~~ y ~ ......� ~ �.��� .�.�.�,�.'.�.�.�.�. t5t] >., <......�. .....-....,... .... ��� I? ~ < ~~> >'��������"' . o>. Progetto grafico dell'architetto CAROLINA VACCARO. GENNAIO -GIUGNO 1998 ANNO L-N. 1-2 RA��EGNA AVVOCATUJRA DELLO �TATO PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO ROMA1998 ABBONAMENTI ANNO 1998 ABBONAMENTO ANNuo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . L. 70.000 UN NUMERO SEPARATO � � � . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � . � 18.000 Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO Direzione Marketing e Commerciale Piazza G. Verdi, 10-00100 Roma e/e postale n. 387001 Stampato in Italia -Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma-Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 (1219069) Roma, 1998 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato -P.V. INDICE Parte prima: GIURISPRUDENZA Sezione prima: Sezione seconda: Sezione terza: Sezione quarta: Sezione quinta: Sezione sesta: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura di Ignazio Francesco Caramazza) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE (a cura di Oscar Fiumara) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE (a cura di Sergio Laporta) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura di Raffaele Tamiozzo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura di Carlo Bafile) . . . . GIURISPRUDENZA PENALE (a cura di Paolo di Tarsia di Be/monte) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. � � � � � 3 47 86 133 163 177 Parte seconda: DOTTRINA -RASSEGNA BIBLIOGRAFICA CONSULTAZIONI DOTTRINA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . RASSEGNA BIBLIOGRAFICA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CONSULTAZIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. � � 3 5 7 Comitato di redazione: C. Aiello -F. Basilica P. Gentili -D. Giacobbe -G. Mangia -G. Palmieri P. Palmieri -G.P. Palizzi -F. Quadri -F. Sclafani - L. Ventrella Hanno collaborato inoltre al presente numero: Maurizio Borgo Ivo Maria Braguglia -Roberto De Felice -Diana Ranucci La pubblicazione � diretta da PLINIO SACCHETTO ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, DOTTRINA M. BORGO, Aree edificabili od aree agricole: l'ineludibilit� di una alternativa. Brevi note di commento alla sentenza n. 261 /97 della Corte Costituzionale ed alla sentenza n. 2929/98 della Corte Suprema di Cassazione ............... . Il, 3 I. F. CARAMAZZA, Il segreto di Stato. . .................................. . I, 23 R. DE FELICE, Persuasori occulti elettorali: una tecnica repressiva insufficiente? .. I, 90 P. DI TARSIA DI BELMONTE, Ancora sul processo c.d. �delle foibe� . ............. . I, 207 P. DI TARSIA DI BELMONTE, Aspetti di diritto transitorio del nuovo testo del[' art. 513 c.p.p. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. I, 187 O. FIUMARA, Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica e rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia delle C.E. . .............................. . I, 47 G. PALMIERI, Breve nota in tema di indennizzo per lesione da vaccinazione obbligatoria antipolio. . .......................................... . I, 7 G. PALMIERI, Brevi osservazioni in tema di tutela cautelare ex art. 700 c.p.c. nel processo amministrativo. . ..................................... . I, 144 D. RANuccI, <<Abolitio criminis� e risarcimento del danno . .................. . I, 107 PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA ANTICHIT� E BELLE ARTI -Vincolo indiretto -Motivazione -Pregi paesaggistici e ambientali -Illegittimit�, 159. ASSICURAZIONI -Assicurazione obbligatoria per la circolazione stradale -Risarcimento del danno -Sinistro avvenuto su area pubblica o ad essa equiparata -Azione diretta del terzo danneggiato nei confronti della societ� assicuratrice -Ammissibilit� -Polizza relativa ai danni subiti su area privata Efficacia tra le parti contraenti, 104. ATTI AMMINISTRATIVI -Comunicazione dell'avvio del procedimento -Deroga -Ragioni di urgenza Non occorre, 140. CALAMIT� NATURALI -Terremoti -Requisizione di immobili effettuata dal Sindaco su delega del Commissario Straordinario di Governo Azione di risarcimento danni posta in essere dai proprietari degli immobili requisiti -Legittimazione passiva del1' Amministrazione statale delegante Sussistenza, 127. ' COMUNIT� EUROPEE -Corte di giustizia -Rinvio pregiudiziale Giurisdizione di uno degli Stati membri Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica -Parere del Consiglio di Stato, con nota di O. FIUMARA, 47. -Diritto doganale -Recupero di dazi all'importazione -Termine di prescrizione, 74. -Libera circolazione delle merci -Tutela della propriet� industriale e commerciale Diritto di marchio -Esaurimento comunitario, 65. -Libera circolazione delle merci -Tutela della propriet� industriale e commerciale Diritto di marchio -Uso del marchio per l'ulteriore commercializzazione del prodotto -Limiti -Profumo, 65. -Libera circolazione delle merci -Tutela della propriet� industriale e commerciale Diritto di marchio e diritto di autore -Uso pubblicitario da parte del rivenditore Limiti, 65. -Libera prestazione dei servizi -Attivit� di collocamento dei lavoratori -Esclusione delle imprese private -Esercizio dei pubblici poteri, 78. -Monopolio italiano dell'energia elettrica Diritti esclusivi d'importazione e di esportazione di energia elettrica -Libera circolazione delle merci -Misure statali incompatibili -Deroghe ammesse Posizione dell'ENEL -Compatibilit�, 51. CONCESSIONE EDILIZIA -Annullamento -Domanda in sanatoria Parere regionale -Annullamento ministeriale -Termine perentorio -Decorrenza Per errata valutazione difformit� opera ed omessa valutazione della compatibilit� ambientale -Legittimit�, 147. CONTABILIT� PUBBLICA -Fermo amministrativo -Applicabilit� Condizioni, 140. CORTE COSTITUZIONALE -Poteri della Corte -Individuazione del thema decidendum -Limiti della ordinanza di rimessione, 3. COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA -Dichiarazione d'illegittimit� costituzionale Successiva alla proposizione di ricorso per cassazione -Effetti nel relativo giudizio Limiti, 117. ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILIT� -Indennit� -Art. 5 bis legge n. 359/92 Riduzione del 40 per cento nei giudizi RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO VI pendenti -Nuova offerta da parte dell'espropriante -Necessit�, 122. -Indennit� -Terreni edificabili e terreni agricoli -Tertium genus -Inconfigurabilit�, 101. -Opposizione a stima -Determinazione del valore venale del terreno nella misura indicata dal consulente di parte -Obbligo di motivazione. -Sussiste, 123. -Opposizione a stima -Determinazione valore venale del terreno nella misura indicata dal C.T.U. -Difetto di motivazione -Deducibilit� col ricorso per cassazione Esclusione, 122. Opposizione a stima -Determinazione del valore venale del terreno nella misura indicata dal C.T.U. -Obbligo di specifica motivazione -Insussistenza, 123. Opposizione a stima -Opposizione ricon venzionale -Termine di cui all'art. 19 legge n. 865/1971 -Inapplicabilit� -Art. 167 cod. proc. civ. -Applicabilit�, 100. FAMIGLIA -Pubblico impiego -Aspettativa per ricongiungimento al dipendente statale in servizio all'estero -Esclusione per i dipendenti degli enti locali -Disparit� di trattamento -Legittimit�, 40. GIURISDIZIONE CIVILE -Giurisdizione ordinaria e amministrativa Cassa Depositi e Prestiti -Ente pubblico economico -Controversie d'impiego Giurisdizione dell' A.G.O., 110. -Principi Costituzionali -Ricorso per Cassazione contro decisioni dei Giudici Amministrativi -In genere -Decisione emessa in esito a giudizio di ottemperanza -Censura relativa alla interpretazione del giudicato ineseguito -Deduzione con ricorso per Cassazione ex art. 362 cod. proc. civ. -Inammissibilit�, 130. GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA -Appalto servizi pubblici -Provvedimenti d'urgenza -Art. 700 c.p.c. -Inammissibilit�, con nota di G. PALMIERI, 143. IMPIEGO PUBBLICO -Dipendenti Presidenza Consiglio Ministri Inquadramento -Art. 38 terzo comma legge n. 400/88 Ottava qualifica funzionale -Diploma di laurea -Non necessariet�, 133. -Servizi pubblici essenziali -Sciopero Precettazione -Violazione -Ordinanza irrogativa di sanzione pecunaria Opposizione -Giurisdizione ordinaria, 113. IMPUGNAZIONI CIVILI -Cassazione (Ricorso per) -Giurisdizioni speciali (impugnabilit�) -In genere Decisione emessa in esito a giudizio di ottemperanza -Censura relativa alla interpretazione del giudicato ineseguito Deduzione con ricorso per Cassazione ex art. 362 cod. proc. civ. -Inammissibilit�, 130. INDUSTRIA -Brevetti per invenzioni industriali Decadenza per mancato pagamento della tassa annuale -Reintegrazione nel diritto Condizioni -Inadempimento verificatosi nonostante la massima diligenza esigibile Nozione, 118. LAVORO -Tutela -Elettorato passivo -Esercizio funzioni pubbliche elettive -Garanzie costituzionali -Divieto trasferimento Limiti, 19. POSTE E RADIOTELECOMUNICAZIONI -Propaganda e pubblicit� elettorale -Divieti -Limiti alla libert� di espressione del pensiero -Valori costituzionali della libert� di scelta dell'elettore e della democraticit� della competizione -Giustificazione dei limiti, con nota di R. DE FELICE, 89. -Propaganda e pubblicit� elettorale -Divieti -Maggiori limitazioni imposte alla editoria televisiva rispetto alla stampa Irragionevole disparit� di trattamento Non sussiste, con nota di R. DE FELICE, 89. -Propaganda e pubblicit� elettorale Divieto assoluto di propaganda elettorale indiretta -Sussiste -Divieto assoluto di propaganda con i metodi della pubblicit� commerciale, definizione questa di �pubblicit� elettorale� -Sussiste -Divieto di propaganda elettorale diretta salvo le eccezioni di cui all'art. 2 L. 515/93 Sussiste, con nota di R. DE FELICE, 89. -Trasmissioni televisive -Propaganda e pubblicit� elettorale -Divieti -Propaganda elettorale indiretta -Trasmissione di serie INDICE ANALITICO ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA di interviste casuali ad anonimi cittadini sui loro orientamenti elettorali -� tale Divieto -Univoca individuabilit� del soggetto politico beneficiario -Irrilevanza, con nota di R. DE FELICE, 89. -Trasmissioni radiotelevisive -Propaganda e pubblicit� elettorale -Divieti -Sanzioni Definizione dei concetti di pubblicit� e propaganda con prowedimento del garante della radiodiffusione e dell'editoria Principio di legalit� -Violazione -Non sussiste, con nota di R. DE FELICE, 89. PROCEDIMENTO CIVILE -Ii:npugna~ioni. -Sentenze della Commiss10ne ncors1 avverso provvedimenti dell'Ufficio centrale brevetti -Ricorso per cassazione -Termine breve -Decorrenza dalla notificazione della sentenza a cura della Segreteria -Esclusione -Art. 327 cod. proc. civ. -Applicabilit�, 86. -Impugnazioni -Sentenze della Commissione ricorsi contro provvedimenti dell'Ufficio centrale brevetti -Ricorso per cassazione -Termine breve -Decorrenza Art. 327 cod. proc. civ. -Applicabilit�, 86. PROCEDIMENTO PENALE -Assicurazione obbligatoria per la responsabilit� civile auto -Citazione responsabile civile -Istanza della parte civile ma non dell'imputato -Illegittimit�, 35. - Decreto che dispone il giudizio -Mancata o insufficiente enunciazione del fatto contestato -Dichiarazione di nullit� e trasmissione al Gip per quanto di competenza -Legittimit�, 178. -Istruzione dibattimentale -Lettura delle dichiarazioni rese dall'imputato nel corso delle indagini preliminari o nell'udienza preliminare -Riforma. operata dalla legge 267 /1997 Disciplina transitoria Applicabilit� ai giudizi di cassazione in corso -Condizioni, con nota di P. DI TARSIA DI BEJ.,MONTE, 187. - Provvedimento abnorme -Definizione Impugnazione -Art. 111 Cost., 178. -Udienza preliminare -Sentenza �de plano� ex art. 129 c.p.p. -Abnormit�, con nota di P. DI TARSIA DI BELMONTE, 187. REATO -Attenuante della riparazione del danno Responsabilit� civile auto -Risarcimento dell'assicuratore -Idoneit�, 42. RESPONSABILIT� CIVILE -Fatto costituente reato -Successiva �abolitio criminis� -Rilevanza sull'azione risarcitoria -Esclusione, con nota di D. RANUCCI, 107. SANIT� -Diritto alla salute Danni da vaccinazione obbligatoria antipolio Indennizzo -Obbligo dello Stato Vaccinazioni ante I. n. 51/66 -Sussiste Illegittimit� in parte qua, con nota di G. PALMIERI, 6. -Diritto alla salute -Danni da vaccinazioni obbligatorie antipolio -Indennizzo -Misura per il passato -Discrezionalit� del Legislatore, con nota di G. PALMIERI, 6. SEGRETO DI STATO -Opposizione e conferma del Presidente del Consiglio -Conseguenti limiti al potere di indagine del pubblico ministero strumentali all'esercizio dell'azione penale, con nota di I. F. CARAMAZZA, 23. SPESE GIUDIZIALI IN MATERIA PENALE -Compenso al custode -Natura e procedura di liquidazione, 213. TRIBUTI (IN GENERALE) -Contenzioso tributario -Natura del processo -Provvedimento impugnabile Difetto -Improponibilit� della domanda - Rilevabilit� di ufficio, 163. -Contenzioso tributario -Ricorso per cassazione -Notifica -Irregolarit� nella consegna -Rinnovazione -Sanatoria, 173. -Riscossione -Sospensione dell'esecuzione -Poteri del G.O. -Limiti -Estensione del sistema ai contributi per le opere di bonifica -Illegittimit�, 3 TRIBUTI ERARIALI DIRETTI -Imposta sul reddito delle persone fisiche Redditi di lavoro dipendente Trattamento di fine rapporto -Polizza INA -Pagamento del capitai\. da parte dell'Istituto di assicurazione -E soggetto alla ritenuta di acconto. Quota corrispondente ai premi a carico del dipendente -Va scorporata, 169. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO VIII -Imposta sul reddito delle persone fisiche -TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI Reddito di impresa -Impresa minore -Imposta di registro -Acquisto della prima Rimanenze -Indicazione nel registro degli casa -Acquisto di due appartamenti contigui acquisti per il valore globale senza da riunificare -Considerazione unitaria ai specificazione -Recupero a tassazione, fini della superficie, 172. 165. -Imposta sul reddito delle persone fisiche -TRIBUTI LOCALI Soggetti passivi -Residenti nel territorio -Imposta comunale sull'incremento di dello Stato -Iscrizione nella anagrafe della valore degli immobili -Vendita con popolazione -Presunzione assoluta, 175. reinvestimento del corrispettivo nel -Rimborso -Istanza ex art. d.P.R. 29 1' acquisto di altro immobile -Agesettembre 1973 n. 602 -Va diretta volazione dell'art. 3 della legge 22 aprile all'intendenza di finanza -Presentazione 1982 n. 168. Vendita di immobile all'ufficio distrettuale delle imposte -personale e riacquisto di immobili in Non d� luogo alla formazione del comunione legale -Spettanza della silenzio, 163. agevolazione, 167. -,; ill ~ :-;}, ~:: {:: , . ' I . ~ ' ' ~ I I I, @ ii! I~! -II lllalrlllll'tl!l��11�1.1P111!�~~"8r� INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE 26 febbraio 1998, n. 26 .............................................. . pag. 3 26 febbraio 1998, n. 27 .............................................. . � 6 26 febbraio 1998, n. 28 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ................. . � 19 10 aprile 1998, n. 110 ............................................... . � 23 16 aprile 1998, n. 112 ............................................... . � 35 16 aprile 1998, n. 113 ............................................... . � 40 23 aprile 1998, n. 138 ............................................... . � 42 CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE Sa sez. 16 ottobre 1997, nelle cause riunite C-69 e 79/96 ..................... . pag. 47 Plenum, 23 ottobre 1997, nella causa C-158/94 ............................ . � 51 Plenum, 4 novembre 1997, nella causa C-337/95 .......................... . � 65 la sez., 6 novembre 1997, nella causa C-261/96 ........................... . � 74 6a sez., 11 dicembre 1997, nella causa C-55/96 ............................ . � 78 GIURISDIZIONI CIVILI CORTE DI CASSAZIONE Sez. Un., 13 novembre 1997, n. 11217 ................................... . pag. 163 Sez. I, 19 novembre 1997, n. 11515 ..................................... . � 165 Sez. I, 26 novembre 1997, n. 11864 ..................................... . � 167 Sez. I, 14 gennaio 1998, n. 257 ......................................... . � 86 Sez. I, 17 gennaio 1998, n. 365 ........................................ . � 169 Sez. I, 20 gennaio 1998, n. 477 ........................................ . � 89 Sez. I, 20 gennaio 1998, n. 483 ........................................ . � 100 Sez. I, 22 gennaio 1998, n. 563 ........................................ . � 172 Sez. I, 22 gennaio 1998, n. 566 ........................................ . � 173 Sez. I, 6 febbraio 1998, n. 1215 ........................................ . � 175 Sez. I, 6 febbraio 1998, n. 1223 ........................................ . � 86 Sez. III, 13 febbraio 1998, n. 1561 ...................................... . � 104 Sez. III, 19 febbraio 1998, n. 1761 ...................................... . � 107 Sez.Un., 23 febbraio 1998, n. 1948 ..................................... . � 110 Sez. Un., 27 febbraio 1998, n. 2185 ..................................... . � 113 Sez. I, 20 marzo 1998, n. 2924 ........................................ . � 117 Sez. I, 20 marzo 1998, n. 2940 ........................................ . � 122 Sez. I, 9 aprile 1998, n. 3669 .......................................... . � 127 Sez. Un., 6 maggio 1998, n. 4572 ...................................... . � 130 Sez. I, 27 giugno 1998, n. 6361 ........................................ . � 123 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO X GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE CONSIGLIO DI STATO Ad. plen., 3 febbraio 1998, n. 1 ........................................ . pag. 133 Sez. IV, 27 febbraio 1998, n. 350 ....................................... . � 140 Sez. IV, ordinanza 19 maggio 1998, n. 814 ............................... . � 143 Sez. VI, 28 gennaio 1998, n. 114 ....................................... . � 147 Sez. VI, 20 febbraio 1998, n. 188 ...................................... . � 159 GIURISDIZIONI PENALI CORTE DI CASSAZIONE Sez. Un., 12 febbraio 1998, n. 17 ........................................ pag. 178 Sez. Un., 7 aprile 1998, n. 4265 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 187 Sez. I, 8 maggio 1998, n. 2277 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 206 PRETURA CIRCONDARIALE DI CATANIA Ordinanza 9 aprile 1998 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 213 PARTE SECONDA DOTIRINA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 3 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 5 CONSULTAZIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 7 I I ;; ~ j PARTE PRIMA GIURISPRUDENZA SEZIONE PRIMA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE CORTE COSTITUZIONALE, 26 febbraio 1998, n. 26 -Pres. Granata -Red. Capotasti. Corte Costituzionale -Poteri della Corte -Individuazione del thema decidendum -Limiti della ordinanza di rimessione. Tributi -Riscossione -Sospensione dell'esecuzione -Poteri del G.O. -Limiti Estensione del sistema ai contributi per le opere di bonifica -Illegittimit�. (Cost. artt. 3 e 24; R.D. 13 febbraio 1933, n. 215, art. 21). Rientra tra i poteri della Corte quello di individuare le disposizioni che costituiscono il nucleo essenziale della questione di costituzionalit� sollevata, anche prescindendo dalle espressioni utilizzate dal giudice a quo. Contrasta con i principi di eguaglianza e di diritto alla difesa l'estensione del sistema di esazione delle imposte dirette alla disciplina del recupero dei contributi per gli enti di bonifica (1). (omissis) 1. -La questione di legittimit� costituzionale, sollevata con l'ordinanza in epigrafe, investe l'art. 54 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, nella parte in cui esclude �la competenza del giudice ordinario a emanare provvedimenti cautelari in mate( 1) La decisione in rassegna risulta particolarmente interessante in considerazione della scioltezza con cui la Corte ha inteso fare uso dei suoi poteri di individuazione del petitum; difatti l'ordinanza di rimessione aveva indicato come norma censurata l'art. 54 del d.P.R. 602/1973 nella parte in cui esclude la competenza del G.O. ad emanare provvedimenti cautelari, cos� coinvolgendo, in una controversia relativa ai �modesti� contributi per gli enti di bonifica, una disposizione di particolare rilievo del sistema di riscossione delle imposte dirette. Sensibile alla sproporzione tra l'occasione prossima dell'incidente e la delicatezza del tema generale coinvolto, la Corte ha saputo ricondurre il giudizio su un binario meno impegnativo, operando un'accorta ricostruzione del ragionamento del giudice remittente. Poich� intanto veniva in rilievo il sistema di riscossione delle imposte dirette in quanto esso era richiamato da una norma di collegamento, ragioni di priorit� logica hanno permesso di mettere a fuoco la legittimit� di questo punto di passaggio prima di arrivare eventualmente al sistema di riferimento. Seguendo tale perspicua metodica la Corte ha potuto confrontare la materia dei contributi consortili con quella delle imposte dirette per verificare che la loro assimilazione sotto diversi RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 4 ria di riscossione esattoriale di tributi�. Secondo il giudice a quo, va individuata proprio nell'art. 54 �la disposizione-norma della quale appare non manifestamente infondata la incompatibilit� con i principi contenuti negli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, poich� affida al solo Intendente di finanza il potere di sospendere la procedura esecutiva nei confronti del contribuente�. Si determinerebbe cos� una irragionevole riduzione, nell'ambito della procedura di riscossione coattiva di contributi dei consorzi di bonifica, delle forme di tutela dei diritti del contribuente nei confronti della pubblica amministrazione, sottraendo cos� l'indispensabile complemento del potere cautelare al giudice ordinario, che abbia giurisdizione sul rapporto controverso. 2. -In via preliminare, questa Corte deve meglio precisare, ai fini della valutazione della rilevanza della questione, il thema decidendum prospettato dall'ordinanza di rinvio ed in proposito si conferma il precedente indirizzo giurisprudenziale, secondo cui spetta proprio alla Corte di individuare le disposizioni sulle quali effettivamente convergono i dubbi di legittimit� costituzionale esposti nell'ordinanza di rimessione, anche al di l� del tenore letterale delle espressioni usate (ex plurimis: sentenza n. 155 del 1990). Ci� premesso, nell'ordinanza in esame i giudici rimettenti si riferiscono al �combinato disposto� degli artt. 39, 53, 54 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973 e 21 del regio decreto n. 215 del 1933, che essi dubitano che contrasti con gli indicati parametri della Costituzione, ma appuntano la propria formale censura soltanto su uno dei termini normativi del combinato disposto stesso, e cio� sull'art. 54 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602. Vero � infatti che � proprio questa norma a determinare la lamentata �esclusione della competenza del giudice ordinario a emanare provvedimenti cautelari�, ma � altrettanto vero che questa di-sposizione non � invocabile ex se, in quanto pu� essere applicata nel giudizio a quo, esclusivamente in forza del rinvio operato dall'art. 21, secondo comma, del r.d. 13 febbraio 1933, n. 215 alle �norme che regolano l'esazione delle imposte dirette�, tra le quali specificamente il citato art. 54. Quindi proprio l'art. 21, disciplinando, sia pure attraverso la tecnica del rinvio normativo, la procedura di riscossione dei contributi consortili, � immediatamente applicabile nel giudizio a quo, in cui si controverte sulla procedura di esazione di contributi consortili ricadente appunto nell'ambito previsionale dell'art. 21 medesimo. profili anche procedimentali nella riscossione non giustificava una totale parificazione, proprio nel punto di maggiore delicatezza dell'intervento del giudice. In questo modo la sentenza che si annota ha censurato l'uso della tecnica del rinvio norma tivo, volta ad introdurre il particolare regime che si giustifica per la riscossione delle imposte dirette, in altri ambiti procedimentali concernenti entrate di natura non tributaria. Si tratta di un orientamento ormai radicato che conferma la specialit� del sistema di riscos sione privilegiata, stabilendone nel contempo la non ripetibilit� al di fuori del modello tributario, ma risulta particolarmente rilevante che la Corte lo abbia inteso ribadire anche indirizzando le censure dell'ordinanza di rimessione in modo tale da evidenziare che l'ipotizzata (e poi verifica ta) illegittimit� costituzionale riguardava l'indebita estensione del sistema e quindi dei limiti del 1 'intervento del G.0., e non l'intrinseca questione in campo propriamente tributario. G.P.P. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Il prospettato criterio logico e temporale di applicazione, nel concorso delle norme suddette, induce pertanto questa Corte a ritenere, anche sulla base delle enun-� dazioni dell'ordinanza di rimessione, che la questione di legittimit� sia appunto da riferire, nei suoi pi� esatti termini, all'art. 21, secondo comma, del r.d. 13 febbraio 1933, n. 215, nella parte in cui, rinviando alle �norme che regolano l'esazione delle imposte dirette� e rendendo cos� applicabile l'art. 54 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, non consente all'autorit� giurisdizionale ordinaria di sospendere la procedura di riscossione dei contributi consortili. Del resto, come ha gi� rilevato questa Corte, l'accoglimento della prospettata questione di costituzionalit� sulla norma di rinvio rende, oltre tutto, necessariamente irrilevante la quaestio relativa alla norma rinviata, cosicch� la questione incentrata sull'art. 21 � astrattamente idonea ad assorbire le proposte censure di costituzionalit�, senza compromettere la perdurante vigenza della norma oggetto del rinvio nell'ambito applicativo proprio di quest'ultima (sentenze n. 239 del 1997 e n. 318 del 1995, ordinanza n. 359 del 1997). 3. -Nel merito la questione � fondata. Nella giurisprudenza di questa Corte � ormai princ1p10 consolidato quello secondo il quale � discriminatoria ed arbitraria, sotto il profilo della violazione dei mezzi di difesa giurisdizionale, la disciplina mediante rinvio alle norme, che regolano la procedura di riscossione delle imposte dirette, disposta nei confronti di entrate di natura non tributaria (sentenze n. 318 del 1995, n. 239 e n. 372 del 1997). Ai fini dell'applicabilit� di questo principio giurisprudenziale nella fattispecie in esame assume dunque peculiare rilievo la qualificazione dei contributi pretesi dagli enti di bonifica, formulata dalle Sezioni unite della Corte di cassazione che, confermando un precedente orientamento, hanno statuito che �pur dovendosi collocare le prestazioni patrimoniali in questione nell'area applicativa dell'art. 23 della Costituzione, l'assimilazione dei contributi consortili ai tributi erariali non si profila come assoluta, ma limitata piuttosto a taluni fondamentali aspetti, tra cui quello dell'esazione� (Cass., sez. unite, sentenza n. 5443 del 1991). Lo stesso giudice rimettente, d'altronde, sembra conformarsi a questo indirizzo giurisprudenziale, se � vero che qualifica le entrate degli enti di bonifica come prestazioni patrimoniali di natura pubblicistica soltanto �equiparabili� alle imposte dirette �che gravano sui fondi dei contribuenti come oneri reali�. 4. -In definitiva, il quadro normativo e giurisprudenziale esaminato conduce a valutazioni non dissimili da quelle poste a base dell'indirizzo di questa Corte, gi� ricordato. Ed invero, i contributi in questione non sono configurabili, per caratteri ontologici, come prestazioni patrimoniali aventi la identica natura giuridica dei tributi erariali e non rientrano quindi integralmente nel sistema disciplinare delle imposte dirette, cosicch� al massimo si pu� riscontrare -come gi� rilevato dalle Sezioni unite della Cassazione -una loro �assimilazione� alle entrate tributarie, peraltro solo parziale e limitata, per quanto qui interessa, ai profili procedimentali della riscossione coattiva. Anche in questo caso, quindi, appare evidente l'incongruit� di una scelta legislativa che prefigura un sistema privilegiato di esazione a carico del debitore, senza per� che risulti applicabile, in caso di contestazione giu RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO .... 6 diziaria, quella graduazione ope legis dell'esecutoriet�, che, nella disciplina positiva delle entrate tributarie, si attua in �riferimento alla probabilit� di fondamento M della pretesa tributaria rilevabile in base alle decisioni che intervengono nei vari .' . gradi di giudizio�; graduazione che, in quel sistema, appunto �bilancia la mancata .' previsione di misure cautelari giurisdizionali� (sentenza n. 318 del 1995). . In questa ottica, l'art. 21, secondo comma, del regio decreto n. 215 del 1933 si . pone pertanto in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, proprio perch� estende arbitrariamente, mediante la tecnica del rinvio normativo, la particolare disciplina di esazione delle imposte dirette sul reddito oltre lo stretto ambito d'origine in assenza di un'identit� di ratio, escludendo irragionevolmente, nelle controversie sulla riscossione esattoriale dei contributi consortili, il potere cautelare del giudice ordinario, che pure ha giurisdizione sul merito. La devoluzione, nei termini prospettati, all'autorit� giurisdizionale ordinaria delle contestazioni riguardanti il potere impositivo dei consorzi di bonifica -indotta dalla mancata previsione, nel1 'art. 2 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, tra gli oggetti della giurisdizione tributaria delle controversie concernenti la peculiare categoria dei �contributi� consortili (Cass. sentenza n. 9534 del 1997) -d� luogo, quindi, ad una disciplina incongrua e discriminatoria, sotto il profilo della limitazione degli strumenti di difesa giurisdizionale del debitore assoggettato a procedura di riscossione coattiva, imponendogli cos� �Un sacrificio assolutamente sproporzionato rispetto alle finalit� e alla natura dell'ente creditore� (sentenza n. 239 del 1997). 5. -La proposta questione di costituzionalit� va dunque accolta per i motivi esposti, restando cos� assorbiti gli altri profili di illegittimit� prospettati. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 26 febbraio 1998, n. 27 -Pres. Granata -Red. Zagrebelsky -Presidente del Consiglio dei Ministri (avv. Stato Palmieri G.) Sanit� -Diritto alla salute -Danni da vaccinazione obbligatoria antipolio Indennizzo -Obbligo dello Stato -Vaccinazioni ante I. n. 51/66 -Sussiste Illegittimit� in par(e qua. (Cost. art. 32; legge 25 febbraio 1992, n. 210, art. 1, comma 1) Sanit� -Diritto alla salute -Danni da vaccinazioni obbligatorie antipolio Indennizzo -Misura per il passato -Discrezionalit� del Legislatore. (Cost. artt. 2, 32, 38, commi 1 e 3, 136 ; legge 25 febbraio 1992, n. 210, art. 2, comma 2) ~ Il principio in base al quale non � lecito, alla stregua degli artt. 2 e 32 della ~ Costituz�one, richiedere che il singolo esponga a rischio la propria salute per un ili interesse collettivo, senza che la collettivit� stessa si assuma il peso delle eventuali !l\ I I ;:: conseguenze negative, si estende anche al caso in cui il danno sia derivato da vac-c cinazione che, pur non giuridicamente obbligatoria, era, tuttavia, programmata ed \l:_J: incentivata in modo da renderla indispensabile ai fini della ammissione a servizi 1 pubblici essenziali. Pertanto, � incostituzionale l'art. 1, comma l, della legge 25 & febbraio 1992, n. 210, nella parte in cui non prevede il diritto all'indemiizzo, alle ~: ~ tJJJ?~Ml�llfa�Mla3Mtl91�'1ilill.J.ltM4 PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 7 condizioni ivi stabilite, di coloro che siano stati sottoposti a vaccinazione antipoliomielitica nel periodo di vigenza della legge 30 luglio 1959, n. 695 (1). Il fondamento della misura indennitaria prevista dalla legge n. 210/92 risiede negli artt. 2 e 32 e non nell'art. 38 della Costituzione e, quindi, essa assume il significato di misura di solidariet� sociale, la cui determinazione rientra nelle valutazioni di merito spettanti al legislatore e pu� essere censurata in sede di legittimit� costituzionale solo se sia tanto esigua da vanificare il diritto all'indennizzo stesso. Pertanto, non � fondata la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 2, comma 2, della legge 25febbraio1992, n. 210, come sostituito dall'art. 7 del d.l. 23 ottobre 1996, n. 548, convertito con modificazioni nella legge 20 dicembre 1996, n. 641edell'art.1 della citata legge n. 641/96(2). (omissis) 1.1. -Nel corso di un giudizio promosso, per la corresponsione dell'indennizzo di cui all'art. 1 della legge 25 febbraio 1992, n. 210, da un soggetto che affermava di aver contratto la poliomielite in conseguenza della vaccinazione praticata con metodo Sabin il 21 marzo e il 20 aprile 1964, il Pretore di Massa, con ordinanza del (1-2) Breve nota in tema di indennizzo per lesione da vaccinazione obbligatoria antipolio 1. I PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI E DOTIRINALI. In riferimento alla prima questione non � stato proposto l'intervento da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri. In effetti, le conclusioni alle quali � giunta la Corte Costituzionale e l'allargamento temporale dell'obbligo di indennizzo sancito a carico dello Stato anche per gli eventi accaduti all'epoca della vigenza della legge 30 luglio 1959, n. 695, significativamente intitolata �Provvedimenti per rendere integrale la vaccinazione poliomielitica�, quando, cio�, la vaccinazione non costituiva un obbligo giuridico cogente, appaiono pienamente condivisibili, soprattutto nell'ottica di valutazione come si dir� diffusamente infra -dell'obbligo della vaccinazione nel quadro dei diritti sociali. La Corte richiama anche nella motivazione i suoi due precedenti specifici in materia. Infatti, ha gi� avuto modo di pronunciarsi sui limiti e sulla compatibilit� dei trattamenti sanitari obbligatori con il precetto costituzionale del diritto alla salute contemplato dall'art. 32; ritenendo che tale norma postuli il necessario contemperamento del diritto alla salute del singolo con la salute della collettivit� (sentenza 22 giugno 1990, n. 307, in Giur. Cast., 1990, 1876, con nota di F. GIARDINA; in Foro It., 1905, I, 2694, con nota di A. PRINCIGALLI, e nota Lesione da vaccino antipolio: che lo Stato paghi l'indennizzo! di G. PONZANELLI; in Giust. civ., 1990, I, 2496). Ha, inoltre, precisato la Corte che la legge impositiva del trattamento sanitario non � incompatibile con l'art. 32 Cost.: a) se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi si � sottoposto alla vaccinazione, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, che costituisce, poi, l'ulteriore scopo attinente alla salute come interesse della collettivit� che giustifica la compressione dell'autodeterminazione inerente al diritto alla salute come diritto fondamentale; b) se, nell'ipotesi di danno ulteriore alla salute per il soggetto sottoposto al trattamento sanitario obbligatorio -compresa la malattia contratta dal bambino vaccinato o da altro soggetto a causa della assistenza personale diretta prestata al primo -per contagio causato da vaccinazione profilattica -sia prevista la corresponsione di una �equa entit�� (sentenza 23 giugno 1994, n. 258, in Foro It., 1995, I, 1452) in favore del danneggiato, a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 8 10 ottobre 1996 (reg. ord. n. 1294 del 1996), ha sollevato, per contrasto con l'art. 3, primo comma, della Costituzione, �in rapporto agli artt. 2 e 38 Cost.�, questione di legittimit� costituzionale dell'art. 1 della legge 25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati), �nella parte in cui esclude dall'indennizzo per menomazioni permanenti dell'integrit� fisica coloro che si siano sottoposti a vaccinazione antipoliomielitica non obbligatoria dopo l'entrata in vigore della legge n. 695 del 1959, al di fuori dei casi previsti dal comma 4 dell'art. 1 della legge n. 210 del 1992�. La Corte Costituzionale ha, poi -sotto quest'ultimo profilo -riaffermato tali principi con la sentenza 18 aprile 1996, n. 118 (in questa Rass., 1996, I, 185, con nota di G. P. Pouzz1; in Foro it., 1996, I, 2326, con nota di G. PONZANELLI, �Pochi, ma da sempre�: la disciplina sull'indennizzo per il danno da vaccinazione, trasfusione o assunzione di emoderivati al primo vaglio di costituzionalit��, in Giur. Cast., 1996, 3209, con nota di A. ALGOSTINO, I possibili confini del dovere alla salute; in Foro Amm., 1996, 1, 2825, con nota di R. !ANNOTTA), sancendone l'applicazione senza particolari limitazioni temporali e riconoscendo, quindi, per il danno patito dal momento del manifestarsi dell'evento dannoso fino all'ottenimento dell'indennizzo previsto dalla legge, un �equo ristoro� determinato in base ai criteri indicati nella citata decisione n. 118/96. 2. LA NATURA E LA FUNZIONE DELL'INDENNIZZO EX LEGE N. 210/92 Con la seconda questione di legittimit� costituzionale, nella quale, invece, � intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, la Corte Costituzionale ha affrontato pi� specificatamente gli aspetti generali della problematica sia sotto il profilo della natura e della funzione dell'inden nizzo in questione, sia sotto il profilo dell'ambito di discrezionalit� spettante al legislatore nella materia dei c.d. diritti sociali, sia sotto il profilo della rilevanza del conseguente esborso sull'equilibrio del bilancio dello Stato. La Corte ha ritenuto meritevole di accoglimento la ricostruzione concettuale operata in sede di intervento, inequivocabilmente sottolineando come il fondamento costituzionale della misura indennitaria stessa risieda negli artt. 2 e 32 della Cost. e non nell'art. 38; con tutte le conseguenze che ne derivano anche per quanto riguarda l'esclusione di un diritto alla rivalutazione e agli interessi e la legittimit� dell'erogazione -per il periodo antecedente alla previsione dell'indennizzo di cui all'art. 2, comma 1, legge n. 210/92 -di una somma una tantum. Occorre ricordare che, nelle more della pendenza del giudizio innanzi alla Corte Costituzionale, � stata emanata la legge 25 luglio 1997, n. 238, recante modifiche ed integrazioni alla legge n. 210/92. In particolare, l'art. 1, 3� comma, legge n. 238/97 ha previsto che ai soggetti ai quali � stato gi� corrisposto l'assegno una tantum nella misura di 50 milioni spetti, a domanda, l'integrazione pari a 100 milioni, con esclusione di interessi legali e rivalutazione. Come sottolineato anche dai commentatori delle citate sentenze n. 307/90 e 118/96, il riconoscimento dell'indennizzo per lesioni da vaccino antipolio esula dal contesto normativo e concettuale della responsabilit� civile e si inserisce nel sistema di sicurezza sociale, nel quale lo Stato, pur in assenza di colpa per disfunzioni del servizio sanitario, diventa l'assicuratore per eccellenza dei rischi che possono incidere su situazioni soggettive costituzionalmente rilevanti. Infatti, la Corte Costituzionale, nelle due predette sentenze, adopera una terminologia che prescinde dall'archetipo della responsabilit� civile come disciplinata dagli artt. 2043, 2048 o 2059 e.e., utilizzando espressioni quali �liquidazione equitativa che pur tenga conto di tutte le componenti del danno stesso� (sentenza n. 307/90), �diritto che il legislatore pu� modellare equitativamente secondo la misura� e, per il periodo decorrente dal manifestarsi dell'evento dannoso e fino PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTl'TUZIONALE 9 Il giudice a quo rileva che illegittimamente la norma impugnata non riconosce il diritto all'indennizzo a chi si sia sottoposto a vaccinazione antipoliomielitica in un'epoca in cui essa, non ancora obbligatoria, era ritenuta comunque necessaria, mentre lo prevede per coloro che abbiano contratto il virus dell'HIV o abbiano sub�to esiti permanenti di epatiti a seguito di emotrasfusioni, ovvero per la persona che si sia sottoposta a vaccinazioni necessarie, seppure non obbligatorie, per motivi di lavoro o per incarico del suo ufficio o per poter accedere a uno stato estero (commi 2, 3 e 4 del medesimo art. 1). Con tali disposizioni il legislatore, come evidenziato dalla sentenza n.118 del 1996 della Corte costituzionale, ha inteso realizzare un all'ottenimento dell'indennizzo previsto dalla legge n. 210/92, di �equo ristoro� (sentenza n. 118/96); espressioni che lasciano chiaramente intendere che si tratta di una indennit� equitativa soprattutto perch� prescinde dal necessario adeguamento all'entit� del danno sofferto in concreto. Com'� stato osservato, la Corte Costituzionale ha assunto, cos�, �valenza legislativa� e ha perseguito scopi di giustizia sostanziale, assicurando il ristoro in casi, secondo i dati statistici e gli studi scientifici elaborati in proposito anche negli altri Paesi che prima dell'Italia hanno adottato il vaccino �Sabin�, assolutamente rari, e tali, perci�, da non compromettere gli esiti comunque positivi di una politica sanitaria attuativa del principio di cui all'art. 32 Cost. In questi casi, quindi, proprio per la valenza sociale dei valori coinvolti, allo Stato sono addossati i costi sociali, perch� come lo Stato si accolla i costi della vaccinazione per effetto della �vis espansiva del diritto alla salute�, cos� deve affrontare i costi derivanti dall'improbabile, ma non statisticamente esclusa, ipotesi di rischio di contagio. In altre parole, alla fine il danno viene imputato allo Stato perch� i costi connessi alla vaccinazione obbligatoria con esiti infausti sono, in definitiva, considerati meno gravi dei costi da sostenere per evitarli. Quest'ultima considerazione assume rilievo anche per l'aspetto ulteriore attinente alla prevenzione del danno. La Corte ha, con la sentenza n. 258/94 cit., dichiarato inammissibile, in quanto implica scelte discrezionali riservate al legislatore, la questione di legittimit� costituzionale delle leggi n. 891/39, n. 292/63, n. 51/66 e n. 165/91, nella parte in cui non prevedono per le vaccinazioni obbligatorie, accertamenti preventivi idonei a ridurre il rischio di lesioni della integrit� psico-fisica per complicanze del vaccino; poich� il giudice a quo richiede in definitiva un adeguamento a Costituzione che si prospetta comunque �non a rime obbligate�. L'aver inquadrato l'indennizzo in questione nell'ambito del sistema di sicurezza sociale non � privo di conseguenze sul piano lo.gico-giuridico. Infatti, l'ordinanza di remissione, dopo aver considerato l'aggancio alle pensioni privilegiate ordinarie del pubblico impiego, comprensivo dell'indennit� integrativa speciale, contenuto nella nuova normativa introdotta dal d.l. n. 548/96 e dalla legge di conversione n. 641/96, adeguato ad assolvere la funzione dell'assegno una tantum previsto dalla legge n. 210/92 cit., ha argomentato dalla natura anche assistenziale, oltre che di espressione del dovere di solidariet� sociale, dell'indennizzo delineato dalle leggi in questione per sostenerne l'incostituzionalit�. Il settore della sicurezza sociale, invece, non solo � governato necessariamente da strumenti di diritto pubblico, ma � caratterizzato, proprio per le sue finalit�, da un numero modesto e limitato di risorse economiche e, perci�, assicura un indennizzo o un ristoro (come ha gi� detto la Corte) e non il risarcimento integrale che appartiene all'ambito proprio della responsabilit� civile. La determinazione dei caratteri specifici dell'indennizzo �, quindi, attivit� riservata necessariamente al legislatore e, soprattutto, � all'interno del sistema di sicurezza sociale che deve avvenire la determinazione del quantum e delle modalit� di erogazione dell'indennizzo. Il sistema di sicurezza sociale, dunque, giunge a concedere somme di denaro a titolo di ristoro o di indennizzo in casi in cui ci�, invece, non sarebbe possibile in base alle regole proprie della responsabilit� civile, ma, al tempo stesso e inderogabilmente, deve calibrare i suoi interventi per RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO� 10 intervento di natura assistenziale, costituzionalmente consentito dagli artt. 2 e 38 della Costituzione, in favore di soggetti non giuridicamente obbligati ma eventualmente solo necessitati a sottoporsi al trattamento sanitario; intervento, questo, che si giustifica come scelta di �socializzazione� di un danno di particolare rilievo. Le situazioni degli emotrasfusi -che abbiano contratto il virus dell'HIV a seguito del trattamento sanitario o abbiano sub�to danni irreversibili da epatite posttrasfusionale -in relazione alle quali viene riconosciuto un indennizzo, non sono manifestamente incomparabili con quella della ricorrente nel giudizio a quo, trattandosi sempre di danni derivati al singolo a seguito di un trattamento sanitario diretto alla protezione della salute, ma fonte di pericoli per lo stesso bene che il trattamento � diretto a proteggere, in quanto astrattamente rischioso, e vertendosi comunque in ipotesi nelle quali difficilmente un'efficace tutela pu� essere assicurata dagli ordinari strumenti civilistici di risarcimento del danno. I ch�, a differenza del sistema di responsabilit� civile retto da regole di mercato, dispone di risor I se economiche limitate. Ne deriva che nella valutazione del sacrificio imposto alle ragioni del danneggiato non si pu� non tener conto delle diverse finalit� del regime di sicurezza sociale, nonch� degli evidenti I vantaggi costituiti da una pronta ed automatica erogazione caratteristica dei piani di sicurezza I sociale. � Coerentemente a tali premesse, il Tribunale di Milano, con sentenza 20 dicembre 1990 (in ~ Foro lt., 1991, I, 1239), liquidando il danno sofferto dall'attrice e ritenuto sussistente a seguito fil della sentenza n. 307/90 cit. della Corte Costituzionale, ha utilizzato la categoria della responsa~= bilit� oggettiva in difetto di condotta antigiuridica dello Stato (liability without fault), ma, nel pi� completo rispetto dei principi enucleati dalla Corte, ha riconosciuto un indennizzo congruamente ridotto rispetto ali' entit� reale del danno, proprio e anche per le differenze esistenti fra la funzione ed il ruolo dell'istituto della responsabilit� civile e quello della sicurezza sociale. 3. IL PROFILO DEGLI INTERESSI LEGALI E DELLA RIVALUTAZIONE MONETARIA Dall'aver inquadrato l'indennizzo previsto dalla legge n. 210/92 cit. nell'ambito del sistema �i sicurezza sociale la Corte coerentemente ha tratto la conclusione che non sussista alcun diritto per i danneggiati ad ottenere rivalutazione ed interessi legali sulle somme erogate a titolo di indennizzo. L'esame della Corte �, infatti, espressamente limitato al controllo che l'indennizzo in questione non risulti tanto esiguo da vanificare, svuotandolo di contenuto concreto, il diritto all'indennizzo stesso. D'altronde, la conferma che non si tratti di un assegno di natura assistenziale � data anche dalla considerazione -di stretto diritto positivo -rilevata, peraltro, anche dallo stesso giudiceremittente, della cumulabilit� dell'assegno in questione con altre analoghe indennit� (art. 7, 2� comma, d.!. n. 548/96 cit., che modifica l'art. 2, 1� comma, legge n. 210/92 cit., infine, art. 1, 2� comma, legge n. 238/97 cit. ). Non si applica, quindi, nessuna delle regole che disciplinano i crediti assistenziali. Peraltro, con sentenza 24 ottobre 1996, n. 361/96 (in Foro lt., 1996, I, 3266), la Corte Costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 16, 6� comma, legge 30 dicembre 1991, n. 412, nella parte in cui non prevede, per il caso di tardivo adempimento di crediti previdenziali, il cumulo degli interessi legali con la rivalutazione monetaria, ed ha superato l'analogia funzionale, ravvisata a suo tempo, fra crediti previdenziali e crediti di lavoro; assumendo, quindi, rilievo preponderante una sorta di ratio autonoma filtrata dall'art. 38 Cost. che lascia ampio margine operativo all'imperativo di contenimento della spesa pubblica. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 11 Parimenti la situazione dei soggetti vaccinati contro la poliomielite nella vigenza della legge 30 luglio 1959, n. 695, secondo il rimettente, non � manifestamente incomparabile con quella di coloro la cui vaccinazione sia necessaria per motivi di lavoro o d'ufficio o per poter accedere a uno stato estero, secondo le previsioni di cui al comma 4 dell'art. 1 della legge n. 210 del 1992: difatti anche in questi casi la vaccinazione non � obbligatoria ma soltanto necessaria e la necessit� del trattamento viene ritenuta dalla legge rilevante sempre che sussistano il motivo o il fine normativamente previsti, anche se gli interessi, alla base di tali finalit�, sono diversi. Nel caso di specie il soggetto si era determinato alla vaccinazione per la tutela della salute sua e di quella altrui, in rapporto all'elevato rischio di contagio in et� scolare e prescolare. 1.2. -Si � costituita in giudizio la parte privata, chiedendo l'accoglimento della questione. Sussisterebbe, a suo avviso, una chiara disparit� di trattamento tra la ricorrente (e con lei i vaccinati contro la poliomielite prima della legge n. 51 del 1966) e coloro che siano stati danneggiati da emotrasfusioni, i quali, ai sensi dell'art. 1 della legge n. 210 del 1992, possono chiedere e ottenere l'indennizzo previsto dall'art. 2 della medesima legge indipendentemente dall'epoca del contagio e dall'esistenza dell'obbligo di sottoporsi al trattamento che li ha danneggiati. Riguardo a tali soggetti lo Stato �ha ritenuto giusto assumere su di s� gli oneri indennitari� per i danni conseguenti alle emotrasfusioni, che venivano e vengono praticate sotto il suo diretto controllo, anche nel caso in cui il danneggiato sia stato prima informato del rischio connesso a quella pratica terapeutica e lo abbia accettato espressamente, e ci� per la impossibilit� di un controllo diffuso circa la genuinit� delle sostanze inoculate. La vaccinazione antipolio, anche prima del 1966, era nella coscienza sociale sentita come obbligatoria per il coinvolgimento delle strutture pubbliche nelle fasi del controllo farmacologico, della somministrazione e della propaganda, per la mancanza della preventiva espressione di un consenso informato e per la conseguenza 4. IL PROFILO DEL CONTENIMENTO DELLA SPESA PUBBLICA Va, infatti, ricordato che il principio contenuto nell'art. 81, 4 � comma, Cost. � un imperativo inderogabile per il Parlamento, mentre per la Corte Costituzionale rappresenta uno dei concorrenti valori costituzionali di cui tenere conto nel bilanciamento con gli altri valori di uguale rango. Secondo il costante insegnamento della Corte (sentenza 7 maggio 1993, n. 227, in Giust. civ., 1993, I, 2022; id., 30 dicembre 1993, n. 477, in Foro It., 1994, I, 1339; id., 22 marzo 1995, n. 99, ivi, 1995, I, 1732) spetta al legislatore, nell'equilibrato esercizio della sua discrezionalit�, tenendo conto anche delle esigenze fondamentali di politica economica, bilanciare tutti i fattori costituzionalmente rilevanti, anche nella pi� complessa valutazione dell'andamento della finanza pubblica e delle inderogabili esigenze di contenimento della spesa per salvaguardare l'equilibrio del bilancio dello Stato (sentenza 27 dicembre 1996, n. 417, in Giur. Cast., 1996, 3712 con nota di L. ANTONINI; ivi, 1997, 544, con nota di C. COLAPIETRO, I trattamenti pensionistici ed il limite delle risorse disponibili nel bilanciamento della Corte Costituzionale). GABRIELLA PALMIERI RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO ' 12 ' del rifiuto di ammissione negli asili e nelle scuole. Da ci� la violazione, non solo degli artt. 3 e 38, ma anche dell'art. 32 della Costituzione, in quanto si tratta di danni alla salute. La mancata previsione dell'indennizzo per coloro che in et� infantile sono stati danneggiati dal vaccino antipolio contrasterebbe altres� con la Convenzione sui diritti del fanciullo, stipulata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176. 2.1. -Nel corso di un altro giudizio, instaurato per l'impugnazione della sentenza parziale del Pretore di Firenze -con la quale questi, riassunto il giudizio a seguito della sentenza n. 118 del 1996 della Corte costituzionale, aveva dichiarato il diritto del minore, colpito da invalidit� permanente in conseguenza della vaccinazione obbligatoria antipolio cui era stato sottoposto nel luglio del 1978, a percepire l'indennizzo con decorrenza dalla data della manifestazione lesiva, determinato in via equitativa nella stessa misura attualmente percepita, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali secondo la normativa sui crediti assistenziali -il Tribunale di Firenze, con ordinanza del 5 febbraio 1997 (reg. ord. n. 174 del 1997), ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 32, 38, primo e terzo comma, e 136 della Costituzione, questione di legittimit� costituzionale dell'art. 2, comma 2, della legge 25 febbraio 1992, n. 210, come sostituito dall'art. 7 del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 548, convertito, con modificazioni, nella legge 20 dicembre 1996, n. 641, e dell'art. 1, comma 2, della legge n. 641del1996 (che ha fatto salvi gli effetti di alcuni decreti-legge non convertiti), �nella parte in cui riduce l'indennizzo per il passato del 70 per cento annuo ed esclude il diritto agli interessi e alla rivalutazione dei ratei arretrati maturati e non riscossi�. Premette il rimettente che la nuova normativa si caratterizza, rispetto alla legge n. 210 del 1992, per vari elementi, quali: la decorrenza delle provvidenze dall'evento e non dall'entrata in vigore della legge n. 210 del 1992; la rivalutazione annuale dell'assegno, secondo il tasso di inflazione programmato; la sua cumulabilit� con qualsiasi altro emolumento; la sua reversibilit� per quindici anni; la determinazione degli arretrati, con decurtazione del 70 per cento e con l'esclusione di rivalutazione monetaria e interessi legali. Proprio queste ultime previsioni violerebbero gli artt. 2, 32, 38, primo e terzo comma, della Costituzione, per la sproporzione che determinano tra l'assegno a regime e gli arretrati, che hanno carattere irrisorio, tenuto conto della natura assistenziale della provvidenza. Questa, infatti, anche alla luce della sentenza n. 118 del 1996, non ha n� carattere risarcitorio, n� previdenziale, n� si configura come un credito inerente al rapporto di lavoro, trovando invece fondamento nel dovere di solidariet� sociale. Difatti l'esigenza del ristoro non nasce direttamente dal danno alla salute ma dal fatto che il danno, provocato dagli eventi in questione, normalmente implica uno stato di bisogno che costituisce la ragion d'essere dell'intervento statale; donde la natura assistenziale della provvidenza, come si desume anche dalla disciplina positiva dell'indennizzo (� corrisposto attraverso un assegno continuativo reversibile; � commisurato alla pensione privilegiata; in caso di morte dell'interessato viene erogato non a tutti gli eredi, ma individuate figure di familiari a carico; � cumulabile con altri emolumenti). Le disposizioni censurate violerebbero anche l'art. 136 della Costituzione, perch� ridurrebbero per il passato la portata della sentenza n. 118 del 1996 ad un livello prossimo a quell'irrisoriet� esclusa dalla sentenza medesima. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 2.2. -Si sono costituite le parti private, ovverosia i genitori gi� esercenti la patria potest� sul soggetto colpito da invalidit� permanente e quest'ultimo, nel frattempo divenuto maggiorenne, rilevando che le norme impugnate, nella parte in cui riducono arbitrariamente al 30 per cento l'indennizzo dovuto per il passato, configurano un tentativo di eludere, in violazione dell'art. 136 della Costituzione, il disposto della sentenza n. 118 del 1996 della Corte costituzionale, che sancisce la retroattivit� dell'indennizzo, nonch� il disposto della precedente sentenza della medesima Corte n. 307 del 1990. Infatti, in base a queste due decisioni, i soggetti danneggiati da vaccinazione obbligatoria debbono ricevere dallo Stato un equo ristoro a partire dal momento in cui � maturato il loro diritto, cio� dal momento in cui si � verificato il danno, senza limitazioni temporali: l'unicit� del beneficio e la sua identit� ontologica nel tempo non consentono misure differenziate dell'indennizzo dovuto per il passato, rispetto a quello conferito nella vigenza della legge n. 210 del 1992. 2.3. -In questo giudizio � intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, sostenendo la manifesta infondatezza delle sollevate questioni di costituzionalit�. La quantificazione degli arretrati da corrispondere a coloro che hanno sub�to danni da vaccinazioni obbligatorie rientrerebbe nella sfera discrezionale del legislatore e, nel caso di�specie, non sarebbe contraria a criteri di ragionevolezza. 3.1. Nel corso di un altro giudizio promosso da un soggetto, il quale precisava di aver contratto la poliomielite in conseguenza della vaccinazione antipolio praticata �in ottemperanza alle richieste formulate dalle competenti autorit� sanitarie in esecuzione della legge 30 luglio 1959, n. 695�, il Pretore di Trento, con ordinanza del 12 giugno 1997 (reg. ord. n. 611 del 1997), ha sollevato questioni di legittimit� costituzion.ale dell'art. 1, comma 1, della legge 25 febbraio 1992, n. 210, �nella parte in cui non riconosce il diritto all'indennizzo ivi previsto a colui che ha riportato lesioni o infermit�, dalle quali sia derivata una menomazione permanente dell'integrit� psicofisica, a causa di vaccinazione antipoliomielitica praticata nel periodo di vigenza della legge 30 luglio 1959, n. 695�, per contrasto con gli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione, nonch� dell'art. 2, comma 2, della medesima legge n. 210 del 1992, come sostituito dall'art. 7 del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 548, convertito, con modificazioni, nella legge 20 dicembre 1996, n. 641, e dell'art. 1, comma 2, della predetta legge n. 641 del 1996, �nella parte in cui riduce per il passato del 70 per cento annuo l'indennizzo ivi previsto ed esclude il diritto agli interessi e alla rivalutazione dei ratei arretrati maturati e non riscossi�, per violazione degli artt. 2, 32, 38, primo e terzo comma, e 136 della Costituzione. Il giudice a quo precisa, quanto alla prima delle proposte questioni, che anche per le vaccinazioni praticate nella vigenza della prima legge (n. 695 del 1959) ricorrerebbero i due presupposti sulla base dei quali la Corte costituzionale ha statuito la sussistenza, per lo Stato, dell'obbligo di indennizzare i danneggiati da vaccinazioni antipoliomielitiche nella vigenza della legge successiva n. 51 del 1966, e cio�: a) il fatto che la causa dell'evento dannoso fortuito, di cui lo Stato si deve assumere i costi, dipende da decisioni adottate in vista di un beneficio di carattere generale; b) RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO ' la compressione del diritto alla salute in nome della solidariet� verso gli altri. In entrambi i casi si � trattato di vaccinazioni eseguite per il conseguimento del fine generale di immunizzazione della collettivit�, come emerge dai provvedimenti adottati dalle pubbliche istituzioni per incentivare la pratica della vaccinazione antipo ~ liomielitica; inoltre, bench� la legge n. 695, del 1959 non prevedesse una vera e propria sanzione a carico di coloro che non osservavano l'obbligo della vaccinazione, . tuttavia la scelta tra le due opzioni (far vaccinare o non far vaccinare) non era libe. ra, non potendosi definire il frutto di una autodeterminazione, come mostra il teno IIre delle circolari all'epoca emanate dal Ministero della sanit� che facevano apparire insensa.ta una condotta opposta a quella consigliata. Quanto alla seconda questione sollevata, il rimettente rileva la irrisoriet� degli arretrati e la riduzione della portata della sentenza n. 118 del 1996 effettuata dalla normativa censurata. 3.2. -Si � costituita anche in questo giudizio la parte privata, chiedendo l'accoglimento delle questioni proposte. 4. -In prossimit� dell'udienza tutte le parti private, costituite nei diversi giudizi, hanno depositato memorie nelle quali hanno ulteriormente illustrato le rispettive tesi difensive. Anche l'Avvocatura generale dello Stato -intervenuta, come si � gi� detto, nel solo giudizio di cui al reg. ord. n. 174 del 1997 -ha depositato una sua memoria, rilevando che dalla giurisprudenza costituzionale emergerebbe il carattere equitativo dell'indennit� in questione, che, prescindendo da un necessario adeguamento all'entit� del danno sofferto, a differenza di quanto avviene per la responsabilit� civile, si inquadra nell'ambito del sistema di sicurezza sociale, ossia di un sistema caratterizzato da un numero modesto e limitato di risorse economiche. La determinazione dei caratteri specifici dell'indennit� �, quindi, attivit� riservata necessariamente al legislatore, cui spetta assicurare �nulla pi� che un indennizzo parziale, entro i limiti di liberazione dal bisogno�. L'equiparazione, compiuta dal rimettente, di detto indennizzo a un assegno di natura assistenziale risulta fuorviante, anche tenuto conto della cumulabilit� di tale indennit� con altre, per cui non risultano applicabili le regole che disciplinano i crediti assistenziali. N�, secondo l'Avvocatura, la preesistenza del diritto soggettivo all'indennit�, rispetto alla legge n. 210 del 1992, muta la natura dell'indennit� medesima, la cui determinazione nel quantum spetta al legislatore, che l'ha compiuta in ~pplicazione della sentenza n. 118 del 1996, tenendo conto, nel bilanciamento di tutti i fattori costituzionalmente rilevanti, anche dei profili d'ordine finanziario alla luce dei lunghi periodi di tempo da considerare. Considerato in diritto 1. -Il Pretore di Massa, il Tribunale di Firenze e il Pretore di Trento sollevano due questioni di legittimit� costituzionale sulla disciplina dell'indennizzo a favore di coloro che hanno sub�to danni irreversibili in conseguenza di vaccinazione antipoliomielitica. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Il Pretore di Massa e il Pretore di Trento dubitano della legittimit� costituzionale dell'art. 1 della legge 25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati), nella parte in cui esclude dall'indennizzo coloro che abbiano riportato lesioni o infermit� irreversibili, essendosi sottoposti a vaccinazione antipoliomielitica non obbligatoria dopo l'entrata in vigore della legge 30 luglio 1959, n. 695. Tale esclusione si porrebbe in contrasto, per il Pretore di Massa, con l'art. 3, primo comma, in rapporto agli artt. 2 e 38 della Costituzione, e, per il Pretore di Trento, con gli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione. Il Tribunale di Firenze e il Pretore di Trento dubitano poi della legittimit� costituzionale dell'art. 2, comma 2, della legge n. 210 del 1992, come sostituito dall'art. 7 del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 548, convertito, con modificazioni, nella legge 20 dicembre 1996, n. 641, e dell'art. 1, comma 2, della medesima legge n. 641 del 1996, nella parte in cui, per il passato, riducono l'indennizzo del 70 per cento annuo ed escludono il diritto agli interessi e alla rivalutazione dei ratei arretrati maturati e non riscossi. Ritengono i giudici rimettenti che la disciplina menzionata violi gli artt. 2, 32, 38, primo e terzo comma, e 136 della Costituzione. 2. -Investendo le tre ordinanze di rimessione aspetti connessi della medesima disciplina, i relativi giudizi possono essere riuniti per essere decisi con la medesima sentenza. 3. -La questione relativa alla mancata previsione dell'indennizzabilit� di quanti abbiano sub�to lesioni o menomazioni permanenti dell'integrit� psico-fisica per essersi sottoposti a vaccinazione antipoliomielitica a seguito della legge 30 luglio 1959, n. 695, � fondata. La vaccinazione antipoliomielitica � stata resa obbligatoria con la legge 4 febbraio 1966, n. 51. Essa, insieme alle prescrizioni necessarie per realizzare l' obbiettivo della vaccinazione integrale della popolazione infantile, all'art. 3 stabilisce che le persone esercenti la patria potest� o la tutela sul bambino, ovvero il direttore del1' istituto di pubblica assistenza o l'affidatario nominato dall'istituto medesimo sono tenuti responsabili dell'osseryanza dell'obbligo della vaccinazione e che il contravventore incorre in una sanzione penale. Anteriormente alla legge citata, la legge 30 luglio 1959, n. 695 (Provvedimenti per rendere integrale la vaccinazione antipoliomielitica) dettava norme per incentivare la pratica della vaccinazione. L'art. 3, primo comma, stabiliva che �per l'ammissione agli asili nido, alle sale di custodia, ai brefotrofi, agli asili infantili, alle scuole materne, alle scuole elementari, ai collegi, alle colonie climatiche ed a qualsiasi altra collettivit� di bambini, da quattro mesi a sei anni di et�, � richiesta all'atto dell'iscrizione o della ammissione la presentazione dell'attestato � di �sub�ta vaccinazione�. Il terzo comma prevedeva peraltro che �l'ammissione � tuttavia consentita qualora sia presentato un certificato medico da cui risultino le ragioni di salute per le quali il bambino non � in grado di sub�re la vaccinazione, oppure una dichiarazione, sottoscritta dall'esercente la patria potest� o la tutela, di non voler sottoporre il bambino alla vaccinazione�. Da queste disposizioni -seguite da numerosi atti dell'amministrazione sanitaria in tema di RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 16 approvvigionamento, distribuzione e controllo del vaccino, nonch� di informazione, sollecitazione e responsabilizzazione delle famiglie relativamente ai rischi per la salute individuale e collettiva derivanti dalla mancata vaccinazione dei bambini -appare chiaro che, fin dal 1959, era in atto una pressante campagna pubblica di sensibilizzazione e persuasione diffusa. Pur non essendo previsto un obbligo giuridico (come sar� poi, dopo la legge del 1966), la sottrazione dei bambini alla vaccinazione li esponeva a conseguenze discriminatorie di notevole gravit�, che potevano essere evitate soltanto ove si fosse adempiuto a un onere di certificazione medica o di dichiarazione di volont� contraria da parte dell 'esercente la patria potest� o la tutela. Con le sentenze n. 307 del 1990 e n. 118 del 1996, questa Corte ha riconosciuto l'esistenza di un diritto costituzionale all'indennizzo in caso di danno alla salute patito in conseguenza della sottoposizione a vaccinazioni obbligatorie. Ora si pone in dubbio la legittimit� costituzionale del mancato riconoscimento del medesimo diritto quando il danno sia derivato da vaccinazione che, pur non giuridicamente obbligatoria, era tuttavia programmata e incentivata nel modo che si � detto. L'estensione cos� richiesta dai giudici rimettenti si presenta come un'applicazione naturale e necessaria del principio cui si ispirano le sopra indicate decisioni di questa Corte: il principio che non � lecito, alla stregua degli artt. 2 e 32 della Costituzione, richiedere che il singolo esponga a rischio la propria salute per un interesse collettivo, senza che la collettivit� stessa sia disposta a condividere, come � pos-. sibile, il peso delle eventuali conseguenze negative. Non vi � infatti ragione di differenziare, dal punto di vista del principio anzidetto, il caso -allora all'esame -in cui il trattamento sanitario sia imposto per legge da quello all'esame ora -in cui esso sia, in base a una legge, promosso dalla pubblica autorit� in vista della sua diffusione capillare nella societ�; il caso in cui si annulla la libera determinazione individuale attraverso la comminazione di una sanzione, da quello in cui si fa appello alla collaborazione dei singoli a un programma di politica sanitaria. Una differenziazione che negasse il diritto all'indennizzo in questo secondo caso si risolverebbe in u11a patente irrazionalit� della legge. Essa riserverebbe infatti a coloro che sono stati indotti a tenere un comportamento di utilit� generale per ragioni di solidariet� sociale un trattamento deteriore rispetto a quello che vale a favore di quanti hanno agito in forza della minaccia di una sanzione. 4. -La questione relativa alla misura dell'assegno una tantum previsto dall'art. 2, comma 2, ultima parte, della legge n. 210 del 1992 non � invece fondata. 4.1. -Questa Corte, con la sentenza n. 307 del 1990, ha riconosciuto che, se il. rilievo costituzionale della salute come interesse della collettivit� (art. 32 della Costituzione) giustifica l'imposizione per legge di trattamenti sanitari obbligatori, esso non postula il sacrificio della salute individuale a quella collettiva. Cosicch�, ove tali trattamenti obbligatori comportino il rischio di conseguenze negative sulla salute di chi a essi � stato sottoposto, il dovere di solidariet� previsto dall'art. 2 della Costituzione impone alla collettivit�, e per essa allo Stato, di predisporre in suo favore i � PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 17 mezzi di una protezione specifica consistente in una �equa indennit��, fermo restando, ove se ne realizzino i presupposti, il diritto al risarcimento del danno. Le conseguenze normative della sentenza n. 307 del 1990 sono state tratte dalla legge n. 210 del 1992 che, in generale, ha disciplinato l'�indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati�. � L'art. 2, comma 2, e l'art. 3, comma 7, di detta legge sono stati a loro volta dichiarati costituzionalmente illegittimi con la sentenza n. 118 del 1996 poich� e nella parte in cui questi attribuivano alla nuova normativa una portata solo pro futuro, venendo a escludere il diritto all'indennit�, in caso di vaccinazione antipoliomielitica obbligatoria, per il periodo ricompreso tra il manifestarsi dell'evento dannoso prima dell'entrata in vigore della legge predetta e l'ottenimento della prestazione determinata a norma della stessa legge. In attuazione dell'obbligo cos� riconosciuto a carico dello Stato anche pro praeterito, il legislatore � intervenuto a fissare le modalit� di calcolo dell'indennizzo, attraverso provvedimenti legislativi destinati a valere negli anni 1995, 1996 e 1997 �in attesa di una nuova e pi� completa disciplina legislativa�. Si tratta, per gli anni 1995 e 1996, dell'art. 6 del decreto-legge 1� luglio 1996, n. 344 e dell'art. 7 del decreto-legge 30 agosto 1996, n. 450 (il primo decaduto per decorrenza dei termini, il secondo abrogato dall'art. 8 del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 548, gli effetti dei quali sono stati tuttavia salvati dall'art. 1, comma 2, della legge 20 dicembre 1996, n. 641) e dell'art. 7 del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 548, convertito, con modificazioni, nella legge 20 dicembre 1996, n. 641; per l'anno 1997, dell'art. 1 del decreto-legge 4 aprile 1997, n. 92 (Modifiche ed integrazioni alla legge 25 febbraio 1992, n. 210, in materia di indennizzi ai soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni ed emoderivati), decreto non convertito in legge, i cui effetti sono stati tuttavia salvati dall'art. 2 della legge 25 luglio 1997, n. 238, portante il medesimo titolo, e dell'art. 1 della legge da ultimo menzionata. Con le disposizioni anzidette si prevede che ai soggetti, i quali hanno diritto o ai quali spetta l'indennizzo a norma dell'art. 1 della legge n. 210 del 1992, � corrisposto, a domanda, per il periodo ricompreso tra il manifestarsi dell'evento dannoso e l'ottenimento dell'indennizzo previsto dall'art. 2, commi 1 e 2, prima parte, della legge, un assegno una tantum nella misura pari, per ciascun anno, al 30 per cento dell'indennizzo -per cos� dire -�a regime�, con esclusione di interessi legali e rivalutazione monetaria. Relativamente a tali decurtazioni, i giudici rimettenti sollevano questione di costituzionalit�, ritenendo che la somma residua risulti irrisoria, la disciplina impugnata ponendosi in tal modo in contraddizione con quanto da questa Corte riconosciuto nelle citate sentenze n. 307 del 1990 e n. 118 del 1996. Da qui, la prospettata violazione, da un lato, degli artt. 2, 32, 38, primo e terzo comma, e, dall'altro, dell'art. 136 della Costituzione. 4.2. -Deve preliminarmente essere osservato che alla Corte costituzionale non � dato sovrapporre le proprie valutazioni di merito a quelle che spettano e sono riservate al legislatore nelle determinazioni volte a predisporre i mezzi necessari a far fronte alle obbligazioni dello Stato nella materia dei cosiddetti diritti sociali. Solo il RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 18 legislatore �, infatti, costituzionalmente abilitato a compiere gli apprezzamenti necessari a comporre nell'equilibrio del bilancio le scelte di compatibilit� e di rela-~~ tiva priorit� nelle quali si sostanziano le politiche sociali dello Stato. fili Nel rispetto dell'ampia discrezionalit� che deve essere riconosciuta al legislatore, ID a questa Corte, nell'esercizio del controllo di costituzionalit� sulle leggi, compete tut-W: tavia di garantire la misura minima essenziale di protezione delle situazioni soggetti-~i ve che la Costituzione qualifica come diritti, misura minima al di sotto della quale si I"' determinerebbe, con l'elusione dei precetti costituzionali, la violazione di tali diritti. Alla stregua delle proposizioni che precedono, deve ritenersi che, nel caso in esame, la determinazione legislativa di ci� che ha da essere l'indennizzo �equo�, in I relazione e nei limiti delle possibilit� della situazione data, potrebbe essere oggetto di censura in sede di giudizio di legittimit� costituzionale solo in quanto esso risultasse tanto esiguo da vanificare, riducendolo a un nome privo di concreto contenu 1 to, il diritto all'indennizzo stesso, diritto che, dal punto di vista costituzionale, � stabilito nell'an ma non nel quantum. Ma ci�, pur in presenza della drastica riduzione operata rispetto alla misura prevista dalla legge per il periodo successivo alla sua entrata in vigore, ad avviso di questa Corte non pu� affermarsi, anche tenendo conto della natura e della finalit� di tale indennizzo. Ci� che conta, nel giudizio cui la Corte � chiamata, non � la percentuale della riduzione, ma l'entit� in s� della somma che ne risulta. La sua valutazione in termini di legittimit� costituzionale deve tener conto che l'assegno una tantum previsto dalla legge assume il significato di misura di solidariet� sociale, cui non necessariamente si accompagna una funzione assistenziale a norma dell'art. 38, primo comma, della Costituzione. Esso � infatti dovuto indipendentemente dalle condizioni economiche dell'avente diritto e non mira di per s� agli scopi per i quali l'art. 38 stesso � stato dettato, aggiungendosi agli altri eventuali emolumenti a qualsiasi titolo percepiti, e quindi anche a quelli di natura propriamente assistenziale, in ipotesi dovuti anche in ragione dell'inabilit� al lavoro derivante dal danno sub�to in conseguenza del trattamento sanitario (art. 2, comma 1, seconda parte, della legge n. 210 del 1992). Il fondamento della misura indennitaria in questione negli artt. 2 e 32 della Costituzione e non nel diritto previsto dall'art. 38 della Costituzione (sentenza n. 118 del 1996), e quindi non nelle esigenze di vita e di assistenza dei cittadini inabili al lavoro e sprovvisti dei mezzi necessari per vivere, vale a ulteriormente sottolineare l'ambito delle scelte discrezionali entro il quale il legislatore � in questo caso abilitato a operare. In tale ambito, la stessa differenziazione del regime di determinazione dell'indennit� per il passato, rispetto a quello per il futuro, pu� trovare giustificazione alla stregua delle valutazioni, spettanti al legislatore, circa le conseguenze di ordine finanziario derivanti dalle misure predisposte. Per le stesse ragioni, neppure la censura relativa all'esclusione del diritto alla rivalutazione e agli interessi pu� essere accolta. Per quanto riguarda il periodo anteriore all'ottenimento dell'indennizzo previsto dal comma 1 dell'art. 2 della legge n. 210 del 1992, il legislatore ha optato per il riconoscimento del diritto alla corresponsione di una somma di danaro una tantum, sia pure calcolata tenendo conto degli anni di durata di tale periodo. In altre parole, secondo una scelta di per s� nella specie -non irragionevole, ha considerato il diritto alla percezione della somma indennitaria in modo unitario, nel momento in cui la quantificazione legi PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 19 slativa l'ha reso esigibile. In mancanza, non si sarebbe del resto neppure potuto correttamente parlare di mora debendi, condizione che in generale giustifica il diritto alla percezione degli accessori della somma dovuta a titolo principale. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 26 febbraio 1998, n. 28 -Pres. Granata -Red. Capotasti -Presidente del Consiglio dei Ministri ( avv. Stato Sacchetto) Lavoro -Tutela -Elettorato passivo � Esercizio funzioni pubbliche elettive Garanzie costituzionali � Divieto trasferimento -Limiti. (Cost. art. 51; legge 27 dicembre 1985, n. 816, art. 27). Non rientra nella garanzia costituzionale di tutela del lavoratore chiamato ad esercitare pubbliche funzioni elettive il divieto di trasferimento ad altra sede dopo l'esaurimento del mandato ( 1 ). (omissis) 1. -Un impiegato della Heineken Italia s.p.a., in servizio presso lo stabilimento di Pollein, eletto consigliere comunale e designato assessore di tale comune, era collocato, a domanda, in aspettativa non retribuita ai sensi dell'art. 2 della legge 27 dicembre 1985, n. 816, dal giugno 1989 al maggio 1995, data di cessazione del mandato. La societ�, con atto del 28 luglio 1995, disponeva ii trasferimento del predetto presso lo stabilimento di Messina, a far data dal 1 � settembre 1995. L'impiegato impugnava il trasferimento innanzi al Pretore di Aosta, in funzione di giudice del lavoro, deducendone l'illegittimit�, e chiedeva d'essere reintegrato nell'originaria sede di lavoro. 2. -Il Pretore di Aosta, con ordinanza del 24 agosto 1996, ha sollevato questione di costituzionalit� dell'art. 27 della legge 27 dicembre 1985, n. 816 (Aspettative, permessi e indennit� degli amministratori locali), in riferimento agli artt. 3, primo comma, 41, secondo comma, e 51, primo e terzo comma, della Costituzione. Siffatta norma prevede che i consiglieri comunali e provinciali che �sono lavoratori dipendenti non possono essere soggetti a trasferimenti durante l'esercizio del mandato consiliare, se non a richiesta o per consenso� e non �, quindi, direttamente applicabile alla fattispecie oggetto del giudizio. Il ricorrente � stato, infatti, tra (1) Respingendo l'eccezione di costituzionalit� sollevata relativamente all'art. 27 legge 816/1985 la Corte ha definito i limiti entro i quali va intesa la tutela del lavoratore che riveste una carica pubblica elettiva. La decisione qui riportata infatti, richiamando precedenti pronunce, ha ribadito l'importanza della garanzia costituzionale con cui l'art. 51 vuole assicurare l'eguaglianza di tutti i cittadini nell'esercizio dell'elettorato passivo, ma ha nel contempo riconosciuto al legislatore un ampio margine di discrezionalit� per la concreta disciplina dei diritti conseguenti. Il divieto di trasferimento del lavoratore eletto viene ad essere considerato non un necessario postulato del diritto di disporre del tempo necessario allo svolgimento del mandato elettorale o di quello alla conservazione del posto, ma un rafforzamento della tutela, a scapito dell'eventuale interesse del datore di lavoro. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 20 sferito dopo la scadenza del mandato, ma, ad avviso del giudice rimettente, proprio a causa della situazione determinatasi �in conseguenza (o anche in conseguenza)� dell'espletamento del mandato. La natura eccezionale della norma non consente peraltro di far ricorso all'interpretazione analogica, n� essa � applicabile al caso in esame mediante l'interpretazione estensiva. La disposizione denunziata, secondo il giudice a quo, stabilendo il divieto di trasferimento del lavoratore dipendente limitatamente al tempo durante il quale � esercitato il mandato, violerebbe, per�, l'art. 51, primo comma, della Costituzione, dato che tale ultima norma tutelerebbe anche �l'interesse alla conservazione tout court dell'originario luogo di lavoro�, in quanto preordinata a rimuovere tutti i possibili fattori di dissuasione dei cittadini dall'accesso alla carica elettiva. La facolt� del datore di lavoro di disporre il trasferimento del lavoratore dopo la scadenza del mandato, ma �a causa� del suo espletamento, secondo il rimettente, recherebbe vulnus ad un fondamentale diritto politico ed al �diritto al lavoro in condizioni (che non appare equo siano) pregiudicate o pregiudicabili� dal suo esercizio e, quindi, contrasterebbe con gli artt. 51, terzo comma e 41, secondo comma, della Costituzione. Quest'ultima norma, prescrivendo che l'iniziativa economica non possa svolgersi in modo da �recare danno alla sicurezza, alla libert�, alla dignit� umana�, concorrerebbe, infatti, a tutelare il diritto di elettorato passivo da ogni possibile pregiudizio. L'art. 27 della legge n. 8.16 del 1985, ad avviso del Pretore, violerebbe, infine, l'art. 3, primo comma, della� Costituzione, dato che stabilisce un �trattamento immotivatamente deteriore� per l'eletto trasferito dopo la scadenza del mandato, ma a La normativa in questione realizza in effetti un punto di equilibrio tra due interessi privati (del lavoratore e del datore di lavoro) ed un interesse pubblico (ad un proficuo esercizio della carica elettiva) che consente margini di valutazione sufficientemente ampi al legislatore ordinario. Se nel confronto tra le due posizioni paritarie di diritto privato la pretesa del lavoratore a conservare lo �stesso� posto occupato al momento dell'elezione pu� confliggere seriamente con l'esercizio della libera iniziativa economica dell'imprenditore, che risulta in questo modo palesemente limitata, l'inserimento in tale delicato equilibrio dell'interesse pubblico ad un proficuo esercizio delle funzioni elettivamente conferite sposta l'ago della bilancia a favore del lavoratore. Sembra infatti difficile ritenere che il dipendente eletto consigliere comunale in Val d'Aosta (come nel caso di specie) possa esercitare tale mandato una volta trasferito a Messina se non sobbarcandosi ingenti spese di viaggio incompatibili con la ratio della previsione costituzionale. Ma una volta cessato dalla carica, viene meno per il lavoratore quella tutela privilegiata che gli derivava dall'essere portatore di un interesse pubblico e la sua posizione dinanzi al datore di lavoro torna nell'equilibrio originario, in cui la sua garanzia non � pi� costituzionalizzata ma ordinaria. Non si pu� certo ignorare l'ipotesi che, cessato dalla carica, egli potrebbe essere oggetto di una forma occulta di �rappresaglia�, ma certo per una tale eventualit� non si pu� invocare l'illegittimit� per omissione della normativa citata, dovendosi invece ricorrere agli ordinari rimedi che proteggono i lavoratori in generale. Cos� la Corte indica al giudice a quo la necessit� di esercitare un adeguato controllo sui limi ti che definiscono i poteri di trasferimento del datore di lavoro, secondo lo Statuto dei lavoratori ed i contratti collettivi, ma respinge l'ipotesi di estendere la tutela �pubblicistica� ad un tempo eccedente quello del mandato elettorale, ipotesi che avrebbe comportato la sostanziale ingiustifi cata inamovibilit� di ogni eletto, con lo sproporzionato protrarsi dei vincoli all'iniziativa econo mica del datore di lavoro. G.P.P. ' PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE causa di esso, rispetto a quello garantito all'eletto durante l'espletamento della funzione pubblica. 3. -�intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata. L'art. 51, terzo comma, della Costituzione, osserva la difesa erariale, riconosce il diritto del lavoratore subordinato di disporre del tempo necessario per espletare il mandato consiliare ed il diritto di conservare il posto di lavoro, allo scopo di realizzare l'eguaglianza dei cittadini nell'accesso alle cariche elettive, ma riserva la disciplina delle loro modalit� di esercizio alla discrezionalit� del legislatore ordinario, che pu�, eventualmente, ampliare il contenuto di siffatte garanzie. L'estensione del divieto di trasferimento ad un tempo successivo all'esercizio del mandato, correttamente esclusa dal Pretore in via di interpretazione analogica, sfugge, per�, alla ratio della norma impugnata e va ben oltre il fine avuto di mira dalla norma dell'art. 51 della Costituzione. L'ampliamento della previsione dell'art. 27 della legge n. 816 del 1985 configurerebbe, infatti, il diritto alla permanenza illimitata nella sede di lavoro occupata al momento dell'elezione e, in mancanza di ogni plausibile giustificazione, integrerebbe un ingiusto privilegio rispetto sia al datore di lavoro, sia a tutti gli altri lavoratori, in palese contrasto con gli artt. 41 e 3 della Costituzione. 4. -Le parti private non si sono costituite nel giudizio innanzi alla Corte. Considerato in diritto 1. La questione di legittimit� costituzionale sollevata con l'ordinanza indicata in epigrafe riguarda la disposizione dell'art. 27 della legge 27 dicembre 1985, n. 816, che stabilisce: �i consiglieri comunali e provinciali che sono lavoratori dipendenti non possono essere soggetti a trasferimenti durante l'esercizio del mandato consiliare, se non a richiesta o�per consenso�. Secondo il giudice rimettente, questa disposizione, non prevedendo il divieto del trasferimento anche dopo la scadenza del mandato, qualora esso sia disposto �in conseguenza (o anche in conseguenza)� del suo espletamento, viola una pluralit� di articoli della Costituzione. Innanzi tutto, l'art. 51, primo e terzo comma, della Costituzione, poich� la norma impugnata non tutela l'interesse del lavoratore dipendente alla conservazione dell'originaria sede di lavoro e, in tal modo, non elimina un forte fattore di dissuasione all'accesso alla carica elettiva, connesso al timore di subire una conseguenza negativa, quale il trasferimento. In secondo luogo, l'art. 41, secondo comma, della Costituzione, in quanto il principio che l'iniziativa economica non pu� svolgersi in modo da recare danno alla sicurezza, alla libert� ed alla dignit� umana postula anche l'esigenza di non pregiudicare il diritto di elettorato passivo. Ed infine l'art. 3, primo comma, della Costituzione, in quanto la norma censurata riserva un trattamento immotivatamente deteriore �all'eletto che sia trasferito dopo il mandato (ma a causa di esso) rispetto a chi lo sia durante l'esercizio dello stesso�. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 22 2. -La questione non � fondata. Secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale, il terzo comma dell'art. 51 della Costituzione va interpretato nel senso che in esso � prevista una garanzia strumentale all'attuazione del precetto contenuto nel primo comma, consistente nell'affermazione del diritto di chi � chiamato ad esercitare funzioni pubbliche elettive di disporre del tempo necessario per l'adempimento dei compiti inerenti al mandato e del diritto di mantenere il posto di lavoro (ex plurimis: sentenza n. 158 del 1985). Tutto ci�, del resto, � una coerente derivazione dei principi e dei valori degli articoli 1, 2, 3, 4 della Costituzione (sentenza n. 388 del 1991), essenziale per garantire a tutti i cittadini la possibilit� di concorrere alle cariche elettive. Questa Corte ha costantemente affermato, sin dalla sentenza n. 6 del 1960, che l'espressione dell'art. 51 �conservare il posto di lavoro�, interpretata anche alla luce del dibattito all'Assemblea Costituente, in cui si manifest� l'intento di �fissare il principio che, quando un lavoratore viene ad essere investito di una carica pubblica, non deve essere per questo licenziato ma ritenuto in congedo o in aspettativa� (Assemblea Costituente, prima sottocommissione, seduta del 15 novembre 1946), garantisce soltanto �il diritto a mantenere il rapporto di lavoro o di impiego� (sentenza n. 111 del 1994) e non tutela affatto -come invece afferma il giudice rimettente -�l'interesse alla conservazione tout court dell'originario luogo di lavoro�. Si pu� quindi ritenere che la norma esprima l'interesse costituzionale alla possibilit� che tutti i cittadini concorrano alle cariche elettive in posizione di eguaglianza, anche impedendo, se occorre, la risoluzione del rapporto di lavoro o di impiego, con giustificato, ragionevole sacrificio dell'interesse dei privati datori di lavoro (sentenza n. 124 del 1982). L'art. 51 assicura, dunque, un complesso minimo di garanzie di eguaglianza di tutti i cittadini nell'esercizio dell'elettorato passivo, riconoscendo peraltro al legislatore ordinario la facolt� di disciplinare in concreto l'esercizio dei diritti garantiti; la facolt�, cio�, di fissare, a condizione che non risultino menomati i diritti riconosciuti, le relative modalit� di godimento, al fine di agevolare la partecipazione dei lavoratori all'organizzazione politica ed amministrativa �el Paese (sentenze n. 454 e n. 52 del 1997, n. 158 del 1985, n. 193 del 1981). 3. -Nel quadro di .tali principi va pertanto considerata la prescrizione sul divieto di trasferimento del lavoratore subordinato nel periodo durante il quale esercita la funzione elettiva. Si tratta di una scelta del legislatore ordinario che, nella discrezionalit� riconosciutagli e non irragionevolmente esercitata, ha ritenuto di stabilire il predetto divieto allo scopo di rafforzare la effettiva possibilit� di espletare il mandato elettivo, in deroga alle ragioni dell'impresa e ponendo un ulteriore onere a carico del datore di lavoro privato. Questa garanzia legislativa, finalizzata all'esercizio effettivo dei diritti di elettorato passivo riconosciuti dal disposto dell'art. 51, primo e terzo comma, della Costituzione, non postula per� la previsione del divieto di trasferimento del lavoratore subordinato, anche dopo la scadenza del mandato elettivo, perch� questo divieto, mirando ad evitare che le vicende del rapporto di lavoro ostacolino il regolare svolgimento del mandato elettivo, non pu� logicamente trovare ragione di applicazione, una volta che la relativa funzione pubblica sia cessata. La ratio, che informa l'art. 27 della legge n. 816 del 1985, spiega e giustifica la delimitazione temporale del divieto di trasferimento al solo periodo durante il quale PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 23 � svolto il mandato e dimostra altres� che le situazioni poste a raffronto dal giudice a quo sono specificamente diverse e non comparabili, cosicch� va esclusa anche l'eccepita violazione dell'art. 3, primo comma, della Costituzione. Una volta scaduto il mandato, viene meno infatti la correlazione, costituzionalmente rilevante, tra stabilit� della sede di lavoro e possibilit� dell'effettivo esercizio della funzione elettiva. Resta comunque affidato al giudice il controllo sul rispetto dei divieti legali di discriminazione e degli altri limiti che definiscono il potere di trasferimento del datore di lavoro, condizionandolo ai requisiti ed alle modalit� procedurali stabiliti dalla legge (art. 2103 codice civile; art. 15, primo comma, lettera b), della legge 20 maggio 1970, n. 300) e dalla contrattazione collettiva. Infine non sussiste neppure la eccepita violazione dell'art. 41, secondo comma, della Costituzione, poich� questa norma non pu� evidentemente essere evocata, per la palese estraneit� del suo contenuto, in riferimento alla tutela del diritto di accesso alla funzione elettiva. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 10 aprile 1998, n. 110 -Pres. Granata -Red. Contri -Presidente del Consiglio dei Ministri (avv. Stato Caramazza) c. Procuratore della Repubblica di Bologna (Procuratore E. Fortuna e sostituto Procuratore P. Giovagnoli). Segreto di Stato -Opposizione e conferma del Presidente del Consiglio Conseguenti limiti al potere di indagine del pubblico ministero strumentali all'esercizio dell'azione penale. L'opposizione del segreto di Stato confermata dal Presidente del Consiglio dei Ministri ai sensi dell'articolo 12 della legge 24 ottobre 1977 n. 801 inibisce all'autorit� giudiziaria di acquisire ed utilizzare gli elementi di conoscenza e di prova coperti dal segreto. L'azione penale esercitata su tale base, o sulla base di ulteriori atti di indagine che siano stati effettuati traendo spunto da quella, lede le attribuzioni costituzionalmente riconosciute al Presidente del Consiglio (1). (1) Pubblichiamo qui di seguito la parte rilevante della memoria depositata dall'Avvocatura dello Stato nel conflitto fra poteri dello Stato deciso con la sentenza in rassegna. Il segreto di Stato (omissis) Richiamate le considerazioni tutte svolte nel ricorso introduttivo, si osserva quanto segue. 1. -Posizione del problema Il problema che si pone all'esame di codesta Corte, ridotto al suo nucleo essenziale, � quello della misura in cui l'opposizione del segreto di Stato, confermata da parte del vertice politico dell'Esecutivo, limita il potere giurisdizionale. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 24 (omissis) 1. -Con il ricorso indicato in epigrafe, il Presidente del Consiglio dei Ministri solleva conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del pubblico .�:. ministero, in persona del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bolo, gna, in relazione ad attivit� istruttoria svolta nei confronti di funzionari del Servizio r per la informazione e la sicurezza democratica (SISDE) e di polizia, e diretta ad ~ f�:� acquisire elementi di conoscenza su circostanze incise dal segreto di Stato ex art. 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801 (Istituzione e ordinamento dei servizi per le informazioni e la sicurezza e disciplina del segreto di Stato). Il ricorrente lamenta la lesione della propria sfera di attribuzioni -fra queste, in particolare, il potere di vietare la diffusione di notizie idonee a recare danno all'integrit� dello Stato democratico -come delimitata dagli artt. 1, 5, 52, 87, 94, 95 e 126 della Costituzione, e con riguardo agli artt. 12 e 16 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, nonch� agli artt. 202, 256 e 362 del codice di procedura penale. Ad avviso del Procuratore della Repubblica di Bologna tale misura � quella della preclusione di una fonte di prova, con la conseguenza che ben pu� il p.m. (o il giudice) acquisire aliunde ed utilizzare le notizie inutilmente ricercate attraverso il mezzo di prova segretato. Ad avviso del Potere ricorrente tale misura �, invece, quella della inconoscibilit� e comunque inutilizzabilit� della notizia oggetto di prova in ordine alla quale il segreto di Stato sia stato opposto. 2. -La tesi della Procura di Bologna La tesi �minimalista� ex adverso prospettata comporta l'affermazione che il divieto di deporre su notizie coperte da segreto di Stato o di esibire atti o documenti da quello coperti si configuri come una prerogativa processuale di sottrarsi ad un obbligo di legge riconosciuta a categorie di soggetti tassativamente elencate. Il relativo divieto, essendo soggettivo, opererebbe solo ope exceptionis ed il giudice sarebbe, quindi, libero di utilizzare le notizie acquisite al processo, ancorch� coperte da segreto di Stato. Tale tesi, che trova conforto soltanto in una dottrina assolutamente minoritaria -se non addirittura isolata: cfr. PAOLOZZI, La tutela processuale del segreto di Stato, Milano, 1983, 213, 217, 219, 226, 322, 348 -appare contraria cos� alla lettera come alla ratio della legge. L'astenersi dal deporre su fatti coperti dal segreto di Stato non �, infatti, una facolt� ma un �obbligo� (art. 202 c.p.p.); la segretazione attiene non gi� alla forma della notizia o alle sue modalit� di acquisizione ma alla notizia in s� (cfr. KosTORIS, Il segreto come oggetto della tutela penale, 1964, 4; Trib. Roma uff.istr.s.d. in Giust. pen. 1971, II, 209) in quanto contenuto di conoscenza rappresentato da qualunque supporto mnemonico, cartaceo, simbolico o fattuale, cos� come reso palese anche dalla ridondante locuzione adottata dal legislatore nell'art. 12 della legge 24 ottobre 1977 n. 801; �sono coperti dal segreto di Stato gli atti, i documenti, le notizie, le attivit� ed ogni altra cosa la cui diffusione sia idonea a recare danno alla integrit� dello Stato democratico ... �. Locuzione che costituisce chiaro sinonimo di �qualunque fonte di notizia� (cos�, alquanto contradditoriamente, PAOLOZZI, op. cit. 264, 265). Il segreto di Stato �, d'altronde, qualcosa di diverso e di ben pi� rilevante dal punto di vista oggettivo rispetto ad altri segreti. L'errore in cuj � incorsa la Procura bolognese � stato quello di arrestare il proprio esame al �sottosistema processuale probatorio� in cui gli artt. 202 e 256 c.p.p. sono inseriti, presupponendo una nozione unitaria di �segreto� accomunante i vari casi in cui tale locuzione � richiamata. La prima obiezione critica a tale riduttiva semplificazione appare intuitiva ed immediata: se segreto di Stato, segreto professionale, segreto del confessore, eccetera, fossero davvero una cosa sola, dovremmo arrivare alla conclusione che Corte costituzionale, legislatore del 1977 e del 1988 e copiosa dottrina si sono affannati invano su di una banalit�. Davvero �mestier non era partorir PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 25 Il ricorrente chiede alla Corte di dichiarare che non spetta al pubblico ministero procedere ad indagini strumentali all'esercizio dell'azione penale con riferimento a fatti e notizie in ordine ai quali � stato opposto il segreto di Stato, confermato dal Presidente del Consiglio, e di conseguenza di annullare gli atti istruttori specificamente elencati. 2. -Occorre, innanzitutto, confermare l'ammissibilit� del conflitto di attribuzione in questione, che questa Corte ha gi� dichiarato, in linea di prima e sommaria delibazione, con l'ordinanza n. 426 depositata il 18 dicembre 1997. Sotto il profilo soggettivo, il Presidente del Consiglio dei Ministri � legittimato a sollevare il conflitto, in quanto organo competente a dichiarare definitivamente la volont� del potere cui appartiene in ordine alla tutela, apposizione, opposizione e conferma del segreto di Stato, non solo in base alla legge n. 801del1977, ma, come questa Corte ha gi� avuto occasione di chiarire, anche alla stregua delle disposizioni costituzionali -invocate nel ricorso -che ne delimitano le attribuzioni (sentenza n. 86 del 1977). Maria�! Perch� mai scomodare addirittura il Presidente del Consiglio ed i suoi atti politici ed il Parlamento ed il suo controllo per avallare una opposizione di segreto di Stato, quando negli altri casi (pretesi omologhi) nessuna autorit� professionale o ecclesiastica viene chiamata in causa? Sarebbe bastato, per coerenza con la (pretesa) unitariet� dell'istituto, rimettere all'autorit� giudiziaria il sindacato sulla legittimit� della opposizione del segreto di Stato, cos� come prevede l'art. 200 c.p.p. per il segreto professionale e confessionale. La verit� � che il segreto � istituto tutt'altro che semplice e lineare e non tollera semplificazioni riduttive. 3. -Il segreto La sottoscritta difesa non ha certo la presunzione di tentare una ricostruzione dogmatica del!' istituto del segreto. Sarebbe inappropriata la sede ed inadeguato l'autore. Si ripromette soltanto di procedere pragmaticamente ad un esame delle esigenze che lo postulano e delle norme che lo regolano al limitato fine di dimostrare come, nella specie, il potere giudiziario abbia violato le prerogative del vertice politico del potere esecutivo. 3.1. -Generalit�. Dai tempi degli arcana imperii di tacitiana memoria e quanto meno fino alla rivoluzione francese il segreto nella gestione della cosa pubblica fu, indubbiamente, uno dei pi� potenti strumenti di governo ed ancora dopo la rivoluzione francese e fino a tempi non troppo lontani dai nostri, in Italia come in altri Paesi, � stato un mezzo con cui il potere esecutivo poteva, in determinate circostanze, paralizzare discrezionalmente il potere giudiziario. Si pensi, per fare un solo esempio, al �Crown Privilege� nel Regno Unito fino al 1968 (W. WADE, Administrative Law, 6a ed., Oxford, 834 ss.) ed al segreto politico-militare del vecchio codice di procedura penale italiano fino al 1976. Una sorta di memoria storica fa, dunque, s� che nella coscienza di ogni cittadino che ha la fortuna di vivere in una democrazia evoluta la stessa locuzione �segreto d� Stato� evochi lo spettro di un odioso privilegio dell'Esecutivo e fa s� che il segreto tout-court venga istintivamente riguardato come valore negativo. In realt�, come si diceva, il segreto non � istituto n� lineare n� semplice. Siano consentite in proposito alcune notazioni empiriche di carattere generale. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO���� 26 Sotto il medesimo profilo, anche la legittimazione del procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna a resistere nel conflitto deve essere affermata in conformit� alla giurisprudenza di questa Corte, che riconosce al pubblico ministero la legittimazione ad essere parte di conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato, in quanto, ai sensi dell'art. 112 della Costituzione, � il titolare diretto ed esclusivo del1' attivit� di indagine finalizzata all'esercizio obbligatorio dell'azione penale ( ordinanza n. 269 del 1996; sentenze n. 420 del 1995, e nn. 464, 463 e 462 del 1993). Quanto al profilo oggettivo, il conflitto riguarda attribuzioni costituzionalmente garantite inerenti all'esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero ed alla salvaguardia della sicurezza dello Stato anche attraverso lo strumento del segreto, la cui opposizione � attribuita alla responsabilit� del Presidente del Consiglio ed al controllo del Parlamento. 3. -Per la definizione del presente conflitto � necessario, in via preliminare, ripercorrere i vari momenti e i diversi passaggi attraverso i quali la vicenda che ha originato il presente conflitto si � sviluppata. Si pu� inanzitutto osservare come il segreto abbia in comune con la riservatezza la radice semantica, indicativa di un regime di �separazione�. La notizia riservata o segreta � infatti la notizia �separata� da quelle conoscibili. Con il termine �segreto�, poi, si opera una sintesi lessicale che riassume tutta una serie di segreti normativamente individuati e regolati ciascuno con proprie e diverse caratteristiche. Una seconda notazione merita di essere dedicata al diverso regime del segreto nel pubblico e nel privato. Nel migliore dei mondi possibili e nella pi� avanzata delle democrazie, il governo della cosa pubblica ha per regola, infatti, la trasparenza e per eccezione il segreto; la vita privata dei cittadini ha, invece, per regola (quel segreto minore che �) la riservatezza e per eccezione la trasparenza. Non � certo un caso che il diritto del singolo alla riservatezza debba cedere il passo alla libert� di informazione ed al diritto di cronaca quando il singolo in questione sia un personaggio pubblico. A questo punto si tratta di esorcizzare quella prima istintiva valutazione negativa che la coscienza comune fa del segreto, non solo con riguardo alla sua opposizione per ragion di Stato, ma anche, per traslato, come istituto in generale. Vi sono, in realt�, dei segreti che esprimono valori positivi, e sono addirittura tutelati a livello costituzionale, non solo nel privato -il che appare pi� normale -ma anche nei mondo del pubblico (si pensi alla segretezza del voto -art. 48 Cast. -ed alla seduta segreta del Parlamento -art. 64 Cast.). Sembra, quindi, di poter dire che il segreto non � un valore, ma uno strumento polivalente e che acquista dunque un segno positivo, negativo o neutro a seconda dell'interesse a tutela del quale si pone. Cos� il segreto assumer� connotazione negativa quando sia volto, ad esempio, a coprire una associazione che abbia per scopo fini politici; sar� indifferente per l'ordinamento quando i fini di quella stessa associazione siano non politici; assumer� un valore positivo quando sia volto a proteggere un interesse giuridico tutelato, quale ad esempio quello della riservatezza o della libert� d'impresa come nel segreto industriale, o del servizio di pubblica necessit�, come nel segreto professionale, o della libert� individuale, come nel segreto epistolare, o l'integrit� dello Stato democratico, come nel segreto di Stato, o quello del corretto svolgimento di una funzione. Cos� accade, ad esempio, per il segreto istruttorio nel processo penale, essendo tale segreto finalizzato a garantire la funzionalit� del processo stesso. Sullo stesso piano del tradizionale segreto istruttorio penale si poneva, poi, nella nostra tradizione e fino alla legge 7 agosto 1990 n. 241, il segreto amministrativo. Cercando di riassumere e di trarre una prima empirica conclusione da quanto sin qui detto, possiamo dunque affermare che �segreto� significa �regime di separazione� avente ad oggetto PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 27 Il 12 dicembre 1996 venivano sequestrati dal Procuratore della Repubblica di Roma due scatoloni di documenti relativi ad indagini, svolte anni prima da agenti della polizia in forza all'Ufficio centrale investigazioni generali operazioni speciali (UCIGOS) e da funzionari del SISDE, in ordine a un cittadino straniero segnalato da servizi stranieri e sospettato di collegamento con una organizzazione terroristica straniera in epoca di attentati ad obbiettivi di pertinenza di Stato estero, siti sul nostro territorio. Il 27 gennaio 1997 venivano interrogati dal procuratore della Repubblica di Roma tre funzionari: due in servizio presso la polizia di Stato, uno presso il SISDE. Quest'ultimo si rifiutava di rispondere ad alcune domande e dichiarava di opporre il segreto di Stato sulla documentazione esibitagli. Dopo di ci� la Procura della Repubblica emetteva decreto di esibizione ex art. 256 cod. proc. pen., notificato il 5 febbraio 1997, col quale disponeva l'acquisizione al procedimento di copia di tutta la documentazione, ovunque custodita dal SISDE, relativa alla persona che era stata oggetto di indagini. determinate notizie la cui conoscibilit� � assoggettata a regole limitative di minor o maggior rigore rispetto alla generalit� dei casi. La limitazione della conoscibilit� pu� variare dal massimo del segreto oggettivo ed assoluto fino al minimo di quel �segreto nano� che � la riservatezza, la quale cede a fronte della semplice necessit� di una �cura e difesa� di interessi altrui (art. 24 legge 7 agosto 1990 n. 241). L'articolazione del regime di separazione, che pu� graduare in vario modo la �segretazione �, attenendo alla notizia in s�, alla sua fonte, alle modalit� dell'apprendimento, eccetera, � in funzione dell'interesse che l'ordinamento intende tutelare ed � quindi ad esso strumentale. Di pi�: poich� nell'operare pubblico la trasparenza � la regola ed il segreto l'eccezione, in tale campo il segreto dovr� coprire soltanto quanto � strettamente necessario alla tutela dell'interesse da proteggere. Ma, nei limiti di tale necessit� strumentale, la copertura dovr� essere integrale. 3.2. -Nel sistema probatorio del processo penale Il processo penale �, naturalmente, il terreno elettivo su cui deve saggiarsi la regola del rapporto trasparenza-segreto: se vi � settore pubblico in cui l'accertamento della verit� deve trovare il minor numero di ostacoli possibile questo � proprio il processo penale ed in esso va applicata con il massimo rigore possibile la regola della strumentalit� del segreto, cio� la regola secondo la quale il regime di differenziazione .rispetto alla generalit� dei casi � legittimo nei soli limiti in cui il segreto � necessario per la tutela dell'interesse alla cui protezione � preposto. Difatti le limitazioni alla prova in funzione di segretezza possono dividersi in varie categorie, a seconda che attengano alle modalit� di acquisizione della notizia, alla persona la cui testimonianza � fonte di prova o alla notizia in s�, come thema probandum (CORDERO, Il procedimento probatorio, in Tre studi sulle prove penali, Milano, 1963, 61 e ss.; ID., Procedura penale, Milano, 1983, 460, 462 ss., 913 ss.). Un esempio tipico della prima categoria � la normativa sulle intercettazioni telefoniche, un esempio tipico della seconda il segreto professionale o del ministro di culto, un esempio della terza il segreto di Stato. Inutile, naturalmente, in questa sede soffermarsi sulla problematica del se, come ed in che limiti possano nel processo penale utilizzarsi le notizie acquisite in violazione del segreto con riferimento alle prime due categorie ed alle varie ipotesi prospettabili. Agli effetti del presente giudizio �, invece, sufficiente chiedersi se siano legittimamente acquisibili aliunde al processo le notizie segretate nelle varie ipotesi. La risposta appare di evidente semplicit�, avuto riguardo ai valori che il segreto mira rispettivamente a tutelare. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO .. 28 Il SISDE forniva parte della documentazione, mentre su altra opponeva il segreto di Stato. Ritenuta �pertinente� alle indagini preliminari in corso la documentazione segretata, il Procuratore della Repubblica interpellava il Presidente del Consiglio dei Ministri affinch� desse conferma del segreto opposto ai sensi della legge n. 801 del 1977. Il Presidente del Consiglio dei Ministri, con provvedimento del 12 giugno 1997, ricordando che il segreto era stato opposto prima dal funzionario del SISDE, in sede di interrogatorio, e poi dal direttore del SISDE dopo l'ordine di esibizione, ritenute fondate le esigenze di segreto, dichiarava, con apposita motivazione, correttamente opposto in sede di interrogatorio il segreto di Stato in ordine alle domande relative ai dettagli dei modi operandi seguiti dal servizio nell'operazione antiterrorismo e in ordine all'esibizione di documenti richiesti dall'autorit� giudiziaria. Successivamente, il Comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza investito ex art. 16 della legge n. 801 del 1977, con delibera unanime riteneva in data 22 luglio 1997 fondata la conferma del segreto opposta. Nel primo caso tale valore � un diritto di libert� fondamentale, che non pu� essere limitato se non con determinate garanzie e modalit�. La relativa lesione deriva dal modo di acquisizione della notizia e non dalla acquisizione c!ella notizia in s�: la risposta non pu� dunque che essere positiva. Si pensi, ad esempio, ad un soggetto illegittimamente intercettato che abbia registrato la conversazione telefonica ed a cui venga legittimamente sequestrata la relativa bobina. Lo stesso dicasi nel secondo caso, in cui il valore tutelato dal segreto � la confidenzialit� di un rapporto: confidenzialit� essenziale a consentire lo svolgimento di professioni che costituiscono servizi di pubblica necessit� quali quelle del medico e dell'avvocato, ed essenziale per l'esplicazione di una libert� di credo religioso. � ovvio come, anche in tal caso, il segreto attenga non alla notizia in s� ma alla sua acquisizione per il tramite di una determinata persona. Nessuna coscienza, ovviamente, si sentir� turbata se sar� utilizzata� in un processo la deposizione di un terzo che abbia accidentalmente appreso le notizie confidate al professionista o al confessore, rilevante essendo soltanto, ai fini del segreto, che la notizia non venga acquisita attraverso la deposizione del professionista o del confessore. Lo stesso certo non pu� dirsi nel caso del segreto di Stato, caso in cui il valore tutelato dal regime differenziale di separazione � la integrit� e la sicurezza dello Stato democratico, integrit� e sicurezza che sarebbero messe in pericolo dalla �diffusione� di certe notizie. E ilprocesso penale comporta ex se tale diffusione. Oggetto del segreto, in questo caso, non � dunque n� la fonte n� la modalit� di acquisizione ma, come si � detto, la notizia in s� in quanto thema probandum. In questo senso si � espressa la giurisprudenza con l'autorit� delle Sezioni Unite della Cassazione (sent. 4905/89 cit. nel ricorso introduttivo). In questo senso � la dottrina assolutamente prevalente (cfr. per tutti CORDERO, opp. foce. citt~; FLORIAN, Diritto Processuale Penale, Torino 1939, 288 s.; DosI, La tutela del segreto nella prova testimoniale del processo penale, in Scuola pos. 1968, 433; MAGGIORE, A proposito del segreto militare, appunti sui divieti probatori e l'inammissibilit� nel processo penale, in Riv. pen. 1969, 476; ILLUMINATI, La disciplina probatoria delle intercettazioni, Milano 1983, 88). Il potere istruttorio deve, infatti, arrestarsi di fronte al segreto di Stato, �perch� la legge non consente di superarlo: l'inammissibilit� della prova dipende dal thema probandum che � escluso di per s� dall'attivit� istruttoria. Il divieto probatorio essendo oggettivo, e quindi assoluto, � indifferente alla qualit� funzionale di chi detiene il segreto: si estende .... a chiunque conosca un segreto di Stato� (GRIFANTINI, Segreto di Stato e divieto probatorio nel codice di procedura penale, 1988, in Giust. pen, 1989, III, 513, spec. 526 e dottrina ivi citata). PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 29 La Procura di Roma, ricevuta la decisione del Presidente del Consiglio e ritenuta la propria incompetenza territoriale, trasmetteva gli atti, unitamente all'interpello e alla delibera del Presidente del Consiglio dei Ministri, al pubblico ministero presso il Tribunale di Bologna. Questi avviava l'investigazione, notificando alla DIGOS della locale Ques~ura, in data 8 luglio 1997, ordine di esibizione di documentazione riguardante le indagini svolte a suo tempo dalla polizia e dai servizi. La Questura, nel trasmettere il 15 luglio 1997 copia dei documenti richiesti, precisava che sulle modalit� operative era stato opposto il segreto di Stato. L'Avvocatura generale dello Stato ha prodotto la nota di trasmissione della Questura di Bologna, per sottolineare come la predetta trasmissione sia avvenuta con un documento che richiamava espressamente l'opposizione del segreto di Stato e la sua conferma. Al riguardo, il ricorrente ha ripetutamente affermato nel ricorso, nella memoria depositata e nella discussione, che il procuratore della Repubblica ha proceduto �Chiunque� significa ovviamente anche il giudice (o il p.m.) che, quindi, ove comunque acquisisse una notizia coperta da segreto di Stato non potrebbe esimersi dall'informarne il Presidente del Consiglio, comportandosi poi di conseguenza (ILLUMINATI, op. cit. 89) e non potrebbe in ogni caso utilizzare la notizia ai sensi degli artt. 191 e 526 c.p.p. (Rel. prog. prel. 1988, in G.U. 24 ottobre 1988 n. 250, suppl. ord. n. 2; GRIFANTINI; op. cit. 542). 3.3. -Conseguenze nel presente giudizio Se quanto sopra � esatto -e non sembra possibile dubitarne -il Procuratore della Repubblica di Bologna ha esorbitato dai propri poteri invadendo la sfera di competenza del Presidente del Consiglio quando, nonostante l'opposizione del segreto di Stato e la sua conferma, ha proceduto oltre nelle indagini e quando ha utilizzato la documentazione erroneamente trasmessa dalla Questura di Bologna nonostante l'avvertimento della segretazione. N� giova in proposito addurre che l'opposizione del segreto sarebbe venuta da indagati e non da testimoni e che l'esibizione dei documenti da parte della Questura di Bologna sarebbe avvenuta senza opposizione di segreto. La prima obiezione � superata da tre ordini di considerazioni: l'autorit� giudiziaria ha chiesto ed ottenuto la conferma del segreto da parte del Presidente del Consiglio, con ci� sanando gli eventuali vizi dell'opposizione; il segreto sulle stesse notizie � stato comunque ritualmente opposto e confermato quanto meno in sede di ordine di esibizione documentale al Direttore del SISDE; l'autorit� procedente era in ogni caso a conoscenza del fatto che le notizie acquisite erano coperte da segreto di Stato. Lo stesso dicasi naturalmente, mutatis mutandis, per la seconda obiezione, con l'aggiunta della precisazione fatta in sede di narrativa. Passando dall'astratto al concreto occorre, poi, tener presente come la normativa attualmente vigente in materia, al fine di consentire il controllo del Parlamento sull'operato del Presidente del Consiglio, imponga a quest'ultimo di motivare l'opposizione del segreto. Tale motivazione ha la caratteristica di individuare l'oggetto della segretazione attraverso le ragioni che impongono il divieto di diffusione della notizia. Ebbene, nel caso di specie, tale motivazione ben nota al Procuratore della Repubblica di Bologna, individuava -alla stregua dei motivi esternati e sopra rammentati -come oggetto della segretazione due notizie: i nominativi degli agenti coinvolti e le modalit� della operazione di �intelligence� su cui indagava quella Procura. Le attivit� istruttorie svolte nonostante la opposizione, la conferma e la conoscenza del segreto di Stato hanno proprio portato alla individuazione di un ulteriore nominativo di agente del SISDE -poi imputato -e delle modalit� operative di �intelligence�. Le ulteriori iniziative assunte e di cui in narrativa, se non fermate dall'arresto di codesta Corte, porteranno alla divulgazione delle notizie cos� acquisite. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO e 30 oltre nelle indagini e utilizzato la documentazione erroneamente trasmessa dalla Questura di Bologna, ignorando il richiamo da questa formulato alla segretazione. La Procura, tra il 2 e il 4 agosto 1997, provvedeva ad aprire gli scatoloni ini~ zialmente sequestrati, costituenti corpo di reato, che erano stati inviati fin dal 23 giugno 1997 dalla Procura di Roma. I Il 6 novembre 1997, nel corso dell'interrogatorio di un quarto funzionario (il cui f: nome era emerso in questa fase dell'indagine bolognese) che si era riportato al segre~ to di Stato, era stata richiamata espressamente la conferma intervenuta da parte del I Presidente del Consiglio con preciso riferimento al modus operandi del Servizio. Il 17 novembre 1997, il pubblico ministero effettuava gli interrogatori degli altri indagati, preannunciando all'avvocato dello Stato, incaricato della difesa, un prossimo deposito della richiesta di rinvio a giudizio. L'Avvocatura dello Stato, in una memoria datata 18 novembre 1997, chiedeva al pubblico ministero di non procedere alla richiesta di rinvio a giudizio. Ci� costituisce in concreto ulteriore dimostrazione di quanto il Procuratore della Repubblica di Bologna abbia esorbitato dai propri poteri. N� giova opporre -come da controparte si adombra -che sarebbe lecito per l'autorit� giudiziaria, pur in presenza di segreto di Stato, l'andare alla ricerca di �altre prove�. L'assunto pu� essere condiviso purch� non si confonda il concetto di �altre prove� con quello di �altre fonti di prova� e purch� non si dimentichi che pregiudiziale logica del problema � la individuazione dell'oggetto della segretazione. Se oggetto della segretazione �, nella specie, come si confida di aver dimostrato, la notizia in s� o il thema probandum, �altre prove� legittimamente acquisibili non potrebbero essere altro che quelle relative a notizie diverse da quelle segretate. Un rilievo testuale ulteriore conforta l'assunto. Recita l'art. 202, III comma c.p.p.: �qualora il segreto sia confermato e la prova sia essenziale per la definizione del processo, il giudice dichiara non doversi procedere per l'esistenza di un segreto di Stato�. Analoga la lettera dell'art. 256 c.p.p. per quanto riguarda l'esibizione di atti e documenti. Orbene come � possibile per l'autorit� giudiziaria valutare ex ante la �essenzialit��, ai fini del decidere, di una testimonianza non assunta o di un documento non esibito ? D'altronde la locuzione �prova essenziale� non pu� essere stata usata dal legislatore se non utilizzando il lemma �prova� non nel suo significato strumentale di modalit� o di fonte di acquisizione di notizie ma nella sua accezione di risulfato (DE LALLA, Logica delle prove penali, 1973, 335; PISA, Il segreto di Stato, profili penali 1977, 342). Un risultato per definizione ignoto al momento del giudizio di essenzialit� ma a cui soltanto pu� riferirsi tale giudizio in quanto non potr� mai essere considerata essenziale -quale momento strumentale -n� una fonte di prova n� una sua modalit� di acquisizione, esistendo sempre la possibilit�, quanto meno astratta, di una acquisizione aliunde. � pertanto giocoforza concludere che oggetto del segreto di Stato altro non pu� essere che il thema probandum (o notizia in s�) in quanto solo in relazione al thema probandum � formulabile prognosticamente un giudizio di essenzialit� del risultato del mezzo di prova ai fini del decidere. 4. -Potere giudiziario, potere esecutivo e potere politico Il Procuratore della Repubblica di Bologna contesta energicamente che lopposizione del segreto possa costituire uno �sbarramento nei confronti dell'Autorit� giudiziaria� (atto di costi tuzione 5.1.1998, punto 3.5). Sembra di poter scorgere in filigrana, in tale presa di posizione, le tracce di remote polemiche corse fra Esecutivo e Giudiziario, quando, da poco tempo emersi dall'indistinto del potere del Sovrano assoluto, ne erano ancora incerti i reciproci confini. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 31 Il pubblico ministero, in data 19-27 novembre 1997, chiedeva l'emissione di decreto di rinvio a giudizio per i quattro soggetti imputati per i reati previsti dagli artt. 81, 110, 615, cod. pen., 81, 110, 617, primo e terzo comma, cod. pen., e ancora 81, 110, 617 bis primo e secondo comma, cod. pen., indicando nella richiesta di rinvio a giudizio fonti di prova coperte dal segreto di Stato. Con provvedimento del 2 febbraio 1998 il giudice per le indagini preliminari fissava per il 22 aprile 1998 l'udienza preliminare. 4. Nel merito, il ricorso deve essere accolto nei limiti di seguito precisati. 5. -Questa Corte ritiene di tenere fermi i principi enunciati nelle sentenze che si sono pronunciate sul fondamento e sui limiti del segreto opposto, per ragioni di sicurezza interna ed esterna dello Stato, all'autorit� giudiziaria da organi del potere esecutivo, in epoca anteriore alla legge n. 801 del 1977. Come � noto, furono necessari parecchi decenni al potere giudiziario per conquistare il diritto di sindacare l'Esecutivo e non poche scorie dell'antica supremazia di quello hanno continuato a turbare l'equilibrio di molti sistemi, pur in tempi di avanzata democrazia, soprattutto in tema di segreto. Terreno, questo, sul quale le tradizionali esigenze della �ragion di Stato� sono state le pi� dure a morire. � Si � ricordato pi� sopra il �Crown Privilege� della Gran Bretagna, esempio al quale possono aggiungersi gli �acts of State� e le <<politica[ questions� nordamericane (ROSSI MERIGHI, Segreto di Stato, Napoli, 1994, 236). Nel sistema italiano, indubbiamente, il segreto di Stato (allora politico-militare) fu, fino alla sentenza di codesta Corte 86/77, uno strumento idoneo a fermare il potere giudiziario �affidato alla completa disponibilit� del potere esecutivo� (GRIFANTINI, op. cit., 520). Il che non era, ovviamente, conforme all'assetto costituzionale repubblicano. Dopo la sentenza ora ricordata, dopo la legge di riforma dei servizi del 1977 (che di tale sentenza � la diligente applicazione, come rammentato nel ricorso introduttivo del presente giudizio) e dopo l'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, che tale legge recepisce, le preoccupazioni dei rappresentanti del Giudiziario di doversi difendere da possibili prevaricazioni del1 'Esecutivo non hanno, per�, pi� ragion d'essere. L'interesse a tutela del quale il segreto di Stato viene opposto nel quadro normativo oggi vigente -l'integrit� e la sicurezza dello Stato democratico -non �, infatti, proprio dello Stato soggetto, ma attiene allo Stato-comunit� e rimane quindi nettamente distinto da quello del Governo e dei partiti che lo sostengono (Corte Cost. sent. 86/77 cit.). Analogamente, la competenza a confermare definitivamente l'opposizione del segreto di Stato spetta al Presidente del Consiglio non gi� in quanto rappresentante del potere esecutivo, ma quale supremo vertice politico del Paese, che tale competenza esercita con un atto tipicamente politico, libero, quindi, nei fini, equiordinato alla legge nella scala dei valori ( cfr. Rossi MERJGHI, op. cit., 226 e dottrina ivi citata) ed assoggettato al controllo di responsabilit� politica del Parlamento. Un Parlamento che tale controllo esercita sulla base di una motivazione cui il Presidente � tenuto (art. 16 L. 801/77 cit.) e da cui si desume cos� l'oggetto della segretazione come le ragioni essenziali per le quali il segreto viene opposto. Non � dunque strano n�, tantomeno, scandaloso che l'opposizione del segreto di Stato costituisca �Sbarramento all'esercizio del potere giurisdizionale� (cos� testualmente codesta Corte nella pi� volte citata sentenza 86/77, punto 8) in quanto tale �sbarramento� proviene da fonte equiordinata alla legge, che legittimamente fa prevalere il supremo valore dell'integrit� e sicurezza dello Stato democratico rispetto ad altri valori, pur costituzionalmente garantiti, quali l'esercizio della giurisdizione, il diritto di difesa, la libert� di manifestazione del pensiero, il diritto all'informazione (ROSSI MERIGHI, op. cit. 265). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � � 32 Nella sentenza n. 86 del 1977, si afferma che solo nei casi nei quali si tratti di agire per la salvaguardia di supremi interessi dello Stato pu� trovare legittimazione I I �� il segreto, in quanto strumento necessario per raggiungere il fine della sicurezza dello Stato e per garantirne l'esistenza, l'integrit�, nonch� l'assetto democratico, valori tutelati dagli artt. 1, 5, 52, 87 e 126 della Costituzione. Quanto allo �sbarramento all'esercizio del potere giurisdizionale�, potere pur esso garantito dagli artt. 101, 102, 104 e 112 della Costituzione, la Corte -con la stessa sentenza -ebbe modo di affermare che �la sicurezza dello Stato costituisce interesse essenziale, insopprimibile della collettivit�, con palese carattere di assoluta preminenza su ogni altro, in quanto tocca ( ... ) la esistenza stessa dello Stato, un I aspetto del quale � la giurisdizione�. La decisione richiama la precedente sentenza n. 82 del 1976, anch'essa in tema di segreto politico-militare, nella quale si sottolinea che il predetto istituto involge D'altronde che l'atto politico (nel senso rigoroso del termine), in quanto atto equiordinato alla legge, costituisca limite al potere giudiziario � nozione da tempo metabolizzata in sede di giustizia amministrativa (art. 31 T.U. sul Consiglio di Stato 26.6.24 n. 1054). Un tipo di giustizia in cui, per ovvie ragioni, la sensibilit� al problema del regolamento di confini fra poteri � particolarmente affinata. 5. -Conclusioni Riassumendo e finendo le fila del discorso sin qui svolto, sembrano potersi formulare le seguenti affermazioni conclusive. 5.1. -In relazione ad una operazione di �intelligence� compiuta da agenti SISDE e da agenti di polizia -ciascuno per quanto di propria competenza -fu iniziata una indagine dall'autorit� giudiziaria ed indagati agenti SISDE ed altro personale. 5.2. -Venne ritualmente opposto e confermato il segreto di Stato sui nomi degli agenti e sulle loro modalit� operative, a fini di salvaguardia dell'incolumit� di quelli, di riservatezza dei metodi usati e di credibilit� internazionale nei rapporti con i servizi collegati. 5.3 -A tal punto, poich� le notizie segretate erano essenziali per la definizione del processo, il pubblico ministero avrebbe dovuto arrestarsi nello svolgimento della attivit� istruttoria propedeutica all'inizio dell'azi�me penale ai sensi degli artt. 202, 256 e 362 c.p.p .. Ben al contrario, il Procuratore della Repubblica di Bologna procedette oltre, acquisendo aliunde le prove sulle notizie segretate, e chiedendo il rinvio a giudizio degli agenti stessi. 5.4-Lo stesso Procuratore ha rivendicato il proprio potere in merito, sostenendo la tesi che l'opposizione del segreto di Stato ha il limitato effetto soggettivo �di esonerare i pubblici ufficiali dal dovere di testimoniare e di esibire� e non impedisce all'autorit� giudiziaria di acquisire aliunde le notizie ricercate, procedendo oltre e cos� acquisendo ed utilizzando al processo i fatti segretati. 5.5. -Cos� facendo, il Procuratore della Repubblica di Bologna ha violato, menomandole, le attribuzioni costituzionali del Presidente del Consiglio dei Ministri, fra le quali rientra, a' sensi degli artt. 1, 5, 52, 87, 94, 95, 102 e 126 Costituzione, in relazione agli artt. 12 e 16 legge 24 ottobre 1977 n. 801 e 202, 256 e 362 c.p.p., quella di vietare, mediante la conferma del segreto di Stato opposto, anche nei confronti dell'autorit� giudiziaria, ed anche all'interno di un processo, la diffusione di notizie idonee a recare danno alla integrit� dello Stato democratico. (omissis) IGNAZIO FRANCESCO CARAMAZZA PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE �il supremo interesse della sicurezza dello Stato nella sua personalit� internazionale, e cio� l'interesse dello Stato-comunit� alla propria integrit� territoriale, indipendenza, e -al limite -alla stessa sua sopravvivenza�. La Corte ha sottolineato che la potest� dell'esecutivo in questa materia non � illimitata e ha fatto salva l'esigenza -destinata a trovare il suo punto di equilibrio e la sua definizione in sede legislativa -di assicurare, in ogni singolo caso concreto, un ragionevole rapporto di mezzo a fine; precisando che mai il segreto potrebbe essere allegato per impedire l'accertamento di fatti eversivi dell'ordine costituzionale; affermando la necessit� che l'esecutivo indichi le ragioni essenziali che stanno a fondamento del segreto; insistendo sulla centralit� della sede parlamentare ai fini del sindacato politico sulla tutela del segreto, attraverso tutti i modi consentiti dalla Costituzione, riconducibili alla funzione ispettiva delle Camere, ovvero all' �mbito dei procedimenti fiduciari. 6. -A seguito della sentenza n. 86 del 1977, il Parlamento ha introdotto con la legge n. 801 del 1977 una nuova disciplina del segreto di Stato, in larga misura ispirata alla giurisprudenza costituzionale. Non si tratta tuttavia di una riforma compiuta, come risulta dall'art. 18, che rinvia ad una successiva �legge organica relativa alla materia del segreto� -non ancora intervenuta -che, anche alla luce del presente conflitto, si appalesa auspicabile. In particolare, l'art.15 della legge n. 801, che ha modificato l'art. 352 del codice di procedura penale del 1930, e in seguito la direttiva della legge-delega per il nuovo codice di procedura penale di cui all'art. 2, comma 1, n. 70), della legge 16 febbraio 1987, n. 81, e gli a\rtt. 202 e 256 del nuovo codice -norme, queste ultime, sulla cui base, nella specie, � stato opposto il segreto -hanno delineato, con formule non tutte identiche, in guisa da determinare qualche incertezza in ordine alla estensione del segreto, una ipotesi di improcedibilit�, da dichiararsi dal giudice, allorch� sia opposto il segreto e il giudice stesso ritenga essenziali per la definizione del processo gli elementi di conoscenza da esso preclusi. 7. -Con l'atto introduttivo del presente giudizio il ricorrente chiede che la Corte dichiari che non spetta al pubblico ministero, una volta preso atto della opposizione e della conferma del segreto di Stato, procedere oltre nelle indagini strumentali all'esercizio dell'azione penale e compiere ulteriori atti di indagine diretti ad acquisire aliunde elementi di conoscenza sui fatti incisi dal segreto di Stato. La tesi prospettata dall'Avvocatura dello Stato, secondo la quale l'opposizione del segreto inibirebbe in modo assoluto all'Autorit� giudiziaria la conoscenza dei fatti ai quali il segreto si riferisce, e quindi precluderebbe al pubblico ministero di compiere qualsiasi indagine, anche se fondata su elementi di conoscenza altrimenti acquisiti, non pu� essere condivisa. Tale impostazione altererebbe in questa materia l'equilibrio dei rapporti tra potere esecutivo e autorit� giudiziaria, che debbono essere improntati al 'principio di legalit�; n� potrebbe questa Corte sostituirsi al legislatore, operando, in concreto e di volta in volta, senza alcuna base legislativa, valutazioni di merito attinenti al bilanciamento tra i beni costituzionali sottostanti rispettivamente alle esigenze di tutela del segreto e di salvaguardia dei valori protetti dalle singole fattispecie incriminatrici. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 34 Sulla base di questi principi, e alla luce della disciplina vigente, che non delinea alcuna ipotesi di immunit� sostanziale collegata all'attivit� dei servizi informativi, l'opposizione del segreto di Stato da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri non ha l'effetto di impedire che il pubblico ministero indaghi sui fatti di reato cui si riferisce la notitia criminis in suo possesso, ed eserciti se del caso l'azione penale, ma ha l'effetto di inibire all'autorit� .giudiziaria di acquisire e conseguentemente di utilizzare gli elementi di conoscenza e di prova coperti dal segreto. Tale divieto riguarda l'utilizzazione degli atti e documenti coperti da segreto sia in via diretta, ai fini cio� di fondare su di essi l'esercizio dell'azione penale, sia in via indiretta, per trarne spunto ai fini di ulteriori atti di indagine, le cui eventuali risultanze sarebbero a loro volta viziate dall'illegittimit� della loro origine. Fermo il principio di legalit�, i rapporti tra Governo e autorit� giudiziaria debbono essere ispirati a correttezza e lealt�, nel senso dell'effettivo rispetto delle attribuzioni a ciascuno spettanti. Entro questo quadro, non potrebbe ad esempio l'autorit� giudiziaria aggirare surrettiziamente il segreto opposto dal Presidente del Consiglio, inoltrando ad altri organi richieste di esibizione di documenti dei quali le sia nota la segretezza formalmente opposta. Nel caso di specie, non appare conforme al dovere di lealt� e di correttezza il comportamento del procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna che, pur essendo a conoscenza dell'avvenuta opposizione del segreto, non ne ha di fatto tenuto conto, rivolgendo al Questore di Bologna ordine di esibizione di documentazione riguardante le indagini svolte a suo tempo dalla polizia e dai servizi. Risultano pertanto lese le attribuzioni costituzionalmente riconosciute al Presidente del Consiglio, e il vizio non riguarda soltanto l'acquisizione di atti e documenti del cui contenuto il Procuratore della Repubblica di Bologna sia venuto a conoscenza, ma coinvolge anche l'eventuale attivit� di indagine susseguentemente svolta avvalendosi di quelle conoscenze. Per contro non � precluso al pubblico ministero di procedere, ove disponga o possa acquisire per altra via elementi indizianti del tutto autonomi e indipendenti dagli atti e documenti c�perti da segreto. Spetta poi al giudice, al quale il pubblico ministero formula le sue richieste, decidere se si debba dichiarare non doversi procedere per l'esistenza del segreto di Stato, allorquando ritenga essenziali prove la cui acquisizione e utilizzazione sono impedite dal segreto medesimo. Nella specie, risulta, in base a quanto si � detto nella precedente esposizione in fatto, che atti coperti dal segreto sono stati acquisiti ed utilizzati; che da essi il pubblico ministero ha preso le mosse per ulteriori indagini e che la richiesta di rinvio a giudizio indica, fra le fonti di prova dei reati contestati, alcuni documenti coperti dal segreto legalmente opposto. Sotto questo profilo, la domanda del ricorrente � dunque fondata: e devono pertanto essere annullati, ai sensi dell'art. 38 della legge n. 87 del 1953, gli atti di indagine compiuti sulla base di fonti di prova coperte dal segreto, nonch� la sopravvenuta richiesta di rinvio a giudizio, in quanto vi sono indicate o sono comunque utilizzate fonti di prova coperte dal segreto. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 35 PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara che non spetta al pubblico ministero, in persona del procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna, n� acquisire, n� utilizzare, sotto alcun profilo, direttamente o indirettamente, atti o documenti sui quali � stato legalmente opposto e confermato dal Presidente del Consiglio dei Ministri il segreto di Stato, n� trame comunque occasione di indagine ai fini del promovimento dell'azione penale, e conseguentemente annulla gli atti di indagine compiuti sulla base di fonti di prova coperte dal segreto di Stato, nonch� la sopravvenuta richiesta di rinvio a giudizio. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 16 aprile 1998) n. 112 -Pres. Granata -Red. Vassalli -Presidente del Consiglio dei Ministri (avv. Stato Caramazza). Procedimento penale -Assicurazione obbligatoria per la responsabilit� civile auto -Citazione responsabile civile -Istanza della parte civile ma non dell'imputato -Illegittimit�. (Cost. artt. 3 e 24; c.p.p. art. 83) Viola il principio di eguaglianza la norma che nel processo penale consente solo alla parte civile di chiedere la citazione del responsabile civile, escludendo tale facolt� per l'imputato, limitatamente all'ipotesi in cui quest'ultimo voglia far valere la garanzia assicurativa obbligatoria per la responsabilit� civile auto (1). (omissis) 1. -Il pretore di Ancona, sezione distaccata di Fabriano, solleva questione di legittimit� costituzionale dell'art. 83 del codice di procedura penale nella parte in (1) Riprendendo in esame un orientamento risalente ad una sentenza del 1982 la Corte ha dichiarato l'illegittimit� costituzionale in parte qua dell'art. 83 del nuovo codice di procedura penale, ritenendo prevalente un profilo di illegittimit� che il Pretore di Ancona ha aggiunto a quelli in precedenza inutilmente sollevati. La diseguaglianza da cui si � fatta discendere l'incostituzionalit� della norma non � stata qui infatti pi� prospettata tra imputato e parte civile, che indubbiamente hanno posizioni diverse nel processo penale che si ripercuotono anche sulla loro legittimazione rispetto alla citazione del responsabile civile, bens� tra soggetti autori del danno garantito dalla RCA a seconda che siano soggetti all'azione civile proposta nell'ordinaria sede del processo civile o in quella del processo penale. L'identit� di questo rapporto trilaterale � stata considerata dalla Corte prevalente rispetto alla natura del processo, cos� da far superare ogni perplessit� riguardo le ragioni che ordinariamente non consentono all'imputato di chiedere la citazione del responsabile civile. Anche facendo riferimento all'art. 651 c.p.p., che riconosce efficacia di giudicato alla sentenza di condanna solo nei confronti del responsabile civile che abbia partecipato al procedimento, la decisione rivela l'intendimento del Giudice delle leggi di far prevalere le esigenze di tutela del rapporto sostanziale (l'assicurazione) su quelle in qualche modo formali del processo. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO . 36 cui esso non prevede, nel caso di costituzione di parte civile, che anche l'imputato possa chiedere al giudice che procede la citazione del responsabile civile. La questione, sorta in un processo per omicidio colposo a seguito di circolazione di autoveicoli, � sollevata con riferimento a pi� parametri e sotto una pluralit� di profili. Viene evocato l'art. 3 della Costituzione con la denuncia di due distinte lesioni del principio di eguaglianza. La prima lesione si avrebbe per la differente posizione fatta all'imputato e al responsabile civile (che nella causa civile inserita nel processo penale si trovano rispetto all'azione civile in una piena equiparabilit� di ruoli), in quanto il responsabile civile, che pu� essere chiamato in causa soltanto dalla parte civile (o dal pubblico ministero nella speciale situazione prevista dall'art. 77, n. 4), pu� intervenire volontariamente a tutela dei propri interessi (art. 85 cod. proc. pen.), mentre all'imputato non � data la possibilit� di ottenerne la presenza nel processo. La seconda lesione dell'art. 3 si avrebbe invece per la disparit� di posizione fatta al danneggiante nel processo penale rispetto a quella che egli ha nel processo civile. In quest'ultimo il convenuto pu� chiamare in garanzia il responsabile civile (nella specie l'impresa assicuratrice), la cui posizione, nell'ambito della legge 24 dicembre 1969, n. 990, � disciplinata dagli artt. 18 e 23 della legge stessa, mentre nel processo penale, all'imputato che si trova ad essere parimenti convenuto dal danneggiato costituitosi parte civile, tale potere di chiamata in garanzia non � in alcun modo attribuito, con esclusione dunque incongrua e non giustificata. La lesione dell'art. 24 della Costituzione si avrebbe invece perch�, una volta preclusagli la chiamata in garanzia del responsabile civile nel processo civile per risarcimento del danno innestato nel processo penale, l'imputato si trova a dover sopportare da solo le conseguenze civili del reato ascrittogli, non solo in sede penale (dove pu� essere condannato al risarcimento del danno ed anche al pagamento di una provvisionale), ma anche nella successiva sede civile �non potendosi, addirittura, escludere che si trovi perdente nell'azione di regresso (o in altra autonoma azione, se non si accede alla tesi della solidariet�) da lui intentata al responsabile civile�. Infine verrebbe in considerazione anche l'art. 97 della Costituzione, �confliggendo sicuramente con il principio del buon andamento dell'amministrazione della giustizia il possibile contrasto di pronunce giurisdizionali, contrasto che non pu� neppure ascriversi ad una fisiologica tolleranza d~l sistema nel suo complesso, in quanto derivante da norme Se � vero che proprio la Cassazione penale richiamata nella motivazione attribuisce agli istituti civilistici calati nel contesto del giudizio penale delle "reazioni di adattamento", � evidente che per la Corte Costituzionale questo adattamento non pu� arrivare al punto di ridurre la garanzia ex lege peculiare del regime di RCA. Per cui se ordinariamente l'imputato non avrebbe titolo a coinvolgere nel giudizio penale il responsabile civile neppure per esserne garantito, tale limitazione appare contraria al suo diritto di tutela assicurativa (e quindi indirettamente al principio di eguaglianza) quando la costituzione della parte civile nel giudizio penale introduca in tale ambito giudiziario quella stessa azione risarcitoria che in sede civile avrebbe avuto come naturale controparte la societ� di assicurazione; allora occorre consentire al danneggiante la citazione del responsabile civile affinch� il contraddittorio si svolga tra tutti i soggetti che il sistema della legge 990/1969 ha voluto raggruppare con finalit� semplificativa, ma anche particolarmente garantista per entrambe le parti del rapporto risarcitorio. G.P.P. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE assolutamente incongrue e neppure necessarie o indefettibili alla differenza tra le funzioni del processo penale e quelle del processo civile�. Il giudice a quo prende le mosse dalla sentenza n. 38 del 1982 di questa Corte (ribadita nella ordinanza n. 120 dello stesso anno), con la quale analoga questione di legittimit� costituzionale degli artt. 107 e 110 dell'allora vigente codice di procedura penale del 1930, relativi alla citazione del responsabile civile nel processo penale, sollevata in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione, fu dichiarata non fondata; e implicitamente riconosce che il sistema in materia non � cambiato da quello allora vigente n� sotto il profilo della posizione fatta alle singole parti (parte civile, imputato, responsabile civile) e ai diritti da loro esercitabili in seno al processo penale, n� sotto il profilo dell'efficacia delle sentenze penali (di condanna o di proscioglimento) sul processo civile di danno, dato che con le dichiarazioni di parziale illegittimit� costituzionale degli artt. 27 e 28 del codice di procedura penale del 1930, intervenute ad opera delle sentenze n. 55 del 1971 e n. 99 del 1973 di questa Corte, il sistema relativo all'efficacia delle sentenze penali nei giudizi civili o amministrativi di danno gi� aveva assunto connotati analoghi a quelli sanciti negli artt. 651 e 652 del codice oggi vigente. Tuttavia il rimettente ripercorre il ragionamento svolto nella sentenza suddetta per contestare come �non appagante� l'aver circoscritto l'indagine circa il possibile contrasto di giudicati sull'azione civile prendendo quale punto di riferimento il solo ambito della difesa penale dell'imputato e trascurando invece il peso gravante sull'imputato stesso per effetto della condanna al risarcimento del danno. Ma oltre a ribadire cos�, sotto questo profilo, l'argomento (gi� disatteso dalla sentenza n. 38 del 1982) di una ingiustificata disuguaglianza di posizioni tra l'imputato e il responsabile civile, con connessa lesione anche del diritto di difesa dell'imputato, l'ordinanza del giudice a quo si sofferma ampiamente su altro aspetto della dedotta lesione dell'art. 3 Cast., che nel 1982 non era stato menomamente sollevato e non aveva pertanto formato oggetto di esame da parte della Corte costituzionale: e cio� la disparit� di trattamento dell'imputato assoggettato alla azione di risarcimento del danno nel processo penale rispetto al convenuto per la stessa azione in sede civile, al quale � riconosciuto il diritto di chiamare in garanzia il responsabile civile. 2. -Conviene prendere le mosse da quest'ultima censura, che come si � detto -non fu oggetto di esame da parte della sentenza n. 38 del 1982. Sotto questo profilo la questione di illegittimit� costituzionale � fondata. 3. -Vengono in considerazione, ad un tempo, la legge 24 dicembre 1969, n. 990, da un lato, e gli artt. 1917, comma ultimo, del codice civile e 106 del codice di procedura civile dall'altro. Nella legge n. 990 del 1969, istitutiva dell'assicurazione obbligatoria della responsabilit� civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, interessano, ai fini del giudizio di comparazione devoluto alla Corte attraverso l'ordinanza di rimessione, gli artt. 18 e 23. Il primo comma dell'art. 18 stabilisce che �il danneggiato per sinistro causato dalla circolazione di un veicolo o di un natante per i quali a norma della presente legge vi � l'obbligo di assicurazione ha azione diretta per il risarcimento del danno nei confronti dell'assicuratore, entro i limiti delle RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 38 somme per le quali � stata stipulata l'assicurazione�. L'art. 23 statuisce che �nel giudizio promosso contro l'assicuratore a norma dell'art. 18, comma primo, della presente legge, deve essere chiamato nel processo anche il responsabile del danno�. Queste due disposizioni, ovviamente da inquadrarsi nel complesso della legge a cui appartengono, bastano, ad avviso di questa Corte, per collocare la particolare responsabilit� civile in questione tra i casi di responsabilit� civile ex lege ai quali si riferisce il comma secondo dell'art. 185 del codice penale quando stabilisce il principio per cui �ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui�: ovviamente nel processo civile ove l'azione di responsabilit� per danno sia esercitata, per qualsiasi motivo, indipendentemente o separatamente dall'azione penale e nel processo penale ove vi sia (e finch� vi sia) costituzione di parte civile del danneggiato. Un orientamento, questo, implicitamente confermato dalla giurisprudenza di questa Corte, la quale, proprio con riferimento alla legge n. 990 del 1969, ha avuto occasione di osservare che la citazione della societ� assicuratrice si identifica nella creazione di una <<nuova figura di responsabile civile� (v. sentenza n. 24 del 1973, n. 7 del Considerato in diritto). Tale � del resto anche il pensiero della dottrina e della giurisprudenza; e l'esperienza giudiziaria insegna che esistono casi nei quali la parte civile cita nel processo penale per reati commessi con violazione delle norme sulla circolazione di autoveicoli l'impresa assicuratrice come responsabile civile. N� � qui superfluo rimarcare che sotto questo aspetto il processo penale si allinea pienamente sul modello del processo civile, nel quale l'art. 18 della legge n. 990 del 1969 abilita il danneggiato all'azione diretta per il risarcimento del danno nei confronti dell'assicuratore. Quando la Corte di cassazione esclude l'azione civile diretta del danneggiato contro l'assicuratore in sede civile (e conseguentemente esclude la citazione del1' assicuratore medesimo come responsabile civile nel processo penale) ci� avviene solo con riferimento a quelle assicurazioni che hanno la loro fonte esclusiva nel contratto, osservandosi che in questi casi l'assicuratore � soltanto tenuto verso l'assicurato, ovviamente nei limiti del capitale assicurato. Ma la stessa Corte di cassazione riconosce invece esplicitamente che l'assicurazione obbligatoria della responsabilit� civile derivante da circolazione di autoveicoli a motore e di natanti configura una responsabilit� civile del'l'assicuratore ex lege da inquadrarsi nell'ambito di applicazione dell'art. 185 del codice penale (cfr. ex plurimis Cass. pen., sez. VI, 8 novembre 1977, n. 15974; sez. IV, 14 maggio 1987, n. 10910; sez. IV, 12 aprile 1988, n. 10354; sez. IV, 10 aprile 1997, n. 4940). Ci� premesso, � evidente che nel giudizio civile di danno, cagionato dalla circolazione di autoveicoli a motore, il danneggiante convenuto ben pu� chiamare in garanzia l'impresa assicuratrice a' sensi dell'art. 106 del codice di procedura civile, al quale � correlato, per quanto riguarda i rapporti di assicurazione della responsabilit� civile, l'art. 1917, comma ultimo, del codice civile. N� giova ad escludere questa possibilit� il carattere di �garanzia impropria� generalmente (ma non senza contrasti) attribuito al tipo di rapporto assicurativo in discorso, carattere che assume rilievo per un ordine totalmente diverso di problemi, e precisamente ai fini della competenza per connessione di cui all'art. 32 del codice di procedura civile. 4. -Se, dunque, � fuori discussione la chiamata in garanzia dell'assicuratore da parte dell'assicurato convenuto in un giudizio civile per il risarcimento del PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE danno provocato con la circolazione di autoveicoli sottoposti alle norme della legge per l'assicurazione obbligatoria della responsabilit� civile, diviene fondato domandarsi perch� analogo potere non sia attribuito all'imputato nel processo penale. La posizione del convenuto chiamato a rispondere del proprio fatto illecito in autonomo giudizio civile e quella dell'imputato per il quale, in relazione allo stesso tipo di illecito, vi sia stata costituzione di parte civile del danneggiato nel processo penale sono assolutamente identiche: con la conseguenza che il principio costituzionale di eguaglianza � violato da un sistema come quello degli artt. 83 e seguenti del codice di procedura penale, per effetto del quale l'assicuratore, quando sia responsabile civile a' sensi di legge pu� entrare nel processo solo in forza di citazione della parte civile (o del pubblico ministero nel caso previsto dall'art. 77, n. 4) o in forza del proprio intervento volontario. N� si pu� trascurare di considerare che un sistema nel quale il danneggiato, costituendosi parte civile, diviene il dominus dell'estensione soggettiva degli effetti civili della sentenza penale, oltre ad apparire inadeguato rispetto ai ricordati strumenti di accesso del responsabile civile nel processo penale, risulta ben poco coerente rispetto al modello prefigurato dall'art. 651 del codice di procedura penale in ordine agli effetti di natura extra penale del giudicato penale, potendo tali effetti realizzarsi nei confronti del responsabile civile solo nel caso in cui egli sia stato citato o sia intervenuto volontariamente nel processo penale. Cos� da comprovare, ancora una volta, l'irrazionalit� di una disciplina legislativa che, deviando -senza alcun plausibile motivo -dallo schema del rapporto processuale civile, priva l'imputato di ogni possibilit� di coinvolgere nella pretesa di danno avanzata dalla parte civile il civilmente responsabile. Non sembra infine possibile arrivare alla medesima conclusione in semplice via di interpretazione, sia perch� il principio di cui all'ultimo comma dell'art. 1917 del codice civile non pu� portare a tanto sia perch� la particolare disciplina dettata dal codice di procedura civile per la chiamata in garanzia non si presta ad essere utilizzata nello speciale contesto del giudizio civile di danno innestato nel processo penale mediante la costituzione di parte civile. Come si legge in una sentenza della Corte di cassazione, sia pure con riferimento a rapporti assicurativi diversi da quelli qui in esame, �gli istituti civilistici, quando vengono calati nel contesto del giudizio penale subiscono delle "reazioni di adattamento'', ma occorre che gli "adattamenti" siano previsti da norme specifiche o che siano conseguenze necessitate da evidenti esigenze di equit� e di armonizzazione� (Cass. pen., sez. IV, 10 aprile 1997, n. 4940). Deve dunque dichiararsi la illegittimit� costituzionale della norma denunciata per violazione del principio di eguaglianza sotto il profilo sin qui esaminato, restando assorbiti gli altri profili di illegittimit� denunciati dal giudice a quo sia in relazione allo stesso art. 3 sia in relazione agli artt. 24 e 97 della Costituzione. La chiamata in causa del responsabile civile da parte dell'imputato presuppone ovviamente la previa costituzione di parte civile e la permanenza della presenza di quest'ultima nel processo penale (cfr. in particolare l'art. 83, comma 6, cod. proc. pen.). (omissis) RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 40 CORTE COSTITUZIONALE, 16 aprile 1998, n. 113 -Pres. Granata -Red. Contri -Presidente del Consiglio dei Ministri non intervenuto. Famiglia -Pubblico impiego -Aspettativa per ricongiungimento al dipendente . statale in servizio all'estero -Esclusione per i dipendenti degli enti locali Disparit� di trattamento -Legittimit�. (Cost. artt. 2,3, 29 e 31; legge 11 febbraio 1980 n. 26 art. 1) In caso di servizio all'estero di un dipendente statale non � illegittima la norma che consente l'aspettativa senza assegni del coniuge che sia anch'esso dipendente statale e non anche di quello che sia dipendente di ente locale (1). (omissis). 1. -Il tribunale amministrativo regionale dell'Umbria dubita, in riferimento agli artt. 2, 3, 29 e 31 della Costituzione, della legittimit� costituzionale dell'art. 1 della legge 11 febbraio 1980, n. 26 (Norme relative al collocamento in aspettativa dei dipendenti dello Stato il cui coniuge, anche esso dipendente dello Stato, sia chiamato a prestare servizio all'estero), nella parte in cui non contempla -tra i titolari del diritto al collocamento in aspettativa per ricongiungimento con il coniuge dipendente statale in servizio all'estero -anche i dipendenti degli enti locali. Il contrasto con i menzionati parametri costituzionali si profila -ad avviso del collegio rimettente -giacch� la disposizione impugnata produrrebbe una ingiustificata disparit� di trattamento in danno dei dipendenti degli enti locali, contraddicendo alla sua stessa ratio individuabile nella finalit� di salvaguardare l'unit� e l'integrit� del nucleo familiare. 2. -La questione non � fondata. Dai lavori preparatori (Atti parlamentari, Senato della Repubblica, VIII Legislatura, disegno di legge n. 364) risulta, da un lato, che la legge n. 26 del 1980 trae (1) Con la sentenza in rassegna la Corte applica in modo molto attento il canone della parit� di trattamento anche in un campo in cui � particolarmente sensibile a tale esigenza, come quello che coinvolge il delicato assetto dell'unit� familiare. Cos�, pur ammettendo che il dipendente dell'ente locale non pu� beneficiare di un'aspettativa, concessa nella stessa situazione al dipendente statale, la Corte si fa carico di ricostruire, attraverso i lavori preparatori e l'evoluzione legislativa, la ratio della normativa in esame e di prendere atto dei problemi determinati dall'incremento del numero delle donne nelle carriere statali e dal relativo aumento dei matrimoni tra dipendenti dello Stato. Tale fenomeno tuttavia -ritiene la sentenza -pu� essere fronteggiato diversamente in un ambito organizzativo di dimensione nazionale, ove singole ma statisticamente limitate aspettative non determinano problemi particolari data l'ampiezza della pianta organica, da come potrebbe avvenire all'interno delle ridotte configurazioni di anche piccoli enti locali. Proprio valorizzando la non �irragionevole valutazione discrezionale delle differenti esigenze organizzative� si arriva alla conclusione che la disparit�, per quanto esistente, � giustificata ed ammissibile nell'attuale sviluppo del sistema normativo, che non manca di altri strumenti di salvaguardia dell'unit� familiare. G.P.P. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTffUZIONALE 41 origine da esigenze manifestatesi in talune amministrazioni dello Stato (inizialmente, all'interno di quella dipendente dal Ministero degli affari esteri, e poi in seno ad altre, specialmente le amministrazioni della pubblica istruzione e della difesa), �Con il notevole incremento di donne che hanno intrapreso carriere statali e con il conseguente aumento di matrimoni fra dipendenti dello Stato�; dall'altro, che si tratta di un ampliamento dell'aspettativa per motivi di famiglia di cui all'art. 69 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato). Nel corso della discussione in assemblea al Senato (Atti parlamentari, Senato della Repubblica, VIII Legislatura, Resoconto stenografico della seduta antimeridiana del 6 dicembre 1979, p. 2851 s.), ed in seno alla Prima commissione della Cam~ra (Atti parlamentari, Camera dei deputati, VIII Legislatura, Prima commissione, seduta del 23 gennaio 1980, p. 68 s.), si � sottolineata l'esigenza di tutelare l'unit� della famiglia anche nel caso in cui il coniuge non sia dipendente statale, ed in particolare nel caso in cui si tratti di dipendente privato. Tali auspici non si sono tuttavia tradotti in un ampliamento dell'ambito di applicabilit� della legge in discussione, cosicch� l'estensione dei benefici da essa previsti � rimasta affidata a futuri provvedimenti leg�slativi. Anche in considerazione del tenore di alcune disposizioni della legge n. 26 del 1980, la disciplina di cui il collegio rimettente chiede l'estensione appare preordinata in modo inequivoco ad introdurre una nuova ipotesi di aspettativa senza assegni -revocabile in qualunque momento per ragioni di servizio -nell'ambito dell'impiego statale. In particolare, l'impugnato art. 1 prevede che il dipendente possa chiedere il collocamento in aspettativa, �qualora l'amministrazione non ritenga di poterlo destinare a prestare servizio nella stessa localit� in cui si trova il coniuge, o qualora non sussistano i presupposti per un suo trasferimento nella localit� in questione �, delineando in tal modo una duplice condizione non realizzabile per i dipendenti degli enti locali. Lo stesso meccanismo di cui all'art. 4 sembra presupporre piante �rganiche di una certa consistenza numerica, laddove prevede che, qualora l'aspettativa si protragga oltre un anno, l'amministrazione ha facolt� di utilizzare il posto corrispondente ai fini delle assunzioni e, in tal caso, l'impiegato che cessa dall'aspettativa �occupa -ove non vi siano vacanze disponibili -un posto in soprannumero da riassorbirsi al veriflcarsi della prima vacanza�. Successivamente, la legge 25 giugno 1985, n. 333 (Estensione dei benefici di cui alla legge 11 febbraio 1980, n. 26, ai dipendenti statali il cui coniuge presti servizio all'estero per conto di soggetti non statali), articolo unico, ha stabilito che �il dipendente statale, il cui coniuge presti servizio all'estero per conto di soggetti non statali, pu� chiedere il collocamento in aspettativa a norma della legge 11 febbraio 1980, n. 26�. Tale estensione dei benefici originariamente previsti dalla legge denunciata conferma la scelta del legislatore di riferire alle sole amministrazioni statali l'istituto del collocamento in aspettativa per ricongiungimento con il coniuge in servizio all'estero, beneficio peraltro configurato nei termini condizionali ed ipotetici di cui all'art. 1, e suscettibile di essere revocato "in qualunque momento" per ragioni di servizio (oltre che in difetto di effettiva permanenza all'estero del dipendente in aspettativa). La scelta del legislatore di limitare all'�mbito dell'impiego statale l'operativit� di questo istituto -volto a tutelare l'unit� e l'integrit� del nucleo familiare RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAro-� muove da una non irragionevole valutazione discrezionale delle differenti esigenze organizzative delle varie amministrazioni pubbliche e, nonostante la possibilit� di < una diversa e pi� estesa disciplina dei benefici di cui si tratta, non si pone in contrasto con gli invocati parametri costituzionali in materia di tutela della famiglia. __ Tanto pi� che l'esigenza di salvaguardare l'unit� del nucleo familiare, anche nelle ipotesi non contemplate dall'art. 1 della legge n. 26 del 1980 pu� trovare un riconoscimento -sebbene si tratti di strumenti non pienamente fungibili, quanto al grado di tutela, con l'istituto disciplinato dalla disposizione impugnata -attraverso il ricorso ad altri benefici ed ipotesi di aspettativa, previsti dalla legge, dai contratti collettivi, ovvero da norme di generale applicazione nell'�mbito del pubblico impiego. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 23 aprile 1998, n. 138 -Pres. Granata -Red. Mezzanotte -Presidenza del Consiglio dei Ministri (avv. Stato Caramazza) Reato � Attenuante della riparazione del danno -Responsabilit� civile auto Risarcimento dell'assicuratore -Idoneit� . (Cost., art. 3; c.p. art. 62 n. 6) Non � illegittima la previsione dell'attenuante di avere prima del giudizio riparato interamente il danno, purch� si interpreti nel senso che opera anche a favore del danneggiante il cui assicuratore sulla R.CA. abbia effettuato tale risarcimento (1). (omissis) 1. -Viene all'esame di questa Corte la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 62, n. 6, prima parte, del codice penale, che prevede come circostanza attenuante l'avere prima del giudizio riparato interamente il danno mediante il risarci( 1) Continua l'opera �li adattamento dello schema ordinario del processo penale a quel particolare giudizio che riguarda la responsabilit� connessa con la circolazione stradale; dopo la sentenza 112/98 relativa alla citazione del responsabile civile, � ora la volta dell'attenuante ex art. 62 n. 6 c.p., che viene vagliata in chiave di disparit� di trattamento, sotto il profilo dell'indebita parificazione tra l'automobilista regolarmente assicurato e quello privo di copertura. A ben guardare tuttavia � evidente che la pretesa violazione dell'art. 3 Cost. � un mero pretesto per evidenziare l'assurdit� di un'interpretazione dell'art. 62 c.p. cit., secondo la quale il danneggiante non potrebbe godere del relativo beneficio quando il danno sia stato riparato direttamente dalla societ� assicuratrice, come di regola dovrebbe avvenire nella corretta applicazione della legge 990/1969. Valorizzando la posizione assunta dall'Avvocatura dello Stato, la Corte Costituzionale ha inteso superare l'orientamento restrittivo assunto in prevalenza anche dalla Cassazione penale ed ha proposto una interpretazione della norma che, ponendosi agli antipodi con quella del c.d. diritto vivente , la fa uscire indenne dal vaglio di costituzionalit�. Va dato atto alla sentenza in rassegna di avere opportunamente evidenziato la ratio dell'interpretazione in chiave meramente soggettiva seguita dalla giurisprudenza per attribuire all'imputato il �merito� solo quando abbia riparato il danno in prima persona, e di avere poi contrap PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 43 mento di esso. Secondo la Corte d'appello di Trieste, questa disposizione, nell'interpretazione assunta dalla prevalente giurisprudenza di cassazione, che ne esclude l'applicabilit� nell'ipotesi in cui il risarcimento sia stato effettuato, in forza di contratto di assicurazione contro la responsabilit� civile verso terzi, dall'ente assicuratore, contrasterebbe con l'art. 3 della Costituzione, per l'ingiustificata disparit� di trattamento tra chi abbia adempiuto all'obbligo di stipulare un contratto per l'assicurazione contro la responsabilit� civile verso terzi derivante da circolazione di veicoli o natanti a motore e chi invece, violando la legge, un tale contratto non abbia stipulato. 2. -La questione non � fondata nei sensi di seguito precisati. � vero che la prevalente giurisprudenza della Corte di cassazione, della quale � espressione la sentenza delle sezioni unite 17 aprile 1989, n. 5909, ritiene non applicabile l'attenuante della riparazione del danno prevista dall'art. 62, n. 6, del codice penale, nel caso di risarcimento compiuto dall'ente assicuratore. Questo tradizionale orientamento, che risale alla relazione al codice, � imperniato sul rilievo che la circostanza di cui al citato art. 62, n. 6, prima parte, ha natura soggettiva e si deve perci� risolvere in un comportamento che denoti la volont� dell'imputato di riparare il danno prodotto con la sua condotta criminosa, e quindi in una tangibile manifestazione di resipiscenza che non potrebbe essere riscontrata quando il risarcimento non sia effettuato personalmente e direttamente dall'imputato medesimo, ma sia intervenuto ad opera della compagnia assicuratrice. Rileva per� correttamente l'Avvocatura dello Stato che, nonostante la richiamata giurisprudenza, non vi sono ostacoli a che il giudice adotti della disposizione censurata una interpretazione adeguatrice, tale cio� da risolvere immediatamente, e senza la necessit� di una pronuncia caducatoria di questa Corte, il dubbio di legittimit� costituzionale. L'interpretazione fatta propria dal remittente non �, infatti, la sola possibile, n� l'orientamento che in essa si esprime pu� essere considerato in questa sede diritto vivente. Successive sentenze della stessa Corte di cassazione (ad es.: sez. III, 18 dicembre 1991, n. 12760), proprio muovendo dai profili di incostituzionalit� connessi alla prevalente interpretftzione, affermano l'esigenza di svincolare l'attenuante del risarcimento del danno dalla sua tradizionale collocazione nel novero delle attenuanti soggettive e di ritenerla tale solo quanto agli effetti, ai sensi dell'art. 70 posto tale possibile finalit� della norma con quella della �insostituibile funzione riequilibratrice� svolta nell'ordinamento dall'istituto dell'assicurazione obbligatoria R.C.A., inquadrando quest'ultimo in una inedita �attuazione degli imperativi contenuti nell'art. 3 Cost.�. In questo possibile contrasto la Corte ha fatto prevalere le esigenze di solidariet� sociale che devono favorire il risarcimento del danno da parte della compagnia di assicurazione, senza essere ostacolate dai risvolti penali, fino al punto di far beneficiare l'imputato di un fatto che prescinde dalla sua oggettiva volont�. Si potrebbe forse obiettare che un tale sistema favorisce gli imputati assicurati da compagnie solide e sollecite nei pagamenti rispetto a quelli che non hanno alle spalle un garante altrettanto affidabile, ma questa � una circostanza di fatto che per la sua casualit� non dovrebbe avere rilievo. G.P.P. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO , � 44 cod. pen., ma non anche ai fini del suo contenuto, l'analisi del quale dovrebbe invece indurre a qualificarla come essenzialmente oggettiva. E invero, a favore della qualificazione dell'attenuante in senso oggettivo, sotto l'aspetto contenutistico, depongono concordi argomenti testuali, logici e sistematici. In primo luogo, nessun elemento, nella formulazione legislativa, conduce a ritenere che il legislatore abbia assunto come fine dell'attenuante il ravvedimento del reo. Dal punto di vista logico, il fatto che il risarcimento debba essere integrale e che non sia quindi ammessa una riparazione parziale �, al contrario, indice non solo della irrilevanza degli stati psicologici o dell'atteggiamento interiore del reo, ma del preminente risalto che si intende dare alla figura della persona offesa e all'esigenza che il pregiudizio da questa subito a causa del comportamento criminoso del colpevole sia interamente ristorato. La considerazione dell'integralit� del risarcimento � talmente esclusiva che nemmeno il pi� evidente tra gli indici di ravvedimento, quale in astratto potrebbe essere il trasferimento spontaneo di tutti i beni dell'imputato a favore della persona offesa, varrebbe a rendere operante l'attenuante se il riequilibrio patrimoniale non risultasse pieno. � questo il segno che nel conflitto di interessi tra reo e vittima del reato, regolato dall'art. 62, n. 6, prima parte, cod. pen., l'interesse della vittima non lascia alcuno spazio a pur eloquenti manifestazioni di ravvedimento del reo, per le quali soccorrono oggi altri istituti del diritto penale. In verit�, la pretesa che nel riconoscimento dell'attenuante debba aversi riguardo al pentimento del reo, desunto dal sacrificio patrimoniale a cui si sottopone personalmente come indice di diminuita capacit� a delinquere, sospingerebbe l'obbligazione verso la finalit� rieducatrice che � propria della pena. Ma non � questo il fine dell'obbligazione risarcitoria che incombe sull'autore del reato: nel sistema del codice penale tale obbligazione ha natura civilistica ed � dotata di una finalit� di emenda non maggiore di quanta non ne possieda la generalit� delle obbligazioni civili nascenti da fatto illecito. L'art. 185 cod. pen. prevede che ogni reato che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbano rispondere per il fatto altrui; l'adempimento di tale obbligazione pu� provenire indifferentemente dal reo o dal responsabile civile, restando, nell'un caso e nell'altro, identica la finalit� della disposizione, che � quella del soddisfacimento della pretesa del danneggiato mediante la reintegrazione del suo patrimonio. Non diversa finalit�, per la chiara correlazione sistematica tra le due disposizioni, possiede l'art. 62, n. 6, prima parte, del codice penale, col suo prevedere che il risarcimento del danno sofferto dalla parte lesa debba essere integrale, ossia che l'obbligazione civile nascente dal reato debba essere adempiuta, e quindi estinta, prima del giudizio. La sola variante che l'art. 62 introduce al regime delle obbligazioni nascenti dal reato, rispetto al diritto civile, � che agli effetti dell'attenuante non sono consentite dilazioni di pagamento n� sono ammessi modi di estinzione dell'obbligazione diversi dall'adempimento. Ma � questa una variante che, lungi dal deporre nel senso di una qualche finalit� di rieducazione o di emenda del reo, rafforza ancor pi� il carattere essenzialmente oggettivo dell'attenuante e il suo essere ordinata al ristoro della parte offesa onde risulti, con valutazione ex post meno grave la vulnerazione del1' ordine giuridico provocata dal reato. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 3. -Decisiva, ai fini di una corretta lettura della disposizione censurata, � la considerazione che l'interpretazione dell'attenuante in chiave meramente soggettiva, che ravvisasse in essa una finalit� rieducativa, contrasterebbe con l'art. 3 della Costituzione sotto i molteplici profili evidenziati dal giudice remittente e dalla pi� recente giurisprudenza della Corte di cassazione. Ne seguirebbe infatti una arbitraria svalutazione dell'istituto dell'assicurazione obbligatoria della responsabilit� civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti (legge 24 dicembre 1969, n. 990), istituto che svolge nel nostro ordinamento una insostituibile funzione riequilibratrice, in attuazione degli imperativi contenuti nell'art. 3 della Costituzione. Alla base della scelta di politica sociale a favore dell'assicurazione obbligatoria sta l'enorme sviluppo che ha avuto negli ultimi decenni la motorizzazione civile. Se il fine preminente � quello della tutela delle vittime della circolazione, non � disgiunta da tale scelta, ed anzi le � inscindibilmente connessa, la creazione di un contesto di generale sicurezza patrimoniale (alla sicurezza tecnica provvedono altri istituti) quale condizione minima di accettabilit� degli attuali livelli del fenomeno. Di qui, appunto, l'obbligo imposto ad ogni proprietario di veicolo di trasferire ad un imprenditore specializzato, sottoposto a penetranti controlli pubblici, il rischio della propria responsabilit� civile, affinch� tale rischio sia ripartito fra tutti i proprietari di mezzi di trasporto a motore in modo che il sacrificio di ciascuno sia ridotto al minimo, e siano corrispondentemente massimizzate le garanzie patrimoniali dei danneggiati, secondo un principio di solidariet� che gi� questa Corte ha riconosciuto come fondamento della legge n. 990 del 1969 (sentenze nn. 560 del 1987, 77 del 1983 e 56 del 1975). Ebbene, l'interpretazione seguita dal giudice remittente, nell'imporre all'imputato, con la cogenza che � propria delle norme penali, l'onere di non avvalersi dell'assicurazione e di provvedere personalmente al ristoro dei danni, finirebbe col negare l'anzidetta funzione dell'assicurazione obbligatoria proprio nei frangenti nei quali se ne rende pi� manifesta l'essenzialit�: danni alle persone e conseguenti obblighi risarcitori eccedenti le normali condizioni patrimoniali dei proprietari di veicoli. E cos�, il risarcimento del danno, strutturato nell'ordinamento generale� attorno al principio di solidariet�, verrebbe privato di quell'insieme organizzato di garanzie patrimoniali che pe~ volont� del legislatore indefettibilmente l'accompagnano, e ridotto a prestazione personale del danneggiante isolatamente considerato, secondo una visione premoderna dell'istituto della responsabilit� civile in questo settore; una visione che non solo comporterebbe una macroscopica disparit� di trattamento tra danneggianti a seconda delle loro condizioni patrimoniali, ma si risolverebbe in un inammissibile restringimento del diritto alla resipiscenza o al ravvedimento che verrebbe riservato alle sole persone provviste di mezzi finanziari che siano in grado di provvedere personalmente all'integrale ristoro dei danni. Ne risulterebbero, simmetricamente, coinvolte le parti offese: la disposizione censurata, anzich� assicurare quella tutela risarcitoria completa e tempestiva che il testo dell'art. 62, n. 6, prima parte, mostra di voler perseguire, verrebbe in una qualche misura a limitare le loro opportunit� di un risarcimento rapido, riducendo la probabilit� di un intervento sollecitatorio presso l'ente assicuratore che un imputato, che potesse contare su un'accezione oggettiva dell'attenuante, sarebbe, di norma, interessato a compiere. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO' , 46 4. -Il principio di superiorit� della Costituzione impone ai giudici di scegliere tra pi� soluzioni astrattamente possibili quella che pone la legge al riparo da vizi di legittimit� costituzionale. E nella specie l'interpretazione dell'art. 62, n. 6, prima parte, del codice penale, non contraddetta dalla formulazione testuale, tale da lasciare indenne la disposizione dal vizio di costituzionalit� che altrimenti la inficerebbe, � nel senso che l'attenuante del risarcimento del danno in essa prevista sia operante anche quando l'intervento risarcitorio, comunque riferibile all'imputato, sia compiuto, prima del giudizio, dall'ente assicuratore. (omissis) SEZIONE SECONDA , GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, sez. Sa, 16 ottobre 1997, nelle cause riunite C -69 e 79/96 -Pres. Gulmann -Rel. Edward -Avv. Gen. Ruiz -Jarabo Colomber. Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Consiglio di Stato (Italia) nelle cause M.A. Garofalo ed altri c. Ministero Sanit� e U.S.L. Palermo. Interv.: Governo italiano (avv. Stato Ferri) e Commissione delle C.E. (ag. Pignataro). Comunit� Europee -Corte di giustizia -Rinvio pregiudiziale -Giurisdizione di uno degli Stati membri -Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica -Parere del Consiglio di Stato. (Trattato C.E., art. 177) Il Consiglio di Stato italiano, quando emette un parere nell'ambito di un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, costituisce una giurisdizione ai sensi del/' art. 177 del Trattato C.E. (1). (omissis) 17. -� assodato che il Consiglio di Stato possiede i requisiti necessari per essere considerato una giurisdizione ai sensi dell'art. 177 del Trattato, quando esamina (1) Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica e rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia delle C.E. Una domanda pregiudiziale ai sensi dell'art. 177 del trattato C.E., relativa all'interpretazione di alcune disposizioni della direttiva 86/457/CEE, sostituita e incorporata nella direttiva 93/16/CEE, relativa alla formazione specifica in medicina generale, era stata proposta alla Corte dal Consiglio di Stato nell'ambito di un procedimento conseguente a ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, prima dell'emissione del prescritto parere obbligatorio. La Corte ha risolto la questione statuendo che �l'art. 36, n. 2, della direttiva del Consiglio 5 aprile 1993, 93/16/CEE, intesa ad agevolare la libera circolazione dei medici e il reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed altri titoli -che ha sostituito l'art. 7, n. 2, della direttiva del Consiglio 15 settembre 1986, 86/457/CEE, relativa alla formazione specifica in medicina generale -dev'essere interpretato nel senso che uno Stato membro pu� determinare i diritti acquisiti dei medici di medicina generale, in relazione a situazioni anteriori al 1� gennaio 1995, alla sola condizione che riconosca ai medici che vi si sono stabiliti in forza della direttiva del Consiglio, 16 giugno 1975, 75/362/CEE, concernente il reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli di medico e comportante misure destinate ad agevolare l'esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera prestazione dei servizi, anteriormente al 1� gennaio 1995, il diritto di esercitare l'attivit� di medico di medicina generale nell'ambito del suo regime previ RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 48 in secondo e ultimo grado i ricorsi proposti avverso le sentenze pronunciate dai tribunali amministrativi regionali nell'ambito di controversie riguardanti atti della pubblica amministrazione. 18. La prima questione pregiudiziale � diretta a chiarire, in sostanza, se questo stesso organo costituisca una giurisdizione. ex dell'art. 177 del Trattato anche quando emette un parere nell'ambito di un ricorso straordinario. 19. -Per risolvere tale questione, occorre esaminare le modalit� d'intervento del Consiglio di Stato nell'ambito di tale specifico procedimento, alla luce dei criteri stabiliti dalla Corte di giustizia per definire la nozione di "giurisdizione" ai sensi dell'art. 177 del Trattato, quali l'origine legale dell'organo, il suo carattere permanente, l'obbligatoriet� della sua giurisdizione, la natura contraddittoria del procedimento, il fatto che l'organo applichi norme giuridiche e che sia indipendente (v., da ultimo, sentenza 17 settembre 1997, causa C-54/96, Dorsch Consult, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 23). 20. -Si deve infatti rilevare che il ricorso straordinario � un ricorso amministrativo contenzioso disciplinato, nel 1971, con decreto del Presidente della Repubblica n. 1199. 21. -Risulta inoltre dal fascicolo di causa che il soggetto il quale si proponga di ottenere l'annullamento di un atto amministrativo italiano pu� scegliere tra due denziale, anche qualora essi non siano in possesso di una formazione specifica in medicina generale e non abbiano instaurato alcun rapporto di servizio con il regime previdenziale di tale Stato�. Lo stesso Consiglio di Stato, per�, nutrendo dubbi sul proprio titolo per porre la questione pregiudiziale, aveva posto un quesito preliminare relativo alla nozione di �giurisdizione� ai sensi dell' art.177 del Trattato. �Poich� nell'ordinamento italiano -aveva osservato il Consiglio di Stato -il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, regolato dal decreto del Presidente della Repubblica 24 novembre 1971, n. 1199, � pacificamente considerato amministrativo, e non giurisdizionale , sembrerebbe inevitabile concludere che nel procedimento di decisione del ricorso straordinario non � ammesso proporre le questioni pregiudiziali alla Corte di Giustizia. Ci si pu� chiedere, per�, se l'art. 177, in rapporto alla sua ratio -che � quella di garantire l'uniformit� dell'interpretazione e dell'applicazione della normativa comunitaria -non debba essere interpretato in senso pi� lato: ossia intendendo come giurisdizionali non solo le istanze che sono formalmente dichiarate tali dai rispettivi ordinamenti nazionali, ma anche quelle istanze contenziose che nel1' ordinamento nazionale sono configurate con caratteristiche tali (indipendenza dell'organo decidente; imparzialit� del giudizio; parit� e contraddittorio fra le parti; irrevocabilit� della decisione; insindacabilit� della decisione da parte di altre autorit�, ecc.) che le rendono sostanzialmente assimilabili a quelle giurisdizionali�. E, dopo aver sottolineato le caratteristiche del ricorso e del relativo procedimento e le garanzie di cui esso � circondato, il Consiglio di Stato metteva in particolare luce il carattere alternativo che esso ha rispetto al ricorso giurisdizionale al Tribunale amministrativo regionale, rappresentando l'unico caso di decisione amministrativa non soggetta al riesame di un giudice. Questo argomento suggeriva una ulteriore considerazione. �Il deferimento delle questioni pregiudiziali alla Corte -si osservava -non � istituito nell'interesse delle parti, quasi fosse un ulteriore grado di giudizio o un rafforzamento delle garanzie procedurali. Esso � istituito esclusivamente nell'interesse dell'ordinamento comunitario, per garantire l'uniformit� dell'interpretazione della normativa propria di questo ordinamento. Questo interesse non PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 49 rimedi, il ricorso straordinario e il ricorso giurisdizionale al Tribunale amministrativo regionale, entrambi dotati delle comuni caratteristiche giurisdizionali fondamentali e ciascuno alternativo rispetto all'altro. 22. -Infatti, tranne il termine d'impugnazione e alcune caratteristiche secondarie, sono innanzi tutto identiche le condizioni per esperire l'uno o l'altro ricorso; � poi equivalente l'oggetto della domanda, vale a dire l'annullamento di un atto amministrativo lesivo di un interesse legittimo; infine, i motivi sui quali pu� fondarsi tale domanda sono gli stessi in entrambi i casi. 23. -Per di pi�, sia il ricorso straordinario sia il ricorso amministrativo giurisdizionale ordinario prevedono un contraddittorio e garantiscono l'osservanza dei principi d'imparzialit� e di parit� fra le parti. 24. -Per quanto riguarda il ricorso straordinario, emerge dal fascicolo che la consultazione del Consiglio di Stato � obbligatoria e che il suo parere, esclusiva- � leso per il fatto che alle autorit� amministrative non sia concesso rivolgersi alla Corte di Giustizia: infatti, le questioni che si discutono nelle sedi amministrative possono essere portate, prima o poi, davanti ad un giudice -e sar� quest'ultimo, semmai, a rivolgersi alla Corte. Ma � significativo che l'art. 177 stabilisca l'accesso alla Corte di Giustizia come facoltativo per i giudici di grado inferiore, e invece, come obbligatorio per i giudici di ultima istanza: l'ordinamento vuole evitare che una qualsiasi questione relativa all'interpretazione del diritto comunitario venga decisa in ultima istanza senza che sia stata interpellata la Corte di Giustizia. E questo � proprio ci� che accadrebbe se si ritenesse che in sede di decisione del ricorso straordinario sia precluso l'accesso alla Corte di Giustizia. Questo inconveniente, invece, non si verifica, se nell'art. 177 il termine �giurisdizione� viene interpretato in senso estensivo, e cio� comprendendovi non solo le sedi giurisdizionali propriamente definite come tali negli ordinamenti nazionali, ma anche quelle procedure amministrative contenziose caratterizzate -oltre che dall'imparzialit�, dalle garanzie del contraddittorio, ecc. -anche dall'irrevocabilit� ed immodificabilit� della decisione, e dalla insindacabilit� da parte di ogni altra autorit� amministrativa e giurisdizionale�. Avevano fatto eco a questa impostazione della problematica le osservazioni per il governo italiano svolte dall'Avvocatura. In esse si era ricordato come la Corte Costituzionale, con sentenza 11 dicembre 1986 n. 298, risolvendo un conflitto di poteri denunciato da alcune Regioni in relazione all'annullamento di atti regionali operato con decreti presidenziali decisivi di ricorsi straordinari, ha ritenuto infondato il conflitto osservando che il ricorso straordinario, pur non avendo natura giurisdizionale, �si distingue nettamente dai ricorsi amministrativi ordinari e da altre espressioni di amministrazione attiva in forma contenziosa�: la decisione del ricorso non esprime infatti una attivit� amministrativa rivolta alla cura di specifici interessi pubblici, costituendo invece �una attivit� di pura e semplice applicazione del diritto oggettivo� collocata in un procedimento di carattere contenzioso volto alla risoluzione di una controversia avente ad oggetto il riconoscimento di diritti soggettivi o di interessi legittimi. �Per quanto poi concerne la funzione demandata alla Sezione consultiva nell'ambito del procedimento di ricorso straordinario -aveva proseguito l'Avvocatura-, si pu� constare che l'intervento di questo organo possiede caratteri del tutto particolari che lo diversificano da tutti gli altri casi in cui la legge prevede, in un procedimento amministrativo, l'obbligo dell'Autorit� decidente di acquisire il parere del Consiglio di Stato. Nella procedura di ricorso straordinario, la Sezione consultiva del Consiglio di Stato assolve a funzioni di garanzia degli interessi della parte ricorrente e della conformit� al diritto della decisione. Innanzitutto, la legge prevede che, in caso di ingiustificato ritardo del Ministero, cui il ricorso � stato presentato, nel trasmetterlo al Consiglio di Stato, il RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 50 mente basato sull'applicazione delle norme di legge, costituisce il progetto della decisione che verr� formalmente emanata dal Presidente della Repubblica italiana. Tale parere, comprensivo di motivazione e dispositivo, � parte integrante di un procedimento che � l'unico che possa consentire, in quella sede, la risoluzione del conflitto sorto tra un singolo e la pubblica amministrazione. Una decisione difforme da tale parere pu� essere pronunciata solo previa deliberazione del Consiglio dei Ministri e dev'essere debitamente motivata. 25. -Infine, come ha rilevato l'avvocato generale al paragrafo 25 delle sue conclusioni, il Consiglio di Stato � un organo permanente, imparziale e indipendente poich� i suoi membri, tanto nelle sezioni consultive quanto in quelle giurisdizionali, offrono garanzie legali d'indipendenza e d'imparzialit� e non possono far parte contemporaneamente delle due sezioni. 26. -Infatti la Corte ha riconosciuto, in una situazione analoga, la natura di giurisdizione ex art. 177 del Trattato, al Nederlandse Raad van State (sentenza 27 novembre 1973, causa 36/73, Nederlandse Spoorwegen, Racc., 1299). ricorrente pu� direttamente provvedere al deposito del ricorso presso l'organo consultivo (art. 11 secondo comma, d.P.R. n. 1199/71). In secondo luogo, spetta alla Sezione di disporre le misure occorrenti per una adeguata istruzione probatoria del ricorso e per la regolarit� del contraddittorio. Infine, il parere sul merito del ricorso che la Sezione � chiamata a rendere non pu� esaurirsi in valutazioni e suggerimenti circa la decisione da adottare; esso deve tradursi in un vero e proprio �progetto di decisione� completo della motivazione e del dispositivo (art. 13 d.P.R. n. 1199/71). Il decreto di decisione del ricorso pu� non recepire il parere solo adottando una procedura aggravata che richiede la deliberazione del Consiglio dei Ministri (art. 14 primo e secondo comma, d.P.R. 1199171).Va perci� dato atto che il parere della Sezione non pu� essere considerato oltre che obbligatorio, anche vincolante in modo assoluto. � per� consentito affermare che esso rappresenta il contenuto normale della decisione del ricorso. Una decisione difforme dal parere costituisce, come ha osservato la Corte Costituzionale nella citata sentenza, un caso di rarissima evenienza�. �Questi essendo i tratti essenziali che caratterizzano il procedimento principale e l'organo promotore del rinvio e che appaiono rilevanti ai fini della questione di ammissibilit�, sembra al Governo italiano -aveva tmncluso l'Avvocatura -che una soluzione positiva potrebbe iscriversi in quella linea giurisprudenziale della Corte di Giustizia che ha accettato pregiudiziali interpretative provenienti da procedure di ricorso prive, secondo il diritto interno, di natura giurisdizionale, privilegiando i dati sostanziali rispetto a quelli formali�. La Corte di giustizia ha condiviso la linea proposta dal Consiglio di Stato e sostenuta dall'Avvocatura. Pur partendo dalla constatazione che il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica � un ricorso amministrativo, ha enucleato nell'ambito di esso il momento di competenza del Consiglio di Stato, riconoscendogli carattere �giurisdizionale� nel senso gi� ritenuto in precedenti pronunce, in quanto il parere obbligatorio che viene emesso � espressione di un organo legale, che offre le pi� ampie garanzie di indipendenza e di imparzialit�, inserito in un procedimento contraddittorio preordinato alla risoluzione di un conflitto sorto fra un singolo e la Pubblica amministrazione. Per la giurisprudenza della Corte in ordine al concetto di �giurisdizione nazionale� dotata del potere di porre questioni pregiudiziali ai sensi del!' art. 177 del Trattato C.E., cfr., oltre alle sentenze citate in motivazione, quelle indicate in questa Rassegna, 1995, I, 360, in nota. OSCAR FIUMARA .. PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 51 27. -Risulta dall'analisi che precede che il Consiglio di Stato, quando emette un parere nell'ambito di un ricorso straordinario, costituisce una giurisdizione ai sensi dell'art. 177 del Trattato. (omissis) CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Plenum, 23 ottobre 1997, nella causa C -158/94 -Pres. Rodriguez Iglesias -Rei. Edward -Avv. Gen. Cosmas -Commissione delle C.E. (ag. Wainwri~ht e Aresu), sostenuta da Regno Unito (ag. Nicoll), contro Repubblica italiana (avv. Stato Braguglia), sostenuta da Repubblica francese (ag. de Salins e Belorgey) e Irlanda (ag. Buckley). Comunit� europee� Monopolio italiano dell'energia elettrica -Diritti esclusivi d'importazione e di esportazione di energia elettrica -Libera circolazione delle merci -Misure statali incompatibili -Deroghe ammesse -Posizione dell'ENEL -Compatibilit�. (trattato C.E., artt. 30, 34, 37 e 90; legge 6 dicembre 1962, n. 1643, art. 1; decreto legislativo 18 marzo 1965, n. 342, art. 20; T.U. 11 dicembre 1933, n. 1755, art. 133). A norma dell'art. 90, nn. 1 e 2, del trattato C.E. pu� essere giustificata la concessione, da parte di uno Stato membro, a un'impresa incaricata della gestione di servizi di interesse economico generale di diritti esclusivi contrari, in particolare, all'art. 37 del Trattato stesso, qualora l'adempimento della specifica missione affidatale possa essere garantito unicamente grazie alla concessione di tali diritti e purch� lo sviluppo degli scambi non risulti compromesso in misura contraria agli interessi della Comunit�. Spetta allo Stato membro che si richiami all'art. 90 n. 2 dimostrare che ricorrono i presupposti per l'applicazione della norma, ma tale onere della prova non pu� tuttavia estendersi fino a pretendere dallo Stato membro -allorch� espone in maniera circostanziata le ragioni per cui, in caso di abolizione dei provvedimenti contestati, risulterebbe pregiudicato l'assolvimento, in condizioni economicamente accettabili, delle funzioni di interesse economico generale di cui ha incaricato un'impresa -di andare ancor oltre per dimostrare, in positivo, che nessuno altro provvedimento immaginabile, per definizione ipotetico, potrebbe garantire l'assolvimento di tali funzioni alle stesse condizioni. Spetta alla Commissione, che contesti l'applicabilit� dell'art. 90 n. 2, provare che, a causa del mantenimento dei diritti esclusivi contestati, gli scambi intracomunitari si sono sviluppati e continuano a svilupparsi in misura contraria agli interessi della Comunit� (1). (1) Con la sentenza in rassegna la Corte ha respinto il ricorso della Commissione europea, proposto ai sensi dell'art. 169 del trattato CE, diretto a far dichiarare contrari agli articoli 30, 34 e 37 dello stesso trattato i diritti esclusivi di importazione e di esportazione di energia elettrica, conferiti all'ENEL dalla legislazione nazionale. Con sentenza di pari data sono stati respinti ricorsi analoghi proposti contro altri Stati membri dell'Unione Europea. 1. Nella sentenza riguardante l'Italia la Corte ha anzitutto confermato la sua giurisprudenza sulla qualificazione dell'energia elettrica come �merce�, ai sensi del trattato (nello stesso senso, sent. 27 aprile 1994, causa C-393/92, ALMEL e altre, Racc. 1994, I, 1477). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO .. 52 (omissis) 1. -Con atto introduttivo depositato nella cancelleria della Corte il 14 giugno 1994, la Commissione delle Comunit� europee ha proposto, ai sensi dell'art. 169 del Trattato CE, un ricorso volto a far dichiarare che la Repubblica italiana, avendo istituito e mantenendo, rispetto agli altri Stati membri, nell'ambito di un monopolio nazionale a carattere commerciale, diritti esclusivi di importazione e di esportazione nel settore dell'energia elettrica, � venuta meno agli obblighi che le incombono in forza degli artt. 30, 34 e 37 del Trattato CE. 2. -In Italia, la legge 6 dicembre 1962, n. 1643 (GURI n. 316 del 12 dicembre 1962), ha nazionalizzato il settore dell'energia elettrica istituendo l'Ente nazionale per l'energia elettrica (in prosieguo: l' �ENEL�) e trasferendogli le imprese industriali che svolgevano la loro attivit� in tale settore. In particolare, l'art. 1, primo comma, della legge affida all'ENEL il compito di esercitare su tutto il territorio nazionale le attivit� di produzione, importazione ed esportazione, trasporto, trasformazione, distribuzione e vendita dell'energia elettrica, da qualsiasi fonte prodotta. 3. -I diritti dell'ENEL sono stati successivamente precisati con decreto legislativo 18 marzo 1965, n. 342 (GURI n. 104 del 26 aprile 1965), il cui art. 20 vieta In realt�, la contestazione mossa dall'Avvocatura, nell'interesse del Governo italiano, mirava a sottrarre l'energia elettrica al campo d'applicazione delle norme sulla libera circolazione delle merci, per ricondurla alla materia della libera prestazione dei servizi. Ed a tal fine da un lato si sono poste in rilievo le peculiari caratteristiche dell'energia elettrica rispetto alle �altre merci� (cfr. i punti 14 e 15 della motivazione), dall'altro si � dedotto che nell'ordinamento italiano sono state necessarie delle fictio iuris per �considerare� come merce l'energia elettrica (cfr. l'art. 814 cod. civ. e l'art. 624, 2� comma, cod. pen.) che, in difetto, non sarebbe rientrata in tale categoria. La Corte ha trascurato il secondo argomento, basato sul diritto nazionale e quindi insufficiente per individuare una qualificazione �comunitaria� dell'energia elettrica. Ha invece esaminato il primo, respingendolo con motivazione abbas.tanza diffusa, idonea anche a precisare la portata delle sentenze ScHINDLER ed ERT, citate al punto 15 della motivazione. 2. Una volta stabilito che l'energia elettrica � da qualificare �merce� ai fini del trattato, conseguenziali risultano l'app\icazione dell'art. 37 e la contrariet� al disposto di questa norma dei diritti esclusivi di importazione e di esportazione conferiti all'Enel. Sotto questo profilo, la Corte non ha condiviso l'argomento secondo il quale, nel caso, la Commissione non poteva limitarsi a dedurre gli innegabili ostacoli potenziali agli scambi, ma doveva fornire la prova di ostacoli effettivi (nella realt� inesistenti, quanto alle importazioni, essendo l'Italia attualmente il maggior importatore di energia elettrica dell'U.E.). La motivazione al riguardo -contenuta nei punti 29 e 32 -appare esauriente e conseguente alla giurisprudenza della Corte. 3. Di particolare rilievo sono gli ulteriori due passaggi del processo logico -giuridico che ha condotto al rigetto del ricorso. Per la prima volta, a quanto consta, la Corte ha affermato che la disposizione di deroga del) 'art. 90, par. 2, del trattato riguarda, in astratto, anche le regole sulla libera circolazione delle merci. Ed in effetti non � difficile immaginare che l'applicazione di queste regole potrebbe, in determinati casi, rendere impossibile il conseguimento della specifica missione affidata alle imprese incaricate della gestione di servizi d'interesse economico generale. Sotto questo profilo, dunque, la Corte ha giustamente respinto la tesi restrittiva sostenuta dalla Commissione. PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 53 espressamente alle imprese diverse dall'ENEL di effettuare importazioni, esportazioni e scambi di energia elettrica, nonch� vettoriamenti per conto terzi. 4. -Inoltre, in forza degli artt. 133 e ss. del testo unico 11 dicembre 1933, n. 1755, sulle acque e gli impianti elettrici, modificato dalle leggi 26 gennaio 1942, n. 127, e 19 luglio 1959, n. 606, l'importazione e l'esportazione di energia elettrica sono subordinate al rilascio di un'autorizzazione da parte del Ministro dei Lavori pubblici. Come risulta dagli atti, in forza dell'autorizzazione attualmente vigente, valida fino al 31 dicembre 1997, l'ENEL pu� importare o esportare, da o verso i paesi europei vicini all'Italia, un massimo di 30.000 TWh (Terawattora =miliardo di kWh) all'anno, con tolleranza del +20%. 5. -La Commissione, ritenendo che la normativa italiana test� descritta conferisse diritti esclusivi di importazione e di esportazione di energia elettrica allo Stato, che li esercitava per mezzo dell'ENEL, e fosse pertanto in contrasto con gli artt. 30, 34 e 37 del Trattato, con lettera 9 agosto 1991 -conformemente all'art. 169 del Trattato -ha intimato al governo italiano di presentarle le proprie osservazioni sull'inadempimento addebitato entro il termine di due mesi. Il secondo passaggio del ragionamento della Corte � meritevole di grande attenzione sotto due aspetti. a) Anzitutto va sottolineata la conferma della stretta connessione che la Corte ha sempre ritenuto sussistente tra il procedimento precontenzioso con i relativi atti (messa in mora e parere motivato) ed il giudizio ex art. 169, 2� comma, trattato CE. Dai punti 50 e seguenti della motivazione della sentenza emerge l'estrema cura con la quale la Corte ha ricostruito le varie fasi dei procedimenti precontenzioso e contenzioso, per trarre, da tale puntuale esame, il convincimento che la Commissione, ritenendo non applicabile la deroga dell'art. 90, par. 2, ai principi ed alle norme sulla libera circolazione delle merci, aveva trascurato di esaminare e di confutare i numerosi argomenti dedotti da parte italiana a dimostrazione della necessit� dei diritti esclusivi di importazione e di esportazione per l'adempimento della specifica missione affidata all'ENEL. b) Va poi rilevato come, dalle posizioni rispettivamente assunte dalle parti nei due proct;dimenti precontenzioso e contenzioso, la Corte abbia tratto convincenti conclusioni in ordine all'onere della prova sulla necessit� dei diritti esclusivi e sull'assenza di pregiudizio allo sviluppo degli scambi intracomunitari. Ed invero, pur affermando che spetta�....... allo Stato membro che si richiami all'art. 90, n. 2, dimostrare che ricorrono i presupposti per l'applicazione della norma .... � (punto 54), la Corte ha potuto accertare che la Commissione non aveva specificamente contestato e confutato i numerosi argomenti dedotti al riguardo dalla difesa italiana. E ha affermato che l'onere della prova gravante sul Governo italiano -che aveva esposto in maniera circostanziata le ragioni a fondamento della necessit� dei diritti esclusivi -�... non pu� tuttavia estendersi fino a pretendere dallo Stato membro ..... di andare ancor oltre per dimostrare, in positivo, che nessun altro provvedimento immaginabile, per definizione ipotetico, potrebbe garantire l'assolvimento di tali funzioni alle stesse condizioni� (punto 54 citato). Con ci�, in definitiva, il ricorso � stato respinto perch� la Commissione non ha provato il contrario di quello che, in ordine alla necessit� dei diritti esclusivi, aveva dimostrato la difesa del Governo italiano. E la Corte ha cos� evitato di procedere essa stessa �ana valutazione ed al giudizio sulla necessit� o meno dei diritti esclusivi (punto 59). l.M.B. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAto'', 54 6. -Con lettera 5 novembre 1991 il governo italiano ha contestato la sussistenza dell'inadempimento, affermando in particolare che il mantenimento dei diritti esclusivi di importazione e di esportazione dell'ENEL era giustificato ai sensi degli artt. 36 e 90, n. 2, del Trattato CE. 7. -Il 26 novembre 1992 la Commissione ha notificato alla Repubblica italiana un parere motivato, nel quale ha respinto gli argomenti dedotti dal governo italiano, affermando in particolare che le eccezioni previste dagli artt. 36 e 90, n. 2, del Trattato non erano applicabili nella fattispecie. 8. -Poich� il governo italiano, con lettera 6 ottobre 1993, ha confermato la sua posizione, la Commissione ha proposto il presente ricorso. 9. -Con due ordinanze 18 gennaio 1995 il presidente della Corte ha ammesso l'intervento della Repubblica francese e dell'Irlanda a sostegno delle conclusioni della Repubblica italiana; con ordinanza in pari data ha ammesso l'intervento del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord a sostegno delle conclusioni della Commissione. Sulla conformit� dei diritti esclusivi di importazione e di esportazione agli artt. 30, 34 e 37 del Trattato 10. -A parere della Commissione, l'esistenza di un monopolio nazionale d'importazione in favore dell'ENEL impedisce, da un lato, ai produttori degli altri Stati membri di vendere la loro produzione sul territorio italiano a clienti diversi dal detentore del monopolio e, d'altro lato, ai potenziali clienti che si trovino sul territorio italiano di scegliere liberamente le proprie fonti di approvvigionamento di energia elettrica provenienti da altri Stati membri. 11. -I diritti esclusivi di importazione dell'ENEL sarebbero quindi atti a restringere gli scambi fra Stati membri e, in quanto misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative all'importazione, contrari all'art. 30 del Trattato. Tali diritti costituirebbero al contempo una discriminazione ai sensi dell'art. 37 del Trattato, non soltanto rispetto agli esportatori stabiliti in altri Stati membri, ma altres� rispetto agli utenti stabiliti nello Stato membro interessato. 12. -La Commissione sostiene che le stesse considerazioni valgono, mutatis mutandis, per quanto riguarda i diritti esclusivi di esportazione attribuiti all'ENEL. Il titolare di tali diritti avrebbe la naturale tendenza a destinare la produzione nazionale al mercato nazionale, a scapito delle domande provenienti da altri Stati membri, cosicch� questi diritti dovrebbero essere considerati discriminatori ai sensi degli artt. 34 e 37 del Trattato. 13. -Prima di esaminare questi argomenti, occorre verificare la tesi del governo italiano secondo la quale l'energia elettrica non costituisce una ~~merce� ai sensi PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE del Trattato e non pu� quindi rientrare nelle disposizioni dello stesso relative alla libera circolazione delle merci. Quanto alla qualificazione dell'energia elettrica come "merce" ai sensi del Trattato 14. -Il governo italiano sostiene che l'energia elettrica presenta analogie molto pi� evidenti con la categoria dei �Servizi� piuttosto che con quella delle �merci� e che non rientra pertanto nell'ambito di applicazione ratione materiae degli artt. 30-37 del Trattato. Sottolinea che l'energia elettrica � una sostanza incorporea, non immagazzinabile e priva, dal punto di vista economico, di vita propria, giacch� essa non sarebbe mai utile di per s�, ma unicamente in ragione delle sue possibili applicazioni. In particolare, tanto la sua importazione quanto la sua esportazione si risolverebbero in semplici operazioni di gestione della rete elettrica che, data la loro natura, rientrerebbero nella categoria dei �servizi�. 15. -Secondo il governo italiano, inoltre, quand'anche l'energia elettrica fosse una merce ai sensi del Trattato, risulta dalle sentenze 24 marzo 1994, causa C-275/92, Schindler (Racc., 1-1039), e 18 giugno 1991, causa C-260/89, ERT (Racc., 1-2925), che l'importazione e l'esportazione di una merce strettamente finalizzate alla prestazione di un servizio sono assorbite nel servizio stesso e, pertanto, sottratte alle norme sulla libera circolazione delle merci. 16. -In tali sentenze la Corte ha dichiarato, in primo luogo, che l'importazione di documenti pubblicitari e di biglietti di lotteria in uno Stato membro per far partecipare gli abitanti di detto Stato membro a una lotteria organizzata in un altro Stato membro si ricollega a un'attivit� di �servizi�, ai sensi dell'art. 60 del Trattato, e rientra pertanto nell'ambito di applicazione dell'art. 59 del Trattato (punto 1 del dispositivo della citata sentenza Schindler) e, in secondo luogo, che la concessione a una sola impresa di diritti esclusivi in materia di trasmissione di messaggi televisivi e l'attribuzione a tal fine del potere esclusivo di importare, di noleggiare o di distribuire materiali e prodotti necessari per la loro diffusione non costituiscono, in quanto tali, una misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa ai sensi dell'art. 30 del Trattato (punto 15 della citata sentenza ERT). 17. -Occorre tuttavia ricordare che, nella sentenza 27 aprile 1994, causa C-393/92, Almelo e a. (Racc., 1-1477, punto 28), la Corte ha dichiarato che � pacifico in diritto comunitario, come d'altronde nei diritti nazionali, che l'energia elettrica costituisce una merce ai sensi dell'art. 30 del Trattato. Ha riconosciuto, in particolare, che l'energia elettrica � considerata una merce nell'ambito della nomenclatura doganale comunitaria (codice NC 27.16) e che gi� nella sentenza 15 luglio 1964, causa 6/64, Costa (Racc., 1127), si era ritenuto che l'energia elettrica potesse rientrare nel campo di applicazione dell'art. 37 del Trattato. 18. -Nella citata sentenza Schindler la Corte ha rilevato espressamente, al punto 22, che l'importazione e la diffusione dei documenti e biglietti necessari RASSEGNA AVVOCATURA DELLO ST�TO e 56 ali' organizzazione di una lotteria non sono fini a se stesse ma unicamente destinate a consentire la partecipazione alla lotteria degli abitanti degli Stati membri in cui detti oggetti sono importati e diffusi. La sentenza Schindler non pu� quindi essere trasposta a una situazione, quale la fattispecie, in cui i servizi necessari all'importazione o all'esportazione di energia elettrica nonch� al suo trasporto e alla sua distribuzione altro non sono se non gli strumenti della fornitura all'utente di una merce ai sensi del Trattato. 19. -La Corte ha inoltre dichiarato, nella citata sentenza ERT (punto 18), che l'attribuzione a un monopolio di servizi in materia televisiva del potere esclusivo di importare, noleggiare o distribuire materiali e prodotti necessari per la diffusione di messaggi televisivi non costituisce una misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa, ai sensi dell'art. 30 del Trattato, purch� non ne consegua una discriminazione tra prodotti nazionali e prodotti importati a danno di questi ultimi. Ci� considerato, non pu� in alcun caso desumersi da tale sentenza che l'importazione e l'esportazione del materiale de quo esulino dall'ambito stesso di applicazione delle norme del Trattato sulla libera circolazione delle merci. 20. -Si deve pertanto esaminare la compatibilit� dei diritti esclusivi di importazione e di esportazione di energia elettrica controversi alla luce di tali norme, tra le quali l'art. 37. Sull'art. 37 del Trattato 21. -Ai sensi dell'art. 37, n. 1, gli Stati membri procedono a un progressivo riordinamento dei monopoli nazionali che presentano un carattere commerciale, in modo che venga esclusa, alla fine del periodo transitorio, qualsiasi discriminazione fra i cittadini degli Stati membri per quanto riguarda le condizioni relative ali' approvvigionamento e agli sbocchi. Quest'obbligo vale per qualsiasi organismo per mezzo del quale uno Stato membro, de iure o de facto, controlla, dirige o influenza sensibilmente, direttamente o indirettamente, le importazioni o le esportazioni fra gli Stati membri e si applica altres� ai monopoli di Stato delegati. L'art. 37, n. 2, impone peraltro agli Stati membri di astenersi, in particolare, da qualsiasi nuova misura contraria ai principi enunciati nel n. 1. 22. -Pertanto, pur senza esigere l'abolizione di tali monopoli, la norma de qua ne impone un riordinamento che assicuri, alla scadenza del periodo transitorio, la completa soppressione delle discriminazioni in oggetto (sentenza 3 febbraio 1976, causa 59/75, Manghera e a., Racc., 91, punto 5). Inoltre, gi� prima della scadenza del periodo transitorio, essa vietava agli Stati membri di introdurre nuove discriminazioni del tipo di quelle previste al n. 1. 23. -Orbene, come la Corte ha dichiarato nelle sentenze Manghera e a., citata (punto 12), e 13 dicembre 1990, causa C-347/88, Commissione/Grecia (Racc., 14747, punto 44), i diritti esclusivi d'importazione determinano, nei confronti degli PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE esportatori stabiliti in altri Stati membri, una discriminazione vietata dall'art. 37, n. 1. Diritti del genere, infatti, sono atti a pregiudicare direttamente le condizioni di sbocco soltanto degli operatori o venditori degli altri Stati membri. 24. -Analogamente, i diritti esclusivi di esportazione determinano, per definizione, una discriminazione nei confronti degli importatori stabiliti in altri Stati membri, giacch� tale esclusiva pregiudica unicamente le condizioni di approvvigionamento degli operatori o consumatori di tali altri Stati. 25. -Occorre peraltro rilevare, come ha fatto la Commissione, che l'ENEL, incaricato dalla legge di svolgere sul territorio nazionale non soltanto le attivit� di produzione, importazione ed esportazione, trasporto e trasformazione, ma altres� quelle di distribuzione e di vendita di energia elettrica, riserva la produzione nazionale disponibile in via prioritaria agli utenti situati sul territorio italiano. Ci� dato, se ne deve concludere che i diritti esclusivi di esportazione dell'ENEL hanno, se non come oggetto, quanto meno come effetto quello di restringere specificamente le correnti di esportazione, stabilendo cos� una differenza di trattamento tra il commercio interno e il commercio di esportazione, in modo da assicurare un particolare vantaggio al mercato interno italiano (v., in proposito, quanto all'art. 34 del Trattato, in particolare, sentenza 9 giugno 1992, causa C-47/90, Delhaize e Le Lion, Racc., 13669, punto 12). 26. -A parere del governo italiano, tuttavia, risulta dalla citata sentenza ERT che, allorch� gli scambi di una merce sono strettamente connessi a prestazioni di servizi, come nel caso dell'energia elettrica, per dimostrare un'infrazione alle norme del Trattato relative alla libera circolazione delle merci in generale e dell'art. 37 in particolare, non � sufficiente far valere ostacoli indiretti o potenziali agli scambi intracomunitari, bens� occorre fornire la prova dell'esistenza di un ostacolo effettivo, e quindi della discriminazione reale che il prodotto importato subisce rispetto al prodotto nazionale. 27. -In questo contesto, il governo italiano sottolinea che il livello delle importazioni di energia elettrica in Italia � costantemente aumentato nel corso degli ultimi anni e che l'Italia � attualmente il maggior importatore di energia elettrica dell'Unione europea. 28. -Il governo italiano aggiunge che la Corte -dichiarando, nella sentenza 24 novembre 1993, cause riunite C-267/91 e C-268/91, Keck e Mithouard (Racc., 16097, punto 16), che non pu� costituire ostacolo diretto o indiretto, in atto o in potenza, agli scambi commerciali fra gli Stati membri ai sensi della giurisprudenza Dassonville (sentenza 11 luglio 1974, causa 8/74, Racc., 837), l'assoggettamento di prodotti provenienti da altri Stati membri a disposizioni nazionali che limitino o vietino talune modalit� di vendita, semprech�, in particolare, incidano in egual misura, tanto sotto il profilo giuridico quanto sotto quello sostanziale, sullo smercio dei prodotti sia nazionali sia provenienti da altri Stati membri -ha generalizzato il principio sancito dalla citata sentenza ERT, cosicch� i diritti esclusivi di importazione e RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 58 di esportazione dell'ENEL potrebbero essere contrari alle disposizioni del Trattato in materia di libera circolazione delle merci soltanto qualora fossero destinati a consentire all'ENEL di operare liberamente una discriminazione, nel loro impiego, tra l'energia elettrica prodotta in Italia e quella prodotta nel resto dell'Unione europea, a vantaggio della prima. 29. -Vero � che, nella citata sentenza ERT, la Corte ha dichiarato che gli articoli del Trattato sulla libera circolazione delle merci non ostano alla concessione ad una sola impresa di diritti esclusivi nel settore delle emissioni di messaggi televisivi e all'attribuzione a tal fine del potere esclusivo di importare, noleggiare o distribuire materiali e prodotti necessari per la diffusione, purch� non ne consegua una discriminazione tra prodotti nazionali e prodotti importati a danno di questi ultimi. 30. Tuttavia, come l'avvocato generale ha rilevato al paragrafo 65 delle sue conclusioni, le importazioni delle merci di cui trattasi nella citata causa ERT erano destinate esclusivamente al detentore di un monopolio di prestazioni di servizi che, di per s�, non era in contrasto con il diritto comunitario, mentre nel caso di specie l'energia elettrica importata dal titolare dei diritti esclusivi non � destinata al consumo esclusivo di costui, bens� al consumo dell'insieme delle imprese e dei consumatori dello Stato membro interessato. 31. -Analogamente, si deve rilevare che la citata sentenza Keck e Mithouard riguarda unicamente disposizioni nazionali che limitano o vietano talune modalit� di vendita e non le normative nazionali che mirano a disciplinare gli scambi di merci fra gli Stati membri (punto 12 della sentenza) o relative ai requisiti ai quali le merci di cui trattasi devono rispondere (punto 15 della sentenza). 32. Infine, il fatto che il volume degli scambi sia costantemente aumentato nel corso degli ultimi anni non � atto a confutare quanto dichiarato ai punti 23-25 della presente sentenza, vale a dire che l'esistenza di diritti esclusivi di importazione e di esportazione in uno Stato membro determina discriminazioni nei confronti, rispettivamente, degli esportatori e degli importatori stabiliti in altri Stati membri, giacch� i detti scambi sono gestiti in esclusiva dal titolare di tali diritti, mentre tutti gli operatori economici degli altri Stati membri sono esclusi d'ufficio dalle importazioni e dalle esportazioni dirette e privati della libera scelta dei loro clienti o fornitori nello Stato membro in cui questi � stabilito. Sugli artt. 30, 34 e 36 del Trattato 33. -Poich� i diritti esclusivi d'importazione e di esportazione controversi sono quindi in contrasto con l'art. 37 del Trattato, non � pi� necessario esaminare se essi siano incompatibili con gli artt. 30 e 34 n�, di conseguenza, se possano eventualmente essere giustificati ai sensi dell'art. 36 del Trattato. PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 34. -Occorre ancora verificare, tuttavia, se i diritti esclusivi di cui trattasi non possano essere giustificati, come asserisce il governo italiano, ai sensi dell'art. 90, n. 2, del Trattato o degli artt. 130 A e 130 B dello stesso. Sulle giustificazioni fondate sul!' art. 90, n. 2, del Trattato 35. -La Commissione deduce, in via principale, che non ci si pu� richiamare all'art. 90, n. 2, del Trattato per giustificare misure statali incompatibili con le norme del Trattato sulla libera circolazione delle merci, tra le quali l'art. 37. 36. -In subordine sostiene che, conformemente alla giurisprudenza della Corte, perch� possa applicarsi la deroga di cui all'art. 90, n. 2, non � sufficiente che uno Stato membro abbia affidato a un'impresa la gestione di un servizio economico di interesse generale, ma occorre inoltre che l'applicazione delle norme del Trattato osti all'adempimento della specifica missione affidata a tale impresa e che non venga compromesso l'interesse della Comunit� (sentenza 10 dicembre 1991, causa C-179/90, Merci convenzionali porto di Genova, Racc., I-5889, punto 26). Secondo la Commissione, inoltre, risulta dalle sentenze 19 maggio 1993, causa C-320/91, Corbeau (Racc., I-2533, punti 14 e 16), e 27 aprile 1994, causa C-393/92, Almelo e a., citata (punto 49), che, affinch� le restrizioni alla concorrenza determinate dal1' attribuzione di diritti esclusivi ad imprese incaricate di una funzione di interesse economico generale possano essere giustificate ai sensi dell'art. 90, n. 2, del Trattato, occorre che esse siano necessarie per garantire l'adempimento della specifica funzione attribuita a tali imprese, e in particolare per consentire loro di beneficiare di condizioni economicamente accettabili. 37. -Occorre anzitutto esaminare l'argomento, dedotto in via principale dalla Commissione, secondo il quale l'art. 90, n. 2, del Trattato non pu� essere richiamato a giustificazione di provvedimenti statali incompatibili con le norme del Trattato relative alla libera circolazione delle merci. Sul!' applicabilit� del!' art. 90, n. 2, del Trattato a provvedimenti statali incompatibili con le norme del Trattato relative alla libera circolazione delle merci 38. -L'art. 90, n. 1, del Trattato vieta in via generale agli Stati membri di emanare o mantenere, nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, misure contrarie alle norme del Trattato CE, specialmente a quelle contemplate dagli artt. 6 e da 85 a 94 inclusi. Questa norma implica necessariamente che gli Stati membri possono concedere a determinate imprese diritti esclusivi e conferire loro un monopolio. 39. -L'art. 90, n. 2, dispone che le imprese incaricate della gestione di servizi d'interesse economico generale sono sottoposte alle norme del Trattato, in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO" 60 all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata, purch� tuttavia lo sviluppo degli scambi non sia compromesso in misura contraria agli interessi della Comunit�. 40. -Nella sentenza 6 luglio 1982, cause riunite 188/80, 189/80 e 190/80, Francia, Italia e Regno Unito/Commissione (Racc., 2545, punto 12), la Corte ha dichiarato che l'art. 90 riguarda soltanto le imprese in ordine al comportamento delle quali gli Stati, essendo in grado d� esercitare un'influenza sullo stesso, debbono assumere responsabilit� particolari, e che detta norma, da una parte, evidenzia che tali imprese, nei limiti precisati al n. 2, sono soggette al complesso delle norme del Trattato e, dall'altra, vincola gli Stati membri all'osservanza di queste ultime nei rapporti intercorrenti con le imprese stesse. 41. -Alla luce d� quanto sopra, l'art. 90, n. 1, dev'essere interpretato nel senso che esso mira a evitare che gli Stati membri approfittino dei loro rapporti con le dette imprese per eludere i divieti sanciti da altre norme del Trattato che si indirizzano direttamente a loro, come quelli degli artt. 30, 34 e 37, obbligando o inducendo tali imprese ad assumere comportamenti che, in capo agli Stati membri, sarebbero in contrasto con le dette norme. 42. -In questo contesto, il n. 2 della disposizione de qua stabilisce i presupposti in presenza dei quali le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale possono eccezionalmente sottrarsi alle norme del Trattato. 43. -Come risulta dal combinato disposto dei nn. 1 e 2 dell'art. 90, la cui portata � stata test� definita, in forza del n. 2 si pu� giustificare la concessione, da parte di uno Stato membro, a un'impresa incaricata della gestione di servizi di interesse economico generale d� diritti esclusivi contrari, in particolare, all'art. 37 del Trattato, qualora l'adempimento della specifica missione affidatale possa essere garantito unicamente grazie alla concessione di tali diritti e purch� lo sviluppo degli scambi non risulti compromesso in misura contraria agli interessi della Comunit�. 44. -Alla luce di quanto sopra, occorre verificare altres� se, come sostiene la Commissione in subordine, nella fattispecie questi presupposti non ricorrano. Sulla necessit� dei diritti esclusivi di importazione e di esportazione dell 'ENEL 45. -Occorre rilevare in proposito che la Commissione, nella sua lettera di diffida, ha affermato che la Repubblica italiana non poteva pi� mantenere, rispetto agli altri Stati membri, diritti esclusivi di importazione e di esportazione nel settore del1' energia elettrica, che erano incompatibili, a suo parere, con gli artt. 30, 34 e 37 del Trattato. 46. -Nella sua risposta, il governo italiano ha descritto dettagliatamente il settore nazionale dell'energia elettrica, quale si presentava prima dell'adozione della PARTE I, SEZ. li, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE legge del 1962, ricordando in particolare che, ai sensi della stessa, il compito affidato all'ENEL consiste in particolare nell' �assicurare con minimi costi di gestione una disponibilit� di energia elettrica adeguata per quantit� e prezzo alle esigenze di un equilibrato sviluppo economico del paese�. Il governo italiano ha dedotto inoltre una serie di argomenti di carattere economico e giuridico per giustificare il mantenimento dei diritti esclusivi controversi, segnatamente ai sensi dell'art. 90, n. 2, del Trattato. In particolare, ha sostenuto che l'abolizione di tali diritti comporterebbe inevitabilmente un pregiudizio per la specifica missione affidata all'ENEL, quale precedentemente ricordata. 47. Nel parere motivato, la Commissione non ha affatto affrontato la discussione sul piano economico, dedicandosi piuttosto alle considerazioni di ordine giuridico in forza delle quali essa continuava a ritenere che il mantenimento dei diritti esclusivi controversi fosse incompatibile con gli artt. 30, 34 e 37 del Trattato. Quanto all'art. 90, n. 2, si � limitata ad affermare che tale norma non si applica a provvedimenti statali in contrasto con tali articoli. 48. Nelle sue osservazioni sul parere motivato, il governo italiano ha sottolineato le conseguenze della posizione della Commissione che, mettendo in discussione talune modalit� di organizzazione del settore elettrico italiano, rischierebbe di compromettere un'organizzazione soddisfacente dal punto di vista degli obiettivi della politica energetica nazionale, laddove nessuna politica comunitaria sarebbe, allo stato attuale, in grado di sostituirla. 49. -Il governo italiano ha insistito altres� sulla necessit� di tener conto, in sede di esame critico di quell'aspetto parziale di tale organizzazione costituito dai diritti esclusivi di importazione e di esportazione, della situazione specifica di ciascuno Stato membro. 50. -Sebbene in tali osservazioni il governo italiano avesse peraltro confermato di mantenere la propria po&izione sull'inadempimento contestato, nel ricorso la Commissione ha continuato a limitarsi, come risulta dai punti 35 e 36 della presente sentenza, a ribadire la sua tesi principale sull'inapplicabilit� dell'art. 90, n. 2, del Trattato a provvedimenti statali in contrasto con le norme del Trattato sulla libera circolazione delle merci nonch� a richiamare le sentenze Merci convenzionali porto di Genova, Corbeau e Almelo e a., citate, senza tuttavia esaminarne l'applicazione concreta al caso di specie. 51. -Dinanzi alla Corte, il governo italiano ha sostanzialmente reiterato le considerazioni svolte nel corso del procedimento precontenzioso, ribadendo in particolare la propria certezza che l'abolizione dei diritti esclusivi di importazione e di esportazione dell'ENEL impedirebbe allo stesso di adempiere il suo obbligo di fornitura dell'energia a costi e a prezzi contenuti al fine di garantire un equilibrato sviluppo economico del paese. In proposito ha sostenuto che, in caso di abolizione di tali diritti, la maggior parte dei grandi consumatori, stabiliti nelle regioni dell'Italia RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 62 settentrionale, in prossimit� delle frontiere, sceglierebbe di approvv1g1onarsi presso fornitori stranieri, cos� privando l'ENEL della principale fonte di ripartizione del costo di distribuzione dell'energia e determinando un aumento del suo prezzo medio, che verrebbe cos� a colpire i consumatori che, vuoi in ragione del consumo esiguo, vuoi perch� stabiliti nelle regioni dell'Italia centrale e meridionale in cui l'accesso a fornitori stranieri � impossibile o economicamente ingiustificato, non avrebbero altra soluzione che quella di approvvigionarsi di elettricit� presso l'ENEL. 52. -Nonostante questa argomentazione, la Commissione si � limitata a ricordare, nella sua replica, le considerazioni giuridiche svolte nel ricorso affermando, in aggiunta, che il semplice timore che una propensione massiccia dei consumatori industriali ad acquistare energia all'estero possa privare l'ENEL dei suoi clienti pi� interessanti non giustifica affatto la conclusione secondo la quale la funzione di riequilibrio affidata all'ente possa essere messa a repentaglio: il governo italiano, infatti, non avrebbe provato che non esistono altri provvedimenti a carattere economico, meno restrittivi, quali sovvenzioni ai consumatori svantaggiati o fondi nazionali di sostegno, atti a pervenire allo stesso risultato nel rispetto delle prescrizioni del Trattato. 53. -� tuttavia giocoforza rilevare che la Commissione, elencando genericamente taluni strumenti sostitutivi dei diritti controversi, non ha n� tenuto conto delle peculiarit� del sistema nazionale di approvvigionamento di energia elettrica (in particolare delle esigenze derivanti dalla configurazione geografica del paese) evidenziate dal governo italiano, n� ha esaminato in concreto se tali strumenti consentirebbero all'ENEL di adempiere la funzione di interesse economico generale di cui � incaricato in condizioni economicamente accettabili. 54. -Orbene, bench� spetti allo Stato membro che si richiami all'art. 90, n. 2, dimostrare che ricorrono i presupposti per l'applicazione della norma, tale onere della prova non pu� tuttavia estendersi fino a pretendere dallo Stato membro allorch� espone in mani.era circostanziata le ragioni per cui, in caso di abolizione dei provvedimenti contestati, risulterebbe pregiudicato l'assolvimento, in condizioni economicamente accettabili, delle funzioni di interesse economico generale di cui ha incaricato un'impresa -di andare ancor oltre per dimostrare, in positivo, che nessun altro provvedimento immaginabile, per definizione ipotetico, potrebbe garantire l'assolvimento di tali funzioni alle stesse condizioni. 55. -Infatti, nell'ambito di un ricorso per inadempimento in forza dell'art. 169 del Trattato, spetta alla Commissione provare l'asserito inadempimentd nonch� fornire alla Corte gli elementi necessari perch� questa accerti l'esistenza dell' inadempimento (v. sentenza 25 maggio 1982, causa 96/81, Commissione/Paesi Bassi, Racc., 1791, punto 6). 56. -In proposito va ricordato che lo scopo del procedimento precontenzioso di cui all'art. 169 del Trattato � quello di consentire allo Stato membro di conformarsi PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE volontariamente a quanto prescrive il Trattato o, se del caso, di giustificare la propria posizione (v., in tal senso, sentenza 18 marzo 1986, causa 85/85, Commissione/ Belgio, Racc., 1149, punto 11). � proprio quanto ha fatto il governo italiano deducendo, fin dalla sua risposta alla lettera di diffida della Commissione, una serie di argomenti atti a giustificare il mantenimento dei diritti esclusivi controversi sulla base, in particolare, dell'art. 90, n. 2, del Trattato. 57. -Il parere motivato deve contenere un'esposizione coerente e particolareggiata dei motivi che hanno indotto la Commissione alla convinzione che lo Stato interessato � venuto meno a uno degli obblighi che gli incombono ai sensi del Trattato (v., in particolare, sentenza 17 settembre 1996, causa C-289/94, Commissione/Italia, Racc., 1-4405, punto 16). Nel caso di specie, le ragioni dedotte dalla Commissione in proposito erano essenzialmente considerazioni giuridiche secondo le quali le giustificazioni presentate dal governo italiano non erano pertinenti. 58. -L'obiettivo dell'eventuale ricorso della Commissione � quello di precisare, in relazione al procedimento precontenzioso, le censure sulle quali la Commissione invita la Corte a pronunciarsi nonch�, quanto meno sommariamente, gli elementi di diritto e di fatto sui quali dette censure si fondano (v., in particolare, sentenza Commissione/Grecia, citata, punto 28). Nel caso di specie, la Commissione ha continuato a limitarsi essenzialmente a un'argomentazione di puro diritto. 59. -Orbene, essendo stato cos� definito l'ambito della lite, la Corte deve attenersi alla valutazione della fondatezza dei motivi giuridici dedotti dalla Commissione. Non spetta certamente alla Corte, sulla scorta di osservazioni generiche formulate in fase di replica, procedere alla valutazione -che necessariamente implica un apprezzamento di dati economici, finanziari e sociali -dei mezzi che uno Stato membro potrebbe adottare al fine di garantire la fornitura di energia elettrica sul territorio nazionale a costi e a prezzi idonei a garantire lo sviluppo economico equilibrato del paese. 60. -Alla luce di quanto sopra e, in particolare, del fatto che la Corte non ha accolto l'impostazione giuridica su cui si fondano sia il parere motivato sia il ricorso della Commissione, la Corte non � in grado di accertare, nell'ambito della presente causa, se la Repubblica italiana, mantenendo i diritti esclusivi di importazione e di esportazione dell'ENEL, abbia effettivamente ecceduto i limiti di quanto � necessario per consentire a tale ente di adempiere, in condizioni economicamente accettabili, le funzioni di interesse economico generale affidategli. 61. -Si deve tuttavia rammentare che, affinch� i diritti esclusivi di importazione e di esportazione dell'ENEL possano essere esclusi dall'applicazione delle norme del Trattato in forza dell'art. 90, n. 2, dello stesso, occorre ancora che lo sviluppo degli scambi non sia pregiudicato in misura contraria all'interesse della Comunit�. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO . 64 Sul pregiudizio per lo sviluppo degli scambi intracomunitari 62. -Come risulta dal punto 27 della presente sentenza, il governo italiano ha spiegato, nel controricorso, che il livello delle importazioni di energia elettrica � aumentato costantemente nel corso degli ultimi anni e che l'Italia � attualmente il maggior importatore di energia elettrica dell'Unione europea. Ha inoltre precisato, senza essere contraddetto dalla Commissione, che le importazioni di energia elettrica sono aumentate, nel 1993, dell' 11,6% rispetto al 1992, raggiungendo la quota di quasi 40 miliardi di kWh, vale a dire l'equivalente della produzione totale dell'Austria. 63. -Quanto alla Commissione, essa si � limitata a ricordare che, affinch� determinati provvedimenti possano essere esclusi dall'applicazione delle norme del Trattato in forza dell'art. 90, n. 2, occorre non soltanto che tale applicazione pregiudichi direttamente o indirettamente l'adempimento della specifica funzione affidata, ma che, inoltre, non risulti leso l'interesse della Comunit�, senza tuttavia fornire alcuna spiegazione atta a dimostrare che, a causa dei diritti esclusivi di importazione e di esportazione dell'ENEL, gli scambi intracomunitari di energia elettrica si sono sviluppati e continuano a svilupparsi in misura contraria all'interesse della Comunit�. 64. -Orbene, nel caso di specie essa avrebbe dovuto fornire tale dimostrazione. 65. -Infatti, a fronte delle spiegazioni del governo italiano, spettava alla Commissione, per provare la sussistenza dell'inadempimento, definire, sotto il controllo della Corte, l'interesse della Comunit� alla luce del quale valutare lo sviluppo degli scambi. Si deve ricordare in proposito che l'art. 90, n. 3, del Trattato incarica espressamente la Commissione di vigilare sull'applicazione di tale articolo rivolgendo, ove occorra, agli Stati membri opportune direttive o decisioni. 66. -Nel caso di specie, una definizione del genere si imponeva a maggior ragione in quanto l'unic9 atto comunitario direttamente relativo agli scambi di energia elettrica, vale a dire la direttiva del Consiglio 29 ottobre 1990, 90/547/CEE, concernente il transito di energia elettrica sulle grandi reti (GU L 313, pag. 30), riconosce espressamente, al suo sesto 'considerando', che esistono tra le grandi reti elettriche ad alta tensione dei paesi europei scambi di energia elettrica la cui importanza aumenta ogni anno. 67. -Poich� la Commissione si � presa espressamente cura di precisare che il suo ricorso riguarda unicamente i diritti esclusivi di importazione e di esportazione e non altri diritti esistenti, in particolare in materia di trasporto e di distribuzione, le spettava l'onere di dimostrare come, in assenza di una politica comune nel settore interessato, uno sviluppo degli scambi diretti tra produttori e consumatori, parallelamente a quello degli scambi tra grandi reti, sarebbe stato possibile in mancanza, segnatamente, di un diritto di accesso di tali produttori e consumatori alle reti di trasporto e di distribuzione. PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA EINTERNAZIONALE 65 68. -Dalle considerazioni che precedono risulta che il ricorso della Commissione dev'essere respinto, senza che occorra esaminare gli argomenti dedotti dal governo italiano in ordine agli artt. 130 A e 130 B del Trattato. (omissis) CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Plenum, 4 novembre 1997, nella causa C-337/95 -Pres. Rodr�guez Iglesias -Rei. Gulmann -Avv. Gen. Jacobs -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dallo Hoge Road dei Paesi Bassi nella causa Parfum Christian Dior c. Evora -Interv.: Governi francese (ag. de Salins), italiano (avv. Stato Fiumara) e del Regno Unito (ag. Nicoll) e Commissione delle C.E. (ag. Drijber). Comunit� europee -Libera circolazione delle merci -Tutela della propriet� industriale e commerciale -Diritto di marchio -Esaurimento comunitario. (Trattato C.E., artt. 30 e 36; direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, n. 89/104/CEE, artt. 5 e 7). Comunit� europee -Libera circolazione delle merci -Tutela della propriet� industriale e commerciale -Diritto di marchio -Uso del marchio per l'ulteriore commercializzazione del prodotto -Limiti -Profumo. (Trattato C.E., artt. 30 e 36; direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, n. 89/104/CEE, art. 7). Comunit� europee -Libera circolazione delle merci -Tutela della propriet� industriale e commerciale -Diritto di marchio e diritto di autore -Uso pubblicitario da parte del rivenditore � Limiti. (Trattato C.E, artt. 30 e 36). Gli articoli 5 e 7 della direttiva 89/104 devono essere interpretati nel senso che, qualora vengano immessi sul mercato comunitario prodotti contrassegnati con un marchio dal titolare stesso de.I marchio o con il suo consenso, il rivenditore ha, oltre alla facolt� di mettere in vendita tali prodotti, anche quella di usare il marchio per promuovere l'ulteriore commercializzazione dei prodotti stessi (1). (1 -3) Soluzioni conformi alla giurisprudenza consolidata della Corte. In forza del principio del c.d. esaurimento comunitario -si era osservato dal Governo italiano -al venditore o rivenditore di prodotti di marca che, come nel caso concreto, siano stati messi in commercio nella Comunit� con il consenso del titolare del diritto di marchio, non pu� essere validamente opposto il diritto medesimo, n� in particolare impedito l'uso del marchio altrui nella pubblicit� concernente la commercializzazione dei prodotti distribuiti nella propria attivit� di vendita o rivendita, a nulla rilevando che detto rivenditore si sia fornito mediante la cd. �importazione parallela� e non gi� tramite l'esclusivista di zona nominato e costituito dal titolare del marchio: ci� deriva dall'esigenza che diversamente si renderebbe lecito suddividere e ripartire in zone non comunicanti un mercato che invece deve, per definizione, essere unico. Al riguardo, chiarissimo � (dopo le sentenze della Corte di giustizia in tema di marchi, citate in motivazione, e in tema di brevetti, 14 luglio 1981, nella causa 187/80, MERCK c. STEPHAR, in Racc. 2063, e 9 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 66 Il titolare di un marchio non pu� inibire, in forza dell'art. 7, n. 2, della direttiva 89/104, a un rivenditore, che smercia abitualmente articoli della medesima natura ma non necessariamente della medesima qualit� dei prodotti contrassegnati con il marchio, l'uso del marchio stesso, conformemente alle modalit� correnti nel suo settore di attivit�, al fine di promuovere l'ulteriore commercializzazione di quei prodotti, a meno che non venga dimostrato, alla luce delle circostanze di ciascun caso di specie, che l'uso del marchio a tal fine nuoce gravemente al prestigio del marchio stesso (2). Gli artt. 30 e 36 del Trattato C.E. devono essere interpretati nel senso che il titolare di un diritto di marchio o di un diritto d'autore non pu� inibire a un rivenditore, che smercia abitualmente articoli della medesima natura ma non necessariamente della medesima qualit� dei prodotti tutelati, l'uso di tali prodotti, conformemente alle modalit� correnti nel suo settore di attivit�, al fine di promuovere la loro ulteriore commercializzazione, a meno che non venga dimostrato, alla luce delle circostanze di ciascun caso di specie, che l'uso dei detti prodotti a tal fine nuoce gravemente al prestigio del marchio (3). (omissis) 1. Con ordinanza 20 ottobre 1995, pervenuta in cancelleria il 26 ottobre successivo, lo Hoge Raad dei Paesi Bassi ha sottoposto alla Corte, ai sensi dell'art. 177 del Trattato C.E., sei questioni pregiudiziali relative all'interpretazione degli artt. 30, 36 e 177, terzo comma, del medesimo Trattato, nonch� degli artt. 5 e 7 della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle luglio 1985, nella causa 19/84, PHARMON c. HOECHST, in Racc. 2281 e in questa Rassegna, 1985, I, 748, e da ultimo 5 dicembre 1996, nelle cause riunite C-267 e 268/95, MERCK c. PRIMECROWN; in questa Rassegna 1996, I, 249, con nota di FIUMARA, Le importazioni parallele di prodotti farmaceutici non brevettabili e il principio dell'esaurimento comunitario) il combinato disposto di cui agli artt. 5, par. 3, lett. d), e 7, par. 1, della prima direttiva del Consiglio del 21 dicembre 1988 (89/104/C.E.E.), sul riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa. Deve quindi ritenersi sostanzialmente lecito l'uso dell'altrui marchio in listini e cataloghi o in messaggi pubblicitari per diffondere nell'ambito della propria attivit� imprenditoriale la commercializzazione degli altrui prodotti, nonch� la conoscenza di eventuali prove di qualit� (cd �warentest>>) dei prodotti stessi, in quanto ci� rappresenta una naturale e logica utilizzazione del marchio che inerisce al prodotto legittimamente commercializzato. La stessa direttiva sopra citata ammette esplicitamente deroghe al principio dell'esaurimento comunitario, consentendo al titolare del marchio di vietarne l'uso �quando sussistono motivi legittimi perch� il titolare si opponga all'ulteriore commercializzazione dei prodotti, in particolare quando lo stato dei prodotti � modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio�. Deve, quindi, ritenersi lecito al titolare del diritto di marchio di opporre tale suo diritto all'altrui uso del marchio nella pubblicit� dei prodotti di marca, quando tale pubblicit� sia obiettivamente idonea a svilire il marchio. Anche un'alterazione o modificazione dell'immagine di prestigio o di lusso, che � propria dell'altrui marchio, in conseguenza dell'uso di detto segno in messaggi pubblicitari o nella presentazione dell'altrui prodotto, pu� considerarsi lesiva del diritto di marchio, in quanto la commercializzazione e il valore di taluni prodotti sono strettamente legati alla raffinatezza della loro presentazione. L'accertamento della ricorrenza di alterazioni o modificazioni tali da ledere l'immagine del prodotto non pu� che spettare al giudice nazionale. ~ f i PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZI0�NALE 67 legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa (G.U. 1989, L 40, pag. 1, in prosieguo: la �direttiva�). 2. -Le questioni sono sorte nell'ambito di una controversia tra la Parfums Christian Dior SA, societ� di diritto francese con sede in Parigi (in prosieguo: la �Dior France�), la Parfums Christian Dior BV, societ� di diritto olandese, con sede in Rotterdam (in prosieguo: la �Dior Nederland�), da un lato, e la Evora BV, societ� di diritto olandese con sede in Renswoude (in prosieguo: la �Evora�) dall'altro, in ordine alla pubblicit� fatta dalla Evora per prodotti Dior che quest'ultima ha messo in vendita. 3. La Dior Francia elabora e produce profumi e altri cosmetici venduti a prezzi relativamente elevati e considerati appartenenti al mercato dei cosmetici di lusso. La vendita dei suoi prodotti fuori dalla Francia � affidata a rappresentanti esclusivi, tra cui la Dior Nederland nei Paesi Bassi. Come altri rappresentanti esclusivi della Dior France in Europa, la Dior Nederland si avvale, per la distribuzione dei prodotti Dior nei Paesi Bassi, di un sistema di distribuzione selettiva in base al quale i prodotti Di or vengono venduti esclusivamente a rivenditori selezionati, soggetti all 'obbligo di vendere soltanto agli acquirenti finali e mai ad altri rivenditori, a meno che questi ultimi non siano stati anch'essi selezionati per la vendita dei prodotti Dior. 4. -Nel Benelux, la Dior France � l'unica titolare dei marchi emblematici Eau sauvage, Poison, Fahrenheit e Dune, in particolare per i profumi. Tali marchi consistono in immagini delle confezioni nelle quali vengono messi in vendita i flaconi contenenti i profumi dalle denominazioni sopra menzionate. La Dior France � inoltre titolare dei diritti d'autore su tali confezioni e flaconi nonch� sulle confezioni e sui flaconi dei prodotti messi in commercio con il marchio Svelte. 5. -La Evora gestisce, con l'insegna della sua controllata Kruidvat, un'importante catena di negozi di articoli di profumeria e casalinghi. I negozi Kruidvat, pur non essendo stati selezionati come distributori dalla Dior Olanda, vendono prodotti Dior ottenuti dalla Evora tramite importazioni parallele. La liceit� dell'attivit� di rivendita di questi prodotti nop. � contestata nell'ambito del procedimento a quo. E analogamente, con riferimento agli artt. 30 e 36 del trattato C.E., i diritti di propriet� intellettuale e industriale ivi previsti non sono opponibili quando i prodotti coperti da tali diritti sono stati messi in commercio nella Comunit� dal titolare o con il suo consenso, e comunque, ai sensi dell'art. 85 del Trattato, non � lecito utilizzare tali diritti per il fine di ripartire il mercato comune in zone geografiche non comunicanti in ragione di patti di esclusiva. Ma il diritto di marchio potr� ben essere fatto valere dal suo titolare allorch�, come precisato nella direttiva, �lo stato dei prodotti � modificato o alterato (nel senso sopra detto) dopo la loro immissione in commercio�. Le norme del trattato tutelano infatti i diritti di propriet� intellettuale e industriale in quanto ci� sia strettamente necessario: il consenso del titolare di tali diritti all'immissione in commercio dei prodotti implica la sua accettazione delle conseguenze naturali e logiche di tale commercializzazione, ma non oltre i limiti della ampiezza del consumo: il consenso deve ritenersi insussistente allorch� il prodotto viene commercializzato non quale era all'atto della prima immissione in commercio da parte del titolare del diritto, ma in uno stato �modificato o alterato�. O.F. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO . 68 6. -Durante una promozione per il periodo natalizio del 1993, la Kruidvat metteva in vendita i prodotti Dior Eau sauvage, Poison, Fahrenheit, Dune e Svelte e, in quell'occasione, riproduceva nei suoi opuscoli pubblicitari le immagini delle confezioni e dei flaconi di alcuni di essi. Risulta dall'ordinanza di rinvio che la raffigurazione delle confezioni e dei flaconi riguardava esclusivamente, in modo diretto e chiaro, il prodotto offerto in vendita ed era stata effettuata seguendo le modalit� correnti tra i rivenditori di quel settore commerciale. 7. -Ritenendo che questa pubblicit� non corrispondesse all'immagine di lusso e di prestigio dei marchi Dior, la Dior France e la Dior Nederland (in prosieguo: la �Dior>>) proponevano una domanda di provvedimenti urgenti nei confronti della Evora dinanzi al Rechtbank di Haarlem per violazione dei diritti relativi a tali marchi, al fine di ottenere che si ordinasse alla Evoral'immediata e definitiva cessazione dell'uso dei marchi emblematici della Dior e di ogni diffusione o riproduzione dei suoi prodotti in cataloghi, opuscoli, annunci o in qualsiasi altro modo. La Dior sosteneva, in particolare, che l'uso dei suoi marchi fatto dalla Evora era in contrasto con la legge uniforme del Benelux in materia di marchi d'impresa, nel testo vigente all'epoca dei fatti, ed era messo in atto con modalit� tali da ledere l'immagine di lusso e di prestigio dei prodotti stessi. La Dior faceva inoltre valere che la pubblicit� effettuata dalla Evora costituiva una violazione dei suoi diritti d'autore. (omissis) 14. -Di conseguenza, lo Hoge Raad ha sospeso il procedimento ed ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni: �1) Nell'ambito di una causa in materia di diritto di marchio promossa in uno degli Stati del Benelux e vertente sull'interpretazione della legge uniforme del Benelux sui marchi d'impresa, in cui venga sollevata una questione relativa all'interpretazione della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988 sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa (89/104/CEE), se sia la Corte suprema nazionale o la Corte di giustizia del Benelux il giudice nazionale avverso le cui decisioni non si pu� proporre un ricorso giurisdizionale di diritto interno e che � pertanto tenuto a rivolgersi alla Corte di giustizia in forza dell'art. 177, terzo comma, del Trattato CE. 2) Se, in caso di vendita di prodotti messi in commercio nella Comunit� con un determinato marchio dal titolare stesso del marchio o con il suo consenso, sia ammissibile, conformemente alla ratio della direttiva sopra citata e, in particolare agli artt. 5-7 della medesima direttiva, che il rivenditore faccia anch'esso uso di tale marchio per promuovere quest'ulteriore commercializzazione. 3) In caso di soluzione affermativa della seconda questione, se siano possibili deroghe a tale regola. 4) In caso di soluzione affermativa della terza questione, se sia ammessa una deroga qualora la funzione pubblicitaria del marchio venga compromessa in conseguenza del fatto che il distributore, per il modo in cui fa uso del marchio nell'attivit� promozionale sopra menzionata, nuoce all'immagine di lusso e di prestigio di tale marchio. PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 5) Se sussistano �motivi legittimi� ai sensi dell'art. 7, n. 2, della direttiva quando il modo in cui il rivenditore pubblicizza i prodotti modifichi o alteri il loro �Stato immateriale�, vale a dire lo stile, l'immagine di prestigio e l'aura di lusso riflessi da tali prodotti per effetto delle modalit� di presentazione e di pubblicit� scelti dal titolare del marchio nell'esercizio dei suoi diritti di marchio. 6) Se gli artt. 30 e 36 del Trattato CE ostino a che il titolare di un marchio (emblematico) o il titolare del diritto d'autore sui flaconi e sulle confezioni utilizzati per i suoi prodotti, eserciti il suo diritto di marchio o il suo diritto d'autore per inibire a un rivenditore, al quale � consentita l'ulteriore commercializzazione di detti prodotti, la possibilit� di pubblicizzarli avvalendosi delle modalit� in uso nel settore considerato. Se ci� valga anche quando il rivenditore, per il modo in cui usa il marchio nel proprio materiale pubblicitario, compromette l'immagine di lusso e di prestigio del detto marchio o quando la diffusione o la riproduzione avviene in circostanze atte a ledere i diritti del titolare del diritto d'autore�. Sulla prima questione (omissis) Sulla seconda questione 32. -Con la seconda questione, il giudice nazionale chiede in sostanza se gli artt. 5-7 della direttiva debbano essere interpretati nel senso che, qualora vengano immessi sul mercato comunitario prodotti contrassegnati con un marchio dal titolare stesso del marchio o con il suo consenso, un rivenditore ha, oltre alla facolt� di mettere in vendita tali prodotti, anche quella di utilizzare il marchio per promuovere l'ulteriore commercializzazione dei detti prodotti. 33. -Per risolvere tale questione, occorre anzitutto ricordare le disposizioni pertinenti degli articoli della direttiva richiamati dal giudice nazionale. 34. -L'art. 5 della direttiva, che stabilisce i diritti conferiti da un marchio, prevede, al n. 1, che il titolare ha il diritto di vietare ai terzi l'uso del marchio nel commercio e, al n. 3, lett. d), che pu� essere vietato ai terzi l'uso del marchio nella pubblicit�. 35. -L'art. 7, n. 1, della direttiva, riguardante l'esaurimento del diritto conferito dal marchio di impresa, stabilisce che questo diritto non permette al titolare dello stesso di vietare l'uso.del marchio per prodotti immessi in commercio nella Comunit� col detto marchio dal medesimo titolare o con il suo consenso. 36. -Si deve poi constatare che, se il diritto conferito al titolare di un marchio dall'art. 5 della direttiva di vietare l'uso del suo marchio per determinati prodotti si esaurisce all'atto dell'immissione in commercio dei prodotti stessi da parte del RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO" 70 medesimo titolare o con il suo consenso, lo stesso accade al diritto di utilizzare il marchio per promuovere l'ulteriore commercializzazione dei detti prodotti. 37. -Emerge infatti dalla giurisprudenza della Corte che l'art. 7 della direttiva dev'essere interpretato alla luce delle norme del Trattato relative alla libera circolazione delle merci, in particolare dell'art. 36 (v. sentenza 11 luglio 1996, cause riunite C-427/93, C-429/93 e C-436/93, Bristol-Myers Squibb e a., Racc. I-3457, punto 27) e che il principio dell'esaurimento � diretto ad evitare che il titolare di un marchio possa isolare i mercati nazionali e favorire in tal modo la conservazione delle differenze di prezzo che possono esistere fra gli Stati membri (v. sentenza BristolMyers Squibb e a., gi� citata, punto 46). Ebbene, qualora il diritto di usare il marchio per promuovere l'ulteriore commercializzazione non si esaurisse alla stessa stregua del diritto di vendita, quest'ultima verrebbe resa notevolmente pi� difficile compromettendo in tal modo l'obiettivo insito nel principio dell'esaurimento sancito dall'art. 7. 38. -Di conseguenza, la seconda questione dev'essere risolta dichiarando che gli artt. 5 e 7 della direttiva devono essere interpretati nel senso che, qualora vengano immessi sul mercato comunitario prodotti contrassegnati con un marchio dal titolare stesso del marchio o con il suo consenso, il rivenditore ha, oltre alla facolt� di mettere in vendita tali prodotti, anche quella di usare il marchio per promuovere l'ulteriore commercializzazione dei prodotti stessi. Sulle questioni terza, quarta e quinta 39. -Con la terza, quarta e quinta questione, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice nazionale chiede in sostanza se la regola risultante dalla soluzione della seconda questione ammetta deroghe, in particolare: -quando la funzione pubblicitaria del marchio � compromessa in conseguenza del fatto che il rivenditore, per il modo in cui fa uso del marchio nell'attivit� promozionale, nuoce all'immagine di lusso e di prestigio di tale marchio, e -quando il modo in cui il rivenditore pubblicizza i prodotti modifica o altera il loro �stato immateriale�, vale a dire lo stile, l'immagine di prestigio dei prodotti nonch� l'aura di lusso che li circonda per effetto delle modalit� di presentazione e di pubblicit� scelte dal titolare del marchio nell'esercizio dei suoi diritti di marchio. 40. -Si deve ricordare in proposito che, ai sensi dell'art. 7, n. 2, della direttiva, il principio dell'esaurimento sancito nel n. 1 non si applica quando sussistono motivi legittimi perch� il titolare si opponga all'ulteriore commercializzazione dei prodotti contrassegnati con il marchio, in particolare quando lo stato dei prodotti � modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio. 41. -Occorre quindi esaminare se le ipotesi descritte dal giudice nazionale costituiscano motivi legittimi ai sensi dell'art. 7, n. 2, della direttiva, che consento PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE no al titolare del marchio di opporsi all'uso di quest'ultimo da parte di un rivenditore al fine di promuovere l'ulteriore commercializzazione dei prodotti contrassegnati con quel marchio. 42. -A tale riguardo, si deve anzitutto ricordare che, per giurisprudenza costante, l'art. 7 della direttiva disciplina in modo completo la materia dell'esaurimento del diritto di marchio per quanto riguarda i prodotti messi in commercio nella Comunit� e che l'uso dei termini �in particolare�, nel n. 2, indica che l'ipotesi relativa alla modifica o all'alterazione dello stato dei prodotti � menzionata solo come esempio di un possibile motivo legittimo (v. sentenza Bristol-Myers Squibb e a., citata, punti 26 e 39). Inoltre, tale norma mira a conciliare gli interessi fondamentali attinenti alla tutela dei diritti di marchio e quelli relativi alla libera circolazione delle merci nel mercato comune (sentenza Bristol-Myers Squibb e a., citata, punto 40). 43. -Si deve poi constatare che il pregiudizio arrecato alla reputazione del marchio pu� costituire, in via di principio, un motivo legittimo, ai sensi dell'art. 7, n. 2, della direttiva, perch� il titolare si opponga all'ulteriore commercializzazione dei prodotti messi in commercio nella Comunit� dal titolare stesso o con il suo consenso. Infatti, secondo la giurisprudenza della Corte in materia di riconfezionamento di prodotti muniti di marchio, il titolare del marchio ha un interesse legittimo, connesso all'oggetto specifico del diritto di marchio, a poter opporsi alla messa in commercio del prodotto se la presentazione del prodotto riconfezionato � atta a nuocere alla reputazione del marchio (v. sentenza Bristol-Myers Squibb e a., citata, punto 75). 44. -Ne consegue che, nel caso in cui un rivenditore utilizzi un marchio per promuovere l'ulteriore commercializzazione di prodotti contrassegnati col marchio stesso, dev'essere contemperato l'interesse legittimo del titolare del marchio, ad essere tutelato contro i dettaglianti che facciano uso del suo marchio a fini pubblicitari avvalendosi di modalit� che potrebbero nuocere alla reputazione del marchio stesso, con l'interesse del dettagliante a poter mettere in vendita i prodotti in questione avvalendosi delle modalit� pubblicitarie correnti nel suo settore di attivit�. 45. In una fattispecie come quella in esame nella causa principale, riguardante prodotti di lusso e di prestigio, il rivenditore non deve agire in spregio agli interessi legittimi del titolare del marchio. Egli deve quindi adoperarsi per evitare che la sua pubblicit� comprometta il valore del marchio, danneggiando lo stile e l'immagine di prestigio dei prodotti in oggetto nonch� l'aura di lusso che li circonda. 46. -Cionondimeno, si deve altres� constatare che il fatto che un rivenditore, il quale commercia abitualmente con articoli della medesima natura ma non necessariamente della medesima qualit�, utilizzi per prodotti contrassegnati con il marchio modalit� pubblicitarie che sono correnti nel suo settore di attivit� pur non corrispondendo a quelle utilizzate dal titolare stesso e dai suoi distributori autorizzati non RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STA'lt5.' 72 costituisce un motivo legittimo, ai sensi dell'art. 7, n. 2, della direttiva, che consenta al titolare di opporsi a tale pubblicit�, a meno che non venga dimostrato, alla luce delle circostanze di ciascun caso di specie, che l'uso del marchio fatto dal rivenditore a fini pubblicitari nuoce gravemente alla reputazione del marchio stesso. 47. -Un grave pregiudizio del genere potrebbe intervenire qualora il rivenditore non avesse avuto cura, nell'opuscolo pubblicitario da lui diffuso, di evitare di collocare il marchio in un contesto che rischierebbe di svilire fortemente l'immagine che il titolare � riuscito a creare attorno al suo marchio. 48. -Alfa luce delle considerazioni che precedono, la terza, la quarta e la quinta questione devono essere risolte dichiarando che il titolare di un marchio non pu� inibire, in forza dell'art. 7, n. 2, della direttiva, a un rivenditore, che smercia abitualmente articoli della medesima natura ma non necessariamente della medesima qualit� dei prodotti contrassegnati con il marchio, l'uso del marchio stesso, conformemente alle modalit� correnti nel suo settore di attivit�, al fine di promuovere l'ulteriore commercializzazione di quei prodotti, a meno che non venga dimostrato, alla luce delle specifiche circostanze del caso concreto, che l'uso del marchio a tal fine nuoce gravemente al prestigio del marchio stesso. Sulla sesta questione 49. -Con la sesta questione il giudice nazionale chiede, in sostanza, se gli artt. 30 e 36 del Trattato ostino a che il titolare di un diritto di marchio o il titolare di un diritto d'autore sui flaconi e sulle confezioni utilizzati per i suoi prodotti eserciti il suo diritto di marchio o il suo diritto d'autore per inibire a un rivenditore l'attivit� publicitaria connessa all'ulteriore commercializzazione di detti prodotti con le modalit� correnti tra i dettaglianti del settore considerato. Esso chiede inoltre se ci� valga anche quando il rivenditore, per il modo in cui usa il marchio nella sua pubblicit�, comprometta l'immagine di lusso e di prestigio del detto marchio o quando la diffusione o la riproduzione avvenga in circostanze atte a ledere il titolare del diritto d'autore. 50. -Tali questioni muovono dalle seguenti premesse: -che, in base al diritto nazionale vigente in materia, nelle ipotesi sopra descritte il titolare del marchio o del diritto d'autore possa legittimamente vietare ad un rivenditore di pubblicizzare l'ulteriore commercializzazione dei prodotti, e -che un divieto di tal genere costituisca un ostacolo alla libera circolazione delle merci vietata dall'art. 30 del Trattato, a meno che non sia giustificato da uno dei motivi enunciati nell'art. 36 del medesimo Trattato. 51. -Contrariamente a quanto sostiene la Dior, � corretta la valutazione del giudice nazionale secondo cui un divieto come quello di cui trattasi nella causa principale pu� costituire una misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 73 vietata, in via di principio, dall'art. 30. Al riguardo, � sufficiente rilevare che, ai termini dell'ordinanza di rinvio, la controversia nel procedimento a quo verte su prodotti ottenuti dal rivenditore tramite importazioni parallele e un provvedimento inibitorio dell'attivit� pubblicitaria, come quello chiesto nell'ambito del procedimento a quo, renderebbe la commercializzazione e, di conseguenza, l'accesso al mercato di tali prodotti notevolmente pi� difficili. 52. -Occorre pertanto accertare se un provvedimento inibitorio, come quello richiesto nel procedimento a quo, sia ammissibile alla luce dell'art. 36 del Trattato, secondo cui gli artt. da 30 a 34 lasciano impregiudicati i divieti o restrizioni all'importazione giustificati da motivi di tutela della propriet� industriale e commerciale purch� non costituiscano un mezzo di discriminazione arbitraria n� una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri. 53. -Con riguardo alla questione relativa al diritto del titolare di un marchio, si deve ricordare che, per giurisprudenza della Corte, l'art. 36 del Trattato e l'art. 7 della direttiva devono essere interpretati in modo identico (sentenza Bristol-Myers Squibb e a., cit., punto 40). 54. -Di conseguenza, e tenuto conto delle soluzioni date alla seconda, terza, quarta e quinta questione, tale parte della sesta questione dev'essere risolta dichiarando che gli artt. 30 e 36 del Trattato devono essere interpretati nel senso che il titolare di un marchio non pu� inibire a un rivenditore, che smercia abitualmente articoli della medesima natura ma non necessariamente della medesima qualit� dei prodotti contrassegnati con il marchio, l'uso del marchio conformemente alle modalit� correnti nel suo settore di attivit� al fine di promuovere l'ulteriore commercializzazione di quei prodotti, a meno che non venga dimostrato, alla luce delle circostanze di ciascun caso di specie, che l'uso del marchio a tal fine nuoce gravemente al prestigio del marchio stesso. 55. -Con riguardo alla parte della sesta questione concernente il diritto d'autore, occorre rilevare come, secQndo la giurisprudenza della Corte, i motivi ispirati alla tutela della propriet� industriale e commerciale ai sensi dell'art. 36 comprendano la tutela fornita attraverso il diritto d'autore (sentenza 20 gennaio 1981, cause riunite 55/80 e 57/80, Musik-Vertrieb Membran/Gema, Racc., 147, punto 9). 56. -Ora, le opere letterarie e artistiche possono essere sfruttate commercialmente vuoi mediante pubbliche rappresentazioni, vuoi mediante la riproduzione e la messa in circolazione dei supporti materiali ottenuti e le due prerogative essenziali dell'autore, il diritto esclusivo di rappresentazione e il diritto esclusivo di riproduzione, sono lasciate intatte dalle norme del Trattato (sentenza 17 maggio 1988, causa 158/86, Warner Brothers e a./Christiansen, Racc., 2605, punto 13). 57. -Risulta inoltre dalla giurisprudenza che lo sfruttamento commerciale del diritto d'autore, oltre a costituire una fonte di reddito per il suo titolare, costituisce anche una forma di controllo della messa in commercio da parte del titolare stesso ,,.,, ����� , ��,,....... , �� RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 74 � e, sotto questo profilo, lo sfruttamento commerciale del diritto d'autore pone gli stessi problemi sollevati dallo sfruttamento di altri diritti di propriet� industriale o commerciale (v. sentenza Musik-Vertrieb Membran/Gema, cit., punto 13). La Corte ha cos� constatato che il diritto esclusivo di sfruttamento conferito dal diritto d'autore non pu� essere invocato dal suo titolare per impedire o limitare l'importazione di supporti del suono che incorporino opere tutelate che siano state legittimamente messe in commercio sul mercato di un altro Stato membro dal titolare stesso o con il suo consenso. 58. Alla luce di tale giurisprudenza -e senza che occorra pronunciarsi sulla questione diretta ad accertare se un diritto d'autore e un diritto di marchio possano essere contemporaneamente invocati in relazione al medesimo prodotto -� sufficiente constatare che, in circostanze come quelle in esame nel procedimento a quo, la tutela conferita dal diritto d'autore per quanto riguarda la riproduzione delle opere tutelate nel materiale pubblicitario del rivenditore non pu�, in ogni caso, essere pi� ampia di quella conferita nelle medesime circostanze al titolare del diritto di marchio. 59. -Di conseguenza, la sesta questione dev'essere risolta dichiarando che gli artt. 30 e 36 del Trattato devono essere interpretati nel senso che il titolare di un diritto di marchio o di un diritto d'autore non pu� inibire a un rivenditore, che smercia abitualmente articoli della medesima natura ma non necessariamente della medesima qualit� dei prodotti tutelati, l'uso di tali prodotti, conformemente alle modalit� correnti nel suo settore di attivit� al fine di promuovere la loro ulteriore commercializzazione, a meno che non venga dimostrato, alla luce delle circostanze di ciascun caso di specie, che l'uso dei detti prodotti a tal fine nuoce gravemente al prestigio del marchio stesso. (omissis) CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, sez. 1�, 6 novembre 1997, nella causa C ~ 261/96 -Pres. rei. Edward -Avv. Gen. Elmer -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte d'Appello di Venezia nella causa Conserchimica s.r.l. c. Amministrazione delle finanze -Interv. : Governo italiano (avv. Stato Fiumara) e Commissione delle Comunit� europee (ag. Nolin e Stancanelli). Comunit� europee" Diritto doganale -Recupero di dazi all'importazione -Termine di prescrizione. (Reg. CEE del Consiglio 24 luglio 1979, n. 1697, art. 2; d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 84; legge 29 dicembre 1990, n. 428, art. 29). L'art. 2, n. 1, secondo comma, del regolamento (CEE) del Consiglio 24 luglio 1979, n. 1697, relativo al ricupero "a posteriori" dei dazi all'importazione o dei dazi all'esportazione che non sono stati corrisposti dal debitore per le merci dichiarate per un regime doganale comportante l'obbligo di effettuarne ilpagamento, non si applica ai dazi non riscossi per una merce dichiarata a norma di un regime doga PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA EINTERNAZIONALE 75 nale qualora l'obbligo di pagare i detti dazi sia sorto in un momento precedente l'entrata in vigore del medesimo regolamento(l). (omissis) 1. -Con ordinanza 9 maggio 1996, giunta alla Corte il 24 luglio seguente, la Corte d'appello di Venezia ha sollevato, ai sensi dell'art. 177 del Trattato CE, una questione pregiudiziale sull'interpretazione dell'art. 2 del regolamento (CEE) del Consiglio 24 luglio 1979, n. 1697, relativo al ricupero �a posteriori� dei dazi all'importazione o dei dazi all'esportazione che non sono stati corrisposti dal debitore per le merci dichiarate per un regime doganale comportante l'obbligo di effettuarne il pagamento (GU L 197, 1). 2. -La questione � sorta nell'ambito di una controversia fra la Conserchimica S.r.l. (in prosieguo: la �Conserchimica�), impresa italiana del settore petrolifero, e l'Amministrazione delle Finanze dello Stato in ordine al recupero di dazi doganali sull'importazione di prodotti petroliferi. 3. -Tra il maggio 1978 e l'ottobre 1980 la Conserchimica ha acquistato prodotti petroliferi presso importatori italiani senza essere in possesso di un'autorizzazione scritta in conformit� degli artt. 3 e 7 del regolamento (CEE) della Commissione 4 luglio 1977, n. 1535, che determina le condizioni di ammissione di talune merci al beneficio di un regime tariffario favorevole all'importazione in funzione della loro destinazione particolare (GU L 171, 1), nonch� del regolamento (CEE) della Commissione 28 luglio 1977, n. 1775, che determina le condizioni alle quali � subordinata l'ammissione di taluni prodotti petroliferi al beneficio di un regime tariffario favorevole all'importazione, in funzione della loro destinazione particolare (GU L 195, 5). 4. -Il 28 aprile 1986 l'Amministrazione delle Finanze dello Stato, dopo aver notificato alla Conserchimica diversi avvisi di liquidazione tra il febbraio del 1981 e il maggio del 1984, le ha inviato una ingiunzione fiscale con la quale le intimava di pagare l'IVA e i dazi doganali inizialmente non versati. 5. -Il 10 maggio 1986 fa Conserchimica ha proposto opposizione avverso la detta ingiunzione dinanzi al Tribunale di Venezia chiedendone l'annullamento. (1) �Se le nonne di procedura -aveva gi� affermato la Corte con la sentenza, citata in motivazione, 12 novembre 1981, nelle cause riunite 212-217/88, SALUMI, in questa Rassegna, 1981, I, 695, con nota di BRAGUGLIA; cfr. anche la sentenza 9 dicembre 1982, nella causa 82/82, lTALGRANI, in Racc., 1982, 4323 -a quanto si ritiene in via generale, si applicano a tutte le controversie pendenti all'atto della loro entrata in vigore, ci� non vale per le norme sostanziali; al contrario, secondo la comune interpretazione queste ultime concernono rapporti giuridici definiti anteriormente alla loro entrata in vigore solo se dal loro testo, dalla loro ratio o dalla loro struttura risulti chiaramente che va loro attribuita tale efficacia�, il che non � riscontrabile nel regolamento 1697/79, per cui esso non si applica ai fatti verificatisi in momenti precedenti la data della sua entrata in vigore -cfr. la sentenza 1� aprile 1993,nelle cause riunite C-31-44/91, LAGEDER, in Racc. 1993, 1761, anch'essa citata in motivazione -, pur se, come nel caso di specie, la liquidazione dei dazi sia avvenuta dopo tale data. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAI'O.. 76 � 6. -Nel corso del procedimento il Tribunale di Venezia ha sottoposto alla Corte, ai sensi dell'art.177 del Trattato CEE, una questione pregiudiziale sull'interpretazione degli artt 3 e 7 del regolamento n. 1535/77, su cui la Corte si � pronunciata con sentenza 13 luglio 1989, cause riunite 248/88, 254/88, 255/88, 256/88, 257/88, 258/88, 309/88 e 316/88, Chimica del Friuli e a. (Racc., 2837), dichiarando che l'art. 7 del regolamento della Commissione n. 1535/77 va interpretato nel senso che, in caso di cessione delle merci, il cessionario deve essere in possesso di una autorizzazione rilasciata ai sensi dell'art. 3, sia che la cessione avvenga da uno Stato membro all'altro, sia che essa avvenga all'interno di uno stesso Stato membro. 7. -Di conseguenza, con sentenza 30 aprile 1992 il Tribunale di Venezia ha considerato legittima l'azione dell'amministrazione finanziaria volta a recuperare l'integralit� dei dazi doganali e dell'IVA, e ha respinto il ricorso. 8. -Con atto notificato il 23 giugno 1993 la Conserchimica ha interposto appello avverso quest'ultima pronuncia dinanzi alla Corte d'appello di Venezia facendo valere in particolare che, essendo scaduto il termine triennale previsto dall'art. 2 del regolamento n. 1697/79, si era prescritto il diritto dell'amministrazione italiana di ripetere i dazi non riscossi. 9. -Ai sensi dell'art. 1 del regolamento n. 1697/79, il regolamento stesso determina le condizioni cui � subordinato il ricupero, da parte delle autorit� competenti, dei dazi all'importazione o dei dazi all'esportazione che, per qualsiasi ragione, non siano stati richiesti al debitore per merci dichiarate per un regime doganale comportante l'obbligo di effettuarne il pagamento. 10. -L'art. 2, n. 1, del regolamento n. 1697/79 dispone quindi: �1. Quando le autorit� competenti accertano che i dazi all'importazione o all'esportazione legalmente dovuti per una merce dichiarata per un regime doganale comportante l'obbligo di effettuarne il pagamento non sono stati richiesti in tutto o in parte al debitore, esse iniziano un'azione di ricupero dei dazi non riscossi. Tuttavia, tale azione non pu� pi� essere avviata dopo la scadenza di un termine di tre anni a decorrere dalla data di contabilizzazione dell'importo originariamente richiesto al debitore ovvero, se non vi � stata contabilizzazione, a decorrere dalla data in cui � nato il debito doganale relativo alla merce in questione�. 11. -Inoltre, il regolamento n. 1697/79 vieta, in taluni casi da esso stabiliti, di promuovere un'azione di recupero (art. 5, n. 1) o prevede la facolt� di non procedere al recupero (art. 5, n. 2). Esso delinea altres� le ipotesi in cui non viene riscosso alcun int�resse di mora sulle somme recuperate (art. 7). PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE lamento n. 1697/79. Pertanto ha sospeso il procedimento per sottoporre alla Corte la seguente questione: �Se l'art.2 del regolamento (CEE) del Consiglio 24 luglio 1979, n. 1697, che prevede un termine triennale per l'azione di ricupero dei dazi non riscossi, si applichi anche ai presupposti verificatisi in data anteriore al 1� luglio 1980, data questa dell'entrata in vigore del regolamento stesso a norma dell'art. 11�. 14. -Con tale questione il giudice a quo domanda in sostanza se l'art. 2, n. 1, secondo comma, del regolamento n. 1697/79 si applichi ai dazi non riscossi per una merce dichiarata conformemente ad un regime doganale qualora l'obbligo di pagare i detti dazi sia sorto in un momento precedente all'entrata in vigore del regolamento. 15. -Occorre ricordare in primo luogo che il termine triennale previsto dall'art. 2, n. 1, secondo comma, del regolamento n. 1697/79 si calcola a decorrere �dalla data di contabilizzazione dell'importo originariamente richiesto al debitore�, cio� dalla data in cui � stato emanato l'atto amministrativo che definisce l'importo dei dazi �Ovvero, se non vi � stata contabilizzazione, a decorrere dalla data in cui � nato il debito doganale relativo alla merce in questione�. 16. -Si deve sottolineare in secondo luogo che, nella sentenza 12 novembre 1981, cause riunite 212/80-217/80, Salumi e a. (Racc., 2735, punto 8), la Corte ha dichiarato che per stabilire l'efficacia nel tempo del regolamento n. 1697/79 ci si deve richiamare, in mancanza di norme transitorie, ai principi interpretativi generalmente riconosciuti, alla luce sia del testo, sia della ratio e della struttura di tale normativa. 17. -Bench� le norme procedurali debbano essere applicate in via generale a tutte le controversie pendenti nel momento in cui esse entrano in vigore, la Corte ha dichiarato in particolare che il regolamento n. 1697/79, sostituendo le discipline naziona�i in materia, contiene norme sia processuali sia sostanziali che formano un tutt'uno inscindibile e le cui singole disposizioni non possono essere considerate isolatamente in ordine alla Imo efficacia nel tempo (sentenza Salumi e a., Zoe. cit., punto 11). 18. -La Corte ha quindi dichiarato che il regolamento n. 1697/79 non si applica alle liquidazioni dei dazi all'importazione o all'esportazione effettuate anteriormente al 1� luglio 1980. 19. -Nella fattispecie su cui verte il processo a quo, la Conserchimica sostiene che, ogni volta che la liquidazione � successiva a tale data, si deve considerare che il termine triennale ex art. 2, n. 1, secondo comma, del regolamento n. 1697/79 si � sostituito ad ogni effetto a quello stabilito dalla normativa nazionale precedente. 20. -Occorre per� rilevare che il termine triennale di cui � causa configura, nel sistema instaurato dal regolamento n. 1697/79, una norma relativa alla prescrizione e si calcola a decorrere, conformemente al dettato dell'art.2, n. 1, secondo comma, RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Cc 78 del medesimo regolamento, �dalla data di contabilizzazione dell'importo originariamente richiesto al debitore ovvero, se non vi � stata contabilizzazione, a decorrere dalla data in cui � nato il debito doganale relativo alla merce in questione�. 21. -Qualora il debito doganale, cio� l'obbligo di pagare i dazi all'importazione o all'esportazione, sia sorto in un momento precedente l'entrata in vigore del regolamento n. 1697/79, esso pu� essere disciplinato solo dalle norme nazionali in vigore in quel momento, ivi comprese le norme relative alla prescrizione. 22. -Il fatto che, come nella fattispecie di cui al processo a quo, i debiti doganali siano stati liquidati solo dopo l'entrata in vigore del regolamento n. 1697/79 non produce conseguenze sulla data del sorgere dei detti debiti e non � quindi atto ad inficiare l'applicazione delle norme nazionali precedenti. 23. -Emerge del resto chiaramente dalla sentenza 1� aprile 1993 nelle cause riunite da C-31/91 a C-44/91, Lageder e a. (Racc., I-1761, punto 26), che il regolamento n. 1697/79 non si applica ai fatti verificatisi in momenti precedenti la data della sua entrata in vigore. 24. -Si deve pertanto risolvere la questione sollevata nel senso che l'art. 2, n. 1, secondo comma del regolamento n. 1697/79 non si applica ai dazi non riscossi per una merce dichiarata a norma di un regime doganale qualora l'obbligo di pagare i detti dazi sia sorto in un momento precedente l'entrata in vigore del medesimo regolamento. (omissis) CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, sez. 6a, 11 dicembre 1997, nella causa C-55/96 -Pres. Schintgen -Rel. Kapteyn -Avv. Gen. Elmer -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte d'appello di Milano nel procedimento di volontaria giurisdizione Job Centre coop. r.l. -Interv.: Governi italiano ( avv. Stato Del Gaizo ), tedesco ( ag. Roder e Kloke) e norvegese (ag. H0yland).e Commissione delle C.E (ag. Traversa). Comunit� europee -Libera prestazione dei servizi -Attivit� di collocamento dei lavoratori -Esclusione delle imprese private -Esercizio dei pubblici poteri. (Trattato C.E, artt. 48, 49, 55, 56 59, 60, 62, 66, 86 e 90; cod. civ., art. 2330; legge 29 aprile 1949, n. 264, art. 11; legge 23 ottobre 1960 n. 1369, artt. 1 e 2). Gli uffici pubblici di collocamento sono soggetti al divieto dell'art. 86 del Trattato nei limiti in cui l'applicazione di tale disposizione non vanifichi il compito particolare loro conferito. Lo Stato membro che vieti qualunque attivit� di mediazione e interposizione tra domanda e offerta di lavoro che non sia svolta dai detti uffici trasgredisce l'art. 90, n. 1, del trattato CE se d� origine ad una situazione in cui gli uffici pubblici di collocamento saranno necessariamente indotti a contravvenire alle disposizioni dell'art. 86 del Trattato. Ci� si verifica in particolare qualora ricorra PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 79 no i seguenti presupposti: -gli uffici pubblici di collocamento non sono palesemente in grado di soddisfare, per tutti i tipi di attivit�, la domanda esistente sul mercato del lavoro; -l'espletamento effettivo delle attivit� di collocamento da parte delle imprese private viene reso impossibile dal mantenimento in vigore di disposizioni di legge che vietano le dette attivit� camminando sanzioni penali e amministrative; -le attivit� di collocamento di cui trattasi possono estendersi a cittadini o territori di altri Stati membri (1 ). (omissis) 1. -Con ordinanza 30 gennaio 1996, giunta alla Corte il 23 febbraio successivo, la Corte d'appello di Milano ha sollevato, ai sensi dell'art. 177 del Trattato CE, tre questioni pregiudiziali sull'interpretazione degli artt. 48, 49, 55, 56, 59, 60, 62, 66, 86 e 90 del Trattato CE. 2. -Le questioni sono sorte nell'ambito di un reclamo ex art. 2330, quarto comma, del codice civile italiano, proposto avverso il provvedimento del Tribunale civile e penale di Milano che ha respinto il ricorso per omologazione dell'atto costitutivo della societ� cooperativa a responsabilit� limitata Job Centre (in prosieguo: la �JCC�). 3. -La JCC � una societ� cooperativa a reponsabilit� limitata in via di costituzione, con sede sociale in Milano. In base al suo statuto, l'attivit� della cooperativa consister� segnatamente nell'esercizio di attivit� di mediazione fra domanda e offerta di lavoro subordinato e di fornitura temporanea a terzi di prestazioni di lavoro. Il suo scopo � consentire a lavoratori e imprenditori, soci e non soci, di fruire di tali servizi sul mercato del lavoro italiano e comunitario. (1) Come pur nella sentenza 23 ottobre 1997, nella causa C -158/94, relativa al monopolio dell'energia elettrica, riportata nelle pagine precedenti, la Corte � partita dal riconoscimento della possibilit� degli Stati membri di accordare, ai sensi dell'art. 90 del trattato, diritti speciali o esclusivi ad imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale. E fra queste va certamente inserito, proprio come �impresa�, secondo i criteri indicati nella sentenza HOEFNER e ELSER citata in motivazione, l'.fficio pubblico di collocamento della mano d'opera. Ma come la possibilit� di accordare tali diritti, in quanto contrari alle norme del trattato, � consentita solo qualora l'adempimento della specifica missione affidata all'impresa possa essere garantito unicamente grazie alla concessione di tali diritti (e sempre che lo sviluppo degli scambi non risulti compromesso in misura contraria agli interessi della Comunit�), cos� specularmente la palese incapacit� dell'impresa stessa di soddisfare le esigenze in considerazione delle quali i diritti le sono stati concessi rende non pi� giustificata la deroga, evidenziandosi un abusivo sfruttamento dell'acquisita posizione dominante. Proprio l'evidenza che gli uffici pubblici di collocamento non sono in grado di soddisfare, per tutti i tipi di attivit�, la domanda esistente sul mercato del lavoro ha indotto la Corte a ritenere ingiustificato il divieto di qualunque attivit� di mediazione e interposizione fra domanda e offerta di lavoro sancito dalla normativa italiana.Cfr. ora la nuova disciplina introdotta dal decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, che conferisce alle regioni e agli enti locali funzioni e compiti in materia di mercato del lavoro, a norma dell'art. 1 della legge 15 marzo 1997 n. 59. La sentenza 19 ottobre 1995, nella causa C -111/94, citata in motivazione, relativa all'incompetenza della Corte a pronunciarsi su domanda di pronuncia pregiudiziale proposta nell'ambito di un procedimento di giurisdizione volontaria, � pubblicata in questa Rassegna, 1995, I, 360. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO ,, ' 80 4. -In Italia il mercato del lavoro � sottoposto al regime del collocamento obbligatorio gestito da uffici pubblici. Tale regime � disciplinato dalla legge 29 aprile 1949, n. 264. L'art. 11, primo comma, della legge vieta l'esercizio della mediazione tra offerta e domanda di lavoro subordinato, anche quando tale attivit� � svolta gratuitamente. L'intermediazione di manodopera effettuata in contrasto con la suddetta norma e l'assunzione di lavoratori al di fuori del collocamento pubblico sono punite, in forza della legge n. 264, con sanzioni penali o amministrative. Inoltre i contratti di lavoro stipulati in violazione delle prescrizioni della stessa legge possono essere annullati dal giudice, su denunzia dell'ufficio di collocamento e domanda del Pubblico ministero da proporsi entro un anno dall'assunzione di un lavoratore. 5. -L'art. 1, primo comma, della legge 23 ottobre 1960, n. 1369, vieta la mediazione e l'interposizione nei rapporti di lavoro. La mancata osservanza di tale prescrizione comporta l'applicazione delle sanzioni penali previste all'art. 2 della stessa legge, mentre agli effetti civilistici, in forza dell'ultimo comma dell'art. 1, i lavoratori occupati in violazione del divieto di cui all'art. 1, primo comma, sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell'imprenditore che ne ha effettivamente utilizzato le prestazioni. 6. -Il 28 gennaio 1994 il presidente della JCC in via di costituzione aveva chiesto al Tribunale civile e penale di Milano l'omologazione, ai sensi dell'art. 2330, n. 3, del codice civile italiano, dell'atto costitutivo della societ�. Con ordinanza 31 marzo 1994 il Tribunale aveva sospeso il procedimento di omologazione e sottoposto alla Corte di giustizia due questioni pregiudiziali relative all'interpretazione di vari articoli del Trattato CE, da esso ritenuti rilevanti ai fini dell'emanazione del decreto di omologazione dell'atto costitutivo della JCC. 7. -Con sentenza 19 ottobre 1995 nella causa C-111/94, Job Centre (Racc., I3361), la Corte ha dichiarato la propria incompetenza a pronunciarsi sulle questioni sottopostele dal Tribunale civile e penale di Milano ritenendo che tale giudice, nel1' ambito di un procedimento di giurisdizione volontaria vertente su una domanda di omologazione dell'atto costitutivo di una societ� per l'iscrizione di quest'ultima nel relativo registro, esercitasse una funzione non giurisdizionale che, del resto, in altri Stati membri � affidata ad un'autorit� amministrativa. Infatti esso agisce come autorit� amministrativa senza dover nel contempo dirimere una controversia. 8. -A seguito di tale sentenza, con decreto 18 dicembre 1995 il Tribunale civile e penale di Milano ha respinto la domanda di omologazione dell'atto costitutivo presentata dal rappresentante della JCC a motivo dell'accertato contrasto fra l'oggetto sociale di quest'ultima e talune norme imperative della legislazione italiana in materia di lavoro. 9. -Contro tale diniego di omologazione la JCC ha proposto reclamo ex art. 2330, quarto comma, del codice civile italiano, dinanzi alla Corte d'appello di Milano, chiedendo l'annullamento del decreto del Tribunale e l'omologazione dell'atto costitutivo della societ�. PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 81 10. -La Corte d'appello, ritenendo che il reclamo della JCC sollevasse questioni di interpretazione del diritto comunitario, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: �1) Se le norme nazionali italiane di cui agli artt. 11, primo comma, della legge 29 aprile 1949, n. 264, e 1, primo comma, della legge 23 ottobre 1960, n. 1369, comportanti il divieto di prestazione di qualsiasi attivit� di mediazione e interposizione tra domanda e offerta di lavoro subordinato da parte di soggetti diversi dagli uffici pubblici designati da dette norme, possano ritenersi rientranti nell'esercizio dei pubblici poteri ai sensi del combinato disposto degli artt. 66 e 55 del Trattato CE, considerato il carattere pubblicistico attribuito loro dalla legge italiana in quanto norme poste a tutela dei lavoratori e dell'economia nazionale. 2) Se dette norme, nella previsione generale che sottendono, debbano ritenersi in contrasto con i principi di diritto comunitario posti dagli artt. 48, 49, 59, 60, 62, 86 e 90 del menzionato Trattato concernenti il diritto al lavoro, la libert� di iniziativa economica, la libert� di circolazione dei lavoratori e delle persone, la libert� di domanda e offerta delle prestazioni di lavoro e di servizi, la libera e corretta concorrenza tra operatori economici, il divieto di abuso di posizione dominante. 3) Se, nel caso in cui la richiamata legislazione dello Stato italiano in materia di mediazione e interposizione del lavoro violi i principi di diritto comunitario enunciati nel quesito precedente, le autorit� giudiziarie e amministrative di detto Stato membro debbano ritenersi tenute a dare diretta applicazione a tali principi, consentendo che enti e imprese pubblici e privati esercitino le attivit� di mediazione fra domanda e offerta di lavoro e di fornitura di lavoro interinale, purch� nel rispetto delle norme che disciplinano il rapporto di lavoro e la previdenza obbligatoria e sotto i controlli previsti dalla legge�. 11. -Dal fascicolo del giudizio a quo emerge che con tali questioni il giudice nazionale domanda, in sostanza, se le disposizioni del Trattato in tema di libera circolazione �ei lavoratori, di libera prestazione dei servizi nonch� di concorrenza ostino ad una normativa nazionale che vieti qualunque attivit� di mediazione e di interposizione nella domanda e offerta di lavoro che non sia svolta da enti pubblici di collocamento. 12. -Va ricordato che la JCC � una societ� cooperativa a responsabilit� limitata, in via di costituzione, che ha fatto valere nel giudizio a quo il diritto di svolgere l'attivit� di mediazione fra domanda e offerta di lavoro subordinato e di fornitura temporanea di manodopera. 13. -Ora, nella parte in cui le questioni si richiamano alle disposizioni relative alla libera circolazione dei lavoratori, baster� rilevare che l'applicabilit� dell'art. 48 del Trattato non pu� essere dedotta dalla presenza di lavoratori nel novero dei soci fondatori, atteso che la societ�, una volta costituita ed entrata in attivit�, possieder� personalit� giuridica autonoma. 14. -Ne consegue che le norme sull� libera circolazione dei lavoratori sono inconferenti ai fini del giudizio a quo. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 82 15. -Nella parte in cui le questioni si richiamano agli artt. 86 e 90 del Trattato, esse sollevano il problema della portata del diritto esclusivo concesso agli uffici pubblici di collocamento e pertanto del divieto, con relativa comminazione di sanzioni penali ed amministrative, di qualunque attivit� di mediazione e interposizione nella domanda e offerta di lavoro da parte di imprese private. 16. -Occorre pertanto affrontare in primo luogo l'interpretazione delle norme del Trattato test� menzionate. L'interpretazione degli artt. 86 e 90 del Trattato 17. -La JCC afferma, in sostanza, che il divieto di qualsiasi attivit� di mediazione e interposizione tra domanda e offerta di lavoro che non sia svolta da enti pubblici � in contrasto con gli artt. 86 e 90 del Trattato, poich� gli uffici pubblici di collocamento non sono in grado di soddisfare la domanda esistente sul mercato per questo tipo di attivit�. A tale proposito la JCC si richiama in particolare alla sentenza 23 aprile 1991 nella causa C-41/90, Hofner e Elser (Racc., 1-1979). 18. -I governi tedesco e norvegese nonch� la Commissione sostengono che il diritto esclusivo di collocamento della manodopera dovrebbe essere valutato alla luce dei principi ricavabili dalla citata sentenza Hofner e Elser. 19. -Il governo italiano osserva anzitutto che la normativa su cui verte il giudizio a quo non riconosce ad alcuna impresa diritti speciali o esclusivi in materia di appalto di manodopera, ma si limita a vietare la mediazione e l'interposizione nei rapporti di lavoro. Esso rileva poi che, considerate le particolari caratteristiche e le finalit� sociali del collocamento pubblico operante in Italia, un servizio del genere non pu� essere considerato attivit� economica e quindi d'impresa. Infine sostiene che il monopolio pubblico del collocamento non � atto ad arrecare i pregiudizi indicati nell'art. 86, secondo comma, lett. b), del Trattato. 20. -Tenuto conto di tali considerazioni, si deve accertare se un Ufficio pubblico di collocamento, come un ente cui l'art. 11, n. 1, della legge n. 264 fa riferimento, possa essere considerato un'impresa ai sensi degli artt. 85 e 86 del Trattato (v. sentenza Hofner e Elser, loc. cit., punto 20). 21. -A questo proposito si deve precisare che, nel contesto del diritto della concorrenza, la nozione di impresa comprende qualsiasi entit� che svolge un'attivit� economica, a prescindere dal suo status giuridico e dalle sue modalit� di finanziamento, e che l'attivit� di collocamento di manodopera � un attivit� economica. 22. -La circostanza che le attivit� di collocamento siano di norma affidate a uffici pubblici non incide sulla natura economica delle dette attivit�. Queste ultime non sono sempre state n� sono necessariamente svolte da enti pubblici. PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 23. -Il governo italiano assume poi che, stando alla sentenza 17 febbraio 1993 nelle cause riunite C-159/91 e C-160/91, Poucet e Pistre (Racc., I-637), un ente previdenziale che agisca in regime di monopolio non costituisce un'impresa ai sensi dell'art. 86 del Trattato, posto che la Corte ha considerato, ai punti 18 e 19 della detta sentenza, che un'attivit� del genere non costituisce attivit� economica essendo ispirata a principi di solidariet� nazionale e del tutto sprovvista di finalit� di lucro. 24. -A questo proposito basta rilevare che, sebbene da tale sentenza emerga che la gestione dei regimi previdenziali obbligatori come quelli descritti nelle ordinanze di rinvio nella citata causa Poucet e Pistre non costituisce attivit� economica, a tale conclusione si � giunti sulla scorta degli stessi criteri (v. sentenza Poucet e Pistre, punto 17) che nella citata sentenza Hofner e Elser erano stati applicati per concluderne che l'attivit� di collocamento di manodopera dev'essere qualificata come attivit� di impresa ai sensi delle regole di concorrenza comunitarie. 25. -Ne consegue che un ente come un ufficio pubblico di collocamento pu� essere qualificato impresa ai fini dell'applicazione delle regole di concorrenza comunitarie. 26. -Si deve precisare che gli uffici pubblici di collocamento i quali in forza della normativa di uno Stato membro sono incaricati della gestione di servizi di interesse economico generale, come quelli previsti dall'art. 11, n. 1, della legge n. 264, restano soggetti alle regole di concorrenza conformemente all'art. 90, n. 2, del Trattato, finch� non sia provato che l'applicazione di queste regole � incompatibile con lo svolgimento dei compiti loro affidati (v. sentenza 30 aprile 1974, causa 155/73, Sacchi, Racc., 409, punto 15, e Hofner e Elser, loc. cit., punto 24). 27. -Quanto al comportamento degli uffici pubblici di collocamento, che godono di un diritto esclusivo garantito dal divieto di qualunque attivit� di mediazione e interposizione nei rapporti di lavoro e dalla correlata comminazione di sanzioni penali e amministrative del tipo di quelle previste dalle leggi nn. 264 e 1369, si deve rilevare che l'applicazione dell'art. 86 del Trattato non � suscettibile di vanificare il compito specifico affidato ai detti uffici qualora questi ultimi non siano palesemente in grado di soddisfare la domanda esistente sul mercato per quanto riguarda tale settore. 28. -Se � innegabile che l'art. 86 si rivolge alle imprese e, nei limiti stabiliti dall'art. 90, n. 2, pu� essere applicato alle imprese pubbliche o che dispongano di diritti speciali o esclusivi, � altrettanto vero che il Trattato obbliga gli Stati membri ad astenersi dall'emanare o dal mantenere in vigore provvedimenti che possano rendere praticamente inefficace tale norma (v. sentenze 16 novembre 1977, causa 13/77, Inno, Racc., 2115, punti 31 e 32, e Hofner e Elser, loc. cit., punto 26). L'art. 90, n. 1, vieta infatti agli Stati membri di emanare o mantenere in vigore nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi provvedimenti contrari alle norme del Trattato, in particolare agli artt. da 85 a 94 incluso. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAl'O 84 29. -Di conseguenza, sarebbe incompatibile con le norme del Trattato qualsiasi provvedimento con il quale uno Stato membro mantenga in vigore disposizioni di legge che creino una situazione in base a cui un ufficio pubblico di collocamento sarebbe necessariamente indotto a contravvenire alle disposizioni dell'art. 86. 30. -A questo proposito, si deve ricordare in primo luogo che un'impresa titolare di un monopolio legale pu� essere considerata occupare una posizione dominante ai sensi dell'art. 86 del Trattato (v. sentenza 3 ottobre 1985, causa 311/84, CBEM, Racc., 3261, punto 16), e che il territorio di uno Stato membro su cui questo monopolio si estende pu� costituire una parte sostanziale del mercato comune (v. sentenza 9 novembre 1983, causa 322/81, Michelin/Commissione, Racc., 3461, punto 28). 31. -Occorre precisare, in secondo luogo, che il semplice fatto di creare una siffatta posizione don;iinante mediante l'attribuzione di un diritto esclusivo ai sensi dell'art. 90, n. 1, non �, in quanto tale, incompatibile con l'art. 86 del Trattato (v. le citate sentenze CBEM, punto 17; Hofner e Elser, punto 29; 19 maggio 1993, causa C-320/91, Corbeau, Racc., I-2533, punto 11, e 5 ottobre 1994, causa C-323/93, Centre d'ins�mination de la Crespelle, Racc., 1-5077, punto 18). Uno Stato membro viola infatti i divieti contenuti in queste due disposizioni solo quando l'impresa considerata � indotta, con il semplice esercizio del diritto esclusivo conferitole, a sfruttare la sua posizione dominante in modo abusivo (v. sentenza 14 dicembre 1995, causa C-387/93, Banchero, Racc., 1-4663, punto 51). 32. -Ai sensi dell'art. 86, secondo comma, lett. b), del Trattato siffatta pratica abusiva pu�, in particolare, consistere in una limitazione della prestazione a danno dei destinatari del servizio considerato. 33. Si deve rilevare a questo proposito che, come ha giustamente osservato la Commissione, il mercato delle prestazioni di collocamento dei lavoratori � estremamente vasto e altamente diversificato. La domanda e l'offerta di lavoro su tale mercato comprendono tutti.i settori produttivi e si riferiscono ad una gamma di attivit� lavorative che va dalla manovalanza non qualificata sino alle qualifiche professionali pi� elevate e rare. 34. -In un mercato cos� esteso e differenziato, per di pi� soggetto, a causa dello sviluppo economico e sociale, a grandi mutamenti, gli uffici pubblici di collocamento rischiano di non essere in grado di soddisfare una parte rilevante di tutte le domande di prestazioni. 35. -Ora, vietando, a pena di sanzioni penali e amministrative, qualunque attivit� di mediazione e interposizione tra la domanda e l'offerta di lavoro che non sia svolta da uffici pubblici di collocamento, uno Stato membro d� origine ad una situazione in cui la prestazione viene limitata, ai sensi dell'art. 86, secondo comma, lett. b), del Trattato, quando i detti uffici non sono palesemente in grado di soddisfare, per tutti i tipi di attivit�, la domanda esistente sul mercato del lavoro. PARTE I, SEZ. 11, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIOMALE 36. -Si deve rilevare, in terzo luogo, che la responsabilit� che incombe a uno Stato membro ai sensi degli artt. 86 e 90, n. 1, del Trattato sorge solo se il comportamento abusivo dell'ufficio pubblico di collocamento considerato sia suscettibile di incidere sugli scambi tra gli Stati membri. Affinch� ricorra tale presupposto di applicazione non � necessario che il comp<:?_rtamento abusivo di cui trattasi abbia effettivamente pregiudicato i detti scambi. E sufficiente dimostrare che tale comportamento � atto a produrre questo effetto (v. sentenza Michelin/Commissione, loc. cit., punto 104). 37. -Un effetto potenziale del genere sugli scambi tra Stati esiste in particolare quando le attivit� di collocamento di manodopera svolte da imprese private possono estendersi ai cittadini o ai territori di altri Stati membri. 38. -Alla luce del complesso delle considerazioni sin qui svolte, le questioni vanno risolte nel senso che gli uffici pubblici di collocamento sono soggetti al divieto dell'art. 86 del Trattato nei limiti in cui l'applicazione di questa disposizione non vanifichi il compito particolare loro conferito. Lo Stato membro che vieti qualunque attivit� di mediazione e interposizione tra domanda e offerta di lavoro che non sia svolta dai detti uffici trasgredisce l'art. 90, n. 1, del Trattato se d� origine ad una situazione in cui gli uffici pubblici di collocamento saranno necessariamente indotti a contravvenire alle disposizioni dell'art. 86 del Trattato. Ci� si verifica in particolare qualora ricorrano i seguenti presupposti: -gli uffici pubblici di collocamento non sono palesemente in grado di soddisfare, per tutti i tipi di attivit�, la domanda esistente sul mercato del lavoro; -1'espletamento effettivo delle attivit� di collocamento da parte delle imprese private viene reso impossibile dal mantenimento in vigore di disposizioni di legge che vietano le dette attivit� comminando sanzioni penali e amministrative; -le attivit� di collocamento di cui trattasi possono estendersi a cittadini o territori di altri Stati membri. (omissis) SEZIONE TERZA GIURISPRUDENZA ~~ DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE ~ @ ~ I ~ CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 14 gennaio 1998, n. 257 -Pres. Senofonte -Rel. Pignataro -P.M. Cafiero (cong.)-Min. Industria (avv. Stato Fiumara) c. S.p.A. Aprilia. I Procedimento civile � Impugnazioni � Sentenze della Commissione ricorsi contro provvedimenti dell'Ufficio centrale brevetti �Ricorso per cassazione� Termine breve � Decorrenza � Art. 327 cod. proc. civ. -Applicabilit�. (art. 111 Cost.; r.d. 5 febbraio 1940 n. 244, art. 89; cod. proc. civ., art. 327) I In mancanza della notificazione effettuata a cura della Segreteria nelle forme dell'art. 89 r.d. 5febbraio1940 n. 244, non decorre il termine breve di cui all'art. I 325 cod. proc. civ., ed il ricorso per cassazione avverso le sentenze della Commissione ricorsi avverso i provvedimenti dell'Ufficio Centrale brevetti resta proponibi Ile nel termine annuale previsto dall'aFt. 327 cod. proc. civ. (1). ~ re II ~ i ~ CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 6 febbraio 1998 n. 1223 -Pres. Baldassare -Rel. Berruti -P.M. Gambardella (conf.) -Bianco del Valle (avv. Cavasola) c. Mini I stero Industria (avv. Stato Fiumara). Procedimento civile � Impugnazioni � Sentenze della Commissione ricorsi avverso provvedimenti dell'Ufficio centrale brevetti � Ricorso per cassa I � zione � Termine breve � Decorrenza dalla notificazione della sentenza a cura della Segreteria � Esclusione � Art. 327 cod. proc. civ. � Applicabilit�. I La notificazione, a� cura della Segreteria e nelle forme di cui all'art. 89 r.d. 5 febbraio 1940 n. 244, delle sentenze della Commissione ricorsi avverso i provvedimenti dell'Ufficio centrale brevetti non � idonea a far decorrere il termine breve per IIil ricorso per cassazione che, in difetto di notificazione della sentenza ad istanza di parte, resta proponibile nel termine annuale previsto dall'art. 327 cod. proc. civ. (2). ! % I (1-2) Nello stesso senso di Cass. 1223/98 � la pi� recente Cass. 17 giugno 1998 n. 6038, con i la quale la stessa 1� sezione risolve il contrasto verificatosi fra precedenti sue decisioni, pur forI malmente negandone la sussistenza sul rilievo che nel caso esaminato dalla sentenza n. 257/1998 ! i (in rassegna) non era avvenuta la notificazione, a cura dell'ufficio, ad alcuna parte. i Si fa, dunque, chiarezza -nel senso auspicato dalla difesa della P.A. -col sottolineare che I la notificazione �ex officio� (da effettuarsi alle parti con lettera raccomandata, a cura della Segre 1 teria) delle sentenze dalla Commissione brevetti � del tutto sfornita di ogni valenza processuale. Cass., 14 marzo 1992 n. 3133 (citata nella motivazione di entrambe le sentenze in rassegna) si legge in Riv. dir. comm. 1993, II, 1. I I I I I I �.,�� , �����,._,.,,.,,.,��� \ PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA Cl\llLE 87 I (omissis) 1. -Preliminarmente deve rilevarsi che la sentenza impugnata non risulta essere stata notificata a cura della segreteria del giudice a quo alla societ� Aprilia (o al suo mandatario) ed all'ufficio centrale brevetti ai sensi dell'art. 89 del r.d. 5 febbraio 1940 n. 244 con raccomandata postale dalla cui ricezione decorre il termine di sessanta giorni per proporre ricorso per cassazione per entrambe le parti (v. Cass. 14 marzo 1992 n. 3133). In mancanza di tale notificazione deve ritenersi operante il termine lungo previsto dall'art. 327 c.p.c., come ha affermato questa Corte con la sentenza 5 marzo 1996 n. 1805; termine che nella specie risulta rispettato poich� la sentenza impugnata � stata depositata il 14 luglio 1994 ed il ricorso � stato notificato il 28 gennaio 1995 con notifica ritualmente rinnovata ex art. 291 c.p.c .. � vero che nell'ambito del procedimento avente natura giurisdizionale che si svolge davanti alla Commissione dei ricorsi contro i provvedimenti di rigetto delle domande di brevetto da parte dell'Ufficio centrale brevetti (art. 72 e segg. del r.d. n. 112/1939 -c.d. legge invenzioni -richiamato dall'art. 53 del r.d. n. 929/1942 sui marchi) esiste una disciplina autonoma della decorrenza dei termini per l'impugnazione, prevista dal citato art. 89 del r.d. n. 244/1940, ma tale disciplina non � esauriente perch� non prevede il caso che (come nella specie) non si ponga in essere l'atto (notificazione) indispensabile per il decorso del termine di sessanta giorni per proporre ricorso per cassazione ex art. 111 Cast. Nell'ordinamento processuale comune esiste la norma dell'art. 327 c.p.c. che, essendo espressione di un principio di ordine generale diretto a garantire certezza e stabilit� ai rapporti giuridici, � applicabile, ai sensi dell'art. 12, 2� comma disp. prel. e.e., ad ogni tipo di processo anche davanti a giudici speciali, come ha ripetutamente affermato questa Suprema corte (ad esempio in tema di contenzioso tributario con la sentenza delle Sezioni Unite n. 669/1992 ed in tema di pronunzie della Corte dei conti con l'ordinanza pure delle Sezioni Unite 1� dicembre 1994 n. 954). N� sussiste contrasto, con riguardo alla materia di cui si tratta, tra la sentenza di questa sezione n. 1805/1996 sopra citata che ha ritenuto applicabile l'art. 327 c.p.c. e la precedente sentenza n. 3133/1992, entrambe richiamate dalla difesa del Ministero ricorrente nella discussione' orale, poich� . questa ultima sentenza ha dichiaratamente omesso di esaminare il problema dell'applicabilit� o meno della citata norma in subiecta materia dal momento che la soluzione di tale problema non era rilevante nella fattispecie esaminata nella quale la decisione della Commissione ricorsi era stata notificata ad entrambe le parti ai sensi dell'art. 89 del r.d. n. 244/1940 (omissis). II (omissis) 1. -Deve preliminarmente essere esaminata la ammissibilit� del ricorso sotto il profilo della sua tempestivit�, questione che la stessa ricorrente premette alle sue doglianze, e cui cenna anche il controricorso dell'Amministrazione. L'atto introduttivo del presente giudizio infatti � stato notificato il 24 gennaio 1995, avverso la sentenza della Commissione dei ricorsi emessa 1'11maggio1994 e quindi, ai sensi dell'art. 89 del r.d. n. 244 del 1940, inviata alla Blanco con raccomandata il 1� RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 88 . settembre 1994. Il ricorso � stato proposto oltre sessanta giorni, ma entro l'anno, dalla ricezione della predetta raccomandata; dunque si � posta la questione se ad esso � applicabile, nel silenzio della legge, il termine ~reve di cui all'art. 325 c.p.c. Il collegio non ignora un precedente di questa stessa sezione, reso peraltro in una fattispecie alquanto particolare, costituito dalla sentenza n. 3133 del 14 marzo 1992, che ha stabilito che la impugnazione in parola deve essere proposta entro il termine di sessanta giorni dalla notifica effettuata ai sensi del predetto art. 89 della L.B., ma ritiene di discostarsene e di seguire invece il pi� risalente orientamento di questa Corte, (sentt. nn. 2595 del 1957 e 2672 del 1957), peraltro di recente ribadito, sia pure nella economia di una decisione che riguardava altro tema di discussione (Cass. n. 1805 del 1996). la) L'art. 89 del r.d. n. 244 del 1940 prevede che la sentenza della Commissione dei ricorsi venga notificata per raccomandata postale a cura della segreteria della Commissione all'interessato ed al suo mandatario. Nulla dice circa la natura di tale notifica, ovvero circa un possibile effetto processuale, per la ragione ovvia che la norma venne concepita quando la impugnazione per cassazione (ai sensi dell'art. 111 della Costituzione) dei provvedimenti della Commissione dei ricorsi, non era ammessa. Pu� comunque trarsi da tale osservazione di carattere storico la assenza nella mens legis di un qualunque rilievo processuale di tale atto della Commissione. Va quindi rammentato che in via di principio la operativit� del termine breve consegue sempre ad una notifica ad istanza di parte, ovvero ad una previsione della legge che a tale regola fa eccezione. Caso questo che si verifica nella previsione del1' art. 17 della legge sulle adozioni n. 184 del 1983, che espressamente prevede che tutte le parti, pubbliche e private, di un giudizio di opposizione alla dichiarazione dello stato di abbandono debbano ricevere la notifica della sentenza, che su questo ha deciso, da parte della cancelleria, e che da tale notifica decorre il termine per impugnare. Pu� dirsi pertanto che ogni qual volta la legge ha voluto realizzare una specifica finalit� acceleratoria ha previsto la notificazione a tutte le parti del giudizio da parte dell'ufficio, e quindi, sempre espressamente, ha fatto conseguire a tale attivit� la decorrenza del termine per impugnare. Coerentemente a questa linea legislativa la giurisprudenza di questa Corte nella materia della impugnazione delle decisioni della cessata Commissione tributaria centrale, ha costantemente ribadito l'indirizzo per il quale, ai fini della decorrenza del termine breve, non rileva n� la comunicazione del deposito della decisione, n� la notifica della sentenza a cura delle segreteria, ma solo quella che avviene ad istanza di parte (Cass. nn. 948 del 1996 e 320 del 1994 ex plurimis). 1 b) Osserva ancora il collegio che la notificazione a cura della segreteria della Commissione dei ricorsi di cui si tratta � prevista dalla legge espressamente �mediante raccomandata�, e non mediante lo specifico procedimento della notificazione a mezzo posta, e per di pi� nei confronti di una parte soltanto e non anche della Amministrazione. Tutto ci�, da un canto ribadisce l'origine extraprocessuale della misura, e dall'altro impedisce che se ne operi oggi una forzata processualizzazione, facendone dipendere il decorso del termine per impugnare, giacch� solo l'istanza di parte � in grado di far decorrere lo stesso termine per entrambe le parti del giudizio. Ed a superare questa considerazione, che attiene al sistema del processo, non sembra pos PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE sano valere le considerazioni pratiche valorizzate da Cass. n. 3133 del 1992, della normale conoscenza da parte dell'Amministrazione delle decisioni in questione. 2 -Il ricorso pertanto, in quanto proposto prima dello spirare del termine di un anno dalla decisione, � tempestivo e deve essere esaminato. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 20 gennaio 1998 n. 477 -Pres. Sensale -Rei. Catalano -P.G. Lo Cascio (conci. conf.) -Garante per l'editoria (Avv. Stato Polizzi) c. RTI Spa (Avv. Pacifico) Poste e radiotelecomunicazioni -Trasmissioni radiotelevisive -Propaganda e pubblicit� elettorale -Divieti -Sanzioni -Definizione dei concetti di pubblicit� e propaganda con provvedimento del garante della radiodiffusione e dell'editoria -Principio di legalit� -Violazione -Non sussiste. Poste e radiotelecomunicazioni -Propaganda e pubblicit� elettorale -Divieti Maggiori limitazioni imposte alla editoria televisiva rispetto alla stampa Irragionevole disparit� di trattamento -Non sussiste. Poste e radiotelecomunicazioni -Propaganda e pubblicit� elettorale -Divieti Limiti alla libert� di espressione del pensiero -Valori costituzionali della libert� di scelta dell'elettore e della democraticit� della competizione -Giustificazione dei limiti. Poste e radiotelecomunicazioni -Propaganda e pubblicit� elettorale � Divieto assoluto di propaganda elettorale indiretta -Sussiste -Divieto assoluto di prvpaganda con i metodi della pubblicit� commerciale, definzione questa di �pubblicit� elettorale� -Sussiste -Divieto di propaganda elettorale diretta salvo le eccezioni di cui all'art. 2 L. 515 /93 -Sussiste. Poste e radiotelecomunicazioni -Trasmissioni televisive -Propaganda e pub-� blicit� elettorale -Divieti -Propaganda elettorale indiretta -Trasmissione di serie di interviste casuali ad anonimi cittadini sui loro orientamenti elettorali -� tale -Divieto -Univoca individuabilit� del soggetto politico beneficiario -Irrilevanza. L'art. 1 comma III della legge 515/93 (recante la disciplina della campagna elettorale per l'elezione della Camera e del Senato) demanda al Garante per la radiodiffusione e l'editoria il compito di definire le regole alle quali editori e titolari di concessioni radiotelevisive debbano attenersi: poich�, per�, i comportamenti sanzionati in via amministrativa dal successivo art. 15 sono sufficientemente specificati dalla legge, il relativo provvedimento integrativo emanato dal Garante non viola la riserva di legge di cui all'art. 21 Cost. limitandosi a ulteriormente specifi RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 90 care le fattispecie vietate, peraltro qualificate extragiuridicamente con i termini di �pubblicit�� e �propaganda�. La diversa capacit� espansiva del mezzo televisivo rispetto ai giornali giustifica divieti di pubblicit� e propaganda pi� intensi a carico del primo (1). I divieti di cui alla legge 515/93 (come specificati dal provvedimento del Garante 26.1.1994) nel limitare la libert� di manifestazione di pensiero in sede di propaganda politica attuano i principi costituzionali del rispetto della libert� di scelta da parte degli elettori e della democraticit� della competizione (che deve avvenire ad armi pari stante il carattere democratico della Repubblica sancito dall'art 1 Cast.) che potrebbero essere lesi da una propaganda scorretta (2). Il divieto di propaganda elettorale di cui alla legge 515/93 concerne sia la propaganda trasparente (salvo le eccezioni di cui all'art. 2) che la pi� insidiosa propaganda indiretta, e, in ogni caso, ogni forma di pubblicit� elettorale, ossia di propaganda svolta con i metodi della pubblicit� commerciale (3). La messa in onda di un programma contenente una serie di interviste casuali sugli orientamenti elettorali degli intervistati � idonea a orientare le libere scelte dello spettatore -ancorch� non sia univocamente individuabile un solo gruppo politico a favore del quale siano espressi i detti orientamenti -e costituisce propaganda elettorale vietata (in conseguenza di detto principio, la Corte ha cassato, con rinvio, la sentenza del Pretore che, accogliendo il ricorso della RTI avverso sanzione irrogata dal garante ex art. 15 legge 515 cit., aveva ritenuto che le opinioni espresse dagli intervistati non erano in prevalenza favorevoli ad un individuato movimento politico, poich� solo tre su quindici intervistati si erano pronunziati espressamente a suo favore, s� che la trasmissione non poteva essere considerata propaganda elettorale vietata ( 4). (1-4) Conforme la coeva Cass. n. 478/98. Persuasori occulti elettorali: una tecnica repressiva insufficiente? La controversia riguarda degli illeciti elettorali commessi nella campagna per le elezioni politiche del 1994; quattro anni dopo decisa in Cassazione. Decisamente troppi, pur a fronte di una sentenza eccellentemente motivata. Eppure, sembra che la celerit� sia un principio generale dei procedimenti giudiziari elettorali (addirittura era prevista la procedura per direttissima c.d. �obbligatoria� per i relativi reati) (1). (1) Era previsto il rito direttissimo dagli artt 112 d.P.R. 361/57, nonch� 89, 90, 91, 96 d.P.R. 570/60, e dall'art. 1 legge 108/68; previsioni abrogate dal nuovo codice di rito penale (art. 233 att. c.p.p. 1988). Del resto, � molto rapido il rito elettorale anche nelle controversie su ineleggibilit� e decadenza,sottoposte alla cognizione del Tribunale ordinario, nelle controversie in materia di elettorato attivo (in unico grado di merito avanti la Corte di appello) nonch� in quelle sulle operazioni elettorali sottoposte al Giudice amministrativo. In tutti i casi trattasi di processo da ricorso, con la previsione (anche in appello) di brevi termini per la notifica e il successivo deposito del ricorso, con trattazione collegiale, dispositivo letto in dibattimento, termini abbreviati per i gravami (che, addirittura non prevedono il termine lungo) e, nel primo e secondo caso, di regola senza rinvio, giusta il potere della Cassazione di decidere nel merito. (Cfr. art. 42 ss. t.u. 223/67; artt. 82, 82/2, 82/3, 84 T.U. 570/60 richiamati dagli artt. 7 legge 1147/66 per le elezioni provinciali e dall'art. 19 legge 108/68 per le regionali). PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRIITO E PROCEDURA CIVILE 91 (omissis) Il giorno 20 marzo 1994 l'eminente televisiva nazionale �Italia 1� mand� in onda un programma denominato �QUI ITALIA�, nel corso del quale vennero trasmesse le considerazioni e le dichiarazioni di voto raccolte dal conduttore tra i passanti. Qui, l'art. 15, XIX co., legge 515/93, rinvia in modo generico al rito di cui alla legge 689/81. E, al proposito, non pare razionale affidare al Pretore la cognizione su sanzioni amministrative irrogate da una Authority �quasi -magistratuale� (2); un legislatore pi� accorto avrebbe richiamato la competenza della Corte di Appello in materia di sanzioni avverso le imprese bancarie, provvedimenti similmente irrogati, in sostanza, da una Autorit� (3) quale la Banca d'Italia. Fortunatamente, ora, la cognizione dei provvedimenti irrogati dalla nuova Autorit� di cui alla legge 249/97 � stata affidata al TAR, e con il D.lgs. 80/98, art. 35, il rito � stato semplificato. D'altronde ben poche delle sanzioni previste dalla legge attuale raggiungerebbero un qualche effetto in ordine alla efficace tutela dell'elettore. Esaminando l'art. 15, della legge 515 citata, si osserva che solo alcune violazioni sono efficacemente sanzionate. In concreto, le poche che consentano di comminare la decadenza degli eletti (commi 7, 8, 9) le quali, tuttavia, comportano (2) Vedi, esattamente, MALINCONICO C., Le funzioni amministrative delle Autorit� indipendenti, in AA.VV., I garanti delle regole, a cura di CASSESE, Bologna, 1996, 46. (3) Per il settore del credito, vedi l'art. 145 D.lgs. 385/93. La norma affida solo formalmente il potere sanzionatorio al Ministro del Tesoro, ma su proposta della Banca d'Italia, proposta che assurge -stante il tempo indicativo presente usato dalla norma -a presupposto necessario della sanzione. Il potere sanzionatorio, dunque, sostanzialmente spetta alla Banca d'Italia, annoverata dalla dottrina come Autorit� di questa tipologia, e anzi assurtavi anche formalmente in base al Trattato di Maastricht, nella parte in cui istituisce il sistema monetario europeo (artt. 107 e 108 -nuovo testo -Trattato CEE). Il relativo reclamo, in base all'art. 145 T.U. bancario, spetta come in passato (art. 90, III co., R.D.L. 375/1936) alla Corte di Appello di Roma. Per il settore assicurativo vedi invece l'art. 15 legge 761/1940, poi divenuto l'attuale art. 111 T.U. Ass. private (d.P.R. 449/59). Anche in questo caso il decreto irrogativo delle sanzioni � emesso dal Ministro di settore ma su proposta della ISVAP, la cui natura di Authority � abbastanza certa. In ambo i casi tali norme costituivano un privilegio processuale dei settori imprenditoriali interessati, derogando alla giurisdizione amministrativa articolata in unico grado. Oggi si � ritenuto opportuno mantenere un foro ad hoc in ragione della complessit� del procedimento sanzionatorio, praticamente in contraddittorio semipieno con una Autorit� autocefala. Vedi da ultimo la devoluzione al giudice amministrativo di tali materie ex art. 33 D.lgs. 80/98. Per qlianto riguarda il contenzioso sanzionatorio delle altre Authority: nel settore dei servizi di pubblica utilit� la legge 481/95 affida la relativa giurisdizione al TAR (art. 2 co. XXV con ivi prevista la competenza del Tar del luogo ove ha sede l'Autorit�); non altrettanto � previsto dell'Autorit� Garante per la protezione dei dati personali (art. 39 III co., legge 676/96 che rinvia alla legge 689/81); invece, per l'Autorit� Garante della concorrenza e del mercato, essa � affidata al Tar Lazio (competenza esclusiva ma probabilmente non inderogabile: art. 33, I co., legge 287 /90). La scelta della Giurisdizione amministrativa � stata generalizzata per il credito, le assicurazioni, le telecomunicazioni, i pubblici servizi, dall'art. 33 D.lgs. 80/98 con notevole ampliamento dei poteri -istruttori, di condanna al risarcimento del danno, di imposizione di criteri per la determinazione di una penale -del Giudice Amministrativo in base all'art. 35 D.lgs. 80 cit. Quanto al settore delle comunicazioni, deve essere per completezza ricordato che la prima Autorit� del settore, il Garante per l'Editoria di cui all'art. 8 legge 416/81, non aveva poteri sanzionatori, riservati al Servizio per l'Editoria della Presidenza del Consiglio ex art 21, II co., legge 416. Solo con la legge 223/90, istitutiva dell'unico Garante per la Radiodiffusione e per l'Editoria, tali funzioni sanzionatorie (art. 6 co. X lett. d -art. 31 legge 223) sono state a questi affidate, riservandone per� il contenzioso al Pretore ex L. 689/81. � solo con la recente legge 249/97 che ha sostituito al Garante, la Autorit� per le Garanzie nelle Comunicazioni, che la giurisdizione sui provvedimenti sanzionatori � stata affidata al Tar del Lazio, in modo esclusivo e inderogabile (art. 1 comma XXVI). Tali provvedimenti comprendono (art. 1 comma VI lett. b numeri 5 e 9) quelli in materia di pubblicit� commerciale e di propaganda politica. Fortunatamente il Tar deve provvedere entro 60 giorni dalla concessione del provvedimento cautelare; il dispositivo si pubblica entro 7 giorni dall'udienza e i termini sono ridotti alla met� (art. 1 co. XXVII). Un bel mosaico, che non contribuisce alla chiarezza. Meglio sarebbe stato, nel fomulare l'art. 33 D.lgs. 80/98, menzionare tutti i provvedimenti delle Autorit� autocefale. L'attuale formulazione rischia, nel settore delle comunicazioni, di limitare i poteri di cui all'art. 35 successivo al solo caso delle telecomunicazioni (menzionate dall'art. 33) e non anche agli illeciti a mezzo stampa (la stampa non figura nell'elenco di materie di cui a tale norma). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 92 L'ufficio del Garante per la radiodiffusione e l'editoria, ricevuta segnalazione da parte del centro di controllo delle emissioni radioelettriche del Ministero delle Poste e Telecomunicazioni, rilev� che le interviste, in quanto prevalentemente orientate in senso favorevole al movimento �FORZA ITALIA�, connotavano obiettivamente il programma come trasmissione di propaganda elettorale in favore di questo, effettuata in violazione degli artt. 1, comma terzo, e 2 della legge 10 dicembre 1993, :: n. 515, degli artt. 11, 13 e 15 del provvedimento del Garante del 26 gennaio 1994 e I tutte anche l'irrogaziOne di una sanzione amministrativa pecuniaria, la cui contestazione giudiziale -che pu� durare anche 4 anni, come si � potuto osservare, la durata di una legislatura sospende di fatto il procedimento ( 4). Indi necessita una (successiva) delibera del Collegio Regionale di garanzia, infine una delibera della Camera di appartenenza. Tali ipotesi per� sono riferibili a illeciti dei singoli candidati. L'illecito a favore del partito politico non comporta queste sanzioni decadenziali, in tali casi si ricade nelle sanzioni amministrative, o, al massimo, nella sospensione dei contributi pubblici (comma 13). Chi dovrebbe rischiare di pi� � l'editore; il Garante pu� diffidarlo (comma 1) a far cessare il comportamento, entro tre giorni, pena la sospensione delle pubblicazioni o della concessione e la proposta di revoca delle stessa. Inoltre l'editore non pu� eludere tale norma conformandosi alla diffida, di volta in volta, ma compiendo varie diverse campagne di propaganda a favore di pi� candidati perch� la stessa sanzione si applica in caso di recidiva. Tuttavia, nel caso di specie (che si riferisce a due episodi di violazione, identici, della normativa prelettorale) il Garante, nonostante la recidiva, non ha disposto l'oscuramento delle reti limitandosi alla diffida. A rigore, la recidiva dovrebbe comportare il previo consolidarsi dell'accertamento del precedente illecito (cio� almeno 4 anni) il che rende al Garante IMPOSSIBILE tale oscuramento durante una campagna elettorale (5). Di fatto, tutto si risolve in un illecito che comporta un costo economico, elevato, ma probabilmente sopportabile dai partiti pi� finanziati. *** Il ricorso incidentale proposto dall'Editore contro la sentenza pretorile ha un contenuto abbastanza limitato. Vi si lamenta la violazione, da parte della stessa Legge, che all'art. 1 comma III consente al Garante di emettere un provvedimento regolamentare integrativo, nonch� da parte dello stesso provvedimento del garante, della riserva di legge ex art. 21 Cost. Ora, la contestazione dell'illecito (ex art. 2 della legge 515: � vietata la propaganda elettorale in campagna elettorale (4) N� la Commissione Regionale di Garanzia n� la Camera di appartenenza hanno poteri giurisdizionali sul fatto. Se il fatto allora � contestato in giudizio, con il rito ex L. 689/81, non pare dubbio che gli organi di questo complesso procedimento non possano che attenersi al giudicato. (5) La recidiva � notoriamente un istituto penalistico, avente natura di circostanza aggravante eminentemente soggettiva del reato. Il disvalore che viene sanzionato consiste nella commissione di un nuovo illecito penale da parte di chi pure � consapevole di essere gi� stato condannato per altro fatto, con sentenza passata in giudicato. Questi principi sono applicati anche per le sanzioni amministrative nei confronti dei notai ( cfr. Cass. 2073175). Per il pubblico impiego, si afferma che la contestazione della recidiva disciplinare � ammissibile pur in presenza di impugnative pendenti sui precedenti provvedimenti disciplinari; ma in tale caso � evidente che si fa applicazione della presunzione di legittimit� dell'atto amministrativo (cfr. TAR FVG 444/94). Ove la norma fosse formulata in senso oggettivo (badando al numero o alla gravit� dell'illecito) tale impasse sarebbe superata. Cos� esattamente di-spone la legge 287 /90 che si limita a menzionare la particolare gravit� dell'illecito o la sua reiterazione. Peraltro, � quanto meno inutile lasciare al contravventore tre giorni di tempo (un decimo della campagna elettorale). Quello che occorre � una sanzione rapida ed efficace: l'oscuramento (comminabile a giorni, ore, etc.). PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITIO E PROCEDURA CIVILE 93 contest� queste infrazioni alla societ� RTI, titolare dell'emittente Italia 1, con provvedimento in data 24 marzo 1994, notificato ai sensi di legge. In pari data la societ� venne diffidata a cessare ed astenersi per tutto il periodo della campagna elettorale dal mandare in onda messaggi di propaganda elettorale in violazione delle norme sopra indicate. salvo le note eccezioni di tavole rotonde, confronti, discorsi, ecc.) � interamente contenuta e prevista dalla fonte primaria; il provvedimento integrativo 26.1.1994 non fa che specificare ed esemplificare il significato di tale pi� generica �propaganda�. Ci� che del resto � pienamente consentito alle fonti secondarie nell'ambito delle sanzioni amministrative, soggette alla riserva relativa ex art. 23 Cost. e al principio di legalit� di cui all'art. 1 legge 689/81 (6). *** La Corte, quindi prende atto che proprio la pubblicit� e le analoghe forme di orientamento del pubblico tramite i mass-media possono ledere la libert� di pensiero e la libera formazione degli orientamenti politici dell'elettore. Tristemente ridotto, si direbbe a consumatore sporadicamente cittadino, a soggetto di cui si presuppone la alta condizionabilit� da parte dei mass-media. Del resto, la libert� di pensiero degli operatori del settore � pienamente tutelata. L'art. 2 legge 515 vieta la pubblicit� e la propaganda elettorale nei trenta giorni precedenti le elezioni. Ora, se il divieto di pubblicit� (e cio� della propaganda che utilizza i metodi della pubblicit� commerciale) � totale, quello di propaganda � limitato. Anzi, esso � addirittura un divieto apparente per la propaganda elettorale trasparente. Le eccezioni di cui all'art. 2 lett. a) b) c) coinvolgono tutta la gamma delle manifestazioni di una propaganda ufficiale, aperta, dichiarata. Ci� che si vieta � la propaganda indiretta o surrettizia. Poich� la propaganda, sfruttando �spazi� sui media ha un costo economico, � ovvio che una propaganda �mascherata� serve anche ad aggiornare i limiti massimi di spesa �ufficiale� stabiliti dalla normativa favorendo i candidati pi� finanziati. E il carattere democratico della Repubblica impone che la competizione avvenga ad armi pari, sulla base dei programmi e delle persone, ponendo severi limiti alle spese di campagna elettorale onde renderla possibile a tutti -nei limiti del ragionevole -, non invadente e non talmente onerosa da far necessariamente presumere un �ritorno economico� da parte dell'eletto nello sfruttare la carica pubblica ricoperta. Essa �, inoltre, contraria all'otdine democratico, e quindi � soggetta ai limiti impliciti di cui all'art 21 Cost (7). Anzich� manifestare chiaramente idee e opinioni (spingendo l'elettore a un (6) La materia delle sanzioni amministrative non � soggetta, com'� noto, alla riserva assoluta di carattere costituzionale di cui ali' art. 25 Cost., ma al contempo, alla riserva relativa di legge di cui ali' art. 23 Cost. e a quella assoluta di carattere puramente legislativo (e quindi derogabile con fonte primaria) di cui all'art. 1 legge 689/81. Peraltro, la giurisprudenza costituzionale in materia penale giudica sufficiente che la legge, oltre a prevedere in toto la sanzione, contempli gli elementi essenziali della fattispecie concreta, ben potendo una fonte secondaria definire in via tecnica e specificare il contenuto del precetto (v. Corte Cost. 333/91 sulla legittimit� della norma che demandava al Ministro della Sanit� la determinazione della dose minima giornaliera il cui consumo era rilevante ai sensi della legge penale sugli stupefacenti). Dunque la norma in esame sarebbe costituzionalmente legittima anche ove prevedesse sanzioni penali. (7) La giurisprudenza costituzionale, in ordine all'unico limite esplicito della libert� di pensiero, il buon costume, ha, temendo forse una eccessiva dilatabilit� di tale concetto, limitato il suo significato al senso penalistico (atti offensivi della morale sessuale). Perci� si definiscono impliciti gli altri limiti della libert� di pensiero, che devono aver radice in valori tutelati dalla Costituzione. E nel nostro caso, ve ne sono almeno quattro. In primo luogo la libert� di pensiero dei telespettatori; indi il principio di libert� del voto, manipolabile con i mezzi suddetti. Tali illeciti, poi, incidendo sulla scelta dei rappresentanti del popolo, ledono lo stesso ordine costituzionale e democratico. Infine, si deve ravvisare la violazione dell'art. 12 Dich. Diritti dell'Uomo in ordine alle illecite interferenze nella vita privata. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 94 Dopo questi atti e in esito alla compiuta istruttoria, il Garante ingiunse alla societ� RTI il pagamento della somma di L. 200.000.000 (duecento milioni) a titolo di sanzione amministrativa pecuniaria per le contestate violazioni. L'opposizione della societ� intimata � stata accolta dal pretore di Milano il quale ha rilevato che �stante l'ampia gamma di risposte offerte dagli intervistati deve escludersi che il programma de quo possa identificarsi come trasmissione di confronto-esame di posizioni, cio� a una operazione dialettica e di pensiero) ne manipola le reazioni, in qualche modo collegate a opinioni accessorie agli ideali rappresentati dal committente (un partito �Dio-Patria-Famiglia� ben pu� giovarsi di sequenze attenenti la famiglia italiana degli anni cinquanta); E manipolare (circum-venire) le idee altrui �, si ripete, vietato, anche per la stessa pubblicit� commerciale. Il D.lgs. 74/92 (attuativo della direttiva CEE 84/450) impone (art. 3) che la pubblicit� sia riconoscibile come tale. Per inciso, lo stesso principio � espresso dall'art. 7 del codice di autodisciplina pubblicitaria (17 edizione 1991). In tali casi, l'Autorit� garante della concorrenza e del mercato �pu� sospendere� (art. 7 co. 2 D.lgs. 74/92) la pubblicit� abusiva, e, all'esito dell'istruttoria (ove interviene il garante: comma 5) le vieta. Tutti questi provvedimenti sono assistiti da sanzioni penali (art. 7 co. 9). Non sembra che, invece, quanto alla pubblicit� elettorale vi sia un procedimento cos� cele I :~ re, che consenta la immediata sospensione della stessa. Dunque, ai persuasori si richiede trasparenza e, ci pare di dover concludere, un messaggio non trasparente non � conforme al buon costume e all'ordine democratico e pu� essere compresso dalla tutela della vera libert� di pensiero. *** I II ~ m Ma l'art. 2 legge 515 vieta anche la semplice �pubblicit�� ancorch� �trasparente�, che � definita dall'art 15 Provv. Garante come �spot>> ovvero �trasmissioni contenenti esclusivamente elementi di spettacolarizzazione �ovvero con scene artificiosamente accattivanti anche per la non genuinit� di eventuali prospettazioni informative, slogan, inviti' al voto non accompagnati da una adeguata presentazione politica di candidati I programmi I linee� ivi comprese anche le trasmissioni che utilizzano i mezzi di cui sopra per destare rifiuto verso un concorrente politico (art. 15, provv. Garante 26.1.1994). I La ratio �, in parte, analoga a quella della lotta contro la manipolazione del pensiero dei teleutenti/elettori; in parte, finalizzata a consentire una competizione ad armi pari, che vieti inde I biti vantaggi a chi ha pi� mezzi (a prescindere dalle idee) per pagarsi la pubblicit� o per trasmetterla. Infatti gli operatori del�settore debbono determinare e pubblicare le loro tariffe (art. 9 Provv. 26.1.1994) nonch� assicurare l'accesso a tutti i gruppi politici, collegio per collegio (art. 10). Le tariffe sono pari al 50% di quelle della pubblicit� normale (art. 14) e devono essere uniformi per tutti i candidati (art. 14, 2� co.) (8). Se a ci� si aggiunge che l'art. 10 della legge pone un limite massimo alle spese elettorali e che il superamento di tale limite comporta per il singolo candidato la decadenza (art. 15 co. 6 e 9 legge 515) e per il partito sanzioni pecuniarie che si riflettono sul contributo pubblico (art. 15 co. 16 legge 515) tale obiettivo parrebbe raggiunto, se non vi lli ostasse la farraginosit� e la lentezza delle tecniche repressive. ffi ~ ~ *** m 1:: 1:: La decisione commentata, evidenzia, come finale principio di diritto, che non � necessario !:! che il beneficario della pubblicit� elettorale abusiva sia unico. Nella specie, gli elementi della rn contravvenzione c'erano tutti: il periodo interdetto ex lege, una trasmissione che non consisteva in t (8) Lbnire poi "''"o rn. '"=�ivi Prowodimooti do!"'�'" io onlfoe '',Jrre ~P'll'" oletto"!i. I .. i I .--.--�.--��� .-�.-�� .--.-... .-.-. ........-.-.-;.--.c.--.--..-.-.-�������,. ......................1'..;.;���.-.�J'�J'J'J'�:-:�����J'��.-.���.l'.�.l'��.-J'}'."J'"""'" ...... �,..�.�.�.�.-.�.-.-�../..l'{/..'J'J'."J'J'J'/,(.�"J'"./'.......�.�.�.���.�.�.�J'.�.�.�.�.-:.�.�.�.�.�.�.�.��.�.-�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�J'.�.�.�.�.�.�.��.�.�.�.:,.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.��.�.:,.�.�.�.�.�.�.�.:,.��.�.�.�:.�.�.�.�.�.�.��.�.",,* rlMIPJllW"1�MWIJlldllllrl._������ PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 95 propaganda elettorale a favore del movimento politico �Forza Italia�; in effetti solo due su quindici intervistati possono considerarsi favorevoli al movimento �Forza Italia", col che, sicuramente, le interviste devono qualificarsi come imparziali�. Ricorre per cassazione il Garante peri'editoria e la radiodiffusione sulla base di tre motivi di annullamento. Resiste con controricorso la societ� RTI Reti Televisive Italiane per azioni, che propone ricorso incidentale condizionato, articolato sulla base di tre motivi illustrati da memoria. una aperta presentazione di candidati o progamrni (illimitatamente consentita ex art. 2 a) b) c) legge 515) una presentazione surrettizia e non apertamente dichiarata di opinioni di intervistati. Appartiene alla tecnica pubblicitaria orientare il consumatore sulla base di opinioni di cittadini qualunque falsamente presentate come dichiarazioni obiettive. Ci� � cos� pericoloso che finanche i sondaggi �scientifici� (che in ogni caso devono essere pubblicati con la indicazione delle metodiche, del campione, del committente e degli acquirenti) sono interdetti nei 15 giorni precedenti il voto (art. 6 legge 515). � altres� ininfluente (come � sfuggito al Pretore di Milano) il numero delle aperte �professioni di fede�; basta che esse siano presentate da �intervistati� con cui il telespettatore si possa identificare (il pensionato felice, la mamma ideale). � sufficiente altres� che ci� che si veicoli sia l'idea, scomposta in singoli aspetti, di un maggiore benessere legato a uno stile di pensiero conseguente alle posizioni del partito che si intende favorire (come presentare accattivanti immagini di una famiglia di consumatori, con uno zio morto per la Patria, magari vicina di casa di un ex bolscevico infelice). *** Il Pretore, del resto, ben potrebbe servirsi dell'ausilio di esperti in comunicazioni pubblicitarie onde accertare questi delicati aspetti del fatto sottoposto alla sua cognizione. Infatti, suggerisce la Corte al giudice di rinvio, non � sufficiente valutare il numero delle risposte, ma si devono considerare, insieme, quantit�, qualit� e numero delle domande o delle risposte ossia il contesto in cui sono rese le opinioni. Dieci personaggi sgradevoli che dichiarino di votare �contro� qualcuno sono dieci opinioni a suo favore. Conclude poi la Corte, con lineare garantismo, che � assolutamente indifferente quale sia il competitore �favorito� dall'illecito: basta che si faccia propaganda surrettizia per qualcuno, e si commette comunque l'illecito, che consiste, infatti nella attentata manipolazione della coscienza dei telespettatori. Il Pretore invece, diversamente argomentando, si � solo preoccupato di determinare se tale complesso di interviste fosse orientato, in prevalenza, in favore di un partito, con una valutazione sicuramente insufficiente, anche alla luce della ratio della norma sanzionatoria, la quale non mira a tutelare mere formalit� preelettorali, ma la libera determinazione dei cittadini in ordine al loro esercizio del diritto di voto. *** Concludendo, sorgono speranze dal nuovo rito di cui all'art. 1, XXVII co., legge 249/97 (9), in cui i termini sono ridotti alla met� e il giudice amministrativo, trattandosi di giurisdizione esclusiva, � dotato di pi� ampi poteri istruttori, anche se si pu� dubitare che possa applicarsi l'art. 35 D.lgs. 80/98 anche nel caso delle violazioni a mezzo stampa. � per� opportuno variare il procedimento sanzionatorio secondo l'agile schema della repressione della pubblicit� commerciale clandestina, onde assicurare effettivit� di tutela, nei ristretti tempi della campagna elettorale, a tale supremo interesse. ROBERTO DE FELICE (9) Va ricordato che il comma XXVII prevede la possibilit� dell'appello con riserva dei motivi e la immediata esecutivit� del solo dispositivo della sentenza di I grado. Il Tar pu� addirittura decidere nel merito la causa alla udienza camerale sulla sospensiva. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO . 96 MOTIVI DELLA DECISIONE Il ricorrente denuncia, con il primo motivo, l'assoluta carenza di motivazione I[:=,� della decisione impugnata poich�, a prescindere dal fatto che per ammissione della : stessa societ� opponente almeno tre risposte erano state sicuramente favorevoli al movimento politico Forza Italia o ai suoi alleati, il pretore nulla dice in merito alle ~: altre risposte raccolte nel corso del servizio. Con il secondo motivo viene dedotta la violazione della legge 10 dicembre 1993, n. 515, ed il vizio di motivazione su punti decisivi. Con il terzo motivo il Garante denuncia l'ulteriore vizio di motivazione con riguardo ad uno dei presupposti dell'irrogazione della sanzione. La societ� RTI deduce, con il proposto ricorso incidentale: a) il difetto di motivazione su aspetti decisivi della controversia con riguardo a quei profili dell'opposizione non esaminati dal pretore; b) l'illegittimit� costituzionale degli artt. 1, comma terzo, e 2 della legge 10 dicembre 1993, n. 515, e, conseguentem�nte, degli artt. 9, 11, 13, e 15 del provvedimento integrativo del Garante del 26 gennaio 1994, per contrasto con l'art. 21 della Costituzione nella misura in cui la normativa vigente fosse da interpretare nel senso che le opinioni in ordine alle candidature ed alle forze politiche possono trovare espressione soltanto nelle forme tassativamente previste dalla citata legge, con esclusione di ogni altra forma; e) l'illegittimit� costituzionale delle anzidette disposizioni di legge e di regolamento per contrasto con gli artt. 3 e 21 della Costituzione, qualora esse fossero da interpretare nel senso di proibire ai soli giornalisti televisivi di esprimere, durante la campagna elettorale, il proprio voto o le proprie manifestazioni di preferenza o di simpatia per un candidato o un movimento politico. La Corte, disposta la riunione delle impugnazioni ai sensi dell'art. 335 c.p.c., ai fini del corretto esame delle censure proposte dal Garante, rileva quanto segue relativamente al contenuto delle norme che si assumono violate. La legge 10 dicembre 1993, n. 515, recante la disciplina delle campagne elettorali per l'elezione alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica, premessa la regolamentazione dell'accesso ai mezzi di informazione (art. 1), stabilisce nel successivo art. 2, la cui rubrica ha ad oggetto la �propaganda elettorale a mezzo stampa e radiotelevisiva�, che, a partire da trenta giorni precedenti alla data delle votazioni, � vietata la propaganda elettorale a mezzo di inserzioni pubblicitarie su quotidiani o periodici, spot pubblicitari e ogni altra forma di trasmissione pubblicitaria radiotelevisiva; dal divieto sono eccettuati gli annunci di dibattiti, le tavole rotonde, le conferenze, i discorsi, le pubblicazioni o le trasmissioni destinate alla presentazione dei programmi delle liste, dei gruppi di candidati o dei candidati, le pubblicazioni o le trasmissioni di confronto tra pi� candidati. La medesima legge, allo scopo di consentire l'applicazione effettiva e puntuale delle previsioni in essa contenute, demanda (art. 1, comma terzo) al Garante per la � radiodiffusione e l'editoria il compito di definire le regole alle quali gli editori di ! quotidiani e periodici, i titolari di concessioni e di autorizzazioni radiotelevisive in ~ ! .,,.,,,,.,,.,,,lllllllll�l~ll������ PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA clVILE ambito nazionale o locale, nonch� tutti coloro che esercitano, in qualunque ambito, attivit� di diffusione radiotelevisiva i quali intendano diffondere o trasmettere a qualsiasi titolo propaganda elettorale nel periodo di tempo innanzi indicato, debbono attenersi per assicurare l'attuazione del principio di parit� nelle concrete modalit� di utilizzazione degli spazi di propaganda, nonch� le regole atte ad assicurare il concreto conseguimento della parit� di trattamento anche nei programmi e servizi di informazione elettorale. L'art. 15 definisce il quadro sanzionatorio, con l'attribuzione al Garante del potere di irrogazione delle sanzioni ivi indicate. Per completezza mette conto di rilevare che la predetta Autorit� ha adottato, in attuazione della delega di cui si � detto, un regolamento il quale dispone, per quanto qui rileva, che le trasmissioni di propaganda elettorale possono realizzarsi nelle formule e nelle modalit� definite dalla singola emittente secondo criteri che, in relazione ai tempi destinati alla trasmissione, consentano, in condizioni di parit�, una corretta illustrazione delle rispettive posizioni da parte dei singoli competitori (art. 13). Mentre, poi, il successivo art. 15 include nella nozione di pubblicit�, oltre gli spot, le trasmissioni contenenti esclusivamente elementi di spettacolarizzazione, scene artificiosamente accattivanti anche per la non genuinit� di eventuali prospettazioni, slogan, inviti al voto non accompagnati da un'adeguata, ancorch� succinta presentazione politica di candidati e/o di programmi e/o di linee; le trasmissioni che usano, attraverso elementi atti a destare rifiuto, le stesse tecniche di suggestione di cui innanzi per dare un'immagine esclusivamente negativa dei competitori. La normativa in esame, introdotta a distanza di alcuni mesi dalla emanazione della legge 25 marzo 1993, n. 81, che nel disciplinare l'elezione diretta del Sindaco, del Presidente del Consiglio comunale e del Consiglio Provinciale, contiene nell'art. 28 una dettagliata regolamentazione dell'accesso alla stampa ed ai mezzi di informazione radiotelevisiva, costituisce una rilevante innovazione in materia di disciplina della propaganda elettorale, fino ad allora limitata alle previsioni di cui alla legge 4 aprile 1956, n. 212, concernente l'affissione di stampati, giornali murali o manifesti, successivamente integrata ed aggiornata (legge 24 aprile 1975, n. 130). Poich� il divieto sanzionato con la disposizione da ultimo indicata concerne la propaganda elettorale ed ogni altra �forma di trasmissione pubblicitaria radiotelevisiva �, � opportuna una sommaria indicazione sul significato che, ad avviso della Corte, queste espressioni assumono nel contesto normativo. Il termine �propaganda� indica, come � noto, quella particolare forma di comunicazione mediante la quale si trasmettono conoscenze ad una cerchia determinata di destinatari; con esso si allude, in sostanza, ad un'attivit� diretta a diffondere in modo sistematico determinati messaggi allo scopo di creare nei fruitori un'immagine positiva o negativa di certi specifici fatti, e di suscitare la spinta al compimento di comportamenti conformi alle aspettative dell'autore del messaggio. La propaganda elettorale � quella specifica attivit� che si svolge nell'ambito del procedimento preparatorio della scelta e che � volta ad influire sulla volont� degli aventi diritto al voto nel periodo che precede le elezioni. Essa si connota, come questa Corte ha pi� volte rilevato, esaminando la questione nel versante penalistico, per la sua inerenza, diretta o indiretta, alla competizione elettorale, sia quando ha, come scopo immediato o mediato, quello di acquistare voti o sottrarne agli avversari, sia RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � quando ha come scopo, anche mediato, di convincere l'elettore a non votare, oppure a presentare scheda bianca, a rendere il voto nullo o ad esprimerlo in modo inefficace (per tutte: Cass. penale 26 giugno 1989). La pubblicit� elettorale o politica, pur costituendo una manifestazione del pen siero in forma di propaganda, � fondata sull'impiego di tecniche usate dal mercato ~ commerciale, e si sostanzia, come si � potuto rilevare in occasione di recenti ele~ i zioni, in un'attivit� promozionale che finisce con il trattare i soggetti politici ed i loro programmi alla stregua di un prodotto commerciale; il messaggio, infatti, � enunciato privilegiando l'immagine e la tecnica di rappresentazione rispetto al contenuto, con la scoperta finalit� di �Catturare� il consenso del destinatario. I La propaganda, in quanto caratterizzata da una valenza manipolativa e persuasiva poich� il messaggio che a suo mezzo viene trasmesso ha la finalit� di provocare l'adesione dei destinatari verso l'opzione enunciata dall'autore della comunicazione, si distingue concettualmente dall'informazione, ma come avvertono gli studiosi della comunicazione, la distinzione, agevole in astratto, pu� in concreto presentare difficolt� nei casi limite. Risulta evidente, alla stregua di tali premesse, la concreta portata dell'illecito sanzionato nell'art. 2 che appare definito nei suoi effettivi contorni, ponendo esso il divieto di propaganda elettorale, oltre che a mezzo di spot, a mezzo di ogni altra forma di trasmissione pubblicitaria, nel dichiarato intento di assicurare la parit� di trattamento fra tutti i partecipanti alla competizione elettorale, enunciato nell'art. 1, gi� citato. La norma viene, poi, specificata con le indicazioni di cui all'art. 15 del provvedimento del Garante del quale si � detto, ma il complessivo apparato normativo cos� articolato non denota gli aspetti di illegittimit� dedotti nella discussione dal difensore della societ� controricorrente il quale ha posto in dubbio la legittimit� della integrazione del precetto contenente la sanzione con una fonte secondaria, quale � il citato regolamento, sotto il profilo della violazione del principio di legalit�. L'obiezione non si palesa, tuttavia, fondata poich� nel caso in esame, come si rileva agevolmente dal confronto fra le disposizioni contenute nei d~e atti normativi, l'atto normativo secondario ha la funzione di precisare, sul piano semantico, gli elementi della fattispecie determinati in via legislativa nel loro nucleo essenziale, sicc~� la specificazione della condotta vietata contenuta nella norma regolamentare appare del tutto consentita, trattandosi del mero richiamo al significato corrente delle locuzioni adottate nella previsione della legge, senza porsi in contrasto con il testo di essa. Va, conseguentemente, esclusa la postulata lesione del principio di legalit� operante anche nel campo delle sanzioni amministrative ai sensi dell'art. 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689, il quale � del tutto salvaguardato quando, come nella specie, la previsione sanzionatoria dell'illecito amministrativo richiama elementi normativi extragiuridici, come quelli di propaganda, pubblicit�, e simili, il cui significato nel contesto sociale di riferimento � agevolmente percepibile. La norma, poi, neppure si pone in contrasto con gli artt. 3 e 21 della Costituzione, secondo la prospettazione della controricorrente (terzo motivo del ricorso incidentale condizionato). j= Ed invero, quanto alla prima delle due citate norme costituzionali, la dedotta i:: disparit� di trattamento che si ravviserebbe rispetto alla carta stampata, � giustifica-!i .. I PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITIO E PROCEDURA CIVILE ta e razionale avuto riguardo, per un verso, alla diversa capacit� espansiva della televisione rispetto ai giornali, per i quali la legge, del resto, contiene analoghi divieti, per altro verso, alle modalit� di accesso del pubblico con tali mezzi di informazione, modalit� pi� immediate e pi� agevoli relativamente al mezzo televisivo. Per quanto concerne l'asserito contrasto con la norma dell'art. 21 mette conto di rilevare che se, da un lato, qualsiasi normativa volta a regolare in modo organico la propaganda politica nel periodo che precede le consultazioni elettorali deve misurarsi con le garanzie costituzionali poste a tutela della libert� di manifestazione del pensiero, dall'altro lato occorre tenere conto del peculiare modo di essere di questa fondamentale situazione giuridica costituzionalmente garantita nel senso che il diritto del singolo di esprimere il proprio pensiero � riconosciuto non soltanto al fine di consentire all'uomo di comunicare con il proprio simile, ma anche con riguardo al suo rilievo sociale, nell'ottica del corretto funzionamento del sistema democratico e ci� comporta, secondo la linea costantemente espressa dal Giudice delle leggi, la legittimit� costituzionale di disposizioni limitatrici di determinate forme di propaganda elettorale, atteso che �la disciplina delle modalit� di esercizio di un diritto non costituisce per s� stessa lesione del diritto medesimo, sempre che le restrizioni che ne derivano non siano tali da comportare lo snaturamento del diritto� (in tal senso: Corte Costituzionale 9 maggio 1985, n. 138). E nel caso di cui si tratta questa evenienza non si configura atteso che l'area del divieto � circoscritta alla �propaganda elettorale a mezzo di inserzioni pubblicitarie e ogni altra forma di trasmissione pubblicitaria televisiva�, mentre non � operante relativamente alle altre forme di comunicazione indicate nella norma e delle quali si � innanzi riferito. In tal modo la disposizione, lungi dal contrastare con la Costituzione, ne attua puntualmente i principi da essa desumibili, quali il rispetto della libert� di scelta degli elettori e della democraticit� della competizione elettorale, coordinando la libert� di manifestare il pensiero con quella degli altri cittadini, di formare le proprie determinazioni senza essere illegittimamente prevaricati da una propaganda scorretta, ed altres� con il carattere democratico della Repubblica (art. 1) che impone la partecipazione �ad armi pari� alla competizione elettorale, valori chiaramente emergenti dagli artt. 48 e 49 della Costituzione, surrettiziamente insidiati da una tale forma di propaganda. Alla stregua di quanto sin qui osservato ne deriva che costituisce trasmissione propagandistica vietata ai sensi della legge 515/1993, non soltanto quella in cui sia nominativamente indicato il candidato o il gruppo politico a cui vantaggio venga apertamente fatta (come mostra di ritenere il Pretore), ma anche quella che, pur non riferendosi specificamente all'uno o all'altro, sia idonea, attraverso l'intervista casuale, ad esercitare sullo spettatore una tale capacit� suggestiva da orientarne le libere scelte, senza che rilevi la individuazione della parte politica a favore della quale operi siffatta incidenza. In altri termini, il sistema introdotto con la legge di cui si tratta comporta che �il messaggio informativo deve rispettare i canoni della correttezza, dell'obiettivit�, della completezza e dell'imparzialit�, sia in relazione ai contenuti, sia in relazione alle modalit�, evitando le ambiguit� degli accostamenti accattivanti o delle tendenziose supposizioni e ogni altra forma di comunicazione surrettizia o deformante anche per l'o - RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO �� 100 missione di particolari o di circostanze rilevanti per l'esatta rappresentazione dei fatti�, secondo il testuale tenore del protocollo di intesa sottoscritto dalle concessionarie radiotelevisive RAI e FININVEST in data 18 febbraio 1994 per rego~![ �x lare in modo uniforme lo svolgimento delle trasmissioni di carattere politico - elettorale in vista delle elezioni politiche del 27 e 28 marzo 1994, e ci� vale quanto dire che la sfera di operativit� del divieto comprende, sia la propaganda �trasparente �, sia quella che tale non �, ma che riveste un maggior grado di scorretI' '. .� tezza, proprio perch� agisce in modo pi� insidioso ed ha una maggiore potenzialit� adescatrice. Evidenziate in tal modo le coordinate lungo le quali si muove il sistema normativo del quale si discute, da ci� consegue l'accoglimento del ricorso principale e la cassazione della sentenza impugnata. Il giudice del merito, infatti, avendo posto a base delle decisione di accoglimento dell'opposizione il dato per il quale soltanto un numero esiguo di intervistatori si era espresso in senso favorevole al movimento politico di �Forza Italia�, ha, per ci� stesso assunto una non corretta premessa circa i connotati dell'illecito, la cui materialit� consiste, secondo quanto si � esposto, nell'attuazione di una propaganda elettorale a mezzo di trasmissione pubblicitaria a favore di uno qualunque dei competitori. Inoltre, non si rinviene, nelle scarne proposizioni nelle quali si articola la decisone impugnata, adeguata motivazione neppure con riferimento alla identificazione del beneficiario della propaganda. A tal fine, infatti, sarebbe stato necessario procedere ad una valutazione contestuale delle domande e delle risposte, essendo del tutto evidente che soltanto la disamina globale delle une e delle altre avrebbe consentito di accertare la sussistenza o meno della contestata infrazione, secondo la linea innanzi. Quanto al ricorso incidentale, rilevata la manifesta infondatezza delle questioni di legittimit� costituzionale con esso dedotte con il secondo ed il terzo motivo, quanto alla doglianza espressa con il primo motivo, esso � inammissibile poich� inerisce a questioni non esaminate nel giudizio di merito e che potranno riemergere in sede di rinvio. Pertanto, cassata la sentenza impugnata, la causa va rinviata per un nuovo esame alla Pretura circondariale di Milano, in persona di diverso magistrato. Il giudizio di rinvio proceder� ad un nuovo esame sulla base di quanto innanzi esposto e provveder� anche sulle spese del giudizio di cassazione. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 20 gennaio 1998 n. 483 -Pres. Grieco -Est. Cappuccio -P.G. Lo Cascio (cont). -Marana ed altri (avv. Ricca) c. Assessorato BB.CC.AA. e P.I. Regione siciliana (avv. Stato Laporta). Espropriazione per pubblica utilit� -Opposizione a stima -Opposizione riconvenzionale � Termine di cui all'art. 19 legge n. 865/1971 -Inapplicabilit� � Art. 167 cod. proc. civ. -Applicabilit�. (legge 22 ottobre 1971 n. 865, art. 19; cod. proc. civ., art. 167). PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITIO E PROCEDURA CIVILE 101 Espropriazione per pubblica utilit� -Indennit� -Terreni edificabili e terreni agricoli -Tertium genus -Incontigurabilit�. (legge 8 agosto 1992, n. 359, art. 5 bis). Il convenuto in giudizio di opposizione a stima d'immobili espropriati pu� proporre, a propria volta, opposizione nei modi e termini propri della domanda riconvenzionale (1). In base all'art. 5 bis legge 8 agosto 1992 n. 359 va esclusa qualsiasi rilevanza alle qualit� non agricole d'un terreno, di cui debbano escludersi le possibilit� legali ed effettive di edificazione, rimanendo per ci� stesso inconfi.gurabile, ai fini della determinazione dell'indennit� d'esproprio, un tertium genus di aree accanto a quelli della dicotomica, ed esaustiva, indicazione della norma. (Nella specie, � stata cassata la sentenza di merito che aveva maggiorato il valore agricolo del terreno espropriato in considerazione del �premio� che sarebbe spettato al proprietario in caso di ritrovamento di reperti archeologici) (2). (omissis) Col primo motivo di ricorso, sostengono Paolo Marana e litisconsorti che la sentenza impugnata � incorsa in violazione dell'art. 19 della legge n. 865/1971 per aver ritenuto ammissibile la domanda riconvenzionale proposta dal1' Assessorato siciliano con comparsa depositata in causa il 12 novembre 1990, mentre avrebbe dovuto dichiararne la tardivit�, perch� proposta ben oltre i trenta giorni sia dalla comunicazione della stima della indennit� d'esproprio da parte della competente Commissione (datata 29 maggio 1990ecomunicata1'8 giugno 1990 a cura dell'ufficio locale dello stesso Assessorato) sia dall'emissione del decreto ablativo, datato 2 ottobre 1990. Il motivo � infondato. Questa Corte ha gi� precisato che la tempestiva opposizione alla stima da parte di uno dei soggetti legittimati fa venir meno l'efficacia vincolante della stima stessa per tutti i soggetti del rapporto espropriativo. Ne consegue che sia l'espropriato -nel caso che l'opposizione sia stata proposta dall'espropriante -sia l'espropriante -nella normale ipotesi contraria -possono avanzare richieste in ordine all'accertamento dell'indennit�, sia che si ritenga che l'opposizione comporta il potere-dovere del giudice adito di stabilire autonomamente il quantum della indennit� effettivamente dovuta, indipendentemente dalle richieste (1) Principio pacifico, avuto riguardo al sorgere dell'interesse alla �contro-impugnazione� della stima amministrativa, determinato dalla opposizione avversaria. (2) Corte Cost. 23 luglio 1997 n. 261 ha escluso che. la �dicotomia� risultante dalla scelta operata dal legislatore, con la disposizione dell'art. 5 bis, possa dirsi viziata da irragionevolezza od arbitrariet� e che la stessa sia, di per s�, tale da pregiudicare il serio ed effettivo ristoro del proprietario espropriato. Sull'interpretazione della formula �possibilit� legali ed effettive di edificazione� (di cui al terzo comma dell'art. 5 bis), l'orientamento che va consolidandosi nella giurisprudenza di legittimit� (e non del tutto compiutamente desumibile dalla sentenza in rassegna) �, sostanzialmente, nel senso che la edificabilit� di fatto -da considerare mero criterio sussidiario -rilevi unicamente allorch� la situazione che la sostanzia sia suscettibile di evolversi senza contrasto con gli strumenti urbanistici (o perch� questi manchino o perch�, pur esistenti, nulla prescrivano per la zona nella quale � compreso il terreno espropriato). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO.,, 102 formulate al riguardo dalle parti (Cass. 6 maggio 1994 n. 4429), e, in conseguenza, che le deduzioni dell'opposto, pur se divergenti da quelle dell'opponente, non con figurano una domanda riconvenzionale, soggetta alle relative preclusioni (Cass. 4429/95 e 6790/92), ma l'enunciazione di semplici punti di vista, sia che si assuma che �una volta iniziata la fase giurisdizionale dell'opposizione alla stima, da parte di uno dei due soggetti legittimati del rapporto espropriativo, la domanda riconven zionale dell'altra parte, pur rivolta alla determinazione della giusta indennit�, possa essere validamente proposta nelle forme e nei termini del codice di rito, senza che sia pi� vincolata al termine per l'opposizione (Cass. 3 aprile 1995, n. 3902)�. Col secondo motivo del ricorso principale si sostiene la violazione dell'art. 5 bis della legge 359/92 e comunque la insufficiente e contraddittoria motivazione, per non aver la Corte di Messina considerato sufficiente, a ritenere la natura edificato ria del terreno espropriato, la chiara vocazione edificatoria di fatto emergente dalla collocazione dell'area nel pieno abitato del Comune Giardini di Naxos, in un com prensorio interamente urbanizzato, �limitando ogni indagine sul valore ai fini del calcolo delle indennit� di espropriazione ad utilit� diverse (quale quella correlata al , premio per il ritrovamento di eventuali reperti)�. A sua volta l'Avvocatura, con l'unico motivo di ricorso incidentale, sostiene la violazione e falsa applicazione della stessa norma di legge, nonch� degli artt. 16 della legge 865/1971 e 44, 46, 47 e 49 della legge 1089/1939, per la indebita mag giorazione del valore agricolo del terreno, operata in contrasto col disposto del quar to comma dell'art. 5 bis della legge 359/92, ed in difetto dei presupposti dettati dalla legge sulla tutela delle cose di interesse storico ed artistico. Questa Corte ha pi� volte statuito che la dizione del terzo comma dell'art. 5 bis legge 359/92 (�Per la valutazione della edificabilit� delle aree, si devono considera re le possibilit� legali ed effettive di edificazione esistenti al momento dell'apposi zione del vincolo preordinato all'esproprio�) impone di ritenere la natura edificato ria del terreno solo nel concorso di entrambe le possibilit� (o vocazioni) dell'area (1 agosto 1997 n. 7152; 9 giugno 1997 n. 5111; 11 dicembre 1996 n. 11037; 28 marzo 1996 n. 2856) riconoscendo quindi sul piano letterale alla particella �e� un valore cumulativo anzich� disgiuntivo e, su quello sistematico, la peculiarit� del concetto di edificabilit� adottato dalla norma in esame. � noto che, sulla assolutezza del vincolo di inedificabilit� posto dall'art. 11.2 della legge 1089/1939 si pronunci� in senso dubitativo questa Corte (Cass. 14 dicembre 1979 n. 6519) nell'assunto che � indimostrato ed indimostrabile che l'edi ficazione �comporti per sua stessa natura, sempre e necessariamente, un uso del reperto archeologico incompatibile con il suo carattere storico o, comunque, tale da recare pregiudizio alla sua conservazione ed integrit��, rinvenendo di tale interpre tazione testuale conferma nell'ampia possibilit� di deroga prevista dall'art. 18 della stessa legge 1089/1939. La pronuncia, variamente accolta in dottrina, non � in con trasto, peraltro, con la successiva giurisprudenza di questa Corte che ha escluso l'e dificazione �quando l'interesse archeologico non gi� inerisca e rimanga circoscritto a determinati resti presenti nell'area, sibbene si correli al luogo stesso nel suo com plesso, quale sede di una pluralit� di reperti testimonianti uno specifico assetto sto rico di insediamento� (Cass. 23 marzo 1993 n. 3451) riaffermando cos� l'assolutez za del vincolo con riferimento specifico al sito dell'antica citt� di Naxos (conf. Cass. PARTE I, SEZ. lll, GIURISPRUDENZA DI DIRIITO E PROCEDURA CIVILE 12 agosto 1976 n. 3033). Del resto, i ricorrenti principali non solo non contestano la motivata qualificazione del vincolo data dalla sentenza impugnata, ma ne riconoscono espressamente la esattezza (ricorso, c. 10-11) ed � quindi incensurabile, sotto questo profilo, la decisione della Corte di merito che, di fronte al gi� richiamato articolo 5 bis della legge 359/92, sopravvenuto in corso di causa ma applicabile, per espressa disposizione di legge, con efficacia retroattiva, non poteva adottare altra soluzione che negare l'edificabilit� dell'area. La censura -del ricorso incidentale -di inesistenza dei presupposti dettati dagli artt. 44, 46, 47 e 49 della legge 1� giugno 1939 n. 1089, � generica e, in ogni caso, non provata. Il �difetto dei condizionanti presupposti� dettati dagli artt. 44, 46, 47 e 49 della legge 1� giugno 1939 n. 1089, espressione che esaurisce il primo profilo dell'unico motivo di censura proposto dall'Assessorato siciliano va rigettato perch� non consente di comprendere se si intende lamentare l'assenza di ritrovamenti (art. 44.1 e 49), la mancanza di un accordo sul premio (artt. 46 e 47), o l'invasione della competenza esclusiva dell'apposita commissione (artt. 44.3, 46.4, 47.5 e 49.4); n� sussistono, d'altra parte, delle emergenze fattuali che consentano, sia pure per relationem, di chiarire il dubbio. Va, invece, esaminato l'ulteriore motivo, a sostegno della stessa censura incidentale dell'Assessorato siciliano, circa la riconoscibilit� di una categoria di beni intermedia tra quelli edificabili e quelli agrari. Secondo la regione ricorrente, tale possibilit� risulterebbe esclusa dalla lettera del 4 � comma dell'art. 5 bis legge n. 359/92, perch� l'affermazione che �Per le aree agricole e per quelle che, ai sensi del comma 3, non sono classificabili come edificabili, si applicano le norme di cui al titolo II della legge 22 ottobre 1971 n. 865 e successive modificazioni ed integrazioni � imporrebbe una dicotomia, tra aree edificabili ed aree che tali non sono, esaustiva della materia. � noto che, anteriormente all'entrata in vigore del richiamato art. 5 bis legge 359/92, la giurisprudenza di legittimit� aveva sistematicamente riconosciuto una terza categoria, intermedia tra terreni edificabili e terreni agricoli, che ricomprendeva tutti quegli immobili che, pur non edificabili, erano tuttavia suscettibili di utilizzazioni diverse e pi� proficue di quella meramente agricola (parcheggio: S.U. 13596/91, 2685/87; cava: 9598/92, 12085/90, 2061J'.91; campeggio: 1988/87 e, quanto ai terreni gravati da vincolo archeologico, 4097/90 ed altre). Peraltro, il comma 4� dell'art. 5 bis della legge 359/92 distingue soltanto tra beni edificabili e beni che tali non sono, determinando questa seconda categoria in negativo (per le aree agricole e per quelle che ... non sono classificabili come edificabili; e cfr. in tal senso Cass. 18 agosto 1997 n. 7663) ed assoggettandola integralmente alla disciplina dettata dal titolo II della legge 865/71 che, nella sua portata residua dopo l'intervento della Corte costituzionale 30 gennaio 1980 n. 5, ammette solo il calcolo tabellare dell'indennit� (Cass. 16 luglio 1997 n. 6510). Si deve, quindi, concludere che, nel dettare l'art. 5 bis della legge 359/92 il legislatore, senza peraltro essersi dato carico di tutti gli interrogativi e le motivazioni che giustificavano il �diritto vivente� precedente, ha escluso la rilevanza delle qualit� non agricole del terreno -ove non ne concretino la vocazione edificatoria ed ha previsto la liquidazione indifferenziata dell'indennit� secondo i residui parametri degli artt. 16 e ss. della legge 22 ottobre 1971 n. 865 e successive modifiche. (omissis) RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � 104 CORTE DI CASSAZIONE, sez. III, 13 febbraio 1998, n. 1561 -Pres. Varrone -Rei. Segreto -Piazza Giuseppe (avv. Farina) c. Ministero Difesa (avv. Stato Giordano), Assitalia (avv. Mazz�). Assicurazioni -Assicurazione obbligatoria per la circolazione stradale -Risarcimento del danno -Sinistro avvenuto su area pubblica .o ad essa equiparata -Azione diretta del terzo danneggiato nei confronti della societ� assicuratrice -Ammissibilit� -Polizza relativa ai danni subiti su area privata Efficacia tra le parti contraenti. L'azione diretta del danneggiato nei confronti dell'assicuratore della responsabilit� civile (art. 18 legge 24 dicembre 1969 n. 990) � ammissibile soltanto se il sinistro � avvenuto in area pubblica o ad essa equiparabile in quanto transitabile da un numero indeterminato di persone (artt. 1 e 2 d.P.R. 15 giugno 1959 n. 393; artt. 1 legge 990 del 1969 cit. e 2 del d.P.R. 24 novembre 1970 n. 973), diverse dai titolari di diritti su di essa, mentre l'assicurazione anche per i danni su aree private rileva soltanto tra le parti del contratto (massima ufficiale) (1). (omissis) Con un primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 2043 e.e., in relazione alla mancata indagine sulla colpa nella causazione del fatto e pi� particolarmente riguardo ai criteri di comune diligenza, alle norme di prudenza ed alle regole di guida ricavate dal codice della strada e dalla comune esperienza e dal buon senso, nonch� il vizio motivazionale sul punto di assegnazione della colpa esclusiva ad esso attore ricorrente. In particolare ritiene il ricorrente che erra la Corte di merito nell'escludere la responsabilit� del conducente del camion per mancata concessione della precedenza all'auto proveniente da destra solo perch� la visuale dell'imbocco di detta strada (da cui proveniva esso Piazza) era impedita da altri autocarri militari in sosta; che, (1) La sentenza � conforme ad un costante orientamento giurisprudenziale che ammette l'azione diretta del terzo danneggiato nei confronti della societ� assicuratrice soltanto nell'ipotesi in cui di sinistro cagionato da veicoli circolanti in un'area aperta al pubblico o ad essa equiparata (Cass., 9 febbraio 1998, n. 1321; Cass., 15 aprile 1996, n. 3538, in Foro it., 1996, I, 1596). A tal fine si deve aver riguardo non gi� al luogo ove il sinistro si � verificato, ma al luogo dove � avvenuta la circolazione del veicolo che ha prodotto il danno (Cass., 15 aprile 1996, n. 3538, cit.). In particolare, la giurisprudenza ha chiarito che ai fini dell'esperibilit� dell'azione diretta � irrilevante che l'area in questione sia pubblica o privata, essendo determinante l'uso pubblico della stessa (Cass., 12 fabbraio 1996, n. 1062, inArch. giur. circ. strad., 1996, 748, la quale ha precisato che per uso pubblico si intende l'apertura dell'area e della strada ad un numero indeterminato di persone e cio� la possibilit� giuridicamente lecita di accesso da parte del pubblico; Cass., 12agosto1995, n. 8846, inArch. giur. circ. strad., 1996, 547; Cass., 7 maggio 1992, n. 5414, in Arch. giur. circ. strad., 1992, 1006). Pertanto, se il sinistro � stato cagionato da un veicolo circolante in area non aperta al pubblico, nell'accezione considerata, il terzo danneggiato non dispone di un'azione diretta nei confronti della societ� assicuratrice. Infatti, ove la polizza assicurativa sia stata stipulata anche per coprire tale ipotesi, il danneggiato � estraneo rispetto al rapporto contrattuale intercorrente tra assicuratore e assicurato (Cass., 21 aprile 1997, n. 3426; Cass., 27 dicembre 1991, n. 13925, in Giust. civ., 1992, I, 2745). PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE in ogni caso, la velocit� dell'auto di esso attore era ridotta, mentre quella dell'auto carro era elevata. Ritiene questa Corte che detto motivo di ricorso � fondato. Va, anzitutto, rilevato che il danneggiato da un sinistro stradale ha azione diret ta nei confronti dell'assicuratore del responsabile, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1 e 18 legge 24 dicembre 1969 n. 990, soltanto per i sinistri cagionati da veicoli posti in circolazione su strade di uso pubblico o su aree a queste equiparate. A questo fine � indifferente la natura pubblica o privata dell'area aperta alla circolazione, essendo rilevante soltanto l'uso pubblico della stessa, per tale intendendosi l'apertura dell'area e della strada ad un numero indeterminato di persone e cio� la possibilit� giuridicamente lecita di accesso da parte del pubblico, ossia di tutti i soggetti diversi dai titolari dei diritti sull'area stessa (Cass. 15 aprile 1996, n. 3538; Cass. 12 febbraio 1996, n. 1062). Nella fattispecie la sentenza impugnata ha ritenuto, in punto di fatto, che tale fosse quella parte dell'aereoporto militare di Sigonella in cui si � verificato l'incidente in questione e che, quindi, fosse ammissibile l'azione diretta nei confronti dell'assicuratore. Il punto non � stato oggetto di censure. Ed � solo questo il motivo per cui pu� ritenersi ammissibile l'azione diretta nei confronti dell'assicuratore di r.c.a., mentre non � esatto, quanto affermato dalla sentenza impugnata, come seconda autonoma ragione, secondo cui l'azione diretta era, in ogni caso, ammissibile, poich� la polizza assicurativa copriva anche i sinistri avvenuti in aree private o in comprensori militari. Infatti il principio che l'azione diretta � ammissibile solo per i danni conseguenti a circolazione su strade pubbliche o equiparate non � derogato dalla previsione contrattuale di un'estensione della copertura assicurativa anche per i sinistri stradali avvenuti su aree private, in quanto tale estensione produce i suoi effetti soltanto tra le parti del contratto di assicurazione, ma non rende ammissibile un'azione diretta del danneggiato nei confronti dell'assicurazione del danneggiante. Premesso ci� e ritenuto, quindi, come fatto ormai accertato che la circolazione sull'area in questione era equiparabile, per la possibilit� di accesso da parte di un numero indeterminato di persone, alla circolazione su area pubblica, ne consegue che detta circolazione andava regolata direttamente dalle norme del codice stradale. Dette norme, cio�, non vanno applicate come ritenuto dalla corte di merito, come parametri di comune prudenza, da applicarsi su un'area privata, per cui esse non troverebbero un'applicazione per cos� dire diretta, ma costituirebbero solo il contenuto della comune prudenza, quale formatasi nella coscienza dei consociati. Il principio sarebbe in astratto esatto se si fosse trattato di area privata non aper ta al pubblico transito (dove l'aggettivo �pubblico� non necessariamente individua tutta la collettivit� ma sta a significare che su detta area pu� accedere un numero indeterminato di persone). Tuttavia, avendo la corte di merito ritenuta ammissibile l'azione diretta proposta ex art. 18 legge n. 990/69 contro l'assicuratore, anche sul l'autonomo presupposto che si trattava di area privata equiparata ad area pubblica, proprio per effetto del traffico aperto al pubblico, conseguentemente doveva ritene re detta equiparazione del luogo, ove si verific� l'incidente, anche ai fini dell'appli cabilit� in via diretta (e non mediata, quale contenuto della nozione di �comune pru denza�) delle norme del codice della strada. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 106 e�. PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITIO E PROCEDURA CIVILE 107 zione di fatto accertata, sussista un concorso di colpa nella determinazione dell' evento dannoso. Infatti tale diritto di precedenza non esonera il conducente, che ne fruisce, dall'obbligo di osservare le norme sulla circolazione stradale ed i normali precetti della prudenza, sicch�, anche nel caso di palese colpa del conducente del veicolo proveniente da sinistra per non aver dato la precedenza al conducente proveniente da destra, l'inosservanza da parte di quest'ultimo delle norme e dei precetti suddetti (in particolare, di ridurre la velocit� agli incroci, ai sensi dell'art. 102, c. 1� e 2�, tanto pi� se si rende conto che la situazione ambientale rende difficoltoso il suo avvistamento) pu� comportarne l'affermazione della colpa concorrente (Cass. 6 aprile 1978, n. 1593; Cass. 25 maggio 1987, n. 4689). Il giudice, quindi, ove anche accerti la responsabilit� di uno dei conducenti, per infrazione dell'obbligo di dare la precedenza, non � esentato dal verificare se, in rapporto alla situazione di fatto accertata, sussista un concorso di colpa dell'altro conducente danneggiato (omissis). La sentenza impugnata va, dunque, cassata e la causa va rinviata ad altro giudice di appello, che si designa nella Corte d'appello di Messina. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, sez. III, 19 febbraio 1998 n. 1761 -Pres. Meriggiala Est. Limongelli -P.G. Ceniccola (parz. diff.) -Gaggi (avv. Pacciarini) c. Ministero Tesoro (avv. Stato Giordano). Responsabilit� civile � Fatto costituente reato � Successiva �abolitio criminis� � Rilevanza sull'azione risarcitoria � Esclusione. (cod. civ., artt. 2043, 2059; cod. pen. art. 185) Il danno prodotto da un fatto ingiusto � risarcibile pur quando, per effetto di successiva �abolitio criminis�, sia venuta meno la connotazione di illecito penale che caratterizzava il fatto dannoso al momento della sua commissione (1). (1) �Abolitio criminis� e risarcimento del danno La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi in tema di rapporti tra illecito penale e ille cito civile, interviene con una sentenza che costituisce un novum: non risultano infatti preceden ti decisioni sul punto. Il caso posto all'attenzione del Supremo Collegio riguarda l'ammissibilit� della domanda di risarcimento del danno a seguito di condotta qualificata dal giudice penale come peculato per distrazione. Il problema non � di poco momento, considerato che, nelle more dei vari giudizi penali e civili, il peculato per distrazione, fatto penalmente rilevante ex art. 314 secondo comma c.p.p. nel 1972, tempus commissi delicti, ha cessato di esserlo al momento della pronuncia del giudice civi le. Difatti la legge 86/90 di riforma dei reati contro la P.A., nel sopprimere il secondo comma del citato art. 314, ha sostanzialmente riversato alcune delle ipotesi di cui all'abrogato peculato per distrazione nell'ambito dell'art. 323 c.p.p., cos� come nuovamente formulato; ed � altres� di gran de attualit�, considerati i continui mutamenti che subiscono le leggi penali sostanziali nel tentati vo di tecnica legislativa volta al raggiungimento della massima tipicizzazione dell'illecito pena le, in ossequio al principio di tassativit�. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 108 (omissis) Col primo motivo il ricorrente, sul rilievo che con l'entrata in vigore della legge n. 86 del 1990 i fatti addebitatigli nel procedimento penale non avrebbero pi� potuto considerarsi punibili a titolo di peculato per distrazione, sostiene che, tanto verificato, la corte di merito avrebbe dovuto, per ci� solo, escludere che l'azione civile, proposta contro di lui dall'l.N.G.l.C. nel processo penale in relazione a detto specifico titolo di reato, potesse essere riproposta dinanzi al giudice civile. Lamenta, quindi, che in violazione degli artt. 185 cod. pen. e 2043 cod. civ., la Corte perugina, eccedendo i limiti delle sue attribuzioni, si sia interrogata circa la sussumibilit� di quegli stessi fatti entro l'ambito di previsione dell'art. 323 cod. pen, come riformulato dalla novella legislativa e, risolvendo positivamente la questione, abbia ritenuto che essi potessero assumersi in considerazione sotto specie di illecito civile. La doglianza non ha fondamento. Qualsiasi fatto ingiusto obbliga, ai sensi dell'art. 2043 cod. civ., chi lo ha commesso a risarcire il danno ed il risarcimento � dovuto indipendentemente dalla rispondenza del fatto ad una qualsiasi ipotesi di reato. Questo principio trova riscontro: 1) nell'art. 185 cod. pen. che (contrariamente a quanto sembra sostenere il ricorrente) non dispone che il danno provocato da uno specifico titolo di reato sia risarcibile soltanto se al momento della pronunzia giudiziale il fatto corrisponda ancora a quella specifica ipotesi criminosa, ma, riproducendo implicitamente l'enunciato principio di ordine generale, statuisce che ogni reato obbliga il colpevole al risarcimento solo se ed in quanto sia al contempo lesivo di un interesse civilmente tutela- Il risultato dell'operazione � stata una delimitazione della incriminazione penale, con eliminazione dal novero della sfera del punibile di ipotesi con riferimento alle quali pi� facilmente, secondo la vecchia legislazione potevano avvenire confusioni tra area del lecito ed area dell'illecito, ed indebite intromissioni del potere giudiziario nell'esercizio della discrezionalit� amministrativa. Il quesito risolto con la sentenza in esame � se spetti alla �vittima� del reato, o comunque alla parte offesa, il diritto al risarcimento del danno quando medio tempore l'illecito sia stato depenalizzato (o modificato) a seguito di ius superveniens, tale per cui il fatto commesso non sia pi� sussumibile sotto la abrogata norma incriminatrice. Alla stregua del ragionamento posto in essere dalla Corte il problema non sposta sostanzialmente i suoi termini, sia che la successione di leggi penali realizzi un'ipotesi di abrogatio criminis (art. 2, secondo comma c.p.), ovvero un'ipotesi di semplice modificazione (art. 2, terzo comma c.p.), atteso che � in ogni caso preclusa al giudice civile la possibilit� di analizzare il fatto nella prospettiva penalistica. Se questo � il principio base affermato in sentenza, dall'analisi della motivazione emergono ulteriori punti fermi: a) l'art. 2 c.p. opera e rileva esclusivamente nell'area penale; b) l'illecito penale e l'illecito civile si pongono su piani totalmente differenti; e) la norma penale e conseguentemente la fattispecie ivi sanzionata esauriscono la loro rilevanza nell'ambito dello specifico ordinamento che le contempla; d) il fatto non pi� penalmente rilevante rileva e genera una responsabilit� civile solo se, riguardato alla stregua dei principi propri di quell'ordinamento, contenga gli elementi costitutivi dell'illecito civile. Tale ultima valutazione va condotta con riferimento alle leggi civili vigenti al tempo della commissione del reato, rectius al tempo in cui il fatto � stato compiuto ed in cui il diritto al risarcimento � sorto. PARTE I, SEZ. lii, GIURISPRUDENZA DI DIRITIO E PROCEDURA CIVILE 109 to e, quindi, produttivo di un danno ingiusto (�ogni reato che 'abbia' cagionato un danno obbliga al risarcimento�); 2) nell'abrogato codice di procedura penale 1930 (vigente quando il Gaggi fu convenuto in primo grado), che vietava la riproposizione dinanzi al giudice civile dell'azione risarcitoria, gi� proposta dinanzi al giudice penale, soltanto se il giudizio penale fosse stato definito con una pronunzia, che (consistendo nella dichiarazione che il fatto non si era verificato o che l'imputato non lo aveva commesso o che il fatto era stato compiuto rtell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facolt� legittima ovvero che non era sufficiente la prova che il fatto fosse avvenuto o fosse stato commesso dall'imputato) avesse implicitamente escluso o avesse ritenuto insufficientemente provata la responsabilit� dell'imputato, oltre che in ordine ad una qualsiasi fattispecie criminosa, anche in ordine ad una ipotesi di illecito civile, e, quindi, non precludeva la riproposizione dell'azione civile qualora il giudizio penale si fosse concluso con una pronunzia, che, escludendo soltanto la ravvisabilit� nel fatto di estremi di reato, non avesse presupposto anche la liceit� del fatto agli effetti civili; 3) nel vigente codice di procedura penale (1988), che, non avendo riprodotto la disposizione dell'art. 25 c.p.p. 1930, � ispirato al principio della piena autonomia dell'azione civile da quella penale (Cass. 7 febbraio 1996, n. 1501; Cass. 7 maggio 1997 n. 3992). Dallo stesso fatto possono, dunque, scaturire, rispettivamente nella sfera civile e in quella penale, due distinte conseguenze di ordine sanzionatorio (il risarcimento e la pena), che non sempre concorrono, ma sempre si pongono, l'una rispetto all'altra, in termini di reciproca indifferenza, nel senso, beninteso, che ciascuna di esse soggiace ad una propria disciplina giuridica, distinta e indipendente da quella cui soggiace l'altra. Ci� comporta che il danno prodotto da un fatto ingiusto � risarcibile sia nel caso in cui Qualora, come nel caso posto all'attenzione della Corte, nella condotta posta in essere siano ravvisabili gli elementi costitutivi di cui all'art. 2043 e.e. sorge in favore del titolare del diritto offeso il conseguente diritto al risarcimento. Ci� che rileva quindi a tale fine non � la qualificazione penale del fatto come reato, ma la sua antigiuridicit�, quale lesione di un diritto, da cui deriva l'ingiustizia del danno arrecato. Qualche perplessit� pu� sorgere laddove la Corte ha ritenuto liquidabile, nel caso di specie, anche il danno non patrimoniale, in quanto gli artt. 185 c.p. e 2059 e.e. ancorano l'ammontare del risarcimento, comprensivo di tale voce, alla circostanza che il fatto da cui deriva il danno costituisca anche un reato: a stretto rigore solo in tal caso sarebbe risarcibile pure il danno morale o non patrimoniale. In realt� l'evoluzione giurisprudenziale, in linea con il sistema giuridico civile che sta spostando la sua attenzione dall'autore alla vittima del danno, si esprime sempre pi� attraverso un'ampia interpretazione dell'art. 2059 e.e.: cos� per esempio in tema di danno biologico o di tutela dell'ambiente La decisione annotata � pertanto ampiamente da condividere, sia laddove, sottolineando l'autonomia degli ordinamenti civile e penale, nega che i mutamenti della norma penale sostanziale possano incidere in maniera diretta ed automatica anche sugli effetti civili del fatto commesso, che mantiene pertanto una doppia specifica autonomia giuridica alla luce solo della quale va giudicato ed eventualmente sanzionato; sia laddove, in linea con le esigenze evidenziate ed accolte dalla Corte Costituzionale (sul punto cfr. sent. n. 184/86), tende a realizzare sempre pi� l'effettivit� della tutela, anche riconoscendo voci di danno al di fuori dei limiti ristretti posti e dall'art. 2059 e.e. e dall'art. 185 c.p., definito testualmente come �norma integrativa della regolamentazione legale dell'illecito civile�. DIANA RANUCCI RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 110 il fatto non costituisca reato nel momento in cui � commesso, sia nel caso in cui in quel momento il fatto integri anche una fattispecie criminosa, sia infine, nel caso in cui il fatto, pur costituendo reato nel momento della sua commissione, abbia successivamente perduto la sua connotazione di illiceit� per effetto di �abolitio criminis �. A diversa conclusione non pu� indurre la considerazione che l'art. 185 cod. pen. prevede l'obbligo del risarcimento del danno non patrimoniale solo come conseguenza del reato, perch� la risarcibilit� del danno non patrimoniale � prevista anche dalla norma civile (art. 2059 cod. civ.), che, anzi, in ragione della sua generica formulazione, riferisce la risarcibilit� del danno non patrimoniale non soltanto all'ipotesi prevista dall'art. 185 cod. pen., ma anche ad ipotesi (artt. 89 co. II cod. proc. civ., art, 598 cod. pen.) prive di rilevanza penale, ond'� che lo stesso art. 185 si pone come norma integrativa della regolamentazione legale dell'illecito civile. L'autonomia del regime giuridico proprio della responsabilit� civile rispetto a quello che presiede alla responsabilit� penale implica, come conseguenza, che la disposizione dell'art. 2 cod. pen., che, eccettuando al principio generale di irretroattivit� della legge, contenuto nell'art. 11 delle Disp. Prel. Cod. Civ., stabilisce che nessuno pu� essere punito per un fatto che secondo una legge posteriore, non costituisca pi� reato, operi esclusivamente sul piano penale e non trovi, quindi, applicazione ove si controverta solo della risarcibilit� del danno prodotto da un fatto che debba considerarsi ingiusto agli effetti civili, giacch� sotto questo profilo la giustizia o l'ingiustizia del fatto e delle sue conseguenze lesive vanno valutate con esclusivo riferimento alle norme (anche penali) vigenti nel momento in cui il fatto � stato compiuto ed in cui il diritto al risarcimento � sorto (Cass. 27 luglio 1965, n. 1770). Nella specie la Corte territoriale ha rilevato che il peculato per distrazione ai danni dell'l.N.G.I.C., contestato al Gaggi a titolo di concorso, integrava, nel momento in cui era stato commesso, anche un fatto ingiusto idoneo a ledere l'interesse, civilmente protetto, dell'istituto ed, avendo con ci� esaurito l'ambito della indagine volta ad accertare la rispondenza del fatto-reato (cos� come contestato) ad una ipotesi di illecito civile, non avrebbe, per quanto si � detto, potuto domandarsi, senza impegnarsi in una ulteriore indagine del tutto superflua, se quel fatto costituisse ancora reato nel )llomento della decisione e se, in particolare, esso potesse considerarsi ricompreso nella nuova formulazione dell'art. 323 cod. pen. In quanto intesa a contraddire l'ammissibilit� e l'esito di tale ulteriore, superflua indagine, anche la censura fin qui esaminata appare, pertanto, ultronea e priva di consistenza. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, sez. Un., 23 febbraio 1998, n. 1948 -Pres. La Torre Est. Amirante -P.G. Morozzo della Rocca (conf.) -Petrignano (avv. Marino) c. Cassa depositi e prestiti (Avv. Stato Nunziata). Giurisdizione civile -Giurisdizione ordinaria e amministrativa -Cassa Deposi ti e Prestiti -Ente pubblico economico -Controversie d'impiego -Giuri sdizione dell' A.G.O. (legge 13 maggio 1983, n. 197; legge 19 marzo 1993, n. 68). PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 111 Con l'acquisto della personalit� giuridica, attribuitale dalla legge 19 marzo 1993, n. 68 a completamento della ristruttazione fattane con legge 13maggio1983, n. 187, la Cassa depositi e prestiti deve essere considerata ente pubblico economico, non rilevando in contrario che l'attivit� della stessa, in quanto strumentale al perseguimento dei fini di politica finanziaria, rimanga, per certi aspetti, soggetta al potere d'intervento dello Stato; ne consegue che le controversie nascenti dal rapporto di lavoro con la Cassa, appartengono alla giurisdizione dell'A.G.0. (1). (omissis) La statuizione sulla giurisdizione dipende pertanto dal modo in cui si scioglie il dilemma, rapporto di lavoro pubblico o rapporto di lavoro privato. L' opzione consegue, in.linea di principio, dalla qualit� del datore di lavoro, ad eccezione dell'ipotesi, nella specie non ricorrente, che sia lo stesso legislatore a qualificare il rapporto in un modo o nell'altro. , Sulla natura della Cassa Depositi e Prestiti regna tra gli interpreti una notevole incertezza dovuta alla sua lunga storia ed alla pluralit� delle sue attivit�. Per quanto qui interessa occorre definire la natura della Cassa quale datrice di lavoro ed in particolare quale datrice di lavoro del Petrignani. E poich� sulla pubblicit� della Cassa non esistono e non possono esistere dubbi, l'attenzione si accentra sulla economicit� o non economicit� della sua attivit� e sull'autonomia di cui � dotata. Prima di procedere all'individuazione delle principali attivit� della Cassa, � opportuno compiere una sintetica ricognizione della giurisprudenza di questa Corte in terna di attivit� economica, esercitata da un soggetto pubblico. Lo svolgimento di siffatta attivit� da parte di un soggetto pubblico pu� essere inquadrata in due categorie generali: I) esercizio di attivit� economica da parte di un'amministrazione o di un ente, la cui natura non economica � indiscussa (esercizio di impresa da parte di un soggetto pubblico, art. 2093, secondo comma e.e.); II) esercizio di attivit� da parte di un ente, la cui natura economica o non economica occorre individuare. Ci� premesso, si rileva che comune ad entrambe le ipotesi � il principio che un'attivit� � obiettivamente economica quando, avendo ad oggetto la produzione o lo scambio di beni o servizi, sia soggetta ad una disciplina che, indipendentemente dall'assegnazione o distribuzione di utili, imponga che i ricavi siano tendenzialmente almeno pari ai costi (Cass. S.U. 3 novembre 1973 n. 2853 e n. 2854; 11 luglio 1975 n. 2740; 21 aprile 1982 n. 2467; 12 dicembre 1988 n. 6749 e n. 6750; 3 aprile 1989 n. 1602; 28 dicembre 1990 n. 12207; 14 febbraio 1994 n. 1437; 3 maggio 1994 n. 5249). Con riguardo all'attivit� economica svolta da una pubblica amministrazione o da un ente non economico, si � affermato che, al fine di qualificare privati i rapporti di lavoro dei dipendenti dediti a tale attivit�, � necessario che questa sia esercitata con gestione autonoma, sotto i profili organizzativi e contabili, rispetto a quella prettamente pubblica dell'amministrazione o dell'ente (attestano la costanza dell'orientamento: Cass. S.U. 3 novembre 1973 n. 2853 e n. 2854; Cass. S.U. 13 marzo 1976 n. 878; 9 novembre 1985 n. 5476; 27 giugno 1987 n. 5728; 14 febbraio 1994 n. 1437; 30 maggio 1994 n. 5249; 9 agosto 1996 n. 7338). (1) Genere di questioni che, ricco di casistica per il passato, appare destinato ad �incanalarsi � lungo le linee della recente riattribuzione di competenze giurisdizionali. La sentenza resta di grande interesse per le notazioni sulla natura della Cassa DD.PP. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 112 Ai fini della qualificazione di un ente pubblico, la cui natura economica occorre accertare, si � affermato che, se le attivit� da lui esercitate non sono omogenee, occorre applicare il criterio della prevalenza dell'una attivit� rispetto ad altre (Cass. S.U. 14 ottobre 1971 n. 2896; 6 luglio 1973 n. 1910; 25 novembre 1974 n. 3818; 14 ottobre 1980 n. 5503; 29 aprile 1988 n. 3261). Si � altres� ritenuta l'irrilevanza del carattere vincolante di istruzioni e controlli da parte di autorit� statali concernenti l'attivit� dell'ente -(v. la fondamentale sentenza delle sezioni unite 14 dicembre 1985 n. 6328 sugli enti di gestione delle partecipazioni statali; nonch� S.U. 29 aprile 1988 n. 3261) -e del perseguimento di finalit� d'interesse generale che � correlativa alla pubblicit� dell'ente, rispetto alla quale la sua economicit� si pone come specificazione e non come negazione (Cass. S.U. 3 aprile 1989 n. 1602). Venendo ora all'esame della disciplina della Cassa Depositi e Prestiti e senza indulgere a pi� lontani riferimenti storici, si rileva che essa fu oggetto di una prima disciplina unitaria con il T.U. 2 gennaio 1913 n. 453 e costitu� fino alla legge 13 maggio 1983 n. 197 una articolazione dell'amministrazione statale, anche se soggetta ad una specifica regolamentazione in correlazione alle peculiarit� dei suoi compiti. La legge 197/83 cit. ha avuto ad oggetto specifico, secondo il suo titolo, la ristrutturazione della Cassa depositi e prestiti. L'art. 1 della legge, nello stabilire che la Cassa ha organizzazione, patrimonio e bilanci separati da quelli dello Stato, ha soppresso la Direzione Generale della Cassa presso il Ministero del Tesoro. L'art. 15, secondo comma ha stabilito che le disposizioni sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilit� dello Stato, approvate con R.D. 18 novembre 1923 n. 2440, e successive modificazioni ed integrazioni, non si applicano alla Cassa depositi e prestiti. L'art. 4 ha stabilito che la Cassa, per l'attuazione dei suoi fini istituzionali utilizza: a) il fondo di dotazione; b) i fondi provenienti dal risparmio postale; c) i fondi provenienti dal servizio dei conti correnti postali, nei limiti di cui alla legge 15 aprile 1965 n. 344; d) i fondi provenienti dall'emissione di titoli; e) i rientri di capitale; f) i prestiti esteri. Il principale, tradizionale scopo istituzionale della Cassa, le cui modalit� di conseguimento sono disciplinate in una pluralit� di disposizioni la cui enumerazione non � funzionale alla presente decisione, � costituito dalla concessione di mutui ad enti pubblici o a societ� a prevalente capitale pubblico (province, comuni, comunit� montane consorzi, societ� a capitale pubblico) per il finanziamento di opere pubbliche (mutui di scopo). L'attivit� della Cassa, se si ha riguardo ai mezzi di cui si serve ed ai fini che persegue, � costituita prevalentemente dall'impiego del risparmio privato (risparmio postale) per il finanziamento di opere pubbliche. Per la natura del suo oggetto e per gli strumenti di cui si serve l'attivit� della Cassa � perci� essenzialmente economica. Non sarebbe, infatti, concepibile l'utilizzazione del risparmio privato per un'attivit� che non comportasse, quantomeno, l'equiparazione dei costi ai ricavi. Ma v'� di pi�, perch� la legge (art. 4 legge 13 maggio 1983 n. 197) espressamente prevede il conseguimento di utili e disciplina la loro destinazione al fondo di riserva ed a quello di dotazione. PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CfVlLE Le incertezze e variet� di opinioni che si riscontrano in dottrina sulla natura della Cassa Depositi e Prestiti hanno riguardato pi� la sua identit� strutturale che non l'obiettiva natura economica della sua attivit�. Essa, infatti, � stata assimilata talvolta alla generale attivit� bancaria, tal altra a quella di alcuni istituti di credito speciale, ed ancora prima della citata legge 197/83 qualcuno la defin� ente creditizio, altri impresa pubblica di diritto privato che opera nel campo del credito. Incertezze della dottrina di cui vi � traccia anche nella giurisprudenza. Infatti, mentre la Corte dei conti ha ritenuto la Cassa inserita nel sistema bancario (Corte conti sez. cont. 5 settembre 1995 n. 115), la Corte Costituzionale ha affermato che �qualunque sia la natura giuridica di tale istituto, non vi � dubbio che la Cassa costituisca un apparato strumentale, destinato ad assolvere una funzione statale e non regionale: ossia l'esercizio del credito, con specifico riguardo alla concessione di mutui mediante i quali comuni e province possono concretare alcune loro autonome scelte� (Corte Cost. 11 ottobre 1983 n. 307). Riassumendo, si pu� affermare che, mentre nessun dubbio � insorto n� pu� insorgere sulla obiettiva economicit� dell'attivit� della Cassa, le incertezze nascevano dal fatto che l'originario testo della legge di ristrutturazione 197/83, nel sopprimere la direzione generale della Cassa depositi e prestiti presso il Ministero del tesoro e nello stabilirne la separatezza del patrimonio e del bilancio da quelli dello Stato, non aveva formalmente definito il livello di tale autonomia. La fonte di siffatte incertezze � stata eliminata dal d.l. 18 gennaio 1993 n. 8, convertito con modifiche con la legge 19 marzo 1993 n. 68, il cui art. 22 ha espressamente attribuito personalit� giuridica alla Cassa depositi e prestiti. Quali che siano le sue peculiarit�, la Corte ritiene che la Cassa, al fine che qui interessa di qualificazione dei rapporti di lavoro con i propri dipendenti, debba essere considerata ente pubblico economico. Il fatto che lo Stato possa intervenire, da un lato fissando alcuni elementi dei contratti della Cassa, dall'altro disciplinando l'accesso degli enti al credito da essa concesso, attiene alla pubblicit� dell'ente ed alla natura strumentale della sua attivit� per il perseguimento dei fini della politica finanziaria dello Stato stesso, ma non incide sulla economicit� dell'ente e sulla sua autonomia, formalmente riconosciuta con l'attribuzione con legge della personalit� giuridica. Ne consegue che le controversie che, come la presente, hanno ad oggetto pretese nascenti dai suindicati rapporti di lavoro devono essere conosciute dal giudice ordinario.(omissis) CORTE DI CASSAZIONE, sez. Un., 27 febbraio 1998 n. 2185 -Pres. Sgroi V. Est. Finocchiaro -P.G. Leo (conf.) -Pres. Consiglio Ministri (avv. Stato Mangia) c. Costanzo. Impiego pubblico -Servizi pubblici essenziali -Sciopero -Precettazione -Violazione � Ordinanza irrogativa di sanzione pecuniaria -Opposizione -Giurisdizione ordinaria. (legge 12 giugno 1990 n. 146, art. 9; legge 6 dicembre 1970, n. 1034). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO-, 114 La sanzione pecuniaria amministrativa comminata a pubblico dipendente per aver esercitato il diritto di sciopero in violazione del c.d. ordine di precettazione non attiene alla disciplina del rapporto di impiego, con la conseguenza che l'opposizione avverso l'ingiunzione irrogativa della sanzione � devoluta alla giurisdizione dell'A. G.O. (non rilevando, in contrario, che a motivo dell'opposizione sia dedotta l'illegittimit� del/' atto amministrativo generale preordinato a garantire l'erogazione di servizi pubblici essenziali) (1). (omissis) Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione degli artt. 1, 2, 4, 8, 9, 10, 12, 13, 14, 15, 16, 18, 19, 12 giugno 1990 n. 146, nonch� degli artt. 3, 5 e 7 della legge 6 dicembre 1970 n. 1034, in relazione all'art. 360 n. 1, 3 e 5 c.p.c. ed all'art. 111 cost. Difetto di giurisdizione del pretore adito in favore della giurisdizione del giudice amministrativo. Violazione di legge. Difetto e contraddittoriet� nella motivazione, per non avere il giudice adito dichiarato il difetto di giurisdizione dell'A.G.O. nella controversia a lui sottoposta, senza tenere presente che la materia in esame concerne il diritto di sciopero di un pubblico impiegato, ovvero si discute della sfera dei diritti e degli obblighi degli insegnanti, nella qualit� di dipendenti pubblici, in relazione ai quali la cognizione appartiene in via esclusiva al giudice amministrativo. Secondo i ricorrenti la materia dello sciopero nei servizi pubblici essenziali appartiene nella sua globalit� alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, essendo espressamente prevista la possibilit� d'impugnazione del provvedimento di precettazione, ai sensi dell'art. 10 della legge 146/1990 avanti al competente Tar nei termini ivi previsti. I singoli provvedimenti di irrogazione delle sanzioni costituiscono, poi, atti meramente esecutivi che possono essere impugnati avanti all'a.g.o. per vizi propri e senza alcun riferimento a quelli del provvedimento amministrativo presupposto, come risulta invece avvenuto nella specie. Il motivo di ricorso � infondato sulla base delle considerazioni che seguono. La legge 12 giugno 1990 n. 146, norme sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona, allo scopo di contemperare l'esercizio del diritto di sciopero con il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati -alla vita, alla salute, alla libert� ed alla sicurezza, alla libert� di circofazione, all'assistenza e previdenza sociale, all'istruzione ed alla libert� di comunicazione -dispone le regole da rispettare e le procedure da seguire in caso di conflitto collettivo, per assicurare l'effettivit�, nel loro contenuto essenziale, dei diritti medesimi. (1) Questione nuova, a quanto consta. Di notevole interesse, in particolare, sono le considerazioni alla cui stregua, nella lucida motivazione della sentenza in rassegna, la Corte regolatrice perviene ad escludere un profilo �disciplinare� nella vicenda dell'inosservanza all'ordine di �precettazione �: se ne pu� arguire che la prestazione di lavoro �precettata� non debba pi� riguardarsi come svolta nell'interesse (particolare) della �controparte� del rapporto, bens� diretta al soddisfacimento d'un �dovere� nei confronti della collettivit�. Sulla natura del potere sanzionatorio, v. SANTUCCI R., in Rass. dir. civ. 1996, (in nota a Corte Cast. 24 febbraio 1995 n. 57). Per una �Rassegna di giurisp. sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali�, v. SESTITO F., in Riv. amm. 1993, 1263. In genere, l'attenzione della dottrina risulta prevalentemente concentrata sulla precettazione. PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA Cl'VILE Nell~ambito dei servizi pubblici essenziali il diritto di sciopero � esercitato nel rispetto di misure dirette a consentire l'erogazione delle prestazioni indispensabili, che, per quanto riguarda l'istruzione, sono individuate, fra l'altro, nello svolgimento degli scrutini finali e degli esami. Quando esiste un fondato pericolo di un pregiudizio grave e imminente ai diritti della persona costituzionalmente garantiti, a causa del mancato funzionamento dei servizi di preminente interesse generale, il Presidente del Consiglio dei Ministri o un Ministro da lui delegato, se il conflitto ha rilevanza nazionale o interregionale, ovvero il prefetto o il corrispondente organo nelle regioni a statuto speciale, invitano le parti a desistere dai comportamenti che determinano tale situazione di pericolo e propongono alle stesse un tentativo di conciliazione, invitando le parti, in caso di esito negativo del medesimo, ad attenersi al rispetto della proposta eventualmente formulata dalla commissione di garanzia (art. 8, comma 1). Qualora tale situazione permanga, l'autorit� competente, sentite, ove possibile, le organizzazioni dei lavoratori che promuovono l'azione e le amministrazioni o le imprese erogatrici del servizio emana ordinanza motivata diretta a garantire le prestazioni indispensabili e impone ali'amministrazione od impresa erogatrice le misure idonee ad assicurare adeguati livelli di funzionamento del servizio, contemperando l'esercizio del diritto di sciopero con il godimento dei diritti della persona costituzionalmente garantiti (art. 8, comma 2). L'ordinanza � portata a conoscenza dei destinatari (art. 8, comma 4). L'inosservanza da parte dei prestatori di lavoro delle disposizioni contenute nell'ordinanza � assoggettata ad una sanzione amministrativa pecuniaria per ogni giorno di mancata ottemperanza, da un minimo di L. 100.000, ad un massimo di L. 400.000 (art. 9, comma 1). Le sanzioni sono irrogate con decreto dalla stessa autorit� che ha emanato l'ordinanza ed avverso il decreto � proponibile impugnazione ai sensi degli artt. 22 e ss. della legge 24 novembre 1981 n. 689 (art. 9, comma 4). La stessa legge prevede altres� che i soggetti che promuovono lo sciopero, le ammini~trazioni, le imprese e i singoli prestatori di lavoro destinatari del provvedimento, che ne abbiano interesse, possono promuovere ricorso contro l'ordinanza prevista dall'art. 8, comma 2, avanti al TAR competente (art. 10, comma 1). Il legislatore del 1990 ha.quindi operato delle scelte in tema di giurisdizione in conformit� ai principi generali. Nei confronti di un atto amministrativo generale quale quello di emanazione dell'ordinanza di c.d. precettazione i soggetti interessati -ivi compresi non solo i privati, ma anche le amministrazioni e le imprese -sono titolari di una posizione di interesse legittimo alla corretta emanazione dello stesso tutelabile esclusivamente innanzi al giudice amministrativo, al quale possono ricorrere per l'annullamento del provvedimento. Nei riguardi, invece, del singolo provvedimento sanzionatorio emanato per la violazione dell'atto amministrativo generale, la posizione del privato assume la consistenza del diritto soggettivo tutelabile innanzi all'autorit� giudiziaria ordinaria per l'accertamento dell'esistenza o dell'inesistenza del potere dell'autorit� competente di pretendere la sanzione, dal momento che il privato � titolare di una posizione soggettiva perfetta alla corretta applicazione della norma che tale sanzione prevede, e, RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO , 116 cio�, a non essere sottoposto a sanzione se non nei casi, nei limiti, nella misura e con le modalit� stabilite dalla legge. Ci� premesso, � evidente che la giurisdizione va determinata in funzione della domanda proposta. Nella specie, la parte opponente ha impugnato non gi� il provvedimento generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri -Dipartimento della Funzione Pubblica -ma solo il provvedimento che ha irrogato, in concreto, la sanzione amministrativa, in attuazione della norma legislativa e dell'atto amministrativo generale ( c.d. precettazione), in quanto astrattamente idoneo a ledere la sua posizione di diritto soggettivo, come in precedenza evidenziato e ci� � sufficiente per l'affermazione della giurisdizione dell' A.G.0. a conoscere di questa domanda, dal momento che la declaratoria di inefficacia del protocollo e dell'ordinanza ministeriale � richiesta quale mezzo al fine della domanda di illegittimit� del provvedimento di ingiunzione. Sulla giurisdizione di tale giudice non influisce la circostanza che lo stesso, per accertare la fondatezza della domanda, debba valutare la legittimit� dell'atto amministrativo generale, dal momento che proprio nelle controversie attribuite alla giurisdizione dell'a.g.o. sussiste il potere di accertare tale legittimit�, ai fini, eventualmente, di disapplicarlo, ove ne sussistano le condizioni, in relazione al caso deciso. In altre parole, la questione se il giudice ordinario investito della domanda di annullamento dell'ordinanza irrogati va della sanzione amministrativa pecuniaria abbia o meno il potere di disapplicare il provvedimento amministrativo autoritativo che incide direttamente sul diritto di sciopero escludendolo e, per il quale, � prevista l'impugnazione entro un breve termine al TAR, attiene all'esercizio dei limiti interni della giurisdizione del giudice investito della controversia e, quindi, alla fondatezza, nel merito, dell'opposizione proposta. N� le precedenti conclusioni sono superate dal fatto che si � in presenza di un rapporto di pubblico impiego, in relazione al quale sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. � infatti da rilevare -in considerazione anche, ma non solo, delle modalit� di irrogazione della sanzione (con decreto da parte della stessa autorit� che ha emanato l'ordinanza: art. 9, comma 4) che proviene da autorit� diversa dal datore di lavoro -che la stessa nori si pone come sanzione disciplinare per�violazione di doveri di comportamento nell'ambito dello svolgimento del rapporto di pubblico impiego, ma come sanzione per un comportamento -astrattamente lecito, come manifestazione di un diritto costituzionalmente garantito, come quello del diritto di sciopero, riconosciuto a tutti i cittadini -divenuto illecito per l'intervento di provvedimenti autoritativi limitativi o esclusivi di tale diritto. N� in contrario al precedente rilievo valgono le osservazioni circa la spettanza alla Funzione Pubblica della disciplina del rapporto d'impiego statale fin dal 1983 e l'unitariet� della persona giuridica Stato, con la conseguente impossibilit� di considerare i singoli Ministeri �come soggetti di diritto l'un dall'altro diversi�. Pur non contestandosi, in linea di principio, tali osservazioni � da rilevare che la previsione, proprio nella legge in esame, di un potere delle amministrazioni -e quindi anche del Ministero della Pubblica Istruzione, datore di lavoro della parte opponente -di promuovere ricorso contro l'ordinanza prevista dall'art. 8, comma ! r F ~ PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA avn..E 2, avanti al TAR competente (art. 10, comma 1), dimostra sia la differenziazione dei diversi Ministeri, pur nell'ambito dell'unitariet� dello Stato -sia l'estraneit� della sanzione amministrativa pecuniaria al rapporto di pubblico impiego. La circostanza che la sanzione sia inflitta ad un pubblico dipendente non � sufficiente per ritenere che la stessa attenga allo svolgimento del rapporto di pubblico impiego, con la conseguenza che la controversia insorta fra le parti per contestare la legittimit� della sanzione stessa non pu� che appartenere alla giurisdizione del1' A.G.0., giudice dei diritti soggettivi, non trovando applicazione la disposizione, eccezionale, circa la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in tema di rapporto di pubblico impiego e con l'ulteriore conseguenza che la norma di cui all'art. 9, comma 4, della legge n. 146 del 1990, che ammette l'impugnazione ai sensi degli artt. 22 e ss. della legge 24 novembre 1981 n. 689 avverso l'ingiunzione irrogativa della sanzione amministrativa pecuniaria, � attributiva di giurisdizione e non anche di sola competenza nell'ambito delle controversie devolute al giudice ordinario, proprio perch� non si ravvisa, in materia, alcuna giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ( cfr., per analoga affermazione, circa il riconoscimento di norma attributiva della giurisdizione all'art. 218, codice della strada, in tema di competenza del pretore a conoscere della controversia sulla sospensione della validit� della patente, Cass. 8 luglio 1996 n. 6231). Concludendo, si deve ritenere che, in tema di esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, di cui alla legge 12 giugno 1990 n. 146, la sanzione pecuniaria amministrativa comminata per la violazione del divieto di esercizio del diritto di sciopero, disposto con provvedimento amministrativo di carattere generale, non attiene -anche quando riguarda pubblici impiegati -alla disciplina del rapporto di pubblico impiego, con la conseguenza che l'opposizione avverso tale sanzione � devoluta, ai sensi dell'art 9, comma 4, della citata legge, alla giurisdizione del giudice ordinario, senza che siffatta giurisdizione venga meno per essere stata dedotta, quale mezzo al fine per l'accoglimento dell'impugnazione, l'illegittimit� del provvedimento amministrativo con il quale il divieto � stato disposto, dal moment8 che i limiti entro i quali il giudice adito pu� conoscere di tale illegittimit�, anche in conseguenza dei termini estremamente ridotti entro i quali la stessa pu� essere fatta valere innanzi al giudice amministrativo, attiene alle modalit� di esercizio della funzione giurisdizionale e, quindi, alla fondatezza, nel merito, dell'opposizione proposta e non anche ai limiti esterni di tale giurisdizione. Va, pertanto, rigettato il primo motivo di ricorso e va affermata la giurisdizione dell' A.G.O. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 20 marzo 1998, n. 2924 -Pres. Cantillo -Rei. Berruti -P.M. Palmieri (conf.) -Orbitai Engine Company (avv. Colantoni) c. Ministero industria (avv. Stato Fiumara). Costituzione della Repubblica -Dichiarazione d'illegittimit� costituzionale Successiva alla proposizione di ricorso per cassazione -Effetti nel relativo giudizio -Limiti. (Cost., art. 136; cod. proc. civ., art. 360). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO��� 118 Industria -Brevetti per invenzioni industriali -Decadenza per mancato pagamento della tassa annuale -Reintegrazione nel diritto -Condizioni -Inadempimento verificatosi nonostante la massima diligenza esigibile -Nozione. (r.a. 29 giugno 1939, n. 1127, art. 90; d.P.R. 22 giugno 1979, n. 338, art. 36). Ancorch� sopravvenuta alla proposizione del ricorso, la dichiarazione di illegittimit� costituzionale di una norma resta senza effetti nel giudizio di cassazione quando la regola in essa contenuta (ed espunta dall'ordinamento ad esito d'incidente di costituzionalit�) riguardi un punto della controversia non formante oggetto dei motivi del ricorso. (Nella specie, la norma dichiarata incostituzionale riguardava la composizione del Giudice, la cui sentenza era stata impugnata per cassazione) (1). La �massima diligenza esigibile�, alla cui dimostrazione la legge subordina la restitutio in integrum nel diritto di brevetto il cui titolare ne sia stato dichiarato decaduto per omesso pagamento della tassa nel termine stabilito, richiede la prova di aver fatto tutto quanto era umanamente possibile perch� la prestazione, imposta a pena di decadenza, fosse effettuata in modo tempestivo. (Nella specie, � stato escluso che la non conoscibilit� dell'errore di procedure informatiche nella segnalazione della scadenza di pagamento integrasse la prova dell'impiego del grado di diligenza richiesto dalla norma) (2). (omissis) 1. -Va preliminarmente esaminata la questione di nullit� della decisione impugnata avanzata per la prima volta dalla ricorrente Orbital in memoria ex art. 378 cpc. Tale parte fa rilevare che la Corte Costituzionale, dopo della proposizione del ricorso per Cassazione, con sentenza n. 158 del 1995, ha dichiarato incostituzionale l'art. 71, comma secondo, del r.d. n. 1127 del 1939, nella parte in cui esso prevedeva che il Direttore dell'Ufficio Brevetti e Marchi facesse parte della Commissione dei ricorsi in sede giurisdizionale. Secondo la ricorrente tale illegittimit� sopravvenuta rilevava anche nel giudizio di Cassazione, e poich� determina la nullit� della decisione impugnata, chiede che la Corte anche per tale preliminare ragione, ne pronunci la cassazione. la. -Osserva il collegio che sia pure in ordine a vicende di altra natura, questa Corte ha esaminato la questione della operativit� nei giudizi in corso, inclusi quelli di legittimit�, delle pronunce della Corte Costituzionale. A partire dalla decisione delle sezioni unite n. 1368 del 1992 si � pertanto formato un orientamento stabile, dal quale il collegio non ha motivato per discostarsi, che coordina l'art. 136 della Costituzione con i principi che regolano il giudizio di cassazione. In particolare si � precisato che occorre tener conto che la funzione di legittimit� si esercita attraverso (1) Cass. S.U. 7 febbraio 1992, n. 1368, citata in motivazione (e che intervenne a risolvere contrasto di giurisprudenza), si legge in Foro it. 1992, I, con nota di CAPONI; ibidem 1993, I, 1206 con nota di CERRI, nonch� in Corr. giw: 1992, 273 con nota di CARBONE. (2) Nello stesso senso, Cass. 21 febbraio 1998, n. 1883. Sulla restitutio in integrum, v., in dottrina, FLORIDIA G., in Dir. ind. 1996, 5. PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRIITO E PROCEDURA CIVILE la individuazione delle censure espresse nei motivi di ricorso, e sulla base di essi. Il ricorso in esame dunque non cenna alla questione avanzata in memoria, e non vale a superare questa constatazione il rilievo della posteriorit� della decisione abrogativa del giudice delle leggi, rispetto all'atto introduttivo medesimo. Nel sistema delle garanzie costituzionali, come pure � stato osservato da questa Corte Suprema (sent. n. 2346 del 1994), l'incidente di costituzionalit�, che � attuabile anche ad iniziativa di parte, rende di fatto proponibile e delibabile dal giudice ordinario, anche di legittimit�, questioni il cui fondamento presuppone la rimozione di una norma, in tesi contrastante con la Costituzione. Ci� nella specie non � avvenuto. La questione pertanto, estranea alla fase di merito, e come tale alla prospettazione del ricorso per cassazione, � nuova, e dunque � inammissibile. (omissis) 3. -Con il secondo motivo la Orbital lamenta la violazione e la falsa applicazione dell'art. 90 del r.d. n. 1127 del 1939 con conseguente errata interpretazione del requisito della massima diligenza esigibile, e la motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria sul punto. Sostiene che nella specie l'ufficio e la commissione avrebbero dovuto constatare che la complessiva attivit� di chi si affida ad un mandatario qualificato e quindi svolge tutto quanto � in suo potere per gestire legittimamente il proprio brevetto, esclude la imputabilit� di un errore come quello del caso di specie. 4. -Con il terzo motivo, che � connesso al precedente e deve pertanto essere esaminato insieme, la ricorrente lamenta la violazione dei principi generali in materia di rappresentanza e di mandato, conseguenti al fatto di aver trascurato che quando, come nella specie, il mandatario ha adottato tutta la diligenza possibile, nulla pu� essere rimproverato al mandante. 5. -Osserva il collegio che l'istituto della restitutio in integrum disciplinato dall'art. 90 del r.d. n. 1127 del 1939, a seguito della modifica a quel testo introdotta dal d.p.r. n. 338 del 1979, consente di sanare gli effetti giuridici negativi che derivano, tra l'altro, dal mancato rispetto di un termine anche �nei confronti dell'ufficio centrale brevetti�. Il richieden~e, dunque, � reintegrato nei suoi diritti, se, come nel caso di specie, l'impedimento ha per conseguenza diretta la decadenza dal brevetto, purch� abbia usato la �massima diligenza esigibile�. Quesito sottoposto alla Corte � se ricorra la suddetta massima diligenza esigibile, nel caso in cui il titolare del brevetto abbia incaricato un accreditato mandatario di gestire i suoi diritti e questi non abbia pagato una rata di tassa annuale a cagione di un errore delle procedure informatiche messe in atto nella sua organizzazione professionale. 5a. -Il rapporto mandante-mandatario, in ordine alla gestione dei diritti di brevetto, � stato affrontato dalla Corte di cassazione ed � stato risolto nel senso che ai fini della reintegrazione in questione l'onere della massima diligenza esigibile in capo al titolare del brevetto deve essere riscontrato, nel caso in cui le operazioni di pagamento siano state affidate ad un mandatario, valutando anche il comportamento di quest'ultimo, cosicch� la reintegrazione stessa deve essere negata a fronte di un comportamento del mandatario non improntato al rispetto del suddetto rigoroso criterio (Cass. n. 3186 del 1985). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATb .. Tale orientamento, che il collegio condivide, impone di considerare al fine che ne occupa, il comportamento del mandatario, cosicch� il titolare del brevetto non pu� liberarsi del suo onere di provare il proprio comportamento diligente, nel senso ~i precisato, allegando semplicemente il fatto di essersi rivolto ad un mandatario professionalmente attendibile. [: 5b. Va ancora osservato che il concetto di diligenza cui fa riferimento la legge sul brevetto non � coincidente con quello richiamato dal codice civile in una molteplicit� di fattispecie, giacch� tale legge lo adopera per regolare rapporti di diritto privato, e massimamente rapporti obbligatori quale criterio di valutazione della con i dotta del debitore. La elaborazione pi� cospicua alla quale la clausola generale in parola ha dato luogo, unitamente all'ulteriore parametro logico del buon padre di famiglia, � sorta dalla necessit� di raccordare le previsioni di cui agli artt. 1176 e.e., che impone al debitore nell'adempimento la diligenza del buon padre di famiglia, e 1218 e.e., che esonera il debitore dalla responsabilit� per inadempimento quando l'impossibilit� della prestazione � derivata da causa a lui non imputabile. L'opinione dominante, accettata dalla prevalente giurisprudenza, ha finito con l'assegnare alla diligenza la funzione di criterio di responsabilit�. Nel senso che una volta intervenuto il fatto impeditivo dell'adempimento, per dire se esso � imputabile al debitore la condotta di questi deve essere valutata alla stregua della diligenza del buon padre di famiglia. Deve cio� essere valutata secondo un parametro di prudente normalit� (Cass. nn. 1840 del 1987; 6404 del 1986; 5267 del 1982; 5617 del 1996). Nel caso in esame la legge speciale richiama un criterio noto all'ordinamento, per cui si pu� ritenere certo che con esso si � inteso pur sempre dar rilevanza ad una valutazione deontologica, ovvero comportamentale, ma tuttavia considerando la particolarit� di un rapporto che vede come parte una pubblica amministrazione e deve comporre esigenze ulteriori a quelle che trovano soddisfazione nel diritto del privato alla protezione esclusiva della sua idea inventiva. Oltre a ci� va rilevato che la legge adopera una espressione particolare per definire il parametro comportamentale, la quale, pur richiamando, come si � detto, un noto criterio di valutazione, inequivocabilmente lo connette ad una pi� netta tutela dell'interesse pubblico. �Massima diligenza esigibile� non � espressione eguale a �diligenza tout court�. Con quest'ultima si identifica una modalit� di effettuazione della prestazione, di per s� gi� identificata dal titolo. La soddisfazione della pretesa del creditore � affidata all'esatto adempimento, ovvero all'adempimento cos� come � previsto dal titolo, mentre la diligenza serve a guidare il debitore per l'appunto a compiere esattamente ci� che deve. Cosicch� solo l'accadimento che, oltre ad impedire il compimento della prestazione, non � stato impedito dalla predetta diligenza, inutilmente dispiegata, esenta dalla responsabilit� per inadempimento (Cass. nn. 1635 del 1987; 1917 del 1986; 699 del 1997). 5c. -Nel caso di specie la legge prevede che certe tasse si paghino a certe scadenze, pena la decadenza dal diritto di brevetto. Il titolare del diritto � tenuto al pagamento ad una certa data. La legge non gli impone una specifica procedura di pagamento, ma semplicemente impone che il pagamento avvenga entro un certo ter! ' f mine. La struttura del rapporto non richiama affatto la attuazione di una obbligazio ~� f ne di diritto privato, bens� l'assolvimento di un onere e la sanzione predisposta per i ~ i PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE il mancato pagamento � la decadenza dal diritto, ovvero la tipica reazione dell'ordinamento che prescinde, in quanto di ordine pubblico, da ogni considerazione delle ragioni del comportamento richiesto, rendendo prevalenti le motivazioni organizzative che lo fanno imporre. Il rigoroso regime che si delinea da una siffatta lettura del presupposto della restitutio � coerente con le ragioni della tutela brevettuale. Il brevetto infatti attribuisce il monopolio esclusivo sullo sfruttamento di una idea. Esso, per non esorbitare dalla funzione di premio alla inventiva, e non divenire contraddittorio con la regola generale della libert� di concorrenza, deve essere racchiuso dentro fattispecie precise i cui presupposti, anche di natura fiscale, ne costituiscono elemento essenziale. Consegue che la esenzione dalla decadenza non pu� essere riguardata con meccanica trasposizione dell'esperienza maturata sulla interpretazione della norma di cui all'art. 1218 e.e., e dei principi sulla esenzione della responsabilit� per inadempimento. La previsione di una siffatta �massima diligenza esigibile� fa concludere che non basti, ad escludere la decadenza, la prova della intenzione del debitore di pagare e del compimento diligente di atti diretti a tale risultato. Occorre, in pi�, la prova di aver fatto tutto quanto era umanamente possibile perch� il pagamento, comunque disposto, si effettui nel termine di legge. Occorre provare che il mancato pagamento � dipeso da circostanza che il titolare del brevetto non poteva controllare, ad onta del fatto di avere posto in essere tutte le cautele possibili atte ad assicurare il pagamento entro il termine. 5d. -La ricorrente afferma che la prova dell'errore delle procedure informatiche del mandatario, risalente, per le ragioni dette al mandante e consistito nella mancata evidenziazione di una scadenza e nella mancata automatica disposizione di pagamento, essendo incolpevole, ovvero non voluto, e non essendo conoscibile dal1' utilizzatore del procedimento stesso, esaurisce l'onere di massima diligenza. Tale conclusione, conformemente a quanto si � precisato, non pu� essere condivisa. Il fatto che l'errore della procedura sia rimasto non spiegato non rileva nel senso voluto dal ricorrente. La legge non si occupa, come si � cennato, del modo di pagare. Non si pu� in via di principio addossare l'inconveniente che oggettivamente pu� derivare da uno specifico modo di inoltrare il pagamento a destinatario del medesimo. Ma soprattutto l'errore di cui si parla � errore umano. Esso corrisponde ad una insufficienza dei programmi di software ovvero, come si sostiene dalla amministrazione, alla insufficienza dei necessari controlli sulle elaborazioni elettroniche, oppure, ammettendo si tratti di eventualit� strutturale alle programmazioni elettroniche, come in qualche modo si tende ad insinuare da parte della ricorrente, esso � comunque conseguente alla scelta, errata, di un mezzo che non � in grado di garantire la certezza che la legge richiede. N� la circostanza della eccezionalit� di un tale accadimento basta ad esaurire l'onere in questione, giacch� la legge pone espressamente la valutazione comportamentale al limite della inesigibilit�. Il titolare del brevetto in questione ha sicuramente dato prova di ordinaria, normale diligenza, affidandosi ad un mandatario attendibile, il quale per suo conto ha posto in essere regolari procedure di pagamento affidate ad archivi elettronici. Non ha provato la massima diligenza esigibile, perch� quella procedura di pagamento risale alla sua scelta, ed alla sua scelta risale anche la sua verificata insufficienza, quand'anche essa fosse stata, come non � stato provato, e come parrebbe assai azzardato ritenere, oggettivamente inevitabile attesa la natura del prescelto mezzo elettronico. (omissis) RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � 122 I CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 20 marzo 1998, n. 2940 -Pres. Sgroi R. -Est. Cappuccio -P. G. Golia (parz. diff.) -Artese ( avv. D'Aurelio) c. Poste Italiane (avv. Stato Laporta). Espropriazione per p.u. -Opposizione a stima -Determinazione valore venale del terreno nella misura indicata dal C.T.U. -Difetto di motivazione Deducibilit� col ricorso per cassazione -Esclusione. (Art. 360 n. 5 cod. proc. civ.). Espropriazione per p.u. -Indennit� -Art. 5 bis legge n. 359/92 -Riduzione del 40 per cento nei giudizi pendenti� Nuova offerta da parte dell'espropriante -Necessit�. (legge 8 agosto 1992, n. 359, art. 5 bis). Non � censurabile per difetto di motivazione la sentenza di merito che, ai fini della determinazione del valore venale d'un terreno espropriato, abbia recepito la stima proposta dalla consulenza tecnica d'ufficio, di questa fornendo una valutazione positiva (con l'apprezzarne �la precisione e l'accuratezza dell'indagine �) (1). A seguito di Corte Cost. n. 283/1993, la riduzione del quaranta per cento dell'indennit� d'esproprio prevista dall'art. 5 bis legge n. 359/1992 � applicabile nei giudizi pendenti (alla data di entrata in vigore della legge) a condizione che l'espropriante abbia offerto all'espropriato l'indennit� calcolata secondo i nuovi criteri (2). (1) Entrambe le sentenze in rassegna fanno applicazione, nella sostanza, d'un orientamento consolidato, secondo cui -in definitiva -� consentito al giudice di merito motivare per relationem la stima d'un terreno in misura corrispondente alla valutazione proposta, per l'immobile, con le conclusioni della rec;epita consulenza tecnica d'ufficio. Il punto da segnalare �, per�, questo: quid, come nel caso esaminato dalla prima sentenza, allorch� la (recepita) consulenza tecnica d'ufficio manchi, del tutto, della specifica indicazione di -verificabili -parametri di confronto (utilizzati dal C.T.U., ma solo genericamente evocati nel1' elaborato peritale) e, quindi, di quella �indicazione delle fonti� dalle quali come afferma la seconda sentenza, possa desumersi l'implicito rigetto dei contrari assunti delle parti? Sta bene, in altri termini, una stima motivata per relationem ai rilievi ed elementi di giudizio contenuti nella perizia del C.T.U.; ma quando questa si riduca a mere asserzioni, sottraendo -cos� -al controllo delle parti la pertinenza degli elementi di stima (che il C.T.U. si limiti ad affermare d'aver tenuto presenti), la motivazione per relationem -che dovrebbe risultare sufficiente a sorreggere il recepimento delle conclusioni del C.T.U. -si risolve in un �rinvio al nulla�, denotando assoluto difetto di controllo logico sull'operato del consulente. Difetto, vale aggiungere, cui non possono far velo formule di generico apprezzamento (come quelle relative alla �precisione ed accuratezza�) dell'indagine tecnica, se non si vuole pervenire allo snaturamento radicale del principio -in astratto condivisibile -della sufficienza della motivazione per relationem (ovvero della non necessit� di una specifica motivazione, da parte del giudice di merito, del recepimento delle conclusioni del C.T.U.). PARTE I, SEZ. lll, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIY�LE 123 II CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 27 giugno 1998, n. 6361 -Pres. Sensale -Rei. Spirito -P.M. Maccarone (conf.) -Ministero Trasporti (avv. Stato Arena G.) c. CED S.r.l. (avv. Pallotta). Espropriazione per p.u. -Opposizione a stima -Determinazione del valore venale del terreno nella misura indicata dal C.T.U. -Obbligo di specifica motivazione � Insussistenza. Espropriazione per p.u. -Opposizione a stima -Determinazione del valore venale del terreno nella misura indicata dal consulente di parte -Obbligo di motivazione -Sussiste. (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.) A differenza dall'ipotesi di recepimento della stima proposta da un consulente di parte, il giudice di merito, quando riconosca convincenti le conclusioni del C.T.U., non � tenuto ad esporre in modo specifico le ragioni del suo convincimento, poich� l'obbligo di motivazione � assolto gi� con l'indicazione delle fonti dell'apprezzamento espresso, dalle quali possa desumersi che le contrarie deduzioni delle parti siano state implicitamente rigettate (1). I (omissis) Col primo motivo del ricorso incidentale si assume la violazione dell'art. 39 della legge 25 giugno 1865, n. 2359 ed il difetto assoluto di motivazione sulla determinazione del valore venale. Secondo l'Amministrazione, il riferimento alla consulenza tecnica d'ufficio ed il riscontro che la sentenza assume di averne effettuato costituiscono motivazione solo apparente, dal momento che �nell'elaborato del c.t.u. mancano, in maniera assoluta, gli elementi indispensabili a consentire il controllo ( asseritamente) operato dal Giudice�; ne risulta altres� violato il principio della stima del bene a valore di mercato, data l'impossibilit� di individuare i concreti parametri di valutazione utilizzati dalla Corte aquilana. La censura � improponibile, perch� volta ad ottenere In definitiva, sembrerebbe possibile che la Corte di cassazione -senza, evidentemente, scendere ad un riesame (nel merito) dell'elaborato peritale -si limiti a verificare se le formule di �apprezzamento� della consulenza tecnica siano giustificate dal contenuto anche soltanto formale della relazione del C.T.U. (all'uopo distinguendo tra motivazione per relationem, consentita, e motivazione soltanto apparente della sentenza di merito). (2) Il principio si va consolidando. Nello stesso senso, v. Cass. 21 gennaio 1998, n. 509; 11 ottobre 1997, n. 9882 (la cui massima sottolinea l'estraneit� al sistema di legge, quale risultante da Corte Cost. 283/1993, di ogni riferimento alle indennit� determinate dal giudice o, addirittura, dal consulente tecnico d'ufficio); 21agosto1997, n. 7800; 20 giugno 1997, n. 5554. In senso parzialmente diverso sembrerebbe, invece, Cass. 3 ottobre 1997, n. 9662 (secondo cui l'accettazione, da parte dell'espropriato, potrebbe avere ad oggetto la indennit� risultante dall'istruttoria del giudizio di opposizione a stima). S. L. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO e 124 una nuova valutazione delle risultanze processuali in sede di legittimit�. La sentenza impugnata espone infatti di aver apprezzato la precisione ed accuratezza dell'indagine del c.t.u., basata su elementi �cronologicamente contigui� al decreto d'esproprio, ricavati dal contenzioso tributario relativo a terreni analoghi, con adeguata I considerazione sia della centralit� urbana del terreno, che della sua specifica vocazione urbanistica: il giudice di merito ha quindi esaminato accuratamente la consu II lenza fornendone una valutazione positiva, espressa con adeguata e non contraddittoria motivazione. Riscontrare l'assunto della ricorrente incidentale (che le affermazioni del c.t.u. sono assiomatiche, che il richiamo ad accertamenti esperiti in altro giudizio sono inconferenti, che i dati fiscali sono richiamati in termini generici ed in modo non esauriente) implicherebbe un riesame dell'elaborato peritale che, da un lato, costituirebbe violazione del principio di libero convincimento del giudice di merito e dall'altro non troverebbe giustificazione in vizi di motivazione della sentenza. Rimane assorbita la censura di violazione della legge sugli espropri, sic I come conseguente all'asserito vizio di motivazione. Col primo motivo del ricorso principale si deduce la violazione dell'art. 5 bis del d.l. 11 luglio 1992, n. 333 convertito dalla legge 8 agosto 1992, n. 359 in correlazione alla pronuncia della Corte Costituzionale n. 283 del 16 giugno 1993. Sostiene il ricorrente Artese che il decreto d'esproprio venne emesso il 5 agosto 1989, prima quindi dell'entrata in vigore della normativa richiamata. Risultava quindi applicabile il principio affermato dalla Corte Costituzionale con la decisione 283/93 e ribadito con la decisione 153/95, erroneamente disatteso dalla sentenza impugnata, sia perch� l'istituto della cessione volontaria non sarebbe pi� operante dopo gli interventi della Corte Costituzionale con le decisioni 5/80 e 223/83, sia perch�, seguendo la Corte aquilana, il principio affermato dalla Corte Costituzionale non avrebbe possibilit� di applicazione, contrariamente a quanto ritenuto dalla stessa Cassazione che, con sentenza 7687/94, ha escluso la riduzione per i soggetti che hanno accettato la indennit� liquidata in sede di giudizio di opposizione, accettazione che, ad ogni buon fine, il ricorrente aveva effettuato con raccomandata 1 marzo 1995. Secondo la Amministrazione, invece, con le richiamate pronunce la Corte Costituzionale �ha, in ultima analisi, riconosciuto agli espropriati versanti in situazione di diritto transitorio la facolt� di accettare la nuova misura dell'indennit�, con l'effetto di evitare la decurtazione del 40% che, dalla norma, era invece tassativamente condizionato al consensuale trasferimento della propriet��; accettazione peraltro da comunicare all'espropriante �in tempo utile ad una definizione amichevole della controversia giudiziale sulla misura dell'indennit��, onde non era tempestiva la accettazione comunicata dall' Artese il 1� marzo 1995, in pendenza del termine per ricorrere per cassazione. Secondo la lettura che della norma in esame propone la sentenza impugnata, l'unica possibilit� di evitare l'abbattimento del 40% � costituita dalla previsione del secondo comma del richiamato art. 5 bis secondo cui: �In ogni fase del procedimento espropriativo il soggetto espropriato pu� convenire la cessione volontaria del bene. In tal caso non si applica la riduzione di cui al comma l�. Cessione volontaria, che, nel caso, non � intervenuta. Ma, se la norma richiamata fosse suscettibile solo della proposta lettura, secondo una interpretazione strettamente letterale del1' articolo, la questione di costituzionalit� dovrebbe essere rimessa nuovamente alla .. PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE Corte, risolvendosi in una ingiustificabile menomazione del diritto alla difesa. Infatti, premessa l'ovvia considerazione che in tanto la cessione del bene pu� intervenire in quanto non sia stato ancora decretato l'esproprio e che in tanto l'a.g.o. pu� essere adita in quanto il decreto d'esproprio sia stato emesso, ne risulterebbe che il ricorso alla giustizia importerebbe in ogni caso una riduzione dell'indennit� del 40%, con una sorta di automatismo del tutto indifferente alle ragioni -ed all'esito -dell'invocata tutela. La norma pu� consentire, per�, una diversa lettura. Se, infatti, si considera che il legislatore intendeva impedire le opposizioni alla stima dettate da intenti speculativi o dilatori e non la tutela del cittadino di fronte a prevaricazioni degli enti pubblici esproprianti -o dei privati appaltatori, concessionari, delegatari, ove incaricati della procedura -la ragione della riduzione deve essere rinvenuta nella adeguatezza dell'indennit� offerta e non accettata e, viceversa, la esclusione dell'abbattimento nella inadeguatezza. In tal senso appare determinante il riferimento alla cessione volontaria. Poich� tale cessione costituirebbe (Cass. 2513/94) �un contratto pubblicistico la cui connotazione caratteristica consiste nel fatto che il trasferimento volontario si correla in modo vincolante ai parametri di legge stabiliti per l'indennit� dovuta per l'ablazione, dai quali non � possibile in alcun modo distaccarsi �, tanto che anche nel calcolo del �corrispettivo� della cessione trova applicazione l'art. 5 bis sopravvenuto in corso di causa (Cass. 6554/94; 7606/94) ed � sufficiente una cessione salvo conguaglio per escludere la riduzione (Corte Cost. 442/93), sembra logico concludere che � solo l'opposizione alla giusta indennit� che rende applicabile la riduzione. Non sembra poi che la dimostrazione della propria disponibilit� a cedere il bene per la giusta indennit� di legge imponga al privato formalit� particolari, dato il meccanismo legislativo che, vincolando anche l'ente espropriante alle determinazioni della Commissione provinciale (ragione ripetutamente addotta per escludere, medio tempore, la mora dell'espropriante), non consente cessioni per un importo diverso da quello della stima definitiva, salva sempre, si presume, la possibilit� per l'ente di ricorrere a negozi traslativi di diritto privato, ipotesi che esula, per�, dalla disciplina dell'espropriazione e dal problema in esame. Questa impostazione dell'istituto si riflette anche sulla disciplina di carattere transitorio. � noto che -sotto il profilo della ragionevolezza -la Corte Costituzionale ha ritenuto (decisioni 283 e 442 del 1993; 153 del 1995) l'illegittimit� della riduzione del 40% nei limiti in cui non prevede il diritto di accettare l'indennit� in favore di quei soggetti gi� espropriati al momento della entrata in vigore della legge. n. 359 del 1992 e, in esito alla dichiarazione di incostituzionalit� dell'art. 5 bis della legge 359/92 per mancata previsione di una disciplina transitoria. Questa Corte di cassazione ha gi� affermato -sentenze 5554, 7800, 9882 del 1997 -che la riduzione del 40% della indennit� potr� aver luogo solo se l'espropriante, dopo l'entrata in vigore della norma citata, abbia offerto all'espropriato la indennit� determinata secondo i criteri di cui alla suddetta norma e l'espropriato non labbia accettata. Altre pronunce pongono invece l'iniziativa a carico dell'espropriato al quale richiedono una manifestazione di volont� -Cass. 9662 e 9665 del 1997 -che si precisa nella rinuncia a contestare sia lo ius superveniens che la determinazione giudiziale dell'indennit� (Cass. 9584/97). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 126 Alla soluzione del caso in esame � sufficiente il rilievo che, dovendo avere l'accettazione un oggetto, identificarlo nella indennit� contestata equivarrebbe ad escludere --o quantomeno a penalizzare fortemente -il diritto di difesa dell'espropriato; che la indennit� accertata in sede giudiziaria non � stata offerta dalla Amministrazione, che anzi l'ha contestata sia in sede di conclusioni dinanzi al giudice di merito, sia in questa sede, col primo motivo del ricorso incidentale; che in mancanza di offerta, non � ipotizzabile una accettazione che non pu� avere come destinatario n� il giudice (al quale del resto, in sede di conclusioni, l' Artese aveva richiesto di liquidare il prezzo di mercato stimato dal c.t.u.) n� la controparte non offerente. Ne consegue che, non essendosi verificata la condizione (offerta non accettata) non si � verificato neppure l'effetto sanzionatorio e l'indennit� deve essere riconosciuta all' Artese al netto da decurtazioni (omissis). II (omissis) 1. -Per ragioni di ordine logico occorre iniziare la trattazione dall'esame del primo motivo del ricorso incidentale, nel quale la CED contesta le ragioni adottate nella sentenza impugnata per addivenire alla valutazione del fondo espropriato. L'eventuale accoglimento di questo motivo condurrebbe, infatti, all'assorbimento dell'unico motivo del ricorso principale, con il quale il Ministero censura il metodo con il quale nella sentenza impugnata sono stati adoperati i criteri dell'art. 5 bis della legge n. 392 del 1992. La Corte romana, in relazione al valore venale dell'area espropriata, ha osservato �che appare pi� idonea e corretta la valutazione operata dal C.T. di parte Ministero dei Trasporti che identifica il valore commerciale del suolo espropriato rifacendosi direttamente al valore del medesimo al 1992 -tempo dell'esproprio -di f 3.400.000 x mq. (vm di f 3.200.000-3.600.000 x mq quale riportato dalle valutazioni immobiliari dell'epoca -riv. Metro quadro anno 1992), con una valutazione quindi dell'area de qua di f 538.877.000�. Nel primo motivo del suo ricorso incidentale, la CED lamenta il difetto di motivazione con riferimento alla riferita parte della sentenza impugnata, sostenendo che il giudice, per discostar.si dalla valutazione del C.T.U. (che aveva dato all'area un valore commerciale maggiore), avrebbe dovuto dettagliatamente motivare le ragioni della diversa valutazione accolta. Il motivo � fondato. � noto, infatti, che il giudice di merito, quando riconosce convincenti le conclusioni del consulente tecnico di ufficio, non � tenuto ad esporre in modo specifico le ragioni del suo convincimento, poich� l'obbligo della motivazione � assolto gi� con l'indicazione delle fonti dell'apprezzamento espresso, dalle quali possa desumersi che le contrarie deduzioni delle parti siano state implicitamente rigettate (Cass. 24 febbraio 1995, n. 2114). Nel caso in cui, invece, dissenta da tali conclusioni, il giudice � obbligato ad un'attenta e dettagliata motivazione che renda attuabile, nelle successive sedi giurisdizionali, il controllo sulla sua decisione. Tale esigenza non postula che egli debba necessariamente contrapporre nozioni ed apprezzamenti tecnici a quelli affermati dal consulente, onde dimostrarne l'inattendibilit� sul piano scientifico o pratico, tuttavia il giudice non pu�, senza incorrere in PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 127 vizi di motivazione, mettere in dubbio o negare tali elementi con affermazioni generiche (Cass. 14 maggio 1993, n. 5485). Il dovere di motivare � tanto pi� cogente nel caso in cui il giudice non sostituisca il proprio apprezzamento a quello del consulente di ufficio, ma faccia proprie le conclusioni della parte o del consulente della parte stessa, atteso che la consulenza tecnica di parte non costituisce un mezzo di prova, come la consulenza d'ufficio, ma consiste in allegazioni difensive di contenuto tecnico (Cass. 10 gennaio 1995, n. 245). Nella specie, il giudice, nel determinare il valore commerciale dell'area espropriata, ha dissentito dalle conclusioni del consulente d'ufficio, aderendo esplicitamente a quelle del consulente del Ministero, il quale attribuiva al suolo in oggetto un valore sensibilmente inferiore rispetto a quello riconosciutogli dal consulente d'ufficio. Tale dissenso � stato espresso attraverso la tautologica frase �appare pi� idonea e corretta la valutazione operata dal C.T di parte Ministero Trasporti�, la quale non manifesta in s� alcun contenuto di motivazione, in quanto non spiega le ragioni della maggior correttezza ed idoneit� della valutazione stessa. N� pu� ritenersi compiuta la motivazione con il riferimento (a sua volta mutuato dalla consulenza di parte) alla rivista immobiliare �Metro quadro�, poich� anche a tal riguardo la sentenza avrebbe dovuto dar conto del metodo attraverso il quale la rivista stessa � pervenuta al risultato accolto e ne avrebbe dovuto stimare ed apprezzare la maggior idoneit� e correttezza rispetto alle conclusioni raggiunte dal consulente d'ufficio. La sentenza impugnata va, dunque, cassata in relazione a tale punto decisivo della controversia ed il giudice del rinvio proceder� ad una nuova stima del valore venale del fondo espropriato. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 9 aprile 1998, n. 3669 -Pres. Ferro -Est. Macioce -P.G. Schir� (conf.) -Immobiliare Agnano c. Presidenza Consiglio Ministri e Comune di Pozzuoli. Calamit� naturali -Terremoti -Requisizione di immobili effettuata dal Sindaco su delega del Commissario Straordinario di Governo -Azione di risarcimento danni posta in essere dai proprietari degli immobili requisiti -Legittimazione passiva dell'Amministrazione statale delegante -Sussistenza. L'attivit� di requisizione di immobili posta in essere dal sindaco su delega del Commissario straordinario di Governo per le zone colpite dal terremoto del novembre 1980, ai sensi dell'art. 3 del d.l. 26 novembre 1980 n. 776, convertito con modificazioni nella legge 22 dicembre 1980, n. 874, � riferibile non gi� all'ente territoriale, bens� ali'amministrazione dello Stato delegante, la quale � pertanto passivamente legittimata nel giudizio per danni cagionati a terzi dalla omessa manutenzione dell'immobile requisito. (Massima ufficiale)(l). (1) La sentenza ripropone la soluzione offerta, in causa analoga, da Cass., SU, 26 maggio 1997, n. 4671, in Giust. Civ., 1997, I, 1768. In tale occasione le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno affermato che la delega ai Sindaci rilasciata dal Commissario straordinario di Gover RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 128 (omissis) Riuniti, preliminarmente, i ricorsi ai sensi dell'art. 335 c.p.c., ed esaminando il ricorso principale, si osserva che con esso la societ� Immobiliare Agnano a r.l. censura con unico mezzo la decisione impugnata per violazione degli artt. 1 e 3 del d.l. 776/80 conv. in legge 874/80, 7 legge 20 marzo 1865 n. 2248 all. E, per avere quei giudici negato ali' Amministrazione della Protezione civile (oggi Dipartimento della P.C. della Presidenza del Consiglio dei Ministri -sezione stralcio del disciolto Commissario di Governo ex art. 5 legge 996/70) la veste di effettiva legittimata passiva alla pretesa, dimenticando che il Sindaco di Pozzuoli -delegato dal Commissario di Governo ebbe ad agire solo come ufficiale di Governo. La doglianza � fondata, per le ragioni esposte da questa Corte con la recente pronunzia n. 4671 in data 26 maggio 1997 resa a S.U. alla cui motivazione, completamente condivisa dal Collegio, pare opportuno interamente riportarsi. � stato infatti in tal sentenza affermato che: �L'istituto della delegazione intersoggettiva (o esterna), che si realizza con il conferimento da parte di un ente pubblico( ... ) ad altro autonomo soggetto, investito di pubbliche funzioni, del potere di operare in nome proprio e per conto del delegante, comporta che gli atti posti in essere dal delegato sono a questi imputabili e che lo stesso ne risponde nei confronti dei terzi; sempre in virt� di norma di legge che tanto preveda. La qualificazione del rapporto tra Amministrazione della protezione civile e i sindaci dei comuni colpiti dal terremoto dipende, pertanto, dalla identificazione del soggetto pubblico investito dell'originaria titolarit� del potere di operare le requisizioni e dalla ricerca ed interpretazione della normativa che consente e disciplina la delega. Orbene, gli interventi urgenti in occasione di pubbliche calamit�, che incidono sui diritti reali dei soggetti passivi delle requisizioni, comprimendoli, attuano l'interesse generale (che � proprio dello Stato) alla protezione dei cittadini colpiti da no per le zone colpite dal sisma del 1980, in virt� dei poteri ad esso conferiti dal d.!. n. 776/80, conv. e modif. dalla legge n. 874/80, non integra una forma di delegazione intersoggettiva e, pertanto, non si realizza <<l'eccezionale trasferimento di funzioni statali agli enti territoriali�. Di conseguenza, la legittimazione passiva nel giudizio instaurato dal proprietario dell'immobile requisito per ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa di tale requisizione compete ali' Amministrazione statale.delegante. La sentenza si segnala in quanto ha giudicato su una controversia in cui non era parte l'Amministrazione statale la cui legittimazione passiva � stata, ci� nonostante, riconosciuta sussistente. In giurisprudenza la natura interorganica della delega rilasciata al Sindaco di funzioni proprie del Commissario straordinario per le zone terremotate � stata in pi� occasioni riconosciuta sul presupposto che, in tale ipotesi, il Sindaco esercita la funzione di Ufficiale del Governo ed agisce, quindi, quale organo della protezione civile (Cass., 19 settembre 1997, n. 9303; Cass., 21 novembre 1994, n. 9847, in Foro it., 1995, I, 1210). Nella diversa ipotesi, invece, di delegazione intersoggettiva il delegato agisce in nome proprio ed � pertanto, passivamente legittimato nei rapporti che pone in essere in attuazione e nei limiti della delega (Cass., 11 giugno 1998, n. 5831; Cass., 11 maggio 1998, n. 4737; Cass. 2 marzo 1996, n. 1651, in Foro it., 1996, I, 2907 con nota di CARINGELLA, Delegazione amministrativa intersoggettiva ed attivit� comunale di promozione turistico-culturale; Cass., 21 gennaio 1995, n. 707; Cass. 18 novembre 1992, n. 12345). In dottrina il problema dei rapporti tra delegante e delegato, anche con riferimento ai rapporti con i terzi, � stato affrontato da ScALIA, Notazioni minime in tema di espropriazione sostanziale e di delegazione amministrativa intersoggettiva (nota a Cass. 10 ottobre 1991, n. 10667 -Cass., 16 gennaio 1992, n. 496 -Cass., 16 giugno 1992, n 7389), in Cons. Stato, 1993, 2, 1428 e ss. PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA C�VILE eventi catastrofici e i relativi oneri, come rilevato anche dalla sentenza citata nel precedente paragrafo, gravano sul bilancio statale. Di qui i poteri conferiti dal d.l. 26 novembre 1980, n. 776 conv. e modif. dalla legge 22 dicembre 1980 n. 874, al Commissario di governo nominato ai sensi dell'art. 5 della legge 8 dicembre 1970 n. 996 (per breve tempo sostituito da un Ministro della protezione civile). L'art. 3 del citato d.l. 776 del 1980, nel testo modificato dalla legge di conversione n. 874 dello stesso anno, prevede che �al fine della sistemazione di coloro che siano rimasti privi di abitazione esclusivamente a causa ed in conseguenza degli eventi sismici del novembre 1980, nonch� per l'avvio della ripresa delle attivit� economiche, il commissario, previa determinazione delle relative procedure, provvede: a) alla requisizione, anche attraverso delega speciale o generale ai sindaci, ai sensi dell'art. 7 della legge 20 marzo 1865, n. 2248 all. E, di idonee strutture, anche per il collocamento di uffici pubblici, ovvero alla stipula di apposite convenzioni con soggetti pubblici e privati; b) ... �. Come suggerisce la lettera della legge, si tratta di delega ai �sindaci� -nella loro veste di ufficiali di governo e di organi straordinari dell'Amministrazione della protezione civile -affinch� (non in via esclusiva, permanendo il diretto esercizio del potere in capo al commissario) provvedano alle requisizioni, senza che si avveri l'eccezionale trasferimento delle funzioni statali agli enti territoriali. In caso contrario questi ultimi, rimanendo impegnati in proprio per gli indennizzi dovuti ai terzi, dovrebbero rivalersi verso l'Amministrazione statale competente, pur in assenza di norme che prevedano un diritto di rivalsa e, ancor meno, modalit� e termini della medesima. In materia ha legiferato il Commissario di governo, emettendo, in forza degli eccezionali poteri conferitigli per fronteggiare l'emergenza, l'ordinanza 12 gennaio 1981, n. 85. L'art. 5 di essa prevede, tra l'altro, che i sindaci -al fine di assegnarli direttamente in locazione ai cittadini rimasti senza tetto -possano emettere motivato provvedimento di requisizione di alloggi di propriet� privata non utilizzati e, all(ultimo comma, cos� dispone: �la relativa spesa far� carico ai Fondi di gestione di questo Commissario Straordinario del Governo. I Sindaci comunicheranno entro 30 gg. dalla presente ordinanza al prefetto l'elenco di tutti gli alloggi censiti, con l'indicazione di quelli assegnati ai sensi della presente ordinanza, nonch� di quelli rimasti disponibili�. L'obbligo di riferire all'organo periferico dell'Amministrazione statale riafferma la posizione del sindaco quale organo straordinario della stessa amministrazione e non ordinario dell'ente territoriale. Nello stesso senso risulta indicativa la previsione del diretto carico della spesa ai Fondi, senza alcun accenno ad anticipazioni od a rimborsi ai Comuni. Si spiega quindi che nell'ottavo comma dell'art. 1 d.l. 27 febbraio 1982, n. 87 come modif. dalla legge di conversione 29 aprile 1982, n. 187, sia stabilito che coloro che hanno diritto da far valere nei confronti della gestione del Commissario debbono presentare al Ministro le domande ed istanze ai sensi e per gli effetti di cui al 1� e 2� comma dell'art. 8 della legge 4 dicembre 1956, n. 1404, cio� con gli adempimenti e nelle forme della procedura per la liquidazione degli enti soppressi, salva per altro l'immediata esperibilit� dell'azione giudiziaria (cfr. la cit. sent. 9765/93). I rilievi che precedono escludono che a questa norma possa essere data interpretazione restrittiva -che troverebbe unica ragione nella indimostrata qualificazione della delega al sindaco come intersogget RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 130 tiva -e intendere limitato il riferimento ai soli rapporti intercorsi direttamente con il commissario, sebbene sia pacifica la istituzionale titolarit� dello Stato dei complessivi rapporti riguardanti la protezione civile. Rimane fermo, ovviamente, che altre funzioni possono essere delegate agli enti territoriali perch� agiscano, sempre per conto dello Stato, ma in nome proprio, sia per immediata previsione di legge(...) sia di provvedimenti amministrativi fondati su un potere di delega legislativamente previsto�. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, sez. Un., 6 maggio 1998, n. 4572 -Pres. La Torre -Rei. Evangelista -P.M. Delli Priscoli M. (conf.) -Presidenza Consiglio dei Ministri (avv. Stato Nucaro) c. Campbell (avv. Correale). Giurisdizione civile -Principi costituzionali -Ricorso per Cassazione contro decisioni dei Giudici amministrativi -In genere -Decisione emessa in esito a giudizio di ottemperanza -Censura relativa alla interpretazione del giudicato ineseguito -Deduzione con ricorso per Cassazione ex art. 362 cod. proc. civ. -Inammissibilit�. Impugnazioni civili -Cassazione (Ricorso per) -Giurisdizioni speciali (impugnabilit�) -In genere -Decisione emessa in esito a giudizio di ottemperanza -Censura relativa alla interpretazione del giudicato ineseguito -Deduzione con ricorso per Cassazione ex art. 362 cod. proc. civ. Inammissibilit�. ( cod. proc. civ., art. 362). Il giudice amministrativo, in sede di giudizio di ottemperanza, non pu� prescindere, in vista della esatta realizzazione dello scopo del procedimento, dalla previa ricognizione del contenuto precettivo del giudicato ineseguito, anche in relazione alla sua efficacia nel tempo e ai rapporti con le discipline sopravvenute; � pertanto inammissibile il ricorso per Cassazione, proposto ai sensi dell'art. 362 cod. proc. civ. avverso la decisione emessa in esito al giudizio di ottemperanza, col quale si deduca, sotto il profilo della carenza di giurisdizione, l'inesattezza dell'interpretazione del giudicato e dell'individuazione dei principi che ne governano i limiti oggettivi e temporali di efficacia, risolvendosi tali deduzioni nella prospettazione di una questione di merito che non investe i limiti esterni delle attribuzioni giurisdizionali del giudice amministrativo. (Massima ufficiale) (1). (1) La sentenza si inserisce nell'ambito di un costante orientamento giurisprudenziale secondo cui avverso una pronuncia del giudice amministrativo emessa in sede di giudizio di ottemperanza, con la quale si attribuisce al giudicato ineseguito un determinato contenuto precettivo, non � ammissibile il ricorso in Cassazione ex art. 362 c.p.c. Una simile pronuncia, infatti, non investe i limiti esterni delle attribuzioni giurisdizionali del giudice amministrativo poich� rientra nella competenza giurisdizionale di quest'ultimo di interpretare e dare esecuzione al proprio giudicato (tra le tante cfr. Cass., S.U., ord. 5 giugno 1998, n. 523; Cass. S.U., 20 dicembre 1993, n. 12613, in Foro it., 1994, I, 54). I i f PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITIO EPROCEDURA CIVILE 131 (omissis) Le amministrazioni ricorrenti denunciano che la decisione impugnata esorbita dai limiti della giurisdizione amministrativa e sconfina in quella esclusiva della Corte dei conti in materia di pensioni. Osservano, in particolare, che lefficacia del giudicato su rapporti di durata, come quello attinente all'erogazione del trattamento pensionistico, � correlata alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento della decisione, la cui immodificabilit�, quindi, in tanto pu� proiettarsi nel futuro in quanto permangano immutati i dati oggetto dell'accertamento giurisdizionale. Di conseguenza, nel caso di specie, il sopravvenire della legge n. 265 del 1991 determinava una nuova situazione giuridica soggettiva, estranea al giudicato anteriormente formatosi e non accertabile se non dalla Corte dei conti, quale giudice, in via esclusiva, del rapporto. D'altra parte, ad avviso delle ricorrenti, il Consiglio di Stato, nel decidere circa le conseguenze giuridiche prodotte sul rapporto dallo jus superveniens, ha erroneamente negato l'efficacia retroattiva di questo, trascurandone l'espressa riferibilit�, ai sensi dell'art. 1, sesto comma della stessa legge n. 265 del 1991, ad �interpretazioni difformi� conseguenti a giudicati amministrativi. Il ricorso � inammissibile. Una volta che non si ponga in discussione che il giudizio di ottemperanza � devoluto alla giurisdizione del giudice amministrativo, la tesi sostenuta dalle ricorrenti, secondo cui nel giudizio stesso si � attribuita al creditore una prestazione diversa ed ulteriore rispetto a quella sulla quale poteva ritenersi formato il giudicato e, quindi, non ottenibile se non presso il giudice del rapporto sostanziale, si risolve nella prospettazione di una questione di merito, attinente all'esattezza o meno dell'interpretazione del giudicato e dell'individuazione dei principi che ne governano i limiti oggettivi e temporali di efficacia. Ma questa Corte non potrebbe sindacare siffatte statuizioni, se non esercitando i poteri ordinari di un giudice dell'impugnazione, sia pure soltanto di legittimit�, con ci� stesso violando l'autonomia giurisdizionale del supremo organo giurisdizionale amministrativo (Cass. 11 ottobre 1988, n. 5491), in presenza di norme, anche costi- In applicazione di detto principio � stata esclusa la sindacabilit� in Cassazione dell'errore commesso dal Consiglio di Stato in ordine alla sussistenza delle condizioni che determinano il passaggio in giudicato della sentenza di cui si chiede l'esecuzione (Cass., S.U., 24 maggio 1995, n. 5689, in Foro amm. 1996, 1, 400 con nota di CAPUTO, Uniformit� di vedute tra Cassazione e Consiglio di Stato; in Foro it., 1995, I, 2337; in Giust. Civ., 1995, I, 2369). Tale errore, infatti attiene alle modalit� di esercizio dei poteri spettanti al Giudice dell'ottemperanza e non anche alla violazione dei limiti esterni della giurisdizione. E' stata, altres�, esclusa la ricorribilit� in Cassazione della sentenza resa dal Consiglio di Stato, avente ad oggetto una questione relativa alla pretesa inammissibilit� del giudizio di ottemperanza di una pronuncia del giudice ordinario, in quanto attinente al merito della controversia (Cass., S.U., 26 aprile 1994, n. 3967, in Foro it., 1994, I, 1350, con nota di BARONE). In dottrina la problematica relativa ai limiti esterni della giurisdizione � stata recentemente affrontata da ROMANI G., Considerazioni circa l'ottemperanza alle deci .. sioni della Corte dei Conti (nota a Cass., S.U., 30 aprile 1992, n. 4970), in Dir. proc. amm., 1993, 712 e ss.; TUTINELLI V., Brevi riflessioni sul sindacato della Corte di Cassazione sulle sentenze rese in seguito a giudizio di ottemperanza (nota a Cass., S.U., 14 gennaio 1997, n. 368), in Giw: it., 1993, IA, 431 e ss. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO��� 132 tuzionali (art. 111, comma 3, Cast.), che limitano la ricorribilit� in cassazione delle decisioni del Consiglio di Stato �ai soli motivi inerenti alla giurisdizione�. Infatti, pure a volere ammettere -in via di mera ipotesi -la fondatezza delle difese di parte ricorrente circa l'impossibilit� per il giudice amministrativo di interpretare nei sensi sopra esposti la sentenza resa dal giudice contabile e l'erroneit� della ritenuta insensibilit� delle relative statuizioni allo jus superveniens, si tratterebbe, comunque, di questioni che coinvolgono la latitudine dei poteri al primo giudice spettanti nel giudizio di ottemperanza, vale a dire le modalit� di esercizio della giurisdizione devolutagli e, quindi, i limiti interni all'esercizio stesso. Ci� in quanto, ove l'interessato si dolga della mancata esecuzione di una pronuncia giurisdizionale che imponga determinati obblighi alla P.A. ed agisca, pertanto, davanti al giudice amministrativo per ottenere che, nelle forme del giudizio a questo scopo predisposto dal legislatore, si faccia luogo all'ottemperanza, n� la decisione del detto giudice pu� prescindere, in vista dell'esatta realizzazione dello scopo del procedimento, dalla previa ricognizione del contenuto precettivo di quella pronuncia (Cass., Sez. Un., 26 aprile 1994, n. 3967; Id. 20 dicembre 1993, n. 12613; Id. 23 giugno 1993, n. 6947; Id. 24 aprile 1992, n. 4970; Id. 14 gennaio 1992, n. 368; Id. 12 aprile 1990, n. 251), n� da tale indagine esorbita quella concernente il profilo dell'efficacia nel tempo e nei rapporti con discipline sopravvenute (v., a tale ultimo riguardo, Cass., Sez. Un. 26 febbraio 1990, n. 1456); di guisa che la deduzione con la quale si denuncino, sub specie della carenza di giurisdizione, vizi della decisione del giudice amministrativo, per avere la stessa attribuito al giudicato una portata diversa da quella effettiva, non investe i limiti esterni delle attribuzioni giurisdizionali del giudice amministrativo, attesa la stretta funzionalit� della descritta attivit� delibativa rispetto a quella attuativa, che costituisce il bene della vita concretamente perseguito attraverso il giudizio di ottemperanza e, a conclusione del medesimo, effettivamente realizzato. Alla declaratoria di inammissibilit� del ricorso segue la solidale condanna delle Amministrazioni ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonch� degli onorari del giudizio di cassazione, liquidati, questi ultimi, in complessive lire 3.500.000 ( tremilionicinquecentomila ). (omissis) SEZIONE QUARTA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., 3 febbraio 1998, n.1 -Pres. Laschena -Est. Sal vatore C. -Presidenza del Consiglio dei Ministri (avv. Stato Aiello G.) c. Sfor ni ed altri (avv. Sanino) e Bonelli ed altri ( avv.ti Giannini e D'Alessio). Impiego pubblico -Dipendenti Presidenza Consiglio Ministri -Inquadramento -Art. 38 terzo comma legge n. 400/88 -Ottava qualifica funzionale -Diploma di laurea -Non necessariet�. I dipendenti della Presidenza del Consiglio dei Ministri gi� inquadrati a pieno titolo nella settima qualifica possono essere inquadrati nel/' ottava qualifica funzionale anche se sprovvisti del titolo di studio del diploma di laurea prescritto a regime, avendo essi gi� conseguito l'accesso ad una qualifica funzionale corrispondente a funzioni e compiti propri di tale �ex carriera� (1). (1) La questione era stata rimessa alla Adunanza Plenaria dalla IV Sezione con ordinanza 30 settembre 1996 n. 1073, (in Cons. Stato, 1996, I, 1323), previa riunione degli appelli proposti dalla Presidenza del Consiglio contro cinque analoghe sentenze del TAR Lazio, Sez. I, 8 luglio 1995, n. 1250; 18 settembre 1995, n. 1589; 19 luglio 1995, n. 1437 e 11novembre1995, Il. 1951. La Sezione remittente aveva ipotizzato il sorgere di un contrasto fra l'orientamento espresso dal Consiglio di Stato in sede consultiva con il parere n. 402/89 in data 22 marzo 1989 dalla Commiseione Speciale per il Pubblico Impiego (ivi, 1990, I, 1166) e l'orientamento che poteva essere espresso dallo stesso Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, ritenendo non fondate le argomentazioni poste dal TAR Lazio a base delle sue pronunce. Nel citato parere si afferma testualmente che �l'inquadramento nella qualifica superiore impone, per l'accesso ad una qualifica corrispondente alla ex carriera direttiva, il possesso del corrispondente titolo di studio�, ritenendo, peraltro, che �dal possesso di tale requisito debbano essere esclusi coloro i quali gi� appartengono ad una qualifica della ex carriera direttiva, in quanto non sembra razionale escludere dall'inquadramento nella qualifica superiore (e consentire lo scavalcamento da parte di altri soggetti) coloro i quali alla qualifica della carriera direttiva siano gi� legittimamente pervenuti (ancorch� sprovvisti del titolo di studio) sulla base di precedente normativa�. In realt�, per�, l'ipotizzato -dalla Sezione remittente -contrasto fra tale parere ed una eventuale pronuncia di accoglimento in sede giurisdizionale della tesi difensiva sostenuta dalla Amministrazione appellante, era pi� apparente che reale. Infatti, occorre sottolineare come la Commissione Speciale si sia pronunciata su un quesito proposto dalla Presidenza del Consiglio tenendo presente il profilo generale ed astratto della que stione posta. Ma il principio cos� enunciato, invero, non si attagliava alla fattispecie concreta sottoposta al giudizio del Consiglio di Stato. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO .. 134 (omissis) 1. -In via preliminare occorre disporre la riunione dei quattro appelli, i quali concernono una identica questione di diritto e possono essere definiti con unica decisione. 2. -L'ordinanza di rimessione ricorda che l'art. 38, comma 4 della legge 23 agosto 1988, n. 400 � rivolto ad agevolare la progressione in carriera di alcuni dipendenti della Presidenza del Consiglio dei Ministri e, tal fine, riconosce un particolare valore alle mansioni superiori svolte per almeno due anni e prevede un tipo di selezione non particolarmente rigido (esame-colloquio), ponendo come unico limite il possesso del titolo di studio richiesto per l'accesso alla nuova qualifica che tuttavia equipara ad un'anzianit� di servizio effettivo non inferiore a dieci anni: ma ci� non per la carriera direttiva. In sostanza, l'accesso a quella che nel precedente ordinamento si qualificava �carriera direttiva� continuerebbe ad essere condizionato al possesso di un determinato titolo di studio (laurea) che non ammette equipollenti, salvo eccezioni espressamente previste, che nella specie non si rinvengono. A sostegno di tale assunto l'ordinanza di rimessione richiama gli artt. 161 del d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 e 9 del d.P.R. 28 dicembre 1970 n. 1077, che prescrivevano in via generale il possesso del diploma di laurea. Nella specie, la previsione che a qualifiche superiori possa accedersi dopo due anni di lodevole svolgimento delle relative mansioni e dopo un esame colloquio e Il punto nodale della vicenda riguardava il fatto che gli appellati non sono pervenuti alla carriera direttiva �sulla base di precedenti normative� e sono stati inquadrati nella VII q.f. per effetto dell'applicazione nei loro confronti delle norme sul c.d. �ricompattamento� (art. 4, ottavo comma, legge n. 312/80), che attengono alla fase transitoria del nuovo ordinamento dell'impiego pubblico per qualifiche funzionali. La legge n, 400/88 si applica, invece, ad una situazione in cui � gi� avvenuto il passaggio dei pubblici dipendenti nella disciplina a regime. Il Consiglio di Stato ha, invece, ritenuto desumibile dalla normativa il principio generale secondo il quale per il personale interno l'accesso alle varie qualifiche funzionali, ivi comprese quelle corrispondenti alla ex carriera direttiva (VII� e VIII), non � precluso dall'eventuale mancanza del titolo di studio prescritto per l'accesso dall'esterno, potendosi supplire a tale carenza con il possesso del titolo di studio immediatamente inferiore e con una determinata anzianit� di servizio nella qualifica immediatamente inferiore. Per superare l'eventuale dicotomia con il citato parere della Commissione Speciale e l'obiezione dell'Amministrazione appellante, secondo la quale un accoglimento sic et simpliciter del principio indicato in sede consultiva avrebbe prodotto una sorta di progressione automatica nella carriera, prescindendo dalla valutazione del requisito culturale e fornendo al c.d. �ricompattamento � una sorta di �ultrattivit��, consentendo di accumulare benefici su benefici, l'A.P. ha posto l'accento sulla natura transitoria dell'art. 38, 4� comma, cit. e ha ritenuto, perci�, che la norma in questione contenga due principi. Il primo generale ed espresso, in base al quale l'interessato pu� essere inquadrato (per saltum) anche in una qualifica non immediatamente superiore purch�: a) non si verifichi il superamento della qualifica corrispondente alla ex carriera direttiva immediatamente superiore; b) l'interessato sia in possesso del diploma di laurea richiesto per l'accesso a tale nuova qualifica superiore. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 135 sempre che, nel caso di qualifica corrispondente all'ex carriera direttiva, si sia in possesso del titolo di studio della laurea, non avrebbe nulla di irrazionale, apparendo pi� che giustificata la necessit� di tenere fermo almeno lo sbarramento della laurea per la progressione a qualifiche superiori corrispondenti a quella della vecchia carriera direttiva. La circostanza che gli appellati siano inquadrati nella VII qualifica funzionale (pure appartenente alla ex carriera direttiva) senza il possesso della laurea non avrebbe alcuna rilevanza e non significherebbe che per la progressione alla qualifica VIII (chiesta nella specie) possa continuarsi a prescindere da tale titolo, in quanto il passaggio alla VII qualifica funzionale non significa anche diritto all'illimitata progressione senza titolo di studio. Del resto la stessa disposizione precluderebbe nella sua ultima parte il moltiplicarsi all'infinito di benefici di carriera analoghi a quello in esame, dei quali si sia gi� goduto una volta, per cui se una volta la progressione � stata possibile senza il possesso del titolo di studio, ci� non significa che il beneficio possa continuare all'infinito. Tale conclusione, contrariamente a quanto ritenuto dalle sentenze appellate, non creerebbe discriminazioni tra chi beneficia della progressione, in quanto fornito del titolo di studio e titolare della VII qualifica funzionale, e chi, pur rivestendo la stessa qualifica, sia privo del titolo di studio: l'assenza di quest'ultimo, infatti, ben giustifica la disparit� di trattamento. Poich� le considerazioni che precedono, chiaramente favorevoli alla tesi del1 'amministrazione appellante, se accolte si porrebbero in contrasto con il parere L'altro principio enucleato dalla A.P. � �inespresso ma implicito� e consente l'inquadramento del personale, gi� inquadrato a pieno titolo in una qualifica della ex carriera, nella qualifica immediatamente superiore della stessa ex carriera anche se sprovvisto del titolo di studio prescritto a regime (diploma di laurea). Ma la pronuncia contiene nella penultima pagina (pag. 18) una precisazione che, lungi dal chiarire o limitare la portata dei suenunciati principi, appare foriera di ulteriori �distinguo�, dimostrando, soprattutto, come il punto nodale della questione (l'avvenuta attribuzione agli appellati della VII q.f. per effetto delle norme sul �ricompattamento�) sia stato troppo frettolosamente superato e risolto (forse per ragioni� di equit� sostanziale) a favore dei dipendenti della Presidenza del Consiglio gi� inquadrati nella VII q.f. Infatti, I' A.P. ha precisato che le conclusioni a cui � pervenuta si possono applicare solo al personale gi� in possesso della VII qualifica funzionale corrispondente alla ex carriera direttiva e non anche a quel personale che, sebbene pacificamente appartenente alla ex carriera di concetto, sia tuttora in possesso della VII q.f. ottenuta in forza di specifica normativa. In definitiva, quindi, solo per la prima categoria di personale (gi� in possesso della VII q.f. della ex carriera direttiva) la sentenza de qua ha ritenuto sia consentito l'inquadramento nella qualifica immediatamente superiore della stessa ex carriera direttiva (nel caso di specie !'VIII) anche se tale personale sia sprovvisto del titolo di studio prescritto a regime (diploma di laurea), ritenendolo, comunque surrogabile con il possesso del titolo di studio immediatamente inferiore e con una determinata anzianit� di servizio nella qualifica immediatamente inferiore. Resta, quindi, fermo il principio definito supra generale ed espresso dalla stessa A.P. secon do il quale l'inquadramento pu� anche avvenire per saltum, ma non pu� prescindere dal divieto di superamento della qualifica corrispondente alla ex carriera direttiva immediatamente superio re e dal possesso del diploma di laurea. G.P. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 136 espresso dalla Commissione Speciale 22 marzo 1989 n. 402/89 la Sezione ha rimesso la soluzione della questione a questa Adunanza plenaria per evidenti esigenze di certezza del diritto. 3. -L'art. 38, comma 4 della legge 23 agosto 1988 n. 400 cos� dispone: �Il personale di cui al comma 3� (cio� �il personale delle qualifiche funzionali e di quelle ad esaurimento, comunque in servizio, alla data di entrata in vigore della legge stessa, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri�) �pu� chiedere di essere inquadrato, anche in soprannumero e previo superamento di un esame-colloquio, nella qualifica funzionale della carriera immediatamente superiore, con il profilo professionale corrispondente alle mansioni superiori lodevolmente esercitate per almeno due anni, purch� in possesso del titolo di studio richiesto per l'accesso alla nuova qualifica, ovvero, ad esclusione della carriera direttiva, di un'anzianit� di servizio effettivo non inferiore a dieci anni. Tale beneficio non potr� comunque essere attribuito al personale che, per effetto di norme analoghe a quella prevista nel presente comma, abbia comunque fruito, anche presso le Amministrazioni di appartenenza, di avanzamenti di carriera o promozioni a qualifiche superiori, disposti a seguito di valutazioni delle mansioni svolte�. La norma -della quale questo Consiglio di Stato si � ripetutamente occupato in sede consultiva (Comm. Spec. 22 marzo 1989 n. 402/89 e 20 giugno 1990 n. 593/90; Sez. prima 6 maggio 1992 n. 137/92 e 29 marzo 1995 n. 782/95) -prevede, nell'ambito dell'unitario procedimento di inquadramento nei ruoli della Presidenza del Consiglio dei Ministri, due distinte procedure: l'una (comma 3) volta ad assicurare l'inquadramento del personale comunque in servizio presso la Presidenza in posizione di comando o di fuori ruolo nelle corrispondenti qualifiche dei ruoli della Presidenza medesima (cd. inquadramento orizzontale); l'altra (comma 4), volta a consentire allo stesso personale, previo superamento di un esame colloquio, l'inquadramento in una qualifica, superiore a quella formalmente rivestita, corrispondente alle mansioni effettivamente svolte (cd. inquadramento verticale). La citata disposizione (cfr. parere n. 137/92 pag. 4) �pi� che un avanzamento in carriera in senso stretto (per esempio, promozione per scrutinio o concorso interno riservato al personale in servizio) delinea una vera e propria procedura di inquadramento in ruolo di personale gi� in servizio, sia pure alle dipendenze di altra amministrazione, in occasione di una riorganizzazione del dicastero della Presidenza del Consiglio�. Il carattere di norma transitoria va riconosciuto a tutte le disposizioni contenute nell'art. 38 che sono dirette a disciplinare la integrale copertura dei posti previsti nelle tabelle, e cio� sia a quelle disciplinanti l'inquadramento cosiddetto orizzontale, operato sulla base della equiparazione tra le qualifiche funzionali previste per il personale della Presidenza e la posizione di stato rivestita dai dipendenti in servizio alla data di entrata in vigore della legge, sia a quelle disciplinanti l'inquadramento cosiddetto verticale, mediante avanzamento nelle aliquote di posti a ci� riservati di personale inquadrato in posizione inferiore, ma in possesso dei requisiti richiesti (parere n. 782/95 pag. 7). L'art. 38, infatti, tende ad assicurare, nella fase di impianto della nuova struttura, l'integrale copertura dei posti di organico previsti nelle tabelle allegate e le dis PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA posizioni in esso contenute, ivi comprese la riserva di aliquote di posti da conferire mediante avanzamenti ed i connessi procedimenti di copertura, devono essere considerate anch'esse come disposizioni di inquadramento e non di avanzamento, in quanto la normativa sui procedimenti ordinari di avanzamento � contenuta nell'art. 31, comma 5, per i dirigenti, e nell'art. 37, comma 3, per il restante personale (parere n. 782/95). 4. -Le considerazioni che precedono dimostrano che nel caso di specie non si � in presenza di progressione o di avanzamento in carriera, ma di inquadramento transitorio in dipendenza della prima applicazione della nuova normativa sull'organizzazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ed � con riferimento alla natura transitoria della disposizione che va risolta la questione interpretativa della locuzione adoperata dal legislatore di inquadramento �nella qualifica funzionale della carriera immediatamente superiore�. A tali fini non sembra che un ruolo decisivo possa essere riconosciuto agli artt. 161 d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 e 9 d.P.R. 28 dicembre 1970 n. 1077, �he per l'accesso alle carriere direttive prescrivevano in via generale il possesso del diploma di laurea. Infatti, lo stesso art. 161, al comma 4 prevedeva che al concorso medesimo potevano partecipare anche gli impiegati ddla carriera di concetto sprovvisti del diploma di laurea ma in possesso di una determinata qualifica e del diploma di istruzione secondaria di secondo grado e nello stesso senso disponeva l'art. 16, comma 2 del d.P.R. n. 1077 per il concorso per esami per la nomiaa a direttore di sezione o qualifiche equiparate, al quale erano ammessi a partecipare anche gli impiegati delle carriere di concetto della stessa amministrazione in possesso di una determinata qualifica e di almeno cinque anni di effettivo servizio nella qualifica, ancorch� sprovvisti del prescritto diploma di laurea. Tale disposizione, ribadita dall'art. 53 del d.P.R. 30 giugno 1972 n. 748, risulta confermata dall'art. 14 della legge 11 luglio 1990 n. 312, e dall'art. 5 comma 11 del d.P.R. 17 gennaio 1990 n. 44, secondo i quali nei pubblici concorsi la riserva relativa al personale in servizio dovr� prevedersi per coloro che siano inquadrati nella qualifica immediatamente inf~riore da almeno cinque anni ed in possesso del titolo di studio immediatamente inferiore a quello richiesto ai candidati esterni. Il contenuto precettivo di tali ultime disposizioni � stato sottolineato dalla Commissione Speciale per il pubblico impiego (parere 25 ottobre 1993 n. 303/93) proprio con riferimento al titolo di studio richiesto per la partecipazione ad un concorso pubblico a 37 posti di funzionario amministrativo (VIII qualifica funzionale) da parte del personale interno, legittimato a parteciparvi purch� in servizio da almeno cinque anni nella qualifica funzionale immediatamente inferiore e in possesso del �titolo di studio� immediatamente inferiore a quello richiesto ai candidati esterni e cio� il diploma di istruzione secondaria di secondo grado. Sembra di potere ricavare dall'analisi della richiamata normativa il principio generale, secondo il quale per il personale interno l'accesso alle varie qualifiche funzionali, ivi comprese quelle corrispondenti all'ex carriera direttiva (VII e VIII), non � precluso dall'eventuale mancanza del titolo di studio per l'accesso dall'esterno (diploma di laurea in caso di qualifiche VII e VIII), potendosi supplire a tale caren RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO-, 138 za con il possesso del titolo di studio immediatamente inferiore e con una determinata anzianit� di servizio nella qualifica immediatamente inferiore. Questa conclusione non significa consentire una progressione all'infinito senza ~J ~lcuno s~arramento11pedr. ~hi � sprohvvistohdella Iaufrea dn~ � _contradd_etta.dalla notr_ma-~ t1va per 1accesso a a mgenza, c e anc e ne 11a ase 1pnma app11caz10ne con mua f I3 a richiedere sia per il personale in servizio presso la Presidenza del Consiglio dei i Ministri (art. 38, comma 2 legge n. 400/1988) sia per il personale pubblico in gene-~ raie (art. 28, comma 9 D.Lgs. 3 febbraio 1993 n. 29), inquadrato nelle qualifiche VII e superiori, il possesso del diploma di laurea. La normativa avanti riferita, invocata dall'Avvocatura a sostegno della propria tesi, dimostra solo che il legislatore per l'accesso alla dirigenza ha ritenuto necessa-& rio prescrivere oltre ad una particolare anzianit� nelle qualifiche direttive anche il I possesso del diploma di laurea, ma non autorizza altres� la conclusione che il passaggio da una qualifica a quella immediatamente superiore della stessa carriera sia ~ subordinata al possesso da parte dell'aspirante anche del diploma di laurea. 5. -Se tali generali precisazioni sono esatte -come l'Adunanza plenaria ritiene -l'interpretazione data dal TAR dell'art. 38, comma 4 appare perfettamente coerente con il sistema normativo sopra delineato e va quindi condivisa. Il giudice di primo grado muove dalla considerazione che la norma in questione, nel prevedere l'inquadramento �anche in soprannumero e previo superamento di esame-colloquio� del personale che abbia svolto �lodevolmente mansioni superiori per almeno due anni�, non contempla espressamente l'ipotesi dell'inquadramento nella qualifica funzionale superiore a quella rivestita nell'ambito della stessa carriera, ma si riferisce alla diversa ipotesi del passaggio da una qualifica funzionale ad altra superiore che comporti anche il passaggio da una �ex carriera� ad un'altra �ex carriera�. In tale contesto interpretativo la previsione che per godere di tale beneficio il personale deve possedere il titolo di studio richiesto (nella specie il diploma di laurea) per l'accesso alla qualifica di una �carriera superiore�, la cui mancanza non pu� essere surrogata da una determinata anzianit� di servizio, non appare illogica perch� tende a rispettare, nella fase di primo impianto di un nuovo ruolo, il requisito di accesso ordinario previsto a regime, senza alcuna possibilit� di deroga. La specifica previsione sul titolo di studio non troverebbe, per�, applicazione per quelle ipotesi in cui non si verifica il passaggio ad �una qualifica funzionale della carriera immediatamente superiore� nei sensi avanti precisati, ma soltanto, e pi� limitatamente, l'attribuzione di una qualifica funzionale superiore della stessa �carriera� o �ex carriera�. Ci� perch� l'appartenenza ad una stessa qualifica funzionale comporta la piena equiparazione della condizione di stato giuridico propria di ciascun appartenente alla VII qualifica funzionale, senza alcuna distinzione tra coloro che sono in possesso del diploma di laurea e coloro che ne sono sprovvisti. A tale tesi appare riconducibile, nella sostanza, anche il parere della Commissione speciale sul pubblico impiego (n. 402/809 del 22 marzo 1989, pag. 11 punti 3.1 e 3.2), secondo cui la locuzione inquadramento �nella qualifica funzionale della carriera immediatamente superiore� deve essere interpretata nel senso che l'inquadramento pu� essere disposto anche nella qualifica non immediatamente superiore, PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA purch� non si verifichi il superamento della (qualifica corrispondente alla ex) carriera immediatamente superiore mentre dal possesso del diploma di laurea, previsto per l'inquadramento nella qualifica superiore, devono essere esclusi coloro i quali gi� appartengono a una qualifica dell'ex carriera direttiva, in quanto non sarebbe razionale escludere dall'inquadramento nella qualifica superiore (e consentirne lo scavalcamento da parte di altri soggetti) coloro i quali alla qualifica della carriera direttiva siano gi� legittimamente pervenuti (ancorch� sprovvisti del titolo di studio) sulla base di precedenti normative. La possibilit� di ottenere una qualifica anche non immediatamente superiore a quella rivestita non escluderebbe, per�, la possibilit�, di contenuto minore, di ottenere l'inquadramento nella qualifica funzionale superiore della stessa ex carriera. L'Adunanza plenaria ritiene che le considerazioni che precedono siano pienamente condivisibili e che alla loro stregua si possa affermare che la disposizione in questione contiene due principi: uno espresso, in base al quale l'interessato pu� essere inquadrato (per saltum) anche in una qualifica non immediatamente superiore e sempre ch� non si verifichi il superamento della qualifica corrispondente alla ex carriera immediatamente superiore e sia in possesso del diploma di laurea richiesto per l'accesso a tale nuova qualifica superiore; l'altro principio, inespresso ma implicito, che consente l'inquadramento del personale gi� inquadrato a pieno titolo in una qualifica della ex �Carriera� (nel caso di specie la VII) nella qualifica immediatamente superiore della stessa ex �carriera� (nella specie l'VIII), anche se sprovvisto del titolo di studio prescritto a regime (diploma di laurea). Questa conclusione appare coerente con la disciplina desumibile dall'ordinamento vigente, in quanto da un lato subordina al possesso del diploma di laurea solo l'inquadramento di coloro che accedono per la prima volta ad una delle due qualifiche corrispondenti alla ex �carriera� direttiva, e dall'altro lato consente di prescindere dal possesso del titolo di studio predetto per coloro che, invece, sono gi� inseriti nella VII qualifica funzionale (corrispondente alla ex �carriera� direttiva) ed aspirano al pi� favorevole inquadramento nella VIII qualifica funzionale della medesima ex �carriera� direttiva. Cos� interpretato l'art. 38, comma 4 della legge 23 agosto 1988 n. 400 si colloca agevolmente nell'ambito delle norme transitorie, con le quali il legislatore, nella fase di prima attribuzione di nuove qualifiche, consente al personale gi� in servizio di conseguire pi� favorevoli posizioni di stato giuridico, mediante l'espletamento di procedure selettive riservate a coloro che siano in possesso dei requisiti soggettivi ed oggettivi di volta in volta prescritti e possano vantare, altres�, lo svolgimento delle relative mansioni superiori per un periodo di tempo determinato. Il che, appunto, si verifica nella specie, in cui il pi� favorevole inquadramento del personale di cui al comma 3 dell'art. 38 � subordinato, a parte le differenze in ordine al possesso del titolo di studio, al superamento di un esame colloquio ed al lodevole esercizio delle mansioni superiori per almeno due anni, senza peraltro specificare se tale esercizio debba essere stato svolto totalmente o solo prevalentemente presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. N� vale opporre, come assume l'Avvocatura, che gli appellati non potrebbero comunque godere dell'inquadramento rivendicato, in quanto sarebbero stati inquadrati nella VII qualifica in virt� della normativa sul cd. �ricompattamento�. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO , 140 Si pu� in proposito replicare che tale tesi non considera in primo luogo che l'esclusione dall'esame colloquio � stato disposto esclusivamente per la mancanza del diploma di laurea, non surrogabile dall'anzianit� di servizio e, in secondo luogo, che l'inquadramento verticale di cui al comma 4 dell'art. 38 si applica al personale di cui al comma 3 del medesimo articolo, al personale cio� che ha gi� ottenuto l'inquadramento orizzontale, tra il quale, come non � contestato, rientrano tutti gli appellati. � appena il caso di precisare, infine, che le conclusioni qui raggiunte si possono applicare solo al personale gi� in possesso della VII qualifica funzionale corrispondente alla ex �carriera� direttiva e non anche a quel personale che, sebbene pacificamente appartenente alla ex �carriera di concetto�, sia tuttora in possesso della VII qualifica funzionale ottenuta in forza di specifica normativa. 6. -Alla luce delle considerazioni svolte gli appelli devono essere respinti. (omissis) CONSIGLIO DI STATO, sez. IV, 27 febbraio 1998 n. 350 -Pres. !annotta -Est. De Nictolis -Borini Costruzioni s.p.a. (avv. Santilli e Romanelli) c. Ministero Lavori Pubblici (avv. Stato Linguiti). Atti Amministrativi -Comunicazione dell'avvio del procedimento -Deroga Ragioni di urgenza -Non occorre. Contabilit� 'pubblica � Fermo amministrativo -Applicabilit� -Condizioni. � legittima la mancata comunicazione dell'avvio del procedimento di cui all'art. 7 della legge n. 241/90 ove sussistano esigenze di celerit� o di urgenza tali d(I non consentire la comunicazione senza che ne risulti compromesso il soddisfacimento dell'interesse pubblico cui il provvedimento � rivolto (1). Il provvedimento di fermo amministrativo, per la sua natura cautelare e provvisoria pu� essere adott�to non solo quando il diritto di credito a cautela del quale � stato disposto sia stato definitivamente accertato ma anche quando, pur essendo il credito contestato, sia ragionevole presumerne l'esistenza (2). (1) Con la decisione in esame il Consiglio di Stato torna a pronunciarsi sull'interpretazione da dare all'art. 7 della legge sul procedimento amministrativo ed in particolare, sulle deroghe individuate dalla norma all'obbligo generale di comunicazione dell'inizio del procedimento, quando vi siano ragioni derivanti da particolari esigenze di celerit� ovvero quando si tratti di provvedimenti di natura cautelare. Per la prima ipotesi (ragioni di urgenza o di celerit�), il Consiglio di Stato richiede che innanzitutto l'Amministrazione dia conto, nello stesso provvedimento per il quale la comunicazione � stata emessa, delle particolari ragioni che consentono la deroga all'obbligo generalmente stabilito dall'art. 7 ovvero, quanto meno che tali ragioni possano desumersi dal contesto fattuale sotteso al provvedimento (v. Consiglio di Stato, VI, 16 gennaio 1996 n. 98 in tema di sospensio . . PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 141 (omissis) 1. -Con il primo motivo di appello la societ� Borini, invertendo l'ordine dei motivi del ricorso di primo grado, ripropone il quarto motivo di quest'ultimo, con cui si lamentava violazione degli artt. 7 e 8 legge n. 241 del 1990, per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento. Sosteneva la Borini in prime cure che la legge n. 241 del 1990 si applica anche ai procedimenti di recupero di somme indebitamente corrisposte, e che, pur avendo l'Amministrazione facolt� di adottare provvedimenti cautelari prima della comunicazione dell'avvio del procedimento, l'esercizio di tale facolt� deve essere motivato. L'appellante censura ora la sentenza di primo grado che ha disatteso dette doglianze, osservando che per escJudere la comunicazione dell'avvio del procedimento occorre una esigenza di celerit� che sia specificamente motivata; nella specie manca sia la motivazione, sia il presupposto della urgenza, non essendovi alcun pericolo che la Borini incassasse le somme dovutele dall'Amministrazione, atteso che il pagamento delle stesse non era stato ancora disposto. ne cautelare dal servizio di un dipendente). In particolare, in Consiglio di Stato 25 marzo 1996 n. 368 viene coniata la locuzione -richiamata anche dalla decisione in commento -della c.d. �urgenza qualificata� per affermare che non basta una qualsiasi ragione di celerit� per legittimare la deroga ma occorre un'urgenza appunto, �qualificata� e cio� tale, da non consentire la previa comunicazione dell'avvio senza che ne risulti compromesso il soddisfacimento dell'interesse pubblico che il provvedimento finale � diretto a soddisfare. In altre decisioni la giurisprudenza amministrativa pone l'accento, sempre per giustificare una possibile deroga all'art. 7 della legge 241/90, e al di fuori delle eccezioni espressamente disciplinate dal primo e secondo comma, sull'utilit� in s� arrecata dalla comunicazione all'interessato dell'inizio del procedimento, giungendo ad escluderne la necessit� quando la comunicazione stessa, in relazione alle ragioni che giustificano l'adozione dell'atto ed a qualsiasi altro possibile profilo, apporti una qualche utilit� all'azione amministrativa. Ci� affinch� l'Amministrazione, sul piano del merito e della legittimit�, riceva arricchimento dalla partecipazione del destinatario al procedimento (Consiglio di Stato, V sez., 19 marzo 1996 n. 283; in senso conforme v. anche Consiglio di Stato, sez. V, 22 novembre 1991 n. 1346). Risulta pi� chiaro, in tal modo, lo scopo del Legislatore della legge 241/90 che,, col prevedere che la P.A. debba dare comunicazione dell'avvio del procedimento al destinatario, non ha inteso appesantire l'azione dei pubblici poteri bens� assecondare l'esigenza di partecipazione e di confronto tra gli interessi pubblici e quelli privati, coinvolti nell'azione amministrativa. Nel senso della illegittimit� del provvedimento finale per il caso di mancato rispetto dell'art. 7 legge 241/90 ovvero di mancata sussistenza, in concreto, delle ipotesi derogator\e di cui al primo e secondo comma della medesima disposizione, tra le tante: Cons. di Stato, sez. V, 24 febbraio 1996 n. 232; Cons. di Stato, sez. V, 2 febbraio 1996 n. 133. Nel caso in esame, l'omissione della comunicazione viene giustificata dal giudice di appello non tanto con sussistenza in concreto di particolari situazioni di urgenza di per s� individuate, quanto col fatto che il provvedimento adottato consiste in un provvedimento di natura cautelare per il quale il secondo comma dell'art. 7 stabilisce una espressa ipotesi di deroga all'obbligo generale di comunicazione. In tal caso anzi, aggiunge il Consiglio di Stato, la valutazione delle esigenze di celerit� � gi� effettuata in via preventiva dal Legislatore e dunque pu� considerarsi �in re ipsa� nell'adozione del provvedimento cautelare (v. anche Consiglio di Stato, sez. V, 29 gennaio 1996 n. 111 in tema di procedimento elettorale). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 142 1.1. -La censura � infondata. La comunicazione dell'awio del procedimento di cui all'art. 7 legge n. 241 del 1990 pu� essere omessa ove vi siano esigenze di urgenza o di celerit� tali da non consentire la comunicazione di inizio del procedimento senza che risulti compromesso il soddisfacimento dell'interesse pubblico cui il provvedimento � rivolto; lo stesso art. 7 legge n. 241 del 1990, oltre a consentire l'omissione della comunicazione dell'avvio del procedimento ove ricorrano ragioni di urgenza, prevede che anche prima di detta comunicazione possano essere adottati provvedimenti cautelari. In relazione a questi ultimi, l'urgenza � pertanto in re ipsa, per espresso riconoscimento legislativo, di talch� l'omissione della comunicazione di avvio del procedimento in relazione ai provvedimenti cautelari non necessita di specifica motivazione, come invece preteso dalla ricorrente. N� appaiono convincenti gli argomenti addotti dalla ricorrente per dimostrare che nella specie non vi erano ragioni di urgenza che giustificassero l'omissione della comunicazione dell'avvio del procedimento. In particolare, la circostanza che il pagamento delle somme dovute alla Borini doveva essere disposto dall' Amministrazione, di talch� non vi era il pericolo che la societ� le incassasse di sua iniziativa, non esclude che in difetto di un provvedimento di fermo l'Amministrazione fosse obbligata a disporre tempestivamente il pagamento di quanto dovuto, pena la propria responsabilit�, nelle diverse sedi, per tardivo adempimento. Onde la necessit�, per sottrarsi al pagamento del dovuto, di disporre con la massima celerit� il fermo amministrativo delle somme dovute. Va, in conclusione, respinto il primo motivo di appello. (omissis). 2.3. -Come ha gi� fatto il giudice di primo grado, occorre ribadire quali sono i presupposti di legittimit� del fermo amministrativo, che � provvedimento di autotu( 2) Con la seconda massima si riafferma la natura giuridica del fermo amministrativo configurato, anche in dottrina, quale misura cautelare offerta ali' Amministrazione allo scopo di consentirle in maniera rapida ed efficace di conservare le garanzie in ordine a crediti non ancora esigibili e per i quali, dunque, allo stato non sia possibile agire con le ordinarie procedure di autotutela. Sui caratteri dell'istituto, in generale: BENNATI, Manuale di contabilit� di Stato, XII, 1990, 521 e ss. � Come gi� affermato in altre decisioni dalla giurisprudenza anche di merito (T.A.R. Lazio, 14 marzo 1990, sez. III, 410) il Consiglio di Stato ne amplia il possibile ambito di applicazione, esteso non solo alle situazioni in cui pur essendo il credito accertato non ne sia consentita la satisfattibilit� attuale (trattandosi, per esempio, di credito sottoposto a condizione o a termine ovvero non ancora quantificato nel suo esatto ammontare), ma anche a tutte le ipotesi in cui sia in contestazione la stessa sussistenza del credito, purch� ovviamente -trattandosi di strumento unilaterale offerto ali' Amministrazione creditrice -appaia ragionevole ritenere, in relazione alle concrete circostanze di fatto, che il credito possa comunque venire ad esistenza e se ne prospetti una non agevole realizzazione (sulla base di tale criterio di �ragionevolezza� nel venire in essere del credito, il giudice di appello ha ritenuto la legittimit� del fermo adottato dall'Amministrazione a garanzia del recupero delle somme erogate indebitamente a titolo di revisione prezzi sulla base dell'affermata nullit� della clausola revisionale contenuta in un atto aggiuntivo al contratto originario, per contrasto con il divieto di revisione prezzi di cui all'art. 33 legge n. 41del1996, come novellato dall'art. 3 d.!. n. 333 del 1992. P.P PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 143 tela cautelare (C.d.S., VI, 8 marzo 1996, n. 375; T.A.R. Lazio, III, 14 marzo 1990, n. 410), che, proprio per la sua natura cautelare, e intrinsecamente provvisoria, pu� essere adottato non solo quando il diritto di credito a cautela del quale � disposto sia gi� definitivamente accertato, ma anche quando il credito sia contestato, ma sia ragionevole ritenerne l'esistenza, posto che suo presupposto normativo � la mera �ragione di credito�, e non la provata esistenza del credito stesso (art. 69 R.D. 18 dicembre 1923, n. 2240). Nel valutare la legittimit� o meno del fermo, pertanto, il giudice amministrativo non deve accertare se il credito a cautela del quale � stato disposto sia effettivamente esistente, ma solo se � ragionevole, da parte dell'Amministrazione, supporne l'esistenza. (omissis) CONSIGLIO DI STATO, sez. IV, ordinanza 19 maggio 1998, n. 814 -Pres. Pezzana -Rei. Santoro -Soc. Fagioli S.P.A. (avv. Cerruti e R. Izzo) c. Saima Avandero (avv. Lucisano, Robaldo, Scarpa, Sandulli P.) e nei confronti Ministero Difesa ( avv. Stato Palmieri G.) Giustizia amministrativa -Appalto servizi pubblici -Provvedimenti d'urgenza -Art. 700 c.p.c. -Inammissibilit�. (art. 700 c.p.c.; art. 21 legge 6 dicembre 1971, n. 1034). Il decreto di sospensione dell'aggiudicazione della gara per l'appalto del servizio di spedizione/trasporto da e per l'estero di materiali delle Forze Armate, emanato inaudita altera parte dal Presidente della III Sezione del TAR Lombardia, ex art. 700 c.p.c., � affetto da nullit� assoluta, come pure gli atti direttamente conseguenziali, perch� emesso da un soggetto non investito di potere giurisdizionale e con indebita sottrazione all'Amministrazione del diritto di difesa riconosciuto nel procedimento cautelare tipico del giudizio amministrativo (1). (omissis) Il Collegio ritie:ae di dovere condividere l'ordinanza della V Sezione del Consiglio di Stato n. 781 del 28 aprile 1998, resa in un caso identico -quanto alla questione in rito -a quello in esame. (1) L'ordinanza rappresenta la prima pronuncia resa sulla questione dalla IV Sezione del Consiglio di Stato e la prima in cui parte del giudizio sia una Amministrazione statale. Come precisato dallo stesso Collegio, la decisione non si discosta dall'analogo precedente della V Sezione, costituito dalla ordinanza in data 28 aprile 1998, n. 781. Il Presidente della III Sezione del TAR Lombardia ha emesso una serie di decreti inaudita altera parte, ritenendo applicabile l'art. 700 c.p.c. nel processo amministrativo, correlandone efficacia alla successiva notifica del ricorso giurisdizionale amministrativo ed alla fissazione della camera di consiglio nella quale esaminare in sede collegiale l'istanza cautelare articolata con il ricorso stesso (per un precedente nel quale non � presente come parte del giudizio una Amministrazione dello Stato, cfr., TAR Lombardia, sez. III, decreto 14 novembre 1997, n. 758, in Foro It., 1998, III, 174). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 144 In particolare il Collegio osserva quanto segue: -nell'ordinamento vigente il potere decisorio non compete al presidente degli organi giurisdizionali amministrativi, bens� al Collegio del quale egli fa parte; -l'azione cautelare prevista dagli artt. 700 e segg. c.p.c. non � esperibile davanti al giudice amministrativo, il quale emana i provvedimenti urgenti secondo la disciplina posta dall'art. 21 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034; -n� l'applicazione dell'art. 700 c.p.c. � giustificata da quanto statuito dalla Corte Costituzionale nella sentenza del 27 giugno 1985, n. 190, posto che: a) la questione dedotta in giudizio concerne, nella parte in cui rientra nella sfera di cognizione del giudice amministrativo, una posizione soggettiva di interesse legit- Brevi osservazioni in tema di tutela cautelare ex art. 700 C.P.C. nel processo amministrativo 1. -I limiti di applicabilit� dell'art. 700 c.p. c. Il decreto presidenziale annullato dal Consiglio di Stato con l'ordinanza che si annota �, in effetti, censurabile sotto vari aspetti. Innanzitutto, perch� � stato emesso al di fuori delle ipotesi nelle quali in linea di principio � consentito l'utilizzo dello strumento del ricorso ex art. 700 c.p.c. anche nel processo amministrativo. L'intervento della Corte Costituzionale, con la nota sentenza interpretativa di accoglimento in data 28 giugno 1985, n. 190 (in Giur. It., 1985, I, 1, 1297; in Foro It., 1985, I, 1881, con nota di A. PROTO PISANI, Rilevanza costituzionale del principio secondo cui la durata del processo non deve andare a danno dell'attore che ha ragione; ibidem, 2491, con nota di A. ROMANO, Tutela cautelare nel processo amministrativo e giurisdizione di merito), �, senza dubbio, ampliativo dei poteri riconosciuti al giudice amministrativo, ma � circoscritto alla materia dei diritti soggettivi collegati al rapporto di pubblico impiego ed a quel particolare ambito di giurisdizione esclusiva. La giurisprudenza della Corte di Cassazione, argomentando da tale pronuncia, si �, perci�, costantemente orientata nel senso di ritenere che al giudice amministrativo non competa un potere cautelare ex art. 700 c.p.c. al di fuori dell'ipotesi chiaramente individuata dalla Corte Costituzionale (S.U., 1 dicembre 1994, n. 10240, in Rep. Foro Jt., 1994, voce Provv. d'urgenza, n. 52; id., 10 ottobre 1994, n. 8276, ibidem, n. 40; id., 14 febbraio 1994, n. 1435, ibidem, n. 41; id., 5 marzo 1993, n. 2670, in Gi�r. Jt., 1994, I, 1, 774; Cass., 9 dicembre 1985, n. 6192 e 6193, in Rep. Foro It., 1985, voce Provv. d'urgenza, n. 28 e 29). In base a tale orientamento, infatti, l'art. 700 non introduce deroghe ai principi generali in tema di riparto di giurisdizione ed in tal senso si � espressa anche la Corte Costituzionale con l'ordinanza 12 luglio 1995, n. 348; avendo gi� ribadito, con la sentenza 8 aprile 1991, n. 175, i limiti di efficacia circoscritta all'ambito delle controversie patrimoniali in materia di pubblico impiego della sentenza n. 190/85 cit. In dottrina (M. NIGRO, L'art. 700 conquista anche il processo amministrativo, in Giur. It., 1985, I, 1, 1297) � stato autorevolmente rilevato che con la soluzione prescelta dalla Corte (integrare l'art. 21, ultimo comma, legge n. 1034/71 cit., con il contenuto dell'art. 700 c.p.c.), non � l'art. 700 ad applicarsi ex se al processo amministrativo, ma la norma che la Corte �ha estratto dall'art. 700, ha incollato sull'art. 21 e quindi inserito nel corpo dell'ordinamento processuale�. Inoltre, va sottolineato che, se una evoluzione normativo-costituzionale ad effetto dirompente era stata ipotizzata dalla dottrina in sede di lettura critica della sentenza n. 190/85 cit., tale evoluzione non si �, poi, verificata nel sistema e la.stessa Corte non ha avuto pi� occasione di intervenire in materia non essendone stata in proposito richiesta, ci� � dovuto anche al fatto che PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 145 timo; b) la predetta pronunzia della Corte Costituzionale non implica deroghe alla disciplina di cui al citato art. 21 della legge n. 1034 del 1971, salvo che per l'ampliamento dei poteri decisori del tribunale amministrativo regionale in materia di provvedimenti urgenti; -l'art. 2 della direttiva C.E.E. 21 dicembre 1989, n. 655, citata nel decreto impugnato, non attribuisce poteri giurisdizionali al presidente dell'organo giurisdizionale amministrativo. Inoltre l'art. 1 della stessa direttiva demanda gli stati membri di determinare le modalit� per l'accesso alla tutela giurisdizionale (comma 3), onde, anche per questa ragione, non sussistono i presupposti per la sua diretta applicabilit� nel senso di cui al decreto impugnato; -il richiamo alla citata direttiva C.E.E. n. 655/1989 � improprio anche perch� la specifica procedura stabilita dall'art. 21 della legge n. 1034 del 1971 non pregiu l'evoluzione si � attuata in senso sostanziale nell'ambito dell'orientamento per cos� dire pretorio della giurisprudenza amministrativa, che ha trovato nel proprio interno e nell'ambito del proprio sistema processuale la soluzione sostanziale e la connessa estensione dei propri poteri di intervento; senza necessit� di amplificare l'utilizzo del meccanismo processuale di cui all'art. 700 (cfr., F. LUBRANO, Il giudizio cautelare amministrativo,1997, Collana di studi di diritto amministrativo della Repubblica Italiana, 61 e ss.). 2. -La sussidiariet� della tutela cautelare ex art. 700 c.p.c. Inoltre, per chiara dizione normativa e costante interpretazione giurisprudenziale e dottrinale, la tutela cautelare prevista dall'art. 700 assume valore meramente residuale e sussidiario. Non vi � dubbio che la societ� appellata poteva giovarsi della misura cautelare specifica prevista dall'ordinamento per il processo amministrativo. Nel caso di specie, il potere cautelare normativamente previsto e spettante al giudice amministrativo in veste collegiale (ulteriore vizio del decreto presidenziale emesso in veste di giudice monocratico riconosciuto dal giudice d'appello) poteva essere efficacemente esercitato e fornire ogni tutela all'interesse -che si assumeva leso -dell'istante. 3. -Il principio del contraddittorio Altro profilo rilevante sottolineato dal giudice d'appello attiene alla violazione -con la emissione del decreto de quo -del principio generale del contraddittorio e, quindi, del diritto alla difesa dell'Amministrazione, costituzionalmente garantito a tutte le parti del processo senza distinzione alcuna. Nella giurisprudenza amministrativa pu� dirsi ormai consolidato l'orientamento che ritiene necessaria la completezza del contraddittorio fra le parti anche ai fini della pronuncia cautelare come condizione formale indefettibile per la trattazione della domanda cautelare stessa. Tale indirizzo � pienamente coerente con la progressiva evoluzione dell'istituto cautelare, nel senso che l'autonomia del processo cautelare, inizialmente espressa con il principio del doppio grado, si � completata con l'elemento necessario del contraddittorio, che non assume rilievo sola mente formale, ma � coerente con i principi generali propri del processo amministrativo, anche alla luce della rilevanza che assume nel grado d'appello di merito (cfr., F. LuBRANO, op. cit., 68). In punto di fatto, poi, la motivazione che sorregge la scelta di emettere il decreto impugna to inaudita altera parte � quanto meno singolare solo se si consideri che incontestabilmente il giudice del processo amministrativo cautelare nella sua composizione collegiale ha a disposizio ne strumenti pi� che idonei ad assicurare, nel contempo, la trattazione dell'istanza cautelare ed il rispetto del principio del contraddittorio. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 146 dica di per s�, tenuto conto della natura del danno che la parte ricorrente in primo grado intende neutralizzare, la compiutezza e l'efficacia della tutela cautelare; -per la stessa ragione � improprio anche il richiamo fatto nel decreto impugnato agli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti del1 'uomo e delle libert� fondamentali, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848. Dalle considerazioni esposte consegue che: -il decreto impugnato � stato emesso da un soggetto non investito di potere giurisdizionale e con indebita sottrazione all'amministrazione del diritto di difesa riconosciuto nel procedimento cautelare tipico del giudizio amministrativo; -per il suo carattere abnorme il decreto, pur adottato ai sensi dell'art. 700 c.p.c., � impugnabile davanti a questo Consiglio, anche alla stregua dell'indirizzo giurisprudenziale che riconosce l'appellabilit� delle misure cautelari. Basta ricordare che il Presidente del TAR pu� emettere anche il provvedimento di abbrefil I I ~' viazione dei termini per la discussione in camera di consiglio unita ad una sospensione dell'atto impugnato, temporanea e a carattere esclusivamente strumentale, finalizzata allo scopo di adottare il provvedimento cautelare nella sede collegiale propria del processo amministrativo, fino alla udienza camerale stessa, indicata gi� in calce al ricorso. [: In definitiva non era necessario emanare un decreto in veste di giudice monocratico ed ille' gittimamente ancorato ad un evento dipendente dalla mera volont� dell'istante (proposizione del ricorso giurisdizionale e contestuale domanda incidentale) e collegato ad una pronuncia collegia. I le del TAR senza prefissione della relativa data e, quindi, senza che sia assicurata -neanche suci:~ cessivamente -l'integrit� del contraddittorio. Ifil L'Amministrazione non � stata in alcun modo posta in grado di esercitare il diritto alla difesa nel suo contenuto minimale, poich� nella fase di discussione in camera di consiglio non � stata in condizione di conoscere neanche il contenuto del ricorso ex art. 700; n� vi � alcuna certezza che un ricorso giurisdizionale amministrativo sar� mai proposto dalla societ� istante, che pure ~ f,: beneficia di un provvedimento cautelare. I ~ ~ Non si tratta, perci�, di combattere una battaglia di retroguardia per sottrarre l'Amministra zione all'esercizio dell'aziqne cautelare da parte del privato, ma di stabilire l'equilibrio dei diritti di difesa anche della parte pubblica, nell'ottica di assicurare la sostanziale uguaglianza di tutte le parti processuali. 4. -L'impugnabilit� del decreto presidenziale emesso ex art. 700 Il Consiglio di Stato si � soffermato su tale aspetto, ritenendo che, per il suo carattere abnorme, il decreto, pur adottato ex art. 700 c.p.c., sia impugnabile dinnanzi al Consiglio, anche alla I stregua dell'indirizzo giurisprudenziale che riconosce l'appellabilit� delle misure cautelari. ~ Avverso il decreto in questione non �, perci�, proponibile il reclamo espressamente previsto ~ dall'art. 669 terdecies c.p.c. contro i provvedimenti cautelari. ~ ~ L'orientamento assunto dal Consiglio di Stato accoglie la tesi sostenuta nell'interesse del f: !'Amministrazione della Difesa coerentemente al quadro normativo di riferimento. t1 Infatti, il decreto � solo formalmente riconducibile all'alveo del procedimento ex art. 700 c.p.c., pi� che altro per effetto del richiamo alla norma stessa in esso contenuto; mentre si tratta, ' ~ f pi� precisamente, di un provvedimento cautelare atipico che non si colloca sic et simpliciter nelbinario comunque tracciato dalla �legge processuale comune�, soprattutto dopo la riforma attua~ ta con la legge n. 353/90. I PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 147 P.Q.M. Accoglie l'appello e, per l'effetto, dichiara la nullit� assoluta dell'impugnato decreto del presidente della sezione III del tribunale amministrativo regionale della Lombardia nonch� degli atti direttamente conseguenziali, e l'inammissibilit� del ricorso proposto ai sensi dell'art. 700 c.p.c. (omissis) CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, 28 gennaio 1998 n. 114 -Pres. de Rqberto -Est. Salvatore -Societ� T.I. S.r.l. (avv. Guarino, Mercuri e Brancaccio) c. Ministero per i beni culturali ed ambientali (avv. Stato Ferri), Regione Campania, Comune di Vietri sul mare (avv. Amorosino e Lanocita) -int. Legambiente (avv. Zoppis e Furlanetto) e Ass. Albergatori di Salerno ( avv. Marenghi). Concessione edilizia -Annullamento -Domanda in sanatoria -Parere regionale -Annullamento ministeriale -Termine perentorio -Decorrenza -Per errata valutazione difformit� opera ed omessa valutazione della compatibilit� ambientale � Legittimit�. (art. 32, legge 28 febbraio 1985 n. 47; art. 82, comma 9, d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616). Il decreto assume il connotato sostanziale di ordinanza cautelare pur se emessa al di fuori dei poteri processualmente spettanti al Presidente della Sezione, nel caso oltretutto territorialmente incompetente, (ed � questa la chiave di lettura dell'aggettivo �abnorme� adoperato dal Consiglio di Stato) ed �, perci�, impugnabile secondo le regole dell'appello in fase cautelare, cos� come creato dalla giurisprudenza amministrativa e non pu� che essere �a rime obbligate�. 5. -Il riferimento al diritto comunitario Correttamente il giudice d'appello si sofferma a confutare le argomentazioni svolte dalla societ� istante e dirette a sostenere la tesi di una tutela cautelare ex art. 700 c.p.c. giustificata dalla Direttiva-comunitaria n. 89/665/CE e dalla Convenzione Europea dei diritti dell'uomo resa esecutiva dalla legge n. 848/55. Anche un osservatore superficiale avr�, infatti, notato come la lentezza dei tempi del processo sia diventato un problema di portata non solo nazionale, ma che sta, purtroppo, emergendo prepotentemente a livello di istituzioni europee, sulle quali si sta riversando un gran numero di ricorsi proposti da cittadini italiani. Il richiamo alla direttiva in questione non appare comunque, pertinente, poich� essa, oltre a non avere immediata applicazione nell'ordinamento interno, non contrasta con le norme di diritto interno che disciplinano la tutela cautelare tipica in materia. Peraltro, la direttiva stessa prescrive espressamente che �le procedure di ricorso non devono necessariamente esercitare di per se stesse effetti sospensivi automatici sulle procedure di aggiudicazione cui si riferiscono�. In definitiva, esiste gi� nell'ambito del processo amministrativo una realt� operativa che, come gi� detto, pu� assicurare l'effettivit� e la tempestivit� della tutela degli interessi dell' istante, nel rispetto del principio del contraddittorio, non solo nella fase cautelare, ma anche in quella di merito, ad esempio, attraverso il meccanismo delle c.d. decisioni in forma abbreviata. GABRIELLA PALMIER� ,,���,,,,.,.,����,.,,,����,,�� RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO . 148 Il parere regionale previsto dall'art. 32 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 � atto vincolante di volizione e non di opinione con natura e funzioni identiche all 'autorizzazione ex art. 7 della legge n. 1497/1939 e, pertanto, sottoposto all'intervento del Ministro per i beni culturali ed ambientali in via sostitutiva o repressiva di cui all'art. 82, nono comma, d.P.R. 24luglio1977 n. 616(1). Il termine perentorio di sessanta giorni per l'esercizio del potere di annullamento ministeriale decorre non dalla semplice comunicazione del parere favorevole espresso dall'autorit� regionale ma dalla trasmissione della documentazione tecnico- amministrativa, normalmente contestuale alla prima, sulla cui base il parere � stato formulato (2). E legittimo l'annullamento da parte del Ministero del parere favorevole alla concessione in sanatoria, ove esso risulti emesso sull'errato presupposto della parziale e non totale difformit� dell'opera e non contenga un giudizio sulla compatibilit� del manufatto con il globale contesto ambientale (3). (omissis) 1. -Con il primo motivo di appello viene riproposta la censura, gi� dedotta con il terzo motivo dell'atto introduttivo e disattesa dal giudice di primo grado, di violazione dell'art. 82, comma 9 d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616 (nel testo modificato dall'art. 1 della legge 8 agosto 1985 n. 431), dell'art. 12 della legge 13 marzo 1988 n. 68, e dell'art. 32 della legge del 28 febbraio 1985 n. 47. Si assume che in base alle norme richiamate il Ministro non avrebbe il potere di annullare il parere favorevole espresso ai fini della concessione edilizia in sanatoria a norma dell'art. 32 della legge n. 47 del 1985 per le seguenti considerazioni. Sotto un profilo testuale si osserva che l'art. 82, comma 9 d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616 (nel testo modificato dall'art. 1 della legge 8 agosto 1985 n. 431) disciplina il potere del Ministro per i beni culturali ed ambientali di annullare, entro sessanta giorni dalla relativa comunicazione, l'autorizzazione paesaggistica di cui all'art. 7 della legge 29 giugno 1939 n. 1497, ma non riguarda il caso, che ricorre nella specie, del parere favorevole di cui all'art. 32 della legge del 28 febbraio 1985 n. 47, norn:ia che non contiene alcuna previsione in ordine ad un preteso potere ministeriale di annullamento del parere favorevole, una volta che questo sia stato rilasciato. (1) La decisione, di grande rilievo a causa del considerevole interesse paesistico coinvolto, stabilisce un importante principio quanto alla natura autoritativa del �parere� regionale previsto dall'art. 32 della legge 28 febbraio 1985 n. 47. ! Essa si conforma al precedente citato in sentenza, costituito dalla pronuncia della stessa Sez. ! VI del 6 aprile 1987 n. 241, in Consiglio di Stato, 1987, I, 591. L'identica natura del parere ex art. 32 della legge n. 47 del 1985 e del nulla-osta ex art. 7 della legge 29 giugno 1939 n. 1497 viene ricondotta sia alla identicit� di funzione, consistente nella costituzione di un imprescindibile presupposto ai fini del successivo assentimento della concessione, sia alla specifica previsione normativa (art. 1 legge 13 marzo 1988 n. 68) secondo cui il parere prescritto dall'art. 32 della legge I 47 � reso ai sensi dell'art. 82, nono comma d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616. D'altra parte, la delega (e non attribuzione) alle regioni operata dall'art. 82 del d.P.R. 616 I nella materia della tutela del paesaggio, oltre che comportare la natura autoritativa e non solo con- I i I PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 149 La diversa terminologia usata dal legislatore (autorizzazione, parere favorevole) deriverebbe in primo luogo dal fatto che il potere di annullamento ad opera di un soggetto amministrativo diverso da quello che ha emanato l'atto (etero-annullamento) ha carattere eccezionale e straordinario e non pu� trovare applicazione fuori dei casi espressamente previsti dalla norma, specie ove l'atto da annullare provenga da soggetto, quale � la Regione, a rilevanza costituzionale, e, in secondo luogo, dalla distinta ratio alla quale rispondono i due istituti. Difatti, mentre l'autorizzazione ex art. 7 legge n. 1497 del 1939 � preventiva e si limita a rimuovere un limite dell'ordinamento che impedisce, in sua assenza, la realizzazione dell'opera progettata, il parere di cui all'art. 32 legge n. 47 del 1985 � successivo, presuppone un'opera abusiva gi� realizzata ed ha lo scopo di rendere possibile la sua sanatoria, che costituisce l'interesse fondamentale perseguito dalla legge cd. sul condono edilizio. Da qui la conclusione che mentre � perfettamente accettabile che un potere di ulteriore riesame (annullamento) sia previsto per l'autorizzazione, non altrettanto pu� dirsi per il parere, anche perch� l'interesse pubblico a che non vengano realizzate nuove costruzioni confliggenti con la tutela dei valori paesaggistici � pi� intenso rispetto a quello di consentire o negare il condono di abusi �dilizi preesistenti e, quindi, di demolire costruzioni gi� esistenti e in fatto consolidate. Si sottolinea ancora che il �parere�, diversamente dall'autorizzazione, non �chiude� un procedimento e neppure un sub-procedimento, bens� si inserisce in essi, essendo destinato ad essere �assorbito� dal provvedimento finale (che, nella disciplina del condono, � la concessione edilizia in sanatoria emanata dal Sindaco) e il nostro ordinamento non consente �annullamenti ex officio� di pareri. Oltre tutto, se il parere rappresenta una manifestazione di opinione rispetto ad un determinato oggetto, frutto -pi� che di discrezionalit� -di giudizio soggettivo, con esso si concilierebbe un sindacato di merito e non un sindacato di legittimit�, che invece � il solo consentito al Ministro per i beni culturali ed ambientali. Ulteriore argomento a sostegno della tesi sostenuta viene rinvenuto nel fatto che, sebbene espresso dalla Regione, in realt� in Campania, come in molte altre regioni, il parere ex art. 32 della legge n. 47 del 1985 � stato sub-delegato ai Comu sultiva dei relativi atti regionali, presuppone in tutti i casi l'esercizio dei poteri sostitutivi statali, seppure ispirati al principio della �leale cooperazione� ( cfr. Corte Costituzionale, sentenza 27 giugno 1986 n. 151, in Giur. Cast. 1986, I, 1010 con osservazioni di ANzoN, sentenza 21 dicembre 1985 n. 359, in Giur. Cast. I, 2522. Particolare rilievo in materia assumono le sente.nze della stessa Corte Cost. n. 151, 152 e 153 del 1986). Sulla analogia tra la funzione di tutela paesistica esercitata tramite una valutazione postuma sulla compatibilit� dell'opera ex art. 32 legge n. 47 e la richiesta di autorizzazione ex art. 7 legge 1497/39, v. ALIBRANDI -FERRI, <<I beni culturali e ambientali�, Milano, 1995, 618. (2) Consolidata � la giurisprudenza sulla perentoriet� del termine di 60 giorni previsto dall'art. 82, nono comma del d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616 come modificato dall'art. 1 della legge 8 agosto 1985 n. 431, decorrente dalla data di ricezione dell'autorizzazione da parte del Ministro competente (Cons. St., sez. VI, 9 novembre 1994 n. 1594). Al fine del rispetto del termine, viene in rilievo il solo esercizio del potere di annullamento, con esclusione di successive comunicazioni o notificazioni (Cons. St., sez. VI, 25 luglio 1994, n. 1267; Cons. St., sez. VI, 12 maggio 1994 n. 772). (3) La giurisprudenza maturata specie in tema di annullamento di autorizzazione regionale prevista dall'art. 7 della legge n. 1497/1939, tutta orientata nel senso della necessit� di congrua RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAT�� � 150 ni, per cui, in mancanza di qualsiasi disciplina al riguardo, il nulla osta paesaggistico e il parere rilasciati dagli enti sub-delegati non sarebbero suscettibili di essere annullati dal Ministero, in quanto il relativo potere � concesso dall'art. 82, comma 9 d.P.R. n. 616 del 1977 solo nei confronti dell'autorizzazione regionale. Tali conclusioni non troverebbero ostacolo nell'art. 1 della legge 13 marzo 1988 n. 68, secondo cui �per le aree soggette al vincolo paesistico ai sensi della legge 29 giugno 1939 n. 1497 e successive modificazioni e del D.L. 27 giugno 1985 n. 312, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985 n. 431, il parere prescritto dall'art. 32 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 � reso ai sensi del nono comma dell'art. 82 del d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, come modificato dal citato D.L. 27 giugno 1985 n. 312...�. Tale norma si limiterebbe ad individuare il soggetto chiamato a rendere il parere di cui all'art. 32 citato e non comprenderebbe necessariamente anche il resto della disciplina ed in particolare l'eccezionale potere di annullamento del Ministro: si tratterebbe cio� di norma meramente attributiva di competenza. N� sarebbero decisivi i richiami operati dal Tribunale amministrativo regionale alla giurisprudenza costituzionale circa la necessaria concorrenza e partecipazione tra competenze statali e regionale in materia di tutela paesaggistica, giacch� esse atterrebbero in modo specifico alla tutela paesistica mentre nel caso in esame si verte nel campo urbanistico-edilizio, dove non potrebbe essere considerata illogica la decisione del legislatore di lasciare alla sola Regione la competenza ad emettere ~ il parere di conformit�. ijfa Il che sarebbe confermato anche dal fatto che il potere ministeriale di annulla ~~ mento dell'autorizzazione si inserisce in un meccanismo nel quale lo Stato non ha t~ @ @ operato una delega in toto alla Regione, in quanto, ai sensi del nono comma dell'art. f:-: 82, se la Regione non provvede entro un certo termine sulla richiesta di autorizza~~ zione, il potere si trasferisce al Ministro. Viceversa, nella disciplina del condono, il I potere in ordine al rilascio del parere � attribuito alla esclusiva competenza della Regione, alla cui eventuale inerzia nel termine stabilito non � collegato l'intervento . , sostitutivo del Ministro bens� la formazione del silenzio-rifiuto. .. 1.1. -Il Collegio ritiene che la tesi dell'appellante, prima ampiamente richia. mata, non possa essere condivisa e debbano, pertanto, confermarsi le considerazioI. ni svolte dal giudice di _primo grado a sostegno del rigetto del motivo di ricorso. I[ , motivazione del provvedimento repressivo, � divisa quanto ai motivi per i quali il Ministero possa esercitare il relativo potere. Mentre, infatti, i TAR sono inclini ad ammettere un sindacato esteso Ial merito dell'incompatibilit� da parte dell'amministrazione statale in chiave compartecipativa (TAR Puglia, sez. Lecce, 21giugno1993, n. 520; TAR Lombardia, sez. II, 2 maggio 1994, n. 289; TAR Calabria, 21 dicembre 1993, n. 1084; TAR Campania, 26 febbraio 1991, n. 23), la giurisprudenza, pi� rigorosa, del Consiglio di Stato tende a circoscrivere il potere ministeriale alla sola verifica di legittimit� del nulla osta regionale, facendolo risalire al generale potere statale di vigi m lanza nell'esercizio di funzioni delegate alle regioni in materia di gestione del vincolo ed esclu I. de un riesame del merito della valutazione tecnico-discrezionale di compatibilit� ambientale. A i: quest'ultima si conforma la sentenza in esame, ove � giudicato legittimo l'esercizio del potere ~ i: I ~:repressivo in presenza di sicuri motivi di illegittimit� del parere (errata valutazione dei presupposti di fatto ed omessa motivazione su di un elemento essenziale quale la compatibilit� del manufatto con la tutela dell'ambiente). F.Q. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA Giova, in proposito, osservare che la Sezione con decisione n. 241 del 6 aprile 1987 ha avuto modo di occuparsi della natura del �parere� previsto dalla legge 28 febbraio 1985 n. 47 sul condono edilizio (l'art. 32 di detta legge subordina la concessione o l'autorizzazione in sanatoria, per opere eseguite su aree sottoposte a vincoli �al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso�), chiarendo che esso, al di l� dall'imprecisa terminologia usata, � un atto vincolante, il quale esprime il consenso o il dissenso di autorit�, diverse da quelle operanti in materia urbanistica, la cui individuazione va operata alla stregua delle disposizioni che, nelle varie materie, indicano l'organo competente al rilascio di nulla-osta o autorizzazioni. In tale occasione si � avuto modo di precisare che -dovendo per le aree soggette a vincolo paesistico trovare applicazione la disciplina dettata dalla legge 8 agosto 1985 n. 431, la quale, modificando l'art. 82 del d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, conferma la delega alle regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative statali per la protezione delle bellezze naturali �per quanto attiene alla loro individuazione, alla loro tutela e alle relative sanzioni -l'autorizzazione ex art. 7 legge n. 1497 del 1939 rientra nel potere delle regioni. Si � per� subito sottolineato che restano salve le misure (di sostituzione in caso di inerzia e di annullamento in caso di autorizzazione illegittima) la cui adozione � riservata al Ministro per i beni culturali ed ambientali. A tale conclusione si � pervenuto nella considerazione che tali misure sono astrattamente compatibili con la disciplina particolare del �parere� vincolante inserito nel procedimento di sanatoria degli abusi edilizi, anche se la norma attribuisce al silenzio protrattosi per pi� di 180 giorni dalla domanda il significato di parere negativo. Ci� in quanto l'intervento del Ministro in via sostitutiva o repressiva, infatti, pu� avvenire in concreto prima di 180 giorni dalla domanda, posto che il termine dato alla regione per provvedere � di soli sessanta giorni. Le riferite precisazioni dimostrano che il parere vincolante di cui all'art. 32 legge n. 47/85 in realt� � un atto di volizione e non di opinione, ha cio� natura e funzioni identiche all'autorizzazione ex art. 7 legge n. 1497 del 1939: entrambi detti atti, nei procedimenti nei quali si inseriscono -di rilascio della concessione edilizia ordinaria ovvero in sanatoria -svolgono sempre la stessa funzione di presupposto per l'assentimento del titolo che legittima la trasformazione urbanistico-edilizia. In ogni caso, si deve sottoiineare che ogni dubbio � stato risolto dall'art. 1 della legge 13 marzo 1988 n. 68, secondo cui �per le aree soggette al vincolo paesistico ai sensi della legge 29 giugno 1939 n. 1497 e successive modificazioni e del D.L. 27 giugno 1985 n. 312, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985 n. 431, il parere prescritto dall'art. 32 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 � reso ai sensi del nono comma dell'art. 82 del d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, come modificato dal citato D.L. 27 giugno 1985 n. 312 ... �. Contrariamente a quanto sostenuto dall'appellante il rinvio operato da tale norma al nono comma dell'art. 82 non pu� essere limitato all'individuazione del soggetto chiamato ad esprimere il parere di cui all'art. 32 citato, ma comprende anche la restante disciplina ed in particolare il potere di annullamento del Ministro dei pareri favorevoli rilasciati dalle regioni o dagli enti sub-delegati. Sotto il profilo funzionale il parere ex art. 32 � assimilabile all'autorizzazione paesaggistica intesa come strumento di gestione del vincolo, per cui l'annullamento RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 152 , ministeriale, posto ad estrema difesa del vincolo, non pu� non comprendere anche la valutazione di compatibilit� paesistica da effettuare in sede di condono edilizio. Il modello prescelto dal legislatore nazionale con la legge n. 431 del 1985 per la realizzazione di un valore primario, quale quello del paesaggio, espressamente previsto dalla Costituzione (art. 9, comma 2), � caratterizzato da un rapporto di concorrenza fra competenze statali e competenze regionali, improntato nel loro svolgimento al principio di leale collaborazione. Tale modello di gestione del �paesaggio� I deve trovare applicazione anche in sede di attuazione della legge sul condono edilizio, essendo evidente che pure in tale ipotesi deve essere valutata la compatibilit� della res abusiva con le esigenze di salvaguardia del vincolo. N� l'intervento dell'amministrazione statale viene meno per il fatto che molte regioni, fra le quali anche la Regione Campania, abbiano sub-delegato l'esercizio delle relative funzioni delegate ai minori enti locali, essendo facile replicare che la scelta di sub-delegare l'adozione dell'autorizzazione paesaggistica e del parere per la sanatoria edilizia rientra nei poteri di organizzazione della regione ma non pu� avere alcuna influenza sull'assetto istituzionale delineato dal legislatore statale, e, quindi, sul concorrente potere di vigilanza e di annullamento riconosciuto all' amministrazione statale. 2. -Con il secondo motivo di appello, riproduttivo del quinto motivo di ricorso, si deduce l'illegittimit� del provvedimento impugnato perch� emanato allorch� il termine perentorio di sessanta giorni dalla ricezione del parere regionale, stabilito dall'art. 82, comma 9 d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616 (nel testo modificato dall'art. 1 della legge 8 agosto 1985 n. 431), era ormai scaduto. Difatti, la delibera della Giunta regionale n. 336 del 30 gennaio 1990, con la quale � stato accordato il parere favorevole previsto dall'art. 32 legge n. 47/85, � stata trasmessa con raccomandata a mano n. 1016 del 14 marzo 1990 e risulta pervenuta al Ministero il 15 marzo 1990 (come si evince dalla scritta a mano: Gabinetto 15.3.90�) e comunque protocollata il 19 marzo 1990 (come si evince, dal timbro: �Ministero per i beni culturali e ambientali -Gabinetto 19 marzo 1990 prot. Nr. 2991�). Pertanto, il termine di sessanta giorni sarebbe scaduto il 14 maggio 1990 o, a tutto voler concedere, il 18 maggio 1990, mentre il decreto ministeriale di annullamento � del 14 giugno 1990. A contrastare tale conclusione non potrebbe invocarsi il fonogramma del Soprintendente di Salerno e Avellino n. 9532/SA del 15 maggio 1990, con il quale, sul presupposto che la Regione non aveva trasmesso la necessaria documentazione, viene sospeso il decorso del termine, sia perch� la norma non prevede alcuna interruzione o sospensione del termine per l'esercizio del potere di annullamento sia perch� la Regione aveva fornito al Ministero, unitamente alla delibera n. 336 del 1990, tutta la relativa documentazione, tra cui la istruttoria tecnica svolta dagli Uffici regionali (Relazione dei Servizi n. 6124 del 21 novembre 1988) e il progetto di I riqualificazione ambientale presentato dalla stessa ricorrente. ! Ci� sarebbe confermato dalla nota 1 giugno 1990 n. 2247 dell'Assessore regio ! nale all'Urbanistica, diretta tra gli altri al Soprintendente, nella quale si dichiara di i non potere dare seguito alla richiesta di allegazione documentale avanzata con il i f fonogramma del 15 maggio 1990, in quanto �la documentazione predetta � stata gi� f ! r: I . II - PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA integralmente trasmessa al Ministero con nota n. 1016 del 14 marzo 1990, unitamente alla deliberazione n. 336 del 30 gennaio 1990 ed � pervenuta a codesto Ministero il 15 marzo 1990, protocollata il 19 marzo 1990 con n. 2291: il tutto in scrupolosa osservanza dell'art. 82, nono comma d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616�. La pretesa del Soprintendente di sospendere il decorso del termine di legge sarebbe, quindi, illegittima vuoi per mancanza del presupposto, avendo la Regione provveduto a trasmettere al Ministro tutta la documentazione necessaria, vuoi perch� il Soprintendente non ha alcun potere, neppure in via delegata, di sospendere il corso del termine, e vuoi infine, perch� lo stesso fonogramma di sospensione � stato emanato il 15 maggio 1990 e, quindi, dopo la scadenza del termine finale maturato in data 14 maggio 1990. Un ulteriore profilo di illegittimit� del decreto impugnato andrebbe poi riscontrato nella circostanza che il Ministro, con palese difetto di istruttoria e di motivazione, non avrebbe speso una sola parola in ordine alla tempestivit� del proprio intervento repressivo, sebbene la questione fosse stata dibattuta fra le parti e fossero intervenuti la nota dell'Assessore regionale 1� giugno 1990 n. 2247 nonch� l'atto di significazione e diffida da parte della societ� interessata, che aveva motivatamente dimostrato come il termine di legge non era stato sospeso ed era ormai scaduto. 2.1. -L'esame di tale motivo impone una duplice indagine. La prima, di carattere generale, volta ad individuare le condizioni in presenza delle quali inizia a decorrere il termine perentorio di sessanta giorni, stabilito dal1' art. 82, comma 9 d.P.R 24 luglio 1977 n. 616 (nel testo modificato dall'art. 1 della legge 8 agosto 1985 n. 431), per l'annullamento da parte del Ministro dell'autorizzazione paesaggistica regionale o sub-regionale. La seconda diretta a verificare se nel caso che forma oggetto della controversia, le riferite condizioni possano ritenersi soddisfatte dalla nota dell'Assessore regionale all'urbanistica n. 1016 del 14 marzo 1990, di trasmissione al Ministero della deliberazione n. 336 del 30 gennaio 1990, pervenuta al Gabinetto del Ministro il 15 marzo 1990 e protocollata presso il medesimo Gabinetto il 19 marzo 1990 con il n. 2291. 2.2. -Sotto il primo profilo conviene rammentare che l'art. 32 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 subordina la concessione o l'autorizzazione in sanatoria, per aree sottoposte a vincoli, �al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso�, e che in virt� dell'art. 1 della legge 13 marzo 1988 n. 68, �per le aree soggette al vincolo paesistico ai sensi della legge 29 giugno 1939 n. 1497 e successive modificazioni e del D.L. 27 giugno 1985 n. 312, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985 n. 431�, il parere predetto deve essere reso ai sensi del nono comma dell'art. 82 del d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, come modificato dal D.L. 27 giugno 1985 n. 312. La norma di riferimento �, quindi, quella di cui all'art. 82, nono comma citato. Essa, dopo avere previsto che l'autorizzazione di cui all'art. 7 della legge 29 giugno 1939 n. 1497 deve essere rilasciata o negata entro il termine perentorio di sessanta giorni, al secondo periodo cos� testualmente dispone: �Le regioni danno immediata comunicazione al Ministro per i beni ambientali e culturali delle autorizzazioni rilasciate e trasmettono contestualmente la relativa documentazione�. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO . 154 Correttamente, pertanto, il TAR ha ritenuto che ad integrare il presupposto della decorrenza del termine per l'esercizio del potere di annullamento ministeriale non basta la semplice comunicazione del parere favorevole espresso dall'autorit� regioli nale o sub regionale, ma � necessaria, altres�, la contestuale trasmissione della documentazione tecnico-amministrativa sulla cui base il parere � stato formulato. I Tale conclusione � diretta conseguenza del �condominio istituzionale� tra Stato e regioni delineato dalla nuova normativa, nell'ambito del quale il raccordo fra competenze regionali e competenze statali � realizzato, �istituendo fra esse un rapporto di concorrenza, strutturato in modo che quelle statali sono esercitate (solo) in caso I di mancato esercizio di quelle regionali e (solo) in quanto ci� sia necessario per il raggiungimento dei fini essenziali della tutela" (Corte costituzionale 27 giugno 1986 n. 151). In particolare, da un canto l'esercizio delle competenze regionali in tema di autorizzazioni alle modificazioni del territorio � assoggettato all'osservanza di termini, dall'altro lato la partecipazione dello Stato, estesa al momento autorizzatorio, � prevista solo in caso di inerzia della Regione, ovvero ad estrema difesa del vincolo (Corte cost. cit. n. 151 del 1986). Il rapporto fra competenze statali e regionali � improntato al principio di leale collaborazione, finalizzato alla migliore conservazione dell'ambito protetto, attraverso il concorso delle due amministrazioni (regionale o sub-regionale in sede di autorizzazione e statale in fase di annullamento). La migliore tutela del paesaggio, alla quale � finalizzato il principio di leale collaborazione, comporta che le due amministrazioni, lungi dal contrapporsi, devono cooperare al raggiungimento del fine ultimo, che � quello della salvaguardia del paesaggio. Il principio predetto, implica, poi e necessariamente, lo scambio pi� ampio e completo delle rispettive informazioni in vista dell'esercizio delle rispettive competenze, in quanto il dovere di mutua informazione costituisce �la pi� elementare e generale espressione� del principio di leale cooperazione (Cfr. Corte Cost., 21 dicembre 1985 n. 359). Dal che deriva l'obbligo a carico dell'autorit� competente al rilascio dell'autorizzazione (sia essa la regione o altro ente locale sub-delegato) di sottoporre all' esame dell' amministraiione statale tutta la documentazione utilizzata nell'esercizio della funzione autorizzatoria, pena il non utile decorso del termine per l'eventuale esercizio del potere di annullamento, nel caso di omessa o incompleta messa a disposizione della documentazione tecnica. 2.3. -Alla luce delle considerazioni appena svolte si deve ora verificare -e si passa cos� all'esame della seconda delle indagini prospettate -se nel caso concreto la nota dell'Assessore regionale all'urbanistica n. 1016 del 14 marzo 1990, di trasmissione al Ministero della deliberazione n. 336 del 30 gennaio 1990, pervenuta al Gabinetto del Ministro il 15 marzo 1990 e protocollata presso il medesimo Gabinetto il 19 marzo 1990 con il n. 2291, contenga anche la documentazione richiesta per l'esercizio del potere da parte del Ministro ed integri, pertanto, il presupposto 1 per l'utile inizio del termine di sessanta giorni prescritto dalla legge. 1: Il Collegio ritiene che la risposta debba essere negativa e che di conseguenza le ~ conclusioni del primo giudice siano pienamente da confermare. f f .. !i PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 155 La difesa dell'appellante ha insistito molto sia nell'atto di appello che nella memoria illustrativa, sul ruolo decisivo che su questo punto assumerebbe la nota 1 � giugno 1990 n. 2247 dell'Assessore regionale all'Urbanistica, diretta tra gli altri al Soprintendente e alla Procura della Repubblica presso la Pretura circondariale di Salerno, nella quale si dichiara di non potere dare seguito alla richiesta di allegazione documentale avanzata con il fonogramma del 15 maggio 1990, in quanto �la documentazione predetta � stata gi� integralmente trasmessa al Ministero con nota n. 1016 del 14 marzo 1990, unitamente alla deliberazione n. 336 del 30 gennaio 1990 ed � pervenuta a codesto Ministero il 15 marzo 1990, protocollata il 19marzo 1990 con n. 2291: il tutto in scrupolosa osservanza dell'art. 82, nono comma 'd.P.R. 24 luglio 1977 n. 616�. Il valore probatorio di tale affermazione non potrebbe essere sminuito dalla soggettiva ricostruzione operata dal Tribunale, tanto pi� ove si consideri che, avuto riguardo alla qualit� di pubblico ufficiale rivestita dall'assessore regionale, esso sarebbe assistito dalla particolare fede privilegiata propria degli atti pubblici a norma dell'art. 2700 codice civile. L'assunto non pu� essere condiviso. Secondo l'art. 2699 cod. civ. �l'atto pubblico � il documento redatto, con le richieste formalit�, da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli fede nel luogo dove l'atto � formato� ed � a tale documento che il successivo art. 2700 attribuisce la particolare fede privilegiata, superabile solo con la querela di falso, circa la provenienza di esso dal pubblico ufficiale che lo ha formato, le dichiarazioni delle parti e gli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti. Alla stregua del dettato normativo suddetto � facile osservare come l'invocata nota dell'assessore regionale non possa integrare un atto pubblico in senso stretto, per cui tutti i riferimenti a tale particolare tipo di atto, contenuti nell'appello e nella memoria illustrativa, devono considerarsi ininfluenti ai fini della soluzione del quesito. Ci� precisato, si deve subito affermare che gli atti acquisiti al giudizio offrono sicuri elementi per affermare che alla nota n. 1016 del 14 marzo 1990 era allegata solo la deliberazione della Giunta regionale n. 336 del 30 gennaio 1990 e non pure la relativa documentazione. � la stessa nota -peraltro diretta al Gabinetto del Ministro e non alla competente Direzione generale e solo �per necessaria notizia� e non �in scrupolosa osservanza dell'art. 82, nono comma d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616� come sostiene l'assessore regionale con la nota in data 1 giugno 1990 n. 2247 -a contenere la specificazione che vi � allegato un solo atto (sotto il riferimento alla nota n. 3301 Gab. dell'll.4.1988 viene precisatoAll. 1). Ma ci� che elimina ogni dubbio al riguardo � la nota dello stesso Gabinetto del Ministro n. 7012 del 30 giugno 1990, con la quale il Capo di Gabinetto, con riferimento proprio alla nota dell'assessore regionale in data 1 giugno 1990, ha ritenuto di dovere precisare che con la nota n. 1016 del 14 marzo 1990 il �Servizio urbanistica della regione Campania si � limitato a trasmettere a questo Ufficio "per necessaria notizia ... l'atto deliberativo n. 336 adottato dalla Giunta regionale in data 30 gennaio 1990", ossia la sola delibera di Giunta che questo Ufficio ha inoltrato, in ,_.,,.,��,,��,,,,,���,,���,,.,,�� RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � data 30 marzo 1990 con nota n. 2991 alla Soprintendenza per i beni A.A.A.S. di Salerno ed Avellino per il seguito di competenza�. Come si vede, quindi, la tesi dell'appellante e dell'Assessore regionale all'Urbanistica � smentita dallo stesso Ufficio (il Gabinetto del Ministro) al quale era stata trasmessa la delibera della Giunta regionale n. 336 del 30 gennaio 1990, sicch� ogni ulteriore discussione sul punto non ha ragione di sussistere. Una volta chiarito che nessuna documentazione era stata allegata alla citata delibera della Giunta regionale e che, pertanto, il termine di sessanta giorni per l'annullamento non ha cominciato a decorrere, diventano irrilevanti le questioni prospettate dall'appellante circa il potere del Soprintendente di sospendere il decorso del termine e circa il dovere del Ministro di pronunciarsi sulla tempestivit� dell'annullamento. 3. -Superate le questioni di ordine formale si pu� passare all'esame della questione di merito, attinente alla legittimit� o meno del decreto ministeriale impugnato. (omissis) (omissis) 3.1. -Conviene subito precisare che le considerazioni svolte dalla societ� esulano dal thema decidendi, che � costituito dalla legittimit� o meno del decreto ministeriale di annullamento del parere regionale favorevole alla sanatoria. La natura e l'entit� delle difformit� riscontrate, la loro incidenza nel rilascio degli originari nulla-osta, l'assoluta irrilevanza delle pronunce penali intervenute nella vicenda, la legittimit� degli atti di revoca dei nulla-osta in precedenza assentiti alla societ� sono tutte questioni ampiamente esaminate con le decisioni di questo Consiglio (Sez. VI) 30 ottobre 1981 n. 547 e 6 aprile 1987 n. 241 e, quindi, ormai coperte da giudicato. Altrettanto dicasi dell'incidenza e della rilevanza delle riscontrate difformit� sulla valutazione finale dell'amministrazione, la quale, con gli atti 9 e 16 giugno 1977, contrariamente a quanto sostenuto dall'appellante, ha evidenziato non solo la discrepanza tra precedente rappresentazione e realt� effettiva, ma altres� la incompatibilit� di quest'ultim~ con i valori ambientali e paesistici della zona. L'Amministrazione non si � fermata cio� al semplice riscontro del vizio originario dell'atto �ma ha ritenuto, come peraltro era doveroso, di verificare in che misura il vizio avesse inciso sulla valutazione finale pervenendo all'annullamento solo dopo aver accertato, tramite un giudizio tecnico discrezionale non sindacabile in sede di legittimit�, la assoluta inconciliabilit� sotto il profilo della tutela del pubblico interesse, tra la valutazione adottata (inizialmente) e quella indotta dal vizio riscontrato� ( decisione n. 547 del 1981). Anche la ponderazione dei due contrapposti interessi (pubblico al mantenimento della bellezza di insieme o individua, e interesse privato al mutamento della situazione di fatto), � stata operata in quella sede in quanto l'amministrazione, �giudicando l'insediamento realizzato in contrasto in via assoluta con i valori paesistici e ambientali, ha anche valutato e ritenuto recessivo l'interesse privato alla conservazione del manufatto, rispetto a quello generale alla cui tutela � preposta� (vedasi sempre decisione citata) . ��,��,,����,,.,,,,.,.,,.,,. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA Ininfluenti, infine, sono da considerare la nota del Ministero n. 3301 dell'll aprile 1988, nella quale si afferma che la costruzione non sembra confliggere con rilevanti interessi paesistici, e la relazione tecnica dei servizi regionali n. 6124 del 21 novembre 1988 sul progetto di riqualificazione ambientale. Per dimostrare l'estraneit� di tali atti dall'ambito del presente giudizio, basta considerare che la prima affermazione, peraltro espressa in forma dubitativa, � contenuta in una nota ministeriale con la quale si � provveduto a restituire gli atti trasmessi dalla societ� appellante perch� la competenza ad esprimere il parere era di pertinenza della regione. Quanto alla relazione dei servizi regionali a supporto del progetto di riqualificazione ambientale, fondato del resto su una legge regionale che non appare pertinente al tema del condono edilizio, � sufficiente osservare che, come in precedenza chiarito, detta documentazione non risulta trasmessa all'amministrazione statale, per cui appaiono del tutto ininfluenti, ai fini della soluzione della presente controversia, le considerazioni del primo giudice in ordine al contenuto delle modifiche previste dal progetto di riqualificazione. 3.2. -Fatte queste necessarie precisazioni, il Collegio ritiene che anche su questo punto le conclusioni del TAR siano pienamente da condividere. Il Decreto ministeriale, dopo aver ricordato che la struttura alberghiera � stata realizzata a seguito di nulla osta rilasciato dalla competente Soprintendenza successivamente revocato, ha proceduto all'annullamento del parere favorevole alla sanatoria rilasciato con delibera della Giunta regionale n. 336 del 30 gennaio 1990 sulla base di tre considerazioni: a) il parere favorevole � stato formulato sul presupposto che la sanatoria riguardasse opere abusive realizzate in difformit� rispetto al progetto originariamente approvato, mentre in realt� la costruzione era da ritenere illegittima in toto dal punto di vista paesistico-ambientale per l'intervenuta revoca della precedente autorizzazione; b) nel parere non vi � alcun riferimento alla revoca citata n� sono evidenziati nuovi eiementi di fatto o di diritto che giustificassero tale omissione; e) il parere non spiega le ragioni in forza delle quali la sanatoria della costruzione possa ritenersi compatibile con la tutela degli elementi costitutivi del vincolo imposto sul Comune di Vietri sul Mare con D.M. 13 dicembre 1960. Correttamente, pertanto, il TAR ha affermato che l'annullamento del parere regionale � stato pronunciato perch� emesso sul presupposto, errato, che le opere da sanare fossero solo parzialmente difformi dal progetto autorizzato e per la riscontrata carenza di adeguata motivazione sulle ragioni idonee ad evidenziare la compatibilit� della struttura con il vincolo paesistico, per la mancanza cio� dell'elemento essenziale che deve essere alla base del provvedimento autorizzatorio: il giudizio di compatibilit� con il contesto ambientale tutelato. Da quanto sopra appare evidente che i vizi riscontrati nel provvedimento regionale sono quelli dell'eccesso di potere sotto i profili dell'errore nei presupposti e del difetto di motivazione, che costituiscono figure tipiche di illegittimit� dell'atto amministrativo, e dell'esistenza di tali vizi il decreto ministeriale impugnato ha fornito adeguata motivazione. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO" . 158 Il Ministero ha quindi legittimamente annullato il parere regionale favorevole alla sanatoria perch� emesso sull'errato presupposto della parziale (e non totale) difformit� dell'opera e senza fornire la necessaria e puntuale motivazione sulla compatibilit� attuale del mantenimento dell'intera struttura alberghiera con le esigenze di tutela e di conservazione dei valori paesistici e ambientali del contesto, che rappresentano la ragione costitutiva del vincolo. Appare allora evidente come, contrariamente a quanto sostenuto dall' appellante, il provvedimento ministeriale impugnato dia adeguato conto delle ragioni poste a base dell'annullamento, avendo rilevato che la delibera della Giunta regionale n. 336 del 30 gennaio 1990, oltre a fare riferimento ad una discrepanza parziale e non integrale della costruzione, non ha affrontato l'elemento essenziale che essa doveva contenere, cio� il giudizio di compatibilit� dell'intero manufatto con il globale contesto ambientale tutelato. Non sono idonei a superare le riscontrate carenze motivazionali del parere regionale i richiami a note ministeriali, asseritamente favorevoli alla sanatoria, ad accertamenti disposti dalla magistratura penale e dalla stessa Giunta regionale, che avrebbero escluso modifiche strutturali nell'edificazione dell'albergo, alla relazione istruttoria n. 6124 del 21 novembre 1988 sul progetto di riqualificazione ambientale. Si tratta di atti che, come si ha avuto modo di precisare, non svolgono alcun ruolo ai fini della legittimit� del decreto ministeriale impugnato vuoi perch� ininfluenti vuoi perch� riguardanti problemi (il progetto di riqualificazione ambientale) connessi all'applicazione di una legge regionale (n. 35/87) che concerne l'approvazione del piano urbanistico territoriale della zona in questione e non hanno alcuna attinenza con la disciplina sul condono edilizio. Le censure di ordine sostanziale rivolte al provvedimento ministeriale impugnato devono, pertanto, essere disattese. 4. -Con la memoria illustrativa depositata in data la societ� ripropone le censure di eccesso di potere per contraddittoriet�, perplessit�, travisamento, carente i~truttoria, difetto di motivazione (e conseguente violazione dell'art. 82, comma 9 d.P.R. 24 luglio 1977 n. 6116) del D.M. 14 giugno 1990, difetto e, comunque, erroneit� dei presupposti. . Si tratta di censure in gran parte inammissibili perch� rinnovate con semplice memoria non notificata. Esse sono peraltro anche infondate. Non sussiste la contraddittoriet� del comportamento dell'amministrazione, che con il fonogramma del Soprintendente del 15 maggio 1990, sul presupposto della mancanza degli atti, prima stabilisce la comminatoria dell'annullamento nel caso non gli vengano trasmessi nel termine di 30 giorni e subito dopo richiede l'annullamento regionale, con la conseguenza che non si comprenderebbe n� come il Soprintendente abbia potuto proporre l'annullamento in assenza degli atti ritenuti necessari per l'esercizio del controllo del parere favorevole n� in base a quali elementi il Ministro, che non accenna alla carenza documentale, abbia potuto disporre l'annullamento. In realt�, nulla vietava al Soprintendente di chiedere alla regione la trasmissione della documentazione necessaria per l'espletamento delle proprie funzioni istruttorie a norma delle circolari ministeriali n. 8 del 31 agosto 1985 e n. 4054 del 16 PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA maggio 1989, assegnando all'uopo il termine di giorni 30, e di proporre contestualmente al Ministero l'annullamento del parere nel caso di infruttuoso decorso del predetto termine. Deriva da ci� che correttamente il Ministro ha adottato il provvedimento di annullamento allo spirare del trentesimo giorno (14 giugno 1990), allorch� aveva ormai acquisito dalla nota dell'assessore regionale in data 1giugno1990 n. 2247 la certezza che la documentazione richiesta non sarebbe stata trasmessa. Quanto alla censura rivolta alla sentenza appellata, nella parte in cui individua arbitrariamente la decorrenza del termine �al pi� dall'l.6.90 allorch� al Ministro � stato comunicato che non avrebbe ricevuto i documenti richiesti e che solo la Regione poteva produrre�, � facile replicare che il TAR non ha compiuto alcuna integrazione della motivazione del decreto ministeriale, ma si � limitato ad escludere la sussistenza del vizio lamentato di illegittimit� dell'annullamento per superamento del termine perentorio di sessanta giorni assegnato dalla legge. Il Giudice di primo grado ha, infatti, del tutto correttamente osservato che la previsione legislativa, secondo la quale il termine di annullamento inizia a decorrere solo con la contestuale trasmissione del nulla-osta e della relativa documentazione, comporta, in linea di stretta consequenzialit� logica, la possibilit� per il Ministro, una volta acquisita la certezza che l'.ente locale non avrebbe ottemperato all'invito, di procedere all'annullamento sulla scorta degli atti in suo possesso. A conclusioni identiche deve pervenirsi in ordine alle argomentazioni svolte a sostegno del detto vizio di difetto di motivazione del decreto ministeriale con riguardo soprattutto all'affermazione che il parere regionale sarebbe stato reso tenendo conto solo delle parziali difformit� della costruzione rispetto al progetto originariamente approvato e senza quindi la valutazione globale e complessiva della compatibilit� paesaggistica dell'intero edificio. Sulla sufficienza ed adeguatezza della motivazione che sorregge il provvedimento di annullamento si pu� rinviare alle considerazioni espresse nel precedente punto 3.2 mentre per quanto attiene all'ampiezza della valutazione operata dalla Giunta regionale con l'atto n. 336 del 30 gennaio 1990 si deve osservare che tale circostanza non poteva essere presa in esame dal Ministro per la mancata contestuale trasmissione della richiamata'documentazione, sicch� legittimamente l'autorit� statale ha provveduto sulla scorta degli atti in suo possesso. 5. -In conclusione l'appello deve essere respinto mentre sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti spese e competenze di lite. (omissis) CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, 20 febbraio 1998 n. 188 -Pres. de Roberto -Est. Zeviani Pallotta -Ministero dei Beni Culturali e Ambientali ( avv. Stato Tamiozzo) c. Comune di Brescia (avv. Romano e Vaiano). Antichit� e belle arti -Vincolo indiretto -Motivazione -Pregi paesaggistici e ambientali -Illegittimit�. (legge 1 giugno 1939, n. 1089, art. 21). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 160 � illegittimo per eccesso di potere per sviamento il provvedimento di imposizione di vincolo indiretto ai sensi dell'art. 21 della legge n. 1089/1939 che risulti essere stato imposto non gi� per la salvaguardia e la migliore fruizione collettiva di un immobile di valore storico, artistico o archeologico, in funzione della quale potrebbero assumere rilievo le caratteristiche di pregio paesaggistico e ambientale dell'area su cui l'immobile sorge, ma essenzialmente per salvaguardare l'area, in s�, in ragione di tali pregi paesaggistici ambientali (1). (omissis) L'appello � infondato. Con il decreto in data 25 gennaio 1993, annullato dal TAR in accoglimento del ricorso del Comune di Brescia, il Ministero dei Beni Culturali e Ambientali, dichiarando di esercitare il potere di imposizione del vincolo indiretto di cui ali' art. 21 della legge n. 1089/1939, ha -in realt� -inteso oggettivamente tutelare, con un vincolo di inedificabilit� assoluta, una vasta area di circa 20 ettari in relazione al suo pregio paesaggistico e ambientale, incorrendo in tal modo nel vizio di eccesso di potere per sviamento. � ben vero che, ai fini dell'imposizione del vincolo indiretto previsto dall'art. 21 della legge n. 1089/1939, possono assumere rilievo anche le caratteristiche di pregio paesaggistico e ambientale dell'area di terreno su cui il vincolo viene imposto; ma ci� solo nel caso in cui tali caratteri naturalistici della zona siano effettivamente ritenuti necessari per la salvaguardia e la migliore fruizione collettiva di un immobile di valore storico, artistico o archeologico sottoposto al vincolo diretto di cui all'art. 1 della legge stessa. Nella specie, peraltro, come risulta dalla relazione tecnico-scientifica allegata al decreto, il vincolo di inedificabilit� non risulta essere stato imposto per le finalit� suindicate, ma essenzialmente per salvaguardare l'ar~a, in s�, in ragione dei suoi pregi paesaggistici e ambientali. L'area in questione, descritta come di particolare valore ambientale, in quanto �Costituita da vigneti, da risorgive e da pendii boschivi con uno stagno di rare essenze �, � stata sottoposta al regime di tutela in quanto costituisce �nell'insieme, un ambiente naturale di notevole rarit� e suggestione�, mentre finisce per assumere un rilievo del tutto secondario, nella motivazione del provvedimento, l'esistenza, in prossimit� di tale area, dei resti di un'antica abbazia di origine medievale, gi� vincolata ai sensi dell'art. 1 della legge n. 1089/1939. (1) La sentenza si conforma ad una consolidata giurisprudenza. Oltre ai precedenti ivi citati, si vedano: C.d.S., sez. VI, 25 febbraio 1998 n. 215; C.d.S., sez. VI, 17 aprile 1997 n. 610; C.d.S., sez. VI, 4 novembre 1996 n. 1437, C.d.S., sez. VI, 18 luglio 1994 n. 1207; C.d.S., sez. IV, 27 dicembre 1994 n. 1079. � altres� principio pacifico che, nell'ambito dell'attivit� tecnico-discrezionale svolta, I' Amministrazione debba dar conto con congrua e sufficiente motivazione delle ragioni di pubblico interesse del vincolo su beni attinenti all'arte ed alla storia per ci� che esprimono e da cui deriva la meritevolezza di conservazione e di trasmissione (ex plurimis, C.d.S., sez. VI, 4 giugno 1994 n. 912; C.d.S., sez. VI, 6 luglio 1994 n. 1132). Il tema della tutela paesaggistica delle zone di interesse archeologico � oggetto del rilevante precedente costituito da Cons. St., sez. VI, 12 novembre 1990 n. 951, in Foro lt., 1992, III, 12, con nota di Fuz10, ove sono chiaramente distinti i due autonomi tipi di tutela fomiti dalla legge PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 161 Il vizio di eccesso di potere per sviamento nel quale � incorso il provvedimento impugnato appare ancor pi� evidente in relazione alla particolare vastit� dell'area tutelata, di circa 20 ettari e al fatto che la stessa Soprintendenza, in una comunicazione al Comune in data 25 gennaio 1993 (lo stesso giorno dell'emanazione del decreto impugnato) riguardante l'attuazione del piano per l'edilizia economica e popolare gi� approvato nel 1992 e interessante la zona, aveva espresso l'avviso che nella zona stessa, pur dovendo istituirsi una fascia di rispetto per la tutela del complesso archeologico, poteva mantenersi una striscia di edificabilit� nei limiti di 200 metri dalla roggia posta a confine tra i Comuni di Brescia e Gussago. Dalle considerazioni che precedono, deriva -altres� -la fondatezza del motivo di impugnazione con il quale si denuncia l'eccesso di potere per difetto di motivazione. �, infatti, acquisito in giurisprudenza che l'imposizione del vincolo indiretto, quando si risolva in un divieto assoluto di edificazione su una vasta area di territorio, deve essere rigorosamente motivato sotto il profilo della connessione funzionale con le esigenze di tutela e valorizzazione dell'immobile direttamente vincolato, nonch�, trattandosi di provvedimento discrezionale, sotto il profilo della comparazione degli interessi coinvolti e della proporzionalit� della misura adottata rispetto agli interessi sacrificati ( cfr., tra le numerose decisioni in termini: Cons. di Stato, sez. VI, 30 gennaio 1991 n. 66, Cons. di Giust. Amm. 6 maggio 1992 n. 117 e, di recente, con riferimento alla seconda parte della massima, anche in relazione al vincolo diretto se quest'ultimo riguarda una vasta estensione di territorio: Cons. di Stato, sez. VI, 17 aprile 1997 n. 610). Nella specie, tale onere di rigorosa e puntuale motivazione non � stato adempiuto, essendosi l'autorit� ministeriale limitata ad un'apodittica affermazione della necessit� di meglio tutelare il complesso archeologico gi� sottoposto al vincolo diretto, senza minimamente chiarire le ragioni specifiche che imponevano -per la finalit� suindicata -la sottoposizione a divieto assoluto di edificazione di un'area cos� vasta e omettendo ogni valutazione dell'interesse sacrificato. Tale valutazione sarebbe, invece, stata particolarmente necessaria, non solo in base ai principi generali, ma anche perch� -nel caso in esame -si trattava di un interesse pubblico, alla reaiizzazione degli alloggi in dipendenza della destinazione urbanistica della zona, di notevole rilievo, che avrebbe dovuto trovare adeguata considerazione in sede di analisi costi-benefici .. n. 1089 del 1939 per il patrimonio storico artistico e dalla legge n. 47 del 1985 (c.d. �legge Galasso �). Mentre la prima investe il bene di interesse culturale singolarmente preso in considerazione, ovvero la sua prospettiva (secondo la distinzione tra vincoli diretti ed indiretti), la seconda interessa l'intera �zona archeologica�, in una visione globale del territorio su cui sorgono beni di interesse culturale. In contrasto con la piena autonomia di strumenti di tutela rispetto alla salvaguardia del valore storico artistico e di quello paesaggistico ambientale si pone la isolata decisione del Consiglio di Stato, sez. IV, 31 ottobre 1996 n. 1183, in Gazzetta Ambiente 1996, n. 6, 25, che fa dipendere l'atto di autorizzazione ex art. 11 della legge 1089 del 1939 (rimozione del generale divieto per il privato proprietario del bene culturale di eseguire interventi di varie specie) da un giudizio preordinato non solo alla tutela culturale, ma anche a quella paesaggistica (nella specie, attraverso la necessit� di previo annullamento da parte del Ministero per i beni culturali ed ambientali del1' autorizzazione regionale ex art. 7 della legge 29 giugno 1939, n. 1497). F.Q. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO " 162 Per le considerazioni che precedono, il decreto ministeriale impugnato � illegittimo ed � stato giustamente annullato dal TAR, non potendosi sottrarre alle censure formulate nel ricorso in primo grado. Di conseguenza, � irrilevante la questione, formante oggetto di specifico motivo di censura nell'appello del Ministero, relativa alla necessit� o meno della comunicazione al Comune dell'avvio del procedimento ai sensi dell'art. 7 della legge n. 241/1990. L'appello deve, pertanto, essere respinto. Sussistono, peraltro, giusti motivi per disporsi, fra le parti, la compensazione delle spese del giudizio. (omissis) SEZIONE QUINTA GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 13 novembre 1997 n. 11217 -Pres. Sgroi Est. Finocchiaro -P.M. Morozzo della Rocca (conf.) -Ministero delle Finanze c. Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza. Tributi (in generale) -Contenzioso tributario -Natura del processo -Provvedimento impugnabile -Difetto -Improponibilit� della domanda -Rilevabilit� di ufficio. (d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, art. 16) Tributi erariali diretti -Rimborso -Istanza ex art. 38 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 -Va diretta all'intendenza di finanza -Presentazione all'ufficio distrettuale delle imposte -Non d� luogo alla formazione del silenzio. (d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, art. 38) Poich� il processo speciale tributario, di impugnazione-merito, presuppone sempre un atto da impugnare o il silenzio dell'ufficio su una istanza di rimborso di imposte pagate con versamento diretto, il difetto del!' atto impugnabile determina la improponibilit� della domanda rilevabile di ufficio anche in sede di legittimit� salvo che si sia formato il giudicato interno (1). Si ha difetto del!' atto impugnabile quando non si sia formato il silenzio perch� l'istanza di rimborso � stata presentata ad organo incompetente quale � l'ufficio distrettuale delle imposte dato che l'istanza deve essere presentata all'intendente di finanza (2). (omissis) Passando all'esame degli altri profili di censura, va rilevato che le questioni sottoposte a questa Corte sono quelle di stabilire -pacifico in punto di fatto che la domanda di rimborso � stata presentata all'Ufficio distrettuale delle II.DD. -se la mancata risposta di quest'ultimo, nei termini di legge, consenta di (1-2) Riprendendo concetti consolidati sulla natura del processo, le Sez. unite affermano che l'irregolare presentazione della istanza di rimborso, non provocando la formazione del silenzio, � di ostacolo alla proponibilit� del ricorso in sede giurisdizionale ed ammettono che l'improponibilit� pu� essere rilevata di ufficio anche per la prima volta in Cassazione. Componendo poi un contrasto di giurisprudenza le Sez. unite precisano che l'istanza di rimborso erroneamente indirizzata (all'ufficio distrettuale delle imposte invece che all'intendente di finanza) non pu� essere salvata con la trasmissione dell'atto all'ufficio competente. In coerenza con questo orientamento, l'altra sentenza 23 gennaio 1998 n. 612 (di cui si omette la pubblicazione) ha escluso che l'ufficio distrettuale delle imposte sia legittimato a proporre l'impugnazione contro la decisione di primo grado. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO"�� 164 ritenere o meno formatosi il silenzio-rifiuto della p.a. e se tale eccezione possa essere sollevata, per la prima volta, in sede di legittimit�. Va esaminata, preliminarmente, per la sua pregiudizialit� logica, la seconda delle prospettate questioni. Il processo tributario innanzi alle commissioni, strutturato come impugnazionemerito, presuppone sempre uno degli atti indicati nell'art. 16 del d.P.R. n. 636 del 1972 o il silenzio dell'ufficio su una istanza di rimborso di imposte pagate con versamento diretto, bench� oggetto della pronuncia sia l'accertamento del rapporto (Cass. 6 maggio 1991 n. 5004), con la conseguenza che il difetto dell'atto impugnabile attiene alla proponibilit� della domanda e -trattandosi di materia disciplinata da un regime legale che esclude qualsiasi potere di disposizione delle parti � rilevabile d'ufficio, anche in sede di gravame, salvo che si sia gi� formato sul punto un giudicato interno (Cass. 2 ottobre 1996 n. 8606). Nella specie, la questione non � stata prospettata nelle precedenti fasi di giudizio e, avendo le impugnazioni -anche nelle fasi di merito -investito le varie pronunce in ogni loro parte, nessuna preclusione si � verificata, sicch� legittimamente la stessa � stata formulata con il ricorso per cassazione, senza che -secondo il rilievo della parte ricorrente formulato nella memoria ex art. 378 c.p.c. -si possa ipotizzare un giudicato interno per non essere stata la legittimazione a ricevere la domanda di rimborso contestata nelle pregresse fasi di merito. La presenza, infatti, di un potere d'ufficio di rilevare le condizioni di proponibilit� della domanda impedisce di ravvisare un giudicato interno nella mancata contestazione esplicita della sussistenza di tali condizioni, in difetto di una pronuncia sul merito, passata in giudicato, che tale legittimazione presupponga. Passando all'esame della prima questione la stessa consiste nell'individuazione dell'organo al quale indirizzare la domanda di rimborso e nello stabilire gli effetti della presentazione della stessa ad un organo incompetente. Ai sensi dell'art. 16, comma 6, del citato d.P.R. n. 636 del 1972, in caso di versamento diretto, il contribuente che ritiene di avere diritto a rimborsi ne fa istanza all'ufficio tributario competente, nei termini previsti dalle singole leggi d'imposta. L'ufficio competente a provvedere sul rimborso dell'ILOR � individuato dall'art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, nell'intendente di Finanza e la giurisprudenza di questa Corte -nella sua maggioranza -� nel senso che la presentazione della relativa istanza all'ufficio distrettuale delle imposte dirette osta alla configurabilit� di silenzio-rifiuto sulla relativa domanda e, quindi si traduce nella carenza di un provvedimento (negativo) impugnabile ai sensi del richiamato art. 16 (Cass. 19 marzo 1996 n. 2322; Cass. 24 luglio 1993 n. 8308; Cass. 16 giugno 1990 nn. 6103, 6104, 6105; Cass. 6 dicembre 1989 n. 5406). Non ignora il Collegio che in senso contrario � stato anche affermato che in tema di imposte sul reddito e qualora il contribuente, in relazione a versamenti diretti per autoliquidazione, che assuma indebitamente effettuati, presenti istanza di rimborso non all'intendente di finanza, ma all'ufficio delle imposte, quest'ultimo � tenuto a trasmettere l'istanza all'intendente, in conformit� delle regole di collaborazione tra organi della stessa amministrazione, restando configurabile, in difetto, un silenzio-rifiuto del rimborso medesimo, impugnabile dinanzi alle commissioni tributarie (Cass. agosto 1988 n. 4878) e ci� sia perch� la domanda di rimborso non � PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA rivolta ad un organo estraneo all'amministrazione finanziaria, sia perch�, in tema di rimborso, l'ordinamento impone una dovuta costante collaborazione, fra organi (arg. ex art. 38, comma 3, d.P.R. n. 602 cit.). Ritiene il Collegio che il contrasto di giurisprudenza, verificatosi nell'ambito della I sezione civile di questa Corte, debba essere composto e risolto privilegiando la giurisprudenza maggioritaria, ove si tenga presente: -che il pi� volte richiamato art. 38 fissa una competenza funzionale ed inderogabile, in favore di un organo del Ministero delle finanze munito di attribuzioni (a rilevanza esterna) autonome e distinte rispetto a quelle dell'ufficio distrettuale delle imposte; -che, in presenza della chiara formulazione della norma, non pu� invocarsi la teoria dell'errore scusabile, la quale, peraltro, � stata elaborata con riferimento esclusivo al diverso e particolare settore delle impugnazioni giurisdizionali degli atti amministrativi, senza che possa farsi applicazione dell'art. 2 del d.P.R. n. 1199 del 1971, anch'essa applicabile espressamente all'ipotesi di ricorsi amministrativi -in opposizione e gerarchici (ossia di istanze a carattere certamente impugnatorio) mentre nella specie si tratta di richiesta diretta ad ottenere un provvedimento amministrativo di rimborso o un rifiuto che sia a sua volta impugnabile; -che non � rilevante la circostanza che l'intendente di finanza, per decidere circa la domanda di rimborso, deve comunque sentire l'ufficio delle imposte, giacch� quest'ultimo riveste, al riguardo, un ruolo meramente consultivo, laddove, peraltro, come esattamente rilevato da Cass. 16 giugno 1990 n. 6103, l'individuazione dell'intendente � determinante anche per stabilire la competenza territoriale della commissione tributaria di 1 o grado. Va, pertanto, affermato il principio secondo cui, con riguardo a somme direttamente versate dal contribuente per imposte sui redditi, quale l'ILOR, l'istanza di rimborso � soggetta all'art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, e, quindi, deve essere presentata all'intendente di finanza nella cui circoscrizione ha sede l'esattoria presso ia quale � stato eseguito il pagamento -nella vigenza della normativa che tale organo prevedeva -con la conseguenza che la presentazione di detta istanza all'ufficio delle imposte, organo incompetente, osta alla formazione del provvedimento negativo, anche nella forma del silenzio-rifiuto, e determina l'improponibilit� del ricorso al giudice tributario, per difetto di provvedimento impugnabile. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 19 novembre 1997 n. 11515 -Pres. Cantillo Est. Morelli -P.M. Maccarone (conf.) -Ministero delle Finanze c. Merolla. Tributi erariali diretti -Imposta sul reddito delle persone fisiche -Reddito di impresa Impresa minore -Rimanenze -Indicazione nel registro degli A acquisti per il valore globale senza specificazione -Recupero a tassazione. (d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, art. 18; d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597, art. 62). Anche le imprese minori devono indicare le rimanenze (nel registro degli acquisti tenuto ai fini dell'l. V.A.) secondo le prescrizioni dell'art. 62 del d.P.R. n. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO' cc 166 597/1973 ossia distintamente per categorie omogenee formate da tutti i beni del medesimo tipo e della medesima qualit�; in caso di indicazione di un valore globale legittimamente l'ufficio accerta presuntivamente il reddito assumendo come conseguiti i corrispondenti riscossi (1). (omissis) 1. -Con l'unico complesso motivo della impugnazione -incentrato sulla denuncia di violazione degli artt. 13, 17, 18, 39 d.P.R. 600/73, 62 d.P.R. 597/73; 360 nn. 3 e 5 c.p.c. -la ricorrente amministrazione ripropone, in sostanza, la tesi interpretativa del combinato disposto degli articoli succitati nel senso che ne risulti consentito, anche in caso di impresa minore, il recupero a tassazione dei ricavi induttivamente ricostruiti, per la vendita di merci indicate come rimanenze di magazzino, qualora il contribuente si sia (come nella specie) limitato ad enunciarne il valore globale senza specifica distinta per categorie omogenee di beni; e afferma la correttezza, per ogni altro profilo, dall'accertamento induttivo come in concreto, nella fattispecie, da essa operato. 2. -Il ricorso � fondato. 3. -� pur vero che l'art. 17 d.P.R. n. 600/73 (il quale faceva obbligo alle societ�, agli enti ed agli imprenditori commerciali, di cui al primo comma del precedente art. 13, di compilare il registro riepilogativo di magazzino entro il termine stabilito per la presentazione della dichiarazione) � stato abrogato, con decorrenza dal gennaio 1974, dall'art. 6 bis del D.L. n. 936/77, convertito in legge n. 38/78. Ma tale abrogazione e la eliminazione dell'obbligo, per i soggetti prima indicati, di compilare, entro il termine stabilito per la presentazione della dichiarazione, il registro riepilogativo di magazzino non giustificano le conclusioni cui la C.T.C. � pervenuta. Occorre rilevare, infatti, che anche le imprese minori, di cui al successivo art. 13, secondo comma, obbligate, in virt� del primo comma, alla tenuta delle scritture previste da disposizioni diverse da quelle del decreto (n. 600/73) in cui il citato articolo � compreso, de;vono indicare nel registro degli acquisti tenuto ai fini del- 1'1.V.A. il valore delle rimanenze, la cui valutazione, come prescrive l'art. 62 del d.P.R. n. 597/73, deve essere fatta distintamente per categorie omogenee, formate da tutti i beni del medesimo tipo e della medesima qualit�, con la possibilit�, tuttavia, d'includere nella stessa categoria beni dello stesso tipo ma di diversa qualit�, i cui valori unitari non divergano sensibilmente, e beni di diverso tipo aventi uguale valore unitario. Mentre, quindi, l'art. 18 detta la disciplina formale delle rimanenze, indicando gli oneri da osservare affinch� esse abbiano effetto ai fini della determinazione del reddito d'impresa, l'art. 62 contiene la disciplina sostanziale per la valutazione di esse, intese, in tale disciplina, nel senso di materie e merci non smerciate o non lavorate e di prodotti non finiti o finiti ma rimasti presso l'impresa, da valutare secondo (1) Decisione da condividere pienamente. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 167 le disposizioni prima richiamate. E, poich� le rimanenze di un periodo d'imposta costituiscono le giacenze del periodo d'imposta successivo, � evidente che la nozione tributaria di �rimanenza� (e, quindi, la rilevanza fiscale di essa) non � data da un numero esprimente un incontrollabile valore globale, poich�, della rimanenza, la norma tributaria postula necessariamente un'articolazione di beni per tipi, qualit� e valore unitario. La mancanza, nel caso concreto, di tale articolazione -cui non risulta i contribuenti abbiano, anche in prosieguo, in alcun modo ovviato -non consentiva pertanto all'Amministrazione di tenere conto delle rimanenze, donde l'esigenza di recuperare a tassazione i ricavi induttivamente ricostruiti ( cfr., per riferimenti, Cass. n. 7763/1990 e n. 11605/1995). N� -nella rilevata carenza di documentazione sul dettaglio delle rimanenze e di successive specifiche deduzioni contrarie dei contribuenti -poteva censurarsi la ripartizione presuntiva operata dalla Finanza (tra le tipologie di merci poste in vendita nell'esercizio dei Merolla) costituente la base dell'accertamento induttivo. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 26 novembre 1997 n. 11864 -Pres. Borruso Est. Graziadei -P.M. Carnevali (conf.) -Ministero delle Finanze c. Cavia. Tributi locali -Imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili Vendita con reinvestimento del corrispettivo nell'acquisto di altro immobile -Agevolazione dell'art. 3 della legge 22 aprile 1982 n. 168. Vendita di immobile personale e riacquisto di immobili in comunione legale Spet 0 tanza della agevolazione. (Legge 22 aprile 1982 n. 168, art. 3) L'agevolazione dell'art. 3 della legge 22 aprile 1982 n. 168 compete, semprech� l'intero ricavato sia reinvestito, anche nel caso che l'immobile ceduto sia di propriet� esclusiva del venditore e l'immobile acquistato cada in comunione legale con il coniuge(l). (omissis) La Corte, considerato: -che Benedetto Cavia, vendendo nell'ottobre 1983 un appartamento non di lusso di sua propriet� esclusiva, sito in Sesto Fiorentino, per il prezzo di lire 58.000.000, ha dichiarato che il corrispettivo sarebbe stato devoluto all'acquisto d'immobile similare da destinare a propria abitazione, e poi ha reclamato, rispetto a tale vendita, l'esenzione dall'INVIM, ai sensi dell'art. 3 secondo comma della legge 22 aprile 1982 n. 168, per aver effettuato detto reinvestimento nell'aprile 1984, acquistando per la stessa cifra una porzione di fabbricato in Calenzano; -che l'Ufficio del registro di Firenze, con avviso di liquidazione notificato il 5 luglio 1986, ha ritenuto applicabile l'INVIM, ed ha richiesto per tale titolo il versamento di lire 10.776.000, deducendo, quale situazione ostativa all'esenzione, che (1) Giurisprudenza ormai pacifica della quale occorre prendere atto. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO .. 168 il ricadere della nuova abitazione in comunione legale del Cavia e della moglie determinava l'imputabilit� alla seconda della met� del prezzo di lire 58.000.000 e quindi la carenza del requisito del totale reimpiego da parte del primo del capitale in precedenza incassato; -che il Cavia ha impugnato l'avviso dinanzi ai Giudici tributari; -che la legittimit� della pretesa impositiva � stata negata dalle Commissioni di primo e di secondo grado, e poi anche dalla Commissione centrale, sul rilievo che il concorso dei coniugi nell'esborso occorrente per l'acquisto della nuova casa non era di per s� provato dal regime di comunione, direttamente stabilito dalla legge; -che l'Amministrazione finanziaria, con ricorso notificato il 7 novembre 1995, ha chiesto la cassazione della pronuncia della Commissione centrale, addebitandole, con unica censura, di aver trascurato che la comunione legale, sul bene comprato con il provento della cessione di cespite personale di uno dei coniugi, non si verifica ope legis, ma discende da una libera decisione, espressa con il mancato , inserimento nel contratto della dichiarazione di cui ali' art. 179 primo comma lett. f) cod. civ., e, quindi, si traduce nell'attribuzione all'altro coniuge della met� di quel provento, relegando l'effettivo reimpiego del provento stesso alla met� del relativo importo; -che il Cavia non ha svolto controdeduzioni; -che l'esenzione dall'INVIM � accordata dal citato art. 3 secondo comma, rispetto a cessione a titolo oneroso di appartamento non di lusso ad uso abitativo, alle condizioni che l'alienante dichiari nell'atto di vendita di voler integralmente investire il corrispettivo, entro un anno, in altra abitazione, e poi produca copia del contratto di acquisto (nei sessanta giorni successivi alla sua stipulazione); -che, in ordine al requisito della totalit� del reimpiego del prezzo della vendita, la norma non impone ulteriori adempimenti al contribuente, oltre a detta dichiarazione ed a detta tempestiva allegazione di un contratto all'uopo obiettivamente idoneo (perch� concluso per un prezzo uguale o superiore a quello in precedenza ricevuto), n� in particolare esige in tale posteriore contratto specificazioni inerenti alla fonte del denaro impiegato, lasciando a carico dell'Amministrazione, la quale contesti il collegamento� fra i due atti e la rispondenza a verit� delle affermazioni del contribuente medesimo, la relativa dimostrazione; -che questa prova non � evincibile dalla sola circostanza che l'immobile comprato sia oggetto di comunione legale con il coniuge, dato che la comunione stessa si verifica indipendentemente dalla provenienza del denaro, ed anche quando esso derivi dalla dismissione di bene personale di uno dei coniugi (ove difetti l'indicata clausola derogativa), di modo che non sottende, n� permette di presumere una suddivisione dell'onere finanziario; -che le osservazioni svolte dalla ricorrente, sul carattere non automatico della comunione, e sulla riconducibilit� di essa, in relazione al bene comprato con il provento di cespite personale, ad un atto di volont� del coniuge proprietario di quest'ultimo, non si appalesano pertinenti, in quanto il beneficio in discorso discende dal reinvestimento integrale del denaro in precedenza incassato, mentre prescinde dagli effetti che il reinvestimento stesso produca in termini di intestazione del bene PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 169 comprato, e, quindi, non viene meno per il fatto che il reinvestitore, pur potendo evitarlo, abbia optato per la contitolarit� con il coniuge; -che tali rilievi, con i quali si ribadisce orientamento ormai consolidato di questa Corte (v., da ultimo, sentt. n. 8722 del4 ottobre 1996, n. 8496 del 26 settembre 1996 e n. 4085 del 3 maggio 1996), comportano il rigetto del ricorso. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 17 gennaio 1998 n. 365 -Pres. Baldassarre -Est. Macioce -P.M. Nardi (conf.) -Ministero delle Finanze c. Fici. Tributi erariali diretti -Imposta sul reddito delle persone fisiche -Redditi di lavoro dipendente -Trattamento di fine rapporto -Polizza INA -Pagamento del capitale da parte dell'Istituto di assicurazione -� soggetto alla ritenuta di acconto. Quota corrispondente ai premi a carico del dipendente -Va scorporata. (d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597, artt. 12 lett. e), 13, 14, 46 e 48; d.P.R. 29 settembre 1973 n. 601, art. 34; T.U. 22 dicembre 1986 n. 917, artt. 16 lett. a), 17, 46, 48: legge 26 settembre 1985 n. 482, art. 6). I contratti di assicurazione stipulati dal datore di lavoro allo scopo di provvedere alla erogazione di un capitale al lavoratore dipendente al momento della cessazione del rapporto di lavoro costituiscono attuazione dell'obbligo del datore di lavoro di assicurare ai dipendenti il trattamento di fine rapporto sia nel caso che l'assicurazione sostituisca l'obbligo di legge sia nel caso che dia luogo ad un trattamento migliorativo. Conseguentemente il capitale erogato costituisce reddito soggetto a tassazione separata sul quale va praticata la ritenuta di acconto senza che possa invocarsi l'esenzione dell'art. 34 del d.P.R. n. 601/1973; tuttavia dal capitale erogato va scomputata la quota corrispondente ai premi rimasti a carico del dipendente (1). (omissis) Con unico motivo, denunziante violazione degli artt. 34 d.P.R. 601/73, 12, 46, 48 d.P.R. 597/73 nonch� carenza di motivazione, l'Amministrazione Finanziaria ricorrente censura la riconduzione -operata dalla C.T.C. -del capitale corrisposto dall'INA al solo rapporto assicurativo, l� dove questo sarebbe stato mero strumento apprestato per erogare al dipendente (in adempimento di obblighi di convenzione) indennit� integrative dell'indennit� di anzianit�, come tali sottoposte al regime tributario di tali elementi reddituali. Il motivo -fondato per le ragioni di seguito indicate -deve essere accolto nei limiti di cui appresso. (1) Questione di grande rilevanza pratica risolta in modo inappuntabile. Di particolare rilievo la precisazione che il capitale assicurativo sostitutivo del t.f.r. obbligatorio e quello integrativo hanno la stessa natura. Nessun dubbio, meno che mai oggi, pu� sussistere sul punto che va esclusa dalla imposizione la quota del capitale corrispondente al premio posto a carico dello stesso lavoratore dipendente. Le precedenti sentenze, citate nel testo, non affrontavano la questione tributaria. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO .. 170 Si premette che l'IRFIS ebbe a stipulare con l'INA, il 13 settembre 1960, convenzione diretta all'emissione di polizze intestate ai propri dipendenti (polizze-vita a carattere �misto� e polizze complementari di invalidit�) mediante le quali -all'esito dei pagamenti dei premi da parte dell'IRFIS (e con il contributo in premi del dipendente) -si sarebbe assicurata al personale, all'atto della cessazione del rapporto (anche per decesso), la erogazione da parte INA di importi in capitale in grado di integrare in misura considerevole il trattamento di fine rapporto dovuto per legge e versato dall'IRFIS stesso. Ed � in virt� di tale sistema (certamente rapportabile ai contratti di assicurazione a garanzia di prestazioni di fine rapporto integratrici di quelle legali, di cui all'art. 4 del r.d.l. 8 gennaio 1942 n. 5, strumento poi soppresso dall'art. 4 della legge 29 maggio 1982 n. 297) che il personale dipendente dell'IRFIS ricevette, versate dall'INA all'atto della cessazione dei rapporti di impiego, erogazioni in capitale ulteriori rispetto a quelle dall'Istituto direttamente erogate secondo norme di legge (e pari, per il Fici, ad oltre lire 129 milioni dall'INA ed a oltre lire 131 milioni dall'IRFIS). Ci si deve -dunque -chiedere, ch� tale � la sostanziale questione posta dalla doglianza mossa dalla ricorrente alla contraria soluzione offerta dalla decisione impugnata, se tali capitali, per la funzione che assolvono e la natura del rapporto cui accedono, siano assimilabili alle indennit� di fine rapporto ai sensi degli artt. 12 lett. e), 46, 48 d.P.R. 597/73 (disposizioni poi sostituite dagli artt. 16 lett. a), 17, 46 e 48 d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, oggi ulteriormente modificate dagli artt. 3, 5 e 7 del Dlgsl. 2 settembre 1997 n. 314) e, come tali, assoggettabili alle ritenute, IRPEF ed ILOR applicabili all'atto della maturazione dei presupposti o se, di contro, assuma carattere assorbente e decisivo la riferibilit�, in tutto o in parte, delle erogazioni INA ad un rapporto di assicurazione sulla vita (con pagamento diretto del dovuto dal1' assicuratore al beneficiario), con la conseguenza -imposta dal prevalere della normativa speciale -della esenzione da tributi statuita all'art. 34 u.c. del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 601 come modificato dall'art. 15 della legge 13 aprile 1977 n. 114 e sino all'entrata in vigore del nuovo disposto dell'art. 6 della legge 26 settembre 1985 n. 482 (inapplicabile ratione temporis alla liquidazione in contesa, ma significativo della prima sottoposizione a ritenuta del 12,5%, sul differenziale �capitalepremi versati�, dei capitali erogati per polizze �vita�). Ad avviso del Coll~gio la risposta non pu� essere che nel senso della rilevanza esclusiva ed assorbente, ai fini della assoggettabilit� al regime tributario vigente, della funzione -meramente integratrice del trattamento di fine rapporto -delle polizze in discorso e della totale assimilabilit� dei capitali in forza delle stesse erogati alle indennit� di cui agli artt. 2120-2122 e.e., 12 lett. e) d.P.R. 597/73 e 16 lett. a) d.P.R. 917/86 (�indennit� equipollenti comunque denominate� o �ogni altra somma percepita una volta tanto per la cessazione dei rapporti...�). Al proposito questa Corte, che si � ripetutamente occupata di definire alcuni profili afferenti la base di computo ed il regime prescrizionale dei capitali erogati dall'INA (Cass. S.U. 11 aprile 1983 n. 2570, S.U. 22 luglio 1993 n. 8183, 27 giugno 1990 n. 6511, 28 febbraio 1996 n. 1558), ha sempre precisato che i contratti di assicurazione in discorso hanno costituito attuazione dell'obbligo datoriale di assicurare ai dipendenti il t.f.r. (a tal obbligo essendo collegati �geneticamente�) e che identica natura, ed identico collegamento, � da rinvenirsi nelle convenzioni aggiuntive assicuranti trattamenti migliorativi di quelli legali. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Se, dunque, sulla base di tal univoco e qui pienamente cond~viso orientamento, ben pu�, sinteticamente, affermarsi che � ...il diritto dei lavoratori all'adempimento di quelle obbligazioni altro non � che il diritto alla indennit� di fine rapporto cos� come dalle parti disciplinato� (sent. 6511/90) ne discende che l'oggetto di quelle obbligazioni, e cio� i capitali versati dall'INA all'atto della cessazione, tanto in sostituzione quanto ad integrazione del trattamento erogato dal datore di lavoro, debba(no) ritenersi reddito da lavoro dipendente (somme percepite una tantum per la cessazione del rapporto) ai sensi e per gli effetti delle disposizioni tributarie vigenti all'epoca della maturazione del presupposto da parte del Fici (1977) e cio�, come dianzi detto, degli artt. 12 lett. e), 13, 14, 46 e 48 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597. Ed in tal senso la ricorrente Amministrazione Finanziaria ha, esattamente, mosso le sue censure avverso la decisione 11 maggio 1995 della C.T.C. la quale, �del tutto obliterando (come non avevano fatto le Commissioni di 1� e 2� grado) natura e funzione delle erogazioni in parola, ha ritenuto applicabile ad esse il regime di esenzione totale da IRPEF ed ILOR di cui all'art. 34 u.c. d.P.R. 29 settembre 1973 n. 601 (secondo il testo aggiunto dall'art. 15 legge 114/77: i capitali percepiti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita sono esenti dall'IRPEF e dall'ILOR). E tal esenzione va, direttamente, ritenuta inapplicabile ai capitali di cui trattasi (e va ritenuto non operante il proposto meccanismo della prevalenza della norma speciale su quella generale) per la sopra rammentata prevalenza della natura (reddituale) della erogazione sulla causa negoziale ( assicurativa) dello strumento adottato e senza che a tal soluzione interpretativa possano far ostacolo contrari dati letterali. Al proposito, infatti, � significativo che nella disposizione sulle �altre agevolazioni� di cui al cit. art. 34 il comma aggiunto afferente i �capitali� in discorso non rechi ulteriori specificazioni, cos� come sarebbe stato lecito attendersi da un legislatore che avesse inteso mandare esenti da ogni imposta sul reddito (senza alcuna ragione ed in epoca nella quale l'imposizione ancora non conosceva le riduzioni e le detrazioni previste prima dall'art. 4 della legge 482/85 e poi, � seguito della sentenza C.C. 178/86, dall'art. 17 del d.P.R. 917/86) le retribuzioni di fine rapporto di diecine di migliaia di lavoratori subordinati. Del resto, ed � dato di r�evante significato ermeneutico, il legislatore, all'atto di regolare la diversa materia delle imposte sulle assicurazioni (ragguagliate ai premi corrisposti) con la legge 29 ottobre 1961 n. 1216, disponendo l'esenzione dei premi per la parte afferente le �prestazioni di legge�, ha ben ritenuto di espressamente richiamare in tabella i contratti di assicurazione di cui agli artt. 4 e 5 r.d.l. 8 gennaio 1942 n. 5 (art. 13 u.c. e tab. in all. �C�). Sulla base di tali premesse, quindi, appare evidente l'errore di diritto commesso nella sentenza impugnata dalla C.T.C., l� dove � stato statuito il diritto al rimborso d'imposta del Fici con riguardo ad erogazioni che, di contro, andavano sottoposte alle ritenute delle norme (artt. 12 lett. e), 13, 14 d.P.R. 597/73) vigenti all'epoca di maturazione del presupposto (1977). Al proposito giova precisare anche al fine della compiuta enunciazione del principio di diritto al quale il giudice del rinvio dovr� attenersi -che, per la determinazione dell'imposta, ferma restando l'inapplicabilit� delle riduzioni di cui agli artt. 4 e 5 della legge 26 set RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STPJO " 172 tembre 1985 n. 482 (stante l'assenza di alcuna domanda di riliquidazione e l'impossibilit� di applicare, a liquidazione del 1977, la norma di sanatoria di cui all'art. 5 della legge 482/85), deve provvedersi, per l'applicazione in discorso, allo scomputo dal capitale erogato dei premi riscossi posti a carico del dipendente. Lo scomputo in parola -che ha trovato successiva e specifica regolazione negli artt. 6 legge 482/85 (per la diversa materia delle assicurazioni private) e 17 d.P.R. 917 /86 (per i contributi previdenziali posti a carico dei lavoratori) -� direttamente imposto, nel caso di specie, dalla mera constatazione (correlata all 'esigenza di conformit� all'art. 53 Cast., ben illustrata dalla nota dee. 178/86 della Corte Costituzionale) che il capitale erogato al dipendente Fici dall'assicuratore non �, per la quota corrispondente ai premi dallo stesso versati, reddito, ai sensi degli artt. 12 lett. e), 46, 48 del ridetto d.P.R. 597/73, per tal quota, infatti, la erogazione assumendo carattere restitutorio. Considerando, poi, il fatto che i premi in discorso avrebbero dovuto assolvere l'imposta sul reddito delle persone fisiche, dovuta non ricorrendo l'esenzione di cui all'art. 48, secondo comma d.P.R. 597/73, come affermato da questa Corte con s~ntenza 9 ottobre 1995 n. 10547 (e, pervero, anche il contratto non sottraendosi all'imposta sulle assicurazioni, non ricorrendo l'esenzione di cui all'art. 13 u.c. legge 29 ottobre 1961n.1216, tab. ali. C, trattandosi di premi non afferenti le �prestazioni di legge�), anche il divieto di doppia imposizione di cui all'art. 67 del d.P.R. 600/73 induce ad imporre lo scomputo in questione. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 22 gennaio 1998 n. 563 -Pres. Papa -Est. Marziale -P.M. Raimondi (conf.) -Ministero delle Finanze c. Conti. Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Acquisto della prima casa Acquisto di due appartamenti contigui da riunificare -Considerazione unitaria ai fini della superficie. (legge 22 aprile 1982 n. 168, art. 1; legge 2 luglio 1949 n. 408, art. 13). Se si deve ammettere che l'agevolazione per la prima casa pu� riguardare anche l'alloggio risultante dalla riunione di pi� unit� immobiliari destinate dal!' acquirente a costituire una unica unit� abitativa, deve riconoscersi che, ai fini della determinazione del carattere di abitazione non di lusso ex art. 13 della legge 2 luglio 1929 n.� 408, la superficie da prendere in considerazione � quella risultante dalla unificazione delle due o pi� unit� abitative(!). (omissis) 2. -Con il primo motivo, l'Amministrazione Finanziaria -denunziando violazione e falsa applicazione della legge 22 aprile 1982, n. 168 e dell'art. 13 della legge 2 luglio 1949, n. 408; nonch� vizio di motivazione -censura la decisione impugnata per aver ritenuto applicabili le agevolazioni fiscali previste dall'art. 1 (1) Questione nuova risolta in modo inappuntabile. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA della legge n. 168/82 ad entrambi gli appartamenti acquistati dal Conti e dalla Savoyni senza considerare: a) che nell'atto di acquisto le parti avevano omesso di esplicitare l'intendimento di procedere all'unione delle due unit� abitative che in quel momento erano ancora strutturalmente e funzionalmente separate; b) che l'applicabilit� del beneficio presuppone che l'alloggio acquistato rientri, sia come superficie che come numero di vani, nella tipologia prevista dall'art. 13 della legge 2 luglio 1949, n. 408 sull'edilizia economica e popolare e che la sussistenza di tale requisito, nel caso di unificazione di pi� appartamenti in una sola unit� abitativa, deve essere verificata con riferimento ad immobile complessivamente risultante dalla riunione. 2.1 -La doglianza puntualizzata alla lettera a) del precedente paragrafo � inammissibile, poich� esame implica la valutazione di elementi di fatto (inerenti all'effettivo contenuto dell'atto di acquisto degli immobili) che non pu� trovare ingresso in questa sede di legittimit�. L'altra, specificata alla lettera b) � invece, non solo ammissibile, ma fondata. Invero -se deve ammettersi che le agevolazioni per la �prima casa� previste dall'art. 1, sesto comma, della legge 24 aprile 1982, n. 168 possono riguardare anche alloggi risultanti dalla riunione di pi� unit� immobiliari che siano destinate, nel loro insieme, dagli acquirenti a costituire un'unica unit� abitativa, e che quindi il contemporaneo acquisto di due appartamenti non � di per s� ostativo alla fruizione di tali benefici, posto che essi sono diretti a facilitare l'acquisto di abitazioni da parte di coloro che ne siano sprovvisti e che ai fini della loro applicazione, assumono rilievo decisivo (non la consistenza e la destinazione che tali immobili avevano prima di essere venduti, ma) quella che rilevano a seguito dell'acquisto -deve tuttavia riconoscersi la possibilit� di fruire di tali agevolazioni � espressamente subordinata dalla legge alla circostanza che si tratti di alloggio che, per la superficie, per il numero dei vani e per le altre caratteristiche specificate dall'art. 13 della legge 2 luglio 1949, n. 408, rientri nella tipologia degli alloggi �non di lusso�. E non vi � dubbio che, se l'alloggio acquistato e destinato dall'acquirente a propria abitazione risulta dalla unificazione di due (o pi�) uni~� abitative preesistenti, tale verifica deve essere fatta con riferimento all'alloggio cos� complessivamente realizzato. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 22 gennaio 1998 n. 566 -Pres. Cantillo -Est. Graziadei -P.M. Maccarone (conf.) -Ministero delle Finanze c. Soc. Agricola Polesana. Tributi (in generale) -Contenzioso tributario -Ricorso per cassazione� Notifica -Irregolarit� nella consegna -Rinnovazione -Sanatoria. (c.p.c. art. 291). La reiterazione della notificazione del ricorso per cassazione comporta il riconoscimento della tempestivit� della impugnazione in riferimento alla data della prima notificazione eventualmente invalida per inosservanza delle norme RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO"" 174 sul luogo della consegna, giacch� la rinnovazione esclude la decadenza ex art. 291 c.p.c. e anticipa e rende inutile l'ordine di rinnovazione che il giudice avrebbe dovuto impartire vertendosi in tema di nullit� non di inesistenza della prima notificazione (1). (omissis) La reiterazione della notificazione dello stesso ricorso, con il separato deposito dei relativi atti che ha dato luogo all'apertura di due procedimenti formalmente distinti, comporta, oltre alla riunione di tali procedimenti (art. 335 cod. proc. civ.), il riconoscimento della tempestivit� dell'impugnazione, da riscontrarsi in riferimento alla data della prima notificazione. L'eventuale invalidit� di questa, per inosservanza delle norme sul luogo della consegna, � infatti superata, con esclusione di decadenza, ai sensi dell'art. 291 cod. proc. civ., dall'effettuazione della seconda notificazione, mediante la quale la parte ricorrente ha anticipato e reso ultroneo l'ordine di rinnovazione che si sarebbe dovuto impartire in applicazione di detta norma (vertendosi in tema di nullit�, non inesistenza, della notificazione medesima). (omissis) (1) Decisione di grandissimo rilievo da condividere pienamente. L'orientamento della giurisprudenza in materia di notificazioni � assai incerto e, in particolare per il ricorso per cassazione contro decisioni delle commissioni tributarie, oscilla tra un rigore ingiustificato e talune aperture civili e realistiche. L'eventualit� che la parte privata, che magari non ha provveduto a dichiarare i mutamenti di status (art. 40 D.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546) o a comunicare le variazioni del domicilio eletto, della residenza o della sede (art. 17), al momento della notifica del ricorso per cassazione risulti deceduta, o fallita e comunque irraggiungibile concretamente nel luogo in cui la notifica dovrebbe essere eseguita, � notevolmente elevata. Pretendere che in tali situazioni si debbano fare gli accertamenti (anagrafici, o presso il registro delle imprese) per rintracciare il destinatario nella mutata localit� o, ancor pi�, debbano identificarli gli eredi o i nuovi legali rappresentanti della persona giuridica al fine di eseguire nel termine una valida notifica, significa riconoscere che il sistema processuale per una buona percentuale di casi nega la giustizia. Dovrebbero pertanto essere ricercati come punti fermi nell'incerto mare da un lato quelle sentenze (Cass. 10 luglio 1"991 n. 765 e 24 luglio 1995 n. 8071 in questa Rassegna 1991, I, 329 e 1996, I, 139) le quali affermano che quando � precostituito il luogo ove la notifica va eseguita (il domicilio eletto o la residenza o la sede dichiarata per l'impugnazione della sentenza, il domicilio fiscale per gli atti del procedimento amministrativo) la notifica va sempre eseguita in quel luogo, eventualmente ex art. 140 c.p.c. senza che sia necessario eseguire ricerche, o addirittura ricorrendo alla consegna presso la segreteria della commissione a norma dell'art. 17 del D.lgs. n. 546/92 (Cass. 7 luglio 1994, n. 6375, ivi, 1994, I, 551): d'altro lato le sentenze, come quella che si commenta, che ammettono con larghezza la sanatoria ex art. 291 c.p.c.; per il caso della morte del destinatario altra sentenza (24 agosto 1994 n. 7494) ammette che sia valida la notifica nei modi ordinari nel domicilio della parte defunta quando la morte non sia stata dichiarata, perch� solo a seguito della dichiarazione della morte sorge l'onere della notifica agli eredi collettivamente e impersonalmente. In tutti questi casi � per� sempre necessario che la notifica sia eseguita in uno dei modi descritti, il che � difficile ottenere perch� gli ufficiali giudiziari quando trovano difficolt� restituiscono l'atto non notificato. c. B. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBU'rARIA 175 CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 6 febbraio 1988 n. 1215 -Pres~ Finocchiaro -Est. Panebianco -P.M. Cafiero (conf.) -Colli c. Ministero delle Finanze. Tributi erariali diretti -Imposta sul reddito delle persone fisiche -Soggetti pas sivi -Residenti nel territorio dello Stato -Iscrizione nella anagrafe della popolazione -Presunzione assoluta. (d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597 art. 2; t.u. 22 dicembre 1986 n. 917, art. 2). Ai fini della determinazione della qualit� di persona fisica residente nel territorio dello Stato, l'iscrizione nella anagrafe della popolazione ha valore di presunzione assoluta efficace fino al momento in cui non interviene la cancellazione(l). (omissis) Con il primo motivo di ricorso Colli Rosanna denuncia violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597 nonch� motivazione contraddittoria, apparente e perplessa in ordine ad un punto decisivo della controversia. Per quanto riguarda l'accertamento relativo ai redditi del 1977, premesso che il Forino in quell'anno risultava ancora iscritto all'anagrafe del Comune di Milano solo perch� l'A.I.RE., cui il Consolato Generale d'Italia aveva trasmesso il cambiamento d'indirizzo tempestivamente, l'aveva erroneamente comunicato al Comune di Roma anzich� a quello di Milano, deduce la ricorrente l'errata interpretazione data al richiamato art. 2 dai giudici tributari che hanno affermato l'assoggettabilit� del Forino medesimo alla tassazione in Italia in base al semplice dato anagrafico senza considerare che tali risultanze danno luogo unicamente a presunzioni relative superabili con prove contrarie e che diversamente, qualora si ritenesse sufficiente una tale circostanza per giustificare un prelievo tributario ovunque prodotto, la norma non resisterebbe al vaglio di costituzionalit� per il quale solleva in subordine formale eccezione in relazione agli artt. 2, 3 e 53 Cost. Sostiene poi la contraddittoriet� della motivazione laddove si afferma che ai sensi dell'art. 58 u.c. d.P.R. n. 600173 le cause di variazione del domicilio fiscale hanno effetto dal 60� giorno successivo a quello in cui si sono verificati e non si considera che la residenza era stata trasferita al Principato di Monaco in data 11 novembre 1976. La censura non � fondata� alla luce della nozione di residenza, quale si desume dalla normativa fiscale applicabile temporalmente al caso in esame, riguardante, limitatamente al presente motivo, i redditi prodotti nel 1977. L'art. 2 comma 2 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597, fra le altre ipotesi ivi previste, collega la qualit� di residente, ai fini della determinazione del soggetto passivo dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, all'iscrizione �nelle anagrafi della popolazione residente�. In linea di principio deve ritenersi, quindi, in materia fiscale, tale dato preclusivo di ogni ulteriore accertamento ai fini della individuazione del soggetto passivo d'imposta, diversamente da quanto avviene ai fini civilistici ove le risultanze anagrafiche sono invece concordemente considerate idonee unicamente a dar luogo a presunzioni relative, superabili, come tali, dalla prova contraria. (1) Non constano precedenti. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO����� 176 In altri termini in materia fiscale, a differenza di quanto avviene ai fini civilistici, la forma � destinata a prevalere sulla sostanza nell'ipotesi in cui la residenza venga collegata al presupposto anagrafico. Una diversa interpretazione dovrebbe inevitabilmente considerare concorrenti infatti gli altri due presupposti previsti dall'art. 2 (sede principale degli affari nel territorio dello Stato o dimora per pi� di sei mesi), contrariamente al dettato normativo che li prevede invece in via alternativa. La prevalenza sul punto dell'elemento formale su quello sostanziale costituisce del resto una costante del sistema fiscale se � vero che anche il vigente T.U. delle Imposte sui redditi (d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917) prevede all'art. 2 comma 2 tre ipotesi alternative fra le quali, ancora una volta, l'iscrizione �nelle anagrafi della popolazione residente� la cui presenza � considerata sufficiente per l'acquisizione della residenza fiscale. Pertanto il Forino, risultando dall'impugnata decisione che nel corso del 1977 � rimasto iscritto nell'anagrafe del Comune di Milano, deve considerarsi soggetto passivo d'imposta in Italia, anche se formalmente risultava contemporaneamente residente all'estero ed, al limite, anche se fosse risultato effettivo un tale trasferimento della residenza, dovendosi far riferimento al momento in cui sia avvenuta la cancellazione e non a quello del trasferimento effettivo o formale all'estero. (omissis) SEZIONE SESTA GIURISPRUDENZA PENALE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 12 febbraio 1998, n. 17 -Pres. Scorzelli -Rel. Di Noto -P.M. Fraticelli (diff.) -Di Battista c. Ministero Finanze (avv. Stato Greco). Procedimento penale -Provvedimento abnorme -Definizione -Impugnazione Art. 111 Cost. (art. 111 Cost.) Procedimento penale� Decreto che dispone il giudizio -Mancata o insufficiente enunciazione dei fatto contestato -Dichiarazione di nullit� e trasmissione al Gip per quanto di competenza � Legittimit�. (art. 18, 429, 491 c.p.p.) � provvedimento abnorme, impugnabile con ricorso per Cassazione a norma dell'art. 111 della Costituzione essendo questo il solo mezzo utilizzabile per rimuovere gli effetti, non solo quello che per la irregolarit� e stranezza del suo contenuto risulti avulso dall'intero ordinamento processuale, ma anche quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di l� di ogni ragionevole limite. L'abnormit� pu� riguardare sia il profilo strutturale (l'atto che per la sua singolarit� si pone fuori dal sistema organico della legge processuale) sia il profilo funzionale (l'atto che pur non estraneo al sistema determina stasi del processo e l'impossibilit� di proseguirlo) (1). Non � abnorme l'ordinanza del giudice del dibattimento che abbia dichiarato la nullit� del decreto che dispone il giudizio per mancata o insufficiente enunciazione del fatto contestato, e disposto la trasmissione degli atti al giudice per l'udienza preliminare, �per quanto di competenza� (2). (omissis) 1. -Il Tribunale di Bari, nel processo penale a carico di Cifarelli Francesco ed altri, tra i quali Liborio ed Antonio Di Battista, su eccezione ritualmente proposta dai difensori, con ordinanza in data 10 ottobre 1996, dichiarava la nullit� del decre( 1) La giurisprudenza � costante sia nella definizione dell'atto abnorme, sia nel duplice riferimento all'atto �ignoto� al codice di rito e all'atto avente la mera �apparenza� di un tipo previsto, ma in realt� stravolgente del sistema. Interessante � il riferimento al �ragionevole limite� come criterio oltre il quale l'atto pu� essere considerato abnorme. (2) La sentenza che si pubblica risolve cos�, con l'autorevolezza della decisione a Sezioni Unite, il contrasto che si era verificato fra le Sezioni singole. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO ~ 178 to che aveva disposto il giudizio limitatamente ai capi compresi dalla lettera A) alla lettera E) ed ordinava formarsi autonomo fascicolo processuale da trasmettersi al G.I.P. per quanto di sua competenza. I I 1.1. -Ai fini del presente giudizio, giova precisare che Liborio ed Antonio Di Battista, nella loro qualit� di titolari della omonima ditta, e quest'ultimo, inoltre, quale amministratore unico della societ� Di Battista Antonio s.r.l., con sede in Gravina di Puglia, erano stati citati a giudizio, insieme ad altri, per rispondere dei seguenti reati, unificati dal medesimo disegno criminoso, ex art. 81 cpv. c.p.: A) delitto di cui all'art. 416, co. 1, 2, 3 e 5 c.p. -perch� si associavano tra loro allo scopo di commettere i sottospecificati delitti; B) delitto di cui all'art. 4, co. 1 p. 5 legge 516/82 -perch�, al fine di evadere le imposte e di conseguire un indebito rimborso, nonch� di consentire l'evasione e indebiti rimborsi a terzi, emettevano, utilizzavano fatture ed altri documenti per operazioni inesistenti come da schema allegato; specificatamente: -Di Battista Liborio, utilizzava fatture per f. 286.000.000; -Di Battista Antonio, utilizzava fatture per f. 3.124.913.000 e f. 408.768.000. Comunicazione definitiva di notizia di reato in data 21marzo1994 a cura del Comando Brigata G. di. F. di Altamura. Con la recidiva di Di Battista Antonio. 1.2. -L'ordinanza del Tribunale veniva motivata sul duplice rilievo: a) che le menzionate imputazioni erano state formulate in violazione dell'art. 429, secondo comma, cod. proc. pen., non essendo stato sufficientemente specificato il fatto, a causa dell'omessa indicazione del tempus commissi delicti e delle singole fatture delle quali si assumeva la falsit�, s� da pregiudicare il diritto di difesa dell'imputato; b) che il decreto non poteva ritenersi integrato dallo schema che il p.m. asseriva essere allegato alla relativa richiesta. Detto schema, infatti, non risultava allegato al decreto e comunque non conteneva alcuna indicazione circa le date di commissione dei fatti e gli estremi delle fatture delle quali si contestava la falsit�. Tanto meno il decreto poteva essere integrato dal p.v. di constatazione, che si presume contenesse pi� specifica indicazione delle fatture in ipotesi false. Trattandosi, invero, di un atto di polizia giudiziaria e non del pubblico ministero esso poteva utilmente concorrere alla individuazione del.contenuto e dell'oggetto dell'azione penale solo ove fosse stato espressamente richiamato, mediante specifico e formale rinvio, nella richiesta e nel pedissequo decreto che dispone il giudizio. 2. -Ricorrono per cassazione Liborio ed Antonio Battista e censurano, a mezzo del comune difensore -avv. Temistocle Gurrado -, il provvedimento impugnato �limitatamente alla parte in cui �veniva disposto formarsi autonomo fascicolo processuale da trasmettersi al G.I.P. per quanto di sua competenza�, essendo questa una disposizione da ritenersi comunque abnorme ed in ogni caso capace di produrre una stasi processuale, comunque non rimuovibile, in quanto il G.U.P. -e giammai il G.I.P., privo di qualsivoglia potere -non avrebbe competenza funzionale, spettando essa al pubblico ministero. Viene al riguardo precisato che ove l'autonomo fascicolo processuale venisse trasmesso al G.I.P., per quanto di sua competenza, �lo stesso rimarrebbe al G.I.P., si fermerebbe al G.I.P.�. Questi, infatti, non avendo competenza funzionale, in quanto PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE organo giurisdizionale diverso dal G.U.P. essendo giudice ad acta nell'ambito del procedimento e non del processo, non potrebbe adottare iniziative di sorta, dovrebbe al limite trasmettere gli atti al pubblico ministero. Viene censurato altres� il richiamo fatto dal tribunale, nella parte motiva del provvedimento impugnato, all'art. 423 cod. proc. pen. -�La pronuncia di nullit� sar� pertanto parziale, alla stessa consegue la trasmissione degli atti al G.l.P., davanti al quale il p.m. provveder�, ex art. 423 cod. proc. pen., all'integrazione dei capi d'imputazione da a) ad e)�. -trattandosi di norma del tutto estranea alla subiecta materia, al pari del comma 52 dell'art. 2 della legge delega che prevede il �potere del p.m. nell'udienza preliminare di modificare l'imputazione e di procedere a nuove contestazioni�, come tale inapplicabile poich� vi difettano i presupposti di legge. Ed invero, l'art. 423, primo comma, cod. proc. pen. consente al pubblico ministero, una volta instauratosi regolarmente il contraddittorio, di integrare o modificare l'imputazione, quando, nel corso dell'udienza, il fatto risulta diverso da come descritto nel capo d'imputazione, ovvero emerge una circostanza aggravante o un reato connesso ex art. 12 comma 1 lett. b). Il tribunale, pertanto, una volta accertata e dichiarata la nullit� del decreto dispositivo del giudizio per insufficiente specificazione dei fatti reato, avrebbe dovuto ordinare la trasmissione di quel fascicolo processuale al pubblico ministero per l'esercizio ex novo dell'azione penale, dopo aver corretto gli errori e superato le manchevolezze. E ci� in conformit� a quanto affermato dal giudice delle leggi con le sentenze n. 76 del 1993 e n. 70 del 1996, in tema di trasmissione degli atti nell'ipotesi in cui il giudice del dibattimento dichiari con sentenza la propria incompetenza per territorio. Si sottolinea, inoltre, che la trasmissione al G.I.P. degli atti del fascicolo del dibattimento pone in evidenza un assurdo iato normativo, in quanto egli non ha alcun potere di ordinare o chiedere al pubblico ministero la trasmissione degli atti, n� pu� ordinare allo stesso che la trasmissione avvenga in un certo tempo dato. Viene sollevata dai ricorrenti, infine, in riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 112 Cost., questione di legittimit� costituzionale delle norme che prevedono la trasmissione ai giudice dell'udienza preliminare e non al pubblico ministero degli atti processuali (fascicolo per il dibattimento) ogni qualvolta il tribunale dichiari la nullit� del decreto dispositivo del giudizio per apprezzabile ed apprezzato vizio nell'esercizio dell'azione penale. 3. -Il ricorso veniva assegnato alla III sezione penale di questa Corte. 4. -Il P.G., nella sua requisitoria scritta, chiedeva, in via principale, l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata, poich� abnorme in quanto funzionale alla regressione del processo alla fase antecedente a quella dibattimentale, vale a dire l'udienza preliminare: regressione indebita in quanto, in presenza di una ipotesi accusatoria asseritamente deficitaria o imprecisa, andava disposta non gi� la restituzione degli atti al pubblico ministero, ma l'attivazione dei meccanismi processuali previsti dagli artt. 516 e 517 cod. proc. pen. proprio per stimolare l'iniziativa delle parti e risolvere cos� eventuali situazioni di stallo. In via subordinata segnalava l'esistenza di un contrasto giurisprudenziale sul punto, per l'eventuale rimessione della questione alle Sezioni Unite. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 180 5. -Il difensore dei ricorrenti, con brevi note ritualmente depositate nella cancelleria di questa Corte, richiamando giurisprudenza di legittimit� e di merito (sez. II -8 novembre 1996, P.M. c/Borgna; sez. III -21 febbraio -26 aprile 1997, Cazzaniga; Tribunale Locri -25 gennaio 1996, in proc. Branca Domenico ed altri), insisteva per l'abnormit� del provvedimento impugnato, essendo indebita la trasmissione al G.I.P. di un processo che sarebbe dovuto tornare alla fase procedimentale delle indagini preliminari, o, a tutto concedere, sarebbe dovuto tornare al giudice dell'udienza preliminare per consentire al pubblico ministero, nel corso della rinnovata udienza preliminare, di correggere gli errori e superare ogni deficiente contestazione, rilevata ed evidenziata dal tribunale nella parte motiva della sua ordinanza. 6. -La terza sezione penale, con ordinanza del 1� luglio 1997, ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite, a norma dell'art. 618 cod. proc. pen., rilevando l'esistenza di un contrasto di giurisprudenza sull'abnormit� del provvedimento di restituzione degli atti e sul destinatario stesso di tale restituzione. 7. -Il Primo Presidente Aggiunto di questa Suprema Corte, assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissava l'odierna udienza per la sua trattazione. 8. -Il Procuratore Generale presso questa Suprema Corte, con requisitoria scritta, si riportava alle precedenti conclusioni. Motivi della decisione 9. -La questione sottoposta all'esame delle Sezioni Unite � la seguente: se il giudice possa dichiarare la nullit� (e disporre la restituzione degli atti) del decreto che dispone il giudizio ovvero del decreto di citazione a giudizio per lomessa o insufficiente specificazione del fatto contestato. Il contrasto di giurisprudenza denunciato dall'ordinanza di rimessione, tuttavia, non verte sulla dichiarazione di nullit� del decreto che dispone il giudizio bens� sull'identificazione del soggetto cui spetti rimuoverne la nullit� operando una ridescrizione esaustiva del fatto. 10. -Un primo indirizzo ritiene abnorme l'ordinanza che dichiari la nullit� del decreto di citazione a giudizio, con conseguente restituzione degli atti al pubblico ministero o al giudice per le indagini preliminari (a seconda che si tratti di procedimento davanti al tribunale o al pretore), perch� si verificherebbe un'indebita regressione alla fase degli atti introduttivi, sussistendo d'altro canto la possibilit� di utilizzare meccanismi processuali come quelli previsti dagli artt. 516 e 517 cod. proc. pen. (o dagli artt. 506 e 507 cod. proc. pen. come specificato da sez. VI -8 marzo 1993, P.M. e/Presutti, m. CED 193797) attraverso i quali possono essere superate situazioni di stasi del processo stimolando l'iniziativa delle parti, cos� da consentire una compiuta decisione sulla regiudicanda (sez. III -15 dicembre 1992, P.M. c/Antinori, m. CED 192600; sez. V -2 agosto 1993, P.M. e/ Bonandini, m. CED 194456; sez. V 11febbraio1994, P.M. e/Marino, m. CED 197091; sez. II -16 dicembre 1996, P.M. c/Borgna, m. CED 206495; sez. III -26 aprile 1997, Piccoli, m. CED 207297). �~ . fl~ ~~l:-~t1���111:�11:::::::�~~=-:=;... PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE In particolare, nella sentenza 16 dicembre 1996, P.M. c/Borgna, in fattispecie analoga a quella di cui trattasi, � stata affermata l'abnormit� del provvedimento proprio per la restituzione degli atti al G.I.P., poich� essa determinerebbe �una inammissibile regressione del processo ad una fase anteriore, creando una situazione di paralisi in quanto il giudice per le indagini preliminari cui gli atti sono rimessi non dispone dei poteri necessari per sanare la nullit� predetta dovendosi escludere che gli spetti un autonomo potere integrativo o correttivo, n� tantomeno pu� ordinare a sua volta la restituzione degli atti al pubblico ministero, perch� proceda all'eventuale integrazione dell'imputazione, in quanto anche tale provvedimento, determinando una inammissibile regressione processuale, sarebbe abnorme�. 11. -L'opposto orientamento opera invece sul concetto di atto abnorme limitandone l'ambito e restringendo quindi la portata della deroga al principio di tassativit� delle impugnazioni (sez. III -30 gennaio 1997, P.M. c/Maffei; sez. V -14 gennaio 1997, P.M. e/ Biancucci, m. CED 207257; sez. III -18 novembre 1996, P.M. c/Diop; sez. VI -6 giugno 1996, P.M. c/Gaslini, m. CED 205879; sez. VI -26 aprile 1996, P.M. e/Del Brocco; sez. V -25 marzo 1996, P.M. c/Ceccarini; sez. III -21 marzo 1996, P.M. e/Delle Fabbriche; sez. VI -19 maggio 1995, P.M. c/Cutillo; sez. VI-21settembre1994, P.M. e/Domenico, m. CED 200830; sez. V -11marzo1994, P.M. e/Luchino, m. CED 197999; sez. V -25 febbraio 1994, P.M. c/Manduca; sez. V -25 gennaio 1994, P.M. c/Santangelo). Su tale linea la sentenza della sez. V -11 marzo 1994, P.M. e/Luchino, proprio in tema di insufficiente specificazione del fatto, ha negato il carattere di abnormit� all'ordinanza che aveva annullato il decreto di citazione a giudizio e restituito gli atti al P.M., in base al principio secondo il quale �l'atto processuale pu� essere qualificato abnorme sotto il profilo strutturale (quando per la sua singolarit� si pone fuori dal sistema organico della legge processuale) o funzionale (quando pur non estraneo al sistema normativo, determina la stasi del processo, con l'impossibilit� di proseguirlo). Non pu�, quindi, essere inquadrato in nessuna delle due forme di abnormit� lordinanza con la quale il pretore dichiari la nullit� del decreto di citazione, ritenendo insufficiente l'enunciazione del fatto, per non essere stata specificata la condotta di ciascuno dei concprrenti nel reato, ove dagli atti emergano gli elementi utili alla precisazione del contributo causale recato da ognuno di essi alla realizzazione dell'illecito. Sotto l'aspetto strutturale, infatti, non pu� dirsi abnorme il provvedimento sol perch� eventualmente viziato da errata interpretazione di norme sostanziali o processuali; sotto l'aspetto funzionale, poi, un siffatto provvedimento non � suscettibile di produrre alcuna paralisi�. In questa direzione si colloca, pertanto, l'affermazione secondo cui � abnorme la trasmissione degli atti al pubblico ministero (sez. VI -6 giugno 1996, P.M. c/Gaslini, m. CED 205879) in quanto viola il principio della irretrattabilit� dell'azione penale, esercitata definitivamente dall'organo dell'accusa con la richiesta di rinvio a giudizio; mentre non � da ritenersi nella situazione anzidetta la trasmissione degli atti al G.I.P. L'abnormit� dell'ordinanza che aveva trasmesso gli atti al G.l.P. dopo avere dichiarato la nullit� del decreto dispositivo del giudizio per assoluta genericit� del1' imputazione � stata altres� negata da questa Corte (sez. I -11 febbraio 1997, Comi RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO" � 182 to, m. CED 207096), in sede di risoluzione di conflitto negativo di competenza, essendo la regressione del procedimento espressamente prevista� dall'art. 185, comma terzo, cod. proc. pen. (con riferimento alla trasmissione degli atti al p.m., ma sempre in sede di conflitto tra tribunale e G.I.P., vedi anche sez. I -18 dicembre 1996, Giorno, m. CED 206520). 12. -Le Sezioni Unite della Corte ritengono di dover aderire a quest'ultimo orientamento. 12.1. -Occorre innanzi tutto ribadire che un provvedimento pu� definirsi abnorme quando, per la singolarit� e stranezza del suo contenuto, risulti avulso dall'intero ordinamento processuale, tanto da legittimare il ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost., essendo questo il solo strumento processuale utilizzabile per rimuoverne gli effetti (S.U. -26 aprile 1989, Goria). Le Sezioni Unite, richiamando l'articolata giurisprudenza di questa Corte, hanno inoltre di recente precisato (S.U. -9 settembre 1997, Quarantelli), che � abnorme non solo il provvedimento che, per la sua singolarit�, non sia inquadrabile nell'ambito dell'ordinamento processuale, ma anche quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di l� di ogni ragionevole limite. Hanno infine le S.U. posto in rilievo che l'abnormit� dell'atto processuale pu� riguardare tanto il profilo strutturale, allorch�, per la sua singolarit�, si ponga fuori dal sistema organico della legge processuale, quanto il profilo funzionale, quando, pur non estraneo al sistema normativo, determini stasi del processo e l'impossibilit� di proseguirlo (sez. III -14 luglio 1995, P.M. c/Beggiato; sez. V -11marzo1994, P.M. e/Luchino). In tali ipotesi non rientra di certo l'ordinanza del giudice del dibattimento che abbia dichiarato la nullit� del decreto che dispone il giudizio per mancata o insufficiente enunciazione del fatto contestato, e disposto la trasmissione degli atti al giudice per l'udienza preliminare, �per quanto di competenza�. Il provvedimento, infatti, non � affetto da vizio alcuno, in procedendo o in iudicando; tanto meno il suo contenuto pu� definirsi talmente singolare da determinare una indebita regressione del procedimento o una stasi dello stesso. Esso, invece, � in piena coerenza con l'ordinamento processuale vigente. Ed invero, l'art. 429, comma secondo, cod. proc. pen. espressamente prevede la nullit� del decreto che dispone il giudizio �Se manca o � insufficiente� l'indicazione del requisito previsto dal comma 1 lett. e): l'enunciazione del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza, con l'indicazione dei relativi articoli di legge. L'art. 181, comma terzo, cod. proc. pen., a sua volta dispone che le nullit� con- cementi il decreto che dispone il giudizio debbono essere eccepite entro il termine previsto dall'art. 491, comma primo. Quest'ultimo, infine, al primo comma, sancisce che le questioni preliminari sono precluse se non sono proposte subito dopo compiuto per la prima volta l'accertamento della costituzione delle parti e sono decise immediatamente; mentre al comma quinto, precisa che sulle questioni preliminari il giudice decide con ordinanza. .. $. ~ j: ~ !\'��.�. ' PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 12.2. -Tanto meno l'ordinanza impugnata pu� ritenersi abnorme per il suo contenuto, in particolare per avere disposto la trasmissione degli atti al giudice per le indagini preliminari, per quanto di sua competenza, previa formazione di un autonomo fascicolo processuale. Inconferente e comunque errato � il richiamo agli artt. 516, 517 cod. proc. pen. Dalla mancata applicazione degli stessi anche nella ipotesi di dichiarata nullit� del decreto che dispone il giudizio per insufficiente enunciazione del fatto, non pu�, invero, arguirsi l'illegittima regressione del processo alla fase delle indagini preliminari, come affermato in talune sentenze di questa Corte (sez. III -21 febbraio 1997, Piccoli; sez. II -8 novembre 1996, Borgna; sez. V -13 gennaio 1994, P.M. e/Marino) e sostenuto dal Procuratore Generale nella sua requisitoria scritta. Gli specifici mezzi processuali in essi previsti per stimolare l'iniziativa delle parti e superare cos� eventuali situazioni di stallo, senza far regredire il procedimento alla fase precedente, non possono trovare applicazione anche in presenza di una ipotesi accusatoria asseritamente deficitaria o imprecisa. Occorre innanzi tutto sottolineare che la modifica dell'imputazione, secondo il chiaro dettato delle norme in esame, � consentita, infatti, �nel corso dell'istruzione dibattimentale�; in una fase cio� che implica il superamento di tutte le questioni di ordine preliminare, tra le quali quella relativa alla eventuale nullit� del decreto che dispone il giudizio, dovendo questa essere eccepita, per non rimanere preclusa, e decisa, ex art. 491 cod. proc. pen., prima della dichiarazione di apertura del dibattimento. In secondo luogo i casi che consentono al pubblico ministero di procedere alla modifica dell'imputazione sono nettamente distinti e per nulla assimilabili a quello che d� luogo alla nullit� del decreto che dispone il giudizio, per insufficiente indicazione del fatto, oggetto d'imputazione. Tanto basta ad escludere che si possa far ricorso alle disposizioni in esame per sanare la nullit� del decreto che dispone il giudizio, ove sia stata ritualmente dedotta, ed evitare cos� la regressione del processo �allo stato o grado in cui � stato compiuto l'atto nullo�, secondo il dettato dell'art. 185, cpv., cod. proc. pen. Ci� vale anche per il richiamo fatto agli artt. 506 e 507 cod. proc. pen. (sez. VI -8 marzo 1993, P.M. e/Presutti) che disciplinano i poteri del presidente in ordine all'assunzione delle prove in dibattimento considerato che gli stessi possono essere esercitati nel corso della istruzione dibattimentale. Di nessun pregio � poi il rilievo concernente l'individuazione del �giudice� funzionalmente competente a rinnovare il decreto dichiarato nullo, che il ricorrente indica nel �giudice dell'udienza preliminare�, in quanto organo giurisdizionale diverso da quello indicato nell'ordinanza. La distinzione tra �giudice per le indagini preliminari� (G.I.P.) e �giudice dell'udienza preliminare� (G.U.P.), sebbene corretta, non va oltre l'aspetto funzionale. Entrambi, infatti, pur nella peculiarit� delle funzioni loro rispettivamente attribuite, sono espressione dello stesso ufficio giudiziario, di quell'unico organo giurisdizionale monocratico, che il codice denomina �giudice per le indagini preliminari�, costituito all'interno degli uffici giudicanti (tribunale e pretura) -con il procedimento �tabellare� di cui all'art. 7-bis R.D. 30 gennaio 1941, n. 12 -istituzionalmente preposto, ex art. 328 cod. proc. pen., a provvedere sulle specifiche richieste RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO , 184 delle parti, tra le quali: la richiesta di rinvio a giudizio presentata dal pubblico ministero, a norma dell'art. 416 cod. proc. pen. Ci� si evince chiaramente dal sistema delle disposizioni che disciplinano le indagini e l'udienza preliminare, contenuto nel libro V del codice di procedura penale. La norma che contempla il �giudice per le indagini preliminari� � collocata, infatti, nel titolo I, tra le disposizioni generali. Egli � pertanto il giudice �naturale� che deve intervenire nel corso ovvero alla chiusura delle indagini preliminari. Come previsto nel caso dell'udienza preliminare, disciplinata nel titolo IX, in relazione alla quale al �giudice� � stata attribuita una vera e propria competenza ad processum, funzionalmente ordinata al controllo sul corretto esercizio dell'azione penale. N� rileva che nell'elenco dei criteri e dei principi il punto 64 dell'art. 2 della legge di delega al Governo per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale (legge 16 febbraio 1987, n. 81), menzioni espressamente il �giudice dell'udienza preliminare�. Il legislatore delegante, con la direttiva in questione, si � limitato ad attribuire al medesimo il potere di disporre misure di coercizione personale, ma non ha inteso incidere affatto sulle modalit� organizzative del �giudice� deputato a provvedere sulle specifiche domande presentate dalle parti nel corso o alla chiusura delle indagini preliminari. Tant'� che nella direttiva in questione il �giudice dell'udienza preliminare � � menzionato insieme al �giudice del dibattimento�, ma non � stato mai contrapposto al �giudice per le indagini preliminari�, che peraltro il legislatore delegante ha sempre indicato con il semplice nome di �giudice�. Tanto basta a far ritenere manifestamente infondata la questione di legittimit� costituzionale �delle norme codicistiche che ignorano espressamente il giudice dell'udienza preliminare, non lo istituiscono, n� espressamente lo diversificano dal G.l.P.� per violazione dell'art. 76 Cast., in relazione alla direttiva n. 64 dell'art. 2 della legge delega n. 81, del 16 febbraio 1987. E ci� proprio alla luce della giurisprudenza del giudice delle leggi che in pi� occasioni ha negato l'incompatibilit� a partecipare all'udienza preliminare del �giudice per le indagini preliminari� che abbia in precedenza disposto la misura cautelare personale nei confronti della pers0na sottoposta alle indagini (ordinanze n. 24/96; 232/96; 279/96; 333/96; 410/96; 26/97) riconoscendo cos� che il �giudice dell'udienza preliminare�, pur nella peculiarit� delle funzioni a~ esso attribuite, non � organo giurisdizionale distinto dal �giudice per le indagini preliminari�. Aggiungasi che la stessa Corte Costituzionale, nel dichiarare manifestamente infondata la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 328, comma 1-bis cod. proc. pen., sollevata in riferimento all'art. 25, comma primo Cast., ha indicato proprio nel �G.l.P. del tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente� il magistrato competente a svolgere le funzioni di giudice dell'udienza preliminare per i procedimenti indicati nell'art. 51, comma 3~bis cod. proc. pen. (ordinanza n. 481/95). E ci� per una serie di considerazioni che � opportuno qui richiamare: -la mancanza di una norma che preveda una �differente distribuzione della competenza per il medesimo organo in dipendenza delle funzioni ontologicamente diverse che l'ordinamento gli attribuisce nelle indagini e nell'udienza preliminare, fasi, queste, che, non a caso, il legislatore ha invece inteso correlare sistematicamente nell'ambito dello stesso libro V, con cui esordisce la parte seconda del codice di rito�; PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE -la sussistenza, invece, di �alcune disposizioni dell'ordinamento giudiziario, come quella, che mira a privilegiare, nell'assegnazione degli affari, la �Concentrazione � in capo allo stesso G.I.P. �di tutti i provvedimenti relativi allo stesso procedimento �, senza operare distinzioni di sorta a seconda della natura dei provvedimenti stessi (art. 7-ter); quella che stabilisce tabellarmente una apposita �sezione dei giudici singoli incaricati dei provvedimenti previsti dal codice di procedura penale per la fase delle indagini preliminari�, prescindendo da qualsiasi peculiare previsione per il giudice chiamato a celebrare l'udienza preliminare (art. 46); il differente regime -che dimostra quindi l'opposta regola -previsto per il processo minorile, ove sono devolute ad un organo a composizione collegiale, e, quindi, funzionalmente diverso, le attribuzioni relative alla fase dell'udienza preliminare (art. 50-bis); la disciplina, infine, dettata dall'art. 238 delle disposizioni di ordinamento del codice di rito, ove, nell'individuare ratione foci il G.I.P. nel caso di procedimenti relativi a reati di competenza della corte di assise, e pertanto il giudice davanti al quale deve svolgersi anche l'udienza preliminare, viene fatta espressamente salva proprio la previsione derogatoria introdotta, evidentemente non soltanto per le indagini preliminari, dall'art. 328 comma l-bis cod. proc. pen.�. 12.3. -Manifestamente errato � altres� il richiamo al pubblico ministero quale soggetto cui gli atti avrebbero dovuto essere trasmessi. Esso � privo di riferimenti normativi e contrasta inoltre con il chiaro dettato dell'art. 185, comma terzo, cod. proc. pen., che in tema di effetti della dichiarazione di nullit� cos� recita: �la dichiarazione di nullit� comporta la regressione del procedimento allo stato o al grado in cui � stato compiuto l'atto nullo, salvo che sia diversamente stabilito�. Ci� significa che nell'ipotesi di dichiarazione di nullit� del decreto che dispone il giudizio il procedimento deve necessariamente regredire allo stato nel quale essa si � verificata: l'udienza preliminare, non rientrando nei poteri del giudice del dibattimento procedere alla rinnovazione dello stesso. E gli atti pertanto debbono essere trasmessi al giudice per le indagini preliminari perch� provveda alla rinnovazione dell'atto nullo previa fissazione dell'udienza, a norma degli artt. 418 e segg. cod. proc. pen. 12.4. -N� basta invocare il principio della irretrattabilit� dell'azione penale, per far ritenere abnorme il provvedimento che dispone la trasmissione degli atti al giudice per le indagini preliminari. Le Sezioni Unite, proprio in tema di dichiarazione di nullit� del decreto di citazione a giudizio, con restituzione degli atti al P.M., pronunciata dal Pretore, hanno affermato che spetta al giudice del dibattimento provvedere alla rinnovazione del1' atto nullo (citazione a giudizio o relativa notificazione) ad esclusione dei casi nei quali vengano rilevate invalidit� o carenze incidenti sulla regolarit� della stessa costituzione del rapporto processuale attinente al giudizio (S.U. -18 giugno 1993, Garonzi). Ed hanno poi ribadito che la rinnovazione della citazione compete al giudice del dibattimento, tranne l'ipotesi in cui sia resa necessaria da una nullit� che ha impedito un valido passaggio dalla fase delle indagini preliminari a quella del giudizio: in quest'ultimo caso, al quale sono riconducibili anche la nullit� della notificazione del decreto di citazione a giudizio e l'inosservanza del termine per comparire di cui al terzo comma dell'art. 555 cod. proc. pen., l'invalidit� attiene ad un RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO �� 186 �atto propulsivo�, necessario, cio�, alla progressione del procedimento, di talch�, risultando impedita la regolare costituzione del rapporto processuale, la rinnovazione del decreto non pu� che spettare al P.M. al quale, perci�, vanno restituiti gli atti (S.U. -24 marzo 1995, Cirulli). Assolutamente corretta si dimostra pertanto la trasmissione degli atti al giudice per le indagini preliminari perch� rinnovi il decreto che dispone il giudizio, poich� la sua nullit� investendo l'atto propulsivo ha impedito il passaggio dalla fase procedimentale a quella processuale. 12.5. -� da escludere poi che la regressione del processo alla fase precedente determini una stasi non altrimenti rimuovibile se non mediante il ricorso per cassazione, essendo il G.l.P. privo dei poteri necessari per far s� che il fatto enunciato nella richiesta di rinvio a giudizio venga compiutamente descritto dal pubblico ministero. Come � noto, il giudice delle leggi, con sentenza n. 88 del 1995, ha dichiarato non fondata la questione di legittimit� dell'art. 424 cod. proc. pen. �nella parte in cui non prevede che il G.I.P. possa, all'esito dell'udienza preliminare, trasmettere gli atti al pubblico ministero per descrivere il fatto diversamente da come ipotizzato nella richiesta di rinvio a giudizio�, sul rilievo che nulla vieta che alle modifiche dell'imputazione ritenute opportune il pubblico ministero possa essere sollecitato mediante un provvedimento del giudice, il quale, ravvisando l'emergere di fatti diversi da quelli contestati, lo inviti espressamente a tali adempimenti. Provvedimento questo non solo pienamente coerente con la necessit� di correlare sempre l'imputazione a quanto di diverso pu� emergere nell'udienza preliminare ma doveroso anche ai fini del rispetto del diritto di difesa. Senza considerare poi che il giudice, nell'inerzia del pubblico ministero, pu� ben apportare al fatto nei limiti enunciati nella richiesta di rinvio a giudizio tutte le precisazioni che si rendano necessarie, considerato che il decreto che dispone il giudizio deve contenere, a norma dell'art. 429 lett. d) cod. proc. pen., l'indicazione sommaria delle fonti di prova e dei fatti cui essi si riferiscono. 12.6. -Per ragioni di completezza mette conto osservare che nella ipotesi di nullit� del decreto di citazione a giudizio dichiarata, ex art. 555 cod. proc. pen., gli atti dovranno invece essere trasmessi al pubblico ministero, essendo suo compito rinnovare l'atto nullo, considerato che nel giudizio pretorile, mancando l'udienza preliminare, il decreto di citazione a giudizio � atto del pubblico ministero. 12.7. -Occorre infine brevemente sottolineare che il provvedimento che dispone la trasmissione degli atti al G.I.P., in conseguenza della dichiarazione di nullit� del decreto che ha disposto il giudizio, secondo la giurisprudenza di questa Corte non � suscettibile di doglianza immediata ed incidentale, ed � pertanto inoppugnabile, poich� non assume natura decisoria e si concretizza in mero impulso processuale strumentale non lesivo dei diritti delle parti, che bene potranno esplicarsi nelle sedi previste (sez. VI -21settembre1994, P.M. e/De Stefano; sez. I -8 marzo 1994, Curcas, m. CED 196645; sez. I -3 febbraio 1994, Dell'Ara, m. CED 196229; sez. m. CED 191371). 12.8. -Esclusa, pertanto, l'abnormit� dell'ordinanza impugnata i ricorsi vanno dichiarati inammissibili, a norma dell'art. 591, comma primo, lett. b), cod. proc. pen., PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 187 poich� proposti avverso un provvedimento non impugnabile, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento in solido delle spese del procedimento e di una somma in favore della cassa delle ammende che si reputa di giustizia determinare in lire un milione ciascuno in considerazione della natura delle questioni dedotte. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 7 aprile 1998 n. 4265 -Pres. La Torre -Est. Silvestri -P.M. Toscani ( diff.) -Gerina e altro. Procedimento penale -Istruzione dibattimentale -Lettura delle dichiarazioni rese dall'imputato nel corso delle indagini preliminari o nell'udienza preliminare -Riforma operata dalla legge 267/1997 -Disciplina transitoria Applicabilit� ai giudizi di cassazione in corso -Condizioni. (Legge 7 agosto 1997 n. 267, articolo 6; art. 513 c.p.p.). La disciplina transitoria di cui all'art. 6 della legge 267/1997, recante �Modifica delle disposizioni del codice di procedura penale in tema di valutazione delle prove�, si applica anche ai giudizi di cassazione in corso. Affinch� venga annullata la sentenza che abbia affermato la colpevolezza del ricorrente sulla base di dichiarazioni accusatorie, delle quali sia stata data lettura in dibattimento, per essersi i dichiaranti avvalsi della facolt� di non rispondere, non basta la sola sopravvenienza della nuova disciplina. E' infatti necessario: 1) che gli originari motivi del ricorso abbiano rimesso la valutazione delle dichiarazioni stesse alla cognizione della Corte di cassazione; 2) che il ricorrente abbia manifestato, per mezzo della proposizione di motivi nuovi, la volont� che nel processo in corso trovino ingresso i meccanismi di recupero dell'oralit� e del contraddittorio; 3) che la Cassazione accerti che la valutazione degli elementi probatori desunti dalle letture delle dichiarazioni abbia avuto un peso reale sulla decisione di merito (1). (1) Aspetti di diritto transitorio del nuovo testo dell'art. 513 c.p.p. Questa importante sentenza delle Sezioni Unite ha affrontato un delicato problema di diritto transitorio sorto in conseguenza dell'entrata in vigore della legge 7 agosto 1967 n. 267 che ha modificato, in senso garantista dei diritti dell'imputato, l'art. 513 del codice di procedura penale, ponendo limiti pi� rigorosi sull'utilizzazione e valutazione delle prove. Si tratta, come � noto, dei limiti all'acquisizione al dibattimento delle dichiarazioni rese al P.M. dall'imputato e dagli imputati dei reati connessi, limiti introdotti appunto con la nuova legge in ossequio ai principi dell'oralit� e del contraddittorio e quindi della necessit� della formazione della prova nel corso del giudizio e non delle indagini preliminari. La riforma, da un lato applaudita come un doveroso ripristino del sistema accusatorio dopo le modifiche introdotte con la legge 7 agosto 1992 n. 356 che aveva invece dilatato il sistema delle letture di atti formati al di fuori del dibattimento e dall'altro pesantemente criticata soprattutto in ambito giudiziario, ha indotto molti Tribunali della Repubblica a sollevare d'ufficio o su richiesta dei P.M. questioni di legittimit� costituzionale, anche in relazione alla disciplina transitoria prevista dal legislatore nell'art. 6 della legge n. 267 del 1997. Le numerose questioni di legittimit� costituzionale riferite a violazioni del principio di ragionevolezza in relazione all'obbligatoriet� dell'azione penale, alla soggezione del giudice solo alle leggi, alla dispersione delle prove e dei mezzi di prova ed altre delle quali qui non possono RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATIJ'' 188 (omissis) Il Gerina ha chiesto, in base alla modifica dell'art. 513 c.p.p. introdotta con legge 7 agosto 1997, n. 267, l'annullamento della sentenza per essere stata affermata la sua colpevolezza esclusivamente alla luce delle dichiarazioni accusatorie di due imputati di reati connessi giudicati separatamente, delle quali era stata data lettura in dibattimento per essersi gli stessi avvalsi della facolt� di non rispondere: ditalch� le predette dichiarazioni, acquisite al fascicolo del dibattimento senza il consenso delle parti, devono reputarsi inutilizzabili a norma degli artt. 1 e 2 della legge citata e della norma transitoria di cui all'art. 6 che stabilisce precise formalit� e condizioni per l'utilizzazione delle dichiarazioni di imputati in procedimenti connessi non confermate a mezzo di esame dibattimentale. Alla pubblica udienza del 17 ottobre 1997, la Quarta Sezione Penale di questa Corte, alla quale i ricorsi erano stati assegnati, ha pronunciato ordinanza con cui gli stessi sono stati rimessi alle Sezioni Unite, ritenendo che l'interpretazione dell'art. 6 della legge n. 267/97 potesse dare origine a contrasti giurisprudenziali per la ragione che la norma transitoria, nel dettare la disciplina applicabile ai processi penali in corso alla data di entrata in vigore della legge, non fa alcuna menzione del giudizio di cassazione. Il Primo Presidente aggiunto ha assegnato i ricorsi alle Sezioni Unite per la trattazione alla pubblica udienza del 25 febbraio 1998, rilevando che il contrasto di giurisprudenza prospettato nell'ordinanza di rimessione era divenuto attuale a seguito di pronunce della Prima e della Seconda Sezione Penale di questa Corte che hanno, I II ~rispettivamente, escluso e affermato l'applicazione al giudizio di legittimit� della ~ normativa transitoria contenuta nella legge n. 267/97 con cui � stata modificata la disciplina posta dall'art. 513 c.p.p. (omissis) La prima sentenza sull'argomento ha risolto in senso affermativo il problema dell'applicazione o meno della normativa transitoria nel giudizio di legit darsi che fugaci cenni, sono state discusse innanzi alla Corte Costituzionale il 19 maggio 1998 con l'intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri in difesa della legittimit� costituzionale della nuova legge e, al momento in cui queste note vanno alla stampa, non si conosce ancora la decisione. . All'udienza fu ammesso a parlare con riserva il Procuratore Aggiunto di Torino che aveva depositato atto di intervento. Tale riserva, che la Corte Costituzionale ovviamente scioglier� con la sua decisione, � indice di una perplessit� che in altra non remota occasione, aveva portato a negare la legitimatio ad causam del Procuratore Generale presso la Corte dei Conti (sentenza n. 1del1996). In effetti l'art. 20 della legge n. 87 del 1953, che potrebbe ritenersi norma fondamentale sulle �parti� nel processo incidentale, indica soltanto parti che � arguibile siano solo quelle private, per la espressa indicazione della necessit� che la difesa sia assunta da avvocati abilitati a patrocinare innanzi alle magistrature superiori, e, inoltre, gli organi dello Stato, delle Regioni e il Governo. L'art. 23 e l'art. 25 d'altro canto con la disgiuntiva �O� che separa le parti dal P.M., non consentono di annoverare fra le parti quest'ultimo. Questi d'altronde, pur considerato �parte� nel processo penale e pur titolato a sollevare questioni di costituzionalit�, non lo � in senso tecnico, essendo titolare dell'interesse pubblico all'esercizio dell'azione penale (v. il significativo obbligo impostogli dall'art. 358 c.p.p.) e, come i giudici remittenti, � tuttora a pieno titolo inserito nell'ordinamento giudiziario. Per quanto concerne il merito delle questioni di costituzionalit�, si ritiene opportuno riferirne in questa sede soltanto per quel che basti ad una miglior comprensione del tema trattato dalla Corte di Cassazione. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 189 timit� pendente nel momento di entrata in vigore della legge n. 267 /97 rilevando che la Corte di Cassazione, in coerenza con i propri compiti istituzionali di sindacato sulla legittimit� degli atti del processo, deve prendere atto della sopravvenuta disciplina e pronunciare l'annullamento della impugnata sentenza in modo che il giudice di rinvio possa compiere le attivit� indicate nelle nuove disposizioni e possa trarne le debite conseguenze in punto di validit� processuale delle dichiarazioni di imputati in procedimenti connessi ex art. 210 c.p.p., delle quali sia stata data lettura senza il consenso delle parti in dipendenza dell'esercizio da parte degli stessi imputati della facolt� di non sottoporsi all'esame dibattimentale (Cass., Sez. II, 25 settembre 1997, Fortugno). Tale linea interpretativa � stata recepita in altra successiva pronuncia con cui � stata ribadita l'immediata operativit� nel giudizio di legittimit� della disciplina di cui alla legge n. 267/97 (Cass., Sez. II, 16 ottobre 1997, Messina ed altro). Posizioni diametralmente opposte sono state espresse da altre sentenze di questa Corte con le quali � stata giustificata l'esclusione dell'applicazione nei giudizi di legittimit� in corso sia delle disposizioni di cui al nuovo testo dell'art. 513, comma 2 sia delle relative norme transitorie attraverso linee argomentative i cui essenziali passaggi logico-giuridici possono essere cos� sintetizzati: a) l'applicazione del ius superveniens in materia processuale � regolata dal principio tempus regit actum dal quale deriva che la nuova legge, come non pu� spiegare alcun effetto di sanatoria sulle gi� verificatesi nullit�, cos� non pu� determinare la caducazione dell'atto pregresso legittimamente espletato, dotato di autonoma rilevanza e produttivo di effetti giuridici esauritisi nell'ambito del regime anteriore: b) nello speciale ambito del fenomeno acquisitivo della prova mediante la lettura dei verbali di dichiarazioni, non pu� invocarsi, in assenza di specifiche disposizioni transitorie per i procedimenti in corso, l'invalidit� o l'inefficacia del provvedimento autorizzatorio della let- Talune delle questioni sollevate dai giudici remittenti concernevano proprio le disposizioni transitorie delle quali venivano individuati contrasti con l'art. 3 della Costituzione perch� le sopravvenute norme, che impediscono l'utilizzabilit� delle dichiarazioni rese dall'imputato in procedimento connesso senza l'acccordo delle parti, contraddirebbero il principio del tempus regit actum che caratterizzerebbe il processo penale e attribuirebbero alle dichiarazioni una valenza probatoria di segno intermedio per i processi in corso, ossia attenuata rispetto al vecchio testo dell'art. 513 c.p.p., preclusa invece dal nuovo testo (stabilisce infatti il quinto comma dell'art. 6 della legge 267 del 1997 che �le dichiarazioni rese in precedenza possono essere valutate come prova dei fatti in esse affermati, solo se la loro attendibilit� sia confermata da altri elementi di prova, non desunti da dichiarazioni rese al pubblico ministero, alla polizia giudiziaria da questi delegata o al giudice nel corso delle indagini preliminari o nell'udienza preliminare, di cui sia stata data lettura ai sensi dell'articolo 513 del codice di procedura penale, nel t<:sto vigente prima della data di entrata in vigore della presente legge� ponendo perci� obblighi di riscontri obiettivi precisi prima non richiesti). La norma, in tal modo, determinerebbe un disparit� di trattamento processuale per i reati commessi anteriormente all'entrata in vigore della legge, a seconda dello stato del procedimento stesso, nel senso che in quelli in corso viene applicata la norma transitoria, in quelli non ancora in corso la nuova norma di cui all'art. 513 c.p.p. A tale argomento non solo fu possibile opporre in sede di discussione innanzi alla Corte Costituzionale che la regola �del tempo dell'atto� si applica agli atti processuali, come aveva appunto rilevato la sentenza della Corte di Cassazione (che qui si annota) tenendo conto -specie con riferimento all'attivit� probatoria -del carattere strumentale e preparatorio cui l'atto RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO . 190 tura emesso in vigenza della norma poi abrogata; e) la disciplina transitoria dettata dall'art. 6 della legge n. 267/97 subordina la parziale applicabilit� della nuova norma ad attivit� processuali (richiesta della parte interessata e citazione dei dichiaranti per il nuovo esame dibattimentale) che sono assolutamente incompatibili con il giudizio di legittimit�, onde la mancata menzione nel citato art. 6 e la conseguente impossibilit� di ricondurre detto giudizio nell'ambito delle disposizioni transitorie trovano coerente spiegazione nei peculiari caratteri strutturali che connotano i poteri di cognizione della Corte di Cassazione (Cass., Sez. I, 29 settembre 1997, Cascina ed altri). Argomenti sostanzialmente identici sono stati sviluppati nelle successive sentenze che hanno ritenuto non applicabili le norme poste dalla novella del 1997 (Cass., Sez. VI, 24 ottobre 1997, Todini ed altri; Cass., Sez. I, 24 ottobre 1997, Di Mastromatteo ed altro; Cass., Sez. VI, 30ottobre1997, Di Palma ed altri; Cass., Sez. VI, 21 novembre 1997, Guida ed altri). 3. -Cos� riassunti i termini del contrasto di giurisprudenza, sottoposto all'intervento risolutivo delle Sezioni Unite a norma dell'art. 618 c.p.p., si pu� sin d'ora anticipare che, delle due opposte soluzioni, la prima si rivela sostanzialmente esatta malgrado la succinta motivazione, mentre la seconda appare tecnicamente pi� argomentata ma non condivisibile sul piano giuridico per le ragioni che qui di seguito saranno esposte. E queste ragioni, spiegando l'inattendibilit� della pi� elaborata trama argomentativa di tale indirizzo, nei singoli punti e nell'impianto complessivo, stesso � destinato, sicch� l'assunzione di una prova, come la dichiarazione di un imputato chiamante in correit�, dispiegando i suoi effetti sino al momento della valutazione del giudice, non pu� considerarsifactum praeteritum che si esaurisca �Senza residui all'atto del suo puntuale compimento � e deve perci� allo stesso applicarsi lo ius superveniens, ma sopratutto che il legislatore non si era limitato a prevedere una data di discrimine fra il vecchio e il nuovo sistema, ma si era dato carico di preordinare le situazioni con criteri ragionevoli di salvaguardia delle prove assunte, di garanzia dei diritti di difesa e di tutela della esigenza di punizione dei reati commessi. Aveva cos� previsto la possibilit� dell'incidente probatorio modificando l'art. 392 c.p.p., la rinnovazione della citazione delle persope indicate nell'art. 513 c.p.p. e la valutabilit� come prova delle loro dichiarazioni, sia pur in una situazione rafforzata. D'altronde, � pur necessario che una nuova disposizione di legge, certamente pi� in linea con le garanzie di un processo accusatorio, venga applicata ai processi in corso, che un criterio di applicazione venga individuato e che si riconosca al legislatore ordinario la ragionevolezza di un criterio non puntualmente cronologico, ma graduato per le varie situazioni, come con le norme transitorie si � fatto. In questo quadro la sentenza delle Sezioni Unite potrebbe avere una sua influenza sulla decisione del Giudice delle Leggi quantomeno sul problema di carattere transitorio. L'art. 6 della legge non prevede infatti expressis verbis l'applicazione delle nuove norme alla fase del giudizio di Cassazione, a differenza di quanto accade per il giudizio di primo e secondo grado e per quello di rinvio (v. art. 6, Il, III e IV comma), sicch� l'estensione interpretativa che la Suprema Corte ne fa, del resto con approfonditi argomenti che tengono conto della formazione e della valutazione delle prove con i necessari e conseguenti riflessi sull'antico adagio del tempus regit actum,potrebbe incidere sulla �ragionevolezza� della legge sulla quale la Corte Costituzionale � chiamata ad esprimersi. PAOLO DI TARSIA DI BELMONTE PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE varranno insieme a integrare e a rafforzare la sintetica motivazione del contrario orientamento. 4. -Occorre anzitutto sgombrare il campo da un equivoco di fondo: quello cio� di richiamarsi al principio tempus regit actum come decisivo criterio regolatore del conflitto di diritto intertemporale che, nella vicenda legislativa in esame, si pone fra il testo originario dell'art. 513 c.p.p. e quello risultante dalle modifiche introdotte con la legge 7 agosto 1997, n. 267. Non � che il criterio sia in s� inesatto o ambiguo, chiaro essendo che con quella formula si intende significare che la sorte giuridica di un atto dipende dalla legge in vigore allorch� esso fu compiuto. E sotto questo aspetto non e certo errato affermare che, in linea di principio, il ius superveniens (non accompagnato da disposizioni transitorie), come non pu� sanare un atto ormai colpito da nullit�, cos� non pu� caducare un atto gi� validamente formatosi che sia produttivo di effetti giuridici gi� esauritisi nell'ambito del regime anteriore. Ma ben spiegata con questo esempio la formula tempus regit actum e anche a sottolineare che la materia processuale ne offre il pi� significativo campo di applicazione, il segnalato equivoco riaffiora sotto iln duplice profilo. Il primo sta nel dare per scontata una nozione indifferenziata di "atto" processuale; mentre, proprio ai fini di discriminarne le dimensioni temporali ricadenti sotto il vecchio o sotto il nuovo regime, bisogna pur distinguere l'atto che si esaurisce senza residui nel suo puntuale compimento (come una istanza, una eccezione, una impugnazione o altro atto di impulso da eseguire in una data forma ed entro certi termini) da quello, invece, che non ha mera funzione autoreferenziale n� si consuma con effetti istantanei, atteso il suo carattere strumentale e preparatorio rispetto alla successiva attivit� cognitiva cui esso � destinato, com'� tipico della struttura plurifasica del procedimento probatorio nel quale sono distinguibili i momenti di ammissione e di assunzione del mezzo istruttorio dal momento della valutazione ope iudicis. Di modo che in un caso pu� individuarsi con certezza il tempus che regebat actum, trattandosi di situazione pregressa e ormai insensibile al mutamento legislativo, mentre nell'altro caso il tempus durante il quale l'atto si dispiega, e rimane quindi collocato, non � ancora passato allorch� interviene il ius superveniens: con la conseguenza che, per stabilire se debba o non restare estraneo apa nuova disciplina, l'atto deve essere esaminato nella sua reale natura strutturale e funzionale e devono individuarsi l'esatta portata della norma sopravvenuta e lo specifico piano su cui essa � destinata ad operare. Il che non significa ripudiare o restringere il valore della massima tempus regit actum quale criterio regolatore della successione di leggi processuali, ma, pi� correttamente, significa escludere -in piena sintonia con le posizioni di autorevole e accreditata dottrina -la praticabilit� di operazioni interpretative di impronta esclusivamente assiomatica imperniate su astratte e totalizzanti generalizzazioni avulse dalla multiforme tipologia degli atti processuali e dallo specifico contenuto della disciplina legislativa sopravvenuta. Il secondo e pi� marcato profilo dell'equivoco sopra segnalato sta nel trascurare o, comunque, nel sottovalutare l'avvertenza che la formula tempus regit actum, come del resto ogni altro criterio diretto a risolvere un conflitto di diritto intertemporale (�fatto compiuto�, �situazione esaurita�, �diritto quesito� ecc.), ha la sua ragione d'essere ed � operativo solo in funzione sussidiaria, ossia nella ipotesi che RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO �� 192 manchi una disciplina transitoria; in presenza della quale, quindi, non pu� quella o altra formula sovrapporsi al contrario o diverso criterio normativo dettato dal legislatore nell'esercizio della sua discrezionalit� politica, che non trova alcun limite fuorch� nel rispetto delle norme costituzionali e, in primis, nel divieto di retroattivit� della legge penale punitiva (art. 25, comma 2 Cost.). 5. -Definite le linee fondamentali lungo le quali deve svilupparsi l'indagine, occorre, dunque, sottolineare che le dimensioni del principio tempus regit actum e le modalit� con le quali esso opera devono essere identificate non rispetto ad una generica e astratta categoria di atti processuali, ma con specifico riguardo all'istituto della prova e correlativamente, di pari passo, alla sanzione della inutilizzabilit� posto che questi, e non altri, rappresentano l'oggetto della disciplina, contenuta nel vecchio e nel nuovo testo dell'art. 513 c.p.p.: ditalch� le regole del passaggio da una normativa all'altra non possono non essere verificate in stretta ed essenziale consonanza con i principi peculiari della materia cui � riferito il conflitto di diritto intertemporale. Per prova si intende tanto il mezzo, lo strumento, il veicolo di conoscenza di un fatto dedotto nel processo quanto il risultato gnoseologico offerto alla percezione del giudice. Il valore polisemantico del termine �prova� riceve, sul piano della disciplina normativa configurazione unitaria nella ricostruzione della vicenda probatoria in termini di sequenza o di successione di atti destinati a fornire la conoscenza dei fatti dedotti nella res iudicanda e a determinare il convincimento del giudice in ordine agli stessi. I r, Nella cultura processualpenalistica � ormai consolidato il riferimento alla figura del I fil �procedimento probatorio�, all'analisi delle fasi in cui esso si articola (ammissione, assunzione e valutazione della prova) e al nesso funzionale che lega i vari momenti, i quali, pur nell'autonomia strutturale, sono proiettati verso la decisione finale, nel senso I che sono connotati dall'idoneit� a produrre risultati conoscitivi diretti a condizionare le scelte del giudice in un senso o nell'altro. A tale ottica ricostruttiva del fenomeno devo I no ricondursi le posizioni di insigne dottrina che ha qualificato la prova come fattispecie complessa a formazione successiva ponendone in risalto l'essenza finalistica, che si traduce in un inscindibile collegamento tra la prova stessa e il giudizio. Una simile linea I di pensiero trova esplicito riscontro normativo in numerose disposizioni del codice ili nelle quali � univocamente posta in luce la correlazione teleologica tra prova e giudizio, come, ad esempio,� nell'art. 404 (�la sentenza pronunciata sulla base di una prova... �), nell'art. 526 (�il giudice non pu� utilizzare ai fini della deliberazione prove diverse...�), nell'art. 603, comma 1 (�il giudice, se ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti, dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale�). Dall'indicata correlazione deve trarsi il corollario che, finch� la regiudicanda non � divenuta res iudicata perch� sono ancora possibili ulteriori interventi decisori di un giudice chiamato a valutare gli esiti gnoseologici della prova, il procedimento probatorio deve considerarsi ancora in atto e non pu� reputarsi esaurito. 6. Le precedenti riflessioni non sono sufficienti, tuttavia, a risolvere il problema di diritto intertemporale posto dall'entrata in vigore della legge 7 agosto 1997, n. 267, dato che se la portata della �novella� fosse circoscritta al piano della innovazione delle modalit� di ammissione e di assunzione di determinati mezzi di prova e alla previsione di nuove ipotesi di nullit� sarebbe indubbio che le condizioni di PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE validit� dell'atto continuerebbero ad essere governate dalla legge vigente nel tempo in cui gli stessi mezzi istruttori sono stati ammessi o assunti. Le stesse riflessioni riescono, invece, ad imprimere un decisivo impulso all'indagine interpretativa quando l'argomento relativo alla natura polifasica o procedimentale della prova viene coordinato con quello della sanzione della inutilizzabilit� introdotta dalla legge n. 267 /97 relativamente alla lettura delle dichiarazioni delle persone indicate nell'art. 513 c.p.p. senza l'accordo delle parti (artt. 1e2) o per l'ipotesi in cui dopo la lettura gi� avvenuta nei processi in corso, la parte interessata abbia manifestato la volont� di esercitare la facolt� di richiedere la citazione delle stesse persone per un nuovo esame (art. 6, commi da 2 a 5) e che la normativa in esame, anche nella sua parte transitoria, abbia introdotto una sanzione processuale riconducibile nella categoria della inutilizzabilit� della prova non � stato posto in dubbio dai commentatori della �novella� n� � stato contestato dall'indirizzo della giurisprudenza di questa Corte che ha escluso l'applicazione del nuovo regime ai giudizi di legittimit� pendenti alla data di entrata in vigore della legge. � unanime in giurisprudenza e in dottrina il convincimento che la nuova categoria della inutilizzabilit� della prova occupa un posto centrale nel sistema generale del �diritto delle prove penali� delineato nel titolo I del libro III del codice ( cfr. Rel. prel., pag. 58) e che essa rappresenta uno dei principali presidi introdotti a tutela dell'effettivit� del principio della legalit� della prova, nel quale trova espressione la regola che l'esercizio del potere conoscitivo del giudice (e, di riflesso, del potere decisorio) � sottoposto ai limiti fissati dalla legge. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno gi� indicato i punti di riferimento all'interno dei quali deve effettuarsi la collocazione sistematica dell'istituto, rilevando che �in linea generale, le categorie della nullit� della inutilizzabilit�, pur operando nell'area della patologia della prova, restano distinte e autonome, perch� correlate a diversi presupposti: la nullit� attiene sempre e soltanto all'inosservanza di alcune formalit� di assunzione della prova, vizio che non pone il procedimento formativo o acquisitivo completamente al di fuori del parametro normativo di riferimento, ma questo non rispetta in alcuni dei suoi fondamentali presupposti; invece l'inutilizzabilit�, come sanzione di carattere generale, presuppone la presenza di una prova �vietata� per la sua intrinseca� illegittimit� oggettiva, ovvero per effetto del procedimento acquisitivo la cui manifesta illegittimit� lo pone completamente al di fuori del sistema processuale� (Cass., Sez. Un., 27 marzo 1996, Sala). Una delle pi� estese e significative applicazioni della sanzione della inutilizzabilit� � rinvenibile proprio nel regime delle �letture vietate� di cui all'art. 514 c.p.p., su cui si � prodotto l'intervento innovativo della legge n. 267/97, la cui ragion d'essere va identificata nella necessit� di evitare che si realizzi -al di fuori dei casi tassativamente stabiliti dalla legge -un processo di osmosi dalla fase delle indagini preliminari a quella del giudizio e che gli esiti conoscitivi della prima si riversino nella seconda e, per tale via, influiscano sulla decisione del giudice del dibattimento, vanificando o, per lo meno, restringendo le effettive possibilit� di esplicazione del principio del contraddittorio quale metodo della conoscenza giudiziale, dalla cui attuazione dipende la salvaguardia delle fondamentali guarantigie processuali, prima fra tutte il diritto di difesa dichiarato �inviolabile� dal secondo comma del1' art 24 Cast. in ogni stato e grado del procedimento. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO . 194 Nel ruolo di garante del principio di legalit� della prova e di presidio dei diritti costituzionalmente protetti, dei quali le parti sono titolari all'interno del processo, la sanzione della inutilizzabilit� prevista dall'art. 191 c.p.p. opera su un duplice piano: come divieto di acquisizione e come divieto di �USO� della prova. Sotto il primo profilo, l'inutilizzabilit� impedisce l'ammissione e l'assunzione del mezzo di prova colpito dal divieto; sotto il secondo, essa funziona da regola di esclusione dell'efficacia probatoria dell'atto comune acquisito, perdendo questo, ope legis, qualsiasi valore dimostrativo e divenendo assolutamente inidoneo a produrre un risultato conoscitivo utilizzabile ai fini della decisione. Tale connotazione funzionale della sanzione ex art. 191 c.p.p. risulta esplicitamente confermata nella giurisprudenza di queste Sezioni Unite, che, a proposito del divieto di uso delle intercettazioni, ha precisato che �l'inutilizzabilit�, secondo l'espresso dettato legislativo, colpisce non l'intercettazione in quanto mezzo di ricerca della prova, ma i suoi risultati, che possono rivestire la natura di prova, tipica della fase del giudizio, o quella di indizio, nell'accezione dell'art. 273 c.p.p.� (Cass., Sez. Un., 27 marzo 1996, PM in proc. Monteleone ). Ne consegue che, in relazione alla predetta peculiare connotazione, il divieto di uso del risultato probatorio ha come naturale destinatario il giudice e non pu� che riferirsi, sotto l'aspetto funzionale, al momento della deliberazione di un provvedimento. 7. -Se � vero che il divieto di uso dei risultati conoscitivi � normalmente collegato con un divieto di acquisizione del mezzo di prova, � da escludere, tuttavia, che tale interrelazione corrisponda ad una regola di valore assoluto, in quanto non mancano casi nei quali la legge processuale commina la sanzione della inutilizzabilit� scindendo i due momenti e riferendo il divieto o la regola di proibizione della prova non al momento formativo-acquisitivo ma a quello della valutazione, nel quale i risultati probatori diventano oggetto dell'apprezzamento del giudice ai fini della decisione: oltre ai casi di prove oggettivamente vietate, ipotesi di questo tipo vengono comunemente identificate nelle situazioni previste dagli artt. 63, comma 1 (dichiarazioni indizianti), 195, comma 3 (testimonianza indiretta) e 254, comma 3 c.p.p. (sequestro di corrispondenza), nelle quali il divieto � formulato con esclusivo riguardo all'uso della pi:ova, indipendentemente dalle modalit� di acquisizione. D'altro canto, deve sottolinearsi che, proprio in riferimento alle intrinseche caratteristiche funzionali della sanzione ex art. 191 c.p.p., il momento della valutazione ope iudicis resta comunque quello determinante per stabilire se sia o non produttivo di risultati conoscitivi un mezzo di prova colpito da inutilizzabilit� dipendente dalla violazione di divieti di acquisizione. Tale principio rappresenta l'inequivoca ratio decidendi della soluzione interpretativa accolta nella giurispru-I <lenza di questa Corte, che -in riferimento alle modifiche apportate all'art. 500, I comma 4 ch�P�~� dal di. ~~iugbn?. ld99 11titonde~lah~egg~ 7 ~gosto 1992, 2,_nd.~06d,~onverj n. 356 -1 a gm ice i appe o 1 a ntenuto utI izza i i 11 e ic iaraz10m usate per 1e I contestazioni ancorch� fossero state acquisite illegittimamente dal giudice di primo grado in base alle norme allora vigenti (Cass., Sez. I, 29 dicembre 1993, Cimai), con i ci� restando confermato che, anche nell'ottica della successione di leggi processua-I li nel tempo, il profilo dell'acquisizione del mezzo di prova � nettamente distinto da ~ quello della valutazione dei risultati probatori e che il divieto legale -~i uso degli I ~W-11*7~,�,�Jer~-,.J si8r&a.~�~r�t=���x,w111~~Arll4ll PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE stessi va in ogni caso riferito all'atto della decisione giudiziale con cui il procedimento probatorio si esaurisce. Non � casuale, del resto, che proprio la dottrina cui si deve una delle pi� organiche e seguite analisi ricostruttive del procedimento probatorio abbia ritenuto che una prova ammessa da una legge preesistente possa essere vietata da una legge successiva e che il ius superveniens renda inutilizzabile la prova stessa, gi� legittimamente acquisita, se ancora sia in fieri la sequenza procedimentale, dato che questa si conclude solo con la decisione del giudice, ossia con l'uso della prova. L'affidabilit� logico-giuridica di una tale posizione risulta evidente quando si considera che rientra indubbiamente nella discrezionalit� del legislatore vietare l'utilizzazione di prove, indipendentemente dalla legittimit� o non delle modalit� di acquisizione, in tutti i processi in corso nei quali il procedimento probatorio non sia esaurito perch� i risultati conoscitivi devono essere ancora definitivamente valutati dal giudice. L'unico limite � dato dalla necessit� che il divieto di uso e le regole di esclusione della prova, introdotti dal legislatore in base a scelte discrezionali, siano dotati di ragionevolezza e non collidano con precetti costituzionali posti a tutela di valori fondamentali dell'ordinamento (cfr. Corte Cost., 16 giugno1994, n. 241). 8. -Una prima conclusione pu� essere tratta dal ragionamento sin qui sviluppato: quella per cui, in presenza di innovazioni legislative verificatesi nel corso del processo in materia di utilizzabilit� o di inutilizzabilit� della prova, il principio tempus regit actum deve essere riferito al momento della decisione e non a quello dell'acquisizione, atteso che il divieto di uso, colpendo proprio l'idoneit� della prova a produrre risultati conoscitivi valutabili dal giudice per la formazione del suo convincimento, interviene allorch� il procedimento probatorio non ha trovato ancora esaurimento, di modo che -come � stato icasticamente affermato in dottrina -il divieto inibisce che i dati probatori, pur se acquisiti con l'osservanza delle forme previste dalle norme previgenti, possano avere un qualsiasi peso sulla �bilancia del giudizio�. Tali linee logico-sistematiche, di decisiva importanza per l'esatta individuazione del contenuto prescrittivo della legge 7 agosto 1997, n. 267, sono state tenute ben presenti nel corso del procedimento di esame e di approvazione di quello che � poi divenuto il testo definitivo, soprattutto negli interventi di vari componenti della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati. � indubbio che la legge, una volta approvata, � dotata di una propria oggettiva portata precettiva, autonoma rispetto all'opinione di chi l'ha formata, e che quest'ultima non pu� essere identificata con la ratio legis, tuttavia, � parimenti indubbio che i lavori preparatori costituiscono un utile strumento di cui l'interprete pu� avvalersi per verificare l'attendibilit� dei risultati raggiunti con l'uso dei criteri ermeneutici enunciati dall'art. 12 delle preleggi. Alla luce di tale precisazione, deve rilevarsi -a conforto delle conclusioni interpretative offerte dall'indagine sin qui condotta -che risultano estremamente eloquenti e significative le seguenti dichiarazioni del relatore, on. Alfredo Mantovano: �� pregiudiziale in proposito una riflessione sulla nozione di inutilizzabilit� degli atti processuali; si tratta di una categoria che, pur disciplinata dal codice di procedura penale del 1930 in ipotesi limitate e circoscritte � assunta a categoria generale col codice attuale, e in particolare con la norma di cui all'art. 191. Essa � stret RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO e 196 tamente collegata alla prova e rende invalido l'atto la cui motivazione vi faccia riferimento significativo, nonch� gli atti da questo derivati; pur correlandosi alla separazione tra la fase delle indagini preliminari e la fase del dibattimento, l'utilizzabilit� rileva in quanto tale al momento della valutazione della prova e non anche al momento della sua assunzione. Dunque, se � stata superata la fase del giudizio durante la quale, in virt� del meccanismo previsto dalla formulazione oggi in vigore dell'art. 513, sono stati acquisiti al fascicolo del dibattimento i verbali delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini dall'imputato o dal coimputato che nel dibattimento si sono avvalsi della facolt� di non rispondere, ma il giudizio non � stato ancora definito, non vi � alcuna necessit� di una norma transitoria perch� il giudice non utilizzi quelle dichiarazioni: al momento della decisione, il giudice si limiter� a dichiararle non utilizzabili� (Camera dei Deputati, Commissione Giustizia, seduta del 27 maggio1997). Identiche opinioni sono state ribadite dallo stesso relatore nelle sedute successive (�� infatti convinto che il principio tempus regit actum debba essere riferito al momento di valutazione delle prove�: seduta del 18 giugno 1997) e negli interventi di vari parlamentari, tra i quali spicca, per l'esplicita presa di posizione sul tema, quello dell' on. Raffaele Marotta, il quale precis� che �per le norme processuali vige il principio tempus regit actum e che il momento decisivo per determinare quale sia la norma vigente � quello in cui viene adottata la sentenza. � in questo momento che il giudice valuter� la prova. Ci� far� secondo le norme processuali vigenti in quel momento� (seduta del 3 giugno 1997). 9. -L'ulteriore passaggio logico del percorso argomentativo attiene alla individuazione dei tipi di decisione rispetto alle quali pu� legittimamente parlarsi di �USO� o di �valutazione� della prova, dovendo, in particolare, stabilirsi se il criterio risolutore dei conflitti di diritto intertemporale possa operare, nei termini dianzi indicati, anche in caso di proibizione dell'utilizzazione della prova introdotta in pendenza del giudizio di legittimit�. La soluzione non pu� che essere affermativa, dato che una applicazione limitate; ai soli giudizi di merito manca di qualsiasi base logica e sistematica. � ovvio che, rispetto al tema della prova, il ruolo della Corte di Cassazione si differenzia da quello deJ giudice di merito. Tuttavia, l'indubbia distinzione qualitativa dei poteri di cognizione non autorizza a ritenere che il giudice di legittimit� non compia una valutazione delle prove sulle quali � fondata la decisione impugnata. Infatti, se � certo che il �prudente apprezzamento� delle prove (art. 192, comma 1 c.p.p.) � rimesso al giudice di merito, �, non di meno, altrettanto certo che la Corte di Cassazione, in relazione alla "funzione di giudice ultimo della legittimit� affidata alla medesima dall'art. 111 Cast." (Corte Cast., 5 luglio 1995, n. 294), compie certamente un'operazione di valutazione della prova allorch�, quale supremo garante della legalit� della decisione, � chiamata a controllare la motivazione della sentenza impugnata al fine di stabilire se l'interpretazione delle prove sia stata eseguita dal giudice di merito seguendo le regole della logica e le massime di comune esperienza e di verificare se l'acquisizione e l'utilizzazione delle stesse prove siano avvenute nel rispetto delle disposizioni che le disciplinano. Ne consegue che, alla luce delle argomentazioni sopra svolte, insuperabili ragioni di coerenza logica e sistematica impongono di ritenere che il procedimento probatorio deve considerarsi PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE ancora in fieri nel corso del giudizio di legittimit� allorquando la Corte di Cassazione sia investita del sindacato sulla motivazione relativa alla valutazione delle prove compiuta dal giudice di merito; l'ulteriore conseguenza � quella che la Corte Suprema, nell'esercizio dei suoi compiti istituzionali, ha il potere-dovere di rilevare che la decisione impugnata si fonda su prove colpite da un sopravvenuto divieto di utilizzazione. Utili e precisi spunti in tal senso possono ricavarsi dalla sentenza delle Sezioni Unite con cui � stato riconosciuto che il nuovo criterio di valutazione della chiamata di correo, posto dall'art. 192, comma 2 c.p.p., � immediatamente applicabile nel giudizio di cassazione, con la precisazione che �la lettera e il tenore della disposizione in esame ora, non autorizzano un'interpretazione riduttiva, nel senso di limitare l'applicazione ai soli giudizi non ancora definiti nel merito alla data del 24 ottobre 1989; n� sussistono obiettivamente ragioni per poter affermare che l'inapplicabilit� potrebbe derivare dalle specifiche funzioni della Corte di Cassazione quale giudice di legittimit�, nel senso che non essendo giudice del fatto, non potrebbe essere vincolata da una norma che, siccome diretta a dettare regole per la valutazione e non per l'assunzione di una prova, si riferirebbe soltanto ai giudici di merito� (Cass., Sez. Un., 3 febbraio 1990, Belli). Mette conto osservare che, per escludere l'importanza della pronuncia test� citata sulla soluzione di diritto intertemporale in esame, non � producente obiettare che il precedente giurisprudenziale si riferiva ad una situazione per la quale esisteva un'espressa norma transitoria (art. 245, comma 2 lett. b disp. trans. c.p.p.) che estendeva ai processi in corso la nuova regola fissata dal'art. 192, comma 3 c.p.p. per la valutazione della chiamata di correo, giacch� una simile obiezione trascura proprio uno dei punti salienti della ratio decidendi della sentenza delle Sezioni Unite laddove � enunciato il principio che le nuove norme sulla valutazione delle prove sono immediatamente applicabili anche nel giudizio di cassazione in corso e non soltanto nel giudizio di merito. Se ci� � vero per le norme che modificano i criteri di valutazione della prova, l'applicazione del medesimo principio risulta tanto pi� coerente e necessitata rispetto alle norme che introducono la sanzione della inutilizzabilit� della prova per la precisa ragione che mentre le prime stabiliscono come la prova deve essere valutata, le seconde prescrivono se la prova deve essere valutata, ponendo rigide regole di esclusione. Opinare il contrario significa dimenticare che, in materia probatoria, il sindacato di legittimit� della motivazione � costituito anche, e soprattutto, dalla verifica della conformit� della decisione ai canoni legali che regolano l'uso della prova, non in riferimento a quelli operanti al tempo dell'assunzione del mezzo di prova o della pronuncia della sentenza impugnata, ma rispetto a quelli vigenti all'epoca del controllo eseguito dal giudice di legittimit�. Per le ragioni precedentemente illustrate, l'immediata applicazione di tali canoni trova base giustificativa nel fatto che il procedimento probatorio � ancora in atto allorch� interviene la nuova legge, dalla quale sorge un vincolo e una regola del giudizio probatorio ai quali anche la Corte di Cassazione � tenuta a sottostare. Dunque, a nulla rileva la circostanza che la sentenza impugnata sia immune da errores in iudicando e da errores in procedendo secondo la disciplina vigente all'epoca in cui � stata pronunciata, dato che il controllo della motivazione, compiuto dal giudice di legittimit�, postula che la verifica RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATOe" 198 di conformit� alle regole legali contenenti divieti di utilizzazione probatoria avvenga in base alla normativa applicabile nel tempo in cui il controllo medesimo � compiuto, come, del resto, � inequivocamente confermato dalle disposizioni contenute nell'art. 609, comma 2, ultima parte c.p.p. e nell'art. 619, comma 3 c.p.p., dettata; la seconda, per l'ipotesi di applicazione di legge sopravvenuta di natura sostanziale o processuale, pi� favorevole all'imputato, che non comporti l'annullamento della I sentenza (cfr. Cass., Sez. Un., 3 febbraio 1990, Saviano, riguardante l'identica disposizione di cui all'art. 538, comma 3 del codice del 1930). Gli esiti dell'indagine permettono, quindi, di affermare -senza che sia necessario prendere posizione sulla discussa questione della reatroattivit� di alcune fondamentali norme processuali ( c.d. norme di garanzia: cfr. Cass., Sez. Un., 3 febbraio 1990, Belli, cit.; Cass., Sez. Un., 3 febbraio 1990, Saviano, cit.) che, proprio in virt� del principio tempus regit actum, le norme di cui agli artt. 1 e 2 della legge 7 agosto 1997, n. 267, dovrebbero trovare immediata applicazione nel giudizio di legittimit� se questo dovesse ritenersi realmente estraneo all'ambito della disciplina transitoria ex art. 6 della stessa legge, dato che la proibizione dell'uso di determinati risultati conoscitivi � sopravvenuta quando il procedimento probatorio non era definito per non essere stata ancora compiuta la �valutazione� affidata alla Corte di Cassazione. Di modo che, a ben vedere, deve essere capovolta l'alternativa posta dall'indirizzo giurisprudenziale contrario, nel senso che dall'esclusione dalla sfera di operativit� dell'art. 6 consegue che nei giudizi di legittimit� in corso dovrebbe inevitabilmente I applicarsi la nuova normativa dettata dagli artt. 1 e 2 e non quella in vigore alla data ~ in cui � stata pronunciata la sentenza impugnata; sostenere il contrario significa, nella sostanza, deviare dalla retta osservanza delle norme regolatrici dei conflitti di I diritto intertemporale in materia processuale e attribuire una non consentita ultratti@ vit� alla disciplina dell'utilizzabilit� della prova caducata, con effetto immediato, ~ dalla nuova legge. I 10. -Tuttavia, una corretta analisi interpretativa delle disposizioni transitorie I conduce inequivocamente a riconoscere che nel tessuto precettivo di tale disciplina sono riconducibili anche i giudizi di legittimit� pendenti alla data di entrata in vigore della legge n. 267/97, senza che sia necessario l'ausilio del metodo analogico, che, del resto, � interdetto rispetto alle norme che regolano la successione di leggi nel tempo. Canone ermeneutico fondamentale, valido per ogni ramo del diritto, � quello sancito dall'art 12 delle disposizioni sulla legge in generale secondo cui �nell'applicare la legge non si pu� ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dalla intenzione del legislatore�. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno recentemente chiarito che l'operazione interpretativa coinvolge in modo concorrente e paritario entrambi i criteri enunciati dall'art. 12 e che in caso di ambiguit� della struttura letterale della norma la ratio legis assume un'importanza preponderante, nel senso che il significato letterale pi� appropriato deve essere individuato alla luce della maggiore o della minore coerenza con l'interesse tutelato e, in definitiva, con lo scopo della legge (Cass., Sez. Un., 29 ottobre 1997, P.M. in proc. Schillaci). PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZAPENALE Sotto il profilo letterale, l'esame dell'art. 6 della legge n. 267/97 pone in luce che i commi 2, 3, e 4 contengono esplicite previsioni riferite ai diversi gradi nei quali si articola il processo (giudizio di primo grado, di appello e di rinvio) senza fare menzione del giudizio di legittimit�: tale dato testuale � stato ritenuto sufficiente per trarre significativo argomento a favore della tesi secondo cui il giudizio di cassazione non � soggetto alla disciplina transitoria. Deve obiettarsi, per�, che il silenzio, di per s� solo, non ha valore concludente, nel senso che non equivale a certa regola di esclusione, per la semplice, ma evidente ragione che -al pari dei criteri operanti sul piano dell'ermeneutica contrattuale (qui tacet consentire videtur si loqui debuisset ac potuisset) -nella ricostruzione della reale portata di una legge il fatto pretermesso non � n� affermato n� escluso e che, stante il valore non univoco del silenzio del legislatore, compito indeclinabile dell'interprete � quello di attribuire, caso per caso, alla omessa menzione del fatto il significato pi� coerente con la ratio legis enucleando la vis ac potestas della disposizione legislativa dalle sue intrinseche capacit� applicative, riferite tanto al contesto normativo in cui essa � in concreto inserita quanto all'assetto degli interessi tutelati e dei fini effettivamente perseguiti. 11. -In una tale prospettiva interpretativa � necessario rilevare che l'art. 6 � compreso in una legge il cui dichiarato intento � quello di rafforzare le garanzie assicurate ai principi del contraddittorio, dell'oralit� e della formazione della prova attraverso la dialettica dibattimentale al fine di arginare il sempre pi� diffuso ricorso, nell'esperienza giudiziaria, al meccanismo delle letture delle dichiarazioni rese durante le indagini preliminari. L'esame delle disposizioni dettate dalla legge n. 267/97, comprese quelle non direttamente attinenti alla riformulazione del testo dell'art. 513, rende evidente che con la nuova disciplina, il legislatore ha voluto realizzare un nuovo e diverso bilanciamento dei principi-guida sopra indicati con i principi della non dispersione dei mezzi di prova e di efficace esercizio della giurisdizione penale, creando un punto di equilibrio ad un livello differente da quello delineato in varie pronunce della Corte Costituzionale, prima tra tutte la sentenza n. 254 del 3 giugno 1992 con cui � stata dichiarata l'illegittimit� costituzionale del secondo comma dello stesso art. 513. Gli interventi nella Commissione Giustizia della Camera dei Deputati non potrebbero essere, in tal senso, pi� direttamente esplicativi dal momento che tutti i parlamentari hanno unanimamente riconosciuto che la legge � finalizzata ad una pi� completa attuazione della garanzia del contraddittorio, conformemente al precetto di cui all'art. 24 Cast., che d� copertura costituzionale al diritto di difesa, e alle norme della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libert� fondamentali. Estremamente significative risultano le seguenti dichiarazioni del Guardasigilli: �La conciliazione tra i tre principi richiamati non � certo facile, ma in ogni caso il principio del contradditorio deve senza dubbio prevalere come pure, probabilmente, quello dell'oralit�. � evidente peraltro che qualunque sia la scelta effettuata, deve essere pagato un prezzo ... Il Governo condivide pienamente la finalit� della riforma, che vuole evitare che le parti si sottraggano al confronto dibattimentale, sul presupposto che l'accertamento operato in assenza della difesa di regola non � portatore di verit�� (Commissione Giustizia, seduta del 4 giugno 1997). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � 200 Di pari chiarezza e trasparenza risulta la finalit� della normativa transitoria contenuta dal secondo al sesto comma dell'art. 6 in riferimento alle scelte compiute dal legislatore nell'intento di riequilibrare l'esigenza di ripristino della regola del contraddittorio, considerata quale indefettibile condizione del �giusto processo�, rispetto all'esigenza di evitare la totale dispersione delle conoscenze acquisite mediante la gi� avvenuta lettura di dichiarazioni predibattimentali. In altri termini, nella consapevolezza che le nuove norme sul divieto di utilizzazione di cui agli artt. 1 e 2 avrebbero dovuto applicarsi a tutti i processi in corso proprio in virt� del principio tempus regit actum, con l'art. 6 � stato prefigurato un particolare assetto normativo col quale sono state superate le opposte posizioni emerse durante il dibattito in commissione -favorevoli, da un lato, alla pura e semplice operativit� della nuova disciplina, senza la previsione di un regime transitorio, e, dall'altro, all'applicazione di essa ai soli procedimenti nei quali non fosse stata ancora esercitata l'azione penale -ed � stato realizzato un ponderato e misurato contemperamento delle esigenze dianzi indicate. Alla luce di tali rilievi trovano appagante spiegazione sia le disposizioni contenute nei commi 2, 3 e 4 dell'art. 6, volte a rendere possibile un recupero del contradditorio rimesso all'iniziativa di parte, sia la disposizione dettata dal quinto comma che, in deroga alla disciplina di cui all'art. 192, comma 3 c.p.p., ha posto speciali regole di utilizzazione e di valutazione delle dichiarazioni predibattimentali, escludendo, in particolare, che queste possano riscontrarsi vicendevolmente quando entrambe siano state sottratte alla verifica del dibattimento. Dal tessuto strutturale della normativa transitoria e dalla peculiare finalit� conservativa, sia pur attenuata, ad essa inerente deve trarsi il corollario, di lineare conseguenzialit� logico-giuridica, che le disposizioni ex art. 6 sono estese a tutti i processi in corso, e non ai soli giudizi di merito, giacch� esse riguardano l'applicazione della disciplina intertemporale non nell 'an ma nel quomodo, nel senso che esse regolano le sole modalit� mediante le quali deve realizzarsi il �recupero� del contradditorio, indicando le attivit� processuali a tal fine necessarie (richiesta della parte interessata e citazione del dichiarante). Tali osservazioni rendono palesi le ragioni della particolare formulazione del testo dell'art. 6 e danno un senso alla mancata previsione del giudizio di cassazione tra quelli nei quali � possibile il compimento delle attivit� processuali dirette ad attuare il �nuovo interpello� del dichiarante che si era precedentemente rifiutato di rispondere. Soltanto trascurando il senso logico delle disposizioni e lo specifico contesto normativo in cui esse sono inserite pu� sostenersi che il recupero del contraddittorio resta definitivamente precluso per il motivo che i meccanismi a ci� preordinati non possono essere immediatamente attivati dinanzi alla Corte di Cassazione. Infatti, questa sola ragione non � sufficiente a determinare l'esclusione dall'ambito di operativit� della normativa transitoria, ma implica, semplicemente, che l'applicazione di essa deve avvenire con le forme imposte dalla peculiare natura del giudizio di legittimit�, ossia mediante il passaggio obbligato dell'annullamento della sentenza pronunciata in base a prove divenute inutilizzabili e del rinvio al giudice di merito, dinanzi al quale le parti potranno richiedere la rinnovazione parziale del dibattimento, a norma del quarto comma dell'art 6, per ottenere la citazione di coloro che avevano reso le dichiarazioni per le quali � sopravvenuto il divieto di uso. ---, --,- .. j raz��1i����4'����1i�..�1z~ PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 12. -Non hanno pregio le obiezioni mosse ai risultati dell'analisi ricostruttiva dell'art. 6 ad opera dell'orientamento giurisprudenziale contrario all'applicabilit� della normativa transitoria nel giudizio di cassazione pendente al momento dell'entrata in vigore della legge n. 267/97. Nella sentenza che ha dato maggiore dignit� argomentativa a tale indirizzo � stato rilevato che �la stessa Corte, mediante l'annullamento della sentenza impugnata, potrebbe fare luogo ad un'inammissibile regressione del processo nella fase di merito, meramente strumentale al fine di consentire alla parte interessata di formulare la richiesta di rinnovazione dell'esame del dichiarante e al giudice di rinvio di verificare dapprima l'esistenza delle condizioni per la riapertura dell'istruzione dibattimentale e valutare poi l'esito del nuovo esame alla stregua della specifica regula iuris all'uopo dettata dalla norma transitoria. Il principio affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza di annullamento resterebbe in questo caso condizionato, nel suo effettivo dispiegarsi nella vicenda processuale, dall'esercizio meramente eventuale dei poteri difensivi della parte interessata e dalla successiva rinnovazione dell'esame� (Cass., Sez. I, 29 settembre 1997, Cascina ed altri, cit.). A tale obiezione deve replicarsi che l'esclusione delle disposizioni di diritto intertemporale potrebbe avere una qualche base giustificativa soltanto se l'applicazione di esse dovesse implicare deroghe alle regole ordinarie o deviazioni dal comune modello cui sono uniformate le pronunce di annullamento. L'argomento diviene, invece, inconferente quando si osserva che i poteri di cognizione e di decisione del giudice di legittimit� e le connotazioni strutturali della fase rescindente e di quella rescissoria corrispondono, anche nel caso in esame, a quelli stabiliti dal sistema processuale generale, al quale non � estranea l'eventualit� che il principio enunciato dalla Corte di Cassazione, ai sensi dell'art. 173, comma 2 disp. att. c.p.p., possa non trovare applicazione nel giudizio di rinvio in dipendenza del mancato esercizio dei �poteri difensivi della parte interessata�: basta por mente alla circostanza che l'art. n. 627, comma 2 c.p.p. stabilisce che, in caso di annullamento di una sentenza di appello, il giudice di rinvio dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale soltanto se le parti ne facciano richiesta, onde pu� ben verificarsi che, in ipotesi di annullamento pronunciato per la mancata assunzione di una prova decisiva (art. 606, comma 1 lett. d c.p.p.), nel giudizio di rinvio non sia poi compiuta la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale a causa della desistenza della parte dalla richiesta di ammissione della prova. Pertanto, non pu� rappresentare un proficuo argomento ermeneutico quello di far discendere la limitazione dell'ambito di applicazione della normativa transitoria ex art. 6 della legge n. 267/97 dal fatto che alla sentenza di annullamento potrebbe non seguire la richiesta di parte indispensabile per l'esame dibattimentale della persona delle cui dichiarazioni sia stata data precedentemente lettura. Il tema legato ai poteri di iniziativa delle parti rende necessari taluni approfondimenti per individuare i presupposti richiesti perch� la Corte di Cassazione possa pronunciare l'annullamento della sentenza basata sulle letture non pi� consentite. In proposito deve sottolinearsi che, poich� le norme transitorie fanno dipendere la sanzione dell'inutilizzabilit� dalla mancata acquiescenza delle parti, l'annullamento non pu� essere pronunciato automaticamente, per il solo fatto della sopravvenienza della nuova disciplina, e che esso postula, invece, che le parti stesse abbiano manifestato la volont� di ottenere che nel processo in corso trovino ingresso i meccani RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO. 202 smi di recupero dell'oralit� e del contraddittorio. Nel giudizio di cassazione, tale volont� non pu� ovviamente estrinsecarsi nella richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, la cui sede naturale � costituita dalla fase rescissoria, ma conformemente alle regole del sistema -deve esprimersi per mezzo della propo sizione di motivi nuovi, ai sensi dell'art. 585, comma 4 c.p.p., deducibili in base alla gi� esaminata disposizione di cui all'art. 606, comma 3, in relazione all'art. 609, comma 2, ultima parte c.p.p. E ci� non perch� l'inutilizzabilit� sia rilevabile soltanto su istanza di parte ma per la ragione che, nello speciale regime transitorio, essa inerisce ad una fattispecie per il cui perfezionamento la legge richiede che la parte interessata non sia acquiescente alla lettura delle dichiarazioni predibattimentali. Del resto, hon deve meravigliare che la sanzione dell'inutilizzabilit� sia condizionata ali' esercizio dei poteri dei quali le parti dispongono ali' interno di un processo conformato al modello accusatorio, dato che non sono infrequenti i divieti probatori dipendenti da manifestazioni di volont� attraverso le quali le parti stesse scelgono le proprie linee difensive: tipico � il caso della testimonianza indiretta, la cui utilizzazione � vietata solo quando non siano chiamate a deporre, �a richiesta di parte�, le persone dalle quali il testimone ha avuto conoscenza dei fatti (art. 195, comma 1 e 3 c.p.p.). 13. -I fautori della tesi contraria all'applicazione dell'art. 6 della legge n. 267/97 nel giudizio di legittimit� hanno ritenuto di poter trarre significativi argomenti dai lavori preparatori per il fatto che �lo specifico rilievo svolto dall'on. Simeone in sede di Commissione giustizia della Camera dei deputati nel corso della seduta del 5/6/1997, circa la necessit� d'inserimento di un ulteriore comma che prevedesse l'applicabilit� della medesima disciplina �anche alla fase pendente dinanzi alla Corte di cassazione�, non sia stato neppure posto in discussione ed anzi sia rimasto privo di alcuna risposta da parte del relatore nella medesima sede referente � (Cass., Sez. I, 29 settembre 1997, Cascina ed altri, cit.). L'assunto non ha pregio. Nel resoconto della seduta del 5 giugno 1997 l'intervento dell'on. Simeone, per la parte che qui interessa, risulta cos� riportato: �osserva che tutta la struttura portante di questa disposizione normativa � da condividersi con l'unico rilievo che pu� essere inserito, senza apportare sostanziali cambiamenti, che la medesima disciplina possa applicarsi anche nella fase pendente dinanzi alla Corte di Cassazione e non solo, pertanto, nei giudizi di rinvio a seguito di annullamento disposto dalla Suprema Corte�. Orbene, la locuzione �senza apportare sostanziali cambiamenti� rende palese che lintervento era dettato unicamente dall'esigenza che fosse specificato quanto si riteneva g~� insito nel contenuto precettivo della normativa transitoria, sicch� la mancata risposta alle osservazioni dell'on. Simeone ben pu� spiegarsi con la diffusa convinzione che le disposizioni transitorie fossero applicabili in tutti i processi in corso, nei quali avrebbero dovuto altrimenti osservarsi i divieti di utilizzazione di cui agli art. 1 e 2. Il rilievo � confermato dal fatto che il relatore aveva espressamente precisato che il regime transitorio �riguarda, cio�, l'applicazione della nuova disciplina ai processi non ancora definiti con sentenza irrevocabile� (seduta del 27 maggio 1997) e che l'on. Siniscalchi aveva osservato, ancor pi� esplicitamente, che "non vi sono ragioni per circoscrivere al solo giudizio di appello la disposizione di cui al comma PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 3 dell'art. 7 (divenuto l'art. 6 del testo definitivo) in relazione alla rinnovazione parziale del dibattimento. Dovrebbe infatti essere applicata la medesima disciplina anche per la fase di fronte alla Corte di Cassazione" (seduta del 29 maggio 1997). 14. -Occorre, a questo punto, richiamare il fondamentale canone di ermeneutica giuridica per cui, di fronte alla possibilit� di differenti scelte interpretative, il giudice � tenuto a preferire quella conforme ai principi della Costituzione e, correlativamente, a disattendere quella che conduce a risultati non compatibili con i principi medesimi. Devono condividersi, sotto tale profilo, le considerazioni sviluppate, nella sua requisitoria, dal Procuratore Generale presso questa Corte, il quale ha osservato che se le norme transitorie dovessero interpretarsi nel senso della inapplicabilit� nei giudizi di cassazione, dovrebbe considerarsi non manifestamente infondata la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 6 della legge n. 267/97, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, per la ragione che risulterebbe violato il principio di uguaglianza di trattamento, restando priva di ragionevole giustificazione l 'esclusione, per i soli giudizi di legittimit�, delle possibilit� di recupero delle regole dell'oralit�, del contraddittorio e della parit� dei diritti dell'accusa e della difesa nella formazione della prova dibattimentale. L'opinione espressa dal Procuratore Generale, condivisa da numerosi commentatori della nuova legge (compresi taluni che, pure, escludono l'applicabilit� dell'art. 6 nei giudizi di cassazione), � avvalorata dalla circostanza che le conclusioni della tesi contraria all'applicabilit� della disciplina transitoria nei giudizi pendenti in sede di legittimit� appaiono di assai dubbia razionalit� in quanto esse conducono ad operare una non plausibile tripartizione dei processi in corso, distinguendo tra processi soggetti agli artt. 1 e 2 della legge n. 267/97, nei quali non sono state ancora esaminate le persone indicate nel nuovo testo dell'art. 513 c.p.p., processi di merito nei quali deve trovare applicazione l'art. 6, commi da 2 a 5 perch� � gi� avvenuta la lettura delle dichiarazioni predibattimentali e, infine, processi pendenti dinanzi alla Corte di Cassazione, gli unici che continuerebbero a restare soggetti alla vecchia normativa e a rimanere, quindi esclusi dalla possibilit� di ripristino del contraddittorio. La discrepanza dal principio di ragionevolezza risulta tanto pi� evidente quando si considera che, di fronte alla nuova regula iuris introdotta allorch� il processo non � definito, riesce oltre modo arduo cogliere una differenza razionale che possa giustificare la palese disparit� di trattamento fra imputati che si trovano nelle medesime condizioni, salvo che per gli uni la nuova regola sopravviene quando il giudizio � ancora in grado di appello e per gli altri sopravviene, invece, nelle more fra la sentenza di appello e il giudizio di cassazione. Non pu� rappresentare un'appagante risposta alle prospettate violazioni del principio di uguaglianza l'argomento, di ordine meramente formale, secondo cui le eventuali differenze tra imputati non costituiscono ingiustificate disparit� di trattamento, essendo tale evento connaturato al principio generale della successione della legge processuale nel tempo. Infatti, una ricostruzione della portata dell'art. 6 della legge n. 267/97 da cui dovesse escludersi l'operativit� nei giudizi pendenti in cassazione molto difficilmente riuscirebbe a sottrarsi alle critiche di irragionevolezza motivate dall'avere fatto dipendere l'osservanza o non della garanzia fondamentale del contraddittorio, nel quale l'essenza RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO��� 204 del �giusto processo� trova la pi� saliente espressione, dalla sola circostanza che la sentenza della Corte di Cassazione sia stata pronunciata prima o dopo il 12 agosto 1997, data di entrata in vigore della legge n. 267 del 1997; da tale evenienza, meramente casuale e fortuita, deriverebbe -se fosse esatta l'interpretazione disattesa dalle Sezioni Unite -che il quarto e il quinto comma dell'art. 6 dovrebbe applicarsi nei giudizi di rinvio dipendenti da annullamenti pronunciati anteriormente alla predetta data e non anche, invece, in quelli scaturiti da sentenze di annullamento successive, essendo conseguenziale, in quest'ultimo caso, che l'inapplicabilit� affermata per i giudizi di cassazione dovrebbe inevitabilmente valere anche per i giudizi rescissori derivati dai primi. Ditalch�, anche sotto tale profilo, le scelte del legislatore risulterebbero incompatibili col principio di uguaglianza e rimarrebbero inspiegabili le ragioni per le quali � stata decretata l'esclusione del recupero del contraddittorio soltanto per un numero ben circoscritto di processi ancora sub iudice; quali, appunto, possono essere solo quelli che, decisi nel giudizio di merito anteriormente all'entrata in vigore della nuova legge (12 agosto 1997), abbiano dato luogo a sentenze ancora suscettibili o gi� gravate di ricorso per cassazione, ovvio essendo che, se ancora pendenti alla suddetta data in una fase di merito (primo grado, appello o rinvio), l'applicazione della nuova regula iuris discende de plano dalle esplicite e non controverse previsioni della norma transitoria dettata dal legislatore (commi 25 dell'art. 6 legge n. 267/1997). Le precedenti considerazioni offrono, dunque, una ulteriore riprova della sicura attendibilit� della soluzione favorevole all'applicabilit� della disciplina transitoria nei giudizi di legittimit� in corso, dato che i risultati forniti dall'uso dei canoni ermeneutici sanciti dall'art. 12 delle preleggi si presentano immuni dalle aporie e dalle incongruenze riscontrabili negli esiti dell'opposta tesi interpretativa e, nello stesso tempo, permettono di dare fedele attuazione alla volont� del legislatore di realizzare per tutti i giudizi pendenti il giusto equilibrio tra i principi fondamentali del processo, la cui matrice primigenia � rappresentata dalle norme della Costituzione, tra le quali spicca quella posta dall'art. 24, comma 2 (�la difesa � diritto inviolabile ir. ogni stato e grado del procedimento�) corrispondente ad uno dei paradigmi primari sui quali � configurato il �giusto processo�. Le Sezioni Unite s9no ben consapevoli che il nuovo equilibrio perseguito dal legislatore del 1997 e il conseguente ripudio dei precedenti assetti processuali, nei quali restava pressoch� vanificata la regola del contraddittorio, possono costituire un fattore di allungamento dei tempi di trattazione dei processi, ancor pi� rilevante con l'applicazione della disciplina transitoria in sede di legittimit�. Una siffatta incidenza, per�, non � stata affatto ignorata nel corso dei lavori preparatori, tant'� che nel gi� ricordato intervento del Guardasigilli dinanzi alla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, nella seduta del 4 giugno 1997, si � riconosciuta l'esigenza di dare priorit� al ripristino della prevalenza del principio del contraddittorio e si � osservato, correlativamente, che �qualunque sia la scelta effettuata, deve essere pagato un prezzo .... �. Ne consegue che paventare il �dirompente sconvolgimento dei processi in corso� -come � stato fatto dai sostenitori dell'opinione contraria all'applicazione della disciplina transitoria nei giudizi di cassazione -significa prospettare un argomento che, oltre ad essere dotato di una suggestivit� sfornita di documentati dati obiettivi che lo rendano plausibile, � inidoneo ad alte PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE rare le consapevoli e meditate scelte adottate dal legislatore nell'esercizio della propria discrezionalit� politica: scelte che neppure il giudice delle leggi pu� sindacare quando risultino compiute in sintonia con il principio di uguaglianza e con i precetti costituzionali. L'ultima obiezione, di un qualche spessore, resta quella riferibile al contenuto della disposizione di cui al sesto comma dell'art. 6 della legge n. 267/97, che, facendo decorrere la sospensione del corso della prescrizione dal momento del rinnovo della citazione dell'imputato che si era avvalso della facolt� di non rispondere, non riesce a coprire l'intero periodo indispensabile al recupero del contraddittorio nell'ipotesi di annullamento con rinvio pronunciato dalla Corte di Cassazione in applicazione della nuova disciplina. Per il vero, la segnalata incongruenza della disciplina � individuabile, ad un attento esame, non solo rispetto al giudizio di legittimit� ma anche nei riguardi dei giudizi di merito, dato che anche per questi ultimi possono ben ipotizzarsi situazioni nelle quali non � completamente neutralizzato, ai fini della prescrizione, tutto il tempo occorrente per il compimento delle necessarie attivit� processuali: il che si verifica quando il giudice di merito non si pronunci immediatamente sulla richiesta della parte interessata, restando sottratto, in tali casi, alla sospensione del corso della prescrizione il periodo trascorso tra la data di presentazione dell'istanza e quella del provvedimento di rinnovo della citazione. Ne deriva che, pur essendo innegabile che, nel giudizio di cassazione, il passaggio dalla fase rescindente a quella rescissoria comporta tempi pi� ampi non coperti dalla sospensione, non � risolutiva l'obiezione secondo cui il contenuto della disposizione di cui al sesto comma dell'art. 6 della legge n. 267/97 rivelerebbe che il processo di legittimit� � estraneo alle previsioni della normativa transitoria. Alle precedenti riflessioni deve aggiungersi che, come insegna l'antico brocar-. do, nell'interpretazione della legge adducere inconveniens non est so/vere argumentum: sicch� l'eventuale lacuna normativa esistente nel tessuto delle disposizioni transitorie non pu� rappresentare, di per s� sola, un decisivo dato ermeneutico idoneo a capovolgere le conclusioni dell'interpretazione della disciplina transitoria, il cui effettivo campo di applicazione � stato possibile definire compiutamente per mezzo di una organica indagine logico-sistematica, con risultati che hanno ricevuto puntuale e convincente riscontro dalle inequivoche indicazioni desumibili dai lavori preparatori e che, in primo luogo, appaiono in piena armonia con i valori espressi dall'ordinamento costituzionale. 15. -Si � gi� posto in evidenza che, ai fini dell'applicazione nel giudizio di Cassazione delle norme transitorie ex art. 6 della legge n. 267/97, la parte interessata deve manifestare la non acquiescenza alla lettura delle dichiarazioni predibattimentali sulle quali trova base la sentenza impugnata e che tale volont� deve essere espressa nelle forme imposte dalla disciplina delle impugnazioni, ossia a mezzo della presentazione di motivi di ricorso nuovi a norma dell'art. 585, comma 4 c.p.p. (v. � 12). Ulteriori, concorrenti condizioni devono essere ricavate dal sistema. La prima � strettamente dipendente dall'effetto devolutivo dell'impugnazione e si traduce nella inderogabile necessit� che gli originari motivi di ricorso abbiano rimesso alla cognizione della Corte di Cassazione il, controllo della motivazio RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 206 ne nel punto relativo alla valutazione delle dichiarazioni rese da coimputati o da imputati in procedimenti connessi, essendo palese che la parte non potrebbe richiedere e, correlativamente, il Supremo Collegio non potrebbe applicare la nuova disciplina se questa vertesse su un tema di decisione irretrattabilmente coperto da preclusioni e se, quindi, fosse definitivamente esaurita la situazione relativa alla valutazione della prova cui si riferiscono le innovazioni apportate dal ius superveniens. Inoltre, deve sottolinearsi �he, poich� i motivi nuovi non possono investire i capi e i punti della sentenza impugnata diversi da quelli specificamente oggetto dell'originario ricorso (cfr., coeva alla presente sentenza, Cass., Sez. Un., 25 febbraio 1998, Bono ed altri), il rigore delle preclusioni, conseguenti all'effetto devolutivo dell'impugnazione, implicherebbe che neppure all'interno dell'originario motivo di ricorso, afferente l'illogicit� della motivazione e l'inosservanza dei criteri ex art. 192, comma 3 c.p.p., le parti potrebbero dedurre la sopravvenienza delle nuove norme se il motivo nuovo non fosse reso proponibile dalla disposizione risultante dal gi� menzionato coordinamento degli artt. 606, comma 3 e 609, comma 2, ultima parte c.p.p. Deve inferirsene che, conformemente alle regole generali in materia di impugnazioni, la presentazione di motivi nuovi, nelle forme prescritte dall'art. 585 comma 4 c.p.p., costituisce il mezzo indispensabile per introdurre nel thema decidendum, devoluto alla cognizione della Corte di legittimit�, la questione relativa all'applicazione della normativa transitoria. L'ultima condizione riguarda la necessit� di verificare la rilevanza sul dictum contenuto nella sentenza impugnata degli elementi probatori desunti dalle letture delle dichiarazioni predibattimentali non pi� consentite, nel senso che la Corte di legittimit� deve accertare se la valutazione dei predetti elementi abbia avuto un peso reale sulla decisione del giudice di merito e deve, quindi, controllare la struttura argomentativa della motivazione per stabilire se la scelta di una determinata soluzione sarebbe stata la stessa, anche senza quelle dichiarazioni, per la presenza di altre prove ritenute di per s� sufficienti a giustificare l'identico convincimento. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 8 maggio 1998, n. 2277 -Pres. Sacchetti -Rei. Canzio -P.M. Persiani (conf.) -Procura della Repubblica e Procura Generale della Repubblica di Roma c. Motika Ivan ed altri. Procedimento penale -Udienza preliminare -Sentenza �de plano� ex art. 129 c.p.p. -Abnormit�. (art. 129, 418, 419 e 420 c.p.p.) La disposizione sull'obbligo della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilit�, di cui all'art. 129 c.p.p., assume rilievo, in forza del testuale dettato normativo, soltanto �in ogni stato e grado del processo� vero e proprio, non pi� del �procedimento� come prevedeva l'art. 152 dell'abrogato codice di rito -, al PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 207 cui interno si colloca la fase delle indagini preliminari. Pertanto il G.I.P. non � legittimato -dopo avere, a seguito della richiesta del p.m. di rinvio a giudizio, avviato la procedura camerale mediante la fissazione dell'udienza, il compimento degli atti introduttivi e il controllo della regolare costituzione delle parti -ad adottare �de plano� la declaratoria immediata della causa di improcedibilit� ai sensi del/' art. 129 c.p. c, poich� le relative giudiziali valutazioni, fattizie o processuali, devono essere ormai effettuate nel/ 'udienza preliminare mediante l'ausilio e il penetrante controllo delle parti del processo� (1). (omissis) 1. -Con sentenza emessa de plano il 13 novembre 1997 il g.i.p. del tribunale di Roma, richiesto dal p.m. di disporre il rinvio a giudizio di Motika Ivan, Piskulic Oskar e Avjanka Margitic (imputati il primo del delitto di genocidio o, alternativamente, di omicidio plurimo continuato e pluriaggravato, e gli altri di quest'ultimo delitto, commessi mediante �infoibamento� in Gimino e Pisino dopo 1'8 settembre 1943 e in Fiume nel maggio 1945), dichiarava non doversi procedere a carico degli stessi, ai sensi dell'art. 129 c.p.p., �per difetto delle condizioni previste dall'art. 10 c.p.�. Rilevava il g.i.p. che: -trattandosi di reati commessi su parte del territorio nazionale successivamente ceduta alla Jugoslavia -oggi Croazia -in forza del Trattato di pace entrato in vigore il 15 settembre 1947 fra l'Italia e le Potenze alleate e associate, essi dovevano considerarsi commessi in territorio ormai soggetto alla sovranit� dello (1) Ancora sul processo c.d. �delle foibe� La sentenza della Corte Suprema che si annota affronta marginalmente il problema della giurisdizione italiana nel processo delle foibe che, in fase di udienza preliminare, si era concluso con la singolare sentenza del GUP ora annullata con rinvio dalla Cassazione. Le questioni giuridiche sorte nel corso delle indagini preliminari, attinenti alla ricusazione del GUP ed alla giurisdizione sono state esaminate in un'ampia nota, pubblicata in questa Rassegna (1997, I, 325, Il processo delle foibe: problemi in limine di ricusazione e di giurisdizione italiana) cui si rinvia. In questa sede � importante rilevare l'esattezza delle affermazioni e delle conclusioni dei giudici di legittimit� in ordine all'accoglimento del primo motivo di ricorso della Procura della Repubblica di Roma che aveva denunciato l'errore di diritto processuale in cui era incorso il giudice dell'udienza preliminare. Esattamente l'organo della Pubblica Accusa aveva ritenuto essere fuori dell'ordinamento (abnorme: v. in questo numero della Rassegna, I, 177: Cass. S.U. 12 febbraio 1998 n. 17) il provvedimento con il quale il GUP, dopo aver fissato l'udienza preliminare e dopo aver verificato la regolare costituzione delle parti, aveva �tolto la causa dal ruolo� ponendo a fondamento di ci� il fatto che non era ancora pervenuta la decisione del giudice competente sulla istanza di ricusazione che nei suoi confronti era stata per la seconda volta presentata da talune parti civili. A prescindere infatti dalla considerazione che in circostanze del tutto identiche, all'atto della prima istanza di ricusazione, l'udienza preliminare, fissata anche quella volta prima che fosse emanata l'ordinanza della Corte d'Appello competente a decidere, era stata -pi� correttamente -rinviata, il P.M. nel suo ricorso aveva rilevato che non solo nessuna norma prevede che in sede di udienza preliminare le cause possono essere tolte dal ruolo, ma, soprattutto, che un provvedimento di tal fatta si pone in contrasto con l'istituto della ricusazione quale normativamente disciplinato, posto che la dichiarazione di ricusazione non produce neppure la sospensione del pro RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 208 Stato straniero, con conseguente inoperativit� dell'art. 6 c.p. e cessazione della giurisdizione italiana; -poich� il requisito della territorialit� si configurava �in simmetrico e contestuale collegamento con l'esercizio dello ius puniendi�, per la �Stretta interdipendenza e inseparabilit�� dei concetti di territorio, sovranit� e giurisdizione, �il reato potr� ritenersi commesso nel territorio dello Stato soltanto nel caso in cui il locus commissi delicti vi risulti compreso nel momento in cui un determinato soggetto dev'essere punito secondo la legge italiana�, al momento della repressione quindi e non a quello della commissione del fatto illecito; -s'imponeva pertanto �all'evidenza� la declaratoria di non doversi procedere trattandosi di reati �commessi da stranieri in territorio estero ed in ordine ai quali difettano i presupposti previsti dall'art. 10 c.p.�, con l'avvertenza -in ordine alla qualificazione giuridica dei fatti -che la contestazione al Motika del delitto di genocidio, introdotto nell'ordinamento dalla legge 9 ottobre 1967 n. 962, in epoca successiva alla commissione dei fatti, si poneva in stridente contrasto con il principio di irretroattivit� della legge penale sancito dall'art. 25, comma 2, Cost., da ritenersi non derogato dall'art. 7, comma 2, della Convenzione di Roma 4 novembre 1950 di salvaguardia dei diritti dell'uomo e sulle I libert� fondamentali, n� dall'art. 15, comma 2, del Patto internazionale relativo I ai diritti civili e politici di New York 16 dicembre 1966, circa il perseguimento ili Iili dei crimini contro l'umanit�. cesso (tant'� che il secondo comma dell'art. 37 cod. proc. pen. fa divieto al giudice ricusato solo di pronunciare -o concorrere a pronunciare -sentenza fino a che non sia intervenuta l'ordi I nanza che dichiara inammissibile o rigetta la ricusazione) e tanto meno, perci�, pu� legittimamente produrre la regressione dello stesso a una fase anteriore. Osservava il P.M. nel suo ricorso che la ratio cui si era ispirato il legislatore, posta a tutela degli interessi in giuoco nel processo penale, era quella di interdire che un'istanza di ricusazione I I !i vaiga a sospenderlo (e, a fortiori, a farlo regredire); infatti il secondo comma dell'art. 41 del codi ili ce di rito demanda al giudice competente a decidere sulla ricusazione -non al giudice ricusato -il potere di disporre (fuori di casi di inammissibilit� della dichiarazione di ricusazione) che il giudice (ricusato) sospenda temporaneamente ogni attivit� processuale o si limiti al compimento degli atti urgenti. Neppure il giudice competente a decidere sulla ricusazione ha perci� il potere di far regredire il processo a una fase anteriore, concludeva il ricorso. D'altro canto, la giurisprudenza della Corte Suprema aveva altre volte affrontato il problema in relazione all'obbligo imposto dall'art.129 c.p.p., affermando che �a seguito della richiesta del P.M. di rinvio a giudizio dell'imputato, il giudice per le indagini preliminari pu� adottare la declaratoria di determinate cause di non punibilit� a norma dell'art. 129 cod. proc. pen, ma ci� non pu� fare con provvedimento de plano, ma solamente con il rito tipico della fase in corso, cio� l'unico rito a sua disposizione per definire il processo davanti a s�, che � quello camerale dell'udienza preliminare�. �N� tale procedura � incompatibile con l'obbligo della immediata dichiarazione della causa di non punibilit�. L'espressione immediata declaratoria, peraltro contenuta soltanto nella rubrica della norma, non implica l'adozione del procedimento de plano, ma denota esclusivamente un rapporto di precedenza rispetto ad altri provvedimenti decisionali e, in particolare, rispetto a provvedimenti istruttori� (Cass., sez. VI, 21 marzo 1996, n. 839). PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 209 Avverso detta sentenza hanno proposto distinti ricorsi per cassazione sia il procuratore generale della Repubblica presso la corte d'appello che il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Il primo fa valere l'efficacia dell'art. 6 c.p. ancorata -per ragioni testuali e logiche -alla commissione del reato nel territorio italiano, dove si sono verificate l'azione e la lesione degli interessi protetti dalla norma, indipendentemente dalla sopravvenuta cessione di quella parte di territorio ad altro Stato al momento dell'esercizio della giurisdizione da parte dello Stato cedente. Il secondo sostiene, in rito, la non applicabilit� dell'art. 129 c.p.p. con sentenza emessa de plano dopo che il g.i.p., il quale aveva gi� fissato l'udienza preliminare e proceduto alla verifica della regolare costituzione delle parti, aveva disposto togliersi la causa dal ruolo; nel merito, condivide le argomentazioni del gravame del P.G. circa l'errata interpretazione dell'art. 6 c.p. e deduce l'operativit� della legge 9 ottobre 1967 n. 962 sul genocidio anche ai fatti contestati, siccome costituenti crimini contro l'umanit�. I motivi di diritto processuale e quelli di diritto sostanziale esposti dalla pubblica accusa ricorrente sono condivisi e sviluppati con ulteriori e pregevoli considerazioni -a sostegno della tesi dell'esistenza della giurisdizione italiana in forza dell'art. 6 c.p. e della qualificazione dei fatti come delitti contro l'umanit� perseguibili senza limiti di giurisdizione territoriale, n� di spazio o di tempo -nelle memorie difensive ritualmente depositate dall'Avvocatura generale dello Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri e per i Ministeri della Difesa e dell'Interno, e, rispettivamente, dai difensori delle altre parti civili private e delle parti civili Provincia e Comune di Trieste e Comune di Gorizia; per contro, la correttezza del provvedimento impugnato � sostenuta dal difensore dell'imputata Avjanka Margitic. Il P.G. presso la Corte di cassazione -condividendo le censure dei ricorrenti -ha concluso per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata. Rispetto al precedente test� citato la sentenza che si annota, accogliendo in pieno il primo motivo di ricorso e facendo proprie le argomentazioni del P.M., ha rilevato che la sentenza, conseguita al procedimento di cancellazione della causa dal ruolo, sarebbe stata abnorme anche se si fosse voluto adottare l'indirizzo giurisprudenziale favorevole all'applicabilit� dell'art. 129 c.p.p. ancor prima della fissazione dell'udienza preliminare, purch� risultasse evidente l'insussistenza degli elementi della fattispecie criminosa (indirizzo che, pur seguito da altre decisioni che la sentenza in nota cita, � stato invece disatteso, come chiaramente emerge dalla motivazione e dalla stessa massima, posto che si esclude l'applicabilit� del 129 c.p.p. alla fase delle indagini preliminari, definito �procedimento� e non �processo�). � interessante notare che, per giungere a tale conclusione, la Suprema Corte ha espressamente affermato che �non sembra affatto che le controverse questioni sull'ambito operativo dell'art. 6 c.p. in una ipotesi di successioni fra Stati e le contrastanti decisioni sul tema del giudice di legittimit� -tutte puntualmente richiamate dal g.i.p., ma intervenute in epoca assai remota, fra il 1949 e 1963, e per di pi� sottoposte ad acute analisi critiche da parte della dottrina -, rendano prima facie percepibili le soluzioni delle problematiche nell'ambito di un itinerario, quale quello della decisione de plano, che prescinde dal necessario contributo dialettico delle parti nel �processo�. Come dire cio� che la questione della giurisdizione merita una maggiore attenzione. PAOLO DI TARSIA DI BELMONTE RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 210 2. -Il motivo di ricorso in rito proposto dal procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma � fondato. 2.1. -Mette conto di rilevare preliminarmente -in linea di fatto -che: sulla richiesta depositata dal p.m. il 25 gennaio 1997 di rinvio a giudizio degli imputati per i contestati delitti di genocidio e di omicidio plurimo continuato e pluriaggravato, il g.i.p. fissava con decreto 11 marzo 1997, per il giorno 26 maggio 1997, l'udienza preliminare in camera di consiglio; -questa subiva alcuni rinvii, all' 11 luglio 1997 e al 18 ottobre 1997, per il completamento degli accertamenti relativi alla costituzione delle parti principali e delle parti civili, ed in conseguenza altres� dell'istanza di ricusazione del giudice avanzata da una delle parti civili private; -all'udienza del 18 ottobre 1997 il g.i.p., dato atto che non era ancora pervenuta la decisione della corte d'appello di Roma sulla ricusazione, �dispone(va) togliersi la causa dal ruolo�; -dichiarata inammissibile dalla corte d'appello la proposta ricusazione con ordinanza 12 novembre 1997, il giorno successivo il g.i.p. emetteva de plano e depositava in cancelleria l'impugnata sentenza di non doversi procedere nei confronti degli imputati in ordine al reato di omicidio plurimo continuato e pluriaggravato �per difetto delle condizioni previste dall'art. 10 c.p.�. 2.2. -Tanto premesso in fatto, ritiene il Collegio che colga innanzi tutto nel segno la prima censura del ricorrente p.m. in punto di �abnormit�� del provvedimento di cancellazione della causa dal ruolo. Si pone al di fuori di ogni schema del sistema processuale l'invero singolare e atipico contenuto del provvedimento con il quale il g.i.p., dopo avere -a norma degli artt. 418, 419 e 420 c.p.p. -emesso un atto processuale di natura propulsiva, qual'� il decreto di fissazione dell'udienza preliminare, nonch� compiuto una complessa attivit� di avvio della fase degli atti introduttivi della procedura camerale anche mediante la verifica della regolare costituzione delle parti principali e delle numerose parti civili, private e pubbliche, disponga �togliersi la causa dal ruolo�, cos� facendo nuovamente regredire il rito camerale in corso alla fase dei descritti atti propulsivi e introduttivi gi� prima positivamente espletati. D'altra parte, neppure la motivazione addotta dal giudice a giustificazione di siffatta anomala regressione della procedura camerale (l'intempestivit� della decisione della corte d'appello sull'istanza di ricusazione) appare in linea con le regole che disciplinano quest'ultimo istituto: la proposizione della dichiarazione di ricusazione -come si desume agevolmente dal combinato disposto delle disposizioni degli artt. 37.2 (per il quale v. anche la sentenza della C. cost. n. 10 del 1997), 41.2 e 42 c.p.p. -non sospende affatto ogni attivit� processuale, e perci� a fortiori non pu� legittimamente produrne la regressione ad una fase anteriore. 3.1. -Ritiene peraltro il Collegio che il g.i.p. non era legittimato -dopo avere, a seguito della richiesta del p.m. di rinvio a giudizio, avviato la procedura camerale mediante la fissazione dell'udienza, il compimento degli atti introduttivi e il controllo della regolare costituzione delle parti -ad adottare de plano la declaratoria immediata della causa di improcedibilit� ai sensi dell'art. 129, poich� le relative giudiziali valutazioni, fattizie o processuali, dovevano essere ormai effet PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE tuate nell'udienza preliminare mediante l'ausilio e il penetrante controllo delle parti del �processo�. � pacifico che la disposizione sull'obbligo della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilit�, di cui all'art. 129 c.p.p., assume rilievo, in forza del testuale dettato normativo, soltanto �in ogni stato e grado del processo� vero e proprio, non pi� del �procedimento� -come prevedeva l'art. 152 dell'abrogato codice di rito -, al cui interno si colloca la fase delle indagini preliminari. Con la richiesta di rinvio a giudizio il p.m., chiudendo la fase procedimentale delle indagini preliminari ed entrando nel �processo�, esercita l'azione penale e sottopone l'impianto accusatorio al vaglio giurisdizionale nell'incontro dialettico con le altre parti private, secondo le modalit� procedurali previste dagli artt. 418 ss. c.p.p. N� appare superfluo evidenziare la facolt� riservata nella fase dell'udienza preliminare a tutte le parti di presentare memorie e produrre documenti (artt. 121, 419.2 e 3, 421.3), richiedere un incidente probatorio (C. cost., sent. n. 77 del 1994), sollecitare una sia pur limitata integrazione probatoria su temi nuovi o incompleti al fine di precisare il thema decidendum (art. 422), nonch� la esclusiva potest� del p.m. di modificare l'imputazione (art. 423). Orbene, limitandosi l'art. 129 a prevedere solo l'obbligo della declaratoria delle cause di non punibilit� in ogni stato e grado del processo senza nulla disporre in ordine al rito da seguire per emettere detto proscioglimento immediato, questo dovr� essere quello tipico della fase in cui il �processo� si trova. Laddove il legislatore non abbia previsto eccezionalmente l'adozione de plano del provvedimento in esame mediante la consueta espressione senza formalit� �, in deroga al rito tipico della fase processuale de qua, per le concrete modalit� di emissione di detta declaratoria dovr� adottarsi necessariamente quest'ultimo, che, per la fase conseguente alla richiesta di rinvio a giudizio, � esclusivamente la procedura di fissazione e celebrazione dell'udienza preliminare davanti al g.i.p., della quale costituisce elemento caratterizzante il contraddittorio camerale fra tutte le parti, principali e accessorie (cfr., in senso conforme, Cass., Sez. I, 1� dicembre 1997, P.G. in proc. Vito, rv. 209183; Sez. VI, 20 gennaio 1998, P.G. in proc. Palpacelli; 20 gennaio 1998, P.G. in proc. Esposito; 16 febbraio 1996, Mazzocchi, rv. 204260; cui adde, per la fase del dibattimento, Sez. I, 22 novembre 1996, P.M. in proc. Barbarini). 3.2. -Mette conto di sottolineare che anche l'indirizzo interpretativo favorevole all'immediata declaratoria di non punibilit� da parte del g.i.p. ex art. 129, senza necessit� di fissazione dell'udienza preliminare a seguito della richiesta del p.m. di rinvio a giudizio, ancora tuttavia detta compatibilit� -non condivisa, come si � detto, dall'opposto orientamento giurisprudenziale fatto proprio dal Collegio all'ipotesi di immediata ravvisabilit� della relativa causa, quando cio� si prospetti con �evidenza� l'insussistenza degli elementi della fattispecie criminosa e la domanda dell'accusa si appalesi �infondata in maniera manifesta� (cfr. Cass., Sez. VI, 28 giugno 1995, Sculli, rv. 202338; Sez. III, 5 ottobre 1993, Rendina, rv. 196171; Sez. VI, 3 maggio 1991, Giambartolomei). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � � 212 Orbene non sembra affatto che le controverse questioni sull'ambito operativo dell'art. 6 c.p. in una ipotesi di successione fra Stati e le contrastanti decisioni sul tema del giudice di legittimit� -tutte puntualmente richiamate dal g.i.p. ma intervenute in epoca assai remota, fra il 1949 e il 1963, e per di pi� sottoposte ad acute analisi critiche da parte della dottrina -, rendano prima facie percepibili le soluzioni delle problematiche nell'ambito di un itinerario, quale quello della decisione de plano, che prescinde dal necessario contributo dialettico delle parti nel �processo�. D'altra parte il g.i.p. era avvertito che la causa consentanea -a suo avviso dell'immediata dichiarazione d'improcedibilit� non fosse connotata di una macroscopica �evidenza� dalla circostanza che l'organo collegiale del riesame dei provvedimenti restrittivi della libert� personale aveva gi� espresso un diverso avviso nel1 'ordinanza 2 luglio 1996, emessa sull'appello proposto dal p.m. avverso il provvedimento del medesimo g.i.p., reiettivo della misura custodiale alla stregua delle considerazioni poste poi a fondamento della sentenza di proscioglimento immediato. Il tribunale del riesame aveva infatti censurato la tesi della carenza di giurisdizione del giudice italiano per la pretesa inapplicabilit� della legge penale italiana ex art. 6 c.p., sull'assunto (quantomeno di pari dignit� dogmatica, atteso il puntuale richiamo della decisione 24 novembre 1956, Salomone, delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, confortata dalle unanimi opinioni dottrinali espresse sul tema in sede di commento critico all'opposto indirizzo interpretativo inaugurato dalla fondamentale sentenza 2 luglio 1949, Schwend, e tralaticiamente seguito dalle sentenze 27 maggio 1961, Zeiner, e 23 febbraio 1963, Belisari, del medesimo supremo consesso) che i reati commessi al momento della loro consumazione su una parte del territorio nazionale successivamente ceduta ad altro Stato -la Yugoslavia, oggi Croazia -a seguito del Trattato di pace entrato in vigore il 15 settembre 1947, non potevano considerarsi, in forza della sopravvenuta perdita della sovranit� territoriale, commessi in territorio estero. 4. -Nella fattispecie, poich� il g.i.p. ha emesso la decisione ex art. 129 c.p.p. fuori -e senza il rispetto delle forme -del rito camerale, l'unico messogli a disposizione dall'ordinam�nto, cos� deprivando tutte le parti, in particolare il p.m. e le parti civili, del diritto d'intervento nell'udienza preliminare ed eludendone la legittima aspettativa di contribuire dialetticamente al formarsi del convincimento del j giudice in ordine a questioni tutt'altro che connotate di una macroscopica �evidenza � sotto il profilo dell'inconsistenza logico-giuridica della prospettazione accusatoria, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio con conseguente trasmissioIne degli atti al tribunale di Roma per l'ulteriore corso ai sensi dell'art. 418 c.p.p. ~ Attesa l'irriducibile antinomia delle ragioni e dei percorsi argomentativi posti a f fondamento degli opposti orientamenti interpretativi, le ragioni di economia procesf i suale e del favor innocentiae devono cedere di fronte all'assorbente considerazione che le valutazioni e le conclusioni logico-giuridiche cui il giudice perviene saranno I tanto pi� complete e condivisibili quanto pi� egli possa giovarsi dei contributi dia ! lettici delle parti del �processo�, nell'ambito e nei limiti del contraddittorio camerale secondo il rito tipico della fase dell'udienza preliminare. (omissis) I i f . I .PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 213 PRETURA CIRCONDARIALE DI CATANIA, ordinanza 9 aprile 1998 -G.l.P. Biondi -custode Autosoccorso EXPRESS s.r.l. -c. Ministero del Tesoro. Spese giudiziali in materia penale -Compenso al custode -Natura e procedura di liquidazione. La procedura di liquidazione del compenso al custode, sebbene inserita nel!' ambito della disciplina processualistica penale, ha natura essenzialmente civilistica concernendo il regolamento di interessi economici ed in particolare il preteso diritto soggettivo ali' attribuzione di una somma di denaro, che una parte ha interesse a percepire e che la parte tenuta all'esborso ha interesse ad opporre(l). (omissis) Una prima censura mossa dall'opponente al decreto di liquidazione concerne la data di decorrenza del termine di prescrizione del diritto all'indennit� di custodia; pi� in particolare, a giudizio dell'opponente, sulla scorta del principio generale per il quale il termine di prescrizione del diritto non decorre prima che questo sia sorto, il diritto all'indennit� per l'intero periodo della custodia sorge solo allorquando ha termine la prestazione della custodia. L'assunto non pu� essere condiviso. � pacifico che, come enuncia l'art. 2935 cod. civ., la prescrizione di un diritto comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto pu� essere fatto valere. Ne consegue che, nella specie, il termine inizia a decorre dal giorno in cui il custode ha facolt� di richiedere il compenso (denominato �indennit� giornaliera�) e tale diritto non sorge nel momento in cui cessa la custodia in quanto nessuna norma o disposizione impedisce al custode di richiedere, anche in costanza di deposito, il compenso per i periodi gi� maturati. Anzi, nell'ipotesi di custodia di beni di rilevante valore o di gravosa gestione (si pensi a complessi immobiliari, stabilimenti industriali, aeromobili o (1) L'ordinanza, che si commenta con la presente breve nota, si segnala per l'affermazione, in essa contenuta, relativa all'obbligo, per il giudice che decide sull'opposizione avverso il decreto di liquidazione dei compensi spettanti al custode giudiziario, di �provvedere in ordine al regolamento delle spese e degli onorari�. Trattasi di affermazione, di particolare rilevanza, e che rappresenta (a quanto consta) una vera e propria novit� nel panorama giurisprudenziale. Per comprendere l'importanza della suddetta statuizione, occorre ricordare che il giudizio, instaurato a seguito della proposizione, da parte del custode giudiziario, di formale opposizione avverso il tlecreto di liquidazione dei compensi -allo stesso spettanti per l'attivit� svolta -era stato celebrato nelle forme dell'incidente di esecuzione (articoli 666 e ss. c.p.p.). La natura processuale penale del giudizio, invero, sembrava deporre nel senso di non consentire, al giudice, di provvedere in ordine al regolamento delle spese e degli onorari. Il G.I.P. presso la Pretura Circondariale di Catania, invece, aderendo alla tesi, sostenuta dal1' Avvocatura dello Stato (la quale aveva messo in luce la natura, essenzialmente civilistica, della procedura di liquidazione del compenso al custode giudiziario), � pervenuto alla conclusione, pi� sopra riportata. Il G.I.P. ha, infatti, rilevato che �la procedura di liquidazione del compenso al custode, sebbene inserita nell'ambito della disciplina processualistica penale, al pari di quanto previsto per i periti, i consulenti tecnici, gli interpreti ed i traduttori, ha natura essenzialmente civilistica con f f RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 214 navi), � nel disegno della legge che il custode richieda con frequenza il compenso e le spese di conservazione gi� maturate anche se la custodia non ha ancora avuto termine. In tal senso, come gi� detto in seno al decreto opposto, si � espresso il giudi-ffi ce di legittimit� per il quale il diritto all'indennit� di custodia si prescrive giornal-fil mente nel termine di cinque anni di cui all'art. 2948 n. 4 cod. civ. (Cass. Pen. Sez. 1; 4a n. 2489 del 27 maggio 1995, imputato Pisanelli). !1 D'altra parte, la soluzione accolta � coerente con l'esigenza di certezza dei dirit-~ ti e dei rapporti giuridici e di non lasciare a lungo situazioni di essenziale precariet� in quanto -e non � ipotesi di scuola -ben potrebbe accadere, per un disguido dell'ufficio, che la custodia possa protrarsi anche per svariati decenni. Di contro, a prescindere dal caso in contestazione, la soluzione condivisa � ben pi� favorevole per la figura del custode perch� gli consente, nell'ipotesi di custodia destinata a protrarsi per molti anni, di richiedere il compenso per la prestazione gi� eseguita senza dovere attendere una lontana cessazione della custodia. Appare pertanto corretta la delimitazione del diritto al compenso al quinquen 1=.�. nio antecedente la data di presentazione dell'istanza non essendovi stati in precedenza altri atti interruttivi della prescrizione. � oramai irrilevante la questione, sollevata in udienza, relativa alla non rileva-1~�:'� bilit� d'ufficio della prescrizione posto che il ministero del Tesoro, tenuto all'esborso, ha eccepito la prescrizione del diritto al compenso per il periodo antecedente all'ultimo quinquennio. ~ Per quanto concerne l'entit� ed i criteri di liquidazione del compenso, anch'es-j; si censurati dall'opponente che ha dedotto la mancata applicazione delle tariffe sta 1:=.:� bilite dalla Prefettura o derivanti dagli usi, non vi sono ragioni per discostarsi dal principio giurisprudenziale oramai consolidato secondo il quale l'indennit� di 1: custodia delle cose sequestrate deve essere liquidata dal giudice con �riferimento� alle tariffe ed agli usi locali e non gi� in pedissequa ed obbligatoria osservanza dei medesimi, cosicch� allorquando non si ritengano adeguate e corrispondenti alla cernendo il regolamento di interessi economici ed in particolare il preteso diritto soggettivo all'attribuzione di una somma di denaro, che una parte ha interesse a percepire e che la parte tenuta all'esborso (cio� l'Amministrazione del Tesoro) ha interesse a contestare. Trattasi quindi di vera e propria controversia di natura civile che deve seguire, l� dove non sono previste specifiche disposizioni, tanto per il regime sostanziale quanto per quello procedimentale, le norme civilistiche�. Sulla base delle predette considerazioni, il G.l.P. ha ritenuto di dovere fare applicazione, nel caso de quo, del principio generale dell'ordinamento, contenuto nell'art. 91 c.p.c., in forza del quale �il giudice � tenuto al regolamento delle spese processuali con riguardo ad ogni provvedimento (ancorch� reso in forma di ordinanza o di decreto) che, nel risolvere contrapposte posizioni, elimini il procedimento davanti a s��. Al fine di rafforzare le proprie conclusioni, il G.l.P. presso la Pretura Circondariale di Catania ha inoltre richiamato, quale �tertium comparationis�, la disciplina dettata dal legislatore, per I i periti, i consulenti tecnici, gli interpreti ed i traduttori, con riferimento ai quali, l'art. 29, commi quinto e sesto della legge 13 giugno 1942 n. 794 (legge richiamata dall'art. 11 della legge 8 giugno 1980 n. 319) prevede espressamente l'obbligo, per il giudice, di regolare le spese giudiziali, con l'ordinanza che decide nel ricorso proposto dalla parte. I MAURIZIO BORGO l I I PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 215 aestimatio della attivit� prestata dal custode nella specificit� del caso le tariffe o le indicazioni degli usi, �, legittimo ricorrere alla liquidazione equitativa dell'indennit� ancorandola alla qualit� ed alla quantit� dell'impegno del custode se non � stata richiesta alcuna attivit� aggiuntiva oltre al.ricovero del bene e la normale vigilanza per escludere intromissioni di terzi (in tali esatti termini vedi Cass. sez. IV, 24 maggio 1995, imputato Blandino; Cass. sez., IV, imputato Teresi; Cass. sez. I, 22 agosto 1994, imputato Galvano). Nel caso di specie la prestazione di custodia aveva ad oggetto una autovettura (Fiat 128) di remota immatricolazione sostanzialmente priva di un apprezzabile valore commerciale considerato che le spese di reimmatricolazione sono di gran lunga superiori al valore del bene e si � protratta (per la parte non caduta in prescrizione) dal 21 novembre 1992 al 21 novembre 1997. Per l'esecuzione della prestazione di custodia non era richiesta alcuna attivit� accessoria o aggiuntiva rispetto alla vigilanza e ricovero del bene. A fronte di una prestazione di custodia di tale natura, concernente un bene di trascurabile valore, s'imponeva una liquidazione dell'indennit� di custodia in via equitativa e la valutazione in tal senso operata dal GIP, con il decreto opposto (con il quale � stata liquidata, a titolo di indennit� di custodia, la somma di L. 2.000.000, importo questo di gran lunga superiore allo stesso valore del bene in sequestro) appare congrua ed adeguata alla qualit� e quantit� della attivit� prestata dal custode. Il Ministero del tesoro, rappresentato dal procuratore dello Stato comparso in udienza, ha chiesto la rifusione delle spese e degli onorari di difesa da porre a carico della controparte. A parere del decidente, nonostante la sede processuale penale non sembri a prima vista consentirlo, il giudice che decide in ordine all'opposizione avverso il decreto di liquidazione dei compensi al custode � invece tenuto a provvedere in ordine al regolamento delle spese e degli onorari. La liquidazione di indennit� ed il ristoro di esborsi in favore di soggetti che sono chiamati a collaborare in affari di giustizia (quali sono i periti, i consulenti tecnici, gli interpreti e i traduttori) nella sua prima fase � disciplinata in modo analogo a quanto avviene per i custodi in quanto si risolve in un provvedimento del giudice adottato de plano sulla base di una richiesta dell'interessato accompagnata di regola da una notula o parcella. L'esigenza di sottoporre a controllo l'operato del giudice ha indotto il legislatore ad introdurre per la prima categoria di soggetti un sistema latamente impugnatorio disciplinat9 dall'art. 11 legge 8 giugno 1980 n. 319 e modellato su quello gi� previsto dagli artt 29 e 30 della legge 13 giugno 1942 n. 794 per il procedimento di liquidazione degli onorari e dei diritti spettanti agli avvocati ed ai procuratori legali. La suddetta disciplina non � prevista anche per i custodi ma l'analogia delle situazioni contemplate ha i:.dotto la giurisprudenza della Suprema Corte (oramai talmente consolidata da costituire vero e proprio ius receptum) a riconoscere anche al custode il diritto di attivare un procedimento incidentale in sede esecutiva onde pervenire ad una nuova delibazione sull' an e sul quantum del diritto al compenso, con l'ulteriore controllo di legittimit�. La procedura di liquidazione del compenso al custode, sebbene inserita nel1' ambito della disciplina processualistica penale, al pari di quanto previsto per i periti, i consulenti tecnici, gli interpreti ed i traduttori, ha natura essenzialmente civili RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 216 stica concernendo il regolamento di interessi economici ed in particolare il preteso diritto soggettivo all'attribuzione di una somma di denaro, che una parte ha interesse a percepire e che la parte tenuta all'esborso (cio� l'amministrazione del Tesoro) ha interesse ad opporre. Trattasi quindi di vera e propria controversia di natura civile che deve seguire, l� dove non sono previste specifiche disposizioni, tanto per il regime sostanziale quanto per quello procedimentale, le norme civilistiche (in tal senso la gi� citata Cass. 27 maggio 1995 n. 2489 imputato Pisanelli). Da qui la necessit� di fare ricorso a quello che costituisce un vero e proprio principio generale del nostro ordinamento processuale civile (91 c.p.c.) per il quale il giudice � tenuto al regolamento delle spese processuali con riguardo ad ogni provvedimento (ancorch� reso in forma di ordinanza o di decreto) che, nel risolvere contrapposte posizioni, elimini il procedimento davanti a s� (per la compiuta enunciazione del suddetto principio generale, con ampi riferimenti all'origine plurisecolare, vedi Cass. Sezioni Unite civili n. 2021 del 28 aprile 1989). Peraltro, la soluzione che qui si condivide � anche coerente con disciplina dettata per i periti, i consulenti tecnici, gli interpreti ed i traduttori per i quali, come gi� osservato, vige il sistema impugnatorio del decreto di liquidazione disciplinato dal1' art. 11 legge 8 giugno 1980 n.319, che a sua volta rinvia integralmente a quello gi� previsto dagli artt. 29 e 30 della legge 13 giugno 1942 n.794; i commi quinto e sesto� dell'art. 29 prevedono espressamente l'obbligo per il giudice di regolare le spese giudiziali con l'ordinanza che decide sul ricorso proposto dalla parte. In altri termini, nell'ipotesi in cui il perito, il consulente tecnico, il traduttore o l'interprete ricorra avverso il decreto di liquidazione del compenso, il giudice deve necessariamente provvedere sul regolamento delle spese giudiziali con l'ordinanza che decide il ricorso (che, per l'espresso dettato di legge, costituisce titolo esecutivo anche per le spese) e non vi sono ragioni per non applicare tale disciplina -che costituisce il portato di un principio generale in tema di spese -anche in esito al procedimento promosso dal custode ricorrente avverso il decreto di liquidazione del compenso. Quanto al regolamento in concreto del regime delle spese giudiziali si ritiene che ricorrano giusti motivi per la compensazione delle spese sostenute dalle parti considerata la novit� de~le questioni oggetto del ricorso con riferimento ai criteri di liquidazione del compenso, all'assoggettamento a prescrizione del diritto al compenso e non ultimo il regime stesso delle spese processuali. (omissis) PARTE SECONDA ..,,,,,.,_,,,,,,,,.,,_."''''''��11�1�1 DOTTRINA Aree edificabili od aree agricole: l'ineludibilit� di una alternativa. Brevi note di commento alla sentenza n. 261/97 della Corte Costituzionale (1) ed alla sen tenza n. 2929/98 della Corte Suprema di Cassazione Le brevi considerazioni, che qui di seguito verranno esposte, sono dedicate alla �scomparsa�, dal panorama giurisprudenziale, del c.d. �tertium genus� ovvero di quella categoria di terreni che la stessa giurisprudenza aveva ritenuto di potere individuare, ai fini della determinazione della indennit� espropriativa, accanto alle aree edificabili ed a quelle a vocazione agricola. � noto, infatti, che il legislatore, nel dettare i criteri per la determinazione del ristoro, spettante al proprietario di un terreno, oggetto di una procedura ablatoria, ha fatto riferimento soltanto a due delle possibili vocazioni di cui sono suscettibili i terreni, quella agricola e quella edificatoria; per le prime, � stato stabilito che l'indennit� espropriativa vada calcolata, avendo come parametro quello del valore agricolo medio, fissato in apposite tabelle (art. 16 della legge 865171); per le seconde, invece, con il D.L. n. 333/92, convertito nella legge n. 359/92, � stato previsto, al �famosissimo� articolo 5-bis, che l'indennit� espropriativa sia pari alla media tra valore venale e reddito dominicale, con abbattimento del 40%, ove il proprietario dell'area non addivenga alla cessione volontaria della stessa. La stringente alternativa, sopra illustrata, lasciava �orfani� di disciplina tutti i terreni che, pur non presentando una vocazione edificatoria, non fossero sussumibili, per le loro intrinseche caratteristiche ovvero per la destinazione, ad essi imposta dal proprietario, fra le aree agricole. Passando dal teorico al pratico, il problema si poneva per le aree destinate a verde, per quelle adibite allo stoccaggio di merci, a campeggio, a ricezione commerciale all'aperto, ecc. Con riferimento ai terreni, di cui sopra, occorreva stabilire, attraver!'>O l'applicazione di quali criteri si potesse pervenire alla determinazione del1' indennit� espropriati va. La giurisprudenza, chiamata: ad affrontare la questione, ritenne, dopo alcune oscillazioni, di potere addiveriire ad una soluzione che fosse in grado di salvaguardare le legittime aspettative dei proprietari di questi terreni, a vocazione, per cos� dir�, �particolare�. I giudici (si veda, per tutte, Cass., Sez. I, sent. del 21 ottobre 1991 n. 11133) affermarono, infatti, che, accanto a terreni a vocazione agricola ed a terreni suscettibili di edificazione, doveva individuarsi un c.d. �tertium genus�, nel quale andavano ricomprese tutte quelle aree che, pur non presentando indici di edificabilit� (sia di diritto che di fatto), non potevano essere ricondotte nel novero delle aree agricole. Per tale �tertium genus�, occorreva, al fine di determinare la relativa indennit� espropriativa, procedere ad una valutazione, in concreto, delle utilit� ricavabili dal singolo terreno (sfruttamento dello stesso come area di stoccaggio, come area per campeggio, adibizione del terreno ad impianto sportivo, ecc.). (1) Sent. Corte Cost.le 23 luglio 1997, n. 261, in Giurisprudenza costituzionale, 1997, 2397. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO e 4 Questo era lo stato dell'arte (come si usa dire) quando sul c.d. �tertium genus� intervenne la sentenza n. 261/97 della Corte Costituzi�nale. Con tale sentenza i giudici della Consulta, nel dichiarare l'infondatezza di due questioni di legittimit� costituzionale, sollevate, rispettivamente, dalla Corte d'Appello di Catania e dalla Corte d'Appello di Trento, hanno sancito la �morte� giuridica del c.d. �tertium genus�. La Corte Costituzionale, infatti, ha affermato che l'introduzione di un �tertium genus� tra le aree edificabili e tutte le altre aree, si porrebbe in contrasto con la scelta del legislatore di �suddividere le aree in due sole categorie (aree edificabili da una parte e tutte le rimanenti dall'altra)�. Una scelta, quest'ultima, che, come sottolineato dalla Consulta, �non presenta caratteri di irragionevolezza o di arbitrariet� tale da far riscontrare un vizio sotto i profili denunciati (dai giudici remittenti) n� comunque pregiudica, di per s�, il serio ed effettivo ristoro del proprietario espropriato �; trattasi di �soluzione (quella adottata dal legislatore) netta, nel senso di creare, per semplificare il sistema, ai soli fini del calcolo dell'indennit� di espropriazione, una dicotomia, contrapponendo le aree edificabili a tutte le altre�. La decisione della Corte Costituzionale che, per la sua natura di sentenza interpretativa di rigetto, non poneva alcun problema di vincolativit� (salvo che per i giudici a quibus) ha trovato, invece, pi~na conferma nella sentenza (inedita) n. 2929 del 20 marzo 1998 della Corte Suprema di Cassazione. Con tale decisione, la Prima Sezione della Corte di legittimit� ha affermato che, a seguito della sentenza n. 261/97 della Corte Costituzionale, non � pi� possibile predicare l'esistenza, nel nostro ordinamento giuridico, di un �tertium genus�, accanto ai terreni a vocazione edificabile ed a quelli a vocazione agricola; con la conseguenza che, ai fini della determinazione dell'indennit� espropriativa, �i suoli non edifica-� tori, bench� suscettibili di utilizzazione diversa da quella strettamente agricola (destinazione a verde pubblico, impiantistica sportiva, parcheggi, ecc.) devono essere valutati secondo parametri omogenei a quelli utilizzati per i terreni agricoli�. Con la sentenza, sopra menzionata, la Suprema Corte ha voluto a propria volta rimarcare l'ineludibilit� di una stringente alternativa: aree edificabili od aree agricole. Tutto risolto? Non proprio. L'impossibilit�, sancita dalla giurisprudenza costituzionale e da quella di legittimit�, di configurare, accanto alle aree edificabili ed a quelle agricole, un �tertium genus� di aree (a vocazione �particolare�), lascia, sul terreno, il problema di come calcolare, in concreto, l'indennit� espropriativa, da corrispondere al proprietario di un terreno, destinato, per esempio, all'attivit� di pescicoltura. Quale valore tabellare dovr� applicarsi in questo caso? Quello corrispondente ai terreni incolti, ovvero quello relativo ai terreni adibiti a pascolo (quasi che, come il bestiame pascola nei terreni, cos� i pesci �pascolano� in una vasca di pescicoltura)? Trattasi di un problema, la cui esemplificazione � desunta da concreta esperienza giudiziaria, che impegner�, non poco, i giudici di merito e che appare foriero di soluzioni molto variegate. Considerazione conclusiva: la scelta adottata dal legislatore, ovvero quella di creare, ai fini del calcolo della indennit� di espropriazione, una dicotomia, contrapponendo le aree edificabili a tutte le altre, ha veramente �semplificato il sistema�, come affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 261/97? Non resta che attendere gli ulteriori sviluppi. MAURIZIO BORGO RASSEGNA BIBLIOGRAFICA RAFFAELE TAMIOZZO, La legislazione dei beni culturali e ambientali, Giuffr�, Milano, 1998. Anch'io ero stato tentato, come la maggior parte dei recensori, di procedere per saltum in una materia a cui dedico attenzione da tanti anni. Ma un primo approccio in questo senso ha acuito il mio interesse per il libro inducendomi ad una lettura pi� attenta e sistematica: e ne � valsa la pena. Lo scrupolo e la misura con cui l'Autore ha impostato ed articolato la sua trattazione hanno infatti reso l'opera calibrata ed organica, consentendone una agevole lettura ed al medesimo tempo un serio studio, cos� come -per gli operatori -la possibilit� di una sicura ed aggiornata consultazione. Il che non stupisce chi come me -esercitando da tanti anni la propria attivit� nell'Avvocatura dello Stato, come l'Autore -conosce l'interesse che egli ha sempre dedicato a questa disciplina, a lungo rivestendo incarichi qualificati nel Ministero alla cui competenza appartiene dal 1974 la materia trattata. Anche per chi, quindi, ha seguito l'evoluzione dottrinale in questo campo dal (secondo) dopoguerra ai nostri giorni -giungendo da un ormai lontano volume del Grisolia all'opera fondamentale di Alibrandi e Ferri -questo libro offre l'occasione di una puntuale verifica e di una adeguata prospettiva sui temi del patrimonio culturale e dei valori ambientali. E la connessione tra questi due aspetti dell'interesse pubblico voluta al momento dell'istituzione del Ministero non � certo casuale ma corrisponde ad una scelta di indirizzo politico meditata e preveggente (quali che siano stati o siano per essere i successivi sviluppi legislativi per il �governo� del territorio). Non � casuale che il libro sia nato da lezioni a specializzandi in archeologia e sia desti.nato a studenti di lettere e filosofia: questo � appunto significativo della ineludibile esigenza che la disciplina giuridica e l'azione culturale non rimangano separate -come spesso � accaduto in passato -ma convergano nell'esigenza unitaria di valorizzare e diffondere organicamente la cultura e di garantire l'ambiente della vita umana nella societ� del futuro. E tanto pi� la problematica relativa viene evidenziata dagli ampi e significativi richiami giurisprudenziali, che giovano ad avvalorare -riportandolo ai suoi termini concreti -il discorso sistematico. Come ha incisivamente evidenziato in relazione all'art. 9 Cost. la Corte Costituzionale -e l'Autore lo ricorda -la cultura si compenetra nelle cose che ne costituiscono il supporto materiale, e la cui tutela � quindi strettamente connessa e preordinata alla formazione umana e civile. In questa ottica, merita una particolare attenzione il capitolo III, relativo ai beni ambientali ed alla pianificazione urbanistica; cos� come il V approfondisce il raccordo tra normativa interna e comunitaria per la circolazione dei beni culturali, mentre l'VIII, per converso, mette a fuoco la tanto pi� rigorosa necessit� di reprimere la falsificazione dei beni culturali e controllare la disciplina delle attivit� commerciali. RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO ..� 6 Sono punti nodali per la tutela di beni, come quelli culturali, di cui va sistematicamente verificata l'appartenenza ed assicurata la fruizione pubblica ma -prima ancora ed in radice -garantita l'autenticit�: valore che -in un'epoca di sviluppo . IJ; tecnologico sempre pi� avanzato -rischia di appannarsi irreparabilmente. Anche in questa prospettiva, il libro di Tamiozzo si pone da un angolo visuale ~== ' molto attento e costruttivo: quindi ci auguriamo che abbia successo non solo per i . meriti del suo Autore ma per l'utilit� che potranno averne i suoi �fruitori� (espressione particolarmente pertinente alla materia!). PLINIO SACCHETIO CONSULTAZIONI Arri AMMINISTRATIVI -Annullamento giurisdizione atto di controllo -Effetti. Atti amministrativi: atto di controllo annullato in sede giurisdizionale per motivo diverso dalla tardivit�; se il potere di controllo possa o debba essere nuovamente esercitato (es. 1780/97). AVVOCATURA DELLO STATO -Patrocinio Enti. Se l'Ente per il Museo Nazionale di Scienza e Tecnica �Leonardo da Vinci� possa avvalersi del patrocinio legale e dell'attivit� di consulenza dell'Avvocatura dello Stato (es. 3827 /98). Patrocinio Policlinici Universitari. Policlinici Universitari (art. 4 quinto co. D.lgs 502/92: se abbiano capacit� processuale ai sensi dell'art. 75 c.p.c. e -nell'affermativa -se godano del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato (es. 10685/97). CIRCOLAZIONE STRADALE -Sanzioni -Revoca patente -Riabilitazione. Se il soggetto al quale sia stata revocata la patente di guida a seguito di condanna penale, possa, una volta intervenuta riabilitazione ai sensi dell'art. 178 c.p., ottenere il rilascio di una nuova patente (es. 4596/97). Sanzioni -Sequestro veicoli. Infrazioni al Codice della Strada: veicoli sequestrati e non confiscati: condizioni e procedure per venderli (o rottamarli) (es. 3247/98). CIITADINANZA -Acquisto da parte coniuge straniero -Effetti preclusivi �sentenza condanna�. Acquisto della cittadinanza italiana da parte del coniuge straniero o apolide (art. 5 L. 5 febbraio 1992 n. 91): se la sentenza che applica una pena a richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p., costituisca �sentenza di condanna� preclusiva dell'acquisto della cittadinanza ex art. 6 primo co. lett. b) L. 91/92 (es. 218/98). CONTABILIT� PUBBLICA -Appalto servizi alberghieri S.S.PA. -Revisione prezzi. Contratto di appalto stipulato dalla Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione, con la Soc. Kemihospital, per la gestione dei servizi alberghieri RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 8 del Centro Residenziale e Studi della Scuola medesima: questioni relative all'esecuzione dello stesso: in particolare come vada calcolata la revisione prezzi e da quando debba decorrere la corresponsione del prezzo revisionato (es. 6133/97). Esecuzione forzata contro la P.A. -Procedimento e limiti. Art. 14 D.L. 669/96 (esecuzione forzata nei confronti di pubbliche amministrazioni di provvedimenti giurisdizionali e lodi arbitrali aventi efficacia esecutiva e comportanti l'obbligo di pagamento di somme di denaro): se il creditore dello Stato possa notificare atto di precetto, prima che siano trascorsi 60 giorni dalla notifica del titolo esecutivo; e, nella negativa, quali iniziative sia opportuno assumere ove ci� avvenga (es. 8129/97). Locazione immobili per uffici pubblici -Spese miglioramento sicurezza e salute. Immobile condotto in locazione dalla P.A. ed adibito ad ufficio pubblico: interventi strutturali per adeguare detto immobile alle disposizioni del D.Lgs. 626/94 (emesso per l'attuazione di varie direttive CEE riguardanti il miglioramento della ~ sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro): se debbano essere effet J tuati dal proprietario locatore o dall'Amministrazione conduttrice (es. 4407/97). I ~ DEMANIO -Demanio marittimo -Costruzioni abusive -Sanatoria. Autorizzazione ad erigere costruzioni su suolo del demanio marittimo e auto l rizzazione ed erigere costruzioni nella fascia di rispetto del demanio marittimo: se I ~ possano essere rilasciate in sanatoria (es. 8488/97). Demanio marittimo -Porti -Competenza alla manutenzione. I Decreto Interministeriale (del Ministro dei Lavori Pubblici di concerto con il Ministro della Marina Mercantile ed il Ministro del Tesoro) n. 2849 in data 12 novembre 1981 con il quale il Porto di Manfredonia � stato iscritto nella I classe della II categoria dei porti marittimi nazionali: se riguardi il solo �porto vecchio� di Manfredonia o anche il �porto industriale� (esame condotto al fine di individuare l'Amministrazione competente alla manutenzione di quest'ultimo) (es. 2016/98). Immobili ad uso scolastico -Trasferimento alle province. Trasferimento degli immobili di propriet� delle istituzioni scolastiche statali alle province (art. 8 L. 23/96): a) se il trasferimento degli immobili sia avvenuto ex lege o consegua alla stipula della convenzione prevista dall'art. 8 L. 23/96 (esame condotto anche al fine di stabilire se dopo il 1� gennaio 1997, ed in attesa della suddetta stipula l'istituzione scolastica debba o possa continuare a sostenere gli oneri di funzionamento dell'immobile); l I PARTE Il, CONSULTAZIONI 9 b) se il trasferimento dell'immobile comporti -anche -il subentro della provincia in un rapporto di appalto relativo alla costruzione di una palestra e alla ristrutturazione e adeguamento dell'immobile trasferito alle norme di sicurezza (es. 2438/98). Immobili demanio e patrimonio dello Stato -Canone e proventi -Attraversamenti con linee elettriche. Rideterminazione, a decorrere dal 1990, dei canoni, proventi, diritti erariali ed indennizzi dovuti per l'utilizzazione dei beni immobili del demanio e del patrimonio dello Stato; annullamento in sede giurisdizionale del DM Finanze 20 luglio 1990; conseguenze (esame condotto con particolare riguardo ai canoni corrisposti per attraversamenti aerei con linee elettriche) (es. 13403/97). Uso immobili per circoli ricreativi personale. Attivit� di protezione sociale a favore del personale militare e civile delle Forze Armate; �esercizio diretto� delle attivit� da parte dell'Amministrazione: se nel caso di gestione diretta di un circolo ricreativo si possa prevedere l'uso gratuito dei locali demaniali utilizzati (es. 1695/96). Circoli ricreativi del Ministero della Difesa: loro natura giuridica dopo il 31 dicembre 1996 (organi interni della P.A. o enti privati) (es. 1909/97). EDILIZIA POPOLARE ED ECONOMICA -Contratto di mutuo agevolato -Modificazione situazione reddituale -Variazione tasso previsto. Case popolari ed economiche; agevolazioni per l'acquisto di alloggi realizzati da una societ� cooperativa; assegnatario di uno di detti alloggi per il quale sia stato determinato il tasso agevolato del contratto di mutuo in relazione ai requisiti soggettivi posseduti al momento di assegnazione dell'alloggio; se sia possibile stabilire una nuova e pi� favorevole misura del contributo pubblico in conto interessi, a seguito di una modificazione della situazione reddituale dell'assegnatario medesimo, intervenuta dopo l'assegnazione dell'alloggio e prima della stipula del suddetto contratto di mutuo individuale (es. 10943/97). Mutui ordinari edilizi -Garanzia dello Stato -Limiti e decorrenza. Edilizia Economica e Popolare: garanzia dello Stato per i mutui ordinari edilizi non fruenti di agevolazioni a carico dello Stato (art. 44 L. 457/78): a) se alla stessa si applichi il disposto dell'art. 3, secondo comma, L. 513/77 (giusta il quale: �la garanzia ... diventa operante entro 120 giorni dalla data in cui � risultato infruttuoso almeno il terzo esperimento d'asta, purch� l'incanto sia stato fissato per un prezzo base inferiore al credito dell'istituto mutuante�); b) da quando decorra la ridetta garanzia; se essa si estenda agli interessi moratori convenzionali; se riguardi anche i mutui integrativi (es. 834/89). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 10 GIUSTIZIA -Collaboratori di giustizia -Abitazioni. Appartamento condotto in locazione dal Ministero dell'Interno e messo a disposizione (come abitazione) di collaboratore di giustizia fruitore delle misure di protezione ed assistenza di cui al D.L. 8/91; interruzione di queste ultime; se per ottenere il rilascio dell'immobile di che trattasi la P.A. possa agire in via di autotutela, o debba adire le vie giudiziali (es. 7504/97). GIUSTIZIA PENALE -Iscrizione ipoteca legale -Pagamento tributi iscrizioni e cancellazioni in caso di patteggiamento. Iscrizione di ipoteca legale, su immobile di propriet� dell'imputato, ex art. 189 c.p. e 616 c.p.p. Rocco; successiva definizione del processo penale con applicazione della pena su richiesta delle parti (art. 444 c.p.p. vigente): se colui che ha patteggiato la pena sia tenuto a pagare i tributi relativi all'iscrizione e alla cancellazione dell'ipoteca (es. 10200/96). IMPIEGO PUBBLICO -Assunzione lavoratori -Requisiti richiesti. Assunzione dei lavoratori, da inquadrare nei livelli retributivo-funzionali, per i quali non � richiesto titolo di studio superiore a quello della scuola dell'obbligo, effettuata dallo Stato e da Enti Pubblici (art. 16 L. 56/87); quando sia legittima la specificazione di particolari requisiti professionali nella richiesta di assunzione inviata dall'Amministrazione all'Ufficio Provinciale del Lavoro e quali provvedimenti possa adottare quest'ultimo nell'avviare a selezione i lavoratori allorch� ritenga non legittima la specificazione di cui sopra (es. 3394/97). Attivit� di volo e ricerca in mare -Riposo settimanale. Lavoro dipendente: principi e norme disciplinanti il riposo settimanale nel1' ambi~o dello svolgimento dell'attivit� di volo relativa a collegamenti con piattaforme di ricerca e perforazione in mare (off-shore) e ad emergenze mediche (HEMS) (es. 6923/96). Dipendenti Amministrazioni pubbliche -Spese patrocinio legale -Criteri rimborso. Rimborso a dipendenti di Amministrazioni pubbliche delle spese legali dagli stessi sostenute per difendersi in procedimenti giudiziari concernenti fatti relativi al servizio prestato: criteri per la determinazione del rimborso spettante (es. 2092/96; es. 11468/97). Dipendenti Regione Sicilia -Spese di patrocinio legale -Funzioni per le quali spetta rimborso. Art. 39 L.R. Sicilia 145/80 (giusta il quale: �ai dipendenti che in conseguenza di fatti ed atti connessi all'espletamento del servizio e dei compiti di ufficio, siano PARTE Il, CONSULTAZIONI soggetti a procedimenti di responsabilit� civile o penale o amministrativa, � assicurata l'assistenza legale, in ogni stato e grado del giudizio, mediante rimborso, secondo le tariffe ufficiali, di tutte le spese sostenute, sempre che gli interessati siano dichiarati esenti da responsabilit��). Se la norma de qua possa trovare applicazione ove il procedimento riguardi atti o fatti connessi ali' espletamento, da parte di dipendente della Regione Siciliana, di incarico di commissario ad acta, commissario provveditore, commissario regionale, amministratore ordinario o straordinario, revisore dei conti, presso comuni, province o altri enti, e presupposto per il conferimento del ridetto incarico sia la qualit� di dipendente regionale (es. 8143/97). Dipendenti statali -Spese di patrocinio legale -Rimborso. Dipendenti di Amministrazioni Statali: rimborso ai medesimi delle spese di patrocinio legale relative a giudizi per responsabilit� civile o penale o amministrativa promossi nei loro confronti in conseguenza di fatti connessi con l'espletamento del servizio (art. 18 D.L. 67/97): se possa darsi seguito a richieste di rimborso non corredate da fatture quietanzate dal professionista che ha difeso il dipendente, se l'amministrazione possa verificare la congruit� della somma richiesta come rimborso e se possano rimborsarsi le spese sostenute per avvalersi di due legali (es. 2347/98). Pubblico dipendente infortunato -Cumulabilit� equo indennizzo e risarcimento danno dal terzo responsabile. Pubblico impiego; equo indennizzo: se il pubblico dipendente possa percepire, cumulativamente, le somme spettantigli a titolo di equo indennizzo, per infermit� provocatagli da un terzo, e quelle ottenute, a titolo di risarcimento del danno, dal terzo o dall'assicuratore di questi (es. 5356/97). Sospensione dal servizio di dipendente per processo penale -Possibilit� reiterazione sospensione. Impiegato dello Stato raggiunto da ordine di cattura (per delitti di peculato, falso in atto pubblico, riciclaggio) sospeso dal servizio per oltre 5 anni (dapprima sospensione obbligatoria, poi facoltativa; art. 91 T.U. lmp. Civ.) e -poi -riammesso in servizio in applicazione dell'art. 9 secondo co. L. 19/90; successiva condanna in primo grado (gravata di appello), per i delitti di cui ali' ordine di cattura, del suddetto impiegato; se lo stesso debba o possa essere nuovamente sospeso dal servizio in applicazione dell'art. 1 comma quarto septies L. 16/92 (es. 9342/96). Trasferimento dipendenti pubblici ad IRITEL -Modalit� versamento somme fondo pensioni. Legge 29 gennaio 1992 n. 58 (Disposizioni per la riforma del settore delle telecomunicazioni); art. 5; costituzione di un'unica posizione assicurativa previdenzia RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO .. 12 le, presso il fondo per le pensioni al personale addetto ai pubblici servizi di telefonia, a favore dei dipendenti statali trasferiti all'IRITEL o alle societ� concessionarie dei servizi di telecomunicazione; somme che il Ministero del Tesoro deve versare al Fondo in 15 rate annuali; se su dette somme vadano corrisposti interessi per il periodo di preammortamento (il periodo intercorrente fra il giorno di passaggio del suddetto personale all'IRITEL e quello di inizio del periodo cui si riferisce la I rata) (es. 7728/97). Universit� -Collaboratori tecnici -Funzione di assistente. Se possano essere attribuite funzioni assistenziali a collaboratori tecnici dell'area tecnico-scientifica e socio-sanitaria delle Universit�, in possesso di laurea in medicina, assunti con decorrenza successiva al 30 ottobre 1992 (es. 13856/97). IMPIEGO PUBBLICO -INDENNIT� FINE RAPPORTO -Pignorabilit� per crediti da danno erariale -Limiti. Declaratoria di illegittimit� costituzionale degli artt. 4 L. 424/66 e 21 d.P.R. 1032/73 nella parte in cui prevedono, per i dipendenti civili e militari dello Stato, la sequestrabilit� o la pignorabilit� delle indennit� di fine rapporto di lavoro, anche per i crediti da danno erariale, senza osservare il limite del quinto dell'ammontare delle ridette indennit�; (Sentenza Corte Cast. 225/97): pignoramenti eseguiti, o fermi amministrativi apposti, (facendo valere credito per danno erariale) sulle stesse o su porzioni delle stesse superiori alla quinta parte, in data anteriore al 9 luglio 1997 (data di pubblicazione nella G. U. della sentenza 225/97); in quali casi non trovi applicazione la precitata pronunzia della Corte Costituzionale (es. 11128/97). IMPIEGO PUBBLICO -PERSONALE MILITARE -Indennit� di trasferimento -Prescrizione -'Rivalutazione. Indennit� di trasferimento spettante al personale militare ex art. 1 L. 100/87: a) se il diritto alla stessa si prescriva in cinque o dieci anni; b) se la predetta indennit� sia suscettibile di rivalutazione monetaria ai sensi dell'art. 429 c.p.c. (es. 3101/96). INVALIDI CIVILI -Giudizi relativi pensioni -Legittimazione Stato o Regioni. a) Annullamento da parte della Corte Costituzionale (sentenza 156/96) dell'art. 3 quinto co. d.P.R. 698/94 nella parte in cui prevede che spetti alla Regione la legittimazione passiva �nei procedimenti giurisdizionali concernenti gli accertamenti sanitari relativi all'invalidit� civile, alla cecit� civile e al sordomutismo effet PARTE II, CONSULTAZIONI tuati a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente regolamento� ... allorch� �...l'atto impugnato sia stato emanato dalle commissioni mediche operanti le unit� sanitarie locali�; quale sia il soggetto passivamente legittimato nei processi di cui sopra (es. 9083/96). b) Revoca di pensione di inabilit� e di indennit� di accompagnamento, a seguito di accertamento di insussistenza dei necessari requisiti sanitari compiuto a seguito di verifica ex art. 3 D.L. 173/88 -dalla Commissione Medica Superiore e d'Invalidit� Civile: quale sia l'amministrazione passivamente legittimata a resistere nel giudizio in cui si contesti (esclusivamente) la suddetta valutazione di inesistenza dei requisiti sanitari (es. 8186/96). OPERE PUBBLICHE (APPALTO DI) -Cauzione provvisoria per partecipazione gara Modalit� versamento. Appalto di opere pubbliche: se la cauzione provvisoria che correda la domanda di partecipazione alla gara (art. 30 primo co. L. 109/94) possa essere prestata con assegno circolare intestato all'Amministrazione; e -nell'affermativa -se sia legittimo ed opportuno che questa ponga immediatamente all'incasso il riferito titolo di credito (es. 9641/97). Concorrenti -Accesso ai documenti di gara. Appalto di opere pubbliche; licitazioni indette dall' ANAS; se, e nell'affermativa a quali condizioni ed entro quali limiti, i concorrenti abbiano diritto di accesso ai documenti di gara (ed in particolare all'offerta dell'aggiudicatario) (es. 13855/97). Interessi di mora ed imputazione prezzo da pagare. Appalto di opere pubbliche: a) interessi di mora ex artt. 35 e 36 d.P.R. 1063/62: quale sia il termine finale di maturazione degli stessi; b) somme pagate all'appaltatore a titolo di prezzo dalla P.A.: se possano essere imputate -ex art. 1194 cc -agli interessi; e, nell'affermativa, quale sia il regime degli interessi sulla sorte capitale rimasta insoddisfatta (es. 8002/97). Subappaltatore -Criteri e competenza per disporre la sostituzione. Appalto di opere pubbliche: sostituzione del soggetto designato in sede di offerta quale sub appaltatore, in caso di accertata impossibilit� di affidamento del subappalto (art. 3 comma ter L. 55/90): a) nozione di impossibilit� di affidamento; b) quale sia l'organo competente ad autorizzare la sostituzione nelle more della costituzione dell'Autorit� per la vigilanza sui lavori pubblici (es. 12852/97). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 14 PENSIONI -Pensione ad orfano di dipendente statale -Successiva adozione del minore. Minore titolare di pensione ordinaria indiretta quale orfano di dipendente statale: se possa continuare a fruire del trattamento pensionistico dopo essere stato adottato (es. 7798/97). PERSONALE INSEGNANTE -Docenti e ricercatori universitari -Copertura posti vacanti nelle strutture assistenziali -Procedura. Attivit� assistenziale svolta da docenti universitari e ricercatori presso cliniche e istituti universitari di ricovero e cura, convenzionati con le regioni ai sensi dell'art. 39 L. 833/78; vacanza di posti nelle strutture assistenziali a direzione universitaria: se, in presenza di domanda avanzata da un professore ordinario (o straordinario) di ricoprire un posto vacante di primario, si possa bandire la procedura (di cui all'art. 102 quinto e sesto co. d.P.R. 382/80) di attribuzione di qualifica superiore a fini assistenziali, per la copertura del posto di cui sopra (e se, alla considerata procedura, possa partecipare un professore ordinario o straordinario) (et. 8192/96). Docenti universitari -Tempo pieno -Compatibilit� presidente ERSU. Se lo status di docente universitario a tempo pieno, sia compatibile con la carica di Presidente dell'ERSU (Ente Regionale per il Diritto allo Studio Universitario) (es. 3102/97). Ricercatori universitari in servizio presso i Policlinici -Base stipendiale per assegno alimentare. Se l'indennit� corrisposta -ex art. 31 d.P.R. 761/79 -al ricercatore universitario che presti servizio presso i Policlinici, le cliniche e gli Istituti Universitari di ricovero e cura convenzionati con le Regioni e con le Aziende Sanitarie Locali, faccia parte della base stipendiale da prendere in considerazione ai fini della determinazione dell'assegno alimentare spettante al ricercatore sospeso dal servizio (es. 7664/96). POLIGRAFICO DELLO STATO (ISTITUTO) -Inserzioni sul FAL di Roma relative a procedure di eredit� giacente o fallimentari -Attribuzione oneri relativi. Se le inserzioni effettuate sul Foglio Annunzi Legali della Provincia di Roma (la cui amministrazione, stampa e vendita sono state affidate -dal R.D.L. 97/32 all'Istituto Poligrafico dello Stato, per conto della Prefettura) e relative a procedure di eredit� giacente o alle procedure fallimentari, siano da classificare, in base all'art. 14 DM 17 luglio 1934 (norme per l'esecuzione del R.D.L. 97/32) come annunci �a pagamento� o �a credito� o �gratuiti�; e -nell'eventualit� che non si tratti di annunzi a pagamento -su chi debbano gravare (Ministero dell'Interno o Istituto) gli oneri ad essi relativi (nell'eventualit� che si tratti di annunzi a credito, ovviamente, ove il credito sia rimasto insoddisfatto per insufficienza dell'attivo) (es. 10571/95). ~111111�1��1��--��111� PARTE Il, CONSULTAZIONI 15 PREVIDENZA -Addebito contributi professionisti lavoratori autonomi al committente -Condizioni. Contribuzione previdenziale ex art. 2 comma 26 e ss. L. 8 agosto 1995 n. 335; diritto di addebito, al committente, di una somma pari al 4% dei corrispettivi lordi previsto a favore dei soggetti titolari di reddito di lavoro autonomo di cui all'art. 49 primo co. d.P.R. 917 /86: a) da quando il considerato diritto possa essere esercitato e quale sia il fatto generatore dello stesso; b) se -e nell'affermativa a quali condizioni -possa spettare ad ingegneri ed architetti; c) effetti della mancata esposizione in fattura dell'addebito della somma pari al 4% dei corrispettivi lordi (es. 9294/96). PUBBLICA AMMINISTRAZIONE -Diritto di accesso e diritto alla riservatezza. Accesso ai documenti amministrativi: a) se possa riconoscersi un diritto di accesso anche a prescindere dalla partecipazione ad un procedimento amministrativo; b) rapporto tra diritto all'accesso e diritto alla riservatezza (es. 1223/98). Soppressione e messa in liquidazione enti diritto pubblico -Limiti recupero crediti o pagamento debiti -Criteri. L. 4 dicembre 1956 n. 1404 (soppressione e messa in liquidazione di enti di diritto pubblico e di altri enti soggetti a vigilanza dello Stato e comunque interessanti la finanza statale); art. 9 u.c. (giusta il quale: �non si fa luogo a recupero di crediti o a pagamento di debiti delle gestioni di liquidazioni.... quando gli importi delle singole partite non superino le f. 200.000� ); interpretazione: a) nozione di �singola partita�; b) se la norma riguardi i residui di crediti o debiti in origine di importo superiore, per i quali, nel corso della liquidazione, vi sia stato parziale pagamento; c) se l'importo di f. 200.000 vada riferito alla sola sorte capitale o se -invece -debba tenersi conto anche degli interessi sulla stessa maturati (es. 5120/91). Trasferimento al Ministero del Tesoro azioni societ� in liquidazione -Garanzia debiti -Limiti. a) se l'avvenuta messa in liquidazione della soc. Armamenti e Aerospazi, le cui azioni dovrebbero essere trasferite al Ministero del Tesoro ex art. 5 co. 2 septies D.L. 487/92, sia ostativa a detto trasferimento; b) se la garanzia dello Stato ex art. 5 co. 2 ter D.L. 487/92 per i debiti delle societ� del gruppo EFIM sia attivabile in relazione ad un debito di mora di tale RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO ... 16 societ� accertato con lodo arbitrale internazionale per il solo fatto di tale intervenuto accertamento giudiziario (es. 287/95). PUBBLICA AMMINISTRAZIONE -SEDE UFFICI -Locazione immobili -Rinnovazione contratto fra PA. locatarie e locatore. Locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione: a) se ai contratti stipulati dallo Stato in qualit� di conduttore si applichino le disposizioni in materia di rinnovazione del contratto dettate dagli artt. 28 e 29 L. 392/78; e nell'affermativa quali conseguenze derivino dal diniego di rinnovazione del contratto alla prima scadenza non motivato o fondato su motivo che atti compiuti dal locatore palesino insussistente; b) esame del seguente caso: immobile condotto in locazione da Amministrazione Statale; diniego di rinnovazione del contratto alla prima scadenza motivato con l'intenzione di adibire il ridetto immobile a sede di uffici della societ� locatrice; successiva offerta della ridetta societ� di stipulare un nuovo contratto a I canone notevolmente maggiorato; trattative fra Amministrazione e Societ� sfociate nella predisposizione di un atto di impegno a locare sottoscritto dalla seconda: se sia I legittimo ed opportuno il rifiuto dell'Amministrazione di stipulare il nuovo contrat., to (es. 1727 /98). RISCOSSIONE DELLE IMPOSTE -Consorzi concessionari -Esercizio vigilanza. Consorzio obbligatorio tra i Concessionari del servizio di riscossione deitributi: natura e modalit� di esercizio della vigilanza governativa sullo stesso (es. 13539/97). SANZIONI AMMINISTRATIVE -Recupero importo sanzioni pecuniarie irrogate a trasgressore fallito. Sanzioni pecuniarie amministrative; fallimento del trasgressore successivo alla commissione dell'infrazione: se, in costanza di fallimento, l'Amministrazione possa emettere ordinanza-ingiunzione ex art. 18 L. 689/81 e nei confronti di chi (es. 9427/97). SANZIONI AMMINISTRATIVE -MEDIATORI -Attivit� abusiva -Sanzioni pecuniarie Organi accertamento e contestazione. Illeciti puniti con sanzione pecuniaria amministrativa: esercizio abusivo del1' attivit� di mediatore (art. 8 L. 39/89): organi abilitati ad accertare e contestare la predetta infrazione (es. 624/96). PARTE Il, CONSULTAZIONI SANZIONI AMMINISTRATIVE -VENDITA AL PUBBLICO -Infrazioni -Sanzioni pecuniarie -Competenza all'irrogazione. Commercio di vendita al pubblico; infrazioni punite con sanzione pecuniaria amministrativa (commesse da chi esercita il commercio su aree pubbliche) previste dall'art. 6 L. 112/91; infrazioni commesse prima dell'entrata in vigore della L. 77/97 e per le quali il rapporto degli accertatori sia pervenuto all'UPICA prima dell'entrata in vigore della ridetta L. 77 /97; se l'Autorit� competente ad emanare l'ordinanza- ingiunzione sia l'UPICA o il Sindaco (es. 13035/97). STRADE -Concessioni autostradali -Proroga per ammortamento costi. Se, dopo l'entrata in vigore della L. 109/94 possano essere consentite proroghe di rapporti concessori autostradali (correnti con societ� diverse da quelle previste nel D.L. 333/92, artt. 1 e 14) al fine di consentire, attraverso i proventi di gestione del1' autostrada, l'ammortamento di costi subiti dalla concessionaria per la manutenzione o l'ampliamento dell'autostrada o apportare innovazioni alla stessa (es. 7635/97). Concessioni autostradali -Proroga ventennale. Societ�, titolari di concessioni autostradali, controllate dalla soc. AUTOSTRADE S.p.A.; se e a quali condizioni, possano fruire della proroga ventennale di concessioni disposta dall'art. 14 D.L. 333/92 (es. 7682/97). TRASPORTI -Ferrovie -Concessioni 'l'A.V -Norme comunitarie. TAV SPA concessionaria per la progettazione esecutiva, la costruzione e lo sfruttamento economico del sistema alta velocit�; mandato che la stessa intenderebbe conferire ad istituti di credito per la raccolta di fondi; se l'attivit� di conferimento del ridett� mandato rientri o meno nel campo di applicazione della direttiva 93/38 CEE del Consiglio e del D.Lgs. 158/95 (es. 2986/98). TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI -IMPOSTE DI CONSUMO -Agevolazioni -Ente Poste. Imposta di consumo sul gas metano: se -e nell'affermativa entro quali limiti -l'Ente Poste Italiane possa fruire dell'aliquota agevolata per gli usi industriali (es. 3678/97). Aliquota agevolata per uso industriale da parte di istituzioni a finalit� sociali ed assistenziali. Imposta di consumo sul gas metano: aliquota agevolata per usi industriali: se possano usufruirne: orfanotrofi, case di riposo per anziani, case albergo per handi RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO .. 18 cappati, comunit� di recupero per tossicodipendenti, aziende ospedaliere, case di cura, strutture ricettive (diverse dagli alberghi) di cui all'art. 6 L. 217/83; istituti che offrono ricovero e alloggio per i religiosi, convitti e collegi (es. 5947/97). TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI -IVA -Cessione fabbricati -Limiti agevolazione. Aliquota IVA agevolata per le cessioni di fabbricati rispondenti alle caratteristiche fissate nell'art. 13 L. 408/49 e successive modificazioni e integrazioni; pluralit� di fabbricati costruiti nell'ambito di una lottizzazione: se la proporzione fra la superficie destinata ad uffici o negozi e quella destinata ad abitazioni vada calcolata (al fine di determinare se vi sia la rispondenza alla normativa di cui sopra) in relazione ad ognuno dei fabbricati o al complesso di questi (es. 11693/97). IVA su prestazioni leasing -Somme per rivalsa ICI. Immobili concessi in locazione finanziaria; IVA dovuta sulla prestazione di leasing: se le somme che il concedente addebita al locatario, a titolo di rivalsa ICI, entrino a far parte della base imponibile IVA (esame relativo al periodo anteriore all'entrata in vigore dell'art. 58 D.Lgs. 446/97) (es. 11689/97). URBANISTICA -Misure di salvaguardia -Adozione piani territoriali paesistici. Misure di salvaguardia ex artt. 1 ter e 1 quinquies D.L. 312/85 (conv. L. 431/85): se esse perdono efficacia al momento dell'adozione dei piani territoriali paesistici (o dei piani urbanistico-territoriali) o al momento dell'approvazione definitiva di questi (et. 21721/96).