di 
disciplina specifica nel codice civile, che pu� essere derogata a determinate 
condizioni. 
44. -Stabilendo �norme relative alla fidejussione a garanzia di operazioni 
bancarie�, in deroga alla disciplina del codice civile, le NBU mirano a garantire il 
credito delle banche nel modo pi� efficace possibile. 
45. -In compenso, poich� queste norme, secondo la constatazione del giudice 
nazionale, sono obbligatorie per i membri dell' ABI, esse limitano la libert� 
contrattuale delle banche impedendo loro di offrire ai propri clienti, che 
domandano un'apertura di credito, condizioni pi� favorevoli per il contratto di 
fidejussione connesso. Tuttavia, quest'ultimo � di natura accessoria rispetto al 
contratto principale, di cui nella maggior parte dei casi costituisce in pratica un 
presupposto (v. sentenza 17 marzo 1998, causa C-45/96, Dietzinger, Racc., 1-1199, �' 
punto 18). 
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46. -Ci� considerato, piuttosto che esaminare immediatamente se questa ~ 
limitazione della libert� contrattuale comporti effetti sensibili sulla concorrenza, i'=' 
occorre in primo luogo analizzare quali siano gli effetti eventuali sul commercio tra 
Stati membri di clausole come quelle contenute nei contratti di fideiussione omnibus 
controversi nella causa a qua. 
II

47. -A questo proposito, risulta da una giurisprudenza costante che un accordo 
tra imprese, per poter pregiudicare il commercio fra Stati membri, deve consentire 
di prevedere con sufficiente grado di probabilit�, in base ad un insieme di elementi 
o$gettivi di fatto o di diritto, che esso sia atto ad incidere direttamente o 
IIindirettamente, effettivamente o potenzialmente, sui flussi commerciali fra Stati 
membri, in modo da poter nuocere alla realizzazione degli obiettivi di un mercato 
unico fra Stati (v. sentenza 11 luglio 1985, causa 42/84, Remia e a./Commissione, 
Racc., 2545, punto 22). Dunque, il pregiudizio per gli scambi intracomunitari deriva 
in generale dalla combinazione di diversi fattori che, considerati isolatamente, non 

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sarebbero necessariamente determinanti (v. sentenza 15 dicembre 1994, causa 
C-250/92, DLG, Racc., 1-5641, punto 54). 

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48. -Sempre secondo costante giurisprudenza, l'art. 85, n. 1, del Trattato non 1:: 
prescrive che venga dimostrato che gli accordi da esso considerati abbiano 1:: 
pregiudicato in misura rilevante gli scambi intracomunitari, ma richiede che si provi I~ 
che gli accordi sono atti a produrre questo effetto (v. sentenza 17 luglio 1997, causa fil 
C-219/95 P, Ferriere Nord/Commissione, Racc., 1-4411, punto 19). . 
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PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

49. -Nel caso di specie, in merito agli effetti della disciplina della fideiussione 
omnibus sugli scambi intracomunitari, si pu� immaginare che le filiali o succursali 
di banche di altri Stati membri, che hanno una .sede in Italia, si vedano obbligate, per 
fruire dei vantaggi dell'appartenenza all' ABI, ad applicare le NBU, rinunciando cos� 
ad applicare condizioni pi� favorevoli. Del pari, tenuto conto del fatto che la grande 
maggioranza delle banche italiane � associata all' ABI, i clienti che desiderino 
concludere un contratto di apertura di credito in conto corrente potrebbero vedere 
ridotte le loro possibilit� di scelta di una banca, poich� la conclusione di un tale 
contratto dipende dalla costituzione di una fidejussione secondo le dette NBU, alle 
quali, per l'essenziale, non pu� derogarsi. 
50. -� ben vero che, in via di principio, stabilire se le condizioni di 
applicazione dell'art. 85, n. 1, del Trattato ricorrano o meno � questione che 
dipende da analisi economiche complesse, che spetta al giudice nazionale 
intraprendere applicando, se del caso, i criteri stabiliti dalla giurisprudenza della 
Corte. Tuttavia, in determinate situazioni, e alla luce delle indicazioni fornite dalla 
Corte, tale analisi non appare necessaria (v. sentenza DLG, cit., punto 55). � questo 
il caso nella specie. 
51. -A questo proposito occorre tenere conto del fatto che la 
Commissione, adita dall' ABI circa la questione della compatibilit� delle 
clausole relative alla fideiussione omnibus con l'art. 85 del Trattato, ha 
constatato che il servizio bancario in questione riguarda attivit� economiche 
che hanno un'influenza assai ridotta sugli scambi tra Stati membri e che la 
partecipazione di filiali o succursali di istituti di credito non italiani � limitata 
(v. punto 15 della presente sentenza). Inoltre, la Commissione ha precisato, in 
risposta a una questione della Corte, che la possibile utilizzazione dei contratti 
di apertura di credito e di fideiussione omnibus da parte dei clienti privilegiati 
delle banche estere, ovvero sia le grandi imprese e gli operatori stranieri, non � 
molto importante e, comunque, non determinante ai fini della scelta da parte 
delle banche straniere di stabilirsi o meno in Italia, in quanto i contratti di cui 
si tratta nella causa a qua sono raramente utilizzati da questo tipo di clientela. 
Queste constatazioni della Commissione non sono state contestate nell'ambito 
del presente procedimento. 
52. -Non vi � nessun altro elemento agli atti che consenta, peraltro, di 
considerare, con un grado di probabilit� sufficiente, che la reticenza dei clienti che 
desiderano concludere un contratto di apertura di credito in conto corrente a 
scegliere una banca, a causa dell'esistenza delle NBU relative alla fideiussione 
omnibus, possa comportare un effetto sensibile sul commercio intracomunitario. 
53. -Occorre quindi risolvere la terza questione nel senso che le NBU relative 
alla fideiussione omnibus a garanzia dell'apertura di credito in conto corrente che 
derogano alla disciplina comune della fideiussione, come quelle in esame nella 
causa a qua, non sono atte, nel loro complesso, a pregiudicare il commercio tra Stati 
membri ai sensi dell'art. 85, n. 1, del Trattato. 

RASSEGNA AVVOCATIJRA DELLO STATO

58 

Sulla seconda e sulla quarta questione 

54. -Con la seconda e con la quarta questione il giudice a quo domanda, in 
primo luogo, se l'applicazione delle NBU costituisca, ai sensi dell'art. 86 del 
Trattato, uno sfruttamento abusivo di una posizione dominante collettiva da parte 
delle banche associate all' ABI. Egli domanda poi quali effetti potrebbe avere 
un'eventuale incompatibilit� delle dette NBU con gli artt. 85 e 86 del Trattato sulle 
clausole corrispondenti dei contratti conclusi dalle banche con i loro clienti. 

55. -La BPN sostiene che le clausole in questione non esprimono una 
posizione dominante, giacch� l'autolimitazione evidenziata dal limite debitorio e 
dalle pattuizioni che attribuiscono specifici diritti di recesso, di informativa, ecc., al 
fidejussore sono in pieno contrasto con l'ipotesi di un'attuazione, attraverso clausole 
di contenuto uniforme o �di cartello�, di una volont� contrattuale limitativa o lesiva 
della libera concorrenza, proveniente da soggetti estranei al diretto rapporto 
contrattuale di specie. 
56. -La Commissione sottolinea anzitutto, richiamandosi alla giurisprudenza DIP 
e a. della Corte (sentenza 17 ottobre 1995, cause riunite C-140/94, C-141/94 e C-142/94, 
Racc., I-3257, punti 26 e 27), che il solo fatto che l' ABI raccolga la quasi totalit� delle 
banche italiane non sembra sufficiente a concludere che essa comporti la detenzione, da 
parte dei suoi membri nel loro insieme, di una posizione dominante collettiva. 
57. -A suo parere, non sembra neppure potersi affermarsi che, nel caso in cui 
si dovesse ammettere l'esistenza di una posizione dominante collettiva in capo 
all'insieme delle banche aderenti all' ABI, i comportamenti descritti dal giudice a 
quo costituiscano un abuso di tale posizione. 

58. -A questo proposito si deve richiamare che, ai sensi dell'art. 86 del 
Trattato, e incompatibile con il mercato comune e vietato, nella misura in cui possa 
essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da 
parte di una o pi� imprese di una posizione dominante sul mercato comune o su una 
parte sostanziale di questo. 
59. -Senza che sia necessario esaminare se le banche associate in seno all' ABI 
occupino una posizione dominante collettiva nel senso dell'art. 86 del Trattato, � 
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sufficiente constatare che, come risulta dall'esame della prima questione, poich� la & 
modifica del tasso di interesse di un credito in conto corrente dipende da elementi 
obiettivi, quali i cambiamenti interventi sul mercato monetario, tale comportamento 

Inon pu�, in ogni caso, costituire sfruttamento abusivo di una posizione dominante 

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nel senso dell'art. 86 del Trattato. );' 

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60. -Riguardo alle NBU relative alla fideiussione omnibus a garanzia ;.:: 
[:dell'apertura di credito in conto corrente, risulta dall'esame della terza questione 
che, nel loro insieme, la loro applicazione non � idonea ad arrecare un pregiudizio I 
~ 

sensibile agli scambi intracomunitari. 

~ 



PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZI�NALE 

61. -Ci� considerato, occorre risolvere la seconda e la quarta questione nel 
senso che l'applicazione delle dette NBU non costituisce sfruttamento abusivo di 
una posizione dominante nel senso dell'art. 86 del Trattato. 
62. -Tenuto conto delle soluzioni apportate alle questioni precedenti, non 
occorre risolvere la questione relativa agli effetti che un'eventuale 
incompatibilit� delle dette NBU con gli artt. 85 e 86 del Trattato potrebbe avere 
sulle clausole corrispondenti dei contratti conclusi dalle banche con i loro clienti 
(omissis). 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, sez. 5�, 25 febbraio 
1999, nella causa C-131/97 -Pres. Moitinho de Almeida -Rei. Edward -
Avv. Gen. L�ger -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Pretore di 
Bologna nella causa Carbonari ed altri c. Universit� degli Studi di Bologna, 
Ministeri della Sanit�, dell'Universit� e della Ricerca Scientifica e del Tesoro -
Interv.: Governo italiano (avv. Stato Fiumara) e spagnolo (ag. Perez de Ayala 
Becerril) e Commissione delle C.E. (ag. Traversa e Drijber). 

Comunit� europee � Diritto di stabilimento � Libera prestazione di servizi � 
Medici -Specializzazioni mediche -Riconoscimento di diplomi -Obbligo di 
retribuzione � Effetto diretto. 
(Direttive CEE del Consiglio, 16 giugno 1975, n. 75/362 e n. 75/363; direttiva CEE del 
Consiglio 26 gennaio 1982, n. 82/76; decreto-legislativo 8 agosto 1991, n. 257). 

L'art. 2, n. 1, lett. c), nonch� il punto 1 dell'allegato della direttiva del 
Consiglio 16 giugno 1975, 75/362/CEE, concernente il coordinamento delle 
disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative per le attivit� di medico, 
come modificata dalla direttiva del Consiglio 26 gennaio 1982, 82/76/CEE, 
concernente il reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli di 
medico e comportante misure destinate ad agevolare l'esercizio effettivo del diritto 
di stabilimento e di libera prestazione dei servizi e la direttiva 75/363 devono essere 
interpretati nel senso che: 

-l'obbligo di retribuire in maniera adeguata i periodi di formazione dei medici 
specialisti s'impone unicamente per le specialit� mediche comuni a tutti gli Stati 
membri o a due o pi� di essi e menzionate agli artt. 5 o 7 della direttiva del 
Consiglio 16giugno1975, 75/362/CEE; 

-tale obbligo � incondizionato e sufficientemente preciso nella par.te in cui 
richiede -affinch� un medico specialista possa avvalersi del sistema di reciproco 
riconoscimento istituito dalla direttiva 75/362 -che la sua formazione si svolga a 
tempo pieno e sia retribuita; 

-il detto obbligo non consente tuttavia, di per s�, al giudice nazionale di 
identificare il debitore tenuto a versare la remunerazione adeguata, n� l'importo 
della stessa. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO. 

60 


Il giudice nazionale � tenuto tuttavia, allorch� applica disposizioni di diritto 
nazionale precedenti o successive ad una direttiva, ad interpretarle, quanto pi� 
possibile, alla luce della lettera e dello spirito della direttiva stessa (1). 

(omissis) 

1. -Con ordinanza 2 dicembre 1996, pervenuta alla Corte il 1� aprile 1997, il 
Pretore di Bologna ha sottoposto a questa Corte, a norma dell'art. 177 del Trattato 
CE, una questione pregiudiziale vertente sull'interpretazione della direttiva del 
Consiglio 26 gennaio 1982, 82/76/CEE, che modifica la direttiva 75/362/CEE 
concernente il reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli di 
medico e comportante misure destinate ad agevolare l'esercizio effettivo del diritto 
di stabilimento e di libera prestazione dei servizi e la direttiva 75/363/CEE 
concernente� il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed 
amministrative per le attivit� di medico (GU L 43, 21). 
2. -La questione � sorta nell'ambito di una controversia tra la signora 
Carbonari e altri 121 ricorrenti, da una parte, e l'Universit� degli Studi di Bologna, 
il Ministero della Sanit�, il Ministero dell'Universit� e della Ricerca Scientifica e il 
Ministero del Tesoro, dall'altra, in merito al diritto dei medici specializzandi a una 
�remunerazione adeguata� nel corso del periodo di formazione. 
La normativa comunitaria 

3. -La direttiva del Consiglio 16 giugno 1975, 75/362/CEE (GU L 167, 1; in 
prosieguo: la �direttiva 'riconoscimento'�), mira al riconoscimento reciproco dei 
(1) La questione esaminata dalla Corte di Giustizia � sorta da una causa pendente innanzi al 
Pretore di Bologna e promossa da alcuni laureati in medicina iscritti dall'anno accademico 1990/91 
a scuole di specializzazione della Facolt� di medicina dell'Universit� di Bologna, i quali chiedevano 
la corresponsione di un compenso per l'attivit� compiuta durante la formazione e per tutto il periodo 
di durata della specializzazione ai sensi delle citate direttive CEE e, in particolare, della n. 82/76, alla 
quale lo Stato Italiano ha dato attuazione in ritardo con il decreto legislativo 8 agosto 1991 n. 257. 
Sulla questione si era gi� espresso il TAR Lazio, sez. I, con la sentenza 16 aprile 1993, 

n. 601, in I 1'AR, 1993, I, 1591, confermata in fatto, e perci� non pubblicata sulla Rivista, dal 
Consiglio di Stato, sez. IV, 23 settembre 1994, n. 735. Il giudice amministrativo aveva ritenuto, 
infatti, che nella fattispecie in esame sussistessero tutte le condizioni per l'immediata applicabilit� 
della normativa comunitaria, del tutto incondizionata e sufficientemente precisa, nonch� per 
la disapplicazione del decreto legislativo n. 257/91 cit., nella parte in cui riserva l'applicazione 
dell'ordinamento comunitario ai soli medici ammessi a partire dall'anno accademico 1991/92, 
lasciando sopravvivere il precedente regime per le specializzazioni esaurite o gi� in corso. 
Nella sentenza che si annota, la Corte, in particolare ai punti 42 e 43, ha precisato che, dal 
sistema del reciproco riconoscimento dei diplomi, risulta che lo Stato membro in cui la formazione 
dei medici specialisti � effettuata deve garantire che essa soddisfi tutte le condizioni previste 
dalle direttive. Ne deriva che se lo Stato membro non assicura tale garanzia, i medici specialisti 
che hanno seguito tale formazione non rientrano nel novero di coloro che possono giovarsi 
del reciproco riconoscimento. 



PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZION~E 

61 

diplomi, certificati e altri titoli di medico e comporta misure destinate ad agevolare 
l'esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera prestazione dei servizi. La 
direttiva del Consiglio 16 giugno 1975, 75/363/CEE (GU L 167, 14; in prosieguo: 
la �direttiva 'coordinamento'�), mira, da parte sua, al coordinamento delle 
disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative attinenti alle attivit� di 
medico. Entrambe sono state modificate, in particolare, dalla direttiva 82/76. 

4. -Per quanto riguarda il riconoscimento dei diplomi di specialista la 
direttiva �riconoscimento� distingue tre ipotesi. Allorch� la specializzazione di 
cui si tratta � comune a tutti gli Stati membri e compare nell'elenco di cui all'art. 
5, n. 2, della stessa direttiva, il riconoscimento � automatico (art. 4). Qualora la 
specializzazione sia propria a due o pi� Stati membri e sia menzionata all'art. 7, 
n. 2, il riconoscimento � automatico tra di loro (art. 6). Infine, l'art. 8 dispone che, 
per le specializzazioni che non compaiono nell'elenco di cui all'art. 5 n� in quello 
di cui all'art. 7, lo Stato membro ospitante potr� esigere dai cittadini degli altri 
Stati membri che soddisfino le condizioni di formazione previste a tal fine dal suo 
diritto interno, tenendo conto tuttavia dei periodi di formazione compiuti da tali 
cittadini e sanzionati da un titolo di studio rilasciato dalle competenti autorit� 
dello Stato membro d'origine o di provenienza quando tali periodi corrispondono 
a quelli richiesti nello Stato membro ospitante per la specializzaz_ione in 
questione. 
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5. -La direttiva �coordinamento� prevede, ai fini del riconoscimento reciproco 
dei diplomi, certificati ed altri titoli di medico specialista, una cena armonizzazione 
dei presupposti attinenti alla formazione e all'accesso alle varie specializzazioni 
mediche. 
In concreto, perci�, si dovrebbe ritenere che la retribuzione spetti quando dopo la scadenza del 
termine per l'attuazione della direttiva n. 82/76, lo specializzando, anche se iscritto prima dell'anno 
accademico 1991/1992 in base al decreto legislativo n. 257/91 cit., abbia di fatto sostanzialmente 
osservato le condizioni della direttiva (tempo pieno, assenza di altra attivit� professionale ...), purch� 
sia stato iscritto a corsi di specializzazione comuni a tutti gli Stati membri o a due o pi� di essi e menzionati 
agli artt. 5 e 7 della direttiva n. 75/362 e sempre che non si sia maturata la prescrizione. 

Sull'ammontare della remunerazione la Corte ha, da un lato, rimesso la questione al giudice 
nazionale; dall'altro ha indicato al giudice nazionale stesso di attenersi il pi� possibile ad 
un'interpretazione della normativa nazionale alla luce della lettera e dello spirito della direttiva. 
Il giudice nazionale potrebbe, quindi, accogliendo il suggerimento della Corte, applicare estensivamente 
e logicamente i criteri del decreto legislativo n. 257/91, adottando opportunamente un 
criterio unico ed omogeneo per tutti. 

Infine, va ricordato che la Corte, richiamando alcuni suoi precedenti specifici, si � occupata 
anche del profilo riguardante l'eventuale responsabilit� dello Stato Italiano per i danni derivanti dalla 
violazione degli obblighi imposti dalla direttiva n. 82/76 per tardiva attuazione. Un'applicazione 
retroattiva e completa delle misure di attuazione della direttiva stessa � stata ritenuta, quindi, idonea 
a rimediare alle conseguenze pregiudizievoli scaturenti dal ritardo nell'attuazione stessa, salvo che i 
beneficiari della remunerazione in questione non dimostrino l'esistenza di danni ulteriori e diversi 
eventualmente subiti per non aver fruito a suo tempo dei vantaggi garantiti dalla direttiva. 

G.P. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO ST.ATO

62 

6. -Come risulta dal secondo �considerando� di tale direttiva, al fine di 
coordinare le condizioni di formazione del medico specialista, occorre prevedere 
�taluni criteri minimi concernenti l'accesso alla formazione specializzata, la sua l. 
durata minima, il modo e il luogo in cui quest'ultima dev'essere effettuata, nonch� 
il controllo di cui deve formare oggetto� e, ai sensi della sua ultima frase, �tali *.� 
criteri riguardano soltanto le specializzazioni comuni a tutti gli Stati membri nonch� ~ 

quelle comuni a due o pi� Stati membri�. 

7. -L'art. 2, n. 1, della direttiva �coordinamento�, come modificato dall'art. 9 
�della direttiva 82/76, dispone in particolare che la formazione che permette 
il 
conseguimento di un diploma, certificato o altro titolo di medico specialista deve 
soddisfare le condizioni ivi menzionate. Vi si richiede in particolare, alla lett. e), che 
la formazione si svolga �a tempo pieno e sotto il controllo delle autorit� o degli enti 
competenti, conformemente al punto 1 dell'allegato�. 

8. -L'allegato alla direttiva �coordinamento�, aggiunto dall'art. 13 della 
direttiva 82/76 e intitolato �Caratteristiche della formazione a tempo pieno e della 
formazione a tempo ridotto dei medici specialisti�, dispone quanto segue: 
�l. Formazione a tempo pieno dei medici specialisti. 
Essa si effettua in posti di formazione specifici riconosciuti dalle autorit� 
competenti. 
Essa implica la partecipazione alla totalit� delle attivit� mediche del servizio 
nel quale si effettua la formazione, comprese le guardie, in modo che lo specialista 

in via di formazione dedichi a tale formazione pratica e teorica tutta la sua attivit� 

professionale per l'intera durata della normale settimana lavorativa e per tutta la 

durata dell'anno, secondo le modalit� fissate dalle autorit� competenti. Tale 

formazione forma pertanto oggetto di un'adeguata rimunerazione. 

La formazione pu� essere interrotta per motivi quali servizio militare, missioni 
scientifiche, gravidanza, malattia. La durata totale della formazione non pu� essere 
ridotta a causa delle interruzioni. 

(...)�. 

9. -Gli artt. 4 e 5 della direttiva �coordinamento� stabiliscono la durata minima 
delle formazioni specialistiche che permettono il conseguimento dei diplomi, 
certificati o altri titoli previsti dagli artt. 5 e 7 della direttiva �riconoscimento� e che 
sono comuni a tutti gli Stati membri o a due o pi� di essi. 
10. -L'art. 16 della direttiva 82/76 dispone che gli Stati membri mettono in 
vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per 
conformarsi alla direttiva entro e non oltre il 31 dicembre 1982, informandone 
immediatamente la Commissione. 
11. -Successivamente ai fatti che hanno dato origine alla causa a qua, le 
direttive �riconoscimento�, �coordinamento� e 82/76 sono state abrogate e 
sostituite dalla direttiva del Consiglio 5 aprile 1993, 93/16/CEE, intesa ad agevolare 

PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

la libera circolazione dei medici e ,il reciproco riconoscimento dei loro diplomi, 
certificati ed altri titoli (GU L 165, 1). 

La normativa nazionale 

12. -Le direttive �riconoscimento� e �coordinamento� sono state trasposte in 
diritto italiano con legge 22 maggio 1978, n. 217 (GURI n. 146 del 29 maggio 1978). 
13. -Con sentenza 7 luglio 1987, causa 49/86, Commissione/Italia (Racc., 
2995), la Corte ha dichiarato che la Repubblica italiana, non avendo adottato nel 
termine prescritto le disposizioni necessarie per conformarsi alla direttiva 82/76, era 
venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del Trattato CEE. 
14. -A seguito di tale sentenza, la direttiva 82/76 � stata trasposta con decreto 
legislativo 8 agosto 1991, n. 257 (GURI n. 191 del 16 agosto 1991; in prosieguo: il 
�decreto legislativo n. 257� ), entrato in vigore 15 giorni dopo la data della sua 
pubblicazione. 
15. -L'art. 4 del decreto legislativo n. 257 determina i diritti e i doveri dei 
medici specializzandi, e il suo art. 6 istituisce una borsa di studio in loro favore. 
16. - 
Ai sensi dell'art. 6, n. 1, dello stesso decreto legislativo: 
�Agli ammessi alle scuole di specializzazione ( ...) in relazione all'attuazione 
dell'impegno a tempo pieno per la loro formazione, � corrisposta, per tutta la durata del 
corso, ad esclusione dei periodi di sospensione della formazione specialistica, una borsa 
di studio determinata per l'anno 1991 in 21.500.000 LIT. Tale importo viene 
annualmente, a partire dal 1� gennaio 1992, incrementato dal tasso programmato di 
inflazione ed � rideterminato ogni triennio, con decreto del Ministro della Sanit�(... ) in 
funzione del miglioramento stipendiale tabellare minimo previsto dalla contrattazione 
relativa al personale medico dipendente dal Servizio sanitario nazionale�. 

17. -Infine, l'art. 8, n. 2, dello stesso decreto precisa che le sue disposizioni si 
applicano a decorrere dall'anno accademico 1991/1992. 
18. -Risulta dall'ordinanza di rinvio che tale disposizione � stata interpretata 
nel senso che la borsa di studio istituita dal decreto legislativo n. 257 non riguarda, 
anche dopo l'anno accademico 1991/1992, i medici specializzandi ammessi 
precedentemente. 
La causa a qua 

19. -I ricorrenti nella causa a qua hanno tutti dichiarato di essere laureati in 
medicina. Nell'anno accademico 1990/1991 erano iscritti a varie scuole di 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

64 

specializzazione delle facolt� di medicina dell'Universit� di Bologna, tra cui 
cardiologia, ostetricia, neurologia, psichiatria, pediatria, urologia, oftalmologia, 

medicina del lavoro e altre ancora. ~ �: 

20. -Non avendo essi percepito alcuna remunerazione nell'ambito del 
citato anno accademico, i ricorrenti nella causa a qua hanno sostenuto in 
particolare, nel ricorso depositato il 30 luglio 1992 alla Pretura circondariale di 
Bologna, che, in base all'art. 2, n. 1, lett. e), nonch� al punto 1 dell'allegato 
della direttiva �coordinamento�, come modificata dalla direttiva 82/76, essi 
avevano diritto ad una �remunerazione adeguata� nel loro periodo di 
formazione specialistica. 
21. -Quanto ai convenuti nella causa a qua, essi hanno sostenuto in particolare 
che alle direttive di cui trattasi non si poteva riconoscere alcun effetto diretto, in 
quanto le loro disposizioni non genererebbero obblighi chiari, precisi e 
incondizionati a carico dello Stato in materia di remunerazione dei medici 
specializzandi. 
22. -Ritenendo che la soluzione della controversia dipendesse 
dall'interpretazione della normativa comunitaria, in particolare della direttiva 82/76, 
il Pretore di Bologna ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla 
Corte la seguente questione pregiudiziale: 
�Se la disposizione della direttiva 82/76/CEE, nella parte in cui prevede che 
la formazione dei medici specialisti 'forma oggetto di una adeguata 
remunerazione', debba essere interpretata, in mancanza dell'emanazione di norme 
specifiche della Repubblica italiana nei termini previsti, nel senso dell'efficacia 
diretta a favore dei medici specializzandi nei confronti delle amministrazioni della 
Repubblica italiana, e se attribuisca ai medici specializzandi in formazione il 

diritto ad un compenso adeguato correlato alla complessiva attivit� di formazione 
svolta nei servizi incaricati dallo Stato, con il relativo obbligo per tali 
amministrazioni, ivi compresa l'Universit� degli studi di Bologna, di 
corrispondere tale compenso�. 

23. -Con tale questione il giudice a quo domanda in sostanza se, stante la 
mancata trasposizione entro i termini, l'art. 2, n. 1, lett. e), nonch� il punto 1 
dell'allegato della direttiva �coordinamento�, nella versione risultante dalla 
direttiva 82/76 -che sanciscono l'obbligo di remunerare adeguatamente i periodi 
di formazione relativi alle specializzazioni mediche -, siano, dal punto di vista del 
loro contenuto, incondizionati e sufficientemente precisi perch� i medici 
specializzandi possano far valere tale obbligo dinanzi ai giudici nazionali nei 
confronti delle amministrazioni di uno Stato membro. 
24. -Occorre in primo luogo individuare l'ambito di applicazione dell'art. 2, 
n. 1, lett. e), nonch� del punto 1 dell'allegato della direttiva �coordinamento�, come 
modificata dalla direttiva 82/76, al fine di determinare le specialit� mediche per le 

PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

quali i medici specializzandi possono avvalersi del diritto a una remunerazione 
adeguata nel periodo di formazione. 

25. -I ricorrenti nella causa principale sostengono che, bench� talune delle 
specializzazioni di cui trattasi non siano menzionate nella direttiva �riconoscimento� 
come comuni a tutti gli Stati membri o a due o pi� di essi, discende dal principio della 
parit� di trattamento -da applicarsi a situazioni identiche o analoghe -nonch� dal 
principio del riconoscimento delle specializzazioni che tale circostanza non pu� far 
venir meno l'obbligo di versare una remunerazione adeguata avente la stessa natura 
di quella prevista dalla normativa comunitaria. 
26. -Il governo spagnolo e la Commissione ritengono, per contro, facendo 
riferimento alla sentenza 6 dicembre 1994, causa C-277/93, Commissione/Spagna 
(Racc., 1-5515), che il diritto ad una remunerazione nel corso del periodo di 
formazione riguardi esclusivamente le specializzazioni previste dagli artt. 5 e 7 della 
direttiva �riconoscimento�. 
27. -� sufficiente ricordare in proposito che la Corte ha gi� dichiarato, nella 
citata sentenza Commissione/Spagna, punto 20, che l'obbligo di retribuire i periodi 
di formazione relativi alle specializzazioni mediche, prescritto dall'art. 2, n. 1, 
lett. e), della direttiva �coordinamento�, s'impone soltanto per le specializzazioni 
mediche comuni a tutti gli Stati membri o a due o pi� di essi e menzionate dagli artt. 
5 o 7 della direttiva �riconoscimento�. 
28. -Poich� le dette disposizioni elencano, per le formazioni specialistiche di 
cui trattasi, tanto le denominazioni vigenti negli Stati membri quanto le autorit� o 
gli enti competenti, spetta al giudice a quo determinare, tra i ricorrenti nella causa 
principale, quelli che appartengono alla categoria dei medici iscritti ad una di tali 
formazioni specialistiche, che possono avvalersi -in forza della direttiva 
�coordinamento�, come modificata dalla direttiva 82/76 -del diritto ad una 
remunerazione adeguata nel loro periodo di formazione. 
29. -In secondo luogo, il governo italiano sostiene che soltanto il rispetto di 
talune modalit�, che devono essere determinate dal legislatore nazionale, pu� 
consentire ai medici specializzandi di compiere la formazione a tempo pieno in 
conformit� alle indicazioni della direttiva �coordinamento� e, quindi, di percepire la 
remunerazione adeguata. 
30. -Il governo spagnolo sostiene, pi� precisamente, che il diritto alla 
remunerazione non � una caratteristica della formazione prevista dalla direttiva 
�Coordinamento� al fine di coordinare i diversi sistemi. Tale diritto costituirebbe 
soltanto una conseguenza delle caratteristiche di tale formazione. Ne consegue che 
esso sarebbe subordinato, da una parte, ad un'azione espressa delle autorit� 
nazionali che istituisca un sistema di formazione conforme alla direttiva 
�coordinamento�, e, d'altra parte, al presupposto che i medici specialisti completino 
una formazione a tempo pieno ai sensi dell'allegato di tale direttiva. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

66 

31. -Occorre preliminarmente ricordare che il rappresentante del governo 
italiano ha affermato, in udienza, che a decorrere dall'anno accademico 1991/92 la 
formazione dei medici specialisti in Italia si svolge in conformit� alle prescrizioni 
delle direttive �riconoscimento�, �Coordinamento� e 82/76. 
32. -Per quanto riguarda gli anni accademici precedenti il 1991/1992, il 
rappresentante del governo italiano ha ricordato che i medici specializzandi non 
erano tenuti, all'epoca, a rispettare la regola del tempo pieno. 
33. -Giova sottolineare in proposito che il punto 1 dell'allegato della direttiva 
�coordinamento�, come modificata dalla direttiva 82/76, � esplicito ed 
incondizionato nel senso che esige la partecipazione alla totalit� delle attivit� 
mediche del dipartimento in cui la formazione si svolge, ivi comprese le guardie, 
cosicch� il medico specializzando dedica a tale formazione pratica e teorica tutta la 
sua attivit� professionale per tutta la durata della settimana lavorativa e per tutto 
l'anno. 
34. -Bench� lo stesso punto preveda che le relative modalit� devono essere 
fissate dalle autorit� competenti, i requisiti della formazione a tempo pieno ivi 
elencati sono sufficientemente precisi da consentire al giudice a quo di individuare 
quali fra i ricorrenti nella causa principale appartenenti alla categoria dei medici 
specializzandi abbiano, nel periodo precedente l'anno accademico 1991/1992, 
soddisfatto le condizioni di formazione dei medici specialisti a tempo pieno ai sensi 
delle direttive �coordinamento� e 82/76. 
35. -In terzo luogo, i ricorrenti nella causa principale sostengono che, per 
quanto riguarda il contenuto dell'obbligo di remunerare i periodi di formazione 
relativi alle specializzazioni mediche, il giudice nazionale pu� prendere in 
considerazione la normativa nazionale precedente o successiva alla direttiva 82/76 
per conformarsi allo spirito e alla lettera di quest'ultimo. A loro parere, alla luce del 
tenore del decreto legislativo n. 257, il contenuto del diritto a una remunerazione 
adeguata dei medici specializzandi nonch� l'autorit� obbligata, in forza del rapporto 
di lavoro, ad effettuare il versamento di tale remunerazione sono perfettamente 
identificati. 
36. -A parere dei governi italiano e spagnolo, le disposizioni di cui trattasi non 
sono sufficientemente precise e incondizionate. Esse non sono pertanto atte a 
conferire direttamente ai medici specializzandi -in mancanza di provvedimenti di 
trasposizione -il diritto di ottenere una remunerazione adeguata. 
37. -La Commissione, dal canto suo, sostiene che, bench� le disposizioni di cui 
trattasi sanciscano un obbligo chiaro e preciso, il cui contenuto � il versamento di 
una somma di denaro a titolo di retribuzione del lavoro subordinato svolto nei centri 
universitari o ospedalieri a tal fine autorizzati dalle competenti autorit� nazionali, il 
legislatore comunitario ha implicitamente delegato agli enti competenti degli Stati 
membri o ai contratti collettivi nazionali la fissazione dei livelli di remunerazione 

PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZ�ONALE 

�adeguati� alla quantit� e qualit� delle attivit� dei medici specializzandi, cosicch� 
tale elemento non risponde al requisito del carattere incondizionato. 

38. -A tal fine, � pacifico che la direttiva �riconoscirriento� � volta, in 
particolare, al reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli di 
medico specialista e che, per consentire agli Stati membri di procedere al detto 
reciproco riconoscimento in modo da collocare tutti i professionisti cittadini degli 
Stati membri su un piano di parit� all'interno della Comunit�, la direttiva 
�coordinamento� prevede una certa armonizzazione dei presupposti relativi alla 
formazione e all'accesso alle diverse specializzazioni mediche. 
39. -Tra le norme minime relative alla formazione dei medici specialisti 
rientrano in particolare quelle attinenti alla durata minima della formazione 
specializzata, alle modalit� di insegnamento e al luogo in cui esso deve svolgersi, al 
controllo di cui dev'essere oggetto nonch� alla necessit� che sia versata una 
remunerazione adeguata. 
40. -Quanto all'osservanza delle norme mimme di formazione, occorre 
rilevare che il legislatore comunitario, insistendo sulla durata minima della 
formazione specialistica nonch� sul fatto che essa deve svolgersi a tempo pieno, ha 
ritenuto che il livello della formazione dei medici specialisti non dovesse essere 
compromesso dal parallelo esercizio, a titolo privato, di un'attivit� professionale 
retribuita. � per tale ragione che la direttiva 82/76 prevede l'obbligo di retribuire i 
periodi di formazione relativi alle specializzazioni mediche. 
41. -Quest'ultimo obbligo � pertanto interamente connesso all'osservanza dei 
presupposti per la formazione dei medici specialisti, presupposti che consentono 
agli Stati membri di procedere al reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati e 
altri titoli di medico specialista in conformit� alla direttiva �riconoscimento�. 
42. -Risulta pertanto dal sistema del reciproco riconoscimento dei diplomi, 
certificati e altri titoli di medico specialista che lo Stato membro in cui la formazione 
dei medici specialisti � effettuata deve garantire che essa soddisfi tutte le condizioni 
previste dalle direttive �coordinamento� e 82/76 e che i medici specializzandi 
percepiscano una remunerazione. 
43. -In assenza di una siffatta garanzia, infatti, le autorit� degli altri Stati 
membri non possono fare affidamento sull'equivalenza della normativa dello Stato 
membro interessato in materia di formazione dei medici specialisti, il che contrasta 
con l'obiettivo delle direttive �riconoscimento�, �Coordinamento� e 82/76. 
D'altronde, qualora uno Stato membro non subordini il conseguimento dei diplomi, 
certificati e altri titoli di medico specialista ai presupposti di formazione previsti 
dalle direttive �coordinamento� e 82/76, i medici specialisti che hanno seguito tale 
formazione non rientrano nella categoria di coloro che possano giovarsi del sistema 
del reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati e altri titoli istituito dalie 
direttive �riconoscimento�, �coordinamento� e 82/76. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

68 

44. -In tale contesto l'art. 2, n. 1, lett. e), nonch� il punto 1 dell'allegato della 
direttiva �coordinamento�, come modificata dalla direttiva 82/76, impongono agli 
Stati membri, per quanto riguarda i medici legittimati a fruire del sistema del 
reciproco riconoscimento, di retribuire i periodi di formazione relativi alle 
specializzazioni mediche, ove esse rientrino nell'ambito d'applicazione della 
direttiva. Il detto obbligo �, in quanto tale, incondizionato e sufficientemente preciso. 
45. -� pacifico, tuttavia, che le direttive �Coordinamento� e 82/76 non 
contengono alcuna definizione comunitaria della remunerazione da considerarsi 
adeguata, n� dei metodi di fissazione di tale remunerazione. Definizioni del genere 
rientrano, in via di principio, nella competenza degli Stati membri che devono, in 
tale settore, adottare specifici provvedimenti di attuazione. 
46. -Da ultimo, per quanto riguarda l'identificazione dell'istituzione cui 
compete il versamento della remunerazione adeguata, � giocoforza rilevare, come fa 
la Commissione, che n� la direttiva �coordinamento� n� la direttiva 82/76 
identificano il debitore tenuto a retribuire i periodi di formazione relativi alle 
specializzazioni mediche e che, di conseguenza, gli Stati membri dispongono di 
un'ampia discrezionalit� in merito. 
47. -Ci� considerato, l'art. 2, n. 1, lett. e), nonch� il punto 1 dell'allegato della 
direttiva �coordinamento�, come modificata dalla direttiva 82/76, non sono in 
proposito incondizionati. Essi non consentono infatti al giudice nazionale di 
identificare il debitore tenuto al versamento della remunerazione adeguata, n� 
l'importo di quest'ultima. 
48. -Giova ricordare tuttavia che, conformemente ad una giurisprudenza 
costante fin dalla sentenza 10 aprile 1984, causa 14/83, Von Colson e Kamann 
(Racc., 1891, punto 26), l'obbligo degli Stati membri, derivante da una direttiva, di 
conseguire il risultato da questa contemplato come pure il dovere loro imposto 
dall'art. 5 del Trattato di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a 
garantire l'adempimento di tale obbligo valgono per tutti gli organi degli Stati 
membri, ivi compresi, nell'ambito di loro competenza, quelli giurisdizionali. Come 
risulta dalla costante giurisprudenza della Corte, nell'applicare il diritto nazionale, e 
in particolare le disposizioni di una legge che -come nella causa a qua -sono 
state introdotte specificamente al fine di garantire la trasposizione di una direttiva, 
il giudice nazionale deve interpretare il proprio diritto nazionale quanto pi� possibile 
alla luce della lettera e dello scopo della direttiva onde conseguire il risultato 
perseguito da quest'ultima e conformarsi pertanto all'art. 189, terzo comma, del 
Trattato CE (v. sentenze 13 novembre 1990, causa C-106/89, Marleasing, Racc., 
I-4135, punto 8, e 16 dicembre 1993, causa C-334/92, Wagner Miret, Racc., 1-6911, 
punto 20). 
49. -In queste condizioni, spetta al giudice a quo valutare in quale misura 
l'insieme delle disposizioni nazionali -pi� in particolare, per il periodo successivo 
alla loro entrata in vigore, le disposizioni di una legge promulgata al fine di trasporre 

PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

la direttiva 82/76 -possa essere interpretato, fin dall'entrata in vigore di tali norme, 
alla luce della lettera e dello scopo della direttiva, al fine di conseguire il risultato 
da essa voluto. 

50. -Nella fattispecie, spetta quindi al giudice di rinvio, sulla scorta delle 
considerazioni che precedono, accertare se l'importo della remunerazione adeguata 
e l'istituzione tenuta al pagamento possano essere determinati sulla base 
dell'insieme delle disposizioni di diritto nazionale. 
51. -Il governo italiano e la Commissione hanno inoltre esaminato l'eventuale 
responsabilit� dello Stato italiano per i danni derivanti dalla violazione degli 
obblighi impostigli dalla direttiva 82/76. 
52. -In assenza di una questione pregiudiziale sul punto, � sufficiente 
ricordare come la Corte abbia ripetutamente dichiarato che, nel caso in cui il 
risultato prescritto da una direttiva non possa essere conseguito mediante 
interpretazione, il diritto comunitario impone agli Stati membri di risarcire i danni 
causati ai singoli dalla mancata attuazione di una direttiva purch� siano soddisfatte 
tre condizioni, vale a dire che la norma violata abbia lo scopo di attribuire diritti a 
favore dei singoli il cui contenuto possa essere identificato, che la violazione sia 
sufficientemente grave e che esista un nesso di causalit� diretta tra la violazione 
dell'obbligo imposto allo Stato e il danno subito dai soggetti lesi (v., in particolare, 
sentenze 14 luglio 1994, causa C-91/92, Faccini Dori, Racc., I-3325, punto 27, e 
8 ottobre 1996, cause riunite C-178/97, C-179/94 e da C-188/94 a C-190/94, 
Dillenkofer e a., Racc., I-4845, punti 21 e 23). 
53. -In proposito la Corte, nella sentenza 10 luglio 1997, cause riunite C-94/95 
e C-95/95, Bonifaci e a. (Racc., I-3969), ha dichiarato che l'applicazione retroattiva 
e completa delle misure di attuazione di una direttiva permette di rimediare alle 
conseguenze pregiudizievoli della tardiva attuazione di tale direttiva, a condizione 
che la direttiva stessa sia stata regolarmente recepita. Tuttavia, spetta al giudice 
nazionale far s� che il risarcimento del danno subito sia adeguato. Un'applicazione 
retroattiva, regolare e completa delle misure di attuazione della direttiva sar� a tal 
fine sufficiente, a meno che i beneficiari non dimostrino l'esistenza di danni ulteriori 
da essi eventualmente subiti per non aver potuto fruire a suo tempo dei vantaggi 
pecuniari garantiti dalla direttiva e che dovrebbero quindi essere anch'essi risarciti. 
54. -Alla luce di quanto sopra, la questione sollevata va risolta nei seguenti 
termini: l'art. 2, n. 1, lett. e), nonch� il punto 1 dell'allegato della direttiva 
�coordinamento�, come modificata dalla direttiva 82/76, devono essere interpretati 
nel senso che: 
-l'obbligo di retribuire in maniera adeguata i periodi di formazione dei medici 
specialisti s'impone unicamente per le specialit� mediche comuni a tutti gli Stati 
membri o a due o pi� di essi e menzionate agli artt. 5 o 7 della direttiva 
�riconoscimento�; 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAt<Y 


-tale obbligo � incondizionato e sufficientemente preciso nella parte in cui 

richiede -affinch� un medico specialista possa avvalersi del sistema di reciproco 
riconoscimento istituito dalla direttiva �riconoscimento� -che la sua formazione I�. 
si sv@lga a tempo pieno e sia retribuita. . 

-ildetto obbligo non consente tuttavia, .di per s�, al giudice nazionale di identificare ~ 

il debitore tenuto a versare la remunerazione adeguata, n� l'importo della stessa. 

Il giudice nazionale � tenuto tuttavia, allorch� applica disposizioni di diritto 
nazionale precedenti o successive ad una direttiva, ad interpretarle, quanto pi� 
possibile, alla luce della lettera e dello spirito della direttiva stessa. 

Sulle spese 

55. -Le spese sostenute dai governi italiano e spagnolo, nonch� dalla 
Commissione, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo 
a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento 
costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi 
statuire sulle spese (omissis). 
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Plenum, 16 marzo 1999, 
nella causa C-159/97 -Pres. Rodriguez Iglesias -Rei. Jann -Avv. Gen. L�ger Domanda 
di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte di cassazione italiana 
nella causa Trasporti Spedizioni Internazionali Castelletti S.p.A. c. Hugo 
Trumpy S.p.A. Interv.: Governi italiano (avv. Stato Fiumara e G. Aiello) e del 
Regno unito ( ag. Lindsey Nicoll e Collins) e Commissione delle C.E. ( ag. 
Buhiges e de March). 

Comunit� europee -Convenzione di Bruxelles sulla competenza giurisdizionale 
e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale -Clausola 
attributiva di competenza -Forma ammessa dagli usi del commercio 
internazionale. 
(Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968, e succ. mod. rat. in Italia con legge 21 giugno 
1971, n. 804, art. 17). 

L'art. 17, primo comma, seconda frase, terza ipotesi, della Convenzione 
27 settembre 1968, concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle 
decisioni in materia civile e commerciale, come modificata dalla convenzione 
9 ottobre 1978 relativa all'adesione del Regno di Danimarca, del!' Irlanda e del Regno 
Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, deve essere interpretato nel modo 
seguente: 1) Il consenso dei contraenti alla clausola attributiva di competenza si 
presume esistente se un siffatto comportamento corrisponde a un uso vigente nel 
settore del commercio internazionale in cui operano le parti di cui trattasi e se queste 
ultime conoscevano quest'uso o avrebbero dovuto conoscerlo. 2) L'esistenza di un 


PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

71 

uso, che deve essere accertata nel settore commerciale in cui i contraenti esercitano 
la loro attivit�, � dimostrata quando un determinato comportamento � generalmente 
e regolarmente osservato dagli operatori attivi in tale settore in sede di stipula di 
contratti di un determinato tipo. Non � necessario che sia dimostrata l'esistenza di 
siffatto comportamento in determinati paesi, n�, in particolare, in tutti gli Stati 
contraenti. Non si pu� sistematicamente esigere una determinata forma di pubblicit�. 
Il fatto che un comportamento che presenti gli elementi costitutivi di un uso sia 
contestato in sede giudiziale non � sufficiente a fargli perdere detta qualit�. 3) I 
requisiti concreti che implica la nozione di <eforma ammessa� devono essere 
esclusivamente valutati con riferimento agli usi commerciali del settore considerato 
del commercio internazionale, senza tenere conto dei requisiti particolari che possano 
essere previsti dalle disposizioni nazionali. 4) La conoscenza dell'uso deve essere 
valutata in capo alle parti originarie della Convenzione attributiva di competenza, 
senza che ai fini di questo esame abbia rilevanza la loro nazionalit�. Tale conoscenza 
� dimostrata, indipendentemente da qualsiasi forma specifica di pubblicit�, allorch�, 
nel settore commerciale nel quale operano le parti, un determinato comportamento � 
generalmente e regolarmente osservato in sede di stipula di un certo tipo di contratti, 
cos� da poter essere considerato una prassi consolidata. 5) L'elezione del foro in una 
clausola attributiva di competenza pu� essere valutata solo in base a considerazioni 
che siano collegate ai requisiti previsti dall'art. 17 della Convenzione 27 settembre 
1968. Considerazioni relative ai collegamenti tra il foro prescelto e il rapporto 
controverso, alla fondatezza della clausola e alle norme sostanziali in vigore dinanzi 
al foro prescelto sono estranee a tali requisiti (1). 

(1) La clausola attributiva della competenza nelle polizze di carico. 
La Corte di giustizia CE, con una decisione che si segnala per pragmatismo e precisione, torna 
a pronunciarsi sull'interpretazione dell'art. 17 della convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 
concernente la competenza giurisdizionale e I'esecuzione delle decisioni in materia civile e 
commerciale, soffermandosi in particolare modo sulla parte della richiamata disposizione modificata 
dalla convenzione del 1978 (1) e successivamente da quella di San Sebastian del 1989 (2). 

L'art. 17 nel suo attuale tenore riconosce infatti anche la validit� delle clausole attributive 
della competenza ove stipulate nel commercio internazionale �in una forma ammessa da un uso 
che le parti conoscevano od avrebbero dovuto conoscere e che in tale campo, � ampiamente 
conosciuto e regolarmente rispettato dalle parti di contratti dello stesso tipo nel ramo commerciale 
considerato�. Con la modifica introdotta nel 1978 si � dunque ammessa la possibilit� di inserire 
nel contratto una clausola d'attribuzione della competenza indipendentemente da un'effettiva 
adesione volontaria della parte che non ha predisposto tale clausola. 

Nel vaglio dei ben quattordici quesiti posti dal giudice remittente (3), la Corte di giustizia 
ha proceduto al loro esame attenendosi strettamente ai limiti del proprio sindacato al cui ambito 

(1) Convenzione del 9 ottobre 1978 relativa all'adesione del Regno di Danimarca, dell'Irlanda e del 
Regno Unito di Gran Bretagna ed Irlanda del Nord. 
(2) Convenzione del 26 maggio 1989 relativa all'adesione del Regno di Spagna e della Repubblica 
portoghese. 
(3) Chiamato a pronunciarsi sull'opponibilit� al terzo destinatario della merce di una clausola della 
polizza di carico stipulata tra il caricatore ed il vettore che prevedeva la competenza del giudice inglese a 
conoscere delle controversie relative all'esecuzione del contratto di trasporto. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

72 

(omissis). 

1. -Con ordinanza in data 24 ottobre 1996, pervenuta alla Corte il 25 aprile 
1997, la Corte suprema di cassazione ha proposto, a norma del Protocollo 
3 giugno 1971 relativo all'interpretazione da parte della Corte di giustizia della 
Convenzione 27 settembre 1968, concernente la competenza giurisdizionale e 
l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, quattordici questioni 
relative all'interpretazione dell'art. 17 della Convenzione 27 settembre 1968, cit. 
(GU 1972, L 299, 32), come modificata dalla convenzione 9 ottobre 1978 relativa 
all'adesione del Regno di Danimarca, dell'Irlanda e del Regno Unito di Gran 
Bretagna e Irlanda del Nord (GU L 304, 1, e -testo modificato -77; in prosieguo: 
la �Convenzione�). 
2. -Tali questioni sono state poste nell'ambito di una controversia, relativa 
al risarcimento di un danno asseritamente provocato in occasione delle 
operazioni di scarico di merci trasportate sotto diverse polizze dall'Argentina in 
Italia, che vede opposte la Trasporti Castelletti Spedizioni Internazionali SpA (in 
prosieguo: la �Castelletti�), con sede in Milano, alla quale sono state consegnate 
le merci, e la Hugo Trumpy SpA (in prosieguo: la �Trumpy� ), con sede in 
Genova, nella qualit� di agente raccomandatario della nave e del vettore 
Lauritzen Reefers A/S (in prosieguo: la �Lauritzen� ), avente sede in 
Copenaghen. 
risulta estranea qualunque valutazione delle norme del diritto interno rilevanti nella materia trattata 
e delle circostanze di fatto da cui muoveva la controversia instaurata avanti al Giudice italiano. 

Vale tuttavia la pena di soffermarsi su taluni aspetti che, pur non essendo espressamente 
richiamati nella decisione che si commenta, possono essere utili ad una sua migliore 
comprensione anche in relazione ai principi civilistici invocati dalla Corte di cassazione 
remittente con riferimento alla questione esaminata. 

Il giudice di legittimit� aveva infatti qualificato come �normativo� l'uso da cui discende la 
clausola derogatoria della competenza in quanto lo stesso sarebbe efficace a prescindere dalla 
volont� delle parti. 

Questo presupposto argomentativo non sembra tuttavia condivisibile anche tenendo conto 
dell'attenuazione delle prescrizioni in materia di forma nel commercio internazionale derivanti 
dalla nuova versione dell'art. 17 della convenzione di Bruxelles. 

La validit� della proroga della competenza ( 4) non pu� infatti mai prescindere 
dall'accertamento dell'accordo di volont�. Non avrebbe senso altrimenti l'indagine, pur prescritta 
dalla norma in commento, circa la conoscenza o la conoscibilit� dell'uso come presupposto per 
l'efficacia tra le parti della forma della clausola derogatoria della competenza utilizzata in 
concreto. 

In sede di redazione della convenzione originaria del 1968 il Comitato redigente si era del 
resto preoccupato di non porre ostacoli agli usi commerciali, pur neutralizzando gli effetti delle 
clausole che rischiano di passare inosservate, senza per� cadere in un formalismo eccessivo e non 
confacente alla prassi commerciale (5). 

(4) Come chiarisce sul punto il Prof. Shlosser nell'omonima relazione sulle modifiche alla convenzione 
di Bruxelles introdotte nel 1978. 
(5) Cos� la relazione Jenard sulla convenzione in G.U.C.E. n. C-59 del 5 marzo 1979, 37. 

PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

73 

La Convenzione 

3. -L'art. 17, primo comma, prima e seconda frase, della Convenzione dispone: 
�qualora le parti, di cui almeno una domiciliata nel territorio di uno Stato 
contraente, abbiano convenuto la competenza di un giudice o dei giudici di uno 
Stato contraente a conoscere delle controversie, presenti o future, nate da un 
determinato rapporto giuridico, la competenza esclusiva spetta al giudice o ai 
giudici di quest'ultimo Stato contraente. Questa clausola attributiva di competenza 
deve essere conclusa sia per iscritto, sia verbalmente con conferma scritta, sia, nel 
commercio internazionale, in una forma ammessa dagli usi in questo campo e che 
le parti conoscevano od avrebbero dovuto conoscere�. 

4. -Si deve rilevare che tale redazione � stata modificata, successivamente ai 
fatti all'origine della causa a qua, dalla convenzione 26 maggio 1989 relativa 
all'adesione del Regno di Spagna e della Repubblica portoghese (GU L 285, 1). 
L'art. 17, primo comma, dispone attualmente: 
�qualora le parti, di cui almeno una domiciliata nel territorio di uno Stato 
contraente, abbiano convenuto la competenza di un giudice o dei giudici di uno 
Stato contraente a conoscere delle controversie, presenti o future, nate da un 
determinato rapporto giuridico, la competenza esclusiva spetta al giudice o ai 

In relazione alla nuova formulazione dell'art. 17 di cui alla convenzione del 1978, il 
Comitato redigente aveva poi rilevato che il commercio internazionale non pu� fare a meno di 
clausole standard anche attributive di competenza, sicch� si era reso necessario attenuare le prescrizioni 
in materia di forma, ma aveva avvertito che si trattava �come � da sottolineare espressamente, 
solo di un'attenuazione delle esigenze di forma� in quanto �l'esistenza di un accordo di 
volont� quanto all'inclusione nel contratto di condizioni contrattuali generali e di alcune delle 
loro clausole deve sempre essere provata� (6). 

Attraverso il meccanismo della presunzione (7), i comportamenti degli operatori economici, 
quando sono conformi a prassi proprie di un determinato settore del commercio internazionale, 
assumono quindi la rilevanza di comportamenti concludenti e cio� univocamente significativi 
della conforme volont� che le parti del contratto intendevano esprimere al momento della sua 
stipulazione (8). Tale interpretazione � stata peraltro condivisa dalla stessa Corte di giustizia con 
la decisione 20 febbraio 1997, causa C-106/95, MSG (9), emessa successivamente alla decisione 
di rimessione della Corte di cassazione delibata nel caso di specie. 

(6) Si veda in proposito la relazione Shlosser cit. e le decisioni della Corte di giustizia 14 dicembre 
1976, causa C-24176 Estasis Salotti in Foro it. 1977, IV, 133 e 10 marzo 1992 causa C-214/89, Duffryn (in 
Racc., 1769). 
(7) Che si ritiene juris tantum visto che ammette la prova contraria. 
(8) La riconducibilit� della clausola derogatoria della competenza alla volont� delle parti anche nella 
fattispecie esaminata � del resto sostenuta anche nelle conclusioni dall'Avvocato generale Leger che, 
rifacendosi sul punto alla Relazione Jenard sulla Convenzione del 27 settembre 1968 ed alle precedenti 
decisioni della Corte di Giustizia Tilly Russ del 19 giugno 1984 in questa Rassegna, 1984, 917, Estasis 
Salotti e Segoura e 6 maggio 1980, causa 784179 Porta Leasing (Racc., 1517), ne correla l'efficacia alla 
conoscenza dell'uso ed all'adesione tacita da parte dell'operatore commerciale. 
(9) In Racc., 1-911. 

RASSEGNA AVVOCATIJRA DELLO STATO

74 

giudici di quest'ultimo Stato contraente. Questa clausola attributiva di competenza 
deve essere conclusa: 

a) per iscritto o verbalmente con conferma scritta, o; 
b) in una forma ammessa dalle pratiche che le parti hanno stabilito tra loro, o; 
e) nel commercio internazionale, in una forma ammessa da un uso che le 


parti conoscevano o avrebbero dovuto conoscere e che, in tale campo, � ampiamente 
conosciuto e regolarmente rispettato dalle parti di contratti dello stesso tipo nel ramo 
commerciale considerato� (omissis). 

(omissis). 

13. -Si deve, in via preliminare, ricordare che la Corte ha stabilito nella 
sentenza 14 dicembre 1976, causa 24/76, Estasis Salotti (Racc., 1831, punto 9), 
che, mentre il semplice fatto che a tergo del contratto redatto su moduli 
predisposti da una delle parti sia stampata una clausola attributiva di 
competenza non soddisfa i requisiti stabiliti dall'art. 17, la situazione � diversa 
nel caso in cui nello stesso contratto firmato da entrambe le parti siano 
espressamente richiamate condizioni generali contenenti una clausola attributiva 
di competenza. 
Si pu� dunque ritenere che l'uso richiamato dall'art. 17 abbia natura di uso negoziale che, 
attribuendo rilevanza ad una determinata forma di individuazione del giudice competente a conoscere 
delle controversie insorte relativamente al rapporto contrattuale presupposto dalla polizza 
di carico, agisce sul contenuto del contratto stesso finendo per avere la medesima efficacia propria 
delle altre disposizioni negoziali. 

La posizione del giratario della polizza di carico, che, come noto, subentra nei diritti e negli 
obblighi del caricatore, in relazione all'attribuzione di competenza dovr� dunque essere definita 
alla stregua del diritto nazionale regolante la circolazione della polizza. Ne consegue che se tale 
diritto stabilisce la successione del giratario in tutti i diritti ed obblighi nascenti dal titolo nei 
confronti del girante il primo dovr� ritenersi vincolato alla designazione del giudice concordata 
dalle parti originarie (vettore e caricatore). Se quindi una clausola derogatoria della competenza 
viene unilateralmente inserita nella polizza di carico conformemente ad un uso del commercio 
internazionale, il giratario rimarr� vincolato a tale attribuzione di competenza. 

Pur trattandosi di un uso negoziale si deve inoltre ritenere che la collocazione del suo 
richiamo nell'ambito della convenzione di Bruxelles, gli attribuisca una potenziale efficacia 
derogatoria, non solo delle nonne legislative dispositive, ma anche di quelle imperative nel novero 
delle quali rientrano gli art. 1340 e 1341 codice civile che, come noto, individuano le condizioni 
generali di contratto che necessitano a pena d'inefficacia della specifica approvazione scritta. 

In relazione a siffatta natura l'esistenza dell'uso nonch� della sua conoscenza o della sua 

colpevole ed inescusabile ignoranza dovr� pertanto essere sempre allegata e provata da chi 

intende valersene. 

Con riferimento alla forma attraverso la quale la clausola derogatoria della competenza deve 
essere manifestata la Corte di giustizia, riproponendo l'interpretazione dell'art. 17 gi� propugnata 
in altre occasioni (10), invita il giudice remittente a determinare la �forma ammessa� (rilievo 
grafico della clausola e lingua nella quale � espressa) con riferimento agli usi commerciali del 
settore considerato. 

(10) Sentenza Elefanten Schuh 24 giugno 1981, causa C-150/80 (Racc., 1671). 

PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

75 

14. -Va pure ricordato che, tenuto conto della ripartizione delle competenze nel 
contesto del procedimento pregiudiziale previsto dal Protocollo 3 giugno 1971, 
relativo all'interpretazione da parte della Corte di giustizia della Convenzione, 
spetta esclusivamente al giudice nazionale definire l'oggetto delle questioni che egli 
intende sottoporre alla Corte. Infatti, secondo la costante giurisprudenza, spetta 
esclusivamente al giudice nazionale adito, che si assume la responsabilit� della 
decisione, valutare, alla luce delle peculiarit� di ciascuna causa, tanto la necessit� di 
una pronuncia pregiudiziale ai fini del giudizio quanto la rilevanza delle questioni 
sottoposte alla Corte (v. sentenze 27 febbraio 1997, causa C-220/95, Van den 
Boogaard, Racc., 1-1147, punto 16; e 20 marzo 1997, causa C-295/95, Farrell,Racc., 
1-1683, punto 11). 
15. -Come risulta dalla formulazione delle questioni poste, il giudice a quo 
chiede esclusivamente che vengano pre�isati quattro elementi che condizionano la 
validit� di una clausola attributiva di competenza stipulata in una forma ammessa 
dagli usi, terza ipotesi dell'art. 17, primo comma, della Convenzione, vale a dire: 
-il consenso delle parti riguardo alla clausola (prima questione); 
-la nozione di uso del commercio internazionale (nona, quarta, quinta e ottava 
questione); 

Al di l� quindi delle ipotesi della stipulazione della clausola in forma scritta o per via 
orale (confermata successivamente in forma scritta) tutte le altre forme eventualmente contemplate 
dagli usi vigenti nel commercio internazionale possono avere rilievo solo in quanto 
ad essi conformi. 

Il richiamo all'uso deve essere effettuato per relationem posto che gli Stati contraenti non 
hanno la facolt� di prescrivere requisiti di forma diversi da quelli stabiliti dalla convenzione e, nel 
caso di specie, dall'uso a cui questa rimanda, anche solo in funzione di completamento del 
precetto in esame, perch�, altrimenti, si finirebbe per violare la convenzione stessa. Ne consegue 
che, una volta individuato l'uso vigente a cui le parti si sono conformate, � solo con riferimento 
a quest'ultimo che il giudice potr� trarre elementi di convincimento per individuare la �forma 
ammessa�. 

Questa, se conforme all'uso, potr� perci� derogare anche alle eventuali norme imperative 
vigenti negli ordinamenti degli Stati contraenti che, a loro volta, non possono vanificare gli usi ai 
quali si riferisce l'art. 17, con disposizioni legislative nazionali che prescrivono ulteriori requisiti 
di forma. 

A questo proposito occorre rilevare che la Corte di cassazione, ponendo il quesito relativo 
alla compatibilit� della clausola di proroga della competenza ha sorprendentemente contraddetto 
un indirizzo interpretativo ormai consolidato nel senso della non necessariet� della preventiva 
approvazione in forma scritta della clausola in questione (11). Il giudice di legittimit� � tornato 
per� di recente a ribadire questa impostazione ermeneutica avendo affermato che la proroga della 
competenza non necessita dell'apposita approvazione in forma scritta di cui all'art. 1341 codice 
civile anche nel caso previsto dalla nuova versione dell'art. 17 della convenzione (12). Risulta 
pertanto pacifico, secondo le pi� recenti conclusioni a cui � pervenuto il giudice remittente, che, 

(11) Cass. SS.UU. 11 dicembre 1987, n. 9210; 6 luglio 1991, n. 7473; 19 dicembre 1994, n. 10910. 
(12) Cass. SS.UU. 10 marzo 1998, n. 2642. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO' 

76 

-la nozione di forma ammessa (seconda, undicesima e decima questione); e 
-la conoscenza delle parti riguardo all'uso (tredicesima, quattordicesima e !.:

I 


~'

dodicesima questione). Ifj 

16. -Da tali questioni risulta del pari che il giudice a quo si interroga circa 
l'esistenza, riguardo all'art. 17 della Convenzione, di eventuali limiti quanto I 
all'elezione del foro (terza, settima e sesta questione). 
I Sulla prima questione, relativa al consenso delle parti riguardo alla clausola 
attributiva di competenza 

17. -Con la prima questione il giudice a quo chiede, in sostanza, se l'art. 17 
della Convenzione, nella sua redazione risultante dalla convenzione d'adesione 
9 ottobre 1978, nella parte in cui si riferisce alla nozione di �usi� impiegando nel 
contempo il termine �conclusa�, presupponga necessariamente che venga accertato 
il �onsenso delle parti alla clausola attributiva di competenza. 
18. -Al riguardo, si deve ricordare che la formulazione iniziale dell'art. 17 
subordinava la validit� di una clausola attributiva di competenza all'esistenza di una 
convenzione scritta, o di una convenzione orale confermata per iscritto, e che, al fine di 

anche una disposizione tipicamente imperativa come quella contenuta nell'art. 1341 codice civile, 
pu� essere derogata dall'uso negoziale che integra il contratto tra vettore e caricatore in 
base alla forza precettiva della convenzione internazionale dalla quale � previsto. Questa conclusione 
non ha tuttavia attenuato il rigore con il quale la Corte di cassazione valuta di volta 
in volta se esistano serie garanzie di adesione alla clausola da parte del contraente che non l'ha 
predisposta. 

Degna di rilievo appare anche quella parte della decisione che si commenta nella quale la 
Corte di giustizia fornisce elementi ermeneutici per l'accertamento dell'esistenza di un uso 
commerciale allo scopo di garantire un'applicazione uniforme della convenzione in tutti gli 
Stati contraenti. 

Le nozioni della convenzione suscettibili di essere interpretate diversamente da un 
ordinamento all'altro devono essere infatti interpretate in modo autonomo alla luce soprattutto del 
sistema e delle finalit� della convenzione medesima (13). 

Per quanto concerne il procedimento di formazione dell'uso, la Corte di giustizia si richiama 
anzitutto alla decisione del 20 febbraio 1997 emessa nella causa C-106/95 cit., nella quale aveva 
affermato che �esiste un uso nel ramo commerciale interessato, quando, segnatamente, un 
determinato comportamento � generalmente e regolarmente osservato dagli operatori in tale 
ramo, in sede di stipula di contratti di un determinato tipo� (14). 

(13) Sentenza Benincasa che rinvia in particolare alle sentenze 21 giugno 1978, causa Bertrand (Racc., 
1431) e 19 gennaio 1993, causa c-89/91 Shearson Lehman Hutton (Racc., 1-139). 
(14) Quest'approccio appare conforme a quello seguito dalla citata Convenzione di San Sebastian del 
1989 che ha precisato che l'uso al quale si fa riferimento deve essere nel commercio internazionale 
�ampiamente conosciuto e regolarmente rispettato dalle parti di contratti dello stesso tipo nel ramo 
commerciale considerato�. 

PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

77 

tener conto degli usi particolari e delle esigenze del commercio internazionale, la 
convenzione di adesione 9 ottobre 1978 ha introdotto nell'art. 17, primo comma, 
seconda frase, della Convenzione, una terza ipotesi, la quale prevede, nel commercio 
internazionale, la valida stipulazione di una clausola attributiva di competenza in una 
forma ammessa dagli usi in questo campo che le parti conoscevano o avrebbero dovuto 
conoscere (sentenza 20 febbraio 1997, causa C-106/95, MSG, Racc., 1-911, punto 16). 

19. -Nella sentenza MSG, cit., punto 17, la Corte ha stabilito che, nonostante 
la semplificazione introdotta nell'art. 17, il consenso degli interessati resta sempre 
uno degli scopi di tale disposizione, giustificato dall'esigenza di tutelare il 
contraente pi� debole, evitando che clausole attributive di competenza, inserite nel 
contratto da una sola delle parti, passino inosservate. 
20. -La Corte ha tuttavia aggiunto che la modifica apportata all'art. 17 
consente di presumere che l'esistenza di tale accordo sia dimostrata quando esistono 
al riguardo usi commerciali nel settore considerato del commercio internazionale, 
usi che le medesime parti conoscevano o avrebbero dovuto conoscere (sentenza 
MSG, cit., punti 19 e 20). 
21. -Occorre quindi rispondere al primo quesito che l'art. 17, primo comma, 
seconda frase, terza ipotesi, della Convenzione deve essere interpretato nel senso 
Ne consegue che l'onere della prova, che si riferisce ovviamente al contenuto dell'uso e non 
alla sua efficacia che discende automaticamente dalla Convenzione, dovr� essere commisurato 
all'id quod plerumque accidit in un certo settore commerciale e tra le parti che in esso operano (15). 

Sotto questo profilo mette conto rilevare che, proprio in quanto l'art. 17 intende semplificare 
al massimo gli scambi commerciali attenuando i requisiti di forma della clausola derogatoria della 
competenza, non si pu� subordinare la vigenza dell'uso alla sua inclusione in una raccolta, sia 
perch� non esiste a livello internazionale un'autorit� a ci� deputata, sia perch� il suo accertamento 
dipende dall'indagine giudiziaria. Sicch� l'eventuale pubblicit� dell'uso potr� costituire solo un 
argomento di prova circa la sua sussistenza e come tale sar� liberamente apprezzabile dal giudice. 

La Corte di giustizia ha infine riaffermato che lo scopo della convenzione di Bruxelles � 
l'istituzione di regole uniformi di competenza giurisdizionale internazionale, sicch� ove ne 
ricorrano i presupposti le regole ivi contenute devono essere applicate a prescindere dal 
collegamento territoriale tra il rapporto giuridico controverso ed il giudice designato ed a 
prescindere anche dalla preventiva delibazione della loro fondatezza e validit�. Anche il vaglio di 
legittimit� e di ragionevolezza della clausola derogatoria della competenza deve pertanto ritenersi 
effettuato una volta per tutte al momento del recepimento nel diritto interno della convenzione da 
parte dello Stato contraente. Il liberalismo che caratterizza il sistema dell'art. 17, per il quale ogni 
convenzione attributiva della giurisdizione deve reputarsi in linea di principio ammissibile, � 
dunque incompatibile con un controllo puntuale sul contenuto della clausola. Sicch� una clausola 
formalmente valida non potr� essere messa in discussione perch� iniqua o non appropriata (16). 

GIACOMO AIELLO 

(15) Cfr. in tal senso LUCIA MAzZARINI, Questioni in tema di applicazione dell'art. 17 della 
Convenzione di Bruxelles, in Giust. Civ. 1996, 2065. 
(16) Relazione Kholer. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO' 

78 

che il consenso dei contraenti alla clausola attributiva di competenza si presume 
esistente se un siffatto comportamento corrisponde a un uso vigente nel settore del 
commercio internazionale in cui operano le parti di cui trattasi e se queste ultime 
conoscevano quest'uso o avrebbero dovuto conoscerlo. 

Sulle questioni nona, quarta, quinta e ottava, relative alla nozione di uso del 

commercio internazionale 

22. -Con tali questioni il giudice a quo chiede, in sostanza, quali siano i paesi 
nei quali debba essere constatata l'esistenza di un uso, come si formi il consenso su 
quest'ultimo, di quali forme di pubblicit� esso debba essere oggetto e quali siano le 
conseguenze da ricavare, riguardo all'esistenza di un uso in tale campo, da azioni 
che contestano la validit� di clausole attributive di competenza inserite in polizze. 
23. -Nella sentenza MSG, cit., punto 21, la Corte ha indicato che spetta al 
giudice nazionale, in primo luogo, valutare se il contratto di cui trattasi rientri 
nell'ambito del commercio internazionale e, in secondo luogo, verificare l'esistenza 
di un uso nel settore del commercio internazionale in cui gli interessati operano. 
24. -Riguardo al primo punto, � pacifico che, nella causa a qua, il contratto 
rientra nell'ambito del commercio internazionale. 
25. -Riguardo al secondo punto, la Corte ha precisato nella sentenza MSG, cit., 
punto 23, che l'esistenza di un uso non dev'essere determinata con riferimento alla 
legge di . uno degli Stati contraenti e non deve essere accertata in rapporto al 
commercio internazionale in generale, ma con riguardo al settore commerciale in 
cui i contraenti esercitano la loro attivit�. 
26. -La Corte ha del pari stabilito nella sentenza MSG, cit., punto 23, che esiste 
un uso nel settore commerciale interessato quando, segnatamente, un determinato 
comportamento � generalmente e regolarmente osservato dagli operatori in tale 
settore in sede di stipula di contratti di un determinato tipo. 

27. -Ne consegue che non � necessario che sia dimostrata l'esistenza di 
siffatto comportamento in determinati paesi n�, in particolare, in tutti gli Stati 
contraenti. La circostanza che una prassi sia generalmente e regolarmente osservata 
dagli operatori attivi nei paesi che occupano una posizione preponderante nel 
settore del commercio internazionale di cui trattasi pu� costituire un indizio che 
agevola la dimostrazione dell'esistenza di un uso. Il criterio decisivo resta tuttavia 
quello di accertare se il comportamento di cui trattasi sia generalmente e 
i~; 

regolarmente osservato dagli operatori nel settore del commercio internazionale nel 
quale sono attivi i contraenti. ~1 

w 
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28. -Non contenendo l'art. 17 della Convenzione alcuna indicazione riguardo !~ 
alle forme di pubblicit�, si deve considerare, come ha fatto l'avvocato generale nel 0 
paragrafo 152 delle sue conclusioni, che non si pu� esigere, per dimostrare ~ 
.. I 

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PARTE I, SEZ.Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

l'esistenza di un uso, l'eventuale pubblicit� che possa essere data presso 
associazioni o organismi specializzati ai formulari prestampati nei quali compaia la 
clausola attributiva di competenza, pur essendo tale pubblicit� idonea ad agevolare 
la prova di una prassi generalmente e regolarmente osservata. 

29. -Un comportamento che presenti gli elementi costitutivi di un uso non 
perde tale qualit� per il fatto di essere oggetto di contestazioni dinanzi ai tribunali, 
qualunque sia la portata di tali contestazioni, fintantoch� continui, ciononostante, ad 
essere generalmente e regolarmente osservato nel settore di attivit� considerato per 
il tipo di contratto di cui trattasi. Cos�, la circostanza che numerosi caricatori e/o 
giratari di polizze di carico abbiano contestato la validit� di una clausola attributiva 
di competenza agendo in giudizio dinanzi a giudici diversi da quelli designati non 
sarebbe idonea a far perdere all'inserimento di tale clausola in detti documenti la 
qualit� di uso, fintantoch� sia dimostrato che corrisponde ad una prassi 
generalmente e regolarmente osservata. 
30. -La nona, la quarta, la quinta e l'ottava questione vanno quindi risolte 
dichiarando che occorre interpretare l'art. 17, primo comma, seconda frase, terza 
ipotesi, della Convenzione come segue: 
l'esistenza di un uso, che deve essere accertata nel settore commerciale in cui 
i contraenti esercitano la loro attivit�, � dimostrata quando un determinato 
comportamento � generalmente e regolarmente osservato dagli operatori attivi in 
tale settore in sede di stipula di contratti di un determinato tipo; 

non � necessario che sia dimostrata l'esistenza di siffatto comportamento in 
determinati paesi n�, in particolare, in tutti gli Stati contr�enti; 

non si pu� sistematicamente esigere una determinata forma di pubblicit�; 

il fatto che un comportamento che presenti gli elementi costitutivi di un uso 

sia contestato in sede giudiziale non � sufficiente a fargli perdere detta qualit�. 

Sulle questioni seconda e decima, relative alla nozione di forma ammessa 

31. -Con la seconda questione il giudice a quo si interroga sui requisiti 
concreti che implica la nozione di �forma ammessa� ai sensi dell'art. 17 della 
Convenzione. Si chiede pi� in particolare se la clausola attributiva di competenza 
debba essere necessariamente contenuta in un atto scritto recante la sottoscrizione 
della parte che l'ha prevista, sottoscrizione a sua volta corredata di un riferimento 
alla clausola, se quest'ultima debba essere messa in evidenza rispetto alle altre 
clausole e se la lingua nella quale la clausola � redatta debba avere un nesso con la 
nazionalit� delle parti. 
32. -Con l'undicesima questione il giudice a quo si interroga sulle condizioni 
in presenza delle quali l'inserimento della clausola in questione su un modulo 
predisposto e non sottoscritto dalla parte non predisponente possa considerarsi 
eccessivamente oneroso per quest'ultima, ovvero abusivo. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STPITO 

80 

33. -Con la decima questione il giudice a quo si chiede se si possa ammettere 
che, nell'ambito dell'art. 17 della Convenzione, venga invocato un uso che 
derogherebbe alle disposizioni legislative imperative adottate da taluni Stati 
contraenti riguardo alla forma delle clausole attributive di competenza. 
34. -Si deve ricordare, a tale proposito, che nella sentenza 24 giugno 1981, 
causa 150/80, Elefanten Schuh (Racc., 1671, punto 25), la Corte ha giudicato che 
l'art. 17 stabilisce esso stesso, per garantire la certezza del diritto ed assicurare il 
consenso delle parti, i requisiti di forma che le clausole attributive di competenza 
devono possedere. 
35. -Ne consegue che la validit� di una clausola attributiva di competenza pu� 
essere subordinata al rispetto di un particolare requisito di forma solo se questo si 
ricolleghi ai requisiti di cui all'art. 17. 
36. Spetta al giudice nazionale riferirsi agli usi commerciali nel settore 
considerato del commercio internazionale per stabilire se, nella causa della quale � 
investito, il modo in cui materialmente si presenta la clausola attributiva di 
competenza, ivi compresa la lingua nella quale essa � redatta, e il suo inserimento 
in un modulo prestampato non sottoscritto dalla parte non predisponente siano 
conformi alle forme ammesse da tali usi. 
37. -Nella sentenza Elefanten Schuh, cit., punto 26, la Corte ha stabilito che gli 
Stati contraenti non hanno la facolt� di prescrivere requisiti di forma diversi da 
quelli previsti dalla Convenzione. 
38. -Gli usi ai quali si riferisce l'art. 17 non possono pertanto essere vanificati da 
disposizioni legislative nazionali che prescrivano il rispetto di ulteriori requisiti di forma. 
39. -Occorre quindi risolvere la seconda, l'undicesima e la decima questione 
dichiarando che l'art. 17, primo comma, seconda frase, terza ipotesi, della 
Convenzione deve essere interpretato nel senso che i requisiti concreti che implica 
la nozione di �forma ammessa� devono essere esclusivamente valutati con 
riferimento agli usi commerciali del settore considerato del commercio 
internazionale, senza tener conto dei requisiti particolari che possano essere previsti 
dalle disposizioni nazionali. 
Sulle questioni terza, quarta e dodicesima, relative alla conoscenza delle parti 
riguardo all'uso 

40. -Con tali questioni il giudice a quo chiede in sostanza, anzitutto, quale 
delle parti debba essere a conoscenza dell'uso e se la sua nazionalit� svolga un ruolo 
al riguardo; inoltre quale livello di conoscenza tale parte debba avere circa il detto 
uso e, infine, se debba essere data pubblicit�, e semmai in quale forma, ai formulari 
prestampati contenenti clausole attributive di competenza. 

PARTE I, SEZ.11, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZION'ALE 

41. -Quanto al primo aspetto, la Corte ha stabilito nella sentenza Tilly Russ, 
cit., punto 24, che, qualora la clausola attributiva di competenza inserita in una 
polizza di carico sia valida, ai sensi dell'art 17 della Convenzione, nel rapporto tra 
il caricatore ed il vettore, essa pu� essere invocata nei confronti del terzo portatore 
della polizza di carico, dal momento che questi subentra al caricatore nei suoi diritti 
ed obblighi in forza del vigente diritto nazionale. 
42. -Poich� la validit� della clausola alla luce dell'art. 17 dev'essere accertata 
nei rapporti tra le parti originarie, ne consegue che la conoscenza dell'uso deve 
essere valutata in capo alle parti, sen�:a che la loro nazionalit� abbia rilevanza ai fini 
di questo esame. 
43. -Quanto al secondo aspetto, dalla sentenza MSG, cit., punto 24, risulta che 
la conoscenza effettiva o presunta di un uso da parte dei contraenti pu� essere 
provata, in particolare, dimostrando che essi avevano in precedenza stretto rapporti 
commerciali tra di loro o con altre parti operanti nel settore considerato, o che, 
nell'ambito di quest'ultimo, un determinato comportamento � sufficientemente noto 
per il fatto di essere generalmente e regolarmente osservato in sede di stipula di un 
certo tipo di contratti, da poter essere considerato come una prassi consolidata. 
44. -Per quel che concerne il terzo aspetto, si deve considerare, tenuto conto 
del silenzio della Convenzione riguardo ai mezzi di prova che possono essere 
addotti per dimostrare la conoscenza di un uso, che l'eventuale pubblicit� data ai 
formulari prestampati contenenti clausole attributive di competenza presso 
associazioni o organismi specializzati, pur essendo atta ad agevolare la prova 
richiesta, non pu� costituire un mezzo di prova indispensabile a questo effetto. 
45. -Occorre quindi risolvere la tredicesima, la quattordicesima e la 
dodicesima questione dichiarando che l'art. 17, primo comma, seconda frase, terza 
ipotesi, della Convenzione va interpretato nel senso che la conoscenza dell'uso deve 
essere valutata in capo alle parti originarie della Convenzione attributiva di 
competenza, senza che ai fini di questo esame abbia rilevanza la loro nazionalit�. 
Tale conoscenza � dimostrata, indipendentemente da qualsiasi forma specifica di 
pubblicit�, allorch�, nel settore commerciale nel quale operano le parti, un 
determinato comportamento � generalmente e regolarmente osservato in sede di 
stipula di un certo tipo di contratti, cos� da poter essere considerato una prassi 
consolidata. 
Sulle questioni terza, settima e sesta, relative all'elezione del foro competente 

46. -Con tali questioni il giudice a quo si interroga sull'esistenza, riguardo 
all'art. 17 della Convenzione, di eventuali limiti quanto all'elezione del foro 
competente. Chiede se sia necessario che le parti eleggano un foro avente un 
qualsiasi nesso con la causa, se il giudice adito possa controllare la fondatezza della 
clausola nonch� l'obiettivo perseguito dalla parte che l'ha inserita e se la circostanza 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

82 

che le disposizioni sostanziali vigenti dinanzi al foro prescelto rechino una 
limitazione della responsabilit� di tale parte possa avere un'incidenza sulla validit� 
della clausola. 

47. -Occorre al riguardo ricordare che la Convenzione non riguarda le norme 
di diritto sostanziale (sentenza 13 novembre 1979, causa 25/79, Sanicentral, Racc., 
3423, punto 5), ma persegue l'istituzione di regole uniformi di competenza 
giurisdizionale internazionale (sentenza 3 luglio 1997, causa C-269/95, Benincasa, 
Racc., 1-3767, punto 25). 
48. -Come la Corte ha pi� volte rilevato, � conforme allo spirito di certezza del 
diritto che costituisce uno degli scopi della Convenzione la possibilit� per il giudice 
nazionale adito di pronunciarsi agevolmente sulla propria competenza in base alle 
regole della Convenzione, senza essere costretto a procedere all'esame della causa 
nel merito (sentenze 22 marzo 1983, causa 34/82, Peters, Racc., 987, punto 17; 
29 giugno 1994, causa C-288/92, Custom Made Commercial, Racc., 1-2913, punto 
20, e Benincasa, cit., punto 27). Nella sentenza Benincasa, cit., punti 28 e 29, la 
Corte ha precisato che tale esigenza di garantire la certezza del diritto grazie alla 
possibilit� di prevedere con sicurezza il foro competente � stata interpretata, 
nell'ambito dell'art. 17 della Convenzione, imponendo l'osservanza di rigorosi 
requisiti formali, essendo tale disposizione diretta a designare, in modo chiaro e 
preciso, il giudice di uno Stato membro contraente che abbia la competenza 
esclusiva conformemente alla volont� delle parti. 
49. -Ne consegue che l'elezione del foro competente pu� essere valutata solo 
alla luce di considerazioni che siano collegate ai requisiti previsti dal!' art. 17. 
50. -Per tali motivi la Corte ha pi� volte stabilito che l'art. 17 della 
Convenzione prescinde da qualsiasi legame oggettivo tra il rapporto giuridico 
controverso e il giudice designato (v. sentenze 17 gennaio 1980, causa 56/79, Zelger 
Racc., 89, punto 4; MSG, cit., punto 34, e Benincasa, cit., punto 28). 
51. -Per le medesime ragioni, in una situazione come quella di cui nella causa 
a qua, si deve escludere un ulteriore controllo della fondatezza della clausola 
nonch� dell'obiettivo perseguito dalla parte che l'ha inserita e non pu� essere 
accordata rilevanza, riguardo alla validit� della detta clausola, a norme sostanziali di 
responsabilit� in vigore dinanzi al foro prescelto. 
52. -La terza, la settima e la sesta questione devono pertanto essere risolte 
dichiarando che l'art. 17, primo comma, seconda frase, terza ipotesi, della 
Convenzione va interpretato nel senso che l'elezione del foro in una clausola 
attributiva di competenza pu� essere valutata solo in base a considerazioni che siano 
collegate ai requisiti previsti dall'art. 17 della Convenzione. Considerazioni relative 
ai collegamenti tra il foro prescelto e il rapporto controverso, alla fondatezza della 
clausola e alle norme sostanziali in vigore dinanzi al foro prescelto sono estranee a 
tali requisiti (omissis).� 

SEZIONE TERZA 

GIURISPRUDENZA DI DIRITTO 
E PROCEDURA CIVILE 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 6 novembre 1998, n. 11211 -Pres. La Torre 
-Est. Sabatini -P.G. Lo Cascio -Ministero delle Finanze e Ministero dei Lavori 
Pubblici (avv. Stato Clemente) c. Pasta (avv. S.A. Romano). 

Demanio -Trasformazione bene di propriet� privata in bene demaniale Acquisto 
per accessione -Ammissibilit� -Fattispecie. 

La costruzione di un'opera privata (nella fattispecie, una darsena su di un 
lago) d� luogo all'acquisto per accessione del bene del privato da parte della 
propriet� pubblica, sulla base del principio dell'inscindibilit� del corpo idrico, 
costituito dall'acqua e da quanto viene da essa ricoperto (1). 

(omissis) 

Con il primo motivo del ricorso le ricorrenti Amministrazioni deducono, con 
riferimento all'art. 360 nn. 3 e 5 codice procedura civile, la violazione e falsa 

(1) La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, chiamata a pronunciarsi in tema di rapporti tra 
propriet� privata e beni demaniali, interviene con una sentenza che, nell'affrontare un caso particolare, 
fissa il principio secondo cui, nel rapporto determinato da un'accessione da immobile a 
immobile, il bene demaniale � da ritenersi �cosa principale� che, quindi, per sua natura, attrae il 
bene privato accedente. 
La fattispecie concreta, posta all'attenzione del Supremo Collegio, concerne l'ipotesi in cui 
un terreno originariamente privato, viene trasformato dal proprietario in darsena. 
La costruzione di questo tipo di opera porta, per sua natura, all'espansione delle circostanti 
acque lacuali sul terreno appartenente al privato. 

Sorge di qui il problema: l'edificazione della darsena ed il conseguente allagamento delle 
acque del lago sul terreno privato comportano che la darsena diviene di propriet� pubblica o 
rimane, invece, in propriet� del privato? � 

Il ragionamento dell'organo di legittimit� si fonda sull'analisi e la scelta delle due tesi 
contrapposte in materia, sviluppate dalle parti contendenti. Da una parte, si sostiene che la 
darsena � e resta privata, salvo tuttalpi� il diritto della pubblica amministrazione per la 
derivazione dell'acqua che allaga la darsena stessa; secondo, perci�, questa impostazione si 
giungerebbe ad affermare il principio secondo cui la propriet� del suolo � separabile da quella 
dell'acqua. 

E proprio la critica a quest'ultima affermazione, dall'altra parte, viene posta a sostegno della 
tesi opposta, secondo cui, se il corso d'acqua � pubblico, tale � anche il suo alveo e se, dunque, 
come nel caso di specie, l'alveo si estende su di un terreno privato per effetto di un allagamento, 
il terreno privato sovrastato dalle acque pubbliche diventa pubblico. 

La suddetta valutazione � stata, pertanto, fatta propria dalla Suprema Corte, che giunge a tale 
conclusione, sia sulla base di un'impostazione sistematica degli artt. 822 e 823 primo comma 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

84 

applicazione dell'art. 943 codice civile, degli artt. 1 e 2 regio decreto 11 dicembre 
1933, n. 1775, degli artt. 822 e 934 codice civile con riferimento agli artt. 812, 832 
e 840 stesso codice, nonch� vizio di motivazione e -sulla premessa che principio 
fondamentale dell'ordinamento, risalente al diritto romano, � che, se il corso 
d'acqua � pubblico, tale � anche il suo alveo, e che, ove il corso d'acqua muti il suo 
alveo, il terreno privato occupato dal nuovo letto diventa pubblico -affermano che 
la sentenza impugnata, nel separare la propriet� del suolo da quella dell'acqua, ha 
illegittimamente negato che il lago sia un bene unico ed immobile, e contrasta 
inoltre con il principio secondo cui, se un lago � demaniale, tutto il lago, compreso 
il terreno ricoperto dall'acqua, appartiene al demanio. 

Aggiungono che non si pu� derivare acqua pubblica senza concessione, e che 
non � possibile l'ideale frazionamento del lago demaniale in tante parti, alcune 
delle quali possono essere dichiarate private se ritenute non asservite al pubblico 
interesse, perch�, se cos� fosse, al demanio verrebbero sottratti porticcioli, 
piattaforme ed altro. 

Con il secondo motivo le stesse denunciano, sotto altro profilo, ulteriore vizio 
di motivazione nonch� la violazione dell'art. 1158 codice civile, e sostengono che 
l'affermata realizzazione delle due darsene in contestazione su terreno privato non 
tiene conto di quanto in contrario addotto nelle proprie difese da esse ricorrenti e 
non � stato minimamente confermato dal c.t.u. 

Precisano che la tesi, condivisa dallo stesso Tribunale Superiore, era contrastata 
dai precedenti atti di concessione e che, implicando questa che il privato detenga il 
bene per conto dell'amministrazione che ne esercita il possesso, quest'ultima, se gi� 
non lo era, era divenuta proprietaria dell'immobile per usucapione ai sensi dell'art. 
1158 codice civile. 

I due motivi, strettamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente. 

Come questa C.S. ha affermato (tra le altre, con sent. 8 marzo 1993 n. 2754 
di queste sezioni unite), nella violazione di legge deducibile, in base all'art. 111 
cost., come motivo di ricorso per cassazione avverso le decisioni, in unico grado 
od in appello, del Tribunale Superiore delle acque pubbliche, pu� ricomprendersi 
il solo vizio di motivazione -sotto i profili della inesistenza, della 
contraddittoriet� o della mera apparenza -risultante dal testo del provvedimento 
impugnato, mentre esorbita dai limiti propri del detto mezzo di impugnazione la 
verifica della sufficienza e della razionalit� della motivazione stessa in ordine alle 

codice civile, sia sulla scorta del combinato disposto delle norme appena richiamate con 
l'art. 943. Con riferimento ai quali sarebbero da escludere eventuali ipotesi ricostruttive della 
disciplina giuridica del demanio pubblico tese a consentire frazionamenti del regime proprietario. 


La decisione annotata merita, dunque, di essere condivisa proprio per la profondit� 
dell'indagine ricostruttiva dello statuto della propriet� demaniale, che appare, nondimeno, coerente 
con l'interpretazione dottrinaria che fa, appunto, rientrare nel panorama della demanialit� idrica 
anche gli alvei e i bacini invasi dai laghi con le loro rive c.d. interne (v. V. CAPUTI JAMBRENGHI, 
Diritto Amministrativo, I, 967); e questo sulla considerazione che l'acqua � ipso iure pubblica, sia 
che venga considerata isolamente per la sua consistenza fisica (acqua attuale), sia per l'ampiezza 
del bacino da essa ricoperto (acqua potenziale), come nel cas� in esame. 


. ., 

PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITIO E PROCEDURA CIVILE 

85 

questioni di fatto, la quale importa un raffronto tra le ragioni del decidere espresse 
nella sentenza impugnata e le risultanze probatorie sottoposte al vaglio del giudice 
del merito. 

Orbene, poich� le modalit� di realizzazione delle due darsene in contestazione 
-alle quali il Pasta, come ha precisato nel corso del giudizio di appello, ha limitato 
le sue censure -costituiscono una questione di fatto, il secondo motivo del ricorso, 
nella parte in cui pone in discussione la congruenza della relativa motivazione, � 
inammissibile. 

Fermo restando, pertanto, che, come la sentenza impugnata ha 
insindacabilmente accertato, dette darsene furono realizzate su suolo di propriet� di 
dante causa dell'attuale resistente mediante escavazione e sbancamento -e, 
tuttavia, come i giudici del merito hanno anche accertato a mezzo di consulenza 
d'ufficio, al solo scopo di essere utilizzate come tali e, pertanto, di essere invase 
dalle acque del lago, il che � avvenuto per una profondit� di cm. 45 -, � in 
discussione tra le parti se e quali modificazioni abbia subito la propriet� del predetto 
suolo: rimasto, secondo la tesi del Pasta, accolta dalla sentenza impugnata, di 
propriet� privata dello stesso, e divenuto anch'esso, per effetto di detta duratura 
trasformazione, come le ricorrenti invece sostengono, porzione dell'alveo del lago, 
e, pertanto, demanio dello Stato al pari, come � incontestato, del lago stesso nella 
sua interezza. 

Tanto precisato, la separazione, affermata dalla sentenza impugnata, tra la 
propriet� dell'acqua che allaga le due darsene -che la stessa sentenza ha precisato 
essere rimasta nondimeno demaniale, con la conseguenza che essa ha fatto salvo il 
diritto della pubblica amministrazione per la relativa derivazione -e la propriet� 
del suolo sottostante, � non solo priva di ogni supporto normativo ma �, al contrario, 
contrastata dalle norme che regolano la materia e delle quali a ragione, pertanto, le 
ricorrenti lamentano la violazione. 

Il regime giuridico del demanio pubblico -cui, come s'� detto, 
incontestatamente appartiene il lago di Como non consente infatti, ai sensi degli 
artt. 822 e 823 primo comma codice civile ed a tutela di beni di rilevante interesse e 
della relativa pubblica fruizione, che essi possano appartenere a privati, ne comporta 
inoltre la inalienabilit� ed esclude infine che gli stessi possano formare oggetto di 
diritti a favore di terzi se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano: 
il che, come � incontroverso, nella specie, riguardo al Pasta, non � giammai avvenuto. 

Il tutto in linea con l'orientamento della giurisprudenza costituzionale (v. Cost. 19 luglio 1996 

n. 259, in Foro it., 1997, I, 1, 1664), secondo cui il principio del dominio inscindibile del corpo 
idrico, contenente e contenuto, ossia alveo e invaso d'acqua, non crea una forma di nuovo demanio 
pubblico non prevista dalla legge, ma � conforme alla natura del bene acqua intesa come bene 
unitario da un punto di vista di statuto proprietario, essendone frazionabile il solo regime dell'uso. 
Nella giurisprudenza della Cassazione, invece, il principio dell'estensione del demanio 
idrico sulle acque ricoperte trova conferma in Cass. n. 5491/94 e n. 6591/81; mentre 
l'affermazione specifica in base alla quale la darsena insiste su di un terreno di natura demaniale 
e pu�, pertanto, essere oggetto di concessione si trova in Cass. n. 10908/94. 

FABRIZIO URBANI NERI 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

86 

Dispone poi il primo comma dell'art. 943 codice civile che il terreno, che 
l'acqua copre quando essa � all'altezza dello sblocco del lago (o dello stagno), 
appartiene al proprietario del lago (o dello stagno), ancorch� il volume dell'acqua 
venga a scemare: la norma non consente dunque frazionamenti del regime 
proprietario, tanto pi�, in combinato disposto con i menzionati artt. 822 e 823 primo 
comma codice civile, con riferimento a laghi demaniali. 

Se, dunque, la demanialit� del lago comporta che siano assoggettate al 
relativo regime giuridico non solo le acque, ma anche l'alveo e le rive che lo 
delimitano, non pu� poi trascurarsi di considerare che la legge prevede una serie 
di limitazioni quanto alle facolt� di godimento delle propriet� limitrofe a beni 
pubblici: e cos�, tra l'altro, l'art. 879 codice civile, in deroga al precedente 
art. 877, non consente costruzioni in adesione ad edifici demaniali, e gli artt. 55 e 
77 cod. nav. dispongono rispettivamente che in prossimit� del demanio marittimo 
non possono eseguirsi opere di alcun genere senza una speciale autorizzazione 
dell'autorit� marittima, e che i proprietari frontisti hanno l'obbligo di adottare 
speciali misure per evitare l'interrimento dei fondali dei canali e degli altri corsi 
d'acqua che sboccano nei porti. 

Disposizioni, queste, che sono dirette ad apprestare una maggior tutela, per cos� 
dire esterna, ai beni demaniali, al fine di impedire che ne siano compromesse le 
facolt� di godimento. 

In tale quadro normativo devono essere esaminati gli effetti giuridici prodotti 
dalle modificazioni strutturali dei beni demaniali, le quali possono essere naturali o 
artificiali: ipotesi, quest'ultima, che ricorre nella specie, nella quale, come detto, una 
porzione di terreno, originariamente privata, � stata trasformata in darsena merc� 
opere di escavazione, sbancamento ed allagamento. 

Riguardo a tali modificazioni ha affermato questa C.S. (sez. un. 6 giugno 1994 

n. 5491 e 19 dicembre 1994 n. 10908), in tema di individuazione dei terreni 
ricompresi nel demanio per la loro contiguit� a laghi pubblici, che opera, secondo 
il principio desumibile dal citato art. 943, il principio per cui l'estensione dell'alveo 
-suscettibile della detta ricomprensione -deve essere determinata con 
riferimento al livello delle piene ordinarie allo sbocco del lago, senza che si possa 
tener conto del perturbamento determinato da cause eccezionali (meteoriche, 
geosismiche o prodotte dall'opera dell'uomo per esigenze momentanee) e senza 
che dall'alveo propriamente detto possa distinguersi il lido, che, invece, � una 
componente strutturale del primo, come sopra individuato, potendo soltanto l'alveo 
stesso distinguersi dalla spiaggia, come zona di terreno scoperto contigua all'alveo 
la quale, ove esistente, resta assoggettata al regime della demanialit� per i pubblici 
usi del lago. 
Nella specie, � stato invece insindacabilmente accertato che le trasformazioni in 
questione sono state attuate alcuni decenni orsono ed hanno carattere permanente e 
non momentaneo, e da ci� segue che il terreno, da esse interessato, � entrato a far 
parte del demanio pubblico. 

In tal senso convergentemente depongono la rilevaia inseparabilit� tra acqua ed 
alveo, l'inalienabilit� dei beni del demanio pubblico, l'inesistenza di atti -ai sensi 
del primo comma ultima parte dell'art. 823 codice civile -in favore dell'attuale 
resistente e danti causa, e le limitazioni legali delle propriet� limitrofe ai beni 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 

pubblici: complesso normativo dal quale scaturisce la conseguenza che, per 
accessione alla cosa principale, il terreno, originariamente privato ma trasformato in 
darsena, � divenuto anch'esso demaniale. 

Non rileva che, riguardo a detto terreno, non risulti essere intervenuta alcuna 
manifestazione di volont� della pubblica amministrazione di apprensione di esso al 
demanio, dal momento che, come � stato autorevolmente osservato in dottrina, per 
i beni artificiali l'acquisto della qualit� di bene pubblico si riconnette ad una 
situazione di fatto -nella specie, l'espansione dell'alveo -e non ad un atto 
giuridico. 

L'affermazione, poi, secondo la quale l'estrema modestia delle due darsene (in 
realt� di superficie complessiva, come accertato, di 136 mq.) non ha comportato 
alcuna modificazione dell'invaso, � contraddetta dalla circostanza che la stessa 
superficie � rimasta allagata per l'accertata profondit� di 45 cm.: fatto, come gi� 
accennato, pacifico perch� ammesso dallo stesso Pasta, il quale osserva sul punto (p. 
15 controricorso) �che le due darsene sono state ricavate scavando il terreno per 
trarne una derivazione delle acque�. 

Quanto, infine, al subordinato rilievo, contenuto nel secondo motivo del 
ricorso, della pretesa usucapione, esso � inammissibile perch� involge una questione 
nuova, non esaminata dalla sentenza impugnata e che non risulta sia stata ad essa 
prospettata, ed � comunque assorbito dalle considerazioni che precedono. 

Si impone pertanto, nei sensi di cui sopra, l'accoglimento del ricorso, con la 
conseguente cassazione della impugnata sentenza ed il rinvio della causa allo stesso 
Tribunale Superiore che riesaminer� la controversia -compreso l'appello 
incidentale -attenendosi ai principi dianzi affermati (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 27 novembre 1998, n. 12061 -Pres. Sgroi Rei. 
Olla -P.M. Morozzo della Rocca -Hosri e Arrigoni c. Ministero degli 
Interni (avv. Stato Sica). 

Corte costituzionale -Giudizio incidentale di legittimit� � Decisioni Accoglimento 
-In genere � Effetti -Retroattivit� -Operativit� � Limiti � Nel 
caso di norme incostituzionali ab inizio. 

Cittadinanza -Diritto internazionale in genere � Disciplina ex art. 10, terzo 
comma legge 555 del 1912 -Perdita automatica della cittadinanza per il 
solo fatto del matrimonio della cittadina di quest'ultimo � Pronuncia di 
incostituzionalit� ex sent. n. 87175 �Efficacia retroattiva� Limiti� Nel caso 
di matrimonio celebrato prima del 1� gennaio 1948. 

L'efficacia retroattiva di una sentenza dichiarativa del! 'illegittimit� 
costituzionale di una norma sin dal momento in cui quest'ultima sia entrata in 
vigore trova applicazione piena solo con riferimento alla categoria delle norme 
che si rivelino incostituzionali �ab initio�; quando invece, detta norma sia venuta 
a collidere con i parametri costituzionali solo successivamente alla data della sua 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

88 

entrata in vigore (c.d. ipotesi di incostituzionalit� sopravvenuta), il termine di 
decorrenza degli effetti della dichiarazione di incostituzionalit� coincide con il 
momento in cui l'incostituzionalit� si sia concretizzata. Da ci� discende che gli 
effetti della sentenza della Corte Costituzionale n. 87/75, che ha dichiarato 
l'illegittimit� della disposizione di cui al terzo comma dell'art. 10 della legge 555 
del 1912, per il suo contrasto con gli artt. 3 e 29 della Costituzione, nella parte in 
cui prevedeva che la cittadina italiana perdesse, indipendentemente dalla sua 
volont�, la cittadinanza italiana per il solo fatto di essersi sposata con uno 
straniero la cui cittadinanza si comunicasse in virt� del solo matrimonio, non 
possono retroagire oltre la data del 1� gennaio 1948, con l'ulteriore conseguenza 
per cui, in caso di un matrimonio stipulato avanti l '1 gennaio 1948, la perdita della 
cittadinanza debba intendersi -di per s� -validamente verificatasi, senza che la 
surrichiamata pronuncia possa altrimenti incidere se non nel senso di attribuire 
alla interessata il diritto di riacquistare la cittadinanza, ove lo voglia (1). 

(omissis) 

1.1. -Nel loro sviluppo cronologico i dati di fatto (come accertati dal giudice 
d'appello) e normativi che assumono rilevanza rispetto alla decisione sul ricorso 
devono essere cos� puntualizzati. 
(1) Con la decisione in esame le Sezioni Unite affrontano il delicato problema della identificazione 
degli effetti di una sentenza della Corte costituzionale, dichiarativa della illegittimit� 
costituzionale di una norma di legge anteriore alla vigente Costituzione, per contrasto con i principi 
successivamente introdotti dalla Carta costituzionale. L'occasione � data da caso di una cittadina 
italiana che, a causa del suo matrimonio con un cittadino straniero e per effetto dell'art. 10, 
comma 3 della legge 13 giugno 1912 n. 555, allora vigente in tema di cittadinanza (prima della 
decisione n. 87 del 1975 che dichiara illegittima la legge del 1912 nella parte in cui prevede la 
perdita della cittadinanza italiana, indipendentemente dalla volont� della donna), aveva perso lo 
status di cittadina italiana. Successivamente il di lei figlio, inizialmente acquistata dal padre la cittadinanza 
straniera, con l'entrata in vigore della legge 19 maggio 1975 n. 151 (il cui art. 219 
comma 1 prevede la possibilit�, per la donna che ha perso la cittadinanza per effetto del matrimonio 
con uno straniero, di riacquistarla con dichiarazione resa all'Autorit� competente), e sulla 
base altres� della sentenza n. 30 del 1983 della Corte costituzionale, dichiarativa della illegittimit� 
costituzionale della legge 1912, nella parte in cui prevede che sia cittadino per nascita anche il 
figlio di madre cittadina, rivendicava la cittadinanza italiana. 
Le Sezioni Unite trovano occasione per ribadire il consolidato principio secondo il quale, la 
pronuncia di incostituzionalit� di una legge o di un atto avente forza di legge anteriore alla 
Costituzione, non pu� retroagire, anche rispetto ai rapporti ancora pendenti, oltre il momento in 
cui si � verificato il contrasto tra detta norma ed i principi costituzionali e cio�, oltre la data di 
entrata in vigore della Carta Costituzionale (1� gennaio 1948) (SS.UU. 22 giugno 1963, n. 1706; 

C. Cost. 5 maggio 1967, n. 58). 
Tale orientamento in sostanza, limita nel tempo il generale principio dell'efficacia retroattiva 
della pronuncia di costituzionalit� nel senso che, se la norma dichiarata costituzionalmente illegittima 
� successiva alla Costituzione viene eliminata ex tunc, mentre se � antecedente, la norma � espunta 
dal nostro ordinamento a far data dal 1� gennaio 1948. Si ritiene, infatti, che la norma incostituzionale 
sia affetta da un vizio intrinseco, di natura sostanziale, che la norma porta con s� e ci� fino alla sua 
origine, se trattasi di norma di legge posteriore alla Costituzione ovvero dall'emanazione della 
Costituzione, qualora si tratti di legge anteriore (cos� anche Cass. 10 luglio 1971, n. 2222). 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRIITO E PROCEDURA CIVILE 

89 

Nel 1939 Matilde Arrigoni, all'epoca cittadina italiana, contrasse matrimonio 
col cittadino libanese Antoine El Hosri e, in applicazione della disposizione di cui 
all'art. 10, comma 3, legge 13 giugno 1912, n. 555, acquis� la cittadinanza libanese 
e perse quella italiana. 

Il 20 giugno 1942 la Arrigoni gener� il figlio Fernand Antoine Hosri che 
divenne automaticamente cittadino libanese. 

Con sentenza 16 aprile 1975, n. 87, la Corte costituzionale dichiar� l'illegittimit� 
costituzionale del terzo comma dell'art. 10 della legge n. 555/1912 �nella parte in 
cui, per l'ipotesi di matrimonio di una cittadina italiana con uno straniero per la cui 
legge nazionale la cittadinanza del marito si comunichi alla moglie, prevede la 
perdita della cittadinanza italiana indipendentemente dalla volont� della moglie�. 

Anche in funzione di questa pronuncia, l'art. 219, comma 1 della legge 
19 maggio 1975, n. 151 dispose che �la donna che, per effetto di matrimonio con 
uno straniero o di mutamento della cittadinanza da parte del marito, ha perduto la 
cittadinanza italiana prima dell'entrata in vigore della presente legge [20 settembre 
1975] la riacquista con dichiarazione resa all'autorit� competente a norma 
dell'art. 36 delle disposizioni di attuazione del codice civile�. 

Il 23 marzo 1982 la Arrigoni effettu� la dichiarazione prevista dalla norma 
appena richiamata e giusta il disposto dell'art. 13, comma 1, legge n. 555/1912 


Dal limite della retroattivit� cos� configurato, discende che, l'illegittimit� costituzionale dell'art. 
10 legge 555/1912 non potendo essere anteriore al 1� gennaio 1948, i rapporti e le situazioni 
sorte anteriormente a quella data rimangono assoggettati alla disciplina previgente. 

Ai fini della controversia all'esame delle Sezioni Unite, deriva ulteriormente che con il 
matrimonio la cittadina italiana ha perso definitivamente la sua cittadinanza e che questo effetto 
giuridico, data l'anteriorit� della norma rispetto all'entrata in vigore della Costituzione, non � 
inciso affatto dalla decisione della Corte costituzionale che ne ha rilevato la contrariet� a principi 
costituzionali (sent. n. 80 del 1983). N� il figlio nato da tale matrimonio potrebbe mai diventare 
cittadino italiano iure sanguinis. Rimane tuttavia, la possibilit�, per la madre, di acquistare la 
cittadinanza mediante dichiarazione in tal senso ai sensi dell'art. 10, comma 3 della legge del 
1912, n. 555 e per il figlio, se nato dopo quella data, di divenire comunque cittadino italiano iure 
communicationis ove la madre abbia esercitato detta facolt�. 

In senso diametralmente opposto alla decisione in esame la soluzione adottata dalla 
Cassazione per un caso analogo con sentenza n. 6297, sez. I, del 10 luglio 1996, dove, al 
contrario, viene riconosciuto al figlio legittimo di madre cittadina nato in data anteriore alla 
Costituzione, lo status di cittadino iure sanguinis per effetto della sentenza della Corte 
Costituzionale n. 80 del 1983 atteso che -spiegava la Cassazione in quell'occasione -�anche 
la pronuncia di incostituzionalit� di leggi anteriori alla Costituzione determina la cessazione 
erga omnes con effetto retroattivo della norma relativamente a situazioni o rapporti cui sarebbe 
ancora applicabile la norma stessa, ove non fosse intervenuta la pronuncia di incostituzionalit�. 
N� la suddetta situazione pu� qualificarsi come esaurita nel momento in cui � intervenuta la 
pronuncia di incostituzionalit�, rappresentando l'evento nascita il mero presupposto della 
fattispecie acquisitiva il cui titolo � costituito dalla filiazione da madre cittadina, che � stato 
aggiunto come criterio di attribuzione dello status civitatis, dalla decisione della Corte 
Costituzionale, la quale ha determinato l'acquisto di un diritto in precedenza non previsto 
dall'ordinamento� (in tal senso anche Cass., sez. I, 18 novembre 1996, n. 10086). 

P.P. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO, 

90 

�riacquist�� la cittadinanza italiana a far data dal 24 marzo 1982, allorquando il 
figlio Fernand Antoine era ormai maggiorenne avendo compiuto il quarantesimo 

I 

anno di et�. 

I

1.2. -La controversia che ne occupa ha, quale oggetto principale la questione 
se Fernand Antoine Hosri sia -come sostiene -cittadino italiano iure sanguinis 
ai sensi dell'art. 1, comma 1, n. 1 legge n. 555/1912 nel testo risultante dalla 
sentenza della Corte costituzionale n. 30/1983 per essere nato da madre che, alla 
data della nascita era cittadina italiana; o, quanto meno, iure communicationis ai 
sensi dell'art. 12, comma 1 della predetta legge n. 555/1912 per aver la madre 
riacquistato la cittadinanza italiana quando egli era ancora minorenne. 
Come � immediatamente palese la soluzione di tale questione � direttamente 
subordinata all'acclaramento dello status civitatis della Arrigoni nel periodo 

compreso tra il 20 gennaio 1942 (data della nascita del figlio Fernando Antoine) ed 
il 20 gennaio 1963, data nella quale detto figlio ha acquistato la maggiore et�, 
essendo incontroverso, ed incontrovertibile, che ove costei abbia recuperato la 
cittadinanza dopo questa data, sarebbe automaticamente da escludere che il figlio sia 
divenuto cittadino italiano anche iure communicationis. 

A questo fine, tenuto conto che, sul piano formale, durante quel periodo la 
Arrigoni era cittadina libanese, il tema dell'indagine viene ad incentrarsi sul 
problema relativo alla identificazione degli effetti della richiamata sentenza della 
Corte costituzionale n. 87/1975 sul suo status civitatis, con specifico riferimento alla 
circostanza che questa pronuncia ha dichiarato l'illegittimit� costituzionale di una 
norma anteriore alla vigente Costituzione per il suo contrasto con le norme ed i 
principi introdotti da questa Carta costituzionale. 

2.1. -Costituiva fermo orientamento di questa Corte Suprema, anche a Sezioni 
Unite, che, in via generale, la norma dichiarata costituzionalmente illegittima, 
comportando la sentenza della Corte costituzionale la sua definitiva ed integrale 
eliminazione dall'ordinamento con efficacia erga omnes deve essere disapplicata, 
anche d'ufficio, dal primo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta 
Ufficiale del dispositivo della decisione della Corte costituzionale, rispetto a tutti i 
rapporti per i quali penda controversia giudiziale, compresi quelli precostituiti salvo 
che, rispetto ad essi, si siano determinate situazioni giuridiche ormai esaurite, 
consolidate ed intangibili, suscettibili -come tali -di essere diversamente 
regolate prescindendo dalla norma dichiarata incostituzionale; ma che, peraltro, 
quando la pronuncia di illegittimit� costituzionale abbia ad oggetto una norma 
contenuta in una legge o in un atto anteriore all'entrata in vigore della Costituzione 
e sia stata determinata dal contrasto della norma dichiarata illegittima con norme e 
principi propri della vigente Carta costituzionale, i suoi effetti, anche rispetto ai 
rapporti ancora pendenti, non possono retroagire oltre il momento in cui il detto 
contrasto � venuto a verificarsi e, quindi, oltre il 1� gennaio 1948, data di entrata in 
vigore della Costituzione (v. Cass., 23 febbraio 1978, n. 903; 9 luglio 1974, n. 2022; 
24 aprile 1974, n, 1287; 10 luglio 1971, n. 2222; 4 giugno 1969, n. 1969; S.U. 
22 giugno 1963, n. 1706). 

PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITIO E PROCEDURA C�VILE 

L'orientamento (che � stato condiviso dalla Corte costituzionale nella sentenza 

n. 58 del 5 maggio 1967 e dalla dottrina nettamente maggioritaria, ma dal quale si 
sono consapevolmente discostate le sentenze della 1 ~Sezione civile 10 luglio 1996, 
n. 6297 e 18 novembre 1996, n. 10086) deve essere ribadito. 
La categoria relativa alla ipotesi della declaratoria di illegittimit� di una norma 
anteriore al 1� gennaio 1948 in conseguenza del mutamento del quadro 
costituzionale di riferimento dato dalla vigente Costituzione si inserisce a pieno 
titolo in quella c.d. della incostituzionalit� sopravvenuta. In ordine ad una siffatta 
norma, infatti, il vizio di illegittimit� si configura non gi� sin dall' origne, ma solo in 
coincidenza con l'entrata in vigore della Costituzione, cos� come, del resto, � stato 
sottolineato dalla stessa Corte costituzionale gi� nella sentenza n. 58/1967, 
allorquando ha affermato che gli effetti della pronuncia di incostituzionalit� 
discendono �da una dichiarazione di invalidit� che inficia... la disposizione 
impugnata fin dall'origine o fin dall'emanazione della Costituzione per leggi a 
questa anteriori�. 

Ora, anche sulla base di specifiche statuizioni della stessa Corte costituzionale, 
costituisce ormai diritto vivente che l'efficacia retroattiva della sentenza declaratoria 
dell'illegittimit� costituzionale di una norma sin dal momento in cui � entrata in 
vigore trova piena applicazione solo con riferimento alla categoria delle norme 
incostituzionali ab initio; e che, invece allorquando la norma stessa sia venuta a 
collidere con i parametri costituzionali solo successivamente alla data della sua 
entrata in vigore (la incostituzionalit� sopravvenuta), allora il termine di decorrenza 
degli effetti della dichiarazione di incostituzionalit� coincide (e deve coincidere) con 
il momento in cui il vizio di incostituzionalit� si � concretizzato: infatti � solo in 
questo momento che si determina l'antinomia costituzionale della legge, il che 
significa che sino a quel momento la legge stessa era legittima e valida, sicch� 
sarebbe necessariamente illogica e contraddittoria una retroattivit� che si estendesse � 
a colpire la norma anche nel periodo della sua validit�. 

Pertanto (e da ci�, appunto, la conferma dell'orientamento meno recente) in 
ordine alla categoria che qui interessa non pu� che trovare applicazione il 
regime della retroattivit� degli effetti della sentenza della Corte costituzionale 
proprio delle sentenze rese in ipotesi di incostituzionalit� sopravvenuta: vale a 
dire, che la retroattivit� non pu� essere anteriore al 1� gennaio 1948, data di 
entrata in vigore della Costituzione. Correlativamente, i rapporti e le situazioni 
sorti in data anteriore al 1� gennaio 1948 rimangono assoggettati alla disciplina 
previgente all'emanazione della Carta costituzionale, anche se sono non 
consolidati, non esauriti e non irretrattabili prescindendo dalla norma dichiarata 
incostituzionale. 

2.2. -Ebbene, la sentenza della Corte costituzionale n. 87/1975 ha dichiarato 
l'illegittimit� costituzionale del precetto di cui al terzo comma dell'art. 10 legge 
n. 555/1912 per il suo contrasto con gli artt. 3 e 29 della Costituzione, ossia per una 
antinomia costituzionale sopravvenuta a seguito della entrata in vigore della nostra 
Carta fondamentale. 
Ne discende immediatamente che gli effetti di detta pronuncia di 
i:Ilcostituzionalit� non possono retroagire oltre la data del 1� gennaio 1948, sicch� i 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO' 

92 

rapporti sorti e le situazioni verificatesi anteriormente a questa data rimangono 
intangibili e non possono essere in alcun modo incisi dalla sentenza stessa. 
In altri termini, con riferimento ad un matrimonio -contratto avanti il 
1� gennaio 1948 -di una cittadina italiana con uno straniero la cui cittadinanza si 

comunichi alla moglie, il matrimonio ha comportato: che la donna abbia perso 
validamente la cittadinanza italiana, interrompendo cos�, definitivamente, il relativo 
status; che questo effetto giuridico, in s� e per s� considerato, non � stato inciso in 
alcun modo dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 87/1975; e, di conseguenza, 
che detta sentenza, mentre non ha reso tamquam non esset la perdita della 
cittadinanza, ha prodotto il limitato risultato di attribuire alla donna il diritto di 
�riacquistare�, ove lo voglia, la cittadinanza italiana. 

Non si pu� condividere, perci�, la costruzione, prospettata in via prioritaria dai 
ricorrenti, secondo cui detta sentenza ha comportato, in una con l'ablazione ipso 
iure della perdita della cittadinanza, che la donna abbia conservato il proprio status 
civitatis anteriore al matrimonio, ininterrottamente, automaticamente ed 
indipendentemente dalla sua volont�. 

Tanto a definitava ragione, ove si consideri che la costruzione qui disattesa, 
nell'escludere il concorso della volont� della donna, e della relativa manifestazione, 
in ordine alla determinazione della propria cittadinanza dopo la sentenza della Corte 

I

costituzionale n. 87/1975, per un verso, si pone in intimo ed essenziale contrasto 

I 
~ 

proprio con i principi sottesi a detta pronuncia, una volta che il giudice delle leggi ia 

~ 

ha individuato la ragione della incostituzionalit� nel dato che il precetto di cui 
all'art. 10, comma 3 legge n. 555/1912 determina il mutamento della cittadinanza 
della donna indipendentemente dalla sua volont�; per altro verso, potrebbe 
comportare, per la donna, situazioni giuridiche pregiudicanti da lei non volute, 
costringendola, cos�, per evitarle, ad una successiva formale dichiarazione di 
rinuncia alla cittadinanza italiana. 

I

2.3. -Quindi, la sentenza della Corte costituzionale n. 87/1975 ha avuto 
l'effetto non gi� di escludere che la Arrigoni abbia perso la cittadinanza italiana, ma 

quello, e soltanto quello, di attribuirle il diritto di �riacquistare� detta cittadinanza, 
attraverso la relativa manifestazione di volont�. 
Ne deriva che alla data del 20 gennaio 1942 la Arrigoni era cittadina libanese, 
s� che difetta il presupposto previsto dall'art. 1, n. 1 legge n. 555/1912 (essere nato 

I

da madre che al momento della nascita sia cittadina italiana) perch� il figlio Fernand , 
Antoine, nato in quel giorno, sia divenuto cittadino italiano iure sanguinis. 

2.4. -Pertanto -emendata ed integrata la motivazione della sentenza 
d'appello nei termini fin qui esposti -le censure sviluppate in via prioritaria dai 
ricorrenti risultano infondate e devono essere respinte. 
3. -Tenuto conto delle sue particolarit�, nella specie non rileva accertare se il 
riacquisto della cittadinanza italiana da parte della Arrigoni a seguito della sua 
dichiarazione in tale senso del 23 marzo 1982 produca i suoi effetti a decorrere dal 
24 marzo 1983, cos� come previsto dal combinato disposto degli artt. 219, comma 1 
legge 19 maggio 1975, n. 151 e 13 comma 1 legge 555/1912; ovvero retroagisca al 

PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA Cl\'lLE 

1� gennaio 1948 in forza della efficacia retroattiva (sia pure limitata) della sentenza 
della Corte costituzionale n. 57/1975, cos� come sostengono i ricorrenti nella 
prospettiva subordinata. 

Invero, la Arrigoni non ha (n� ha enunciato di avere) un diretto interesse 
personale alla anticipazione della data degli effetti del riacquisto della cittadinanza. 

Inoltre, anche ad ammettere che gli effetti del riacquisto decorrano dal 1 �gennaio 
1948, ci� non comporterebbe che il figlio Fernand Antoine � divenuto cittadino 
italiano iure communicationis ai sensi dell'art. 12, comma 1 legge n. 555/1912. 

Per vero, detta disposizione non trova applicazione ove, nella data in cui il 
genitore acquista o riacquista la cittadinanza italiana, il figlio minore �risiedendo 
all'estero conservi, secondo la legge dello Stato cui appartiene, la cittadinanza 
straniera�, e in quella data l'attuale ricorrente risiedeva all'estero ed aveva la 
cittadinanza libanese. 

Nel contempo risulta manifestamente infondata la questione di costituzionalit� 
della limitazione nei confronti dei figli minori che risiedono all'estero e che 
conservano la cittadinanza italiana per il contrasto con l'art. 3 della Costituzione in 
funzione della asserita ingiustificata disparit� di trattamento tra i regimi di cui gli 
artt. 2, comma 1, e 12, comma 1 legge n. 555/1912. 

Infatti, tra le due norme sussiste una netta diversit� in ordine al presupposto (lo 
status civitatis del genitore, e non il rapporto di filiazione in s� e per s� considerato) 
e alle situazioni rispettivamente considerate, che ben pu� supportare il diverso 
regime giuridico. 

L'art. 2 riguarda l'ipotesi che il genitore fosse cittadino italiano al momento in cui 
� sorto il rapporto di filiazione naturale e sia sempre rimasto tale; ed attribuisce la 
cittadinanza italiana al figlio (il cui stato di filiazione sia stato acclarato 
successivamente alla nascita) iure sanguinis, con effetto coevo alla sua data di nascita. 

L'art. 12, invece, riguarda l'ipotesi che il genitore abbia acquistato o 
riacquistato la cittadinanza italiana, ossia che il genitore sia divenuto cittadino 
italiano successivamente al sorgere della situazione di filiazione, s� che in questo 
momento fosse straniero ed abbia attribuito al figlio il proprio status civitatis non 
italiano per ius sanguinis; e dispone che il minore diventi automaticamente cittadino 
italiano iure communicationis, ma solo a far data dal giorno in cui, a sua volta, il 
genitore abbia acquistato o riacquistato la cittadinanza italiana. 

Quindi, neanche la costruzione proposta dai ricorrenti in via subordinata � 
fondata (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 17 dicembre 1998, n. 12622 -Pres. Favara r 
Rei. Paolini -P.M. Dettori (conf.) -Italispaca S.p.a. (avv. Carbone) c. Pres. 
Regione Siciliana (n.c.) e Presidenza Cons. Ministri (avv. Stato Laporta). 

Giurisdizione civile -Concessione lavori pubblici -Giurisdizione A.G.O. Legge 
n. 109/1994 e succ. modifiche -Controversie anteriori -Competenza 
arbitrale -Sussiste. 
(Legge 11 febbraio 1994 n. 109, art. 31/bis, codice procedura civile art. 5). 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO� 

94 

Arbitrato � Lodo -Impugnazione per nullit� -Intervento del terzo � 
Ammissibilit� -Esclusione. 
(Codice procedura civile, art. 828, 831). 

Nei giudizi arbitrali promossi, su questioni attinenti a diritti soggettivi, in data 
anteriore all'entrata in vigore dell'art. 31-bis, quarto comma, legge 11 febbraio 
1994 n. 109 (come modificata con art. 9 del decreto-legge n. 101/1995, convertito 
in legge n. 216/1995) la competenza degli arbitri rimane ferma in virt� dello ius 
superveniens costituito dalla citata norma, senza che abbia rilievo ogni ipotizzabile 
problema circa la formale qualificazione del rapporto costituito, fra P.A. 
committente e soggetto assuntore, per l'esecuzione di intervento in materia di lavori 
pubblici (nella specie, la Corte ha, in particolare negato rilevanza alla distinzione 
tra concessioni di sola costruzione e concessioni comportanti trasferimento di 
pubblici poteri) (1). 

Nel giudizio di impugnazione per nullit� di lodo arbitrale pronunciato prima 
dell'entrata in vigore della legge 5 gennaio 1994, n. 25, non � ammissibile 
l'intervento del terzo rimasto estraneo al giudizio arbitrale (2). 

(omissis). 

1. -I ricorsi, separatamente proposti avverso la stessa sentenza, a mente 
dell'art. 335 codice procedura civile, devono essere riuniti. 
2. -La �ITALISPACA� S.p.A., cui, come detto, � succeduta nel processo, la 
�VALIM� S.p.A., ed il Presidente della Regione Sicilia hanno dedotto in 
discussione la convenzione in data 8 aprile 1988 surricordata, con la quale, il 
Presidente del Consiglio dei ministri, cui (in virt� del dettato del decreto-legge 
3 maggio 1991 n. 142, convertito nella legge 3 luglio 1991 n. 195) � �subentrato a 
(1) Inequivocabile richiamo alla voluntas legis, con relativa e conseguente segnalazione di 
indisponibilit� -come pare -della Corte regolatrice a consentire eccezioni e riserve di sorta in 
materia nonch� (in ossequio al novellato art. 5 codice procedura civile) ad approfondire la portata 
ed il significato del quinto comma dell'art. 31-bis legge 109/1994 (la cui letterale formulazione, 
pur con ogni �concessione� al pressapochismo del pi� recente legislatore, sembrava autorizzare 
una fondata distinzione tra �controversie� anteriori e �lavori� oggetto di concessioni 
anteriori alla legge). 
Delle �ripudiate� sentenze, Cass. 12 giugno 1997 n. 5299 � in Foro it. 1997, I, 2879. 

(2) Principio enunciato con riferimento alle regole previgenti alla legge 5 gennaio 1994 
n. 25 (entrata in vigore il 17 aprile 1994) il cui art. 22, modificativo dell'art. 831 codice procedura 
civile, contempla ora l'opposizione di terzo al lodo arbitrale nei casi indicati nell'art. 404. 
La richiamata, conforme Cass. 11 febbraio 1988 n. 1465 (in Giust. civ., 1988, I, 1508), dopo 
aver distinto tra intervento nel giudizio arbitrale ed intervento nel giudizio d'impugnazione del 
relativo lodo argoment� l'inammissibilit�, nel secondo caso, dal limitato ambito del giudizio �per 
nullit�� nonch� dall'irrilevanza del fatto che la sentenza resa dal giudice dell'impugnazione sia 
equiparabile ad una sentenza d'appello. 

L'altro precedente, conforme, richiamato in motivazione si legge in Giust. civ. 1962, 1773; 
i precedenti contrari al principio enunciato sono invece, rispettivamente, in Foro it. 1976, I, 1220 
(con nota di C.M. BARONE) ed in Foro it. 1985, I, 816. 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CTVII..E 

95 

tutti gli effetti� nel contratto e nel rapporto derivatone il sopra indicato presidente di 
regione, ha affidato in regime di �concessione unitaria� alla dianzi nominata autrice 
della attuale ricorrente l'esecuzione del complesso di operazioni descritte in 
narrativa, e, denunciando la prima una serie di inadempimenti della p.a. concedente 
agli obblighi scaturenti dal negozio in argomento, ed il secondo di aver pagato alla 
concessionaria importi eccedenti le somme nella realt� dovutele, hanno azionato 
dinanzi ad un collegio arbitrale costituito secondo le previsioni risultanti da una 
clausola compromissoria inserita nella convenzione cennata, reciproche domande 
risarcitorie e recuperatorie. 

Il collegio arbitrale, con sentenza pronunciata e resa esecutiva il 26 novembre 
1993, ritenuta l'attitudine della clausola compromissoria contemplante la propria 
costituzione ad operare nella fattispecie, ha accolto in parte le confliggenti pretese. 

Sul gravame ex art. 828 codice procedura civile prodotto dal Presidente della 
Regione Sicilia, la Corte di appello di Roma, con sentenza del 15 luglio 1996, in 
accoglimento dell'impugnazione, ha dichiarato la nullit� della decisione arbitrale, 
ritenendo �non compromettibili in arbitri le controversie di cui � causa� in quanto 
afferenti a rapporti aventi il titolo in una concessione amministrativa, e da ritenere, 
perci�, riservate, in sede di giurisdizione esclusiva, alla cognizione dei giudici 
amministrativi a' termini dell'art. 5 legge 6 dicembre 1971 n. 1034. 

La corte capitolina, premesso che �nella specie gli interventi straordinari per le 
citt� di Palermo e di Catania sono stati affidati alla ITALISPACA S.p.A., in virt� della 
convenzione dell'8 aprile 1988, ...,in regime di concessione unitaria con conferimento 
di attribuzioni e facolt� proprie dell'ente concedente quali la programmazione, la 
progettazione di massima ed esecutiva, l'esecuzione tramite appalto a terzi, la direzione 
dei lavori ed il collaudo nonch� le attivit� occorrenti per l'acquisizione delle aree e 
degli immobili, onde pu� con assoluta sicurezza concludersi che trattasi di concessione 
non di mera esecuzione di opere ma implicante trasferimento di funzioni pubbliche�, 
dopo aver evidenziato che �la concessione di costruzione si differenzia dall'appalto in 
quanto il concessionario non � obbligato soltanto al semplice compimento dell'opera 
pubblica intesa come mera attivit� materiale di costruzione, ma � tenuto anche a 
svolgere funzioni ed attivit� diverse ed ulteriori, previa attribuzione di poteri e facolt� 
propri dell'ente concedente, quali la progettazione dell'opera, la direzione dei lavori, la 
sorveglianza, l'espletamento delle necessarie procedure espropriative�, e che �ci� 
implica in tutto o in parte in capo al concessionario l'esercizio di funzioni 
oggettivamente pubbliche proprie del concedente�, ha ritenuto che le vertenze relative 
a concessioni di costruzione di opera pubblica, non riguardanti contestazioni su 
indennit�, canoni e corrispettivi e insuscettibili di mettere in discussione la portata e il 
contenuto del rapporto controverso, rientrano �nella competenza del giudice 
amministrativo ai sensi dell'art. 5, comma 1, legge 1034/71, con conseguente loro non 
compromettibilit� in arbitrato�. Ci�, innanzi tutto, in quanto non rileva, ai fini in 
argomento, la �equiparazione fra appalto e concessione di sola costruzione che si 
vorrebbe trarre dalla definizione contenuta nell'art. 4 n. 2 del decreto legislativo 
19 dicembre 1991 n. 406 di attuazione della direttiva 89 -440 C.E.E.�, tale 
equiparazione operando �nell'ambito della procedura di aggiudicazione� e non per la 
�identificazione del giudice delle controversie insorte fra le parti�; altres�, in quanto 
non � possibile correlare il riconoscimento della giurisdizione degli arbitri e del giudice 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO� 

96 

ordinario all'art. 3 del decreto-legge 1� febbraio 1988 n. 19, convertito nella legge 
28 marzo 1988 n. 99 -testi legislativi questi in base ai quali era stata posta in essere 
la convenzione di cui � causa -che, �per la realizzazione delle opere in discussione, 
ha attribuito al Presidente del Consiglio dei ministri il potere di derogare alle leggi 
ordinarie�, essendo tale generica attribuzione di potere inidonea a legittimare interventi 
sulla normativa generale in tema di giurisdizione. 

La corte distrettuale ha posto in risalto, inoltre, doversi escludere che lo ius 
superveniens di cui all'art. �31-bis commi 4 e 5 legge n. 109/1994, introdotto 
dall'art. 9 del decreto-legge 3 aprile 1995 n. 101 convertito in legge 2 giugno 1995 

n. 216, in virt� del quale, ai fini della tutela giurisdizionale, le concessioni in materia 
di lavori pubblici sono equiparate agli appalti� abbia potuto determinare l'attrazione 
delle controversie di cui trattasi nella sfera di attribuzioni giurisdizionali del giudice 
ordinario, perch�, �quale che sia il significato e la portata della normativa, nel 
presente giudizio, deve accertarsi se all'atto dell'introduzione del giudizio arbitrale, 

I gli arbitri fossero o meno forniti di potestas iudicandi per decidere sulle domande 
proposte dalle parti ed in tale contesto il riferimento alle nuove disposizioni non � 
pertinente, dovendosi aver riguardo ai fini della competenza arbitrale alla legge 
all'epoca vigente�; essere ininfluente, sotto il profilo in discorso, il dato che �la 
legge in esame stabilisce che le disposizioni dell'art. 31-bis si applicano anche alle 

I controversie relative ai lavori appaltati e concessi anteriormente alla data di entrata I in vigore della legge, essendo evidente che tale retro-attivit� non riguarda le ~ 
controversie sorte e decise sotto il vigore di una diversa normativa, bens� quelle 

I

successive, sebbene relative ad appalti e concessioni anteriori alla legge stessa�, e 

ili

ci� �in linea con la nuova disciplina dell'art. 5 codice procedura civile che ha 0 
espressamente stabilito che ogni mutamento sopravvenuto, tanto di fatto quanto di , 
diritto, non incide sulla individuazione del giudice competente che va compiuta, in 1, 
ogni caso, con riferimento allo stato di fatto ed alla legge vigente al momento della ill 

proposizione della domanda�. 

La �VALIM� S.p.A., con i tre motivi del ricorso principale, denuncia �Violazione 
degli artt. 1, 37, 808, 829 n. 1 codice procedura civile (art. 360 nn. 1 e 3 codice 
procedura civile) con violazione e falsa applicazione degli artt. 5 e 7 della legge 

II

n. 1034/1971, degli artt. 1 e 3 legge n. 584/1977, dell'art. 4 decreto legislativo 
n. 406/1991, dell'art. 31-bis legge n. 109/1994, come modificata dal decreto-legge 
n. 101/1995 conv. con modif. dalla legge 216/1995, del decreto-legge n. 19/1988 conv. 
con modif. dalla legge 28 marzo 1988 n. 99/1988 e degli artt. 1362 e ss. e.e. in relazione 
alla convenzione P.C.M. -ITALISPACA dell'8 aprile 1988 (art. 360 nn. 1 e 3 codice 
procedura civile)�, �ulteriore violazione degli artt. 1, 5, 37, 808, 829 n. 1 codice 
procedura civile e dell'art. 9, comma 2, del decreto-legge n. 238/1995, reiterato con 
decreto-legge n. 347/1995 e con decreto-legge n. 432/1995, convertito con 
modificazioni nella legge 534/1995 (art. 360 nn. 1 e 3 codice procedura civile)�, 
nonch� �motivazione insufficiente e contraddittoria (art. 360 n. 5 codice procedura 
civile)�: in estrema sintesi, sul presupposto che la discussa convenzione dell' 8 aprile 
1988 avrebbe dato luogo all'insorgenza di �un rapporto contrattuale che, avendo ad 
oggetto la realizzazione di opere e l'esecuzione di lavori pubblici con la prestazione 
dell'attivit� necessaria al risultato�, non avrebbe comportato �nessun trasferimento di 
poteri pubblici� e si sarebbe rivelata �coincidente, nel suo nucleo di clausole di 

PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA Cl'VILE 

contratto di scambio, con l'appalto ... �, dopo aver negato che in astratto il termine 
concessione abbia reale �contenuto definitorio� e valenza di �autonoma categoria 
giuridica�, sostiene che la corte romana avrebbe errato �a configurare il rapporto (in 
controversia) come concessione di ... beni e servizi pubblici ai sensi dell'art. 5 legge 

n. 1034/71�, e non avrebbe �dato conto, in fatto e in diritto, degli elementi� in base ai 
quali ha ravvisato l'intervenuto trasferimento nel quadro dello stesso di funzioni e di 
poteri pubblici; che la medesima corte, ignorando il significato e la portata degli artt. 1 
e 3 legge n. 584/1977, 4 decreto legislativo 406/1991, 31-bis legge n. 109/1994, 
introdotto dal decreto-legge 3 aprile 1995 n. 101 come convertito con legge 2 giugno 
1995 n. 216, avrebbe erroneamente ritenuto una, asserita inesistente, �differenza di 
trattamento giuridico sostanziale fra l'appalto e la concessione�, a suo dire, viceversa, 
integranti figure omologabili; che, in ogni caso, la facolt� di operare in deroga alle leggi 
vigenti accordata al Presidente del Consiglio dei ministri dai ripetuti decreti-legge n. 19 
del 1988 e legge n. 99 del 198.8 in relazione alle attivit� da porre in essere sulla base 
della normativa contenuta in detti testi legislativi avrebbe importato il potere �di 
disporre, sul piano sostantivo, dei diritti e delle posizioni giuridiche altrimenti 
qualificabili dedotti nella convenzione in controversia�, e che ci� sarebbe stato 
sufficiente �a consentire la devoluzione in arbitri, che � vietata soltanto con riferimento 
a situazioni giuridiche insuscettibili di transazione�; che, comunque, �Se anche la 
competenza giurisdizionale non fosse ab initio spettata all' A.G.O. dunque agli arbitri 
-ad essa sarebbe successivamente spettata per effetto retroattivo dell'art. 31/bis della 
legge 109/1994 nel testo vigente�, per il quale �per le concessioni ih materia di opere 
pubbliche vale la stessa tutela giurisdizionale offerta agli appalti anche con riferimento 
a controversie relative a rapporti concessori instaurati prima della sua entrata in 
vigore�; che non osterebbe al riconoscimento della giurisdizione degli arbitri e del 
giudice ordinario sulla vertenza in argomento, in virt� dello ius superveniens di cui 
all'art. 31-bis legge 109/1994, nel testo novellato dall'art. 9 decreto-legge 3 aprile 1995 
n. 101 come convertito nella legge 2 giugno 1995 n. 216, il dettato dell'art. 5 codice 
procedura civile, nel testo risultante dalla novellazione recata dalla legge 26 novembre 
1990 n. 353, per il quale �la giurisdizione e la competenza si determinano con 
riguardo alla legge vigente ed allo stato di fatto esistente al momento della proposizione 
della domanda e non hanno rilevanza rispetto ad esse i successivi mutamenti della legge 
e dello stato medesimo�, in quanto tale disposizione codicistica, assunta entrata in vigore 
il 22 ottobre 1995, in virt� di quanto statuito dall'art. 9 decreto-legge 18 ottobre 1995 
n. 432, convertito con legge 20 dicembre 1995 n. 534, sarebbe destinata a restare priva 
di efficacia con riferimento ai mutamenti legislativi in tema di giurisdizione risultanti, 
come quello di cui trattasi, da leggi promulgate prima della sua intervenuta vigenza. 
Le cos� prospettate censure, da esaminarsi congiuntamente, perch� connesse, 
pur nella non condivisibilit� di molte delle deduzioni in esse articolate, sono fondate 
nei termini di seguito precisati. 

L'art. 31-bis legge 11 febbraio 1994 n. 109, nel testo introdotto dal decretolegge 
3 aprile 1995 n. 101, come convertito nella legge 2 giugno 1995 n. 216, nei 
commi 4 e 5, recita testualmente: 

�ai fini della tutela giurisdizionale le concessioni in materia di lavori pubblici 
sono equiparate agli appalti. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

98 

Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle controversie 
relative ai lavori appaltati o concessi anteriormente alla data di entrata in vigore 

I

della presente legge�. 

.

In relazione alle disposizioni legislative considerate, queste Sezioni unite, con 

I

~

recente sentenza n. 10634 del 29 ottobre 1997 (cui adde le sostanzialmente con-formi 
Cass. SS.UU. civ., sent. n. 5252 del 12 giugno 1997 e id., sent. n. 9481 del 
26 settembre 1997) hanno enunciato il principio secondo il quale l'equiparazione ai 
fini della tutela giurisdizionale delle concessioni in materia di lavori pubblici agli 
appalti, disposta dall'art. 31-bis, quarto comma, della legge 11febbraio1994 n. 109 
(introdotto dall'art. 9 decreto-legge n. 101 del 1995 come convertito nella legge 

n. 216 del 1995) � espressamente estesa dal comma quinto del menzionato art. 31-bis 
anche alle controversie relative ai lavori appaltati o concessi anteriormente alla data 
di entrata in vigore di detta disposizione: ne consegue che, quando prima 
dell'intervenuta modifica della normativa, per una di tali controversie sia stato 
promosso un giudizio arbitrale avente ad oggetto questioni relative a diritti soggettivi, 
la giurisdizione degli arbitri, e quella successiva del giudice ordinario, rimane ferma 
in virt� dello ius superveniens costituito dall'art. 31-bis, cit., senza che abbia rilievo 
la qualificazione del rapporto come concessione o come appalto, e senza che in 
contrario operi la nuova formulazione dell'art. 5 codice procedura civile, la quale non 
esclude che debbano trovare applicazione nei giudizi pendenti le norme 
sopravvenienti che, diversamente regolando la giurisdizione, questa attribuiscano al 
giudice davanti al quale la domanda � stata proposta. 
In applicazione del principio considerato, senz'altro da condividere, la vertenza 
di cui trattasi, pacificamente scaturita da concessione in materia di lavori pubblici 
ed avente ad oggetto contrastanti domande intese a far valere, da un lato, ragioni 
risarcitorie e richieste di corrispettivi, e, dall'altro, pretese recupera tori e ex art. 2033 
codice civile, quindi, tutte diritti soggettivi, deve essere ritenuta ricadente nella 
giurisdizione degli arbitri e del giudice ordinario, e non in quella dei giudici 
amministrativi a mente dell'art. 5, comma 1, legge 6 dicembre 1971 n. 1034. 

Sul tema, giova puntualizzare che, ai fini in argomento, ad avviso del collegio, 

non rileva la circostanza, indiscussa, che la concessione di cui trattasi, giusta quanto 
in narrativa evidenziato, non si configuri come concessione di mera costruzione, ma 
contempli, altresi, l'affidamento alla concessionaria di una serie di attivit�, oltre che 
materiali, tecniche e burocratico-amministrative prodromiche e strumentali rispetto 
alla realizzazione degli interventi costruttivi integranti l'oggetto principale del 
rapporto controverso. 

Il ridetto art. 31-bis, comma 4, legge n. 109 del 1994, per come inequivocamente 
emerge dal suo testo letterale, prevede la generalizzata equiparazione agli appalti, ai 
fini della tutela giurisdizionale, di tutte le concessioni in materia di lavori pubblici, e 
non delle sole concessioni di costruzione di opere pubbliche, e, pertanto, deve 
ritenersi che il relativo dettato si applichi anche in relazione a quelle concessioni con 
le quali, come nella fattispecie, risultino commesse al concessionario, insieme alla 
realizzazione di una o pi� opere materiali, attivit� tecniche e/o amministrative 
preparatorie, accessorie e connesse rispetto a tale realizzazione (programmazione, 
progettazione, acquisizione delle aree e delle autorizzazioni, stipulazione degli 
appalti, vigilanza dell'andamento dei lavori, collaudi, ecc.). 


�C 
PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRIITO E PROCEDURA CIVILE 

99 

Si deve soggiungere, al riguardo, che, tenuto conto dell'amplissima portata 
letterale della cennata disposizione legislativa, non possono essere condivise le 
conclusioni alle quali sono pervenute Cass. SS.UU. civ., sent. n. 11132 del1'
11novembre1997 e le precedenti id., sent. n. 10955 del 19 ottobre 1996 e n. 5299 
del 12 giugno 1997, secondo le quali il comma 4 dell'art. 31-bis legge n. 109 
del 1994, nel disporre che, ai fini della tutela giurisdizionale, le concessioni in 
materia di lavori pubblici sono equiparate agli appalti, fa riferimento unicamente 
alle concessioni di sola costruzione di opere pubbliche, restando esclusi i casi in cui 
il rapporto concessorio abbia un contenuto pi� esteso e si riferisca anche, fra l'altro, 
alla progettazione dell'impianto da costruire: l'interpretazione restrittiva della 
norma di cui trattasi recepita negli arresti citati, di vero, risulta confliggente con la 
lettera della legge e con la relativa ratio, da individuare nell'esigenza di eliminare, 
per quanto possibile, ogni margine di incertezza in ordine all'individuazione del 
giudice giurisdizionalmente competente a conoscere delle controversie su diritti fra 
pp.aa. committenti e soggetti assuntori dell'esecuzione degli interventi in materia di 
lavori pubblici prescindendo da ogni ipotizzabile questione circa la formale 
qualificazione del rapporto fra i medesimi costituiti. 

Alla stregua delle considerazioni tutte fin qui sviluppate, in accoglimento del 
ricorso principale, deve essere dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario -e, 
prima, degli arbitri -a conoscere della causa fra la �VALIM� S.p.A. ed il 
Presidente della Regione Sicilia, con conseguenti cassazione della statuizione della 
sentenza impugnata recante declinatoria della giurisdizione di detto giudice su tale 
causa e rinvio di questa dinanzi alla corte distrettuale a qua. 

3. -La �ITALISPACA� S.p.A. ed il Presidente della Regione Sicilia hanno 
azionato e coltivato nel giudizio arbitrale di cui in narrativa ragioni reciproche 
aventi il titolo nel rapporto concessorio scaturito dalla dianzi ripetutamente citata 
convenzione stipulata 1'8 aprile 1988 fra il Presidente del Consiglio dei ministri, 
concedente, e la societ� sunnominata, concessionaria. 
Gli arbitri, con sentenza del 26 novembre 1993, hanno pronunciato sul merito 
delle confliggenti pretese sul presupposto che ai contendenti dovesse essere 
riconosciuta la qualit� di parti del rapporto in controversia, e che, segnatamente, a' 
sensi dell'art. 9 decreto-legge 3 maggio 1991 n. 142, convertito nella legge 3 luglio 
1991 n. 195, il Presidente della Regione Sicilia fosse �subentrato� al Presidente 
del Consiglio dei ministri nel ruolo a tale autorit� statuale spettante nel quadro del 
rapporto cennato. 

Il Presidente della Regione Sicilia ha prodotto impugnazione per nullit�, a 
mente dell'art. 828 codice procedura civile, avverso la sentenza arbitrale, all'uopo 
citando dinanzi alla corte di appello di Roma la �ITALISPACA� S.p.A., stata la sua 
unica contraddittrice dinanzi agli arbitri. 

Nel giudizio di gravame cos� instaurato ha spiegato intervento il Presidente del 

Consiglio dei ministri articolando istanze ed assunti omologhi a quelli prospettati 

dalla p.a. reclamante, ed invocando, alla sua volta, la invalidazione della decisione 

da questa contestata. 

La corte di appello, con la sentenza impugnata, ha dichiarato inammissibile 
l'intervento in questione, rilevando, per un verso, doversi escludere l'attuale 


R�SSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

100 

spettanza all'interventore di un qualsiasi ruolo nel rapporto sostanziale di cui � causa 
alla stregua del surrichiamato dettato dell'art. 9 decreto-legge n. 142 del 1991, e, per 
un altro, �discende(re) la inammissibilit� nel presente giudizio dell'intervento del 

P.C.M. atteso che ai sensi dell'art. 344 codice procedura civile l'intervento in 
appello � ammissibile solo ai terzi che potrebbero proporre opposizione a norma 
dell'art. 404 codice procedura civile e tale facolt�, preclusa dall'art. 831 codice 
procedura civile (vecchio testo) � stata introdotta solo dalla legge 5 gennaio 1994 
n. 25, non applicabile alla specie trattandosi di lodo emesso prima dell'entrata in 
vigore della predetta legge�. 
Il Presidente del Consiglio dei ministri, con l'unico motivo del suo ricorso 
incidentale, deduce che, in tal guisa statuendo, la corte capitolina sarebbe incorsa 
in �violazione e falsa applicazione degli artt. 2 decreto-legge 19/1988 (conv. con 
legge n. 99/1988) e 9 decreto-legge n. 142/1991 (conv. con legge n. 195/1991) in 
relazione agli artt. 14 lett. g e pregio decreto legislativo 15 maggio 1946 n. 455 
(sub 1. ccist. 26 febbraio 1948 n. 2), nonch� degli artt. 344 e 404 codice procedura 
civile (art. 360 Il. 3 codice procedura civile)�: in definitiva, sostiene che una 
corretta interpretazione sistematica delle disposizioni di cui ai decreti-legge n. 19 
del 1988 e n. 142 del 1991, nonch� delle relative leggi di conversione avrebbe 
dovuto, e dovrebb~, indurre nei convincimento, che ad esso ritorrente competano 
e �qualit� di parte del rapporto controverso; e, quindi, titblo ad intervenire nel 
giudizi.o di impugnazione per nullit� della sentenza arbitrale di cui trattasi, recante 
statuizioni riguardanti detto rapporto. 

L'assunto non ha fondamento. 

In proposito, va rilevato che -dovendo restare riservato al giudice del quale � 
stata come sopra dichiarata la giurisdizione e dinanzi al quale � stata rinviata la 
causa, sempre che risulti essere stato sollecitato ritualmente, con i motivi del 
gravame di cui all'art. 828 codice procedura civile, l'esame della problematica 
afferente alla individuazione dei soggetti ai quali spetta la veste di parti del rapporto 
concessorio sostanziale controverso -nella presente sede deve essere affrontata e 
risolta esclusivamente la questione, pregiudiziale, attinente al processo, relativa alla 
verifica della sussistenza della legittimazione, processuale, del Presidente del 
Consiglio dei ministri ad intervenire nel giudizio di impugnazione per nullit� della 
sentenza arbitrale pi� sopra menzionata, resa fra altri soggetti ed all'esito di un 
procedimento al quale egli � stato estraneo. 

Al riguardo, premesso che la fattispecie concerne impugnazione per nullit� di 
sentenza arbitrale incontestatamente pronunciata antecedentemente all'entrata in 
vigore della legge 5 gennaio 1994 n. 25, e che, perci�, il giudizio ad essa relativo, 
di massima, e per quanto qui interessa, deve intendersi regolato dalla normativa 
risultante dal testo originario del codice di procedura civile (art. 27, comma 4, legge 
cit. ), si rendono necessarie. le seguenti considerazioni. 

Questa Corte, nelle uniche due sentenze, di sezioni semplici, che si sono 
occupate ex professo ed argomentatamente della tematica relativa all'ammissibilit� 
dell'intervento del terzo nel giudizio di impugnazione per nullit� della sentenza 
arbitrale (Cass. sez. I civ., sent. n. 437 del 6 marzo 1962, e id., sent. n. 1465 del1' 
11 febbraio 1988), ha enunciato il principio secondo il quale, alla stregua del 
codice di rito nel testo in vigore prima della novellazione di cui alla legge n. 25 del 

I 


I 
I 
~= 
I 



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 

1994,prec. cit., l'intervento del terzo stato estraneo al giudizio arbitrale nel processo 

di gravame cennato non � consentito, restando affidata la tutela dei diritti di detto 

terzo che possano subire pregiudizio per effetto della sentenza degli arbitri 

all'esperimento di un'ordinaria azion� di accertamento, svincolata dall'osservanza 

dei termini di c�i agli artt. 404 e 326 codice procedura civile e dalle regole di 

competenza risultanti dall'art. 828 del codice di procedura. 

Si � posto in risalto, a supporto di tale enunciazione, che l 'impug.azione per 

nullit� della sentenza arbitrale ha un ambito delimitato, concernente i soli casi di cui 

ali' art. 829 codice procedura civile, che sono ben lungi dal portare ad una revisione 

del giudizio di prima istanza, come � caratteristico dell'appello, perch� diretti ad 

assicurare il rispetto di regole interne del procedimento arbitrale, o perch� afferenti 

a denuncia di vizi assimilabili a quelli suscettibili di rilevare in sede di legittimit�: 

che, consequenzialmente, deve ritenersi esclusa la legittimazione del terzo ad 

inserire in un tale giudizio una qualche sua autonoma causa di nullit�. 

Si � osservato, altres� che il riconoscimento dell'ammissibilit� dell'intervento 

del terzo nel giudizio in discorso non pu� essere correlato al dettato dell'art. 344 del 

codice di rito (con il connesso rinvio all'art. 404 stesso codice), posto che tale 

norma, diretta a consentire, in via eccezionale, l'intervento in appello di soggetti 

che, in quanto titolari di diritti autonomi e incompatibili con quelli controversi fra le 

parti e suscettibili di essere pregiudicati dalla sentenza resa dal primo giudice o da 

quella emananda dal giudice d'appello, avrebbero potuto spiegare intervento gi� in 

prime cure, reca previsione che non si attaglia al giudizio di impugnazione per 

nullit� cennato in ragione sia delle limitazioni all'intervento dei terzi nel 

procedimento arbitrale derivanti dal compromesso, che di tale giudizio � la fonte, sia 

del fatto, gi� evidenziato, che il giudizio di impugnazione di sentenza arbitrale per 

nullit� � destinato a restare circoscritto a motivi specifici e non pu� estendersi ad 

altri profili concernenti la posizione del terzo. 

L'orientamento giurisprudenziale risultante dai due arresti dianzi citati appare 
. convincente, merita di essere condiviso e deve presiedere alla defin,izione della 

causa in argomento (sul tema essendo da precisare soltanto che non possono 

costituire precedenti validi a contrastare l'indirizzo recepito Cass. sez. I civ., sent. n. 

4431 del 24 novembre 1976 e id., sent. n. 4820 del 28 settembre 1984, dalle quali 

risultano enucleabili affermazioni recanti declaratoria dell'ammissibilit� 

dell'intervento del terzo nel giudizio di impugnazione per nullit� della sentenza 

arbitrale: ed infatti, da un lato, l'affermazione contenuta al riguardo nel primo di 

detti ultimi arresti si rivela sostanzialmente non motivata, e, dall'altro, la seconda 

delle sentenze considerate riconosce ammissibile l'intervento nel giudizio in parola 

solo in termini concessivi). 

Conclusivamente, in applicazione dell'orientamento giurisprudenziale accolto, la 

declaratoria della sentenza impugnata relativa all'inammissibilit� dell'intervento di 

terzo dell'attuale ricorrente incidentale nel procedimento di impugnazione di sentenza 

arbitrale instauratosi fra il Presidente della Regione Sicilia e la �ITALISPACA� S.p.A. 

va ravvisata conforme al diritto e deve essere tenuta ferma, previa, per quanto di 

ragione, revisione della relativa motivazione nei sensi dianzi illustrati. 

Il ricorso incidentale, correlativamente, deve essere rigettato (omissis). 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO StAtd

102 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 9 febbraio 1999, n. 1082 -Pres. Senofonte -Est. 
Macioce -P.M. Mele -Fortes c. Ministero dell'Interno e Prefettura di Palermo 
(avv. Stato Basilica). 

Immigrazione -Decreto pretorile � Ricorso per cassazione -Inammissibilit� 
dell'impugnazione. 

Non � ammissibile il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost. 
avverso il decreto pretorile reso sul ricorso proposto ex art. 11 comma 8 della legge 

n. 40/98, essendo tale provvedimento, pur decisorio, del tutto privo del requisito 
indefettibile della definitivit�, in quanto atto sottoponibile al reclamo di cui all'art. 
739 codice procedura civile (1). 
(omissis). 

Con decreto motivato 8 aprile 1998 il Prefetto di Palermo, provvedendo ai 
sensi dell'art. 11 comma 2� lett. b) della legge 6 marzo 1998 n. 40, disponeva 
l'espulsione dallo Stato di Fortes Vitoria Antonia cittadina del Cabo Verde perch� 
ella, gi� titolare di permesso di soggiorno scaduto il 22 aprile 1996, non aveva 
provveduto a chiederne il rinnovo entro i sessanta giorni dalla scadenza. La Fortes 
proponeva ricorso al Pretore di Palermo ai sensi dell'art. 11 comma 8 legge cit. 
deducendo l'illegittimit� e l'ingiustificatezza dell'espulsione e, in subordine, 

(1) La riforma dell'immigrazione al primo esame della Corte di Cassazione e la novit� 
contenuta nel decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 113. 
A) La sentenza n. 1082/99 riveste una notevole importanza, perch� costituisce la prima 
decisione della Corte di Cassazione in materia di immigrazione, dopo l'entrata in vigore della 
riforma attuata con la legge n. 40/98 (le cui disposizioni sono poi confluite nel Testo Unico 
approvato con decreto legislativo 5 luglio 1998, n. 286). Il giudice di legittimit� accoglie 
l'eccezione della controricorrente Amministrazione, dichiarando l'inammissibilit� del ricorso per 
cassazione ex art. 111 avverso il decreto pretorile che rigetta il ricorso dell'immigrato, essendo 
tale provvedimento, pur decisorio, del tutto privo dell'indefettibile requisito della definitivit�, in 
quanto atto sottoponibile al reclamo di cui all'art. 739 codice procedura civile. 

B) Questi i fatti: una cittadina di Capo Verde ricorreva al Pretore contro il decreto di espulsione 
emesso nei suoi confronti dal Prefetto di Palermo (ex art. 11, comma 2 lett. b) della legge n. 40/98) 
per il mancato rinnovo del permesso di soggiorno (la domanda era stata presentata ben oltre il termine 
di scadenza). Il Pretore di Palermo rigettava il ricorso, ritenendo, tra l'altro, che la ricorrente, pur 
risiedente in Italia da oltre 10 anni, non aveva alcun diritto alla cittadinanza, ma solo l'interesse 
legittimo all'accoglimento di una domanda che (ai sensi dell'art. 9 legge n. 91/9l)avesse proposto. 

La donna proponeva allora, contestualmente, ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 
Cost. e reclamo al Tribunale contro il decreto pretorile. 

La Corte di Cassazione ha deciso il ricorso con la sentenza che si annota, accogliendo la tesi 
dell'Amministrazione, che aveva eccepito l'inammissibilit� del ricorso immediato contro la 
decisione pretorile, in quanto l'immigrata avrebbe dovuto esperire previamente il rimedio del 
reclamo al Tribunale. 


PARTE I, SEZ. JII, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 

103 

l'incostituzionalit� della normativa: il Pretore, sentita la Fortes, con decreto 17 
aprile 1998 rigettava l'opposizione affermando che: 

1.-LaFortes, scaduto ilpermesso di soggiorno in data 22 aprile 1996, aveva chiesto 
il rinnovo solo 1'8 aprile 1998 e cio� ben oltre i previsti novanta giorni dalla scadenza. 

2. -La ricorrente, pur risiedente nella Repubblica da oltre 10 anni, non 
aveva alcun diritto alla cittadinanza italiana ma solo l'interesse legittimo 
all'accoglimento di una domanda che, ai sensi dell'art. 9 legge 5 febbraio 1991, 
avesse proposto. 
3. -La questione di costituzionalit� delle norme, con riguardo egli artt. 3 e 16 
Cost., era irrilevante, perch� la Fortes non era cittadina italiana e quella sollevata 
con riguardo all'art. 13 era infondata, per l'inapplicabilit� di tale disposizione. 
Per la cassazione di tale decreto -e sull'assunto che esso fosse direttamente 
ricorribile ai sensi dell'art. 111 Cost. -ha proposto ricorso la Fortes con atto 
notificato il 23 aprile 1998 articolato su quattro mezzi. 

Si sono costituiti l'intimato Prefetto ed il Ministro, notificando rituale 
controricorso ed illustrandone in discussione orale i contenuti. 

MOTIVI DELLA DECISIONE 

Con il primo motivo del ricorso la Fortes denunzia la violazione degli art. 11 
legge 40/98 e 9 lett. f) legge 91/92, per avere il Pretore applicato la normativa sulla 
espulsione in modo restrittivo: A) non considerando che la norma prevede la 

A questa conclusione, la Suprema Corte perviene passando attraverso l'enunciazione di due 
principi: 1) dall'esame delle nuove norme che regolano la cosiddetta �espulsione amministrativa
� deriva che � sempre possibile ricorrere in Cassazione contro le decisioni del Tribunale, che 
definiscono in sede di reclamo le impugnazioni contro i decreti del Prefetto. Pertanto, se � vero 
che in questo caso la donna avrebbe dovuto prima proporre reclamo al Tribunale, � errato sostenere 
che le decisioni del Pretore in materia sono revocabili in ogni momento e non incidono su 
diritti soggettivi, essendo provvedimenti definitivi sulla libert� personale sempre ricorribili per 
cassazione; 2) mentre le disposizioni precedenti, ora abrogate, prevedevano la giurisdizione del 

T.A.R. sui provvedimenti di espulsione, stabilendo un sistema di controlli delle misure interno 
alla giurisdizione amministrativa e, come tale, non sottoponibile al ricorso straordinario in 
Cassazione, in virt� dell'innovazione legislativa del 1998 si � voluto dare al giudice ordinario, 
�giudice dei diritti soggettivi�, la cognizione su una impugnativa che, per l'organo al quale � proposta 
e per le garanzie di difesa che la devono assistere (il patrocinio gratuito), �non pu� non presupporre 
la denuncia della lesione di un diritto soggettivo�. 
C) La sentenza che si pubblica, pur apprezzabile per la conclusione cui perviene (di notevole 
rilevanza pratica), contiene un obiter dictum che non pu� essere condiviso, in cui si anticipa che 
� ammissibile il ricorso straordinario ex art. 111 Cost. avverso il provvedimento del Tribunale 
reso in sede di reclamo del decreto pretorile. 

Come � noto, con la legge 6 marzo 1998, n. 40 � stata introdotta una nuova disciplina 
dell'ingresso, soggiorno e allontanamento degli stranieri, integralmente sostitutiva della legge 
Martelli, ad eccezione delle disposizioni in materia di diritto di asilo (che sono oggetto di uno 
specifico disegno di legge all'esame del Senato). La nuova normativa prevede che il Governo 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

104 

espulsione quando, scaduti i sessanta giorni, non sia neanche stato richiesto il 
permesso; B) ignorando il fatto che essa ricorrente aveva ormai quesito il diritto alla 
cittadinanza italiana e che ne avrebbe proposto la richiesta; C) non considerando il 
fatto che l'espulsione non poteva essere disposta a carico degli stranieri gi� nella 
Repubblica prima dell'entrata in vigore della legge. 

Con il secondo motivo, poi, la Fortes denunzia l'illegittimit� costituzionale 
dell'art. 11, interpretato nel senso censurato con il primo motivo, per violazione 
degli artt. 3, 13, 26, 24 Cost., per la parte in cui la normativa sarebbe stata 
applicabile nei riguardi dello straniero che avesse quesito il diritto alla cittadinanza 
e per la parte in cui avrebbe riservato trattamento di favore al cittadino comunitario. 

Con il terzo mezzo, quindi, la Fortes denunzia violazione degli artt. 11 comma 
15 e 12 comma 1 della legge 40/98 per aver il Pretore ritenuto legittima l'espulsione 
nei confronti di chi dimorava nello Stato da pi� di dieci anni. 

Con il quarto motivo, infine, la ricorrente censura il decreto per violazione 
dell'art. 11 comma 14 per non avere il Pretore ridotto da cinque a tre anni la durata 
della espulsione. 

presenti ogni tre anni un documento programmatico sulla politica della immigrazione, nel quale 
devono essere indicati gli interventi che lo Stato si propone di svolgere, anche mediante accordi 
con i Paesi interessati. Nel documento sono inoltre contenuti i criteri generali per la definizione 
dei flussi di ingresso nel territorio italiano. Il primo documento programmatico risulta 
attualmente all'esame delle Camere. Sempre in generale, va ricordato che il Governo ha adottato, 
ai sensi della stessa legge n. 40/1998, un testo unico che riunisce e coordina tutte le disposizioni 
in materia di stranieri (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286). 

La riforma ha avuto tra i suoi obiettivi la riorganizzazione sistematica della disciplina vigente 
in materia di espulsione dello straniero, considerando di volta in volta l'espulsione come misura 
amministrativa, misura di sicurezza o sanzione sostitutiva alla detenzione. In particolare, l'art. 11 
riduce a due sole ipotesi le tipologie dei provvedimenti di espulsione amministrativa. Infatti, viene 
soppressa l'espulsione facoltativa da parte del Prefetto, sicch� residuano solo due ipotesi: a) la prima 

� l'espulsione disposta discrezionalmente dal Ministro dell'interno per motivi di ordine pubblico o di 
sicurezza dello Stato; b) la seconda � l'espulsione obbligatoria disposta dal Prefetto, nei casi in cui lo 
straniero sia entrato nel territorio dello Stato eludendo i controlli di frontiera o vi soggiorni senza aver 
richiesto il permesso di soggiorno o con permesso revocato, annullato o scaduto da oltre 60 giorni 
senza aver presentato domanda di rinnovo, o appartenga ad una delle categorie indicate nell'art. 1 
della legge n. 1423/56 (persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralit�) e nell'art. 1 
della legge n. 575/65, recante disposizioni contro la mafia. In entrambi i casi, l'espulsione � disposta 
con decreto motivato previo nulla osta dell'autorit� giudiziaria, qualora lo straniero sia sottoposto a 
procedimento penale e non sussistano inderogabili esigenze processuali. 

Tra le novit� pi� importanti introdotte dalla legge n. 40/98 vi � senz'altro quella relativa al 
meccanismo di tutela giurisdizionale. Innovando rispetto al sistema precedente (introdotto, si 
ricorder�, con la legge Martelli), si � infatti previsto che soltanto nel caso di espulsione disposta 
dal Ministro dell'interno, in considerazione della discrezionalit� dell'atto, � assicurata la 
possibilit� del ricorso al T.A.R. del Lazio (comma 11), mentre contro il provvedimento di 
espulsione disposto dal Prefetto pu� essere presentato unicamente ricorso al Pretore del luogo di 
residenza o di dimora dello straniero entro 5 giorni dalla comunicazione del provvedimento o 
entro 30 giorni ove l'espulsione sia eseguita con l'accompagnamento immediato. In quest'ultima 
ipotesi, qualora sia disposta dal Questore la misura del trattenimento dello straniero in un centro 
di permanenza temporaneo, il Pretore, sentito l'interessato, e osservando le disposizioni relative 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 

105 

Alla stessa ammissibilit� del ricorso straordinario ex art. 111 Cost., proposto dalla 
Fortes avverso il decreto 17 aprile 1998 del Pretore di Palermo, la controricorrente 
Amministrazione muove ampie riserve non senza aver premesso che la Fortes, 
contestualmente al predetto ricorso straordinario, avrebbe pur proposto al Tribunale di 
Palermo reclamo ex art. 739 codice procedura civile. A criterio dell'Avvocatura 
Generale dello Stato l'inammissibilit� del ricorso per cassazione sarebbe da affermare 
sotto un duplice profilo: da un canto, e con rilievo assorbente, ai provvedimenti presi 
dall'Autorit� Giudiziaria sui ricorsi avverso i decreti di espulsione ai sensi dell'art. 11 
comma 9 legge 40/98 difetterebbe il carattere della decisoriet� essendo il 
provvedimento prefettizio censurabile dallo straniero con l'invocazione di 
provvedimenti di giurisdizione volontaria, sempre revocabili e modificabili, e 
comunque non incidendo la misura di espulsione su alcuno �status� dello straniero. 
Dall'altro canto, e con riguardo al decreto emesso dal Pretore di Palermo fatto segno 
al contestato ricorso straordinario, sarebbe anche da rilevarne la inimpugnabilit� stante 
la tassativit� del ricorso al Pretore, previsto, dall'art. 11 comma 8, quale unico mezzo 
di impugnazione. Ed infine, e comunque, l'atto difetterebbe del requisito della 

ai procedimenti camerali di cui agli artt. 737 ss. codice procedura civile, decide con un unico 
provvedimento accettando o respingendo il ricorso entro dieci giorni dalla data di deposito del 
ricorso stesso (commi 8 e 9 dell'art. 11 cit.). 

Nella vertenza esaminata dalla Suprema Corte era stata impugnata, con ricorso straordinario 
per cassazione, una decisione pretorile che gi� era stata fatta oggetto di reclamo innanzi al 
Tribunale di Palermo. Ad avviso dell'Amministrazione, dunque, la ricorrente, presentando 
reclamo al Tribunale, nei modi e nelle forme di cui all'art. 739 codice procedura civile, aveva gi� 
esaurito ogni possibile mezzo di impugnazione consentito dalla legge, disponendo il terzo comma 
del citato articolo, che �salvo che la legge disponga altrimenti, non � ammesso reclamo contro i 
decreti ... del tribunale pronunciati in sede di reclamo�. E la legge che qui interessa non contiene 
alcuna norma che fa eccezione a questo principio generale. 

A sostegno di tale tesi militano anche altre ragioni, dovendosi considerare la natura del 
procedimento camerale, destinato a concludersi con provvedimenti che hanno forma di decreto, 
che non incidono su diritti soggettivi, per i quali non opera il principio dell'assorbimento delle 
nullit�, ex art. 161, comma 1, che possono essere revocati o modificati in ogni tempo, che sono 
pertanto inidonei ad acquistare l'efficacia propria del giudicato. Ed il ricorso per cassazione, si 
sa, � il rimedio di legittimit� tipico ed ineliminabile di ogni provvedimento idoneo al giudicato. 
Ad ulteriore riprova di ci�, � sufficiente richiamare l'orientamento giurisprudenziale formatosi in 
merito all'interpretazione dell'art. 111 Cost., secondo il quale un simile mezzo di impugnazione, 
� s� ammissibile con riguardo ai provvedimenti emessi in forma diversa da quella della sentenza 
(in base alla prevalenza del principio della sostanza su quello della forma), purch� tuttavia detti 
provvedimenti soddisfino tre esigenze imprescindibili, e cio�: a) incidano su diritti soggettivi; 
b) abbiano natura decisoria; e) non siano altrimenti impugnabili. 

In coerenza con questi principi, la Suprema Corte ha escluso dal ricorso straordinario ex art. 
111 Cost. i provvedimenti di giurisdizione volontaria. Se, infatti, il mezzo di impugnazione de 
quo deve costituire l'estremo e tipico rimedio di legalit� attraverso il quale passa l'iter che 
conduce al giudicato, il provvedimento che si impugna non pu� non possedere entrambi gli indici 
di idoneit� al giudicato, vale a dire la �decisoriet�� e la �definitivit��, come hanno chiarito le 
Sezioni Unite della Cassazione in una nota pronuncia del 1986. Proprio intervenendo in materia 
di provvedimenti camerali, la Suprema Corte spieg� che �il problema deve risolversi verificando 
se nei provvedimenti in camera di consiglio emessi in secondo grado sussistano le condizioni 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

106 

definitivit�, posto che, quand'anche si intendesse superare i rilievi sopra riportati, esso 
sarebbe semmai reclamabile innanzi al Tribunale ex art. 739 codice procedura civile e 
non direttamente ricorribile in cassazione. 

Ritiene il Collegio che dall'esame delle nuove norme poste a regolare 
l'�espulsione amministrativa� ex art. 11 legge 6 marzo 1998 n. 40 (e confluite 

nell'art. 13 del �T.U. delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione 
e norme sulla condizione dello straniero� approvato con decreto legislativo 
25 luglio 1998 n. 286), discenda la indubbia esperibilit� del ricorso straordinario ai 
sensi dell'an. 111 Cost. avverso i provvedimenti che definiscano in sede di reclamo 
le impugnazioni avverso i decreti del Prefetto. E di qui, se va disattesa la tesi 
principale sostenuta dalla controricorrente Amministrazione dell'Interno, a mente 
della quale le decisioni del Pretore sarebbero decreti di volontaria giurisdizione, 
revocabili in ogni momento e non incidenti su diritti soggettivi, va certamente 
accolto il rilievo concernente la non ammissibilit� del ricorso straordinario della 
Fortes, proposto avverso un atto sottoponibile al reclamo di cui all'art. 739 codice 
procedura civile. 

della impugnabilit� per cassazione ( ...) le quali consistono nella decisoriet�, intesa come risoluzione di 
una controversia su diritti soggettivi o status, e nella definitivit�, intesa come mancanza di rimedi diversi 
e nell'attitudine del provvedimento a pregiudicare con l'efficacia propria del giudicato quei diritti e 
quegli status�. Non solo, ma aggiunse la Corte che �le due condizioni devono coesistere, in quanto � 
irrilevante la decisoriet� se il provvedimento � sempre modificabile o revocabile, tanto per una nuova e 
diversa valutazione delle circostanze precedenti, quanto per il sopravvenire di nuove circostanze, 
nonch� per motivi di legittimit�. In questi casi il provvedimento non contiene una statuizione definitiva 
ed un pregiudizio irreparabile ai diritti che vi sono coinvolti. Pur essendo necessaria la prima condizione 
attinente al contenuto (per esempio: una modifica del diritto o dello status), detto contenuto deve essere 
anche espressione di un potere giurisdizionale esercitato con carattere vincolante rispetto all'oggetto 
della pronuncia, in modo da garantirne l'immodificabilit� da parte del giudice che lo ha pronunciato, e 
l'efficacia di giudicato ex art. 2909 codice civile� (Cass. civ., SS.UU., 23 ottobre 1986, n. 6220, in Foro 
it., 1987, I, 3278; Cass. civ., sez. I, 20 maggio 1987, n. 4607). 

Nel caso di specie, difettavano gli estremi dell'idoneit� al giudicato, come interpretati dalla 
giurisprudenza. Innanzitutto, depone a favore della inammissibilit� del ricorso straordinario per 
cassazione la stessa lettera della legge, la quale, all'art. 11, comma 8, espressamente dispone che 
�avverso il decreto di espulsione pu� essere presentato unicamente ricorso al pretore�, con ci� 
lasciando preclusa ogni ulteriore possibilit� di impugnazione, fatta salva ovviamente quella 

ordinariamente prevista dall'art. 739 codice procedura civile, di cui la ricorrente si era, nella 
fattispecie, ampiamente avvalsa. 

In secondo luogo, risultava assente nel provvedimento camerale de quo la contestuale 
presenza degli elementi di attitudine al giudicato. Per quanto riguarda la decisoriet�, � da 
osservare come il decreto del Pretore di Palermo non ha inciso, n� modificandolo n� 

Iestinguendolo, sullo status di cittadino italiano della ricorrente, n� tantomeno sullo status di 
profuga, dal momento che la ricorrente non era n� cittadina italiana n� risultava essere profuga. 

I 

N�, del resto, pu� essere denunciata l'eventuale violazione di diritti costituzionalmente tutelati, 

!i

visto che l'art. 10, secondo comma, della Cost. stabilisce che �la condizione giuridica dello 
straniero � regolata dalla legge in conformit� delle norme e dei trattati internazionali� ed � chiaro 

I 

che, nella fattispecie in esame, il provvedimento impugnato era stato emanato dalla Prefettura in f 
stretta osservanza delle norme contenute proprio in quella legge ordinaria cui la Costituzione fa 
riferimento e che, perci�, risultava pienamente rispettoso del principio di legalit�. 

I 



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITIO E PROCEDURA CIVILE 

107 

1. -L'espulsione amministrativa disciplinata dall'art. 11 della legge 6 marzo 
1998 n. 40 si articola, come � noto, nella espulsione disposta dal Ministro per ragioni 
di ordine pubblico o sicurezza (comma 1 ), la cui illegittimit� � denunziabile innanzi 
al TAR del Lazio (comma 11), e dall'espulsione disposta dal Prefetto nei casi di cui 
alle lettere a), b) e e) del comma 2 (sintetizzabili nelle tre ipotesi de: lo straniero 
entrato clandestinamente -lo straniero carente del titolo per soggiornare -lo 
straniero �pericoloso� o sospetto di appartenenza mafiosa), la cui validit� � 
sindacabile dal Pretore �nei modi di cui agli artt. 737 e seguenti del codice di 
procedura civile� (commi 8, 9 e 10). 
2. -� altrettanto noto che nel casi di impossibilit� di respingimento od espulsione 
immediata dello straniero (per necessit� di soccorso personale, indagine sulla 
nazionalit� o temporanea indisponibilit� di vettori), il questore dispone il trattenimento 
dello straniero stesso in centri di permanenza per giorni 20 pi� 10 con decreto da 
sottoporre alla convalida del Pretore � ... nei modi di cui agli articoli 737 e seguenti del 
codice di procedura civile ...� (art. 12 commi 1, 2, 3 e 4), il cui provvedimento (decreto 
di convalida e proroga) � immediatamente ricorribile per cassazione (comma 5). 
Del resto, quando il legislatore ha voluto consentire il ricorso per cassazione, lo ha fatto 
esplicitamente; il comma 6 dell'art. 12 prevede infatti che avverso i decreti di convalida e di 
proroga dello straniero espulso e soggiornante presso centri di permanenza temporanea, sia 
proponibile ricorso in cassazione, precisando altres� che tale ricorso non sospende l'esecuzione 
della misura. 

Ma, anche volendo prescindere dal requisito della decisoriet�, � comunque indispensabile 
che contestualmente ricorra l'ulteriore requisito della irrevocabilit� del provvedimento. Sul 
punto, baster� rilevare che il permesso di soggiorno o il suo rinnovo possono essere revocati 
�sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio e che non si tratti 
di irregolarit� amministrative� (art. 5, comma 5), dal che si deduce che l'intera materia � 
sottoposta al massimo ad una stabilit� rebus sic stantibus, che la rende modificabile, se non in 
ogni caso, almeno nell'ipotesi in cui sopravvengano nuove circostanze. 

D) Nel merito, la vertenza ha investito, anzitutto, il problema della individuazione dei limiti 
di applicabilit� dell'art. 17, comma 2, lett. e), della legge n 40/98 e, segnatamente, il problema 
del significato da attribuire al divieto di espulsione degli stranieri �conviventi con parenti entro 
il quarto grado o con il coniuge, di nazionalit� italiana�. Il nodo da sciogliere ha riguardato la 
possibilit� di far rientrare nella predetta statuizione situazioni diverse dalla dimora, invocando 
-come ha fatto la ricorrente -un rapporto di tenore diverso, quale la �divisione� della vita con 
la sorella. Ma il requisito, cui la permanenza nel territorio italiano � subordinato, � espressamente 
quello della convivenza, cio� il fatto di dimorare nella stessa abitazione, senza che si possano 
ipotizzare situazioni succedanee, per giunta vaghe e non ben definite. 

N�, sotto diverso angolo visuale, la nuova legge pu� essere interpretata secondo criteri di 
assoluto favore per le ragioni dell'immigrato, attribuendo alla espulsione una finalit� unicamente 
respressiva di comportamenti negativi o trasgressioni, con esclusione cio� di �semplici errori�. 
Sul punto, � illuminante la motivazione espressa dal Tribunale adito: �A fronte di una pregressa 
disposizione (art 4 decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, modif. dalla legge 28 febbraio 1990, 

n. 39, in materia di ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari e di regolarizzazione dei 
cittadini extracomunitari gi� presenti nel territorio dello Stato), che gi� prima dell'entrata in 
vigore della legge n. 40/98 disciplinava il rilascio ed il rinnovo del permesso di soggiorno, e 
sanzionava con l'espulsione la violazione dei relativi obblighi (artt. 4, comma 11, e 7, comma 2, 
decreto-legge 30 dicembre 1989 nel testo modif. da legge 28 febbraio 1990, n. 39), � chiaro allora 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STA1U'

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3. -L'innovazione introdotta dal legislatore del 1998 in tema di rimedi 
giurisdizionali avverso i decreti prefettizi di espulsione e le misure di pubblica 
sicurezza del trattenimento nei centri di permanenza (e ferma restando la 
sindacabilit� innanzi al TAR delle espulsioni adottate dal Ministro per ragioni 
squisitamente politiche) appare di tutta evidenza. Il preesistente regime posto dagli 
artt. 2 e segg. del decreto-legge 416/89 conv. dalla legge 28 febbraio 1990 n. 39 
(abrogati dall'art. 46 lett. e) della legge 6 marzo 1998 n. 40) prevedeva, infatti, la 
giustiziabilit� innanzi al T.A.R. di tutti i provvedimenti di espulsione s� da far 
affermare a questa Corte che, coerentemente con la estraneit� della libert� di 
circolazione nello Stato dello straniero dall'ambito del diritto alla libert� personale 
di cui all'art. 13 Cost., si era previsto un sistema di controlli delle misure di 
espulsione interno alla giurisdizione amministrativa e, come tale, non sottoponibile 
al ricorso straordinario ex art. 111 2� comma Cost. (cass. S.U 3394/94). 
4. -L'innovazione posta dal legislatore del 1998 in termini di rimedi 
giurisdizionali avverso le espulsioni ordinarie (�non politiche�), e tradottasi nella 
che il ritardo della Fortes rientra proprio nella previsione che regolamenta gli effetti di un 
inadempimento gi� sanzionato, imponendo al Prefetto l'adozione del provvedimento di cui al 
citato art. 11, comma 2, lett. b), legge n. 40/98)�. 

Il richiamo a disposizioni previgenti non � ultroneo, perch� la legge n. 40/98 non � certo il 
primo intervento in materia di soggetti extracomunitari, ispirato a principi di solidariet� sociale e 
rispetto dell'altrui libert�. Il nostro legislatore � stato, infatti, sempre attento ai diritti 
dell'extracomunitario e, del resto, ancor prima della legge citata, la condizione giuridica dello 
straniero trova nel nostro Paese tutela a livello costituzionale, senza contare poi le numerose 
convenzioni intermizionali intervenute in tal senso, specie negli ultimi anni. 

Neppure si pu� limitare l'espulsione, ex art. 11, comma 2, lett. b), alla sola ipotesi in cui il 
permesso di soggiorno non sia mai stato richiesto. In argomento, il Tribunale ha ritenuto che �la 
norma in questione va esaminata alla luce del 4� comma dell'art. 5 della stessa legge, a mente del 
quale 'il rinnovo del permesso di soggiorno deve essere richiesto dallo straniero almeno trenta 
giorni prima della scadenza', e va con ci� pi� logicamente interpretata nel senso che, in mancanza 
di una tempestiva richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno, allo spirare del 60� giorno 
successivo il Prefetto deve procedere all'espulsione dello straniero. Diversamente opinando, del 
resto, si finirebbe con vanificare la portata della norma, poich� si consentirebbe allo straniero di 
evitare l'espulsione chiedendo il rinnovo del permesso di soggiorno al momento stesso 
dell'accertamento dell'infrazione�. 

In effetti, la norma citata stabilisce che l'espulsione venga disposta quando il permesso di 
soggiorno Ǐ scaduto da pi� di sessanta giorni e non ne � stato chiesto il rinnovo�. Se il legislatore 
avesse voluto attribuire una diversa rilevanza alla norma, la stessa sarebbe stata formulata nel 
seguente modo: Ǐ scaduto da pi� di sessanta giorni o non ne � stato chiesto il rinnovo�, 
sostituendo la congiunzione �e� con la disgiuntiva �O�. Invece, l'uso della congiunzione �e� 
riconduce il decreto di espulsione al fatto che, pur essendo intervenuta una richiesta di rinnovo 
del permesso di soggiorno, questa tuttavia venga avanzata con notevole ritardo rispetto al termine 
fissato per la scadenza del permesso stesso. 

D'altra parte, essendo il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno subordinati alla verifica 
della sussistenza di una serie di requisiti (motivi di lavoro, disponibilit� dei mezzi di sussistenza, 
non pericolosit� sociale, ecc.), � ovvio che, qualora si lasciasse passare un periodo 
irragionevolmente lungo dalla scadenza del permesso, i suddetti requisiti potrebbero, nel frattempo, 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITIO E PROCEDURA CIVlLE 

109 

sottoposizione alla cognizione camerale del Pretore sia delle misure di espulsione 
sia dei decreti di trattenimento temporaneo, appare, dunque, ispirata ad una 
coerente visione della materia: al giudice ordinario -giudice dei diritti 
soggettivi -si � inteso dare, all'esito di un procedimento camerale esclusivo 
(vd. l'avverbio �unicamente� di cui al comma 8 dell'art. 11), da introdurre in 
tempi minimi (5 giorni) e da decidere �in ogni caso� entro tempi brevissimi (10 
giorni) ed in modo informale, la cognizione su una impugnativa che, per l'organo 
al quale � proposta e per le garanzie di difesa che la devono assistere (il 
patrocinio gratuito di cui al comma 10 del ridetto art. 11), non pu� non 
presupporre la denunzia della lesione di un diritto soggettivo. Del resto � 
significativo che avverso i decreti pretorili di convalida e proroga del 
provvedimento del questore sul trattenimento dei clandestini sia dato dall'art. 12 
comma 6 direttamente il ricorso per cassazione (senza sospensione della misura), 
scelta eloquente dell'intento di accordare -l� dove l'urgenza di provvedere 
sulla convalida comporta il diniego del reclamo ex art. 739 codice procedura 

se non riscontrati nell'immediatezza, subire una modificazione al punto tale da non essere pi� 
accertabili (ad esempio, lo straniero potrebbe non essere pi� rinvenibile, o potrebbe essere cessato 
dal rapporto di lavoro, per cui precedentemente aveva ottenuto l'ingresso nello Stato italiano). 

In ogni caso, la fattispecie normativa esaminata va tenuta distinta dalla previsione contenuta 
nell'art. 11, comma 15, le cui statuizioni si rivolgono esclusivamente ed unicamente allo straniero 
�privo di valido documento attestante la sua identit� e nazionalit��, o comunque che possa 
sottrarsi all'esecuzione del provvedimento di espulsione �tenuto conto di circostanze obiettive 
riguardanti il suo inserimento sociale, familiare e lavorativo� (art. 11, comma 5). 

Infatti, chi -come la ricorrente -ha gi� attestato la nazionalit� del proprio Paese di origine 

o ha attestato la sua identit� allo Stato italiano, ha in forza di ci� potuto avere �regolari rapporti di 
lavoro�. E la circostanza di essere entrato nel territorio italiano sulla base di un regolare permesso 
di soggiorno e di aver vissuto in esso per lungo tempo non pu� impedire l'espulsione 
dell'immigrato, perch� una tale asserzione, oltre ad essere priva di riscontro giuridico, � stata 
disconosciuta dallo stesso giudice di merito, il quale ha al proposito osservato che il comma 15 
dell'art. cit., che pure si riferisce all'ipotesi dello straniero giunto nel territorio dello Stato prima 
della data di entrata in vigore della legge n. 40/98, non pone tuttavia un principio generale in favore 
di tutti gli stranieri giunti sul territorio italiano prima dell'entrata in vigore di tale legge. 
Infine, l'art. 11 della legge in oggetto, cos� interpretato, non sembra affetto da illegittimit� 
costituzionale, in quanto la permanenza per un periodo di tempo prolungato nel territorio italiano 
non � idonea a far acquisire all'immigrato il diritto ad ottenere la cittadinanza italiana, ex art. 9, 
lett. f) della legge n. 91/92, differenziando la sua posizione rispetto a quella dello straniero che 
tale diritto non pu� vantare. 

Infatti, la cittadinanza italiana, se pure pu� essere concessa allo straniero che risieda 
legalmente in Italia da almeno dieci anni, � in ogni caso subordinata alla concessione di apposito 
�decreto del Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato, su proposta del Ministro 
dell'interno� (art. 9, prima parte, della legge n. 91/92). Trattasi, dunque, di complessa procedura, 
la cui attivazione � rimessa dalla legge all'impulso di parte. 

Inoltre, il provvedimento di concessione della cittadinanza italiana viene adottato sulla base 
di valutazioni ampiamente discrezionali circa l'esistenza di un'avvenuta integrazione dello 
straniero in Italia, in guisa che il mero decorso del termine decennale all'uopo utile non 
attribuisce all'extracomunitario alcun diritto soggettivo, atteggiandosi quale mero presupposto di 
fatto necessario per la pi� ampia e discrezionale decisione delle Autorit� competenti. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO Sli~I'Cl'

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civile ed impone la decisione pretorile in unico grado -comunque il ricorso ex 
art. 111 2� comma Cost., impugnazione straordinaria a tutela dei diritti avverso 
le decisioni assunte in violazione di legge. 

5. -Se, dunque, la ragione del ricorso al Pretore avverso il decreto di 
espulsione ben pu� essere la prospettazione di una sua adozione al di fuori dei casi 
previsti alle lettere a), b) e e) del comma 2 dell'art. 11 e, conseguentemente, la 
lesione che da tal illegittima espulsione deriverebbe ai � .. diritti in materia civile ..� 
spettanti allo � .. straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato ..� 
(art. 2 comma 2), la decisione che da tal ricorso discende esula radicalmente 
dall'ambito della giurisdizione volontaria nella quale il controricorso 
dell'Avvocatura Erariale vorrebbe riportarla in ragione della pretesa configurazione 
di un mero interesse legittimo o semplice in capo allo straniero extracomunitario 
fatto segno ad espulsione. 
Nel caso di specie, quindi, la ricorrente avrebbe potuto richiedere la cittadinanza italiana, ma 
non ha provveduto a presentare le relative pratiche. Questa inerzia non poteva certamente valere 
a fondare a suo vantaggio una situazione di privilegio, che, anzi, avrebbe dato luogo ad un ingiustificato 
trattamento rispetto allo straniero che, diligentemente, si fosse attivato nei termini di 
legge per ottenere la cittadinanza italiana. 

E) Mentre si avviava a soluzione -con il chiarimento giurisprudenziale apportato dalla 
sentenza della Cassazione -veniva pubblicato (nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 27 aprile 1999) 
il decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 113, contenente �Disposizioni correttive al testo unico 
delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello 
straniero, a norma dell'articolo 47, comma 2, della legge 6 marzo 1998, n. 40�, che ha rovesciato 
radicalmente l'acquisizione giurisprudenziale. 

In particolare, si segnala l'art. 3, che sostituisce il comma 9 dell'art. 13 del testo unico 
approvato con il citato decreto legislativo n. 286/1998, statuendo che �il ricorso, a cui deve 
essere allegato il provvedimento impugnato, � presentato al pretore del luogo in cui ha sede 
l'autorit� che ha disposto l'espulsione. Nei casi di espulsione con accompagnamento 
immediato, semprech� sia disposta la misura di cui al comma 1 dell'articolo 14, provvede il 
pretore competente per la convalida di tale misura. Il pretore accoglie o rigetta il ricorso 
decidendo con unico provvedimento adottato, in ogni caso, entro dieci giorni dalla data di 
deposito del ricorso, sentito l'interessato, nei modi di cui agli articoli 737 e seguenti del codice 
di procedura civile�. 

Ma, soprattutto, va sottolineata la novit� introdotta dall'art. 4, che novella il citato art. 13 
inserendo il seguente art. 13-bis (Partecipazione dell'amministrazione nei procedimenti in 
camera di consiglio): �1. -Se il ricorso di cui all'articolo 13 � tempestivamente proposto, il 
pretore fissa l'udienza in camera di consiglio con decreto, steso in calce al ricorso. Il ricorso 
presentato fuori dei termini � inammissibile. Il ricorso con in calce il provvedimento del 
giudice � notificato, a cura della cancelleria, all'autorit� che ha emesso il provvedimento. 

2. -L'autorit� che ha emesso il decreto di espulsione pu� stare in giudizio personalmente o 
avvalersi di funzionari appositamente delegati. La stessa facolt� pu� essere esercitata nel 
procedimento di cui all'articolo 14, comma 4. 3. -Gli atti del procedimento e la decisione sono 
esenti da ogni tassa e imposta. 4. -La decisione non � reclamabile, ma � impugnabile per 
Cassazione�. 
Un tratto di penna del legislatore e la soluzione giurisprudenziale che aveva accolto la tesi 
dell'Amministrazione sancendo l'inammissibilit� del ricorso per cassazione risulta 
immediatamente superata. 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITIO E PROCEDURA CIVILE 

111 

6. -Del resto la statuizione pretorile e la decisione presa all'esito del reclamo 
proponibile ex art. 739 codice procedura civile (norma richiamata con il rinvio agli 
artt. 737 e seguenti codice procedura civile formulato al ridetto comma 9 dell'art. 
11) sono misure sostanzialmente decisorie e tendenzialmente definitive, non 
essendo prevista, n� essendo minimamente ipotizzabile, la facolt� dell'interessato di 
istare in ogni momento, e senza vincoli di giudicato, per la modifica o la revoca 
delle misure stesse ai sensi dell'art. 742 codice procedura civile (facolt� correlata 
alla natura dell'interesse tutelato e costituente segno distintivo della volontaria 
giurisdizione: cfr. dalle note S.U. 6220/86 alle recenti cass. 8046/98 -2934/98 5228/
97 -4090/97 -1278/97). 
7. -Se modificabilit� sussiste -secondo le ipotesi prospettate in ricorso 
dall'Amministrazione controricorrente -essa coinvolge espressamente il rilascio 
del permesso di soggiorno (art. 5 comma 5 della legge) e cio� latto amministrativo 
Dalla Relazione al decreto legislativo risulta che la questione era stata oggetto di uno specifico 
rilievo delle Commissioni Affari Costituzionali di Camera e Senato, che avevano �raccomandato 
di tener conto della sentenza n. 1082 del 1999 della Corte di Cassazione�. Ma dalla stessa 
Relazione risulta che �Si � ritenuto di mantenere inalterata la norma gi� proposta 
nell'originario testo del correttivo, ora riportata all'art. 4, che tende a precisare che nella fattispecie 
considerata, il provvedimento del pretore � definitivo e, quindi, ricorribile per Cassazione. 
Tale soluzione si rende infatti obbligata per omogeneit� con l'art. 14, comma 6, del testo unico 
(che dispone la proponibilit� del ricorso per Cassazione contro i decreti del pretore di convalida 
e di proroga della permanenza dello straniero nel Centro di accoglienza) e per intima coerenza 
con il sistema dell'art. 13 che vuole risolto il procedimento scaturente dall'impugnazione entro i 
quindici giorni antecedenti l'esecuzione dell'espulsione�. 

Si osserva che la sorprendente soluzione normativa (pubblicata in Gazzetta il 27 aprile 
1999) � di pochi giorni successiva allo straordinario evento costituito dall'Assemblea generale 
della Corte suprema di cassazione tenutasi a Roma, nell'aula magna del Palazzo di giustizia 
venerd� 23 aprile 1999, per discutere sulla cd. crisi della Cassazione. Ebbene � forse utile qui 
richiamare, conclusivamente, un passo significativo della Relazione del Primo pres. Zucconi Galli 
Fonseca, che pu� forse costituire spunto di meditazione sulla vicenda: �l'ammissione generalizzata 
del ricorso per cassazione -per di pi� in un'epoca di generale espansione della domanda di 
giurisdizione e di flusso incessante e disordinato della legislazione, spesso ambigua, mai 
consolidata, e perci� difficilmente conoscibile -investe la Corte della trattazione di un 
grandissimo, e in astratto illimitato, numero di ricorsi, incompatibile con la struttura e la 
funzionalit� di una Corte suprema: ci� ha infatti reso la Cassazione italiana pletorica, affetta da 
ipertrofia -come l'ha definita il Procuratore Generale nel suo recente discorso inaugurale -per 
l'impressionante dilatazione di tutti gli indici numerici della sua struttura e della sua funzione; 
quindi disarticolata, incapace di dominare il prodursi di decisioni contrastanti, forzata a trascurare 
l'unit� del sistema e magari a travalicare nell'apprezzamento dei fatti. Ma sottostante a questo 
fenomeno prodotto da cause quantitative, che soltanto nella legge possono avere un contenimento, 
ne sta un altro forse pi� preoccupante. Si tratta della compromissione delle stesse funzioni di 
legittimit� della Corte, derivante dall'attribuzione al suo esame di ricorsi che nella stragrande parte 
dei casi non implicano questioni di diritto: il che avviene in particolare quando la legge esclude 
l'appello e investe la Cassazione del ricorso contro provvedimenti di prima istanza, cos� 
sovraccaricando il giudice di legittimit� senza assicurare una tutela appropriata al diritto di difesa 
dei cittadini�. 

FEDERICO BASILICA 



112 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 
fonte dello �status� di straniero �regolarmente soggiornante nel territorio dello 
Stato� (art. 2 comma 2) che, in quanto tale, � certamente revocabile e modificabile, 
ma non riguarda in alcun modo i decreti adottati dall'A.G.0. su impugnazione dello 
straniero che, ove definitivamente reiettivi della stessa, non potranno aver seguito in 
@I 
una loro �revoca� per mutamento delle circostanze di ammissione al soggiorno & 
essendo soltanto ipotizzabile che tale mutamento sia autonomanente valutato, in ~ 
sede propria, dall' Autont� amministrativa al fine di eventuale riammissione. 
8. -L'ampia ed accurata rassegna che la controricorrente Amministrazione ha 
fatto dell'evoluzione della giurisprudenza di questa Corte in tema di attrazione nella 
g.v. di provvedimenti resi in materia di affidamento di minori, di potest� genitoriale, 
di adozione, di nomina e revoche e di societ� giurisprudenza 
pervenuta alla ferma 
negazione della ricorribilit� ex art. 111 Cost. anche avverso gli atti di v.g. che 
neghino il �diritto processuale� di agire ( cfr. da ultimo cass. 11729/98) -appare 
del tutto inconferente, posto che in tutte le ipotesi citate la rivedibilit� e precariet� 
della decisione presa non � certo correlata alla �debolezza� dell'interesse tutelato 
ma � funzionale alla strumentalit� della stessa rispetto al superiore interesse in 
giuoco, nel mentre nella decisione sull'espulsione amministrativa in discorso alla 
valutazione del Prefetto si contrappone, specularmente, la sola pretesa dell'espulso 
alla verifica delle condizioni legittimanti l'esclusione del suo diritto. 
9. -Quanto, infine, alla possibilit� che dalla previsione espressa del ricorso 
per cassazione avverso i decreti Pretorili di convalida o proroga della misura di 
trattenimento (comma 6 art. 12) si deduca la non ricorribilit� di quelli adottati ai 
sensi del comma 9 dell'art. 11, sulle impugnazioni avverso le misure di espulsione, 
essa va radicalmente esclusa (come cennato al capo 4) in una lettura 
costituzionalmente corretta delle previsioni. La previsione esplicita �de qua� 
comporta soltanto la deroga per il sindacato sulle convalide pretorili, ed in ragione 
della evidente urgenza di pervenire alla esecuzione, al principio della reclamabilit� 
della decisione (art. 739 codice procedura civile) : sulle decisioni pretorili adottate 
in sede di impugnazione dei decreti di espulsione � invece esperibile l'ordinario 
reclamo in tribunale la cui ricorribilit� � conseguente alla ridetta decisoriet� del 
provvedimento (senza alcuna esigenza di ribadire la ricorribilit� ex art. 111 Cost. in 
un quadro nel quale l'esclusione di tal ricorso sarebbe �ictu oculi� incostituzionale). 
10. -Ma da quanto test� affermato discende anche, e solo sul punto 
condividendosi l'eccezione di inammissibilit� sollevata dalla controricorrente, che 
nel caso di specie alla Fortes era dato il reclamo al Tribunale di Palermo, contro la 
decisione del quale eventualmente avrebbe potuto (o potrebbe ancora) esperire il 
rimedio del ricorso straordinario, restando, invece, del tutto inammissibile 
l'esperimento del ricorso nei riguardi del decreto pretorile che, pur decisorio, era del 
tutto privo del requisito indefettibile della definitivit�. 
Dichiarata l'inammissibilit� del ricorso si stima equo -in ragione della 
assoluta novit� delle questioni trattate disporre 
la compensazione tra le parti delle 
spese del giudizio di legittimit� (omissis). 


SEZIONE QUARTA 

GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

I 

CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., 28 aprile 1999, n. 4 -Pres. Laschena -Est. 
Maruotti -Ferrovie dello Stato S.p.a. c. A. Menga. 

II 

CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., 28 aprile 1999, n. 5 -Pres. Laschena -Est. 
Maruotti -Ferrovie dello Stato S.p.a. c. M. Spagnardi. 

III 

CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., 28 aprile 1999, n. 6 -Pres. Laschena -Est. 
Maruotti -Telecom Italia S.p.a. c. Editoriale Ipotesi S.p.a. e Ministero delle 
Comunicazioni. 

Atto amministrativo -Accesso ai documenti -Attivit� di diritto privato della 
pubblica amministrazione -Configurabilit�. 

Ai sensi dell'art. 22 della legge n. 241 del 1990 ed in applicazione dell'art. 97 della 
Costituzione, che sancisce il rispetto dei valori dell'imparzialit� e del buon andamento 
dell'Amministrazione, l'istituto dell'accesso trova applicazione nei confronti di ogni 
tipologia di attivit� della Pubblica Amministrazione. E le esigenze del buon andamento 
e della imparzialit� dell'Amministrazione riguardano allo stesso modo tutte le attivit� 
volte all'emanazione dei provvedimenti, anche quando si tratti delle attivit� ispettive di 
vigilanza, di controllo e di accertamento delle infrazioni alle leggi vigenti (1). 

I 

Premesso in fatto 
(omissis) 

1. -Il sig. Antonio Menga, dipendente della S.p.a. Ferrovie dello Stato, ha partecipato 
al corso di formazione quadri per il passaggio al profilo di capo tecnico 
sovrintendente ed ha superato l'esame finale. 
(1) L'Adunanza Plenaria, con le sentenze in esame, ha esaminato il problema se possa esercitarsi 
il diritto di accesso nei confronti dell'attivit� privatistica della Pubblica Amministrazione, 
risolvendolo nel senso che l'istituto dell'accesso trova applicazione nei confronti degli atti dell'Amministrazione 
in quanto tali, non rilevando la loro disciplina sostanziale pubblicistica o privatistica 
e neppure se, nel caso di controversia, vi sia la giurisdizione ordinaria o quella amministrativa; 
pertanto, tranne le eccezioni tassativamente previste dalla legge, per tutti gli atti 
dell'Amministrazione sussistono le esigenze della trasparenza, che rendono possibile il concreto 
perseguimento dei valori costituzionali sanciti dall'art. 97 della Costituzione. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

114 

Egli ha chiesto alla societ� di accedere agli atti riguardanti il corso ed ai titoli 
prodotti dai candidati, rilevando che nel caso di silenzio avrebbe proposto ricorso al 
TAR ai sensi dell'art. 25 della legge 7 agosto 1990, n. 241. 

Col ricorso n. 855 del 1997, proposto al TAR per l'Abruzzo, sede dell'Aquila, 
il sig. Menga ha impugnato il silenzio serbato dalla S.p.a. Ferrovie dello Stato ed ha 
dedotto la violazione dell'art. 23 della legge 241 del 1990 e dell'art. 2 del decreto 
del Presidente della Repubblica 27 giugno 1992, n. 352. 

Il TAR, con l'ordinanza n. 645 del 17 dicembre 1997, ha ordinato alla societ� 
di depositare �una allegata relazione in ordine alla vicenda di cui � controvesia, con 
allegati i provvedimenti di cui al ricorso�. 

2. -Con l'appello in esame, la S.p.a. Ferrovie dello Stato ha chiesto che, in 
riforma dell'ordinanza impugnata, sia respinto il ricorso di primo grado, poich�, a 
seguito della trasformazione dell'Ente Ferrovie in S.p.a., �deve ritenersi che le 
Ferrovie dello Stato non si inquadrino pi�, istituzionalmente, nell'apparato organizzativo 
della pubblica amministrazione� e che lattivit� della societ� � disciplinata 
dal diritto privato, tranne i soli atti emessi nella sua qualit� di concessionaria ex lege. 
In subordine, l'appellante ha dedotto che il ricorso di primo grado sarebbe 
inammissibile, poich� la societ� ha respinto l'istanza d'accesso e non si � formato il 
silenzio impugnato. 

L'appellato si � costituito in giudizio ed ha chiesto che il gravame sia respinto. 

3. - 
Con l'ordinanza n. 1205 del 1998, la Sesta Sezione: 
a) ha qualificato come sentenza l'impugnata pronuncia del TAR; 
b) ha ravvisato un contrasto di giurisprudenza circa la sussistenza del diritto di 
accesso in relazione ali' attivit� privatistica della pubblica amministrazione; 
e) ha rimesso l'esame dell'appello ali' Adunanza Plenaria. 

4. -Alla camera di consiglio del 22 marzo 1999 la causa � stata trattenuta per 
la decisione. 
Secondo l'Adunanza Plenaria, infatti, la ratio e il testo dell'art. 22 della legge n. 241 del 
1990 non consentono di affermare che l'accesso vada escluso per gli atti dell'Amministrazione 
disciplinati dal diritto privato: di conseguenza, l'accesso va escluso nei soli casi espressamente 
previsti dalla legge (cfr., l'art. 24 della legge n. 241 del 1990, l'art. 8 del decreto del Presidente 
della Repubblica n. 352 del 1992 e l'art. 4 del decreto legislativo n. 39 del 1997) ma non per il 
solo fatto che sia rivolto verso gli atti che, tenuto conto delle leggi amministrative di settore, sono 
disciplinati dal diritto privato. 

In generale sui rapporti tra la legge n. 675 del 1990 e la legge 241 del 1990 sull'accesso ai 
documenti amministrativi, con particolare riferimento all'attivit� contrattuale di diritto privato 
della Pubblica Amministrazione, si veda la nota di G. MANGIA, L'accesso ai documenti amministrativi 
e il rispetto della legge sulla privacy, con particolare riferimento ali' attivit� contrattuale 
di diritto privato della Pubblica Amministrazione, in questa Rassegna, infra, II, 51. 

G.M. 

PARTE I, SEZ. IV, GWRISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

Considerato in diritto 

1. -Nel presente giudizio, � controverso se gli articoli 22 e seguenti della legge 
7 agosto 1990, n. 241, si applichino quando un dipendente della S.p.a. Ferrovie dello 
Stato chieda alla societ� di accedere agli atti di un procedimento concorsuale, cui 
abbia partecipato per ottenere il passaggfo ad un profilo superiore. 
Con il gravame in esame, la S.p.a. Ferrovie dello Stato ha impugnato l'ordinanza 
(avente natura di sentenza) con cui il TAR per l'Abruzzo le ha ordinato di 
depositare gli atti del procedimento e, col primo motivo, ha dedotto che: 

-a seguito della trasformazione dell'Ente Ferrovie in S.p.a., �deve ritenersi 
che le Ferrovie dello Stato non si inquadrino pi�, istituzionalmente, nell'apparato 
organizzativo della pubblica amministrazione�; 

-la sua attivit�, anche di gestione del personale, � disciplinata dal diritto privato, 
tranne i soli atti emessi nella sua qualit� di concessionaria ex lege. 

La Sesta Sezione ha richiamato i contrapposti orientamenti giurisprudenziali 
che si sono formati sulla questione se possa esercitarsi il diritto d'accesso nei confronti 
dell'attivit� privatistica della pubblica amministrazione ed ha manifestato la 
propria adesione al c.d. orientamento restrittivo. 

Peraltro, considerato l'evidente carattere di massima della questione, la Sesta 
Sezione ha ritenuto opportuno deferire la soluzione della controversia all'Adunanza 
Plenaria, per una composizione dei vari orientamenti delle Sezioni e, �ove dovesse 
prevalere la tesi dell'interpretazione estensiva�, affinch� �vengano adeguatamente 
precisati i limiti oltre i quali la disciplina sull'accesso non pu� spingersi in tema di 
attivit� privatistica�. 

2. -Ritiene l'Adunanza Plenaria che, potendosi seguire l'impostazione dell'ordinanza 
di rimessione, vada dapprima esaminato l'ambito di applicabilit� nei confronti 
della pubblica amministrazione degli articoli 22 e seguenti della legge n. 241 
del 1990 e vadano poi verificati i limiti entro i quali laccesso possa aver luogo nei 
confronti dell'attivit� dei concessionari dei pubblici servizi. 
3. -Per quanto riguarda l'accesso agli atti di diritto privato della pubblica 
amministrazione, si sono formati vari orientamenti. 
3.1. -Per quello definito �restrittivo� dall'ordinanza di rimessione, in linea di 
principio va escluso l'accesso, sulla base delle seguenti considerazioni: 
-gli obiettivi del buon andamento e dell'imparzialit� della pubblica amministrazione 
sarebbero perseguibili solo quando essa �si presenti come autorit��, e non 
quando �agisca con il diritto dei privati, senza godere di potest� particolari o di posizioni 
di supremazia�; 

-non sarebbe �giustificabile alcuna intrusione� quando l'ente agisca con il 
diritto dei privati, poich� �il diritto di accesso rappresenta una sorta di contrappeso 
in favore dell'amministrato nei confronti di una posizione del soggetto pubblico 
o assimilato che si trovi in una condizione di potest� ed eserciti strumenti pubblicistici
� (Sez. V, 17 dicembre 1996, n. 1559, in tema di accesso alla relazione 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO

116 

inviata ad un Comune dal direttore dei lavori di cui all'art. 63 del regio decreto 25 
maggio 1895, n. 350). 

Gli stessi principi sono stati enunciati dalle decisioni che hanno escluso l'accesso 
nei confronti dell'attivit�, non riferibile a poteri autoritativi, degli enti pubblici 
economici (Sez. VI, 11 dicembre 1996, n. 1734, riguardante l'Ente Poste; Sez. IV, 
5 giugno 1995, n. 412, in materia di accesso agli atti dell'ente S.A.C.E.) e dei concessionari 
(Sez. VI, 2 aprile 1997, n. 539, riguardante un procedimento di assegnazione 
di un incarico dirigenziale da parte della S.p.a Ferrovie dello Stato). 

In sintesi, si � qualificato il diritto di accesso come il �contrappeso in favore 
dell'amministrato nei confronti del soggetto pubblico che gode di posizioni di supremazia 
derivanti dall'esercizio della funzione autoritativa� (Sez. IV, 5 giugno 1995, 

n. 412, cit.). 
3.2. -L'opposto orientamento � stato seguito dalle decisioni per le quali anche 
l'attivit� di diritto privato �costituisce cura concreta di interessi della collettivit� non 
meno dell'attivit� di diritto amministrativo�, non potendosi �discriminare l'attuazione 
della trasparenza e dell'imparzialit� in base al criterio formale del regime giuridico 
dell'attivit� delle pubbliche amministrazioni� (Sez. IV, 17 giugno 1997, 
n. 649; Sez. VI, 3 giugno 1997, n. 843; Sez. IV, 4 febbraio 1997, n. 82, rispettivamente 
riguardanti l'attivit� del Ministero delle Finanze, dell'I.N.A.I.L. e del 
Ministero del Tesoro). 
Si � al riguardo precisato che �l'accesso agli atti di diritto privato posti in essere 
da un soggetto pubblico o da un concessionario di pubblici servizi � a~missibile 
allorch� detti atti accedano ad un'attivit� che, indipendentemente dal regime giuridico 
formale, costituisca, nella sua essenza, cura concreta di interessi della collettivit�
� (Sez. VI, 14 aprile 1998, n. 484). 

3.3. -Per un orientamento intermedio, l'accesso agli atti di diritto privato delle 
pubbliche amministrazioni (e degli enti pubblici economici) va ammesso, tranne 
quando si tratti �di attivit� esclusivamente privatistica e del tutto disancorata dall'interesse 
pubblico di settore istituzionalmente rimesso alle cure dell'apparato 
amministrativo� (Sez. IV; 15 gennaio 1998, n. 14, che ha ammesso l'accesso agli 
atti della S.A.C.E., riguardanti una pratica di indennizzo in relazione ad un contratto 
da eseguire all'estero per la costruzione di un tronco stradale). 
4. -Ritiene l'Adunanza Plenaria che l'Istituto dell'accesso trovi applicazione 
nei confronti di ogni tipologia di attivit� della pubblica amministrazione. 
4.1. -L'art. 22 della legge n. 241 del 1990 ha disciplinato il �diritto di accesso 
ai documenti amministrativi�, �al fine di assicurare la trasparenza dell'attivit� 
amministrativa e di favorirne lo svolgimento imparziale�, e ha dato attuazione 
all'art. 97 della Costituzione, per il quale la legge assicura �il buon andamento e 
l'imparzialit� dell'amministrazione�. 
Tali. principi costituiscono i valori essenziali di riferimento di ogni comportamento 
dell'amministrazione. 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

Le esigenze del buon andamento e della imparzialit� �dell'amministrazione� 
(come disciplinate dall'art. 97 della Costituzione) riguardano allo stesso modo l'attivit� 
volta all'emanazione dei provvedimenti e quella con cui sorgono o sono gestiti 
i rapporti giuridici disciplinati dal diritto privato. 

Ogni attivit� dell'amministrazione, anche quando le leggi amministrative consentono 
l'utilizzazione di istituti del diritto privato; � vincolata all'interesse collettivo, 
in quanto deve tendere alla sua cura concreta, mediante atti e comportamenti 
comunque finalizzati al perseguimento dell'interesse generale. 

L'attivit� amministrativa � quindi configurabile non solo quando l'amministrazione 
eserciti pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando essa (nei 
limiti consentiti dall'ordinamento) persegua le proprie finalit� istituzionali mediante 
una attivit� sottoposta, in tutto o in parte, alla disciplina prevista per i rapporti tra 
i soggetti privati (anche quando gestisca un servizio pubblico o amministri il proprio 
patrimonio o il proprio personale). 

4.2. -In attuazione del principio costituzionale per cui l'attivit� amministrativa 
nel suo complesso deve essere trasparente e controllabile, l'art. 22 della 
legge n. 241del1990 (nonch� l'art. 1 ss. del decreto legislativo 24 febbraio 1997, 
n. 39, attuativo della direttiva comunitaria n. 313 del 1990 in materia di ambiente) 
non ha attribuito decisivo rilievo alla natura pubblicistica o privatistica degli 
atti nei cui confronti si chieda l'accesso e non ha indicato una particolare tipologia 
di atti dell'amministrazione nei cui confronti l'accesso sia radicalmente 
precluso. 
Mediante la disciplina sull'accesso, il legislatore: 
-ha permesso una pi� diffusa conoscenza dei processi decisionali ( agevolando 
il concreto perseguimento dei valori dell'imparzialit� e del buon andamento); 
-ha favorito la partecipazione ed il controllo degli amministrati sui comportamenti 
dei soggetti che agiscono per l'amministrazione, che sono pertanto stimolati 
a comportarsi responsabilmente, con attenzione, diligenza e correttezza e sulla 
base di parametri di legalit�, con il conseguente svolgimento di un'attivit� controllabile 
e, pertanto, qualitativamente migliore; 
-ha introdotto un istituto che pu� anche avere un effetto deflattivo dei giudizi, 
poich� la conoscenza dei documenti rilevanti, �O corroborando la legittimit� 
degli atti amministrativi o comunque ingenerando il convincimento dell'inopportunit� 
dell'impugnazione, pu� dissuadere dall'azione giurisdizionale� (Sez. V, 
18 dicembre 1997, n. 1591; Sez. IV, 6 marzo 1995, n. 158). 

N� la ratio n� il testo dell'art. 22 della legge n. 241 del 1990 consentono di 
affermare che l'accesso vada escluso per gli atti dell'amministrazione disciplinati 
dal diritto privato: 

-tali atti rientrano nell'attivit� di amministrazione in senso stretto degli interessi 
della collettivit�; 

-la legge non ha introdotto alcuna deroga alla generale operativit� dei principi 
della trasparenza e dell'imparzialit� e non ha garantito alcuna �zona franca� nei 
confronti dell'attivit� disciplinata dal diritto privato. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

118 

L'accesso, quindi, va escluso nei soli casi espressamente previsti dalla legge 
(cfr. l'art. 24 della legge n. 241 del 1990 e l'art. 8 del decreto del Presidente della 
Repubblica n. 352 del 1992, l'art. 4 del decreto legislativo n. 39 del 1997), ma non 
per il solo fatto che sia rivolto verso gli atti che, tenuto conto delle leggi amministrative 
di settore, sono disciplinati dal diritto privato. 

4.3. -Il legislatore, nel sancire che l'accesso possa avere luogo anche nei confronti 
degli atti dell'amministrazione disciplinati dal diritto privato, ha determinato 
una regola coerente con le pi� recenti tendenze volte a ridurre il tradizionale rilievo 
della distinzione tra gli atti amministrativi autoritativi e quelli di diritto privato della 
pubblica amministrazione. 
Se in passato i criteri di riparto della giurisdizione (in assenza di specifiche 
norme di settore) si basavano sulla distinzione tra gli interessi legittimi e i diritti soggettivi 
(col rilievo inevitabile da attribuire alla natura pubblicistica o privatistica 
degli atti dell'amministrazione), in alcune materie e anche per l'influsso del diritto 
comunitario (in tema di accesso, anche ai sensi della direttiva n. 313 del 1990, nonch� 
di appalti pubblici di lavori, di servizi e di forniture) le leggi pi� recenti hanno 
introdotto normative sostanziali la cui applicabilit� prescinde dalla distinzione tra 
soggetti pubblici e privati e dalla natura dei loro atti. 

Gi� per le controversie in materia di accesso, e pure per le liti proposte contro un 
concessionario di un pubblico servizio, l'art. 25 della legge n. 241 del 1990 ha previsto 
la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (Sez. Un., 28 maggio 1998, 

n. 5292; Sez. Un., 16 dicembre 1994, n. 11214). 
Pi� in generale, in materia di appalti, nei limiti previsti dalle leggi di recepimento 
delle direttive comunitarie, anche agli atti delle imprese � stato attribuito un rilievo 
pubblicistico, tale da configurare la giurisdizione amministrativa di legittimit� per le 
controversie sorte prima del 1� luglio 1998 (Cass., Sez. Un., 13 febbraio 1999, n. 64; 
Sez. Un., 5 febbraio 1999, n. 24; Cons. Stato, Sez. VI, 28 ottobre 1998, n. 1478; 
Sez. V, 20 dicembre 1996, n. 1577). 

Per le controversie sorte dal 1� luglio 1998, il legislatore ha poi ritenuto di porre 
un'ampia deroga al criterio tradizionale di riparto della giurisdizione e di devolvere 
alla giurisdizione amministrativa esclusiva anche le controversie intercorrenti tra 
soggetti privati, in settori in cui sono coinvolti interessi pubblici (art. 33 del decreto 
legislativo n. 80 del 31 marzo 1998). 

Per converso, le leggi di riforma del pubblico impiego (tranne alcune eccezioni) 
hanno ritenuto di sottoporre i relativi rapporti alla giurisdizione ordinaria ed alla disciplina 
generale dei rapporti di lavoro privato (sia pure con gli inevitabili adattamenti, 
imposti dall'art. 97 della Costituzione; cfr. Corte Cost., 16 ottobre 1997, n. 309), anche 
quando si controverta di atti aventi un'indubbia incidenza sull'organizzazione amministrativa 
e, dunque, sulle strutture istituite per soddisfare gli interessi pubblici. 

Il legislatore, oltre ai casi di privatizzazione di soggetti tenuti a svolgere servizi 
in favore della collettivit� ed ai peculiari poteri delle autorit� indipendenti (legge 
14 novembre 1995, n. 481), ha introdotto altres� nel sistema: 

-la figura dell'accordo di diritto amministrativo (artt. 11 e 15 della legge 

n. 241 del 1990), per i quali si applicano, �ove non diversamente previsto, i prin

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

cipi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili�, 
prevedendo la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in ragione degli 
interessi pubblici coinvolti; 

-la disciplina di soggetti formalmente privati ma istituzionalmente tenuti a 
soddisfare interessi pubblici anche sulla base del diritto comunitario e di quello 
amministrativo, quali le societ� miste e in genere gli organismi di diritto pubblico 
che non rientrano nel novero delle pubbliche amministrazioni. 

Il legislatore, pertanto, nell'ambito di un fenomeno di reciproca interferenza 
del diritto amministrativo e del diritto privato, ha disciplinato alcuni settori in cui 
vanno soddisfatti gli interessi della collettivit�, individuando la normativa sostanziale 
applicabile e determinando il giudice che conosca delle controversie, senza 
trarre rigide conseguenze e contrapposizioni tra la natura pubblicistica o privatistica 
degli atti dell'amministrazione, del resto a volte neppure identificabile sulla base 
di precostituiti canoni legislativi (come risulta dalle oscillazioni giurisprudenziali 
del passato). 

Tuttavia, pur nell'ambito della progressiva osmosi tra le discipline pubblicistiche 
e quelle privatistiche, resta determinante il rispetto dei valori dell'imparzialit� e 
del buon andamento, sanciti dall'art. 97 della Costituzione. 

La normativa sull'accesso ha il medesimo ambito di applicazione dell'art. 97 e 
riguarda quindi gli atti dell'amministrazione in quanto tali: 

-ai fini dell'accesso, non rileva la loro disciplina sostanziale pubblicistica o 
privatistica e neppure se, nel caso di controversia, vi sia la giurisdizione ordinaria o 
quella amministrativa (di legittimit�, esclusiva o di merito); 

-tranne le eccezioni tassativamente previste dalla legge, per tutti gli atti 
dell'amministrazione sussistono le esigenze della trasparenza, che agevola il 
concreto perseguimento dei valori costituzionali del buon andamento e dell'imparzialit�. 


4.4. -L'amministrazione non pu� dunque negare l'accesso agli atti riguardanti 
la sua attivit� di diritto privato solo in ragione della loro natura privatistica. 
Chi ne ha interesse, anche quale dipendente, pu� accedere agli atti di un procedimento 
dominato dai principi di buona fede e correttezza oltre che da quello di 
legalit�. 

Anche in relazione a trattative in corso per il sorgere di obbligazioni e contratti, 
chi ne ha interesse pu� formulare l'istanza di accesso proprio per verificare se � 
stata violata la normativa pubblicistica (cfr. art. 24 della legge 11 febbraio 1994, 

n. 109, e art. 56 della legge 1990, n. 142, come interpretati da Sez. V, 31 dicembre 
1998, n. 1996; Sez. V, 22 marzo 1995, n. 454, per cui l'imprenditore del settore 
pu� contestare la sussistenza dei presupposti posti a base di una trattativa privata 
conclusa con altri). 
L'amministrazione pu� invece negare laccesso, per tutelare se stessa, nei soli 
casi previsti dall'art. 24 della legge n. 241 del 1990, dall'art. 8 del decreto del 
Presidente della Repubblica n. 352 del 1992, e dall'art. 4 del decreto legislativo 

n. 39 del 1997, ad esempio quando il soggetto, senza averne un interesse, nel corso 
di trattative consentite dalla legge o nella fase dell'esecuzione di un contratto, inten

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO StAT�

120 

da accedere ad atti interni che riguardino la sfera delle libere valutazioni dell'amministrazione 
in ordine alla convenienza delle scelte da adottare. 

5. -Occorre a questo punto esaminare l'ambito di applicazione dell'art. 23 
della legge n. 241 del 1990 e l'art. 2, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 
n. 39 del 1997, per i quali l'accesso si esercita anche nei confronti degli �enti pubblici
� e dei �concessionari di pubblici servizi�. 
5.1. -Dal punto di vista soggettivo, nell'ambito dei �concessionari di pubblici 
servizi� vanno annoverati tutti i soggetti, comunque denominati, che gestiscono 
un servizio pubblico (come inteso dall'art. 33 del decreto legislativo n. 80 del 
1998), sulla base di un titolo giuridico, sia esso la legge o un atto anche non avente 
il nomen di concessione (ad esempio per conto del Servizio sanitario nazionale: 
Sez. Un., 12 luglio 1995, n. 7641; 27 aprile 1995, n. 4679; 24 novembre 1994, 
n. 9971; 9 ottobre 1990, n. 9923). 
L'imprenditore privato, quando svolge in base a tale titolo il servizio pubblico, 
� assoggettato dall'art. 23 della legge n. 241 del 1990 ad un regime sostanziale particolare 
(che incide anche sulla sua organizzazione interna), perch� � tenuto a soddisfare 
gli interessi pubblici e a far esercitare l'accesso (nei limiti consentiti dalla 
stessa legge e dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 
27 giugno 1992, n. 352, ovvero, in materia di ambiente, dalla direttiva comunitaria 

n. 313 del 1990 e dal decreto legislativo n. 39 del 1997). 
5.2. -Dal punto di vista oggettivo dell'attivit� svolta dal gestore, il legislatore 
(in coerenza con la tendenza che non attribuisce rilievo decisivo alla natura del soggetto 
che cura gli interessi collettivi) ha disposto che le esigenze di trasparenza del1'
attivit� amministrativa e del suo svolgimento imparziale concernano anche le attivit� 
di natura tipicamente negoziale e materiale (svolte in regime pubblicistico nei 
soli casi previsti dalla legge) con cui si gestisce un servizio pubblico e si entra in 
contatto con gli utenti. 
Il richiamo agli enti pubblici, anche economici, ed ai concessionari di pubblici 
servizi evidenzia che in linea di principio la legge consente l'accesso alle loro attivit� 
di interesse pubblico, anche se sottoposte in tutto o in parte alla disciplina 
sostanziale del diritto privato: gli interessi collettivi meritano una identica tutela 
quando � gestito un servizio pubblico, poco importando sotto tale aspetto se esso sia 
svolto da un soggetto pubblico o da un privato in regime di mercato e concorrenza 

o di esclusiva (il che fa risultare al pubblico un vero e proprio alter ego dell'amministrazione). 
Anche l'attivit� degli enti pubblici economici e dei gestori di pubblici servizi, 
quando si manifesta nella gestione di interessi pubblici, rientra quindi nell'ambito di 
applicazione dell'art. 97 della Costituzione (e non dell'art. 41 sulla libert� dell'iniziativa 
economica): essa, pur se sottoposta di regola al diritto comune, � svolta, oltre 
che nell'interesse proprio, anche per soddisfare quelli della collettivit� ed ha rilievo 
pubblicistico, sicch� si deve attenere ai principi della trasparenza e del buon andamento 
(le cui violazioni possono anche indurre l'amministrazione, o le autorit� indipendenti, 
a esercitare i propri poteri di autotutela, di vigilanza e di controllo). 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

In primo luogo, l'accesso previsto dall'art. 23 della legge n. 241del1990 riguarda 
i casi in cui una norma comunitaria o di diritto interno (in ragione delle esigenze 
di mercato, degli interessi pubblici coinvolti o della gestione del denaro pubblico) 
imponga al gestore del pubblico servizio l'attivazione di procedimenti per la formalizzazione 
delle proprie motivate determinazioni, anche di scelta dei propri contraenti 
(come avviene in materia di appalti pubblici di lavori, servizi o forniture). 

In tali casi (nei quali la norma affida al gestore del servizio anche lo svolgimento 
di una pubblica funzione, tale da giustificare la giurisdizione esclusiva del 
giudice amministrativo: art. 33 del decreto legislativo n. 80 del 1998), la normativa 
di settore equipara l'attivit� del soggetto privato a quella tipicamente amministrativa, 
per quanto riguarda l'ambito di operativit� dell'art. 97 della Costituzione e dell'istituto 
dell'accesso. 

In secondo luogo, l'accesso � esercitabile nei confronti del gestore in relazione 
alle modalit� con cui � materialmente gestito il servizio pubblico e a ci� che attenga 
alla sua organizzazione: i destinatari del servizio possono accedere agli atti 
suscettibili di incidere sulla qualit� del servizio, sul rispetto delle norme che proteggono 
gli utenti e sul soddisfacimento delle loro esigenze. 

In terzo luogo, oltre alle attivit� da svolgere sulla base di una norma ed a quelle 
direttamente riguardanti la gestione del servizio, l'accesso pu� avere luogo anche 
in relazione alla residua attivit� del gestore, quando si manifesti un interesse pubblico 
prevalente rispetto a quello imprenditoriale, sulla base di un giudizio di bilanciamento. 


Tale giudizio caso per caso va svolto in sede di giurisdizione esclusiva sulla 
base di una valutazione composita, che tenga conto: 

-del pubblico servizio in concreto svolto, della strumentalit�, rispetto ad esso, 
dell'attivit� oggetto della domanda di accesso, nonch� delle eventuali previsioni 
delle carte di servizio del settore; 

-del regime sostanziale dell'attivit� del gestore, svolto in regime di esclusivit� 
(che rende ravvisabile all'utenza un vero e proprio alter ego dell'amministrazione) 
o in un sistema di mercato e di concorrenza (che, se del caso, possono far ravvisare 
le esigenze di riservatezza tassativamente previste dall'art. 8, comma 5, 
lettera d), del decreto del Presidente della Repubblica n. 352 del 1992); 

-delle eventuali regole procedimentali, anche di diritto privato, che il gestore 
si sia posto per organizzare il servizio con determinazioni basate sulla trasparenza e 
sui principi di buona fede e di correttezza. 

Sulla base di tali criteri, un interesse pubblico prevalente � ravvisabile quando 
il gestore del servizio (spontaneamente o in applicazione di una norma) ponga in 
essere un procedimento di natura comparativa con criteri precostituiti, per la selezione 
del personale pi� meritevole e per organizzare con efficienza il servizio. 

Le scelte effettuate all'esito di tale procedimento hanno un rilievo pubblicistico, 
da un lato perch� si tratta della selezione di coloro che fanno parte della complessiva 
organizzazione del gestore, entrano in contatto col pubblico e determinano 
la qualit� del servizio, e dall'altro perch� si ripercuotono sull'utenza le iniziative e 
le proteste di coloro che, in forma individuale, associativa o sindacale, lamentino 
che le scelte finali si siano basate su comportamenti scorretti. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

122 

In altri termini, il soggetto che assume di essere stato leso dal gestore nel corso 

di un procedimento per l'assunzione o la promozione di dipendenti non solo pu� 
lamentare la violazione dei principi di buona fede e di correttezza innanzi al giudice 
ordinario, ma pu� accedere agli atti del medesimo procedimento, in quanto vi � 
lo svolgimento di una attivit� strettamente connessa e strumentale alla quotidiana 
attivit� di gestione del servizio pubblico. 

L'accesso agli atti del gestore del servizio pubblico, pur quando essi sono disciplinati 
dal diritto privato e comportano la giurisdizione ordinaria, consente il perseguimento 
delle medesime finalit� connesse all'accesso agli atti dell'amministrazione (e 
cio� una pi� diffusa conoscenza dei processi decisionali, lo stimolo a comportamenti 
ispirati ai canoni di diligenza, buona fede e correttezza, ad una deflazione delle contrcr 
versie): vi � l'interesse pubblico all'effettuazione di scelte corrette da parte del gestore, 
quando esse siano finalizzate all'organizzazione efficiente ed alla qualit� del servizio. 

Pertanto, quando il gestore di un servizio pubblico pone in essere un procedimento 
disciplinato dal diritto privato, prevale l'interesse pubblico alla trasparenza e 
pu� chiedere laccesso chi abbia interesse ad accertare se vi sia stata una scorrettezza. 

6. -Tenuto conto dei criteri che precedono, ritiene l'Adunanza Plenaria che la 
S.p.a. Ferrovie dello Stato debba consentire all'appellato l'accesso agli atti del procedimento 
indetto per il conferimento di promozioni ai propri dipendenti. 
Non rilevano in contrario le deduzioni svolte nell'atto d'appello, per cui la 
societ�, per la sua natura privata, non rientra tra le pubbliche amministrazioni e 
gestisce il personale sulla base della normativa privatistica. 

Come si � sopra osservato, gli articoli 22 e 23 della legge n. 241del1990 non preeludono 
l'accesso agli atti di natura privata e, in presenza di un interesse pubblico prevalente, 
ammettono l'accesso nei confronti di chi svolga un pubblico servizio (in base 
ad una norma di legge o ad un atto amministrativo), applicando regole di diritto privato. 

Essi si applicano, del resto, quando vi sia un �interesse per la tutela di situazioni 
gi~r)id1b�cb3!11e~te.nd�1~~anti�, e ci~� an~he quando ~l 1giud?ich~ ohr~indan�? (come nella 
specie a rn gmns 1z10ne su11a s1tuaz1one sostanzia e 1 c 1 c 1e a 1accesso. 
Contrariamente a quanto � stato dedotto dall'appellante, i criteri di riparto tra le varie 
giurisdizioni possono essere disposti dal legislatore (salvo il principio sancito dall'art. 
103 della Costituzione, per il quale �il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia 
amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione 
degli interessi legittimi�) in considerazione anche di esigenze di natura organizzativa, 
ma non incidono sull'ambito di applicazione della normativa sull'accesso. 
Neppure pu� condividersi la deduzione per cui la gestione del personale delle 

S.p.a. Ferrovie dello Stato non avrebbe alcuna conseguenza sullo svolgimento del 
servizio e non sarebbe connessa allo svolgimento delle funzioni pubbliche, esercitabili 
dalla societ�. 
Infatti, gli atti della societ� con cui avviene la selezione del personale incidono 
sulla scelta del personale pi� idoneo e preparato ed incide direttamente, quindi, sulla 
qualit� del servizio di trasporto ferroviario. 

� inoltre indubbio che il rispetto della normativa sulla trasparenza e sul buon 
andamento dei concorsi indetti dalla S.p.a. Ferrovie dello Stato (anche in considerazione 
della titolarit� del relativo patrimonio azionario) coinvolga interessi di natura 

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PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

123 

pubblicistica e contribuisca ad instaurare corretti rapporti, anche di natura sindacale, 
tra la societ� ed i propri dipendenti, con potenziali riduzioni di tensioni e proteste 
e con la conseguente maggiore qualit�, funzionalit� ed efficienza del servizio. 

7. -Il primo motivo d'appello va pertanto respinto, perch� non sussistono le 
ragioni addotte per escludere l'accesso agli atti del concorso cui ha partecipato l'appellato, 
n� peraltro emergono (o sono stati rappresentati dall'appellante) specifici 
interessi che inducano a ritenere infondata l'originaria domanda, sulla base del 
necessario giudizio di bilanciamento. 
8. -Col secondo motivo del gravame, proposto in via subordinata, l'appellante 
ha chiesto che il ricorso di primo grado sia dichiarato inammissibile, poich� la societ� 
ha respinto l'istanza d'accesso e non si � formato il silenzio impugnato. 
La censura va respinta, sia perch� la lettera raccomandata n. 4108 del 29 ottobre 
1997, che ha espressamente respinto la domanda di accesso, non risulta recapitata 
entro il 5 ottobre 1997 (data in cui l'appellato ha chiesto all'ufficiale giudiziario 
la notifica del ricorso di primo grado), sia perch�, a seguito della reiezione 
dell'istanza, la controversia va risolta in sede giurisdizionale, ai sensi dell'art. 25, 
comma 5, della legge n. 241 del 1990. 

9. -L'appello � nel suo complesso infondato e va respinto. 
Va pertanto confermata la pronuncia appellata, con cui � stato ordinato alla 
S.p.a. Ferrovie dello Stato di consentire l'accesso a tutti gli atti riguardanti il corso 
di formazione quadri, cui ha partecipato l'appellato (omissis). 
III* 

(omissis). 

1. -La societ� appellata: 
a) ha concluso un contratto con la S.p.a. Telecom Italia (concessionaria del 
Ministero delle comunicazioni per la gestione del c.d. servizio audiotex), in base al 
quale fornisce a pagamento informazioni (riguardanti lo svolgimento di giochi, quali 
il totocalcio e il totogol) agli utenti che telefonano ai numeri telefonici col prefisso 
144 o 166, che le sono stati assegnati; 
b) ha ricevuto la notifica di cinque diffide del Ministero delle comunicazioni, 
aventi ad oggetto la contestazione di comportamenti considerati scorretti, ed ha impugnato 
tali atti in sede giurisdizionale (con ricorsi che risultano ancora pendenti); 
e) con una istanza del 16 giugno 1997, ha chiesto alla S.p.a. Telecom Italia di 
accedere agli atti elencati in dieci punti, e complessivamente riguardanti tutta l'attivit� 
di gestione dei servizi audiotex, ed in particolare l'attivit� di controllo (di c.d. 
monitoraggio) sull'attivit� dei centri di servizio che hanno stipulato contratti con la 

(*) Si omette la pubblicazione della sentenza n. 5/99, analoga alla n. 4/99, sopra riportata. 



.. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO

124 

S.p.a. Telecom Italia, l'elenco delle richieste del Ministero delle comunicazioni di 
disabilitazione nei confronti di altri centri di servizio, la corrispondenza intercorsa * 
tra la S.p.a. 'I!lecom 1tal~a edd il. Minist~ro ovvero altri soggetti pubblici o privati li~=_=-,_�_=. 
�comunque auerente 1a v1cen a m questione�. ; 

La S.p.a. Telecom Italia, con la nota n. 24260 del 9 luglio 1997, ha respinto la 
domanda di accesso, rilevando la genericit� di alcuni punti della richiesta, l'esigenza 
di tutelare la riservatezza degli altri soggetti che svolgono l'attivit� di centri di 
servizio audiotex e l'assenza di un suo obbligo di fornire copia degli atti in possesso 
del Ministero. 

1.1. -Col ricorso di primo grado, proposto al TAR per il Lazio ai sensi 
dell'art. 25 della legge n. 241 del 1990, la societ� appellata ha lamentato l'illegittimit� 
del diniego ed ha chiesto che sia dichiarato il suo diritto di accedere a tutti i 
documenti richiesti. 
Con la sentenza impugnata, il TAR ha respinto il ricorso per la parte in cui ha 
chiesto l'accesso con riferimento agli atti richiamati nei punti 1, 8, 9 e 10 della originaria 
istanza (perch� formulata in termini generici) e nel punto 2, tendente a cono~ 
scere i dati identificativi dei soggetti, �Operanti nel settore dei servizi auditel, al cui 
capitale partecipi Telecom Italia direttamente o attraverso societ� collegate o con


I 

trollate� (perch� riguardanti �attivit� di diritto privato�). 
Il TAR ha invece accolto il ricorso per la parte riguardante la richiesta di accesso: 

I 

~ 

1:-:

-agli atti indicati nei punti 3, 4 e 5 dell'istanza, concernenti le iniziative 
poste in essere dal Ministero delle comunicazioni e dalla S.p.a. Telecom Italia nei ffi 

I fficonfronti di altri centri di servizio, nello svolgimento dell'attivit� di vigilanza e di 
controllo; 

-agli atti richiamati al punto 6 e 7 dell'istanza, e specificamente riguardanti 
l'appellata, in quanto in possesso della S.p.a. Telecom, non rilevando la circostanza w 
che essi siano anche nella disponibilit� del Ministero delle comunicazioni e possa


I 

no avere rilevanza in giudizi pendenti presso il giudice ordinario o quello amministrativo. 


1.2. -Con l'appello in esame, la S.p.a. Telecom Italia ha impugnato la sentenza 
del TAR per i capi che hanno accolto le censure di primo grado. 
II 
II 

La societ� originaria ricorrente non ha formulato appello incidentale avverso i 
capi della sentenza che hanno comportato la sua soccombenza. , 

1.3. -Dopo avere ricostruito le vicende che hanno condotto alla proposizione ~ 
del gravame, l'appellante con l'unico articolato motivo ha dedotto che: m
ili

a) con l'originaria istanza di accesso la societ� appellata ha inteso acquisire 

tl 

elementi di fatto per sostenere che nei suoi confronti vi � stata un'attivit� di vigiili; 


;::

lanza e di controllo che non � stata svolta nei confronti di altri soggetti che gesti~:: 
scono i centri di servizio; 

Ili

� b) i suoi illeciti, una volta accertati, dovevano essere repressi e non possono 

~ 

essere giustificati per il fatto che altri illeciti non siano stati eventualmente accertati 
o repressi; w 

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rtf11.a111.m?���11���1��a1����1.1t.1~ 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRIITIVA 

e) in base all'art. 8, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica n. 
352 del 1992, legittimamente vi � stato il rigetto dell'istanza volta ad acquisire informazioni 
(riservate e coperte da segreto) sull'attivit� di vigilanza e di controllo svolta 
nei confronti di altri soggetti, poich� va tutelata la loro riservatezza, anche ai sensi 
degli articoli 20 e seguenti della legge n. 675 del 1996; 

d) non pu� ammettersi che la societ� appellata abbia un interesse generico a 
verificare il buon andamento dell'attivit� di vigilanza e di controllo; 

e) in ogni caso, se anche si dovesse ritenere possibile l'accesso agli atti riguardanti 
altri centri di servizio, il TAR avrebbe dovuto ordinare l'integrazione del contraddittorio 
nei confronti dei controinteressati. 

La Sesta Sezione, rilevata l'esigenza di determinare la natura pubblicistica o 
contrattuale dell'attivit� di vigilanza e di controllo svolta dalla S.p.a. Telecom, ha 
richiamato gli orientamenti giurisprudenziali che si sono formati sulla questione se 
possa esercitarsi il diritto d'accesso nei confronti dell'attivit� privatistica della pubblica 
amministrazione e dei concessionari di pubblici servizi ed ha rimesso l'appello 
all'esame dell'Adunanza Plenaria. 

1.4. -Con una successiva memoria, l'appellante ha richiamato la normativa 
applicabile per i servizi audiotex e per la relativa attivit� di vigilanza ed ha ribadito 
le proprie conclusioni: 
-sull'assenza di un interesse dell'appellata a conoscere le iniziative poste in 
essere dal Ministero delle comunicazioni o dalla S.p.a. Telecom Italia nei confronti 
di altri soggetti che gestiscono i servizi audiotex; 

-sulla insussistenza dell'obbligo di consentire l'accesso ai suoi atti che non 
hanno natura pubblicistica e sono stati posti in essere in esecuzione delle determinazioni 
del Ministero delle comunicazioni, perch� altrimenti si dovrebbe 
ammettere che l'accesso non tutela �quel bene preziosissimo che � l'informazione, 
ma di indagine e financo di ispezione di quanto si faccia nell'esercizio di 
un'impresa�. 

2. -Ritiene l'Adunanza Plenaria che l'appello nel suo complesso sia infondato 
e vada respinto, poich�: 
a) in base alla normativa vigente, gli atti del Ministero delle comunicazioni e 
della S.p.a. Telecom Italia (riguardanti l'attivit� di vigilanza e di controllo nei confronti 
dei gestori dei servizi audiotex e le specifiche iniziative riguardanti la societ� 
appellata) sono in ogni caso riferibili ad una attivit� di natura pubblicistica (sicch� 
non rileva nel presente giudizio l'esame della questione se l'accesso sia consentito 
nei confronti degli atti disciplinati dal diritto privato); 

b) la societ� appellata ha un interesse ad accedere a tali atti, tutelato dagli articoli 
22 e seguenti della legge n. 241 del 1990; 

e) l'accesso agli atti in concreto pu� avere luogo con modalit� che non contrastano 
con le esigenze di riservatezza delle altre societ� che svolgono l'attivit� di 
centri di servizio audiotex. '� 


RASSEGNA AVVOCATlJRA bELLO STATO'

126 

3. -Gli atti oggetto dei punti 3, 4, 5, 6 e 7 della originaria istanza di accesso rientrano 
nell'ambito di applicazione dell'art. 22, primo comma, della legge n. 241 del 
1990, il quale consente l'accesso ai documenti amministrativi �al fine di assicurare 
la trasparenza del/' attivit� amministrativa e di favorirne lo svolgimento imparziale�. 
L'attivit� di vigilanza e di controllo nei confronti dei centri di servizio audiotex, 
infatti, costituisce espressione di poteri pubblicistici. 

In applicazione della direttiva della CEE n. 388 del 1990, l'art. 3, comma 8, del 
decreto legislativo n. 103 del 1995 ha attribuito al Ministro delle poste e delle telecomunicazioni 
il potere di prescrivere le modalit� tecniche delle attivit� dei soggetti 
autorizzati ad offrire al pubblico i servizi di trasmissione dei dati. 

Col regolamento adottato col decreto n. 385 del 13 luglio 1995, il Ministro ha 
disciplinato le attivit� che possono svolgere gli imprenditori in regime di concorrenza 
tra loro quali c.d. centri di servizi audiotex, prevedendo il compenso spettante 
al concessionario della rete telefonica per il servizio offerto. 

La S.p.a. Telecom Italia, quale gestore della rete telefonica, conclude contratti 
di diritto privato con gli imprenditori del servizio audiotex, determina il costo delle 
telefonate sulla base del corrispettivo del servizio e della durata della conversazione, 
deduce il costo del trasporto fisso e riscuote dagli utenti i compensi dovuti per 
le chiamate effettuate. 

Per quanto riguarda l'attivit� di vigilanza, l'art. 20 del medesimo regolamento 
dispone che essa � svolta dal Ministero delle poste e delle telecomunicazioni (cui � 
succeduto il Ministero delle comunicazioni), mediante azioni di monitoraggio sul1'
effettivo buon andamento dei servizi e nel rispetto dei relativi obblighi. 

Nel caso di accertata violazione, il Ministero pu� irrogare una sanzione, che a 
seconda della gravit� dei fatti pu� consistere nella diffida a cessare il comportamento 
illegittimo ovvero nella disattivazione. 

Ai sensi dell'art. 21, �il gestore della rete � tenuto a dare tempestiva applicazione 
alle sanzioni predette�. 

Da tale normativa emerge la natura pubblicistica ed autoritativa dei provvedimenti 
sanzionatori del Ministero e la natura pubblicistica della connessa attivit� 
di vigilanza e di controllo, nonch� di quella di esecuzione delle sanzioni 
irrogate. 

Tale natura � attribuibile anche all'attivit� di monitoraggio, di vigilanza e di 
controllo che la S.p.a. Telecom Italia (quale concessionario della rete telefonica, 
tenuto ad applicare le sanzioni irrogate dal Ministero) svolga sulla base della normativa 
vigente, della concessione rilasciata in suo favore e di specifiche richieste del 
Ministero. 

Le risultanze degli accertamenti effettuati nei confronti dei centri di servizio, 
nell'ambito dell'attivit� materiale di vigilanza e di controllo, rientrano nel novero 
degli �atti, anche interni, formati dalle pubbliche amministrazioni o, comunque, 
utilizzati ai fini dell'attivit� amministrativa� (art. 22, comma 2, della legge n. 241 
del 1990). 

L'accesso nei confronti dei relativi atti � consentito, dunque, non importando 
sotto tale aspetto se gli accertamenti siano stati direttamente svolti dal Ministero, 
nell'ambito della sua attivit� istituzionale, ovvero dal concessionario della rete, che 
� tenuto a dare esecuzione alle richieste del Ministero, nell'ambito della dovuta atti-

I 


I ~ 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

vit� di collaborazione affinch� i servizi siano offerti all'utenza nel rispetto della 
normativa di settore e del generale canone della correttezza. 

4. -Contrariamente a quanto � stato dedotto dall'appellante, va ravvisato l'interesse 
della societ� appellata ad accedere agli atti indicati nei punti 3, 4, 5, 6 e 7 
della originaria istanza del 16 giugno 1997. 
Va fatta applicazione del principio generale per cui vanno rilasciati al richiedente 
gli atti che riguardino direttamente la sua sfera giuridica, anche quando si tratti 
di attivit� svolta nell'esercizio di poteri di vigilanza e di controllo. 

4.1. -L'art. 22 della legge n. 241 del 1990, sull'accesso ai documenti amministrativi, 
ha dato attuazione all'art. 97 della Costituzione, per il quale la legge 
assicura �il buon andamento e l'imparzialit� dell'amministrazione�. 
Tali principi costituiscono i valori essenziali di riferimento di ogni comportamento 
dell'amministrazione. 
Mediante la disciplina sull'accesso, il legislatore: 
-ha permesso una pi� diffusa conoscenza dei processi decisionali ( agevolando 
il concreto perseguimento dei valori dell'imparzialit� e del buon andamento); 

-ha favorito la partecipazione ed il controllo degli amministrati sui comportamenti 
dei soggetti che agiscono per l'amministrazione, che sono pertanto stimolati 
a comportarsi responsabilmente, con attenzione, diligenza e correttezza e sulla 
base di parametri di legalit�, con il conseguente svolgimento di un'attivit� controllabile 
e, pertanto, qualitativamente migliore; 

-ha introdotto un istituto che pu� anche avere un effetto deflattivo dei giudizi, 
poich� la conoscenza dei documenti rilevanti, �O corroborando la legittimit� 
degli atti amministrativi o comunque ingenerando il convincimento dell'inopportunit� 
dell'impugnazione, pu� dissuadere dall'azione giurisdizionale� (Sez. V, 
18 dicembre 1997, n. 1591; Sez. IV, 6 marzo 1995, n. 158). 

Le esigenze del buon andamento e della imparzialit� �dell'amministrazione� 
(come disciplinate dall'art. 97 della Costituzione) riguardano allo stesso modo, pertanto, 
tutte le attivit� volte all'emanazione dei provvedimenti, anche quando si tratti 
delle attivit� ispettive di vigilanza, di controllo e di accertamento delle infrazioni 
alle leggi vigenti (cfr. Sez. IV, 6 agosto 1997, n. 772): chi svolge tale attivit� non si 
avvale di una �zona franca� di applicazione della normativa sull'accesso. 

L'accesso va escluso nei soli casi espressamente previsti dalla legge ( cfr. 
l'art. 24 della legge n. 241 del 1990 e l'art. 8 del decreto del Presidente della 
Repubblica n. 352 del 1992, l'art. 4 del decreto legislativo n. 39 del 1997), tra i quali 
non rientra quello dello svolgimento dell'attivit� di vigilanza, di controllo o di 
accertamento di illeciti. 

4.2. -Per quanto riguarda gli atti indicati nei punti 6 e 7 della originaria istanza 
di accesso (cio� quelli trasmessi dalla S.p.a. Telecom Italia all'autorit� giudiziaria, 
al Ministero o ad altri organi amministrativi), non rileva in questa sede verificare 
se siano fondate le contestazioni rivolte alla societ� appellata dal Ministero delle 
comunicazioni, con alcuni provvedimenti impugnati in distinti giudizi (che risultano 
ancora pendenti). 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO stAto

128 

Contrariamente a quanto � stato reiteratamente dedotto dalla S.p.a. Telecom 
Italia, sussiste l'interesse della societ� appellata a conoscere gli elementi posti a suo 
carico e oggetto delle segnalazioni trasmesse alle autorit� competenti, poich�: 

-per l'art. 24, comma 2, lettera d), della legge n. 241 del 1990, l'accesso va 
consentito agli interessati in relazione agli atti �la cui conoscenza sia necessaria per 
curare o per difendere i loro interessi giuridici�; 

-se anche il Ministero delle comunicazioni o la S.p.a. Telecom Italia abbiano 
trasmesso all'autorit� giudiziaria una denuncia di reato per i fatti oggetto dell'attivit� 
di vigilanza e di controllo sui servizi audiotex svolti dall'appellata (circostanza 
che non � stata peraltro comprovata e neppure esposta), non poteva esservi il rigetto 
della domanda di accesso, in assenza di un provvedimento di sequestro (Sez. IV, 
28 ottobre 1996, n. 1170); 

-il soggetto nei cui confronti sia stato emesso un provvedimento sanzionatorio 
ha titolo ad accedere alla documentazione che lo riguarda, anche 
�al fine di un sindacato a posteriori sulla legittimit� del comportamento tenuto 
dall'Amministrazione e dai suoi funzionari� ( cfr. Sez. IV, 20 maggio 1996, 

n. 665). 
4.3. -A parte le precisazioni svolte nel successivo punto 5 sull'esigenza di 
rispettare la riservatezza delle societ� eventualmente sottoposte a controllo, va altres� 
considerato sussistente l'interesse della societ� appellata ad accedere anche agli 
atti indicati nei punti 3, 4, e 5 della originaria istanza del 16 giugno 1997, riguardanti 
lo svolgimento dell'attivit� di vigilanza e di controllo dei servizi audiotex nei 
confronti di altre societ�. 
La societ� appellata, sia nella istanza del 16 giugno 1997 che negli atti dei due 
gradi del giudizio, ha evidenziato di avere interesse ad accedere ad atti che potrebbero 
fare ravvisare profili di eccesso di potere nei provvedimenti sanzionatori emessi 
nei suoi confronti (sotto i profili dello sviamento, della inidonea ricostruzione dei 
fatti e della disparit� di trattamento). 

Pertanto, essa.ha chiesto l'acquisizione di atti che, anche sotto tale aspetto, sono 
riferibili all'esigenza di difendere compiutamente i suoi interessi legittimi, poich�: 

-l'accesso ai documenti amministrativi va consentito anche quando la 
relativa istanza sia preordinata alla loro utilizzazione in un giudizio (Sez. IV, 
6 marzo 1995, n. 158; Sez. VI, 25 novembre 1994, n. 1715; Sez. VI, 19 luglio 1994, 

n. 
1243; Sez. VI, 20 giugno 1994, n. 1015); 
-l'accertamento dell'interesse all'esibizione degli atti riguardanti il richiedente 
va effettuato con riferimento alle finalit� che egli dichiara di perseguire, non 
potendosi operare alcun apprezzamento in ordine alla fondatezza o ammissibilit� 
della domanda o della censura che sia stata proposta o si intenda proporre, la cui 
valutazione spetta solo al giudice chiamato a decidere (cfr. Sez. IV, 27 agosto 1998, 

n. 1131; Sez. IV, 8 settembre 1995, n. 688; Sez. VI, 25 novembre 1994), sicch� non 
pu� in questa sede l'appellante dedurre che sarebbero inammissibili le censure di 
eccesso di potere, formulate dalla societ� appellata nei giudizi proposti avverso gli 
atti sanzionatori emanati nei suoi confronti. 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

5. -Vanno altres� respinte le residue censure formulate dall'appellante, secondo 
cui, rilevando le esigenze di riservatezza delle societ� che svolgono i servizi 
audiotex e nei cui confronti � stata svolta l'attivit� di vigilanza e di controllo, la sentenza 
impugnata dovrebbe essere riformata o, quanto meno, dovrebbe essere integrato 
il contraddittorio nei confronti delle medesime societ�. 
Poich� anche l'attivit� di vigilanza e di controllo va svolta nel rispetto delle esigenze 
di imparzialit� e di buon andamento, l'impresa che svolge la sua attivit� in 
regime di concorrenza ha titolo a conoscere gli atti determinativi degli eventuali criteri 
predeterminati in base ai quali siano state svolte le attivit� di vigilanza e di controllo 
nei suoi confronti, nonch� le specifiche risultanze della complessiva attivit� 
svolta, senza favoritismi, per fare rispettare la normativa del settore. 

In tal modo, oltre a tutelare l'interesse dell'impresa alla conoscenza di circostanze 
da porre se del caso all'esame del giudice eventualmente adito, l'ordinamento 
tutela l'interesse pubblico allo svolgimento di una corretta attivit� di vigilanza e 
di controllo, maggiormente stimolata quando il comportamento di chi la effettua � 
valutabile, anche a posteriori, sulla base dei principi della trasparenza e del buon 
andamento (cfr. Sez. IV, 20 maggio 1996, n. 665, cit.). 

La fondatezza dell'istanza di accesso dell'impresa che opera in regime di concorrenza 
va per� esaminata tenendo anche conto della riservatezza e delle esigenze 
industriali e commerciali dei soggetti nei cui confronti � stata svolta l'attivit� di vigilanza 
e di controllo. 

Poich� l'interesse dell'impresa richiedente � quello di verificare che tale 
attivit� sia svolta senza favoritismi, nel rispetto dei principi costituzionali e della 
normativa di settore, non sussiste uno specifico ed ulteriore interesse tutelabile alla 
diretta conoscenza dei dati identificativi dei soggetti nei cui confronti siano state 
concretamente svolte le indagini ovvero siano state accertate infrazioni. 

L'originaria istanza di accesso, infatti, come in casi similari in cui va garantito 
l'anonimato (cfr. Cons. giust. amm., 25 ottobre 1996, n. 384; Sez. V, 28 aprile 1995, 

n. 639) pu� essere soddisfatta, nella specie, rilasciando gli atti con la copertura dei 
dati identificativi delle medesime societ� e dei numeri telefonici loro assegnati. 
La S.p.a. Telecom Italia, pertanto, deve consentire l'accesso agli atti che abbiano 
eventualmente determinato i criteri da seguire nel corso delle attivit� di vigilanza, 
di controllo e di c.d. monitoraggio, nonch� agli atti che, nel corso delle medesime 
attivit�, abbiano in concreto riguardato altri centri di servizio, senza consentire 
di risalire alle societ� coinvolte dalle operazioni di controllo e ai numeri telefonici 
loro assegnati. 

6. -Va infine respinta la deduzione formulata dall'appellante nella sua memoria 
difensiva, per cui l'istanza di accesso poteva essere formulata nei soli confronti 
del Ministero, quale titolare della potestas publica. 
A parte l'assenza di uno specifico motivo di appello avverso la statuizione contraria 
espressamente contenuta a pp. 14 e 15 della sentenza impugnata, rileva il dato 
testuale dell'art. 25, comma 2, della legge n. 241 del 1990 e dell'art. 3, comma 1, 
del decreto del Presidente della Repubblica n. 352 del 1992, per i quali l'istanza di 
accesso pu� essere formulata nei confronti dell'amministrazione �che ha formato il 
documento o che lo detiene stabilmente�, e cio� anche del concessionario, che non 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO. 

130 

abbia formato il documento, ma sia tenuto a rispettare gli articoli 22 e seguenti della 
legge n. 241del1990. 

9. -L'appello � nel suo complesso infondato e va respinto. 
La S.p.a. Telecom Italia, con le modalit� sopra precisate, deve pertanto consentire 
l'accesso ai propri atti riguardanti l'attivit� di vigilanza e di controllo 
svolta nei confronti della societ� appellata e degli altri centri di servizio audiotex, 
nonch� agli atti, di cui abbia la disponibilit� materiale, con cui il Ministero 
delle comunicazioni ha determinato i criteri di svolgimento della medesima attivit�, 
ha constatato le infrazioni di altre societ� e ha irrogato le relative sanzioni 


(omissis). 

CONSIGLIO DI STATO, sez. IV, 8 febbraio 1999 n. 128 -Pres. !annotta -Est. 
Numerico -Emiliani (avv. Guerra) c. Ministero della Difesa (avv. Stato 
Nucaro). 

Esecuzione del giudicato -Ricorso in ottemperanza -Giudicato in materia pensionistica 
della Corte dei conti -Rivalutazione monetaria -Proponibilit� 
innanzi al giudice amministrativo in sede di ottemperanza -Esclusione. 

� inammissibile, in sede di ottemperanza ad un giudicato della Corte dei Conti 
in materia pensionistica, la domanda avente per oggetto la rivalutazione monetaria 
del credito e gli interessi moratori, proposta per la prima volta innanzi al giudice 
amministrativo (1). 

(omissis) 

Il ricorso in ottemperanza in esame � in parte infondato, in parte inammissibile. 
L'infondatezza riguarda la domanda di interessi. 
La Corte dei conti, con la sentenza di cui si chiede l'esecuzione accord� il dirit


to all'indennit� una tantum per il periodo di servizio militare in s.p.e. dal quale il 
sig. Lanfranco Emiliani si era dimesso; riconobbe pure il diritto agli interessi. 

(1) Con la decisione in esame il Consiglio di Stato fa applicazione dei principi recentemente 
affermati con l'Adunanza Plenaria n. 7 del 1997. . 
La giurisprudenza amministrativa, seppure pacifica nell'ammettere il ricorso all'ottemperanza 
del giudice amministrativo anche nei confronti di giudicati emessi da giudici speciali (nella 
specie trattasi di giudicato della Corte dei Conti), si pone il problema della sussistenza della giurisdizione 
ove si tratti di integrare il dictum contenuto nel giudicato -per esempio, come nel 
caso in esame, ordinando la corresponsione di interessi e di rivalutazione -anche in difetto di 
una pronuncia esplicita della decisione da ottemperare. 

I 

I 
I 
f:

La soluzione adottata � di tipo restrittivo. Se infatti, da un lato, il giudice dell'ottemperanza 
pu� adottare una statuizione analoga a quella che avrebbe potuto emettere in un nuovo giudizio 
di cognizione, risolvendo problemi interpretativi che comunque spetterebbero alla propria 
giurisdizione, dall'altro, il medesimo giudice difetta di un analogo potere integrativo allorch� il !: 
i= 

ili 

~ 
~ 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

131 

Questi sono stati attribuiti, con i mandati esibiti dall'amministrazione, prima 
dell'instaurazione del giudizio. 
L'inammissibilit� riguarda la domanda in quanto volta ad ottenere la rivalutazione 
sulla sorte capitale riscossa. 
In tema, occorre richiamare la recente decisione dell'Adunanza plenaria 17 gennaio 
1997, n. 1. 

Tale precedente, al quale si deve conformit� per l'autorit� della sua fonte, 
ritiene che il giudice amministrativo non ha gli usuali poteri di interpretazione 
integrativa del precetto giudiziale con riferimento agli accessori a quel precetto 
quando la decisione di cui si chieda l'ottemperanza sia stata adottata, come nel 
caso, da un Giudice appartenente ad un diverso ordine giurisdizionale e quando la 
questione sui diritti accessori rientri nella sua giurisdizione: ultima condizione, 
questa, che, per pacifico orientamento della Cassazione (Cass., 4 ottobre 1996, 

n. 8682 e 9 marzo 1995, n. 2742), si deve intendere verificata con riferimento 
all'estensione dei poteri di cognizione della Corte dei conti. 
Per le considerazioni esposte il ricorso va in parte respinto ed in parte dichiarato 
inammissibile (omissis). 

CONSIGLIO DI STATO, sez. IV, 11 marzo 1999, n. 260 -Pres. !annotta -Est. 
De Lipsis -Sgandurra (avv. Marzano), Presidenza del Consiglio dei Ministri, 
Ministero dei Lavori Pubblici e ANAS (avv. Stato G. Palmieri) c. Elia 
( avv. Rienzi). 

Impiego pubblico -Dirigenti generali -Nomina -Atto di alta amministrazione 
-Motivazione -Necessit�. 

In tema di atti di alta amministrazione preordinati alla provvista di personale 
dello Stato ai massimi livelli, i parametri di legittimit� ai quali deve essere rapportata 
l'azione amministrativa discendono direttamente dai precetti costituzionali di 
cui agli artt. 97 e 113 Cost. e dai principi scaturenti dalla disciplina di rango ordinario 
di cui alla legge n. 241 /90. 

giudicato da eseguire provenga da un giudice appartenente ad un diverso ordine giurisdizionale e 
le questioni da risolvere, in base alle norme attributive della giurisdizione, spettino a quest'ultimo. 
Ci� in quanto l'esercizio di quei poteri integrativi finirebbe col comportare la violazione proprio 
delle regole sul riparto della giurisdizione. 

Sui poteri del giudice amministrativo dell'ottemperanza di interpretare anche in via integrativa 
la sentenza, al fine di garantire effettivit� al giudicato da eseguire, tra le tante: Ad. Plen. 
15 marzo 1989 n. 7; Cons. Stato, sez. V, 16 maggio 1989 n. 307. 

Pacifica � anche la giurisprudenza amministrativa sulla estensione del ricorso in ottemperanza 
del giudice amministrativo anche ai giudicati di giudici speciali; per tutte cfr.: Cons. Stato, 
Ad.Plen., 23 dicembre 1994 n. 14. 

P.P. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STA1U',

132 

Ne deriva, da un lato, che � necessario che i soggetti prescelti (senza alcuna 

I valutazione comparativa) siano effettivamente professionalmente qualificati con , 
riferimento al grado ed alle funzioni dell'ufficio; dal!' altro, che � necessario che, 

I 
dagli atti del procedimento, emergano i criteri seguiti dall'Amministrazione e le ili 
ragioni giustificatrici, cos� da consentirne la puntuale verifica anche in sede giuri-ili 

sdizionale (1). ~ 

(omissis). 

1. -I due appelli possono esser riuniti attesa la loro connessione soggettiva ed 
oggettiva. 
2. -Come diffusamente evidenziato in narrativa, l'adito TAR, con l'impugnata 
sentenza, ha annullato il decreto del Presidente della Repubblica 7 novembre 1994, 
(1) La sentenza si segnala non solo per l'applicazione dei principi elaborati dalla giurisprudenza 
in tema di atti di alta amministrazione e dei quali si tratter� diffusamente infra, ma anche 
per alcune puntualizzazioni in tema di effetti dell'annullamento in sede giurisdizionale dell'atto 
amministrativo per difetto di motivazione. 
Nella sentenza de qua si precisa che l'immediata efficacia esecutiva della sentenza di primo 
grado riguarda soltanto l'effetto caducatorio e non quello conformativo della futura attivit� amministrativa; 
aderendo, cos� alla tricotomia classica, individuata dalla dottrina (Nigro, Sandulli) e 
dalla giurisprudenza (per i riferimenti cfr. A. ROMANO, Commentario alle leggi sulla giustizia 
amministrativa, 1992, 728-733) in base alla quale l'annullamento giurisdizionale di un provvedimenta 
amministrativo determina, appunto, effetti demolitori (delle situazioni giuridiche soggettive 
costituite dall'atto impugnato), effetti ripristinatori (delle situazioni giuridiche soggettive 
modificate dall'atto impugnato) ed effetti conformativi (consistenti nel vincolo imposto all'attivit� 
di rinnovazione dell'atto impugnato). 

La sentenza de qua, perci�, statuisce che gli effetti ripristinatori dell'esecutivit� della sentenza 
di primo grado �non si spingono� fino all'attribuzione all'appellato dell'incarico oggetto 
della delibera annullata in sede giurisdizionale in primo grado. 

Sul primo profilo, attinente alle modalit� ed ai criteri di scelta in tema di atti di alta amministrazione, 
oltre ai precedenti menzionati nella sentenza che si annota, (Cons. Stato, sez. IV, 
14 luglio 1995, n. 562, in Cons. Stato, 1995, I, 1034; id., 1� settembre 1998, n. 1139, ivi, 1998, I, 
1255), vanno ricordate id., 9 luglio 1998, n. 1068, in Foro Jt., 1999, III, 105; id., 5 febbraio 1998, 

n. 120, ibidem, con ampi riferimenti nella motivazione della decisione stessa alla quale si ispira 
chiaramente la sentenza che si annota. 
Pi� in generale, la Corte dei Conti richiede una motivazione specifica con riferimento 
al possesso dei requisiti richiesti per i soggetti estranei all'Amministrazione (Sez. contr., 
24 marzo 1993, n. 41, ivi, Rep. 1993, voce Impiegato dello stato, n. 510). 

Infine, va ricordato il profilo attinente alla trasformazione dell 'ANAS in ente pubblico economico, 
ritenuto ~ in definitiva -irrilevante dal Consiglio di Stato, perch� la questione � stata 
esaminata e risolta con riferimento ai principi generali di cui all'art. 21 decreto legislativo n. 29/93. 

Successivamente all'entrata in vigore del decreto legislativo 26 febbraio 1994, n. 143 e con 
la trasformazione giuridica dell'Ente in ente pubblico economico attuata dal d.P.C.M. in data 
26 luglio 1995, anche i rapporti di lavoro hanno subito un mutamento di disciplina, essendo da 
quel momento in poi regolati dal codice civile, dai contratti collettivi (per il personale dirigenziale 
stipulato in data 15 maggio 1996 ed immediatamente applicabile a decorrere da tale data) e 
dai regolamenti adottati dall'Ente (art. 10 decreto legislativo n. 143/94 cit.; art. 15 dello Statuto 
dell'Ente, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 21 aprile 1995, n. 242). 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

133 

n. 15638 di nomina del dott. Sgandurra a dirigente generale di livello C dell' ANAS, 
ed il decreto ministeriale 22 febbraio 1995, n. 2367, con il quale il Ministero dei 
lavori pubblici ha attribuito al dott. Sgandurra la funzione di direttore centrale per 
gli affari generali e del personale dell' ANAS, per violazione dell'art. 21 del decreto 
legislativo n. 29/93, poich� il decreto impugnato non reca alcuna motivazione 
circa il possesso dei requisiti per la nomina e dal curriculum vitae del dott. 
Sgandurra non emergerebbe con immediatezza che egli abbia maturato una professionalit� 
specifica nel campo della gestione amministrativa. 
Nel presente giudizio le intimate amministrazioni hanno ottenuto la sospensione 
dell'esecuzione dell'impugnata sentenza (ordinanza n. 2350/97). 
Successivamente, a seguito di istanza di revocazione della predetta ordinanza, 
presentata dall'odierno appellato sulla base della circostanza nuova di essere stato 

Pertanto, la nomina dei direttori centrali avviene in base all'art. 7, 3� comma, del citato, 
decreto legislativo n. 143/94, il quale conferisce all'Amministratore tutti i poteri di gestione ordinaria 
e straordinaria, in base all'art. 11 dello Statuto, ed in base all'art. 7del Regolamento di organizzazione, 
richiamato dal primo comma dell'art. 11 dello Statuto, ed approvato con delibera n. 
11 in data 27 dicembre 1995 del Consiglio di Amministrazione, secondo il quale alle direzioni 
centrali l'Amministratore prepone funzionari con la qualifica di dirigente dandone comunicazione 
al Consiglio di Amministrazione. 

Evidentemente il quadro di riferimento ha assunto connotati diversi proprio per effetto della 
trasformazione del regime giuridico dell'Ente e del rapporto di lavoro dei suoi dipendenti (v. art. 5, 
che disciplina l'assunzione del personale dirigenziale, del Regolamento del personale approvato con 
delibera n. 12 in data 27 dicembre 1995 del Consiglio di Amministrazione), svincolandosi da una 
rigida applicazione dell'art. 21 del decreto legislativo n. 29/93 cit. e senza che possa ipotizzarsi alcuna 
� riserva� in favore del personale gi� appartenente ai ruoli dell' ANAS (questa � la chiave di lettura 
corretta che scaturisce anche dal 3� comma del citato art. 5 del regolamento che per il personale 
gi� in servizio fa riferimento per la nomina a dirigente alla dimostrata ed elevata competenza 
e professionalit� nel settore di attivit� ove � necessario ricoprire l'incarico). 

Brevi osservazioni in tema di atti di alta amministrazione. 

1.-NOZIONE 

Secondo la dottrina pi� autorevole (A. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, 
Jovene, 1989, 19) non rientrano nell'attivit� politica ma rappresentano il primo grado di attuazione 
dell'indirizzo politico nel campo amministrativo gli atti di suprema direzione della Pubblica 
Amministrazione designati come atti di alta amministrazione e segnano il raccordo tra la funzione 
di governo, espressione dello Stato -Comunit�, e la funzione amministrativa, espressione 
dello Stato -Soggetto e che essi realizzano al pi� alto livello. 

L'attivit� di alta amministrazione attiene alle scelte di fondo dell'azione amministrativa discrezionale 
ed � demandata ai supremi organi di direzione della P.A.. 

Gli atti di alta amministrazione ineriscono, quindi, all'attivit� amministrativa e sono soggetti 
al regime giuridico proprio degli atti amministrativi; sono sottoposti al sindacato dei giudici non 
diversamente dagli altri atti amministrativi, pur se condizionatamente alla loro rilevanza esterna 
ed alla loro efficacia immediata (A. ROMANO) e, diversamente dagli atti politici, non sono liberi 
nella scelta dei fini, ma sono legati -pur nell'ampia discrezionalit� che caratterizza l'alta amministrazione 
-ai fini indicati dalle leggi. 



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO

134 

riammesso in servizio per effetto di due provvedimenti del Pretore e del Tribunale 
in funzione di giudice del lavoro, la Sezione -con ordinanza n. 1092/1998 -ha 
revocato la precedente ordinanza n. 2350/1997. 

2.1. -Orbene, giova a questo punto evidenziare una prima considerazione: sia 
la sentenza di annullamento, oggi appellata, sia l'ordinanza cautelare di rigetto dell'istanza 
di sospensione dell'esecuzione della predetta decisione -contrariamente 
a quanto sembra ritenere l'odierno resistente -non comportano come effetto automatico 
il diritto del dott. Elia a ricoprire l'incarico di cui trattasi. 

In altri termini, gli effetti ripristinatori della esecutivit� della citata sentenza 

n. 1514/1997 (conseguente all'adozione dell'ordinanza di revoca n. 1092/1998) non 
si spingono fino all'attribuzione al dott. Elia dell'incarico di direttore centrale 
AA.GG: e Personale. 
L'alta amministrazione consta di una parte fissa, rigorosamente prevista dall'ordinamento, 

I

consistente nell'attivit� amministrativa che la legge stessa rimette al Consiglio dei Ministri o ai 
Comitati interministeriali, e una parte variabile, essenzialmente direttiva e volta ad imprimere 
all'azione amministrativa discrezionale gli indirizzi� di base. 

I

Tra gli atti inerenti alla parte fissa si collocano le deliberazioni del Consiglio dei Ministri 
relative alla nomina ed alla revoca delle pi� alte cariche dello Stato, aventi carattere fiduciario, 
quali ad es., Segretario Generale e Direttore Generale dei Ministeri, Prefetti, Capi missioni diplo


I matiche, Avvocato Generale dello Stato (Cons. Stato, sez. IV, 14 aprile 1981, n. 340, in Cons. 
Stato, 1981, I, 387 e in Foro Amm., 1981, I, 849, con nota di F. PIGA, Attivit� di alta ammini


I 

strazione e controllo giurisdizionale). . '

I. 
Si tratta di una categoria eterogenea (A. ROMANO, op. cit., 300) e �di difficile precisazione� 

. 

(F. CuocoLo, Enc. Treccani, vol. I, voce Alta Amministrazione). 
Gli atti di alta amministrazione si caratterizzano per il fatto di essere dotati di amplissima 
. 

discrezionalit� e, in quanto tali, per non essere propriamente atti di mera attuazione, attraverso la 

'

Iscelta dei modi e dei mezzi, dei fini stabiliti dalla legge. 

w 

Altro elemento connotatore della categoria � la titolarit� soggettiva che appartiene per defi


r~!

nizione agli organi di vertice dell'Amministrazione. 

2. -I PRINCIPI ELABORATI DALLA GIURISPRUDENZA 
2.1. -La sindacabilit� degli atti di alta amministrazione. 
La giurisprudenza ha operato una progressiva erosione della sfera dell'attivit� c.d. politico-
amministrativa sottratta per definizione al sindacato giurisdizionale al fine di sottoporre al 
vaglio del giudice amministrativo anche provvedimenti connotati da una forte motivazione 
politica. 

Come si � gi� detto, il Consiglio di Stato, con la citata sentenza n. 562/95, ha precisato che, 
in tema di atti di alta amministrazione preordinati alla provvista di personale dello Stato ai massimi 
livelli, i parametri di legittimit� ai quali deve essere ragguagliata l'azione amministrativa 
sono direttamente identificabili negli artt. 97 e 113 Cost., oltre che nella disciplina di rango ordinario 
contenuta nella legge n. 241/90. 

Ne deriva, da un lato, l'esigenza sostanziale che i soggetti prescelti siano effettivamente di 
qualificazione professionale adeguata al grado, alla complessit� ed alla delicatezza delle funzioni 
inerenti l'ufficio e, dall'altro, l'esigenza formale che dagli atti del procedimento emergano i 
criteri seguiti dalla Amministrazione ai fini della scelta, o comunque, le ragioni giustificanti la 
stessa, s� da consentirne la puntuale verifica anche in sede giurisdizionale. 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRPJIVA 

135 

Come � noto, l'immediata efficacia esecutiva della sentenza di primo grado riguarda 
l'effetto caducatorio e non quello confermativo della futura attivit� amministrativa. 

Pertanto, sotto questo profilo, l'istanza per l'esecuzione della ordinanza 

n. 1092/98 e della sentenza n. 1514/97, in quanto intesa a �Voler far ricoprire, nelle 
more della decisione di merito, la direzione generale AA.GG. e Personale 
dell' ANAS con il dott. Elia� non e ammissibile. 
2.2. -Ma l'istanza in questione non appare ammissibile sotto un ulteriore profilo. 
Invero, trattasi di domanda concernente le modalit� di esecuzione di un provvedimento 
attinente alla fase cautelare (ormai conclusa) di un giudizio, il cui merito 
viene deciso con la presente sentenza; essa, quindi, � accessiva alla sentenza 
appellata, la quale non pu� avere un effetto interinale di sovrapposizione all'effetto 
definitivo della presente decisione. 

Ha ancora precisato il Consiglio di Stato che i provvedimenti di scelta alle pi� alte cariche 
dello Stato, proprio in ragione della natura squisitamente discrezionale dei provvedimenti stessi, 
sono sindacabili soprattutto sotto il profilo dell'eccesso di potere (fattispecie in tema di nomina 
ad ambasciatore, Cons. Stato, sez. IV, 9 novembre 1995, n. 898/95, in Cons. Stato, 1995, I, 1503; 
id., 6 aprile 1993, n. 393, ivi, 1993, I, 486). 

2.2. -Il profilo attinente alla organizzazione dell'ufficio 
Nel caso di revoca della nomina ad ambasciatore, il TAR Lazio, Sez. I, con sentenza 20 maggio 
1996, n. 773, ha respinto il ricorso, ritenendo che l'organizzazione degli uffici della Pubblica 
Amministrazione rientri in un potere che per molti versi � insindacabile nel giudizio di legittimit�, 
trattandosi dell'esercizio concreto di una serie di atti che tendono al raggiungimento delle finalit� 
proprie dell'Amministrazione e la cui concreta adozione, sempre che non sia manifestamente 
illogica, � il connotato essenziale della sua esistenza. 

Tali vicende organizzatorie, quando attengono alla preposizione ad uffici di particolare rilevanza, 
assumono connotazioni pi� marcatamente discrezionali, in cui possono essere valutate esigenze di 
natura complessa, non necessariamente estemabili in precise e compiute ragioni obiettive, quali la convenienza 
di una certa preposizione, l'opportunit� di un avvicendamento, la necessit� o l'opportunit� di 
avvalersi di soggetto in possesso di specifiche qualit� contingentemente ritenute correlate con l 'organizzazione 
dell'ufficio. In tutte queste evenienze, quindi, non si discute della �Capacit� assoluta� di un 
soggetto, ma si relaziona la posizione dello stesso con il particolare momento di un determinato ufficio 
e si assumono le conseguenti disposizioni sulla base di questo giudizio relazionale. 

2.3. -Il profilo della motivazione 
L'orientamento giurisprudenziale pu� dirsi, comunque, consolidato nel senso che 
l'Amministrazione deve manifestare chiaramente le ragioni della scelta compiuta, non avendo 
alcun rilievo in proposito la natura di atto di alta amministrazione, applicandosi anche a tale tipo 
di atto l'obbligo immanente sull'Amministrazione di indicare i presupposti di fatto e le ragioni 
giuridiche della specifica determinazione assunta. 

Tale obbligo di motivazione discende dalla sussistenza, a fronte della potest� esercitata, di 
posizioni soggettive tutelate dall'ordinamento (Cons. Stato, sez. IV, 19 maggio 1997, n. 528, ivi, 
1997, I, 648; id., 11 giugno 1997, ibidem, 680). 

2.4. -Il profilo fiduciario 
La componente fiduciaria costituisce il sostrato sostanziale e la ragione stessa dell'attivit� di alta 
amministrazione, tanto che le norme prevedono, in ipotesi particolari, (ad es., Segretario Generale 



RASSEGNA AVVOCATIJRA DELLO STKI'O 

136 

3. -Nell'ordine logico delle varie pregiudiziali proposte nella complessa vicenda 
oggetto del giudizio, il collegio esamina, innanzi tutto, l'eccezione relativa alla 
tardivit� del ricorso di primo grado. 
Assumono, in sostanza, gli odierni appellanti che la notoriet� e la risonanza dei 
due provvedimenti impugnati in primo grado dal controinteressato (sia quello di nomina 
del dott. Sgandurra a dirigente generale dell' ANAS del 7 novembre 1994, sia quello 
di attribuzione delle funzioni al medesimo, datato 22 febbraio 1995) sarebbero stati 
tali da far presumere l'avvenuta conoscenza dei medesimi in un periodo antecedente 
a quello indicato nel ricorso introduttivo (proposto soltanto il 10 luglio 1995). 

Avvalorerebbe, inoltre, tale eventualit� la circostanza che l'interessato abbia 
occupato per mesi l'ufficio contiguo a quello dello Sgandurra (onde non avrebbe 
potuto ignorare la sua promozione), nonch� il fatto che il dirigente del servizio personale, 
con nota del 3 marzo 1995, aveva �comunicato a tutti i dirigenti, tecnici ed 
amministrativi, dell' ANAS, e quindi anche al dott. Elia, l'assegnazione al dott. 
Sgandurra delle funzioni di direttore centrale, con decorrenza da 22 febbraio 1995�. 

Il suesposto assunto � privo di pregio. 

3.1. -Al fine di stabilire la tempestivit� del ricorso, la presunzione di piena 
conoscenza del provvedimento deve essere ancorata ad elementi univoci e sicuri, 
tali da rendere certo, e non semplicemente probabile, che in un determinato momento 
l'interessato abbia avuto cognizione dell'atto. 
Nel caso di specie, in difetto di alcuna produzione documentale dalla quale 
possa inequivocabilmente desumersi la tardivit� del ricorso introduttivo, non pu� 
fondatamente accertarsi l'esatta data in cui l'interessato abbia sicuramente avuto 
cognizione dell'atto in un ben determinato momento. 

della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Vice Segretario Generale, Capi Dipartimento) una sorta 
di �spoiling system temperato� (art. 18, 3� comma, legge n. 400/88, secondo il quale i decreti di 
nomina alle predette cariche cessano di avere efficacia dalla data di giuramento del nuovo governo). 

La giurisprudenza ha precisato che la fiducia non va intesa come affinit� di idee personali o 
politiche o generica compatibilit� o simpatia, ma deve consistere nella ricerca di dati obiettivi con 
riferimento alle probabilit� di svolgimento ottimale di mansioni pubbliche per un periodo indipendente 
dalle vicende governative ( cfr., nelle fattispecie in tema di nomina ad ambasciatore, le 
sentenze citate n. 562/95 e 393/93). 

Nel caso della revoca delle funzioni attinenti ad alte cariche, dalla forte connotazione fiduciaria 
dell'incarico pu� derivare una diversa ampiezza e latitudine del potere discrezionale 
dell'Amministrazione e, quindi, una correlativa consequenziale riduzione dell'area del sindacato 
di legittimit� che pu� esercitare il giudice amministrativo, attenendo la considerazione del permanere 
del rapporto fiduciario ad un profilo concreto di insindacabili valutazioni di merito. 

Il giudice amministrativo, per�, ritiene costantemente che sia comunque necessario esternare 
nell'atto i motivi che hanno fatto venir meno il rapporto fiduciario, anche attraverso l'elencazione 
di fatti specifici; operando una distinzione tra il momento della nomina e quello della revoca, 
nel quale l'accento si sposta sul dato obiettivo, quale, ad es., lo svolgimento ottimale delle 
mansioni affidate con la nomina ovvero il decorso del tempo nell'ipotesi di assenza di prefissione 
della data di scadenza dell'incarico stesso. 

Va, comunque, ricordato che, in base ad un orientamento giurisprudenziale, dal carattere fiduciario 
di un incarico e dalla conseguente amplissima discrezionalit� nel conferirlo deriva �un diritto 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

137 

N� al riguardo pu� indurre a diversa conclusione l'asserita circostanza dell'esistenza 
della citata nota del dirigente del servizio personale, inviata in comunicazione 
a tutti gli altri dirigenti ANAS, relativa all'assegnazione al dott. Sgandurra delle 
funzioni di direttore centrale. Ci� in quanto la suddetta nota potrebbe non essere mai 
pervenuta a conoscenza del dott. Elia per vis maior o altro fatto impeditivo. 

Pertanto, non essendo stati offerti quegli elementi idonei ad integrare gli 
estremi di una prova rigorosa, il ricorso di primo grado deve ritenersi tempestivamente 
prodotto. 

4. -Con una ulteriore eccezione di rito, il dott. Sgandurra chiede l'annullamento 
senza rinvio della sentenza impugnata per sopravvenuto difetto di interesse. 
E ci� per un duplice ordine di considerazioni; in primo luogo, l'originario ricorrente, 
il dott. Elia: �sar� collocato a riposo, per raggiunti limiti di et�, il 1� dicembre 
1997, si che non � dato di comprendere quale persistente interesse gli si potrebbe 
riconoscere all'annullamento dei provvedimenti impugnati�. 
Inoltre, con la trasformazione dell' ANAS, sarebbe venuto meno nell'odierno 
appellato �il presupposto stesso di un interesse all'impugnazione del provvedimento 
di nomina�, atteso che l'attribuzione delle funzioni di direttore centrale non presupporrebbe 
pi�, nel nuovo ordinamento, la qualifica di dirigente generale. 

La su rappresentata eccezione in ordine all'improcedibilit� del ricorso per 
sopravvenuta carenza di interesse va disattesa. 

4.1. -In primo luogo, osserva il Collegio che il collocamento a riposo dell'originario 
ricorrente non fa venir meno in questi l'interesse -quanto meno morale alla 
definizione del presente giudizio. 
all'ufficio� per cui ogni provvedimento inteso ad estinguere tale diritto deve essere motivato 
(Cons. Stato, sez. VI, 2 novembre 1983, n. 806, ivi, 1983, I, 1226); precisando la stessa pronuncia 
che la notoriet� di un fatto pu� dispensare dall'onere di provarlo, ma non dall'obbligo di 
esporlo in motivazione e di esternare le relative valutazioni dell'Amministrazione. 

Va esaminato un ultimo profilo che attiene alla comunicazione dell'avvio del procedimento 
ex art. 7 legge n. 241/90. 

La natura e la struttura del procedimento di alta amministrazione non consentono di contemplare 
l'intervento dei soggetti interessati e l'esigenza di celerit� � �in re ipsa�, atteso il 
carattere fortemente fiduciario e la particolare connotazione del provvedimento di specie, volto 
ad assicurare, anche attraverso un delicato equilibrio con gli interessi privati, il perseguimento 
del superiore interesse allo svolgimento delle funzioni cui l'Amministrazione � preposta. 

Peraltro, sulla questione generale dell'obbligo della comunicazione dell'avvio del procedimento 
amministrativo la giurisprudenza si � attestata su posizioni assolutamente non formalistiche, 
ritenendo che esso sussiste solo quando, in relazione alle ragioni che giustificano 
l'adozione del provvedimento amministrativo e a qualsiasi altro profilo, la comunicazione stessa 
apporti una qualche utilit� all'azione amministrativa, perch� questa sul piano del merito e 
della legittimit� riceva arricchimento dalla partecipazione del destinatario del provvedimento. 
Pertanto, in mancanza di tale utilit� viene meno l'obbligo della comunicazione (Cons. Stato, 
sez. V, 19 marzo 1996, n. 283, ivi, 1996, I, 421). 

GABRIELLA PALMIERI 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

In termini pi� generali, va, poi, osservato che l'interesse all'impugnazione di un 
provvedimento amministrativo non viene meno per il solo fatto che, nelle more del 
giudizio, venga emanato, comunque, un nuovo provvedimento (anche se privo del1'
efficacia integralmente satisfattiva dell'interesse dedotto in giudizio), ovvero 
intervenga la trasformazione dell'Ente con conseguente privatizzazione del rapporto 
d'impiego dei dirigenti. 

Nella fattispecie in esame, non pu� revocarsi in dubbio che sussiste per l'Elia 
l'attualit� dell'interesse a ricorrere, atteso che i nuovi elementi verificatisi non sono 
idonei a rimuovere il fatto storico per cui si controverte e che, comunque, l'utilit� 
della domanda di annullamento si realizza anche nella soddisfazione morale costituita 
dalla tutela della integrit� professionale del ricorrente a non essere pretermesso 
nella promozione ad opera di altro soggetto di pari qualifica. 

Pertanto, permanendo una residua utilit� (ancorch� meramente strumentale o 
morale) non pu� essere dichiarata l'improcedibilit� del ricorso. 

5.1. -Anche il dedotto vizio di extrapetizione, rappresentato solo nell'appello 
del dott. Sgandurra, � infondato. 
Sostiene al riguardo l'appellante che il TAR ha annullato gli impugnati provvedimenti 
per difetto di motivazione circa il possesso dei requisiti per la nomina nonch� 
per �il dubbio ipotizzato relativamente alla specifica professionalit� dell'appellante
�, profili di censura, peraltro, non dedotti dall'originario ricorrente n� nei 
motivi prospettati nel gravame introduttivo n� nei motivi aggiunti. 

Tale tesi non pu� essere condivisa, in quanto appare agevole ricostruire il 
secondo motivo del ricorso di primo grado come difetto di motivazione in relazione 
al meccanismo di provvista dei dirigenti generali stabilito dall'art. 21 del 
decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, specie laddove viene evidenziato l'obbligo 
di �una istruttoria e di una motivazione rinforzate� per il caso di �nomina di 
un esterno�, atteso che �la possibilit� per una amministrazione di attingere i propri 
dirigenti da quelli di altre amministrazioni�, comunque postulava il �possesso 
dei richiesti requisiti professionali� (pag. 8 del ricorso introduttivo). 

D'altra parte, il giudice di prime cure ha ritenuto fondata la censura di difetto 
di motivazione a fronte della omessa evidenziazione nel corpo del provvedimento 
impugnato dell'acclarato possesso da parte del dott. Sgandurra della �professionalit� 
adeguata alle funzioni da svolgere�. 

Pertanto, anche l'esaminata doglianza non � fondata. 

6. -Nel merito l'appello � infondato. 
Come in precedenza accennato, i primi giudici -nell'annullare i provvedimenti 
gravati -hanno, in sostanza, ritenuto che dal curriculum non emergesse con 
immediatezza che il dott. Sgandurra avesse maturato una professionalit� specifica 
nel campo amministrativo. 

In particolare, il TAR -mentre non ha condiviso la tesi dell'originario ricorrente 
intesa a sostenere che la nomina alla qualifica di dirigente generale dell 'ANAS 
� riservata ai dirigenti superiori dell' ANAS stessa -ha accolto la dedotta 
violazione dell'art. 21 del citato decreto legislativo 29/93, in quanto la scelta 
dell'Amministrazione, deve sempre essere orientata nei confronti di soggetti dotati 
di professionalit� adeguata alle funzioni da svolgere. 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

6.1. -Giova, al riguardo, ribadire i principi affermati dalla giurisprudenza di 
questo Consiglio in materia di provvedimenti (discrezionali) di nomina dei dirigenti 
generali dello Stato. 
La circostanza che l'Amministrazione fruisca di poteri ampiamente discrezionali 
con riferimento ai soggetti da nominare dirigenti generali, senza vincoli derivanti 
da aspettative di carriera dei funzionari che prestano servizio all'interno 
dell'Amministrazione stessa ed in ossequio al principio legislativo secondo cui 
-nel conferimento di tali qualifiche di vertice -si deve privilegiare l'obiettivo 
della piena efficienza della Pubblica amministrazione attraverso la pi� ampia possibilit� 
di reperimento dei soggetti pi� capaci e meritevoli, non esclude di per s� che, 
in relazione a singole fattispecie, possano emergere posizioni di singoli qualificati a 
chiedere la verifica della legittimit� delle nomine stesse. 

Pertanto, in tema di atti di alta amministrazione, preordinati alla provvista di 
personale dello Stato ai massimi livelli, i parametri di legittimit� ai quali deve essere 
rapportata l'azione amministrativa sono direttamente identificabili negli art. 97 
e 113 della Cost., oltre che nella disciplina di rango ordinario contenuta nella legge 
7 agosto 1990, n. 241; il che implica, da un lato, l'esigenza sostanziale che i soggetti 
prescelti (senza alcuna valutazione comparativa tra essi) siano effettivamente 
di qualificazione professionale adeguata al grado, alla complessit� ed alla delicatezza 
delle funzioni inerenti all'ufficio e, dall'altro, l'esigenza formale che dagli 
atti del procedimento emergano i criteri seguiti dall'Amministrazione ai fini della 
scelta, o comunque le ragioni giustificanti la stessa, si da consentirne la puntuale 
verifica anche in sede giurisdizionale (cfr.: Sez. IV, 14 luglio 1995, n. 562, in Ras. 
Cons. Stato, 1995, I, 1034; Sez. IV, 1� settembre 1998, n. 1139 ivi, 1998, I, 1255). 

6.2. -Applicando i su esposti principi al caso di specie, non pu� non riconoscersi 
la illegittimit� dell'impugnato decreto di nomina del dott. Sgandurra, con particolare 
riferimento ai profili evidenziati dal TAR di difetto di motivazione �circa il possesso 
dei requisiti per la nomina� (non superabile n� ammettendo un implicito richiamo alla 
proposta del Ministro dei lavori pubblici n� argomentando ex post sulla �necessit� funzionale
� della predetta nomina, come rimedio alla grave situazione di malaffare esistente 
nell'azienda) e carenza nel curriculum di quella �professionalit� specifica maturata 
nel campo della gestione amministrativa�, elemento necessario alla nomina de qua. 
Con questo non si vuole affermare che il dott. Sgandurra -funzionario dotato, nel 
complesso, di notevole spessore -sia stato nominato in ragione di rapporti fiduciari di 
collaborazione con esponenti del Governo allora in carica n� che il medesimo non abbia 
mai svolto compiti riconducibili all'area dello svolgimento delle funzioni dirigenziali. 

Ci� che si vuole, invece, affermare � che, nel caso di specie, dalla documentazione 
istruttoria agli atti, risulta comprovata la valutazione che del curriculum vitae dell'interessato 
ha effettuato il giudice di prime cure in termini di carenza dei necessari elementi 
attitudinali atti a giustificare il possesso, in capo all'interessato, della specifica professionalit� 
per essere scelto dall'Amministrazione ai fini dell'accesso alla nomina de qua. 

Invero, posto che la congruit� dell'atto di nomina va verificato esclusivamente 
attraverso l'esame del menzionato curriculum dell'interessato, il Collegio non pu� 
non rilevare che il dott. Sgandurra -ancorch� abbia svolto importanti compiti 
quale dirigente della Polizia Stradale e come capo della segreteria dell'Alto 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STAI'O 

140 

Commissariato antimafia -non vanta alcuna significativa esperienza nei settori di 
attivit� in cui si articola, in maniera predominante, la Direzione Centrale degli Affari 
Generali e del Personale (cos� come indicati nell'organigramma relativo alle competenze 
attribuite alla predetta Direzione Centrale). 

Inoltre, dall'esame del suo curriculum, si evince agilmente che l'interessato non 
ha mai svolto funzioni inerenti alla gestione del personale. 

6.3. -Pertanto, va confermata -anche con riferimento al disposto dell'art. 21 
del richiamato decreto legislativo n. 29/1993, il quale ha previsto che la nomina a 
dirigente generale debba essere effettuata in favore di soggetti dotati di professionalit� 
adeguata alle funzioni da svolgere -la illegittimit� dei provvedimenti impugnati 
in priino grado per i motivi esposti in precedenza. 
7. -Alla stregua delle su esposte considerazioni gli appelli vanno respinti e, per 
l'effetto, va confermata l'impugnata decisione. 
Il rigetto degli appelli principali esonera il Collegio dall'esame del ricorso incidentale 
proposto dal dott. Elia (omissis). 

CONSIGLIO DI STATO, sez. V, 19 marzo 1999 n. 290 -Pres. !annotta -Est. 
Buonvino -U.S.L. 35 Regione Campania (avv. Grasso) c. Minetti (avv.ti 
D 'Avino e Correale ); Ministero del Tesoro ( avv. Stato Sabelli). 

Sanit� -ASL -Personale -Stipendi e assegni -Mansioni superiori -Rilevanza 
-Esclusione. 

Allo svolgimento di mansioni superiori alla qualifica di inquadramento, anche 
se verificatosi su formale incarico e su posto vacante, non si correla, a meno che 
specifiche disposizioni non prevedano eccezionalmente il contrario, l'attribuzione 
del corrispondente inquadramento sovraordinato (1). 

(omissis) 

3. -� da respingere, invece, il secondo degli appelli in epigrafe. 
(1) Ancora una pronuncia in tema di retribuzione di mansioni superiori. Una questione 
ancora dibattuta in attesa della definitiva attuazione dell'art. 56 del decreto legislativo 
n. 29/1993. 
La tormentata questione della rilevanza dello svolgimento di mansioni superiori da parte dei 
dipendenti del Servizio sanitario nazionale torna all'attenzione del Consiglio di Stato che, con la 
decisione qui riportata, esclude la possibilit� per il dipendente di ottenere le retribuzioni differenziali 
per lo svolgimento di mansioni inerenti a qualifica superiore, a meno che ci� sia espressamente 
consentito da un'apposita previsione normativa che il collegio ravvisa, in tal caso, nella 
eccezionale disposizione di cui all'art. 1 della legge 207/1985, disciplina diretta a sanare situazioni 
di precariet� esistenti al momento della sua entrata in vigore. 

Il Consiglio di Stato dunque, pur accogliendo la pretesa dell'interessata, fondando l'accoglimento 
sulla rilevata esistenza di una norma eccezionalmente derogatoria, si allinea all'orientamento 
pi� restrittivo in materia di mansioni superiori che ne sancisce radicalmente l'irrilevanza ai fini 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

141 

3.1. -La sentenza impugnata dichiara il diritto dell'originaria ricorrente all'inquadramento 
in qualifica dirigenziale ai sensi dell'art. 1 della legge n. 207/1985. 
3.2. -L'appellante, oltre ad insistere per la riunione dei due appelli in epigrafe, 
sembra volere affermare, anzitutto, che il secondo degli originari ricorsi (cui si riferisce 
la sentenza qui in esame) sarebbe stato inammissibile, reiterando la domanda 
gi� svolta nel primo dei ricorsi di primo grado. 
Ma cos� non �, dal momento che il primo di detti ricorsi era volto alla declaratoria 
del diritto all'inquadramento sulla base di un semplice silenzio rifiuto, mentre 
il secondo ricorso mirava alla declaratoria del diritto all'inquadramento sulla base 
della speciale -e sopravvenuta -disciplina normativa di cui alla legge n. 207 del 
20 maggio 1985; legge che, a talune condizioni, era volta a sanare specifiche posizioni 
di precariato. Differente � quindi la seconda domanda, in quanto basata su normativa 
(applicabilit� del disposto di cui legge n. 207/1985) del tutto distinta rispetto 
alla prima (illegittimit� del silenzio rifiuto); con la conseguenza che il secondo 
ricorso non reiterava la stessa domanda gi� avanzata con il primo, ma costitutiva 
domanda del tutto nuova e autonoma e, pertanto, meritevole di separato giudizio. 

3.3. -Nel passare al merito dell'appello, giova premettere che i primi 
giudici suffragano la propria decisione segnalando, in particolare e con articolata 
motivazione: 
a) che i compiti espletati dall'interessata, alle date di riferimento previste dalla 

legge, erano di carattere dirigenziale; 

b) che tali compiti erano stati sempre esperiti in base ad incarichi formali; 

e) che gli stessi erano stati svolti su posto vacante, anche se si trattava di un 

organico provvisorio. 

Ebbene, l'Amministrazione appellante, nelle proprie censure deduce, in primo 
luogo, che l'accoglimento della domanda giudiziale della ricorrente Minetti, cos� 
come disposto dal TAR, comporterebbe il passaggio dell'interessata dai ruoli del 
personale esecutivo a quello dirigenziale; ma che, nello stabilire l'equiparazione, la 
legge n. 833/1978 e il decreto del Presidente della Repubblica n. 761/1979 faceva-

non solo della progressione in carriera ma della stessa retribuzione (in tal senso anche Cons. 
Stato, sez. V, 30 aprile 1997, n. 429, ove peraltro non si riconosce la previsione derogatoria 
di cui alla legge 207/1985; Cons. Stato, sez. V, 24 marzo 1997 n. 290; Cons. Stato, sez. V, 
14 aprile 1997 n. 356; Cons. Stato, sez. V, 14 aprile 1997 n. 353 ma per i soli dipendenti 
non medici). 

Le ragioni sottese all'orientamento pi� rigoroso sono individuate dalla giurisprudenza 
amministrativa: 1) nell'indisponibilit� degli interessi pubblici coinvolti; 2) nel carattere 
formale che contrassegna l'organizzazione della P.A. compresa quella del servizio 
Sanitario nazionale che, pertanto, richiede che l'attribuzione delle mansioni e del correlativo 
trattamento economico trovino il loro presupposto indefettibile nel provvedimento di 
inquadramento o di nomina e non siano rimesse alle libere determinazioni dei funzionari 
amministrativi; 3) nell'impossibilit� di invocare l'art. 36 Cost. a giustificazione della retribuibilit� 
delle mansioni superiori, atteso che detta norma costituisce solo il parametro per verifi




RASSEGNA AVVOCATIJRA DELLO STA'J:O

142 

no riferimento alle qualifiche desumibili dai decreti del Presidente della Repubblica 
nn. 411/1976 e 509/1979, tra le quali non sarebbero state assolutamente previste 
quelle attribuite alla ricorrente nell'ente di provenienza, n� avrebbero potuto esserlo 
dato il carattere di sussidiariet� di queste ultime. 

Tale doglianza � priva di ogni giuridica consistenza ai fini del presente appello, 
atteso che nella sentenza impugnata non si fa questione degli inquadramenti inter


venuti ai sensi della contrattazione del �parastato�, n� di quelli correlati alla legge 

n. 833/1978 e al decreto del Presidente della Repubblica n. 761/1979, bens� della 
care se le scelte operate dal legislatore in materia abbiano violato il principio costituzionale della 
�giusta retribuzione�. 

Il contrapposto orientamento, inizialmente affermatosi proprio nel settore dei dipendenti del 
S.S.N., si fondava sull'interpretazione, peraltro non univoca, della complessa disciplina normativa che 
contempla la possibilit� di svolgimento di mansioni superiori, sia pure a determinate condizioni 
e limiti (art. 29 del decreto del Presidente della Repubblica 20 dicembre 1979 n. 761, nonch� per il 
personale medico, art. 7 del decreto del Presidente della Repubblica 25 maggio 1969 n. 128) -data 
dalla Corte Costituzionale con le decisioni n. 57/1989 e 296/1990. La Corte, considerando, in particolare, 
l'art. 29 del decreto del Presidente della Repubblica n. 761 del 1979 quale disposizione di :% 
carattere eccezionale e di stretta interpretazione -nel senso che I'adibizione temporanea a mansioni 
superiori non pu� dare diritto al superiore trattamento economico se non entro il limite temporale 
dei sessanta giorni ivi previsto -finiva col ritenere che il prolungamento oltre tale termine implicasse 
un arricchimento ingiustificato tale da determinare la diretta applicabilit� dell'art. 36 Cost. e, 
pertanto, l'obbligo per il datore di lavoro, di integrare la retribuzione del dipendente sanitario in misura 
corrispondente alla qualit� del lavoro effettivamente prestato. Cos� anche Corte Cost. 19 giugno 
1990 n. 296 su remissione dell' Ad. Plen del Consiglio di Stato, nonch� sulla scia di tali decisioni: 

I 

Cons. Stato, sez. IY, 4 luglio 1996 n. 817; Cons. Stato sez. V, 12 marzo 1996 n. 265; Cons. Stato sez. 
V, 18 maggio 1998 n. 608. Unici presupposti per il riconoscimento delle mansioni superiori, sono 
individuati nella vacanza del posto in organico e nell'esistenza, per il dipendente, di un vero e pro


il:I~ 

prio obbligo di esercitarle (tra le pi� recenti: Cons. di Stato, sez. V, 18 maggio 1998, n. 611). 

I 
. 
Il prevalere, nei pi� recenti pronunciamenti, dell'indirizzo pi� restrittivo sembra dipendere , 
dalla difficolt� di identificare volta per volta norme derogatorie, dato l'equivoco significato di 'l 
molte disposizioni autorizzative dello svolgimento di mansioni superiori da parte del personale i? 
sanitario, nonch� dal probabile timore di finire col provocare ingiustificate disparit� di trattamento 
nell'ambito di determinate categorie di dipendenti pubblici. Si pensi alle contrapposte pronunce 
del Consiglio di Stato che, facendo leva su disposizioni particolari applicabili al personale 
medico (art. 7 del decreto del Presidente della Repubblica 27 marzo 1969 n. 128 relativo alla 
sostituzione dell'aiuto da parte dell'assistente ospedaliero), aveva inizialmente riservato l'affermata 
irrilevanza ai fini economici dello svolgimento di mansioni superiori, al solo personale non 
medico: Cons.Stato sez. V, 14 aprile 1997 n. 353, per poi estendere detta irrilevanza a tutto il personale 
sanitario con Cons. Stato, sez. V, 24 marzo 1997 n. 290. 

I

La difficolt� di individuare le norme effettivamente derogatorie nel senso di consentire lo svolM


~; 

gimento di mansioni superiori si ritrova, in effetti, in alcune pronunce in cui il Consiglio di Stato sot'% 
tolinea il valore di sanatoria di certe normative, quali la legge n. 207 del 1985, richiamata anche dalla rn 
decisione in esame, nella quale il Legislatore, se in alcune norme ha riconosciuto lo svolgimento di 
fatto di mansioni superiori, ci� ha fatto solo �a titolo di sanatoria per il passato� e, comunque, previa 
riaffermazione, nell'ambito della stessa normativa, del �divieto di utilizzare a qualsiasi titolo il per


I

''.''

sonale in deroga alle vigenti disposizioni di legge� (art. 14 legge 207/1985). In Cons. Stato, sez. V, 

30 aprile 1997 n. 429, ad esempio, se da un lato si ribadisce l'irrilevanza dello svolgimento di man


I

fil~

sioni superiori per tutti i dipendenti pubblici ivi compreso il personale medico, facendo salve �le dis


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posizioni derogatorie�, dall'altro, tali disposizioni non vengono poi puntualmente indicate. 

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. 

rw,{11z�����111�z�1.,1111�1� 
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PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

143 

corretta applicabilit� della del tutto autonoma ed eccezionale disciplina derogatoria 
di cui alla ripetuta legge n. 207/1985. 

3.4. -In ogni caso, secondo l'appellante, la sig.ra Minetti solo nel 1988 sarebbe stata 
preposta al settore programmi di incentivazione e aggiornamento del personale e che 
anche per tale limitato settore non sarebbe stata richiesta la preposizione di un dirigente. 
Anche tale censura appare irrilevante per la definizione del gravame, in quanto 
l'inquadramento ex lege 207/1985 non tiene conto della posizione rivestita nel 1988 

La vicenda relativa ai dipendenti del Servizio sanitario nazionale, almeno stando alle decisioni 
pi� recenti sembra, quindi, sempre pi� rifluire ed allinearsi alla giurisprudenza maggioritaria 
formatasi in relazione ai dipendenti pubblici statali per i quali, salvo taluni casi isolati ad 
opera, soprattutto, di alcuni T.A.R., la giurisprudenza amministrativa del Consiglio di Stato non 
ha seguito nei suoi possibili sviluppi le indicazioni della Corte Costituzionale ed il principio della 
conformit� alla Costituzione della remunerazione delle superiori mansioni fondato sulla diretta 
applicazione dell'art. 36 Cost. 

Ancorandosi al principio di cui all'art. 31 T.U. imp. civ., in virt� del quale l'esercizio di 
mansioni superiori non comporta la corresponsione del trattamento economico superiore a quello 
spettante al prestatore nella qualifica di appartenenza, la giurisprudenza in materia si � per lo 
pi� attestata sul principio di generale irrilevanza anche ai fini economici delle mansioni svolte. In 
tal senso: Cons. Stato sez. IV, 15 ottobre 1990 n. 768; Cons. Stato, sez. V, 18 gennaio 1995 n. 89; 
Cons. Stato, sez. V, 22 marzo 1995 n. 452; Cons. Stato, sez VI, 27 gennaio 1996 n. 134; Cons. 
Stato, sez. IV, 17 giugno 1997 n. 647; e da ultimo, Ad. Plen. 4 settembre 1997 n. 20; ma si veda 
anche la pi� recente giurisprudenza costituzionale che, a proposito dell'art. 97 Cost., ha finito con 
l'affermare che il principio va inteso nel senso che �anche il passaggio ad una fascia funzionale 
superiore, comportando l'accesso da un nuovo posto di lavoro, corrispondente a funzioni pi� elevate, 
� una figura di reclutamento soggetta alla regola del pubblico concorso�: cos�, Corte Cost. 
20 luglio 1994 n. 313 nonch�, per una statuizione analoga, Corte Cost. 27 dicembre 1991 n. 487. 

Non mancano, tuttavia, le pronunce che continuano ad affermare l'inesistenza, nell'ambito 
del pubblico impiego in generale, di un principio che impedisca di riconoscere la maggiorazione 
retributiva delle prestazioni che eccedano la qualifica formalmente rivestita ritenendo che, diversamente 
opinando, si violerebbe il principio della corrispondenza del trattamento economico ad 
una attivit� concretamente svolta ( Cons. di Stato, sez. VI, 18 luglio 1997 n. 1123; Cons. di Stato, 
sez VI, 22 aprile 1997 n. 655). 

Resta, comunque, nel sistema previgente l'emanazione del decreto legislativo n. 29/1993, la 
difficolt� di ritenere direttamente applicabile l'art. 36 della Costituzione, nascendo l'impiego 
pubblico da un atto autoritativo, il provvedimento di nomina, essendo tale rapporto regolato in 
ogni sua fase dalla legge, e mancando, oltretutto, in tale sistema, una norma analoga a quella di 
cui all'art. 2099 codice civile che consente al solo giudice del lavoro -a differenza di quello 
amministrativo -di integrare la disciplina normativa al fine di garantire il rispetto del principio 
della giusta retribuzione ( sulla problematica in generale: La riforma del pubblico impiego di O. 
FORLENZA, G. TERRACCIANO, I. VOLPE; SALA, Ancora sulle mansioni di fatto degli impiegati pubblici 
alla luce dello Statuto dei Lavoratori in Giur. Amm. 1983, 52). 

La materia non sembra trovare pace neanche sul versante normativo. Dopo la previsione, ad 
opera del decreto legislativo n. 29 del 1993 (artt. 56 e 57), di una disciplina generale, sostanzialmente 
analoga a quella privatistica, quanto alle mansioni relative alla qualifica di appartenenza 
ed alle qualifiche superiori, peraltro di non facile applicazione per un'Amministrazione non ancora 
riformata e, soprattutto, non ancora �contrattualizzata�, ne viene dapprima differita l'efficacia, 
da ultimo, al 31 dicembre 1998 con l'art. 39 della legge n. 449 del 1997. Abrogato, quindi, l'art. 
57 del decreto legislativo n. 29 del 1993 dal decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80 del 1998, la 



144 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAT& 

o nel periodo immediatamente precedente, ma solo di quella rivestita tra il 30 giugno 
1984 e la data di entrata in vigore della legge stessa. 
In ogni caso, con tale censura l'appellante si limita a sostenere che l'originaria 
ricorrente non avrebbe esperito mansioni di carattere dirigenziale; ma ci� viene 
dedotto in modo apodittico, del tutto generico e indimostrato, senza in alcuna misura 
contestare quanto puntualmente e partitamente dedotto dai primi giudici a supporto 
della propria decisione. 

Potr� anche fondatamente dubitarsi, per quanto sopra si � visto, della correttezza 
di tali apprezzamenti; ci� per� non toglie che essi sono stati, nella decisione 
oggetto del presente gravame, articolatamente motivati e supportati da elementi giuridico-
fattuali specificamente individuati; mentre l'appellante non fornisce, in questo 
specifico ricorso in appello -nettamente distinto ed autonomo dall'appello 
sopra esaminato -alcuna puntuale controdeduzione alle argomentazioni cos� svolte 
dal TAR (applicabilit�, nella specie, del disposto di cui alla citata delibera di G .R. 

n. 560/1984; preposizione all'ufficio distaccato di Castellammare di Stabia con 
assoluta ed esclusiva responsabilit� del settore amministrativo fin dall'Ente di provenienza; 
continuit� di svolgimento di funzioni dirigenziali anche quale responsabile 
dei settori Personale ed Economico etc.). 
I

3.5. -Evidenzia, ancora, la ASL che l'art. 1 della legge n. 207/1985 presuppone, 
comunque, l'esistenza di un incarico formale in un posto vacante in pianta orgaI 


nica e che, inoltre, nell'ambito del pubblico impiego le mansioni superiori svolte di 
fatto sarebbero del tutto irrilevanti sia ai fini economici che di carriera, cos� come 
per l'emanazione di provvedimenti di preposizione ad uffici. 

Anche tali doglianze sono da disattendere. 

I 

L'appellante richiama, infatti, l'anzidetto art. 1 della legge n. 207 del 1985, 
senza, per�, contrastare in alcun modo quanto dal TAR illustrato in merito alla piena 

I

applicabilit�, nella specie, della norma stessa, sia per la sussistenza di provvedimenti 
formali di conferimento di incarichi, continuativi, di livello dirigenziale, sia per la 

I

vacanza del posto. 

I primi giudici, oltre ad individuare i citati provvedimenti di conferimento di 
incarico, hanno anche spiegato con chiarezza le ragioni per cui il posto di cui si discute 
era da ritenersi a tutti gli effetti vacante, seppure appartenente ad un organico 
provvisorio; l'appellante si limita, invece, ad affermare che l'art. 1 della legge 
207 /85 si applica solo in presenza di vacanza organica, ma non smentisce in alcuna 
misura quanto in concreto e motivatamente dedotto dai primi giudici in ordine alla 

disciplina delle mansioni superiori viene ridisciplinata dal nuovo testo dell'art. 56 -come modificato 
dall'art. 25 del menzionato decreto n. 80 del 1998 -per poi essere ulteriormente modificata 
dal decreto legislativo 29 ottobre 1998 n. 387. 

L'efficacia della nuova disposizione, che prevede in via di principio, il diritto alla retribuzione 
propria della qualifica della quale si sono svolte le mansioni �, tuttavia, rinviata al momento 
della emanazione dei contratti collettivi di lavoro ed all'attuazione degli ordinamenti professionali 
ivi prevista che, quanto meno nell'intento del Legislatore, dovrebbero porre la parola fine a tante 
incertezze giurisprudenziali e normative. 

f: 
~ 
r: 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA ' .. 

145 

effettiva esistenza della vacanza organica di cui si tratta e alla conseguente applicabilit�, 
nella specie, della norma stessa. 

3.6. -L'appellante afferma, ancora, che nel caso in esame, l'art. 14 della citata 
legge n. 207/1985 avrebbe inibito l'espletamento di mansioni superiori. Anche tale censura 
� da disattendere in quanto la stessa legge n. 207/1985, all'art. 1 -che il TAR ha 
ritenuto applicabile nella specie -mira proprio a sanare situazioni di precariet� in atto 
al momento della sua entrata in vigore, mentre l'inibitoria anzidetta vale solo per il futuro; 
con la conseguenza che il citato art. 14 � stato qui inutilmente invocato, in quanto i 
primi giudici hanno inteso assegnare decisiva rilevanza proprio ai presupposti giuridico-
fattuali maturati al momento dell'entrata in vigore della legge n. 207 /1985. 
3.7. -Quanto al fatto, pure dedotto dall'appellante, secondo cui al semplice 
espletamento di mansioni superiori non potrebbe correlarsi il diritto al corrispondente 
inquadramento in posizione sovraordinata, pu� osservarsi che ci� non � normalmente 
possibile; ma che proprio l'art. 1 della legge n. 207/1985, nella specie 
ritenuto concretamente applicabile, ha eccezionalmente e in via di sanatoria reso 
possibile tale operazione (omissis). 
CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, 3 dicembre 1998, n. 1649 -Pres. De Roberto Est. 
Romeo-Codacons (avv. Rienzi) c. P.C.M. (avv. Stato Di Pace). 

Atto amministrativo -Diritto d'accesso -Interesse rilevante -Insussistenza di 
un interesse personale e concreto del Codacons ad accedere alla documentazione 
sull'uso delle cd. auto blu. 

L'interesse giuridicamente rilevante per legittimare la richiesta di accesso deve 
essere personale, cio� immediatamente riferibile al soggetto che pretende di conoscere 
i documenti e specificamente inerente alla situazione da tutelare. 

L'interesse al corretto utilizzo delle auto blu � un interesse di fatto che � proprio 
di ogni singolo cittadino e che tale rimane anche se la sua tutela � assunta dal 
Codacons, il quale organismo particolare, privo di �rappresentativit�� generale 
nel!' ordine reale, non pu� agire che per la difesa dei soli cittadini da esso rappresentati 
e quindi � privo di quell'interesse �concreto� che la legge richiede come presupposto 
indefettibile per l'esercizio del diritto di accesso (1). 

(1) Il caso delle auto blu ed il difetto di legittimazione all'accesso del Codacons. 
a) La questione esaminata. 
Non c'� dubbio che, con l'introduzione del diritto di accesso, il nostro legislatore abbia voluto 
assicurare una forma di �controllo democratico� dell'efficienza ed imparzialit� dell'attivit� 
amministrativa: il principio di pubblicit� e di trasparenza (art. 1 legge n. 241/1990), l'obbligo di 
motivazione del provvedimento (art. 3), l'identificazione di un responsabile del procedimento 
(artt. 4 e 6), il principio di partecipazione (del privato e degli enti esponenziali) al procedimento 
sono tutti strumenti che -unitamente all'accesso -si muovono nella direzione della controllabilit� 
dell'operato dei pubblici poteri, sotto i profili della correttezza, imparzialit� ed efficienza 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

146 

(omissis). 

Il T.A.R. del Lazio ha respinto il ricorso per l'esibizione della documentazione 
relativa ai criteri di utilizzo delle autovetture in dotazione delle amministrazioni centrali 

dello Stato, la cui richiesta d'accesso era stata formulata dal Codacons ( ... ).Alle richieste 
di accesso, solo due amministrazioni( ... ) hanno dato risposta negativa(... ), mentre, 
in relazione alle altre, si � formato il provvedimento implicito di rifiuto per l'inutile 
decorso del termine di 30 giorni di cui al 4� con;una dell'art. 25 della legge 241/1990. 

Il primo giudice, dopo aver richiamato il contenuto delle istanze di accesso ha 
statuito che il ricorrente, alla stregua dell'art. 22 della legge n. 241/1990, non � titolare 
dell'invocato diritto di accesso, difettando in capo allo stesso l'interesse concreto 
che la norma pone come presupposto indefettibile per l'esercizio di tale diritto. 

(su questi profili -prima dell'avvento della legge n. 241/1990 -si veda VrLLATA, La trasparenza 
amministrativa, in Dir. proc. amm., 1987, 539; ed il pi� recente L'accesso ai documenti 
amministrativi di CARINGELLA, GAROFOLI, SEMPREVIVA, Milano, 1999, 14). 

� altrettanto vero, per�, che il legislatore si � preoccupato di prevenire gli abusi connessi ad 
un generalizzato riconoscimento del diritto di accesso a �chiunque� ed infatti ha subordinato l 'actio 
ad exhibendum alla sussistenza di una specifica posizione legittimante, individuandola nella 
titolarit� di �un interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti� (art. 22 comma 1 ). 

i 

Che si sia trattato di una scelta meditata lo dimostra il consapevole abbandono dell'originario schema 
del disegno di legge n. 1913 (presentato alla Camera il 19 novembre 1987) predisposto dalla 

I

Commissione Nigro, che -come � noto -faceva dell'accesso il contenuto di una vera e propria 
azione popolare, esercitabile da chiunque, a prescindere dalla titolarit� di una posizione legittimante, 
essendo essa preordinata alla tutela dell'interesse pubblico. A fugare ogni dubbio in pro


I 

posito �, del resto, intervenuto il decreto del Presidente della Repubblica 27 giugno 1992, n. 352, 

!I

che all'art. 2, primo comma, nel ribadire la necessit� che chi chiede l'accesso �Vi abbia un inte@ 
resse� precisa (significativamente) che deve trattarsi di un interesse �personale e concreto� per la 

~ 

tutela di situazioni giuridicamente rilevanti. @ 
La questione della legittimazione rappresenta, tuttavia, uno dei profili pi� problematici che 

~ 

connotano l'istituto dell'accesso e la grande attenzione che dottrina e giurisprudenza vi hanno 
dedicato discende dalla diffusa convinzione che da essa dipende la stessa funzione che il diritto � ~ destinato ad assolvere nell'ordinamento. 

La sentenza che si annota contiene importanti precisazioni sull'argomento. Con essa � stato 

I

risolto il cd. caso delle auto blu (cui la stampa aveva dato notevole risalto) portato all'esame del � 
Consiglio di Stato dal Codacons, che aveva chiesto l'accesso alla documentazione relativa ai cri-ml 
teri di utilizzo delle vetture di servizio, negata dalle amministrazioni interessate. L 'actio ad exhi-, 
bendum era stata respinta dal T.A.R. del Lazio, che aveva riconosciuto la carenza dell'interesse ~, 
concreto richiesto come presupposto indefettibile dalla legge n. 241/1990. Questa tesi � stata contestata 
dal CODACONS sull'assunto che l'interesse concreto richiesto dall'art. 22 sussiste e con-

I 

siste nell'incremento di spesa e nel nocumento all'ambiente e al traffico cittadino derivante da un 

I 
indebito uso delle auto blu; l'appellante sostiene che l'associazione vanta un interesse immediato ~ 
alla tutela di tale situazione rientrando la difesa dell'ambiente e degli utenti nei suoi fini statutari. f 

b) La soluzione. 

I 

La decisione in epigrafe ribadisce che il diritto di accedere agli atti amministrativi non � rico-i:: 
nosciuto a tutti, ma solo a �chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rile-1�_-~,. 
vanti� e che tale interesse �deve essere personale, cio� immediatamente riferibile al soggetto che ~ 
chiede laccesso ai documenti e specificamente inerente alla situazione da tutelare�. In tal modo, il t 
Consiglio di Stato ribadisce la sua precedente giurisprudenza (in questo senso tra le molte: Cons. iP 
Stato, sez. IV, 17 giugno 1997, n. 649, in Urb. e appalti, 1997, 1218; Cons. Stat~, sez. lV, 3 feb-lii 

-.�� ~ 

rr1~���1�������111��� 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

147 

Di questa conclusione si duole il Codacons, il quale chiede la riforma della 
decisione impugnata per i seguenti motivi: 
-ilCodacons � una associazione che ha come fine statutario la tutela dei diritti degli 
utenti e consumatori innanzi a soggetti pubblici e privati erogatori di beni e servizi; 

-con l'istanza di accesso, che � stata denegata, si intendeva conoscere gli 
effetti dei due menzionati decreti del Presidente del Consiglio, con i quali era stato 
regolamentato l'utilizzo delle autovetture di servizio, la cui illegittimit� era stata 
denunciata dal Codacons innanzi al TAR Lazio, perch� ritenuti pregiudizievoli agli 
interessi dell'associazione, a motivo del considerevole incremento di spesa e dell'incidenza 
negativa sul traffico e sull'inquinamento del centro storico di Roma. In 
questo senso, la domanda di accesso era giustificata dal fatto che la valutazione del


braio 1996, n. 98, in Cons. Stato, 1996, I, 133) che ha individuato -nella situazione protetta dal1'
ordinamento (elemento oggettivo) e nell'interesse del soggetto rispetto alla situazione meritevole 
di tutela -i presupposti per la sussistenza del diritto d'accesso in capo al soggetto richiedente. 

Muovendo da queste premesse la decisione effettua una verifica di tipo formale della sussistenza 
di tali requisiti, escludendo sia che l'interesse al corretto uso delle auto blu possa qualificarsi 
come situazione protetta dall'ordinamento, trattandosi invece di una situazione di mero fatto 
non tutelabile in via giurisdizionale, sia negando che il Codacons possa farsi portatore di un interesse 
che per essere cos� generale non pu� ascriversi tra le finalit� di un'associazione. Il Consiglio 
di Stato si spinge oltre, precisando che si � al di fuori della tematica dei c.d. interessi diffusi, cio� 
di quegli interessi che �sono privi di referente personale� per questa via sottraendo quindi al 
Codacons la legittimazione processuale in qualit� di ente esponenziale che ne persegue la tutela 
a vantaggio di tutti. 

e) L'evoluzione giurisprudenziale relativa a profilo della legittimazione: un percorso in tre fasi. 

Come � noto, il profilo della legittimazione � stato oggetto di elaborazione giurisprudenziale, 
in considerazione della formula generale con cui il legislatore definisce la titolarit� del diritto 
di accesso. Infatti ai sensi del citato art. 22, tale diritto pu� essere esercitato da �chiunque vi abbia 
interesse� per la tutela di <<situazioni giuridicamente rilevanti� e la latitudine dell'espressione 
spiega perch� il giudice amministrativo abbia svolto un ruolo fondamentale nella individuazione 
dei caratteri e connotati che l'interesse all'accesso deve presentare perch� il soggetto si possa ritenere 
legittimato all'accesso nonch� al ricorso art. 25, su molti dei quali il dibattito pu� ritenersi 
tutt'altro che chiuso. 

e.I) La prima e seconda fase: dall'identificazione all'autonomia del diritto di accesso 
rispetto all'interesse legittimo e al diritto soggettivo. 

A fronte di un primo orientamento restrittivo, in cui la locuzione �situazione giuridicamente 
rilevante� viene intesa come situazione normativamente qualificata in termini di diritto soggettivo 
o interesse legittimo (in tal senso: Cons. Stato, sez. VI, 27 marzo 1992, n. 193, in Giur. 
it., 1993, III, 265; Cons. Stato, sez. VI, 30 ottobre 1993, n. 783, in Foro amm. 1993, 2129), in un 
momento successivo il giudice amministrativo muta indirizzo, riconoscendo che affermare la 
coincidenza tra interesse all'accesso ed interesse a ricorrere in sede giurisdizionale equivale a frustrare 
nella pratica la ratio della legge consistente nella tutela all'informazione nei confronti della 
pubblica amministrazione (in tal senso Cons. Stato, sez. IV, 26 novembre 1993, n. 1036, in Giur. 
it., 1994, III, 322), perch� il ricorso per l'accesso si risolverebbe �nella ripetizione di un potere 
comunque attribuito all'interessato di ottenere tramite l'intervento del giudice i documenti rilevanti 
per la difesa delle proprie posizioni sostanziali� (Cons. Stato, sez. VI, 19 luglio 1994, 

n. 1243, in Giur. it., 1995, III, 27). Tale mutamento ha consentito di riconoscere l'autonomia del 
diritto di accesso e di ampliare il concetto di �situazione giuridicamente rilevante� per cui si � 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAT� 

148 

l'effettivo pregiudizio, che sarebbe potuto derivare al Codacons, poteva essere fatta 
solo mediante la conoscenza degli effetti prodotti dai provvedimenti impugnati; non 

I � dato comprendere le ragioni di �segretezza� che inducono a negare, ad una associazione 
di utenti e consumatori, la documentazione richiesta, che dovrebbe essere 
di dominio pubblico( ... ); 

-l'istanza di accesso si inseriva in un contesto nel quale il Codacons aveva gi� 

I impugnato i due decreti del Presidente del Consiglio, gravemente illegittimi e pregiudizievoli 
agli interessi dell'associazione, perch� lasciavano alla totale discrezionalit� 
delle varie amministrazioni l'individuazione di categorie di pubblici dipendenti, 
cui consentire l'uso dell'auto di servizio con l'aumento dei dipendenti 
beneficiari. Questo aumento non pu� che provocare uno sperpero delle risorse pubbliche 
e un danno per l'utenza, in quanto si utilizzano le autovetture per scopi diversi 
da quelli del servizio ai cittadini; 

-il giudice amministrativo ha riconosciuto in passato al Codacons la piena 
legittimazione ad agire, in considerazione dell'attivit� statutaria, che Ǐ anche rivolta 
al miglioramento della qualit� della vita nella comunit� urbana� e che �siffatti 
obiettivi hanno assunto nell'attuale momento della vita sociale un rilievo generalizzato, 
qualificabile senz'altro collettivo ed inerente alla personalit� umana, che si sviluppa 
anche nelle formazioni sociali dirette a salvaguardia�; 

ammessa la legittimazione nei confronti dei soggetti che possono dimostrare, �indipendentemente 
dall'esistenza di una lesione della posizione giuridica del richiedente� �che il provvedimento 

o gli atti endoprocedimentali abbiano dis.piegato o siano idonei a dispiegare effetti diretti o indiretti
� anche nei loro confronti (Cons; Stato, sez. IV, 4 luglio 1996, n. 820, in Cons. Stato, 1996, 
I, 1096; nello stesso senso T.A.R. Lazio, sez. III, 30 gennaio 1997, n. 201, in Trib. Amm. Reg., 
1997, I, 458). Si inserisce su tale scia l'ulteriore configurazione di una duplice legittimazione 
all'accesso: una in un certo senso automatica riconosciuta in capo ai soggetti che siano �parti 
necessarie od eventuali del procedimento� che �discende direttamente dalla legge� ed una seconda 
che va �accertata caso per caso in base al criterio dell'interesse per la tutela di situazioni giuridicamente 
rilevanti per i soggetti terzi rispetto al procedimento� (Cons. Stato, sez. VI, 11 febbraio 
1997, n. 260, in Giur. it.,1997, III, 1, 454). 
c.2) La terza fase: dalla situazione giuridicamente rilevante all'interesse meritevole di tutela. 
A tale seconda fase sembra esserne succeduta una terza in cui dal requisito della titolarit� 
di una situazione giuridicamente rilevante come presupposto della richiesta di accesso si � passati 
a ritenere sufficiente che tale richiesta sia motivata con riferimento ad un interesse meritevole 
di tutela e tale deve essere considerato �ogni interesse serio, non emulativo n� riconducibile 
a mera curiosit�� (Cons. Stato, sez. VI, 19 luglio 1994, n. 1243, in Giur. it., 1994, III, 114). 
� interessante aggiungere che secondo un autorevole opinione rientra nel sindacato del giudice 
amministrativo il giudizio su ci� che � meritevole e ci� che non lo � (CANNADA BARTOLI, Sulla 
tardivit� della delibera a stare in giudizio; sui limiti della discrezionalit� amministrativa, in 
Giur. it., 1994, III, 114). 
L'interpretazione estensiva data dalla giurisprudenza della nozione di posizione giuridicamente 
rilevante � funzionale all'espansione della legittimazione al diritto di accesso per consentire che 
il maggior numero di soggetti possano usufruire della libert� d'informazione e cos� assecondare la 
finalit� della legge consistente nel garantire la trasparenza e la pubblicit� dell'azione amministrativa: 
in questo senso, recentemente, il Consiglio di Stato ha affermato che �l'esercizio del diritto d'accesso 
ai documenti amministrativi( ... ) ha un ambito ed una finalit� che trascendono tale sede, essendo 
rivolto ad assicurare la trasparenza dell'attivit� amministrativa e a favorirne lo sviluppo 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

149 

-l'associazione � portatrice di un interesse giuridicamente rilevante, che � differente 
dall'interesse legittimo e/o dal diritto soggettivo; 

-il TAR non ha affrontato il problema del traffico e dell'inquinamento, che il 
Codacons intendeva qualificare con precisione, per definire con esattezza in che 
misura i decreti impugnati dall'associazione avrebbero potuto pregiudicare gli interessi 
degli utenti; 

-come riconosciuto dalla giurisprudenza, la ragion d'essere del diritto d'accesso 
� costituita dal fine di assicurare la trasparenza e di favorire l'imparzialit� e, 
nella specie, l'interesse che ha mosso il Codacons a richiedere l'accesso non � riconducibile 
a mera curiosit�, ma risponde alla precisa finalit� di conoscere quei documenti 
che, soli, consentono di valutare quale sia la portata di decreti che hanno comportato 
un notevole aumento della spesa pubblica. 

DIRITTO 

1.-Il Codacons insiste perch� gli venga riconosciuta la legittimazione ad agire 
(negata dal primo giudice), assumendo che l'interesse che intende tutelare � immediatamente 
riferibile allo stesso, in virt� di una precisa indicazione statutaria del-

imparziale� (Cons. Stato, sez. IV, 29 aprile 1997, n. 433, in Tributi, 1997, 909). Tuttavia la giurisprudenza 
si � mostrata concorde nell'affermare che �l'interesse dell'istante all'accesso non pu� 
essere identificato nella generica pretesa di controllo del buon andamento dell'attivit� amministrativa
� (Cons. Stato, commiss. Spec., 21settembre1994, n. 1285, inForoAmm., 1996, 174) equesto 
perch� �la norma contenuta nell'art. 22, 1� comma, legge 241/90 non ha introdotto alcun tipo di 
azione popolare� (Cons. Stato, sez. VI, 1� ottobre 1996, n. 1288, in Cons. Stato, 1996, I, 1535). 

d) Conclusioni. 

Questa fondamentale precisazione viene ora ribadita dalla sentenza in rassegna, che circoscrive 
in maniera puntuale i connotati del diritto di accesso, limitandolo alle sole ipotesi in cui sia diretto 
a tutelare un interesse connesso ad un bene che l'ordinamento ritiene meritevole di protezione. Il 
CODACONS -chiarisce il Consiglio di Stato -�ha nella specie un interesse di mero fatto e quindi 
� privo di quell'interesse (concreto) che la legge n. 241/1990 (e soprattutto l'art. 2 comma 1 del 
decreto del Presidente della Repubblica n. 352/1992: N.d.R.) richiede come presupposto indefettibile 
per l'esercizio del diritto d'accesso�. Del resto, proprio per assicurare la finalizzazione della 
richiesta di accesso alla tutela di tale �concreto� interesse (non ravvisabile nel generico interesse 
alla trasparenza dell'attivit� amministrativa), lo stesso Consiglio di Stato insiste sulla necessit� che 
la richiesta medesima sia motivata con specifico riferimento alla sussistenza di detto interesse. 

In definitiva, l'ampliamento della facolt� di accedere ai documenti amministrativi trova un 
limite nella impossibilit� di usufruirne ai soli fini di controllo dell'agire della pubblica amministrazione. 
Questo aspetto mette in luce come nella legge n. 241/1990 la trasparenza amministrativa 
non sia tutelata come valore in s�, ma in una prospettiva individualistica. L'azione amministrativa 
deve essere trasparente, ma se ed in quanto ci� sia funzionale alla tutela di interessi 
individuali: la legge sull'accesso ha introdotto �un diritto ad un'informazione qualificata, non 
riconosciuto, peraltro, in via generale a tutti i cittadini, ma in rapporto ad una specifica legittimazione 
individuata nella titolarit� di un interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti
� (Cons. Stato, sez. IV, 12 maggio 1993, n. 530, in Corte Conti, 1993, fase. 3, 222)., 

FEDERICO BASILICA 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

150 

lassociazione, che ha come finalit� quella di tutelare, anche a mezzo di azioni giudiziarie, 
gli interessi dei cittadini-utenti. Nella specie, il pregiudizio di questi, che 
assurgerebbe a pregiudizio della stessa associazione, sarebbe dovuto all'indubbio 
aggravio di spesa per l'erario a causa di un anomalo utilizzo delle auto blu e dal fatto 
che un aumento di queste sarebbe destinato ad incrementare il gi� consistente traffico 
del centro storico di Roma. 

Su un versante pi� propriamente processuale, la richiesta d'accesso viene giustificata 
con il richiamo dell'impugnativa (dello stesso Codacons) avverso i due 
decreti (citati in fatto) della Presidenza del Consiglio, che, nonostante la disposta 
riduzione di un terzo del numero delle auto blu, avrebbero lasciato alla totale discrezionalit� 
delle varie amministrazioni la possibilit� di individuare la� cerchia dei 
due decreti impugnati, pu� consentire una adeguata valutazione del pregiudizio che 
deriva al Codacons dall'emanazione di questi due decreti. 

2.-L'appello � infondato 

Merita di essere richiamato l'art. 22 della legge n. 241/1990, che, per la prima 
volta, riconosce in forma generale il diritto di accesso �a chiunque vi abbia interesse 
per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti�, nell'intento �di assicurare la 
trasparenza dell'attivit� amministrativa e di favorirne lo svolgimento imparziale�. 

Alla stregua di questa proposizione normativa, l'accesso ai documenti incontra 
un limite negativo: esso non � riconosciuto a �tutti�, ma solo a �chiunque vi abbia 
interesse�; interesse che la norma stessa si incarica di specificare, individuandolo 
nella �tutela di situazioni giuridicamente rilevanti�. Si pu� allora dire che la struttura 
interna di questo diritto non � quella di potere giuridicamente accordato a 
�chiunque�, ma solo a �Chi � portatore di quello specifico interesse�. 

Detto questo, bisogna convenire con il primo giudice, che -richiamando un 
indirizzo giurisprudenziale, secondo il quale l'interesse giuridicamente rilevante per 
legittimare la richiesta di accesso deve essere �personale, cio� immediatamente riferibile 
al soggetto che pretende di conoscere i documenti e specificamente inerente alla 
situazione da tutelare� -ha statuito che il Codacons ha, nella specie, un interesse di 
mero fatto, e quindi � privo di quell'interesse �concreto� che la legge n. 241/1990 
richiede come presupposto indefettibile per l'esercizio del diritto di accesso. 

In verit�, l'appellante -come avanti detto -cerca di dimostrare la sussistenza 
di questo interesse, richiamando, da una parte, la finalit� statutaria di tutelare i 
cittadini-utenti, anche a mezzo di azioni giudiziarie, e, dall'altra, il pregiudizio che 
a questi deriva da un utilizzo anomalo delle auto blu sia per l'aggravio di spesa per 
l'erario, sia per l'incremento del gi� consistente traffico del centro storico di Roma. 

Non � il caso di verificare se la valutazione negativa che si d� dell'utilizzo delle 
autovetture di servizio sia frutto, oppure no, di una aprioristica presa di posizione 
del Codacons. Lo stesso dichiara, invero, che non � certo del pregiudizio che questo 
utilizzo arreca ai cittadini-utenti, tant'� che reclama l'esibizione della documentazione 
relativa ai criteri di utilizzo delle autovetture in dotazione alle amministrazioni 
centrali, al fine di avere elementi precisi per sostenere l'illegittimit� dei decreti 
del Presidente del Consiglio, i quali, nonostante la riduzione di un terzo delle auto 
blu, hanno lasciato alla discrezionalit� delle varie amministrazioni l'individuazione 
dei dipendenti beneficiari. 


PARTE I, SEZ. Iv, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

Quand'anche, infatti, rispondesse al vero un presunto utilizzo anomalo delle 
auto blu, non per questo potrebbe configurarsi in capo al Codacons un interesse giuridicamente 
tutelato, che legittimi la richiesta di accesso a una documentazione, che, 
per essere interna alla stessa amministrazione, non � idonea ad incidere in alcun 
modo su �una situazione giuridicamente rilevante� del Codacons medesimo, n� 
quantomeno sui cittadini-utenti. 

Questi -come correttamente affermato dal primo giudice -hanno un interesse 
di mero fatto a che l'amministrazione faccia un uso corretto delle autovetture 
in dotazione (lo stesso interesse che ogni cittadino ha al legittimo esercizio dell'azione 
amministrativa), che li abilita a protestare, con mezzi diversi da quello giudiziario, 
la loro indignazione, qualora questo utilizzo anomalo delle autovetture di servizio 
effettivamente sussista. 

In ogni caso, quest'interesse di fatto dei cittadini-utenti, rappresentati dal 
Codacons, non pu� assurgere a �situazione giuridicamente rilevante� di quest'ultimo, 
sol perch� l'associazione ha come fine statutario quello di tutelare, anche a 
mezzo di azioni giudiziarie, gli utenti e i consumatori innanzi a soggetti pubblici e 
privati erogatori di beni e servizi. 

Non � certo la sommatoria di pi� interessi di fatto che trasforma una posizione 
di fatto in una posizione di diritto. La circostanza poi che un soggetto collettivo 
abbia scelto di tutelare un determinato interesse non pu� valere a definire la rilevanza 
di questo in termini giuridici. 

Si � al di fuori della c.d. tematica degli interessi diffusi, cio� di quegli interessi 
che, per essere privi di referente personale, vengono assunti da �collettivit� e gruppi
�, che ne perseguono la tutela a vantaggio di �tutti�. 

L'interesse al corretto utilizzo delle auto blu -si ripete -� un interesse di fatto 
che � proprio di ogni singolo cittadino, e che tale rimane anche se la sua tutela � assunta 
dal Codacons, il quale organismo particolare, privo di �rappresentativit�� generale 
nell'ordine reale, non pu� agire che per la difesa dei soli cittadini da esso rappresentati. 

La pretesa di perseguire un bene di tutti non pu�, infatti, essere attuata in virt� 
della mera scelta di raggiungere un fine comune a ogni cittadino. Se cos� fosse, si 
correrebbe il rischio di abbassare un bene di tutti (quale quello, perseguito dal 
Codacons, di migliorare la qualit� dei servizi, di ridurre il traffico cittadino e il livello 
di inquinamento del centro storico, di evitare sprechi del denaro pubblico e altri) 
a un bene frazionario, vale a dire a finalit� di un'associazione privata, composta di 
cittadini il cui fine particolare verrebbe a configurarsi come fine generale in virt� 
della scelta, statutariamente determinata. 

In mancanza, dunque, di un interesse giuridicamente rilevante sia per i cittadini-
utenti, rappresentati dal Codacons, sia di questo, deve escludersi che nella specie 
possa essere azionato il diritto di accesso di cui alla legge n. 241/1990. 

L'appello va, pertanto, respinto. 

Sussistono motivi per disporre la compensazione delle spese. 

P.Q.M. 
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge l'appello 
in epigrafe (omissis). 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO ST�TO, 

152 

CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, 11 gennaio 1999 n. 8 -Pres. de Roberto -Est. 
Minicone -Corea (avv.ti Abbamonte e Colarizi) c. Ministero dell'Universit� e 
..I.. 
della Ricerca Scientifica e Tecnologica (avv. Stato Bruni N. ) ed altri. fil 
Impiego pubblico -Concorso universitario -Procedimento -Commissione giudicatrice 
-Astensione e incompatibilit� -Cause -Rapporto professionale 
stabile tra commissario d'esame e candidato -Dovere di astensione -
Sussiste. 
Pur escludendosi che la conoscenza personale ed il rapporto tra docente ed 
allievo siano di per s� motivo di astensione, costituisce causa di astensione la sussistenza 
di rapporti personali tra esaminatore ed esanimando tali da far sorgere 
il sospetto che il candidato venga giudicato, non sulla base delle prove, bens� in 
virt� delle conoscenze personali ovvero, qualora sia accertata la sussistenza di 
rapporti personali e diversi da quelli che di regola intercorrono tra maestro ed 
allievo (1). 
(omissis). 
6. Nel 
merito, la censura di violazione dell'obbligo di astensione da parte del 
prof. Rizzon � fondata. 
(1) La decisione in esame affronta il problema relativo all'obbligo di astensione del componente 
della commissione di concorso in posizione di conflitto di interesse con alcuno tra i candidati. 
Il Consiglio di Stato, nella prima parte della motivazione, si richiama al consolidato orientamento 
che, con riferimento agli organi collegiali in generale ed ai casi di incompatibilit� dei 
loro membri, sancisce l'obbligo di astensione del componente dell'organo collegiale in posizione 
di conflitto di interesse, in attuazione dei generali precetti costituzionali di imparzialit� e buon 
andamento dell'amministrazione. Ci� ogniqualvolta sussista uno specifico e diretto collegamento 
tra deliberazione da adottare, da parte dell'organo collegiale ed interesse proprio del votante 
ovvero dei suoi congiunti, anche per i casi in cui la votazione non possa avere altro apprezzabile 
esito e la scelta effettuata sia in concreto la pi� utile ed opportuna per l'interesse pubblico (in tal 
senso e con riferimento alle delibere collegiali di organi comunali e provinciali: Cons. di Stato, 
sez. VI, 9 novembre 1994, n. 1590; Cons. di Stato, sez. V, 2 marzo 1994 n. 137; Cons. di Stato, 
sez. V, 7 giugno 1993 n. 670; Cons di Stato, sez. IV, 2 aprile 1988, n. 290). Sull'operativit� del1'
obbligo di astensione anche per il caso di comprovata inimicizia con il destinatario del provvedimento 
e ci�, tanto nella fase della discussione quanto in quella strettamente deliberativa: Tar 
Trento 6 agosto 1992; Tar Campania, sez. Il, 27 agosto 1986 n. 294; nel senso di un vero e proprio 
obbligo di allontanamento dall'aula: Cons. di Stato, sez. IV, 20 settembre 1993 n. 794). 
Partendo dalla disciplina delle cause di incompatibilit� nella composizione degli organi collegiali 
alla stregua della normativa vigente (art. 279 T.U. legge codice penale n. 383/1934; artt. 51 
e 52 codice procedura civile) e calando tali principi nell'ambito della materia concorsuale la giurisprudenza 
amministrativa precisa ulteriormente che le ipotesi di incompatibilit� che determinano 
l'illegittimit� di una procedura concorsuale devono essere normativamente previste, avendo 
carattere eccezionale e derogatorio della legittimazione attribuita in via ordinaria a determinate 
categorie di soggetti (in tal senso Cons. di Stato, sez. VI, 5 maggio 1998 n. 631). Discende dall'affermato 
principio l'impraticabilit� di un'interpretazione estensiva ed analogica nonch� la tipicit� 
delle situazioni di incompatibilit�. Le ipotesi di incompatibilit� allo svolgimento delle funzioni 
di componente di commissione di concorso, non previste da norme dirette espressamente a 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

153 

6.1. -La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha ripetutamente affermato richiamandosi 
all'art. 51 codice procedura civile, all'art. 290 del T.U. approvato con 
regio decreto 4 febbraio 1915 n. 148, agli artt. 16 e 279 del TU. approvato con regio 
decreto 3 marzo 1934 n. 383, e soprattutto, a livello costituzionale, al principio della 
imparzialit� dell'azione amministrativa -, che viene a porsi in posizione di incompatibilit� 
il soggetto, chiamato a provvedere sia come autorit� monocratica sia quale 
membro di un organo collegiale, che risulti portatore di un proprio interesse: e ci� 
anche quando la determinazione adottata non avrebbe potuto conseguire altro 
apprezzabile esito o perfino quando la scelta sia, in concreto, la pi� utile ed opportuna 
per l'interesse pubblico (cfr. Cons. Stato, sez. V, 7 giugno 1993 n. 670; sez. IV., 
2 aprile 1988 n. 290). 
Larga applicazione del principio sopra riportato si � avuta proprio in materia 
concorsuale, dove, escluso che la conoscenza personale e il rapporto tra docente e 
allievo siano di per s� motivo di astensione, si � affermato un criterio sintomatico 
d'incompatibilit� destinato ad operare quando i rapporti personali fra esaminatore 
ed esaminando siano tali da far sorgere il sospetto che il candidato sia stato giudicato 
non in base al risultato delle prove, bens� in virt� delle conoscenze personali, 
ovvero quando sia accertata la sussistenza di rapporti personali diversi e pi� 
saldi di quelli che di regola intercorrono tra maestro ed allievo (Cons. Stato, 
sez. VI, 27 giugno 1978 n. 890). 

salvaguardare l'imparzialit� dei giudizi della commissione, devono, pertanto, comunque ricondursi 
ai principi contenuti negli artt. 51 e 52, restando residualmente affidata al senso di responsabilit� 
e correttezza degli interessati la possibilit� di astensione facoltativa, qualora ricorrano 
gravi ragioni di convenienza (Cons. di Stato, sez. VI, 6 novembre 1997, n. 1617). L'applicazione 
del principio di eccezionalit� fa dunque s� che si tenda generalmente ad escludere che la conoscenza 
personale possa costituire di per s� un motivo di astensione, quanto meno ove la stessa si 
risolva nel normale rapporto tra docente ed allievo. 

Muovendo da un criterio meno formalistico la giurisprudenza amministrativa ha, tuttavia, 
elaborato un criterio sintomatico di incompatibilit�, in base al quale la procedura concorsuale finisce 
col ritenersi viziata tutte le volte in cui, dati i rapporti personali tra esaminatore ed allievo, 
possa sorgere il sospetto che il candidato non sia stato giudicato in base al risultato delle prove 
ma, piuttosto, in base alle conoscenze personali ovvero �quando sia accertata la conoscenza di 
rapporti di conoscenza personali diversi e pi� saldi di quelli che di regola intercorrono tra maestro 
ed allievo� (Cons. di Stato, sez. VI, 27 giugno 1978 n. 890). Fra tali ultime ipotesi � stato 
appunto ricompreso il caso di specie, dove il collegio aveva appurato l'esistenza di un vero e proprio 
sodalizio di natura professionale ed economica tra un componente della Commissione ed uno 
dei concorrenti a professore universitario distinguendo in ogni caso, come non rilevante ai fini 
della legittimit� della procedura concorsuale, l'ipotesi in cui emergano tra docente e concorrente 
forme di collaborazione o di pubblicazione congiunta, intese quali manifestazioni di semplice 
stima e di fiducia propria del maestro nei confronti dell'allievo. 

Attraverso tale via, la giurisprudenza amministrativa finisce di fatto per scalzare il principio 
di tassativit� attestandosi su posizioni meno formalistiche anche se tali da richiedere caso per 
caso, una delicatissima indagine volta ad appurare se il rapporto di amicizia e di stima, che ben 
pu� sussistere nell'ambiente accademico, sia trasmodato in un tipo di rapporto tale da far dubitare 
dell'imparzialit� del giudicante. 

P.P. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STAT�.

154 

6.2. -Nel caso in esame, dai modelli 750 relativi ai redditi percepiti dall'anno 
1990 all'anno 1994 dall'associazione tra professionisti denominata Centro 
Diagnostico Cardiovascolare, corrente in Bari, come attestati sia dalle copie degli 
stessi sia dall'interrogazione meccanografica esibite dagli appellanti (e va sottolineato 
che il lavoro della Commissione si � svolto dal 26 luglio 1993 al 15 febbraio 
1994), emerge che di detta associazione facevano parte sia il prof. Rizzon (per 
una quota del 40%) sia il prof. Iliceto (per una quota del 20% ). 
Esisteva, dunque, fra il primo e il secondo, un autentico sodalizio professionale 
con caratteri di stabilit� e con reciproci interessi di carattere economico, 
idoneo, alla stregua dei parametri individuati dalla giurisprudenza, a determinare 
quella situazione d'incompatibilit� di cui parla la giurisprudenza avanti 
riferita. 

Ed � appena il caso di osservare che non si rendeva necessario, in presenza 
di tali presupposti, comprovare che tale rapporto si fosse concretato in un effettivo 
favore verso il candidato, come sostengono i controinteressati, essendo sufficiente 
a radicare l'incompatibilit� del prof. Rizzon anche il solo pericolo di una 
compromissione dell'imparzialit� di giudizio, derivante dall'accertato vincolo 
professionale. 

7. -Le conclusioni di cui sopra non appaiono scalfite dal documento esibito 
dalla difesa dei controinteressati, con il consenso di controparte, all'udienza di discussione 
degli appelli, consistente in una dichiarazione sottoscritta, con firma autenticata 
in data 21 dicembre 1992, dai componenti dello studio medico associato, in 
base alla quale il prof. Rizzon manifestava l'intento di non far pi� parte di detto studio 
a decorrere dal 10 gennaio 1993 (in deroga al preavviso di sei mesi previsto dal 
patto associativo), con subingresso, nella sua quota, di altri due soci, nelle persone 
di Chiddo Adele Maria Rosaria e del prof. Iliceto Sabino. 
Tale atto, infatti, recante l'impegno ad un comportamento con efficacia 
futura rispetto al momento della sua sottoscrizione, non pu� che cedere a fronte 
del dato di fatto che, ancora nel 1994, come � stato comprovato, la dichiarazione 
dei redditi concernenti il Centro Diagnostico Cardiovascolare, prodotta 
dal legale rappresentante, imputa i redditi stessi, per le quote del 40% e del 
20%, rispettivamente al prof. Rizzon e al prof. Iliceto, confermando, quindi, la 
non attuazione della dichiarazione e la perdurante continuativit� dei rapporti 
economici. 

La circostanza, poi, che, come ha affermato la difesa dei controinteressati alla 
discussione orale, tali redditi fossero da ascrivere a crediti anteriori all'anno di riferimento, 
in disparte lassenza di qualsiasi riscontro probatorio, da un lato, non sarebbe 
idonea a far venir meno l'attualit� della cointeressenza fra il Commissario e il 
candidato, dall'altro, si mostra in disaccordo con quanto affermato nel predetto 
documento 

A tenore di quest'ultimo, infatti, a far tempo dal 1� gennaio 1993, sarebbero 
stati considerati �come propri di Chiddo Adele Maria Rosaria e Iliceto Sabino, in 
ragione del cinquanta per cento ( 50%) ciascuno, da un lato tutti i diritti e dall'altro 
tutti gli obblighi ed oneri che erano rispettivamente a favore e a carico di Rizzon 
Paolo�; mentre gli stessi soggetti dichiaravano �di aver definito e liquidato, e tanto 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

155 

ove occorra anche transattivamente, tutti i loro rapporti di dare e avere inerenti il 
subingresso in oggetto� per il quale precisavano che �nulla pi� si devono n� si 
dovranno ed a qualsiasi titolo�. 

Il che dimostra, anche per questo profilo, come la dichiarazione trasfusa nel 
documento non abbia, poi, trovato pratica applicazione. 

8. -La fondatezza del motivo ora riferito conduce all'accoglimento degli appelli 
proposti con assorbimento di ogni altro motivo. 
In riforma della sentenza impugnata -e per le ragioni enunciate in motivazione 
-va, conseguentemente, annullato il provvedimento impugnato disponendosi, 
per motivi di equit�, la compensazione integrale tra le parti delle spese in giudizio 
(omissis). 

CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, 1 febbraio 1999, n. 99 -Pres. De Lise -Est. Barra 
Caracciolo -Ministero dell'Universit� e della ricerca scientifica (avv. Stato 
Tortora) c. Bosco ed altri (avv. Colarizi). 

Impiego pubblico -Concorsi -Universit� -Predeterminazione criteri di valutazione 
-Obbligo -Sussiste. 

Dalla circolare P0/933 in data 23 luglio 1993 del Ministro dell'Universit� 
e della ricerca scientifica discende l'obbligo, per le commissioni giudicatrici 
nei concorsi a posti di professore universitario, di predeterminare i criteri per 
la valutazione dei candidati e cio� quei criteri che, in linea di massima, presiedono 
alla formulazione del giudizio relativo all'idoneit� e meritevolezza del 
candidato (1). 

(omissis). 

Gli appelli esposti in narrativa vanno riuniti ai fini di una contestuale decisione 
essendo diretti avverso la medesima sentenza. 

La questione centrale degli appelli consiste nello stabilire se dalla Circolare 
P0/933 in data 23 luglio 1993 del Ministro dell'Universit� e della ricerca scientifica 
discenda l'obbligo, per le commissioni giudicatrici nei concorsi a posti di professore 
universitario, di predeterminare i criteri per la valutazione dei candidati, nel 

(1) Con la sentenza in esame il Consiglio di Stato ha affermato che la circolare P0/933 in 
data 23 luglio 1993 del Ministro dell'Universit� e della ricerca scientifica esprime una direttiva 
di competenza specifica del Ministro, vincolante per gli organi e gli uffici, anche a carattere 
straordinario (come una Commissione giudicatrice) perch� il potere di direttiva � espressivo 
della funzione di indirizzo del Ministro rispetto all'applicazione di norme che prevedono poteri 
discrezionali. 
Sull'efficacia vincolante delle circolari e sulla loro impugnabilit� vedi Cons. Stato, sez. IV, 
29 gennaio 1998 n. 112, in Foro it. 1998, III, 627. 



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO~'

156 

senso di criteri che, in linea di massima, presiedano alla formulazione del giudizio 
relativo all'idoneit� e meritevolezza del candidato. La Circolare citata indicava di 
esplicitare �orientamento procedurale e indirizzi comportamentali che rendessero 
comprensibile all'esterno l'iter logico seguito nella formulazione dei giudizi individuali, 
correlando detti indirizzi a parametri di valutazione in funzione dei titoli posseduti 
dai candidati�. 

Va anzitutto chiarito che detta Circolare ha effetto vincolante in quanto, in 
primo luogo, la stessa Commissione si � ad essa richiamata, dichiarando di volerne 
seguire le indicazioni ( cfr. verbale n. 3); tuttavia, la medesima avrebbe avuto applicazione 
anche a prescindere da tale richiamo, posto che esprime una direttiva di 
competenza specifica del Ministro, vincolante per gli organi e gli uffici, anche a 
carattere straordinario (come una Commissione giudicatrice), che operino nella 
materia oggetto delle sue attribuzioni, essendo il potere di direttiva propriamente 
espressivo della funzione di indirizzo del Ministro rispetto all'applicazione di norme 
che prevedono poteri discrezionali. 

La prima obiezione degli appellanti alla capacit� di detta Circolare a prefigurare 
un obbligo di predeterminazione dei criteri di valutazione (sia pure in forma attenuata), 
� che tale predeterminazione non � stata ritenuta necessaria, in questo tipo di 
concorsi, dal prevalente indirizzo giurisprudenziale, che risulterebbe in effetti 
richiamato dalla stessa Circolare. 

In realt�, la giurisprudenza cosi richiamata, non giunge, per�, nel complesso 
delle affermazioni che costituiscono il suo nucleo logico e la sua ratio, a negare ogni 
possibile predeterminazione dei detti criteri. Tale orientamento, facendo leva sulla 
presenza di un elevato tasso di discrezionalit� tecnica (nel senso di ineliminabile 
variabilit� di apprezzamenti nel formulare giudizi che richiedono conoscenze al 
massimo livello di complesse discipline cognitive della cultura umana), ha piuttosto 
escluso che si applichi l'intero corpus di principi logici che, nei concorsi per l'assunzione 
nel pubblico impiego (e nelle procedure valutative complesse a carattere 
comparativo, in genere), impongono una prefissione di criteri di valutazione sviluppata 
nell'indicazione di categorie di titoli, e l'attribuzione di coefficienti numerici a 
ciascuna di esse secondo una logica ricavabile dai criteri stessi. 

La stessa giurisprudenza, tuttavia, non pu� essere utilizzata per negare ogni 
possibile oggettivabilit� anticipata dei criteri che presiedono alle operazioni valutative 
in questione, perch� un orientamento preventivo che renda certa e verificabile 
l'osservanza dei fondamentali principi di ragionevolezza e par condicio 
nella formulazione dei giudizi � pur sempre enunciabile, usando la perizia e la 
ponderatezza che gli esperti della materia, chiamati a far parte delle Commissioni 
giudicatrici, devono possedere ed esprimere secondo la loro specifica competenza. 
In sostanza, la giurisprudenza in questione mira a non appesantire, incasellandola 
in griglie di parametri e categorizzazioni troppo rigide, 1'espressione di 
giudizi altamente qualificati, ma al tempo stesso non afferma la totale insuscettibilit� 
di questo tipo di giudizi a seguire premesse di merito gi� enunciate nelle 
loro linee essenziali, individuabili, secondo lo stato della scienza, in ogni branca 
del sapere umano. 

In questo solco si pone, correttamente, la Circolare �de qua�, che si rif� ad un 
�generalizzato bisogno di trasparenza� che possa �Consentire la comprensione 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

all'esterno dell'iter logico seguito per la formulazione dei giudizi individuali e collegiali
�, quindi di entrambi i momenti logici in cui si esplicano le valutazioni affidate 
alla Commissione giudicatrice. 

Quanto ora detto sgombra il campo dall'obiezione mossa dai controinteressati, 
per cui la Circolare avrebbe un contenuto talmente generico da risultare insuscettibile 
di concrete applicazioni: anche non considerando che tale obiezione semmai si 
traduce in una censura di illogicit� propria della Circolare (che non risulta invece 
oggetto di impugnazione incidentale in primo grado), va ribadito che la prefissione 
di premesse valutative di merito � possibile per ogni campo della cultura umana, e 
l'opinabilit� relativa non � eliminabile ma solo limitabile. Nel suo indicare la possibilit� 
di prefissione di parametri, dunque, la Circolare persegue, non genericamente, 
ma consentendo la necessaria flessibilit� di applicazione, un fine di trasparenza 
e di oggettivazione del giudizio delle Commissioni giudicatrici. 

Che il significato della Circolare sia di direttiva ad esplicitare criteri prederminativi 
in linea generale (�di massima�) della sostanza valutativa dei giudizi, risulta 
dal tenore inequivoco delle sue espressioni, laddove viene delimitato il suo obiettivo, 
appunto, nella esigenza di trasparenza proprio con riguardo alla �formulazione 
dei giudizi individuali e collegiali�. �tenendo conto di tale premessa della Circolare 
che vanno comprese le susseguenti indicazioni che essa esprime, laddove parla del1'
esigenza di darsi indirizzi comportamentali, funzionali alla trasparenza nella formulazione 
dei giudizi, consistenti nella �attribuzione di parametri di valutazione� 
per cui il giudizio �dovr� tener conto di quanto predeterminato in modo omogeneo 
ed oggettivamente riscontrabile�. 

La Circolare, peraltro, nel suo testo utilizza anche il termine �orientamenti 
procedurali�, (in modo che risulta equivalente all'espressione �indirizzi comportamentali
�). Su questa locuzione fanno leva gli appellanti per sostenere che l'obbligo 
incombente sulla Commissione si muovesse sul piano non della valutazione 
�intrinseca dei candidati�, ma su quello della indicazione della sequenza delle 
fasi procedurali in cui si sarebbero sviluppati i lavori della Commissione, dovendosi 
intendere l'esigenza di comprensione dell'iter logico come riferita all'aspetto 
estrinseco dell'ordine dei lavori e non con riferimento al ragionamento svolto 
nel merito. . 

Questa tesi � da disattendere, perch� � in contrasto con il significato obiettivo 
delle espressioni usate nella Circolare, nei termini sopra illustrati, e con la stessa 
ratio della medesima, che non pu� non sottendere la riscontrabilit� oggettiva, in 
base alla prefissazione di criteri, proprio del momento del giudizio. La predeterminazione 
di un ordine procedurale a scopo esclusivamente descrittivo, come sostenuto 
dagli appellanti, non corrisponde invece alle esigenze sottolineate dalla 
Circolare e si risolverebbe in un mero enunciato tautologico, il quale, con ampie 
locuzioni e parafrasi, ripeterebbe quella che � una sequenzialit� gi� ricavabile dalla 
disciplina della materia e dai consolidati principi della logica affermati dalla giurisprudenza. 
D'altra parte, la funzione amministrativa � in s� un fenomeno procedimentale, 
sicch� anche il momento valutativo esprimente la discrezionalit� si configura 
in termini di un'operazione di durata, cio� di un tipo particolarmente 
formalizzato di fattispecie a formazione progressiva, in cui il momento di espressione 
della volont� o, come nel caso, del giudizio, � inscindibile dal suo modulo di 


158 RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO . 
formazione, che � quello procedimentale. Si vuol dire che il �merito� della valutazione 
esprime l'area della discrezionalit� della funzione e questa non pu� che assu
� 
mere una proiezione procedimentale, specialmente nel caso di valutazioni compa158 
RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO . 
formazione, che � quello procedimentale. Si vuol dire che il �merito� della valutazione 
esprime l'area della discrezionalit� della funzione e questa non pu� che assu
� 
mere una proiezione procedimentale, specialmente nel caso di valutazioni compa';~,~.:.
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rative multiple e complesse, sicch� ogni parametro valutativo �, al tempo stesso, un : 
criterio informatore della procedura, le cui fasi si giustificano, appunto, proprio al 
fine di dare al criterio stesso un'applicazione ottimale sul piano organizzativo. 

Nel caso di specie, non risultando enucleati orientamenti procedurali nei sensi 
sopra precisati, cio� atti ad esprimere parametri di valutazione tali da rendere comprensibile 
all'esterno l'iter logico seguito nella formulazione dei giudizi individuali 
e collegiali, � da condividere l'accoglimento della prima censura del ricorso in 
primo grado pronunziato dal giudice di prime cure (omissis). 

I 

CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, 17 febbraio 1999, n. 172 -Pres. Giovannini -Est. 

II

Caringella -Ricorsi riuniti: 1) Upper Deck International Inc. (avv. Recchia) c. 
Panini S.p.a. (avv. Guarino), Autorit� Garante della Concorrenza e del Mercato 
(avv. Stato Braguglia), Edigamma S.r.l. (avv. Reboa), Associazione Italiana 
Calciatori (avv. Franci e Giugni) e Merlin Publishing S.r.l.; 2) Topps Italia S.r.l. I 
(avv. Ludogroff e D'Amelio) c. Panini S.p.a. (avv. Guarino), Autorit� Garante 
della Concorrenza e del Mercato (avv. Stato Braguglia), Edigamma S.r.l., Upper 
Deck International Inc., Associazione Italiana Calciatori; 3) Curatela del 
Fallimento Euroflash S.r.l. e della Diamond Publishing S.p.a. (avv. Prospero e 
De Ferrari) c. Panini S.p.a. (avv. Guarino), Autorit� Garante della Concorrenza 

II

e del Mercato (avv. Stato Braguglia), Associazione Italiana Calciatori; 
4) Autorit� Garante della Concorrenza e del Mercato (avv. Stato Braguglia) c. 
Panini S.p.a. ( avv. Guarino), Associazione Italiana Calciatori, Topps Italia S.r.l., 

I

Edigamma S.r.l., Upper Deck Internationale Inc. 

Concorrenza -Provvedimenti deH' Autorit� Garante della Concorrenza e del 

I 

Mercato -Poteri del titolare del diritto di esclusiva utmzzazione delle 
immagini di calciatori professionisti in tenuta da gioco ~ Cessione a terzi dei 
diritto di esclusiva (parziale o totale) � Intesa restrittiva della concorrenza 

I 

vietata � Configurabilit� � Esdusione � Abuso di posizione dominante � 
Presupposti� Danni ai consumatori -Dimostrazione -Necessit�. 
(Legge 10 ottobre 1990, n. 287, artt. 2 e 3). 


II

Al titolare di un diritto di esclusiva � riconosciuta la libert� di scelta in ordine .. 
allo sfruttamento pi� redditizio del proprio diritto, ivi compresa quella dell'identit� ;_ 
e del numero dei soggetti cui affidare la sua commercializzazione. i:: 

Gli accordi che trasferiscono a terzi il diritto di esclusiva (parziale o totale) di [ 
utilizzazione dell'immagine di calciatori professionisti in tenuta da gioco a fini com-r 
merciali non configurano intese restrittive della concorrenza vietate ai sensi del-!~ 
lart. 2 della legge antitrust, sussistendo un obbligo a contrarre con i .terzi solo ove 

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PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

159 

l'esclusiva derivi da una determinazione autoritativa della PA. o sia imposta dall'interesse 
dei consumatori. 

Per configurare l'abuso di posizione dominante vietato dall'art. 3 della legge 
antitrust occorre la dimostrazione che l'offerta del prodotto da parte di un solo titolare 
della licenza comporti un pregiudizio ai danni dei consumatori (1). 

II 

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO, sez. I, 7 aprile 
1999 n. 873 -Pres. Schinaia -Est. Romano -Ricorsi riuniti: BMG -Ricordi 

S.p.a. (avv. G. Guarino, A. Guarino, Varrenti); Polygram Italia S.r.l. (avv. 
Grassani e Berruti), Emi Music Italy S.p.a. (avv. Lubrano e Traverso), Sony 
Music Entertainment Italy S.p.a. (avv. Scoca, Abatescianni, Ferrara e Roversi), 
Warner Music Italia S.p.a. (avv. Denozza, Sorrentino, Mondini) c. Autorit� 
Garante della Concorrenza e del Mercato (avv. Stato Braguglia) e nei confronti 
di Federazione Italiana Strumenti Musicali Elettronici (F.1.S.M.E.D) (avv. 
Annecchino, Sciarretta e Parrotta), Vendomusica e Albini Colombo. 
Concorrenza � Intesa restrittiva -Pratiche concordate -Provvedimenti 
dell'Autorit� Garante della Concorrenza e del Mercato � Procedimento Prova 
� Mercato rilevante -Definizione -Parallelismo oligopolistico -Non 
esclude le pratiche concordate -Sanzioni amministrative -Presupposti. 
(Cost. art. 102; legge 10 ottobre 1990, n. 287 articoli 2, 10, 12, 14, 15, 31, 33; decreto del 
Presidente della Repubblica 10 settembre 1991, n. 461). 

Non costituiscono vizi procedimentali della delibera con cui l'Autorit� Garante 
della Concorrenza e del Mercato accerti la violazione da parte di imprese dell'art. 
2, comma 2 della legge n. 287/1990 per aver partecipato ad una pratica concordata 
l'avere, anteriormente all'inizio della formale istruttoria, proceduto all'espletamento 
di audizioni ed alla acquisizione di informazioni nonch� l'avere segretato 
alcuni dei documenti contenenti specifici segreti commerciali ed aziendali, non 
dimostrativi della fondatezza della contestata violazione. 

(1-2) Il Consiglio di Stato ed il TAR Lazio si pronunciano nuovamente in materia di intese 
restrittive della libert� di concorrenza. 

La prima decisione (che conferma TAR Lazio, sez. I, sent. 8 gennaio 1998 n. 96 in Foro 
Italiano, 1998, III, 74 con nota di L. PARDOLESI) affronta il tema degli accordi escludendo che la 
cessione in forma segmentata od unitaria, da parte del suo unico titolare, di un diritto di esclusiva 
avente per oggetto l'utilizzazione dell'immagine di calciatori professionisti in tenuta da gioco, 
al fine di fabbricare e commercializzare album di figurine, figurine autoadesive e prodotti del collezionabile 
editoriale, configuri un'intesa restrittiva della libert� di concorrenza vietata ai sensi 
dell'art. 2 della legge antitrust. 

Il supremo giudice amministrativo muove dalla qualificazione del diritto che costituisce 
oggetto dell'accordo, configurandolo come diritto di esclusiva in relazione al quale l'impresa tito




RASSEGNA AVVOCtITURA DELLO STJUO 

160 

~ 

All'Autorit� ed ai procedimenti che innanzi ad essa si svolgono non � 
riconoscibile natura giurisdizionale con la conseguenza che non sono applicabili le 
regole degli atti e procedimenti giurisdizionali. 

Non contrasta con la garanzia del contraddittorio l'indicazione sommaria nella 
contestazione dei fatti contestati purch� le parti siano messe in condizione di 
partecipare al procedimento e di accedere alla documentazione per esprimere le 
proprie ragioni. 

Non possono trovare applicazione al procedimento antitrust le norme del 
processo civile relative ali' incarico di consulenza tecnica. 
Legittimamente l'Autorit� procede alle audizioni senza la partecipazione 
dell'intero organo collegiale. 
Non avendo l'Autorit� natura di collegio perfetto, � legittima la deliberazione 
assunta anche con la sola met� pi� uno dei componenti. 

Non costituisce sintomo di illegittimit� della delibera il tempo impiegato 
dal! 'Autorit� per la sua adozione in relazione al numero degli argomenti ali'ordine 
del giorno, ove la delibera sia preceduta da un lungo approfondimento istruttorio. 
� sufficiente, ai fini della validit� del verbale, che da esso risultino gli elementi per 
valutare la conformit� dell'iter seguito rispetto alle norme procedimentali, n� produce 
effetti invalidanti l'approvazione del verbale dopo che il provvedimento sia 
stato notificato agli interessati. 

La prova dell'esistenza di pratiche concordate deve ritenersi raggiunta -aprescindere 
dalla sussistenza della concreta intenzione di falsare il mercato -sulla base 
di indizi gravi, precisi e concordanti. 

� mercato rilevante quello individuato con riferimento alla produzione ed alla 
commercializzazione del prodotto, in ambito nazionale. 
L'esistenza di un parallelismo nel mercato oligopolistico non esclude la configurabilit� 
di pratiche concordate finalizzate a falsare il gioco della concorrenza. 

L'irrogazione di sanzioni pecuniarie rilevanti ha per presupposti non cumulativi 
la gravit� e la prolungata durata dell'infrazione ed il loro calcolo va operato in 
base al fatturato realizzato dall'impresa nell'area economica nella quale la regola 
di mercato � stata violata per effetto dell'intesa vietata (2). 

lare � libera di scegliere la forma di sfruttamento pi� redditizia, attraverso la sua gestione diretta 
ovvero la cessione a terzi (uno, o pi� d'uno). 

Ci� premesso, il Consiglio di Stato esclude che possano derivare limitazioni all'esercizio 
dell'esclusiva -e alla possibilit� di sua cessione a terzi -dal diritto antitrust, ove dall'accordo 
non scaturisca una situazione nuova diretta ad impedire, restringere o falsare in maniera consistente 
il gioco della concorrenza. 

Di rilievo � l'approdo della decisione pubblicata, ove non si esclude che la cessione del 
diritto di esclusiva possa configurare, ove venga dimostrata la potenzialit� di danno per i 
consumatori, nella specie non indagata dall'Autorit�, un abuso di posizione dominante vietato 
dall'art. 3 della legge antitrust. 

Sulla commercializzazione dell'immagine personale con diritto di esclusiva cfr. Cass., 
sez. I, 11 ottobre 1997 n. 9880 in Foro Italiano 1998, I, 499: sulla nozione del diritto di esclusiva 
dell'immagine v. Cass., sez. I, 10 novembre 1979 n. 5790, in Foro Italiano, 1980 I, 81, con 
nota di PARDOLESI. 

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PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

161 

I 

(omissis). 

Con delibera in data 28 marzo 1996, l'Autorit� Garante della Concorrenza e del 
Mercato disponeva l'avvio di un'istruttoria, ai sensi dell'art. 14, primo comma, della 
legge 10 ottobre 1990, n. 287, nei confronti dell'Associazione Italiana Calciatori 
(AIC) e della Panini S.p.a., per violazione dell'art. 2 della stessa legge con 
riferimento a due contratti, stipulati tra le parti rispettivamente il 1� luglio 1992 ed 
il 5 maggio 1995, aventi ad oggetto la cessione, da parte dell' AIC alla Panini, del 
diritto di riprodurre le immagini dei calciatori professionisti in tenuta da gioco al 
fine di fabbricare e commercializzare album di figurine e relative figurine autoadesive 
nonch� altri prodotti appartenenti al collezionabile editoriale. Per la precisione, 
il primo contratto, di validit� triennale, aveva ad oggetto la cessione alla Panini del 
diritto non esclusivo di utilizzazione delle immagini dei calciatori in tenuta da gioco 
per la realizzazione e messa in commercio di collezioni di figurine autoadesive, a 
fronte del pagamento di un corrispettivo minimo, integrato da royalties. Nello stesso 
tempo l'AIC, nella sua veste di terzo, cessionario unico dei diritti dei singoli calciatori, 
si obbligava innanzi tutto a non rilasciare altre licenze a pi� di quattro imprese 
concorrenti. In secondo luogo, era specificamente pattuito che l'estensione 
temporale del diritto di sfruttamento accordato ai licenziatari diversi dalla Panini 
fosse limitata agli ultimi quattro mesi dell'anno solare, corrispondenti, in pratica, ai 
primi quattro mesi dell'annata calcistica, con correlativa promozione del prodotto 
�non oltre la fine dell'anno�. 

Il secondo contratto del 1995 prevedeva, per converso, una licenza esclusiva, in 
luogo della precedente tecnica di segmentazione del mercato, ed un'estensione spaziale 
illimitata, in quanto comprensiva di tutte le manifestazioni sportive, in Italia o 
all'estero, in cui fossero impegnate la nazionale italiana o le singole squadre di club. 
La licenza, inoltre, non era pi� limitata ad un settore merceologico (figurine autoadesive) 
ma copriva tutti i prodotti del �collezionabile editoriale�. 

Nel corso del procedimento la S.p.a. Panini presentava istanza di autorizzazione 
dell'intesa ai sensi dell'art. 4 della legge n. 287/1990. All'esito dell'istruttoria, 

Sulla prevalenza dello scopo di lucro rispetto alla funzione informativa delle immagini dei calciatori 
commercializzate v. Cons. St., sez. VI, ord. 19 marzo 1997 n. 349 in Riv. dir. sport., 1997, 294. 

Sugli accordi costituenti intese vietate si veda in dottrina Diritto antitrust italiano, a cura di 

A. FIGNANI, R. PARDOLESI, A. PATRONI GRIFFI, L. c. UBERTAZZI, Zanichelli, Bologna, 1997, 159 
ss.; ALESSI-OLIVERI, La disciplina della concorrenza e del mercato, Giappichelli, Torino, 1991, 
20 ss.; in giurisprudenza v. di recente Cass. sez. I, 1 febbraio 1999 n. 827 in Foro Italiano, I, 99, 
831 con nota di LAMBO ove si giudica applicabile la disciplina antitrust anche alle convenzioni 
restrittive stipulate precedentemente alla sua entrata in vigore, sul rilievo che la legge 287 non 
regolerebbe l'atto, bens� il rapporto da esso scaturente. Costituiscono rilevanti precedenti del giudice 
amministrativo sent. Consiglio di Stato, sez. VI, 30 dicembre 1996 n. 1791 in Foro Amm.. 
1996, Il, I, 3381 ove � sancita l'illegittimit� del provvedimento dell'Autorit� per omessa comunicazione 
dell'atto iniziale del procedimento, nonch� sent. Consiglio di Stato, sez. VI, 30 dicembre 
1996 n. 1792, in Foro Italiano, 1997, III, 213 con note di PARDOLESI e LIANTONIO, ove � stabilito 
che, affinch� sia configurabile l'accordo avente ad oggetto la restrizione della concorrenza, 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

162 

l'Autorit�, ritenuta la sussistenza degli addebiti contestati, con provvedimento 
adottato in data 31 ottobre 1996 deliberava nei termini che seguono: i contratti di 
licenza stipulati nel 1992 e nel 1995 tra l'AlC e la societ� Panini si configuravano 
alla stregua di intese restrittive della concorrenza ai sensi dell'art. 2, comma 2, della 
legge n. 287/1990; era pregiudizialmente preclusa all'Autorit� la possibilit� di 

pronunciarsi sull'istanza di autorizzazione in deroga presentata dalla Panini, con 
riferimento al contratto di licenza stipulato nel 1992, mentre era da rigettare quella 
avanzata a proposito del contratto di licenza stipulato nel 1995; l'AlC e la societ� 
Panini erano diffidate a porre fine, nel termine di 30 giorni, all'intesa restrittiva; 
l'AlC era tenuta a presentare, nello stesso termine, relazione riguardo alle iniziative 
adottate al fine di ripristinare le condizioni di concorrenza effettiva nel mercato delle 
collezioni sul calcio. 
Il Tribunale, previa riunione, ha accolto i ricorsi proposti dalla Panini e 
dall'AlC avverso la determinazione del Garante. 
L'Autorit� Garante e le societ� ricorrenti in epigrafe indicate chiedono 
l'annullamento della sentenza contestando la ricostruzione giuridica della fattispecie 
operata dai primi Giudici. L'AIC e la Panini si sono costituite in giudizio 
sollecitando la reiezione del gravame. I 
Le parti hanno depositato memorie illustrative delle rispettive posizioni. ,. 
All'udienza del 10 luglio 1998 la causa � stata trattenuta per la decisione. 
~ f' ~ DIRITTO 
1. � 
oggetto di impugnazione la sentenza di prime cure con la quale � stato 
annullato il provvedimento dell'Autorit� Garante della Concorrenza che ha qualificato 
alla stregua di accordi restrittivi della concorrenza due contratti stipulati nel 

1992 e nel 1995 tra l'Associazione Italiana Calciatori (AlC) e la Panini S.p.a., aventi 
ad oggetto la cessione, da parte dell' AlC alla Panini, del diritto di riprodurre le 
immagini dei calciatori professionisti in tenuta da gioco al fine di fabbricare e com


il comportamento illecito deve essere tenuto da un soggetto autorizzato ad agire per conto della 
societ� e ad assumere impegni a nome della stessa, con esclusione di tecnici e di personale dirigenziale 
che abbiano preso parte all'intesa. 

Sulla nozione di abuso di posizione dominante v. anche TAR Lazio, sez. I, 23 settembre 
1996 n. 1576. 

La materia delle intese restrittive � affrontata anche dal TAR nella sentenza che si pubblica. 
Essa risolve molte questioni in merito alle regole del procedimento, ribadendone anzitutto la natura 
di procedimento amministrativo, come tale sottratto alle norme proprie del procedimento giurisdizionale. 
In precedenza, v. per gli aspetti procedimentali TAR Lazio 21 luglio 1993 n. 1157; 
TAR Lazio 16 settembre 1996 n. 1547; TAR Lazio 16 settembre 1996 n. 1548 (in particolare sulla 
segretezza degli atti ed il diritto di accesso); TAR Lazio 1� agosto 1995 n. 1473 (sulle 
notificazioni); TAR Lazio 24 marzo 1993 n. 497 e 24 ottobre 1994 n. 1598 (sui termini di avvio 
dell'istruttoria e di conclusione del procedimento). 

La sentenza si occupa delle pratiche concordate su cui v. la gi� richiamata sentenza del 
Consiglio di Stato n. 1792/1996 che ne sottolinea la distinzione rispetto agli accordi per l'irrile



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

163 

mercializzare album di figurine e relative figurine autoadesive nonch� altri prodotti 
appartenenti al collezionabile editoriale. Il primo contratto, di validit� triennale, 
aveva ad oggetto la cessione alla Panini del diritto non esclusivo di utilizzazione 
delle immagini dei calciatori in tenuta da gioco per la realizzazione e messa in commercio 
di collezioni di figurine autoadesive, a fronte del pagamento di un corrispettivo 
minimo, integrato da royalties. Nello stesso tempo l'AIC, nella sua veste di 
terzo, cessionario unico dei diritti dei singoli calciatori, si obbligava innanzi tutto a 
non rilasciare ulteriori licenze a pi� di quattro imprese concorrenti. In secondo 
luogo, era specificamente pattuito che l'estensione temporale del diritto di sfruttamento 
accordato ai licenziatari diversi dalla Panini fosse limitata agli ultimi quattro 
mesi dell'anno solare, corrispondenti, cio�, ai primi quattro mesi dell'annata calcistica. 
Il secondo contratto del 1995 prevedeva, per converso, una licenza esclusiva, 
in luogo della precedente tecnica di segmentazione del mercato, ed un'estensione 
spaziale illimitata, in quanto comprensiva di tutte le manifestazioni sportive, in Italia 

o all'estero, in cui fossero impegnate la nazionale italiana o le singole squadre di 
club. La licenza, inoltre, non era pi� limitata ad un settore merceologico (figurine 
autoadesive) ma copriva tutti i prodotti del �collezionabile editoriale�. 
A fronte della statuizione adottata dal Garante il primo Giudice ha articolato 
una parabola motivazionale cos� calibrata: 

a) l'AIC non si � limitata alla semplice intermediazione-cessione di un diritto 
originario della personalit� da essa acquisito dai singoli titolari, ma ha essa stessa 
creato un diritto nuovo, di contenuto composito, in cui concorrono immagine-ritratto 
nonch� diritti di privativa appartenenti ad altri soggetti (societ� sportive, sponsor, 
leghe calcistiche e federazione calcistica), ciascuno dotato di una propria autonomia, 
ma che, assemblati insieme, costituiscono un prodotto nuovo, avente un proprio 
valore di mercato distinto da quello dei singoli diritti che lo compongono; 

b) alla luce del carattere di originalit� e novit� dei diritti di cui alla lettera a), 
sarebbe stata suscettibile di approfondimento ulteriore la conclusione secondo cui lo 
sfruttamento economico esclusivo del diritto de quo da parte del suo titolare non 
sarebbe meritevole di protezione (e, quindi, di limitazione dell'applicazione delle 

vanza, ai fini della configurabilit� delle prime, della prova circa la partecipazione di soggetti a ci� 
abilitati oltre che dell'accertamento di effetti restrittivi della concorrenza. 

Come precedenti dello stesso TAR in materia di intese restrittive sotto forma di pratiche concordate, 
vedi sentenze 2 novembre 1993 n. 1549, 1� agosto 1995 n. 1474, 27 marzo 1996 n. 476, 
12 aprile 1996 n. 605, 10 dicembre 1997 n. 972. 

Quanto alla definizione del mercato nazionale o di parte rilevante di esso, v. TAR Lazio, 
21 luglio 1993 n. 1157, 21 febbraio 1994 n. 251, 5 maggio 1994 n. 652, 27 marzo 1996 n. 476. In 
dottrina, sul parallelismo oligopolistico v. C. OSTI, Il controllo dell'oligopolio, in Giur. comm. 
1993. I, 580; R. PARDOLESI, �Parallelismo e collusione oligopolistica: il lato oscuro dell'<~antitrust>>, 
comm. a sent. Corte Giustizia C.E. 31marzo1993, in Foro Italiano, 1994, IV, 65. 

Sulle sanzioni pecuniarie antitrust v. Cass., S.U., 5 gennaio 1994 n. 52, in Foro Italiano, 
1994, I, 732, con nota di BARONE e TAR Lazio 21luglio1993 n. 1157 citate nella decisione; TAR 
Lazio 23 settembre 1996 n. 1576. 

F.Q. 

RASSEGNA AVVOCATURA. DELLO STATO

164 

normative di tutela della concorrenza) in quanto attivit� collaterale e marginale 
rispetto all'attivit� agonistica dei calciatori e non funzionale ad incentivare direttamente 
quest'ultima; ~: 

~. 
e) la constatata situazione di monopolio innescata dalla titolarit� in via esclu-lr:. 
siva dei diritti ceduti in capo alla associazione cedente avrebbe imposto il vaglio ~ 

delle pattuizioni de quibus non gi� alla stregua della fattispecie astratta dell'intesa , 
restrittiva della concorrenza ex art. 2 della legge n. 287/1990, bens� alla luce della 
diversa fattispecie dell'abuso di posizione dominante ex art. 3 della legge 

n. 287/1990, segnatamente in relazione alla subordinazione della illiceit� dell'abuso 
di posizione dominante al requisito ulteriore, non prescritto in tema di intese 
restrittive .della concorrenza, della derivazione di un danno in testa ai consumatori. 
I ricorsi vanno riuniti in quanto relativi alla medesima sentenza. 

2.a) -Con un primo ordine di doglianze, suscettibili di trattazione congiunta, le ~I 
parti ricorrenti contestano la conclusione, peraltro ultra od extra petita, secondo cui 
il diritto ceduto con le fattispecie oggetto della stigmatizzazione del Garante sareb-

I be un prodotto nuovo, caratterizzato dall'assemblaggio, non sprovvisto di apporto '. 
creativo, di diritti diversi ognuno dei quali oggetto di cessione da parte del titolare 
originario. Una pi� corretta disamina dei presupposti giuridici e fattuali della vicen-

I da dimostra infatti che le fattispecie pattizie in questione erano nella sostanza fun-,~�,. 
zionali alla sola cessione del diritto, spettante in via di origine ai calciatori -e, per . 
essi, in forza di clausola statutaria, all' AIC -a sfruttare la riproduzione delle pro-,, 
prie immagini. L'inclusione nelle immagini medesime dei simboli della nazionale e[~r~.:,. 
delle squadre di club non necessiterebbe, in forza della normativa vigente, di alcun . 
consenso da parte di soggetti terzi. Il diritto oggetto delle intese reputate dal Garante i! 
restrittive � in definitiva riconducibile al paradigma di cui all'art. 96 della legge sul 
diritto d'autore. In via subordinata, ove anche si accedesse alla tesi sviluppata dai I~.�=,' 
primi Giudici in merito al carattere di novit� del diritto oggetto di commercializza-: 
zione, parimenti non sarebbero rintracciabili gli estremi di �attivit� creative, artisti


che e comunque intellettuali� meritevoli di piena remunerazione attraverso benefi-~~ 
cio della sottrazione ai rigori della normativa anticoncorrenziale. Segnatamente, 
l'assenza di uno sforzo meritevole di remunerazione comporta la non traslabilit� 
delle coordinate giurisprudenziali elaborate in tema di privative per brevetto industriale 
e di diritto di autore su opere letterarie ed artistiche. 

2.b) -Con un secondo gruppo di censure, congiuntamente scrutinabili non-

I 
ostante la parziale diversit� sul versante della formulazione, gli appellanti mettono t:l 
l'accento sull'irrilevanza del riferimento del Garante, oggetto di valutazione critica ID 
del Tribunale, alla violazione dell'art. 2 anzich� dell'art. 3 della legge n. 287/1990, I 
attese la funzionalizzazione delle norme de quibus al perseguimento dello stesso 1~:'.:�'. 
obiettivo rappresentato dalla protezione del diritto di iniziativa economica ex art. 41 �� 
Cost., la possibilit� che una medesima condotta sia sussumibile in entrambe le fat-!!�:,....:.:.� 
tispecie legislative, l'insindacabilit� della scelta discrezionale e adeguatamente . 
motivata del Garante in merito alla norma su cui fare perno per garantire gli interessi 
di cui � portatrice in chiave tutoria e, in definitiva, la possibile identit� dei i?. 

f�'. 

requisiti costitutivi. Non � in definitiva dubitabile che un'intesa sigl~ta da soggetto 11 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

detentore di posizione dominante possa rivelarsi restrittiva della concorrenza a 
mente dell'art. 2 della legge n. 287/1990. Parimenti la stipulazione di un contratto 
di esclusiva, senza estrinsecarsi in abuso di posizione dominante, pu� ci� non di 
meno falsare in modo rilevante il gioco della concorrenza e, per l'effetto, risultare 
oggetto di riprovazione a mente del pi� volte citato art. 2. Si soggiunge, in una prospettiva 
in parte diversa, da parte della difesa della curatela del fallimento Euroflash 
e della S.p.a. Diamond, che l'applicazione dei principi in tema di privativa � contraddetta 
ab ovo dalla considerazione che nella specie la titolarit� del diritto allo 
sfruttamento dell'immagine non si appunta in via originaria in capo all' AIC ma deriva 
in testa all'associazione in forza di fattispecie convenzionali traslative. In specie 
si evidenzia, a sostegno della sussumibilit� delle convenzioni di che trattasi nel1'
ambito dell'art. 2 piuttosto che dell'art. 3 della legge n. 287, che non � sostenibile 
la tesi secondo cui la tutela che la legge attribuisce al diritto di ogni persona a sfruttare 
la propria immagine istituisca un monopolio ex lege che obbliga la persona 
medesima a contrattare con chiunque lo richieda. Di qui la conclusione che la 
fattispecie in esame era suscettibile di valutazione ai soli sensi dell'art. 3 della legge 
del 1990. Si conclude che le valutazioni dei primi Giudici in ordine alla norma da 
applicare alla fattispecie in esame sarebbero irrilevanti ai fini della verifica della 
legittimit� sostanziale della determinazione gravata, la quale ha con coerenza preso 
atto degli effetti ingenerati dalle stipulazioni sulla possibilit� di permanenza di altri 
concorrenti sul mercato delle figurine. 

3.a) -� incontestabile in punto di fatto che l'AIC, in qualit� di organismo di 
categoria al quale sono associati i giocatori tesserati della Federazione Italiana 
Calcio, detiene in esclusiva il diritto di utilizzazione economica dell'immagine dei 
calciatori in tenuta da gioco, diritto ceduto dagli stessi ai sensi dell'art. 23 dello 
Statuto AIC. Segnatamente, l'abbinamento dell'immagine fisica dei calciatori ai 
colori delle squadre di club ovvero ai colori della squadra nazionale � consentito per 
effetto di cessione da parte delle leghe e della FIGC. Il diritto esclusivo finale in 
capo all' AIC deriva dal concorso dei diritti esclusivi ceduti da parte dei calciatori, 
delle leghe e dell'associazione. 

3.b)-Reputa il Collegio che decisiva ed assorbente ai fini dell'esito della controversia 
risulta, a prescindere dal carattere di novit� o meno del prodotto, id est del 
diritto, oggetto di cessione, la valutazione della ricorrenza dei presupposti oggettivi 
e soggettivi della fattispecie di cui all'art. 2 della legge del 1990, con particolare 
riguardo all'emersione dei tratti distintivi, sul piano ontologico, di una restrizione in 
senso tecnico della concorrenza. 

La ricostruzione del Garante, nel postulare la configurazione di un'intesa 
restrittiva della concorrenza, non tiene conto, ad avviso della Sezione, della posizione 
di partenza di cui gode l'organismo di categoria, unico soggetto capace gi� 
ex se di presentarsi sul mercato, per effetto di convenzioni e di norme statutarie 
non oggetto di stigmatizzazione sul versante antitrust, quale offerente del prodotto 
rappresentato dal ritratto dei calciatori professionisti in tenuta da gio�o. L'AIC, 
associazione di categoria dei calciatori tesserati alla Federazione Italiana 
Calcistica (F.I.G.C.), nonostante la forma associativa e le finalit� statutarie colle



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAJ'O 

166 

gate alla tutela degli interessi morali, professionali ed economici degli iscritti, 
opera in subiecta materia come impresa. Giova sul punto ricordare che la normativa 
antimonopolistica, in armonia con gli indirizzi comunitari, recepisce una 
nozione di impresa pi� ampia di quella tradizionale sottesa all'art. 2082 codice 
civile, comprensiva degli organismi associativi operanti come agenzie di vendita 
esclusiva in relazione alla gestione di diritti, come nella specie, dal contenuto tipicamente 
economico. Gestione i cui proventi nel concreto vengono destinati al perseguimento 
degli scopi statutari, con particolare riguardo ai profili mutualistici. 

Tanto premesso, devesi rimarcare che in linea generale il nostro ordinamento, 
salvo non si verta in tema di settori vitali e di interessi generali, considera l'esercizio 
del diritto di esclusiva come legittima forma di sfruttamento di un bene (intellettuale 
o industriale) da parte del titolare. La titolarit� del diritto implica in via strutturale 
la possibilit�, in capo al titolare, di orientarsi, nell'esercizio della politica lato 
sensu imprenditoriale reputata pi� conveniente, circa la forma di sfruttamento pi� 
redditizia. Di qui la praticabilit� di una scelta in linea tendenziale insindacabile tra 

le varie modalit� rappresentate dalla produzione o gestione diretta del bene economico, 
dalle cessioni plurime, dalla cessione in toto dell'esclusiva ovvero, in ipotesi, 
dalla rinuncia allo sfruttamento. Non � sul punto seriamente dubitabile che, nell'esercizio 
della libert� di impresa che le compete, l'AIC, ove lo avesse reputato con


I

venieQte dal punto di vista economico, avrebbe potuto intraprendere direttamente ID 
l'attivit� di produzione delle raccolte o collezioni di figurine connesse ai campionati 
di calcio e collocarle direttamente sul mercato. La commercializzazione del pro


I dotto, ricavato dai diritti esclusivi oggetto di concessione da parte dei titolari originari, 
avrebbe costituito esercizio tipico del diritto di impresa, non limitabile, ~ nell'ottica dell'art. 2 della legge del 1990, attraverso l'imposizione di un obbligo di I 
divisione con altri operatori commerciali del mercato. 

1"1�=' 

La possibilit� dell'esercizio in prima persona dell'attivit� di commercializza. 
zione di un diritto di cui si vanta la titolarit� esclusiva comporta, sempre in via di 

m 

principio, la libert� di scelta circa l'identit� ed il numero dei soggetti ai quali affi~ 
dare l'opera di commercializzazione. La titolarit� dell'esclusiva comporta uno jus ' 

' 

excludendi alias dalla commercializzazione del prodotto e si condensa nella libert� ' 
di decidere se ed entro quali limiti disporre del proprio diritto in favore di terzi. In 
quest'ottica gli accordi che trasferiscono a terzi lo jus excludendi non configurano 
un'intesa restrittiva della concorrenza vietata dalla legge antitrust ma anzi risultano 

Iprocompetitivi: il titolare consente uno sfruttamento del diritto che altrimenti, salva 
la ricorrenza di esigenze di interesse sociale, sarebbe comunque precluso ai terzi. Un 
obbligo di contrarre con i terzi � configurabile ove l'esclusiva, lungi dal derivare 

I

dalla pertinenza ad un solo referente soggettivo della titolarit� della risorsa, derivi d

�

da una determinazione autoritativa della P.A. e, pi� in generale, come si vedr� in 

re

seguito, sia imposta dalla tutela dell'interesse dei consumatori 

In sostanza, cos� come costituisce esercizio di libert� di impresa la possibilit� di rJ,l w 
gestire direttamente il prodotto piuttosto che affidarne ad altri la commercializzazione, 
non dissimilmente deve opinarsi in merito alla traslazione del relativo com!-
11 

II 
::: 
.. 

pito in capo a terzi. Nella specie, per l'appunto, I'AIC, sulla base delle risultanze di 

l 

contatti informali, ha reputato pi� conveniente, anche alla luce delle esperienze pregresse, 
l'affidamento in prevalenza (contratto del 1992) o in esclusiva (stipulazione 

. 

tr��.w�Jrw�1-1����.,~�� 
, 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

del 1995) ad un unico soggetto, per via della valutazione, oltre che del corrispettivo 
pattuito per lo sfruttamento della posizione di privilegio, dei proventi derivanti dalle 
royalties calcolate percentualmente in rapporto alle vendite. Non � illogico sul punto 
ritenere che un soggetto che goda dell'esclusiva, in considerazione degli introiti 
sicuri derivanti dallo sfruttamento della posizione solitaria sul mercato, abbia la 
possibilit� di investire in modo pi� massiccio, articolare in modo pi� variegato la 
politica di gestione del prodotto e, per l'effetto, garantire al cedente un introito maggiore 
di quello assicurabile da una molteplicit� di soggetti equiordinati, sottoposti 
alle forche caudine dell'alea della concorrenza di altri operatori. 

3.c) -Dalle considerazioni che precedono deriva che nella specie si verte in 
tema di esercizio di un diritto di privativa da parte del titolare, concretantesi nel1'
opzione, reputata economicamente pi� conveniente in un'ottica imprenditoriale, 
della cessione preferenziale o totale in testa ad un unico referente. Detta ricostruzione 
consente al Collegio di convenire con il primo Giudice in merito alla non qualificabilit� 
degli accordi di che trattasi a guisa di intese restrittive della concorrenza 
ai sensi dell'art. 2 della legge n. 287/1990. Per definizione l'intesa costituisce un 
accordo capace di creare una situazione nuova, a sua volta specificamente diretta ad 
impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza. 
Non ricorrono per motivi ontologici i requisiti dell'intesa ove l'accordo sia sprovvisto 
della capacit� di generare un quid novi, ma miri ad disciplinare il regime della 
medesima situazione preesistente, con il solo corollario della sostituzione di un soggetto 
ad altro soggetto. Si ponga mente sul punto alla circostanza che l'infungibilit� 
del bene oggetto di licenza, ossia la commercializzazione delle immagini dei calciatori 
in tenuta da gioco, comporta una sostanziale unicit� e non sostituibilit� del 
prodotto rispetto a collezioni di figurine relative a soggetti diversi e, quindi, risulta 
capace di determinare un contesto di separatezza in cui opera il soggetto titolare. 

Allo stesso modo in cui la gestione diretta del prodotto dell' AIC non avrebbe 
potuto creare una turbativa del mercato, e ci� in virt� della non preesistenza di un 
mercato e della riconduzione del diritto da commercializzare in capo ad un unico 
soggetto per via della pregressa esclusiva, del pari � da escludere che una turbativa 
della concorrenza ai sensi dell'art. 2 possa derivare dall'affidamento della gestione 
del medesimo prodotto a soggetto diverso dal precedente titolare del diritto, a sua 
volta investito dai titolari originari. Il vincolo negoziale creato nella fattispecie non 
fuoriesce dai binari delle concessioni di privative su beni immateriali (siano essi di 
propriet� intellettuale o industriale), non concretizzanti ex se intese anticoncorrenziali, 
e segnatamente pattuizioni restrittive della concorrenza. Non pu� venire in 
rilievo una limitazione dell'assetto concorrenziale allorquando la concorrenza sia in 
radice esclusa, ossia la situazione monopolistica preesista -sia pure in forma virtuale 
merc� la mancata intrapresa dell'iniziativa economica diretta da parte del titolare 
del diritto allo sfruttamento -e venga solo trasferita con l'accordo. Ancora pi� 
sinteticamente la posizione monopolistica non deriva dalle intese incriminate ma 
dalla titolarit� a monte dell'esclusiva. In definitiva l'esclusiva (totale o parziale) di 
cui risulta titolare la Panini, lungi dall'atteggiarsi a conseguenza di un accordo idoneo 
ad immutare in senso negativo il gioco della concorrenza, costituisce il portato 
del monopolio pregresso dell' AIC, intrinseco nella titolarit� del diritto, in merito 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO SfA'It>"

168 

alla utilizzazione giuridica di un prodotto confezionato attraverso la cessione dei 
diritti da parte dei titolari originari anch'essi in via esclusiva. Non assume sul punto 
soverchio rilievo la circostanza che nella specie il diritto non spetti in via originaria 
all' AIC ma si consolidi in capo a questa in forma derivata per effetto degli accordi 
intervenuti con i titolari in partenza, ossia i calciatori. In disparte la considerazione 
che I'AIC si presenta quale organo esponenziale dell'interesse dei singoli atleti, va 
rimarcato che le modalit� con le quali si costituisce il diritto di esclusiva, posta la 
non contestazione delle medesime e del risultato finale derivatone, nulla spostano 
sul punto della inidoneit� di un'intesa volta alla cessione dell'esercizio dell'esclusiva 
ad alterare un equilibrio concorrenziale in partenza inimmaginabile per difetto 
della concorrenza medesima relativamente al prodotto specifico. 

Tali essendo le coordinate giuridiche della vicenda, pu� convenirsi che l'esercizio 
tipico del diritto di privativa, id est la cessione dell'esercizio della stessa al 
miglior offerente ai fini della massimizzazione del profitto, si atteggia ad espressione 
della libert� di impresa non suscettibile di censura o conformazione in chiave 
anticoncorrenziale ove non debordi nel tentativo abusivo di perseguimento di obiettivi 
esulanti dalla connotazione propria del diritto, ossia non riveli una distorsione 
funzionale etichettabile in termini di abusivit� e di capacit� invasiva e distorsiva ai 
danni di altri operatori presenti sul mercato. Deve in altri termini escludersi, in conformit� 
ai principi elaborati dalla giurisprudenza comunitaria, che la concessione di 
un'esclusiva da parte dell'unico titolare della risorsa necessaria per il confezionamento 
del prodotto, possa ex se innescare una violazione dell'art. 85 del trattato CE, 
in quanto la semplice sostituzione di un soggetto ad altro soggetto nell'esercizio di 
esclusiva incontestabilmente di pertinenza di quest'ultimo si riflette in un puro 
mutamento soggettivo che � ontologicamente inidoneo a determinare un'alterazione 
del gioco della concorrenza. L'equilibrio generale e l'accessibilit� del mercato non 
sono all'evidenza incisi a seconda che l'attivit� in via esclusiva di commercializzazione 
delle figurine venga esercitata da parte del titolare del diritto (nella specie 
dall' AIC) ovvero dal soggetto che abbia stipulato con quest'ultimo il contratto di 
licenza (la Panini). In ogni caso non muta il dato oggettivo della presenza di un 
unico referente soggettivo legittimato alla commercializzazione del prodotto. La stipulazione 
dell'accordo non sortisce un esito peggiorativo nel confronto tra situazione 
concorrenziale prodotta dall'accordo e situazione concorrenziale verificabile in 
assenza del medesimo. 

3.d) -Tali essendo i presupposti della vicenda in relazione alla causa reale 
della limitazione concorrenziale, devesi ritenere che, esclusa l'emersione di 
un'intesa restrittiva a fronte della fattispecie relativa alla cessione di un diritto di 
esclusiva da parte del soggetto risultato unico titolare della stessa, il quesito al 
quale avrebbe dovuto rispondere il Garante riguarda il mantenimento della condotta 
tenuta dall'associazione calciatori, in sede di intese pattizie con la Panini, 
nei limiti fisiologici segnati dal legislatore in caso di titolarit� di esclusiva o di 
posizione preminente sul mercato ovvero l'esorbitanza rispetto agli stessi con 
l'assunzione delle caratteristiche patologiche dell'abuso. In particolare, ammesso 
e non concesso che il dominio insito in re ipsa nel diritto di esclusiva sia compatibile 
con la configurazione di un mercato di riferimento e che in particolare di 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

abuso di posizione dominante o monopolistica possa parlarsi ove difetti il dato 
fattuale dell'operativit� concreta del titolare sul mercato, si pone il problema, non 
esplorato dall'Autorit�, della configurazione di una situazione di monopolio 
ingenerante un obbligo a contrarre. Segnatamente, il baricentro interpretativo si 
sposta verso l'emersione, in caso di titolarit� di un diritto esclusivo, di un obbligo 
a contrarre con una pluralit� di interlocutori, ove si verta in tema di attivit� 
non relativa alla gestione di servizi pubblici o alla fruizione di beni essenziali, 
pi� in generale ove si tratti di attivit�, come nella specie, difficilmente configurabile 
in termini di rilevante e primario interesse collettivo. In specie, non � stata 
presa in considerata la cristallizzazione, in relazione ai prodotti in questione, di 
esigenze sociali idonee ad innescare l'abdicazione o la limitazione del diritto alla 
massimizzazione del profitto. 

Premessa l'esorbitanza rispetto alla sfera cognitiva del Collegio della verifica 
della ricorrenza o meno dei presupposti dell'art. 3 della legge n. 287/1990, con 
specifico riguardo alla configurazione di un mercato di riferimento al quale ricondurre 
l'assunzione di posizione egemonica, le argomentazioni degli appellanti in 
punto di irrilevanza del richiamo all'art. 2 ovvero all'art. 3 della legge n. 287/1990 
-stante l'attagliabilit� delle argomentazioni del Garante anche alla fattispecie 
dell'abuso di posizione dominante -sono in linea di principio contraddette dalla 
considerazione che la norma in tema di abuso, diversamente dalla disciplina in 
materia di intesa restrittiva, richiede, per quel che riguarda la fattispecie dell'art. 
3 lett. b (impedimento o limitazione della produzione, degli sblocchi o degli 
accessi al mercato, dello sviluppo tecnico o del processo tecnologico), il presupposto 
ulteriore, non scrutinato dall'Autorit� Garante, della derivazione dalla condotta 
abusiva di un pregiudizio ai danni dei consumatori, sub specie di variazioni 
peggiorative su prezzi, quantit�, qualit� e variet� dei prodotti immessi sul mercato. 
Non � dubitabile che detto requisito aggiuntivo rispetto ai tasselli dell'intesa 
restrittiva, � stato contemplato dal legislatore in virt� della considerazione che la 
lesione della sfera dei soggetti interessati ad entrare in un mercato non sono considerati 
sufficienti, in un mercato gi� inquinato in origine dall'assenza o dalla 
penalizzazione della concorrenza, a far scattare la risposta negativa dell'ordinamento, 
ove non si profili altres� un vulnus ai danni dei consumatori. Per converso, 
il provvedimento contestato, pur conducendo un'attenta indagine microeconomica 
in merito alla problematica sostituibilit� del prodotto, non � arricchito dalla 
verifica degli effetti negativi a sfavore degli acquirenti delle figurine, sub specie 
di peggioramento, sul piano qualitativo ed economico, dell'offerta ai consumatori 
e delle determinazioni conseguentemente assumibili da questi ultimi. Non � in 
sostanza acclarato che l'offerta del prodotto editoriale da parte di un solo titolare 
della licenza comporti una maggiore esosit� ed un peggioramento qualitativo 
rispetto alle condizioni praticabili in caso di offerta promanante da una molteplicit� 
di soggetti. 

4. -Le considerazioni che precedono confermano la bont� delle argomentazioni 
sviluppate dai Primi Giudici in ordine al difetto motivazionale ed ai vizi di legittimit� 
individuati nel provvedimento impugnato, e per l'effetto, impongono la reiezione 
dei ricorsi (omissis). 

RASSEGNA AVVOCATIJRA DELLO STATO

170 

II 

(omissis). 

1. -I ricorsi in epigrafe possono essere riuniti, ai fini di un'unica decisione, sussistendo 
tra gli stessi connessione per l'oggetto, in ragione dell'identit� del provvedimento 
impugnato e delle principali questioni proposte dalle parti. 

2. -Prima di procedere all'esame dei motivi di diritto proposti da ciascuna delle 
ricorrenti imprese, giova riassumere brevemente, in punto di fatto, la vicenda cui 
mettono capo i motivi anzidetti. 
Il proc.edimento in esame � stato occasionato dalla presentazione di due segnalazioni 
da parte della Associazione Vendomusica del 22 gennaio e 28 febbraio 1996 
ed ha avuto inizio con provvedimento formale del 24 ottobre 1996, dopo che 
l'Autorit� intimata aveva operato una prima delibazione della questione, anche 
acquisendo, limitatamente a tale fine, elementi ulteriori rispetto a quelli forniti dalla 
predetta Associazione. 

Nel citato atto di avvio dell'istruttoria l'Autorit� ha precisato che il procedimento 
� stato avviato per una ipotesi di violazione dell'art. 2 della legge 

n. 287/1990, avente ad oggetto accordi o pratiche concordate tra le principali case 
discografiche (c.d. major), con riguardo: 
a) alla fissazione dei prezzi di vendita di supporti fonografici agli esercizi 
commerciali (c.d. prezzi di listino o PPD); 
b) alla determinazione di altri aspetti delle politiche commerciali attuate nei 
confronti dei rivenditori; 
e) alla limitazione ed alla ripartizione dei titoli interessati alla campagna pubblicitaria 
attuata in occasione del Salone della Musica svoltosi nel mese di ottobre 1996. 

Nello stesso provvedimento di apertura dell'istruttoria l'Autorit� ha precisato, 
inoltre, di ritenere che l'ipotizzata uniformit� di comportamento delle Major potes


se essere stata facilitata dalla adesione delle stesse alla Federazione Industria 
Musicale Italiana, associazione costituita proprio per iniziativa delle anzidette 
Major. 

Nel corso del procedimento l'Autorit� ha pi� volte prorogato il termine di 
chiusura dell'istruttoria, al fine di poter portare a compimento sia specifici accertamenti 
ispettivi sia le audizioni delle parti, nonch� al fine di acquisire dalla Societ� 
Grandi Numeri s.r.l. apposita relazione di indagine statistica relativa alle condizioni 
di fornitura praticate dalle Major alla rete di distribuzione sia al dettaglio sia 

all'ingrosso. 

;al� 

Con la delibera impugnata l'Autorit�, sulla base di tutti gli elementi acquisi-. 
ti nel corso del procedimento, ha affermato che le imprese ricorrenti hanno vio-!: 

!i

lato l'art. 2, comma 2, della legge n. 287/1990, per aver partecipato ad una pra-1: 
tica concordata avente per oggetto e per effetto di falsare in maniera consistente !i 

Ii

la concorrenza sul mercato discografico in Italia, mediante la definizione di una i' 
struttura ed un livello uniforme dei prezzi praticati ai rivenditori; ha applicato i 
alle medesime imprese una sanzione pecuniaria che � stata commisurata, per eia-I 
scuna delle imprese, alla gravit� e durata delle infrazioni commesse da ciascuna 

~ 

iF'"[:'.::~::r:::;w..J.&JJ.'filFf.Pfi?"'It.I%.F'\11W@''''flfilif---W:W4T~if�'.�'.�'.::::r.mr�*'f@f~-:lliWwd?J.W.f~.~:::.��'


~~IN~Me~rilt�irl�4llr'~tlriA1rll 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

di esse ed anche al comportamento tenuto nel corso del procedimento; ha ingiunto, 
infine, a dette imprese di cessare dall'attuazione e continuazione dell'infrazione 
accertata e di astenersi da ogni accordo e pratica concordata che potesse 
avere oggetto od effetto analogo a quello accertato e, in particolare, dall'effettuare 
riunioni, al di fuori di quanto richiesto da finalit� associative legittime e 
dallo scambio di informazioni, che in ogni caso consentissero di individuare il 
comportamento delle singole imprese discografiche. 

3. -Ci� premesso, rileva il Collegio che i motivi di diritto proposti dalle parti 
possono essere suddivisi, ai fini del decidere, in due grandi gruppi: 
-da un lato, quelli attinenti alle regole del procedimento che l'Autorit� avrebbe 
disatteso; 
-dall'altro, quelli concernenti le questioni di c.d. legalit� sostanziale delle 
determinazioni assunte dall'Autorit� con la delibera impugnata. 

4. -Le censure proposte con il primo di detti gruppi di motivi possono essere 
cos� riassunte: 
a) violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa sotto molteplici 
e specifici profili; 
b) illegittimit� del procedimento per divergenza tra loggetto del provvedimento 
di avvio e quello di chiusura dell'istruttoria; 
e) violazione delle norme procedimentali relative sia al conferimento sia all'espletamento 
dell'incarico peritale; 
d) illegittimit� delle audizioni perch� effettuate in assenza dell'organo collegiale 
dell'Autorit� ovvero di almeno uno dei suoi componenti; 
e) violazione delle regole del collegio perfetto; 
f) illegittimit� dei modi e dei tempi dell'adunanza nella quale � stato delibera


to il provvedimento impugnato; 
g) illegittima verbalizzazione dell'adunanza dell'Autorit� in data posteriore 
alla notifica del provvedimento. 

4.1. -La doglianza riassuntivamente indicata sub A) � articolata in pi� profili 
che il Collegio ritiene di dover esaminare distintamente, attesa la loro rilevanza e 
possibile incidenza determinante nell'economia del presente giudizio. 
4.1.1. -Con un primo profilo � stato evidenziato che la dedotta violazione del 
principio del contraddittorio e del diritto di difesa si sarebbe verificata in conseguenza 
dell'espletamento, da parte dell'Autorit� -prima della notifica alle parti 
interessate dell'atto di apertura dell'istruttoria e, quindi, senza il coinvolgimento di 
queste ultime -di alcuni adempimenti propri di tale fase istruttoria, quali l'audizione 
della denunziante Soc. Vendomusica e l'acquisizione di alcuni elementi di 
conoscenza presso terzi. 
La doglianza non pu� essere condivisa poich� la fase preprocedimentale della 
quale si contesta la legittimit� non soltanto non � vietata dalle norme regolanti il 


RASSEGNA AVVOCJITURA DELLO STATO

172 

procedimento in questione, ma anzi trova giustificazione nei poteri attribuiti 
all'Autorit� dalle norme della legge n. 287/1990. 

Ed infatti, l'art. 12 di detta fonte legislativa prevede che, proprio ai fini della 
corretta attivazione del potere di istruttoria formale rimesso all'Autorit�, quest'ultima 
debba, preventivamente a tale momento, �valutare� gli elementi acquisiti su iniziativa 
di parte ovvero di ufficio e cio� porre in essere una attivit� che le consenta 
di operare una prima delibazione della questione, potendosi anche pervenire, all'esito 
di tale delibazione, all'archiviazione degli atti. 

A tal fine, non priva di significato � la circostanza che il Legislatore abbia 
utilizzato proprio tale specifico verbo (�valutare�), tenuto conto che ogni relativo 
processo, dal pi� semplice al pi� complesso, presuppone necessariamente 
una fase istruttoria pi� o meno ampia ed approfondita, a seconda dello spessore 
della ponderazione richiesta, come deducibile dal contesto di riferimento nella 
quale � inserita. 

Nella specie, in presenza di una prima denunzia da parte della Soc. 
Vendomusica, l'Autorit�, nel corretto esercizio del suddetto potere, ha operato una 
sommaria verifica degli elementi segnalati, acquisendo prime informazioni sia presso 
la stessa denunziante (audizione) sia presso altre fonti, per escluderne, poi, la 
valutabilit�, ai fini di cui all'art. 14 della legge 287/1990, tant'� che nella lettera di 
apertura di istruttoria notificata alle ricorrenti, non v'� alcun riferimento a tale prima 
denunzia, bens� ad altre due successivamente prodotte dalla medesima Soc. 
Vendomusica. 

Peraltro, occorre tener conto che l'Amministrazione afferma nei propri scritti 
difensivi ( cfr. pag. 27), senza essere smentita sul punto, che alle parti � stato, in ogni 
caso, consentito di prendere visione pure degli atti acquisiti al fascicolo nella fase 
preistruttoria del procedimento, per cui � anche in fatto, oltre che in diritto, insussistente 
la dedotta violazione del principio del contraddittorio e, in parte qua, del diritto 
di difesa. 

In breve, pu� convenirsi con la difesa dell'Autorit� che gli adempimenti posti 
in essere informalmente nella fase precedente l'istruttoria formale prevista dall'art. 
14 della legge n. 287/1990 sono non solo legittimi, ma anche doverosi, 
rispondendo a principi di economicit� e buon andamento dell'azione amministrativa 
che l'avvio di un procedimento antitrust, in particolar modo a seguito di 
denunzia, sia preceduto da una prima delibazione degli elementi a disposizione, in 
relazione ai quali ben pu� rendersi necessario acquisire, ex officio, ulteriori elementi 
informativi. 

4.1.2. -Con un secondo profilo si � argomentato in ordine alla illegittimit� della 
segretazione che l'Autorit� ha disposto di parte della documentazione acquisita al 
procedimento e si � contestata, prima ancora, la sussistenza di un potere della stessa 
Autorit� di procedere al bilanciamento degli opposti interessi all'accesso ed alla 
segretezza, sul presupposto che risulterebbe comunque pregiudicato gravemente il 
contraddittorio. 
Tali argomentazioni non possono essere condivise alla stregua delle seguenti 
motivazioni. 
La disciplina vigente in materia di accesso ai documenti in possesso dell'Autorit� 
della Concorrenza e del Mercato � deducibile dalle disposizioni contenute nei comma 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

3 e 4 dell'art. 14 della legge n. 287/1990 e nei comma 1, 3 e 4 dell'art. 8 del regolamento 
esecutivo di detta legge (approvato con decreto del Presidente della Repubblica 

n. 461/1991) ed � l'unica a trovare applicazione nella specie, come ha gi� chiarito questa 
Sezione con la sentenza 1547 del 17 settembre 1996. 
Essa, a ben vedere, consente di rispettare, contemporaneamente, sia le esigenze 
di riservatezza prospettate da chi, comunque coinvolto in un procedimento antitrust, 
abbia interesse a non vedere divulgati i propri segreti di affari sia il diritto di difesa 
di chi si trovi ad essere destinatario di un provvedimento ai sensi dell'art. 2 della 
legge n. 287/1990, proprio perch� conferisce all'Autorit�, sostanzialmente, il potere 
di operare, in relazione alla documentazione per la quale sia stata richiesta in parte 
od in tutto la segretazione, quel bilanciamento di interessi che, invece, si contesta 
potesse essere legittimamente effettuato. 

E ci� perch�, il legislatore ha ragionevolmente, quanto sostanzialmente, voluto 
escludere ogni possibile contrapposizione tra la rigorosa disciplina dettata in 
ordine alla generale riservatezza degli atti e dei documenti inerenti i procedimenti 
antitrust e l'eventuale indiscriminata garanzia del diritto di accesso, in nome del 
diritto di difesa. 

Nella specie, il comportamento tenuto dall'Autorit� non sembra, in ogni caso, 
contrastante con il diritto riconosciuto dall'art. 14 della legge n. 287/1990 di prendere 
visione degli atti e documenti dell'istruttoria poich� detta Autorit�, bilanciando 
gli opposti interessi (peraltro alternativamente fatti valere anche dalle imprese 
ricorrenti nel corso del procedimento in esame) ha consentito alle parti del procedimento 
di poter: 

-esercitare il diritto di visione integrale soltanto per quegli atti e documenti 
riservati, o per parti di essi, che contenessero informazioni ed elementi direttamente 
attinenti, ovvero direttamente sintomatici, dell'ipotesi di intesa restrittiva contestata, 
attesa la loro valenza di elementi essenziali e fondanti le determinazioni conclusivamente 
assunte; 

-ottenere, comunque, il diritto di visione parziale di quei documenti riservati 
che non dimostrassero in modo diretto o fossero sintomo nella stessa maniera del1'
esistenza di un accordo o di una pratica concordata; 

-conoscere quali e quanti documenti fossero stati fatti oggetti di segretazione, 
con ci� consentendo, in ogni caso, agli interessati anche una verifica sia sulla 
richiesta sia sulla decisione di segretazione, attraverso la visione non solo delle 
istanze al riguardo prodotte dalle imprese interessate, ma anche dei provvedimenti 
in proposito emanati dall'Autorit�. 

In sintesi, l'Autorit� -secondo quanto dalla stessa affermato nei propri scritti 
difensivi, senza essere contraddetta sul punto -ha, comunque, segretato soltanto 
quella parte di documentazione, peraltro minima, che conteneva specifici segreti 
commerciali ed aziendali e che non era direttamente dimostrativa della fondatezza o 
dell'infondatezza della contestata violazione, e cio� quei dati che non sono stati utilizzati 
per decidere. 

4.1.3. -Parimenti non condivisibili sono, poi, le seguenti ulteriori deduzioni 
con le quali � stato complessivamente denunziato, che, nel corso del procedimen

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

174 

to, l'Autorit� avrebbe sostanzialmente compresso il diritto di difesa delle parti 
attraverso: 

-la possibilit� concessa alla Soc. Grandi Numeri di depositare la relazione 
peritale successivamente al termine prestabilito, riducendo in tal modo lo spazio di 
tempo utile per controdedurre; 

-la fissazione di un termine (dal 28 luglio al 15 settembre) per il deposito 
delle memorie difensive eccessivamente ristretto, tenuto anche conto della sua coincidenza 
con il periodo generalmente feriale; 

-la fissazione dell'audizione finale delle parti in data anteriore a quella di 
deposito delle memorie; 
-il diniego di proroga dei termini di chiusura del procedimento, pur essendo, 

. da un lato, chiara la natura contenziosa del procedimento e, per l'effetto, l'applicabilit� 
dell'istituto della sospensione dei termini in periodo feriale, e, dall'altro, evidente 
che i tempi di difesa effettivamente concessi fossero del tutto insufficienti. 

Al riguardo, pu� preliminarmente osservarsi come tutte le anzidette deduzioni 
sembrano muovere, sostanzialmente, dal convincimento, pi� o meno espressamente 
palesato, che al procedimento antitrust possano applicarsi automaticamente le 
norme proprie dei procedimenti giurisdizionali, ivi comprese quelle relative alla 
disciplina dei termini. 

A tal ultimo riguardo, giova immediatamente precisare che tale tesi non pu� 

I

essere seguita, poich�, a parere del Collegio, non � in ogni caso possibile ricono


scere -a Costituzione vigente -natura giurisdizionale all'Autorit� intimata ed ai 

I

procedimenti che innanzi ad essa si svolgono, per il noto divieto di istituzione di 
giudici straordinari o di giudici speciali imposto dall'art. 102, comma secondo. 
Inoltre, l'eventuale previsione (o ritenuta configurabilit�) di un organo a natura giurisdizionale 
che emani, nell'esercizio delle sue istituzionali attribuzioni, atti di conI 
tenuto giurisdizionale giustiziabili, in via ordinaria, innanzi ad altra Autorit� 

~ 

Giurisdizionale preposta a diverso e distinto plesso, risulterebbe in contrasto con i 
principi informatori del nostro generale ordinamento giudiziario, cos� come disegnato 
dal Costituente, essendo caratteristica indefettibile e comune a tutti i giudici 
dei diversi plessi non soltanto la loro terziet�, ma anche la piena autonomia degli uni 
dagli altri, ed in particolare delle rispettive pronunzie, tranne quanto previsto dal1'
art. 111 della Costituzione. 

I

Tale autonomia, invece -in disparte l'effettiva natura terza o meno 
dell'Autorit� -certamente non sussisterebbe nella specie, prevedendosi dalla legge 

n. 287/1990 l'impugnabilit�, in via ordinaria, innanzi al Giudice Amministrativo 
II

degli atti (invero autoritativi) emanati dall'Antitrust. . 

Consegue l'inapplicabilit� della sospensione dei termini in periodo feriale invo;;.
ili 
cata dalle ricorrenti imprese, potendo farsi ricorso a tale istituto esclusivamente per 
gli atti ed i procedimenti giurisdizionali. 

li 

Inoltre, giova soggiungere che neppure pu� incidere, nei sensi voluti dalle 
ricorrenti imprese, l'eventuale riconoscimento di una natura quanto meno ammini1: 
strativo-contenziosa al procedimento in questione, poich� � noto, per pacifica giuri


I!�

sprudenza del Giudice Amministrativo, che pure in tal caso (vedasi ad esempio 

l'ipotesi dei procedimenti da ricorso amministrativo, anche straordinario) non trova 

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PARTE I, SEZ. IY, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

applicazione la suddetta norma processuale di sospensione dei termini. Dalle suesposte 
premesse consegue che nessuna lesione del contraddittorio o del diritto di 
difesa pu� farsi discendere dal deposito, oltre il termine prefissato, della relazione 
commissionata dall'Autorit� alla Soc. Grandi Numeri, poich� risulta in atti che alle 
parti � stato, comunque, concesso un termine ( 45 giorni) ampiamente superiore a 
quello minimo (15 giorni) stabilito dall'art. 7, comma 3, del decreto del Presidente 
della Repubblica n. 461/1991, anche ai fini delle audizioni previste dall'art. 14 della 
legge n. 287/1990. 

Neppure pu� avere incidenza alcuna sulla legittimit� della delibera impugnata 
la circostanza che il decorso del termine anzidetto � pressocch� coinciso 
con il periodo estivo poich�, una volta chiarita l'inapplicabilit� dell'istituto 
della sospensione dei termini relativi ai procedimenti giurisdizionali, una tale 
evenienza perde qualsivoglia apprezzabile consistenza in questa sede giurisdizionale. 


N� pu� condividersi la doglianza relativa all'anticipazione dell'audizione, 
rispetto alla data di deposito delle memorie difensive, poich� nessuna delle 
norme applicabili alla fattispecie in esame impone, in argomento, un ordine 
procedimentale vincolato e perch�, in ogni caso, non � irrazionale la specifica 
procedura seguita nella specie, tenuto conto che il termine entro il quale la 
denunziante Vendomusica ha depositato la propria memoria (peraltro, meramente 
riassuntiva di quanto dedotto nel corso dell'audizione finale di tutte le parti del 
procedimento, come afferma l'Autorit� nelle proprie difese, senza essere 
smentita) era stabilito a favore di tutte le parti del procedimento, ivi comprese le 
imprese ricorrenti. 

Tutto ci�, senza tralasciare di evidenziare che tale momento procedimentale, 
ulteriore rispetto all'audizione, ha, semmai, garantito ancor pi� il contraddittorio e, 
quindi, quel diritto di difesa il cui esercizio rimane pur sempre una facolt� del 
titolare il quale, come le ricorrenti nella specie, pu� anche non avvalersene nella 
massima misura prevista, ritenendo, evidentemente, sufficienti le modalit� a tal fine 
gi� sperimentate. 

A non diversa negativa sorte soggiace, poi, anche la doglianza di diniego di proroga 
dei termini di chiusura del procedimento, rientrando nei poteri di ogni autorit� 
amministrativa determinare l'eventuale prolungamento dei tempi procedimentali, in 
assenza di un limite temporale perentoriamente prefissato ex lege ovvero in via 
regolamentare. 

Nella specie, possono ritenersi sufficientemente evidenti e ragionevoli le motivazioni 
dell'opposto diniego, stante, da un lato, la gi� intervenuta proroga degli stessi 
termini di chiusura dell'istruttoria per ben due volte, e, dall'altro, il rilievo della 
adeguatezza degli elementi raccolti e dei termini concessi per la consultazione degli 
atti, nonch� per il deposito delle argomentazioni di parte. 

4.1.4. -� stato eccepito, inoltre, che l'Autorit� avrebbe continuato ad assumere 
elementi istruttori pur dopo la chiusura della relativa fase procedimentale. 
Il rilievo, tenuto conto del concreto evento cui si riferiscono le argomentazioni 
allo scopo svolte, si dimostra per� privo di consistenza ad un pi� approfondito 
riscontro. 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO

176 

Ed invero, per quel che risulta, la doglianza � riferita specificamente all'acquisizione 
da parte dell'Autorit� del documento contenente i dati di bilancio di una 
delle imprese ricorrenti, al fine di individuare la concreta misura di sanzione applicabile, 
in conseguenza della accertata violazione della norma del comma 2, dell'art. 
2, della legge n. 287 /1990. 

Come ben osserva la difesa dell'Autorit�, non ha rilievo nella specie il momento 
temporale nel quale � stato acquisito il documento poich� esso, contenendo null'altro 
che il fatturato storico, � servito soltanto come fattore matematico per il calcolo della 
misura concreta della sanzione pecuniaria gi� individuata nella sua sostanza ( dimensione 
percentuale) dall'Autorit�, all'atto dell'adozione della delibera impugnata. 

Dunque, nella fattispecie nessun nuovo elemento probatorio � stato acquisito 
dopo la chiusura dell'istruttoria, al fine di sorreggere le motivazioni della delibera 
impugnata, per cui nessuna violazione del contraddittorio pu� imputarsi all'Autorit� 
sotto il profilo esaminato. 

4.2. -La seconda delle doglianze pregiudizialmente sollevate in questa sede 
(riassuntivamente indicata nel capo 4 della presente sentenza, sub B) � volta a censurare 
la delibera impugnata perch� la dedotta divergenza tra l'oggetto del provvedimento 
di avvio dell'istruttoria e quello di sua chiusura sarebbe ricavabile dal fatto 
che, nel corso dell'istruttoria, le indagini si sarebbero estese ad aspetti del tutto 
nuovi ed autonomi rispetto a quelli originariamente considerati nel predetto atto di 
avvio dell'istruttoria, quali: 
-la conclusione di accordi tra le Major sia per la realizzazione di compilations 
e l'acquisizione di artisti sia per regolare i rapporti da intrattenere con gli organismi 
radiotelevisivi, la grande distribuzione organizzata e gli edicolanti sia per il rilancio 
dei c.d. singoli; 

-l'adozione di un codice etico per l'autoregolamentazione dell'attivit� di 
scritturazione degli artisti. 

Rileva, preliminarmente, il Collegio che non v'� motivo per discostarsi, in 
generale, da quanto la Sezione ha gi� avuto modo di affermare in occasioni analoghe, 
in sede di interpretazione delle norme di cui agli articoli 14 della legge n. 
287/1990 e 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 461/1991. 

� stato, infatti, gi� precisato che non � in contrasto con la garanzia del contraddittorio 
che � ... gli elementi essenziali in merito alle presunte infrazioni...� -che 
devono essere contenuti nel provvedimento di avvio dell'istruttoria, in applicazione 
della suddetta specifica locuzione dispositiva recata dal comma 3 dell'art. 3 del 
regolamento n. 461/1991 -siano costituiti � ... da un'indicazione sommaria degli 
elementi di fatto contestati e delle conseguenze giuridiche che secondo l'Autorit� ne 
derivano...� (cfr. TAR Lazio, sez. I, n. 1576/1996). 

� stato, inoltre, gi� evidenziato che � ragionevole che, in un'istruttoria diretta 
ad accertare infrazioni al corretto svolgersi della concorrenza, � ... non possono che 
essere indicati, all'avvio dell'istruttoria stessa, che gli elementi essenziali in merito 
ad infrazioni e comportamenti che in quel momento sono solo presunti e rispetto ai 
quali si hanno notizie derivanti da denunzie e da precedenti indagini meramente 
conoscitive...� (cfr. TAR Lazio, sez. I, n. 1474/1995). 


PARTE !, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

Consegue l'illogicit� della pretesa che l'Autorit�, sin dal suo primo atto formale, 
debba indicare, in dettaglio, tutti gli elementi che poi sorreggeranno le sue determinazioni 
finali. 

A parere del Collegio, ci� che � indefettibile � che le parti, nei modi disciplinati 
dal pi� volte citato regolamento esecutivo della legge n. 287/1990, siano messe in 
condizioni di partecipare al procedimento e di accedere alla documentazione utile a 
consentire la libera espressione delle proprie ragioni. 

E, nella specie, tutto ci� risulta essere stato garantito poich� gli atti istruttori 
posti in essere ed i contenuti degli stessi sono stati partecipati alle imprese ricorrenti 
(cfr. lettera di comunicazione delle risultanze istruttorie del 28 luglio 1997), per 
cui le stesse imprese, come gi� rilevato pi� innanzi, hanno avuto un tempo pi� che 
congruo ( 45 giorni) per rassegnare, al riguardo, le rispettive osservazioni. 

Diversamente opinando, si perverrebbe all'illogica conclusione che l'Autorit�, 
ogni qualvolta nel corso dell'istruttoria viene a conoscenza di atti e fatti che, seppur 
prima di allora ignoti, sono comunque connessi con l'oggetto dell'istruttoria 
formale avviata, dovrebbe, comunque, procedere a nuova ed autonoma contestazione 
agli interessati, in contrasto con quei principi di speditezza ed economicit� 
dell'azione amministrativa che ognora devono trovare applicazione, purch�, come 
nella specie, non incidano negativamente sul diritto al contraddittorio ed alla difesa 
delle proprie ragioni. 

Le esigenze di completezza del procedimento -la cui soddisfazione costituisce, 
a ben vedere, la miglior garanzia degli interessi delle parti tutte del procedimento 
-comportano, in sintesi, che il procedimento deve essere necessariamente 
integrato durante il suo corso quando le nuove allegazioni costituiscano naturale 
complemento dell'oggetto iniziale, poich� � in tal modo che si consente a tutte le 
parti di esprimere compiutamente le rispettive ragioni. 

Nella specie, non sembra revocabile in dubbio che -essendo scopo del1'
istruttoria avviata dall'Autorit� ex art. 14 della legge n. 287 /1990 la verifica della 
eventuale sussistenza di una ipotesi di intesa restrittiva della libert� di concorrenza 
nel mercato discografico, in una delle due sue possibili accezioni dell'accordo ovvero 
della pratica concordata -l'oggetto del procedimento inizialmente individuato 
potesse legittimamente arricchirsi, nel corso dello stesso, con elementi che presentassero 
aspetti di effettiva connessione con l'oggetto stesso. 

Non sembra seriamente dubitabile, infatti, che ad un oggetto cos� come legittimamente 
definito nella specie dal provvedimento di avvio dell'istruttoria, ex art. 3, 
comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 461/1991, siano estranei 
elementi ed argomenti che convergono tutti a definire il complessivo comportamento 
tenuto nel caso in esame dalle imprese discografiche qualificate �.Major� del mercato 
discografico. 

Infatti, la conclusione di accordi che abbiano a loro specifico oggetto la realizzazione 
di compilations o di dischi singoli, ovvero l'adozione di regole di comportamento 
nella scritturazione degli artisti, ovvero ancora i rapporti da intrattenere sia 
con gli organismi televisivi sia con la grande e la piccola distribuzione, � logicamente 
materia da ritenere connessa naturalmente e necessariamente con una indagine 
che si riprometta di scoprire se le maggiori case discografiche agenti sul mercato 
italiano (ed anche europeo), nel fissare i listini prezzo dei supporti fonografici e 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STA:t�'

178 

gli altri aspetti di politica commerciale e promozionale del settore, abbiano o meno 
violato la regola dell'art. 2 della legge n. 287/1990. 

4.3. -Con la censura indicata sub C) � stato eccepito che sarebbero state violate 
le regole procedimentali relative sia al conferimento dell'incarico di perizia sia 
all'espletamento dello stesso, con finale compromissione anche della garanzia del 
contraddittorio. 
In particolare, si � sostenuto: 
-sotto un primo profilo, che illegittimamente non avrebbero trovato applicazione 
le disposizioni del codice di procedura civile -che sarebbero, invece, applicabili 
al procedimento in esame, richiamando la legge n. 287/1990 i modelli processualcivilistici 
in pi� parti -con la conseguenza dell'erronea attribuzione 
dell'incarico, peraltro immotivatamente, ad una societ� di capitali anzich� ad una 
persona fisica iscritta in apposito albo e dell'erronea sostanziale estromissione delle 
parti, in violazione dell'art. 194 codice procedura civile, dalla fase di espletamento 
del sub procedimento peritale, del quale le parti avrebbero potuto avere contezza 
soltanto attraverso la relazione finale all'uopo redatta dall'incaricato; 
-sotto un secondo profilo, che dalla delibera di conferimento emergerebbe 
come l'incarico sarebbe stato utilizzato non come strumento di ricerca della verit�, 
ma bens� come � ... espediente surrettizio per accreditare la soluzione voluta dell'istruttoria 
in corso ...�, anche tenuto conto dell'assoluta indefinibilit� del quesito 
(�analisi campionaria�) posto all'incaricato. 

Quanto al primo dei suddetti profili ritiene il Collegio che non possano trovare 
applicazione nella specie le norme del rito processuale civile poich� la legge regolatrice 
dei procedimenti antitrust disciplina in via autonoma e speciale i mezzi istruttori 
di cui pu� avvalersi l'Autorit� nell'esercizio dei poteri ad essa riconosciuti dalla 
stessa legge. 

Infatti, il legislatore della legge n. 287/1990, soltanto laddove ha voluto, ha 
espressamente previsto la possibilit� di integrazione delle norme procedimentali 
antitrust con quelle del codice di procedura civile. 

Ci� perch� ha conferito caratteristiche peculiari al procedimento antitrust e lo 
ha informato a principi comuni in genere a procedimenti amministrativi, i quali assicurano 
sostanzialmente la garanzia del contraddittorio attraverso la conoscenza 
degli atti interni del procedimento, specialmente se aventi natura e funzione istruttoria, 
come nella specie, soltanto dopo la loro formazione, tranne che apposita 
disposizione non consenta anche la partecipazione alla loro elaborazione. 

Consegue che i riferimenti operati dalle parti ricorrenti alle norme degli articoli 
31e33, comma secondo, della legge n. 287/1990 non solo non hanno la funzione 
loro accreditata, ma anzi sorreggono, per le ragioni anzidette, il convincimento 
test� espresso di inapplicabilit� delle norme del codice di procedura civile 
all'incarico di perizia previsto dagli articoli 14, comma 2, della legge citata e 6 
del regolamento esecutivo di quest'ultima (decreto del Presidente della 
Repubblica n. 461/1991). 

N� pu�, per questo preteso ed insussistente obbligo di osservare le norme del 
codice di procedura civile, disporsi, in questa sede, una consulenza tecnica o perizia 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

(che, peraltro, coinvolgerebbe apprezzamenti tecnico-valutativi che, come tali, sembrano 
preclusi a questo Giudice) in quanto ogni ponderazione degli elementi istruttori 
acquisiti per tale via attiene al merito delle valutazioni riservate all'Autorit� 
dalla legge n. 287/1990. 

Quanto al secondo di detti profili, non possono condividersi le relative argomentazioni 
poich� esse, diversamente da quanto affermato, in parte, non trovano 
corrispondenza alcuna nel testo della delibera di conferimento dell'incarico, non 
emergendo da quest'ultima elementi che concretamente consentano di ritenere 
proposto e perseguito quel diverso scopo cui sarebbe stato orientato detto mezzo 
istruttorio, e, per altra parte, sono smentite dalla chiara indicazione espressa 
dall'Autorit� di voler acquisire, attraverso la perizia, elementi idonei a verificare 
la sussistenza o meno del presupposto della contestata violazione, e cio� se veramente 
fosse esistita, per il periodo considerato, una struttura ed un livello uniforme 
di prezzi praticati ai rivenditori del mercato discografico italiano, per effetto 
del comportamento praticato dalle imprese c.d. Major. 

4.4. -Infondata �, altres�, l'eccezione rubricata sub D), in quanto sembra 
ragionevole escludere, alla luce delle vigenti disposizioni, che le audizioni delle 
parti possano aver luogo soltanto con la partecipazione dell'intero organo collegiale 
costituente l'Autorit� ovvero, in subordine, con la presenza di almeno uno 
dei suoi componenti, pena l'invalidit� non soltanto delle audizioni stesse, ma 
anche dell'intero procedimento nel quale sono sperimentate. 
Ed invero, come ha gi� chiarito la Sezione in precedente occasione ( cfr. n. 96 
del 8 gennaio 1998) non pu� non tenersi conto della separazione funzionale esistente, 
alla stregua della specifica normativa regolamentare attualmente vigente, 
tra attivit� istruttoria ed attivit� deliberativa, delle quali la prima � rimessa agli 
uffici e la seconda all'organo collegiale costituente l'Autorit�. 

N� pu� ipotizzarsi la partecipazione anche di uno soltanto dei membri 
dell'Autorit� poich�, come � stato pure precisato nella citata sentenza, non lo consente 
la volont� espressa dal legislatore della legge n. 287/1990 a favore della 
natura necessariamente collegiale dell'Autorit�. 

La garanzia del contraddittorio, in sintesi, non pu� essere messa in dubbio a 
seconda della qualit� del soggetto preposto all'audizione poich� essa � essenzialmente 
collegata a fatti e circostanze oggettivamente esistenti o meno. 

Nella specie, l'acquisizione diretta delle valutazioni e degli elementi offerti 
dalle parti mediante le audizioni effettuate � avvenuta, secondo quanto allo stato 
risulta dagli atti, senza alcuna limitazione di qualsivoglia genere e con la garanzia 
di imparzialit� insita nella qualit� di pubblico ufficiale riconosciuta dalla 
legge ai funzionari dell'Autorit� che vi hanno concretamente provveduto. 

4.5. -Con la censura sub E) si sostiene che l'Autorit� avrebbe deliberato 
in assenza di uno dei suoi componenti e che tale circostanza invaliderebbe 
l'intero procedimento, tenuto conto che la legge richiederebbe come quorum 
strutturale la presenza di tutti i componenti, avendo l'Autorit� stessa natura di 
collegio perfetto. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

180 

La soluzione a tale quesito non pu� che essere negativa, condividendo il 
Collegio le argomentazioni espresse in argomento dal Consiglio di Stato con parere 
della sua Prima Sezione n. 785/1995, nell'adunanza del 12 aprile 1995. 

Ed infatti, pu� consonarsi nel rilevare che non solo difettano disposizioni che 
direttamente od anche indirettamente obblighino l'Autorit� a deliberare con la totalit� 
dei suoi componenti, ma anzi � riconosciuta dal Legislatore alla medesima 
Autorit� (cfr. art 10, comma 6, della legge n. 287/1990) un'ampia autonomia in 
materia di organizzazione e di funzionamento che ha consentito, attraverso il regolamento 
interno allo scopo emanato, di definire, in piena discrezionalit�, l'assetto 
delle maggioranze sia per quanto attiene al c.d. quorum strutturale sia per quanto 
attiene al c.d. quorum funzionale. 

In sintesi, non avendo l'Autorit� natura di collegio perfetto, ben pu� ritenersi 
che essa possa legittimamente deliberare anche con la sola met� pi� uno dei suoi 
componenti, per cui � immune dal vizio denunziato la delibera impugnata. 

4.6. -Non diversa risposta negativa deve, poi, darsi al quesito posto con la 
doglianza sub F) con la quale si afferma, da un lato, l'irregolarit� della fase deliberativa 
dell'Autorit�, in quanto quest'ultima avrebbe assunto le numerose e complesse 
determinazioni contenute nella delibera impugnata in un tempo manifestamente 
inadeguato, tenuto conto del complessivo tempo impiegato per esaminare e discutere 
tutti gli argomenti iscritti all'ordine del giorno dell'adunanza e, dall'altro, l'illegittimit� 
dell'art. 25 del regolamento interno di organizzazione e di funzionamento 
perch�, prevedendo che � ... nella seduta la discussione � introdotta dal relatore, che 
propone l'approvazione, la modifica o il rigetto delle proposte degli uffici ...�, inciderebbe 
sull'imparzialit� del giudizio del Collegio che finirebbe per decidere sulla 
base di proposte � ...precostituite dagli uffici ... �. 
Ed infatti, questa Sezione ha gi� avuto modo di affermare ( cfr. sentenza n. 96 
del 8 gennaio 1998) che la separazione funzionale esistente, a mente del decreto 
del Presidente della Repubblica n. 461/1991, tra attivit� istruttoria spettante agli 
uffici ed attivit� decisoria rimessa al collegio costituente l'Autorit� non incide 
minimamente sulla garanzia di imparzialit� che deve assistere le valutazioni di 
competenza di detta Autorit�, in quanto quest'ultima, nella sua espressione collegiale, 
rimane sempre totalmente libera di modificare, approvare o rigettare le proposte 
formulate dal relatore sulla base dei dati istruttori forniti dagli uffici. 

Ci� perch� rimane, in ogni caso, strumentale l'attivit� esercitata dagli uffici, 
che non assume mai dignit� di momento procedimentale autonomo. 

� in tale ottica che va letta, dunque, la norma dell'art. 25 del regolamento 
interno dell'Autorit�, che legittimamente ha consentito la partecipazione 
all'adunanza del Direttore dell'unit� organizzativa competente alla raccolta 
dei dati istruttori, riproducendo essa, come pure chiarito con la medesima sentenza 
sopra citata, uno schema procedimentale usuale nell'attivit� di ogni 
organo collegiale. 

N� pu� trarsi alcun sintomo di inadeguatezza del tempo impiegato dall'Autorit� 
per adottare la delibera impugnata dal calcolo puramente matematico del tempo 
stesso e dalla combinazione di detto calcolo con il numero di argomenti iscritti 
all'ordine del giorno dell'adunanza, perch� in tal modo si omette di considerare che 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

al Collegio (costituente l'Autorit�), e non anche al solo relatore, erano gi� ampiamente 
noti i termini della questione per averla esaminata pi� volte prima dell'adunanza 
finale, e cio� in sede di emanazione del provvedimento di avvio dell'istruttoria, 
in sede di conferimento dell'incarico peritale alla societ� Grandi Numeri, ed in 
sede di comunicazione alle parti dei risultati dell'istruttoria, oltre che sulla base 
degli esiti delle audizioni effettuate e delle memorie prodotte in corso di procedimento 
dalle parti. 

N�, ancora, incombeva in capo all'Autorit� alcun obbligo di integrale verbalizzazione 
della discussione (cfr. sul punto C.d.S. n. 220 del 24 aprile 1989), essendo 
sufficiente, ai fini che qui rilevano, che dal verbale risultino elementi che consentano 
di ritenere (come nella specie � possibile fare) che l'iter seguito � conforme alle 
norme regolatrici del procedimento ed, in ogni caso, ad ordinari criteri di razionale 
formazione della volont� collegiale. 

4.7. -Infine, nessun rilievo invalidante pu� avere la circostanza che l'approvazione 
del verbale dell'adunanza nella quale � stato adottato il provvedimento 
impugnato sia avvenuta dopo la notifica agli interessati del provvedimento stesso, 
tenuto conto che la volont� collegiale viene in essere nel momento della sua 
espressione e che l'atto di approvazione del verbale ha come suo contenuto soltanto 
la certificazione, da parte del medesimo organismo, della corrispondenza 
delle determinazioni effettivamente assunte con quelle riportate nel relativo documento 
che le contiene. 
In ogni caso, � da condividere l'avviso secondo il quale tale circostanza costituisce 
al pi� mera irregolarit� che � stata sanata dall'approvazione del verbale della 
seduta in questione, comunque intervenuta nella specie. 

5. -Ci� deciso in via pregiudiziale, pu� ora darsi ingresso all'esame delle questioni 
che le parti hanno proposto con riferimento al c.d. merito delle valutazioni 
operate dall'Autorit�. 
Dette questioni possono essere cos� riassunte, tenuto conto delle specifiche censure 
mosse da ciascuna delle imprese ricorrenti: 

1) l'Autorit� avrebbe erroneamente definito il mercato rilevante sia dal 
punto di vista merceologico sia dal punto di vista geografico perch� non avrebbe 
tenuto conto, sotto il primo profilo, della differenza tra produzione e commercializzazione 
dei supporti fonografici (consistenti in musicassette, compact disc e 
dischi in vinile gi� contenenti, ovviamente, la riproduzione di brani musicali), 
della infungibilit� di detti supporti, nonch� delle differenze relative ai generi 
musicali; sotto il secondo profilo, delle rilevanti importazioni di supporti fonografici, 
con conseguente artificiale riduzione del mercato rilevante al solo ambito 
del mercato nazionale; 

2) l'Autorit�, inoltre, attraverso l'erronea individuazione del mercato rilevante, 
avrebbe anche ampliato l'oggetto dell'intesa che le imprese ricorrenti avrebbero 
posto in essere, pur avendo in concreto effettuato accertamenti circa la sussistenza 
dell'intesa stessa soltanto con riferimento ad un solo dei prodotti, e cio� i compact 
disc di musica pop; 


RASSEGNA AVVOCAJ'URA DELLO STATO 

182 

3) l'Autorit� avrebbe operato una ricostruzione e valutazione dei fatti in contrasto 
con le caratteristiche proprie del mercato dei supporti fonografici, che, aven-~ 
do struttura oligopolistica, naturalmente produrrebbe il riscontrato parallelismo dei ~ 
prezzi ed il tendenziale allineamento di tutte le altre condizioni contrattuali, nonch�, ~ 
avrebbe mal interpretato, nella stessa ottica, lo scambio di informazioni avutosi a 
livello di associazione rappresentativa e le iniziative pubblicitarie congiuntamente 
organizzate e svolte; 

4) l'Autorit�, infine, avrebbe illegittimamente applicato sanzioni amministrative 
alle imprese ricorrenti, essendo carenti i presupposti di gravit� e durata richiesti 
ex lege ed immotivate le relative determinazioni, anche con riferimento all' aspetto 
della quantificazione delle stesse, nonch� incorrendo, peraltro, in disparit� di 
trattamento, tenuto conto della specifica misura di sanzione pecuniaria irrogata alla 
Soc. Emi, in comparazione con quelle irrogate alle restanti Major. 

6. -Nessuna di dette censure pu� essere condivisa, alla stregua delle seguenti 
motivazioni. 
6.1. -L'Autorit� afferma di essere pervenuta alla contestata adozione della delibera 
impugnata sulla base di una rilevante quantit� di elementi che, pur non avendo 
natura e consistenza di prove dirette dell'intesa raggiunta per condizionare od escludere 
il libero mercato dei supporti fonografici nel periodo considerato, tuttavia costituirebbero 
indizi gravi, precisi e concordanti che, congiuntamente valutati, fornirebbero 
prova almeno sufficiente dell'intesa restrittiva anzi detta. 
In particolare, dall'istruttoria sarebbe emerso: 
-un elevato grado di uniformit� dei prezzi praticati ai rivenditori che si rifletterebbe 
sui prezzi al pubblico, notoriamente allineati; 
-la coincidenza delle condizioni di vendita dei supporti fonografici effettivamente 
praticate, avuto riguardo al contributo per spese di trasporto, al ticket TV, ai 
termini di pagamento ed alle condizioni di resa della merce invenduta; 
-un intenso scambio di informazioni in sede associativa, avente ad oggetto 
dati strategici dell'attivit� di impresa e proiettato a realizzare concretamente un 
coordinamento delle attivit� anzidette; 
-l'esistenza di un contesto collaborativo anche per altri rilevanti aspetti delle 
politiche commerciali, quali l'organizzazione congiunta sia della distribuzione dei 
prodotti attraverso il canale della grande distribuzione sia della promozione pubblicitaria 
in occasione di eventi particolari. 

6.2. -Un primo quesito cui occorre dare risposta � se, ai fini della corretta individuazione 
di una pratica concordata sia sufficiente l'esistenza di una serie di indizi 
gravi, precisi e concordanti, come ritenuto dall'Autorit�, ovvero necessiti, in ogni 
caso, una prova diretta e puntuale. 
Dispone l'art. 2 della legge 287/1990 che le intese restrittive della libert� di 

concorrenza possano consistere: 
a) in accordi; 
b) in pratiche concordate; 


PARTE I, SEZ. Iv, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

e) in deliberazioni di consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi 
similari, anche se adottate ai sensi di disposizioni statutarie o regolamentari. 

Dispone la stessa norma che � ... sono vietate le intese che hanno ad oggetto o 
per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della 
concorrenza all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, anche 
attraverso attivit� consistenti nel... (omissis) ... fissare direttamente o indirettamente 
i prezzi di acquisto o di vendita ovvero le altre condizioni contrattuali...�. 

Orbene, ritiene il Collegio, in linea di principio, che la prova della pratica 
concordata pu� ritenersi correttamente acquisita anche quando non emergano 
riscontri diretti della sussistenza di concreti elementi intenzionali proiettati a falsare 
il mercato, in quanto una tale prova � richiesta dalle citate disposizioni di 
legge soltanto con riferimento alle ipotesi indicate sub a) e sub c). 

Deve convenirsi, infatti, con quell'avviso giurisprudenziale ( cfr. Cds, sez. VI, 

n. 1792 del 30 dicembre 1996) secondo il quale per la configurabilit� dell'ipotesi di 
�pratica concordata� � irrilevante la prova del raggiungimento di accordi da parte di 
persone fisiche a ci� abilitate. 
Consegue che l'esistenza di indizi gravi, precisi e concordanti assume spessore 
sufficiente ai fini della dimostrazione della pratica concordata e pu�, dunque, costituire 
elemento fondante la eventuale relativa declaratoria. 

6.3. -Prima, per�, di verificare se gli elementi raccolti dall'Autorit� nel corso 
dell'istruttoria costituiscano o meno indizi sufficienti ai fini che qui rilevano, 
occorre verificare preliminarmente se l'Autorit� ha ben individuato l'ambito di 
riferimento della propria indagine e cio� se, alla luce del disposto dell'art. 2 della 
legge n. 287/1990, ha ben individuato il �mercato rilevante� dei supporti fonografici 
nel quale si sarebbe consumata la contestata violazione. 
Al riguardo, giova subito ribadire, in linea generale, l'avviso (cfr. TAR Lazio, 
I, n. 1576/1996) secondo il quale, nel caso di intesa, l'Autorit�, tenendo conto dei 
soggetti partecipanti all'accordo e delle condizioni economiche del mercato, deve 
considerare sufficiente, a fini probatori, anche soltanto la capacit� potenziale del1'
accordo o della pratica concordata di restringere la concorrenza nel mercato, in 
quanto riscontri concreti delle effettive conseguenze prodottesi sono necessari soltanto 
nella diversa e distinta ipotesi dell'abuso di posizione dominante. 

Pi� in particolare, poi, pu� rilevarsi come l'Autorit� abbia correttamente 
individuato il mercato rilevante sia sotto il profilo merceologico sia sotto quello 
geografico per le seguenti ragioni. 

Ed invero, sotto il primo di detti profili, deve convenirsi che esso va individuato 
con riferimento alla produzione ed alla commercializzazione dei supporti 
fonografici ai rivenditori, senza alcuna distinzione per tipo di fonogramma o per 
generi musicali, tenuto conto che la domanda dei consumatori finali pu� rilevare, 
ai fini del presente procedimento, soltanto per spiegare, eventualmente, le politiche 
di approvvigionamento dei rivenditori e che questi ultimi esprimono una 
domanda di acquisto che � strettamente correlata all'esigenza di disporre, al minor 
costo, di un assortimento di titoli pi� possibile funzionale a soddisfare le attese dei 
consumatori finali. 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO

184 

A tal ultimo riguardo, soccorre, infatti, anche la comune esperienza della realt� 
commerciale effettivamente esistente ed il fatto, oggettivamente verificabile, che il 
magazzino del rivenditore di supporti fonografici � normalmente molto articolato 
per poter venire incontro immediatamente a qualsiasi richiesta del consumatore 
finale. N� pu� assumersi che l'Autorit� abbia errato nel ritenere insussistente una 
segmentabilit� del mercato, tenuto conto che la domanda presa in considerazione nel 
procedimento in esame non � quella del consumatore finale, bens� quella del rivenditore, 
come � deducibile dalla circostanza che la contestazione mossa alle imprese 
ricorrenti ha come suo oggetto l'omogenizzazione dei pezzi praticati ai rivenditori e 
non anche quelli al pubblico. 

Infatti,. al rivenditore non interessano le caratteristiche tecniche dei singoli supporti 
fonografici, n� la loro astratta distinguibilit� per generi musicali e per titoli, 
bens� interessa di riuscire ad offrire al consumatore finale una vasta gamma di brani 
musicali al costo pi� basso possibile. 

Ci� perch� � il consumatore finale che esprime preferenze specifiche e, quindi, 
caratterizza la sua domanda in termini di distinguibilit� anche in relazione al tipo di 
supporto (compact, cassetta ... etc.) ovvero al genere musicale. 

Peraltro, tale avviso sembra trovare riscontro anche nella giurisprudenza comunitaria 
(cfr. decisione del 27 aprile 1992 -Emi-Virgin, in caso IV/M 202) laddove 
si osserva, con riferimento alla sostituibilit� dei prodotti appartenenti a generi musicali 
diversi, che la domanda dei rivenditori non presenta caratteristiche di rigidit�, 
come quella dei consumatori finali. 

Sotto il secondo profilo (quello geografico), neppure pu� ritenersi che 
l'Autorit� abbia errato nelle proprie valutazioni, tenuto conto che i mercati dei supporti 
fonografici tendono ad essere nazionali, come ha rilevato la medesima giurisprudenza 
comunitaria pi� innanzi citata. 

Sembra corretto, infatti, che l'Autorit� abbia tenuto conto, a tal proposito, dei 
seguenti fatti: 

-che le imprese ricorrenti, pur essendo, come tutte le pi� importanti case 
discografiche, espressione di gruppi multinazionali, operano in ciascun Paese con 
proprie specifiche societ� locali, la cui attivit� comprende anche lo sfruttamento 
degli autori e degli artisti indigeni, con commercializzazione dei relativi prodotti 
unitamente a quelli stranieri; 

-che le stesse imprese applicano per ciascun mercato nazionale specifiche 
condizioni di fornitura; 
-che i rivenditori, certamente del mercato italiano, acquistano dalle filiali 
nazionali delle imprese discografiche e non anche da quelle estere. 

Peraltro, il convincimento che il fenomeno delle importazioni nel mercato 
discografico italiano � �...praticamente inesistente ... � � stato espresso da una delle 
stesse imprese ricorrenti, come risulta dal par. 14 del provvedimento impugnato nel 
quale si d� conto del contenuto, in parte qua, del piano commerciale 1994/1995 
della BMG-Ricordi. 

6.4. -N� dalle conclusioni espresse dall'Autorit� in materia di mercato rilevante 
� disceso, un artificiale ampliamento dell'oggetto dell'intesa, come pure 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

sostengono le imprese ricorrenti, in quanto la valutazione operata ha riguardato, 
comunque, tutti i prodotti fonografici commercializzati dalle anzidette imprese, 
ancorch� gli accertamenti compiuti hanno avuto di mira un particolare prodotto 
quale i compact disc di musica pop. � 

Infatti, a ben vedere, tale ultima circostanza non � in contraddizione con l'ambito 
di valutazione avuto presente dall'Autorit� se si tiene conto dei dati del mercato 
discografico italiano, come deducibili dagli atti istruttori, compiuti dall'Autorit�, 
e del fatturato realizzato dalle imprese ricorrenti. 

Risulta, invero, che il mercato italiano dei prodotti fonografici � costituito, in 
termini di valore, per il 72% dai compact disc, per il 26% da musicassette e per lo 
0,4% da dischi in vinile e che le imprese ricorrenti hanno realizzato, nel periodo 
considerato, il 90% del loro fatturato nel settore dei compact disc del genere musicale 
pop, mentre la restante quota ha interessato quasi totalmente le musicassette del 
medesimo genere musicale, attestandosi a livelli del tutto minimi la vendita dei 
dischi in vinile. 

Dunque, la circostanza che l'accertamento sia stato compiuto su l'elemento 
del tutto predominante del mercato e della attivit� di produzione e commercializzazione 
posta in essere dalle imprese ricorrenti non solo non rende artificiale 
la valutazione complessivamente operata sull'intero mercato dei supporti fonografici, 
ma anzi la giustifica poich� l'eventuale restante accertamento non 
avrebbe potuto incidere, comunque, su detta valutazione, attesa la sua dimensione 
residuale. 

6.5. -Ci� chiarito, occorre ora darsi carico delle questioni principali poste dalle 
parti ricorrenti e riassunte sub 3), del capo 5� della presente sentenza. 
Innanzitutto, in punto di fatto, giova rilevare che i dati emersi in corso di istruttoria 
danno contezza: 
a) del fatto che i prezzi praticati ai rivenditori mostrano un elevato grado di 
uniformit� che, ovviamente, si riflette anche sui prezzi praticati al pubblico che sono 
notoriamente allineati; 

b) del fatto che le condizioni di vendita sono quasi del tutto coincidenti con 
riferimento al contributo per le spese di trasporto, al ticket TV, ai termini di pagamento 
ed alle condizioni di resa della merce non venduta; 

e) del fatto che � stato posto in essere, nel periodo oggetto di indagine, un'intensa 
scambio di informazioni relativamente ai dati strategici delle imprese ricorrenti, 
anche attraverso la comune istituzione rappresentativa di categoria; 

d) del fatto che il contesto collaborativo tra le ricorrenti si � esteso alla organizzazione 
congiunta della commercializzazione dei prodotti attraverso il canale 
della grande distribuzione e delle politiche promozionali in occasioni di eventi 
particolari. 

6.5.1. -Le ricorrenti, affermano, che l'Autorit� non avrebbe considerato la 
struttura naturalmente oligopolistica del mercato dei supporti fonografici, la quale 
comporterebbe un parallelismo obbligato dei prezzi ed un allineamento tendenziale 
di tutte le altre condizioni contrattuali. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO ..

186 

Affermano, inoltre che la stessa Autorit� non avrebbe raffrontato la situazione 
propria, in genere, del mercato olipolistico dei supporti fonografici con quella accertata 
in conseguenza dell'istruttoria svolta. 

Al riguardo, ritiene il Collegio di poter rilevare che il parallelismo di comportamento 
che fisiologicamente discende dalla natura oligopolistica di un mercato, 
non pu� essere considerata comunque, una verit� incontrovertibile e non diversamente 
spiegabile, alla luce delle norme sulla libera concorrenza nello stesso, poich� 
detto parallelismo pu�, invece, sempre nel mercato oligopolistico, essere conseguenza 
anche (e prevalentemente) dello scambio di documenti e di informazioni 
strategiche e dell'essersi rivolti, ad esempio, con assiduit� e frequenza ad un comune 
centro di coordinamento, con la conseguenza che, in tal caso, il mero parallelismo 
di comportamento assume i contorni illeciti della concertazione che diviene di 
quel parallelismo la sola spiegazione plausibile. 

Si ha, allora, la vulnerazione dello scopo delle norme antitrust di evitare che 
i contatti diretti o indiretti tra le imprese abbiano lo scopo o l'effetto di influire 
sul comportamento di mercato di un concorrente, ovvero di rivelare a quest'ultimo 
il proprio comportamento futuro, la quale si rende palese allorquando, come 
nella specie, si abbiano riscontri sufficienti che l'allineamento dei prezzi ai rivenditori 
e la definizione di tutte le altre condizioni contrattuali sono spiegabili, soltanto 
con riferimento ai concreti comportamenti collusivi posti in essere dalle 
imprese. 

Le risultanze istruttorie indicate nel provvedimento impugnato danno contezza 
dell'esistenza di elementi che, se � vero che singolarmente considerati non possono 
assurgere al rango di prova diretta, pur tuttavia, congiuntamente considerati, ben 
possono costituire indizi gravi, precisi e concordanti della deviazione da una fisiologica 
condizione di mercato oligopolistico perch�, a ben vedere, risultano essere 
l'effetto di una concertazione che si dimostra essere l'unica causa efficiente del 
parallelismo di prezzi e dell'allineamento delle altre condizioni contrattuali riscontrati, 
nel mercato dei supporti fonografici. 

I

Infatti, dalla documentazione ivi citata emerge che i prezzi praticati dalle imprese 
ricorrenti ai rivenditori sono sostanzialmente omogenei sia per struttura sia per 
livello, pur in assenza di identit� di costi sostenuti, che, � dato, quest'ultimo, evidente 
sol che si tenga presente l'aspetto della estrema variabilit� dei compensi corrisposti 
a ciascun autore o esecutore di brani musicali, in quanto intimamente con


I

nessa alla misura di popolarit� da essi acquisita. 
N� sembra seriamente contestabile il fondamento di tali dati poich� essi sono ~ 
stati ricavati da quelli forniti dalla SIAE, in relazione ai prezzi di listino praticati I 

i:~

dalle imprese ricorrenti, nonch� da quelli contenuti nella relazione redatta dalla 
Societ� Grandi Numeri a compimento dello studio statistico commissionatogli ' 
dall'Autorit� che, in particolare, ha posto in risalto come il 90% circa dei prezzi di 

l

i:~

listino di ciascuna delle imprese major � risultato fissato esattamente a lire 20.000. 

ffi

Consegue che, in presenza dei citati dati e della concorrente risultanza che le �== 
imprese ricorrenti fossero aduse scambiarsi le rispettive tabelle dei prezzi di listino 
-anche attraverso l'associazione di categoria F.l.M.I. e prima ancora che i listini 

I 

stessi fossero pubblici -possono gi� ritenersi sussistenti elementi sufficienti a pro'


I

vare una pratica concordata, cos� come contestata, e ci� perch�, gli estremi della 1:: 

'

1 

~i

,, . 

.

J

~����11111:1111��z1�4'����9i11� 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

�pratica vietata� ricorrono allorquando gli elementi essenziali costituenti il prezzo 

vengono artificialmente uniformati, allo scopo di far s� che i prezzi effettivi di ven


dita del bene si attestino a livelli diversi da quelli che naturalmente si determine


rebbero in conseguenza del libero gioco della concorrenza ( cfr. sul punto, dee. 

Comm. 8/2/80, n. 80/257/CECA). 

N�, inoltre, pu� assecondarsi la tesi che gli scostamenti comunque esistenti dei 

prezzi praticati ai rivenditori sarebbero rilevanti ed incidenti nell'escludere la 

sostanziale omogeneit� dei prezzi stessi poich� deve convenirsi con la difesa 

dell'Autorit� che gli scostamenti rilevati nella specie sono ininfluenti, in quanto 

ammontanti a poche centinaia di lire (500 circa). 

In sintesi, la riscontrata uniformit� dei prezzi praticati ai rivenditori dalle ricor


renti imprese non pu� trovare, allo stato, altra razionale giustificazione, oltre la con


testata violazione dell'art. 2 della legge n. 287/1990, tenuto conto: 

-che il prezzo di listino (c.d. PPD) � risultato fissato da tutte le Major esatta


mente a 20.000 lire; 

-che i costi sostenuti dalle Major, per la realizzazione dei supporti fonografi


ci, sono considerevolmente variabili e che tale variabilit� � conseguente alla 

variabilit� molto elevata delle componenti di tali costi, quali le royalties versate agli 

artisti (che possono variare dal 5% al 22%), i corrispettivi per i contratti di licenza 

(variabili dal 7% al 50% ), i c.d. minimi garantiti agli artisti, corrisposti in via dianti


cipazione (i quali possano variare a seconda della notoriet� dell'artista da alcune 

centinaia di milioni ad alcuni miliardi di lire, in relazione a ciascun prodotto com


mercializzato) ed i costi di marketing e di promozione pubblicitaria; 

-che tra tali costi, l'unico effettivamente comune a tutte le imprese discografi


che � soltanto quello della duplicazione tecnica dei prodotti fonografici che, per�, non 

incide sul prezzo di listino di ciascun singolo prodotto fonografico per pi� del 10%; 

-che le altre condizioni contrattuali confermano come le restanti componenti 
del finale prezzo praticato ai rivenditori sono state anch'esse artificialmente costruite, 
sol che si tenga presente la pressoch� totale uniformit�, nel corso del tempo, sia 
dell'elemento �contributo spese di trasporto e di imballaggio�, fissato mediamente 
al 6% del fatturato (al netto di IVA e al lordo del ticket-TV) senza alcuna possibile 
� correlazione n� con i costi effettivamente sostenuti da ciascuna casa discografica n� 
con l'effettiva condizione esistente con ciascun rivenditore, prova ne sia, a tal ultimo 
riguardo, che la misura anzidetta non varia anche nella ipotesi che lo stesso rivenditore 
provveda autonomamente al trasporto della merce ( cfr. doc. all. n. 11 produzione 
difesa della Autorit�); sia dell'elemento �Ticket-TV�, applicato nella misura di lire 
3000 circa da ciascuna delle case discografiche ricorrenti, pur in presenza di costi di 
investimento pubblicitario ovviamente variabili per volume e nel tempo; sia dell'elemento 
�condizioni di resa� della merce invenduta, praticate dalle major nell'ordine 
pressoch� allineato del 3% per i dettaglianti e dal 3% a 4,5% per i grossisti; sia del


l'elemento �termini di pagamento�, fissato nell'ordine comune di 30/60 giorni. 

6.5.2. -Inoltre, a corroborare la valutazione espressa dall'Autorit� ben si 
pongono anche gli ulteriori elementi acquisiti in corso di istruttoria, relativi all'intenso 
e cosciente scambio di informazioni avvenuto direttamente tra le imprese 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO ..

188 


ricorrenti, ovvero per il tramite dell'Associazione di categoria, con riguardo ai prezzi 
praticati ai rivenditori ed alla quantit� e valore della merce venduta, nonch� quelli 
relativi all'organizzazione di un comune rapporto di fornitura dei propri prodotti 
attraverso la grande distribuzione e di specifiche iniziative promozionali per eventi 
particolari. 

Ed invero, quanto allo scambio di informazioni, pu�, innanzitutto, darsi atto 
che, effettivamente, l'Autorit� non ha assunto i dati emersi al riguardo come elementi 
comprovanti, in via autonoma, il comportamento anticoncorrenziale tenuto 
dalle imprese ricorrenti, ma li ha considerati come fattori concorrenti a dimostrare 
la sussistenza di una pratica concordata. 

Pu�, poi, rilevarsi pi� in particolare che di detto scambio, avvenuto in forma 
diretta e con riferimento ad informazioni strategiche, non pu�, allo stato, dubitarsi, 
alla luce di quanto emerge dai paragrafi 44 e 45 del provvedimento impugnato circa 
i listini prezzo (che risultano essere stati scambiati tra le Major prima della loro 
entrata in vigore) ed i fatturati realizzati che le stesse imprese (in ispecie, BmgRicordi, 
Emi, Warner e Polygram) si sono vicendevolmente comunicati anche 

I 

mediante lettere circolari. 

~

Cos� pure, non pu� dubitarsi del ruolo avuto dalla F.l.M.I., sempre ai fini dello ~ 
scambio di informazioni strategiche, tenuto conto: ~ 

-che detta Associazione di categoria � stata fondata nel 1992 proprio dalle @ 
imprese ricorrenti, dopo che le stesse erano uscite dall'unica precedente associazio-f:~.. 
ne esistente (AFI), alla quale aderivano unitariamente tutte le case discografiche fil 
esercenti nel mercato italiano; 

-che nella stessa sono confluite le case discografiche (in totale 56) rappresentanti 
1'80% circa dell'intero mercato nazionale; 
-che le imprese ricorrenti rappresentano nella F.I.M.I. oltre il 90% del fatturato 
complessivo degli aderenti a detta associazione; 

-che il Comitato direttivo della F.I.M.I. � composto, per la quasi totalit�, dai 
rappresentanti delle imprese ricorrenti, come � emerso dai verbali delle riunioni del 
1992, citati nel provvedimento impugnato; I 

-che, infine, sempre dai verbali del comitato direttivo della F.I.M.I. e dagli ~ 
altri atti acquisiti in corso di istruttoria presso detta Associazione, risulta come dati ID 
strategici relativi all'attivit� commerciale di ciascuna delle imprese sono stati scambiati 
tra le ricorrenti sia attraverso documenti redatti dalla F.I.M.I. (concernenti dati 
anche disaggregati delle attivit� di ciascuna delle major) sia attraverso le riunioni del 
Comitato direttivo dell'Associazione. 

Dunque, pu� escludersi, allo stato degli atti, che nelle riunioni di tale 
Associazione, per quel che qui rileva, venissero affrontati soltanto aspetti e problemi 
di carattere generale del mercato discografico, poich� vi ostano le risultanze 
emergenti, ad esempio, dal verbale del 13 dicembre 1993 (cfr. doc. n. 12 della produzione 
di parte resistente) dal quale risulta che le imprese ricorrenti si scambiarono 
in quella occasione dati relativi agli aumenti di costi avuti ed alle modalit� con 
le quali tali costi erano stati trasferiti nei singoli listini prezzo ovvero dagli atti 
acquisiti in sede ispettiva, in data 29 ottobre 1996, dai quali si evince che la F.l.M.I. 
effettuava un controllo periodico sull'uniformit� del contributo spese di trasporto e 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

di imballaggio effettivamente applicato dalle societ� ad essa aderenti, sulla base di 
dati comunicati mensilmente dalle stesse societ�. 

Quanto alle iniziative congiuntamente intraprese dalle imprese ricorrenti 
per la concorde commercializzazione di propri prodotti anche attraverso la grande 
distribuzione, ritiene il Collegio che ne sono sufficiente riprova, come deducibile 
dal paragrafo n. 70 del provvedimento impugnato, l'aver conferito, in 
comune, apposito mandato ad un unico operatore del settore (G.D.O. Service), 
con l'incarico di svolgere attivit� di rack jobber, nonch� l'aver, in ogni caso, 
praticato, a prescindere dalla circostanza che le condizioni siano state formalmente 
negoziate separatamente, condizioni di fornitura identiche sia con riferimento 
allo sconto sul prezzo di listino, sia sulle percentuali di resa dell'invenduto, 
sia sui termini e modalit� di pagamento, sia sul contributo spese di 
trasporto ed imballaggio. 

N�, infine, pu� ritenersi illegittimo che l'Autorit� abbia tenuto anche conto del 
fatto che, nel periodo considerato, le imprese ricorrenti hanno anche organizzato 
un'unica campagna promozionale per la vendita di 150 titoli, egualmente ripartiti tra 
di loro, in occasione del Salone della Musica di Torino, tenuto conto che tale evento 
costituisce, alla stregua delle non smentite affermazioni dell'Autorit�, riscontro 
pure di una comune prassi promozionale che ancor pi� contribuisce a far ritenere 
sufficientemente provata la sussistenza di una precisa intesa tra le parti ricorrenti per 
escludere ogni possibilit� di leale concorrenza in un mercato che, per sua natura, gi� 
presenta caratteri fisiologici di anelasticit�. 

6.5.3. -Alla stregua delle motivazioni sin qui rese e dei dati riassuntivamente 
ricavabili dalla tabella n. 16 del paragrafo n. 45 del provvedimento impugnato pu�, 
dunque, convenirsi con l'Autorit� che, nel caso in esame, si � avuta una consapevole 
collaborazione tra le imprese ricorrenti, a danno della concorrenza, manifestatasi, 
in particolare, in una pratica concordata al fine di falsare il naturale gioco della concorrenza, 
attraverso: 
-l'uniforme determinazione, nel tempo, dei prezzi di listino (che, peraltro, 
si sono attestati su livelli superiori a quelli fissati dalle altre case discografiche 
non major); 

-l'allineamento costante nel tempo delle altre componenti del prezzo praticato 
ai rivenditori come ticket-tv e le spese di trasporto; 
-l'omogeneizzazione dei prezzi finali richiesti ai rivenditori; 

-l'assunzione di iniziative comuni e con esiti sostanzialmente identici sia per 
la commercializzazione dei propri prodotti, anche attraverso la grande distribuzione, 
sia attraverso specifiche iniziative promozionali comuni rivolte ad incidere direttamente 
sul consumatore finale, in occasione di eventi particolari, quali, nella specie, 
il Salone della Musica di Torino. 

N�, infine, pu� condividersi la tesi che, nella specie, l'Autorit� avrebbe, in ogni 
caso, omesso di raffrontare la situazione emergente dai dati istruttori con quella tipica 
di un mercato oligopolistico, quale quello dei supporti fonografici, poich�, a tal 
fine, � sufficiente rilevare che per ciascuno degli elementi valutati (siano essi relativi 
al prezzo sia alle altre condizioni commerciali) l'Autorit� anzidetta ha posto in 


RASSEGNA AVVOCA1URA DELLO STATO'

190 

comparazione espressa quelli relativi alle imprese ricorrenti con quelli delle altre 
imprese discografiche non major. 

Di ci� sono testimonianza sufficiente le deduzioni e rilevazioni, ad esempio, 
fatte in relazione ai prezzi di listino nei paragrafi 50 e seguenti del provvedimento 
impugnato, ovvero nei paragrafi da 71 a 77, in sede di analisi del comportamento 
delle case discografiche non major, ovvero ancora nei paragrafi 159 e seguenti nei 
quali l'Autorit� ha valutato la struttura ed il livello del prezzo ai rivenditori dei vari 
supporti fonografici. 

6.6. -L'ultima delle questioni proposte dalle ricorrenti imprese concerne le 
sanzioni pecuniarie irrogate dall'Autorit� che sarebbero illegittime perch� difetterebbe 
una congrua motivazione dei presupposti di gravit� e durata delle infrazioni 
accertate, sulla base dei quali dovrebbero risultare giustificate le sanzioni anzidette. 
Inoltre, alcune delle ricorrenti sostengono, con riferimento alla misura individuata 
per sanzionare il comportamento tenuto dalla EMI MUSIC ITALY S.p.a., che 
la quantificazione delle sanzioni sarebbe stata operata in violazione del criterio della 
parit� di trattamento. 

Le tesi suddette non possono essere condivise per le seguenti motivazioni. 

Innanzi tutto, non pu� ritenersi irrazionale che le infrazioni accertate nella specie 
-della cui corretta rilevazione si � dato contezza nei capi di motivazione che 
precedono -siano state ritenute gravi, poich�, per quantit� e per spessore, esse giustificano 
le singole valutazioni operate, tenuto conto del numero e della convergenza 
dei riscontri emersi nonch� della significativa valenza degli stessi, sotto il profilo 
economico. 

Lo scopo distorsivo della regola di mercato cui sono risultati concretamente 
preordinati i comportamenti tenuti dalle imprese ricorrenti deve ritenersi sufficientemente 
emergente dall'istruttoria svolta ed idoneo a sorreggere le determinazioni 
sanzionatorie applicate, attesa la continuit� ed organicit� con la quale le c.d. Major 
hanno provveduto a coordinare, sul piano sostanziale, le rispettive attivit� di fissazione 
dei prezzi e delle altre condizioni contrattuali praticate ai rivenditori nonch� 
le strategie di commercializzazione e di promozione dei prodotti. 

Inoltre, giova considerare che dette infrazioni assumono valenza ancor pi� 
significativa, alla luce del fatto che i comportamenti imputati alle Major sono stati 
posti in essere in un mercato oligopolistico, gi� di per s� anelastico rispetto alla ordinaria 
regola di libera concorrenza praticabile nei mercati in genere e considerato che 
dette imprese, sono oggettivamente qualificabili come operatori dominanti del settore, 
coprendo esse circa 1'80% del mercato nazionale dei supporti fonografici. 

Non pu� sfuggire, infatti, come il potere economico esercitabile dalle imprese 
ricorrenti, la loro capacit� strutturale ed organizzativa di presenza sul peculiare mercato 
in questione, congiunto alla accertata utilizzazione anche di sedi istituzionali 
comuni per facilitare rapporti e scambi aventi lo scopo di eliminare la gi� ridotta 
concorrenza esistente fisiologicamente in un mercato oligopolistico, costituiscano 
tutti elementi di tal indubbio e rilevante spessore da giustificare le concrete sanzioni 
irrogate a ciascuna delle imprese ricorrenti. 

N� pu� condividersi la tesi che per potersi irrogare sanzioni pecuniarie di 
un certo rilievo occorra necessariamente la compresenza sia dell'elemento della 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

gravit� sia della prolungata durata dell'infrazione, poich� tali requisiti non sono 
indefettibilmente cumulativi, come gi� ha avuto modo di chiarire la Sezione 
(cfr. sentenza n. 1157/1993) in precedente occasione, anche tenuto conto dell'avviso 
espresso dalla giurisprudenza comunitaria (cfr. sentenza 7 giugno 1983, cause 
riunite n. 100-103/80, Musique Diffusion Francaise c/ Commissione CE). 

Tutto ci�, senza tralasciare di evidenziare che, anche a voler in ipotesi non ritenere 
applicabile il criterio anzidetto, comunque, il periodo di tempo nel quale nella 
specie la concertazione si � praticamente realizzata (1992/1997) � da ritenere sufficiente 
per qualificare, in accertata compresenza del requisito di gravit� dell'infrazione, 
adeguate le misure sanzionatorie applicate. 

N�, ancora, possono condividersi le deduzioni volte a contestare la correttezza 
dell'ambito di valutazione avuto presente dall'Autorit� per quantificare le sanzioni 
irrogate poich� deve convenirsi con la difesa della predetta Autorit� sul fatto che 
l'esperito accertamento effettuato tramite la perizia commissionata alla soc. Grandi 
Numeri non costituisce elemento necessario ed indefettibile per determinare la 
quota di fatturato da considerare. 

L'unica regola applicabile nella specie, � quella resa palese dalla norma dell'art. 
15, la quale, per quel che qui rileva, disponendo che la sanzione amministrativa 
deve essere calcolata sulla base del �fatturato realizzato in ciascuna impresa o 
ente nell'ultimo esercizio chiuso anteriormente alla notificazione della diffida, 
relativamente ai prodotti oggetto dell'intesa ... �, consente di ritenere, ragionevolmente, 
che la base di riferimento da utilizzare per quantificare la sanzione deve 
essere il fatturato realizzato dall'impresa nell'area economica nella quale la regola 
di mercato � stata violata per effetto dell'intesa vietata posta in essere. 

Inoltre, alla luce della stessa norma, sembra sufficientemente chiaro che la locuzione 
� ... esercizio chiuso ... � vada interpretata nel senso che il legislatore ha inteso 
fare riferimento soltanto all'arco di tempo statutariamente prefissato per la redazione 
degli atti contabili fondamentali di impresa, per cui � ai risultati in s� considerati, 
cos� come ricavabili dalle relative scritture di ogni impresa, che occorre fare 
riferimento ai fini in esame. 

I dati necessari possono, dunque, essere ricavati dai documenti contabili del1'
impresa, indipendentemente dall'approvazione del formale documento di bilancio, 
poich�, diversamente, la funzione della norma sanzionatoria -riconducibile anche 
a scopi di tempestivit� e, quindi, di immediata efficacia della stessa -ne risulterebbe 
vulnerata per tale essenziale aspetto. 

Infine, pu� escludersi che la delibera impugnata sia viziata per disparit� di trattamento 
nell'applicazione delle concrete misure delle sanzioni pecuniarie irrogate 
poich� ritiene il Collegio che, anche in questo caso, l'Autorit� abbia fatto corretta 
applicazione della norma dell'art. 15, comma 1, della legge n. 287/1990, tenuto 
conto del comportamento specificamente tenuto dalla ricorrente EMI nel corso del 
procedimento. 

Infatti, il minimo edittale applicato trova giustificazione, peraltro ampiamente 
espressa con le motivazioni contenute nel paragrafo 190 della delibera impugnata, 
nella specifica circostanza che la EMI � stata l'unica delle imprese ricorrenti 
ad assumere, prima di ricevere la lettera relativa alle risultanze istruttorie, 
una serie di impegni volti a far cessare la collaborazione con le altre case disco



RASSEGNA AWOCATURA DELLO S'D\TO 

192 

grafiche, anche attraverso la FIMI, e cio� a dimostrare di voler ottemperare alla 
diffida contestatagli dall'Autorit� ai sensi del citato comma 1 dell'art. 15 della 
legge n. 287/1990 (omissis). 

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO, sez. I, 9 novembre 
1998, n. 3143 -Pres. Schinaia -Rei. Monticelli -Saponara ( avv. Tedeschini) 

c. Ministero di Grazia e Giustizia (avv. Stato Caramazza). 
Atto amministrativo -Accesso ai documenti amministrativi -Istanza presentata 
da un deputato al Parlamento -Legittimazione -Status di parlamentare 

� Insussistenza. 
(Legge 7 agosto 1990, n. 241, art. 22) 
Un deputato al Parlamento nazionale non � legittimato ad accedere ai documenti 
amministrativi ai sensi della legge 7 agosto 1990 n. 241 per il sol fatto di 
essere un parlamentare e di avere interesse all'accesso per l'espletamento del suo 
mandato (1). 

(omissis) 

Il ricorrente, deputato al Parlamento nazionale, lamenta che il Ministero di 
Grazia e Giustizia gli abbia negato l'accesso ad atti relativi ad una ispezione ministeriale. 
La richiesta era stata formulata in considerazione del fatto che l'istante 
aveva presentato un'interrogazione con riferimento a tale ispezione ed intendeva 
cos� seguire in modo migliore e pi� consapevole le risposte del Ministro. 

Il diniego � stato opposto in quanto non � stato ravvisato un diretto e concreto 
interesse alla conoscenza di atti che, secondo disposto dall'art. 4 comma 1, lett. l) 
del decreto del Ministro di Grazia e Giustizia 25 gennaio 1996 n. 115, sono sottratti 
all'accesso ai fini della tutela della riservatezza. 

La tesi dell'amministrazione deve essere condivisa. 

Va al riguardo considerato che il ricorrente aveva fatto valere ai fini dell 'accesso, 
non gi� una situazione giuridica di carattere personale, bens� la sua posizione di 
deputato, interessato ad esercitare nel modo migliore le proprie attribuzioni. 

(1) Non constano precedenti giurisprudenziali in termini, ma in senso conforme si � espressa 
la Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi con parere del 28 febbraio 1996 
pubblicato (in massima) in L'accesso ai documenti amministrativi n. 3, 95. 
Il ragionamento del TAR appare ineccepibile sia perch� la legge non prevede una automatica 
e generale legittimazione all'accesso in relazione ad uno status del soggetto, sia perch� occorre 
tenere ben distinte dalla disciplina dell'accesso le prerogative riconosciute ai parlamentari in 
tema di sindacato sull'attivit� del governo, le quali hanno carattere essenzialmente politico. 

Peranto, quando un deputato esercita il diritto di accesso lo fa come un qualunque cittadino 
che ai sensi dell'art. 25 legge 7 agosto 1990 n. 241 deve motivare la sua istanza circa l'esistenza 
di uno specifico interesse giuridicamente rilevante a conoscere i documenti richiesti (il 
quale secondo l'attuale giurisprudenza del Consiglio di Stato deve essere �serio e non meramente 
emulativo�). 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

Senonch�, non appare compatibile con la particolare disciplina delle prerogative 
dei parlamentari in tema di sindacato sull'attivit� di governo prevedere per gli 
stessi la possibilit� di avvalersi a tal fine del diritto d'accesso di cui alla legge 

n. 241/1990. 
Ed invero, il nostro ordinamento prevede come fondamentale tra le attivit� del 
Parlamento quella di controllo sugli atti e comportamenti del Governo, tanto che i 
regolamenti dei due rami del Parlamento dettano una serie di norme che rendono 
molto incisivo e penetrante il sindacato dei membri del Parlamento. 

Tale sindacato �, tuttavia, di carattere essenzialmente politico e non si concreta 
in strumenti giuridici in grado di far ottenere in modo coattivo le notizie richieste. 
Prevede, infatti, I'art. 131 del regolamento della Camera dei deputati (in questa sede 
interessa soprattutto questo regolamento) che il Governo pu� dichiarare di non poter 
rispondere indicandone il motivo. 

� pertanto, evidente che, qualora si consentisse al parlamentare di avvalersi del1'
accesso di cui alla legge n. 241/1990, si altererebbe la natura del sindacato previsto 
dall'ordinamento, il quale prevede una semplice responsabilit� politica del Governo. 

Una risposta positiva al quesito potrebbe comportare poi un'elusione del principio, 
ricavabile dal sistema, secondo cui il Governo, assumendosi le relative 
responsabilit� politiche, pu� sempre decidere di non rispondere. 

Per le suesposte considerazioni il ricorso deve essere respinto. 
Sussistono ragioni per disporre l'integrale compensazione tra le parti delle 
spese, competenze ed onorari del giudizio. 

P.Q.M. 
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio 
Sezione Prima. 


Respinge il ricorso in epigrafe (omissis). 

I 

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO, sez. I, ordinanza 
24 febbraio 1999, n. 684 -Pres. Schinaia -Est. Lucrezio Monticelli Salomone 
Luigi (avv. Sanino) c. Ministero di Grazia e Giustizia (avv. Stato G. 
Palmieri). 

Concorso -Esami a posti di notaio -Prova di preselezione informatica Mancato 
superamento -Domanda cautelare -Ammissione con riserva alle 
prove scritte del concorso -Rigetto. 

Va respinta la domanda incidentale di sospensione del provvedimento di non 
ammissione alle prove scritte del concorso per esami a posti di notaio per mancato 
superamento della prova di preselezione informatica, avendo la difesa 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO StA'fO 

dell'Amministrazione fornito delucidazioni in ordine alle caratteristiche del 

sistema impiegato con particolare riferimento alla garanzia dell'anonimato e 
non emergendo elementi macroscopici di illogicit� rispetto ai parametri normativi, 
e sussistendo un evidente interesse pubblico ad un sollecito svolgimento del 
concorso (1). 

(1-2) La prova di preselezione informatica. 

1. Premesse. 
Si tratta del primo banco di prova per il nuovo strumento di preselezione a quiz che �debutta
� al concorso da notaio ed � gi� previsto per il prossimo concorso di uditore giudiziario, con il 
dichiarato scopo di rendere ancora praticabile -nell'odierna realt� che vede la partecipazione di 
migliaia di candidati -lo svolgimento di prove concorsuali secondo il metodo tradizionale 
studiato per un decisamente pi� esiguo numero di partecipanti; incidendo non solo sui tempi di 
svolgimento del concorso stesso, riducendoli in modo significativo, ma anche e soprattutto sulla 
qualit� della partecipazione, circoscrivendola ai soli candidati dotati di un certo grado di preparazione 
culturale misurato secondo parametri e criteri obiettivi identici per tutti. 
Si tratta di un meccanismo che trover� sempre pi� frequente applicazione ed � opportuno, 
perci�, soffermarsi anche sulle sue caratteristiche intrinseche. 

2. Le fonti normative. 
La fonte normativa � costituita, innanzi tutto, dalla legge 26 luglio 1995, n. 328, che ha 
introdotto la prova di preselezione informatica nel concorso notarile e che, perci�, ha modificato 
alcune norme delle leggi 16 febbraio 1913, n. 89 e 6 agosto 1926, n. 1365. 
In particolare, l'art. l, 3� comma, della legge n. 328/1995 cit. ha aggiunto alla legge 

n. 89/1913 cit. l'art. 5-bis e, quindi, ha stabilito che le prove scritte del concorso per la nomina a 
notaio sono precedute da una prova di preselezione eseguita con strumenti informatici e con assegnazione 
ai candidati di domande con risposte multiple prefissate, secondo le modalit� stabilite 
dal regolamento. 
Il successivo comma 6 dell'art. 1 cit. ha previsto, infatti, l'emanazione di un regolamento 
di attuazione che contenga tutti gli elementi necessari all'esecuzione della prova di 
preselezione ed alla conservazione, gestione ed aggiornamento del sistema per la prova di 
preselezione. 

Sono stati, quindi, adottati in ordine di tempo i decreti ministeriali 24 febbraio 1997, n. 74; 
8 agosto 1997, n. 290; 24 luglio 1998, n. 339 nelle premesse dei quali sono richiamati i pareri 
favorevoli resi dal Consiglio di Stato Sezione Consultiva sugli atti normativi. 

Infine, con decreto del D.G. Affari Civili e Libere Professioni in data 11 maggio 1998, pubblicato 
sulla Gazzetta Ufficiale del 19 maggio 1998, n. 38, � stato indetto il primo concorso per 
esami a posti di notaio preceduto dalla prova di preselezione informatica e l'archivio di tutte le 
domande dal quale sono state tratte quelle poste ai candidati � stato pubblicato sul supplemento 
della G.U., 4a serie speciale, del 16 giugno 1998. 

3. Le modalit� di svolgimento della prova di preselezione informatica. 
In base all'art. 5-ter, 3� comma, della legge n. 328/1995 cit., oltre ai candidati contemplati 
nel comma 5 dell'art. 5-bis (sono esonerati dalla prova di preselezione coloro che hanno conseguito 
l'idoneit� in uno degli ultimi tre concorsi espletati in precedenza), � ammesso a sostenere 
le prove scritte un numero di candidati pari a cinque volte i posti messi a concorso e, comunque, 
non inferiore a 900, secondo la graduatoria formata in base al punteggio conseguito da ciascun 
candidato nella prova di preselezione. 
Nel caso di specie il concorso � stato bandito per 230 posti e, quindi, il numero di candidati 
ammesso doveva essere pari a 1.150 unit�. 

I 
: 
~: 

f: 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

195 

II 

CONSIGLIO DI STATO, sez. IV, ordinanza 2 marzo 1999, n. 421 -Pres. De Lise 


Est. Camera -Salomone Luigi (avv. Sanino) c. Ministero di Grazia e Giustizia 

(avv. Stato G. Palmieri). 

All'esito delle prove di preselezione � risultato che 1562 candidati hanno riportato il punteggio 
massimo di 40, 60 e, pertanto, sono stati tutti ammessi a sostenere le prove scritte, pur essendo 
stato superato il numero di 1150, perch� il 4� comma dell'art. 5-ter, cit., prevede espressamente 
che sono comunque. ammessi alle prove scritte i candidati classificati �ex aequo� rispetto 
all'ultimo che risulterebbe ammesso in base al punteggio conseguito nella prova di preselezione. 

Pertanto, anche chi ha sbagliato una sola domanda e ha conseguito il minor punteggio di 37, 
60 non ha potuto essere collocato utilmente nella graduatoria perch� preceduto da ben 1562 candidati 
con punteggio maggiore che hanno esaurito il contingente determinato, appunto, dalla 
legge n. 328/1995, da ammettere alle prove scritte. 

Le modalit� di svolgimento della prova di preselezione sono, quindi, compiutamente individuate 
dalla norma primaria, dai regolamenti di attuazione e dal bando di concorso; in particolare, 
il numero dei quesiti (35) ed il tempo a disposizione (70 minuti) dei singoli candidati sono 
determinati dall'art. 4, punti 4 e 5, del decreto ministeriale n. 74/1997 e dall'art. 5 del bando. 

La modifica introdotta prima dell'espletamento delle prove di preselezione dal decreto ministeriale 
24 luglio 1998, n. 339 cit. � diretta a rendere praticabile il meccanismo introdotto dalla legge 

n. 325/1998, avendo riguardo alla rappresentazione di tutti i raggruppamenti per materie (art. 1, lett. 
a) e a tutti i gradi di difficolt�, tenendo conto a tal fine dell'intero l'archivio (art. cit. lett. b); con lo 
scopo, condiviso dal parere favorevole dell'Adunanza Consultiva per gli atti normativi del 
Consiglio di Stato in data 13 luglio 1998, citato nelle premesse del decreto ministeriale, di individuare 
nella Commissione ministeriale per l'archivio informatico dei quesiti l'mgano competente in 
via esclusiva a provvedere alla formazione, conservazione, gestione e aggiornamento del sistema e 
del relativo archivio informatico dei quesiti, per assicurare la parit� di trattamento attraverso un'uniforme 
individuazione della percentuale del grado di difficolt� dei quesiti che compongono l'archivio 
e della percentuale di suddivisione degli stessi tra i vari gruppi argomentali. 
Ogni questionario, composto di 35 quesiti complessivi, contiene non pi� di 4 quesiti di difficolt� 
massima, non pi� di 12 quesiti di difficolt� intermedia e non pi� di 19 quesiti di difficolt� 
pi� bassa. 

I parametri di difficolt� sono stati determinati dalla Commissione per l'archivio informatico 
e sono riportati nel supplemento della Gazzetta Ufficiale del 16 giugno 1998 che pubblica 
l'intero archivio dei quesiti. 

Lo scopo � evidentemente anche quello di dotare il sistema di meccanismi che impediscano 
la individuazione della sequenza dei quesiti e delle chiavi di accesso al sistema stesso. 

Dalla relazione depositata per l'udienza camerale innanzi al TAR e di cui vi � espressa menzione 
nella motivazione dell'ordinanza stessa si evince come i quesiti siano stati generati randomicamente 
solo al momento dell'inserimento della card da parte del singolo candidato che ha 
scelto a caso la sua postazione e assicurando cos� non solo parit� di trattamento, ma soprattutto 
rendendo impossibile qualsiasi manipolazione. 

L'art. 5-ter, 1� comma, cit., l'art. 4 decreto ministeriale 74/1997 cit. e l'art. 4, 1� comma, del 
bando di concorso prevedono espressamente che le prove di preselezione siano effettuate a gruppi 
di candidati in numero non superiore a 300, divisi secondo l'ordine alfabetico del loro cognome, 
previo sorteggio della lettera iniziale. 

4. L'inconfigurabilit� dell'ammissione con riserva. 
Occorre, immediatamente sgombrare il campo da un possibile malinteso. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO S'rATO 

Concorso -Esami a posti di notaio � Prova di preselezione informatica Mancato 
superamento -Domanda cautelare -Ammissione con riserva alle 


~ 

prove scritte del concorso -Accoglimento. � 

In accoglimento della domanda cautelare va disposta l'ammissione con riser


I 

va alle prove scritte del concorso a posti di notaio, considerando che l'appellante 
non chiede l'annullamento del bando di concorso, ma contesta solo le modalit� di 

I

espletamento delle prove preselettive e che in ogni caso l'ammissione con riserva 
non arreca pregiudizio all'Amministrazione (2). 

I 

(omissis). 

Ritenuto che, allo stato, non sembrano sussistere le ragioni richieste dalla legge 
per l'accoglimento della sospensiva, considerato che: 
-la difesa dell'amministrazione ha fornito all'odierna Camera di Consiglio, 
mediante il riferimento alla nota n. 2/99 S.P. in data 29 gennaio 1999 del competen


te ufficio del Ministero di Grazia e Giustizia, (depositata nel fascicolo relativo al ,~ 
ricorso n. 1640/1999 la cui domanda di sospensiva � stata discussa contestualmente 
a quella di cui al presente ricorso), delucidazioni in ordine alle caratteristiche del %

,_ 

sistema impiegato con particolare riferimento alla garanzia dell'anonimato: .

1 

-non emergono, ad un sommario esame, elementi macroscopici di illogicit� ~; 

in relazione alle linee seguite dal legislatore; �' 

Ritenere che sia inammissibile l'ammissione con riserva alle prove scritte del concorso nel 
caso di mancato superamento della prova di preselezione non significa sostenere una battaglia di 
retroguardia o arroccarsi su posizioni retrive che volutamente ignorino l'orientamento in materia 
del giudice amministrativo, ormai fermo su posizioni di assoluto favore nei confronti di ricorrenti 
esclusi da prove concorsuali per esami. 

Si tratta, invece, di superare gli schemi finora seguiti, per qualche verso ormai obsoleti, e 
ci� nell'interesse della maggioranza dei candidati che ha superato brillantemente la prova di 
preselezione. 

Nel meccanismo introdotto dalla legge n. 325/1998, dai citati regolamenti di attuazione e dal 
bando di concorso non � quindi ipotizzabile l'ammissione con riserva ed in soprannumero perch� 
essa, oltre a frustrare lo scopo delle norme che � invece proprio quello di limitare numericamente 
la partecipazione al concorso, verrebbe a rendere praticamente inutile l'espletamento della 
prova di preselezione ed a vanificarla peraltro proprio a danno di coloro i quali hanno riportato 
un punteggio maggiore. 

Le decisioni del Consiglio di Stato (oltre a quella in epigrafe ne sono seguite due identiche 
in data 9 marzo 1999) hanno avuto un effetto limitatamente dirompente perch�, dati i tempi 
ristretti, ben pochi (circa una trentina) sono riusciti a proporre ricorso al TAR Lazio ed ottenere 
il provvedimento di ammissione con riserva (motivato dal TAR stesso con riferimento unico ed 
espresso all'ordinanza del Consiglio di Stato n. 421/1999 che si annota con una serie di coeve 
ordinanze in data 3 marzo 1999) e, quindi, non hanno alterato in modo sostanziale l'esito della 
prova di preselezione stessa. 

Va sottolineato che il Ministero di Grazia e Giustizia non era tenuto ad estendere le pronunce 
cautelari emesse dal TAR e dal Consiglio di Stato ai candidati non ricorrenti, sia perch� 
comunque tale potere rientra sempre nella discrezionalit� dell'Amministrazione e non � un atto 
dovuto; sia perch� il disposto normativo � chiaro in proposito (art. 5-ter, 4� comma cit.). 


PARTE I, SEZ. IY, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

197 

-vi � un evidente interesse pubblico ed un sollecito svolgimento del concorso in 
questione cui hanno richiesto di partecipare un rilevante numero di candidati (circa 5.000). 

P.Q.M. 
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio 
Sezione Prima 
Respinge la suindicata domanda incidentale di sospensione (omissis). 

II 

(omissis) 

Considerato che l'appellante non chiede l'annullamento del bando di concorso, 
ma contesta solo le modalit� di espletamento delle prove preselettive: 

-che le censure non sembrano prive di j�mus boni juris; 

-che in ogni caso l'ammissione dell'appellante all'espletamento delle prove 
di concorso non arreca pregiudizio all'Amministrazione; 

P.Q.M. 
Accoglie l'appello (Ricorso numero 1608/1999) e, per l'effetto, in riforma dell'ordinanza 
impugnata, dispone l'ammissione con riserva al concorso dell'appellante 
(omissis). 

Va, infine osservato che le decisioni in esame appartengono alla categoria delle ordinanze 
cautelari di tipo ordinatorio (sulle quali cfr. A. ROMANO, Commentario breve alle leggi sulla giustizia 
amministrativa, CEDAM, 1992, 662 e ss.), per le quali si pone, tra l'altro, in applicazione dei 
principi generali elaborati per le misure cautelari di tipo inibitorio o sospensive in senso stretto, 
il problema di individuare il momento in cui cessa la loro efficacia con riferimento al giudizio 
di merito. 

Infatti, se non vi � dubbio che la loro efficacia venga meno nel caso che la sentenza di merito 
rigetti il ricorso, � controverso il caso in cui la sentenza di primo grado accolga il ricorso, � 
annullando il provvedimento di diniego di ammissione. 

Sembra esatto ritenere che in tale ipotesi l'Amministrazione sia tenuta ad assumere i provvedimenti 
necessari per evitare che la posizione del ricorrente risulti deteriore rispetto alle utilit� 
allo stesso attribuite con l'ordinanza cautelare. 

Le ordinanze con le quali si dispone l'ammissione con riserva (ad un concorso, come nel 
caso di specie, o ad una gara) sono denominate anche �propulsive� perch� sollecitano un rinnovato 
esercizio di potest� provvedimentale della P.A. (sul tema specifico si � svolto il 14 aprile 
1999 al Consiglio di Stato un Convegno di studi organizzato dalla Societ� Italiana degli Avvocati 
Amministrativisti nel ventennale della sua fondazione). 

La dottrina sottolinea che tali ordinanze non rendono inutile la successiva fase di cognizione 
piena (cfr. G. CARuso, La giustizia cautelare: i provvedimenti negativi e le ordinanze �propulsive
� dei TAR, in Foro Amm., 1994, Il, 2283 e ss.) essendo provvedimenti emanati in ottemperanza 
ad uno specifico ordine del giudice e con riserva all'esito definitivo della lite, non 
godendo di autonomia dal processo (cautelare) che li ha originati. 

GABRIELLA PALMIERI 



SEZIONE QUINTA 

GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 3 luglio 1998, n. 6518 -Pres. Grieco -Est. Papa 
-P. G. Gambardella ( conf.) -Fallimento soc. Soffieria Meccanica Industriale 
Grasso (avv. Di Nola) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Lancia) e soc. 
Gestione Esattorie Cuneesi (avv. Di Gravio). 

Tributi erariali diretti -Imposta sul reddito delle persone fisiche -Fallimento 
del contribuente -Periodo compreso tra l'inizio dell'anno e la 
dichiarazione di fallimento -Autonoma obbligazione d'imposta ai fini 
IRPEF -Esclusione. 

Tributi erariali diretti -Imposta sul reddito delle persone fisiche -Fallimento 
del contribuente -Dichiarazione del curatore ex art. 125, I comma, TUIR 
-Effetti. 

I

~ 

Tributi erariali diretti -Imposta sul reddito delle persone fisiche -Fallimento 
del contribuente -IRPEF dovuta per l'anno in corso -Opponibilit� ai 
creditori -Esclusione. 
(TUIR, art. 125, I comma; legge Fall., art. 52). 

Attesa la natura personale dell'Irpef, in caso di fallimento del contribuente, 
l'obbligazione relativa al periodo d'imposta in corso rimane unitaria, sicch� non � 
ammissibile una determinazione parziale di essa riferita al periodo antecedente la 

dichiarazione di fallimento (1). 

La dichiarazione del Curatore fallimentare relativa al reddito d'impresa 
risultante nel periodo antecedente la dichiarazione di fallimento non � titolo per 
un'autonoma tassazione dello stesso, ma deve essere riportata dal contribuente 
fallito nella propria dichiarazione annuale, ai fini della determinazione complessiva 
e unitaria dell'imponibile (2). 

(1-3) La Suprema Corte, con decisione non priva di coerenza interna, ma che -a 
nostro modesto avviso -si presta a critiche, esaltando la natura personale dell'Irpef 
conclude che la relativa obbligazione tributaria non possa sorgere se non in riferimento ad 
un intero periodo d'imposta, con la conseguenza che, in caso di apertura di una procedura 
concorsuale a carico del contribuente, fatalmente il credito erariale non sarebbe opponibile 
alla massa dei creditori, anche per il periodo antecedente la dichiarazione di fallimento, in 
quanto sorgerebbe successivamente ad essa, con la determinazione annuale finale 
dell'imposta. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

199 

Il cr�dito erariale per l'Irpefdovuta dal contribuente fallito, relativa al periodo 
d'imposta in cui � stato dichiarato il fallimento, non � opponibile alla Curatela, 
poich� sorge in momento successivo all'inizio della procedura concorsuale (3). 

(omissis) 

Denunzia l'Amministrazione finanziaria, con unico complesso motivo, 
violazione e falsa applicazione degli artt. 10 decreto del Presidente della 
Repubblica 600/1973, 125 decreto del Presidente della Repubblica 917/1986; 
18 decreto del Presidente della Repubblica 42/1988, 55 e 59 legge fall. e combinato 
disposto degli stessi, nonch� omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su 
punto decisivo. 

Premessa la propria legittimazione a ricorrere -in quanto parte necessaria nel 
processo, anche se non appellante -, afferma che la normativa nella specie 
applicabile � quella degli artt. 10 decreto del Presidente della Repubblica 600/1973 
e 73 decreto del Presidente della Repubblica 597/1973, poich� si versa in materia di 
IRPEF per l'anno 1987, mentre il decreto del Presidente della Repubblica 917/1986 
� entrato in vigore dal 1� gennaio 1988 (art. 136) ed il decreto del Presidente della 
Repubblica 42/1988 � ancora successivo -anche se poi osserva che ai fini proposti 
non esiste divario rilevante tra le due discipline -. Richiama, quindi, il contenuto 
dell'art. 10 cit. per dedurne che la dichiarazione del curatore, in esso prevista, era 
disposta �a fini impositivi�; puntualizza che il credito erariale, dal 1� gennaio alla 
dichiarazione di fallimento (10 luglio), va necessariamente insinuato nel fallimento, 
e che non vi � alcun motivo di attendere la decorrenza dell'anno solare, sovvenendo 
gli artt. 55 e 59 legge fall. che fissano la scadenza dei debiti pecuniari, agli effetti 
del concorso, alla data della dichiarazione di fallimento; ribadisce l'autonomia del 
presupposto d'imposta del periodo considerato, ai sensi dei citt. artt. 10 e 73, nonch� 
dello stesso art. 125 t.u. 917/1986 pur applicato nella sentenza impugnata-, per 
riaffermare la debenza dell'IRPEF pretesa e la natura concorsuale del relativo 
credito, non senza aver sottolineato le �conseguenze assurde� della soluzione 
opposta, che porterebbe ad escludere ogni garanzia patrimoniale, per l'erario, in 
caso di dichiarazione di fallimento intervenuta appena prima della scadenza 
dell'anno solare. 

Di contenuto e struttura sostanzialmente analoghi � il ricorso della G.E.C. 
S.p.a., col quale si denunzia lo stesso vizio complesso, per pervenire alle medesime 
conclusioni. In esso, in particolare, si insiste sulla �scissione� dei due periodi, 
anteriore e successivo al fallimento, affermandosi che �non si pu� operare alcuna 
compensazione tra le due situazioni reddituali con la conseguenza che, nel primo 

Va osservato che la stessa decisione, in un obiter dictum, ammette la frazionabilit� 
dell'ILOR, in quanto imposta reale: �non sorgono questioni in relazione a redditi omogenei (per 
le societ� di persone, ILOR artt. 6e118 b) TUIR) in dipendenza della loro stessa base di calcolo 
che ne consente la [razionabilit� ... �. 

Deve osservarsi, per�, che � lo stesso art. 125 TUIR a frazionare il periodo d'imposta in 
corso al momento della dichiarazione di fallimento, imponendo al Curatore la ricognizione del 
reddito d'impresa sin allora prodotto con la dichiarazione iniziale, e cumulando nel cosiddetto 
maxiperiodo il rapporto d'imposta successivo. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO SThTO

200 

caso, vi sar� un debito da pagare (quindi insinuabile al passivo) e, nel secondo, un 
credito che potr� essere recuperato chiedendone il rimborso alla Finanza�. 

La controricorrente curatela, ricalcando il contenuto e l'impostazione della 
sentenza impugnata ed apportandovi ulteriori considerazioni, resiste alle 
argomentazioni dell'Amministrazione finanziaria. 

I ricorsi vanno previamente riuniti, ai sensi dell'art. 335 codice procedura 
civile. 
Procedendo, quindi, all'esame congiunto -per l'analogia di contenuto ritiene 
il collegio di doverli respingere perch� infondati. 

Giova premettere ~ anche se la prospettiva non sarebbe destinata a mutare, 
sulla base del previgente sistema, come del resto ammettono le stesse ricorrenti che 
la disciplina applicabile � quella risultante dalle disposizioni degli artt. 125 del 
testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della 
Repubblica 22 dicembre 1986 n. 917, e 18 decreto del Presidente della Repubblica 
4 febbraio 1988 n. 42, contenente disposizioni correttive e di coordinamento 
sistematico formale, di attuazione e transitorie, relative al medesimo testo unico. 

Perci�, con riferimento all'ILOR, deve ritenersi che, tanto nel caso di imprenditore 
individuale, che in quello del socio illimitatamente responsabile di una societ� di persone (a sua 
volta dichiarato fallito ex art. 147 legge Fall.), i redditi di impresa prodottisi nel periodo antecedente 
la dichiarazione di fallimento siano autonomamente tassabili, in quanto il periodo d'imposta in 
corso da tale momento � terminato per lasciare luogo al maxiperiodo. Ci�, in particolare, avviene 
per l'ILOR sul reddito della societ� di persone, in quanto tutti i redditi a essa riferibili sono redditi 
d'impresa, ex art. 6, III comma, TUIR, e perch� la societ�, non i soci, � il soggetto passivo di tale 
imposta: quindi non pu� avvenire alcuna confusione tra l'imponibile individuale del socio e quello 
dell'impresa collettiva. Inoltre, poich� tale ILOR � commisurata ai redditi prodottisi sino alla data 
di dichiarazione del fallimento, come da apposita dichiarazione iniziale del curatore, il relativo 
credito, in quanto antecedente tale data, � opponibile alla curatela del fallimento della societ� e nel 
contempo a quello dei soci, che � riunito al primo (art. 148 legge Fall.). 

All'uopo, deve ritenersi che la dichiarazione del curatore sia idonea, in quanto dichiarazione 
finale del miniperiodo, a permettere l'iscrizione a ruolo della relativa ILOR ex art. 11, II comma, 
decreto del Presidente della Repubblica 602/1973. 

Si veda inoltre la norma di cui all'art. 10, IV comma, decreto del Presidente della 
Repubblica 29 settembre 1973 n. 600 (ora sostituito dall'identico art. 5, comma IV, decreto del 
Presidente della Repubblica 22 luglio 1998 n. 322): la dichiarazione del curatore relativa al 
miniperiodo vi � annoverata come una dichiarazione dei redditi tout court. 

Maggiori difficolt� ricostruttive si incontrano invece per l'obbligazione a titolo di IRPEF 
relativa ai redditi di impresa del miniperiodo. � palese che l'importo complessivo dell'imposta 
personale deve essere determinato alla fine del periodo d'imposta, dedotti gli oneri ex art. 10 
TUIR, le detrazioni, e tutti gli altri componenti negativi. 

Nelle societ� personali ci� avviene imputando ai soci pro quota il reddito prodotto dalla 
societ� (art. 5, I comma TUIR) e dividendo pro quota il risultato della dichiarazione iniziale della 
curatela (art. 125, I e II comma, TUIR; art. 18, IV comma, decreto del Presidente della 
Repubblica 42/88). Tale quota entra a far parte, quindi, del reddito IRPEF del socio, � cumulata 
con gli altri redditi e sulla somma si applica -dedotto quanto di competenza -l'aliquota. 

Ma, a nostro avviso, altro � affermare che la IRPEF si deve determinare in modo unitario, 
altro ritenere che il relativo credito erariale sorga solo alla fine del periodo d'imposta, con le 
conseguenze, in tema di opponibilit� ex art. 52 legge Fall., evidenziate. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

201 

Posto che il fallimento del cui debito si discute � stato dichiarato il 10 luglio 
1987, risultano, infatti, superate le iniziali posizioni delle ricorrenti, con 
riferimento all'art. 136 decreto del Presidente della Repubblica 917/1986 (che fissa 
l'entrata in vigore dello stesso testo unico �al 1� gennaio 1988 con effetto per i 
periodi d'imposta che hanno inizio dopo il 31 dicembre 1987�) e della 
controricorrente, con riguardo all'art. 36 decreto del Presidente della Repubblica 
42/1988 (che stabilisce l'efficacia delle nuove disposizioni �anche per i periodi di 
imposta antecedenti al primo periodo d'imposta successivo al 31dicembre1987, se 
le relative dichiarazioni, validamente presentate, risultano ad esse conformi�, stante 
la contestazione insorta circa la mancata presentazione della dichiarazione IRPEF ad 
opera del Grasso), giacch� l'art. 31 comma 1� cit. decreto del Presidente della 
Repubblica n. 42 -come sottolinea la Curatela nella memoria -espressamente 
detta che �le disposizioni dell'art. 125 del testo unico, concernenti il fallimento e la 
liquidazione coatta amministrativa, si applicano anche per le procedure in corso alla 
data del 1� gennaio 1988� (salvo quanto stabilito nei commi successivi, che non 
riguardano la fattispecie in esame). 

Il possesso di redditi, presupposto dell'imposta, � fatto continuativo, il rapporto d'imposta 
non si esaurisce nell'adempimento finale dell'obbligazione determinata su base annuale, ma � 
composto da numerosi obblighi, non solo formali, ma anche di pagamento anticipato (ritenute, 
acconti) la cui legittimit� sarebbe dubbia se non fosse prevedibile il finale obbligo contributivo e 
non sussistesse l'attualit� dell'obbligazione, ancorch� illiquida. Pu� ben dirsi che, verificatosi il 
possesso anche di una sola fonte di reddito, l'obbligazione sorge, anche se con un oggetto 
determinabile e non ancora perfettamente determinato: n� mancano le norme che ancorano a un 
preciso momento temporale la verificazione del presupposto ( cfr. artt. 23 e 30; 42 I, II e 
III comma; 48, I comma; 50, 52 e ss.; 82/85 TUIR). 

Pertanto � possibile, una volta determinato, in capo al periodo d'imposta, l'ammontare della 
stessa, riferirne una quota proporzionale all'ammontare del reddito d'impresa del miniperiodo, 
che � preconcorsuale, e opporre tale quota del credito -in quanto sorta prima del fallimento ai 
creditori. 

Su tale interpretazione � la dottrina (MrccINESI, L'imposizione sui redditi nel fallimento e 
nelle altre procedure concorsuali, Milano, 1990, 146-147: �niente osta alla possibilit� di 
frazionare l'entit� della obbligazione, che viene progressivamente formandosi, nell'arco di tempo 
preso a ragguaglio per la sua commisurazione, in funzione del dato cronologico attinente alla 
nascita della medesima .... ferma rimanendo la unicit� di tale obbligazione e la sua determinazione 
unitaria�; Idem, 147: �Il debito d'imposta in questione -quello risultante dalla dichiarazione 
annuale del fallito, che cumula il reddito d'impresa risultante dalla dichiarazione del curatore 
con gli altri redditi del fallito -non pu� essere considerato concorsuale nella sua interezza, ma 
ci� non dovrebbe impedire... di scinderne la quota proporzionalmente riferibile al reddito 
d'impresa prefallimentare� ). 

Ci�, del resto accade in caso di morte del contribuente (fenomeno analogo al fallimento, che 

� la morte dell'impresa), laddove � previsto che i redditi del defunto siano tassati separatamente 

da quelli dell'erede (art. 65 decreto del Presidente della Repubblica 602/1973). 

Altrimenti, stridente sarebbe la disparit� di trattamento tra il credito -peraltro privilegiato 

-tributario e gli altri crediti sorti nel medesimo periodo prefallimentare in virt� di una 

relazione giuridica continuativa (come un qualsiasi contratto di conto corrente). 

R.o.F. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO ST~O

202 

Ci� posto, l'art. 125 T.U .l.R. disciplina le modalit� di determinazione del reddito 
d'impresa, rispettivamente, �relativo al periodo compreso tra l'inizio dell'esercizio e la 
dichiarazione di fallimento� (o il provvedimento di liquidazione coatta amministrativa: 
comma 1�) ed al �periodo compreso tra l'inizio e la chiusura del procedimento 
concorsuale, quale che sia la durata di questo ed anche se vi � stato esercizio 
provvisorio� (comma 2�, 4�: cd. maxiperiodo). Interessa qui solo il primo, a proposito 
del quale la disciplina (che ricalca appunto quella, pi� succinta, dei previgenti artt. 10 
decreto del Presidente della Repubblica 600/1973 e 73 decreto del Presidente della 
Repubblica 597/1973) risulta fissata nel senso della determinazione del reddito in 
questione �in base al bilancio redatto dal curatore� (o dal commissario liquidatore), con 
la seguente articolazione ulteriore: �Per le imprese individuali e per le societ� in nome 
collettivo e in accomandita semplice il detto reddito concorre a formare il reddito 
complessivo dell'imprenditore, dei familiari partecipanti all'impresa e dei soci relativo 
al periodo d'imposta in corso alla data della dichiarazione di fallimento o del 
provvedimento che ordina la liquidazione�. In tale contesto, si inquadra il successivo 
art. 18 comma 4 � decreto del Presidente della Repubblica n. 42 cit. che, in caso di 
fallimento (o di liquidazione coatta) di imprese individuali o di societ� di persone, fa 
obbligo al curatore (o al commissario liquidatore), unitamente agli adempimenti 
iniziale e finale (di cui al comma 1� art. cit., che si riferisce al reddito d'impresa 
regolato dall'art. 125 t.u., definendo, appunto, 'iniziale' la dichiarazione di cui al 
comma 1� e 'finale' quella del comma 2�), di �consegnarne o spedirne copia per 
raccomandata all'imprenditore e a ciascuno dei familiari partecipanti all'impresa, 
ovvero a ciascuno dei soci, ai fini dell'inclusione del reddito o della perdita che ne 
risulta nelle rispettive dichiarazioni dei redditi relative al periodo d'imposta in cui ha 
avuto inizio e in quello in cui si � chiuso il procedimento concorsuale�. 

Ora, mentre non sorgono questioni in relazione a tributi su redditi omogenei (per 
le societ� di persone, ILOR: artt. 6 e 118 lett. b t.u. cit.) in dipendenza della loro stessa 
base di calcolo che ne consente la frazionabilit� con riguardo all'arco temporale 
dall'inizio del periodo d'imposta alla dichiarazione del fallimento ( cfr. art. 125 t.u. cit., 
comma 4�), pi� complessa si rivela la soluzione, relativamente all'IRPEF sul reddito 
d'impresa del 'periodo' prefallimentare, dovendosi operare la scelta nell'alternativa 
-che si propone appunto nel presente procedimento -fra l'inscindibilit� del 
periodo d'imposta (propriamente detto), corrispondente all'anno solare (art. 7 t.u. 
vigente, che riproduce l'art. 7 decreto del Presidente della Repubblica 597/1973), con 
conseguente affermazione di extraconcorsualit� della pretesa dell'amministrazione 
finanziaria, e la possibilit� di scissione del regime satisfattivo, con attribuzione alla 
dichiarazione (iniziale) del curatore di finalit� impositive, anche ai fini dell'IRPEF, e 
qualificazione del credito d'imposta corrispondente come concorsuale. 

Ritiene il collegio di dover aderire alla prima proposizione dell'alternativa, 
seguita nella sentenza impugnata. 

Il reddito delle persone fisiche (artt. 8 segg. t.u.) si atteggia come una somma 
algebrica, comprensiva di poste attive e passive (in particolare: oneri deducibili, 
detrazioni d'imposta), con possibilit� di determinazione dell'imponibile soltanto 
alla scadenza dell'anno solare, ed il reddito d'impresa, costituendo solo una posta 
dell'IRPEF, non pu� essere oggetto di autonoma tassazione. La ragione di ci� 
risiede nella impossibilit� di individuare un reddito, propriamente detto, al momento 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

della dichiarazione di fallimento quale che ne sia l'evenienza, nell'ambito dell'anno 
solare) onde, esattamente, il giudice 'a quo' ha rilevato che la soluzione opposta 
�contrasterebbe con il principio di capacit� contributiva, non permettendo al 
contribuente di far valere quelle componenti negative verificatesi nel successivo 
periodo dominato dalla procedura concorsuale; e verrebbe altres� ad incidere, in 
maniera non consentita, sul carattere progressivo del tributo e su fattispecie di 
tassazione separata fuori dei limiti tassativi dettati dall'art. 16 del citato testo unico� 
(sentenza impugnata, pag. 15 seg.). 

Nella delineata prospettiva, il richiamo agli artt. 55 e 59 legge fall. non si 
presenta puntuale, giacch� l'anticipata scadenza dei debiti pecuniari presuppone 
proprio l'individuazione di un debito d'imposta che invece, nel caso in esame, non 
� ancora configurabile; allo stesso modo, non coglie nel segno la critica della G.E.C. 
S.p.a., circa una inammissibile compensazione fra una situazione di debito del 
contribuente per il periodo prefallimentare ed una (eventuale) di credito riferibile a 
quello successivo, trattandosi di argomento che d� per scontata proprio la 
'scindibilit�' da dimostrare. Quest'ultima in realt�, prospettata in dottrina attraverso 
la diversificazione fra unitariet� del debito d'imposta e scindibilit� del regime 
satisfattivo, dev'essere invece esclusa, poich� -in corrispondenza con quanto 
precedentemente rilevato -alla scadenza del periodo propriamente detto (anno 
solare) risulter� impossibile l'individuazione delle singole poste in relazione alla 
imponibilit� effettiva, e non sar� dato determinare la 'parte' di credito d'imposta 
prefallimentare, avuto riguardo altres� alla progressivit� delle aliquote. 

In definitiva, quindi, deve affermarsi che la componente dell'IRPEF, derivante 
dal reddito dell'impresa dichiarata fallita nel corso del periodo d'imposta, 
limitatamente all'arco temporale che va dall'inizio dell'anno alla dichiarazione di 
fallimento, non pu�, per effetto della dichiarazione iniziale del curatore prevista 
dagli artt. 125 t.u. 917/1986 e 18 decreto del Presidente della Repubblica 42/1988, 
costituire oggetto di autonoma tassazione, restando l'IRPEF unitariamente 
determinabile solo alla scadenza dell'anno solare e nascendo pertanto il 
corrispondente debito d'imposta successivamente alla dichiarazione di fallimento 
-con la conseguenza dell'inopponibilit� alla massa dei creditori-. 

I ricorsi, come sopra riuniti, vanno dunque rigettati, non essendo contestato che 
l'imposta pretesa con la dichiarazione tardiva � stata determinata, attraverso la 
criticata 'scissione', unicamente sulla base della dichiarazione iniziale del Curatore e 
limitatamente all'arco temporale dal 1� gennaio 1987 alla dichiarazione di fallimento 
(del 10 luglio successivo) allorquando il periodo d'imposta, ai fini dell'IRPEF, era 
ancora �in corso�, secondo la locuzione impiegata nel comma 1� art. 125 cit. 

Al rigetto consegue, per il criterio della soccombenza, la condanna alle spese 
anticipate, per il presente giudizio, dalla Curatela fallimentare, nei confronti della 
sola Amministrazione finanziaria; nessuna statuizione va resa nei riguardi dell'altra 
ricorrente, per mancanza di attivit� difensiva specifica della stessa Curatela circa 
l'autonomo ricorso della Societ� concessionaria del servizio di riscossione. 

P.Q.M. 
Riuniti i ricorsi, li rigetta (omissis). 


�e 
RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

204 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 28 luglio 1998, n. 7395 -Pres. Bile -Est. 
Pigna taro -P.M. Lo Cascio ( conf.) -Minerva Assicurazioni ( avv. Cascino) c. 
Ministero delle Finanze (avv. Stato De Stefano). 

Tributi erariali indiretti -Imposta sul valore aggiunto -Rimborsi -Fideiussione 

-Giurisdizione ordinaria. 
(Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972 n. 633 art. 38-bis). 


Appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario la domanda di rimborso 
dell'I. VA. proposta dal fideiussore che abbia garantito il rimborso accelerato al 
contribuente ex art. 38-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 
1972 n. 633 (1). 

(omissis) 

Con il primo motivo, denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 1 
e 16 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972 n. 636 in relazione 
all'art. 360 nn. 1 e 3 codice procedura civile, la societ� ricorrente addebita alla corte 
di appello l'errore di avere attribuito alla controversia natura tributaria, come tale 
devoluta alla cognizione delle commissioni tributarie, mentre la domanda di 

I restituzione della somma di L. 2.357.000 proposta da essa ricorrente trovava ~ 
fondamento nel rapporto nascente dalla polizza fideiussoria stipulata dalla Imarredo 

I

s.r.l. e comportava l'individuazione dei limiti della garanzia senza che venisse in t;j 
discussione il debito tributario della contribuente, ed in particolare l'obbligo della 
I 

stessa di pagare la pena pecuniaria di L. 2.357.000 inflitta con l'avviso di . 
accertamento. . 
. 
Col secondo motivo la ricorrente denunzia vizio di omessa e insufficiente 

I

motivazione su punto decisivo della controversia e deduce che la corte d'appello ~ 

avrebbe omesso di considerare che la assunzione dell'obbligazione da parte di essa 

societ�, scaturendo dalla polizza fideiussoria, era regolato dalle norme del codice 

I 

civile e dalle clausole contrattuali ed in particolare da quella dell'art. 3 concernente 
l'oggetto della garanzia. 
Col terzo motivo, denunziando violazione degli artt. 1942-1944 codice civile in 

I relazione all'art. 360 nn. 1 e 3 codice procedura civile nonch� vizio di omessa e 
insufficiente motivazione, la ricorrente deduce l'erroneit� della affermazione 
contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui il rapporto tra fisco e fideiussore 
sarebbe lo stesso che intercorre tra fisco e contribuente. Al riguardo osserva che la 
solidariet� dell'obbligazione del fideiussore non altera l'autonomia dei due rapporti 
e non esclude che il fideiussore possa garantire solo una parte del debito principale 
(nella specie le somme indebitamente rimborsate dall'ufficio I.V.A. con i relativi @ 
interessi, con esclusione della pena pecuniaria). 

I 
r 1i1 

(1) La sentenza, evidentemente persuasiva, rivela la tendenza a non estendere i confini della 
giurisdizione speciale tributaria alle liti semplicemente accessorie al rapporto di imposta; in 
passato si � seguita la tendenza contraria (cfr. C. BAFILE, Alcune riflessioni sui limiti della 
giurisdizione speciale tributaria, in Riv. Dir. Trib., 1991, I ,721). 
~ 

I

�a11�1���~1111111-��1�x.C--
~ 
. . 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Con il quarto motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione 
degli artt. 2033 e 2036 codice civile in relazione all'art. 360 n. 3 codice procedura 

� civile nonch� vizio di motivazione, e deduce che la corte territoriale avrebbe 
trascurato di considerare che la domanda di ripetizione (parziale) delle somme 
pagate era regolata dalla disciplina generale sull'indebito oggettivo (2033 codice 
civile) e si fondava sul presupposto della non debenza, da parte di essa societ� 
assicuratrice, della pena pecuniaria inflitta alla contribuente in relazione all'oggetto 
della garanzia indicato nella clausola di cui all'art.3 della polizza fideiussoria. 

I motivi, che vanno esaminati congiuntamente nei profili che rilevano ai fini 
della decisione della questione di giurisdizione, meritano accoglimento sulla base 
delle seguenti considerazioni. 

L'art. 38-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972 n. 633, 
nel disciplinare le modalit� del rimborso richiesto dal contribuente per eccedenza 

I.V.A. risultante dalla dichiarazione annuale, prevede che il contribuente stesso 
possa conseguirlo in via accelerata, senza il previo riscontro della spettanza del 
credito, a condizione che egli presti idonea garanzia per la restituzione della somma 
ricevuta nel caso in cui l'ufficio, eseguiti successivamente i riscontri, rilevi che 
l'eccedenza non sussisteva. 
La garanzia pu� essere fornita, tra l'altro, mediante polizze fideiussorie 
rilasciate da imprese assicuratrici. In dette polizze � prevista una clausola-tipo, 
presente anche nel caso di specie, cos� formulata: �la societ� si obbliga a versare, a 
meno che non vi abbia gi� provveduto il contraente, senza eccezione alcuna, le 
somme richieste dall'ufficio I.V.A�. 

In tale disposizione, queste sezioni unite (v. sentenze nn. 8592/1996, 
3519/1994, 4966/1992) hanno ravvisato i caratteri del contratto autonomo di 
garanzia, riconosciuto da dottrina e giurisprudenza, e connotato -diversamente dal 
modello tipico della fideiussione -dalla non accessoriet� della obbligazione di 
garanzia rispetto all'obbligazione garantita. A tale conclusione hanno indotto sia la 
formula �senza eccezione alcuna� caratteristica di tale contratto, sia la �ratim> della 
garanzia che non � quella di sostituire e garantire il versamento dell'imposta, ma, 
pi� semplicemente e provvisoriamente di rimettere le parti del rapporto tributario 
nella posizione anteriore al rimborso. 

Sulla base degli esposti rilievi non pu� condividersi l'affermazione fatta dalla 
corte territoriale per ritenere sussistente la giurisdizione del giudice tributario, 
secondo la quale �il rapporto giuridico che intercorre tra fisco e fideiussore � lo 
stesso che intercorre tra fisco e contribuente�, come se il fideiussore fosse un 
sostituto o un responsabile d'imposta. 

N� appare esatta l'altra considerazione espressa nella sentenza impugnata, 
secondo cui loggetto della presente controversia sarebbe �l'accertamento 
dell'estensione del rapporto tributario, tale certamente essendo quello intercorrente 
tra fisco e contribuente, anche in relazione alla sola pena pecuniaria che trova radice 
nel tributo, sicch� ogni contestazione su questa coinvolge il credito tributario�. 

Nella specie, infatti, l'attuale ricorrente, nel proporre la domanda di ripetizione 
della somma di L. 2.357.000 (versata all'amministrazione finanziaria, per pena 
pecuniaria inflitta alla contribuente Imarredo s.r.l.), ha dedotto in giudizio il rapporto 
nascente dalla polizza fideiussoria (ed autonomo rispetto a quello tributario), senza 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

206 

porre minimamente in discussione il debito della contribuente concernente la pena 
pecuniaria alla stessa inflitta, ma assumendo che nell'oggetto dell'obbligazione di 
garanzia contrattualmente assunta non rientrava la somma dovuta dalla contribuente 
per pena pecuniaria. 

Il rapporto tributario �, pertanto, estraneo all'oggetto della presente 
controversia, poich� questa concerne solo il rapporto �privatistico� nascente dalla 
stipulazione della polizza fideiussoria. 

La conseguenza � che la controversia non rientra tra quelle devolute alla 
cognizione delle commissioni tributarie, ma rientra nella competenza 
giurisdizionale del giudice ordinario, ed in tali sensi deve essere emessa la 
pronuncia di queste sezioni unite. 

La sentenza impugnata va, pertanto, cassata e la causa va rimessa, anche per le 
spese di questa fase di giudizio, al tribunale di Pesaro, che ha pure declinato la 
giurisdizione, quale giudice di primo grado (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 5 settembre 1998, n. 8835 -Pres. Contillo -Est. 
Vitrone -P.M. Carnevali ( diff.) -Ministero delle Finanze ( avv. Stato Criscuoli) 

c. Mariani ( avv. Colantoni). 
Tributi (in generale) -Contenzioso tributario -Ricorso per cassazione Notificazione 
-Inesistenza e nullit� -Consegna dell'atto alle parti nel 
domicilio reale -Sanabilit�. 

La notificazione di un atto � inesistente solo quando differisce dal suo modulo 
legale in misura tale da impedire che possa inserirsi nello sviluppo del processo; in 
particolare la consegna dell'atto � inesistente solo quando venga effettuata in luogo 
e a soggetto totalmente estranei al destinatario; � soltanto nulla (e suscettibile di 
sanatoria con la rinnovazione o con la comparizione dell'intimato) quando la 
consegna sia eseguita in luogo ed a soggetto che, pur diversi da quelli indicati nella 
legge, abbiano un qualche riferimento con il destinatario. 

Conseguentemente � affetta da nullit� sanabile la notifica del ricorso per 
cassazione effettuata sul domicilio reale della parte anzich� presso il procuratore 
costituito (1). 

(1) Sentenza importante che modera il formalismo spesso dominante in materia di 
notificazioni. Accedere favorevolmente alla rinnovazione ex art. 291 codice procedura civile � un 
segnale di civilt� giuridica. Con la sanatoria � stata superata la questione della notificazione del 
ricorso per cassazione che presenta varie difficolt�. � infatti dubbio che l'art. 330 codice procedura 
civile possa applicarsi al processo tributario e che in particolare possa considerarsi procuratore 
costituito l'assistente tecnico dell'art. 12 del decreto legislativo 346/1992, che pu� essere persona 
che non ha dimestichezza con il processo ordinario. Pi� radicalmente � dubbio che l'assistenza 
tecnica sia rapportabile alla funzione procuratoria e non sia piuttosto una difesa senza 
rappresentanza con la conseguenza che sia del tutto inapplicabile l'art. 170 codice procedura civile. 
Nello stesso senso � la sent. 19 ottobre 1998 n. 10344. 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

(omissis) 

Va esaminata preliminarmente l'eccezione di nullit� insanabile della 
notificazione del ricorso per cassazione avvenuta per mezzo del servizio postale 
presso il domicilio reale delle parti e non nel domicilio eletto presso il procuratore 
costituito nel giudizio dinanzi alla commissione regionale. � 

L'eccezione non ha fondamento poich�, com'� noto, la notificazione dell'atto 
di impugnazione pu� ritenersi giuridicamente inesistente solo quando differisca dal 
suo modulo legale in misura tale da impedire che essa, per la sua abnormit�, possa 
inserirsi in alcun modo nello sviluppo del processo, e sia perci� insuscettibile di 
sanatoria, comportando l'impossibilit� di una sua rinnovazione e l'inammissibilit� 
dell'impugnazione che non venga riproposta in termini. 

Ci� premesso, se il vizio attiene alla fase della consegna dell'atto, la 
notificazione � inesistente solo quando venga effettuata in un luogo o ad un soggetto 
totalmente estranei al destinatario, mentre � nulla, e in quanto tale suscettibile di 
sanatoria, se abbia luogo mediante consegna di copia dell'atto in luogo o a soggetto 
che, pur diversi da quelli indicati dal codice di rito, abbiano un qualche riferimento 
con il destinatario dell'atto (Cass. 3 marzo 1997, n. 1868): ne consegue che la 
notifica del ricorso per cassazione effettuata al domicilio reale della parte anzich� 
presso il procuratore costituito nel giudizio nel quale � stata resa la sentenza 
impugnata determina non gi� l'inesistenza, ma solo la nullit� della notificazione, 
sanabile con la sua rinnovazione, ovvero con la notificazione del controricorso, o 
anche solo con la partecipazione alla discussione orale da parte del destinatario 
dell'atto (Cass. 23 giugno 1997, n. 5575). 

Essendo rimasta sanata la nullit� della notificazione del ricorso 
dell'Amministrazione per raggiungimento dello scopo, come risulta dalla 
notificazione del controricorso, pu� passarsi all'esame delle censure proposte contro 
la decisione impugnata (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 11 settembre 1998, n. 9023 -Pres. Cantillo -Est. 
Pignataro -P. G. Mele -Soc. Perfetti ( avv. Restano) c. Ministero delle Finanze 
(avv. Stato De Bellis). 

Tributi erariali diretti -Imposta sul reddito delle persone fisiche -Redditi di 
capitale -Obbligazioni di societ� commerciali -Ritenuta alla fonte operata 
dalla societ� emittente su somme erogate a titolo di rivalutazione del 
capitale asseritamente non imponibili prima della vigenza del TUIR � 
Domanda di rimborso del sostituto d'imposta -Sopravvenuta imponibilit� 
dei proventi in base al TUIR � Retroazione � Sussistenza � Condizioni � 
Effetti. 

(Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973 n. 597, art. 41 lett. d) -decreto 
del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973 n. 600, art. 26 -T.U. 22 dicembre 1986, 

n. 917, art. 41 lett. b) -decreto del Presidente della Repubblica 4 febbraio 1988 n. 42, art. 36). 
Il sostituto d'imposta (nella specie, societ� di capitali emittente di obbligazioni) 
che, pur vigendo l'art. 41 lett. d), decreto del Presidente della Repubblica 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

208 

29 settembre 1973 n. 597, abbia effettuato ritenute su somme corrisposte a titolo di 
rivalutazione del capitale, allora ipoteticamente non suscettibili di imposizione, non 
pu� ottenerne il rimborso, in quanto tali proventi sono stati assoggettati alla 
imposizione dal sopravvenuto art. 41 lett. b) TU 22 dicembre 1986 n. 917, e in quanto 
tale norma retroagisce, ai sensi dell'art. 36 decreto del Presidente della Repubblica 
4febbraio1988 n. 42, nel caso in cui la precedente dichiarazione sia conforme alla 
nuova normativa, a nulla rilevando, ai fini della norma di retroazione, la inesistenza 
di dichiarazioni del sostituito, ad essa non tenuto per legge (1). 

(omissis) 

Con il primo motivo la societ� ricorrente deduce l'erronea applicazione 
retroattiva alla fattispecie dell'art. 41 lett. b) del decreto del Presidente della 
Repubblica n. 917/1986 per falsa applicazione della norma di cui all'art. 36 del decreto 
del Presidente della Repubblica n. 42/1988. Al riguardo sostiene che la commissione 
tributaria centrale avrebbe errato nell'attribuire rilevanza, ai fini dell'applicazione di 
detta norma, ai comportamenti tenuti ed alle dichiarazioni presentate dai sostituti 
d'imposta (societ� Selebeta e Seledelta Holding), mentre a tal fine occorreva far 
riferimento al comportamento dei sostituiti (obbligazionisti persone fisiche percettori 
dei proventi in questione), unici soggetti passivi dell'imposta e �veri� contribuenti, i 
quali non avevano presentato alcuna dichiarazione al riguardo non essendovi tenuti 
per essere le ritenute alla fonte a titolo d'imposta. 

Col secondo motivo, denunziando omessa motivazione circa un punto decisivo 
della controversia, la societ� ricorrente deduce che la commissione tributaria 
centrale, per respingere la richiesta di rimborso, non avrebbe dovuto limitarsi a 
rilevare �l'esistenza di una nuova norma sostanziale retroattiva, la quale renda 
imponibile .... qualsiasi provento delle obbligazioni....�, ma avrebbe dovuto rilevare 
che nel 1979 non esisteva �una corrispondente norma di accertamento� che 
imponesse al �soggetto pagatore� di effettuare le ritenute, poich� l'art. 26 del 

(1) � di particolare interesse l'applicazione a sfavore del contribuente dell'art. 36 decreto del 
Presidente della Repubblica 42/1988, laddove prevede la retroazione delle norme del nuovo 
TUIR. Tale previsione appariva, di primo acchito, essere tesa a 'sanare' le irregolarit� commesse 
nel vigore della vecchia normativa che tali non sarebbero state con la nuova. Qui invece si 
afferma l'irripetibilit� di somme indebitamente percette tramite ritenuta d'imposta. 
L'art. 36 invero fa riferimento all'agire conforme alla nuova normativa, manifestato con 
la dichiarazione del contribuente, quasi un elemento di pubblicit�, di esternazione del 
comportamento. � evidente che la norma in questione, ove ci si attenesse a una interpretazione 
letterale del termine �dichiarazione�, non potrebbe trovare applicazione in tutti quei casi in cui 
il contribuente non sia tenuto a presentare una dichiarazione. Pertanto la Corte, con esegesi 
condivisibile, interpreta il dettato normativo qualificando �dichiarazione� -ai fini 
dell'applicazione dell'art. 36 e quindi della retroazione delle norme del TUIR -ogni 
comportamento del contribuente che sia attuativo del rapporto d'imposta. In tali termini il 
sostituto d'imposta, che aveva ritualmente eseguito e poi versato le ritenute non dovute ilio 
tempore, e reso la dichiarazione a lui propria, si � visto consolidare la ritenuta forse 
indebitamente -ratione temporis -operata. Ma -(e qui risiede lo spunto pi� interessante 
di riflessione -la Corte ha dovuto considerare in modo autonomo la posizione del 'vero' 
contribuente, il sostituito. L'argomento pi� forte della difesa avversaria consisteva, appunto, 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

209 

decreto del Presidente della Repubblica n. 600/1973 (nel testo allora vigente) 
prevedeva l'obbligo della ritenuta sui soli interessi, premi ed altri frutti corrisposti 
agli obbligazionisti e non sul rimborso della svalutazione del capitale. 

I due motivi, che vanno esaminati congiuntamente essendo logicamente 
connessi, sono infondati. 

L'art. 36 del decreto del Presidente della Repubblica 4 febbraio 1988 n. 42 (recante 
disposizioni correttive e di coordinamento sistematico-formale, di attuazione e 
transitorie relative al testo unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del 
Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986 n. 917) stabilisce: �Le disposizioni del 
testo unico non considerate nei precedenti articoli di questo capo hanno effetto anche per 
i periodi di imposta antecedenti al primo periodo di imposta successivo al 31 dicembre 
1987, se le relative dichiarazioni, validamente presentate, risultano ad esse conformi�. 

La Corte Costituzionale, con sentenza del 17 febbraio 1994 n. 38, ha dichiarato 
l'infondatezza della questione di legittimit� costituzionale di detto articolo (con 
riferimento agli artt. 3, 53, 76 e 77 Cost), nella parte in cui, al fine di eliminare 
controversie in ordine all'interpretazione delle norme previgenti, rende applicabili 
le disposizioni dettate dal citato decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 
1986 anche per i periodi d'imposta antecedenti a quelli nello stesso considerati, se 
le dichiarazioni, validamente presentate, risultino conformi a tali disposizioni. 

La giurisprudenza di questa corte (v. sentenze nn. 2947/1996, 10026/1955, 
4037/1995) ha gi� posto in rilievo che il presupposto per rendere operante l'effetto 
di retroazione previsto dall'art. 36 del decreto del Presidente della Repubblica n. 
42/1988 e quindi per rendere applicabili alle fattispecie pregresse, le disposizioni del 
nuovo testo unico sulle imposte dirette, � costituito dalla conformit� delle 
dichiarazioni validamente presentate a tali disposizioni, precisando che il 
presupposto per la retroazione dello <<jus superveniens� non viene meno quando la 
spontanea conformazione anticipata alla nuova disciplina sia stata, per cos� dire 
neutralizzata con la presentazione dell'istanza di rimborso. 

nell'assunto che, in assenza di una dichiarazione anche del sostituito, l'art. 36 non avrebbe 
potuto operare. 

Ma le due posizioni sono autonome. Da una parte, per il sostituto � rilevante ai fini della 
retroazione delle nuove norme, esclusivamente il proprio agire manifestato con la dichiarazione 
resa. Dall'altra il sostituito pu� chiedere il rimborso di quanto ingiustamente, in ipotesi, 
trattenuto, non potendosi ritenere -per non trarre conseguenze esegetiche in contrasto con il 
diritto di difesa del sostituito, ex art. 24 Cost -che il comportamento del sostituto lo pregiudichi. 

L'istanza di rimborso va proposta nei noti termini di decadenza ex art. 38 decreto del 
Presidente della Repubblica 602/1973. 

Tuttavia, si deve argomentare, che anche il sostituito, bench� non tenuto a una dichiarazione, 
possa -indipendentemente dalla decadenza di cui sopra -far retroagire la nuova norma, se 
tiene un comportamento esterno conforme. Ci� potr� avvenire, in particolare, nel caso in cui il 
sostituito, in possesso delle certificazioni del sostituto d'imposta, ne faccia uso nella propria 
dichiarazione dei redditi, senza nulla contestare: in tal modo anche per lui potr� trovare 
applicazione la norma di cui all'art. 36, essendo la dichiarazione del contribuente conforme al 
nuovo assetto normativo. 

R.o.F. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAT�

210 

Secondo la tesi della ricorrente la norma dell'art. 36 del decreto del Presidente 
della Repubblica n. 42/1988 non sarebbe applicabile nel caso in esame, non potendo 
attribuirsi rilievo al comportamento del sostituto d'imposta, poich� solo il sostituito 
� il �vero� contribuente ed il soggetto passivo d'imposta. 

La tesi non pu� essere condivisa. 

Il sostituto d'imposta, secondo la definizione data dall'art. 64 del decreto del 
Presidente della Repubblica n. 600/1973, � colui che � tenuto al pagamento di imposte 
in luogo di altri per fatti o situazioni a questi riferibili. Egli � un debitore in proprio (e 
non un semplice responsabile per un debito altrui), che sostituisce del tutto il percipiente 
delle somme sottoposte a ritenute alla fonte a titolo d'imposta il quale � esonerato 
dall'adempll:nento dei relativi obblighi strumentali (come quello di dichiarazione). 

Nella fattispecie concreta la controversia ha per oggetto la richiesta, da parte del 
sostituto d'imposta, del rimborso delle ritenute operate a titolo d'imposta sulle 
somme corrisposte agli obbligazionisti per svalutazione del capitale oggetto del 
prestito obbligazionario, somme che sono sottoposte a tassazione dall'art. 41 lett. b) 
del nuovo testo unico n. 917 del 1986. 

Il comportamento in base al quale va verificato l'effetto di retroazione della 
nuova normativa � (e non pu� non essere che) quello tenuto dallo stesso sostituto 
d'imposta (ossia dalla societ� emittente le obbligazioni), dovendosi intendere il 
termine �dichiarazione� come comprensivo di ogni comportamento idoneo ad 
ottemperare all'obbligo tributario in modo conforme alla nuova normativa. 

Le societ� emittenti delle obbligazioni, come ha accertato la decisione impugnata, 
hanno operato le ritenute in questione; hanno effettuato i relativi versamenti e hanno 
provveduto alla presentazione della dichiarazione prevista dall'art. 7 del decreto del 
Presidente della Repubblica n. 600/1973 -che pure assume rilievo ai fini dell'art. 36 
del decreto del Presidente della Repubblica n. 42/1988 (v. Cass. 17 novembre 1992 

n. 12297) -ritenendosi obbligate ad effettuare le ritenute in base alla normativa 
all'epoca vigente, cio� all'art. 41 lett. d) del decreto del Presidente della Repubblica 
n. 597/1973 ed alla norma dell'art. 26, 1� comma del decreto del Presidente della 
Repubblica n. 600/1973 quale �norma d'accertamento� secondo l'espressione usata 
dalla ricorrente, cos� come interpretata dalle stesse societ�. 
Deve ritenersi, pertanto, corretta la conclusione alla quale � pervenuta la 
decisione impugnata, essendosi realizzate le condizioni alle quali l'art. 36 del 
decreto del Presidente della Repubblica n. 42 del 1988 subordina la retroazione delle 
norme del decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986. 

Infatti, se il comportamento del sostituto di imposta costituisce adempimento 
del debito tributario, con effetto pienamente satisfattivo anche nei confronti del 
percettore del reddito, al quale non si richiede alcuna distinta dichiarazione, non 
sussiste ragione per la quale la retroazione della nuova normativa debba essere 
subordinata ad una non prevista dichiarazione del percettore. 

In conclusione il ricorso principale va rigettato, restando assorbito quello 
incidentale condizionato con il quale si censura l'affermazione contenuta nella 
decisione impugnata, secondo cui l'assoggettabilit� a tassazione delle somme in 
questione �parrebbe non rientrare in alcuna delle ipotesi di cui agli artt. 41 del 
decreto del Presidente della Repubblica, n. 597/1973 e 26 del decreto del Presidente 
della Repubblica n. 600/1973�. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

211 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 23 settembre 1998, n. 9497 -Pres. Sensale -Est. 
Cicala -P.G. Schir� (conf.) -Consorzio Nucleo di Balvano (avv. Berliri) c. 
Ministero delle Finanze ( avv. Stato De Stefano). 

1�ibuti erariali indiretti -Imposta sul valore aggiunto -Rimborso -Interessi 
dovuti dall'Amministrazione Finanziaria -Anatocismo -Spettanza Esclusione. 


(Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, art. 38-bis, I comma; 
art. 1283 codice civile). 

La disciplina di cui all'art. 1283 codice civile non trova applicazione in 
materia di interessi moratori su crediti tributari, poich� in materia tributaria gli 
effetti della mora debendi sono regolati compiutamente dalle disposizioni della 
legge speciale (fattispecie in tema di rimborso IVA) (1). 

(1) Scorrendo l'elenco delle numerose disposizioni in tema di interessi moratori dovuti dalla 
P.A. in fattispecie di rimborso d'imposta non sembra esservi spazio per un'applicazione del 
saggio legale d'interesse. 
Per le tasse e imposte indirette vige la legge 26 gennaio 1961, n. 29, richiamata anche dal T.u. di 
Registro (approvato con decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131), art. 77, e dal 

T.u. Successioni (approvato con decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346), art. 55, per l'imposta di 
registro e l'imposta sulle donazioni, norme a loro volta richiamate dall'art. 31 del decreto del 
Presidente della Repubblica 643/1972 per la relativa INVIM. Per altre imposte indirette sussiste una 
disciplina derogatoria della legge 29 del 1961 (art. 93 del decreto del Presidente della Repubblica 
23 gennaio 1973, n. 43 per le imposte doganali e l'IVA connessa; art. 38-bis del decreto del Presidente 
della Repubblica 633/1972 per l'IVA; art. 13, IV comma decreto legislativo 31ottobre1990, n. 347 
per le imposte ipotecarie e catastali; art. 16 decreto-legge 26 maggio 1978, n. 216 in materia di imposte 
di fabbricazione e consumo; art. 37, II comma, T.u. Successioni per l'imposta di successione (e 
corrispondente INVIM, giusta il richiamo dell'art. 31 del decreto del Presidente della Repubblica 643 
cit.); per la Tarsu e il plateatico vedi rispettivamente artt. 75, comma IV e 51, comma VI del decreto 
legislativo 15 novembre 1993, n. 507; per la ICIAP l'art. 4, VI comma del decreto-legge 2 marzo 1989, 
n. 66; per l'imposta di pubblicit� l'art. 23, IV comma del decreto legislativo 507/1993). 
Per le imposte dirette sui redditi si rinvia agli artt. 44 e 44-bis del decreto del Presidente della 
Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, richiamati altres� dalle tre patrimoniali straordinarie del 
1992 -sui conti correnti, sugli immobili, sul patrimonio netto delle imprese -in base al VII 
comma dell'art. 7 del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 e all'art. 3, IV comma, decreto-legge 
30 settembre 1992, n. 394; quanto all'ICI dispone l'art. 13, I comma, decreto legislativo 507/1993. 

Va notato come il tasso d'interesse sia il medesimo per la mora del contribuente e per la 
mora del Fisco. Intuitivamente, data l'identit� del regime, l'esclusione dell'anatocismo per i 
crediti della P.A. aventi natura pubblicistica comporta una identica soluzione nel caso reciproco. 

Qui si controverte in tema di anatocismo e, con un'argomentazione di portata generale, 
pienamente condivisibile, che si tenter� di approfondire, si esclude l'applicazione 
dell'anatocismo in virt� della specialit� ed esaustivit� della normativa tributaria. Va osservato che 
numerosa giurisprudenza di merito ha, invece, ammesso l'istituto (cfr. Commissione tributaria 
centrale, decisioni 2417/1995 e 3202/1995, in Boli. Trib., 1996, 407), al punto che la stessa Corte 
Costituzionale nel decidere sul prospettato vizio di legittimit� dell'art. 38-bis del decreto del 
Presidente della Repubblica 633/1972, nella parte in cui non prevede la spettanza degli interessi 
composti, ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione ritenendo che il �diritto 
vivente� fosse esattamente in quel senso orientato (Corte Costituzionale, ordinanza 266/1996). 



RASSEGNA AVVOCATIJRA DELLO STATO

212 

(omissis) 

Il motivo di ricorso merita accoglimento. 

� bens� vero che nella sua ordinanza n. 266 del 19 luglio 1996 la Corte 
Costituzionale ha dichiarato la manifesta infondatezza della eccezione di 
legittimit� costituzionale sollevata avverso l'art. 38-bis, 1� comma del decreto del 

Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, in quanto �la premessa dalla 
quale muove il giudice rimettente, e cio� quella dell'esistenza di un 'diritto 
vivente' nel senso dell'inapplicabilit� dell'art. 1283 del codice civile ai rimborsi 
IVA, non trova riscontro nella giurisprudenza ordinaria e tributaria, orientata, 
invece, a ritenere che la disciplina degli interessi anatocistici concerna anche le 
obbligazioni qui in esame�. 

Tuttavia il cenno della Corte Costituzionale � superato dalla sentenza 10 luglio 
1996, n. 6310 di questa Corte secondo cui la disciplina concernente gli interessi 
anatocistici non trova applicazione in materia tributaria, ove prevalgono le 
disposizioni speciali che regolano compiutamente gli effetti della mora debendi. 

Questa pronuncia �, del resto, conforme ad altra decisione (sia pur relativa 
all'art. 199-bis, decreto del Presidente della Repubblica 29 gennaio 1958, n. 645) 
secondo cui gli interessi sui crediti verso lo Stato, derivanti da rimborsi di tributi, 
sono assoggettati in considerazione della specialit� della materia fiscale ad una 
disciplina diversa da quella adottata in campo civilistico, con la conseguenza che 
tale specifica normativa assorbe e sostituisce la seconda, sicch� agli interessi nella 
misura dalla stessa fissata non sono cumulabili gli interessi legali determinati 
dall'ordinaria normativa codicistica (Cass. 6 dicembre 1991, n. 13137). 

Si ritiene comunemente che il risalente e tradizionale (cfr. C.4.32.28.1: Quapropter hac 
apertissima lege definimus nullo modo licere cuidam usuras futuri vel praeteriti temporis in 
sortem redigere et earum iterum usuras stipulari) divieto di anatocismo sia un principio generale. 
Nei limiti in cui esso � consentito, se ne � limitata l'applicazione alle sole obbligazioni pecuniarie, 
escludendolo per gli interessi c.d. compensativi, attesa la assoluta eccezionalit� della disposizione 
(cfr. tra le numerosissime decisioni, Cass. 5506/1994, 13508/1991, 2296/1990). 

La sentenza in esame � conforme alla precedente 6310/1996 della stessa Sezione, in ordine 
alla quale il primo contributo dottrinale (FossA M., Interessi anatocistici richiesti dalla 

I 

Amministrazione Finanziaria, in Dir. Prat. Trib., 1998, 3, II, 581 e ss.) ha dubitato della ~ 
possibilit� di adoperare lo schema interpretativo della specialit�, in quanto, non rinvenendosi ] 
espresse deroghe normative, in campo tributario, all'art. 1283 codice civile, esso dovrebbe .&I~. 
applicarsi attesa la sua natura di norma di diritto comune. � invece da obiettare che non tutte le 

norme del codice civile costituiscono �diritto comune�, e in particolare proprio l'art. 1283 cit. ha 

~

caratteri di assoluta eccezionalit�. Ne consegue che, non dovendosi, in ambito di jus speciale ~ 
(perch� derogatorio della misura degli interessi legali) espressamente derogare ad altre norme ~ 
eccezionali, queste ultime non trovano applicazione di per s�. 

t,,::. 

L'unica eccezione potrebbe essere data dal caso di un tributo per cui non sia fissato un tasso ,. 
speciale di interesse di mora: trovando allora applicazione il tasso legale stabilito dal Codice si 

;,f.= 

dovr� concludere che trovi applicazione anche la norma di cui all'art. 1283 codice civile. Ci�, i: 
ovviamente, dovendosi escludere in subiecta materia un anatocismo convenzionale, potr� darsi '' 
solo in caso di anatocismo giudiziale. ~:

I 

R.o.F. f.: 
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r11��llllil4'llA��t1l~4'/l-.,_,,� .,. 
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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

213 

N� questo indirizzo giurisprudenziale appare in contrasto con le disposizioni 
costituzionali poich� rientra nella discrezionalit� del legislatore scegliere il regime 
degli interessi propri dei diversi crediti: mentre la specificit� del rapporto tributario 
giustifica diversit� di disciplina che del resto sotto taluni profili giovano, ma sotto 
altri nuocciono, al creditore, come dimostra proprio la vicenda conclusa con la citata 
sentenza 6310/1996, in cui era lo Stato a richiedere gli interessi anatocistici. 

Non essendo necessari accertamenti in fatto, � possibile decidere nel merito 

(omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 9 ottobre 1998 n. 9965 -Pres. Corda -Est. 
Graziadei -P.M. Maccarone ( conf.) -Ministero delle Finanze ( avv. Stato 
Salimei) c. Fauci. 

Tributi erariali diretti -Imposte sul reddito -Reddito risultante dalla 

dichiarazione -Liquidazione dell'imposta art. 36-bis decreto del Presidente 

della Repubblica 29 settembre 1973 n. 600 -Condonabilit� -Esclusione. 

(Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973 n. 600, art. 36-bis; decreto


legge 10 luglio 1982 n. 429, art. 32). 

Poich� il condono del decreto-legge n. 429/1982 (al pari degli altri simili) � 
indirizzato a prevenire o eliminare il contenzioso inerente a redditi dichiarati di cui 
l'ufficio postula l'accertamento, non possono essere compatibili con il condono i 
crediti certi e incontestabili tra i quali vanno ricompresi i crediti liquidati in base alla 
dichiarazione ex art. 36-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 600/1973; 
la norma del!' art. 32 del decreto-legge 429/ 1982 secondo la quale il condono fa salvi 
gli effetti della anteriore liquidazione ex art. 36-bis non esclude che allo stesso modo 
la liquidazione ex art. 36-bis possa seguire la definizione per condono (1). 

(omissis). 

Il ricorso � fondato. 

In tema di tributi diretti, il condono di cui al decreto-legge n. 429 del 1982 
(come del resto quello contemplato da analoghi provvedimenti legislativi) si 
riferisce ai redditi non denunciati o denunciati in misura inferiore, � indirizzato a 
prevenire od eliminare il contenzioso che possa insorgere o sia insorto a seguito 
dell'esercizio da parte dell'ufficio del potere-dovere di accertare detta omissione 
(totale o parziale), ed esige la presentazione di una dichiarazione integrativa, per il 
computo, sulla scorta di criteri predeterminati a secondo che sia stato o meno 
notificato avviso di accertamento, di un'obbligazione aggiuntiva a carico del 
contribuente, con l'effetto di evitare l'accertamento medesimo o di estinguere la 
controversia in corso sulla sua legittimit� (artt. 14, 16, 19). 

(1) Giurisprudenza ormai costante: nello stesso senso le sentenze nn. 8435, 9958, 9964 del 
1998. La pronuncia, da condividere pienamente, oltre a chiarire una questione sul condono, 
definisce i caratteri della liquidazione ex art. 36-bis. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STA'.I'O

214 

Il condono, pertanto, non riguarda, e non potrebbe riguardare alla luce della sua 
finalit� di evitare od elidere cause tributarie (assicurando all'Amministrazione 
incassi immediati pure se potenzialmente inferiori a quelli conseguibili per il tramite 
di accertamento o di proseguimento del relativo contenzioso), crediti certi ed 
incontestabili, gi� definitivamente quantificati, oppure quantificabili in forza di 
elementi pacifici. 

In tale ultima ipotesi rientra la �liquidazione in base alla dichiarazione� di cui 
all'art. 36-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, atteso 
che, con essa, l'ufficio non riscontra omissioni del denunciante, ma rivede l'entit� 
dell'obbligazione d'imposta, secondo i dati forniti dal debitore, correggendo 
eventuali errori. 

L'inidoneit� del condono ad incidere su detta liquidazione, indipendentemente 
dalla sequela temporale, � evidenziata dal medesimo art. 36-bis, ove stabilisce che 
la sua applicazione non pregiudica l'azione accertatrice (cui il condono si riferisce), 
senza distinguere a secondo che l'una preceda o segua l'altra, cos� confermando il 
distinto ambito dei due istituti. 

L'art. 32 primo comma del decreto-legge n. 429 del 1982, quando fa salvi gli 
effetti della liquidazione in base alla dichiarazione che sia intervenuta prima 
dell'istanza di definizione agevolata, per poi escludere che le variazioni con essa 
apportate possano rifluire sul quantum dovuto a titolo di condono, fa puntuale 
applicazione dell'indicata autonomia. 

La norma non pu� sottendere, come sembra ritenere la Commissione centrale, 
un canone di segno opposto, ove la domanda di condono preceda la liquidazione 
correttiva, vale a dire un'implicita previsione di �non salvezza� dell'art. 36-bis dopo 
la presentazione della domanda medesima. 

Una disposizione in tal senso, traducendosi in un'eccezione al criterio generale, 
non potrebbe prescindere da un'espressa deroga. 

L'introduzione di siffatta deroga in modo indiretto, cio� per il tramite di una 
delimitazione dell'area di operativit� della regola generale, non sarebbe coerente 
con una previsione di mera salvezza, che � naturalmente propria della volont� del 
legislatore di esplicitare la conciliabilit� fra due norme. 

Una difforme esegesi della portata della predetta �salvezza�, peraltro, 
implicherebbe sospetti d'illegittimit� costituzionale, in relazione agli artt. 3 e 53 della 
Costituzione (con la conseguenziale necessit� di prescegliere, fra le possibili 
interpretazioni, quella rispettosa dei precetti costituzionali), tenendosi conto che 
determinerebbe un'ingiustificata disparit� di trattamento in situazioni omogenee, 
consentendo, soltanto al contribuente che riesca a precedere con l'istanza di condono 
la correzione degli errori commessi in sede di dichiarazione, di liberarsi del pagamento 
di quanto dovuto in base alla dichiarazione stessa, senza alcun esborso additivo (dato 
che l'ammontare da versarsi ai fini del condono resta insensibile a tali errori). 

Alla soluzione adottata, infine, non sono opponibili l'irrevocabilit� della 
domanda di condono e l'immodificabilit� della definizione con essa ottenuta (se non 
per errore materiale o violazione della normativa del condono medesimo); la 
liquidazione ex art. 36-bis, anche se successiva, tocca una parte del rapporto 
tributario diversa da quella cui si riferisce il condono, sicch� non ne comporta 
revoca o variazione. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

215 

In conclusione, dandosi continuit� all'orientamento gi� espresso da questa 
Corte con la sentenza n. 8069 del 27 agosto 1997, si deve affermare che la 
liquidazione in base alla dichiarazione, di cui all'art. 36-bis del decreto del 
Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, non � preclusa dall'anteriore 
presentazione d'istanza di definizione agevolata a norma del decreto-legge n. 429 
del 1982. 

Il principio richiede, con l'accoglimento del ricorso, l'annullamento della 
decisione impugnata, ed inoltre esige, in applicazione dell'art. 384 primo comma 
(nuovo testo) codice procedura civile, non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, 
la reiezione della domanda proposta dal contribuente con l'impugnazione 
dell'iscrizione a ruolo (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 26 ottobre 1998 n. 10614 -Pres. Corda -Rei. 
Cappuccio -P.G. (conci. diff.) -Maccarone -soc. Mediocredito Toscano (avv. 
Di Mauro) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato De Giovanni), Fallimento soc. 
Nuova Versilcars e altri. 

Fallimento e procedure concorsuali -Ripartizione dell'attivo -crediti in 
prededuzione -Imposte dovute in base al condono di cui alla legge 30 
dicembre 1991 n. 413 -Inclusione -Fallimento e altre procedure 
concorsuali -Ripartizione dell'attivo -Vendita o realizzo di immobili 
gravati da cause speciali di prelazione -Concorso tra creditori 
privilegiati e crediti prededucibili -Limiti -Tributi in generale Sanatorie 
e condoni -Legge 30 dicembre 1991 n. 413 -Credito erariale 
conseguente al condono -Ipoteca a garanzia -Concorso con altre cause 
di prelazione -Effetti. 

(Legge 30 dicembre 1991 n. 413, art. 61, comma 2 e art. 111, n. 1 legge fall.; artt. 54, 107 e 
109 legge fall.; codice civile art. 2852). 

L'art. 61, comma secondo, della legge 30 dicembre 1991 n. 413 equipara il 
credito dell'erario per le somme dovute a seguito del condono fiscale previsto dalla 
stessa legge ai crediti prededucibili di cui all'art. 111, n. 1, legge fall. (1). 

(1-3) La sentenza in esame presta il destro a interessanti osservazioni. 

Va premesso che il curatore fallimentare pu�, sentito il comitato dei creditori e ottenuta la 
autorizzazione del Giudice Delegato, presentare istanza di condono ai sensi della legge 30 
dicembre 1991 n. 413, e che i relativi crediti fiscali sono equiparati a quelli prededucibili a norma 
dell'art. 111 n. 1 legge fall. Tale disposizione � appunto finalizzata a un realizzo non solo pi� 
rapido, ma preferenziale -rispetto agli altri creditori -della pretesa erariale. 

Nel caso di specie l'Amministrazione si era anche munita di ipoteca ai sensi della legge 
4/1929, che era stata iscritta su un immobile gi� gravato da altra simile garanzia reale. Il 
Giudice Fallimentare, in sede di riparto aveva, con provvedimento confermato dal Tribunale a 
seguito di reclamo (e quindi impugnato in questa sede) fatto prevalere il credito del Fisco, 
argomentando che tale soluzione, bench� derogasse vistosamente alla ordinaria disciplina delle 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAT-0

216 

I creditori muniti di privilegio speciale o di ipoteca su un immobile realizzato 
nel corso della procedura fallimentare non sono pregiudicati dai creditori di cui 
all'art. 111, n. 1 legge fall., se non per i crediti prededucibili che si riferiscano ad 
attivit� che abbiano arrecato vantaggi o utilit� allo specifico bene oggetto di 
prelazione (2). 

L'art. 61, comma secondo, della legge 30 dicembre 1991 n. 413 non altera 
l'ordine delle cause di prelazione, sicch� l'ipoteca iscritta a garanzia dei crediti 
dell'erario dovuti a seguito del condono fiscale di cui alla stessa legge non prevale 
sulle ipoteche di grado anteriore (3). 

(omissis) 

Va premessa, sulla base degli -scarsi -accenni del decreto e del ricorso, la 
ricostruzione della fattispecie. Si deve presumere, dunque, che il curatore del 
fallimento Nuova Versilcars s.r.l., ottenuti i pareri e le autorizzazioni necessari, 

cause di prelazione, fosse l'unica in grado di assicurare effetti all'espresso disposto dell'art. 61, 
comma Il, legge 413/1991. 

La Corte ha risolto il conflitto non solo osservando che la norma medesima non aveva in 
nulla innovato all'ordine delle cause di prelazione -il che, peraltro, � vero, atteso che non pare 
ortodosso inferire in modo implicito una deroga al regime delle stesse che, come � noto 
eccezionale, perch� derogatorio del principio generale di cui all'art. 2740 codice civile -ma 
applicando una risalente regola giurisprudenziale -mai disattesa -che d� rilevanza, con 
riferimento al riparto del ricavo degli immobili acquisiti all'attivo e realizzati, ai soli crediti 
prededucibili relativi ad attivit� dell'Ufficio che abbiano incrementato il valore -o comunque 
recato uno specifico vantaggio -all'immobile venduto. 

Infatti la legge fallimentare prevede che il ricavo della vendita di ciascun immobile 
dell'attivo -sia che avvenga con surroga del Curatore ai sensi dell'art. 107 I comma in una 
esecuzione precedentemente pendente, sia che avvenga in seno alla procedura ex art. 108, sia, 
infine, che si tratti di ricavo di vendita in sede esecutiva precedentemente compiuta, non ancora 
distribuito e acquisito all'attivo (e nel caso rientra il ricavo della esecuzione esattoriale: artt. 51 e 
88 decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973 n. 602) sia accantonato in un conto 
speciale -uno per ciascun immobile: art. 107 III comma -e sia subito distribuito dal Giudice 
Delegato (art. 109). Poich� i creditori muniti di privilegio speciale o ipoteca hanno diritto di 
essere soddisfatti in tale sede ex art. 54 legge fall., si � ritenuto conforme al sistema di non far 
gravare sull'insieme dei creditori anche i debiti in prededuzione relativi ad attivit� che non 
abbiano giovato a tali specifici immobili. Tali debiti sono allora prededotti in sede di riparto 
parziale ex art. 109, e in essi va compreso l'anticipo del compenso del curatore, da liquidarsi ex 
art. 109 II comma legge fall. 

Tra le spese de quibus -il cui apprezzamento come utili al bene realizzato � questione di 
merito -rientrano quelle di amministrazione e di liquidazione, quelle incrementative e di 
manutenzione, e, con clausola generale monotonamente ripetuta, quelle specificamente utili al 
bene gravato della garanzia reale. 

Nel caso in commento, la Suprema Corte ha fatto buon governo di tale -ineccepibile regola 
dichiarando che al primo creditore ipotecario non potevano essere opposti in prededuzione 
tutti i crediti ex art. 61, II comma, legge fall., ma solo quelli che a giudizio del giudice di rinvio 
avessero superato tale vaglio di �Specifica utilit�� e salvo ritenere che i crediti erariali da condono 
avessero mantenuto le originarie e specifiche cause di prelazione proprie delle obbligazioni 
tributarie, per imposte, sanzioni e interessi, per le quali era stata presentata istanza. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

217 

abbia presentato istanza di condono fiscale ai sensi della legge 413/1991 e che il 
fisco, nell'accoglierla, abbia provveduto ad iscrivere ipoteca fiscale, ai sensi 
dell'art. 26 della legge 4/1929 od ai sensi degli artt. 669 e seguenti codice 
procedura civile. Nonostante che tale ipoteca sia pacificamente successiva a 
quella iscritta dal Mediocredito Toscano s.p.a. (per una somma capitale che viene 
indicata dalla ricorrente societ� nell'ammontare complessivo di L. 676.188.806, 
conseguente a due finanziamenti accordati nel 1983/1984) il piano di riparto 
parziale dell'importo ricavato dalla vendita dell'immobile ipotecato prevedeva la 
estinzione del credito fiscale a preferenza di quello del Mediocredito che non 
trovava, quindi, capienza in sede privilegiata. Il giudice delegato nel rendere 
esecutivo il riparto ed il tribunale in sede di reclamo giustificavano tale soluzione 
con l'affermazione che il disposto dell'art. 61 legge 413/1991 �non pu� che 
comportare, per non svuotarsi di contenuto, una alterazione nell'ordine delle 
prelazioni�. 

A nostro parere non pu� parlarsi di effetto novativo del condono, con conseguente 
estinzione, per il principio generale di cui all'art. 1232 codice civile, delle originarie cause di 
prelazione. Premesso, da un punto di vista formale, che il condono fiscale non � l'incontro di due 
volont�, perch� la P.A. � tenuta ad accettare l'istanza sol che ricorrano le condizioni di legge, va 
notato che non si tratta certamente, dal punto di vista ontologico, della sostituzione di un obbligo 
con un altro, tipico delle fattispecie di oblazione. La legge 413 definisce espressamente imposte 
quelle dovute a seguito delle dichiarazioni integrative, e sanzioni -sia pure ridotte, come nei 
casi degli artt. 35 e 47 -quelle che residuano. 

Particolarmente importante � la norma dell'art. 39, in tema di riscossione di tali importi: �Le 
imposte dovute in base alle dichiarazioni integrative... sono riscosse mediante versamento 
diretto ... �. 

Perci� deve ritenersi che tutte le cause di prelazione permangano, tanto quelle originarie 
(privilegi) che quelle sopravvenute (ipoteche); beninteso, con la applicazione degli ordinari criteri 
in tema di ordine delle preferenze. 

La adesione al condono non consiste che nella determinazione del dovuto, ma sempre a 
titolo della medesima obbligazione il cui oggetto o la cui esistenza sia in contestazione. 
Perci� l'obbligazione, seppur ridotta nell'ammontare dovuto, manterr� le sue cause di 
prelazione non venendo in questione alcun effetto novativo. 
Nel caso di specie, dunque, l'Erario avrebbe dovuto far preliminarmente valere i propri 
privilegi speciali immobiliari. 

In secondo luogo, e di fronte a creditori con causa di prelazione anteriore, si sarebbe dovuto 
provare che la istanza di condono avesse giovato all'immobile. L'unica ipotesi plausibile pu� essere 
quella della riduzione di un credito erariale concorrente sullo stesso immobile e munito, a sua volta, 
di una prelazione di grado pari o anteriore a quella dell'altro prelazionario, cui si opponga la 
prededuzione. In tale caso, infatti, la istanza di condono avrebbe l'effetto -almeno nella generalit� 
dei casi -di ridurre la pretesa erariale e quindi di aumentare la capienza dell'altro credito. 

La conclusione, abbastanza paradossale, � che in tutti i casi in cui l'istanza di condono pu�, 
nel riparto del ricavo di un immobile in sede fallimentare, dar luogo a un credito prededucibile lo 
stesso credito � gi� di per s� assistito da un privilegio sufficiente ad assicurarne il realizzo (salvo 
il caso, abbastanza scolastico, di pari grado di prelazione). 

In terzo luogo, deve comunque ritenersi non inutile la iscrizione dell'ipoteca effettuata dal 
fisco in quanto essa, seppur cedendo alle ipoteche anteriori, aumenta le chances di realizzo dei 
crediti tributari originariamente non privilegiati. 

R.o.F. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO. 

218 

Sulla ricorribilit� per cassazione del provvedimento, limitatamente alle 
eventuali violazioni di legge, non possono sussistere dubbi (cfr. Cass. 5020/1995), 
dal momento che il decreto, emesso dal tribunale ai sensi dell'art. 26 legge 
267 /1942, incide sulla realizzabilit� del credito vantato dalla ricorrente che, 
privilegiata sull'immobile ma insoddisfatta, viene a concorrere sull'ulteriore attivo 
solo in via chirografaria (art. 54 legge fall. ). Si tratta quindi di provvedimento non 
solo definitivo, perch� la legge non prevede altro mezzo di gravame, ma con portata 
decisoria, perch� viene ad incidere su posizioni di diritto soggettivo (S.U. 9 aprile 
1984 n. 2255; S.U. 23 maggio 1984 n. 3166), quali sono l'ordine delle prelazioni ed 
i diritti del creditore ipotecario. 

Col primo motivo di censura la ricorrente denuncia violazione e falsa 
applicazione degli artt. 107, 109, 111 e 113 della legge fallimentare, nonch� 
degli artt. 53 e 54 sempre della legge fallimentare, sostenendo che � errato 
soddisfare i crediti prededucibili con precedenza rispetto ai crediti ipotecari, a 
meno che i crediti prededucibili non si colleghino ad attivit� direttamente volte 
ad incrementare, amministrare e liquidare i beni ipotecati. L'art. 109 legge fall., 
infatti, richiama la normativa fallimentare in tema di riparto solo sul piano 
procedurale mentre rimette al diritto sostanziale l'ordine dei privilegi, come del 
resto risulta indirettamente confermato dalla previsione di un conto speciale per 
le vendite dei singoli immobili, secondo il dettato dell'art. 107 legge fall., dalla 
particolare forza attribuita, ai crediti assistiti da garanzia reale, dagli artt. 53 e 
54 legge fall. e dal consolidato orientamento giurisprudenziale (Cass. 
3 novembre 1981 n. 5784). 

Col secondo motivo di censura sostiene, in subordine, la ricorrente la violazione 
e falsa applicazione degli artt. 111 e 113 legge fall., dell'art. 61 legge 413/1991 e 
dell'art. 2852 codice civile, assumendo che le somme dovute all'erario dovrebbero 
essere imputate proporzionalmente non solo al ricavato degli immobili ma anche a 
quello degli altri cespiti e che dalla norma sul condono fiscale non pu� derivare una 
postergazione delle ipoteche di grado precedente. 

I due motivi vanno esaminati congiuntamente perch� prospettano due diverse 
interpretazioni dello stesso decreto. Si assume, sotto il primo profilo, che l'ordine di 
riparto � stato motivato da una -errata -prelazione del credito fiscale, di massa, 
rispetto al credito ipotecario; si assume, sotto il secondo, che la prededuzione non 
giustifica la sovversione dell'ordine delle ipoteche. 

Il decreto poteva, in astratto, giustificare la priorit� accordata al credito 
fiscale facendo leva o sul carattere di massa del credito, o sul privilegio speciale 
da cui era, in ipotesi, assistito, o sulla specialit� della disciplina dettata dall'art. 61 
della legge 413/1991. 

In concreto, risulta dalla motivazione del provvedimento che non viene 
contestato il principio della prevalenza del credito ipotecario rispetto ai crediti 
di massa generici, n� vengono invocati i privilegi speciali che assistevano il 
credito originario e che -artt. 2748.2 codice civile, ma derogato dall'art 
2772.4 codice civile; Cass. 1878179; 2294178 -potevano giustificare la 
preferenza del credito fiscale. L'unica ragione, infatti, che viene addotta nel 
decreto si compendia nell'affermazione che �il disposto della legge qui in 
esame non pu� che comportare, per non svuotarsi di contenuto, una alterazione 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

219 

nell'ordine delle prelazioni�, cos� implicitamente deducendo che, se il 
concorso avesse potuto esser risolto sulla sola base prelazionaria, il privilegio 
della ricorrente, in quanto anteriore nel tempo, avrebbe prevalso. � quindi dalla 
particolare disciplina del credito che discende il soddisfacimento prioritario 
dell'erario e l'unico profilo da esaminare in questa sede attiene perci� alla 
portata dell'art. 61 della legge 30 dicembre 1991 n. 413. Stabilisce la norma 
che il curatore, ottenute le necessarie autorizzazioni, pu� avvalersi delle norme 
sul condono tributario dettat~ dalla stessa legge; in tal caso il pagamento delle 
somme dovute deve avvenire entro i termini previsti e �i relativi debiti sono 
equiparati a quelli previsti dall'art. 111 primo comma, n. 1) delle disposizioni 
approvate con regio decreto 16 marzo 1942 n. 267�. Pur mancando precedenti 
giurisprudenziali specifici, si pu� considerare pacifico che il richiamo all'art. 
111 n. 1 legge fall. implica soltanto la prededucibilit� del credito, con una� 
statuizione che, del resto, non � nuova nel nostro diritto tributario perch� gi� 
introdotta, in passato, dall'art. 33 del decreto-legge 429/1982, conv. in legge 
516/1982 ed, a proposito di tale norma, non si � dubitato che l'equiparazione ai 
debiti previsti dall'art. 111 n. 1 legge F. implichi la configurazione delle somme 
dovute all'erario per il condono come debito di massa (Cass. 6661/1996), 
ovviamente ex lege, poich� l'effetto � implicito nella richiesta di condono 
avanzata dal curatore ed accolta dall'ufficio fiscale. 

� per� pacifico, come discende del resto dalla lettura dell'art. 54.2 in relazione 
agli artt. 107 e 109 legge fall. che sul ricavo dei beni ipotecati i creditori ipotecari 
vanno soddisfatti a preferenza anche dei creditori di massa, ove non risulti che dal 
debito in prededuzione abbiano tratto particolare vantaggio. 

Precisa la sentenza 25 ottobre 1971 n. 3015 della Cassazione -dopo aver 
escluso che il conflitto tra prededuzioni e garanzie reali possa risolversi a 
favore delle prededuzioni, come una mera interpretazione letterale dell'art. 111 

n. 1 legge fall. potrebbe suggerire, o ricorrendo ad una prededuzione 
proporzionale, come da altra dottrina sostenuto -che: �l'equilibrio fra le due 
segnalate esigenze pu� essere rinvenuto soltanto ove si interpreti l'art. 111 
legge fall. nel senso che la prededuzione delle spese relative alla procedura 
fallimentare incide sul bene gravato da garanzie reali speciali nei limiti in cui 
esse si riferiscono all'esecuzione relativa a questo bene, configurando questi 
limiti nelle spese specificamente sostenute per tale esecuzione e in un'aliquota 
delle spese generali, da calcolarsi, in relazione alle circostanze concrete, in 
misura corrispondente all'interesse e all'utilit�, ovviamente, anche se solo 
potenziale, cio� sperata ma non concretamente realizzata, del creditore 
garantito. 
Questa interpretazione della norma ha una base razionale e sistematica di 
indubbio valore, perch� assicura la capienza per le spese dell'amministrazione del 
fallimento entro equi confini e salvaguarda le garanzie speciali -garanzie che la 
legge fallimentare, in linea di massima, mostra chiaramente di volere lasciare intere 
anche in caso di procedura concorsuale -nella massima misura compatibile con 
le caratteristiche di codesta procedura; mentre nessun danno pu� implicare per i 
creditori chirografari o assistiti da privilegio generale. Invero, per essa, da un lato, 


220 
ccc 
RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

il creditore garantito � gravato di tutte le spese necessarie al soddisfacimento delle 
sue ragioni attraverso lo strumento della procedura concorsuale, anche se questa � 

per lui pi� onerosa; ma, dall'altro, resta impedito che a quel soggetto si possa far 
carico di spese affrontate per interessi che gli siano estranei, e cos� si previene 
anche il pericolo che l'amministrazione fallimentare si induca ad affrontare spese 
imprudenti, nella fiducia di poterle coprire col ricavo del bene oggetto della 
garanzia; mentre non si pu� mai avere lo spostamento degli oneri relativi 
all'esproprio di codesto bene sugli altri creditori�. Nello stesso senso si sono 
pronunciate, successivamente, Cass. 4370/1977; 4474/1977; 394/1978; 5784/1981 
e, con specifico riferimento alla prededuzione del compenso del curatore, Cass. 
5913/1994 e Cass. 5104/1997 che individuano nelle �attivit� di amministrazione e 
liquidazione specificamente riferibili ai beni ipotecati e finalizzate a consentire il 

� soddisfacimento delle ragioni del creditore ipotecario� quel vantaggio specifico 
che consente di far gravare anche sul ricavo dei beni ipotecati parte del compenso 
del curatore. 

Concludendo, la preferenza del creditore di massa rispetto al creditore 
ipotecario non si basa, secondo il criterio sinora enucleato dalla giurisprudenza, 
sulla sola qualifica del credito, ma richiede, come ulteriore elemento, che il credito 

o la parte di credito in prededuzione arrechi o possa arrecare un particolare 
vantaggio al creditore ipotecario. 
L'art. 61.1 della legge n. 413/1991 dispone: �1. Il curatore del fallimento, 
sentito il parere del comitato dei creditori e con l'autorizzazione del giudice 
delegato, il commissario liquidatore ed il commissario dell'amministrazione 
straordinaria delle grandi imprese in crisi, sentito il parere del comitato di 
sorveglianza e con l'autorizzazione dell'autorit� di vigilanza, possono avvalersi 
delle disposizioni della presente legge. Il pagamento delle somme dovute deve 
avvenire entro i termini previsti dalle predette disposizioni. I relativi debiti sono 
equiparati a quelli previsti dall'art. 111, primo comma, n. 1), delle disposizioni 
approvate con regio decreto 16 marzo 1942, n. 267�. 

La norma si limita quindi a qualificare il debito per condono fiscale come 
debito di massa, in prededuzione ex art. 111 n. 1 legge fall., ma nulla dispone 
sull'eventuale conflitto con garanzie reali, che non pu� quindi, sulla sola base della 
norma tributaria, venir risolto in modo diverso dall'usuale. 

Naturalmente, poich� rimangono del tutto estranei al tema del decidere, non 
essendo stati n� esaminati n� proposti, i problemi dell'effetto novativo del 
condono sui privilegi speciali fiscali e, nell'eventualit�, della sussistenza di 
eventuali privilegi immobiliari prevalenti (artt. 2748, 2771, 2772 codice civile; 
Cass. 2294/1978), non � possibile escludere, in questa sede, che il condono abbia 
apportato al creditore ipotecario un vantaggio specifico. Del problema si 
occuper�, occorrendo, il tribunale di Prato in sede di rinvio perch�, in 
accoglimento del primo motivo di impugnazione e della seconda parte del secondo 
motivo -ove si lamenta la postergazione dell'ipoteca del Mediocredito -il 
decreto impugnato va cassato. Rimane completamente assorbita la prima parte del 
secondo motivo, proposta in via subordinata al mancato accoglimento del primo 

(omissis). 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

221 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 27 ottobre 1998 n. 10664 -Pres. Senofonte -Est. 
Cicala -P.M. Raimondi (diff.)-Ministero delle Finanze (avv. Stato De Stefano) 

c. Cappellaccio ( avv. Ascoli). 
Tributi (in generale) -Accertamento -Istruttoria -Perquisizioni -Perquisizioni 
sull'ambito del processo penale e perquisizioni amministrative -Forme e 
autorizzazioni -Mezzi di tutela. 

(Cost. art. 14; decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973 n. 600, art. 33; 
decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972 n. 633, art. 52; decreto legislativo 
31 dicembre 1992 n. 546, art. 19). 

L'art. 14 della Costituzione distingue le perquisizioni ordinate dalla autorit� 
giudiziaria o da essa convalidate, che si assumono in un procedimento 
giurisdizionale, per lo pi� penale, e sono soggette ai controlli giurisdizionali dei 
rispettivi procedimenti, dalle perquisizioni a fini economici o fiscali che hanno 
natura amministrativa; tuttavia le perquisizioni amministrative, regolate dall'art. 
33 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973 n. 600 che 
richiama l'art. 52 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972 

n. 633, debbono essere autorizzate dal procuratore della Repubblica quando 
vengono eseguite in locali adibiti anche o soltanto ad abitazione. Le perquisizioni 
amministrative sono soggette a controllo nel!' ambito del processo tributario, non 
con impugnazione diretta contro l'atto di perquisizione che ha natura 
endoprocedimentale, ma con l'impugnazione dell'atto terminale del procedimento 
sul quale si inserisce (1). 
(omissis) 

Col primo motivo l'Amministrazione sostiene l'insindacabilit� da parte del 
giudice tributario dell'autorizzazione all'accesso emessa dalla Procura della 
Repubblica; e quindi una violazione dell'art. 52 del decreto del Presidente della 
Repubblica 633/1972. 

Il motivo deve essere rigettato. 

(1) La sentenza apporta notevole chiarezza alla tormentata materia, ma qualche dubbio resta 
ancora. L'autorizzazione data dal procuratore della Repubblica alla polizia tributaria diventa 
conferente all'indagine penale o a quella amministrativa (o ad entrambe) a seconda dell'esito 
dell'operazione; ma,se l'autorizzazione viene inizialmente concepita come atto del processo 
penale ma poi la perquisizione risulta irrilevante ai fini penali ed utile ai fini tributari, in quale 
sede potr� la commissione giudicare la legittimit� di un atto tipico del processo penale? Riguardo 
alla perquisizione amministrativa, che sia chiaramente tale anche se autorizzata dal procuratore 
della Repubblica, va precisato che il giudice tributario chiamato a giudicare della fondatezza 
dell'accertamento che conclude il procedimento sul quale la perquisizione � utilizzata, se rileva 
una nullit� dell'atto istruttorio di perquisizione (come di ogni altro singolo atto istruttorio) non 
pu� dichiarare la nullit� dell'accertamento ma deve invece, giudicando sul merito, stabilire se nel 
complesso degli altri mezzi di prova acquisiti o da acquisire la pretesa tributaria risulti in tutto o 
in parte fondata eventualmente riducendo la base imponibile, senza cadere nella tentazione di 
annullare l'accertamento per invalidit� derivata. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

222 

Ha sostenuto, in primo luogo, l'Avvocatura che le autorizzazioni all'accesso di 
cui si discute avrebbero natura di atti processuali penali e quindi sarebbero se mai 
soggette alle verifiche previste dal codice di procedura. 

Per affrontare simile problematica, � opportuno considerare che l'art. 14 della 
Costituzione delinea un duplice ordine di ipotesi in cui � consentito procedere a 

perquisizioni, ispezioni o sequestri nell'ambito del �domicilio� di un soggetto. 

�Perquisizioni, ispezioni o sequestri� possono -in primo luogo -essere 
compiuti con �le garanzie prescritte per la tutela della libert� personale�, ed in 
simili ipotesi essi vengono eseguiti o su ordine dell'autorit� giudiziaria, o su 
iniziativa dell'autorit� di pubblica sicurezza, che per� abbisogna della tempestiva 
�convalida� dell'autorit� giudiziaria. � chiaro come in simili fattispecie l'atto che 
autorizza o convalida la perquisizione viene ad inserirsi in un procedimento (quasi 
sempre penale), assume carattere giurisdizionale ed � soggetto ai controlli propri 
di tali atti. 

Pu� naturalmente accadere che i dati acquisiti nell'ambito del processo penale 
siano utilizzati anche in sede tributaria; ed a questa eventualit� si attaglia la massima 
secondo cui � consentita la utilizzazione ai fini tributari dei dati acquisiti nel corso 
di un processo penale, senza che al giudice tributario sia consentito sindacare la lf, 
legittimit� dei relativi provvedimenti assunti dal giudice penale (Cass. n. 10476 del 
14 settembre 1992); mentre al giudice tributario spetter� applicare quelle 
disposizioni che disciplinano appunto la utilizzabilit� a fini fiscali degli atti del ~ 
processo penale (Cass. 29 gennaio 1997, n. 918). * 

In tutt'altra ottica si collocano gli accessi al domicilio di cui al 3� comma I 
dell'art. 14 Cost., che consente alla legge speciale di prevedere accertamenti a fini ~ 
economici e fiscali, pur in difetto delle incisive garanzie enunciate dal 2� comma. ~ 

Nell'ambito di questa norma costituzionale si pone l'art. 52 del decreto del 1�; 
Presidente della Repubblica 633/1972, cui rinvia l'art. 33 del decreto del Presidente . 
della Repubblica 600/1973; e giova sottolineare che nella vicenda di cui in esame si 
discute appunto di una ipotesi di applicazione di tale art. 52 come esplicitamente lli 
afferma la sentenza impugnata, senza che il punto sia stato contestato in sede di @ 

~~. I~ 


In base all'art. 52 gli Uffici delle imposte possono disporre l'accesso 
d'impiegati dell'Amministrazione finanziaria nei locali destinati all'esercizio 
d'attivit� commerciali, agricole, artistiche o professionali per procedere ad ispezioni I 
documentali, verificazioni e ricerche e ad ogni altra rilevazione ritenuta utile per 

I l'accertamento dell'imposta e per la repressione dell'evasione e delle altre 
violazio~i. Tut~av~~ per ~cce~ere i~ lfcali che sian~ ~di~ti a~~~~ ad tbitaz~one, � i:1 
n,ecessana a~ce . aduto~izz~1o?e e. ~rodc.urat?re ef1a . e~ud 1~a. n ogm ca~o, ~ 
1accesso nei 1oca 1 estmatl a 11 eserc1z10 i arti o pro ess10m ovra essere esegmto ~

1 

in presenza del titolare dello studio o di un suo delegato (art. 52, 1� comma seconda 

!t,:,� 

parte; il testo � stato modificato, ma senza innovazioni che incidano sulla odierna " 
pronuncia, dalla legge 413/1991). 

!!�,_�,'_' 

L'accesso in locali diversi da quelli indicati pu� essere eseguito, previa 
autorizzazione del procuratore della Repubblica, soltanto in caso di gravi indizi di i:: 
violazioni, allo scopo di reperire libri, registri, documenti, scritture ed altre prove W 

delle violazioni (art. 52, 2� comma). .. . 

I 

. I 

�~~.......Jl.���1�111.I 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Siamo con tutta evidenza di fronte ad una attivit� di carattere amministrativo, 
pur se posta in essere da un organo giudiziario quale la Procura della Repubblica, ed 
in ordine alla quale non sono applicabili le garanzie previste dal codice di procedura 
penale; ed infatti ben pu� accadere che simili accertamenti non si inseriscano in 
alcun processo penale. 

Anche per� quando il sospetto di evasione fiscale dia luogo ad un procedimento 
penale, l'attivit� amministrativa regolata dall'art. 52 del decreto del Presidente della 
Repubblica 633/1972 si colloca su un piano diverso e distinto rispetto alle 
perquisizioni di cui all'art. 250 codice procedura penale (si veda la sentenza della 
terza sezione penale di questa Corte 16 novembre 1995, n. 3287, che nega la tutela 
processuale penale avverso l'autorizzazione all'accesso emessa dalla Procura della 
Repubblica). 

Dunque l'eventuale tutela accordata al contribuente di fronte alle attivit� di cui 
al citato art. 52 non pu� che assumere le forme proprie del processo tributario. E 
carattere fondamentale di questo processo � di assumere a proprio indefettibile 
oggetto la contestazione di una pretesa fiscale, normalmente formalizzata in un atto 
di imposizione e solo eccezionalmente nel rifiuto di restituzione di un'imposta 
versata dal contribuente. 

L'art. 19 del decreto legislativo 31dicembre1992, n. 546, ha ribadito che anche 
nel �nuovo contenzioso� l'accesso al giudice tributario � subordinato alla 
impugnazione di un atto o comportamento dell'amministrazione finanziaria 
tassativamente indicato dalla legge, attraverso un lungo elenco, che sostanzialmente 
recepisce le indicazioni elaborate dalla giurisprudenza in riferimento al decreto del 
Presidente della Repubblica 636/1972. 

Perci� la Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso avverso il 
provvedimento con il quale, a norma dell'art. 35 decreto del Presidente della 
Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, sulla disciplina dell'accertamento delle 
imposte sui redditi, il presidente della commissione di primo grado aveva 
autorizzato gli organi dell'amministrazione finanziaria a richiedere ad istituti di 
credito copia dei conti intrattenuti con un contribuente, atteso che detto 
provvedimento, emesso nell'ambito del procedimento tributario, aveva natura 
meramente ordinatoria e mancava, quindi, di contenuto decisorio (Cass. 19 marzo 
1984, n. 1866; Comm. Trib. Centr. 10 maggio 1991, n. 3779); del pari, il processo 
verbale di constatazione della Guardia di Finanza non � direttamente impugnabile 
dinanzi alle Commissioni Tributarie, essendo sfornito di autonomia, trattandosi di 
atto endoprocedimentale il cui contenuto e le cui finalit� consistono nel reperimento 
e nell'acquisizione degli elementi utili ai fini dell'accertamento. La mancata 
previsione della impugnabilit� di tale atto non pone poi l'art. 16 del decreto del 
Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972 n. 636 in contrasto con gli artt. 24, 97 
e 113 della Costituzione, atteso che la non impugnabilit� deriva dalla sua natura di 
atto endoprocedimentale e la tutela giudiziaria ha modo di attuarsi in relazione 
all'atto terminale del procedimento (Cass. 28 aprile 1998, n. 4312). 

L'Avvocatura dello Stato ha per� sostenuto che il principio della inutilizzabilit� 
della prova irregolarmente acquisita sarebbe proprio esclusivamente del processo 
penale, e dunque l'eventuale violazione dell'art. 52 decreto del Presidente della 
Repubblica 633/1972 sarebbe priva di effetti. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAT6

224 

Simile tesi, oltretutto assai dubbia sul piano della legittimit� costituzionale 
(art. 24 Cost.), si pone per� in contrasto con la costante giurisprudenza di questa 
Corte che afferma che gli atti in questione sono sindacabili in via incidentale nel 
momento in cui il giudice valuta la sufficienza e la legittima acquisizione degli 
elementi forniti dalla Amministrazione (cfr. Cass. sez. un. 8 agosto 1990, n. 8062, 
in relazione all'autorizzazione all'accesso del Procuratore della Repubblica). Si 
vedano ad esempio, da ultimo, le sentenze di questa Corte n. 1036 del 2 febbraio 
1998 (secondo cui, in mancanza dell'autorizzazione del Procuratore della 
Repubblica � illegittima l'acquisizione da parte della Guardia di Finanza di 
documenti contenuti all'interno di una borsa posta all'interno dell'autovettura del 
contribuente, ancorch�, portata la borsa in caserma e chiusa in un plico sigillato, 
l'apertura del plico sia avvenuta con il consenso del contribuente) e 11036 del1'
8 novembre 1997, secondo cui � illegittimo l'avviso di rettifica della dichiarazione 
del contribuente fondato su documentazione contabile rinvenuta all'interno 
dell'autovettura di un di lui dipendente, sottoposta a controllo da una pattuglia della 
Guardia di Finanza senza autorizzazione del Procuratore della Repubblica, ancorch� 
tale documentazione sia stata consegnata spontaneamente dal dipendente stesso. 

Si deve quindi procedere all'esame del secondo motivo di ricorso con cui la 
Amministrazione censura per violazione di legge e difetto di motivazione (art. 360 
nn. 3 e 5 codice procedura civile art. 52 decreto del Presidente della Repubblica 
633/1972) la sentenza impugnata, sostenendo la legittimit� del provvedimento della 
Procura della Repubblica di Ancona. 

Il motivo merita accoglimento. 
La Commissione Tributaria Regionale delle Marche ha osservato come l'art. 52 
del decreto del Presidente della Repubblica 633/1972 delinei tre ipotesi: 
-locali destinati all'esercizio d'attivit� commerciali, agricole, artistiche o 
professionali; 
-locali destinati all'esercizio d'attivit� commerciali, 
professionali ed anche ad abitazione; 
-locali diversi da quelli sopraindicati, cio� ad esempio destinati 
esclusivamente ad uso abitativo. 

Come gi� ricordato, nel primo caso, l'autorizzazione all'accesso viene emessa 
dallo stesso Ufficio Tributario; negli altri due casi occorre l'intervento della Procura 
della Repubblica. 

Il giudice tributario ha affermato che il caso di specie rientrava nella terza 
ipotesi, in quanto nell'edificio in questione i locali adibiti ad abitazione e quelli 
adibiti ad attivit� commerciale sarebbero stati distinti, con in comune solo il garage, 
da cui si accedeva sia ai locali abitativi sia a quelli commerciali. 

Ritiene invece il collegio che l'uso promiscuo si verifichi non solo nella ipotesi 
in cui i medesimi ambienti siano contestualmente utilizzati per la vita familiare e per 
l'attivit� professionale, ma ogni qual volta la agevole possibilit� di comunicazione 
interna consente il trasferimento dei documenti propri della attivit� commerciale nei 
locali abitativi; e quindi sia possibile averli sotto mano per ogni evenienza, e nel 
contempo per� detenerli in stanze abitualmente destinate al sonno, o ai pasti. 
Dunque la sentenza impugnata deve sotto questo profilo esser cassata. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

225 

D'altronde anche seguendo l'impostazione dei giudici tributari il risultato finale 
non cambierebbe, perch� la autorizzazione della Procura investiva tutto l'edificio e 
quindi anche le parti di esso destinate, secondo la Commissione Tributaria, ad 
esclusivo uso abitativo. Dunque era soddisfatta anche la condizione posta dal 2� 
comma dell'art. 52. Il secondo comma dell'art. 52 si differenzia infatti dalle 
disposizioni contenute nella seconda parte del 1 � comma, solo perch� nel capoverso 
� espressamente enunciato il requisito della sussistenza di �gravi indizi di 
violazioni�. Ma la Commissione Tributaria Regionale non ha affatto dichiarato la 
illegittimit� del provvedimento in questione per difetto di indicazione dei motivi; ed 
anzi non ha neppur affrontato simile questione. 

Il secondo motivo di ricorso deve quindi essere accolto. 

P.Q.M. 
La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo. Cassa la 
pronuncia impugnata con rinvio ad altra sezione della Commissione Tributaria 
Regionale delle Marche (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 4 novembre 1998 n. 11053 -Pres. Sensale -Rei. 
Di Palma -P.G. (concl. conf.) Nardi -Ministero delle Finanze (avv. Stato 
Salimei) c. Societ� forestale del Mezzogiorno d'Italia (avv. Molajoli). 

lributi erariali diretti -ILOR -Esenzione decennale per i redditi derivanti da 
impianti riammodernati nel Mezzogiorno -Natura. 

lributi erariali diretti -ILOR -Esenzione decennale per i redditi derivanti da 
impianti riammodernati nel Mezzogiorno -Applicazione -Modalit� Applicazione 
immediata o differita all'atto del riconoscimento dell'Ufficio 
-Facolt� di scelta del contribuente. 

llibuti erariali diretti -ILOR -Esenzione decennale per i redditi derivanti da 
impianti riammodernati nel Mezzogiorno -Applicazione differita Rimborso 
dell'imposta versata -Termini. 

(Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973 n. 602, art. 38; decreto del 
Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972 n. 636, art. 16, comma sesto; decreto del 
Presidente della Repubblica 6 marzo 1978 n. 218, art. 101). 

L'esenzione concessa dall'art. 101 decreto del Presidente della Repubblica 6 
marzo 1978 n. 218 si applica ex lege, e il relativo procedimento di riconoscimento 
non sfocia in un provvedimento costitutivo, ma solo ricognitivo della stessa (1). 

(1) La norma di cui all'art. 101 decreto del Presidente della Repubblica 218/1978 concede 
una esenzione decennale ILOR sui redditi prodotti da �Stabilimenti� ampliati, trasformati, 
ricostruiti o riammodernati nel territorio gi� oggetto dell'intervento straordinario nel 
Mezzogiorno. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

226 

Il contribuente che abbia richiesto il riconoscimento della esenzione prevista 
dall'art. 101 decreto del Presidente della Repubblica 6 marzo 1978 n. 218 pu�, a 
suo giudizio, applicare, salvo conguaglio all'atto del riconoscimento, la stessa, 
oppure continuare a versare l'ILOR salvo rimborso in tale momento (2). 

Il rimborso dell'ILOR versata dal contribuente, che abbia richiesto il 

riconoscimento della esenzione prevista dall'art. 101 decreto del Presidente della 
Repubblica 6 marzo 1978 n. 218, e che abbia optato per l'applicazione differita 
della stessa, non � soggetto alle forme e ai termini di cui all'art. 38 decreto del 
Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, sibbene a quelle di cui all'art. 16 
comma VI decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972 n. 636 (3). 

(omissis). 

2.1. -Con l'unico motivo (con cui deduce: �Violazione dell'art. 101 del T.U. 
1978 n. 218 e dell'art. 38 del decreto 29 settembre 1973 n. 602. Falsa applicazione 
dell'art. 16 del decreto 26 ottobre 1972 n. 636 -art. 360 n. 3 codice procedura 
civile�), l'Amministrazione ricorrente critica la decisione impugnata, laddove ha 
ritenuto irrilevante stabilire la natura costitutiva o ricognitiva del provvedimento che 
riconosce il diritto all'esenzione; e sostiene che -siccome l'esenzione nasce 
direttamente dalla legge, quando si verificano le condizioni da essa poste, e non gi� 
per effetto di un atto di �concessione� della P.A. -ne conseguirebbe che, quando 
il contribuente ha posto in essere queste condizioni, sorgerebbe il diritto 
all'esenzione e cesserebbe, per ci� stesso, l'obbligo del pagamento dell'imposta; 
sicch�, la domanda che egli � tenuto a rivolgere all'ufficio tributario sarebbe solo 
Tale esenzione spetta, a far data dal primo esercizio di produzione del reddito e solo sulla 
parte di reddito derivante dalle suddette operazioni di trasformazione. Gli interessati devono 
presentare una domanda, che instaura un procedimento affidato in gran parte all'Ufficio Tecnico 
Erariale, e che � volto a controllare la esistenza dei presupposti e la quota di reddito esente. 

L'esenzione, legata a circostanze obiettive, non � determinata dal provvedimento 

dell'Amministrazione, che riveste natura ricognitiva, da un lato, delle circostanze de quibus, e 
determinativo, dall'altro, della quota di reddito detassabile. 

(2) Poste tali premesse, ci si chiede quale comportamento debba tenere il contribuente; se 
debba, cio�, sotto la propria responsabilit� applicare subito l'esenzione ovvero se debba differire 
ci� all'esito del procedimento. 
Non sembra condivisibile la tesi della Corte, che, dopo avere asserito -con tesi da 
condividere -la natura legale e non provvedimentale dell'esenzione ex art. 101, finisce per 
attribuire -con un fin troppo scoperto giuoco verbale, sostituendo al provvedimento il suo iter 
giuridico -al procedimento, sempre necessario, sempre a istanza di parte, indispensabile per " 
determinare la quota esente, insostituibile per la valutazione dell'interesse pubblico, un ruolo 
dirimente. Ci� per� non comporta, nel pensiero della Corte, una necessaria applicazione [ 
differita dell'esenzione, ma solo la facolt� per il contribuente di differirla o meno. In realt� non 

V.;'.:i 

sembra che la ratio legis -incentivare con un intervento finanziario indiretto, lo sgravio f 
fiscale -le iniziative di riammodernamento industriale, consenta un'applicazione differita ::: 
della legge, e in tal senso milita anche la natura legale e non provvedimentale del beneficio. lll 
Inoltre, tale ratio risulta anche dalla diversa ma collegata e contigua esenzione di cui all'art. tf 
102 decreto del Presidente della Repubblica 218, che prevede espressamente l'applicazione ~ 

provvisoria. E ci�, si badi, nel quadro di una esenzione sicuramente derivante da if! 

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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

227 

diretta a rendere attuabile in concreto il controllo dell'amministrazione sui requisiti 
richiesti dalla legge; con le ulteriori conseguenze che, qualora il contribuente, come 
accaduto nelle specie, per sua cautela, paghi ugualmente il tributo, il termine 
decadenziale non potrebbe che decorrere dal momento del pagamento, come 
previsto dall'art. 38 decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, e che, 
proprio in quanto il provvedimento dell'amministrazione non � costitutivo 
dell'esenzione ma meramente ricognitivo, non potrebbe, nella specie, trovare 
applicazione l'art. 16 decreto del Presidente della Repubblica n. 636 del 1972, che 
fa decorrere il termine di decadenza del rimborso dal momento in cui sia sorto il 
diritto alla restituzione, se posteriore al pagamento. 

2.2. -Il ricorso deve essere respinto. 
La questione che, per la prima volta, viene posta a questa Corte consiste nello 
stabilire se il contribuente -il quale abbia chiesto ed ottenuto l'esenzione 
decennale dall'I.lo.r. ai sensi dell'art. 101 comma 2 del decreto del Presidente della 
Repubblica n. 218 del 1978, ed abbia, nelle more del provvedimento 
dell'amministrazione finanziaria, di �riconoscimento� dell'esenzione medesima, 
versato direttamente l'imposta (autotassazione) afferente al periodo di esenzione debba 
proporre la relativa istanza di rimborso entro il termine di cui all'art. 38 
comma 1 decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973 (e cio�, entro 
diciotto mesi dalla data del versamento diretto), ovvero entro quello previsto 
dall'art. 16 comma 6 decreto del Presidente della Repubblica n. 636 del 1972 (come 
sostituito dall'art. 7 decreto del Presidente della Repubblica n. 739 del 1981) 

provvedimento concessivo, caratterizzato da discrezionalit� amministrativa e non tecnica (gli 
interventi agevolati ivi contemplati devono rispondere a un organico sviluppo della economia 
meridionale, questione non tecnica ma di piena valutazione della situazione di fatto e degli 
interessi coinvolti nel territorio). Sarebbe contraddittorio che per una esenzione ex lege si 
applicasse diverso principio. 

(3) Quanto al rimborso dell'ILOR versata da chi non abbia applicato da subito la esenzione, 
dovr� perci� affermarsi la piena applicabilit� dell'art. 38 decreto del Presidente della Repubblica 
602/1973, trattandosi di versamenti diretti per somme non dovute, anche solo parzialmente. 
Resta da esaminare il caso in cui, applicata provvisoriamente la esenzione, l'Ufficio non la 
riconosca nella stessa misura. 

Sembra evidente che in tal caso debba seguire l'iscrizione a ruolo delle somme non versate, 
anche nel caso di esenzione riconosciuta per importo minore, e ci� ai sensi degli artt. 36-bis 
decreto del Presidente della Repubblica 600/1973 e 14 a) decreto del Presidente della RepubbHca 
602/1973. Nel caso in cui il contribuente sia a credito, trattandosi di una riliquidazione 
dell'imposta dovuta, non si porranno problemi di istanza di rimborso. 

Presupposto per il calcolo della differenza � il controllo della dichiarazione e delle allegate 
quietanze di versamento. Operer� il rimborso di ufficio ex art. 41 II comma, 42-bis decreto del 
Presidente della Repubblica 602 cit., e, in tal caso, i termini prescrizionali o decadenziali 
decorreranno, per il principio di cui all'art. 2935 codice civile, non essendo possibile il ricalcolo 
dell'ILOR dovuta se non a seguito delle determinazioni dell'ufficio, dalla data in cui esse 
divengano definitive. 

R.o.F. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

228 

-nella parte in cui prevede che, in caso di versamento diretto, il contribuente che 
ritiene di aver diritto a rimborsi ne fa istanza all'ufficio tributario competente entro 
due anni dal giorno in cui sia sorto il diritto alla restituzione, se tale giorno sia 
posteriore alla data del pagamento -e cio�, entro due anni dalla data del 
provvedimento che �riconosce� il diritto all'esenzione. 

La soluzione corretta � quella, adottata dalla decisione impugnata, nel secondo 
senso della prospettata alternativa. E ci�, sulla base delle considerazioni che 
seguono. 

2.3. -Mentre il primo comma dell'art. 101 decreto del Presidente della 
Repubblica n. 218 del 1978 (T.u. delle leggi sugli interventi nel Mezzogiorno) 
dispone che per gli stabilimenti industriali tecnicamente organizzati, che si 
impiantano nei territori indicati nell'art. 1 dello stesso decreto e per le costruzioni 
annesse � concessa l'esenzione decennale dall'I.lo.r. sui relativi redditi 
industriali, il secondo comma (rilevante, nella specie) stabilisce che per gli 
stabilimenti gi� esistenti nei predetti territori, che siano ampliati (come avvenuto 
nella specie: cfr., supra, n. 1.1), trasformati, riattivati, ricostruiti o rammodernati, 
Ǐ accordata per dieci anni, l'esenzione dall'I.lo.r. per il reddito derivante 
dall'ampliamento, dalla trasformazione, dalla riattivazione, dalla ricostruzione o 
dal rammodernamento�. Il quarto comma prescrive, inoltre, che le imprese che 
svolgono attivit� produttive di redditi esenti devono tenere la contabilit� in modo 
che sia possibile determinare separatamente la parte di utili attribuibile a tali 
attivit�. Deve aggiungersi, infine, che l'art. 104 dello stesso decreto prevede che 
le modalit� per l'applicazione delle agevolazioni, previste (anche) dall'art. 101, 
sono fissate dal Ministro delle Finanze d'intesa con il Ministro per gli interventi 
straordinari nel Mezzogiorno. 
2.4. -Siffatta disciplina rappresenta la formulazione �ultima� di disposizioni 
analoghe succedutesi nel tempo. La prima di queste, nel dopoguerra, era contenuta 
nell'art. 3 del decreto legislativo C.P.S. 14 dicembre 1947 n. 1598 (Disposizioni per 
l'industrializzazione dell'Italia meridionale ed insulare) che -con distinzione fra 
gli stabilimenti, formulazione e ratio analoghe -esentava per dieci anni le relative 
imprese dall'imposta di ricchezza mobile. Tale disposizione fu ribadita, e la sua 
efficacia prorogata, da leggi successive e, in particolare, dall'art. 13 comma 2 della 
legge 26 giugno 1965 n. 717 (Disciplina degli interventi per lo sviluppo del 
Mezzogiorno), il quale previde che le modalit� per l'applicazione delle agevolazioni 
sarebbe stata fissata con decreto interministeriale. 
In attuazione di tale previsione, fu adottato il decreto interministeriale (Ministro 
per le Finanze e Ministro per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno) 
14 dicembre 1965 (Modalit� d'applicazione delle agevolazioni fiscali per il 
Mezzogiorno, pubbl. nella Gazzetta Ufficiale n. 315 del 18 dicembre 1965), che 
nell'art. 19, fra l'altro, stabil� che �l'esenzione decennale dall'imposta di ricchezza 
mobile per i redditi degli stabilimenti industriali tecnicamente organizzati, 
impiantati, ampliati, trasformati, riattivati, ricostruiti o rammodernati... deve essere 
richiesta con apposita istanza o nel contesto della dichiarazione unica annuale dei 
redditi all'ufficio distrettuale delle imposte dirette .... �. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Come risulta anche da quanto disposto dal successivo art. 20, relativo 
all'esenzione degli utili reinvestiti, la domanda del contribuente veniva istruita 
dall'ufficio distrettuale delle imposte anche con la collaborazione dell'ufficio 
tecnico erariale competente per territorio ed il procedimento si concludeva con un 
provvedimento dell'ufficio distrettuale di riconoscimento o di diniego 
dell'agevolazione richiesta. 

La disposizione agevolati va de qua fu, poi, trasposta nell'art. 106 del decreto 
del Presidente della Repubblica 30 giugno 1967 n. 1523 (t.u. delle leggi sul 
Mezzogiorno). A seguito dell'entrata in vigore della riforma tributaria del 
1971-1973, il legislatore adott� la soluzione di attenuare le nuove imposte dirette 
nelle fattispecie in questione, trasferendo l'esenzione dall'imposta di ricchezza 
mobile cat. B all'imposta locale sui redditi art. 26 comma 2 decreto del Presidente 
della Repubblica n. 601 del 1973, recante disciplina delle agevolazioni tributarie). 
La disposizione medesima ha trovato, infine, il suo assetto definitivo nell'analizzato 
art. 101 del t.u. del 1978. 

Nonostante che, come gi� rilevato, sia l'art. 114 del t.u. del 1967, sia l'art. 104 
del t.u. del 1978 prevedessero l'emanazione di un decreto interministeriale che 
stabilisse le modalit� di applicazione delle agevolazioni fiscali per l'industria, il 
decreto ministeriale del 1965, dianzi analizzato, per quanto attiene al 
�procedimento� relativo all'agevolazione de qua, non � stato mai, a quanto consta, 
n� modificato, n� abrogato (tanto � vero che risulta applicato anche al caso di specie, 
come emerge dalle incontestate �cadenze� procedimentali esposte nello 
�svolgimento del processo�). 

2.5. -Ci� posto, la critica mossa dall'Amministrazione finanziaria alla 
decisione impugnata (cfr., supra, n. 2.1) pecca per �astrattezza�, in quanto, se � vero 
che, in generale, l'esenzione opera ex lege -nel senso che essa deve essere 
riconosciuta dall'ufficio tributario anche in mancanza di ogni richiesta del 
contribuente -� altrettanto vero che la singola legge di agevolazione pu� 
richiedere -espressamente, od anche implicitamente, con riferimento alla 
strutturazione legislativa della agevolazione medesima -la domanda del 
contribuente stesso, nel qual caso la domanda, la richiesta o l'istanza diviene 
elemento della fattispecie a formazione progressiva del diritto all'esenzione. 
Che, con riferimento al caso di specie, il diritto del contribuente, ai sensi 
dell'art. 101 comma 2 decreto del Presidente della Repubblica n. 218 del 1978, 
all'esenzione decennale dall'I.lo.r., per il reddito derivante dall'ampliamento dello 
stabilimento industriale tecnicamente organizzato (ovvero dalle altre attivit�, ivi 
considerate, effettuate sullo stesso), non discenda �automaticamente� dalla legge, 
ma presupponga necessariamente un previo �procedimento�, � dimostrato dalle 
considerazioni che seguono: A) Posto che quella di specie, e le altre agevolazioni 
fiscali predisposte dagli artt. 100-106 del decreto del Presidente della Repubblica n. 
218 del 1978 sono, con ogni evidenza, finalizzate alla realizzazione dell'interesse 
pubblico alla industrializzazione del Mezzogiorno d'Italia, � la stessa definizione 
legislativa dei presupposti del beneficio de quo a richiedere la previa valutazione, da 
parte dell'Amministrazione, della esistenza, nel caso specifico, dell'interesse 
pubblico perseguito dalla legge: e cos�, che si tratti di �stabilimenti industriali 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

tecnicamente organizzati� (cfr., in tal senso, Cass. n. 5479 del 1998, nonch�, ad es., 
la legge n. 707 del 1978, �interpretativa�, fra l'altro, dell'art. 101 n. 218 del 1978); 
che gli stessi siano gi� �esistenti� nei territori considerati dalla legge; che 
medesimi siano stati �ampliati....�, etc. (cfr., supra, n. 2.3); B) L'esenzione de qua 
-quale strutturata dal legislatore: �esenzione... per il reddito derivante 
dall'ampliamento .... � -implica necessariamente la previa determinazione, da parte 
dell'Amministrazione, del (la parte di) reddito esente, come appare confermato 
dall'art. 101comma4, che impone alle imprese che svolgono attivit� produttive di 
redditi esenti la tenuta della contabilit�, in modo tale che sia possibile determinare 
separatamente la parte di utile esente e non; C) Il fatto che il legislatore abbia 
previsto -fin dall'art. 13 comma 2 della legge n. 717 del 1965 (disposizione, poi, 
riprodotta tal quale nei due testi unici dianzi ricordati: cfr., supra, n. 2.4) l'emanazione 
di un atto di normazione secondaria disciplinante le �modalit� di 
applicazione� (fra le altre) della agevolazione de qua, fa gi� chiaramente intendere 
che questa non discende automaticamente dalla legge che la prevede, ma dipende 
dall'esito di un �procedimento� disciplinato dall'Amministrazione; D) 
Conclusione, questa, confortata dall'analisi di detto �procedimento�, quale 
prefigurato dall'art. 19 (in combinato disposto con l'art. 20) del decreto ministeriale 
14 dicembre 1965 dianzi citato, da cui emerge, in sintesi, che l'esenzione de qua 
�deve essere richiesta con apposita istanza o nel contesto della dichiarazione ... dei 
redditi� dall'interessato (art. 19 comma 1); che la sussistenza dei requisiti e delle 
condizioni, previste dalla legge per l'esenzione, deve essere �comprovata� (e cio�, 
controllata) da un ufficio pubblico (ufficio tecnico erariale: art. 20 commi 6 e 7); e 
che tale procedimento deve concludersi con un provvedimento di �riconoscimento� 

o di �diniego�, totale o parziale, del diritto ali' esenzione. 
2.6. -Alla luce di tutti gli elementi di analisi dianzi considerati, pu� concludersi 
che l'art. 101comma2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 218 del 1978 
riconosce alle imprese -che ampliano, trasformano, riattivano, ricostruiscono o 
rammodernano stabilimenti industriali tecnicamente organizzati nei territori di cui 
all'art. 1 dello stesso testo unico -il diritto all'esenzione decennale dall'l.lo.r. in 
misura parziale, relativamente cio� a quella parte di reddito prodotto, derivante da 
una delle predette attivit�; che il riconoscimento di tale diritto � subordinato alla 
proposizione della relativa domanda del contribuente ed all'accertamentovalutazione 
della sussistenza dei requisiti previsti dalla legge, operato da uffici 
dell'Amministrazione finanziaria (ufficio distrettuale delle imposte dirette ed ufficio 
tecnico erariale); e che il riconoscimento medesimo deve essere �formalizzato� in 
un provvedimento di quest'ultima, avente ad oggetto anche la determinazione del 
reddito esente (e, conseguentemente, la riduzione della base imponibile ai fini 
dell'l.lo.r. ). 
2.7. -Se -tenuto conto dei pochi precedenti di questa Corte (sentt. nn. 2462 
del 1977 e 3515 del 1982, in tema di esenzione decennale dall'imposta di ricchezza 
mobile, accordata da disposizioni analoghe a quella in esame: cfr., supra, n. 2.4) � 
agevole ribadire che, anche relativamente all'esenzione de qua, questa, pur avendo 
carattere oggettivo, non opera automaticamente, in quanto postula la �domanda� del 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

contribuente; e se -sempre alla luce dei predetti precedenti, nonch� di pi� recenti 
in materie analoghe: cfr. sentt. nn. 10992 del 1995 e 2444 del 1996) -� altrettanto 
agevole affermare che il provvedimento positivo dell'Amministrazione finanziaria, 
per un verso, si limita ad �accertare� la sussistenza dei presupposti di fatto cui la 
legge collega l'agevolazione, e, per l'altro, con esercizio di discrezionalit� 
meramente tecnica, determina la quota di reddito esente; non pu� negarsi, tuttavia, 
che il diritto del contribuente all'esenzione in esame viene �riconosciuto� 
dall'Amministrazione soltanto al termine (con il perfezionamento) della fattispecie 
�tipica� a formazione progressiva (del �procedimento�) -prefigurata dalla legge 
(combinato disposto degli artt. 101 comma 2 e 104 decreto del Presidente della 
Repubblica n. 218 del 1978) e dal decreto ministeriale 14 dicembre 1965 
(combinato disposto degli artt. 19 e 20), che, in attuazione della legge, ha dettato le 
�modalit� di applicazione� dell'agevolazione -i cui elementi necessari sono, da un 
lato, la domanda del contribuente medesimo, e, dall'altro, il provvedimento positivo 
dell'Amministrazione. In altre parole, se la domanda del contribuente -il quale � 
titolare ex lege del diritto all'esenzione -ha funzioni di impulso del procedimento 
e di delimitazione nel tempo dell'efficacia del provvedimento di riconoscimento 
dell'esenzione, quest'ultimo ha la sola funzione di rendere incontestabile (in sede 
amministrativa e giurisdizionale), da parte dell'Amministrazione finanziaria, il 
diritto medesimo. 

2.8. -Da quanto ora osservato consegue che -come il contribuente pu� 
esercitare e far valere il diritto all'esenzione, in quanto attribuitogli dalla legge, 
anche prima del provvedimento di riconoscimento (ad es., in sede di 
�autotassazione�, ovvero in sede contenziosa avverso un provvedimento 
impositivo dell'Amministrazione) -cos� egli ha anche la facolt� (ad es., per 
ragioni cautelative o prudenziali) di non esercitarlo, fintantoch� la fattispecie 
tipica prevista dalla legge non si sia perfezionata con il riconoscimento 
dell'esenzione, che, come dianzi sottolineato, pu� anche esser negato in tutto o in 
parte (con provvedimento autonomamente impugnabile: cfr. Cass. nn. 6262 del 
1980, 661 del 1986 a s.u., 722 del 1987). Nell'ipotesi in cui il contribuente decida 
di non esercitare il diritto all'esenzione -che corrisponde a quella di specie egli, 
in attesa del provvedimento dell'Amministrazione, deve comportarsi �come 
se� non ne fosse titolare, vale a dire corrispondendo il tributo nei tempi e nei modi 
di legge, mediante versamento diretto all'esattoria, ai sensi del combinato 
disposto degli artt. 8 comma 1 decreto del Presidente della Repubblica n. 599 del 
1973 (Istituzione e disciplina dell'imposta locale sui redditi) e 3 comma 1 n. 6 
decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973 (Disposizioni sulla 
riscossione delle imposte sui redditi). E che tale comportamento del contribuente 
sia pienamente legittimo, � dimostrato dalla stessa configurazione legislativa 
dell'esenzione de qua, che prevede un suo �riconoscimento�, nel senso dianzi 
precisato, da parte dell'Amministrazione; sicch�, il contribuente medesimo, al 
fine di evitare contestazioni e/o eventuali sanzioni, pu� legittimamente optare per 
l'attesa del provvedimento di quest'ultima (che -si ribadisce -pu� anche avere 
contenuto negativo) e, conseguentemente, per il pagamento, medio tempore, 
dell'imposta. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

232 

Ma se � cos�, il provvedimento di riconoscimento del diritto all'esenzione che, 
con riferimento alla data di presentazione della domanda ed al periodo di 
est'?nzione, produca i suoi effetti (anche) relativamente ad imposta gi� pagata -� 

�costitutivo� (non gi� del diritto all'agevolazione -che, invece, viene solo 
�incontestabilmente accertato� -ma) del diritto alla restituzione dell'imposta, 
indebitamente (per effetto del riconoscimento) pagata. 

Ed allora, alla fattispecie qui considerata risulta inapplicabile l'art. 38 comma 1 
decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, per la decisiva ragione che 
tale disposizione disciplina fattispecie di rimborso di �versamenti diretti� che sono, 
fin dall'origine, non dovuti: fattispecie, cio�, in cui il �titolo� per la restituzione 
sussista e sia, perci�, invocabile, dal contribuente nei confronti del1'
Amministrazione, fin dal momento del versamento. 

Alla fattispecie medesima �, invece, applicabile l'art. 16 comma 6 decreto del 
Presidente della Repubblica n. 636 del 1972 -nella parte in cui dispone che, �in 
caso di versamento diretto ... il contribuente che ritiene di aver diritto a rimborsi ne 
fa istanza all'ufficio tributario competente... in mancanza di disposizioni 
specifiche, entro due anni ... dal giorno in cui sia sorto il diritto alla restituzione� nelle 
ipotesi in cui, quale quella di specie, il diritto alla restituzione sia sorto in data 
posteriore a quella del pagamento dell'imposta. E l'applicabilit� di questa 
disposizione discende dal decisivo rilievo, secondo cui siffatta ipotesi non � 
prefigurata dall'art. 38 comma 1 decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 
1973 (opinando diversamente, ne conseguirebbe la palese, irragionevole 
vanificazione del termine di decadenza di diciotto mesi, ivi stabilito per esercitare, 
in sede amministrativa, il diritto al rimborso); sicch�, �in mancanza di disposizioni 
specifiche� (l'art. 38 comma 1, appunto), risulta applicabile, con ogni evidenza, 
l'art. 16 comma 6, nella sua natura di disposizione residuale e �di chiusura� in 

I

!'! 

materia di rimborso d'imposta (omissis). 

' 
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.

!

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 19 novembre 1998 n. 11653 -Pres. Grieco -Rei. 
Olla -P.G. (conci. conf.) Gambardella -Ministero delle Finanze (avv. Stato 
Salimei) c. Hertz Italiana (avv. Adonnino). 

Tributi erariali diretti � IRPEG � Reddito d'impresa � Elementi negativi � 
Somme versate per sanatoria di infrazioni tributarie � Sanatoria disposta 
con decreto-legge 10 luglio 1982 n. 429 -Detraibilit� -Limiti -Principi di 
inerenza e di competenza -Limiti. 

(Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973 n. 597, artt. 61, comma I, e 74; 
decreto-legge 10 luglio 1982 n. 429, convertito in legge 7 agosto 1982 n. 516, artt. 31 e 
20 comma VI). 

Le somme versate a seguito dell'istanza di sanatoria delle violazioni 
concernenti l'imposta di bollo, ai sensi dell'art. 31 decreto-legge 10 luglio 1982 

n. 429 conv. in legge 7agosto1982 n. 516, sono, ai sensi dell'art. 20, comma sesto, 
del medesimo decreto-legge, deducibili dall'imponibile ancorch� il relativo onere si 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

233 

riferisca a violazioni non commesse nel periodo d'imposta in cui avviene il 
versamento (1). 

L'art. 61, I comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 
1973, n. 597, che consente, nella determinazione del reddito d'impresa, la 
deduzione delle imposte diverse da quelle sul reddito o da quelle per cui sia prevista 
rivalsa anche facoltativa, opera secondo il principio di cassa e non secondo quello 
di competenza, in ci� derogando all'art. 74 del medesimo decreto del Presidente 
della Repubblica, anche se ilpagamento avvenga dopo la naturale scadenza grazie 
a disposizioni di legge speciale, incluse quelle di sanatoria o condono (2). 

(omissis) 

1. -Il ricorso proposto dall'Amministrazione Finanziaria dello Stato ha ad 
oggetto la questione se alla determinazione del reddito di impresa relativo ad un 
determinato periodo di imposta concorrano (in negativo) le somme versate 
dall'imprenditore nello stesso periodo a titolo di definizione amministrativa -in 
forza del c.d. condono tributario del 1982, di cui al decreto-legge 10 luglio 1982 
n. 429 convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1982 n. 516 -delle 
pendenze tributarie riguardanti l'imposta di bollo dovuta per periodi di imposta 
antecedenti quello nel quale il pagamento stesso � stato effettuato. 
In sede di legittimit�, la controversia si incentra in modo esclusivo sulla 
identificazione della fonte normativa il cui precetto risulti pertinente ai fini della 
risoluzione della questione. 

(1) Nel caso in esame, si trattava di un soggetto IRPEG avente natura di societ� 
commerciale, il cui reddito, per definizione normativa, � reddito di impresa. Di conseguenza, i 
costi relativi alla sanatoria di cui al decreto-legge n. 429/1982, deducibili in forza dell'art. 20, 
comma sesto, dello stesso decreto-legge, avrebbero dovuto, secondo l'Amministrazione, essere 
considerati come elementi negativi del reddito d'impresa in base ai due principi di competenza e 
di inerenza: cio� non, integralmente, nell'anno del versamento, ma a seconda dell'anno di 
commissione dell'infrazione. 
Del tutto preliminare l'osservazione che l'art. 20 consente la deduzione delle somme versate 
per la sanatoria delle violazioni finanziarie delle stesse imposte deducibili ex art. 61 decreto del 
Presidente della Repubblica n. 597 (ora, TUIR, art. 64, I comma). Tanto � stato chiarito con 
l'interpretazione autentica di cui all'art. 2-bis del decreto-legge 15 dicembre 1982 n. 915 
introdotto dalla legge di conversione 12 febbraio 1983 n. 27. 

Ora, � noto che tale imputazione di elementi negativi avviene per cassa in deroga al principio 
dell'art. 74 decreto del Presidente della Repubblica n. 597 (ora, TUIR, art. 75). Ne segue che anche 
la deduzione delle somme per il condono deve seguire la medesima regola, non essendo quindi 
rilevante il momento consumativo dell'infrazione. Quanto all'argomento, senz'altro suggestivo, 
che una infrazione fiscale non pu� essere considerata inerente ai fini del reddito d'impresa, essa � 
superata, pur nella sua intrinseca verit�, dalla contraria disposizione dell'art. 20 medesimo. 

(2) Cfr. oggi il comma 1 e il comma 5 dell'art. 75 TUIR che, rispettivamente, limitano il 
principio di competenza alle ipotesi non diversamente regolate (come, per le imposte deducibili, 
espressamente dispone l'art. 64 comma primo par. secondo TUIR) ed escludono dal principio, pi� 
severo ancora, dell'inerenza specifica delle poste attive e delle poste passive, i costi fiscali, salva 
l'inerenza generale delle stesse all'impresa esercitata. 
R.d.F. 

RASSEGNA AVVOCATIJRA DELLO STAT�. 

234 

2. -Difatti, nell'unico mezzo di annullamento la ricorrente nega che rispetto 
allo specifico tema possa trovare applicazione il disposto dell'art. 20 legge 
n. 516/1982, per il quale �l'imposta locale sui redditi e l'imposta sul valore aggiunto 
dovute a seguito delle dichiarazioni integrative di cui al presente titolo non sono 
deducibili ai fini del reddito complessivo soggetto all'imposta sul reddito delle 
persone fisiche o all'imposta sul reddito delle persone giuridiche�; ovvero quello di 
cui all'art. 61comma1 decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973 
n. 597 (all'epoca in vigore) per il quale �le imposte sul reddito e quelle per le quali 
� prevista la rivalsa, anche facoltativa, non sono ammesse in deduzione. Le altre 
imposte sono deducibili nel periodo d'imposta in cui avviene il pagamento o ha 
inizio la riscossione dei ruoli nei quali sono iscritte�. E sostiene che, invece, deve 
trovare applicazione l'art. 74 del detto decreto del Presidente della Repubblica 
n. 597/1973 per il quale, in via generate, la determinazione ai fini fiscali del reddito 
di un'impresa deve essere effettuata tanto sulla base del principio di competenza per 
il quale, ricavi, costi ed oneri concorrono a determinare il reddito del solo esercizio 
in cui hanno contribuito alla formazione del reddito; quanto, inoltre, sulla base del 
principio di inerenza, per il quale i costi e gli oneri sono deducibili solo ed in quanto 
si riferiscano ad attivit� ed operazioni da cui derivano i proventi e i ricavi che 
concorrono a formare il reddito di impresa. 

La ricorrente, dopo aver ammesso l'ininfluenza ai fini della risoluzione della 
questione del principio di inerenza in quanto �in teoria potrebbe forse non escludersi 
che l'imposta di bollo possa essere in qualche modo collegata all'esercizio 
dell'impresa�, cos� argomenta le riassunte conclusioni. 

La disposizione di cui al sesto comma dell'art. 20 legge n. 516/1982 deve essere 
interpretata in senso restrittivo anche, e soprattutto, �in considerazione della 
eccezionalit� del condono�. Alla stregua di siffatto canone ermeneutico si deve 
escludere la ammissibilit� di una sua interpretazione a contrariis, con la 
conseguenza che il precetto normativo da essa fissato ha la sola portata �di escludere 
la deducibilit� di imposte ordinariamente deducibili quale l'ILOR e l'IVA per la 
quale non vi sia rivalsa�, e non anche quella di consentire -in deroga alla regola 
generale sul principio di competenza -�la deducibilit� anche delle imposte 
ordinariamente non deducibili dal reddito di quel dato anno�. 

Il precetto di cui al primo comma dell'art. 61 del decreto del Presidente della 
Repubblica n. 597/1973, dal suo canto, non � applicabile, per un verso, perch� 
�regola e presiede il caso ordinario del pagamento alla scadenza, sia in 
autotassazione che a mezzo ruoli, e non certo il caso patologico dell'esazione� o del 
pagamento in funzione del condono tributario e nel corso del relativo procedimento; 
per altro verso, perch� si tratta di un disposizione derogatoria del principio generale � 

~ 

i;:]

fissato nell'art. 74 decreto del Presidente della Repubblica n. 597/1973, sicch� � di 
stretta interpretazione e pu� trovare applicazione solo con riferimento alle ipotesi ~ 
espressamente previste. 

Pertanto, a suo avviso, non pu� che trovare applicazione il disposto dell'art. 74 

I

decreto del Presidente della Repubblica n. 597/1973. 

f

Ebbene, sostiene, sulla base di questa norma le somme pagate a titolo di 

.

definizione amministrativa (secondo la disciplina del condono tributario del 1982) 

.

di una pendenza in materia anche di bollo non possono essere portate in deduzione . 

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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

ai fini della determinazione del reddito di impresa dell'esercizio (e del correlativo 
periodo di imposta) in cui il pagamento stesso � avvenuto: ci� perch� �le imposte 
cos� pagate non hanno concorso alla formazione del reddito dell'anno dal quale si 
pretende dedurle che si sarebbe, ed anzi si � prodotto, anche senza il pagamento di 
tali imposte�. 

Ne trae che la Commissione Tributaria centrale ha violato gli artt. 61 e 74 
decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973 n. 597 ed ha applicato 
falsamente l'art. 20 legge 7 agosto 1982 n. 516 allorch� -a seguito della erronea 
diversa lettura delle dette norme -ha affermato il principio opposto, e alla sua 
stregua ha statuito che la S.p.a. Hertz aveva diritto a dedurre dal reddito relativo 
all'esercizio chiuso il 31 dicembre 1982 la somma di L. 1.158.279.500, versata il 
24 novembre 1982 per definire in via amministrativa secondo la disciplina del 
condono tributario del 1982, le controversie in materia di imposta di bollo dovuta 
in relazione a precedenti esercizi. 

3. -La costruzione giuridica proposta dalla ricorrente si incentra, dunque, 
sull'assunto che il precetto di cui sesto comma dell'art. 20 legge n. 516/1982 esclude 
la deducibilit� (ai fini della formazione del reddito complessivo soggetto alle 
imposte sui redditi delle persone fisiche e delle persone giuridiche) sia delle somme 
versate per la definizione delle pendenze relative all'imposta di bollo; e, in ogni 
caso, esclude la deducibilit� delle somme versate per la definizione di pendenze 
riguardanti periodi di imposta precedenti quello nel quale il pagamento � avvenuto. 
4.1. -La costruzione cos� sintetizzata non pu� essere condivisa. 
4.2. -Per quanto attiene al punto relativo alla fenomenologia delle imposte 
deducibili, dalla corretta esegesi del sesto comma dell'art. 20 legge n. 516/1982 
(nel testo introdotto dall'art. 2 bis decreto-legge 15 dicembre 1982 n. 916 
convertito, con modificazioni, in legge 12 febbraio 1983 n. 27) discende che questa 
disposizione consente la deducibilit� (al fine ivi previsto) delle somme che il 
contribuente abbia corrisposto per la definizione (in forza del condono tributario 
del 1982) delle pendenze relative a tutte le imposte diverse dall'ILOR e dall'IVA, 
sempre, peraltro, che si tratti di imposte deducibili ai sensi dell'art. 61 comma 1 
decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973 n. 597. Quindi, per quel 
che qui rileva, consente la deducibilit� delle somme versate per la definizione di 
pendenze in materia di imposta di bollo, una volta che -come del resto neanche 
la ricorrente contesta -gli oneri relativi a questo tributo sono deducibili ai fini 
della formazione del reddito, anche ai sensi dell'art. 61 decreto del Presidente della 
Repubblica n. 597/1973. 
In tale senso depone, innanzitutto, il rilievo che la formulazione letterale della 
norma non avrebbe alcuna logica ove il suo precetto dovesse essere inteso nel senso 
che, come si assume dall'Amministrazione Finanziaria, lo stesso dispone 
l'indeducibilit� tanto -per espressa previsione -delle somme versate per la 
definizione delle pendenze ILOR ed IVA, quanto -in via indiretta ed in forza della 
mancata espressa previsione, in positivo, della loro deducibilit� -delle somme 
versate per la definizione delle altre imposte. � del tutto palese, infatti, che per 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATCY

236 

pervenire all'introduzione di un siffatto precetto sarebbe stato sufficiente prevedere 
l'indeducibilit� di tutte le somme a qualsiasi titolo versate, con un formula generica 
e generalizzante; e che la formulazione adottata � strumentale al fine di rendere 
immediatamente certa ed inequivoca l'identificazione delle sole imposte escluse 
dalla deducibilit�. Ed � appena il caso di sottolineare che, diversamente da quanto 
sostiene la ricorrente, �l'eccezionalit� del condono� non inibisce in alcun modo 
un'interpretazione a contrariis delle relative norme. 

Nello stesso senso depone, inoltre, la constatazione che il precetto, cos� come 
ricostruito dalla ricorrente, determinerebbe una disciplina specifica del tutto 
antinomica rispetto a quella generale in tema di formazione del reddito di impresa 
dettato dall'art. 61 comma 1 decreto del Presidente della Repubblica n. 597/1973 
all'epoca vigente che consente la deducibilit� di tutte le �altre imposte� diverse da 
quelle sul reddito e da quelle per le quali � prevista la rivalsa anche facoltativa; 
nonch� il rilievo che tale antinomia non avrebbe giustificazione alcuna. 

4.3. -Per quanto attiene, poi, al distinto punto relativo ai limiti quantitativi dei 
versamenti deducibili, si deve dire che il precetto del sesto comma dell'art. 20 legge 
n. 516/1982 consente la deducibilit� nell'esercizio in cui il versamento ai fini del 
condono � avvenuto dell'intero ammontare delle somme versate, anche se 
strumentali alla definizione di imposte (ovviamente deducibili) dovute per periodi 
di imposta antecedenti quell'esercizio. Vale a dire che consente la deduzione dal 
reddito di un solo anno (quello relativo all'esercizio in cui � avvenuto il versamento) 
della somma globalmente versata a titolo di condono, quand'anche non �di 
competenza� di quell'esercizio. 
Per vero, la norma non contiene alcuna limitazione in ordine alla estensione 
delle somme deducibili, e gi� questo comporta che la deducibilit� non pu� che 
essere estesa all'intero importo del versamento a prescindere dal periodo di imposta 
cui lo stesso ineriva. 

La lettura emergente dal dato letterale � definitivamente confortata da da due 
ulteriori, distinti argomenti: 

a) in via generale, la deducibilit� ai fini della determinazione del reddito di 
impresa degli oneri fiscali, ove ammessa, � assoggettata al principio c.d. �di cassa�, 
che attribuisce rilevanza al momento del pagamento e non a quello di competenza: 
infatti, il regime relativo alla deducibilit� degli oneri fiscali � fissato nel primo 
comma dell'art. 61 comma 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 
597/1973 (che costituisce norma speciale in ordine a detti oneri e, pertanto, esclude, 
nei loro confronti, l'applicabilit� della disciplina di cui all'art. 74 della medesima 
fonte normativa) ed alla sua stregua la deduzione delle somme pagate per assolvere 
gli oneri tributari deve essere effettuata �nel periodo di imposta in cui avviene il 
pagamento o ha inizio la riscossione nei ruoli nei quali sono iscritte�. 

Ora, dalla portata generale della previsione di cui all'art. 61 comma 1 decreto 
del Presidente della Repubblica n. 597/1973 consegue, per un verso, che il principio 
di cassa deve trovare applicazione non solo nella ipotesi (ordinaria e perci� 
considerata dal legislatore) del pagamento alla scadenza, ma in tutte le ipotesi in cui 
l'ordinamento positivo ammetta la deducibilit� di un tributo: quindi, anche nella 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

ipotesi -non diversamente disciplinata -dei versamenti ai fini del condono del 
1982, che, dunque, sono deducibili globalmente nell'anno del pagamento a 
prescindere dall'esercizio di inerenza del tributo definito; per altro verso, che la 
lettura accolta risulta totalmente armonica al sistema di determinazione del reddito 
in ordine ai pagamenti dei tributi e, pertanto, da preferirsi non fosse altro che per 
questa ragione. 

b) Il sistema del condono tributario del 1982 aveva come effetto sostanziale 
globale quello di escludere, per il contribuente che avesse proceduto alla dichiarazione 
integrativa, le conseguenze negative connesse al mancato tempestivo adempimento 
degli obblighi tributari. 

Ebbene, mentre la lettura qui accolta si armonizza pienamente con siffatto 
effetto globale, la lettura proposta dalla ricorrente risulta con esso incompatibile (e, 
perci�, anche sotto questo profilo da disattendere), perch� comporta che al contribuente 
viene preclusa la possibilit� di portare in deduzione un tributo che, invece, 
avrebbe potuto dedurre ove avesse provveduto tempestivamente al relativo adempimento, 
sicch� si risolve nella conservazione di una conseguenza negativa. 

4.4. -� principio, allora, che a mente dell'art. 20 comma 6 decreto-legge 
10 luglio 1982 n. 429 convertito in legge 7 agosto 1982 n. 516 come modificato 
dall'art. 2-bis decreto-legge 15 dicembre 1982 n. 916 convertito in legge 12 febbraio 
1983 n. 27, nella determinazione del reddito complessivo di impresa soggetto 
all'imposta sul reddito delle persone fisiche o delle persone giuridiche relativo 
all'esercizio nel quale il contribuente ha versato le somme dovute per la definizione 
amministrativa ai sensi del condono tributario del 1982 delle pendenze in materia di 
imposta di bollo, pu� essere dedotto l'intero ammontare della somma versata dal 
contribuente ai fini del detto condono anche se relativo alla definizione delle imposte 
dovute per periodi precedenti quello in cui il pagamento stesso � stato effettuato. 
5. -Ne discende che la Commissione Tributaria Centrale non � incorsa nella 
violazione di legge denunciata nel motivo, posto che si � uniformata all'enunciato 
principio e ne ha fatto corretta applicazione nel caso di specie; e che il mezzo di 
annullamento � infondato e deve essere respinto. 
6. -Ne deriva, in ultima analisi, il rigetto del ricorso (omissis). 
CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 11gennaio1999 n. 166-Pres. Papa-Re!. Cicala 
-P.G. (conci. conf.) Raimondi -Ministero delle Finanze (avv. Stato G. Aiello) 

c. Lory Makuc (avv. Coen). 
Tributi erariali diretti -Societ� di persone -Accertamento in capo alla societ� 

-Effetti nei riguardi dei singoli soci -Automaticit� -Esclusione. 

(TUIR, art. 5 commi 1 e 3 lett. b); decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973 

n. 600, artt. 38 e 39; decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 546, art. 36 comma 2 n. 4, 
art. 29 comma 1). Conformi le coeve sentenze 167 e 168 rese tra le stesse parti. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STXfO� 

238 

L'accertamento, concernente l'imponibile IRPEF e ILOR, elevato nei confronti 
di una societ� d� persone, non ha efficacia automatica anche nei confronti dei 

singoli soci, cui il reddito � pro quota imputabile (1). 

Legittimamente il giudice tributario, dal quale siano contestualmente decise 
pi� cause concernenti questioni legate da un nesso di consequenzialit� necessaria, 
motiva le sentenze delle cause dipendenti rinviando alle argomentazioni delle 
principali, ci� non configurando affatto motivazione per relationem ma la semplice 
constatazione che la sentenza principale comportava necessariamente identiche 
conclusioni per le altre (2). 

(omissis) 

L'Amministrazione deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 103 
codice procedura civile, 38, 40 decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 
1973, n. 600, art. 5, decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, 

n. 597, art. 14 decreto legislativo n. 546/1992 nonch� omessa, insufficiente o 
contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione 
all'art. 360, n. 3 e 5 codice procedura civile. 
Secondo l'Amministrazione il Giudice tributario avrebbe dovuto dichiarare 
inammissibile il ricorso della contribuente, rilevando che difettava l'interesse a 
ricorrere dal momento che ad essa si estendeva automaticamente il ricorso della 

I 

societ�. 
Soggiunge che comunque erroneamente la Commissione regionale avrebbe 

I 

. 

'

stabilito un nesso di pregiudizialit� tra la controversia relativa all'ammontare del 

' 

'

(1) La Suprema Corte sembra avere affermato, forse troppo semplicisticamente, il principio 
I

per cui l'accertamento ai fini delle imposte sui redditi di una societ� personale non produce effetti ~ 

I "<automatici sui singoli atti di accertamento del maggiore imponibile dei soci, cui tale reddito � � 
imputato pro quota. 

Ci� sarebbe giustificato dalla necessit�, per il socio, di potere contraddire l'atto che 
ridetermina i redditi della societ�. 

La soluzione pecca di eccessivo garantismo e non tiene conto del fatto che unico legittimato 
a contraddire l'atto di accertamento nei confronti della societ� � la medesima, come rappresentata 
in base alla legge o allo statuto; e al proposito occorre ricordare che anche nelle societ� in nome 
collettivo, ove il socio � di norma anche coamministratore, la sua volont� � pur sempre in rapporto 

I 
iru 
dialettico con quella degli altri soci, titolari dello jus veti (art. 2257 codice civile). E ci�, a voler 
tacere dei casi in cui il socio non rappresenta affatto la societ�, come nell'amministrazione 
congiuntiva o nel caso di nomina di apposito amministratore (artt. 2258, 2259 codice civile). 

Onde evitare, pertanto, il paradossale risultato di far rimettere costantemente in discussione m 
l'accertamento, con inammissibile eccesso di tutela, a opera dei soci, cui per legge si imputa il 

I

:-: ..

reddito della societ� personale, si deve limitare la possibilit� di costoro di impugnare l'accertamento 

~@

relativo ai redditi dei singoli, da una parte ai vizi formali e propri dell'atto, dall'altra a quelli relativi 

rn

al computo del reddito complessivo, non afferenti cio� alla quota di imponibile IRPEF imputata ex 

~::

art. 5 TUIR. Infine, e con riferimento a tale quota, alla errata imputazione (nell'ano nel quantum 

~~j

della quota stessa) ovvero al diverso ammontare della stessa dovuto alla erroneit� dell'accertamento !
�sociale� se e in quanto contestato ritualmente dalla societ�. !.~ 
Pertanto, ove tale accertamento divenga inoppugnabile (o tale divenga la sentenza che 
pronunzi sul relativo ricorso) tale ammontare non sar� pi� contestabile. i:
:


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,,,.__,.,,.tl..,'1....,,��,1"1 
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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

239 

reddito societario e quella concernente il reddito di partecipazione del socio, 
ritenendo che l'esito del primo giudizio, non ancora passato in giudicato, 
precludesse ogni indagine sull'effettivo possesso del reddito da parte del socio 
contribuente. 

Entrambi i profili del ricorso debbono essere rigettati. 

Il primo perch� il socio della societ� di fatto ha un evidente interesse a 
contraddire l'atto che gli determina i redditi della societ� in misura maggiore al 
dichiarato, e conseguentemente gli accolla un maggior reddito proporzionale 
alla quota. 

Per quanto attiene al secondo profilo, occorre ricordare che questa Corte con 
le sue sentenze n. 7654 del 10 luglio 1991 e n. 3923 del 1� aprile 1992, ha ammesso 
che, almeno nella specifica materia tributaria, quando il medesimo organo 
giudicante si trovi a pronunciare contestualmente pi� decisioni in cui siano 
affrontate questioni legate fra di loro con un vincolo di consequenzialit� necessaria, 
� consentito che la motivazione di una decisione consista in un rinvio alle 
argomentazioni svolte nell'altra. Del resto in tale caso non si ha tanto la 
motivazione di una sentenza per relationem cio� mediante rinvio agli argomenti 
contenuti in altra sentenza, ma piuttosto la constatazione che la decisione in un 
certo senso di una delle controversie comportava necessariamente la identica 
conclusione per l'altra. 

La motivazione per relationem � anche ammessa da Cass. 28 gennaio 1987, 

n. 821. Mentre � ovviamente nulla la sentenza della Commissione Tributaria 
Centrale motivata con la mera enunciazione della opportunit� di uniformarsi ad altra 
(2) L'art. 36, II comma, n. 4 del decreto legislativo n. 546/1992, enunziante i requisiti 
della motivazione della sentenza del giudice tributario, richiede che la stessa sia succinta. Ci�, 
a differenza, del rito civile (art. 132 II comma n. 4 codice procedura civile) che per la 
motivazione della sentenza fa riferimento a criteri di concisione (cos� anche il vecchio rito 
tributario, art. 37 b) decreto del Presidente della Repubblica n. 636/1972), mentre, com'� noto, 
il criterio della succinta motivazione � proprio delle ordinanze (art. 134 codice procedura 
civile). 
In tal quadro sembra giustificabile la massima in commento, anche se il criterio � 
assolutamente empfrico con riferimento alla contestualit� necessaria per tale procedimento 
motivazionale fra le varie decisioni, il che pu� creare problemi alle parti nel dover rintracciare la 
sentenza di riferimento, che, proprio perch� stilata insieme alle altre, non ha ancora un numero e 
con esso non � citabile. 

Del resto, sembra che il principio, nell'epoca della videoscrittura, sia assolutamente da 
riprovare, al limite come fondamento di una violazione di norme disciplinari ex art. 15 decreto 
legislativo n. 545/1992, fermo restando che ove la sentenza base non sia individuabile le altre 
devono considerarsi nulle. 

Rimedio a ci� nei casi come quello in commento sarebbe stato l'uso dei poteri di riunione 
dei ricorsi connessi, ex artt. 29 e 55-61 decreto legislativo n. 546/1992, ricordando come esso sia 
pi� vasto di quello previsto nel rito civile e come possa essere applicato in appello e con semplice 
decreto presidenziale. Ci� consentirebbe di pervenire a un giudizio definitivo sull'accertamento 
del reddito della societ� e dei soci. 

R.o.F. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

240 

decisione, che si afferma adottata nei confronti di altro contribuente, ma della quale 
non viene riportata la motivazione e non viene neppure indicato il contenuto 

decisorio (Cass. 5 maggio 1992, n. 5314). 

� per altro da sottolineare come ipotesi di questo genere dovrebbero essere 
evitate attraverso l'istituto del litisconsorzio ora espressamente regolato anche dalla 
legislazione sul processo tributario (art. 14 decreto legislativo 31 dicembre 1992, 

n. 546) (omissis). 
CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 22 gennaio 1999 n. 580 -Pres. Rocchi -Rei. 
Altieri -P.G. (concl. conf.) Maccarone -Bonzano (avv. Contaldi) c. Ministero 
delle Finanze (avv. Stato De Bellis). 

'Iributi (in generale) -Contenzioso tributario -Nuovo rito -Ricorso per 
cassazione -Art. 360 n. 5 codice procedura civile -Applicabilit�. 

(Decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 546, art. 62 comma primo, e codice procedura 

civile art. 360 n. 5). 

� ammissibile il ricorso per cassazione avverso le sentenze della Commissione 
Tributaria Regionale per carente, insufficiente e contraddittoria motivazione: � tale, 

IIquella che si limiti a richiamare in modo generico �l'accertamento minuziosamente 
eseguito dalla Guardia di Finanza� in quanto non consente la ricostruzione della 
, 
ratio decidendi (1). 

(1) La sentenza applica l'art. 62 decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 546, che, in tema 
di ricorso per cassazione avverso le sentenze della Commissione Regionale richiama l'art. 360 
codice procedura civile nella sua integralit�, cos� rendendo possibili, altres�, le censure in ordine 
al difetto di motivazione. 
Va ricordato che nel precedente sistema di contenzioso tributario, tale motivo di ricorso, se 
era pacificamente ammesso avverso le sentenze della Corte di Appello giusta il rinvio alle norme 
codicistiche contenuto nell'art. 40 u.c. decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972 

n. 636, non lo era per le sentenze della Commissione centrale, per cui, mancando una norma ad 
hoc regolante il ricorso per Cassazione, restava applicabile l'art. 111 Cost., con la conseguenza 
che poteva censurarsi unicamente la carenza radicale della motivazione, in senso grafico, ovvero ru 
la sua apparenza. Soluzione, invero, non dissimile da quella adottata per altri organi di 
giurisdizione in posizione di autonomia e rilevanza (Sezione Disciplinare del C.S.M., Consiglio 
I

Nazionale Forense, Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche). 

~ 

Non si pu� che prendere atto della innovazione, ancorch� essa configuri un sistema ancor 1':l 
pi� garantista di quello introdotto, nel nuovo rito penale, dall'art. 606 lett. e) codice procedura ID[
penale, che consente il ricorso per Cassazione, oltre che nel caso di omessa motivazione, anche e 

~J

solo in quello di manifesta illogicit� della stessa, e non per l'insufficienza della medesima. La 

~== 

riforma del processo tributario si pone, quindi, in controtendenza rispetto ai vari tentativi volti a 
sottrarre alla Cassazione -gravata da un immenso carico di lavoro -il controllo sulla 1:: 
sufficienza della motivazione. l� 

.

R.o.F. 
.

I

f~ 

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'


rlABAl~~-::=r1~~~�M".ra;~g:::::~'.::::.,:'.~::::~:=:~:,.::t~ 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

(omissis). 

2.1. -Col primo motivo il ricorrente, denunciando carenza di motivazione in 
relazione a punti decisivi della controversia, nonch� violazione degli articoli 118 
disposizioni attivative codice procedura civile; 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241; 
2729 codice civile e 39 decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, 
lamenta che la decisione impugnata abbia totalmente omesso di considerare le 
ragioni esposte dal contribuente a sostegno dell'appello, e in particolare le risultanze 
del procedimento penale e la relazione del consulente tecnico di parte. 
2.2. -_Col secondo motivo, denunciando insufficienza della motivazione e 
violazione delle norme indicate al primo motivo sotto altro profilo, il ricorrente 
censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha condiviso, in modo apodittico e 
senza tener conto delle difese del contribuente, le valutazioni della Guardia di 
Finanza. Deduce, in particolare, un erroneo apprezzamento degli indizi, i quali 
sarebbero privi dei caratteri di cui all'art. 2729 codice civile, richiamato dall'art. 39 
del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973. 
2.3. -Col terzo motivo il ricorrente denuncia, sotto ulteriore profilo, omessa 
motivazione e violazione delle norme gi� indicate al primo motivo, lamentando che 
la decisione impugnata non contenga alcuna motivazione nei punti in cui ha ritenuto 
non operante il condono per l'anno 1979 e per una parte del volume d'affari del 
1984. La motivazione, infatti, renderebbe del tutto impossibile la ricostruzione 
dell'iter logico della decisione. 
3. Motivi della decisione. 
Per esigenze logiche deve essere preliminarmente esaminato il terzo motivo. 

La doglianza � inammissibile, in quanto, con la stessa, viene denunciato, non 
gi� una erronea valutazione o interpretazione del giudice di merito circa il 
contenuto della dichiarazione integrativa, ai fini del condono, ma un vero e 
proprio errore di percezione sull'(in)esistenza dell'idonea documentazione; in 
altre parole, un errore revocatorio deducibile ai sensi dell'art. 395, n. 4, codice 
procedura civile. 

Le altre censure, che possono essere congiuntamente esaminate, meritano 
accoglimento. 

Premesso che le decisioni delle Commissioni Tributarie Regionali possono 
essere censurate in cassazione sotto il profilo di tutti i motivi previsti dall'art. 360 
codice procedura civile, e quindi anche per carente, insufficiente e contraddittoria 
motivazione (art. 26 del decreto legislativo n. 546 del 1992). 

La Corte osserva che la decisione impugnata, limitandosi a richiamare in modo 
generico �l'accertamento minuziosamente eseguito dalla Guardia di Finanza�, non 
contiene alcun elemento atto a consentire il controllo di legittimit� sulla motivazione 
circa la pretesa evasione dell'IVA per gli anni 1979 e 1984, sia in relazione agli 
elementi acquisiti dai verbalizzanti, sia in relazione alle argomentazioni difensive 
formulate dal contribuente. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STPJO

242 

Si tratta di motivazione apparente, la quale non consente la ricostruzione della 
ratio decidendi ed � quindi, a fortiori, censurabile ai sensi dell'art. 360, n. 5, codice 
procedura civile. 

L'accoglimento del primo e del secondo motivo comporta la cassazione della 
sentenza impugnata, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della 
Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, la quale decider� anche sulle 
spese del presente giudizio di cassazione. 

P.Q.M. 
La Corte di Cassazione 
accoglie i primi due motivi e dichiara inammissibile il terzo (omissis). 

I

I

ij 



SEZIONE SESTA 

GIURISPRUDENZA PENALE 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. III, 10 febbraio 1997, n. 257 -Pres. Papadia -Est. 
Imposimato -P.M. Scardaccione ( conf.) -imp. Silvio Ra poni, p.c. Ministero per 
i Beni culturali e Ambientali ( avv. Stato Greco). 

Giudizio penale -Amministrazione dello Stato parte civile -Avvocatura dello 

Stato difensore ex lege -Procura ex lege -Nomina del sostituto -Non � 

richiesta. 

(Art. I, regio decreto 30 ottobre 1933 n. 1611; art. 78 e 102 codice procedura penale). 

La difesa delle Amministrazioni dello Stato e degli altri Enti che hanno il 
patrocinio dell'Avvocatura dello Stato, spetta a quest'ultima unitariamente 
considerata e non ai singoli avvocati e procuratori dello Stato e ci� in virt� della 
legislazione speciale di cui al R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, che si pone come 
normativa speciale rispetto a quella del codice di procedure penale. 

Pertanto gli avvocati dello Stato sono tutti legittimati �ad processum�, non 
necessitano di procura speciale, n� hanno necessit� di nominare un sostituto cos� 
come invece prevede l'art. 102 codice procedura penale (1). 

(omissis). 

Con sentenza in data 5 giugno 1996, la Corte di Appello di Roma, in parziale 
riforma della sentenza del Pretore di Latina, condannava Raponi Silvio alla pena di 
mesi otto di arresto e L. 6.000.000 di ammenda, per il reato p.p. dall'art. 733 codice 
penale, cos� derubricata l'originaria imputazione, riunito in continuazione all'art. 59 
legge 1089/39. 

Contro la sentenza della Corte di Appello di Roma ricorre in Cassazione Raponi 
Silvio, deducendo una serie specifica di motivi. 
Lamenta il ricorrente: 

1) violazione dell'art. 606, lettera c, del codice procedura penale per violazione 
delle norme processuali, in relazione all'art. 591 lett. c, codice procedura penale, non 
avendo il P.M. impugnante nel contestare l'assoluzione di cui al capo A della originaria 
imputazione di I grado, enunciato i motivi di diritto e di fatto dai quali si rileverebbe 
l'errore del Pretore, limitandosi ad una mera affermazione di principio con l'apodittica 
affermazione della inesatta applicazione dell'art. 7 del decreto legge 400 del 1995. 

(1) Questa sentenza, pur nella sua sinteticit�, ribadisce un'affermazione che costituisce ius 
receptum della giurisdizione civile e che appare da condividere, affermazione fatta propria anche 
dalla giuriprudenza penale, con l'unica eccezione della sentenza Cass. VI pen. 17 giugno 1995 n. 
6980 (v. in questa Rassegna 1995, I, 305 con nota critica di WALLY FERRANTE: Parte civile: 
procura speciale anche per le amministrazioni statali?). 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STAT� 

La sentenza di Appello, sul punto, si limita a richiamare le motivazioni poste a 
base dell'impugnazione, senza pronunciarsi sulla censura mossa. 

Il motivo � infondato, La Corte di Appello ha congruamente motivato in ordine 
alla sufficiente specificazione da parte del P.M. delle ragioni di diritto in base alle 
quali ha ritenuto censurabile la motivazione di assoluzione del Raponi dal reato sub r: 
A, e quindi inapplicabile la norma di cui all'art. 7 del decreto legge n. 400/95, 
ritenuta invece applicabile dal Pretore. 


Ed invero, le norme in materia di impugnazione sono ispirate al principio di un 
articolato formalismo nella implicita e necessaria prospettiva di delimitare nei suoi 
confini il campo di indagine del giudice del gravame. Tuttavia tale formalismo non 
va inutilmente esasperato, ogni qualvolta sia possibile individuare, come nella 
specie, i vari elementi dell'atto di impugnazione, altrimenti mortificandosi il 
principio del <ifavor impugnationis� (conf. Cass., Sez. 6, sent. 11maggio1995, Pres. 
Di Gennaro). D'altra parte, quando con i motivi di appello, vengono investiti 
specifici punti della sentenza che attengano alla errata applicazione di una specifica 
violazione di legge, ci� non si risolve in una inammissibilit� della impugnazione per 
difetto di specificit� dei motivi, perch� l'individuazione dei punti della sentenza 
oggetto dell'impugnazione d� al giudice di appello la possibilit� di riesaminare il 
materiale del giudizio senza vincoli, non superati nella fattispecie, che non siano 
quelli del punto impugnato (Conf. Cass. 5 ottobre 1992 Makram). 

2) Violazione dell'art. 606 lettera c, del codice procedura penale per 
violazione delle norme processuali, in relazione all'art. 78, lettera A, codice di 
procedura penale, avendo la Corte di Appello omesso di dichiarare inammissibile la 
costituzione di parte civile del Ministero dei Beni culturali, per la omessa 
indicazione esplicita del difensore e per avere, il difensore costituitosi parte civile, 
omesso di documentare la propria appartenenza all'Avvocatura dello Stato. In tal 
modo sarebbe stato violato il diritto dell'imputato di avere certezza circa la qualit� 
del suo contraddittore, con violazione della ratio dell'art. 78 lettera A. 

3) Violazione dell'art. 606, lettera c, per violazione di norme processuali 
stabilite a pena di nullit�, in relazione all'art. 102 codice procedura penale, per 
essere il legale comparso in Appello, persona fisica diversa da quella comparsa in 
primo grado e da quella sottoscrittore dei motivi di Appello, sprovvisto di delega ex 
art. 102 codice procedura penale. L'art. 1 regio decreto 1611/33 attiene al rapporto 
�interno� tra la P.A. e l'Avvocatura dello Stato. 

I motivi di cui al punto 2 e 3 sono infondati. 

La normativa speciale prevista dal regio decreto 30 ottobre 1933 n. 1611, stabilisce 
all'art. 1 che la rappresentanza e la difesa in giudizio delle Amministrazioni pubbliche 
spetta all'Avvocatura dello Stato in quanto Ufficio unitariamente considerato e non ai 
singoli avvocati o procuratori che di quell'Ufficio fanno parte. Come ha correttamente 
ritenuto la Corte di Appello territoriale, la legge in questione, in quanto �ius speciale� 
rispetto a quanto prescritto dall'art. 78 codice procedura penale, cio� derogatoria della 
normativa generale del codice di procedura penale, non attribuisce alcun potere al 
singolo ma all'Avvocatura dello Stato un potere generale che trover� concreta attuazione 
nei singoli soggetti che materialmente di volta in volta rappresenteranno l'organo. E ci� 
per la particolare natura dei soggetti pubblici inquadrati nella P.A. del rapporto organico 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

esistente tra detti soggetti e l'Avvocatura dello Stato, istituzionalmente demandata a 
svolgere ex lege il patrocinio e l'assistenza legale delle Amministrazioni dello Stato. 

Ne consegue che la �legitimatio ad processum� spetta ad ognuno degli 
appartententi all'organo, perch� ciascuno degli organi � titolare della relativa 
capacit� di agire in giudizio in rappresentanza dell'Ente Patrocinato, senza necessit� 
di procura speciale. (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, sez.VI, 28 novembre 1997 -4 febbraio 1998, n. 1319 -
Pres. Trojano-.P.M. Scardaccione (diff.)-Min. finanze (avv. Stato Greco) imp. 
Gilardino ed altri. 

Procedura penale-Giudizio di appello-Rito camerale-Legittimo impedimento 
dell'imputato-Mancato preannuncio al giudice dell'intenzione di partecipare 
all'udienza camerale-Richiesta di rinvio dell'udienza-Rigetto-Legittimit�. 
(codice procedura penale artt. 127, 599). 

Procedura penale-Giudizio di appello-Rito camerale-Legittimo impedimento 
del difensore-Non comparizione del difensore in camera di consiglioRilevanza 
quale causa di nullit�-Esclusione. 
(codice procedura penale artt. 127, 486, 599) 

Procedura penale-Contestazione originaria risultante dal capo di imputazioneCondanna 
per fatto risultante da successive integrazioni-Identit� 
sostanziale del fatto contestato-Principio di correlazione tra accusa e 
sentenza -Violazione -Esclusione. 
(codice procedura penale art. 521) 

Delitti contro la Pubblica Amministrazione-Corruzione impropria-Atto 
discrezionale-Configurabilit�. 
(codice penale art. 318) 

Delitti contro la Pubblica Amministrazione-Atto discrezionale-Esercizio 
distorto della discrezionalit�-Contrariet� ai doveri di ufficio-Corruzione 
propria. 
(codice penale art. 319) 

Delitti contro la Pubblica Amministrazione-Corruzione propria-Concorso 
formale con il reato di collusione-Configurabilit�. 
(codice penale art. 319; legge 9 dicembre 1941 n. 1383, art. 3). 

Nel giudizio di appello che si svolge secondo le forme del rito camerale, ai 
sensi dell'art. 599 codice procedura penale, 1 'esistenza di un legittimo impedimento 
dell'imputato a comparire all'udienza camerale non obbliga il giudice a disporre il 
rinvio dell'udienza, qualora l'imputato non abbia preventivamente manifestato 
l'intenzione di esser presente all'udienza. 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STA�'� 

246 

Nel giudizio di appello che si svolge secondo le forme del rito camerale, ai 
sensi dell'art. 599 codice procedura penale, l'assenza del difensore dell'imputato 
costituisce causa di nullit� solo se determinata dall'omissione della notifica 

dell'avviso di fissazione dell'udienza camerale. 
Non risulta violato il principio di correlazione tra accusa e sentenza, sancito 
dall'art. 521 codice procedura penale, qualora il fatto per il quale sia intervenuta 
sentenza di condanna a carico dell'imputato, risulti dalle integrazioni desumibili 
dagli interrogatori e dagli altri atti di causa, a condizione che tali integrazioni non 
siano idonee ad incidere sugli elementi costitutivi del reato contestato nel capo di 
imputazione n� si pongano in una situazione di incompatibilit� o eterogeneit� 
rispetto al fatto cos� come descritto nella richiesta di rinvio a giudizio. 
Il reato di corruzione impropria,ex art. 318 codice penale, � teoricamente 
configurabile anche qualora 1 'atto di ufficio, in relazione al compimento del quale 
sia stata promessa od effettuata una dazione di denaro o di altra utilit� al pubblico 
ufficiale, abbia carattere discrezionale. 
Qualora l'indebita retribuzione o la relativa promessa siano finalizzate a 
sollecitare 1 'esercizio della discrezionalit� spettante al pubblico ufficiale in modo 
difforme dalla linea di condotta imposta dalla disinteressata ed equilibrata 
valutazione della situazione concreta da parte del pubblico ufficiale, sussiste il 
reato di corruzione propria, ex art. 319 codice penale, in considerazione della 
contrariet� ai doveri di ufficio dell'atto del pubblico ufficiale. 
� configurabile il concorso formale di reati tra il reato di collusione di un 
militare della Guardia di Finanza con estranei al fine di frodare la Guardia di 
Finanza, previsto e punito dall'art 3 della legge n. 1383 del 1941, e quello di 
corruzione propria, ex art. 319 codice penale (1). 
(omissis) 
6. Vanno 
prese per prime in esame, atteso il loro carattere preliminare rispetto 
alle censure concernenti il �merito�, le doglianze di ordine processuale, con le quali 
si contesta, per un verso, 1 'osservanza del diritto di difesa sia personale sia tecnica 
nel giudizio di appello e, per un altro verso, 1 'instaurazione di un legittimo 
contraddittorio nello stesso giudizio, in forza del mutamento dell'addebito 
conseguente al decisum della sentenza di primo grado. 
(1) Discrezionalit� amministrativa e sindacato del giudice penale tra corruzione 
propria e corruzione impropria. 
; 
La sentenza in commento suscita particolare interesse per l'importanza delle questioni di 
diritto processuale penale e di diritto penale sostanziale dalla cui soluzione � dipesa la decisione 
di ben 10 ricorsi avverso la sentenza del 5 dicembre 1996 della Corte di Appello di Milano, 
emessa all'esito di un giudizio svoltosi secondo le forme del rito camerale, in virt� del combinato 
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disposto degli artt. 443, ultimo comma, codice procedura penale e 599 codice procedura penale, 11: 
trattandosi di giudizio introdotto con impugnazioni proposte avverso sentenze del giudice per le 

indagini preliminari presso il tribunale di Milano terminative di giudizi abbreviati. 
La prima doglianza che la Corte di Cassazione ha dovuto esaminare concerne la presunta 
. 
.

violazione del diritto di difesa sia personale, sia tecnica, per celebrazione del giudizio di appello ' 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

247 

7. -Piu in particolare, l 'avv. Isolabella, nell'interesse del Tanca, lamenta 
violazione della legge processuale ad opera dell'ordinanza 5 dicembre 1996 e della 
conseguente sentenza pronunciata lo stesso giorno, per essere stato celebrato il 
giudizio di appello in assenza dell' imputato e di entrambi i difensori, nonostante 
fosse stato dato tempestivo ed espresso avviso alla Corte, con istanza dell'll 
novembre 1996, del contemporaneo impedimento tanto del Tanca tanto degli 
avvocati Isolabella e Steccanella, impegnati davanti al Giudice per le indagini 
preliminari di Milano per la celebrazione del contemporaneo giudizio abbreviato in 
relazione ad altro �Stralcio� del medesimo procedimento, originariamente unitario. 
Il motivo � infondato. 

Per quel che concerne il legittimo impedimento del Tanca, � sufficiente 
richiamare la giurisprudenza di questa Corte, pressoch� costante nel senso che nel 
giudizio di appello in camera di consiglio -per i tempi di speditezza e di 
concentrazione che impongono la sua definizione in un'unica udienza in camera di 
consiglio (v. Sez. II, 14 aprile 1994, Ammirati) -l'udienza deve essere rinviata 
quando esiste un legittimo impedimento dell' imputato che abbia manifestato la 
volont� di comparire (Sez. IV, 29 maggio 1997, Reyes Corres; Sez. I, 13 novembre 
1995, Giurintano; tanto che la richiesta deve precedere il momento di allegazione 
dell'impedimento; cfr. Sez. IV, 26 novembre 1996, Vinci; Sez. I, 6 ottobre 1994, 
Albano); e ci� anche quando si tratti di appello avverso sentenza pronunciata in esito 
a giudizio abbreviato (v. Sez. IV, 23 dicembre 1994, Di Rocco). 

Orbene, poich� non risulta che il Tanca abbia avanzato alcuna richiesta di 
partecipare all'udienza nonostante il suo oggettivo �impedimento�, correttamente 
la Corte territoriale ha disatteso l'istanza di rinvio formulata all'udienza a mezzo 
del difensore �sostituto�. 

Relativamente al difensore, la giurisprudenza � altrettanto costante nella linea 
interpretativa secondo cui qualora il giudizio di appello debba svolgersi in camera 
di consiglio nelle forme previste dall'art. 127 codice procedura penale, richiamato 
dall'art. 599 dello stesso codice, sussiste nullit� per mancata presenza del difensore 
dell' imputato solamente in quanto la stessa derivi dall' omessa notifica dell' avviso 
della data dell'udienza; cosicch�, notificato tale avviso, � irrilevante l'assenza del 
difensore, anche se determinata da legittimo impedimento, essendo questo previsto 
quale causa di rinvio solo per il dibattimento (Sez. VI, 12 marzo 1996, Guglielmini). 

svoltosi con rito camerale in assenza di un imputato e di entrambi i suoi difensori, che pure si sarebbero 
curati di preawisare tempestivamente la Corte di Appello di Milano del loro legittimo impedimento, 
per essere gli stessi impegnati davanti al giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di 
Milano in relazione ad altro �Stralcio� del medesimo procedimento, originariamente unitario. 

La Corte di Cassazione richiamata la propria precedente giurisprudenza in materia ha 
escluso che nel caso di specie sia stato leso il diritto di difesa personale dell'imputato, dal 
momento che lo stesso non aveva avanzato richiesta di partecipare all'udienza camerale tenutasi 
dinanzi alla Corte di Appello territoriale. Infatti, secondo tale orientamento giurisprudenziale, 
solo nel caso in cui l'imputato abbia manifestato preventivamente, rispetto all'allegazione 
dell'impedimento, la volont� di comparire, il giudice � tenuto a rinviare l'udienza camerale, 
anche quando -come nella vicenda processuale conclusasi con la sentenza in discorso -si tratti 
di appello awerso sentenza pronunciata all'esito di giudizio abbreviato. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAtcr 

Con la conseguenza che, non essendo applicabile alla detta procedura 1 'art. 486, 5� 
comma, codice procedura penale, la mancata concessione del rinvio richiesto dal 
difensore e la �non presenza� dello stesso all'udienza camerale non trovano 
sanzione di nullit� poich�, disponendo 1 'art. 127 che il pubblico ministero e i 
difensori sono sentiti solo se compaiono, il contraddittorio � assicurato dalla 
semplice tempestiva notificazione degli avvisi (Sez. IV, 21 febbraio 1996, Pulcini; 
Sez. I, 5 dicembre 1995, De Rosa; analogamente, Sez. III, 11luglio1995, Ghia; Sez. 
VI, 27 marzo 1996, Grillo). 

D'altro canto, anche ove si volesse ritenere che nell'ipotesi di appello avverso 
sentenze pronunciate in esito a giudizio abbreviato debba trovare applicazione, per 
la piena cognitio che, pur nell'ambito del principio devolutivo, investe il giudice di 
secondo grado, il disposto dell'art. 486, 5� comma, codice procedura penale, il fatto 
che, nel caso di specie, 1 'imputato si fosse affidato all'assistenza di due difensori 
varrebbe comunque a rendere operante 1 'ultima parte di tale comma. Un simile 
precetto richiede che 1 'impedimento riguardi uno soltanto dei difensori, ma la 
regola, non pu� non valere, e a fortiori, nel caso in cui entrambi i difensori risultino 
impediti per lo stesso concomitante impegno, garantendosi comunque 
quell'assistenza difensiva, in grado di assicurare 1 'osservanza del pi� volte 
richiamato 5� comma dell'art. 486. Una regola che appare conseguenziale al pi� 
generale principio di diritto enunciato dalle Sezioni unite di questa Corte ( cfr. Sez. 
un., 27 marzo 1992, Fogliani; ma anche Corte cost. sentenza n. 178 del 1991 ), 
secondo cui �il regolare espletamento della funzione giurisdizionale � bene 
costituzionalmente protetto per realizzare un'effettiva eguaglianza di trattamento tra 
tutti i cittadini sia per garantire la collettivit� da comportamenti gravemente lesivi 
dei beni individuali e collettivi�; cos� da contemperare le esigenze di difesa e di 

Anche se la Corte di Cassazione non l'ha citato espressamente, � il precetto contenuto 
nell'art. 599, secondo comma, codice procedura penale (che impone il rinvio dell'udienza 
camerale, in sede di giudizio di appello, in caso di legittimo impedimento dell'imputato che abbia 
manifestato la volont� di comparire), a fornire solida legittimazione logico-giuridica al 
summenzionato orientamento giurisprudenziale. 

Quanto alla prospettata lesione del diritto di difesa tecnica che si sarebbe concretata nel 
rigetto dell'istanza di rinvio dell'udienza camerale formulata dal sostituto processuale del 
difensore di fiducia, giustificata con l'allegazione del legittimo impedimento di quest'ultimo, la 
Corte l'ha esclusa ricorrendo ad una duplice argomentazione. 

In primo luogo, sulla scia della linea interpretativa seguita costantemente dalla 
giurisprudenza della Suprema Corte (cfr., nello stesso senso, Cass. VI, 3 maggio 1993, 
Ginanneschi, CED 195140; Cass. IV, 17 dicembre 1992, pubblicata in Cassazione penale, 1994, 
2096; si deve segnalare, per�, l'importante affermazione contenuta in Cass. IV, 29 aprile 1994, 
Del Core, CED 200757, secondo la quale ove la mancata partecipazione all'udienza camerale sia 
dovuta all'adesione ad un'agitazione della categoria di appartenenza il difensore ha diritto al 
rinvio dell'udienza, purch� ne informi il giudice manifestando anche l'intenzione di essere 
presente all'udienza. In senso contrario all'orientamento seguito dalla Corte di Cassazione in 
punto di conseguenze dell'assenza del difensore dell'imputato all'udienza camerale in sede di 
giudizio di appello, determinata da legittimo impedimento, cfr. in dottrina la tesi di LoRusso, 

Definizione dell'appello in camera di consiglio ed assenza del difensore per impedimento 
assoluto, in Cassazione penale 1994, 2097, in cui si critica la prospettiva formalistica della Corte 
di Cassazione -secondo la quale la soluzione adottata dal codice di procedura penale del 1988 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

249 

libert� dell'imputato da una parte e le esigenze di affermazione del diritto e della 
giustizia dall'altro. Simile contemperamento � reso possibile solo ponendo a 
raffronto le esigenze difensive con quelle pubbliche, affinch� non si realizzino n� 
impunit� n� anticipate liberazioni pericolose per la sicurezza collettiva n� 
pretestuosi ritardi nella celebrazione dei processi. 

Privo di rilievo �, poi, il richiamo all'art. 599, 3� comma, a norma del quale �nel 
caso di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, il giudice assume le prove in 
camera di consiglio a norma dell'art. 603, con la necessaria partecipazione del 
pubblico ministero e del difensore�. 

L'argomentazione che 1 'ordinanza 5 dicembre 1996 abbia disposto la 
rinnovazione parziale del dibattimento per 1 'acquisizione dei documenti indicati nel 
verbale di udienza, resta, infatti, superata sia dall'impropriet� di un tale 
provvedimento, considerato che quando si tratta di produzione di documenti, 
potendosi applicare in grado di appello, anche in camera di consiglio, le disposizioni 
relative al giudizio di primo grado ( cfr. art. 598 codice procedura penale), la detta 
produzione pu� essere consentita -come, del resto, � avvenuto nella specie prima 
dell' inizio della discussione e senza necessit� di ordinare, a norma dell'art. 
603, la rinnovazione parziale del dibattimento, in virt� dello stesso potere concesso 
in primo grado nel giudizio abbreviato al giudice dell'udienza preliminare dall'art. 
421, 3� comma, cui rinvia il primo comma dell'art. 441 codice procedura penale; sia 
dall'assorbente rilievo che la �rinnovazione� non riguardava assolutamente il 
Tanca, in quanto concerneva la produzione della sentenza del Tribunale militare di 
Torino relativamente all'applicazione della continuazione ad altri imputati e di 
ricevute di versamento relative al Ballerini, al Morabito, al Mastrototaro e al 
Gilardino. 

per l'attuazione del principio del contraddittorio sarebbe conforme al contenuto precettivo della 
direttiva n. 93 della legge delega del 1987 -e si auspica un intervento correttivo del legislatore 
tale da consentire l'applicazione della previsione in tema di legittimo impedimento del difensore 
anche al di fuori dell'ambito dibattimentale, soprattutto se ci si trovi di fronte ad un'udienza 
svolta in forma camerale, ma potenzialmente in grado di definire il processo. � interessante 
segnalare, adesivamente, la duplice valenza che, nell'ottica dell'autore, assume il principio del 
contraddittorio quale strumento per la ricerca della verit� e la formazione di una decisione 
attraverso il confronto-scontro tra contrapposte tesi, da un lato, e quale congegno giuridico 
funzionale alla piena attuazione del diritto di difesa, costituzionalmente garantito, dall'altro si � 
ribadito il principio secondo il quale ove il giudizio di appello debba svolgersi con il rito camerale 
l'assenza del difensore dell'imputato costituisce causa di nullit� solo se determinata dall'omessa 
notifica dell'avviso di fissazione dell'udienza camerale. 

A tale conclusione la giurisprudenza della Corte di Cassazione � pervenuta muovendo 
dall'esame del disposto dell'art. 127 codice di procedura penale, espressamente richiamato 
dall'art. 599, primo comma, codice procedura penale -che disciplina espressamente il giudizio 
di appello in camera di consiglio -, il cui terzo comma prevede che i destinatari dell'avviso di 
fissazione dell'udienza camerale, tra cui figura necessariamente il difensore dell'imputato, sono 
sentiti solo se compaiono. 

Tale previsione normativa � giustificabile solo dall'assunto che, nell'ambito del rito 
camerale, la soddisfazione dell'esigenza del contraddittorio � assicurata dalla mera tempestivit� 
della notificazione degli avvisi e non anche dall'effettiva ed attuale partecipazione del difensore 
all'udienza in camera di consiglio, di talch� qualora tale notificazione si sia verificata la non 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAT6 .

250 

Senza contare che alla necessaria partecipazione del difensore, richiesta dall' 
art. 599, 5� comma, non fa ineludibilmente da riscontro l'applicazione del 5� 
comma dell'art. 486 codice procedura penale. Principio, questo, recentemente 
ribadito dalla Corte costituzionale (sentenza n. 175 del 1996), che, con riferimento 
alla denunciata lesione del diritto di difesa in una fase che precede il giudizio, dopo 

aver, significativamente, precisato che, in effetti, la norma denunciata fosse -pi� 
che l'art. 420, l'art. 486, 5� comma, qui reiteratamente evocato -ha dichiarato 
non fondata, in riferimento all'art. 24 Cost., la questione di legittimit� costituzionale 
dell'art. 420, comma 3, codice procedura penale, nella parte in cui non prevede, nel 
caso di assoluta impossibilit� del difensore di comparire determinata da un legittimo 
impedimento il rinvio dell'udienza preliminare. 
A tanto si aggiunga che l'udienza camerale a carico del Tanca venne celebrata 
in presenza del �sostituto� dei suoi difensori di fiducia, nominato (agli esclusivi, 
quanto davvero singolari, fini -certo contraddittori rispetto alla figura delineata 
dall'art. 102 codice procedura penale -di richiedere il differimento dell'udienza) 
con atto 5 dicembre e che l 'avv. Steccanella, ebbe a rassegnare le sue conclusioni 
�anche per l'avvocato Isolabella, chiedendo una riduzione della pena e sospensione 
della stessa�. 
8. -L'avv. Piermaria Corso, nell'interesse del De Gennaro, del Sicuro e del 
Licheri, lamenta violazione dell'art. 441, comma 1, codice procedura penale per 
avvenuto mutamento del capo di imputazione dopo l'ammissione al rito abbreviato, 
con spostamento della data di consumazione dal 12 giugno 1989 al settembre 1989 
e conseguenti riverberi quanto alla prescrizione del reato. 
presenza del difensore dell'imputato, pur se dovuta a legittimo impedimento preavvisato al 
giudice, non ingenera alcuna nullit�. 
Tale iter argomentativo merita di essere apprezzato perch� rigorosamente e 
conseguenzialmente ancorato al dato normativo offerto all'interprete dal vigente codice di 
procedura penale. 
Meno perspicuo, e tale da suscitare qualche perplessit�, appare invece il ragionamento 
sviluppato dalla Corte di Cassazione a partire dal presupposto, assunto in via di mera ipotesi, 
dell'applicabilit� al giudizio di appello avverso sentenze terminative di un giudizio abbreviato, 
dell'art. 486, quinto comma, codice procedura penale. La prima parte di tale articolo prevede che 
il giudice sospende o rinvia anche di ufficio il dibattimento, fissando con ordinanza la data della 
nuova udienza e disponendone la notificazione al difensore, nel caso di assenza di quest'ultimo, 
ili 
~I ove risulti che la stessa � dovuta ad assoluta impossibilit� di comparire per legittimo impedimento 
prontamente comunicato. 
Ad avviso della Suprema Corte la circostanza che nel caso di specie l'imputato sia stato ~ 
assistito da due difensori varrebbe a rendere operante l'ultima parte di tale comma, che esclude ~ 
l'operativit� della norma contenuta nella prima parte dello stesso, nell'ipotesi in cui, a fronte del 
conferimento del mandato difensivo a due difensori, risulti impedito a partecipare al dibattimento 
i; 
1::ill 
solo uno dei due difensori. 1:: 
Non appare convincente il tentativo della Corte di Cassazione di dimostrare che la regola 1_:_�_. 
contenuta nell'ultima parte del quinto comma dell'art. 486 codice procedura penale, letteralmente i:, 
riferibile esclusivamente al caso di impedimento di uno soltanto dei difensori, non possa non 
valere a fortiori, anche nel caso in cui entrambi i difensori risultino impediti per lo stesso 
concomitante impegno, assumendosi che sarebbe comunque garantita quell'assistenza difensiva . i"I 
,.,I 

.,...,.... ,.,.,...z.,.,.fitftf@f.4fJL.,.. """"��'������.JWL4@r.4fr~.�....w,nllf'~4Jfi.film:@l,_,,_..,.z.1i.lff{ilif~kh"''''"''''''~d

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

251 

Il motivo � privo di fondamento. 

L' operazione disposta dal Giudice per le indagini preliminari non ha importato 
alcuna immutazione del fatto, ma una semplice precisazione del tempus commissi 
delicti, per giunta giuridicamente irrilevante, in quanto la prescrizione sarebbe 
comunque maturata solo a seguito della concessione delle circostanze attenuanti 
generiche e, quindi, non prima ma all'esito del giudizio. Senza contare che nel caso 
in cui la corruzione si sostanzi sia nella promessa sia nella consegna di una somma 
di danaro, � al momento esecutivo che occorre aver riferimento al fine di 
determinare il tempo del commesso reato ( cfr., ex plurimis, Sez. VI, 12 novembre 
1996, Rapisarda). 

9. -L'avv. Vincenzo Lo Giudice, nell' interesse del Ballerini, del Gilardino e 
dello Spazzoli, lamenta nullit� della sentenza per mutazione del fatto oggetto 
dell'accusa. 
Si sostiene che, poich� la contestazione originaria risultante dal capo di 
imputazione contenuto nella richiesta di rinvio a giudizio indicava il fine 
dell'accettazione dell'illecita dazione nella omissione di atti di ufficio o nel 
compimento di atti contrari ai doveri di ufficio in modo da favorire la societ� 
sottoposta all'accertamento fiscale, imputazione successivamente specificata nel 
corso del giudizio di primo grado con individuazione dell'atto contrario ai doveri 
dell'ufficio nell' omissione di indagine relativamente ai �fondi neri� della societ� 
verificata, a fronte del sospetto sulla provenienza della dazione illecita, 1 'accusa 
sarebbe stata del tutto modificata dalla decisione di secondo grado che ha 
individuato come oggetto della corruzione la promessa e la dazione del danaro 

idonea ad assicurare l'osservanza del pi� volte richiamato quinto comma dell'art. 486 codice 
procedura penale. 

In vero l'assistenza difensiva idonea ad assicurare l'osservanza del quinto comma dell'art. 
486 codice procedura penale � costituita dall'effettiva presenza di almeno un difensore di fiducia 

o di un suo sostituto, o comunque di un difensore designato dal Presidente del Tribunale come 
sostituto, a norma del combinato disposto degli artt. 97, quarto comma, e 484, secondo comma 
codice procedura penale, nel caso in cui l'imputato chieda che si proceda in assenza del difensore 
impedito. 
Tale essendo la disciplina dettata dall'art. 486 codice procedura penale al fine di soddisfare 
le esigenze di difesa dell'imputato, non si pu� far leva su tale disposizione del vigente codice di 
rito per dimostrare la tesi secondo la quale nel giudizio di appello che si svolge secondo le forme 
contemplate dall'art. 127 codice procedura penale l'esistenza di un legittimo impedimento del 
difensore a partecipare all'udienza camerale non costituisce causa di nullit�. 

N� pu� condividersi l'affermazione contenuta a pagina 9 della sentenza annotata secondo la 
quale tale regola pu� essere ritenuta conseguenziale al principio di diritto, enunciato dalle Sezioni 
Unite nella sentenza 27 marzo 1992, Fogliani, secondo il quale il regolare svolgimento della 
funzione giurisdizionale postula un necessario contemperamento delle esigenze di difesa 
dell'imputato, da un lato, e di quelle pubbliche relative all'affermazione del diritto e della 
giustizia, dall'altro. 

Questo principio, seppur plausibilmente impiegabile quale argomento idoneo a dimostrare 
la legittimit� costituzionale di norme processuali che apportino limitazioni al diritto di difesa 
dell'imputato al fine di assicurare una maggiore efficienza nell'esercizio della funzione 
giurisdizionale, non consente di per s� di inferire in modo logicamente cogente alcuna 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATo' .. 

252 

quale compenso per 1 'attivit� complessiva tenuta dai finanzieri che avevano 
celermente effettuato le operazioni di verifica e di inventario e avevano consentito 
all'azienda di proseguire la sua attivit� anche con la consultazione dei documenti, 
posti a disposizione dagli operatori, talora fornendo chiarimenti su leggi fiscali; 
dunque, la condanna sarebbe stata pronunciata dalla Corte territoriale per un fatto 

diverso (� da desumere, sia da quello enunciato nell'imputazione sia da quello 
ritenuto dalla sentenza di primo grado). Il tutto in violazione dell'art. 521 codice 
procedura penale. 

La censura � infondata. 

� noto come, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte Suprema, il 
principio di correlazione tra fatto contestato e fatto ritenuto in sentenza, di cui 
all'art. 521 codice procedura penale, finalizzato alla salvaguardia del diritto di 
difesa, non � violato qualora la sentenza puntualizzi 1 'imputazione enunciata 
formalmente nell'atto di esercizio dell'azione penale con le integrazioni risultanti 
dagli interrogatori e dagli altri atti in base ai quali � stato reso possibile all'imputato 
di avere piena consapevolezza del thema decidendum, cos� da potersi difendere in 
ordine a un determinato fatto. Il tutto purch� simili integrazioni, desunte da elementi 
esterni all'imputazione, non siano tali da determinare una modificazione 
dell'essenza del fatto, incidendo in tal modo sugli elementi costitutivi del reato 
formalmente contestato, n� porsi in posizione di incompatibilit� o eterogeneit� con 
il fatto og~etto della imputazione (cfr., ex plurimis, Sez. VI, 26 settembre 1996, 
Martina). E necessario, in altri termini, che le modalit� di realizzazione del fatto non 
restino sostanzialmente modificate nella struttura e nel contenuto essenziale (Sez. 
un., 30 marzo 1997, Dessimone; nonch�, ancor pi� puntualmente, Sez. I, 13 ottobre 
1995, Grimaldi). 

conclusione in ordine alla disciplina delle cause di nullit� nell'ambito del processo penale che non 
sia desumibile da puntuali statuizioni normative. A tale proposito la Corte di Cassazione ha citato 
la sentenza n. 178 del 1991 della Corte Costituzionale, pubblicata in Giurisprudenza 

costituzionale, 1991, 1464; in tale decisione il giudice delle leggi ha dichiarato l'infondatezza 
della questione di costituzionalit� dell'art. 486, comma 5, del codice procedura penale, sollevata 
in riferimento agli artt. 102, comma 1 e 112 Costituzione, della cui costituzionalit� il giudice a 
quo aveva dubitato in quanto, obbligando il giudice a rinviare il dibattimento, in caso di legittimo 
impedimento del difensore, avrebbe precluso in concreto l'esercizio della giurisdizione in caso di 
reiterazione da parte del difensore di fiducia per un numero illimitato di volte della richiesta di 
rinvio del dibattimento per altri impegni professionali, in modo tale da rendere possibili 
espedienti dilatori. 

Si tratta di una sentenza interpretativa di rigetto con cui la Corte Costituzionale, proprio sul 
presupposto della pari dignit� costituzionale del diritto di difesa e dell'esercizio della ~ 
giurisdizione, ha dissipato il dubbio di costituzionalit� prospettato dal giudice a quo interpretando m 
la norma denunciata.nel senso che essa non preclude al giudice la valutazione della legittimit� m 
dell'impedimento del difensore, secondo canoni di ragionevolezza, proprio al fine di agevolare 

I(

l:jj

l'esercizio della giurisdizione. 

i"

Peraltro, correttamente la Corte di Cassazione ha individuato nei precetti dettati dagli artt. 
127 e 599 codice procedura penale le puntuali statuizioni normative che hanno consentito al . 

I 
. 
.
giudice di legittimit� di escludere che dall'assenza dovuta a legittimo impedimento dei difensori 

i

di un imputato sia scaturita la nullit� dell'udienza camerale celebratasi dinanzi alla Corte di 
Appello di Milano. 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

253 

Ci� anche considerando che l'art. 521, 1� comma, codice procedura penale, che 
enuncia il principio della correlazione tra accusa e sentenza, va inteso, secondo la 
costante giurisprudenza di questa Corte (cfr., ex plurimis,Cass. 21 maggio 1992, 
Chirico ), non in senso �meccanicistico e formale�, ma in funzione della finalit� cui 
� ispirato, che � quella della tutela del diritto di difesa; con la conseguenza che la 
verifica dell'osservanza di detto principio non pu� esaurirsi in un mero confronto 
letterale fra imputazione e sentenza, occorrendo che ogni indagine in proposito 
venga condotta attraverso l'accertamento della possibilit� per l'imputato di 
difendersi in relazione a tutte le circostanze del fatto. 

Una linea che occorre ribadire a fortiori a proposito del rapporto esistente tra 
sentenza di primo grado e sentenza di secondo grado, perch�, a parte che nel caso di 
specie la contestazione originaria risulta strutturata in modo tale -senza che ci� ne 
comprometta la necessaria specificit� -da ricomprendere entrambe le modalit� 
corruttive, la indispensabile integrazione tra le decisioni formulate sulla base della 
imputazione originaria ha reso possibile, come del resto risulta ampiamente dai 
motivi di ricorso, l'esercizio del diritto di difesa di ciascuno degli imputati; senza 
che, peraltro, al di l� di una qualche distonia di ordine puramente valutativo, sia 
riscontrabile una decisiva differenza tra il fatto ritenuto nelle due statuizioni. 

Senza considerare che l'art. 521, 1� comma, codice procedura penale risulta 
non correttamente chiamato in causa, venendo qui, semmai, in considerazione il 
principio dell'effetto parzialmente devolutivo dell'impugnazione; un principio che 
non pu� certo dirsi vulnerato allorch� le argomentazioni esposte nella sentenza di 
appello divergano da quelle del giudice di primo grado; gli argomenti utilizzati 
riguardano, infatti, il momento logico e non il momento decisionale, cos� da 
osservare puntualmente il disposto dell'art. 597, 1� comma, codice procedura penale 

Tra le altre questioni processuali agitate nel giudizio di cassazione conclusosi con la 
sentenza annotata, merita di essere esaminata quella relativa alla nullit� della sentenza per 
mutazione dell'oggetto dell'accusa prospettata dalla difesa di alcuni imputati. 

Tale mutazione consisterebbe nel fatto che nella contestazione formulata nel capo di 
imputazione il fine dell'accettazione di denaro da parte degli imputati, appartenenti al Corpo della 
Guardia di Finanza, sarebbe costituito dall'omissione di atti di ufficio o dal compimento di atti 
contrari ai doveri di ufficio diretti a favorire la societ� sottoposta all'accertamento fiscale, salva la 
individuazione, nel corso del giudizio di primo grado, dell'atto contrario ai doveri dell'ufficio 
nell'omissione di indagine relativamente ai �fondi neri� della societ� verificata, a fronte del sospetto 
sulla provenienza della dazione illecita, laddove nella decisione di secondo grado la corruzione 
avrebbe ad oggetto la promessa e succesiva dazione di denaro quale compenso per l'attivit� 
complessivamente svolta dai finanzieri che avevano celermente effettuato le operazioni di verifica e 
avevano consentito all'azienda di proseguire la sua attivit� anche con la consultazione dei documenti 
posti a disposizione dai pubblici ufficiali operanti, fornendo anche chiarimenti su leggi tributarie. 

Avendo la Corte di Appello di Milano pronunciato condanna per un fatto diverso da quello 
enunciato nell'imputazione, ne conseguirebbe la nullit� di tale decisione per violazione dell'art. 
521 codice procedura penale. 

Anche tale questione di nullit� � stata agevolmente risolta dalla Corte di Cassazione 
mediante il richiamo alla propria consolidata giurisprudenza concernente il principio di 
correlazione tra accusa e sentenza. 

Il fondamento di tale principio � stato ravvisato nell'esigenza -imposta dalla regola del 
contraddittorio -che l'imputato sia giudicato solo in relazione a fatti preventivamente 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO ST�TO. 

254 


(la norma che occorreva, anche se impropriamente, evocare). Il tutto secondo la 
linea interpretativa tracciata da questa Corte Suprema, nel senso che il giudice 
dell'impugnazione pu�, in ordine alla parte della sentenza in contestazione, 
pervenire allo stesso risultato cui � giunto il primo giudice anche sulla base di 
argomentazioni diverse da quelle adottate dalla sentenza impugnata. 

10.1. -Nel ricorso sottoscritto dall'avv. Guiso, Gilardino, Spazzoli, Morabito, 
Mastrototaro e Ballerini hanno insistito sulla configurabilit� nel caso di specie del 
reato di cui all'art. 318 codice penale. 
Il tema � stato ulteriormente sviluppato dall 'avv. Vincenzo Lo Giudice, 
nell'interesse del Ballerini, del Gilardino e dello Spazzoli. Si contesta, pi� in 
particolare, 1 'affermazione contenuta nella sentenza impugnata in base alla quale la 
corruzione �impropria� sarebbe ravvisabile solo in presenza di un atto vincolato. Un 
requisito non richiesto dall'art. 318 codice penale, cos� da ampliare arbitrariamente 
la fattispecie della corruzione �propria�; per di pi� in contrasto con la pi� recente 
giurisprudenza la quale ha ritenuto che il reato di corruzione impropria concerne gli 
atti (discrezionali o vincolati) che siano contrari ai doveri di ufficio. Il tutto nel 
quadro di una nozione di contrariet� ai doveri di ufficio connessa al compimento 

I dell'atto non con la semplice compromissione di un astratto principio di imparzialit� 
ma attraverso la concretizzazione dell'interesse nel mancato adempimento di 
specifici doveri collegati alla funzione. Se, cio�, la parzialit� non si trasferisca 
sull'atto che resti l'unico possibile per realizzare l'interesse pubbl�co si � al di fuori 

! 

dello schema dell'art. 319 codice penale. 

~ 

Nel caso di specie, dalla stessa motivazione della sentenza di appello * 
emergerebbe l'insussistenza della fattispecie di reato per cui � intervenuta I 

~ 

condanna, addebitandosi agli imputati non il compimento di atti contrari ai doveri 
dell'ufficio ma soltanto di aver svolto celermente le operazioni di verifica, 
consentendo all'azienda di proseguire la propria attivit� anche con la consultazione 
di documenti e fornendo chiarimenti su leggi fiscali. 

contestatigli in modo tale da consentirgli di difendersi in modo effettivo (Cass. I 19 settembre 
1995, Guarnieri, CED 202535; Cass. V, 17 novembre 1992, Storace, pubblicata in Rivista penale, 
1993, 1069). Nello stesso senso in dottrina si � espresso, tra gli altri, il MARINI, in Commento al 
nuovo codice di procedura penale, coordinato da CHIAVARIO, V, sub art. 521 codice procedura 
penale, 475, Torino, 1989-1991. 

Nella sentenza annotata la Suprema Corte ha ribadito che tale principio, essendo finalizzato 
alla salvaguardia del diritto di difesa, non � violato qualora il fatto ritenuto in sentenza (seppur 
formalmente non perfettamente coincidente con l'oggetto dell'imputazione enunciata nell'atto di 
esercizio dell'azione penale), risulti dalle integrazioni desumibili dagli interrogatori e dagli altri 
atti in base ai quali � stato reso possibile all'imputato di prender piena cognizione del thema 
decidendum, a condizione che simili integrazioni non siano idonee ad incidere sugli elementi 
costitutivi del reato formalmente contestato n� si pongano in una situazione di incompatibilit� o 
eterogeneit� rispetto al fatto contestato. 

Come hanno insegnato le Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione, nella sentenza del 
22 ottobre 1996, Di Francesco (pubblicata in Gazzetta giuridica, 1996, n. 43, 51), vi � mutamento 
del fatto solo quando l'entit� della trasformazione degli elementi essenziali della fattispecie 
concreta � tale da determinare un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un 
effettivo pregiudizio per la difesa. In senso sostanzialmente conforme si era orientata la dottrina 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

255 

D'altro canto, la sentenza impugnata sarebbe del tutto priva di motivazione 
quanto alle ragioni per le quali il comportamento degli imputati debba essere 
considerato come espressione di uno sviamento dall'interesse pubblico, nessun 
elemento essendo stato addotto del perch� la conformit� all'interesse avrebbe 
richiesto tempi pi� lunghi nelle operazioni di verifica. 

Problematica approfondita anche dall'avv. Ludovico Isolabella nell'interesse 
del Tanca, il quale osserva che la mancata individuazione dell'atto di ufficio oggetto 
dell'illecito mercimonio determina I 'assenza di uno degli elementi costitutivi della 
corruzione propria. 

Il tutto, non soltanto con violazione della legge penale ma anche con riverberi 
sulla motivazione della sentenza impugnata, che non � stata in grado di argomentare 
in cosa sia consistita 1 'attivit� contraria ai doveri di ufficio per la quale � intervenuta 
condanna. 

Sulla stessa tematica si � diffuso anche l 'avv. Piermaria Corso nei motivi 
aggiunti. I ricorrenti insistono, anche sulla prescrizione del reato, comunque 
maturata pure ove la consumazione fosse stata ritualmente fissata nel settembre 
dell'anno 1987. Un tema da affrontare solo a seguito dei giudizi di qualificazione 
necessariamente conseguenti alle doglianze proposte. 

10.2. -Le censure devono, nei termini che seguono, essere disattese. 
La Corte condivide la tesi che incentra la contrariet� ai doveri dell'ufficio, 
costituente il punto di arrivo del dolo specifico, che contrassegna il reato di 
corruzione propria, sull'atto dal pubblico ufficiale. Pur dovendo rimarcare come, a 
tal fine, occorre aver riguardo non ai singoli atti, ma all'insieme del servizio reso al 
privato, per cui, anche se ogni atto separatamente considerato corrisponda ai 
requisiti di legge, 1 'asservimento costante della funzione, per danaro, agli interessi 
del privato concreta il reato di corruzione previsto dall'art. 319 codice procedura 
penale (cfr. Sez. VI, 18 aprile 1996, Messina). 

formatasi sotto la vigenza del codice di procedura penale del 1930 (cfr., per tutti, CoRDERO, 
Considerazioni sul principio di identit� del fatto, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 
1958, 940). 

Passando �all'esame delle questioni di diritto penale sostanziale sottoposte al vaglio della 
Suprema Corte, degna di rilievo � la circostanza che, pur essendo stata confermata la qualificazione 
giuridica in termini di corruzione propria della condotta criminosa contestata agli imputati nelle 
precedenti fasi del giudizio, � stata sottoposta a critica serrata la motivazione della sentenza della 
Corte di Appello di Milano, nella parte in cui si esprime perentoriamente il convincimento che il 
reato di corruzione impropria, ex art. 318 codice penale, � configurabile solo nel caso in cui il 
pubblico ufficiale corrotto abbia posto in essere un atto vincolato e che, conseguentemente, le 
condotte corruttive poste in essere in correlazione con l'adozione di atti discrezionali sono 
riconducibili alla fattispecie criminosa delineata dall'art. 319 codice penale (corruzione propria). 

L'impostazione seguita dal giudice di appello e criticata dalla Corte di Cassazione sembra 
essere conforme a quell'orientamento giurisprudenziale meno recente (Cass. 20 marzo 1968, in 
Rivista penale, 1969, II, 630; Cass. 14 novembre 1968, in Rivista penale, 1969, II, 211; Cass. 14 
febbraio 1970, in Cassazione penale, 1971, 761) secondo il quale l'atto discrezionale per il quale 
sia stato corrisposto al pubblico ufficiale denaro od altra utilit� deve essere considerato 
necessariamente atto contrario ai doveri di ufficio. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

256 

L'atto contrario ai doveri di ufficio non va, quindi, inteso in senso formale, 
dovendo la locuzione ricomprendere qualsivoglia comportamento del pubblico 
ufficiale che sia in contrasto con norme giuridiche o con istruzioni di servizio o che 
comunque violi quegli specifici doveri di fedelt�, imparzialit� ed onest� che 
debbono essere osservati da chiunque eserciti una pubblica funzione; con la 

conseguenza che la mancata individuazione in concreto del singolo �atto� che non 
avrebbe dovuto essere omesso o ritardato ovvero avrebbe dovuto essere compiuto 
dal pubblico ufficiale non fa venir meno il delitto di cui all'art. 319 codice penale 
ove venga accertato che la consegna del danaro al pubblico ufficiale sia stata 
effettuata in ragione delle funzioni dallo stesso esercitate e dei conseguenti favori 
oggetto della pattuizione (cfr. Sez. VI, 30 novembre 1997, Varvarito). 

� pur vero che l'illegittimit� dell'atto pu� costituire l'indice rivelatore della 
contrariet� ai doveri ufficio ma, ai fini della realizzazione della fattispecie di cui all'art. 
319 codice penale assumono rilievo tutti i doveri di ufficio che possono venire in 
considerazione e tra essi, soprattutto, quello dell'imparzialit�, bene costituzionalmente 
protetto. Dunque, la corrispondenza di ogni atto separatamente considerato ai requisiti 
di legge non esclude l'asservimento della funzione, per danaro, agli interessi privati, 

~ 

cos� da concretare il reato di cui all'art. 319 codice penale e non quello previsto dall'art. 

I ~ 

318 dello stesso codice (Sez. VI, 12 giugno 1996, Aragozzini). Il tutto, pur dovendosi 
precisare come 1 'osservanza del dovere di imparzialit�, va inteso non come mera 
osservanza del dovere �esterno� da ritenersi eluso ogni qual volta il pubblico ufficiale 

i 
~ 

agisca (anche) in funzione di una privata utilit� (il che si realizza anche nelle ipotesi di 

~ 

corruzione impropria), ma come inottemperanza ad uno specifico dovere, inerente al 
contenuto ed alle modalit� dell'atto da compiere. 

Alla luce del prevalente orientamento giurisprudenziale e dottrinario ( cfr. CARLO FEDERICO ~ 
GROSSO, I delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, sub artt. 318-322, J 
codice penale, 192, Torino, 1996; VASSALLI, Corruzione propria e corruzione impropria, in ~ 
Giustizia penale, 1979, 312; MARIA BEATRICE MIRRI, La corruzione dopo la riforma, in Reati ~ 
contro la pubblica amministrazione, a cura di FRANCO COPPI, Torino, 1993; PAGLIARO, Principi lfil 

di diritto penale-parte speciale, 188, Milano, 1994; SEMINARA S., Commentario breve al codice � 

penale, a cura di CRESPI, STELLA, ZuccAL�, sub art. 318, 717, Padova, 1992) correttamente la 
Corte di Cassazione ha ritenuto che la corruzione impropria � configurabile anche con riguardo 

agli atti discrezionali, sempre che questi siano il risultato di un corretto governo del potere 
discrezionale (cfr., tra gli altri, in dottrina, PAGLIARO, op.ult.cit.,193 e ss., secondo il quale l'uso , 
del potere discrezionale non ispirato all'interesse generale � ... o senza rispettare i precetti di 

I 

logica e di imparzialit�, � gi�, in senso penalistico, fare un atto contrario ai doveri di ufficio�) 

affidato al pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni, indipendentemente dal fatto che 

I�,,:,,,','�:� 

questi abbia accettato la promessa o la corresponsione di una retribuzione indebita, la semplice .:; 
violazione del solo dovere �esterno� (cfr., per l'uso della nozione di �dovere esterno� per 
qualificare il dovere gravante sul pubblico ufficiale di non accettare �retribuzioni indebite� dovere 
la cui violazione costituisce il tratto comune a tutte le ipotesi di corruzione -VASSALLI, I'} 
op.ult.cit., 313, che ne attribuisce la paternit� al MANZINI) di non accettarla non essendo di per s� : 
ostativa alla legittimit� dell'atto discrezionale adottato, da verificarsi alla stregua del parametro ' 
costituito dalla sua idoneit� a soddisfare adeguatamente l'interesse pubblico affidato alla cura del l�� 
pubblico ufficiale. � 

Da tale impostazione risulta, a contrario, che � configurabile il reato di corruzione propria '. 
laddove l'indebita retribuzione o la relativa promessa siano finalizzate a sollecitare l'esercizio > 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

257 

10.3. -Quel che, peraltro, occorre stigmatizzare relativamente al contesto 
motivazionale della sentenza impugnata, � il perentorio convincimento che il reato 
di corruzione impropria possa accedere ai soli atti di natura vincolata. 
Pure se, di norma, la corruzione impropria antecedente risulta incompatibile 
con il compimento di atti di natura discrezionale, perch� il pactum sceleris, venendo 
a condizionare la possibilit� di scelta del �corrotto� costituisce gi� di per s� il 
presupposto per la finalizzazione dell'atto, sulla base di una condizione non 
sviluppata, ma comunque rilevante, considerato il ruolo esponenziale che assume il 
motivo nell'ambito di un assetto negoziale contra legem e, per di pi�, comune ad 
entrambe le parti, la proposizione non pu� dirsi immanente nel sistema. 

La pi� avveduta giurisprudenza risulta, infatti, attestata nel senso che la 
corruzione cosiddetta �impropria� di cui all'art. 318 codice penale, � configurabile 
non soltanto con riguardo agli atti vincolati del pubblico ufficiale, ma anche con 
riguardo agli atti discrezionali, sempre che questi non siano contrari ai doveri di 
ufficio, indipendentemente dall'indebita retribuzione la quale, di per s�, 
comportando violazione del solo dovere �esterno� che impone di non accettarla, e 
non anche del dovere �interno�, che impone di rispettare le regole che presiedono 
all'emanazione dell'atto, non implica necessariamente contrariet� dell'atto 
medesimo ai doveri d'ufficio, ben potendo esso risultare comunque idoneo alla 
miglior soddisfazione dell'interesse pubblico, s� da poter essere considerato, in 
effetti, al pari dell'atto vincolato, come l'unico possibile. Per converso, quando 
l'indebita retribuzione, o la relativa promessa, siano finalizzate a far s� che la facolt� 
discrezionale sia esercitata in modo difforme da quello altrimenti suggerito 
dall'equilibrata e disinteressata valutazione della situazione concreta, si sar� in 

della discrezionalit� in modo difforme dalla linea di condotta imposta dalla disinteressata ed 
equilibrata valutazione della situazione concreta, essendo predicabile in tal caso la contrariet� 
dell'atto del pubblico ufficiale ai doveri di ufficio. Tale ordine di idee � espresso efficacemente 
dal VASSALLI (cfr. op.ult.cit., 313), il quale ragiona della necessit� della violazione di un "doppio 
dovere"perch� si possa configurare il reato di corruzione propria. 

Pur avendo corretto l'impianto motivazionale della sentenza della Corte territoriale, la Corte 
di Cassazione ha convalidato la tesi secondo la quale le condotte corruttive in questione integrano 
il delitto di corruzione propria. 

A tal fine si � fatto riferimento all'insegnamento giurisprudenziale secondo il quale anche 
se ogni atto del pubblico ufficiale, separatamente considerato, appaia legittimo, l'asservimento 
costante della funzione agli interessi del privato corruttore concreta il reato di corruzione propria. 

Questa tesi si giustifica sol che si consideri come la locuzione �atto contrario ai doveri di 
ufficio� va intesa in modo tale da ricomprendere ogni comportamento del pubblico ufficiale 
contrastante con norme giuridiche o con istruzioni di servizio o che comunque violi quegli 
specifici doveri di fedelt�, imparzialit� ed onest� che incombono su chiunque sia investito di una 
pubblica funzione. 

Certamente contrastante con il dovere di imparzialit� -inteso non come dovere �esterno�, 
eluso ogni qualvolta il pubblico ufficiale agisca anche in funzione di una privata utilit� (come 
avviene anche nell'ipotesi di corruzione impropria), ma come dovere interno, inerente, cio�, al 
contenuto ed alle modalit� dell'atto da compiere -deve essere ritenuta la condotta dei finanzieri, 
ricostruita dai giudici di merito, che hanno condotto verifiche fiscali con particolare celerit�, non gi� 
per soddifare al meglio l'interesse pubblico, ma per favorire il pi� possibile le aziende destinatarie 
di tali verifiche al fine di essere indebitamente da esse compensati alla fine delle operazioni. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

258 

presenza di corruzione cosiddetta �propria�, cio� per atti contrari ai doveri di ufficio 
(Sez. VI, 8 novembre 1996, Malossini). 

D'altro canto, non pu� trascurarsi che, allorch� la corruzione si profili come 
antecedente, l'attivit� amministrativa discrezionale risulta palesemente in contrasto 
con il principio della par condicio civium solo perch� l'operazione amministrativa 

non ceda ad indugi burocratici per assicurare non una pronta ed efficace tutela 
dell'interesse pubblico coincidente con l'interesse del privato, ma allo scopo, 
indotto dalla promessa (non importa se solo implicita) o dalla dazione di una somma 
di danaro o di altra utilit�, di favorire l'interessato. 

Una linea pi� volte seguita da questa Corte la quale ha osservato che quando il 
pubblico ufficiale, potendo scegliere tra una pluralit� di determinazioni volitive, 
scelga quella che assicura il maggior beneficio per il privato, che attraverso la dazione 
di un'indebita retribuzione lo ha spinto a privilegiare la propria posizione, deve 
ritenersi sussistente -per violazione del dovere di ufficio e non solo del principio di 
imparzialit� -la fattispecie legale di cui all'art. 319; in tal caso, infatti, il motivo 
dell'atto, e non solo il motivo del comportamento, trova il suo fondamento e la ragione 
determinante non nell'interesse pubblico, ma anche e prevalentemente nell'interesse 
privato (Sez. VI, 25 gennaio 1982, Albertini, in Cass. pen., 1983, 1966). 

I 

10.4. -Ancora, la eclatante sproporzione tra le somme versate e l'attivit� 
I

compiuta (omessa o ritardata) appare un indice univoco, pure in base ad elementari 

~ 

massime di esperienza, della contrariet� agli atti di ufficio di quanto compiuto 0 

(omesso o ritardato) dal pubblico ufficiale. 

Infatti il concetto di proporzione -da intendersi nel senso di mancanza di 
sproporzione manifesta tra la prestazione del privato e quella del pubblico ufficiale 
-riguarda soltanto la corruzione impropria prevista dall'art. 318 codice penale, che 
si riferisce alla �retribuzione non dovuta� per il compimento di un atto dell'ufficio, 

Ie non pure la corruzione propria prevista dall'art. 319 dello stesso codice, relativa al 
compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio, in cui non si fa riferimento al 

.� 
'.i 

Nel caso di specie la prospettiva del conseguimento di un'utilit� privata da parte dei pubblici 
ufficiali avendo viziato l'esercizio di una pubblica funzione, giustamente � stata ritenuta la 
contrariet� ai doveri di ufficio dell'attivit� dei finanzieri complessivamente considerata, con 
conseguente conferma dell' applicabilit� dell'art. 319 codice penale. 

Un'altra questione di diritto sostanziale, affrontata dalla Corte di cassazione, che merita di 
essere segnalata in questa sede, � quella concernente la possibilit� di ravvisare un'ipotesi di 
concorso apparente di norme penali nella relazione logico-giuridica intercorrente tra la norma 
incriminatrice della corruzione propria e quella dettata dall'art. 3 della legge speciale 9 dicembre '.a 
1941 n .. 1383f, cdhe c~ntempl~fl'.ipot~si ?ellbabc~l~usione di un militare della Guardia di finanza con ~ 

estranei per ro are mteressr manzran pu ber. 1=�= 

La Corte di Cassazione ha risolto negativamente tale questione ( cfr. nello stesso senso, r~ 
Cass.16 dicembre 1986, in Rivista penale, 87, 383; Cass. SS.UU. 12 aprile 1980, in Giustizia p 
penale, 80, III, 541) sulla base di due considerazioni. i'': 

In primo luogo, esaminata la struttura logica del reato di collusione, ha escluso che si tratti !:.��.:; 
di un reato complesso traendo argomento dal rilievo che tale reato si perfeziona con il semplice ~" 
accordo fraudolento tra finanziere e privato, senza contemplare quale suo elemento costitutivo il [ 

'"'o di cmrnzione. . . 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

259 

concetto di retribuzione, essendo sufficiente che la datio sia correlata all'atto 
contrario ai doveri di ufficio che il pubblico ufficiale, per 1 'accordo intervenuto, 
deve compiere o ha compiuto (Sez. un., 24 gennaio 1996, Panigoni). E se � vero che 
nel caso di corruzione propria non � possibile escludere la illiceit� penale 
dell'offerta o della dazione in quanto diretta a compensare la condotta del pubblico 
ufficiale contraria ai doveri dell'ufficio, pure se costituita da una somma di danaro 
di qualunque entit�, anche lieve, � anche vero che la vistosa sproporzione tra il 
risultato conseguibile dal privato e la somma data o promessa rappresenta un dato 
di chiaro valore sintomatico, che -in presenza di ulteriori elementi complementari 
-viene ad assumere valore di prova della sussistenza, non della corruzione 
impropria, ma della corruzione propria. Una proposizione, quella ora ricordata, in 
ordine alla cui rilevante significazione logico-giuridica si � avveduta la pi� attenta 
dottrina la quale ha puntualizzato che il principio di proporzione in un delitto 
caratterizzato dall'inserirsi la condotta in un rapporto sinallagmatico fra le parti 
contrapposte deve valere non soltanto quando si negoziano atti di ufficio, ma anche 
quando 1 'accordo sia in vista del compimento di atti contrari ai doveri di ufficio, 
dell'omissione e del ritardo di atti dell'ufficio; in questi ultimi casi, anzi, essendo 
nella natura delle cose che il compenso debba proporzionalmente elevarsi. Il tutto 
risulta, del resto confermato dal diverso atteggiarsi del sinallagma nelle due ipotesi 
criminose, ferma restando la corrispettivit� �funzionale� di ciascuna di esse, 
comprovata dal fatto che mentre 1 'art. 318 codice penale fa riferimento ad �una 
retribuzione... non dovuta�, 1 'art. 319 dello stesso codice si limita a riferisi alla 
ricezione di �danaro od altra utilit��. 

10.5. -Poste tali premesse, pur dovendo stigmatizzarsi una qualche frettolosit� 
motivazionale emergente dalla sentenza impugnata, va dato atto al giudice a quo di 
avere, sia pure sommariamente, argomentato, discostandosi dalla motivazione della 
sentenza di primo grado quanto alla qualificazione del fatto reato, relativamente 
proprio alla violazione del dovere di imparzialit� specifica. 
In secondo luogo, sul piano dell'analisi dell'obiettivit� giuridica dei due reati de quibus, se 
ne � messa in luce la loro profonda diversit�, essendo l'incriminazione della corruzione diretta a 
tutelare l'interesse generale al buon funzionamento ed al prestigio della pubblica amministrazione, 
laddove con la norma incriminatrice contenuta nell'art. 3 della legge n. 1383 del 1941, il legislatore 
ha inteso garantire il fedele adempimento dei servizi della Guardia di Finanza. 

Pur condividendo la tesi dell'inapplicabilit� del concorso apparente di norme tra il reato di 
collusione e quello di corruzione propria, ci sembra lecito precisare che il riferimento al regolare 
funzionamento dei servizi della Guardia di finanza non vale ad individuare l'oggetto giuridico del reato 
in questione, trattandosi di una mera parafrasi della descrizione della condotta incriminata; sembra pi� 
corretto individuare nell'interesse alla regolare percezione da parte dello Stato delle entrate finanziarie 
necessarie al suo concreto funzionamento il bene giuridico leso, o quanto meno minacciato, 
dall'adozione di condotte riconducibili alla fattispecie di reato delineata dall'art. 3 della legge n.1383/41. 

Analogamente in dottrina (cfr. PAGLIARO, op.ult.cit., 140) a proposito dei delitti di corruzione 
si � sostenuto che il dovere di ufficio o il dovere di fedelt�, proprio in quanto <doveri>, non sono 
beni, oggetto di tutela giuridico-penale, ma sono piuttosto <doveri> imposti dall'ordinamento 
giuridico in funzione della tutela di taluni <beni>. 

MASSIMO GIANNUZZI 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

260 

Ha rimarcato, infatti, la decisione impugnata come sia risultato che tutti gli 
imputati abbiano ammesso di essere stati al corrente della prassi in uso e delle 
ragioni che spingevano gli imprenditori alle elargizioni di danaro anche in mancanza 
di specifiche sollecitazioni, concretizzando in tal modo 1 'accordo criminoso tacito. 
Cosicch� una simile �consapevolezza induceva inevitabilmente il verificatore ad 
operare in modo pi� conforme alle esigenze della celerit� dell'azienda, in modo da 
poter legittimamente attendere il compenso per il suo comportamento al termine 
delle operazioni�. E che simili argomentazioni corrispondano al convincimento del 
giudice di appello che la �celerit�� si identificasse con la �superficialit�� delle 
verifiche, sulla base di precisi fatti emergenti dall'attivit� acquisitiva, appare 
chiaramente dalla lettura comparativa della sentenza impugnata con la sentenza di 
primo grado, nella quale � racchiusa una significativa parte descrittiva che vale ad 
integrare, non sul piano valutativo, ma su quello narrativo, la decisione qui 
denunciata, cos� da comporre un contesto motivazionale davvero indissolubile, in 
grado di arricchire le argomentazioni addotte dalla Corte territoriale. 

Ci� secondo la regola, costante nella giurisprudenza di questa Corte, in base 
alla quale la motivazione della sentenza di appello si integra in un tutto organico 
omogeneo con quella della sentenza di primo grado, da cui deve risultare che la 
decisione � imperniata su dati di fatto di indubbio rilievo nel loro combinato 
significato logico. Un principio operante, a fortiori, quando nell'opera di controllo 
sulla motivazione demandato a questa Corte occorra soltanto individuare dal testo 
del provvedimento impugnato (la cui interpretazione non pu� prescindere, oltre che 
dagli atti difensivi, dalla sentenza di primo grado) i presupposti di fatto -per 
giunta, incontestati nella loro storicit� -dai quali � scaturito il contesto 
argomentativo della decisione sottoposta a verifica di legittimit�. 

10.6. -Signicative appaiono, al riguardo: 1) Le dichiarazioni dell' Arces (p. 11, 
della sentenza 6 novembre 1995) secondo cui il maresciallo Morabito gli aveva 
raccomandato, al momento in cui egli era stato assegnato alla II Sezione, di non 
essere eccessivamente polemico con i colleghi e con gli imprenditori nel corso delle 
operazioni di verifica, e che un'analoga raccomandazione gli era stata rivolta dal suo 
comandante di pattuglia, maresciallo maggiore Giraldino, che, nel corso della prima 
verifica, gli aveva detto: �se piove piove su tutti�; 2) Le dichiarazioni dello Sciascia 
(p. 12 della stessa sentenza) il quale, pur lasciando intendere che la FININVEST era 
vittima di una concussione, riferisce (a proposito della verifica Mediolanum) che il 
Guardino gli prospett� delle perplessit� in merito all'esito della verifica cui la 
Guardia di finanza avrebbe potuto pervenire ed un allungamento dei tempi della 
verifica stessa; gli avrebbe, quindi, richiesto, in cambio di una maggiore 
superficialit� dei controlli e di un'accelerazione dei tempi delle verifiche, il 
versamento di una somma di danaro; il tutto era stato consentito da Paolo Berlusconi 
con le stesse modalit� dei pagamenti effettuati per Mondadori e Videotime. Ancora 
lo Sciascia ha dichiarato che nel corso della verifica presso la Videotime il Licheri 
gli avrebbe fatto presente che 1 'accertamento avrebbe dovuto e potuto estendersi 
anche ai rapporti documentali che riguardavano tutti gli artisti, danneggiando cos� 
1 'immagine del gruppo, ma che egli avrebbe potuto essere accomodante se gli fosse 
stata consegnata una somma di danaro; era stata cos� concordata in lire 100 milioni 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

la somma che la FININVEST avrebbe fatto pervenire alla pattuglia; 3) Le 
osservazioni della sentenza 6 novembre 1995 (p.15) circa la forza oggettiva di 
�resistenza della FININVEST�, confermata da Paolo Berlusconi (�Credo che il 
gruppo avesse la possibilit� di farsi valere, di resistere, certamente questa � stata la 
norma per le tantissime visite, accessi di persone della guardia di Finanza e questo 
� quello che il dott. Sciascia faceva valere�). Dichiarazioni che finiscono per 
completare quelle dello Sciascia (p. 12, della sentenza 17 novembre 1995), secondo 
cui egli avrebbe avuto richieste di danaro direttamente dal dott. Tanca il quale, 
durante la verifica, avrebbe fatto intravedere la possibilit� di un'estensione della 
verifica stessa a tutte le societ� controllate dalla Mondadori, con notevole dispendio 
di tempo e danneggiamento dell'immagine della societ�, e avrebbe altres� fatto 
presente che si sarebbe potuto sollevarli dai problemi di natura fiscale, lasciando 
intendere che soltanto accettando di consegnargli del danaro si sarebbe potuta 
trovare una soluzione di compromesso; 4) Le dichiarazioni del maresciallo Licheri 

(p. 13 della sentenza 17 novembre 1995), il quale ha riferito: che i suoi superiori lo 
inducevano a non contrastare, anzi a favorire, le offerte dei soggetti sottoposti a 
verifica: si era quindi dovuto necessariamente adeguare a questa prassi; che le ditte 
sottoposte a verifica erano sempre ben disposte nei confronti della Guardia di 
finanza: i responsabili delle medesime lasciavano intendere anche in modo non 
velato, che erano disposti ad essere riconoscenti non tanto per avere un rapporto 
compiacente, quanto per ottenere celerit� nell'espletamento della verifica ed il 
minor ingombro possibile a seguito della presenza di militari della Guardia di 
finanza in azienda; 5) Il rilievo, assai significativo (pag. 11 della sentenza 6 
novembre 1995), che presso la Fininvest �lavoravano varie persone gi� appartenenti 
alla Guardia di Finanza, come ... Rizzi Mario e come Berruti Massimo Maria; mentre 
l'episodio del favoreggiamento Corrado evidenzia che i rapporti fra il Gruppo 
Fininvest e la Guardia di Finanza erano improntati a cordialit� e collaborazione�; 6) 
Le dichiarazioni del Ballerini (p. 10, della sentenza 17 novembre 1995): �quando 
veniva iniziata una verifica, o legali rappresentanti delle ditte e loro commercialisti 
solevano avvicinare i militari della Guardia di Finanza, facendo capire in modo pi� 
o meno velato la loro disponibilit� ad effettuare delle regalie, in quanto esisteva 
interesse a non litigare, comune tanto ai militari che ai responsabili delle aziende�. 
In relazione alla verifica �Mondadori� Ballerini afferma che nel corso delle 
operazioni era stato contattato dal dott. Sciascia (persona gi� conosciuta nel 1982 
durante un servizio presso una societ� del Gruppo Fininvest), che gli aveva 
manifestato la volont� di incontrare il ten. col. Tanca. Aveva fissato un 
appuntamento (nonostante il Tanca si trovasse al momento a Roma) presso un bar 
di Milano, ove i due avevano parlato non in sua presenza (le trattative avvenivano, 
dunque, anche durante le verifiche). 
10.7. -L'integrale contesto narrativo sopra trascritto rende evidente, da un lato 
(per quanto possa interessare questo processo), 1 'insussistenza di ogni ipotesi 
concussiva, dall'altro lato, la veridicit� sostanziale delle dichiarazioni dello Sciascia 
e dell' Arces circa le ragioni delle dazioni delle somme di danaro: fare in modo che 
le verifiche fossero superficiali e si concludessero nel pi� breve tempo possibile. 
Cos� da conferire alle argomentazioni della sentenza impugnata un tessuto logico 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

262 

non censurabile alla luce della narrativa della decisione di primo grado, da ritenere 
incontestata per i profili ora ricordati. Con conseguenti riverberi anche riguardo alla 
denunciata violazione della legge penale. 

10.8. -Poich� ai ricorrenti De Gennaro, Sicuro e Licheri sono state concesse le 
circostanze attenuanti generiche, il reato loro ascritto risulta prescritto nel marzo 1997. 
L'impugnata sentenza deve, quindi, essere annullata senza rinvio nei confronti 
di De Gennaro Gaetano, Licheri Giuseppe e Sicuro Giuseppe perch� il reato � 
estinto per prescrizione. 

11. -L'avv. Vincenzo Lo Giudice, nell'interesse del Ballerini, del Guardino e 
dello Spazzoli, ha lamentato mancanza di motivazione relativamente all'esclusione 
del concorso apparente di norme tra corruzione propria e collusione, nonch� errata 
applicazione dei principi concernenti il concorso di norme. 
La censura � infondata. 

La giurisprudenza di questa Corte � costante nel senso che la collusione, non 
essendo un reato complesso, ma perfezionandosi con il semplice accordo 
fraudolento tra finanziere e privato, non assorbe, come suo elemento costitutivo, il 
reato di corruzione (significativamente, di corruzione propria, prevedendo 1 'art. 3 
della detta legge la fattispecie del militare della Guardia di finanza che collude con 
estranei per frodare gli interessi finanziari pubblici con inevitabili conseguenze 
qualificative anche nell'ipotesi di specie, attesi i giudicati finora formatisi). La 
collusione ha, infatti, una propria autonomia e distinta obiettivit� giuridica: mentre 
la corruzione riguarda, in particolare, la tutela dell'interesse generale al buon 
funzionamento ed al prestigio della pubblica amministrazione, con il precetto della 
legge speciale 9 dicembre 1941, n. 1383, si � inteso garantire il fedele 
adempimento dei delicatissimi servizi della Guardia di finanza da parte degli 
appartenenti al Corpo e scoraggiare possibili collusioni in danno 
dell'amministrazione finanziaria (Sez. VI, 12 dicembre 1989, Bettinelli). Con la 

conseguenza che nell'ipotesi in cui il militare della Guardia di finanza non si sia 
limitato ad accordarsi con degli estranei per violare la finanza, ma abbia percepito 
danaro o altre utilit�, correttamente viene ritenuto responsabile anche del reato di 
corruzione. (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. VI, 30 marzo 1998 n. 468 -Pres. Caso-P.M. Di 
Zenzo ( conf. )-imp. Pareglio ed altri. 

Procedura penale -Ricorso per Cassazione dell'imputato -Richiamo ai motivi } 
dedotti da altri coimputati -Inammissibilit�. .i. : 
(codice procedura penale artt. 581e587) 

Procedura penale -Omesso deposito da parte del p.m. di tutti gli atti di 

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indagine -Declaratoria di inutilizzabilit� degli atti non depositati -~: 
Ordinanza che dispone il giudizio abbreviato -Invalidit� -Esclusione. 
(codice procedura penale artt. 178 e 416) 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

263 

Reati contro la Pubblica Amministrazione � Inserimento del privato in un 
sistema di mercanteggiamento dei pubblici poteri � Sistematicit� della 
pratica della �tangente� � �Concussione ambientale� � Inconfigurabilit�. 

(codice penale, art. 317) 

Reati contro l'ordine pubblico � Associazione a delinquere � Mancanza di 
un'organizzazione con gerarchie interne e distribuzione di cariche � 
Vincolo associativo esteso ad un generico programma delittuoso � 
Sussistenza del reato. 

(codice penale, art. 415) 

� inammissibile il ricorso per Cassazione proposto da un imputato nel quale ci 
si limiti a richiamare i motivi di ricorso dedotti dai coimputati, chiedendo di 
beneficiare dell'effetto estensivo dell'impugnazione, ex art. 587 codice procedura 
penale. 

L'omesso deposito da parte del pubblico ministero di tutti gli atti di indagine 
non comporta l'invalidit� dell'ordinanza che dispone il giudizio abbreviato qualora 
gli atti non depositati siano stati dichiarati non utilizzabili. 

Lo stato di cose evocato dall'espressione �concussione ambientale�, 
consistente nella attiva partecipazione di imprenditori privati ad un sistema nel 
quale la pratica della �tangente� e il mercanteggiamento dei pubblici poteri siano 
dati costanti, non � riconducibile allo schema del reato di concussione, mancando 
completamente nel soggetto privato lo stato di soggezione nei confronti del pubblico 
ufficiale necessario perch� sia configurabile il reato di concussione. 

Sussiste il reato di associazione a delinquere allorch�, pur in mancanza di una 
vera e propria organizzazione con gerarchie interne e distribuzione di cariche, 
esiste un vincolo associativo esteso ad un generico programma criminoso (1). 

(omissis) 

1. -Va anzitutto dichiarata l'inammissibilit� dei ricorsi proposti da Pareglio e 
da Binasco. 
Tali ricorrenti, dopo essersi genericamente riportati �ai motivi dedotti dai 
coimputati�, chiedono di avvalersi dell'effetto estensivo. 

(1) La sentenza in esame ha deciso un ricorso proposto da una pluralit� di imputati avverso 
una sentenza della Corte di Appello di Torino che concludeva un giudizio di appello promosso 
mediante l'impugnazione di due distinte sentenze del giudice per le indagini preliminari presso il 
Tribunale di Alessandria, emesse all'esito di due giudizi abbreviati. 
In primo luogo la Corte di Cassazione ha dichiarato l'inammissibilit� dei ricorsi proposti da 
due imputati i quali -dopo essersi riportati ai motivi di ricorso dedotti dai coimputati -hanno 
chiesto di avvalersi dell'effetto estensivo dell'impugnazione, ai sensi dell'art. 587 codice 
procedura penale. 

Tale statuizione processuale � stata giustificata alla luce del disposto�dell'art. 581 codice 
procedura penale, lett. a) e lett. e) che prevede, a pena di inammissibilit�, che l'impugnazione sia 
proposta mediante l'enunciazione dei capi o dei punti a cui essa si riferisce, nonch� dei motivi 
mediante l'indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono il gravame, 



RASSEGNA AVVOCPJURA DELLO STATO 

264 

Non ritiene la Corte che si sia adempiuto in tal modo all'onere di cui all'art. 
581, lett. �a� e �C�, codice procedura penale il quale richiede, a pena di 
inammissibilit�, che l'impugnazione si proponga per mezzo della indicazione dei 
capi e dei punti della decisione ai quali si riferisce il gravame, con l'enunciazione 
dei motivi e l'indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto 

che sorreggono ogni richiesta. L'impugnazione deve, in altri termini, esplicarsi 
attraverso una critica specifica, mirata e necessariamente personale della decisione 
impugnata, valida per la posizione del singolo ricorrente e va tenuta distinta da 
quelle che sono le conseguenze della decisione favorevole ad altro coimputato 
riguardanti l'effetto estensivo, tanto che questo � applicabile indipendentemente 
dall'impugnazione dell'interessato. 

2. -Per ci� che attiene agli aspetti processuali dei ricorsi, non sono fondati i 
motivi con i quali si sostiene la nullit� dell'ordinanza di rinvio a giudizio e del 
provvedimento con il quale � stato disposto il giudizio abbreviato per il mancato 
deposito da parte del P.M. di tutti gli atti di indagine unitamente alla richiesta di 
rinvio a giudizio. 
La giurisprudenza di questa Corte si � gi� espressa in proposito, ritenendo che 
l'inosservanza dell'obbligo del P.M. di depositare tutti gli atti di indagine con la 
richiesta di rinvio a giudizio comporti la sola conseguenza della inutilizzabilit� degli 
atti non trasmessi tempestivamente, non essendo prevista una sanzione autonoma di 
nullit� degli atti, indipendentemente dalla loro utilizzabilit� o meno (Cass., 4 giugno 
1993 [ud.], Carnazza; Cass., 17 febbraio 1996 [ud.], Cariboni ed altri). 

L'invalidit� degli atti non � neppure riconducibile alle ipotesi delle nullit� 
generali di cui all'art. 178, lett. �b� e �C�, perch� l'azione penale � pur sempre 
esercitata dal P.M. e restano comunque assicurati l'intervento, l'assistenza e la 
rappresentanza dell'imputato. 

La questione di legittimit� costituzionale sollevata in proposito da Muzio deve 
ritenersi irrilevante ai fini del decidere. 
Nella specie � infatti, pacifico che gli atti sono stati messi a disposizione degli 

imputati sia pure tardivamente. L'eventuale dichiarazione di illegittimit� 

conformemente all'orientamento giurisprudenziale, assolutamente prevalente, secondo il quale 
il requisito della specificit� dei motivi di impugnazione pu� dirsi sussistente solo se 
l'impugnazione sia idonea ad assolvere la sua specifica funzione di critica ed a consentire, 
conseguentemente, al giudice dell'impugnazione di esercitare il suo sindacato (Cass., I, 17 
novembre 1993, Settecase, CED 196795), anche se attraverso un'esposizione sintetica dei motivi 
di censura (Cass., VI, 15 febbraio 1993, Barlow, CED 194536; Cass. VI, 19 novembre 1992, p.m. rn 
in e.De Michelis, CED 193466). ~ 

w

Correttamente la Suprema Corte ha tenuto distinta la questione dell'ammissibilit� 

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dell'impugnazione del singolo ricorrente, da risolversi alla stregua del parametro fornito dall'art. m 
581 codice procedura penale, in relazione alla critica specifica e necessariamente personale della t~:~= 
decisione impugnata da parte del ricorrente, da quella relativa all'operativit� dell'effetto estensivo �:: 

I 
I 
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dell'impugnazione, ex art. 587 codice procedura penale. ~ 

Tale effetto, infatti, opera indipendentemente dall'impugnazione dell'interessato; 
conseguentemente si � riconosciuto il diritto del coimputato non impugnante ad ottenere 
l'estensione dei motivi non esclusivamente personali prospettati dagli impugnanti con separato 

r=~~. 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

265 

costituzionale dell'art. 416 codice procedura penale non potrebbe comunque 
estendersi alla fattispecie in esame, avendo potuto gli odierni ricorrenti prendere 
visione degli atti, dei quali � stata dichiarata l'inutilizzabilit�. 

Parimenti, non pu� ravvisarsi alcuna ragione di invalidit� dell'ordinanza che ha 
disposto il rito abbreviato. 

Se � vero che al momento di tale provvedimento gli imputati avevano preso 
visione dei soli documenti depositati, sui quali avevano basato la loro scelta del rito 
e se � anche vero che il pubblico ministero ha fatto richiesta di una successiva 
acquisizione di tutti gli atti concernenti le singole gare e dei contratti relativi 
(insieme ad altri atti pacificamente non necessari per la definizione del processo), � 
anche vero che, con apposita ordinanza, il G.l.P. ha concesso a tutti gli imputati un 
congruo termine per il loro esame, con invito a prenderne visione e a dichiarare se 
intendessero o meno avvalersene ai fini della decisione. 

Dopo che nessuno degli imputati aveva formulato richiesta di revoca del 
provvedimento ammissivo del rito abbreviato e che la quasi totalit� degli imputati 
aveva eccepito la nullit� dell'ordinanza del G.I.P. e dichiarato che non intendeva 
avvalersi di tali documenti optando per la loro inutilizzabilit�, lo stesso giudicante 
pronunciava nuova ordinanza con la quale la documentazione di che trattasi veniva 
dichiarata inutilizzabile nei confronti di tutti gli imputati che tale richiesta avevano 
formulato. 

Tali provvedimenti hanno ricondotto il giudizio abbreviato nell'alveo della 
legalit�, essendo rimasta confermata la richiesta relativa sulla base degli atti 
originariamente allegati dal P.M. alla richiesta di rinvio a giudizio. (omissis). 

(omissis) 

5. -In ordine ai reati di corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio, la Corte 
d'appello di Torino ha correttamente applicato le norme del codice penale come 
interpretate dalla pi� recente giurisprudenza di questa Corte di cassazione (v. fra 
tutte: Cass., 1� febbraio 1993 [ud.], Cardillo ed altri) che ha ritenuto la sussistenza 
del delitto in questione quando il privato ed il pubblico ufficiale pongano in essere 
procedimento (Cass. VI, 14 marzo 1995, Sarmino, CED 200753) e ad impugnare la sentenza che 
abbia accolto motivi di gravame non esclusivamente personali, senza estendere i suoi effetti 
all'imputato non impugnante (Cass. VI, 17 maggio 1993 Khalifi, CED 194962). 

Tra le altre questioni processuali sollevate nel giudizio di legittimit� conclusosi con la 
sentenza in esame merita di essere segnalata quella concernente la presunta invalidit� 
dell'ordinanza con cui in primo grado era stato disposto il giudizio abbreviato, per omesso 
deposito da parte del P.M. di tutti gli atti di indagine unitamente alla richiesta di rinvio a giudizio. 

La Corte di Cassazione, richiamata la propria giurisprudenza secondo la quale 
l'inosservanza dell'obbligo del P.M. di depositare tutti gli atti di indagine unitamente alla 
richiesta di rinvio a giudizio comporta solo l'inutilizzabilit� degli atti non trasmessi 
tempestivamente, ha rilevato che, avendo gli imputati avuto a disposizione un congruo termine 
per l'esame degli atti non tempestivamente depositati dal P.M ed essendo stata accolta la loro 
richiesta di non utilizzazione di tali atti, ha concluso che nel caso di specie non si � determinata 
alcuna concreta lesione del diritto di difesa degli imputati, giudicati esclusivamente in base agli 
atti originariamente allegati alla richiesta di rinvio a giudizio. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STXI'O' 

266 

l'illecito accordo in una posizione di pari potere contrattuale a differenza di quanto 
avviene nel reato di concussione in cui il privato � costretto o indotto a porre in 
essere l'illecita dazione o promessa per effetto della situazione di consapevole 
coartazione psichica conseguente alla prospettazione di un male minacciato (dallo 
stesso pubblico ufficiale) che il privato vuole evitare. 

5.1 -Nella specie, vanno richiamate tutte le esatte argomentazioni della 
sentenza impugnata con le quali si sono messe in luce le condizioni che hanno 
permesso di ritenere la posizione assolutamente paritetica di Pareglio e di Pranz� ai 
fini degli accordi sulle assegnazioni degli appalti sia per la soc. Edilvie sia per tutti 
gli altri imprenditori i quali, pur non avendo mai avuto contatti con il personaggio 
politico, hanno conseguito i loro vantaggi proprio per mezzo di accordi con 
Pareglio, divenuto il loro interlocutore, avvalendosi della sua posizione nei riguardi 
del Presidente della Provincia. 
5.2. -Quasi tutti i ricorrenti hanno sostenuto che nel caso avrebbe dovuto 
ravvisarsi la sola responsabilit� di Pranz� per il reato di concussione. Molti hanno 
posto in luce come, per la consumazione di tale reato, quest'ultimo si fosse avvalso 
di Pareglio quale sua longa manus o nuncius. Alcuni si sono semplicemente riferiti 
al concetto di concussione delineato nel codice penale; molti hanno fatto ricorso al 
concetto di concussione ambientale. 
Tutte tali tesi non possono essere condivise per le seguenti ragioni. 

Anzitutto, Pareglio non era concusso da Pranz�: si � detto del rapporto 
paritetico tra i due e come il coordinatore del gruppo fosse il primo soggetto a trarre 
vantaggi illeciti dalla situazione conseguendo appalti per la societ� da lui 
amministrata. 

Che, poi, Pareglio assumesse oltre alla qualit� di corruttore nei confronti di 
Pranz� anche quella di nuncius di quest'ultimo nell'esercizio della concussione � 
escluso non dal fatto che mancava un contatto diretto tra Pranz� e gli altri 
imprenditori diversi dal Pareglio, perch� � sicuro che la concussione pu� anche 
essere esercitata per interposta persona (v. Cass., 10 novembre 1972 [ud.], Raheli), 
ma perch� i fatti si sono svolti nell'arco di tredici anni, ripetendosi moltissime volte 
per tutti gli odierni ricorrenti e non s�lo non � dimostrato ma non � comunque 

� interessante notare che nel testo della motivazione della sentenza � stato utilizzato il 
concetto di �concussione ambientale� che ha visto i suoi natali nel linguaggio giornalistico e 
politico-giudiziario nel pieno dell'inchiesta in materia di reati contro la pubblica amministrazione 
conosciuta alle cronache con il nome di �mani pulite�. 

Giustamente la Corte di Cassazione ha escluso, in omaggio al principio di �stretta legalit�� 
vigente in materia penale, che la fattispecie evocata da tale locuzione sia riconducibile al reato di 
concussione, tutte le volte in cui -come, secondo la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di 
merito, � avvenuto nel caso di specie -l'imprenditore privato si inserisca attivamente in un 
sistema nel quale la pratica della �tangente� e il mercanteggiamento dei pubblici poteri siano dati 
costanti e contribuisca permanentemente ad alimentarlo nell'ottica dell'asservimento dei pubblici 
poteri ad interessi privati in cambio di compensi illeciti. 

In situazioni del genere manca completamente nel privato lo stato di soggezione 
indispensabile perch� si possa configurare il reato di concussione. Precedentemente la Corte di 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

267 

neppure ipotizzabile, proprio per la diluizione temporale dei fatti stessi, che per 
ciascuna gara ogni ricorrente si sia trovato, di volta in volta, nello stato di 
soggezione tipico della vittima della concussione, che mira ad evitare il male 
maggiore del taglieggiamento conseguentemente all'abuso del pubblico ufficiale 
anzich� quello del privato che intenda trarre vantaggi illeciti dalla situazione. 

5.3. -Per superare tale difficolt� si � fatto ricorso al concetto di concussione 
ambientaie ma tale tesi, allo stato della legislazione, non � sostenibile, in quanto la 
fattispecie ipotizzata non pu� rientrare nella norma del codice penale che prevede il 
reato di concussione, come la dottrina e la giurisprudenza di questa Corte hanno gi� 
avuto occasione di affermare nonostante il dibattito sul tema sia alquanto recente (v. 
Cass., 26 marzo 1996 [ud.] Garbato ed altri). 
Quando, infatti, il privato si inserisca in un sistema nel quale il 
mercanteggiamento dei pubblici poteri e la pratica della �tangente� sia costante, 
permanentemente alimentandolo ed assicurandogli la linfa necessaria per 
sopravvivere ed anzi crescere, manca completamente in lui lo stato di soggezione, 
indispensabile per la configurazione della concussione, perch� non pu� ritenersi 
vittima degli abusi dei rappresentanti dei pubblici poteri. Al contrario, in tale 
situazione il privato mira ad assicurarsi vantaggi illeciti (nella specie: 
aggiudicazione di gare sistematicamente al di fuori degli schemi del perseguimento 
dell'interesse pubblico, e, al contrario, nell'ottica dell'asservimento dei pubblici 
poteri agli interessi privati in cambio di compensi illeciti), approfittando dei 
meccanismi criminosi e divenendo anch'egli protagonista del sistema. Viene, in altri 
termini, a mancare l'azione di prevaricazione, di sopruso e di taglieggiamento del 
pubblico ufficiale, capace di determinare nella vittima uno stato di soggezione, 
tipico del reato di concussione. (omissis). 

(omissis) 

6. -Con riferimento al reato di associazione per delinquere, pi� di un ricorrente 
ne ha prospettato la mancanza degli estremi quale inevitabile conseguenza 
dell'inesistenza dei reati di corruzione. Ritenuta,. peraltro, la consumazione di questi 
ultimi reati cade il presupposto stesso della censura. 
Cassazione aveva affermato, per�, che la predisposizione di rilevanti risorse finanziarie da parte 
di un'imprenditore per la costituzione di �fondi neri� destinati a retribuire illeciti favori da parte 
di pubblici funzionari non esclude di per s� la possibilit� di configurare il reato di concussione, 
come si legge in Cass. sez VI, 6 dicembre 1994, Nicolazzi. 

Tra gli altri delitti contestati agli imputati figura anche quello di associazione a delinquere. 

La Suprema Corte, in conformit� alla propria giurisprudenza prevalente in materia, ha 
confermato la sussistenza nel caso concreto di tale reato, pur in mancanza di una vera e propria 
organizzazione con gerarchie interne e distribuzione di cariche, ritenendo sufficiente l'esistenza 
di un vincolo associativo non circoscritto a determinati delitti, ma esteso ad un generico 
programma delittuoso (affectio societatis); in senso conforme � orientata anche la giurisprudenza 
pi� recente: cfr. Cass. sez.VI, 25 settembre 1998, Villani ed altri. 

M.G. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO

268 

6.1. -Del tutto privi di pregio sono, poi, i motivi di ricorso con i quali si 
sostiene che mancherebbe, nella specie, l'accordo associativo, ovvero che, non 
essendo stata accertata, caso per caso, la responsabilit� degli imputati con 
riferimento alle singole gare, difetterebbe la prova della finalit� delittuosa che i 
ricorrenti si sarebbero proposta. 
Nella motivazione della sentenza dei giudici torinesi si mette, correttamente, in 
chiara evidenza come fosse stato posto in essere tra gli aderenti al �cartello� un 
accordo generale (nel quale si concretizzava il pactum sceleris) con effetti 
permanenti, per il sistematico, illecito conseguimento degli appalti; come, inoltre, 
tale accordo fosse destinato a concretizzarsi progressivamente, di anno in anno, in 
relazione al programma di esecuzione dei lavori di cui il Pareglio veniva 
preventivamente a conoscenza; come, in tal modo, la finalit� del sodalizio criminoso 
fosse ravvisabile nel mantenimento del monopolio, a tempo indeterminato, degli 
appalti stradali della Provincia e, al contempo, nella realizzazione di un progetto 
spartitorio in forza del quale ciascun appalto doveva venire assegnato -ed in 
concreto lo era -, in cambio della �tangente�, non all'impresa che assicurasse 
l'offerta pi� vantaggiosa in una libera competizione concorrenziale, bens� 
all'impresa la cui sede fosse la pi� vicina al luogo dei lavori, cos� sistematicamente 
turbando le gare, senza che fosse assolutamente necessario accertare gara per gara 
quale fosse il meccanismo di alterazione delle offerte, posto che era stata conseguita 
la prova, in generale, che il regime instaurato era fondato sul meccanismo degli 
inviti e delle esclusioni discrezionali e sulla tecnica degli accordi preventivi sui 
ribassi da praticare (nella specie l'affectio societatis era prevalentemente 
caratterizzata dal fatto che ciascun aderente era impegnato a non intervenire, o ad 
intervenire pro forma, con ribassi pilotati, nelle gare per le quali non era il vincitore 
predestinato). 

6.2. -Ma sono parimenti infondati i motivi che, partendo dal presupposto della 
indispensabilit� dei requisiti della struttura associativa e della predisposizione dei 
mezzi per la configurazione giuridica del reato in esame, profilano la mancanza, nel 
caso di specie, di tali essenziali condizioni. 
Per vero, la giurisprudenza assolutamente prevalente di questa Corte � da 
sempre orientata nel ritenere che per la configurabilit� del delitto di associazione per 
delinquere non sia necessaria una vera e propria organizzazione con gerarchie 
interne e distribuzione di cariche, essendo sufficiente l'esistenza di un vincolo 
associativo non circoscritto a determinati delitti ma esteso ad un generico 
programma delittuoso (affectio societatis) (Cass., 1� giugno 1983 [ud.], Romeo, 
Cass., 25 maggio 1990 [ud.], Sorn; Cass., 11marzo1992 [ud.], Piastrelloni ed altri). 

Tale orientamento merita di essere confermato anche nella specie, nella quale i 
giudici di merito hanno fornito ampia e convincente motivazione sull'esistenza del 
patto criminoso idoneo a dar vita al reato contestato, la cui pericolosit� per l'ordine 
pubblico si manifesta, a differenza del concorso nel reato continuato, proprio per 
l'indeterminatezza della sua durata. 

Non pu�, tuttavia, farsi a meno di rilevare che anche a volere -in ipotesi aderire 
alla tesi dottrinaria che richiede la necessaria sussistenza di una struttura 
organizzativa, si dovrebbe pur sempre ritenere che tale struttura associativa non 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

269 

potrebbe prescindere da un giudizio di adeguatezza al tipo di reati ricompresi nel 
pactum sceleris, richiedendosi substrati pi� o meno complessi a seconda del tipo dei 
delitti-scopo progettati. 

Non potrebbe allora non convenirsi sulla elementarit� o rudimentalit� della 
organizzazione necessaria nel caso di specie per la natura .stessa dei delitti oggetto 
del programma criminoso, riducendosi l'organizzazione ai soli aspetti riguardanti, 
per cos� dire, la vita dell'associazione in s� considerata, quali, fondamentalmente, la 
fissazione dell'entit� e delle modalit� dei conferimenti per il raggiungimento degli 
scopi criminosi (denari necessari per la corruzione, di volta in volta raccolti dal 
Pareglio dai vari associati per essere consegnati al Pranz� dopo l'assegnazione 
dell'appalto); la definizione e la spartizione dei compiti (assegnazione degli appalti 
da parte dell'amministratore provinciale; coordinamento del gruppo con indicazione 
dei lavori da. assegnare da parte di Pare gli o); la fissazione di riunioni con cadenze 
periodiche ai fini deliberativi (adunanze annuali per gli accordi sull'attribuzione dei 
singoli appalti e sui ribassi da praticare). (omissis). 

I 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. VI, 16 novembre 1998 n. 3658 -Pres. D'Asaro Est. 
Garriba -P.M. Fraticelli (conf.) -imp. Carlutti ed altri (avv. Stato Lancia). 

Giudizio penale -Decreto di rinvio a giudizio -Modificazione del capo di 
imputazione da parte del GUP -Abnormit� -Non sussiste -Difformit� fra 
dispositivo e motivazione -Inapplicabilit� dell'art. 456 c.p.p, a decreti ed 
ordinanze. 

(c.p.p. artt. 429, 456, 423, 516) 
Non �abnorme ilprovvedimento con il quale il giudice dell'udienza preliminare 
modifica il titolo del reato contestato dal Pubblico Ministero nella richiesta di 
rinvio a giudizio, fermo restando l'autonomo potere di quest'ultimo di modificare il 
fatto contestato e di procedere alla nuova contestazione, quando il fatto risulti 
diverso da come � descritto nel decreto che dispone il giudizio. 

La norma prevista dall'art. 456 c.p.p., per la quale in caso di difformit� il 
dispositivo prevale sulla motivazione, opera soltanto per la sentenza e non anche nei 
confronti dell'ordinanza o del decreto, per i quali non � prevista una specifica forma.(l) 

(1-2) Due sentenze indubbiamente corrette, sbrigativa la prima sulla esclusione della 
abnormit� del provvedimento (e d'altro canto, tanto palese essendo il legittimo esercizio del 
potere da parte del GUP non era necessario dilungarsi ), pi� interessilnte la seconda, nella 
individuazione dei requisiti del provvedimento abnorme. La Cassazione infatti non richiede 
soltanto che questo sia tale da porsi al di fuori dell'ordinamento giuridico, ma altres� che esso 
determini una stasi del procedimento non altrimenti eliminabile che con l'intervento di una 
sentenza di annullamento della Corte di legittimit�, con ci� confermando il suo precedente 
indirizzo. La Corte Suprema infatti (VI, 13.10.1995 n. 3124 imp. D'Amato) aveva affermato che 
�il decreto di rinvio a giudizio � provvedimento inoppugnabile n� sussiste la possibilit� di una 
censurabilit� come atto abnorme neppure se emesso in presenza di eventuale precedente giudicato 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

270 

II 
CORTE DI CASSAZIONE, sez. VI, 24 novembre 1998 n. 3746 -Pres. D'Asaro


Est. Di Virginio -P.M. Fraticelli ( parz.conf.) ~ imp. De Mita (avv. Stato 

Macaluso). 

Giudizio penale -Dichiarazione di incompetenza dopo la scadenza del termine 

di cui all'art. 491 c.p.p. -Abnormit� -Requisiti -Insussistenza 

Inoppugnabilit� della sentenza. 

(c.p.p. art. 491, 568) 
Le sentenze sulla competenza sono inoppugnabili, salvo che ricorra un'ipotesi 
di abnormit�, non sussistente nel caso di specie, in cui non si � determinata una 
stasi del procedimento tale da non essere altrimenti eliminabile che con l'intervento 
rescindente della Cassazione.(2) 

I 

(omissis) 
I 

Con decreto emesso in data 6 ottobre 1997 ai sensi dell'art 429 cod. proc. pen., 
il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trieste, dopo avere osservato, 
in motivazione, che il fatto ascritto agli imputati integrava il reato di corruzione per 

I

atti conformi ai doveri d'ufficio (art. 318 cod.pen.), anzich�, come contestato dal r: 
pubblico ministero, per atti contrari (art. 319 cod.pen.), disponeva il rinvio a 
giudizio di Clausi Schettini Corrado e Carlutti Carlo �per i reati di cui all'allegato 

I 

capo di imputazione� (Id est per i capi d'imputazione cos� come formulati dal 
pubblico ministero) 
Avverso detto decreto ricorre per cassazione il pubblico ministero, il quale, 

I rilevato che in calce ai capi d'imputazione riportati nell'epigrafe del provvedimento 
era stata aggiunta, ad opera del collaboratore di cancelleria, la postilla che il giudice 

I 

per le indagini preliminari �con provvedimento emesso all'udienza preliminare del 6 
~ 
~ 

I

Atto abnorme � invero non solo quello rispondente . ad alcuno schema processuale, ma altres� & 
quello che non pu� essere rimosso dalla realt� giuridica senza la denuncia della sua abnormit�; 
l'ipotesi del �bis in idem� invece, pur nella sua patologia processuale, non pu� dunque 
considerarsi tale in quanto pi� volte considerata dal legislatore che ne ha previsto i rimedi nelle 
varie fasi processuali, se del caso, addirittura in sede di esecuzione, dettando una serie di norme 
che disciplinano la riproponibilit� di un secondo giudizio, i casi di proscioglimento o di non luogo 
a procedere e quelli di revoca delle sentenze�. 

Per converso ed esattamente con altra sentenza la Cassazione (I, 31.1.1996 n. 5789 imp. 
Garganelli) aveva statuito che �il provvedimento con il quale il giudice del dibattimento disponga 
la restituzione degli atti al pubblico ministero, ai sensi dell'art. 521, comma secondo, cod. proc. 
pen., per la ritenuta, inesatta indicazione della norma incriminatrice, � da considerare erroneo, ma 
non abnorme, ed � pertanto sottratto, in assenza di specifico mezzo di gravame, ad ogni possibilit� 
di impugnazione. (Nella specie, la restituzione degli atti era stata disposta in quanto essendo stato 
l'imputato tratto a giudizio per rispondere del reato di contravvenzione al foglio di via 
obbligatorio, previsto dall'art. 2 della Legge n. 1423/56, detta legge era stata erroneamente 
indicata come legge n. 1423/86)�. 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

ottobre 1997 ... ha disposto la qualificazione della condotta ex art. 318 cod. pen.�, 
denuncia l'abnormit� dell'atto, assumendo che l'opinione del giudice per le indagini 
preliminari sulla diversa qualificazione giuridica del fatto era rimasta senza effetto, 
perch� il dispositivo non ne faceva menzione n� essa poteva essere esplicitata 
mediante l'integrazione della cancelleria; comunque -prosegue il ricorrente -il 
decreto � abnorme, perch� il giudice dell'udienza preliminare non ha il potere n� di 
modificare il fatto contestato n� di dare allo stesso una diversa definizione giuridica. 

2.-Premesso che il principio, desunto dall'art. 456 cod. proc. pen., secondo cui, 
in caso di difformit�, il dispositivo prevale sulla motivazione opera soltanto per la 
sentenza e non trova invece applicazione nei confronti dell'ordinanza o del decreto, 
non essendo prevista per questi provvedimenti una specifica forma, cosicch� la 
relativa motivazione adempie una funzione di chiarificazione e integrazione della 
decisione adottata dal giudice, si osserva che, nella fattispecie in esame, l'estesa 
motivazione -peraltro letta in udienza -circa la conformit� ai doveri d'ufficio 
degli atti da compiere o compiuti dietro la promessa o la dazione dell'indebita 
retribuzione, non pu� non riflettersi sulla contestuale decisione di rinvio a giudizio, 
che necessariamente ingloba la nuova qualificazione giuridica. 

Chiarito cos� che l'impugnato decreto, a prescindere dalla nota esplicativa 
apposta dalla cancelleria (che, � superfluo dirlo, nulla pu� aggiungere o togliere al 
provvedimento del giudice), ha modificato il titolo del reato contestato dal 
pubblico ministero nella richiesta di rinvio a giudizio, si ricorda che -contrariamente 
all'opinione del ricorrente -il giudice, in ogni fase e grado del 
procedimento, ha il potere-dovere di attribuire al fatto per cui si procede l'esatta 
qualificazione giuridica, senza che ci� incida sull'autonomo potere, riservato in 
via esclusiva al pubblico ministero, di modificare il fatto contestato e di procedere 
alla nuova contestazione quando �il fatto risulti diverso da come � descritto 
nell'imputazione� (art. 423 cod. proc. pen.) o �da come � descritto nel decreto che 
dispone il giudizio� (art. 516 cod. proc. pen.). Ci� � stato affermato dalla 
giurisprudenza sia della Corte costituzionale (sentenza 11 luglio 1991 n. 347) sia 
di questa Corte di legittimit� (Sez.Unite, 19 giugno 1996, Di Francesco; Sez. VI, 
29 gennaio 1996, n. 548, Verde). 

Ne consegue che il decreto impugnato, essendo stato emesso dal giudice per 
le indagini preliminari nel legittimo esercizio del potere attribuitogli dall'ordinamento 
processuale, non � affatto abnorme. Pertanto il ricorso del pubblico 
ministero, siccome proposto avverso provvedimento inoppugnabile, deve essere 
dichiarato inammissibile ai sensi dell'art. 591, comma 1 lett. e), cod. proc. pen. 
(omissis) 

II 

(omissis) 

Ricorre De Mita Michele avverso sentenza in data 15 aprile 1998 con la quale 
il Tribunale di S. Angelo dei Lombardi ha dichiarato la propria incompetenza territoriale 
in ordine al reato di abuso d'ufficio e ad altri reati ascrittigli in concorso con 
altre persone. Il ricorrente deduce l'abnormit� del provvedimento, per essere stato 
adottato oltre il termine perentorio di cui all'art. 491 c. 1 c.p.p.; e dopo che la 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO. 

relativa eccezione era stata gi� sollevata e disattesa dal collegio, in diversa 
composizione, in sede di atti preliminari al dibattimento. 

Il P.G. ha chiesto il rigetto del ricorso. Il ricorrente ha depositato una memoria 
con la quale contesta le argomentazioni poste alla base della richiesta ed insiste per 
l'annullamento della sentenza. 

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. 

Non essendo le sentenze sulla competenza impugnabili, il gravame sarebbe 
ammesso nel solo caso in cui quella in argomento fosse qualificabile come 
provvedimento abnorme, cos� come sostiene il ricorrente; ma ci� deve essere 
escluso per diverse ragioni. 

Abnorme �, in primo luogo, il provvedimento non gi� semplicemente erroneo, 
ma tale da porsi completamente al di fuori dell'ordinamento giuridico e da 
determinare una stasi del procedimento non altrimenti eliminabile che con 
l'intervento rescindente di questa Corte. Una situazione del genere non ricorre 
manifestamente nel caso in esame poich� la dichiarazione di incompetenza 
territoriale, oltre a non determinare alcuna stasi del procedimento (destinato a 
proseguire davanti al giudice indicato come competente), pu� sempre essere posta 
in discussione attraverso l'elevazione di conflitto da parte del giudice che a sua 
volta si ritenga incompetente, a ci� eventualmente sollecitato dalla parte 
interessata. 

In secondo luogo, come osserva il P.G., la questione non � stata affatto 
proposta tardivamente perch�, dopo il mutamento della composizione del collegio 
giudicante, il procedimento era regredito nella fase degli atti preliminari al 
dibattimento, destinata tra laltro alla trattazione delle questioni concernenti la 
competenza per territorio; e per l'appunto in questa fase la questione � stata di 
nuovo proposta. Non pu� condividersi la tesi, sviluppata nella memoria aggiuntiva 
del ricorrente, secondo cui sarebbe necessario distinguere tra atti da compiersi 
subito dopo compiuto per la prima volta l'accertamento della costituzione delle 
parti ed ulteriore fase preliminare al dibattimento, durante la quale sarebbe ormai 
precluso l'esame delle questioni di cui all'art. 491 e.I c.p.p., perch� il mutamento 
intervenuto nella composizione del collegio aveva riportato il procedimento nella 
fase prevista da tale norma e rendeva quindi ammissibile la proposizione di tutte le 
questioni da essa previste. 

Da ultimo, come osserva ancora il P.G., il predetto limite temporale riguarderebbe 
esclusivamente, in ogni caso, la proponibilit� della questione; e non osterebbe a che 
questa, ammissibile perch� tempestivamente proposta (come nel caso), venisse 
eventualmente decisa, nel corso del dibattimento o all'esito dello stesso, in senso 
difforme a quella originale, non potendo la preclusione alla ulteriore deducibilit� 
essere impeditiva del potere del giudice di apprezzare liberamente tutti gli elementi 
necessari alla propria decisione, ivi comprese le questioni attinenti alla competenza. 

Escluso il profilo dell'abnormit�, la sentenza non pu� ritenersi soggetta ad 
impugnazione, per l'esclusione espressa contenuta nel secondo comma dell'art. 568 c. p. 

(omissis) 

I 


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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

273 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. VI, 13 aprile 1999 n. 751 -Pres. Pisanti -Est. 
Albamonte -P.M. Febbraro (diff.)-imp. Diego Curt� ed altri (avv. Stato N. Bruni). 

Giudizio penale -Reati commessi da magistrati -Persona offesa -Non � il 
Ministero di Grazia e Giustizia. 
(Cost. art. 110 ; c.p. art. 185, 319 e 379) 

Nella corruzione commessa nell'esercizio di funzioni giurisdizionali l'offesa � 
inerente alla violazione della funzione giustizia che viene amministrata in nome del 
popolo e che deve essere improntata ad imparzialit� ed indipendenza nel/' ambito 
delle quali assurge a giuridica rilevanza il correlato interesse collettivo da tutelare. 
Tale interesse non pu� essere rappresentato dal Ministro della Giustizia, cui va 
riconosciuta soltanto la legittimazione all'azione di risarcimento dei danni che 
offendono la sua sfera istituzionale attinente al mero funzionamento dei servizi e 
all'organizzazione, compresa quella del personale ausiliario.(l) 

(omissis) 

A questo punto rimane da esaminare il motivo concernente le statuizioni in 
favore della parte civile, Ministro della Giustizia. 

Le sentenze di primo e di secondo grado hanno riconosciuto il diritto del Ministro 
al risarcimento del danno, quale soggetto esponenziale della collettivit� dei cittadini, 
offesa nell'interesse all'indipendenza ed imparzialit� della funzione giudiziaria. 

E ci�, in quanto, secondo la Corte di Appello, il Ministro �rappresenta il centro 
di riferimento pi� ampio e compresivo degli interessi statali nel settore specifico 
demandato alla sua compentenza, fra cui, come � noto (art. 110 Cost.), la 
organizzazione ed il funzionamento dei servizi della giustizia�. 

Ad avviso di questa Corte il suddetto assunto � giuridicamente (e doppiamente) 
erroneo. 

� erroneo, innanzi tutto, perch� identifica l' �organizzazione� ed il 
�funzionamento dei servizi�, materia che spetta al Ministro della Giustizia (art. 110 
Cost.), con la funzione giurisdizionale, cio� confonde le strutture serventi e 
l'amministrazione con la funzione affidata ai magistrati, e deve essere esercitata con 
imparzialit� ed indipendenza. 

Non a caso l'art. 110 Cost. � posto a chiusura della Sezione I, del Titolo IV della 
Costituzione, le cui norme prevedono le guarentigie dell' �Ordinamento 
giurisdizionale�, alla cui salvaguardia � posto il Consiglio Superiore della 

(1) La sentenza della Cassazione che si annota � da condividere per l'esatta distinzione fra 
funzione giurisdizionale e l'organizzazione e le strutture che consentono l'esercizio di quella, con 
la conseguente necessaria -in ossequio al principio della divisione dei poteri -dichiarazione 
di estraneit� del Ministro della Giustizia all'esercizio della funzione giurisdizionale. 
Puntuali sono i riferimenti alle normative che individuano nel Presidente del Consiglio dei 
Ministri il titolare dell'interesse leso dal cattivo esercizio delle funzioni giudiziarie ed a questi 
pertanto attribuiscono la qualit� di persona offesa e la legittimazione alla costituzione di parte 
civile, cos� come dispone la richiamata legge 13.4.1988 n. 117. 

P.d.T. 

RASSEGNA AVVOCA1URA DELLO STATO

274 

Magistratura. Ora l'art. 110 attiene a quanto � strumentale allo svolgimento della 
funzione, ed attribuisce al Ministro poteri, ma anche le relative responsabilit� 
politiche, per assicurare efficacia ed efficienza all'amministrazione servente. 

E che il Ministro della Giustizia sia estraneo all'esercizio della funzione risulta 
anche dalle norme sull'ordinamento giudiziario, e trova conferma, in ultimo, dalla 
legge 13 aprile 1988 n. 117, relativa al �Risarcimento dei danni cagionati 
nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilit� civile dei magistrati�. 

Nella suddetta legge, difatti, la legittimazione passiva nell'azione di 
risarcimento viene riferita, non casualmente, al Presidente del Consiglio dei 
Ministri, proprio perch� il relativo danno attiene all'esercizio delle funzioni 
giudiziarie. 

Ma, l'assunto della Corte � errato anche laddove -in termini generali definisce 
il Ministro come centro di riferimento dell'interesse della collettivit� 
all'esercizio imparziale ed indipendente della funzione giurisdizionale. 

Ora, essendo il suddetto interesse riferito alla collettivit�, di esso non pu� essere 
esponenziale un'entit� organizzativa dello Stato-apparato, quale il Ministro della 
Giustizia, ma solo il soggetto che rappresenta la sintesi politica e di governo dello 
Stato-comunit�, cio� il Presidente del Consiglio dei Ministri. E cio in quanto � 
costituzionalmente dotato della capacit� di interpretare e di rappresentare, quindi, 
l'interesse nella sua completezza ed organicit� per la sua tutela nell'istanza 
giudiziaria. 

Al Ministro della Giustizia va riconosciuta, invece, la legittimazione all'azione 
di risarcimento di quei danni che offendono la sua sfera istituzionale, attinente come 
si diceva -al funzionamento dei servizi ed all'organizzazione, comprensiva 
-s'intende -del personale ausiliario. 

Ma, nella corruzione commessa nell'esercizio della funzione giudiziaria, 
l'offesa (suscettibile di risarcimento) � inerente alla violazione della base 
ordinamentale, e prima ancora costituzionale, della funzione �giustizia�, che viene 
�amministrata in nome del popolo�, e che deve essere improntata ad imparzialit� ed 
indipendenza: termini questi sui quali e nell'ambito dei quali assurge a giuridica 
rilevanza il correlato interesse collettivo da tutelare (quanto alla natura dell'interesse 
collettivo ed a sua rappresentanza in giudizio: Cass. sez. un., 21 maggio 1988, lori). 

Appare, allora, del tutto evidente che non solo il suddetto interesse non pu� 
dirsi rappresentato dal Ministro, ma la dimensione e la qualit� di tale interesse 
trascendono la stessa sfera (istituzionale) di apprezzamento del Ministro. 

Pertanto, va annullata l'impugnata sentenza in ordine alle statuizioni in favore 
della parte civile. 

(omissis) 


PARTE SECONDA 



DOTTRINA 


Il regime dell'affidamento dei lavori pubblici a trattativa privata 
dopo la Merloni-ter (*) 

L'approvazione della Merloni-ter offre lo spunto per qualche riflessione sull'affidamento 
dei lavori pubblici a trattativa privata e sull'attuale assetto della materia. 

La nuova normativa ha inciso sulla precedente legge quadro con le disposizioni 
di cui all'art. 9 nn. da 36 a 40, che introducono modifiche all'art. 24 della legge, 
per il resto inalterato. 

Si � inteso, in termini generali, apportare talune correzioni preordinate al superamento 
di difficolt� esegetiche insorte in relazione alla previgente normativa, della 
quale risulta, peraltro, in ogni senso confermato lo spirito inteso alla incisiva limitazione 
dei casi di eccezionale ricorso a tale sistema di scelta del contraente e alla 
razionalizzazione delle procedure, nella direzione della massima trasparenza. 

� noto, infatti, che il ricorso alla trattativa privata, siccome caratterizzato da un 
ampio margine di discrezionalit� e di libert� di scelta in capo alla stazione appaltante 
ed idoneo come tale a prospettare ampie possibilit� elusive del ben pi� garantistico 
meccanismo della gara o della licitazione, � visto con progressivo disfavore dal 
legislatore, che ha: 

a) da un lato inteso limitare i casi in cui lo stesso risulta ammissibile e 
b) dall'altro ha comunque �procedimentalizzato� (a fini di evidenza pubblica 
in senso ampio) la fattispecie contrattuale in discorso nell'ottica del massimo di trasparenza. 


In tale intento limitativo la legge � stata, come � ben noto, aiutata dall'opera 
della giurisprudenza, che ha finito per elaborare un nutrito corpus di regole pretorie 
finalizzato a rendere �giustiziabili� le ipotesi di scelta a trattativa privata, da ultimo 
disegnando un'ampia legittimazione ad agire a fini di censurare il ricorso lesivo a 
tale meccanismo di affidamento. 

Scopo di queste sintetiche osservazioni �, peraltro, solo quello di dare conto 
delle modifiche normative di cui dicevo in premessa, senza pretesa di completezza 
di analisi, che occorre lasciare alla successiva elaborazione teorica e pratica. 

Ebbene, l'art. 24 della Merloni prevede, al primo comma, che l'affidamento a 
trattativa privata � ammesso per i soli appalti pubblici ed esclusivamente nei casi 
analiticamente individuati. 

� pacifico anzitutto che il sistema in esame non possa essere adottato per le concessioni 
di lavori pubblici, le quali sono giustificatamente guardate con evidente 

(*)Le recenti modifiche introdotte dalla c.d. Merloni-ter (legge 18 novembre 1998, n. 415) rendono 
di particolare attualit� le interpretazioni del tema, trattato nella relazione predisposta dall'avvocato 
Giuseppe ALBANO per il Convegno di Campobasso del 28-29 maggio 1999 su �La 
legge quadro sui Lavori Pubblici� e che qui si pubblica. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

4 

disfavore: premesso che -sulla scorta delle limitazioni di cui all'art. 19, pur dopo 
le significative modifiche di nuova introduzione -non sono pi� ammesse concessioni 
se non nella forma delle concessioni di costruzione e gestione (essendo in particolare 
vietate le concessioni di sola costruzione e le concessioni di committenza), 
� altres� previsto all'art. 20, comma 2 che tali concessioni siano affidate (esclusivamente) 
mediante licitazione privata, laddove la trattativa privata � riservata all' appalto 
e per di pi� �esclusivamente nel casi e secondo le modalit� di cui alla presente 
legge� (art. 20, comma 3). 

Ne discende -come concordemente si riconosce -che i casi in cui � ammessa, 
per l'appalto, la trattativa privata devono ritenersi tassativi e non suscettibili di 
applicazione analogica, anche perch� costituiscono eccezione al principio generale 
della massima concorrenza. 

Si pone, sotto questo profilo, la prima significativa questione: se il tenore 
testuale della norma sia tale da escludere, per implicita abrogazione, le ipotesi previste, 
per i lavori superiori alla soglia minima comunitaria, dal decreto legislativo 
406 del 1991. 

Al riguardo si contrappongono due tesi: ~ 

1) secondo alcuni, la legge 109/94, come successivamente modificata, si 
applicherebbe solo ai lavori sottosoglia, mentre negli altri casi il ricorso alla tratta


I

tiva privata risulterebbe ammesso nei meno restrittivi limiti di cui .ali' art. 9 decreto 

i ~ 

legislativo 406/91, di recepimento della direttiva comunitaria in materia; 
2) secondo altri, gli appalti, anche soprasoglia, possono essere affidati a trattativa 
privata solo nei casi di cui ali' art. 24 in esame, che avrebbe tacitamente abro


I 

I rJgato in parte qua il decreto legislativo 406/91. i:= 

Per quest'ultima soluzione, evidentemente ispirata a criteri di maggior rigore, 
militano taluni argomenti di indubbio rilievo, che si possono sintetizzare nei seguenti 
punti: 

1) la Merloni � una legge-quadro, le cui disposizioni contengono regole di 
principio di applicazione generale: tale legge, ai ricordati artt. 20 e 24, afferma I 
espressamente la tassativit� e l'esclusivit� dei casi di ricorso alla trattativa privata; 

2) nessuna norma della legge limita l'applicabilit� della stessa agli appalti di 

I

importo inferiore alla soglia comunitaria; in particolare, la modifica dell'art. 24 lett. 
b) operata gi� con la Merloni-bis e l'espunzione del riferimento ivi previsto agli 
appalti sottosoglia ha eliminato un utile, seppur certo non univoco, appiglio testuale 
a favore della contraria tesi; 

I 

3) costituisce principio generale -fatto proprio dalla Corte costituzionale ~ 

I ::a 
:; con la sentenza n. 482/95 -quello che il legislatore nazionale possa fissare norme fil' 
per la partecipazione alle gare pi� ristrette e rigorose di quelle scolpite dalla normativa 
comunitaria, stante che la trattativa privata contrasta in linea di principio con il 
generale precetto di tutela della concorrenza. 

Nel senso della implicita abrogazione dell'art. 9 decreto legislativo 406/91 (e 
dunque nel senso che la legislazione italiana sia complessivamente pi� rigorosa .

I

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���.:�ᥥ�11�1��1l1��1�1111r�rt. 


PARTE Il, DOITRINA 

della �base minima� comunitariamente imposta per il lecito ricorso alla trattativa 
privata) si sono pronunciati, oltre a parte della dottrina: 
a) la Presidenza del Consiglio dei Ministri, all'art. 11.3 della direttiva 29 aprile 
1994; 
b) il Consiglio di Stato in sede consultiva, (sez. II, 30 maggio 1994, n. 482), in 
un parere reso su uno schema di contratto predisposto dal Ministero dei Trasporti; 

c) la richiamata Corte Costituzionale (n. 482/95), la quale ha escluso -in una 
controversia azionata dalla Regione Emilia Romagna -che la Merloni sia in contrasto 
con la Costituzione nella parte in cui pone restrizioni maggiori rispetto a quelle 
pretese dalla normazione comunitaria; 

d) il Ministero dei Lavori pubblici, con la circolare 7 ottobre 1996 n. 
4488/UL, nella parte in cui ha chiarito che l'art. 7 dell'art. 24 in discorso, nella parte 
in cui consente il ricorso alla trattativa privata per l'affidamento di lotti successivi 
appartenenti alla medesima opera purch� il primo lotto funzionale sia stato aggiudicato 
mediante gara, debba interpretarsi come riferito alle opere aggiudicate anteriormente 
al 3 giugno 1995, data di entrata in vigore della nuova normativa portata 
dalla legge quadro, proprio in considerazione della ribadita eccezionalit� dell'ipotesi 
rispetto ai casi tassativi di cui al primo comma dello stesso art. 24; 

e) implicitamente la Corte dei Conti (sezione controlli, III Collegio, delibera 

n. 8198 del 18 giugno 1998) in sede di Relazione sulla gestione dei lavoripubblici 
da parte delle Amministrazioni dello Stato relativa agli esercizi 1995-97, laddove ha 
incidentalmente affermato che la disciplina comunitaria non fa venir meno la competenza 
normativa dei legislatore italiano, la quale pu� legittimamente esplicarsi in 
modo difforme laddove sia volta a perseguire, magari in maniera pi� rigorosa, i 
valori tutelati a livello comunitario, tra cui quello della massima espansione del 
principio di concorrenzialit�; 
f) da ultimo, il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. V, 18 settembre 
1998, n. 1312), che ha a chiare lettere precisato che in materia di trattativa privata 
la legge 109/94 ha implicitamente abrogato la precedente normativa relativa 
alle ipotesi in cui essa era consentita. 

La tesi della implicita abrogazione del decreto legislativo 406/91 -pur cos� 
argomentata -non � da tutti condivisa. In senso contrario si � sostenuto che: 

1) lo stesso art. 24, al comma 8, effettuava un richiamo ali' art. 9 del detto 
decreto legislativo, nella parte in cui disponeva che l'interferenza tecnica o di altro 
tipo non rientrasse, per diritto nazionale, tra le ipotesi comunitarie di trattativa privata, 
imponendo il meccanismo della risoluzione automatica e del contestuale affidamento 
congiunto dei lavori interferenti con quelli interferiti: tale richiamo era da 
intendersi quale sintomatico della perdurante validit� ed operativit� della disposizione 
richiamata; 

2) la legge Merloni non ha espressamente abrogato il decreto legislativo 
406/91: sicch� l'art.9 decreto legislativo 406/91, in riferimento agli appalti soprasoglia, 
essendo recettivo di una direttiva comunitaria, deve in difetto di espressa abrogazione 
per principio considerarsi comunque prevalente sulla normativa comunitaria. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO s1~m�

6 

Entrambe queste motivazioni sono, peraltro, oggi venute meno, giacch�: 

1) la Merloni-ter ha espressamente abrogato il comma 8 dell'articolo in parola, 
che quindi non reca pi� il valorizzato appiglio testuale; 

2) la direttiva C.E.E. n. 89/440, poi recepita con il decreto legislativo 406/91, 
� stata da ultimo coordinata e trasfusa nella nuova direttiva n. 93/97, peraltro non 
ancora recepita dal legislatore nazionale con apposita normativa. 

Non � mancato, peraltro, chi ha continuato a sostenere, pur dopo le descritte 
vicende, la tesi della perdurante validit� delle ipotesi di trattativa privata di matrice 
comunitaria, argomentando nel senso che: 

1) dal punto di vista ermeneutico, l'espressa abrogazione del comma 8 dell'art. 
24 ha solo eliminato un appiglio testuale, ma ha lasciato sostanzialmente irrisolto 
il problema della ammissibilit� del ricorso alla trattativa privata nei casi di 
interferenza tecnica o di altro genere: in altri termini, pu� legittimamente argomentarsi 
nel senso che l'intento del legislatore della Merloni-ter fosse semplicemente 
quello di eliminare il criticato meccanismo della risoluzione di diritto, non 
quello di prendere posizione sulla ammissibilit� del ricorso alle ipotesi di trattativa 
privata di cui all'art. 9 del pi� volte richiamato decreto legislativo; anzi, non si 
� mancato di osservare che il silenzio sul punto sia in certo modo suscettibile di 
aperta censura; 

2) dal punto di vista normativo, la direttiva n. 93/97, ancorch� non recepita, 
� da ritenersi autoesecutiva in virt� del suo carattere dettagliato: posto che tale 
direttiva contempla all'art. 7 il ricorso alla trattativa privata negli stessi termini 
delle direttive precedenti, essa deve ritenersi applicabile in via immediata e diretta 
in virt� del principio della prevalenza del diritto comunitario su quello interno 
e del conseguente obbligo di automatica disapplicazione della normativa interna 
difforme; 

3) dal punto di vista sistematico, andrebbe considerato che nell'ambito delle 
direttive comunitarie e della normativa interna di recepimento esiste una certa 
omogeneit� dei casi di utilizzo della trattativa privata, preceduta o meno da bando, 
negli appalti pubblici di lavori (art. 9 decreto legislativo 407/91), di forniture (art. 
9 decreto legislativo 358/92), di servizi (art. 7 decreto legislativo 157/95) e nei settori 
esclusi (art. 13 decreto legislativo 158/95): tale omogeneit� verrebbe implausibilmente 
spezzata ove si espungesse, per la prospettata via interpretativa, l'ipotesi 
dei lavori pubblici. 

In conclusione, sembra peraltro che tali osservazioni non siano tali da superare 
la preferibile tesi della tacita abrogazione, anche se bisogna criticamente dare atto 
che il legislatore interno non sempre si � dimostrato coerente con se stesso, laddove 
ha per esempio disposto, con la legge 579/96, l'ammissibilit� senza limiti del ricorso 
alla trattativa privata, in deroga alla legge generale, in relazione alla ristrutturazione 
e all'adattamento degli edifici demaniali destinati o da destinare ad uffici giudiziari 
in Sicilia ed in Calabria. 

Procedendo alla indicazione delle novit� recate dalla Merloni-ter, gi� si � detto 

che l'art. 9 comma 40 ha disposto l'abrogazione del comma 8 dell'art. 24, il quale, 


PARTE Il, DOITRINA 

7 

per l'eventualit� di interferenza tecnica o di altro tipo (esemplare l'ipotesi della c.d. 
interferenza di cantiere) escludeva I'ammissibilit� del ricorso alla trattativa privata 
(in astratto consentita per i lavori soprasoglia dall'art. 9 del decreto legislativo 
406/91, in riferimento ai �motivi tecnici� ivi contemplati) e prevedeva il meccanismo 
della automatica risoluzione di diritto, con il contestuale e congiunto affidamento 
dei lavori da eseguire e di quelli non ancora eseguiti. 

Gi� si � detto delle implicazioni della novit� in ordine al problema della pretesa 
sopravvivenza dell'art. 9 del decreto legislativo 406/91. 
Occorre dire che, per altro verso, l'abrogazione della previgente disposizione va 
salutata con favore. 
Invero, la stessa aveva suscitato notevoli critiche e perplessit�, soprattutto con 
riferimento alla previsione della automatica risoluzione. In particolare: 

1) taluno aveva, come � noto, prospettato anche dubbi di legittimit� costituzionale, 
sotto il duplice e concorrente profilo della violazione del principio di ugua.: 
glianza (art. 3) perch� il contratto veniva risolto a prescindere dall'inadempimento 
dell'impresa esecutrice dei lavori e del principio di buon andamento (art. 97) per il 
sicuro ed ingiustificabile allungarsi dei tempi di realizzazione dell'opera riconnessi 
alla necessit� di riappaltare i lavori; 

2) altri aveva posto in luce che all'esito della automatica risoluzione, difficilmente 
avrebbe potuto evitarsi (a meno di non ipotizzare una ipotesi sui generis di 
risoluzione dejure) il ricorso all'art. 345 legge 20 marzo 1865 n. 2248 Allegato F, 
con la conseguente (ed inopportuna) necessit� di liquidare a favore dell'impresa 
aggiudicataria il 10% delle opere ancora da eseguire, in aggiunta al rimborso dei 
costi e delle spese sostenute; 

3) inoltre, si era in senso critico osservato che la norma era foriera di incongruenze 
nella eventualit� che i lavori appaltati e quelli ancora da appaltare (cio� i lavori 
interferiti e quelli interferenti) fossero di pertinenza di Amministrazioni distinte; 

4) ancora, si era in punto di fatto osservato che la disposizione avrebbe di 
certo contribuito ad accrescere il contenzioso in materia. 

Se l'abrogazione � da salutarsi con favore, resta peraltro irrisolto il problema 
se, nel caso di interferenza tecnica, sia possibile o meno il ricorso alla trattativa 
privata. 

�, infatti, chiaro che: 

a) per chi ritiene a tutt'oggi vigente la norma di cui all'art. 9 decreto legislativo 
406/91, quale �assorbita� dall'art. 7 della direttiva C.E.E. n. 93/97, l'affidamento 
a trattativa privata sar� possibile per gli appalti soprasoglia e precluso per 
quelli sottosoglia; 

b) per chi invece, come � sembrato preferibile, opta per la tacita abrogazione 
di quelle norme (per pi� rigorosa opzione del legislatore nazionale), il ricorso alla 
trattativa privata sar� nell'ipotesi in discorso sempre precluso. 

Continuando la rassegna delle modifiche introdotte con la Merloni-ter, si nota 
che il comma 36 dell'art. 9 ha modificato l'art. 24, comma 1) lettere a) e b), prevedendo: 


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RASSEGNA AVVOCATORA DELLO STATO

8 

-anzitutto (quanto alla lettera a) l'innalzamento della soglia massima per il 
ricorso alla trattativa privata, fermo il rispetto delle norme sulla contabilit� di Stato, 
portandola dagli originari 150.000 ECU a 300.000 ECU; 

-e quindi (quanto alla lettera b, da coordinarsi con il comma 5 dell'art. 24, a 
sua volta coerentemente modificato dal comma 38 dell'art. 1 della Merloni-ter) la 
necessit� di gara informale con invito ad almeno quindici concorrenti solo nel caso 
di ripristino di opere di valore superiore alla soglia cos� innalzata gi� esistenti e rese 
inutilizzabili da eventi imprevedibili di natura calamitosa, qualora motivi di imperiosa 
urgenza rendano incompatibili i termini imposti dalle altre procedure di affidamento 
degli appalti. 

Le modifiche, tra loro coordinate, hanno una ratio ed una implicazione. 

a) Quanto alla ratio, � evidente che -come non si � mancato di osservare 
dai primi commentatori -il legislatore si � reso conto della eccessiva rigidit� e farraginosit� 
cui il testo originario sottoponeva la trattativa privata. In particolare, si 
era osservato che, per appalti di valore tutto sommato irrisorio, imporre la gara 
informale si risolveva in un eccesso di garanzia spesso antieconomico oltrech� in un 
ingiustificato ritardo nell'affidamento rispetto alle pi� snelle ed adeguate forme 
della trattativa privata. 

In tale prospettiva, l'elevazione della soglia per il ricorso alla trattativa privata 
e soprattutto la consequenziale riduzione delle ipotesi di obbligatoriet� della gara 
informale sono correttamente interpretate quale segno di attenuazione dei disfavore 
per la trattativa privata. 

b) Quanto all'implicazione, non si � mancato di osservare che l'elevazione 
fino a 300.000 ECU della soglia originariamente fissata a 150.000 ECU eliminer� o 
almeno ridurr� in fatto il rischio di ricorso ai lavori in economia (che il comma 6 
dell'art. 24 consente per lavori fino a 200.000 ECU) al solo fine di eludere i limiti 
per la trattativa privata. 

Piuttosto, occorre dire che ulteriore modifica introdotta in relazione alle ipotesi 
di cui al comma 1 lett. b), � quella -prevista dal comma 37 dell'art. 9 della Merloni-
ter -che richiede che i �motivi di imperiosa urgenza� i quali, in caso di ripristino 
di opere gi� esistenti e funzionanti danneggiate e rese inutilizzabili da eventi 
imprevedibili di natura calamitosa, rendono possibile, oltre la soglia dei 300.000 
ECU, il ricorso alla trattativa privata per l'incompatibilit� con i tempi delle procedure 
ordinarie di affidamento, siano espressamente �attestati dal dirigente o dal 
funzionario responsabile del procedimento�. 

La norma ha ricevuto letture contrastanti: 

a) da un lato, la stessa richiede invero una espressa assunzione di responsabilit� 
da parte del dirigente o del responsabile del procedimento: e ci� sembra 
apprezzabile, in relazione agli evidenti abusi -di rilievo contabile e penale -cui 
l'ipotesi in questione si � prestata e si presta; 

b) dall'altro, si � per� osservato che l'innovazione � foriera di difficolt� appli


cative non essendo, infatti, chiaro se l'assunzione di responsabilit� da parte del diri


gente o del responsabile del procedimento abbia carattere alternativo o cumulativo 


PARTE II, DOTTRINA 

(se, cio�, in pratica, l'attestazione del dirigente debba di necessit� affiancarsi o possa 
semplicemente sostituirsi a quella di analogo tenore del responsabile del procedimento), 
� ampiamente prevedibile che nella pratica si vedranno dei tentativi di scaricabarile, 
vale a dire dei reciproci tentativi di addossare la responsabilit� della 
(impegnativa) dichiarazione di imperiosit� dei motivi di urgenza; 

c) oltretutto, sempre in chiave complessivamente critica, si � osservato che, 
da un punto di vista sostanziale, la norma non sarebbe granch� innovativa, atteso 
che nell'obbligo di motivazione di cui all'invariato art. 24 comma 2 deve implicitamente 
ritenersi ricompresa l'attestazione della ricorrenza in fatto (oltretutto di difficile 
verificazione) dei ridetti imperiosi motivi di urgenza, di guisa che l'innovazione 
sarebbe da un lato superflua (nella parte in cui ribadisce un obbligo implicito) e 
dall'altro complicatoria (nella parte in cui prospetta una incerta attribuzione di competenze). 


Sta di fatto che il legislatore, guardando con chiaro sospetto alle situazioni di 
emergenza di matrice calamitosa, ha inteso circondare di una ulteriore cautela il frequente 
ricorso alla trattativa privata (anche se bisogna in materia rammentare il frequente 
ricorso a leggi speciali o ad ordinanze extra ordinem con valore normativo 
ad opera di commissari straordinari, come tali derogative -nel rispetto dell'art. 4 
della legge 24 febbraio 1992, n. 225, in materia di protezione civile -del.lo stesso 
art. 24 della Merloni nel suo complesso e dei limiti quivi previsti: leggi ed ordinanze 
per le quali occorrerebbe svolgere un discorso ben pi� ampio di quello consentito 
dai minuti a disposizione). 

Della modifica introdotta al comma 5 dell'art. 24 si � gi� detto: la necessit� di 
ricorso alla gara informale cui debbono partecipare almeno quindici concorrenti � 
stata limitata alla ipotesi di cui alla lett. b) del comma 1 (quella appena ricordata) e 
non pi� a tutte le ipotesi di trattativa privata. 

Ne consegue che, per i lavori di importo inferiore a 300.000 ECU l'Amministrazione 
� libera di adottare le procedure informali caratterizzate da libert� di movimento 
e di determinazione, fermo restando, � chiaro: 

a) il rispetto dei principi generali (che rendono sindacabile dal giudice amministrativo 
la violazione dei precetti della evidenza pubblica e perfino la scelta 
incongrua della trattativa privata, salva l'eccezionalit� se non proprio l'esclusione 
del risarcimento della lesione dell'affidamento precontrattuale, pur oggetto di diffusi 
auspici dottrinali); 

b) nonch� la generale facolt� di autolimitazione (gara ufficiosa non obbligatoria), 
con la conseguente necessit� di rispettare il vincolo autoimposto. 

Sempre in rapida sintesi occorre dare atto della modifica del comma 6 del!' art. 
24, il quale, nella nuova versione, ammette i lavori in economia fino a 200.000 
ECU, facendo peraltro salvi i lavori del Ministero della Difesa che vengono eseguiti 
in economia a mezzo delle truppe e dei reparti del Genio militare, disciplinati dal 
regolamento di cui all'art. 3 comma 7-bis. 

L'innovazione va intesa nel senso che siano sottratti alla previsione dell'art. 24 
(quindi non solo a quella relativa alla soglia di importo massimo) tutti i lavori di per



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

10 

tinenza della Amministrazione militare, stante il generale rinvio ad apposito provvedimento 
regolamentare. 
In proposito, si pu� rammentare che per lavori in economia si intende una triplice 
tipologia di intervento: 

a) lavori in amministrazione diretta, eseguiti cio� direttamente dalla Amministrazione 
con propria organizzazione di personale e di mezzi; 

b) cottimo fiduciario od autonomo, del tutto assimilabile alla trattativa privata, 
nei casi in cui il funzionario dell'Amministrazione stipula, sotto la sua personale 
responsabilit�, apposita convenzione con impresa di fiducia; 

c) appalto a regia, in cui i lavori si svolgono sotto la direzione di un funzionario 
e l'impresa fornisce la manodopera, i materiali, i mezzi e tutto ci� che occorra 
per l'esecuzione dell'opera. 

Ebbene, pur con la recente innovazione, la Merloni-ter non ha chiarito se l'esecuzione 
dei lavori in economia nella triplice forma indicata sia integralmente 
sostitutiva delle procedure ordinarie: se, in particolare, nel ricorso a tale forma di 
affidamento (salvo, evidentemente, il limite quantitativo del valore delle opere), 
l'Amministrazione sia soggetta agli obblighi procedimentali a partire da quello di 
adeguata motivazione di cui al comma 2 e dell'obbligo di gara informale. 

Peraltro, la gi� ricordata modifica del comma 5 -nella parte in cui ha reso 
obbligatoria la gara informale solo nel casi di cui alla lettera b) del comma 1 -ha 
in parte ridotto la rilevanza del problema, atteso che non si pu� pi� dubitare che, nel 
caso in questione, il ricorso alla gara officiosa sia sempre e solo il frutto di una scelta 
facoltativa di tipo autolimitante e mai obbligo procedimentale imposto ex lege). 

Un'ultima notazione: introducendo la figura del <<promotore� (artt. 37/bis e 
seguenti), la Merloni-ter ha previsto una nuova e distinta ipotesi di <<procedura 
negoziata� (art. 37 quater), che finisce per affiancarsi al casi di trattativa privata di 
cui all'art. 24 come una ipotesi peculiare con caratteri di specialit�, della quale 
bisogna naturalmente tener conto in una pi� ampia prospettiva intesa alla enucleazione 
dei significativi elementi di novit� introdotti con il ricorso al project financing, 
e che per� esulano dai limiti delle brevi osservazioni esposte. 

GIUSEPPE ALBANO 


Apprensione, sine titulo, di area privata, da parte della P.A.: 
individuazione del momento acquisitivo della propriet�, in capo alla stessa. 
Problemi connessi alla formalizzazione dell'acquisto, operato dalla P.A. 

Le brevi note che seguono sono dedicate ad una particolare problematica, in 
tema di acquisto, non iure, della propriet� di un'area privata, da parte della P.A. 
Ci riferiamo all'aspetto, connesso alla formalizzazione del superiore acquisto, 
della trascrizione e della volturazione dello stesso. 

Occorre precisare, da subito, che la superiore disamina verr� condotta distinguendo, 
nell'ambito del fenomeno dell'apprensione, sine titulo, di area privata da 
parte della P.A., due diverse fattispecie: 1) quella che, ormai comunemente, viene 
definita con l'espressione �occupazione acquisitiva� o �accessione invertita� che dir 
si voglia; 2) la fattispecie, costituente invero ipotesi pi� grave di quella, comunemente 
etichettata con le espressioni sopra riportate, rappresentata dal caso in cui la 
P.A., in mancanza di una valida dichiarazione di pubblica utilit� di un'opera, vada a 
realizzare, su di un terreno di propriet� privata, lavori tali da trasformare, in modo 
irreversibile, la naturale destinazione dell'area (si vedano, in ordine alla predetta fattispecie, 
fra le altre, Cass. SS.UU., sent. n. 3963/89 e Cass. SS.UU., sent. n. 4477/92). 

1) Con riferimento alla prima delle fattispecie pi� sopra evidenziate, ovvero quella 
della c.d. �occupazione acquisitiva�, il problema della formalizzazione dell'acquisto 
dell'area da parte della P.A., risulta legato in modo inscindibile a quello, avente ad 
oggetto l'individuazione del momento in cui pu� dirsi realizzato il suddetto acquisto. 

� noto, infatti, che in una delle ipotesi (1) ricondotte, dalla giurisprudenza, nell'ambito 
di operativit� dell'istituto in parola, ovvero quella in cui la P.A. vada a trasformare, 
in modo irreversibile, il terreno del privato e questa trasformazione si collochi 
successivamente allo spirare del termine di occupazione legittima, 
l'individuazione del momento in cui la propriet� dell'area di sedime dell'opera pu� 
dirsi pass�ta in capo alla P.A. (momento coincidente proprio con la trasformazione 
irreversibile del terreno) appare alquanto complessa. Complessit� testimoniata dalle 
variegate decisioni, adottate in tema, dalla giurisprudenza di legittimit� (2). 

(1) Nessun problema pone, infatti, la diversa ipotesi in cui la realizzazione dell'opera pubblica, 
con conseguente trasformazione irreversibile del suolo privato, sia temporalmente contenuta 
nel termine dell'occupazione autorizzata (ed eventualmente prorogata), dovendosi individuare 
il momento d'acquisto della propriet�, in capo alla P.A., nella data di scadenza del predetto 
periodo di occupazione (cfr., in questo senso, tra le altre, Cass., sent. 18 ottobre 1994, n. 8495; in 
senso contrario, DE MARZO, Occupazione appropriativa e pendenza dei termini di occupazione 
legittima, in Giurisprudenza Italiana, 1994, IV, 120, secondo il quale l'attribuzione alla mano 
pubblica del fondo gi� dal compimento dell'opera compiuta in costanza di occupazione legittima, 
s'impone non essendo diversamente definibile il regime proprietario nell'intervallo tra l'ultimazione 
dei lavori e la scadenza dell'occupazione. 
(2) Si vedano, tra le pi� recenti, Cass. sent. 29 novembre 1997, n. 12113, in cui si afferma 
che �non � sufficiente a determinare l'acquisto della propriet� a titolo originario dall'ente pubbli

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

12 

Proprio al fine di dare una concreta soluzione al problema, di cui sopra, si � ipotizzata, 
da alcuno, la possibilit� da parte dell'Amministrazione espropriante di emanare 
un atto unilaterale, con il quale verrebbe attestata l'intervenuta irreversibile trasformazione 
del fondo del privato; atto, questo ultimo, del quale sarebbe possibile 
richiedere la trascrizione presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari, nonch� 

la volturazione presso gli uffici catastali. 
La praticabilit� della sopra sintetizzata soluzione � stata, per la prima volta, 
affermata dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Torino (parere n. 882/89/ST 
del 28 luglio 1989); quest'ultima, investita dall' A.N.A.S. della questione relativa 
alle modalit� di trascrizione e volturazione di un bene, acquisito al demanio stradale 
per effetto di �occupazione acquisitiva�, si pronunciava. nel senso della trascrivibilit� 
di �Un apposito decreto del Capo compartimentale, nel quale, fatto 
richiamo agli atti dei procedimenti di espropriazione e di occupazione d'urgenza 
concernenti il fondo interessato, si preciser� la ragione per cui questo debba ritenersi 
acquisito al demanio stradale dello Stato per effetto della sua irreversibile 
utilizzazione nella costruzione dell'opera pubblica, indicando la data in cui tale 
acquisizione deve con certezza ritenersi avvenuta, o gi� avvenuta in precedenza�. 
Cos� argomentando, l'Avvocatura Distrettuale ha affermato l'ammissibilit� di 
un atto ricognitivo unilaterale, con il quale la stessa Amministrazione procedente 
�accerta� il verificarsi di un fatto, la trasformazione irreversibile del fondo privato 
a seguito dell'attivit� realizzativa, posta in essere sullo stesso, che, unitamente 
agli atti amministrativi attestanti la pubblica utilit�, indifferibilit� ed urgenza del1'
opera, produce, secondo la costruzione giurisprudenziale dell'occupazione 
acquisitiva, l'estinzione del diritto di propriet� del privato e la contestuale nascita 
del diritto dominicale della P.A. 
Una soluzione (3), quella descritta, in grado di soddisfare anche le legittime 
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~ aspettative del proprietario del fondo oggetto del provvedimento di occupazione. I[:: 
co, l'occupazione di un fondo per la costruzione di un cavalcavia ferroviario, con deposito di pietrisco 
e realizzazione di canalette interrate, trattandosi di interventi di scarsa entit�, non impeditivi 
della restituzione del suolo� e Cass., sent. 12 agosto 1997, n. 7532, in cui si afferma che �la 
trasformazione del fondo privato con irreversibile destinazione all'opera pubblica, quale modo di 
acquisto della propriet� a titolo originario, non presuppone necessariamente una modifica materiale 
del fondo, essendo sufficiente la sola sua diversa collocazione nella realt� giuridica, come 
iliI w.I nel caso di realizzazione effettiva di giardino pubblico�. 
(3) Sulla praticabilit� della soluzione illustrata, si veda A. OMELLARO, Guida pratica all' espropriazione 
per pubblica utilit�, 2� ed., Rimini 1997, 82 e ss., il quale si proccupa di individuare, 
sebbene in via di prima approssimazione, la categoria giuridica nella quale collocare l'atto 
ricognitivo in parola, nonch� A. VARLARO SINISI, L'occupazione acquisitiva: prova 
dell'acquisto, a titolo originario, del diritto di propriet�, conseguenze in ordine alla trascrizione 
immobiliare ed alla volturazione catastale, in Giustizia civile, 1998, parte seconda, 25 e ss. 
L'Autore che, in un precedente contributo sull'argomento (A. VARLARO SINISI, L'occupazione 
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appropriativa e l'�irreversibile trasformazione� del fondo, in Giustizia civile, 1995, I, 2308) 
aveva affermato che �la fattispecie estintivo-acquisitiva, realizzata dall'accessione invertita, 
dovrebbe essere ricollegata ad una sentenza costitutiva, previo accertamento dei presupposti elaborati 
dalla giurisprudenza sul perfezionamento della fattispecie acquisitiva�, riconosce l'ammissibilit� 
di un provvedimento, di mero accertamento, emanato dalla stessa P.A., il quale ver""~
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PARTE Il, DOTI'RINA 

13 

Ed invero, la giurisprudenza ha fissato proprio nel momento in cui pu� dirsi 
avvenuta la trasformazione irreversibile del fondo il dies a quo del termine prescrizionale, 
di cinque anni, entro il quale il privato potr� fare valere le proprie 
ragioni risarcitorie, nei confronti dell'Amministrazione procedente ( 4). 

Ebbene, l'incertezza giurisprudenziale, pi� sopra ricordata, esistente in ordine 
all'individuazione del momento �topico� della trasformazione irreversibile del 
fondo, non pu� che mettere in pericolo le ragioni creditorie dei soggetti privati, 
che potrebbero vedersi dichiarato prescritto il proprio diritto risarcitorio, solo perch� 
il giudice adito ha ritenuto di fissare la predetta trasformazione in un momento 
anteriore, rispetto a quello individuato dai primi (5). 

A ci� si aggiunga, che nessuno, meglio dell'Amministrazione, � in grado 
di valutare il momento, in cui la realizzazione dell'opera pubblica determina, 
sull'area di sedime, effetti tali da provocare (per usare le parole del citato 
parere) la �irreversibile utilizzazione� del fondo �nella costruzione dell'opera 
pubblica� (6). 

2) Passiamo, adesso, all'esame della seconda delle ipotesi, pi� sopra individuate; 
un'ipotesi pi� grave, rispetto a quella ricondotta, dalla unanime giurisprudenza 
e dottrina, nel campo di operativit� dell'istituto dell'occupazione acquisitiva, 
in quanto in essa l'attivit� realizzativa della P.A. non risulta assistita da 
quell'atto, la dichiarazione di pubblica utilit� dell'opera, che costituisce �la guarentigia 
prima e fondamentale del cittadino e la pietra angolare su cui deve poggiare, 
per legge, l'espropriazione per pubblico interesse� (vedi, Cass. SS.UU., 
sent. n. 2435/84. 

Ebbene, � stato ribadito, di recente, dalla Suprema Corte di Cassazione (Cass., 
SS.UU., sent. 4 marzo 1997, n. 1907) (7), che, nell'ipotesi di che trattasi, la P.A. 
pone in essere un illecito di tipo permanente e non un illecito istantaneo, con effetti 
permanenti, come avviene nel caso della c.d. �occupazione acquisitiva�. 

rebbe a sostituirsi alla sentenza del giudice ordinario che, com'� noto, accerta il perfezionamento 
della fattispecie estintivo-acquisitiva, realizzatasi a seguito dell'operare illecito della 
P.A., con conseguente condanna al risarcimento del danno, in favore del proprietario dell'area 
di sedime. 

(4) Sull'onere, assai gravoso, per il privato proprietario di determinare il momento dell'irreversibile 
destinazione dei fondi all'opera pubblica, cui la giurisprudenza riconduce tanto l'acquisto 
della propriet� del fondo da parte della Pubblica Amministrazione, quanto l'inizio del 
decorso del termine prescrizionale, si veda PFIFFNER, L'occupazione appropriativa, il termine di 
prescrizione dell'azione risarcitoria e il problema della tutela del proprietario, in Resp. Civ., 
1993, 534. 
(5) Si evidenzia, inoltre, che l'identificazione del dies a quo della prescrizione, in rapporto 
al perfezionamento della fattispecie acquisitiva, segna anche il momento di riferimento per la 
valutazione del bene ai fini della liquidazione del danno (Cass. sent. 22 giugno 1990, n. 6266, 
Cass., sent. 5 agosto 1997, n. 7192), e per la decorrenza degli interessi e della rivalutazione 
(Cass., sent. 26 agosto 1997, n. 7998). 
(6) Come osservato da alcuna giurisprudenza, ci� che � nessario, ai fini del perfezionarsi 
della fattispecie dell'occupazione acquisitiva �, invero, la �definitiva trasformazione funzionale 
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alla realizzazione dell'opera� (Cass., sent. 24 novembre 1983, n. 7022). 
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(7) La sentenza pu� leggersi in Foro Italiano, 1997, I, 721 e ss. 
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RASSEGNA AVVOCPJURA DELLO STATO 

14 

Il che si spiega col fatto che, mentre nell'occupazione appropriativa �in presenza 
di una valida dichiarazione di pubblica utilit� dell'opera, la successiva 

costruzione della stessa, pur non assistita da un titolo ablatorio, d� luogo ... ad un 
illecito istantaneo, giacch� l'accennato vincolo di scopo (derivante dalla dichiarazione 
di p.u.) rende giuridicamente irreversibile (al di l� dell'irreversibilit� insita 
nella materiale manipolazione) la trasformazione del fondo e nel contempo esclude 
che vi sia una antigiuridicit� da far cessare� (vedi Cass. SS.UU., sent. 
1907 /97), nell'ipotesi che ci occupa, invece, il comportamento illecito si protrae 
(rectius: permane), fintantoch� esso non venga rimosso, �sostanziandosi, l'illecito 
permanente, oltrech� nella lesione di un diritto, nella trasgressione del dovere 
giuridico di porre fine alla creata situazione di antigiuridicit�� (vedi sentenza da 
ultimo citata). 

Le parole che precedono ci hanno avvicinato all'oggetto della nostra indagine, 
ovvero al problema dell'individuazione del momento in cui pu� dirsi acquisita, 
in capo alla P.A., la propriet� di un suolo, sul quale il soggetto pubblico, in 
mancanza di una valida dichiarazione di pubblica utilit�, abbia posto in essere 
un'attivit� realizzativa di un'opera pubblica. 

Ci soccorre, in questa ricerca, la Suprema Corte di Cassazione. 

Nella recente sentenza, pi� volte menzionata (Cass. SS.UU., sent. 1907/97), 
la Corte di legittimit� ha affermato che la propriet� dell'area privata potr� dirsi 
acquisita, in capo alla P.A., solo nel momento in cui il privato, titolare del terreno, 
abdicando al proprio diritto alla c.d. restitutio in integrum ovvero alla riconsegna, 
nelle condizioni originarie, dell'area di sua propriet�, opti per il ristoro in 
via equivalente, ovvero per il risarcimento del danno, sofferto a causa dell'illecito 
perpetrato ai suoi danni dalla P.A. 

Ed � proprio in questa scelta abdicataria, compiuta dal privato, che i giudici 
della Corte di Cassazione hanno ritenuto di potere individuare la cessazione del1 
'illecito permanente, posto in essere dalla P.A. 

Tale soluzione, che riecheggia risalenti pronunce giurisprudenziali ( si veda la 
sentenza, rimasta isolata, delle SS.UU. della Corte di Cassazione n. 3940/88, in 
cui l'illustrato meccanismo abdicatario veniva applicato alla diversa ipotesi dell'occupazione 
acquisitiva), lascia, tuttavia, sul tappeto il problema della formalizzazione 
dell'acquisto dell'area, da parte della P.A. 

Un problema, come si vedr�, la cui soluzione � possibile individuare, abba.> 


stanza agevolmente, nel sistema normativo. 

Ed invero, la domanda, con la quale il proprietario dell'area, abusivamente 
manipolata dall'attivit� realizza ti va della P.A., abdicando al proprio diritto alla 
�restitutio in integrum� del terreno, chieda, all'autorit� giudiziaria, il risarcimento 
del danno sofferto, si inquadra perfettamente fra quegli �atti di rinunzia�, per i quali 
l'art. 1350, n. 5 del codice civile richiede la forma scritta, ove gli stessi ineriscano a 
diritti immobiliari. 

Ebbene, nulla esclude che la P.A., al fine di formalizzare il proprio acquisto (trascrizione 
nei registri immobiliari, volturazione catastale, ecc.) possa utilizzare l'atto 
di rinunzia, posto in essere dal privato, curandone la trascrizione nei registri 
immobiliari (come previsto dall'articolo 2645 n. 5 del codice civile) ed ottenendo, 
sulla base di esso, la volturazione in proprio favore delle risultanze catastali. 


PARTE Il, DOTTRINA 

Tirando le somme dell'indagine compiuta, possiamo affermare che le soluzioni, 
prospettate in ordine alle modalit� di formalizzazione dell'acquisto, non iure, di aree 
private, da parte della P.A., potranno trovare conferma della loro bont� solo nella pratica, 
ma hanno il merito, a sommesso avviso di chi scrive, di volere sanare quelle molteplici 
situazioni, in cui un'opera pubblica, compiutamente realizzata e funzionante 
risulta �poggiare� su di un'area formalmente, ma non pi� sostanzialmente, privata. 

MAURIZIO BORGO 


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Ballottaggio e programmi di governo locale (*) 

II 

1. Premessa: ilprogramma amministrativo del candidato alla carica di sindaco o di 
presidente della provincia. 
La Regione siciliana, avvalendosi della potest� esclusiva in materia di ordinamento 
degli enti locali, riconosciutale dall'art. 14 dello Statuto, ha inaugurato la stagione 
riformistica in materia elettorale amministrativa con un anno di anticipo 
rispetto alla legge 25 marzo 1993, n. 81 (1). 

Con la legge reg. sic. 26 agosto 1992 n.7 � stata introdotta, per la prima volta, 
nella storia del sistema elettorale amministrativo italiano, una forma di governo di 
tipo presidenziale, corretta da elementi di democrazia diretta, caratterizzata dall'elezione 
a suffragio universale del sindaco e del consiglio comunale, separatamente 
anche se contestualmente, per un mandato di cinque anni (2). Anche la legge nazionale 
n. 81/93 un anno dopo ha ridisegnato il sistema elettorale per l'elezione dei consigli 
comunali e provinciali (3), configurando una nuova forma di governo locale 
attraverso la designazione diretta dei sindaci e dei presidenti della provincia, estendendo 
l'ambito di applicazione del sistema maggioritario e correggendo, nelle province 
nonch� talora nei grandi comuni, la formula proporzionale con un premio di 
maggioranza ( 4). 

Le innovazioni introdotte dalle suddette leggi, che peraltro completano il processo 
riformistico delle autonomie locali iniziato con la la legge 8 giugno 1990, n. 

(*)Testo della relazione svolta dall'avvocato Maria Vittoria LUMETII nella Tavola rotonda 
sul tema �Nuove norme per la elezione diretta del Sindaco, del Presidente della Provincia, del 
Consiglio comunale e del consiglio provinciale�, tenutasi nella sala Convegni del Tribunale 

Amministrativo Regionale della Sicilia -Sede di Catania, il 6 dicembre 1997. 

(1) La legge costituzionale 23.9.1993, n. 2 ha conferito anche alle altre regioni a statuto speciale 
la medesima competenza. 
(2) A. PrzzoRusso, Commento alla legge, in Corr. giur., 1992, 1205. L'art. 7, co. l, della 
legge 30 aprile 1999 n. 120, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 101del3 maggio 1999, che modifica 
l'art. 2, co. 1, della legge 25 marzo 1993 n. 81, ha elevato la durata del mandato da quattro a 
cinque anni ( Progetto di legge s. 1388 bis �Disposizioni in materia di elezione degli organi degli 
enti locali, nonch� disposizioni sugli adempimenti in materia elettorale�). ~ 
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(3) L'iter di approvazione della legge � stato breve: con una cospicua maggioranza il Senato, 
al quarto passaggio legislativo, il 25.3.1993, lo ha approvato definitivamente, al fine di evitare 
la consultazione referendaria sul punto. 
Cfr. al riguardo, per quanto riguarda gli aggiustamenti subiti dall'atto normativo nonch� il 
numero dei votanti, G. MORLINI, La nuova legge elettorale per comuni e province tra elezione 

ii 

diretta, principio maggioritario e premio di maggioranza, in Dir. Economia, 93, Il, 183 e F. LANCHESTER, 
La propaganda elettorale ( e referendaria ) in Italia tra continuit� sregolata e difficile il~ 
rinnovamento, in Quaderni costituzionali, 1996, I, 402. , ':: 

(4 ) M. Lovo, L'elezione diretta del sindaco, in Nuova rassegna, 1994, 2098, ss. 
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PARTE II, DOTTRINA 

17 

142 (5), intendono rafforzare le prerogative del corpo elettorale, attribuendogli un 
ruolo determinante nel processo di formazione dell'indirizzo politico proprio al fine 
di assicurare la governabilit� delle amministrazioni locali. 

Rispetto alla situazione legislativa precedente la figura del candidato ha acquisito 
una dimensione formalmente e sostanzialmente pi� autonoma dai partiti o dai 
gruppi di appartenenza: uno degli aspetti pi� qualificanti delle recenti leggi elettorali 
amministrative e politiche approvate recentemente consiste proprio nella cosiddetta 
personalizzazione delle competizioni elettorali (6). 

La legge regionale 2" agosto 1992, n.7, ha introdotto l'elezione con suffragio 
popolare del sindaco, prevedendo, all'art.12, la nomina da parte del sindaco eletto al 
primo turno, entro dieci giorni dalla proclamazione, della Giunta con scelta dei componenti 
tra i consiglieri del comune ovvero tra i soggetti in possesso dei requisiti di 
eleggibilit� richiesti per la elezione al consiglio comunale ed alla carriera di sindaco (7). 

Il conferimento al corpo elettorale del potere di determinare l'indirizzo politico, � 
stato perseguito attraverso la modifica in senso maggioritario o bipolare del sistema elettorale 
dei comuni e delle province (8). La maggiore stabilit� governativa viene perse


(5) In tal senso G. SORGE, Dall'ordinamento delle autonomie alla elezione diretta del sindaco, 
in Nuova rassegna, 1994, 321, ss. I punti nodali della riforma, riguardano �il riconoscimento 
del potere statutario comunale e provinciale, l'organizzazione e la trasparenza amministrativa, il 
pubblico impiego e, per quanto riguarda in particolare gli enti territoriali di base, i meccanismi 
elettorali, con particolare attenzione per la libera scelta degli amministratori da parte dei cittadini, 
la chiarezza dei programmi da realizzare, la precisazione e redistribuzione delle competenze e 
delle responsabilit� politiche da assumere nel governo e di quelle tecnico professionali da dimostrare 
nella gestione dei servizi nonch� la riduzione e il ricambio dei mandati rappresentativi�, 
GESSA, I nuovi meccanismi elettorali per gli enti locali, in Cons. Stato, 1993, II, 782. 
(6) �Gi� la riforma conseguente al referendum abrogativo del 1991, che introdusse la preferenza 
unica per le elezioni della Camera dei deputati con il sistema proporzionale a liste concorrenti allora 
vigente, aveva rivelato come fosse avviata una profonda trasformazione dei rapporti tra le formazioni 
politiche e i propri candidati�, E. BETIINELLI, Propaganda elettorale, in Digesto Discipline 
pubblicistiche, 63, e SORRENTINO, Referendum elettorali ed omogeneit�, in Giur. cost., 1991, 1542. 
(7) Per una panoramica sulle novit� normative della legge cfr. S. MELI, Il sindaco nella 
regione Sicilia, in Nuova rassegna, 1994, 1725 ss. Per una disamina sulle linee essenziali della 
nuova disciplina elettorale vedi F. STADERINI, Diritto degli enti locali, CEDAM, 282 e P. VIRGA, 
Diritto amministrativo, vol. III, Milano, Giuffr�, 1994. 
Sul nesso tra riforme elettorali e riforme istituzionali, BALDUZZI, Considerazioni sparse sul 
rapporto tra riforme elettorali e sistema dei partiti, in Nuova politica, 1989, II, 9 ss. 

(8) RENATO BALDUZZI -PASQUALE COSTANZO, in Commento alla l. n. 81/93, 979. 
Interessante � il raffronto con la legge nazionale n. 81/1993. �La ratio della l. n. 81 del 1993 
va rinvenuta da un lato nell'attribuzione di un reale potere di decisione e di scelta di cittadino elettore 
sul programma e sugli uomini legittimati a realizzarlo e dall'altro nel perseguimento, proprio 
attraver&o il premio di maggioranza, di un alto livello di stabilit� ed efficienza degli esecutivi 
locali, edel pieno svolgimento del principio di alternanza, nonch� di quello, ad esso strettamente 
correlato, della responsabilit� politica, fondato sulla reale possibilit� attribuita all'esecutivo 
(legittimato democraticamente ) di realizzare il proprio programma , sulla funzione preminentemente 
di controllo riservata all'organo rappresentativo e sull'esercizio un incisivo potere di premio 
sanzione attribuito agli elettori�, nota alla sentenza della Corte cost., n. 5/1995, in Giur. cost. 
1995, 3353. Per una disamina completa della legge 25 marzo 1983, n. 81 vedi BARBERA ed altri, 
Elezione diretta del sindaco, Rimini, 1993; BARUSSO, GRASSI, GROPPI, LENZETTI, Prime note. Elezione 
diretta del sindaco, Milano, 1993; GIANNULI, La nuova legge per l'elezione del sindaco, 
Roma, 1993; ITALIA e BASSANI, L'elezione diretta del sindaco, Milano, 1993. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

18 

guita mediante il potenziamento del corpo elettorale inteso come uno degli attori dominanti 
del policy making, ossia dello svolgimento della dinamica politico-amministrativa 
(9). Il sistema elettorale, infatti, mediante la designazione attraverso il voto, delle persone 
chiamate a rappresentare una collettivit�, costituisce lo strumento principe per addivenire 
ad un mutamento istituzionale di un certo rilievo, in grado di garantire ad ogni cittadino 
la partecipazione, su base di uguaglianza, all'esercizio del potere pubblico. 

La tensione dialettica che sussiste tra la funzione di investitura dei titolari del1'
organo e la funzione di determinazione dell'indirizzo politico (10), induce il legislatore 
a privilegiare la prima rispetto alla seconda: il risultato immediato e diretto 
delle elezioni consiste solo nell'investitura dei titolari dell'organo, mentre la determinazione 
dell'indirizzo politico si sostanzia in un risultato sempre mediato ed 
eventuale, anche nei sistemi che ammettono il ballottaggio (11). 

La ratio sottesa a tali interventi normativi, dunque, obbedisce all'esigenza di 
migliorare la governabilit� degli enti locali garantendo stabilit� ai sindaci attraverso 
l'assicurazione di un premio di maggioranza alla coalizione vincente: l'intento � 
quello di entrare nella logica di una dialettica tra una maggioranza e una opposizione, 
al fine di perseguire e garantire il principio, fondamentale in una moderna democrazia, 
di alternanza alla guida delle Amministrazioni locali (12). 

� stato, dunque, introdotto nel sistema elettorale locale il principio maggioritario, 
gi� previsto nel nostro ordinamenento dall'art.I comma 2 della Costituzione, il 
quale sancisce che la sovranit� appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei 
limiti previsti dalla Costituzione (13). 

� noto, peraltro, che la volont� della maggioranza costituisce in modo inequivocabile 
espressione della volont� comune (14), anche se sarebbe preferibile l'una


(9) G. SOLA, Storia della scienza politica, Carrocci, 1996, 515; R DE MucCI, Giudici esistema 
politico, Rubettino, 1995, 129. 

(10) FERRARI, Elezioni (teoria generale), in Enc. dir., 629; SENIO PRINCIVALLE, Nuove valutazioni 
sulla elezione diretta degli organi delle amministrazioni locali, in Nuova rassegna, 1993, 182. 
(11) L'argomento delle elezioni sotto la duplice prospettiva della teoria dello sviluppo politico 
e dell'influenza dei sistemi elettorali sul sistema partitico � affrontato da D.FISICHELLA, Elezioni 
e democrazia. Un'analisi comparata, Bologna, 1982, 312, riportato da F. LANCHESTER, In 
ordine a recenti studi su temi elettorali, in Riv. trim. di dir. pubblico, 1983, 957. 
(12) In tal senso E. BALBONI, Riforme elettorali: si inizia dal sindaco, in Corriere giuridico, 
1993, Il, 531. Presupposto implicito dei costituenti del 1946/47 � stato che �il pluralismo, conI


correnziale e competitivo, costituzionalmente sancito dal sistema, fosse in grado di garantire dopo 
la compressione del corporativismo -la vita democratica, rafforzata dalla qualificata pre


I

visione, accanto allo Stato, di autonomie territoriali ben articolate, regionali e locali�, GESSA, I 

~ 

nuovi meccanismi elettorali per gli enti locali, in Cons. Stato, 1993, Il, 781. f:: 

~

f

(13) La democrazia � dunque intesa come forma di governo il cui potere risiede nel popolo 
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che esercita la sua sovranit� attraverso i vari istituti politici previsti dall'ordinamento. 

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(14) L'espressione � di O. VON GIERKE, Sulla storia del principio di maggioranza, in Rivista 1:: 
delle Societ�, 1961, 1102. L'autore approfondisce, al riguardo, proprio l'esigenza di un bilanciai::


mento del principio maggioritario con il principio di unanimit�. 

r

Si tratta della traduzione in italiano della conferenza di O. VON GIERKE, Ueber die Geshichte 
des majoritaet sprnzips, pubblicata nel vol. Essays in Legai Studies, editor by P. Vinogradoff, Uni


I~ 

versity, Oxford Press, Oxford, 1913, 312-335. L'autore compie anche una disamina della storia del }

li::;
principio maggioritario, il quale affonderebbe le proprie radici nella societ� greca e romana. "' 

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PARTE II, DOITRINA 

19 

nimit�, in quanto considerata pi� garantista, atteso che il principio maggioritario 
quale accordo pacifico per la soluzione del conflitto tra attori sociali e attori istituzionali 
costituisce pur sempre frutto di un compromesso ispirato alla tolleranza reciproca 
(15). � per tale motivo che taluni autori, come Hans Kelsen, sono assertori 
convinti del sistema proporzionale, che viene preferito a quello maggioritario (16). 

Sovente, il concetto di democrazia (17), inteso come sistema politico ideale in 
cui i cittadini trovano soddisfazione dei loro desideri, � evocato proprio dal principio 
maggioritario, inteso come regola di governo ideale finalizzata a salvaguardare 
la libert� e la pari opportunit� dei cittadini di esprimere preferenze, nonch� come 
tecnica di formazione delle deliberazioni collettive (18). La scienza politica ha elaborato 
due definizioni del concetto di democrazia: la prima normativa, intesa quale 
regime ideale politico in cui i cittadini trovano soddisfazione dei loro desideri, e la 
seconda empirica, caratterizzata dal suffragio universale, da elezioni libere e competitive, 
dalla presenza attiva di pi� di un partito, nonch� da diverse e alternative 
fonti di informazione (19). 

La tematica inerente alla scelta tra sistemi elettorali maggioritari e proporzionali 
coinvolge il problema dell'eguaglianza dei partiti ed assume notevole rilievo in 
quanto i primi premiando i partiti pi� forti, restringono il concorso delle forze politiche 
entro l'ambito del principio maggioritario e lo esauriscono nella mera possibilit� 
dell'alternanza, assicurando una rappresentanza delle minoranze, ma non la proiezione 
della loro effettiva consistenza, mentre i secondi determinano una proiezione 
fedele dei rapporti di forza tra i partiti, costituendo la pi� immediata traduzione del 

(15) Sono numerosi quei regimi democratici in cui si ricerca l'unanimit� o, perlomeno, il consenso 
pi� ampio. Sartori elabora al riguardo la cosiddetta teoria dei comitati e li definisce piccoli gruppi 
istituzionalizzati investiti di precisi compiti istituzionali che diventano, tuttavia, occasione di partecipazione. 
La regola decisionale all'interno dei comitati non � quella maggioritaria, bens� l'unanimit�, 
G. Sartori, Tecniche decisionali e sistema dei comitati, in Rivista italiana di scienza politica, 1977, 7. 
(16) H. KELSEN, La democrazia, Bologna, Il Mulino, 1981, 170. 
(17) Sul concetto di democrazia cfr. G. SARTORI, Democrazia che cosa �, Rizzoli, Milano, 
1994, 92; DAHL, La democrazia e i suoi critici, tr. it. Editori riuniti, Roma, 242; DAHL, La democrazia 
procedurale, in Rivista italiana di scienza politica, 1979, 9; G. SARTORI, Democrazia competitiva 
e �lites politiche, in Rivista italiana di scienza politica, 1977, 7; L. MORLINO, misure di 
democrazia e di libert�, in Rivista it. di se. politica, 1975, 5; L. MORLINO, Consolidamento democratico. 
Definizione e modelli in Riv. it. di se. politica, 1986, 16; S. BARTOLINI, M. COTTA, L. 
MORLINO, A. PANEBIANCO, G. PASQUINO, Manuale di scienza della politica, 83, ed. Il Mulino; 
T.E. FROSINI, Sovranit� popolare, principio maggioritario e riforme istituzionali, in Diritto e 
societ�, 1995, 466. Sui criteri ultimi di funzionamento della democrazia, del principio contrattualistico 
e del principio di maggioranza adottati non con metodo giuridico o della filosofia politica 
o della sociologia, bens� con metodi puramente logico-matematici o di scienza economica � 
interessante la disamina di A. CERRI, Dal contrattualismo al principio di maggioranza : approccio 
giuridico ed approccio economico-matematico al processo politico in Riv. trim. di dir. pubblico, 
1996, 613, ss, laddove viene analizzata la tesi di Condorcet, cui si deve il primo tentativo 
di ricostruire e giustificare, con l'ausilio della logica matematica, il sistema politico. 
(18) A. PIZZORUSSO, Il principio maggioritario. Vecchi e nuovi problemi, in Quaderni Regionali, 
94, 1217. 
(19) s. BARTOLINI, M. COTTA, L. MORLINO, A. PANEBIANCO, G. PASQUINO, Manuale di 
scienza della politica, 83. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

20 

principio di eguaglianza nella sfera dei rapporti politici (20). Nel nostro ordinamento 
la Costituzione non prevede ladozione del sistema proporzionale, ma non si pu� 
negare che la correlazione tra il pluralismo partitico e il sistema proporzionale sia 
supportata e giustificata a livello dogmatico da quella corrente dottrinaria che, rifacendosi 
ad Hans Kelsen, rinviene il fondamento implicito del principio proporzionale, 
oltre che in argomenti di carattere storico e sistematico, nell'art. 49 della Costituzione, 
laddove si riconosce il diritto dei cittadini di �associarsi liberamente in partiti 
per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale� (21 ). 

Nel pluralismo dinamico accolto dal suddetto articolo, che sancisce la regola 
del concorso fra pi� partiti, � stato individuato un fattore implicito di costituzionalizzazione 
del sistema elettorale proporzionale (22). 

In tale contesto la legge sull' elezione dei sindaci e dei consigli comunali, nonch� 
sulla elezione dei presidenti e dei consigli provinciali, costituisce il precedente 
di una riforma che sta per investire anche i livelli pi� alti della rappresentanza 
nazionale e la stessa rifondazione costituzionale dello Stato (23), tanto che essa, non 
a torto, � stata definita �la pi� significativa riforma dall'unit� d'Italia ad oggi dei 
meccanismi di base della formazione della rappresentanza� (24). 

Il sistema elettorale, dunque, viene inteso come strumento per addivenire ad un 
mutamento istituzionale di rilievo. 

Altro strumento tramite il quale il nuovo sistema elettorale ha mirato a potenziare 
il potere di indirizzo politico del corpo elettorale � costituito dal programma 
amministrativo, ossia da un programma di governo locale che ha la funzione, simbolica 
ma tipica delle verifiche di maggioranza, di rafforzare l'omogeneit� politica 
delle possibili coalizioni, nonch� di bilanciare le differenti istanze presenti nella 
coalizione stessa e solo in minima parte, di rappresentare uno strumento operativo 
reciprocamente vincolante tra i partners, tra i diversi gruppi consiliari ed il sindaco, 
tra i candidati e gli elettori (25). 

(20) P. RIDOLA, Partiti politici, Enc. dir., 125. 
(21) Sulla connessione tra pluralismo partitico e sistema proporzionale cfr. H. KELSEN, I Fandamenti 
della democrazia, Bologna, 1966, 13, ripreso in Italia da LAVAGNA, Istituzioni di diritto 
pubblico, Torino, 1979, 551 ss, riportato da P. RIDOLA, Partiti politici, in Enc. dir., 87, secondo i 
quali proprio l'art. 49, postulando �la possibilit� per ciascun partito di influire sull'indirizzo politico 
nazionale, in relazione soprattutto alle possibilit� di compromesso, osterebbe all' accoglimento 
della sola regola maggioritaria�. Il pi� autorevole sostenitore del principio maggioritario � stato 
MORTATI, Note introduttive ad uno studio sui partiti politici nell'ordinamento italiano, 1957, in 
Raccolta di scritti, III, Milano, 1972, 355 ss. 
(22) In tal senso BARILE, Scritti di diritto costituzionale, 529. 
(23) Molto incisive sono, al riguardo, le parole di A DI GIOVINE -F. PIZZETTI, inNuove leggi elettorali 
e sistema politico, in Giurisprudenza costituzionale, 4136 �Il caso italiano dimostra con estrema 
chiarezza quanto forte possa essere la connessione fra sistemi elettorali, sistemi politici e creazione 
delle condizioni per il mutamento istituzionale. O, meglio, dimostra come sia possibile .... 
individuare nel cambiamento del sistema elettorale la strada maestra per una sostanziale modifica del 
sistema politico e quindi, forse, per la creazione delle condizioni di un forte mutamento istituzionale�. 
(24) La riforma � infatti �destinata ad innovare profondamente nel rapporto tra cittadini e istituzioni, 
cio� nel sistema democratico, con implicazioni sostanziali sulla forma di governo locale ... � 
CARLO GESSA, I nuovi meccanismi elettorali per gli enti locali, in Consiglio di Stato, 1993, 781. 
(25) In tal senso A BARBERA, Elezione diretta del sindaco, Maggioli, 41-42. 

PARTE Il, DOTIRINA 

21 

L'art. 7, comma 7� della legge siciliana prescrive che all'atto di presentazione 
della candidatura alla carica di sindaco o di presidente della provincia, deve essere presentato 
�un documento programmatico contenente l'enunciazione del programma 
politico del candidato e dei criteri cui il candidato intende attenersi nella nomina degli 
assessori. Il candidato pu�, inoltre, presentare l'elenco degli assessori che egli intende 
nominare� (26). Si tratta di una delle principali innovazioni dal punto di vista sistematico, 
atteso che attraverso il programma amministrativo viene conferita rilevanza al 
corpo elettorale nella sua funzione di determinazione dell'indirizzo politico: gli elettori 
hanno la possibilit� di valutare politicamente non soltanto il candidato, bens� 
anche il contenuto della sua futura attivit� politica espressa nel programma elettorale. 

Lo scopo di questa nuova previsione � quello di qualificare e differenziare le 
varie candidature e in definitiva, di porsi a garanzia della seriet� delle stesse e quindi 
della consultazione elettorale che � preordinata non solo alla scelta del sindaco e 
dei consiglieri ma anche dei programmi che tali candidati intendono realizzare (27). 
La disciplina della presentazione delle liste punta sulla trasparenza degli accordi 
politici, in quanto l'indicazione obbligatoria e distinta del candidato sindaco nonch� 
la pubblicazione impegnativa del programma amministrativo si configurano come 
vera e propria condizione giuridica legittimante la presentazione di liste elettorali. 

Ed invero, il programma amministrativo assurge ad elemento fondamentale del 
procedimento elettorale, costituendo requisito essenziale costitutivo ai fini della presentazione 
della lista (28); proprio per questo esso non pu� costituire una mera 
enunciazione di principi, ma il suo contenuto deve essere qualificato da puntualit� 
ed analiticit�, cos� come ha sottolineato la giurisprudenza amministrativa, cui non � 
sfuggita l'importanza di tale documento programmatico (29). 

Talune sentenze, peraltro, sottolineano il carattere indispensabile dello stesso al 
fine di orientare la scelta da parte degli elettori, atteso che con le nuove regole il 

(26) � addirittura possibile l'indicazione degli eventuali futuri assessori anche se, a differenza 
del sistema nazionale, � possibile che vi sia una candidatura priva di appoggio ufficiale da 
parte delle liste concorrenti all'elezione, TAR Sicilia, Palermo, sez. II, 4.2.1994, n. 114, in Trib. 
amm. reg. 1994, I, 1661. 
(27) T.A.R. Lazio, Sez. II, 7 agosto 1993, in Trib. amm. reg., 1993, 2965. 
(28) Corte cost. n. 429/95, in G.U., n. 39 del 20 settembre 1995, prima serie speciale, Corte 
cost.; Tar Lazio, sez. II bis, 24 giugno 1993, n. 948, in Guida normativa, 12 novembre 1993, n. 
213, 38; Tar Lazio, sez. II, 4 febbraio 1994, n. 114, in Trib. amm. reg. 1994, I, 1661. Sulla maggiore 
o minore analiticit� si veda A. BARBERA, Elezione diretta del sindaco, Maggioli, 41. Sempre 
Barbera si pone il problema della vincolativit� del programma medesimo, e lo risolve negativamente 
traendo argomentazioni dall'art.16, comma 2, che non fa alcuna menzione del programma 
laddove, invece, prescrive che il sindaco eletto, comunicando la scelta degli assessori, proponga e 
sottoponga alla discussione del consiglio gli indirizzi generali di governo (ibidem, 42). 
Per una rassegna di giurisprudenza sulla procedura elettorale e i suoi vizi vedi G. CoRTIGIANI, 
Formalit� per la presentazione delle liste per le elezioni amministrative. Rassegna di giurisprudenza 
(nota a sentenza TAR Toscana, sez. II, 25 novembre 1994, n. 370; TAR Toscana, 
sez. II, 28 ottobre 1994, n. 358; TAR Toscana, sez. II, 22 ottobre 1994, n. 338, in Foro it., 1995, 
III, 156. 

(29) In tal senso TAR Sicilia, Catania, sez. Il, 25 ottobre 1994, n. 2358, Pres: Delfa, Est. 
Salamene, in Trib. amm. reg.,1994, I, 4688. 
!1 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

22 

testo viene ad assumere un rilievo pari alla figura del sindaco e dei candidati e svolge 
una funzione integratrice della conoscenza della personalit� specifica degli stessi 
candidati; per tale motivo il termine di presentazione delle liste � perentorio anche� 
per il programma (30). 

Il programma amministrativo, pertanto, non rimane confinato nel solo rapporto 
elettorale ma, proprio perch� programma amministrativo e non generico programma 
politico (31), esso diviene la base dell'attivit� amministrativa del Sindaco anche nel 
rapporto con il consiglio comunale: pi� dettagliato si presenta il programma, maggiormente 
potr� essere fatto valere dal sindaco anche di fronte a minoranze consiliari 
ostili o insicure. 

Peraltro, gli indirizzi generali del consiglio vanno formulati in stretto legame con 
il programma amministrativo, anche quando la maggioranza consiliare non coincide 
con il colore politico del sindaco: � di tutta evidenza, dunque, come il programma 
amministrativo in riferimento al quale il sindaco ha ottenuto il consenso elettorale, 
costituisca la fonte da cui trarre gli indirizzi generali da proporre al consiglio. 

� Il sistema elettorale di elezione del sindaco, del presidente della provincia, del 
consiglio comunale e del consiglio provinciale, introdotto dalla legge 26 agosto 
1992 n. 7 � stato parzialmente modificato con la nuova legge elettorale siciliana 15 
settembre 1997 n. 35, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana n. 
51 del 17 settembre 1997. 

La suddetta legge, molto simile a quella nazionale, prevede per i Comuni con pi� di 
diecimila abitanti una scheda unica per l'elezione diretta del Sindaco e del Consiglio, ma 
il voto disgiunto e un premio di maggioranza che sar� appannaggio delle liste coalizzate 
soltanto qualora esse raggiungano il 40% dei voti. Nei Comuni con una popolazione 
inferiore a diecimila abitanti, invece, si voter� con il sistema proporzionale. 

� proprio con riferimento al programrr{a amministrativo che la nuova normativa 
ha suscitato notevoli problemi interpretativi (32). Tra questi, uno dei pi� spinosi 

(30) TAR Lazio, sez. II-bis, 24 giugno 1993, n. 948, in Guida normativa, 12 novembre 
1993, n. 213, 38. 
(31) GESSA, I nuovi meccanismi elettorali per gli enti locali, in Cons. Stato, 1993, II, 781. 
(32) Un problema che si � posto all'attenzione degli interpreti � quello riguardante il quorum 
di validit� dell'elezione e se esso deve essere verificato distintamente per il candidato sindaco e 
per il consiglio comunale. Il parere del C.G.A. n.1019/97 dell'll novembre 1997 � positivo, nel 
senso che l'elettore pu� votare per il candidato sindaco e non votare per nessuna lista : non vi � 
infatti nessun elemento, in mancanza della biunivocit� del collegamento -che caratterizza invece 
l'elezione nei comuni minori secondo la legislazione statale -e in mancanza di una norma espressa 
in tal senso, che faccia ritenere che il voto del sindaco possa valere anche la lista collegata. 
Un altro problema interpretativo si � posto in relazione alle norme contenute nell'art. 9 della 
legge regionale n. 7 del 1992, che operava in regime di elezioni separate del sindaco e del consiglio, 
relative al caso di rinunzia, morte o impedimento permanente del candidato sindaco ammesso 
al turno di ballottaggio -in regime di elezioni separate del sindaco e del consiglio -. Un 
altro dubbio riguarda quello di stabilire se il premio di maggioranza deve essere calcolato esclusivamente 
sulla base dei voti ottenuti al primo turno dalle liste apparentate che sostengono il candidato 
sindaco oppure se ai consensi ottenuti dalle coalizioni debbano aggiungersi anche quelli 
riportati dalle liste che vi si aggregano nell'eventuale ballottaggio. Interpellato in merito, il Consiglio 
di giustizia amministrativa, con il suddetto parere ha sostenuto la seconda opzione. 


PARTE Il, DOTTRINA 

23 

� quello relativo alla permanenza della facolt� da parte del candidato sindaco, o delle 
liste che lo sostengono, di modificare o accantonare il programma amministrativo, 
cos� come previsto dalla legge 26 agosto 1992 n. 7. 

2. La modificazione dei programmi amministr�tivi in sede di ballottaggio. 
Il ballottaggio (33), inteso come seconda votazione di scelta tra i due candidati 
che hanno avuto il maggior numero dei voti nel primo scrutinio senza per� riportare 
il numero prescritto, ossia la maggioranza richiesta, comporta la concentrazione 
delle forze politiche a sostegno dei candidati (34). 

L'intento del legislatore � stato quello di incentivare le dichiarazioni di colle-� 
gamento, sul presupposto che ampie aggregazioni politiche possano facilitare la stabile 
governabilit� degli enti locali (35). Questo significa che, al momento di assegnare 
i seggi, si deve tenere conto della somma dei voti riportati dal cartello, seppur 
orfano della lista che ha mutato idea prima del ballottaggio: in tal modo non si vanifica 
la sforzo del legislatore di favorire le dichiarazioni di collegamento. 

Si � posto al legislatore prima e all'interprete poi il problema se alla possibilit� 
di aggregazione di nuove liste, nell'arco temporale che va dal primo al secondo 
turno, corrisponda anche la possibilit� di modificare il programma amministrativo 
presentato al primo turno. 

In ordine a tale punto si configura una sensibile differenza tra la legge nazionale 
e quella regionale. 

Mentre la legge nazionale nulla dice in ordine alla facolt� del candidato sindaco 
o delle liste che lo sostengono di modificare o accantonare il proprio programma 
amministrativo (36), sicch� la dottrina ha affermato la �immodificabilit�� del programma 
(37), la legge siciliana, invece, riconosce la facolt� ai candidati ammessi al 
secondo turno di modificare il documento programmatico al momento della presentazione 
obbligatoria dell'elenco degli assessori. 

Stabilisce, infatti, l'art. 9, comma 4 della legge reg. sic. 26 agosto 1992, n. 7, 
che �i candidati ammessi al secondo turno hanno facolt� di modificare il documento 
programmatico formulato all'atto di presentazione della candidatura anche nella 
parte relativa all'indicazione dei criteri per la formazione della giunta. Essi devono 
inoltre indicare l'elenco completo degli assessori che intendano nominare�. 

(33 ) Il termine ballottaggio deriva dal francese ballottage, che a sua volta trova la propria 
origine nella parola italiana ballotta. 
(34) Cfr. al riguardo G. SCEPIS, Ballottaggio, in Enc. dir., 1031 ss. 
(35 ) Cfr. CDS 10.5.1994, n.483, in Consiglio di Stato, 1994, I, 727, laddove si sancisce 
che l'assegnazione del numero dei consiglieri ai sensi dell'art. 7 della legge 25.3.1993, n. 81 
deve tener conto della cifra elettorale delle liste collegate, le quali restano tali anche se una lista 
facente parte del gruppo (che non � riuscito a far giungere al ballottaggio il proprio candidato 
alla carica di sindaco), dichiari di collegarsi ad una lista che sostiene uno dei candidati ammessi 
al ballottaggio. 
(36) Vi �, comunque, una certa perplessit� in ordine alla presunta omogeneit� delle liste e 
non solo in sede di ballottaggio, cfr. M. MARTINO, Il Consiglio di Stato interviene sulla formalizzazione 
degli accordi per il ballottaggio, in Consiglio di Stato, Il, 2229. 
(37) RENATO BALDUZZI -PASQUALe COSTANZO, in Commento alla l. n. 81/93, 982. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

24 

Posta la chiara e inequivocabile facolt� riconosciuta da tale norma al candidato 
sindaco di modificare il programma amministrativo tra il primo e il secondo turno, 
si pone tuttavia il problema di verificare se tale facolt� permanga anche dopo l' entrata 
in vigore della legge reg. sic. 15 settembre 1997, n. 35, che ha apportato modifiche 
al sistema elettorale dei comuni e delle province. 

In particolare, l'art. 1 comma 5 della legge n. 35/97 recita: �All'atto della presentazione 
della lista ciascun candidato alla carica di sindaco deve dichiarare di non 
aver accettato la candidatura in un altro comune. Unitamente alla dichiarazione di 
accettazione della candidatura ed al programma amministrativo di cui al comma 4 
dovr� presentare l'elenco di almeno la met� degli assessori che intende nominare�. 

Con il parere n. 1010/97 emesso nell'adunanza dell'll novembre 1997, il Consiglio 
di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana ha affrontato e risolto il 
problema della vigenza o meno -a seguito dell'emanazione della recente legge 
regionale n. 35 del 1997 -dell'art. 9, comma bis, della legge regionale n. 7 del 
1992, che prevede la facolt� dei candidati ammessi al ballottaggio di variare il 
documento programmatico e di modificare i criteri di nomina degli assessori, nonch� 
l'obbligo di completare l'elenco degli assessori. 

La questione interpretativa relativa alla suddetta norma, che non risulta espressamente 
abrogata, si pone in quanto la legge regionale del 1992 operava in regime 
di elezioni separate del sindaco e del consiglio. 

Il Consiglio di giustizia amministrativa ritiene che nella specie non si ravvisi alcuna 
incompatibilit� e, quindi, nessuna abrogazione tacita in quanto l'art. 12, comma 1, 
legge n. 7/1992, riguarda la nomina della giunta, in senso proprio e formale, a seguito 
delle elezioni svoltesi e concerne sia l'ipotesi che l'elezione si sia svolta con �l turno 
del ballottaggio sia l'ipotesi che l'elezione si sia svolta in un unico turno. 

L'art. 9, comma 4 della legge n. 7 /92, invece, inerisce alla presentazione degli 
assessori che il sindaco nominer� nella sola ipotesi che si vada al turno di ballottaggio. 

In dottrina si osserva a questo proposito come l'incompatibilit� tra due norme, 
che ai sensi dell'art. 15 delle disposizioni sulla legge in generale determina l'abrogazione 
della norma precedente, deve essere assoluta (38). 

Ed invero, il suddetto art. 15, che codifica il principio lex posterior derogat priori 

(39) cos� recita: �Le leggi non sono abrogate che da leggi posteriori per dichiarazione 
espressa del legislatore, o per incompatibilt� tra le nuove disposizioni e le precedenti o 
perch� la nuova legge regola l'intera materia gi� regolata dalla legge anteriore�. 
Tale principio costituisce uno strumento idoneo a risolvere il problema delle 
antinomie presenti nel sistema; si tratta di un canone interpretativo che le esclude, 

(38) PUGLIATII,Abrogazione, teoria generale, in Enc. del dir., 143; PATRONO, Legge, vicende 
della, in Enc. del dir., 909. Pugliatti individua il fondamento del fenomeno abrogativo nel carattere 
inesauribile che sarebbe proprio della fonte, cio� del potere da cui ciascuna legge promana, 
PUGLIATII, Abrogazione, 142, cit. da M. PATRONO, Legge, (vicende della), in Enc. dir., 910. 
(39) � Il principio lex posterior derogat priori non � che la proiezione sull'atto normativo 
della competenza normativa attuale dell'organo che emette l'atto normativo e si risolve quindi in 
una potestas abrogandi dello stesso organo o di organi gerarchicamente superiori, oltre che degli 
organi a competenza concorrente�, R. QUADRI, Commentario Scialoja Branca, Zanichelli, Bologna, 
1974, 321. 

PARTE II, DOTIRINA 

25 

delimitando l'ambito di applicazione delle norme che si succedono nel tempo (40). 

Non si pu� certo parlare, nel caso di specie, di abrogazione espressa: la legge 
posteriore avrebbe dovuto espressamente indicare quali singoli articoli o commi o 
numeri della legge anteriore di essa vengono abrogati. 

N�, d'altronde, � da sottacersi il fatto che l'art.15 della legge regionale in 
esame, ha abrogato espressamente una lunga serie di disposizioni, parole o proposizioni 
di leggi elettorali precedenti. 

Neppure si pu� ipotizzare un tipo di abrogazione per incompatibilit� o tacita o 
implicita, considerato che non risulta un obiettivo contrasto fra norma successiva e 
norma precedente tale da rendere impossibile la loro contemporanea applicazione, 
tenuto conto del rispettivo principio ispiratore ( 41). 

In dottrina si segnala lesigenza di vagliare caso per caso se non sussista tra le 
due norme, anche quando sia astrattamente possibile la loro contemporanea applicazione, 
un'incompatibilit� sistematica, da intendersi secondo il principio dell'organicit� 
( 42), dovendosi trattare di una incompatibilit� logica di contemporanea 
validit� dei due enunciati normativi. 

Correttamente il C.G.A. ha ritenuto di non ravvisare n� una incompatibilit� 
assoluta, n� una incompatibilit� sistematica; d'altronde non si pu� certo individuare 
una incompatibilit� logica tra le due interpretazioni, considerato che la facolt� di 
variare il documento programmatico non contrasta con lo spirito della recente legge, 
la cui ratio � quella di adeguare la normativa regionale a quella statale. 

Alla luce delle suesposte considerazioni, dunque, � da ritenersi che il recente 
intervento normativo regionale non ha influito sulla modificabilit� del programma 
amministrativo in sede di ballottaggio, lasciando inalterata questa peculiare facolt� 
della legislazione elettorale siciliana. 

MARIA VITTORIA LUMETTI 

(40) �Le antinomie vengono elevate dal principio in parola, anche relativamente all' abrogazione 
espressa, a presupposto necessario per il verificarsi di quella delimitazione del campo di 
applicazione delle varie norme in cui consiste l'effetto abrogativo, onde solo apparentemente ma 
si tratta ... di un'apparenza giuridicamente rilevante -si realizza una situazione di contrasto tra 
due disposizioni che si succedono nel tempo�, F. SORRENTINO, L'abrogazione nel quadro dell'unit� 
dell'ordinamento giuridico, in Riv. Trim. dir. pubblico, 1972, 9. Per un taglio di carattere filosofico 
relativamente al criterio per risolvere le antinomie vedi la disamina di E. PATIARO, Introduzione 
al corso di filosofia del diritto, vol. I, Clueb, Bologna, 1986, 198, N. BOBBIO, Teoria 
dell'ordinamento giuridico, Torino, 1960, 198, nonch� R. GUASTINI, Teoria e dogmatica delle 
fonti, in Trattato di diritto civile e commerciale Cicu-Messineo, Milano, Giuffr�, 1998, 104 ss. 
(41) Cass. 7.3.1979, n. 1423, in Giur. it.,1979, I, sez. 1, 1201. 
La dottrina individua un terzo tipo di abrogazione, cosiddetta innominata, attuantesi 
mediante la formula �sono abrogate tutte le norme incompatibili con la presente legge�. Tali formule 
non vertono su specifiche disposizioni previgenti, bens� solo su norme non identificate: 
saranno gli interpreti ad individuare discrezionalmente le nonne incompatibili con la disciplina 
sopravvenuta. In tal senso P. CENDON, Commentario al codice civile, Utet, 1991. 

Vedi anche P. Rizzo, Codice civile annotato con la dottrina e la giurisprudenza, a cura di 
Perlingieri, Napoli,1991, 146. 

(42) R. QUADRI, Comm. Scialoja Branca, Zanichelli, Bologna, 1974, 321. 

I conflitti di amministrazione tra incertezze e metamorfosi 
degli interessi pubblici (*) 

1) Dell'incerta metamorfosi degli interessi pubblici. 

Il mio contributo alla riflessione non pu� che essere modesto e prende forma 
non da analisi sistematiche, ma da impressioni dettate essenzialmente dalla mia 
esperienza di avvocato dello Stato. Esperienza che mi induce a brevi considerazioni 
sulle incertezze che pervadono gli interessi pubblici, in continua metamorfosi, e 
sui rimedi apprestati dall'ordinamento per evitare o per dirimere i conflitti di amministrazione. 


Gli interessi pubblici qualificano teleologicamente l'agire amministrativo, il 
loro perseguimento costituisce il proprium di questo agire (1), istituiscono relazioni 
tra soggetti, assurgono a parametro valutativo della dinamica dei rapporti pubblicistici, 
sono indizi della legittimit� e della legalit�. 

Consistenza palpabile dell'attivit� amministrativa (anche di quella consultiva 
e di controllo, del sindacato giurisdizionale), l'interesse pubblico � categoria giuridica 
sfuggevole, risultato di un giudizio condotto su fatti e situazioni, approda 
trasfigurato tra i valori giuridici che informano l'esercizio di poteri e di funzioni 
pubbliche. 

� stato autorevolmente affermato che �la tendenza prevalente � per mantenere 
un'intavolazione degli interessi in individuali, interessi collettivi, interessi pubblici 
locali e interessi pubblici generali. Quando si passa ad applicare l'intavolazione 
alle normazioni positive, ci si avvede che essa perde molto della sua 
chiarezza classificatoria� (2). 

Tra queste categorie la �meno definibile � ... proprio quella degli interessi pubblici
� in quanto �con l'avvento dello Stato pluriclasse � venuto a formarsi un criterio 
che potrebbe dirsi di pubblicizzazione potenziale di ogni interesse avente una 
rilevanza sociale eminente� ... �qualunque interesse � qualificabile come pubblico, 
se � assunto fra quelli a cui provvede un ente a sua volta qualificato come pubblico; 
vige cio� un principio nominalistico .... � (3). 

(*) Testo della relazione svolta dall'avvocato Domenico MUTINO al Convegno Nazionale 
�La Corte dei Conti verso il terzo millennio�, tenutosi a Maratea in data 23 e 24 aprile 1999. 

(1) Cfr. E. CANNADA-BARTOLI, voce �interesse (dir .ammin.)�, in Enc. del Dir., Milano, vol. 
XXII, 1 e ss. che ancora l'uhi consistam dell'interesse pubblico ai principi di imparzialit� e buon 
andamento dell'attivit� amministrativa. La rilevata scarsa attenzione per gli interessi pubblici 
riguarda anche la proiezione processuale degli stessi. 
(2) M. S. GIANNINI, Istituzioni di diritto amministrativo, Milano, 1981, 44. 
(3) Ibidem. 
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PARTE Il, DOTIRINA 

27 

La ragione essenziale che radica e giustifica l'attribuzione di poteri e funzioni 
amministrative � la cura degli interessi pubblici e privati da parte delle Amministrazioni, 
ma l'indagine sugli interessi pubblici � scarsamente praticata (4). 

Mancano definizioni esaustive, sovente si incontrano opzioni lessicali nebulose 
ed evanescenti prive di pratica utilit� (5) che scontano la difficolt� di fermare l'essenza 
di ci� che per sua natura � mutevole, in continua trasformazione, sempre condizionato 
dalla diversit� dei fini selezionati dal legislatore, ma anche da apparati 
politici diversi da quelli legislativi, dalle singole amministrazioni; e di ci� che si 
modella su esigenze variabili espresse dalla collettivit�. 

Se non esplicitati dal legislatore, gli interessi pubblici vanno enucleati dalle 
norme di principio quali, ad esempio, quelle contenenti principi di legalit�-indirizzo, 
i canoni organizzativi della competenza, l'imparzialit�, il buon andamento (6). 
Si desumono cosi empiricamente secondo la gerarchia delle fonti e dei valori del1 
'ordinamento. Talvolta emergono solo nel farsi concreto dell'agire amministrativo, 
in occasione della trasformazione del potere e della funzione in attivit�, dalla trama 
disarmonica spesso irriducibile di interessi confluenti o confliggenti, di cui sono 
portatori soggetti pubblici e privati. 

Una serie di principi compone �il regime giuridico generale dei poteri delle 
amministrazioni... teso a garantire, da una parte, che le amministrazioni perseguano 
effettivamente gli obiettivi prioritari selezionati secondo le regole del sistema democratico 
e non finalit� proprie degli apparati burocratici, dall'altra, che nel far ci�, 
esse abbiano adeguato rispetto per tutti gli interessi che in via generale l'ordinamento 
considera apprezzabili� (7). 

Il sistema giuridico appresta criteri di individuazione degli interessi pubblici. La 
prima regola �riguarda l'indirizzo politico che deve essere perseguito attraverso l'attivit� 
amministrativa e corrisponde al principio democratico nella sua applicazione 
riguardante la funzione amministrativa� (8) e la connessa �necessit� della subordinazione 
della funzione amministrativa alla funzione di indirizzo politico onde assicurare 
che le finalit� perseguite dall'amministrazione non siano liberamente determinate ma 
corrispondano agli interessi che il <popolo sovrano> ... indichi come perseguire� (9). 

� questo, in sostanza, il �<principio di legalit�> dell'azione amministrativa, in 
una delle sue pi� comuni accezioni, quella della legalit�-indirizzo ... Insufficiente e 

(4) E. CANNADA-BARTOLI, cit. 
(5) Il principio nominalistico appare inidoneo ad indirizzare l'azione dei pubblici poteri in 
settori nei quali gli strumenti adottati e le modalit� di esercizio dell'azione pubblica non ripetono 
modelli pubblicistici (un esempio � costituito dalle attivit� esercitate in regime di diritto comune 
per le quali si registrano notevoli perplessit� nell'agire amministrativo). 
(6) �L'interesse pubblico non � soltanto quello tipizzato dalla norma, ma � anche quello che 
si ricava dai principi generali dell'ordinamento e, in particolare, dal principio di buona fede in' 
senso oggettivo�, cos� F. MERUSI, Il principio di buona fede nel diritto amministrativo, in Studi 
in onore di Mario Nigro, Milano 1991, vol. II, 219. 
(7) D. SORACE, Gli <interessi di servizio pubblico> tra obblighi e poteri delle amministrazioni, 
in Foro It., 1998, V, 205 e ss. 
(8) Ibidem. 
(9) Ibidem. 

RASSEGNA AVVOCXfURA DELLO STATO 

28 

sfocata di fronte... alla ormai maturata impossibilit� di concepire unitariamente 
l'amministrazione... e alla (convergente) pluralizzazione degli apparati politici e 
quindi dei centri di indirizzo politico� (10). 

Non � sempre agevole individuare l'interesse pubblico prevalente o prioritario 
in ipotesi di compresenza di interessi pubblici (generali e concreti, di settori, primari 
e secondari...) e questo nonostante leggi, atti di indirizzo e di coordinamento, programmi, 
direttive. 

Gli organi pubblici amministrativi sono per lo pi� eteronomi. 

La delegificazione avvicina l'interesse pubblico alle esigenze degli amministrati 
e dilata il numero dei soggetti competenti a selezionare gli interessi pubblici 
(11). 

Il proliferare di enti esponenziali, portatori di interessi collettivi o diffusi, rende 
meno agevole la distinzione fra interessi pubblici generali e particolari e interessi 

collettivi e diffusi (12) che assumono fisionomie proprie degli interessi pubblici e 
con questi si confondono. 

Ingenerano incertezze nell'individuazione degli interessi pubblici anche i 
nuovi modelli di amministrazione che si vanno affermando. I modelli negoziali di 
amministrazione partecipata o �concordata�, ad esempio, favoriscono la comparazione 
degli interessi e la sintesi di posizioni differenziate soprattutto in ambito procedimentale, 
ma nel contempo sovvertono congegni collaudati e categorie giuridiche 
tradizionali. Coesistono vecchi e nuovi moduli, l'accordo tende a sostituire il 
provvedimento. 

Spesso sono gli organi giurisdizionali ad enucleare (sovente con tecnica maieutica 
e con elaborazioni raffinate) l'interesse pubblico concreto e a dettare la norma 
agendi capace di orientare l'attivit� amministrativa e a segnare i limiti della legittimit� 
e della legalit�. 

La sensibile metamorfosi degli interessi pubblici deriva da alcune ragioni enunciate 
in precedenza, ma anche dalla loro polverizzazione, fenomeno che contraddistingue 
il nostro sistema democratico. 

Nello Stato contemporaneo l'interesse pubblico generale spesso si risolve in 
una fictio iuris considerata la complessa articolazione soggettiva degli organismi 
pubblici competenti a selezionare interessi e una dimensione tendenzialmente pluri


(10) Ibidem. Esula da questa riflessione il processo di razionalizzazione giuridica dell'universo 
e dei fini politici pur rilevante per la qualificazione e per l'individuazione degli interessi 
pubblici e per il quale � stato evidenziato come �L'organizzazione pubblica, quando dietro si cela 
il politico, si articola per maschere di protagonisti, e cio� per persone giuridiche� (G. BERTI, Vecchia 
amministrazione e nuove opinioni, in Studi in onore di M. Nigro, cit., vol. Il, 83). 
(11) F. PATRONI GRIFFI, Delegificazione e semplificazione dei procedimenti amministrativi, 
in CdS, Il, 1998, 1711 e ss. 
(12) R. FERRARA, voce Interessi collettivi e diffusi, in Dig. Disc. Pubblic., Torino, 1993. Non 
rileva in questa sede l'analisi della procedura di qualificazione dell'interesse superindividuale o 
verificare se lo stesso rappresenti una figura assimilabile all'interesse legittimo ... n� indugiare 
sulla crescente esigenza di assicurare tutela ad interessi �presenti allo stato fluido e magmatico 
nella societ� civile�, e sulle ragioni dell'organizzazione di �situazioni attive potenziali e pregiuridiche
�, della sollecitata tutela degli interessi c.d. seriali. 
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PARTE Il, DOTIRINA 

29 

voca dei fini (ri)elaborati per soddisfare le sempre diverse esigenze espresse dalla 
societ� (13). 

Accanto agli interessi generali, riferibili allo Stato-collettivit� o ordinamento, 
figurano interessi pubblici particolari ascrivibili a singole amministrazioni che spesso 
si sovrappongono o si contrappongono ai primi. Di regola la serie di interessi 
pubblici concreti riceve specificazione solo ad opera delle singole amministrazioni. 

Se la trasformazione in senso federalista dello Stato e il decentramento amministrativo 
favoriscono una irregolare divisione dell'interesse pubblico generale, la 
nuova dimensione europea sembra imporre una reductio ad unitatem della frammentata 
dislocazione degli interessi pubblici per essere adeguatamente rappresentati a 
livello comunitario sia in sede politico-amministrativa sia in sede giurisdizionale. 

L'eterogeneit� e la plurisoggettivit� degli interessi pubblici suggerisce forse di 
ripensare anche aspetti legati ai modelli processuali tipici del processo contabile, 
come quelli relativi, ad esempio, all'ammissibilit� delle forme di intervento delle 
amministrazioni pubbliche in tale giudizio. Se la natura sindacatoria del processo 
impedisce di utilizzare, senza i necessari adattamenti, paradigmi riconducibili al 
processo civile o al giudizio amministrativo, le ragioni addotte per limitare o escludere 
varie forme di intervento nel processo contabile delle amministrazioni andrebbero 
rimeditate perch� per lo pi� fondate su una non adeguata percezione della riferita 
eterogeneit� e plurisoggettivit� degli interessi pubblici. 

� noto che la giurisprudenza propende per l'ammissibilit� del solo intervento 
adesivo dipendente, con esclusione quindi dell'intervento principale e di quello adesivo 
autonomo, ma � stata acutamente prospettata 1' ammissibilit� (anche) dell'intervento 
ad opponendum o ad adiuvandum dell'ente cui appartengono gli amministratori 
o funzionari convenuti in giudizio, in quanto il pubblico ministero non 
agisce nel giudizio come unico ed esclusivo rappresentante dell'ente, ma quale organo 
dello Stato-Comunit� posto a tutela dell'interesse patrimoniale pubblico (14). 

2) Sui conflitti di amministrazione. 

La tendenziale vaghezza, la pluriqualificazione degli interessi (che possono 
essere insieme pubblici e privati), la polverizzazione degli stessi sono all'origine di 
confusioni di ruoli, di sovrapposizioni e duplicazioni di attivit� pubbliche, di diffi


(13) �Nel nostro ordinamento non � configurabile una nozione unitaria e massiccia di pubblico 
interesse, mentre, al contrario, sono ben configurabili interessi pubblici distinti e spesso tra 
loro virtualmente confliggenti; quando ci� si verifica, se l'ordinamento non prevede particolari 
forme di composizione e di coordinamento, � inevitabile che alcuni interessi, ai quali � riconosciuto 
valore primario, siano soddisfatti a scapito di altri, ai quali � riconosciuto valore secondario
� (Cons. di Stato, V, 22 aprile 1976, n. 651). 
(14) Cfr. M. SCIASCIA, Manuale di diritto processuale contabile, Milano, 1996, 137 e ss. che 
espone le problematiche delle varie forme di intervento dinanzi al giudice contabile e manifesta 
l'esigenza che siano ampliate le ipotesi di ammissibilit� dell'intervento delle 
amministrazioni,anche sulla scorta della rilevata variegata natura degli interessi pubblici che 
impone di rivedere anche i profili di legittimazione processuale nel processo contabile. V., altres�, 
A POLLICE, Della responsabilit� patrimoniale, in Nuova Rass., 1995, 2344 e ss. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATb .

30 


colt� per il cittadino posto di fronte al �sezionamento� dell'interesse pubblico in pi� 
parti; ma anche di errate percezioni che favoriscono forme di irresponsabilit�, di 
illegittimit�, di illegalit� spesso causa di consistenti danni erariali. 

Tra le ragioni che ostacolano la realizzazione di una corretta gestione delle 
pubbliche risorse, talvolta figurano i conflitti di amministrazione destinati a mol


tiplicarsi in virt� delle rilevate polverizzazioni e della plurisoggettivit� degli interessi 
pubblici. 

L'incipiente decentramento (sia se attuato con delega traslativa o devolutiva, sia 
se realizzato con delega libera) acuisce i conflitti di amministrazione a causa di ben 
conosciute vischiosit� del s�stema in occasione di riforme che incidono sulla attribuzione 
di poteri, di competenze, di risorse. 

L'indagine su forme e strumenti idonei a prevenire e a comporre situazioni di 
conflitto che possono insorgere all'interno del potere amministrativo, tra organi 
investiti di funzioni amministrative, appare poco approfondita. 

L'impressione � che siano considerate recessive e marginali le tecniche apprestate 
dall'ordinamento per la risoluzione di questo genere di conflitti espressivi, 
molte volte, di sordide rivalit� tra centri di potere politico-amministrativo. 

I

Si tende a valutare l'efficienza, l'efficacia, la legittimit� dell'agire amministrativo 
muovendo dalla prospettiva dell'individuo o dei gruppi e non dalle prospettive, 
ormai plurime, delle pubbliche amministrazioni che individuano e curano in concreto 
gli interessi della collettivit�. 

I

� una tendenza che riceve conferma dalla mera analisi della produzione norf� 


I�

mativa degli ultimi anni che ha riguardato in prevalenza diritti ed interessi sostanziali 
e processuali dell'amministrato. ' 
' 

Anche le norme sul procedimento amministrativo solo indirettamente attengono 
alla composizione degli interessi pubblici in conflitto. Appare indubbio che la 
conferenza di servizio (di riflesso) favorisce la composizione preventiva di interes


I si pubblici contrapposti, poich� �Strumento tipico della coordinazione tra uffici, 
organi ed enti diversi dotati di una qualche competenza in relazione al procedimen


I 

to promosso da altra amministrazione� (15). Una funzione di composizione preven


~ 

tiva pu� essere riconosciuta anche alle convenzioni e agli accordi conclusi tra pub
�' 
bliche amministrazioni �per disciplinare lo svolgimento in collaborazione in attivit� 
di interesse comune� (art. 15 legge 241/90) e, ancora, agli accordi di programma 
degli enti locali. 

Tuttavia la ratio che ispira le norme sul procedimento non � certo quella di 
favorire la risoluzione di conflitti fra amministrazioni. Tali norme notoriamente 
mirano ad assicurare una pi� intensa efficacia, efficienza, pubblicit� dell'attivit� 
amministrativa, a semplificare e a rendere traspicua l'azione, a favorire la 
partecipazione degli amministrati. La possibilit�, per le pubbliche amministraw. 
f' 
zioni di utilizzare lo strumento dell'accordo (con l'applicazione di principi di ~~ 
diritto comune, nei limiti della compatibilit� della disciplina civilistica), � evit 
dentemente cosa diversa dai rimedi idonei ad evitare il prodursi di conflitti di 
amministrazione. 

(15) I. FRANCO, Il nuovo procedimento amministrativo, II ed. Bologna 1993, 169. 
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PARTE Il, DOTIRINA 

31 

L'accordo presuppone il formarsi di volont� convergenti e l'esistenza di interessi 
comuni, la sua stipulazione � rimessa alla discrezionalit� delle amministrazioni 
procedenti, come mera possibilit� per disciplinare i loro rapporti. In sostanza, 
accordi e convenzioni se possono prevenire situazioni conflittuali, non rappresentano 
rimedi per la soluzione dei conflitti tra amministrazioni. 

Se il conflitto attiene a violazioni di norme di rilievo costituzionale sulle sfere 
di attribuzione attuata con atti non aventi valore di legge (anche se normativi) e tra 
poteri dello Stato o tra Stato e Regioni o fra Regioni, non si pongono problemi perch� 
previsto il rimedio del conflitto di attribuzione devoluto alla cognizione della 
Corte costituzionale. 

In ipotesi di conflitti di amministrazione nei quali, ad esempio, oggetto di contrasto 
sono la vindicatio rerum o comunque diritti e pretese patrimoniali o funzioni 
delegate dallo Stato alle Regioni, l'ordinamento non appresta strumenti particolari, 
se non quelli ordinari del controllo e della risoluzione giurisdizionale del conflitto 
dinanzi ai giudici ordinari ed amministrativi. 

La circostanza che, pur in presenza di controversie tra amministrazioni ( comunque 
parti della Repubblica), la res litigiosa debba necessariamente e direttamente 
essere rimessa alla decisione dei giudici ordinari e dei giudici amministrativi, non 
appare del tutto producente. E questo soprattutto ove si consideri che spesso l'impiego 
di ingenti risorse pubbliche risulta ritardato o definitivamente impedito dai 
tempi lunghissimi della giustizia (16). 

Dei conflitti di amministrazione, nella prospettiva qui affrontata, rilevano evidentemente 
solo quelli c.d inferenziali (che sorgono tra organi di enti diversi) e tra questi, 
quelli definiti �diretti�, nei quali difetta un interesse privato in ordine al conflitto (17). 

Per il conflitto tra organi ordinati gerarchicamente la soluzione � di regola rimessa 
all'organo sovraordinato o comunque dotato di poteri di indirizzo e coordinamento, in 
ipotesi di mancanza di vincolo gerarchico. �quanto accade, ad esempio, nel conflitto tra 
Ministri risolti con deliberazione del Consiglio dei Ministri. In simili ipotesi � escluso il 

, 
ricorso all'autorit� giurisdizionale �in considerazione della superfluit� di costituire un 
procedimento contenzioso laddove gi� esistono poteri idonei alla risoluzione del conflitto
� (18), e per evidenti problemi di legittimazione processuale e di interesse ad agire. 

(16) Sui tempi della giustizia non � il caso di indugiare. � piaga sociale e questione antica. Un 
intero titolo delle Costituzioni federiciane del 1231 (il XLIX) era dedicato a questo problema. �Perch� 
non si prolunghi il dibattito nelle cause ... vogliamo che tutti i giudici del nostro regno, ed ognuno 
di loro, concorrano con la nostra volont� a risolvere con celerit� le cause affidate alla loro giurisdizione, 
non indulgendo affatto sulle argomentazioni degli avvocati che, perorando cercano di 
portare alle lunghe le motivazioni della difesa, oltre il tempo richiesto dalla reale necessit� dell'istruttoria.. 
gli avvocati abbiano come massimo due giorni di tempo per disputare in materia di diritto 
e per presentare la loro conclusione ... �. �Quando invece le parti concludono, ma sono i giudici 
che si dilungano prima di pronunciarsi sulla sentenza .. noi vogliamo fissare ai giudici un termine 
per la sentenza, anche in considerazione dell'elevato numero di cause pendenti che essi potrebbero 
avere; ma facciano in modo di terminare la causa con sentenza finale entro dieci giorni dalla conclusione 
del dibattito ...�. Le Costituzioni di Melfi, a cura di F. TARDIOLI, Melfi, s.d., 168. 
(17) C. CAMILLI, voce Conflitti di amministrazione, in Enc. Dir., voi. VIII, Milano, 1961, 
993 e ss. 
(18) Ibidem. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

32 

Nel conflitto tra enti pubblici, se all'origine della disputa vi � la sovrapposizione 
operata da un organo statale in danno di un altro ente pubblico, l'ente pubblico 
pu� risolversi di investire l'autorit� gerarchicamente sovraordinata (se esistente) o 
gli organi giurisdizionali. 

Al contrario, se ad eccedere dagli ambiti fissati dalle norme � un ente pubblico 
nei confronti dello Stato, la risoluzione del conflitto � pi� articolata, considerata l'esistenza 
del complesso sistema di controllo di legittimit� sugli atti e sugli organi che 
funge anche da procedimento idoneo a comporre possibili conflitti. 

In ipotesi di conflitti tra enti pubblici diversi dallo Stato, i rimedi possono consistere 
nell'esercizio, da parte dello Stato, di poteri di controllo o delle azioni giurisdizionali 
proponibili dinanzi ai giudici ordinari o amministrativi. 

Pu� accadere che il conflitto investa enti pubblici titolari di autonomia politica 
e amministrativa e dotati di competenze che si sovrappongano e che non siano previsti 
organi di indirizzo e di coordinamento capaci di rimuovere, in radice, le occasioni 
di conflitto. L'ipotesi si verifica sovente. Per avere un'idea della frequenza dei 
conflitti di amministrazione dovuti, in buona parte, ad un sistema di competenze disorganico 
e poco trasparente, con una carente previsione di funzioni di coordinamento, 
basta considerare il numero di controversie seguite agli eventi sismici che 
hanno interessato la Campania, la Puglia e la Basilicata. 

Numerose le ipotesi nelle quali non � agevole individuare il soggetto pubblico 
tenuto all'erogazione di risorse pubbliche e numerose le controversie che vedono 
protagonisti Stato, Regioni, Comuni nelle quali tema del contendere � la contestata 
appartenenza di beni, o questioni squisitamente patrimoniali devolute alla cognizione 
dei giudici ordinari o amministrativi. 

Strumenti di carattere amministrativo idonei ad evitare o comunque a favorire la 
composizione dei conflitti di amministrazione sono senza dubbio la Conferenza StatoRegioni, 
la Conferenza Stato-Citt� e le Conferenze unificate (le cui attribuzioni sono 
state (ri)definite con il d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281), gli accordi o le convenzioni stipulate 
tra soggetti pubblici, l'attivit� consultiva resa dal Consiglio di Stato o dall' Avvocatura 
dello Stato, le varie forme di controllo dell'azione amministrativa. 

Il pi� delle volte, per�, tali conflitti confluiscono in quello che � stato definito l'arcipelago 
dei processi. Il processo costituisce la sede preferenziale se non esclusiva ove 
convergono disordinatamente le situazioni conflittuali originate da opposte visioni nella 
cura degli interessi pubblici. � dinanzi ai giudici che, in prevalenza, le amministrazioni 
dirimono le incertezze dell'agire amministrativo e verificano l'effettivit� dell'interesse 
pubblico soggettivato con intuibili negativi effetti sull'efficacia e sull'efficienza 
dell'azione amministrativa. Ai conosciuti profili di illegittimit� dell'agire amministrativo, 
se ne aggiunge uno ulteriore che attiene al ritardo con cui si soddisfano gli interessi 
pubblici. Il tempo costituisce la �quarta dimensione� dell'illegittimit� (19). 

(19) G. SORGE, Il tempo nel procedimento amministrativo. Teorie e prospettive , in 1AR 
1997, II, 165. �Se il tempo misura ...l'efficienza degli atti, appare possibile identificare una 
dimensione dell'illegittimit� che faccia proprio riferimento all'inefficienza dell'atto singolo, 
come risultato di un procedimento prodotto in tempi patologici e, quindi inidoneo alla funzione. 
In altre parole � possibile costituisca elemento di illegittimit� l'incapacit� di produrre in modo 
tempestivo o adeguato (rispetto a parametri preventivamente fissati dalla stessa Amministrazione) 
gli atti finali o i risultati dell'azione stessa ... � 

PARTE Il, DOITRINA 

33 

Mancano rimedi tipizzati di carattere preprocessuale, che pur potrebbero essere 
sperimentati, quali tentativi di conciliazione rimessi ad organi pubblici capaci di 
prevenire o evitare il ricorso all'autorit� giurisdizionale per dirimere conflitti (virtuali 
o reali) di amministrazione. 

Sono previste condizioni di procedibilit�, ad esempio, per il riconoscimento 
giudiziale dell'invalidit� civile del singolo cittadino, ma non sono previsti filtri di 
sorta quando la controversia riguarda poteri amministrativi contrapposti, interessi 
pubblici della collettivit�, la concreta allocazione di risorse pubbliche. 

Quanto ai rimedi giurisdizionali per i conflitti di amministrazione, in passato fu 
auspicata �l'introduzione nel nostro ordinamento ... di norme che affidassero la composizione 
dei conflitti di amministrazione a organi giurisdizionali su ricorso delle 
autorit� interessate� (20). Si opposero a tale innovazione la carenza di personalit� di 
singoli organi, l'inesistenza di un interesse proprio degli organi dello Stato al rispetto 
delle loro competenze, l'intento di evitare un'invasione del potere giurisdizionale 
nella sfera riservata all'amministrazione. 

La plurisoggettivit� delle amministrazioni, una sempre pi� diffusa e marcata 
autonomia delle strutture politico-amministrative, ma anche di singoli organi, inducono 
a suggerire l'introduzione di rimedi capaci di risolvere, con rito abbreviato, i 
conflitti di amministrazione diretti, in modo da assicurare una decisione su questioni 
che involgono esclusivamente interessi pubblici. 

Si potrebbe sperimentare un rimedio di carattere giurisdizionale pur previsto 
dalle norme vigenti, ma di fatto desueto. � il giudizio ad iniziativa dell'amministrazione 
previsto dall'art. 33 del regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054 (T.U. Cons. 
Stato) che prevede che, col preventivo assenso scritto di coloro ai quali il provvedimento 
direttamente si riferisce, l'amministrazione pu� provocare la decisione del 
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, ma se le parti rifiutano di prestarvi assenso, 
il loro comportamento equivale a rinuncia. 

�Trattasi... di un giudizio instaurato dalla pubblica amministrazione volto a 
verificare la legittimit� di un atto da essa emanato�. � un rimedio capace di suscitare 
l'accertamento della legittimit� dell'agire tale da porre l'amministrazione �a riparo 
dalle negative conseguenze di una caducazione dell'atto dopo averlo se mai portato 
ad esecuzione� (21). 

Il giudizio presuppone l'avvenuta adozione di un provvedimento; costituisce 
ipotesi di competenza residua in unico grado del Consiglio di Stato, non richiede che 
dell'affare sia gi� stato investito l'Alto consesso in sede consultiva. 

Il rimedio potrebbe costituire un efficace strumento per ottenere tempestivamente, 
e con sentenza, la soluzione di conflitti di amministrazione, anche se non 
vanno taciuti i limiti costituiti dalla necessaria preventiva adozione di un provvedimento. 


(20) C. CAMILLI, cit. 
(21) V. CAIANIELLO, Manuale di diritto processuale amministrativo, II ed., Torino, 1994, 901 
e ss. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO. 

34 

3) Considerazioni conclusive. 

L'eterogeneit� degli interessi pubblici, le difficolt� di individuazione e di classificazione 
degli stessi, si riflettono inevitabilmente sulla qualit� dell'azione amministrativa 
in concreto esercitata, rendono esitanti gli organi e rallentano la loro azione, 
favoriscono indebite confusioni dell'interesse particolare con il generale, 
ostacolano il controllo che, in assenza di criteri giuridici predeterminati e sicuri, 
diventa empirico (22), acuiscono i conflitti tra cittadini e pubbliche amministrazioni, 
e tra amministrazioni. 

La metamorfosi degli interessi pubblici impone un diverso approccio concettuale 
e riforme istituzionali che tengano conto della plurisoggettivit� e della polverizzazione 
degli stessi, ma anche dell'esigenza di ricondurre ad unit� il controllo e 
la giurisdizione, pur distinti quanto a strumenti, procedure ed effetti, in una visione 
armonica che assicuri la corretta gestione amministrativa e finanziaria in ambito 
nazionale e comunitario. 

L'assenza di efficaci rimedi amministrativi e giurisdizionali in grado di dirimere 
con tempestivit� i conflitti di amministrazione comporta ritardi e danni per 
l'erario. 

L'indubbia centralit� assunta dal processo, (anche per la verifica cli legittimit� e 
di legalit� dell'agire amministrativo) e la particolare rilevanza acquisita dai principi 
di buona gestione finanziaria (che impongono un controllo costante e qualificato 

(22) Di particolare interesse nella prospettiva qui affrontata � la sentenza n. 29/95 con la 
quale la Corte costituzionale ha fissato i contorni e le ragioni del controllo successivo della gestione 
rilevando come lo stesso �debba essere eseguito, non gi� in base a parametri di stretta legalit�, 
ma in riferimento ai risultati effettivamente raggiunti collegati agli obiettivi programmati nelle 
leggi e nel bilancio, tenuto conto delle procedure e dei mezzi utilizzati per il loro raggiungimento
�. Finalit� del controllo successivo della gestione, sempre secondo il Giudice delle leggi, quella 
�di favorire una maggiore funzionalit� nella Pubblica amministrazione attraverso la valutazione 
complessiva dell'economicit�/efficienza dell'azione amministrativa e dell'efficacia dei servizi 
erogati�. Sempre con riguardo alle finalit� del controllo successivo sulla gestione la Corte costituzionale 
ha affermato che essa consiste nell'accertare �la rispondenza dei risultati dell'attivit� 
amministrativa agli obiettivi stabiliti dalla legge, valutando comparativamente costi, modi e tempi 
dello svolgimento dell'azione amministrativa� mediante un confronto condotto �tra la situazione 
effettivamente realizzata con l'attivit� amministrativa e la situazione ipotizzata dal legislatore 
come obiettivo da realizzare, in modo da verificare, ai fini della valutazione del conseguimento 
dei risultati, se le procedure e i mezzi utilizzati, esaminati in comparazione con quelli apprestati 
in situazioni omogenee, siano stati frutto di scelte ottimali dal punto di vista dei costi economici, 
della speditezza dell'esecuzione e dell'efficienza organizzativa, nonch� dell'efficacia dal punto di 
vista dei risultati�. �Il controllo preventivo viene svolto in relazione ad esclusivi apprezzamenti 
giuridici, mentre il controllo sulla gestione si presenta come controllo di carattere empirico ispirato, 
pi� che a determinati parametri normativi, a canoni di comune esperienza� (STEFANO GIRELLA, 
Il nuovo ruolo della Corte dei conti nell'esercizio della fu.nzione di controllo, in Riv. della 
Corte dei Conti, 1996, 298 e ss.). Nell'ambito di questo strumentario di carattere eminentemente 
economico assumeranno grande rilievo, ai fini della valutazione della correttezza dei comportamenti 
tenuti da dipendenti, funzionari e dirigenti pubblici, le regole tecniche e la discrezionalit� 
nella scelta delle soluzioni possibili. 

PARTE Il, DOITRINA 

35 

della spesa pubblica, teleologicamente orientato al rispetto di precisi parametri 
nazionali e comunitari) suggeriscono forse l'introduzione di procedure di controllo 
essenzialmente giurisdizionali, rimesse alla Corte dei Conti, tese alla risoluzione dei 
conflitti di amministrazione che coinvolgano l'impiego di cospicue risorse pubbliche. 
Il rimedio potrebbe consentire anche di graduare la realizzazione dei differenti 
interessi pubblici coinvolti in una prospettiva amministrativo-contabile. In ipotesi di 
conflitti tra interessi pubblici primari e interessi pubblici secondari, di regola, non vi 
� composizione degli stessi ma la mera prevalenza dei primi. 

L'analisi di quella che � stata definita la letteratura grigia delle pubbliche 
amministrazioni (23) conferma che spesso l'illegalit� o l'illegittimit� non sono il 
risultato di malafede o di abusi che pure sono ricorrenti, ma scaturiscono da una 
diffusa scarsa dimestichezza con discipline sempre pi� complesse e meno perspicue 
che hanno reso il sistema giuridico una sorta di opus incertum. � ovvio che 
quanto pi� sono incerti i limiti della legalit� e della legittimit�, tanto pi� divengono 
valicabili. 

Tra uomini e regole esiste un rapporto circolare: sono gli uomini a dettare le 
regole, sono essenzialmente le regole a trasformare gli uomini. � questo un canone 
valevole anche per le relazi�mi tra organi pubblici che dovrebbero interagire secondo 
modelli cooperativi vantaggiosi per tutti, capaci di modificare anche i comportamenti 
pi� controproducenti (24) e di favorire convinzioni sociali radicate ispirate al 
rispetto della legalit�. 

Occorre forse elaborare una nuova etica dei pubblici poteri fondata sul!' affectio 
societatis, carente in societ� come la nostra, riluttante ad ogni sistema di valori, 
insofferente verso prospettive non individualistiche. � una societ� dell'effimero, 
nella quale l'attesa o la ricerca del kair6s esaurisce spesso l'orizzonte etico degli 
attori sociali. 

Un grande scrittore contemporaneo, nel narrare una storia intrigante, esordisce 
con una considerazione ovvia quanto trascurata �il futuro ha una grande virt� : non 
� mai come te lo immagini� (25). 

Se questa intuizione poetica pu� risultare appagante, riferita al destino del singolo, 
diventa incongrua quando al centro della riflessione � il futuro di Istituzioni 
che trascendono l'effimera storia individuale e che impongono progetti organici e 
tempestivi non tanto per preservare hic et nunc lesistente, quanto per contribuire 
all'effettiva realizzazione del bene comune. 

C'� da augurarsi che l'illustre ed antica tradizione della Corte dei Conti non 
vada dispersa e che sia (ri)considerato il suo ruolo istituzionale quale organo supremo 
di controllo della gestione amministrativa e finanziaria ed anche organo giurisdizionale 
contabile, autonomo, indipendente. 

DOMENICO MUTINO 

(23) SPANTIGATI, A che serve la letteratura grigia delle pubbliche amministrazioni, in Riv. 
Corte dei Conti, 1996, 305 e ss. 
(24) A. MASSARENTI, Nash, l'equilibrio ritrovato, in Il Sole 24 ore, 28 marzo 1999, 35. 
(25) M. PAvrc, Il lato interno del vento, Milano, 1992, 9. 

La prassi interpretativa della Commissione per l'accesso ai documenti 
amministrativi sul rapporto tra accesso e riservatezza (*) 

1. Il ruolo della Commissione -2. Il lavoro svolto ed i principi affermati -3. La tutela 
della riservatezza secondo la legge 241 /90 ed il decreto del Presidente della 
Repubblica 352/92 -4. Segue: secondo la legge 142/90 -5. I regolamenti sull'accesso 
adottati dalle singole amministrazioni -6. L'entrata in vigore della 
legge 675/96. 
1. IL RUOLO DELLA COMMISSIONE 
Ai sensi dell'art. 27 della legge 7 agosto 1990 n. 241 e dell'art. 10 del decreto 
del Presidente della Repubblica 27 giugno 1992 n. 352 la Commissione per l'accesso 
ai documenti amministrativi ha il compito di vigilare affinch� sia attuato il principio 
di piena conoscibilit� dell'attivit� della pubblica amministrazione nel rispetto dei 
limiti fissati dalla legge, garantire l'uniforme applicazione della disciplina sulla trasparenza 
e coordinare l'attivit� organizzativa delle amministrazioni e dei concessionari 
dei pubblici servizi volta a consentire l'effettivo esercizio del diritto di accesso. 

Alla Commissione sono attribuiti i seguenti poteri: 

esprime parere preventivo e obbligatorio sui regolamenti che tutte le amministrazioni 
(e i concessionari di pubblici servizi) sono tenuti ad adottare per individuare 
le categorie di documenti amministrativi sottratti all'accesso per la salvaguardia 
degli interessi di cui all'art. 24, secondo comma legge 241/90; 

esprime parere facoltativo sugli atti comunque attinenti all'esercizio e all'organizzazione 
del diritto di accesso; 

acquisisce documenti e informazioni presso le amministrazioni ad eccezione 
di quelli coperti da segreto di Stato; 

propone al Governo modifiche legislative e regolamentari che siano utili a 
realizzare la pi� ampia garanzia del diritto di accesso; 

riferisce annualmente alle Camere e al Presidente del Consiglio dei Ministri 
sulla trasparenza dell'attivit� amministrativa; 

tiene l'archivio dei regolamenti in materia di accesso ai documenti amministrativi. 


(*)Testo della relazione tenuta dall'avvocato Francesco ScLAFANI al Convegno organizzato 
dalla Societ� ITA Convegni e Formazione sul terna �L'accesso ai documenti arnrninistrativi nel 
rispetto della legge sulla privacy�, tenutosi a Rorna il 9 aprile 1999. 


PARTE Il, DOTIRINA 

A differenza di altri ordinamenti, come quello francese, dove esercita funzioni 
paragiurisdizionali ed ha incisivi poteri di intervento presso le amministrazioni, in 
Italia la Commissione per l'accesso ha sofferto sin dall'inizio della mancanza di 
adeguati poteri ispettivi, sanzionatori o sollecitatori per un efficace esercizio della 
funzione di vigilanza che le � attribuita dalla legge. Ci� soprattutto nella fase di 
prima applicazione della nuova normativa sull'accesso durante la quale si � manifestata 
maggiormente la comprensibile resistenza degli apparati burocratici trovatisi 
improvvisamente di fronte ad una vera e propria rivoluzione copernicana consistente 
nel passaggio dal principio di segretezza al principio di trasparenza dell'azione 
amministrativa. 

A nove anni dall'entrata in vigore della legge 7 agosto 1990, n. 241 il processo 
di attuazione della normativa sull'accesso � in avanzato stato di realizzazione ma 
non � ancora compiuto perch�: 1) non tutte le amministrazioni hanno adottato i prescritti 
regolamenti di individuazione delle categorie di documenti sottratti all 'accesso 
(tra i ministeri sono sei quelli che non hanno ancora pubblicato il regolamento, di 
cui due non hanno neppure iniziato il procedimento di adozione); 2) non � stata 
ancora completamente superata la ritrosia degli apparati burocratici ad assimilare la 
nuova cultura dell'accesso soprattutto per quanto concerne l'adozione delle necessarie 
misure organizzative; 3) restano ancora molti nodi da sciogliere sul piano interpretativo 
uno dei quali -e probabilmente il pi� importante -� proprio quello del 
difficile bilanciamento tra diritto di accesso e diritto alla riservatezza soprattutto 
dopo l'entrata in vigore della nuova legge sulla tutela della privacy. 

2. IL LAVORO SVOLTO ED I PRINCIPI AFFERMATI 
2.a -Premessa. 
Costituita con decreto.della presidenza del Consiglio dei ministri del 31 maggio 
1991 la Commissione ha esaminato fino ad oggi 145 schemi di regolamento, si � pronunciata 
su 137 quesiti sottoposti da amministrazioni o privati cittadini ed ha emanato 
6 direttive. 

Prima di esaminare in particolare i vari aspetti del problematico rapporto tra 
accesso e riservatezza attraverso i pareri resi sugli schemi di regolamento adottati 
dalle singole amministrazioni � necessario ripercorrere sommariamente le tappe 
principali del cammino compiuto fino ad oggi dalla Commissione nell'interpretazione 
della disciplina sull'accesso. 

2.b -La legittimazione all'accesso. 
Uno dei primi nodi interpretativi venuti al pettine non poteva che essere quello 
della legittimazione all'accesso ovvero di come debba intendersi l'espressione 

�chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti� 

contenuta nell'art. 22, primo comma, legge 241/90 che costituisce la norma fondamentale 
di riconoscimento del diritto di accesso. 
Nell'affrontare il tema della tutela della riservatezza nell'era della trasparenza non 
si pu� prescindere da tale argomento per due evidenti ragioni: innanzitutto perch� dal 


e� 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

38 

significato che si attribuisce alla suddetta espressione dipende l'individuazione dell'interesse 
per cui viene riconosciuto il diritto di accesso e quindi anche il bilanciamento 
con l'interesse alla privacy tutelato dal diritto alla riservatezza; in secondo 
luogo perch� l'art. 24, secondo comma, lett. d) legge 241/90 individua il punto di equilibrio 
tra accesso e riservatezza proprio nell'esigenza che si intende soddisfare attraverso 
la conoscenza del documento amministrativo contenente dati riservati. 

Sul punto la Commissione ha emanato una direttiva a tutte le amministrazioni 
(in data 18 aprile 1994, n. 27720/27) in cui si afferma che il diritto di accesso � funzionalizzato 
ad esigenze di tutela -sia pure intese in senso lato -e che, oltre al 
diritto soggettivo e all'interesse legittimo, la situazione minima legittimante va ravvisata 
nell'interesse amministrativamente protetto intendendosi per tale non solo 
l'interesse che si potrebbe far valere in sede giustiziale attraverso un ricorso amministrativo 
ma anche quello che si realizza nel procedimento attraverso la funzione 
partecipativa alle scelte dell'amministrazione. 

Com'� noto tale posizione, inizialmente coincidente con quella assunta dalla 
giurisprudenza, � stata successivamente superata dal Consiglio di Stato il quale sembra 
essersi ormai attestato sulla formula dell'interesse serio e non meramente emulativo 
che se, da un lato, ha il vantaggio di configurare il diritto di accesso come 
situazione giuridica soggettiva autonoma (sia essa di diritto perfetto, come pare, o 
di interesse legittimo) la quale trova ragion d'essere in se stessa e non nella funzione 
di tutela di altre situazioni soggettive vantate dal soggetto istante, dall'altro, ha 
lo svantaggio di essere troppo ambigua per assicurare un sufficiente grado di certezza 
sulla legittimazione all'accesso in quanto si tratta di una formula che va interpretata 
caso per caso. 

Attualmente la Commissione, pur non avendo emanato altre direttive al riguardo, 
si � uniformata nella propria attivit� consultiva alla giurisprudenza del Consiglio 
di Stato sottolineando per� che l'interesse serio e non meramente emulativo deve 
essere comunque finalizzato ad una esigenza di tutela inerente all'azione amministrativa, 
cio� ad un rapporto tra soggetto amministrato ed amministrazione e non ad 
un qualunque rapporto con altri soggetti privati al quale l'amministrazione e l'interesse 
pubblico da essa tutelato sono del tutto estranei (si � detto, pertanto che non � 
legittimata all'accesso una societ� di recupero crediti che vuole conoscere dall'amministrazione 
documenti relativi all'attuale occupazione di soggetti privati). 

Ci� in quanto ai sensi dell'art. 22 legge 241/90 il diritto di accesso � riconosciuto 
�al fine di assicurare la trasparenza dell'attivit� amministrativa e di favorirne 
lo svolgimento imparziale� e non gi� allo scopo di utilizzare l'amministrazione 
come una banca dati alla quale attingere per le pi� svariate esigenze anche se totalmente 
estranee all'azione amministrativa. 

Pertanto secondo la Commissione l'esercizio del diritto di accesso presuppone 
comunque che il soggetto sia parte o possibile parte di un procedimento amministrativo. 

2.c -Il rapporto tra la legge 241/90 e l'art. 7 della legge 142/90. 
Altro problema di fondo affrontato dalla Commissione, con apposita direttiva 
in data 10 febbraio 1996, � stato quello del rapporto tra la disciplina dell'accesso 
prevista dalla legge 241/90 e quella prevista dall'art. 7 della legge 142/90 sull'ardi



PARTE Il, DOTTRINA 

namento delle autonomie locali secondo il quale �tutti gli atti dell'amministrazione 
comunale e provinciale sono pubblici ad eccezione di quelli riservati per espressa 
indicazione di legge o per effetto di una temporanea e motivata dichiarazione del 
sindaco o dei presidenti della provincia che ne vieti l'esibizione, conformemente a 
quanto previsto dal regolamento in quanto la loro diffusione possa pregiudicare il 
diritto alla riservatezza delle persone dei gruppi o delle imprese�. 

Senza entrare nel dettaglio di tale complessa direttiva con cui la Commissione 
ha ricondotto a sistema un'apparente antinomia ci limitiamo a ricordare che le differenze 
tra le due discipline riguardano: 

-l'oggetto dell'accesso: per la legge 241/90 � limitato ai documenti amministrativi 
(pur nell'ampia nozione di cui all'art. 22, secondo comma), mentre per la 
legge 142/90 � esteso anche alle informazioni, il che ha non poca rilevanza in tema 
di tutela della riservatezza; 

-i soggetti legittimati all'accesso: la legge 241/90 li individua in relazione ad 
un interesse (�chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente 
rilevanti�) mentre la legge 142/90 li individua in relazione ad uno status in quanto 
�i cittadini singoli o associati� possono accedere a tutti gli atti dell'amministrazione 
comunale e provinciale per soddisfare qualunque tipo di interesse; 

-le modalit� di esercizio dell'accesso: le differenze riguardano innanzitutto la 
motivazione dell'istanza, che � richiesta a pena di inammissibilit� dalla legge 241/90 
(perch� serve ad individuare la situazione giuridicamente rilevante) mentre non � 
richiesta dalla legge 142/90, per la quale basta essere �cittadini� senza bisogno di 
addurre uno specifico interesse a conoscere il documento; in secondo luogo � diverso 
il regime del costo dell'accesso in quanto ai sensi della legge 241/90 l'esame dei documenti 
� gratuito e si pagano solo le spese sostenute dall'amministrazione per il rilascio 
di copie, oltre i diritti di ricerca e visura, mentre ai sensi della legge 142/90 � dovuto 
il rimborso di tutte le spese vive sostenute per consentire l'accesso sia che esso avvenga 
attraverso il solo esame del documento sia che invece consista nel rilascio di copie. 

Secondo la Commissione il rapporto tra le due diverse discipline dell'accesso � 
di reciproca indipendenza ed integrazione nel senso che la legge 241/90 � la legge 
generale in materia di accesso e pertanto si applica anche agli enti locali in tutti i casi 
in cui non trovano applicazione le diverse disposizioni della speciale legge 142/90. 

In particolare -ed � questo il punto di maggior rilievo -la Commissione ha 
ritenuto che i �cittadini� ai quali si applica la speciale disciplina di cui all'art. 7 
legge 142 /90 sono solo quelli che risiedono nel Comune o nella Provincia alla quale 
� rivolta l'istanza di accesso. 

Ne consegue che la conoscenza dei documenti amministrativi degli enti locali � 
soggetta ad un doppio regime di legittimazione: 1) quello basato sull'interesse, 
secondo la legge 241/90, per i cittadini non residenti; 2) quello basato sullo status, 
secondo la legge 142/90, per i cittadini residenti. 

2.d -Il differimento dell'accesso. 
Altra questione di massima affrontata dalla Commissione � quella relativa al 
carattere discrezionale o vincolato del potere di differimento dell'accesso. In parti



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

40 

colare si � trattato di stabilire se il regime di accessibilit� di tutti i documenti amministrativi, 
salve le ipotesi di inaccessibilit� espressamente previste dalla legge o dai 
regolamenti delle singole amministrazioni, comporti che non solo i casi di esclusione 
a tempo indeterminato ma anche quelli di mero differimento dell'accesso debbano 
essere tassativamente previsti con norma regolamentare. 

Con direttiva del 26 marzo 1997 la Commissione ha affermato i seguenti principi: 

-l'inaccessibilit� (definitiva o temporanea) costituisce l'eccezione alla regola 
della piena conoscibilit� dell'azione amministrativa in quanto il sistema ideato dal 
legislatore per individuare il punto di equilibrio tra il riconoscimento del diritto di 
accesso e la. tutela del riserbo dell'azione amministrativa per la salvaguardia di superiori 
interessi pubblici, consiste nell'affermazione del principio per cui tutti i documenti 
amministrativi sono accessibili salvo quelli coperti da segreto e quelli appartenenti 
alle categorie tassativamente indicate nei regolamenti delle singole 
amministrazioni; 

-in detti regolamenti le amministrazioni devono indicare tassativamente le 
categorie di documenti inaccessibili individuandole con sufficiente certezza nonch� 
specificare per ciascuna categoria la durata della sottrazione all'accesso che potr� 
essere a tempo indeterminato solo se necessario; 

-tuttavia il legislatore ha individuato due diversi tipi di differimento: 1) quello 
finalizzato alla salvaguardia degli interessi di cui all'art. 24, secondo comma, lett. a), 
b), e) ed) legge 241/90 il quale rientra nel principio di tassativit� dei casi di esclusione 
dall'accesso, trattandosi di un potere vincolato esercitabile solo nelle ipotesi 
previste dai regolamenti delle singole amministrazioni; 2) quello di cui all'art. 24, 
sesto comma, legge 241/90, che ricorre quando la conoscenza dei documenti �possa 
impedire o gravemente ostacolare lo svolgimento dell'azione amministrativa�, il 

quale non rientra nel principio di tassativit� essendo un potere discrezionale esercitabile 
qualora se ne presenti la necessit� e quindi al di fuori di ipotesi predeterminate, 
ovvero riguardo a documenti di regola accessibili (ed � proprio la natura discrezio


nale di tale potere che ha indotto il Consiglio di Stato a dubitare che l'accesso sia un 
diritto soggettivo perfetto: sent. Sez. IV del 5 giugno 1995 n. 412, rimasta isolata); 

-mentre per il differimento c.d. vincolato � sufficiente richiamare in motivazione 
la norma regolamentare che lo prevede, per il differimento c.d. discrezionale 
� invece necessario motivare adeguatamente sulle ragioni di impedimento o gr~ve 
ostacolo all'azione amministrativa che non consentono di soddisfare immediatamente 
una legittima istanza di accesso. 

3. LA TUTELA DELLA RISERVATEZZA NELLA LEGGE 241/90 E NEL DECRETO DEL PRESI
�~ 
~~~ 

DENTE DELLA REPUBBLICA 352/92 f:" 

J:i 
3.a -:,: ~:::::�~,:::::::s;~:.;=:::: ::;o:~�:::;:~n:~noscibilit� Il~�,��'�,;'.�
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dell'azione amministrativa (elencati nell'art. 24, secondo comma, legge cit. ed ulte-. .. 

riormente specificati nell'art. 8, quinto comma decreto del Presidente della Repub,. 
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PARTE II, DOITRINA 

blica cit.) la riservatezza � l'unico interesse privato accanto ad interessi squisitamente 
pubblici come la sicurezza, la difesa nazionale, le relazioni internazionali, la 
politica monetaria e valutaria, lordine pubblico e la prevenzione e repressione della 
criminalit�. 

Ci� emerge dalla stessa formulazione dell'art. 24, secondo comma, lett. d) 
legge 241/90 in cui si parla di �riservatezza di terzi, persone, gruppi ed imprese� e 
non anche di riservatezza dell'amministrazione. 

Si pu� quindi affermare che nell'ambito della riservatezza tutelata dalla legge 
241/90 nei confronti dell'accesso non rientra anche la riservatezza dell'amministrazione, 
tant'� che l'art. 22, secondo comma, legge 241/90 contempla espressamente 
anche gli atti interni tra i documenti amministrativi. 

Infatti, una volta sancito il principio di piena conoscibilit� dell'azione amministrativa 
non sembra che rimanga alcuno spazio per configurare una vera e propria 
riservatezza dell'amministrazione intesa come esigenza di privacy dell'azione amministrativa 
ulteriore e distinta rispetto al riserbo necessario per la protezione degli interessi 
pubblici espressamente indicati dall'art. 24, secondo comma legge cit. 

Ormai la regola � che l'agire amministrativo avvenga alla luce del sole e che le 
uniche zone d'ombra consentite debbano essere giustificate o dall'esigenza di tutela 
dei citati superiori interessi pubblici o dalla riservatezza di terzi (e quindi non del1'
amministrazione, la quale del resto non pu� vantare un vero e proprio interesse alla 

privacy). 

Tuttavia l'art. 7, secondo comma del decreto del Presidente della Repubblica 
352/92 prevede che il differimento dell'accesso sia disposto �ove sia necessario assicurare 
una temporanea tutela agli interessi di cui all'art. 24, comma 2, della legge 7 
agosto 1990 n. 241 o per salvaguardare esigenze di riservatezza dell'amministrazione 
specie nella fase preparatoria dei prowedimenti in relazione a documenti la cui 
conoscenza possa compromettere il buon andamento dell'azione amministrativa�. 

In tale norma regolamentare l'espressione �riservatezza dell'amministrazione� 
appare, per�, usata in senso del tutto atecnico, cio� non come sinonimo di privacy, 
bens� solo per indicare il potere di differimento dell'accesso (cd. discrezionale) previsto 
dall'art. 24, sesto comma, legge 241/90 quando la conoscenza dei documenti 

�possa impedire o gravemente ostacolare lo svolgimento dell'azione amministrativa�. 

Si pu� dunque affermare che ad eccezione del suddetto potere di differimento 
la mera esigenza di riservatezza dell'amministrazione (se cos� si pu� dire) non pu� 
mai impedire la conoscenza di documenti amministrativi (in tal senso si � espresso 
anche Cons. di Stato, IV, n. 498 del 1998). 

Inoltre sotto il profilo soggettivo l'ambito di tutela della riservatezza appare il 
pi� ampio possibile perch� la formula utilizzata dal legislatore (�riservatezza di terzi, 
persone, gruppi ed imprese�) appare finalizzata a tutelare qualunque esigenza di 
riserbo, sia essa riferibile a persone fisiche, giuridiche o ad enti non personificati. 

Sotto il profilo oggettivo � vero che l'art. 8, quinto comma, decreto del Presidente 
della Repubblica 352/92 fa riferimento in particolare ad alcune specifiche esigenze 
di riserbo (interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale 
e commerciale) ma si tratta evidentemente di una elencazione esemplificativa e 
non tassativa che non sembra configurare una nozione di riservatezza pi� ristretta o 
comunque diversa da quella civilistica. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO S'D\1U

42 

3.b -L'interpretazione dell'art. 24, secondo comma, lett. d) della legge 241/90. 
Oltre ad essere l'unico interesse privato contemplato dall'art. 24 legge cit. la 
riservatezza � anche l'unico interesse che, in presenza di determinate condizioni, 
non preclude completamente l'accesso in quanto la legge garantisce comunque 
�agli interessati la visione degli atti relativi ai procedimenti amministrativi la cui 
conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i loro interessi giuridici�. 

Non v'� dubbio che il punto di equilibrio tra accesso e riservatezza sta tutto nell'interpretazione 
di tale norma e del suo raccordo con l'interesse per la tutela di 
situazioni giuridicamente rilevanti che l'art. 22, primo comma, legge cit. pone a fondamento 
del diritto di accesso. 

Prima di analizzare l'interpretazione che ne � stata data dalla Commissione per 
l'accesso occorre ricordare che l'originario schema di disegno di legge (n. 1913) 
predisposto dalla Commissione Nigro attribuiva la titolarit� del diritto di accesso a 
tutti i cittadini senza limiti di legittimazione derivanti dal motivo della richiesta, prevedendo 
cos� una vera e propria azione popolare. 

In quel contesto la formulazione dell'art. 24, secondo comma, lett. d) legge cit. 
aveva un senso ben preciso perch� in un sistema in cui l'accesso � consentito in 
modo incondizionato appare logico che esso receda di fronte alla riservatezza a 
meno che non sia finalizzato ad una specifica esigenza di tutela. 

Nel testo approvato dal Parlamento e divenuto l'attuale legge 241/90 � cambiata 
la formulazione della norma fondamentale (art. 22) mentre � rimasta invariata 
quella dell'art. 24, secondo comma, lett. d) per cui oggi l'interprete si trova a dover 
conciliare due disposizioni che non sono nate assieme e che con tutta probabilit� 
coesistono a causa di una vera e propria svista del legislatore dovuta ad un difetto di 
coordinamento con il nuovo testo dell'art. 22, primo comma. 

Comunque per dare un senso al combinato disposto di tali norme � necessario 
individuare gli esatti termini del rapporto di genere a specie che esiste tra loro in 
quanto � ovvio che la fattispecie prevista dall'art. 24, secondo comma, lett. d) in 
tema di accesso ai documenti riservati non pu� coincidere con quella prevista in via 
generale dall'art. 22 per l'accesso a tutti i documenti amministrativi. 

Secondo l'attuale giurisprudenza del Consiglio di Stato il rapporto tra tali disposizioni 
� il seguente: 

l'art. 22 � la norma generale che riconosce a chiunque abbia un interesse giuridico 
serio e non meramente emulativo il diritto di prendere visione od estrarre 
copia di un documento amministrativo; 

l'art. 24, secondo comma, lett. d) � la norma speciale che, nel prevedere l'inaccessibilit� 
dei documenti riservati, riconosce tuttavia la facolt� di mera visione 
(e non anche di estrazione di copia) dei soli documenti necessari per curare (nel procedimento) 
o per difendere (nel processo) i propri interessi giuridici. 

In particolare secondo la nota decisione dell'Adunanza Plenaria del Consiglio 
di Stato (sent. 4 febbraio 1997, n. 5) la norma speciale di cui all'art. 24, secondo 
comma, lett.d) consente l'accesso ai documenti amministrativi riservati a due condizioni: 
1) che l'accesso sia limitato ad una delle due modalit� previste dalla legge, 
cio� a quella meno invasiva della privacy consistente nella mera visione del docu



PARTE Il, DOTTRINA 

43 

mento senza possibilit� di estrarne copia; 2) che il soggetto istante sia portatore di 
un interesse pi� forte di quello riconducibile alla formula dell'interesse serio e non 
meramente emulativo, cio� di un interesse determinato dalla necessit� (e non dalla 
semplice esigenza) di conoscere il documento riservato per tutelare i propri interessi 
giuridici nel procedimento o nel processo. 

Prima di tale pronuncia dell'Adunanza Plenaria la Commissione per l'accesso 
si era attestata su una posizione diversa osservando che la parola �visione�, contenuta 
nell'art. 24, secondo comma, lett. d) deve essere interpretata in senso ampio 
cio� come comprensiva di entrambe le facolt� di esercizio del diritto di accesso: 
esame del documento ed estrazione di copia. 

A favore di tale interpretazione estensiva va rilevato che ai sensi dell'art. 25 
legge 241/90 �il diritto di accesso si esercita mediante esame ed estrazione di copia 
dei documenti amministrativi�; pertanto sembrerebbe logico pensare che se nell'art. 
24, secondo comma, lett. d) il legislatore avesse voluto riferirsi ad una sola delle due 
facolt� di esercizio del diritto di accesso avrebbe usato la parola esame invece di 
visione. Ci� anche perch� nell'art. .1O legge 241/90, che disciplina l'accesso nel procedimento, 
viene usato il termine visione ma � fuor di dubbio che le parti del procedimento 
hanno diritto anche di avere copia dei documenti. 

Si tratta tuttavia di un argomento poco convincente, sia perch� nel decreto del 
Presidente della Repubblica 352/92 queste due espressioni letterali vengono usate 
indifferentemente per indicare la mera consultazione del documento (si veda /'art. 
5, secondo, quarto, quinto e sesto comma), sia perch� la ratio dell'art. 24, secondo , 
comma, lett. d) � di contemperare due interessi contrapposti ed in questa logica. 
appare evidente che la parola visione debba essere intesa in senso stretto -cio� come 
mera consultazione senza possibilit� di estrarre copia del documento -perch� solo 
in tal modo pu� essere garantito un bilanciamento tra riservatezza ed accesso nel 
senso che il primo interesse viene sacrificato per quel tanto che basta a soddisfare le 
esigenze di tutela a cui � finalizzato il secondo. 

Attualmente la Commissione ha abbandonato il suo iniziale orientamento uniformandosi 
alla pronuncia dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che appare 
pienamente condivisibile per quanto concerne l'interpretazione dell'art.24, secondo 
comma, lett. d). 

3.c -Il differimento dell'accesso per esigenze di riservatezza. 
La riservatezza "di terzi, persone, gruppi ed imprese", in quanto interesse privato, 
deve ritenersi sottratta alla discrezionalit� dell'amministrazione in sede di regolamentazione 
dell'accesso. � evidente, infatti, che per l'esigenza di tutela di un interesse 
pubblico (come ad esempio la politica monetaria e valutaria) spetta alla valutazione 
discrezionale dell'amministrazione competente stabilire quali documenti sono sottratti 
all'accesso e per quanto tempo, mentre di fronte all'esigenza di tutela di un interesse 
privato -come appunto la riservatezza di terzi -l'amministrazione non ha facolt� 
di scelta perch� non ha alcuna disponibilit� dell'interesse da tutelare. 

Ne consegue che l'individuazione dei documenti amministrativi da sottrarre 
all'accesso � un'attivit� meramente ricognitiva in quanto di fronte ad un dato riservato 
l'accesso deve (e non pu�) essere escluso perch� ci� � necessario per tutelare 



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO� 

44 

un diritto soggettivo. Se cos� � allora la durata dell'inaccessibilit� non pu� essere 
stabilita dall'amministrazione in quanto il diritto alla riservatezza � imprescrittibile 
e quindi deve essere tutelato finch� c'� un titolare che non acconsente alla divulgazione 
d�i dati riservati. 

Sul punto l'orientamento della Commissione � stato oscillante. 
In un primo momento � stato affermato che la regola contenuta nell'art. 8, terzo 
comma del decreto del Presidente della Repubblica 352/1992 -secondo il quale �i 

documenti non possono essere sottratti all'accesso ove sia sufficiente far ricorso al 
potere di differimento� -vale per tutti gli interessi indicati dall'art. 24, secondo 
comma legge cit. ivi compresa la riservatezza di terzi. 

L'orientamento attuale � invece nel senso di ritenere illegittimo il differimento 
dell'accesso per motivi di riservatezza sul presupposto che se un documento � riservato 
lo � fino a quando l'interessato non acconsenta alla sua conoscenza. Quindi la 
durata dell'inaccessibilit� non pu� che dipendere dalla volont� del titolare del dato 
riservato piuttosto che da una scelta aprioristica dell'amministrazione. 

Al riguardo occorre per� ricordare l'art. 21 del decreto del Presidente della Reppubblica 
30 settembre 1963 n. 1409 (<<Norme relative all'ordinamento ed al personale 
degli archivi di Stato�) il quale dispone che i documenti conservati negli archivi 
di Stato, aventi carattere riservato perch� riguardano situazioni puramente private 
di persone, sono consultabili dopo 70 anni. 

La Commissione si � posta il problema del rapporto tra la disciplina degli archivi 
di Stato e quella sopravvenuta in materia di accesso ed in sede di discussione � 
stato osservato che la seconda non ha abrogato n� modificato la prima riguardo alla 
facolt� di consultazione in quanto i documenti conservati negli archivi di Stato siccome 
aventi interesse storico -sono destinati alla consultazione e quindi sono 
liberamente accessibili da chiunque senza necessit� di addurre l'esigenza di tutela di 
una situazione giuridicamente rilevante. 

Per quanto concerne invece i documenti riservati inseriti negli archivi di Stato 
deve ritenersi che con l'entrata in vigore dell'art. 24, secondo comma, lett. d) della 
legge 241/1990 essi sono soggetti ad un doppio regime di accessibilit�: 1) per settanta 
anni non sono liberamente consultabili ma possono essere visionati solo da chi 
ne abbia necessit� per curare o per difendere i suoi interessi giuridici; 2) dopo settanta 
anni sono liberamente consultabili da chiunque alla stessa stregua degli altri 
documenti conservati negli archivi. 

Quindi, mentre nella legge 241/1990, cos� come interpretata dalla Commissione, 
la riservatezza riceve una tutela parziale ma illimitata nel tempo (finch� c'� un avente 
diritto), nella disciplina degli archivi di Stato essa viene tutelata solo per settanta anni. 

4. SEGUE: SECONDO LA LEGGE 142/99. 
L'art. 7 della legge 142/90, a differenza della successiva legge 241/1990, innanzitutto 
contempla espressamente solo la riservatezza tra gli interessi che giustificano 
una deroga al principio di piena conoscibilit� dell'azione amministrativa ed in 
secondo luogo non contiene una disposizione analoga a quella dell'art. 24, secondo 
comma, lett. d) legge 241/1990 sul rapporto tra accesso e riservatezza. 

I


I 


~ 

I ~ 


PARTE II, DOITRINA 

Nella sua direttiva sui rapporti tra la legge 241/1990 e la leggel42/1990 la 
Commissione ha rilevato che i documenti �riservati per espressa indicazione di 
legge� (cos� si legge nell'art. 7 leggel42/1990) non sono solo i documenti coperti 
da riserbo per ragioni di privacy bens� tutti i documenti sottratti all'accesso per qualunque 
ragione prevista dalla legge; quindi vi rientrano tutti i casi di esclusione e di 
differimento contemplati dall'art. 24, secondo comma, legge 241/1990. 

Ci� significa anche che nella disciplina dell'accesso ai documenti degli enti locali 
trova piena applicazione l'art. 24, secondo comma, lett. d) legge 241/1990 che 
come abbiamo visto disciplina i casi in cui la riservatezza cede di fronte all'accesso. 

Nella stessa direttiva della Commissione viene anche sottolineato che mentre la 
legge 241/1990 riconosce il diritto di accesso soltanto ai documenti amministrativi, 
l'art. 7 della legge 142/1990 prevede �il diritto dei cittadini di accedere, in generale, 
alle informazioni di cui � in possesso l'amministrazione�. 

Tale disposizione non ha dato luogo a particolari problemi applicativi sia perch� 
le informazioni che assumono rilevanza in un procedimento amministrativo 
sono di regola racchiuse in documenti, sia perch� all'ampia nozione di documento 
amministrativo di cui all'art. 22 legge 241/1990 non sembra possa sfuggire nulla. 

Resta comunque il problema teorico che l'art. 7 legge 142/1990, nel consentire 
l'accesso non solo ai documenti ma anche alle informazioni, non prevede espressamente 
alcuna tutela riguardo alle informazioni riservate le quali, stando alla lettera 
della norma, sarebbero liberamente accessibili e per di pi� senza dover addurre una 
esigenza di tutela di situazioni giuridicamente rilevanti. 

Deve per� ritenersi che la regola sancita dall'art. 24, secondo comma, lett. d) 
legge 241/1990 sia applicabile in ragione dell'interesse tutelato (la riservatezza) a 
prescindere dal fatto che il dato riservato sia contenuto in un documento oppure consista 
in una mera informazione in possesso dell'amministrazione. 

5. I REGOLAMENTI SULL'ACCESSO ADOTIATI DALLE SINGOLE AMMINISTRAZIONI 
5.a -Premessa. 
L'individuazione dei documenti inaccessibili per ragioni di riservatezza costituisce 
il minimo comune denominatore nei regolamenti adottati dalle singole amministrazioni 
ai sensi dell'art. 24, quarto comma, legge 241/1990 perch� la privacy 
non � un interesse pubblico, come tale inerente alle specifiche competenze demandate 
alle amministrazioni, bens� un interesse privato che pu� attraversare trasversalmente 
le competenze di tutte le amministrazioni. Ed � per questo che non mancano 
regolamenti in cui gli unici documenti sottratti all'accesso sono quelli contenenti 
dati riservati. 

Uno dei principali problemi di fronte al quale si � trovata la Commissione in 
sede di esame dei regolamenti � stato quello della individuazione, con sufficiente 
grado di certezza, delle categorie di documenti da sottrarre all'accesso per ragioni di 
riservatezza considerato che ai sensi dell'art. 8, quarto comma, decreto del Presidente 
della Repubblica 352/1992 le categorie di documenti inaccessibili �riguardano 
tipologie di atti individuati con criteri di omogeneit� indipendentemente dalla 
loro denominazione specjftca�. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STA'l'O' 

Infatti le categorie di documenti sottratti all'accesso per la salvaguardia degli 
altri interessi (pubblici) previsti dall'art. 24, secondo comma, lett. a), b) e c) legge 
241/1990 possono essere individuate in relazione alla funzione amministrativa esercitata 
ed anche eventualmente alle varie tipologie di procedimenti amministrativi 
che devono essere determinate ai sensi dell'art. 2, secondo comma, legge 241/1990. 

Invece i documenti inaccessibili per ragioni di riservatezza appaiono pi� difficilmente 
riconducibili a categorie tipiche predeterminate-in quanto non � sempre 
possibile sapere a priori se un certo tipo di documento amministrativo conterr� o 
meno dati riservati. Ed � per questo che talvolta gli schemi di regolamento adottati 
dalle amministrazioni in realt� non contengono alcuna individuazione di categorie 
di documenti inaccessibili per ragioni di riservatezza bens� si limitano a ripetere la 
generica formulazione contenuta nell'art. 8, quinto comma, lett. d) decreto del Presidente 
della Repubblica 352/1992 che detta i criteri per l'individuazione dei casi di 
esclusione dell'accesso. 

La Commissione ha pi� volte rilevato che tali disposizioni regolamentari sono 
illegittime in quanto, non individuando a priori le categorie di documenti inaccessibili 
per ragioni di riservatezza, violano il principio di tassativit� dei casi di esclusione 
del diritto di accesso secondo il quale tutti i documenti sono accessibili ad ! 
eccezione soltanto di quelli che appartengono alle categorie individuate dalle singole 
amministrazioni. 1

~ 

Tuttavia lobiettiva difficolt� di individuare tipologie di documenti inaccessibili ~ 
Per ragioni di riservatezza, ha talvolta reso necessario lasciar correre su alcune formu-~ 
!azioni in cui i casi di inaccessibilit� sono stati individuati pi� con riferimento all'esi-genza 
di riservatezza da proteggere che a categorie tipiche di documenti riservati. 

I: 
5.b -Il trattamento retributivo dei pubblici dipendenti. 
Tra le tipologie di documenti sottratti all'accesso per ragioni di riservatezza la 
Commissione si � spesso pronunciata su quelli relativi alla retribuzione nel pubblico 
impiego ed ha costantemente affermato che il trattamento economico dei pubblici 
dipendenti, essendo previsto dalla legge o dalla contrattazione collettiva, non 
costituisce un dato riservato se non limitatamente alla specifica situazione retributiva 
del singolo impiegato risultante dalla c.d. busta paga la cui conoscibilit� potrebbe 
portare alla rivelazione di fatti personali di carattere riservato (ad es. un pignoramento 
presso terzi, la cessione di una quota dello stipendio, l'iscrizione ad un 
sindacato, determinate ritenute previdenziali ed assistenziali). Nello stesso senso si 
� successivamente pronunciato anche il Garante per la protezione dei dati personali 
in data 16 settembre 1997. 

II

5.c -L'accesso agli atti interni e ai c.d. appunti. w 
La Commissione si � sempre pronunciata per l'illegittimit� delle disposizioni 
regolamentari che sottraggono all'accesso gli atti interni in quanto l'art. 22, secon


I 

do comma, legge 241/1990 contempla espressamente anche tale categoria di atti nel~:
1 
l'ampia nozione di documento amministrativo. 
Inoltre � stato affrontato il problema dell'accessibilit� dei c.d. appunti (per il . 


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ministro o il capo dell'ufficio) ovvero dei resoconti o delle relazioni che a volte ven-.

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PARTE Il, DOTIRINA 

gono sottoposti all'esame dell'organo di vertice dell'amministrazione in vista del


l'adozione di un provvedimento amministrativo. 

Al riguardo la Commissione, in coerenza con il principio secondo il quale la riser


vatezza dell'amministrazione non costituisce un limite al diritto di accesso, ha rileva


to che quando i c.d. appunti, anche se redatti su carta non intestata o addirittura a 

mano, concorrono in qualsiasi modo allo svolgimento dell'azione amministrativa (per


ch� ad esempio riferiscono sull'istruttoria procedimentale, contengono una proposta o 

un parere o comunque rappresentano una determinazione sostanzialmente rilevante ai 

fini amministrativi), allora non possono essere sottratti alla disciplina dell'accesso. 

Sono invece inaccessibili evidentemente quelle annotazioni che, avendo carat


tere personale, costituiscono la mera rappresentazione grafica di un pensiero che 

non si traduce in una vera e propria determinazione volitiva avente rilevanza, anche 

interna, ai fini amministrativi. Tali annotazioni sono sottratte all'accesso in senso 

assoluto (e non nei limiti di cui all'art. 24, secondo comma, lett. d), legge 241/1990) 

perch� non rientrano nella nozione di documento amministrativo e quindi a pre


scindere dal carattere riservato o meno delle informazioni che contengono. 

5.d -La riservatezza nel rapporto tra la parte ed il suo difensore. 
La Commissione ha sottratto alla disciplina dell'accesso gli atti relativi all'attivit� 
difensiva -intesa in senso lato come comprensiva sia degli atti giudiziari sia dei 
pareri legali relativi a liti in atto o in potenza -rilevando che non si tratta di documenti 
amministrativi in quanto non concorrono allo svolgimento dell'azione amministrativa, 
bens� all'esercizio di un diritto costituzionalmente garantito qual � appun. 
to il diritto di difesa il quale non pu� che essere esercitato ad armi pari, ovvero nel 
reciproco rispetto del necessario riserbo che deve caratterizzare il rapporto tra la 
parte ed il suo difensore e secondo le regole di accesso agli atti del giudizio dettate 

dalle norme processuali. 

Quindi i pareri legali dell'Avvocatura dello Stato relativi a liti in atto o in poten


za, gli atti defensionali e la relativa corrispondenza con le amministrazioni sono sot


tratti all'accesso in senso assoluto (e non nei limiti di cui all'art. 24, secondo 

comma, lett. d), legge 241/1990) perch� non sono documenti amministrativi e 

comunque sono coperti dal segreto professionale. 

Invece nei casi di consulenza legale non correlata ad una lite in atto o in poten


za il parere dell'Avvocatura dello Stato � soggetto alla disciplina della trasparenza 

perch� concorre allo svolgimento dell'azione amministrativa ma l'accesso pu� 

essere differito fino all'adozione dei provvedimenti cui la consulenza stessa � 

preordinata. 

5.e -Il c.d. protocollo riservato. 
In altre occasioni la Commissione ha dichiarato illegittima l'istituzione di un protocollo 
riservato al fine di sottrarre all'accesso tutti i documenti ad esso relativi sottolineando 
che l'individuazione delle categorie di documenti inaccessibili per ragioni di 
riservatezza deve essere effettuata in considerazione del loro contenuto e non sulla 
base di un dato puramente formale (com'� appunto il c.d. protocollo riservato) il quale 
pu� prestarsi a strumentalizzazioni per eludere la disciplina sull'accesso. 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO srA'ro

48 

5.f-La riservatezza dell'imprenditore concessionario di pubblico servizio. 

Il fenomeno delle privatizzazioni ha reso necessario riconoscere il diritto di 
accesso anche nei confronti dei concessionari di pubblici servizi in quanto oggi non 
sono pochi gli interessi pubblici di notevole rilevanza economica e sociale che vengono 
gestiti da imprese di diritto privato. 

In sede di esame dei regolamenti adottati da tali soggetti si � spesso riproposto 
il problema della tutela della riservatezza del concessionario imprenditore che rivendica 
il proprio diritto di non far conoscere le informazioni riservate che attengono 
alla sua strategia produttiva o commerciale. 

Infatti, in campo economico � fortemente avvertito il pericolo che il diritto di 
accesso sia utilizzato non gi� per esigenze di trasparenza dell'attivit� amministrativa 
di diritto privato bens� per interessi di spionaggio imprenditoriale. 

La Commissione si � mostrata consapevole di questo rischio ed ha affermato 
che i concessionari di pubblico servizio sono soggetti alla disciplina dell'accesso 
solo per la parte della loro attivit� che � strettamente inerente all'oggetto amministrativo 
della concessione, pertanto i documenti relativi all'attivit� prettamente 
imprenditoriale svolta dal concessionario non sono accessibili perch� non sono 
documenti amministrativi e non gi� perch� sono documenti riservati. 

La conseguenza pratica di tale distinzione non � di poco conto perch� l'inclusione 
nella categoria dei documenti riservati non comporta, come abbiamo 
visto, l'inaccessibilit� totale, dovendosi comunque garantire la visione del documento 
quando essa � necessaria per curare o difendere un interesse giuridico, mentre 
la sottrazione alla disciplina dell'accesso perch� non si tratta di documenti 
amministrativi sfugge anche a tale facolt� di visione essendo negato in radice l'oggetto 
dell'accesso. 

5.g -Riservatezza ed uso del documento a fini commerciali. 
In alcuni schemi di regolamento sottoposti all'esame della Commissione compaiono 
disposizioni contenenti il divieto di utilizzazione a fini commerciali dei 
documenti ottenuti attraverso l'accesso. 

Tale divieto, che viene in genere formulato nell'ambito delle disposizioni a tutela 
della riservatezza, appare pi� propriamente finalizzato alla protezione dei diritti 
di privativa in quanto serve ad evitare che l'accesso sia utilizzato per aggirare le 
norme sul diritto di autore e sulle invenzioni industriali. 

La Commissione si � costantemente pronunciata nel senso che tale divieto, oltre 
ad essere estraneo all'oggetto del potere regolamentare demandato alle singole 
amministrazioni dall'art. 24, quarto comma, legge 241/1990, esula dalla disciplina 
dell'accesso perch� nessuna norma della legge 241/1990 o del decreto del Presidente 
della Repubblica 352/1992 limita l'uso che pu� essere fatto delle copie dei 
documenti ottenuti mediante l'accesso. Pertanto dette copie, una volta legittimamente 
acquisite, possono essere liberamente utilizzate nel rispetto dei limiti previsti 
dall'ordinamento i quali per� devono ritenersi estranei alla normativa sulla trasparenza 
la quale non condiziona l'accesso all'utilizzo esclusivo dei documenti per lo 
scopo per il quale � stato richiesto ed ottenuto l'accesso. 


PARTE Il, DOTIRINA 

49 

6. L'ENTRATA IN VIGORE DELLA LEGGE 675/96 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

50 

ed � contenuta nell'art. 24, secondo comma, lett. d) legge 241/1990 il quale gi� disciplina 
compiutamente il bilanciamento tra accesso e riservatezza; 2) ci� trova conferma 
nell'art. 43, secondo comma legge 675/1996 il quale, facendo espressamente 
salve le norme sull'accesso, richiama implicitamente anche la suddetta disposizione. 

Al riguardo occorre per� anche considerare, in favore della tesi da ultimo affermata 
dal Consiglio di Stato, che ai sensi dell'art. 22, terzo comma, legge 675/1996 
la disposizione di legge che autorizza la comunicazione a terzi dei dati personali 
sensibili deve specificare �i dati che possono essere trattati, le operazioni eseguibili 
e le rilevanti finalit� di interesse pubblico perseguite�; il che lascia pensare che 
deve trattarsi di una disposizione speciale e non di carattere generale, com'� quella 
dettata dall'art. 24, secondo comma, lett. d) legge 241/1990 il quale si riferisce 
all'interesse alla riservatezza genericamente inteso senza contenere alcuna individuazione 
specifica di dati sensibili. 

Infine non va dimenticato che l'art. 43, secodo comma, legge 675/1996 fa salve 
le �isposizioni sull'accesso �in quanto compatibili� e quindi, come affermato nella 
sent. 59/1999, non esclude a priori che le nuove disposizioni sulla tutela della privacy 
possano aver modificato il regime di accessibilit� di quei documenti amministrativi 
che contengono �i dati personali idonei a rivelare l'origine razziale ed etnica, 
le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, 

l'adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, 

~ 

filosofico, politico o sindacale, nonch� i dati personali idonei a rivelare lo stato di ;salute e la vita sessuale�. 

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Tale nuova interpretazione del rapporto tra le due leggi non significa tuttavia 
che l'art. 24, secondo comma, lett. d), legge 241/1990 sia stato abrogato in quanto 
esso continuer� a regolamentare il bilanciamento tra eccesso e riservatezza per tutti 
i documenti amministrativi che contengono dati riservati ma non sensibili, come ad 
esempio quelli relativi alla riservatezza dell'impresa. 

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FRANCESCO SCLAFANI 

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L'accesso ai documenti amministrativi e il rispetto della legge sulla privacy, 
con particolare riferimento all'attivit� contrattuale di diritto privato della 
Pubblica Amministrazione.(*) 

1. La tutela della riservatezza secondo la legge 241/1990 ed il decreto del Presidente 
della Repubblica 352/1992: considerazioni generali-2. Rapporti tra la legge n. 
241del1990 e la legge n. 675 del 1996-3. La legge n. 675del1996 con riferimento 
ai dati personali effettuati dalle Amministrazioni Pubbliche: problematiche 
-4. L'attivit� contrattuale della pubblica Amministrazione : considerazioni 
generali -5. In particolare, la giurisprudenza del Consiglio di Stato in 
materia di rapporti tra accesso e riservatezza riguardo l'attivit� di diritto privato 
della pubblica amministrazione -6. Considerazioni conclusive. 
1. L'art. 24, secondo comma, della legge n. 241 del 1990 e l'art. 8, quinto 
comma del decreto del Presidente della Repubblica n. 352 del 1992 prevedono 
espressamente la riservatezza quale interesse di natura �privata� rispetto ad interessi 
pubblici come la sicurezza, la difesa nazionale, le relazioni internazionali, la 
politica monetaria e valutaria, l'ordine pubblico e la prevenzione e repressione della 
criminalit�. E lo stesso art. 24, secondo comma, lett. d) della legge n. 241/1990 parla 
espressamente di �riservatezza di terzi, persone, gruppi ed imprese� e non anche di 
riservatezza dell'amministrazione. 
In effetti, la legge n. 241 del 1990 ha inteso garantire il principio della piena 
conoscibilit� dell'azione amministrativa, e sembra che non possa configurarsi un 
diritto alla riservatezza della Pubblica Amministrazione fuori dalle ipotesi dell'esclusione 
del diritto di accesso per la tutela di particolari interessi pubblici espressamente 
indicati dall'art. 24, secondo comma, legge n. 241 cit., per loro natura 
diversi e distinti dal diritto alla cosiddetta �riservatezza� in senso proprio. 

2. La giurisprudenza, la dottrina e lo stesso Garante per la protezione dei dati 
personali si sono gi� pi� volte pronunciati in ordine ai rapporti tra la disciplina 
sull'accesso alla documentazione amministrativa e quella introdotta dalla legge 31 
dicembre 1996, n. 675 (intitolata �Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto 
al trattamento dei dati personali� (1) a tutela della vita privata dell'individuo. 
(*)Rielaborazione del testo della relazione tenuta dall'avvocato Gabriella MANGIA al Convegno 
organizzato dalla Societ� ITA Convegni e Formazione sul tema �L'accesso ai documenti 
amministrativi nel rispetto della legge sulla privacy�, tenutosi a Roma il 9 aprile 1999. 

(1) Sulla legge n. 675 del 1996 si vedano, tra i primi commenti, CUFFARo-R1ccrnTO, La 
disciplina del trattamento dei dati personali, Torino 1997; BUITARELLI, Banche dati e tutela della 
riservatezza, Milano 1997; AA.VV., Tutela della privacy (legge 31dicembre1996 n. 675), Padova 
1999. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO"

52 

Si � detto, infatti, che la normativa in materia di tutela dei dati personali, come 
espressamente disposto dall'art. 43, comma 5, della legge n. 675, non ha abrogato le 
norme in materia di accesso ai documenti amministrativi e che l'applicazione della 
legge sulla privacy non comporta un regime di assoluta riservatezza dei dati, dovendosi 
verificare caso per caso se sussistano altri diritti o interessi meritevoli di pari o 
superiore tutela, come si verifica in relazione al diritto di accesso ( cfr., Consiglio di 
Stato, sez. IV, 27 agosto 1998, n.1137 (2); Garante per la protezione dei dati personali, 
provvedimento 16 settembre 1997; Garante per la protezione dei dati personali, 
risposta a quesito del Sindaco del Comune di Marradi ( Fi) in data 8 giugno 1998). 

In realt�, la volont� del legislatore del 1996 � stata quella di non compiere alcun 
passo indietro rispetto alle esigenze di pubblicit� e trasparenza poste alla base di 
tutta la disciplina relativa all'accesso ai documenti della pubblica Amministrazione. 

Infatti, la legge n. 675 del 1996 non ha introdotto un regime di assoluta riservatezza 
dei dati e occorre verificare caso per caso l'esistenza di altri diritti o interessi 
di pari o superiore tutela. Tra tali diritti, si � detto, rientra sicuramente l'accesso 
ai documenti amministrativi, che � tuttavia riconosciuto solo a chi sia titolare di 
un interesse personale e concreto in relazione alla tutela di situazioni giuridicamente 
rilevanti (art. 22, legge n. 241 del 1990; art. 2, decreto del Presidente della 
Repubblca n. 352 del 1992). 

L'aspetto che merita maggiormente di essere sottolineato � che la sussistenza di 
tale diritto nei casi concreti deve essere riscontrata dalla stessa amministrazione nei cui 
confronti l'interessato eserciti il diritto di accesso, anzich�, a posteriori, dal Garante. 

L'Autorit� per la protezione dei dati personali pu� semmai intervenire, in via preventiva 
o successiva, per fornire chiarimenti o quando il dato sia stato (o stia per essere) 
comunicato o diffuso oltre l'ambito consentito dall'esercizio del diritto di accesso. 

Sicch� il sistema ha finito con il confermare gli ambiti delle rispettive competenze: 
quella delle singole amministrazioni da un lato e quella del Garante dall'altro. 

3. La stessa legge n. 675 del 1996 prevede per i soggetti pubblici una particolare 
disciplina, che rende possibile divulgare a terzi le informazioni personali contenute, 
ad esempio, in archivi, elenchi, registri, atti o documenti delle singole amministrazioni, 
quando tale operazione sia effettuata secondo una puntuale disposizione 
di legge o di regolamento (art. 27, comma 3 legge n. 675 cit.): le amministrazioni 
pubbliche, quindi, possono comunicare o diffondere a privati i dati personali da esse 
detenuti, qualora vi sia una disposizione normativa che preveda espressamente un 
regime di conoscibilit� o di pubblicit� dei dati o degli atti che li contengono. 
A livello locale, la legge n. 142/1990 impone ai Comuni la pubblicit� degli atti, 
sia per quanto riguarda i provvedimenti adottati sia per i documenti introdotti, acquisiti 
o detenuti nel corso dei procedimenti amministrativi dell'ente locale e prevede 
I'accesso, attraverso la loro consultazione o il rilascio di copie, ad eccezione degli 
atti riservati per espressa indicazione di legge o per effetto di una temporanea e 

(2) La sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, 27 agosto 1998, n. 1137 � pubblicata in Il 
Cons. Stato, 1998, 1, 1140; cfr. anche, sui rapporti tra la legge n. 24 1 del 1990 e il diritto alla 
riservatezza, prima dell'entrata in vigore della legge n. 675 del 1990, Cons. Stato, Ad. Plen., 4 
febbraio 1997 n. 5, in Foro it. 1997, III, 199 ss., con nota di richiami. 

PARTE II, DOTTRINA 

53 

motivata dichiarazione del Sindaco quando la loro diffusione possa pregiudicare il 
diritto alla riservatezza di persone, gruppi o imprese (art. 7, commi 3 e 4, della legge 
Il. 142/1990). 

Come � noto, deve essere, comunque, garantita l'esigenza che i dati acquisiti 
in sede di accesso alla documentazione amministrativa e di partecipazione al procedimento 
amministrativo siano utilizzati esclusivamente per la cura e la tutela degli 
interessi che hanno giustificato laccesso. 

Inoltre, la legge n. 675 del 1996 deve essere considerata per tener conto, al 
momento in cui si deve consentire laccesso ai documenti amministrativi in conformit� 
alle leggi nn. 142 e 241 del 1990, del nuovo livello di tutela della riservatezza 
assicurato oggi nel nostro ordinamento riguardo specificamente la rafforzata tutela 
dei dati sensibili e cio� i dati personali �idonei a rivelare l'origine razziale ed etnica, 
le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l' adesione 
a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso , filosofico, 
politico o sindacale, nonch� i dati personali idonei a rilevare lo stato di salute 
e la vita sessuale� ( art. 22, primo comma, legge n. 675 cit. ). 

Ai sensi dello stesso art. 22 summenzionato, i soggetti pubblici possono 
trattare i dati sensibili, inclusi quelli attinenti alla salute, soltanto su autorizzazione 
di �espressa disposizione di legge nella quale siano specificati i dati che 
possono essere trattati, le operazioni eseguibili e le rilevanti finalit� di interesse 
pubblico perseguite�; inoltre, ai sensi dell'art. 27, comma 3 della legge medesima, 
�la comunicazione e la diffusione dei dati personali da parte di soggetti 
pubblici a soggetti privati... sono ammesse solo se previste da norme di legge o 
di regolamento�. 

Al riguardo, il Consiglio di Stato ha affermato, con una recente pronuncia ( la 
quale contiene, peraltro, affermazioni non del tutto conformi ad altre contenute in 
precedenti sentenze e, quindi, la questione potrebbe essere esaminata in futuro 
dall'Adunanza Plenaria) che, dopo l'entrata in vigore della legge n. 675 del 1996, 
nel caso di richiesta di accesso a documenti contenenti dati personali sensibili relativi 
a terzi posseduti da una pubblica Amministrazione, �il diritto alla difesa prevale 
su quello alla riservatezza solo se una disposizione di legge espressamente consente 
al soggetto pubblico di comunicare a privati i dati oggetto della richiesta� ( cfr., 
Cons. Stato, sez. VI, 26 gennaio 1999, n. 59 (3)). 

Lo stesso art. 27 della legge n. 675 del 1996, che consente alla P.A. di comunicare 
e di diffondere dati personali (in particolare quando la comunicazione avvenga 
verso soggetti privati) solamente se vi � una espressa disposizione di legge o di regolamento 
che lo consenta, ha fatto in modo che il Garante per la protezione dei dati 
personali riscontrasse, di volta in volta, la specifica normativa primaria e secondaria 
di riferimento . 

Particolare attenzione, per�, deve essere posta a non utilizzare la legge n. 241 
del 1990 in maniera indiscriminata e quindi a trasformare la Pubblica 
Amministrazione in una sorta di �banca dati� e addirittura per costringere 
l'Amministrazione stessa a compiere un facere. 

(3) Cons. Stato, sez. VI, 26 gennaio 1999, n. 59, in Il Cons. Stato 1999, I, 105 ss .. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO. 

54 

In particolare, il Garante per la protezione dei dati personali ha escluso che 
possa configurarsi un obbligo di un Comune relativamente alla possibilit� di consegnare 
a una impresa commerciale l'elenco di coloro che, a una determinata data, 
avevano avanzato istanza per il rilascio di una concessione edilizia. Il Garante si � 
espresso in senso negativo, in quanto la normativa urbanistica non prevede tale specifica 
modalit� di comunicazione che comporta un facere per l'amministrazione. 
Nel caso di specie, infatti, l'impresa commerciale chiedeva non tanto di accedere a 
determinati documenti (come previsto dall'art. 7 legge n. 142 del 1990) quanto piuttosto 
di ottenere dal Comune l'apposita redazione di uno specifico elenco corredato 
di particolari indicazioni, volto a documentare atti o documenti distintamente detenuti 
dall'amministrazione. 

4. Come � noto, la Pubblica Amministrazione pu� essere titolare di qualsiasi 
situazione giuridica -attiva o passiva -di diritto privato e pu� porre in essere 
ogni atto e negozio giuridico presi in considerazione da tale ripartizione del diritto. 
La caratteristica fondamentale di questa attivit� � che essa, pur essendo in tutto 
e per tutto disciplinata dalle regole di diritto privato, cosicch� l'amministrazione 
pubblica in tali vicende ha la stessa posizione di un qualsiasi soggetto privato che 
usufruisca dei negozi di diritto comune, � contemporaneamente una attivit� strumentale 
per il conseguimento di interessi pubblici. 

Nell'ambito dell'attivit� di diritto privato, quella che vede maggiormente attiva 
la P.A. � la cosiddetta attivit� contrattualistica, vale a dire quell'attivit� per la quale 
la stessa P.A. assume, mediante la stipulazione di un atto bilaterale (o anche plurilaterale, 
a seconda dei casi), obbligazioni giuridiche nei confronti di un altro soggetto 
-per lo pi� privato -in corrispettivo della prestazione da parte di quest'ultimo 
di una qualche utilit�. 

Nell'ambito della generale attivit� contrattuale posta in essere dalle pubbliche 
amministrazioni, notevolissima importanza riveste il contratto di appalto di 
opere pubbliche, sia per la frequenza con cui esso appare nella contrattualistica 
pubblica, sia per la notevole complessit� normativa che caratterizza tale figura 
contrattuale. 

In particolare, riguardo agli appalti pubblici si � posto il problema se, per verificare 
la capacit� tecnica e finanziaria dei concorrenti sia lecito chiedere informazioni relative 
non solo a tali soggetti, ma anche a terzi che in precedenti circostanze siano stati 
destinatari di simili forniture o servizi prestati dal medesimo partecipante alla gara. Si 
sono posti, poi, problemi in ordine alla necessit� di acquisire il consenso dei clienti ai 
quali si riferiscono le informazioni da fornire alle amministrazioni appaltanti. 

Riguardo ai suddetti problemi, � specificamente intervenuto il Garante per la 
protezione dei dati personali, il quale ha osservato che non si rinvengono ostacoli di 
principio al trattamento di tali dati. Anche in questa fattispecie, infatti, � applicabile 
il principio secondo cui i soggetti pubblici -a differenza dei privati e degli enti 
pubblici economici -non devono richiedere il consenso degli interessati per poter 
trattare dati riferiti a persone fisiche o giuridiche, ma devono piuttosto verificare che 
i singoli trattamenti siano riconducibili alle proprie finalit� istituzionali e siano posti 
in essere rispettando le specifiche limitazioni eventualmente previste dalle norme 
speciali di riferimento (art. 27, comma 1, legge n. 675 del 1996). 


PARTE Il, DOTIRINA 

La normativa vigente in materia di appalti pubblici di beni e servizi prevede che 
le amministrazioni possano richiedere ai concorrenti di dimostrare le proprie capacit� 
tecniche fornendo l'elenco dei principali servizi o forniture prestati negli ultimi 
tre anni, con l'indicazione degli importi, delle date e dei destinatari (art.14, decreto 
legislativo n. 157 del 1995 e art.14 decreto legislativo n. 358 del 1992). 

Il Garante ha evidenziato che le imprese partecipanti, laddove (come avviene nella 
prevalenza dei casi) si tratti di dati relativi allo svolgimento di attivit� economiche, possono 
comunicare alle amministrazioni i dati relativi ai terzi gi� destinatari di simili forniture, 
senza che sia necessario richiedere il consenso degli interessati (artt.12, comma 
1, lett./e 20, comma 1, lett. e della legge n. 675 del 1996). Resta per� ferma l'esigenza 
del rispetto della vigente normativa in materia di segreto aziendale e industriale. 

Il Garante per la protezione dei dati personali ha sottolineato, per�, la necessit� 
che le amministrazioni rispettino le vigenti disposizioni a tutela della riservatezza 
degli altri diritti delle societ� partecipanti alle gare, disposizioni previste nell'ordinamento 
anche al di fuori della legge n. 675 del 1996, ovvero nell'ambito della 
disciplina sugli appalti. Tali disposizioni prescrivono, tra l'altro, di chiedere le sole 
informazioni non eccedenti l'oggetto, tenendo in debito conto �gli interessi legittimi 
del concorrente relativi alla protezione di interessi tecnici e commerciali� (art.14, 
comma 3, decreto legislativo n. 157 del 1995, e in termini quasi identici, art.14, 
comma 3, decreto legislativo n. 358 del 1992). 

Al riguardo � stato osservato che la �riservatezza� delle societ� partecipanti a 
una gara � stata gi� presa in considerazione da leggi anteriori alla legge n. 675 del 
1996 (art. 14, comma 3, decreto legislativo n. 358 del 1992 e 14, comma 3, decreto 
legislativo n. 157 del 1995) nelle parti in cui prevedono che si possano chiedere 
informazioni non eccedenti l'oggetto dell'appalto e che vadano per� tenuti in considerazione 
�gli interessi legittimi del concorrente relativi alla protezione di interessi 
tecnici e commerciali�. 

Si deve, inoltre, evidenziare che pu� verificarsi che la disciplina normativa 
sugli appalti preveda la segretezza di particolari prestazioni oppure disponga che la 
esecuzione delle prestazioni stesse richieda speciali misure di sicurezza ai fini della 
protezione di interessi considerati essenziali per la sicurezza dello Stato. 

5. Si � detto che l'attivit� contrattuale della Pubblica Amministrazione risulta 
essere prevalentemente disciplinata in tutto e per tutto dalle regole di diritto privato, 
cosicch� l'amministrazione pubblica in tali vicende ha la stessa posizione di un 
qualsiasi soggetto privato che usufruisca dei negozi di diritto comune. 
Come � noto, peraltro, la fattispecie complessa del contratto pubblico si divide 
in due settori nettamente separati fra loro. Vi �, infatti, una fase che riguarda l'ambito 
del procedimento amministrativo, ove l'Amministrazione opera con poteri di 
supremazia, e una seconda fase che pu� ricomprendersi senz'altro nella disciplina 
tipica di natura negoziale, con le due parti contraenti -Pubblica Amministrazione 
e privato -in posizione di perfetta parit� giuridica. 

Riguardo la prima fase si tratta certamente dello svolgimento di una attivit� 
soggetta al diritto pubblico e tale �, ad esempio, la fase dell'affidamento di opera 
pubblica mediante gara, che giustifica l'applicabilit� della disciplina contenuta nella 
pi� volte citata legge n. 241 del 1990. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

56 

Diversa e pi� complessa si presenta la questione relativa all'applicabilit� della 
legge n. 241 del 1990 riguardo l'attivit� meramente privatistica della Pubblica 
Amministrazione. 

In effetti, sembra innegabile che il diritto di accesso rappresenti un naturale 
bilanciamento di una istituzionale posizione di supremazia dell'amministrazione e, 

come tale, non � ammissibile in una istituzionale posizione di parit�. 
Come � noto, sull'argomento � intervenuta, con le decisioni n. 4, 5, 6 del 1999 

(4) l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato secondo cui la ratio e il testo dell'art. 
22 della legge n. 241 del 1990 non consentono di affermare che l'accesso vada 
escluso per gli atti dell'Amministrazione disciplinati dal diritto privato: di conseguenza, 
l'accesso va escluso nei soli casi espressamente previsti dalla legge (cfr. 
l'art. 24 della legge n. 241 del 1990, l'art. 8 del decreto del Presidente della 
Repubblica n. 352 del 1992 e l'art. 4 del decreto legislativo n. 39 del 1997) ma non 
per il solo fatto che sia rivolto verso gli atti che, tenuto conto delle leggi amminilI 


strative di settore, sono disciplinati dal diritto privato. ~ 

L'affermazione contenuta nelle suddette sentenze, pur ampiamente e dettaglia-~ 
tamente motivata, pu� comportare l'insorgere di delicati problemi nelle complesse 
vicende che caratterizzano lattivit� di diritto privato della Pubblica � 
Amministrazione. 

Prima della pubblicazione di tali sentenze esisteva un orientamento giurispru-~ 
denziale restrittivo nel senso che l'attivit� di diritto privato della Pubblica ] 
Amministrazione doveva considerarsi esclusa dall'esercizio del diritto di accesso ~ 
perch� tale diritto riguarderebbe esclusivamente i documenti attinenti all'attivit� fil 
pubblicistica dell'Amministrazione ( cfr., ad esempio, Cons. Stato, sez. IV, 5 giugno il 
1995, n. 412 (5), in materia di accesso agli atti della S.A.C.E.) nell'ambito della fil 
quale il diritto di accesso fungerebbe da contrappeso in favore dell'amministrato nei 0 
confronti del soggetto pubblico che gode di posizioni di supremazia derivanti dal-I'. 
l'esercizio della funzione autoritativa. :,:',~. 

Un altro indirizzo giurisprudenziale reputava, invece, contraria alla ratio della ~ 
legge n. 241del1990 qualsiasi distinzione, ai fini della delimitazione dell'esercizio i=: 
dell'actio ad exhibendum, tra attivit� pubblicistica e privatistica dell'amministrazio-ID 
ne. Il diritto di accesso ai documenti amministrativi, cio�, sarebbe correlato dalla 

1�,.,_ 

legge 7 agosto 1990 n. 241 all'attivit� (e non agli atti) della Pubblica 
Amministrazione e, quindi, pu� essere esercitato anche nei confronti di documenti 
relativi ad atti di diritto privato della Pubblica Amministrazione ( cfr., ad esempio, ili 
Cons. Stato, sez. IV, 30 aprile 1998 n. 716 (6). ffi 

Successivamente, la sesta sezione del Consiglio di Stato, con due ordinanze in 

I 
data 2 settembre 1998 n. 1205 e 24 settembre 1998 n.1292 (7), ha deferito r 
all'Adunanza Plenaria delle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato la que-I 
stione se la disciplina sull'accesso debba ritenersi applicabile anche alla attivit� pri-f:: 

f~ 

~:

,:.�

(4) Le sentenze citate sono pubblicate in questa Rassegna, supra, I, 113 ss. 
(5) Cons. Stato, sez. IV, 5 giugno 1995, n. 412, in Il Cons. Stato 1995, I, 654 ss. 
(6) Cons. Stato, sez. IV, 30 aprile 1998, n. 716, in Il Cons. Stato 1998, I, 583 ss. 
(7) Le ordinanze sono pubblicate, rispettivamente, in Il Cons. Stato, 1998, I, 1317 ss. e idem, 
I, 1374 ss. 

PARTE Il, DOITRINA 

57 

vatistica dell'amministrazione (o del concessionario di pubblico servizio) o se, piuttosto, 
l'applicabilit� dell'istituto non sia da ritenere contenuta alle sole ipotesi di 
attivit� costituente espressione della funzione provvedimentale. 

L'Adunanza Plenaria ha deciso nel senso suesposto. 

In particolare, per�, a una prima e approssimativa lettura, sembrebbe che il 
Consiglio di Stato non ha affrontato il problema dell'esistenza, nell'esercizio dell'attivit� 
di diritto privato della Pubblica Amministrazione, di tutta una serie di 
documenti che sono puramente strumentali all'esercizio di un'impresa: ad esempio, 
i contratti di fornitura, i rapporti di servizio, l'organizzazione dei turni di lavoro del 
personale, i programmi di acquisto di beni; si tratta di atti che non hanno alcuna rilevanza 
pubblicistica per la preminente ragione che attengono al puro e semplice esercizio 
di impresa, pubblica o privata che sia. E il diritto di accesso non pu� allora trasformarsi 
in uno strumento di indagine e di ispezione di quanto si faccia 
nell'esercizio di una impresa. 

In realt�, ove l'ente agisca iure privatorum, non godendo di particolari potest� 
che lo pongano in una posizione di supremazia nei confronti del privato, non sembra 
essere del tutto giustificabile un potere di �intrusione� attraverso lo strumento 
dell'accesso. 

Si pu�, altres�, rilevare che l'applicazione generalizzata dell'istituto dell'accesso 
a qualsiasi tipologia di attivit� della Pubblica Amministrazione potrebbe comportare 
delle delicate e complesse questioni di costituzionalit� per violazione del fondamentale 
principio di uguaglianza e della libert� di iniziativa economica privata. 

Infatti, ritenere che il privato contraente possa avvalersi degli eccezionali ed 
intrusivi strumenti precostituiti dalla legge n. 241 del 1990 violerebbe sotto duplice 
profilo il fondamentale diritto di eguaglianza costituzionalmente sancito. 

Vi sarebbe cio� violazione del principio di uguaglianza riguardo il contraente 
privato, che disporrebbe di poteri tali da incidere insanabilmente sulla par condicio 
dei contraenti e delle parti del giudizio senza alcuna giustificazione razionale; vi 
sarebbe, poi, violazione del principio di uguaglianza nei confronti degli altri soggetti 
privati, esercenti con il medesimo fine di lucro la medesima attivit� dell'ente 
pubblico: gli stessi, infatti, potrebbero essere costretti ad esibire in giudizio interna 
corporis quali i verbali delle sedute di un consiglio di amministrazione. 

Lo stesso Consiglio di Stato, in precedenza, aveva espressamente affermato 
che nel corso dell'esecuzione di un contratto di appalto di opere pubbliche, 
l'Amministrazione agisce nella qualit� di parte (appaltante) di un rapporto contrattuale 
ed �, quindi, nella posizione di soggetto di diritto privato, con la conseguenza 
che non hanno natura autoritativa , bens� di atti paritetici facenti parte di un procedimento 
negoziale sia l'atto di approvazione del collaudo sia -a maggior 
ragione -gli atti interni di tale procedimento (relazione del direttore dei lavori, 
relazione �segreta� della Commissione di collaudo e relazione finale della 
Commissione stessa), in relazione ai quali non � configurabile il diritto di accesso 
di cui ali' art. 22 della legge 7 agosto 1990 n. 241 ( cfr. Cons. Stato, sez. V, 17 
dicembre 1996 n. 1559 (8). 

(8) Cons. Stato, sez. IV, 17 dicembre 1996, n. 1559, in Il Cons. Stato 1996, I, 1941 ss .. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

58 

In conclusione, sul problema dei rapporti tra legge n. 241 del 1990 e legge n. 
675 del 1996 riguardo i contratti della Pubblica Amministrazione, si pu� sostenere 
che, per quanto concerne lattivit� di diritto privato, esistono tuttora una serie di problemi 
e perplessit� sull'applicabilit� indiscriminata dei principi contenuti nella 
legge n. 241 del 1990 sul diritto di accesso. 

Infatti, il riferimento all'interesse pubblico che secondo alcuni potrebbe giustificare 
l'accesso all'attivit� di diritto privato della Pubblica Amministrazione non 
delimita alcuna fattispecie dall'altra e riguarda il fine ultimo che l'attivit� amministrativa 
persegue, senza incidere per� sulla natura dell'attivit� stessa, che rimane di 
diritto privato e soggiace alle regole del diritto privato. 

Peraltro, la logica e lo spirito della legge n. 241 del 1990 sono del tutto distanti 
dal consentire una operativit� del diritto di accesso anche per l'attivit� di diritto 
privato della Pubblica Amministrazione. 

Infatti, l'art. 23 della legge n. 241 del 1990 fa generale. riferimento alle 
�Amministrazioni dello Stato�; l'art. 24, comma 6, accenna allo �svolgimento del1'
azione amministrativa�; lart. 25 menziona i �documenti amministrativi� (comma 
19 e �determinazioni amministrative� (comma 5); la stessa norma fondamentale in 
materia (art. 22, comma 1) si riferisce alla �trasparenza dell'attivit� amministrativa�. 

Nel nostro ordinamento giuridico, il concetto di �amministrativo� sta proprio 
ad indicare (a differenza di quanto avviene, ad esempio, nei Paesi di common law) 
una attivit� caratterizzata dall'esercizio di potest� pubbliche autoritative, a fronte 
delle quali il privato si trova in posizione (pi� o meno ampia) di soggezione. 

Il testuale riferimento all'attivit� di �amministrazione� non pu� certamente 
che essere inteso nel senso di riferire e limitare i poteri di accesso all'attivit� 
della Pubblica Amministrazione che si estrinseca attraverso l'esercizio di poteri 
amministrativi. 

Una diversa interpretazione, come si � visto, violerebbe il dettato costituzionale, 
sia in relazione all'art. 3, perch� verrebbe inevitabilmente alterato il rapporto 
paritetico di diritto privato esistente con l'altro contraente, che in relazione all'art. 
41 della stessa Costituzione perch�, attraverso un accesso unilaterale di un contraente 
ai documenti dell'altro contraente (la Pubblica Amministrazione che, quale 
contraente privato ha una posizione necessariamente paritetica, e cio� non di 
supremazia ma neanche paradossalmente di soggezione) si verrebbe ad incidere 
direttamente sulla sua libert� di iniziativa economica privata, che risulterebbe quindi 
inevitabilmente limitata. 

GABRIELLA MANGIA 


CONSULTAZIONI 


ANTICHIT� E BELLE ARTI -Beni di interesse storico-artistico siti in zone sismiche Obbligo 
di denuncia -Deroghe. 

Interventi su beni di interesse storico artistico siti in zone sismiche: a) se sia 
obbligatorio ai sensi degli articoli 17 e ss. della legge 2 febbraio 1974 n. 64 il preventivo 
deposito del progetto presso l'Ufficio Regionale del Genio civile; b) nell'affermativa, 
se si applichi e quale sia la portata della deroga contenuta nell'art. 4 
della legge 5 novembre 1971 n. 1086 che esenta dall'obbligo di denuncia dei lavori 
le opere eseguite per conto dello Stato o delle regioni, province e comuni aventi 
un ufficio tecnico con a capo un ingegnere (es. 5981/1997). 

Cose di interesse artistico e storico -Premio di rinvenimento -Diritto -Presupposti. 

Premio di rinvenimento delle cose di interesse artistico e storico. Quesiti: a) 
quali siano i requisiti essenziali del soggetto rinvenitore; b) se, ai fini della sussistenza 
del diritto al premio, sia necessaria una relazione materiale tra rinvenimento 
e recupero o sia sufficiente la mera denuncia (es. 10590/1998). 

ARBITRATO -Arbitrato irrituale -Collegio Arbitrale di disciplina costituito ai sensi 
dell'art. 59 del decreto legislativo n. 29/1993 -Decisioni -Natura Impugnabilit�. 


Natura giuridica delle decisioni adottate dal Collegio Arbitrale di disciplina di 
cui all'art. 59 del decreto legislativo n. 29/1993. In particolare, se il lodo sia impugnabile 
e per quali vizi (es. 5526/1998). 

CALAMIT� PUBBLICHE. -Fenomeni alluvionali del 1994 -Benefici pubblici -
Cumulabilit� con l'indennizzo liquidato da impresa assicuratrice. 

Se i benefici pubblici disposti dall'art. 8 del decreto legge 19 dicembre 1994 n. 
691 conv. dalla legge 16 dicembre1995 n. 35, come integrato dalla legge 26 febbraio 
1996 n. 74, in occasione dei fenomeni alluvionali del 1994, siano cumulabili con l'indennizzo 
liquidato per lo stesso evento dalla impresa assicuratrice ovvero debbano 
riguardare soltanto la parte del danno non coperta dall'assicurazione (es. 7297/1998). 

Sisma della Campania e Basilicata -Danni arrecati ai proprietari di immobili 

requisiti -Somme corrisposte dallo Stato -Recupero mediante ingiunzione a 

carico degli occupanti -Competenza. 

Parere sul regime di riscossione e sulla competenza ad agire per il recupero 
delle somme corrisposte dal Dipartimento della protezione civile ai proprietari di 
immobili requisiti per i danni arrecati dagli occupanti (es. 13420/1998). 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO" 

60 

COMPETENZA CIVILE E PENALE -Misure di prevenzione -Sequestro di beni appartenenti 
ad associazioni di tipo mafioso -Richiamo alle forme prescritte dal codice 
di procedura civile in materia di esecuzione forzata -Limiti. 

Sequestro dei beni appartenenti ad associazioni di tipo mafioso. Interpretazione del 
rinvio contenuto nell'art. 2 quater della legge 31maggio1965 n. 575 alle forme prescritte 
dal codice di procedura civile per il pignoramento presso il debitore e presso il terzo ai 
fini del riconoscimento della competenza del giudice civile o penale (es. 13089/1998). 

COMUNIT� EUROPEA -Direttiva 93/38, C.E.E. che coordina le procedure di appalto 
di servizi -Lavori alta velocit� -Finanziamento -Rinnovabilit� mandato alle 
banche per la raccolta di fondi. 

Se l'operazione di finanziamento dei lavori dell'alta velocit� da parte della 
societ� TAV, concessionaria della progettazione, della costruzione e dello sfruttamento 
del sistema alta velocit�, con le modalit� del project finance sia assoggettabile 
alle procedure concorsuali di cui alla direttiva comunitaria servizi ed al decreto 
legislativo n. 158 del 1995. In particolare, se sia rinnovabile il mandato -scaduto 
-di organizzare la raccolta dei fondi alle banche gi� incaricate (es. 2986/1998). 

Libera circolazione dei beni e delle persone -Alienazione a stranieri di immobili in 
zone di confine o dichiarate di importanza militare -Autorizzazione del Prefetto, 
previo parere dell'Autorit� militare -Compatibilit� con il diritto comunitario. 

Se siano compatibili con il diritto comunitario, e particolarmente con il principio 
di libera circolazione dei beni e delle persone, le disposizioni di legge nazionale 
che sottopongono ad autorizzazione del Prefetto, previo parere dell'Autorit� militare, 
gli atti di alienazione di immobili situati in zone di confine o in zone dichiarate 
di importanza militare a cittadino straniero (es. 8071/1998). 

Quote latte -Prelievi per lo sfondamento delle campagne lattiere -Esperibilit� da 
parte dell'AIMA di azione giudiziaria per il pagamento prelievi ed il risarcimento 
del danno. 

Se sia esperibile da parte dell' AIMA azione giudiziaria nei confronti di imprese 
produttrici per il pagamento dei prelievi relativi allo sfondamento delle campagne 
lattiere e per il risarcimento del danno derivante dall'inadempimento di obbligazioni 
relative al controllo della produzione lattiera (es. 1611/1998). 

CONCESSIONI AMMINISTRATIVE IN GENERE -Secondo gestore della telefonia mobile Cessione 
partecipazione azionaria dell'impresa aggiudicatrice -Nulla osta 
ministeriale -Legittimit�. 

Terza fase dell'operazione Olivetti -Mannesmann. Parere circa la concedibilit� 
del nulla osta ministeriale al trasferimento a Mannesmann di tutte le partecipa



PARTE Il, CONSULTAZIONI 

zioni di Olivetti in OMNITEL, tenuto conto del sostanziale mutamento dell'azionista 
di riferimento dell'impresa aggiudicataria della concessione del secondo gestore 
della telefonia mobile (es. 3370/1999). 

CONTABILIT� PUBBLICA -Crediti della Pubblica Amministrazione da imposte ipotecarie 
per iscrizioni di ipoteche legali a garanzia del pagamento di spese di giustizia 
-Decesso dei debitori -Trasmissibilit� agli eredi. 

Se, alla luce della pronuncia della Corte Costituzionale n. 98 del 1988 ed in 
base al disposto dell'art. 11 n. 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 
635 del 1972, con la morte del condannato l'estinzione dell'obbligazione di restituzione 
delle spese del procedimento penale produca effetti estintivi anche sull'imposta 
ipotecaria a garanzia di tale pagamento prenotata a debito (es. 
10335/1998). 

CONTO CORRENTE -Conti correnti bancari intestati agli enti beneficiari dei contributi 
del fondo antiusura -Spese di gestione -Detraibilit� dagli interessi derivanti 
dal deposito affluenti al fondo antiusura. 

Se le spese di gestione -che in base all'art. 9, comma 3 del decreto del 
Presidente della Repubblica 11 giugno 1997 n. 315 sono detraibili dagli interessi 
derivanti dal deposito dei contributi ottenuti dagli enti chiamati alla garanzia dei 
finanziamenti richiesti da piccole e medie imprese a forte rischio finanziario, interessi 
che devono affluire al Fondo antiusura -siano da intendersi come limitate alle 
sole spese di gestione dei conti correnti bancari sui quali i contributi sono depositati 
o debbano riguardare anche le spese affrontate per personale, cancelleria, istruttorie 
delle pratiche dagli enti stessi (es. 7957/1998). 

FALLIMENTO ED ALTRE PROCEDURE CONCORSUALI -Liquidazione coatta amministrativa 
-Compensi spettanti ai commissari liquidatari di consorzi agrari in liquidazione 
coatta amministrativa. 

Se possa liquidarsi al commissario liquidatore cessato prima della chiusura 
della procedura un compenso, in via d'acconto o in via definitiva, per l'opera 
prestata, alla luce delle innovazioni introdotte dal D.M. delle risorse agricole 
5 luglio 1995, da ultimo succeduto al D.M. di grazia e giustizia 17 aprile 
1987, al D.M. di grazia e giustizia 28 luglio 1992 n. 570 ed al D.M. del lavoro 
28 gennaio 1992. 

Quali criteri siano da adottare nella liquidazione dei compensi onde garantire 
omogeneit�, equit� e proporzionalit� del compenso alle disponibilit� economiche 
della procedura (es. 1148/1997). 


62 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

GARANZIE -Ipoteca e sequestro conservativo ex art. 22 decreto legislativo n. 
472/1997 -Garanzia dei crediti nascenti da illecito amministrativo -Evasione 
tributi -Estensione -Presupposti. 

Iscrizione di ipoteca e autorizzazione al sequestro conservativo a norma del1' 
art. 22 del decreto legislativo 18 dicembre 1997 n. 472. Quesiti: a) se le misure 
cautelari stabilite dall'art. 22 siano applicabili soltanto a garanzie dei crediti nascenti 
da illecito amministrativo; b) se possa essere iscritta ipoteca a garanzia oltre che 
del credito per sanzioni, anche di quello per tributo evaso (es. 13186/1998). 

IMPIEGO PUBBLICO -Direttore amministrativo di azienda USL -Nomina -Requisiti Et� 
-Estensione alla rinnovazione ed alla riconferma. 

Interpretazione dell'art. 3, comma 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992 n. 

502: se il requisito dell'et� inferiore ai sessantacinque anni richiesto per la nomina 
a direttore amministrativo di azienda USL si estenda ai casi di rinnovazione e di 
riconferma nella carica (es. 7382/1998) 
Impiegati dello Stato -Rimborso delle spese di patrocinio legale -Applicabilit� al 
personale delle universit�. 

Se l'art. 18 del decreto legge 25 marzo 1997 n. 67, convertito nella legge 23 
maggio 1997 n. 135 concernente il rimborso delle spese di patrocinio legale sostenute 
dai dipendenti dello Stato sottoposti a procedimento penale, conclusosi con 
proscioglimento, per fatti connessi alla propria attivit�, sia applicabile anche al personale 
delle Universit� (es. 9032/1994). 

Impiegati dello Stato -Rimborso delle spese di patrocinio legale -Rimborsabilit� in 
favore di un componente del comitato di gestione di ente pubblico economico 
rappresentante del Ministero vigilante -Procedimento penale concluso anteriormente 
all'entrata in vigore del decreto legge 29 marzo 1997 n. 67. 

Se siano rimborsabili in favore di un componente del Comitato di gestione di 
ente pubblico economico le spese di patrocinio legale sostenute nel corso di processo 
penale da cui risulti prosciolto per fatti connessi a tale attivit�, ai sensi dell'art. 
18 del decreto legge 29 marzo 1997 n. 67 conv. in legge 135/1997 pur se il procedimento 
si sia concluso anteriormente alla sua entrata in vigore, ovvero in applicazione 
di analoga disposizione contenuta nel contratto collettivo di lavoro relativo al 
personale dell'ente (es. 12174/1997). 

Spese legali sostenute dal pubblico funzionario per procedimenti inerenti a fatti o 
atti connessi con 1 'espletamento del servizio -Rimborsabilit� da parte dello 
Stato -Presupposti. 

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Se il rimborso da parte dello Stato delle spese legali sostenute dal pubblico fun-I 
zionario per procedimenti inerenti a fatti o atti connessi con l'espletamento del ser-I 

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PARTE II, CONSULTAZIONI 

vizio e conclusi con il suo proscioglimento sia da ammettere esclusivamente nell'ipotesi 
di attivit� svolta in diretta connessione con i fini dell'amministrazione e ad 
essa imputabile e non sussista un conflitto di interessi (es. 7593/1998). 

Trasferimento d'ufficio del pubblico dipendente che ricopra carica elettiva in Ente 
locale -Condizioni. 

Quali siano le condizioni in presenza delle quali sia legittimo il trasferimento 
d'ufficio del pubblico dipendente che ricopra una carica elettiva in un Ente locale 
(es. 10925/1998). 

MUTUO -Mutui senza interessi concessi dal Commissario Straordinario Antiusura 
alle vittime dell'usura a valere sul Fondo di solidariet� -Prescrizione del reato 
di usura -Archiviazione -Effetti. 

Se la pronuncia di archiviazione per prescrizione del reato di usura comporti la 
revoca del mutuo concesso senza interessi a carico del �Fondo di solidariet� per le 
vittime dell'usura� ai sensi dell'art. 14, comma 9 della legge 7 marzo 1996 n. 108 
(es. 15165/1998). 

OBBLIGAZIONI -Esercizio della surroga da parte del Fondo di solidariet� in favore 
delle vittime dell'usura nei diritti dell'usurato nei confronti dell'autore del 
reato di usura -Limiti -Modalit� -Costituzione parte civile -Presupposti. 

A quali diritti dell'usurato nei confronti dell'autore del reato di usura sia esteso 
l'esercizio della surroga da parte del Fondo di solidariet� in favore delle vittime dell'usura 
prevista dall'art. 14 della legge n. 108/1996 a seguito dell'erogazione del 
mutuo pari all'importo degli interessi usurari. 

Se l'esercizio della surroga sia possibile nel processo penale a carico dell'autore 
del reato di usura mediante costituzione di parte civile del fondo (es. 8999/1996). 

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE -Contratti -Capitolati Speciali -Sostituibilit� dei capitolati 
d'oneri redatti su carta con compact disk non riscrivibili. 

Se alla ipotesi di sostituzione dei capitolati speciali allegati ai contratti della p.a. 
sia applicabile la normativa sulla validit� ed efficacia dei contratti stipulati dalla p.a. 
con strumenti informatici o telematici (art. 15 della legge 15 marzo 1997 n. 59 e 
decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1997 n. 513). 

Se tale sostituzione contrasti col principio della immediata e diretta conoscibilit� 
da parte del privato contraente delle condizioni generali di contratto predisposte 
dalla p.a. ed in modo specifico delle eventuali clausole vessatorie, nonch� col 
principio della trasparenza e dell'integrit� degli atti del procedimento (es. 
16368/1998). 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

REGIONI -Regione Siciliana -Funzioni conferite in materia di turismo Autorizzazione 
del Questore per l'esercizio del mestiere di guida turistica Effetti. 


Effetti del conferimento di funzioni concernenti la materia del turismo alle 
regioni ai sensi dell'art. 45 del decreto legislativo n. 112/1998 ed in particolare dell'abrogazione 
dell'art. 123 del TULPS che prevede il rilascio di autorizzazione da 
parte del Questore per l'esercizio del mestiere di guida turistica nelle regioni a statuto 
ordinario ed in quelle a statuto speciale. 

Quesito concernente, in particolare, la regione siciliana (es. 4566/1998). 

RISCOSSIONE DELLE ENTRATE PATRIMONIALI -Abusiva occupazione di beni demaniali 
e patrimoniali dello Stato -Risarcimento del danno -Riscuotibilit� mediante 
ruoli. 

Se ai sensi del combinato disposto degli articoli 2 e 7 del decreto legislativo n. 
237/1997 l'amministrazione possa accertare autoritativamente l'esistenza dell'abusiva 
occupazione e del credito risarcitorio, potendo poi procedere all'iscrizione a 
ruolo del credito stesso (es. 9466/1998). 

TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI -Diritti doganali -Zucchero importato in esenzione in 
Valle d'Aosta con vincolo all'immissione ivi in consumo -Commercializzazione 
nel territorio nazionale -Liceit�. 

Se sia da considerarsi illecita immissione in consumo la commercializzazione 
nel territorio nazionale diverso dalla Valle d'Aosta dello zucchero e dei prodotti 
ottenuti dalla trasformazione dello zucchero importato in esenzione di diritti doganali 
in quella regione con vincolo all'immissione ivi in consumo (es. 5610/1997) 

Gas metano utilizzato come combustibile e come materia prima in impianti che ne 
realizzano la trasformazione chimica -Accisa -Imposta regionale sostitutiva. 

Se sul gas metano utilizzato come combustibile e come materia prima in 
impianti che ne realizzano la trasformazione chimica, non sottoposto ad accisa, sia 
dovuta l'imposta regionale sostitutiva per le utenze esenti (es. 9424/1998). 

Imposte erariali di consumo -Tributi locali -Addizionali alla imposta erariale di 
consumo di energia elettrica -Natura -Esenzioni ex T. U. accise -Applicabilit�. 

Se l'art. 60 del decreto del Presidente della Reppubblica 26 ottobre 1995 n. 
54 (T.U. sulle accise) -che riordina la legislazione sulle imposte erariali di consumo 
-che stabilisce che le disposizioni del titolo sulla energia elettrica valgono 
anche per le addizionali quando per la loro applicazione sono previste le stes



PARTE Il, CONSULTAZIONI 

se modalit� dell'imposta di consumo, in combinato con l'art. 52, comma 2 che 
definisce le esenzioni dall'imposta di consumo, sia applicabile alle addizionali 
istituite con l'art. 6 del decreto legge 28 novembre 1998 n. 511 (c.d. addizionale 
locale) e con l'art. 4 del decreto legge 30 settembre 1989 n. 322 (c.d. addizionale 
erariale) (es. 12140/1998). 

TRIBUTI IN GENERALE -Diritto al rimborso di imposte dirette o indirette -Istanza di 

rimborso -Silenzio dell'Amministrazione -Termine di prescrizione del diritto 


Decorrenza -Sospensione. 

Se in pendenza del procedimento amministrativo iniziato su istanza del contribuente 
per l'ottenimento del rimborso di imposte dirette o indirette non conclusosi 
mediante decisione amministrativa corra il termine di prescrizione del diritto (es. 
2924/1996). 

Estinzione crediti tributari -Mediante compensazione legale con tributi erariali 
iscritti a ruolo -Presupposti. 

a) Se operi la compensazione tra debiti tributari iscritti a ruolo e crediti derivanti 
da imposte diverse e quali siano i presupposti. b) Quale sia l'autorit� giudiziaria 
competente a conoscere dell'impugnazione della compensazione. c) Se la compensazione 
sia possibile tra crediti tributari che fanno capo ad uffici finanziari 
diversi. d) Con quali mezzi debba essere comunicata la compensazione al contribuente 
(es. 15760/1998). 

URBANISTICA -Opere costruite su aree sottoposte a vincolo -Parere delle autorit� 
preposte alla tutela del vincolo -Ipotesi di silenzio-assenso -Ampliamento 
comportante aumento di superficie o di volume -Applicabilit�. 

Intepretazione dell'art. 32, 2� comma della legge 28 febbraio 1985 n. 47 come 
novellato dall'art. 39 della legge 23 dicembre 1994 n. 724. Se il meccanismo del 
silenzio-assenso previsto per il parere delle amministrazioni preposte alla tutela del 
vincolo si applichi alle ipotesi di ampliamento che importino un aumento di superficie 
o di volume (es. 463/1996). 


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