- ANNO XL -N. 1-2-3 GENNAIO� GIUGNO 1988 RASSEGNA DELL'AVVOCATU�RA DELLO STATO Pubblicazione bimestrale di servizio ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO ROMA 1989 ~ ..m 111tilirtrm11t111i11~11rr&rt1&mr1ill:w;::11gtfrr�1''-' 1a&rr111&111mr1r1f$lflmill1l11 ABBONAMENTI ANNO 1989 ANNO L. 40.000 UN NUMERO SEPARATO ................... . lt 7.500 Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma e/e postale n. 387001 Stampato in Italia -Printed in Ital, Autorlua1lone Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 (1219049) Roma, 1989 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato P.V. INDICE Parte prima: GIURISPRUDENZA Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura del/' avv. Franco Favara) pag. Sezione seconda: GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE (a cura dell'avv. Oscar Fiumara) . > 54 Sezione terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE (a cura degli avvocati Carlo Carbone, Carlo Sica e Antonio Cingolo) . � 79 Sezione quarta: GIURISPRUDENZA CIVILE (a cura de//'avv. Antonio Cingolo) � 111 Sezione quinta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura degli avv. Raffaele Tamiozzo e G. P. Palizzi) . � 121 Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura de/l'avvocato Carlo Bafi/e) � 132 Sezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI (a cura degli avvocati Sergio Laporta, Piergiorgio Ferri) , 202 Sezione ottava: GIURISPRUDENZA PENALE (a cura degli avvocati Paolo di Tarsia di Be/monte e Nicola Bruni) . � 206 Parte seconda: QUESTIONI -RASSEGNA DI DOTTRINA RASSEGNA DI LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO QUESTIONI > RASSEGNA DI LEGISLAZIONE . li 23 La pubblicazione � diretta dall'avvocato: UGO GARGIULO CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AWOCATURE Avvocati Glauco NoRI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Carlo BAFILB, L'Aquila; Nicasio M.ANcuso, Palermo; Rocco BERARDI, Potenza; Maurizio DE F'RANcms, Trento; Paolo ScoTTI, Trieste; Giancarlo MANn�, Venezia. ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI I. F. CARAMAZZA e F. SCLAFANI, Interesse legittimo e procedimento . II, 1 F. FAVARA, Il riporto delle perdite di esercizi precedenti. I, 15 F. FAVARA, Restituzione dell'indebito ed arricchimento del solvens: il diritto tributario si allontana dal diritto civile . . . . . . . I, 47 PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA ACQUE -Acque pubbliche -Provvedimenti di polizia delle acque -Ordine di tombamento di un pozzo -Natura discrezionale, 204. ./ APPALTO -Appalto di servizi -Disciplina delle riserve contenuta nel r.d. 25 maggio 1895, n. 350 -Applicabilit� Esclusione � Revisione del prezzo Regime, 202. AVVOCATURA DELLO STATO -Contenzioso tributario � Patrocinio dell'amministrazione dinanzi alle commissioni, 12. COMPETENZA -Ente Ferrovie dello Stato -C�ntroversie collettive di lavoro -Foro erariale -Inapplicabilit�, 79. COMUNIT� EUROPEE -Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968 sulla competenza giurisdizionale -Competenza � Nozione di litispendenza, 54. -Disposizioni fiscali � IVA all'importazione -Base imponibile, con nota di M. CONTI, 64. -Disposizioni f,iscali -IV A all'importazione -Sanzioni -Disparit� di trattamento, con nota di M. CONTI, 64. -Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia (F.E.O.G.A.) Colorazione dei cereali -Rimborso delle spese, 59. � -Tributi nazionali in contrasto con il diritto comunitario -Ripetizione dell'indebito -Prova del mancato trasferimento dei tributi sul prezzo delle merci, 73. CONCESSIONI AMMINISTRATIVE -Obbligo del concessionario �li rest. ituire il bene alla scadenza senza necessit� di disdetta o di motivazione sul pubblico interesse -Re-. voca di concessione in atto -Sindacato giurisdizionale sulla sufficienza e congruit� della motivazione, 121. CONTABILIT� PUBBLICA -Contratti della P. A. -Licitazione privata -Clausole onerose � Specifica approvazione scritta � Non occorre, con nota di G. STIPO, 111. -Contratti di diritto privato -Clausole vessatorie o eccessivamente onerose, 22. CORTE COSTITUZIONALE -Giudizio incidentale di legittimit� costituzionale � Rilevanza della questione, 33. -Impugnazione diretta di delibera legislativa regionale � Reintegrazione del Pinvio � Nozione di legge nuova, 38. ENTI PUBBLICI -Enti pubblici non economici -Istituto Poligrafico dello Stato � lm� prenditore -Fotocopiatura di parte dei testi della �Gazzetta Ufficiale� e sua riproduzione su periodici Concorrenza sleale Esclusione, con nota di A. VESSICHELLI, 113. -Enti pubblici non economici -Istituto Poligrafico dello Stato � Imprenditore � Riconoscimento della qualifica � Limiti, con nota di A. VESSICHELLI, 113. I I !i INDICE DELLA GIURISPRUDENZA ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA -Immobile adibito ad attivdt� commerciale o artigiana -Perdita dell'avviamento del conduttore -Compenso, 24. -Prestazione obbligatoria di attivit� di impresa -Non applicabilit� dell'art. 42 Cost., 8. -Terreni agricoli con attitudine edificatoria -Indennit� aggiuntiva -� commisurata al valore agricolo e va detratta da quanto spettante al proprietario, 25. -Terreni agricoli senza attitudine edificatoria -Indennit� di espropriazione -Parametri fissati da commissione amministrativa -Non sono vincolanti per il giudice, 25. -Zone riservate a piste sciistiche Divieto di ingombrd alla discesa Non determina diritto ad. indennizzo, 46. GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA -Rappresentanza in giudizio dello Stato e degli Enti pubblici -Non occorre mandato all'Avvocatura dello Stato n� delibera a stare in giudizio, 121. IMPIEGO PUBBLICO -Dipendenti regionali -Principio di omnicomprensivit� ed omogeneit� Deve applicarsi, 44. LOCAZIONE -Affitto di terreni agricoli -Risoluzione incolpevole -Indennizzo al conduttore, 24. -Edilizia abitativa convenzionata Canone -Non pu� essere pi� elevato dell'equo canone, 34. PENSIONI -Domanda concernente il quantum pensionistico e gli interessi e rivalutazione per differenza sulla mi sura della pensione -Giurisdizione della Corte dei conti, 79. -Interessi -Decorrono dalla data del provvedimento amministrativo pensionistico, 80. -Interessi -Decorrono dalla data del provvedimento impugnato, 80. -Interessi e rivalutazione -Domanda autonoma -Difetto di giurisdizione della Corte dei conti, 80. -Provvedimento negativo -Accoglimento del ricorso -Interessi � Difetto di giurisdizione della Corte dei conti, 81. -Rivalutazione automatica Non spetta per i crediti pensionistici aventi natura previdenziale -Spetta per i crediti pensionistici aventi natura di retribuzione differita, 80. -Rivalutazione automatica -Pensioni di guerra e pensioni privileg.iate ordinarie � Non spetta, 80. PROCEDIMENTO CIVILE -Confisca -Opposizione ad ordinanza ~ Ingiunzione � Illecito perma� nente � Competenza, 106. -Confisca . Opposizione ad ordinanza -Ingiunzione � Termini � Requisiti � Decadenza, 104. -Parte civile � Costituzione di parte civile dell'Ente Ferrovie dello Stato quale assicuratore che agisce in surrogazione ex art. 1916 e.e. � Diritto di richiedere in sede di impugnazione l'annullamento della pronunzia di condanna dell'imputato e del responsabile civile al risarcimento dei danni verso le altre parti civili, 206. - Parte civile -Costituzione di parte civile dell'Ente Ferrovie dello Stato quale assicuratore che agisce in surrogazione ex art. 1916 e.e. � Legittimazione � Insussistenza, 206. REGIONE -Elezioni politiche � Agevolazione a favore degli elettori emigrati all'estero -Attribuzione dello Stato, 23. V1ll RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO -Illegittima reintegrazione del rinvio -Ammissibilit� del ricorso per conflitto di attribuzione -Nuova riapprovazione della delibera legislativa rinviata -Sana la illegittimit�, 38. TRASPORTI -Trasporti in concessione -Controversia promossa da dipendente di societ� concessionaria successivamente alla dichiarazione di decadenza dalla concessione e assunzione del servizio in gestione commissariale governativa ma prima della pronuncia di annullamento del provvedimento di decadenza -Giurisdizione amministrativa, 100. -Trasporti pubblici � Ferrovie � Beni dell'Ente Ferrovie dello Stato destinati a pubblico servizio � Natura di beni �patrimoniali indisponibili, 123. - Trasporti pubb1ici -Ferrovie � Beni dell'Ente Ferrovie dello Stato � Regime civilistico e regime pubblicistico -Esercizio del potere di autotutela per i beni destinati a pubblico servizio, 123. TRIBUTI ERARIALI DIRETTI -Accertamento dnduttivo � Sottoscrizione di azioni � Presunzione di capacit� economica -Legittimit�, 146. -Accertamento sintetico � Normative tributarie in tema di presunzioni Diversit� da quella civilistica, 1. -ILOR � Perdite di esercizi precedenti � Indeducibilit�, con nota di F. FAVARA, 15. - Imposta sui redditi di ricchezza mobile � Societ� estere -Stabile organizzazione � Nozione, 192. -Imposta sui redditi di ricchezza mobile � �Plusvalenza � Terreni di pi� soci dati in gestione a societ� di capitali � Cessione da parte dei soci � Intento di speculazione presunto � Esclusione, 171. -Riscossione -Termine per la formazione dei ruoli -Coordinamento con la c.d. autotassazione, con nota di F. FAVARA, 15. TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI -Imposta di registro -Ingiunzione � Controversia sulla esistenza del potere di accertamento -Cognizione esclusiva delle commissioni tribu tarie, 102. -Imposta sul valore aggiunto -Presunzione di cessione e di acquisto � Prova contraria � Bolle di accompagnamento -Inidoneit�, 195. -Imposte di fabbricazione � Gas metano -Rapporto di rivalsa tra fornitore e consumatore -Non ha natura tributaria � Controversia sulla dovutezza del tributo -Estraneit� dell'Amministrazione, 177. -Riscossione � Fallimento � Credito non definitivamente accertato � Insinuazione tardiva � Sospensione del procedimento, 162. -Sanzioni non penali � Imposta sul valore aggiunto � Continuazione � Applicabilit� art. 81 cod. pen. Esclusione, 198. -Sanzioni non penali -Imposta sul valore ag~iunto � Pi� violazioni della stessa disposizione � Art. 8 legge 7 gennaio 1929 n. 4 � Applicabilit�, 198. TRIBUTI (IN GENERE) -Accertamento tributario Imposte indirette -Difetto di motivazione Sanzione di nullit� � Esclusione, 132. -Contenzioso tributarfo � Estinzione � Dichiarata dal presidente � Reclamo al collegio � Accoglimento -Appellabilit� � Esclusione, 150. -Contenzioso tributario � Giudizio di terzo grado � Ricorso alla Corte d'Appello � Scadenza del termine per ricorrere alla Commissione Centrale -Sospensione feriale -Si applica, 185. -Contenzioso tributario � Ingiunzione -Opposizione -Giurisdizione delle Commissioni, 180. -Contenzioso tributario -Natura -Accertamento non motivato -Difetto assoluto -Nullit�, 132. -Contenzioso tributario -Natura � Vizi dell'atto di accertamento tributario -Difetto di motivazione INDICE DELLA GIURISPRUDENZA Nullit� -Requisito rmmmo di mo tivazione -Fattispecie, 133. -Imposte di fabbricazione -Traslazione in avanti dell'onere -Rilevanza, con nota di F. FAVARA, 47. -Norme tributarie -Concetto di tributo -Tasse portuali -Natura tributaria -Riscossione � Ingiunzione doganale, 186. -Norme tributarie -Decreti delegati Valore di norma interpretativa Esclusione salvo espressa previsione -Efficacia retroattiva -Riformulazione e precisazione della norma originaria -Fattispecie, 158. -Rappresentanze del contribuente . Sanzioni amministrative -Responsabilit� solidale -Legittimazione a ricorrere ed intervenire, 12. -Riscossione -Sospensione della esecuzione -Difetto di giurisdizione di ogni giudice, 180. Riscossione -Sospensione -Ricorso al pretore ex art. 700 c.p.c. -Provvedimento decisori�' di merito � Regolamento di giurisdizione -Inammissibilit�, 180. -Riscossione -Sospensione -Ricorso ex art. 700 c.p.c. -Improponibilit�, 181. -Riscossione tramite aziende di credito -Ritardo nei versamenti . Penale, 42. -Solidariet� tributaria -Decadenza dell'Amministrazione -Atto compiuto contro un solo obbligato ~ Effetto conservatorio verso gli altri -Si verifica, 165. - Tributi erariali indiretti -Accertamento -Motivazione -lnsufficien� za -Mera illegittimit� -Giudizio di merito -Ammissibilit�, 152. TRIBUTI LOCALI -INVIM -Espropriazione immobiliare -Decreto di trasferimento Obbligo del cancelliere di presentare la dichiarazione e pagare il tributo -Ricomprensione della imposta nelle spese di giustizia -Esclusione, 168. -INVIM -Valore iniziale ancora in corso di accertamento -Determina� zione autonoma del valore finale Legittimit�, 157. INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE 23 luglio 1987, n. 283 . . . . . . Pag. 28 luglio 1987, n. 290 . . . � 21 gennaiO 1988, n. 48 (caro. cons.) . � 21 gennaio 1988, n. 49 (cam. cons.) . ,, 21 gennaio 1988, n. 54 (cam. cons.) . � 21 gennaio 1988, n. 61 (cam. cons.) . � 26 gennaio 1988, n. 79 . . . . . � 1 8 12 15 15 22 23 INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE 23 luglio 1987, n. 283 . . . . . . Pag. 28 luglio 1987, n. 290 . . . � 21 gennaiO 1988, n. 48 (caro. cons.) . � 21 gennaio 1988, n. 49 (cam. cons.) . ,, 21 gennaio 1988, n. 54 (cam. cons.) . � 21 gennaio 1988, n. 61 (cam. cons.) . � 26 gennaio 1988, n. 79 . . . . . � 1 8 12 15 15 22 23 Sez. I, 16 luglio 1987, n. 6252 . . Sez. I, 17 luglio 1987, n. 6293 .. )) )) 158 162 2 febbraio 1988, n. 126 . . . 2 febbraio 1988, n. 139 (cam. cons.) . 11 febbraio 1988, n. 155 . . . 11 febbraio 1988, n. 158 . . . . 25 febbraio 1988, n. 209 (cam. cons.) . 10 marzo 1988, n. 267 . 14 aprile 1988, n. 437 . 12 maggio 1988, n. 530 . 16 giugno 1988, n. 648 . 16 giugno 1988, n. 651 (cam. cons.) . CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE Sez. VI, 8 dicembre 1987, nella causa 144/86. Sed. plen., 4 febbraio 1988, nella causa 256/85 . . . . . . Sez. VI, 25 febbraio 1988, nella causa 299/86 . . . . . . Sed. plen., 24 marzo 1988, corretta con ordinanza 27 aprile 1988, nella causa 104/86 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . GIURISDIZIONI CIVILI CORTE DI CASSAZIONE Sez. II, 22 novembre 1986, n. 6887 . Sez. Un., 3 giugno 1987, n. 4844 . Sez. I, 10 giugno 1987, n. 5052. Sez. I, 26 giugno 1987, n. 5624 . Sez. I, 3 luglio 1987, n. 5812 . . Sez. I, 7 luglio 1987, n. 5890 . . Sez. Un., 13 luglio 1987, n. 6096 . � 24 " 33 � 34 � 38 � 42 � 44 � 24 � 25 � 46 � 47 Pag. 54 � 59 � 64 � 73 ~ ~ I& Pag. 111 132 " )) 146 ~ ,, ~ 150 i � 152 )) 157 )) 133 INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA Sez. I, 23 luglio 1987, n. 6426. ... Sez. I, 24 luglio 1987, n. 6436 . .. Sez. I, 29 settembre 1987, n. 7311 . Sez. I, 29 settembre 1987, n. 7312 . Sez. Un., 5 ottobre 1987, n. 7423 . Sez. Un., 5 ottobre 1987, n. 7424 . Sez. Un., 5 ottobre 1987, n. 7425 . Sez. I, 7 ottobre 1987, n. 7491 . Sez. Lavoro, 22 ottobre 1987, n. 7819. Sez. I, 19 novembre 1987, n. 8512 . Sez. I, 27 novembre 1987, n. 8815 . Sez. I, 2 dicembre 1987, n. 8953 . Sez. Un., 3 dicembre 1987, n. 9019. Sez. I, 16 dicembre 1987, n. 9328 . Sez. Un., 4 marzo 1988, n. 2259. Sez. I, 11 giugno 1988, n. Sez. Un., 17 giugno 1988, Sez. Un., 17 giugno 1988, Sez. Un., 17 giugn() 1988, Sez. Un., 17 giugno 1988, Sez. I, 21 giugno 1988, n. 3989 . n. 4120. n. 4130. n. 4131 . n. 4135 . 4222 . GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE CONSIGLIO DI STATO Scz. IV, 14 g.iugno 1988, n. 733 . TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO Sez. III, 3 novembre 1987, n. 1817 . . . . . . . . . . . . . . . . . CORTE DEI CONTI Sez. riun,, 27 gennaio 1987, n. 525. Sez. I, 28 aprile 1987, n. 283.656 . . GIURISDIZIONI CIVILI CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Sez. IV penale, 14 gennaio 1988, n. 2099 . Xl ,. 165 168 " 171 " )) 177 180 " ,. 180 � 181 � 185 )) 79 ,. 186 ,. 192 � 195 ,. 79 � 198 � 100 202 " 102 " 104 " � 106 � 204 � 113 Pag. 121 Pag. 123 Pag. 80 � 81 Pag. 206 PARTE SECONDA Questioni .................... Pag. 1 Rassegna di legislazione I . Norme dichiarate incostituzionali. II -Questioni dichiarate non fondate . III -Questioni proposte . . . . . . . . . ,. " 23 35 51 PARTE PRIMA GIURISPRUDENZA SEZIONE PRIMA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE CORTE COSTITUZIONALE, 23 luglio 1987, n. 283 � Pres. Andrioli -Rel. Pescatore -Rav� e Jacovitz (n. p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato D'Amato). Tributi erariali diretti � Accertamento sintetico � Normative tributarie in in tema di presunzioni � Diversit� da quella civilistica. (Cost., artt. 2, 3, 24 e 53; d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, art. 38). Il rilievo costituzionale dell'interesse alla percezione dei tributi giustifica norme differenziate rispetto alla disciplina civilistica delle presunzioni. Le disparit� di fatto che possono aversi in sede di utilizzo del materiale indiziario sono irrilevanti ai fini del giudizio di costituzionalit�. � non fondata la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 38 quartl> comma del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (1). (1) La aocurata sentenza cootiene interessanti affermazioni di prin01p10. Forse pu� essere utile sottoliineare la netta diversit� esistente tra la nozione di accertamento sintetico e la nozione di accertamento basato anche su indizi (cosiddetto dnduttivo). A questo proposito giova tener presente: a) che l'aggettivo " induttivo � non � logicamente contrapposto all'ag gettivo � analitico �; induttivo significa � ricostruito � mediante prove indiziarie (e non ad esempio mediante documenti proveruienti da pubbliche autorit� oppure mediante confessioni veicolate da documenti scritti, quali annotazioni in regist11i, fatture, etc.); un accertamento �analitico � pu� essere " induttivo � e normalmente lo � quanto meno in parte (posto che persino 1 documenti devono essere letti ed .interpretati con riguardo al contesto di altri documenti e circostanze); b) che all'aggettivo �analitico� si contrappone l'aggettivo �sintetico�; quest'ultimo sigrufica ricostruzione del reddito complessivo sulla base dei dati e valutaziO!!li estimative �d'insieme �; l'accertamento sintetico � sempre indut� tivo, ma -come si � detto -non � vera la reciproca; e) che unico vero accertamento sintetico � quello previsto dall'art. 38 quarto comma del d.P.R. n. 600 del 1973 e basato su dati concernenti non la produzione del reddito ma la spesa del reddito anteriormente cOillseguito, in consumi (ad esempio, auto di lusso) o in dnvestimentd; ~ d) che I'acce11tamenrto ex art. 39 secondo oomma non � un � sin,tetico � (anche peI'Ch� per i soggetti IRPEF non concerne un imponibile complessivo ma solo talu:nd dei redditi concorrenti a formarlo); detto comma prevede la possibi1it� di utilizzare mate:l1iali probatori (sia indiziari che documentali) RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (omissis) Debbono essere esaminate nel merito le questioni di legittimit� costituzionale dell'art. 38, comma quarto, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, che, come si � gi� detto, prevede la possibilit� di accertamenti tributari presuntivi ai fini dell'I.R.P.E.F. Al riguardo va premesso che gli accertamenti presuntivi, in materia tributaria, non sono stati introdotti dal d.P.R. n. 600 del 1973, ma hanno origine remota, anche in materia d'imposte sui redditi. Infatti, gi� l'art. 1 del R.D.L. 17 settembre 1932, n. 1261, in materia d'imposta complementare sul reddito, disponeva che ai fini della determinazione dell'imponibile, si tenesse conto anche dei redditi la cui esistenza si palesasse "per circostanze od elementi di fatto, con speciale riguardo al tenore di vita del contribuente�, Con l'emanazione del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, parimenti, pur restando il metodo di accertamento analitico quello normale, all'art. 137 fu previsto che, ai fini dell'imposta complementare, il reddito determinato analiticamente dovesse essere sottoposto a verifica, tenedo conto del tenore di vita del contribuente e di altri elementi o circostanze di fatto che facessero presumere un reddito netto superiore a quello risultante dalla determinazione analitica, rettificando le risultanze di questa su basi presuntive. Vero � che, in origine, il ricorso all'accertamento induttivo era -di regola -correlato con gravi inadempienze del contribuente, configurandosi, in tal guisa, piuttosto con profilo sanzionatorio. Ma col tempo si � fatta strada la consapevolezza che tanto gli accertamenti analitici che quelli sinte " extracontabili � in misura molto pi� ampia di quanto consentito dal primo comma dello stesso articolo; sicch� l'accertamento ex art. 39 secondo comma ben pu� essere almeno par:zii:almente analitico. Occorre anche chiarire che l'art. 39 comma prdmo citato non richiede il previo possesso di alcuna � chiave � perch� possa procedersd a rettifica del dicmarato (diverso � il discorso per l'accesso all'accertamento ex art. 39 comma secon'1o, consentirto solo nei quattro casi !indicati). La rerttrifioa ex art. 39 comma primo � consentita, senza condizioni preliminari, ogndqualvolta l'ufficio dispongia di dati o notizie legittimamente rnccolte, ed anche quando tali datri e IDJOtizie fomiscono solo rindizi e non prove documentali " certe e dirette >>. Ovviamente dati e notizie devono essere oonvdncenti; ma ci� attiene al � merito ,. ed alla valutazione estimativa. Giova !inoltre sottolineare che nei confronti delle imprese prive di contabildt� ord!inarda j1 terzo comma dell'art. 39 citato rin epigrafe prevede che � le disposiziond dei commi precedenti valgono, in qualllto applicabili ... �; queste tre parole, troppo spesso dimenticate, sottolineano che la normativa scritta nei primi due commi, avendo presente il modello delle imprese a contabilit� ordinari. a non pu� essere sic et simpliciter estesa alle altre imprese. Certamente, affidare solo a quelle �tre parole la soluzione di un problema molto difficile, quale � sempre stato e sar� I'aocertamenro dei redditli delle imprese minori, non � stato particolarmente perspic�o (ed dl tentativo del 1985, volto se non a cogliere ri rioavd quanto meno a contenere le deduzioni, ne � conferma); tut� tavia quelle tre parole esistono, e non si pu� ragionare come se non ci fos� sero. Esse devono essere interpretate ed applicate in modo da renderle idonee ad assicurare l'osservanza del precetto conl1lenuto nell'art. 53 comma primo Cost. ! .. �.. I! PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE -tici intesi a presunzioni, di per s�, sono solo strumenti di rilevazione della capacit� contributiva e che il metodo induttivo � uno strumento che pu�� validamente integrare il metodo analitico. In Hnea con tale orientamento la I. 9 ottobre 1971, n. 825, nel conferire al Governo la delega per la riforma tributaria, all'art. 2, n. 13, stabil� che l'accertamento tributario, ai fini dell'I.R.P.E.F., dovesse essere fatto, di rego la, attraverso la determinazione analitica del reddito complessivo netto sulla base dei singoli redditi che lo compongono, � salvo il ricorso alla determinazione sintetica, quando vi siano elementi presuntivi di maggior reddito risultanti da fatti certi �. In tal modo si determinava una direttiva improntata chiaramente alla concezione del metodo induttivo come integra tivo-sostitutivo di. quello analitico: 'direttiva nascente daHa scelta di que st'ultimo come metodo generale di accertamento, in quanto normalmente id.oneo a rivelare la capacit� contributiva del soggetto passivo d'imposta. Il ricorso al metodo induttivo era chiamato ad operare }n via sussidia ria, per l'ipotesi che il soggetto passivo d'imposta rivelasse, sulla base di indizi certi, una maggior capacit� contributiva rispetto a quella risultante dalla determinazione analitica. L'art. 38, comma quarto, del d.P.R. n. 600 del 1973, in attuazione di questa direttiva, in materia di rettifica .delle dichiarazioni del reddito delle persone fisiche; ha previsto il ricorso al metodo induttivo quando � il red dito complessivo risultante dalla determinazione analitica � inferiore a quello fondatamente attri:buibile al contribuente in base ad elementi e a circostanze di fatto certi �. In questa ipotesi � l'ufficio determina sintetica mente il reddito complessivo netto in relazione al contenuto induttivo di tali elementi e circostanze �. Pertanto la nuova normativa si discost.a dal riferimento al � tenore di vita del contribuente� -previsto invece dall'art. 137 del T.U. �lel 1958 tenendo conto dell'elaborazione giurisprudenziale che, in via interpretativa, richiedeva che gli accertamenti sintetici fossero motivati in base ad indici sicuri di capacit� contributiva, sia pure ricavabili dal tenore di vita del contribuente. L'art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973 richiede infatti, espressa mente, che a fondamento dell'accertament� induttivo siano posti � elementi e circostanze di fatto certi�, prevedendo anche che il Ministro per le Fi nanze possa stabilire con proprio decreto � indici e coefficienti presuntivi di reddito o di maggior reddito in relazione agli elementi indicativi di ca pacit� contributiva di cui al secondo comma dell'art. 2 �.Quest'ultimo iden tifica come elementi indicatori di capacit� contributiva: 1) la disponibilit� di aeromobili da turismo, di navi e imbarcazioni da diporto, �li cavalli da equitazione o da corsa e di autoveicoli; 2) le !I'esidenze secondarie a dispo sizione permanente o temporanea, in Italia o all'estero; 3) il numero dei col laboratori familiari, precettori, governanti ed altri lavoratori addetti alla casa e alla famiglia; 4) la disponibilit� di riserve di caccia. Con il D.L. 4 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I .~ 30 dicembre 1982, n. 953, convertito nella 1. 28 febbraio 1983, n. 53, la facolt� ~ del Ministro per le Finanze di stabilire con proprio decret� gl'indici e i !;.: coefficienti presuntivi di reddito di cui al quarto comma dell'art. 38 del (.: d.P.R. n. 600 del 1973, � stata trasformata in obbligo, al quale si � adempiuto con D.M. 21 luglio 1983 (sopra gi� menzionato), successivamente moI dificato con il D.M. 13 dicembre 1984. In tutti i casi in cui sia ammissibile l'accertamento induttivo, a norma del quinto comma dell'art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, il contribuente ha facolt� di dimostrare che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente � costituito, in tutto o in parte, da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta; Precisato il contenuto della normativa impugnata, vanno esaminati i singoli profili d'incostituzionalit� pr?spettati rispetto ad essa nelle ordinanze di rimessione. I ~ Il giudice a quo ha dettato innanzitutto -ipotizzando l'esistenza di un diritto naturale ed inviolabile dell'individuo a contribuire alle spese pubbliche in misura proporzionale ai suoi redditi effettivi -che la previsione di accertamenti induttivi violi l'art. 2 della Costituzione. Tale questione � infondata. Questa Corte, con numerose decisioni, ha affermato che l'art. 2 della Costituzione, nel tutelare i diritti inviolabili dell'uomo in via generale, si riferisce a diritti garantiti specificamente in altre norme della Costituzione (Corte costituzionale 22 dicembre 1980, n. 188; 17 dicembre 1975, n. 238; 27 marzo 1962, n. 29) e che, esclusa la violazione della norma della Costituzione che tutela specificamente ogni singolo diritto inviolabile, � automaticamente esclusa anch~ la violazione dell'art. 2 (Corte costituzionale 25 marzo 1976, n. 57; 4 maggio 1972, n. 77). Nel caso in esatne, a parte la considerazione che, come meglio si dir� appresso, l'art. 38, quarto comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 non viola alcun diritto garantito dalle altre norme di raffronto indicate nelle ordinanze di rimessione, va osservato che la violazione dell'art. 2 non � stata prospettata dal giudice a quo in relazione a diritti garantiti da quelle norme, bens� sulla base dell'asserita esistenza di un diritto naturale di ciascun individuo alla rigorosa corrispondenza tra l'imposizione tributaria su di lui gravante ed i suoi redditi effettivi. Anche a volere accettare la tesi, oggetto di vivace diba~tito all'AssembJ�a costituente, secondo la quale l'art. 2 tutela diritti connaturati alla persona umana, preesistenti ed autonomi rispetto ad ogni organizzazione statuale, tra �di essi certo non potrebbe porsi, qualificandolo diritto naturale e inviolabile, l'interesse del contribuente ad una giusta imposizione. Infatti trovando l'imposizione fiscale la sua fonte propria nell'ordinamento dello Stato, la pretesa ad una gius�ta-imposizione non � Jogicamente configurabile oorne un diritto naturale, derivante da princ�pi ricavabili da quella che fu definita la �realt� oggettiva universale, concretantesi nell'ordine naturale delle cose �. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALB s Passando alle ulteriori censure formulate nelle ordinanze di rimessione, vanno esaminati i due profili d'incostituzionalit� dell'art. 38, quarto comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 prospettati in riferimento all'art. 3 della Costituzione. In primo luogo, secondo il giudice a quo, la previsione di accertamenti induttivi, contenuta nella norma impugnata, darebbe luogo a discriminazioni tra i contribuenti, a, seconda che i vari uffici finanziari vi facciano o meno ricorso. Ma la disposizione dell'art. 38 quarto comma, assicura identit� di trattamento a tutti i contribuenti che si trovino in situazioni g�uridicamente identiche, prevedendo l'obbligo degli uffici finanziari di procedere ad accertamento induttivo tutte le volte che il reddito complessivo risultante dalla determinazione analitica sia inferiore a quello fond�tam~ nte attribuibile al contribuente in base ad elementi e a circostanze di fatto certi. Pertanto, la disparit� dedotta si palesa non come una discri-minazione normativa, bens� come un'eventuale disparit� di fatto, che potrebbe sorgere in sede applicativa della norma in conseguenza della maggiore o minore efficienza degli uffici finanziari, ma che non d� luogo a violazione dell'art. 3 'della Costituzione, in conformit� del principio affermato da questa Corte; secondo il quale le disparit� di fatto che possono insorgere in sede applicativa di norme di per s� non discriminatorie, sono irrilevanti ai fini del giudizio di costituzionalit� (Corte costituzionale 15 luglio 1985, n: 209; 4 febbraio 1982, n. 22; 25 marzo 1975, n. 6?). Sotto un diverso aspetto il giudice a quo ha dedotto l'illegittimit� costituzionale dell'art. 38, quarto comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, deducendo che esso consentirebbe il ricorso a presunzioni fuori delle ipotesi previste dall'art. 2729 cod. civ., cos� derogando ingiustificatamente al principio ivi stabilito, secondo il quale la prova a mezzo di presunzioni semplici � ammissibile solo ove esse siano gtavi, precise e concordanti e si tratti di materie in cui sia ammessa la prova per testimoni. Peraltro, formulando un'ulteriore questione di costituzianalit� che � opportuno esaminare congiuntamente, il giudice a quo ha negato anche, in radice, la legittimit� degli accertamenti tributari presuntivi, deducendo che essi contrastano con l'art. 53 della Costituzione, non essendo correlati alla effettiva capacit� contributiva del soggetto passivo d'imposta. Al riguardo va considerato che l'art. 38, quarto comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, prevede due diversi metodi di accertamento induttivo. Il primo metodo .....; restando l'unico fino alla emanazione �del D.M. 21 luglio 1983 � imperniato sull'acquisizione da parte degli uffici di � elementi e circostanze di fatto certi�, i quali da un lato rendono inattendibile la quantificazione del reddito risultante dalla determinazione analitica e dall'altro giustificano la quantificazione, in via .induttiva, del reddito in una determinata maggiore misura. Tale metodo � basato sulla prova della sussistenza RASSEGNA DELL1AVVOCAtUAA DEllO StAl'O degli elementi e circostanze di fatto che formano la, base p.resuntiva della misura del maggior reddito. Il secondo metodo -che si � concretamente affiancato al primo con l'emanazione dei DD.MM. 21 luglio 1983 e 13 dicembre 1984 -� imperniato sulla identificazione, da parte d�llo stesso d.P.R. n. 600 del 1973 (all'art. 2), di una serie di elementi (dianzi indicati al paragrafo 10), che lo stesso legislatore ha ritenuto indicativi di capacit� contributiva, in relazione ai quali il Ministro delle finanze � investito del potere (ed ora anche dell'obbligo) di stabilire indici e coefficienti presuntivi di reddito. Una volta emanati i decreti ministeriali che fissano tali indici e coefficienti, l'accertamento da parte degli uffici tributari degli elementi indicati nell'art. 2 del d.P.R. n. 600 !fel 1973 legittima, attraverso l'applicazione degl'indici e coefficienti stabiliti da tali decreti, l'imposizione sulla base del maggior reddito. Cos� precisato il contenuto della normativa impugnata, va rilevato che questa Corte ha costantemente escluso, in linea generale, la illegittimit� costituzionale, del ricorso a prove legali ed a presunzioni in materia tributaria. In tal senso si era espressa gi� con la sentenza 26 giugno 1965, n. 50, dichiarando non fondata la questione di legittimit� costituzionale, in linea di principio, di norme che prevedano un sistema di prove legali per la determinazione dell'esistenza del presupposto dell'obbligazione tributaria e della sua entit� concreta. Detta conclusione � stata pi� di recente ribadita nella sentenza 21 aprile 1983, n. 103, nella quale � stato confermato che la configurazione di prove legali rigorose, in materia tributaria, non comporta l'attribuzione di una base fittizia all'imposizione ed � stato sottolineato �che in tale materia la prova legale mira a tutelare l'interesse generale alla riscossione dei tributi contro le evasioni, affermandosi che rientra nella discrezionalit� del legislatore non sindacabile in sede di giudizio di costituzionalit�, ove non tr.asmodi in palese arbitrariet� o irrazionalit�, la scelta dei meccanismi probatori che si ritengano maggiormente idonei a conseguire tale risultato. Pi� specificamente, quanto alle presunzioni tributarie, questa Corte con numerose decisioni ne ha escluso, in linea di principio, la illegittimit� costituzionale, purch� si fondino su indici concretamente rivelatm;i di ricchezza, ovvero su fatti reali, quand'anche difficilmente accertabili, idonei a conferire all'imposizione una base non fittizia (Corte costituzionale, 26 marzo 1980, n. 42). In particolare � stata sottolineata la necessit� che le presunzioni, per potere essere considerate in armonia con il principio della capacit� contributiva sancito �lall'art. 53 della Costituzione, debbono essere confortate da elementi concreti che le giustifichino razionalmente (Corte costituzionale 28 luglio 1976, n. 200). In proposito la Corte ha negato l'illegittimit� costituzionale. di alcune presunzioni iuris tantum previste da leggi tributarie, mettendo in evidenza, da un lato ;_ caso per caso -la loro razionalit�; dall'altro, la garanzia insita per il contribuente nella possibilit� di dare la prova contraria a PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE quanto presunto per legge (Corte costituzionale 3 luglio 1967, n. 77; 18 luglio 1968, n. 99). Inoltre, in materia d'imposta di successione, questa Corte ha dichiarato non fondata, in riferimento all'art. 53 della Costituzione, una questione riguardante la presunzione di esistenza nel patrimonio ereditario di gioielli, denaro e beni mobili in misura fissa e proporzionata all'asse ereditario, ritenendo inconferente ch� tale presunzione potesse essere assoluta, tenuto conto che essa faceva riferimento � ad un indice effettivo e concreto, quale � quello del patrimonio ereditario� (S�ntenza 12 luglio 1967, n. 109). Esaminando la normativa impugnata alla stregua di tali princ�pi, va rilevato come entrambi i. metodi di accertamento induttivo previsti dall'art. 38, quarto comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, pur se fondano l'accertamento su presunzioni, sono rispettosi dell'art. 53 della Costituzione, in quanto ancorano l'accertamento ad elementi che debbono essere rigorosamente dimostrati e s�no idonei a costituire fonte sicura di rilevamento della capacit� contributiva. Infatti, l'accertamento fondato sulla prova della sussistenza di �elementi e circostanze di fatto certi�, i quali dimostrino l'inattendibilit� della quantificazione del reddito ri~ultante dalla determinazione analitica e la correlativa sussistenza di un maggior reddito, si palesa come un accertamento presuntivo che, lungi dal violare il principio costituzionale della correlazione tra capacit� contributiva e imposizione tributaria, ne costituisoe un mezzo di attuazione, in quanto � reso ragionevole dal ricorso a indici idonei a dare fondamento reale alla corrispondenza tra imposizione e capacit� contributiva. Dall'esistenza del fatto-base sorge la pretesa al tributo relativo al nuovo reddito, determinato sinteticamente, essendo quel fatto .idoneo, per quanto si dir� a produrre l'effetto collegato al fatto presunto. Parimenti evidente � la razionalit� e la coerenza con il principio fissato dall'art. 53 della Costituzione, del metodo di accertamento basato sugli elementi individuati dall'art. 2 del d.P.R. n. 630 del 1973, in relazione ai quali nei DD.MM. 21 luglio 1983 e 13 dicembre 1984 sono stati stabiliti indici e coefficienti presuntivi di reddito. Infatti in base ad una massima di esperienza, la disponibilt� di aeromobili da turismo, di navi e imbarcazioni da dip�rto, di cavalli da equitazione o da corsa, di residenze secondarie, di collaboratori familiari, di precettori, di governanti, di riserve di caccia, lungi dal costituire �una violenza nei confronti della realt�� sono indici sicuri di capacit� contributiva:. idonei, pertanto, a fondare la presunzione che, chi possegga quei beni o fruisca di quelle prestazioni, goda di un reddito� proporzionato, ancorch� non se ne possa individuare analiticamente la provenienza. Dimostrata l'esistenza di quei determinati fatti possessori o di fruizione di servizi, se ne deduce la esistenza dell'elemento costitutivo della fattispecie dalla quale trae titolo la pr�tesa tributaria, determinata sinteticamente. Ne deriva che, fatta salva la possibilit� RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO per il contribuente di dimostrare che il reddito proviene da cespiti esenti da imposta, ovvero che � gi� stato assoggettato a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta (art. 38! quinto comma), la presunzione stabilita dalla legge appare ancorata a dati di fatto che sono prova sicura di capacit� contributiva. Quanto poi alla valutazione della legittimit� (sotto l'aspetto di eventuali vizi nella formazione e nell'applicazione) degfindioi e dei coef� fidenti presuntivi fissati dai decreti ministeriali, essa non compete a questa Corte, essendo tali decreti -come sopra si � visto -atti amministrativi. Escluso ogni contrasto della normativa impugnata col� principfo stabilito dall'art. 53 della Costituzione, si r.ivela infondata pure la dedotta . violazione dell'art. 3 prospettata sotto il profilo dell'allegata deroga, in materia tributaria, della regola generale fissata dall'art. 2729 cod. civ. Infatti, senza che sia necessario procedere all'individuazione della natura delle presunzioni previste dall'art. 38 quarto comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, va ritenuto che la materia tributaria, per la sua particolarit� e per il rilievo che ha nella Costituzione l'interesse dello Stato alla percezione dei tributi, giustifica discipline differenziate, in materia di accertamento, rispetto alla disciplina generale delle presunzioni, p.rch� -come nel caso di specie -tali discipline siano idonee ad assicurare la reale rispondenza dell'accertamento tributario alla capacit� contributiva� del soggetto passivo d'imposta. Quanto, poi, alla violazione� dell'art. 24, allegata sotto il profilo che contro l'uso di presunzioni per pervenire all'accertamento, la difesa sarebbe impossibile, essa va parimenti disattesa, poich� nessun limite � po~to dalla normativa impugnata alla prova della insussistenza degli eleme~ti e circostanze di fatto sui quali si basa l'accertamento induttivo. Tutte le questioni prospettate in relazione all'art. 38, quarto comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 vanno pertanto dichiarate non fondate. CORTE COSTITUZIONALE, 28 luglio 1987, n. 290 -Pres. Andrioli -Rel. Pescatore -S.p.A. SARA (avv. Jannone) e Presidente Consiglio dei � Ministri (avv. Stato Mataloni). Espropriazione per pubblica utilit� -Prestazione obbligatoria di attivit� di impresa -Non applicabilit� dell'art. 42 Cost. (Cost., artt. 23 e 42; d.!. 10 febbraio 1977 n. 19, art. 8). La congiunta applicazione di disposizioni costituzionali pu� realizzarsi quando ne derivi il rafforzamento di un precetto o la determinazione o il completamento della sua sfera di operativit�. Peraltro, la prestazione obbligatoria di attivit� di impresa non d� luogo al congiunto operare PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 9 degli artt. 23 e 42 Cast., quest'ultimo non potendo costituire base idonea per la attribuzione di un compenso relativo alla prestazione obbligatoria di un � opus� (1). L'art. 1 del dl. 10 febbraio 1977, n. 19, convertito con modificazioni nella legge 6 aprile 1977, n. 106, ha dichiarato la decadenza della Societ� (per azioni) autostrade romane ed abruzzesi (S.A.R.A.) dalla concessione di costruzione ed esercizio delle autostrade Roma-Alba Adriatica e Torano-Pescara. L'ultimo comma d�ll'art. 8 di tale decreto �legge dispone: � Dalla . data di entrata in vigore del presente decreto i legali rappresentanti della societ� assumono le funzioni di custodi di tutti i beni mobili ed immobili, compresi gli impianti, le pertinenze e gli accessori, inerenti alla costruzione ed alla g�stione delle autostrade, e sono tenuti, rendendone conto al direttore generale dell'A.N.A.S., a compiere tutti �gli atti di ordinaria amministrazione necessari per l'esercizio delle stesse autostrade �. In applicazione di quest'ultima norma, la S.A.R.A. ha dovuto provvedere e sta ancora provvedendo all'esercizio anzidetto. A fronte di tali prestazioni l'A.N.A.S. ha riconosciuto alla S.A.R.A. -secondo quanto si evince dall'ordinanza di rimessione -il rimborso di tutte le spese di esercizio, comprensivo anche di una quota parte dei costi generali societari di stretta pertinenza dell'esercizio stesso. (omissis) Nella fattispecie, che concerne una prestazione coattiva di attivit� di impresa, la legge ne determina con completezza l'oggetto, non la� sciando margine all'esercizio di alcun potere discrezionale da parte della P.A. Infatti, l'art. 8, ultimo comma pi� volte citato, del d.l. n. 19 del 1977 pone una norma precisa circa il contenuto e i limiti della prestazione, riferendoli all'esercizio delle autostrade, limitatamente agli atti di ord�-. naria amministrazione. A fronte di tale prestazione l'A.N.A.S. � tenuta al rimborso ;;tlla S.A.R.A. delle spese, comprensive di una quota parte dei costi generali societari di stretta pertinenza dell'esercizio stesso. L'ordinanza sottolinea un elemento particolare dell'attivit� imposta che, a suo avviso, le consente di penetrare nella sfera del terzo comma dell'art. 42 e lo riferisce al termine e alle modalit� della prestazione, dovuta ex art. 23 Cost. Questa, originariamente diretta a fronteggiare un'evenienza provvisoria, � stata in concreto caratterizzata dalla lunga perduranza, � senza che sia previsto o sia prevedibile il momento della sua cessazione �. Donde � un vero e proprio congelamento sine die anche (1) Pronuncia di notevole lia:trteresse teorico, peJXh� !)issa uno dei confini della garanzia data dall'art. 42 terzo comma Cost., e perch� indirettamente eviden:zJia l.liil limite alla .raffigurazione (come noto, proposta da NrcoL�) della �impresa� c�me oggetto a s� stante di diritti. 10 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dei capitali investiti dai privati (azionisti) della societ��, s� che essi, � sottratti sia pure temporaneamente, ma per un rilevante periodo di 'tempo, a1l'iniziativa privata e impiegati rper fini esclusivamente pubbli� cistici, non trovano alcuna remunerazione �. Situazione questa, che, appun� to in base all'invocata integrazione dell'art. 23 col ,terzo comma del� l'art. 42 Cost., dovrebbe comportare � la deteqninazione di un principio costituzionale che integri quello della riserva legislativa� con l'altro della corresponsione di un a�eguato compenso. La censura non � fondata. La Corte rileva che � canone indubbio quello relativo alla lettura sistematica di norme costituzionali, qualora un precetto possa trovare la sua integrazione, a pari livello, con altra disposizione. Siffatto principio � stato affermato, relativamente all'art. 23, dalla giurisprudenza della Corte, la quale ha rilevato che�� quest'ultima norma, il cui contenuto sta nel prescrivere una riserva di legge, non ha nessun ruolo da svolgere quando altra norma costituzionale, nel dettare una disciplina sostanziale della fattispecie, l'accompagni gi� con la garanzia formale di detta riserva (sent. 23 aprile 1965, n. 30). La congiunta applicazione di disposizioni costituzionali pu�, dunque, ben realizzarsi quando ne derivi il rafforzamento di un precetto e la determinazione o il completamento della sua sfera di operativit�. Nella specie, l'ordinanza postula l'integrazione sostanziale (riserva di legge + corresponsione del compenso) attraverso l'impiego _congiunto dell'art. 23 con il terzo comma dell'art. 42 Cost. La lunga durata dell'attivit� di gestione imposta si rifletterebbe sulla rimun�rabHit� del capitale (privatd) della. S.A.R.A. (societ� per azioni), in quanto non renderebbe possibile compensare l'attivit� di gestione, � sottraendola all'iniziativa privata per un rilevante periodo di tempo �. Un siffatto profilo della censura mal si colloca nell'ambito dell'art. 42 Cost., dato che esso deduce un impedimento all'iniziativa privata. Comunque, al di fuori dell'operativit� di tale iniziativa, l'art. 8 ultimo comma, _ del d.I. n. 19 del 1977 non incide in alcun modo sulla titolarit� del capitale sociale in capo agli azionisti, che sono liberi di gestirlo secondo le moda-. lit� proprie della struttura societaria, alla quale esso inerisce. Questa considerazione vale anche nei riguardi dell'altro profilo della situazione societaria, posto in luce dalla difesa privata,-quando si � rife� rita all'� ablazione del godimento dei capitali investiti�. � da osservare che nemmeno tale supposta ablazione � soccorribile col ricorso al precetto costituzionale invocato (art. 42, terzo comma). Trattandosi dell'imposizione di attivit�, questa non pu� riflettersi n� sull'organizzazione societaria, ,n� sull'appartenenza e sulla composizione del capitale sociale. L'incidenza riflessa, che, su detto capitale pu� derivare dai vincoli di gestione dell'attiv.it� sociale, si colloca anch'essa al di fuori della norma costituzionale ora ricordata. (omissis) f f f I . . I PARm I, SEZ. I, GIURJSPRUDENZA COSTITUZIONALE Non soccorre, poi, ai fini del riconoscimento del titolo al compe:p.so, il principio di costituzione materiale, tratto da questa Corte dallo stesso art. 42, terzo comma, e richiamato dall'ordinanza di rimessione, secondo il quale rientrerebbe nell'ambito della tutela della propriet�, accanto alla fattispecie dell'espropriazione formale, il complesso delle situazioni, le quali, pur non concretando un trasferimento totale o parziale di tale diritto, ne svuotino il contenuto (cfr. sent. 27 aprile 1982, n. 92, 21 di-_ cembre 1976, n. 89; 9 maggio 1968, n. 55; 22 giugno 1966, n. 90; 19 genn. aio 1966, n. 6). Muovendo da questa premessa la Corte ha affermato che l'indennizzo da corrispondere in caso di ablazione della propriet� pu� venir .. meno soltanto quando i modi e i limiti, che la legge impone a tale diritto, attengano al regime di appartenenza o �ai modi di godimento dei beni in generale o di intere categorie di essi, ovvero quando la legge regoli la situazione dei beni rispetto alla P . .A., sempre che le limitazioni tocchino la generalit� dei soggetti che si trovino nelle accennate situazioni (sent. 19 gennaio 1966, n. 6 cit.; 15 novembre 1967, n. 119; 9 maggio 1968, nn. 55 e 56). Questo principio, che viene testualmente richiamato dall'ordinanza di rimessione, pu� definirsi del carattere generale, necessario, della � previsione ablativa e della qualificazione delle limit�zioni imposte (in quanto connesse con la disciplina della posizione del bene nei confronti della P.A.), deve ritenersi operante esclusivamente nei confronti delle ablazioni reali, cio� di quelle espropriazioni che concernono i beni, con l'imposizione di limiti e vincoli che li svuotino del loro contenuto. Il principio non � invece applicabile alle prestazioni (o ablazioni) obbligatorie, del tipo di quella che ricorre nella specie. Siffatta prestazione � definita dall'ultimo comma del pi� volte ricordato art. 8 del d.l. n. 19 del 1977 e questa norma, come si � visto, anche_ per la sua genesi e per il suo oggetto, non pu� considerarsi privativa o gravemente limitativa del contenuto sostanziale (e dell'appartenenza) di beni. Le prestazioni obbligatorie consistono in un facere; il loro oggetto � caratterizzato dal compimento dell'opera o dell'attivit�. �, come tale, assume la sua specifica configurazione. Ed � a tale oggetto che deve riferirsi il giudizio sulla Ie~ittimit� della normativa che l'impone. Appare, anche sotto questo aspetto, arduo rinvenire un principio costituzionale -come auspica l'ordinanza di rimessione -, in base al quale, integrando l'art. 23 con l'art. 42, terzo comma, Cost., possa sancirsi, a favore dell'onerato, la spettanza di un adeguato compenso. La corresponsione dell'indennizzo nelle ablazioni reali {ed a quelle sostanzialmente assimilate), �, invece, preventivamente e generalmente regolato dalla legge, e l'art. 42, terzo comma, Cost., conferisce ad esso la garanzia costituzionale. 12 RASSEGNA llEIJ..1AVVOCATURA !>ELLO STATO Collocando il problema sotto un angolo visuale pi� ampio, ma sempre con stretta aderenza alla fattispecie, � da osservare che i limiti e i vincoli che, alla stregua della giurisprudenza di questa Corte, incidono sul contenuto della propriet�, si differenziano nettamente,-nella loro qualit� e struttura, dagli obblighi inerenti alle prestazioni (o ablazioni) obbligatorie. Questi debbono procedere da norme di legge; quelli, normai� mente, derivano da atti amministrativi. Nell'ablazione (o prestazione) obbligatoria, poi, il vincolo opera direttamente sul soggetto, limitandone la libert�, e non � ipotizz~bile altra incidenza, che possa'assimilarsi a questa. Il fenomeno dello svuotamento sostanziale -equiparabile al trasferimento coattivo -si realizza inyece pienamente nelle ablazioni reali. ~ Nelle prestazioni obbligatorie pu� ben mancare la generale previsione normativa dell'indennizzo, avendo la .Costituzione assunto come obiettivo primario la difesa della 1sfera di J:ibert� del soggetto gravato; a questa fine opera la riserva di legge. In ogni caso, nella specie l� pretesa del soggetto obbligato, come si evince dall'ordinanza di rimessione, consiste nel �diritto ad un compenso per. l'attivit� di gestione imposta(gli) �, che � concetto tutt'affatto diverso dall'indennizzo. A parte i rilievi gi� svolti circa le peculiarit� della struttura e dell'oggetto della prestazione obbligatoria, l'art. 42, terzo comma, Cost., non pu� costituire base idonea per l'attribuzione di un compenso per la prestazione coattiva di un opus; compenso la cui determinazione sfugge, in generale, per la sua natura di corrispettivo di un'attivit� resa, ai criteri in base ai quali la legge fissa l'indennizzo per l'ablazione di beni. La norma stessa non pu�, poi, aprire la via alla enucleazione di un altro principio, comprensivo dell'indennizzo e del compenso. La finalit� e l'oggetto dell'indennizzo, essendo del tutto diversi da quelli della remunerazione di un'attivit�, impediscono l'individuazione dell'invocato unitario concetto. CORTE COSTITUZIONALE, 21 gennaio 1988, n. 48 (cam. cons.) � Pres. e rel. Saja. Avvocatura dello Stato � Contenzioso tributario � Patrocinio dell'amministrazione dinanzi alle commissioni. (Cast., artt. 3 e 24, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 30). Tributi (in generale) . Rappresentanza del contribuente � Sanzioni am ministrative . Responsabilit� solidale � Legittimazione a ricorrere ed intervenire. (Cast., artt. 3, 24 e 76; d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, art. 98).. Anche dinanzi alle commissioni tributarie l'amministrazione finanziaria pu� avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato,� l'art. 30 del d.P.R. ,.. r: t. i' ~: PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 13 26 ottobre 1972 n. 636 consente la difesa ad opera degli uffici senza necessit� della delega di cui agli artt. 2 e 3 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611 (1). Il rappresentante legale del contribuente (ad esempio, di una societ�) ragionevolmente � obbligato in solido con il rappresentato per il pagamento delle soprattasse e delle pene pecuniarie, e pu� quindi far valere le proprie ragioni nel processo tributario. Ritenuto che la Commissione tributaria di primo grado di Verbania sollevava questione di legittimit� costituzionale; in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.: a) dell'art. 30 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, nella parte in cui non prevede l'intervento dell'Avvocatura dello Stato davanti alle Commissioni tributarie; b) dell'art. 98, sesto comma, del citato d.P.R. n. 602/73, secondo il quale �al pagamento delle soprattasse o delle pene pecuniarie sono obbligati in solido con il soggetto passivo o con il soggetto inadempiente coloro che ne hanno la rappresentanza�; che ad avviso del collegio rimettente, la nol'ma sub a)' in deroga alla regola generale secondo cui la rappresentanza e l'assistenza in giudizio delle Amministrazioni dello Stato spettano all'Avvocatura dello Stato (testo unico 30 ottobre 1933, n. 1611), affiderebbe in via esclusiva tale patrocinio a funzionari degli uffici tributari, non sempre muniti della necessaria preparazione giuridica, cos� negando all'amministrazi0"'J.e finanziaria parit� di tutela in giudizio rispetto ai contribuenti, che imece possono farsi assistere da (1) Il giudice cr.-emititente ha prospettato un problema serio ed irrisolto (anohe se essenzialmente metagiuridico): spesso (non sempre) nel processo tributario i oontribuenti sono assistitd da difensori qualificatJi (ad esempio, avvocati o dottori commercia1istJi) rispetto ai quali iilladeguata pu� rivelarsi la profess'ion�lit� dei fUllJ2�onari degli uffici' (e non soltanto per quanto attiene agli aspetti prooessuali). Trattasi di un problema ohe non pu� essere risolto indipendentemente da quello -ancora pi� serio -di una profonda revisione della giustizia tributaria, essendo irrealistico che l'Avvocatura dello Stato possa curare le masse di processi tributari che !'�attuale organizzazione di detta giustizia di per s� ingenera e che si trascinano per rm sovrabbondante numero di gradi dmnanzi a collegi giudicanti a foro volta troppo spesso di bassa professionalit� o adc:!Jiri1Jtura formati con la partecipazione dri persone impegnate nella assistenza di contribuenti. Il processo tributario e stato configurato avendo prei.enti da un lato l'immagine del contnibuente �debole ,, e � povero ,, e d'altro lato l'esigenza di non esporre subrito l'ufvicio al rischio di una soccombenza. Queste pcr:eoccupamoni, pervero enfutizzate dai sosten:iitori dei. contribuenti �forti � (di fatto intere& sati ad un cattivo funmonamento della giusti2lia tributaria), possono al pi� giu� stiDicare un primo grado tipo � giudice dri pace � a liv�ello provinciale (per il che potrebbero continuare ad operare le attuali commissioni aventJi sede nel capoluogo); ~n un siffatto primo vaglio � razionale che le parti stiano in giu RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO liberi professionisti; la norma sub b), a sua'volta, lederebbe il diritto di difesa degli obbligati solidali, in quanto ad essi viene notificato il solo avviso di mora e non l'avviso di accertamento, o cartella esattoriale, contro i quali � ammesso ricorso (omissis); che la questione concernente la rappresentanza e difesa dell'amministrazione finanziaria nei giudizi davanti alle commissioni tributarie � palesemente priva di fondamento, in quanto, come rilevato dalla stessa Avvocatura generale la normativa censurata, contrariamente all'assunto del giu-� dice rimettente, non esclude affatto che l'amministrazione possa, anche dinanzi alle commissioni tributarie, avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato: la normativa stessa infatti si limita a consentire la rappresentanza da parte dei funzionari degli uffici tributari senza necessit� della delega di cui agli artt. 2 e 3 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611; � . che la questione concernente gli artt. 55 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e 98, penultimo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 � stata gi� decisa dalla Corte con la sentenza n. 348 del 1987 nel senso della non fondatezza, perch�, quanto al diritto di difesa, nulla vieta al rappresentante del soggetto passivo di far valere le proprie ragioni nel procedimento tributario; che, quanto all'art. 3 Cost., va rilevato che rientra nelle attribuzioni del legislator~ ordinario disciplinare i rapporti concernenti la solidariet� tributaria (che non si differenzia nella sua intima essenza da quella civile, come la giurisprudenza costituzionale e ordinaria ritiene ormai in maniera costante), sempre che non siano superati i limiti di ragionevolezza, il che dizio � di persona >>, e quindi che l'ufficio si difenda da s�, ben conoscendo le� vicende per cui si controverte (senza necessit� di � passare le carte � ad altro ufficio od alla Awocatura). Dopo questo grado . . . alla buona non produttivo di preclusioni processuali (ed eventualmente persino de-giurisdizionalizzato} do~rebbe aver inizio un vero processo dinanzi un vero giudice di merito � pieno � (a livello regionale, � non accentrato a Roma) e con contraddittori professionalmente qualificati. �'. stimabile che questo grado di giudizio (al quale seguirebbe quello di cassazione) sarebbe percorso mediamente da circa 50.000 controversie l'anno; numero che potrebbe ridursi sensibilmente se al giudice ipotizzato venissero affidate solo le controversie in materia di imposte sui redditi e dd IVA, per le controversie relative alle altre imposte lasciando le cose come sono (almeno t�mporaneamente). Ovviamente, alla revisione del processo tributario dovrebbe essere colle gato un potenziamento dell'Avvocatura dello Stato, la quale, come noto, attual mente cura le controversie tributarie (nei settori di competenza delle com missiond) dinanzi alla Corte di cassazione ed alle Corti di appello, mentre poco frequentemente e solo per controversie di particolare importanza o deli catezza assiste gli uffici nei gradi dinanzi alle commissioni. �'. appena il caso di aggiungere che le osservaziond sin qui fatte non devono essere interpretate come una scarsa disponibilit� dell'Avvocatura dello Stato a fornire, allo stato della legislazione, l'assistenza che gli uffici le richiedano. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 15 nella specie all'evidenza non ricorre per la peculiare relazione della posizione dell'ammi'nistratore con quella della societ� rappresentata e per la conseguente soggezione alle medesime sanzioni comminate in cas9 di violazione dei precetti tributari; (omissis) I CORTE COSTITUZIONALE, 21 gennaio 1988, n. 49 (Cam. Cons.) -Pres. e rel. Saja. Tributi erariali diretti -Riscossione -Termine per la formazione dei ruoli Coordinamento con la c.d. autotassazione. (Cost., artt. 76 e 77; d.P.R. 27 settembre 1979, n. 506, art. 2). Il prolungamento del termine per la formazione dei ruoli � giustificato dalla introduzione della c.d. autoliquidazione, la quale ha confinato la riscossione mediante ruoli ad ipotesi marginali. TI CORTE COSTITUZIONALE, 21 gennaio 1988, n. 54 {Caro. Cons.) -Pres. Saja -Rel. Borzellino. Tributi erariali diretti -ILOR -Perdite di esercizi precedenti -Indeducibilit�. (Cost., artt. 53, 76 e 77; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, art. 4). La perdita di esetcizi precedenti va considerata fatto impeditivo della imposizione (relativa al periodo di imposta in cui la perdita � utilizzata) e non come componente negativa del reddito complessivo (di detto periodo) (1). (1) Il riporto delle perdite di esercizi precedenti. La Corte costituzionale, ancorch� con stringata motivazi0111e, ha fornito una illllPartante puntualizza2lione sulla rilevanza fiscale (e sul modo in cui essa si manifesta) delle perdite c.d. pregresse. La pronuncia � stata preceduta da un ddbattito (m contraddittorio) parecchio ampio, nel quale sono state esaminate sia Ia nozione di perdita fiscale dell'esercizio sia le disposizioni ~n tema di compensazione degli utili di un esercizio con perdite di esercizi precedenrti. La noziOllle di perdita dell'esercizio va anzitutto distinta dalle �perdite� patdmoniald di cui all'art. 57 d.P.R. n. 597 del 1973: queste seconde concernono eventi distruttivi di un elemento attivo del patrimonfo del contribuente (ad esempio, un incendio, la inesigibilit� di un credito) non riferibili alla volont� del contllibuente stesso; per moiso, � bene chiarire che .I'ammllamento delle azioni o delle quote di una societ� (iDJCorporata) possedute dalla societ� 16 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I Considerato che la censura di eccesso di delega appare manifositamente infondata: infatti l'impugnato art. 2 d.P.R. n. 506 del 1979 deve essere raffrontato non gi� con l'art. 10 n. 6 1. n. 825 del 1971 bens� con l'art. 22 1. n. 114 del 1977, che testualmente stabilisce nel secondo comma: �Con decreto del Presidente della Repubblica da emanare ai sensi del secondo comma dell'art. 17 1. 9 ottobre 1971, n. 825, saranno apportate alle norme mcorponmte prima della fusione non � qualificabile �perdita� patrimondale, e costituisce solo opera2lione (materiale e contabile) conseguenziale alla fusione e, come essa, del tutto volontaria (cfr. art. 99 del T.U.I.R. approvato con d.P.R. n. 917 del 1986). La legge tributaria consente che l'imprenditore (non il comune oittadiino) deduca dette perdite dal reddito dell'esereizio nel corso del quale l'evento 'distruttivo si � verificato, se l'elemento attivo colpito dallo evento � .,incluso tra le attivit�� esposte in bilancio; ci� allo scopo di non pregiudicare la conservazione delle dotazioni patrimoniali dell'impresa (anche se, in tal modo, lo Stato si trova di fatto esposto ad un rischio che potrebbe dirsi �da assicuratore �). La perdit�a dell'esercizio � invece iii. risultato complessivo, quando negatiivo, dell'iattivit� economica dell'impresa in un determinato periodo di tempo (denominato lin gergo �esercizio�); la no:zfone di perdita dell'esercizio -a 1differenza di quella di perdite patrimoniali (le quali sono cagionate da eventii pUllltuali e tendenzialmente istantanei� amcorch� iirreversibili) -� dimensionata 1ad un perfodo di tempo ed esprime una sintesi di una pluralit� di fat.ti aziendali accaduti appunto in detto periodo. Di peridita dell'esericizio pu� parlarsi, alternativamente, o in termini civi1i . stlici con mguardo cio� alle risultanze del bilancio, o in tennini fiscali. con riguardo cio� 1alle ,riisuhanze della dichiarazione e dell'accertamento del reddito. Il periodo di tempo (esercizio) in relazione al quale la perdita �risulta� ooinc:ide, per i contribuenti soggetti ad IRPEG, con il periodo di tempo (non necessariamente coincidente con 'fanno solare) considerato per la redazione del bilancio civilistico. Comunque, il periodo di tempo fiscalmenite rilevante � denominato dal legislatore periodo d'imposta. La perdita fiscale dell'esercizio � dunque Ia �perdita che, in esito al.la 'Somma algebrica di componenti positivi e negativi del reddito, risulta dalla dichiarazione o dall'accertamento relativo al periodo d'imposta: e se non v'� accertamento -U che avviene per la stragrande maggioranza dci contribueniti -la pe.ridita dell'eseroizfo dichiarata acquisisce di fatto definitivit�. La perdita fiscale dell'esercizio �, come evidente, nozione gimid:ico-formale e conseguenziale alla ripartizione del continuum dell'attivit� commerciale in periodi di imposta .temporalmente delimitati; e del resto altrettanto deve dirsi -e questa volta con riguardo all'intera platea dei contribuenti -per il reddito complessivo esso pure riferito, come noto, ad uno specifico periodo d',imposta. E costituisce principio fondamentale dell'imposizione sui redditi quello per cui ogni periodo d'imposta � del tutto autonomo e d� luogo ad una separata vicenda impositiva; meramente espositivo � il coilegaimento con U periodo anteriore tramite le � rimanenze iniziali.�, e non influente sui conti reddituali rimane (in assenza di movimenti) la � situazfone partrimoniale �. Dal .principio :test� rammentato dovrebbe discendere la totale impossibilit� di � utilizzare � fiscalmente la perdita di un precedente esercizio. Senonch�, in via �di deroga (e quindi con disposizione per sua natura eccezionale) I I ~. PARIB I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE -17 dei decreti del Presidente della Repubblica emanati nell'esercizio della delega di cui alla legge stessa le modificazioni necessarie per integrarle e coordinarle con i princ�pi e le disposizioni della presente legge e con quelli delle altre leggi entrate in vigore successivamente all'emanazione dei suddetti decreti e fino al 30 novembre 1979 �; che le modifiche entrate in vigore successivamente all'emanazione dei suddetti decreti sono quelle che hanno introdotto il sistema dell'autoliquidazione delle imposte sul reddito mediante versamento diretto {I. 2 di- l'art. 25 della legge n. 1 del 1956 ha consentito soltanto ai soggetti tassabili in base al bilancio, la compensazione degli utili conseguiti in un periodo con la (event�ale) perdita fiscale di esercizi precedenti; la disposizione � passata nel testo U!Ilico imposte diret�te del 1958 (come art. 112 di questo), ed � poi stata confermata nell'art. 17 del d.P.R. n. 598 del 1973 sull'IRPEG e nell'art. 102 del T.U.I.R. �approvato con d.P.R. n. 917 del 1986 (articoli -questi ultimi due intitolati, con mmor esattezza ma conformemente ad espressione di ge.rgo, � riporto delle perdite �). In sostanza, queste disposizioDli hanno previsto soltanto una ragione impeditiva dell'imposizione, ragione che -!in quanto estranea al periodo d'imposta in cui � utiliz21ata -risulta aggiuntiva e, per cos� dire, � fuori bilancio�; tant'� che .il contribuente ha (la facolt� e) l'onere di rich!iedere la compensazione in questione, dopo la � chiusura � contabile (in utile) della dichiarazione del periodo d'imposta e con una sorta di � postilla�. Le disposizioni memionate si son ben guardate dall'eliminare la separazione dei divers!i periodi d'imposta e dei relativi rapporti tributairi; e si sono ben guardate dal configurare la perdita di esercizi precedentJi alla stregua di un componente negativo del reddito dell'esercizio per il quale � utilizzata. Ci� � confermato anche testualmente sia dall'art. 25 citato (e dal conseguente art 112) ove si parla di � comp�nsazione degli utili �, ossia di un fatto impeditivo che Timane � a valle� della determinazione conclusiva degli utili, 'sia dall'attuale art. 17 citato ove si dice, per esprimere lo stesso concetto, � in diminuzione del reddito complessivo impon! ibile �, _cos� chiaramente puntualizzando che prima deve essere determinato questo '�reddito complessivo imponibile� e poi pu� essere utilizzata la perdita �di esercizio precedente. In altre parole, tale perdita non entra nel bilancio e nella dichiarazione dei redditi del periodo in cui � utilizzata, ma solo influisce dall'esterno sulla liquidazione del credito tiriibutario: al punto che taluno sostiene essere possibile invocare la compensazione fiscale di che trattasi persino 1n un momento successivo alla presentazione della dichiarazione (ad esempio, una societ� dopo aver presentato dich!iairazione per il 1980 in perdita, il che le ha impedito di utHi~are la perdita fiscale del 1979 e del 1978, ne chiede l'utilizzazione dopo che � stata raggiunta da una rettifica che ha evidenziato un utile). Ci� del resto corrisponde alla Lr�ppresentazione contabile (nei bilanci civiilistici) del fenomeno perdita dell'esercizio; tale peridita figura nel conto profitti e perdHe del periodo in cui si verifica, ma deve essere o assorbita da riserve disponibili o appostata nella � situazione patrimoniale � del bilancio di detto periodo e dei bilanci dei periodi successivi (come � perclite pregresse�). Le " perdite pregresse � sono una sorta di .� anti-riserva �, che rpu� essere riassorbita in periodi successivi (anche mediante versamenti dei soci) ma che non torner� mai p!i� nel conto profitti e perdite di un esercizio success�vo. Per RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO cembre 1975, n. 576, art. 17, per l'irpef; d.1. 23 dicembre 1977 n. 936, conv. in 1. 23 febbraio 1978 n. 38, art. 2, per l'ilor) nonch� il versamento d'acconto (1. 23 marzo 1977 n. ~7); modifiche che, da un lato, hanno avvicinato nel tempo la produzione del reddito a!lla riscossione dell'imposta e, dall'altro lato, hanno confinato la riscossione mediante ruoli ad ipotesi marginali, tra cui quella di somme dovute e non versate dal contribuente: ipotesi la cui ricorrenza, per le necessarie maggiori indagini da parte degli uffici, giustifica la IJ?rotrazione del termine di cui all'art. 17 d.P.R. n. 602 del 1973; inciso, si osserva che sarebbe illecito �compenso di partite� utilizzare le � pe:t'dite ptegresse � per r�idurre surrettiziamente \I'iserve. Quindi, nell'esercizio successivo in cuii viene operata la compensazione fiscale utili-percli<te, le �perdite pregresse � (se non gi� riassorbite civilisticamente) sono ancora nelila �.situazione patrimoniale� e non in quel conto profitti e perdite che l'art. 52 del d.P.R. 29 'settembre 1973 n. 597 ha voluto porre -con enfasi eccessiva e malgrado naturaliter attenga alla materia dell'accertamento e non al:la disciplina sostanziiale delle imposte sul reddito al centro della determinazione del reddito di impresa. La facolt� di invocare la compensazione di che trattasi � dunque un11 sorta di ((diritto f.iscale)) a s� stante ed esterno al periodo in cui venne ut11izzato; ci� trova conferma peI'sino in quell'art. 16, terzo comma, dello stesso d.P.R. n. 598 del 1973, che -essendo stato utilizzato per illegittimamente duplicare H beneficio del riporto delle perdite (queste gi� incidendo in sede di deterrriinazione del patrimonio netto) -ha dato luogo a tanti inconvenienti ed abusi da \Tendere pmprio inevitabile dapprima l'aggiunta di un comma (legge 8 agosto 1986 n. 487), non felicemente rim�filrpoiato nell'art. 123 comma 5 del T.U.I.R. citato, e poi un nuovo intervento del Parlamento (art. 7 comma 7 della legge 11 marzo 1988 n. 67; i::fr. anche l'art. 6 comma 2 del d.l. 29 dicembre 1987 n. 533 e l'art. 4 comma 2 del d.l. 13 gennaio 1988 n. 3, decreti legge entrambi non convertiti). Del tutto erroneo � quindi -e lo si sottolinea con vigore -lo slogan talvolta usato da operatori pr.ivati secondo cui fa perdita di esercizi �precedenti sarebbe �reddito negativo�. Lo slogan tende a creare un accostamento ingannevole, sfruttando una sensazione epidermica. In realt�, fa normativa relativa all'imposizione sui rredditi conosce H :reddiito, ed esso so1tanto considera produttivo dell'effetto giuridico (nascita del credito d'imposta): la dichiarazione dei :redditi � in .perdita� � equiv�alente ad una dichiarazione di reddito zero. La perdita di esercizi precedenti �, come si � detto, fatto impeditivo dell'imposizione per effetto ,~J.ella disposizione speciale di cuii si � detto -e nei limiti in cui essa (disposizione) opera -,. e non fatto che fa venir meno iil reddito o ch� comunque � posto sullo stesso piano concettuale del reddito. Del resto, la disposizione -come si � detto intimamente derogatDII'ia che ha attribuito la facolt� cii invocare la compensazione in questione conosce, nella legislazione successiva alla riforma del 1971-73, almeno tre 1irnitazioni (oss.ia deroghe alla deroga), e precisamente: a) quella prevista dall'art. 28, secondo . comma, deJJla legge 2 �dicembre 1975, n. 576, connessa al mutamento della disciplina (percentuale di deducibi� lit�) in tema di interessi passivi; b) quella prevista dall'art. 1, terzo comma, del d.P.R. 23, dicembre 1975, n. "683, ccxnseguente a nuove norme lin tema di ac�antonamento per rischi su crediti; e !'i; PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 19 che, escluso ogni irrazionale prolungamento dell'intervallo tra produzione del reddito ed esazione dell'imposta mediante ruoli, non reggono neppure i rilievi della Commissione di Cosenza, stante che il prolungamento del termine � giustificato dalla� detta complessit� degli accertamenti. II (omis~is) considerato che il denunziato ec�esso di delega non sussiste in quanto l'art. 4 punto 2 della legge 9 ottobre 1971 n. 825 prevede � l'appli e) quella prevista dalle recenti menzionate disposizioni in relazione alle fusioni di societ�. Ora, se la perdita di esercizi precedenti fosse -a livello concettuale e potrebbe dirsi filosofico -un � reddito negativo � od una sorta di costo, queste limitazioni (in deroga alla deroga) sarebbero asistematiche ed innaturali: il che non � affatto. In realt�, dovrebbe farsi un discorso di segno opposto: il � riporto delle perdite � � -si perdoni l'immagine -un vagone che pu� trasportare Je merci pi� svariate. Se si volesse essere precisi, o�correrebbe andare a riesaminare, in ciascuno dei bilanci e nelle dichiarazioni degli � esercizi precedenti �, quali componenti negativi hanno concorso a formare la perdita e come sono stati calcolati gli insufficieruti componenti positivi: se ci� si ~ facesse, si vedrebbe che taluni parametri fondamentali (inerenza dei costi ed oneri, percentuali di deducibilit�, etc.). divengono pressoch� ingestibili, e che sovente la perdita dell'esercizio non � prodotta dallo sfortunato andamento delle attivit� produtit<ive di beni e/o servizi. In Italia troppe societ� (tra il 40 % ed il 50 %) figurano in pe:ridita, perch� possa seriamente escludersi che molte di queste perdite di esercizio siano creature fittizie (la cui generazione � del resto non ardrua). Ed invero Je perdite (sia dehl'eseroizio che pregcresse) non sempre esprimono perdite effettive, danaro realmente disperso; anzi, non pare azzardato dire che molto spesso le perdite esprimono soltanto un risultato contabile formale. Tale risultato di perdita � determinato: -sia dalla normatdva tributaria � a regiime � semp:rie pi� arr.icchit�a, per la costante pressione dei cetd imprenditdrdali sul Legislatore, di �poste � detraibili che non esprimono affatto un effettivo malessere dei conti economici ma, ad esempio, una licenza dd accumulare reddito �non-tassato � o addirittura una semplice illusione C001tabile (quali le ciddette �perdite dd fusione� recentemente canonizzate); -sia dalla periodica e non infrequente apparizione di leggi di agevolazione tributaria motivate da qualche situazione congiunturale (e magari poi prorogate malgrado il -mutare della situazione e� senza ulteriore �copertura finanziaria �). Si � an.data sviluppando con gli anni (e specialmente negli ultimi venti anni) una sorta di �cultura� -nel duplice significato di meditata conoscenza e di ricercata coltivazione -deHa valorizzazione delle perdite, riguardate come possibile strumento di pratica �detassazione�, A�l punto che qualche mese fa (Il Sole -24 Ore dell'8 ottobre 1987) � stato stimato, forse esagerando, essere latenti, nel sistema delle imprese, perdite � riportabili � e �omunque utilizzabili per alcune decine di miliardi di lire, un volume di perdite tale da rendere rton realistica la speranza di ottenere nel 1988 lire 3.000 miliardi di maggior gettito per effetto dell'autorizzazione ad iscrivere �liberamente� (cio� senza 20 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO cazione dell'imposta {ILOR) al reddito complessivo netto determinato ai fini dell'IRPEG�, mentre la perdita di esercizi precedenti va considerata fatto impeditivo deHa imposizione, per effetto delle disposizioni che lo consentono, ma non elemento posto sullo stesso piano di significazione del reddito; limiti �fiscali�) nei bilanci societari le plusvalenze sinora foomatesi e non evidenziate, c�n riduzione al solo 25 % del conseguente maggior iJ:\Wonibile e quindi con � eliminazione � di imponibile per il residuo 75 %. A mo' di esempio (che si preferisce scegliere nella legislazione pi� lontana) di quanto dianzi osservato, pu� segnalarsi fa'l't. 8 del d.l. 30 agosto 1%8, n. 918 convertito con legge 25 ottobre 1%8, n. 1089, e promgato pi� volte fino al 31 dicembre 1973; la desiderata �detassazione� � stata da tale disposiziorre ottenuta proprio mediante la creazione dd artificiose poste passive, le quali hanno mandato in perdita migiiaia di dichiarazioni (con onere per minor gettito sensibilmente superiore all'originat1:ia dichiarata �stima�). Naturaimente, ci� si traduce per gli azionisti in cospicui capital gains, che soltanto un occhio frettoloso pu� ritenere incompatibili con conti reddituali �in rosso �. Rispetto al quadro sin qui tratteggiato nessun utile �argomento � desumibile dall'art. 3, comma diciassettesimo, del d.l. 19 dicembre 1984, n. 853 (conv. con legge 17 febbraio 1985, n. 17) trasfuso nell'art. 8 comma 3 del T.U.I.R. citato, che ha esteso la compensazione o �riporto� di che trattasi anche alle societ� di persone ed agH imprenditori individuali, purch� � a contabilit� ord�� naria �, L'estensione, da anni insistentemente richiesta dagli operatori in nome del principio di eguaglianz� (ma senza considerare che H riporto �delJle perdite opera in modo diverso e molto pi� incisivo nell'ambito dell'IRPEF, poi�h� &i reputa possa dilagare su altri redditi anzich� rimanere -come sarebbe ragionevole -racchiuso nello specifico ambito dell'impresa cui le perdite si riferiscono) non ha alterato la natura delJJ.a perdita di esercizio e la sua rilevanza, come si � detto meramente impeditiva dell'imposizione. A questo punto occorre applicare quanto sin qui detto alla vicenda che ha dato origine alla specifica controversia costituzionale. L'art. 4 punto 2 della legge delega 9 ottobre 1971, n. 825 recita �applicazione dell'imposta (ILOR) al reddito comp1essivo netto determinato ai fini dell'IRPEG � : e -come si � osservato -la determinazione del � reddito complessivo netto � (si noti la legge delega non aggiunge l'aggettivo �imponibile�) � operazione logicamente e giuridicamente diversa ed anteriore rispetto alla compensazione di che trattasi, con conseguente diminuzione dell'i"mponibile in sede di liquidazione dell'imposta. Quindi se il legislatore delegato avesse puramente e semplicemente copiato le parole della legge delega, in esse sarebbe stata gi� compresa quella esdusione della compensazione utili-perdite che � esplicitata nella disposizione oggi sub judice. N� pu� dirsi, per quanto gi� osservato, che ogni qualvolta il legislatore usa la parola �reddito� intende anche perdita di esercizi precedenti; questa non � ǥreddito negativo �, n� sul piano logico (se non altro perch� scavalca i limiti temporali del periodo), n� su quello contabile (perch� le perdite di un esercizio precedente non sono nel conto profitti e perdite del periodo in r.11; sono utilizzate), n� su quello giuridico-tributario (per tutto quanto rilevato nel precedente paragrafo). Del resto l'art. 25 della legge n. 1 del 1956 � stato scritto con riguardo unicamente all'imposta sui redditi mobiliari e non anche con riguardo all'ILOR PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 21 che, quanto alla dedotta violazione dell'art. 53 -assumendosi che � con la mancata deduzione delle perdite verrebbe ridotta la capacit� contributiva � -va osservato che le perdite pregresse, attinenti cio� ad altri esercizi, non riguardano la capacit� contributiva del periodo d'imposta per il quale l'ILOR � applicata; e che non sussiste neppure disarticolazione tale da porre contrasto con l'art. 3, appartenendo al:la discrezionalit� legislativa disporre un riparto compensativo a carattere derogatorio; che, quanto all'art. 2 del d.P.R. 506 del 1979 la censura dedotta sotto il profilo dell'eccesso della delega contenuta nella legge 9 ottobre 1971 n. 825 all'epoca non esistente e, come noto, mirante a sottoporre ad imposizione aggiuntiva l'apporto patrimoniale alla formazione dei redditi. Estendere il riutilizzo della perdita di esercizi precedenti all'ILOR avrebbe signi(icato introdurre UITI beneficio nuovo ed aggiuntivo non previsto dalla legge delega n. 825 �del 1971, e per di IP�� in presenza del gi� rilevato carattere derogatorio (e quindi eccezionale) del test� citato art. 25). D'altro canto la vaga esigenza di �coordinamento �, da taluno addotta, si � rivelata, alla Luce dell'esiperii�nza dei 13 anni trascorsi dall'entrata in vigore dei decreti delegati del 1973, ben poco seria ed impellente. Lo stesso pu� dirsi della esigenza di � semplicit� �, contraddetta semmai non dalfa disposizion� esaminata dalla Corte ma da altre no11me operanti a favore dei contribuenti ~l'esclusione dei redditi prodotti all'estero che comporta problemi anche quanto all'imputazione dei correlati costi ed oneri, e .Ja deduzione dell'onere per ILOR dall'imponibfile IRPEG ancorch� a rparrtire da questo l'imponibile ILOR sia, prima, determinato). Non pare che della semplicit� o meno dell'ILOR possa discutersi in questa sede; tuttavia l'intendimento di sostituire la previgente imposizione anche patrimoniale sulle societ�, con una imposizione (l'attuale ILOR) essa pure commisurata al pi� fuggevole e �pilotabile� reddito (innumerevoli societ� dal grosso patrimonio evidenziano reddito nullo), certamente non ha trovato motivazione in un desiderio di semplicit�. La questione di legittimit� costituzionale � stata prospettata anche con riguardo all'art. 53 Cost. Nell'ordinanza di rimessione si leggeva la seguente asserzione: �con .Ja mancata deduzione delle perdite in questione verrebbe ridotta la capacit� contributiva del ricorrente �. Asserzione pervero poco chiara (o in alternativa assurda): la capacit� contributiva non pu� che essere considerata prima del verificarsi degli effetti di prelievo fiscale prodotti dalla normativa: non pu� quindi assumere rilievo una � riduzione della capacit� contributiva conseguente all'imposizione (altrimenti ogni imposta pregiudiche� rebbe la capacit� contributiva). Comunq.e, la capacit� contributiva del periodo d'imposta per il quale l'ILOR � applicata � espressa dal conto profitti e perdite di quello stesso periodo e non dalle � giacenze � di � perdite pregresse � in quanto tali attinenti ad altiri esercizi. Le � perdite pregresse � esprimono, con riferimento al periodo sottoposto ad ILOR, una. negativit� patriimoniale e non reddituale; ed appare profondamente contraddittorio invocare una negativit� patrimoniale come elemento riduttivo della capacit� contributiva, nel contesto di una imposizione che -quanto a capacit� contributiva -si � voluta ancorata al reddito (ovviamente al reddito � attuale � e non degli anni precedenti). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 22 (art. 10, n. 6) -essendo stato portato da uno a cinque anni il termine per la formazione dei ruoli -si infrange a fronte delle disposizioni concernenti ora il sistema dell'autoliquidazione, con modifiche coordinatrici dell'intera normazione delegata in materia, resa possibile per effetto dell'art. 22 legge 13 aprile 1977, n. 114; (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 21 gennaio 1988, n. 61 (cam. cons.) -Pres. Saja -Rel. Casavola. Contabilit� pubblica � Contratti di diritto privato � Clausole vessatorie o eccess�vamente onerose. (Cost., artt. 3 e 24; cod. civ., artt. 1341 e 1342). Gli artt. 1341 e 1342 cod. civ. sono applicabili anche per i contratti sti� pulati dalla P. A. quando questa utilizza gli 55hemi del diritto privato (1). Ritenuto che con ordinanza emessa il 9 maggio 1980, la Corte d'appello di Roma ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimit� costituzionale degli artt. 1341 e 1342 del codice civile -i quali, nel caso di �testi contrattuali predisposti da una delle parti ovvero contenuti in moduli o formulari, prevedono l'inefficacia delle clausole vessatorie od eccessivamente onerose non specificamente approvate per iscritto dall'altro contraente -ipotizzandone il contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, ove � interpretati nel senso della loro inapplicabilit� ai contratti stipulati dalla pubblica Amministrazione �; (omissis) Considerato che, nell'esegesi delle norme impugnate, la giurisprudenza della Corte regolatrice (superando il proprio iniziale contrafio indirizzo) si � da tempo orientata nel ritenerne viceversa l'applicabilit� � anche con riguardo ai contratti stipulati dalla P.A. '"in quanto, per principio, soggetta alle norme del codice civile �quando utilizza gli schemi del diritto privato facendo ,uso della sua carpacit� pdvatistica che ha in comune con qualsiasi altro soggetto � (cos�, per tutte, Cass. 1984, n. 4832); che, pertanto, le suddette disposizioni gi� vivono neWordinamento. con l'identico contenuto e portata che si vorrebbe raggiungere per via di reduc tio ad legitimitatem, sicch� la questione proposta � manifestamente infon data. (1) L'ordinanza plus dixit quam voluit; occorre infatti tener distinto il caso in oui clausole reputabili eccessivamente onerose sono contenute da capitolati generali aventi natura regolamentare. Nella specie, la controversia ha riguardato diverso caso. PARTE I, SEZ. I, GIURiSPRUDENZA COSTITUZIONALE 23. CORTE COSTITUZIONALE, 26 gennaio 1988; n. 79 -Pres. Saja -Rel. Greco -Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Laporta) e Regione Umbria (avv. Gobbi). Regione -Elezioni politiche -Agevolazione a favore degli elettori emigrati all'estero -Attribuzione dello Stato. Considerata anche la necessit� di assicurare una assoluta parit� di trattamento degli elettori, spetta asclusivamente allo Stato la competenza a disciplinare l'elettorato politico attivo, ed � escluso che una regione possa, sia pure in via integrativa, modificare la condizioni di svolgimento delle elezioni politiche: La legge impugnata enuncia programmaticamente, all'art. l, la finalit� di agevolare a favore dei cittadini emigrati all'estero l'esercizio del dirittodovere di cui all'art. 48 Cost., sino al momento in cui non verranno disposte dallo Stato provvidenze specifiche in tal senso. L'art. 2 consente ai Comuni della Regione di erogare agli emigrati, iscritti in appositi elenchi, la somma di L. 40.000 per la partecipazione alle consultazioni elettorali, politiche, regionali ed amministrativ,e. L'art. 3 individua gli aventi diritto in tutti i votanti residenti all'estero. L'art. 4 definisce, infine, il meccanismo di rimborso agli enti locali eroganti da parte della Giunta regionale. � Il Presidente del Consiglio dei ministri ha prospettato la violazione dell'art. 117 Cost. per l'interferenza in una sfera riservata alla competen?'.a statale quale � la disciplina dell'eserci~io del diritto al voto, lamentando altres� che l'intervento regionale abbia determinato una disparit� di trattamento tra gli elettori umbri e quelli delle altre regioni. La difesa deHa Regione si fonda essenzialmente sull'assunto per cui la legge in argomento .rientrerebbe �nella materia -di sicura competenza region�le -dell'assistenza e della beneficenza. La questione � fondata. La Corte, con la sentenza n. 39 del 1973, ha gi� avuto occasione di affermare come soltanto lo Stato sia legittimato a provvedere in materia di disciplina delle forme e dei limiti dell'esercizio dell'elettorato �politico attivo. Va qui ribadito il principio secondo il quale deve essere assicurata un'assoluta parit� di trattamento dei�cittadini allorcq� essi esprimono il voto in ragione deHa delicatezza ed importanza di tale momento di eserc cizio della sovranit� popolare. � conseguentemente escluso che la Regione possa, anche in via integrativa e sia pure con un intervento � in melius �, modificare le co!ldizioni di svolgimento delle consultazioni politiche, come appunto si verifica in concreto attraverso le provvidenze stabilite dalla legge impugnata. La ratio di quest'ultima � del resto resa esplicita testualmente, mentre la totale mancanza di un titolo di individuazione dei beneficiari div�erso dalla qualit� di emigranti-elettori, non consente di inserire RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 24 la legge nella materia dell'assistenza e della beneficenza, sia pure nella pi� ampia accezione conferita a tale espressione dall'art. 22 d.P.R. 24 luglio 1977; n. 616. Limitatamente all'ipotesi di elezioni politiche va quindi affermato il contrasto della legge impugnata con gli artt. 117 e 3 Cost. I CORTE COSTITUZIONALE, 2 febbraio 1988, n. 126 -Pres. Saja -Rel. Cheli s.p.A. Montedison (avv. F. Salvucci) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Cosentino). Espropriazione per pubblica utilit� � Immobile adibito ad attivit� com merciale o artigiana -Perdita dell'avviamento del con"uttore -Com� penso. (Cast., artt. 3 e 42; I. 27 gennaio 1963 n. 19, art. 6). Il diritto del conduttore al compenso per la ,perdita dell'avviamento cagionata da espropriazione per p.u. di immobile adibito ad attivit� commerciale o artigiana non determina una decurtazione della indennit� spettante al proprietario e pu� essere soddisfatto se e nella misura in cui il valore di avviamento pu� esser calcolato come posta aggiuntiva dell'indennit� di espropriazione (1). II CORTE COSTITUZIONALE, 14 aprile 1988 n. 437, -Pres. Saja -Rel. Dell'Andro -De Nitto ('n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri. Locazione . Affitto di terreni agricoli � Risoluzione incolpevole � Indennizzo al conduttore. (Cast., art. 44; legge 23 maggio 1950 n. 253, art. 11). Contrasta con l'art. 44 Cast. l'art. 11, primo comma, della legge 23 maggio 1950, n. 253, limitatamente alla parte in cui non prevede la corre (1-3) Nella sentenza n. 126 la Corte accenna ad un possibile dubbio di costituzionalit� del pi� favorevole trattamento riconosciuto dalla legge al col� tivatore esercente attivit� agricola (coltivatore �diretto, affittuario, etc.) ll'ispetto al conduttore esercente at1Jivit� commerciale o artigiana, e chiude la motiva zione con le parole � (non) possono formare oggetto di sindacato in questa sede'>> (parola che forse sta per �occasione�). La sentenza n. 530 sembra dare avvio (e� si consenta di aggiungere, final mente) ad una meditazione sulla natura e sui limiti dell'indennit� aggiuntiva spettante ail coltivatore non proprietario e deHa paraHela (ma con diversi presup PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 25 sponsione al conduttore d'un equo indennizzo da parte del locatore che ottenga il rilascio dell'intero fondo locato per costruirvi case d'abitazione (2). III CORTE COSTITUZIONALE, 12 maggio 1988, n. 530 -Pres. Saja -Rel. Gallo Provincia di Bolzano (avv. M. Barbato e S. Panunzio). Espropriazione per pubblica utilit� � Terreni agricoli senza attitudine edificatoria � Indennit� di espropriazione � Parametri fissati da com missione amministrativa"� Non sono vincolanti per il giudice. (Cost., artt. 24 e 42; I. prov. Bolzano 20 agost7i 1972, n. 15, art. 12, come sostituito). Espropriazione per pubblica utilit� � Terreni agricoli con attitudine -edifi� catoria � Indennit� aggiuntiva � ~ commisurata al valore agricolo e va detratta da quanto spettante al proprietario. (Cost., art. 42; I. prov. Bolzano 20 agosto 1972 n. 15, art. 13 come sostituito). Contrasta con gli artt. 24 e 42 Cast. la disposizione legislativa che attribuisca valore vincolante anche per il giudice ai parametri valutativi predisposti da commissione amministrativa per la determinazione dell'indennit� di espropriazione dei terreni agricoli (siti nella provincia di Bolzano). Il valore venale di un terreno su cui insiste una azienda agricola deve comprendere il valore di questa. L'indennit� aggiuntiva spettante al coltivatore non proprietario deve essere commisurata al valore agricolo del terreno e deve essere detratta da quanto spettante al proprietario sulla base del predetto valore venale (3). postd � maggioraziOlle � spettante al coltivatore diretto. V.a peraltro osservato che 1a sentenza non menmona gli artt. 43 e 50 della legge 3 maggfo 1982, n. 203 sui contratti agrari, artko1i che contengono disposizioni poco o nulla coerenti (malgrado il �1restaillo ferme... � di cui all'ultimo comma del citato art. 50) con l'art. 17 della 1egge 22 ottobre 1971, n. 865 e con le simdlari (e talvolta ancor pi� � generose �) disposi21ion:i reg.ionali. Ancorch� l'indennit� aggiuntiva sia autonoma rispetto a quella c.d. principale spettante a:l proprietario (e ci� formalmente la differenzia dal diritto del conduttore considerato ne.lilla seintenza !Il. 126), appare palese che dall'accostamento delle due sentenze in rassegna emerga una tendenza della Corte a dar rilievo all'unitariet� del bene sottoposto ad espropriazione e quindi anche al � costo � complessivo per l'espropriante dell'insieme degli indennizzi. Di grande importanza � fin 4'ora quanto affermato -sia pure con riguardo ad una disposizione di legge provinciale -nella sentenza n. 530: 1a detrazione dell'indennit� aggiU!lltiva del valore venale assunto a base per la determinazione dell'indennit� di espropdamone CO!lldruce oinev�itabilmente al1a fissazione di un � tetto � insuperabile, corrispondein:te al valore venale del bene, del predetto � costo � complessivo per l'espropri<lJnte. 26 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 1 Nel corso di un procedimento cjvile promosso dalla S.n.c. Autorimessa Titanus -conduttrice da trent'anni di un immobile sito in Milano ed adibito ad autorimessa -contro la S.p.A. Montedison -proprietaria espropriata dell'immobile stesso -nonch� contro il Comune di Milano ~ ente espropriante -al fine di ottenere il riconoscimento del diritto all'indennizzo previsto dagli artt. 4 e 6 della legge 27 gennaio 1963 n. 19 per la perdita dell'avviamento conseguente ad esproprio ed alla cessazione dell'attivit� aziendale, il Tribunale di Milano, con ordinanza emessa il 22 novembre 1979~ ha sollevato questione di legittimit� costituzionale dell'art. 6 della citata legge n. 19 con riferimento agli artt. 42, terzo comma, e 3 Cost. � Secondo il giudice a quo la norma denunciata pu� essere interpretata solo nel senso che, in caso di esproprio, il diritto del conduttore al compenso per la perdita dell'avviamento debba essere fatto valore sull'indennit� corrisposta all'espropriato, anche se a costui non� derivi alcuna _utilit� dall'avviamento stesso per effetto dell'intervenuta espropriazione. (omissis) La legge 27 gennaio 1963 n. 19, in tema di tutela giuridica dell'avviamento commerciale, stabiliva all'art. 4 -prima delle . innovazion� intro . dotte in materia dagli artt. 34 e 35 della 1. 27 luglio 1978 n. 392 -il diritto del conduttore uscente, in tutti i casi di cessazione del rapporto di locazione relativo agli immobili adibiti all'esercizio di una attivit� commerciale ed artigiana, (e salve le eccezioni dell'inadempienza dello stesso conduttore o della prelazione da lui esercitata), �di essere compensato dal locatore per la perdita dell'avviamento che l'azienda subisca in conseguenza di tale cessazione nella misura dell'utilit� che ne pu� derivare al locatore, e comunque nel limite massimo di trenta, mensilit� del canone di affitto che l'immobile pu� rendere secondo i prezzi correnti di mercato per i locali aventi le stesse caratteristic;he �, Tale disciplina � stata completata, con riferimento all'ipotesi dell'espropriazione per pubblica utilit�, dall'art. 6, primo comma, della stessa legge, dove si conferisce al conduttore dell'immobile sottoposto ad espropriazione il potere .di avvalersi delle norme di cui agli artt. 27 e 54 della 1. 25 giugno 1865 n. 2359 (cio� il potere di opporsi all'indennit� ritenuta insufficiente)' al fine di �fare valere il diritto al compenso spettantegli in virt� del precedente art. 4 �, con l'ulteriore precisazione, indicata dal secondo comma, secondo cui � sull'indennit� di esproprio il diritto del conduttore al compenso di cui all'art. 4 viene soddisfatto nei limiti e secondo i criteri stabiliti dallo stesso articolo �. Il combinato disposto delle norme. richiamate rende palese come il compenso� che h conduttore, ai sensi dell'art. 6 della legge n. 19/1963, pu� rivendicare nei confronti del locatore sull'indennit� di esproprio, in conseguenza della perdita del proprio avviamento, non spetti -contra PARTE I; SEZ.. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE riamente a quanto assume l'ordinanza di rimessione -in ogni caso, ma solo nell'ipotesi in cui dalla perdita dell'avviamento del conduttore possa derivare un'utilit� per il locatore ed entro i limiti di essa. Utilit� del locatore che, nel caso di procedimento espropriativo dallo stesso subito, non potr� realizzarsi altro che attraverso un eventuale incremento dell'indennit� di espropriazione da liquidare ai sensi dell'art. 39 I. 25 giugno 1865 n. 2359. Sqltanto in questa ottica pu� avere, infatti, senso l'ipotesi -prevista dalla stessa norma impugnata -dell'oppofizione all'�ndennit� da parte del conduttore per insufficiente determinazione del quantum, opposizione che lo stesso conduttore potr� ragionevolmente spiegare solo con riferimento al valore di avviamento, dal momento che questo � l'unico valore, connesso al bene espropriato, nei cui confronti il conduttore sia legittimato a es_ercitare una propria pretesa. La corretta lettura della norma impugnata esclude, pertanto, la possibilit� di una decurtazione, a favore del conduttore, dell'indennit� di esproprio spettante al locatore in relazione al valore del bene espropriato considerato nella sua consistenza materiale: di contro, il diritto al compenso previsto per il conduttore dalla norma impugnata potr� essere soddisfatto soltanto se e nella misura in cui il valore di avviamento possa essere calcolato come posta aggiuntiva dell'indennit� di esproprio. Risulta, di conseguenza, priva di fondamento la censura prospettata con riferimento all'art. 42, terzo comma, Cost. Ma neppure la censura avanzata con riferimento all'art. 3 Cost. pu� essere accolta. La norma (art. 17 I. 22 ottobre 1971 n. 865) che viene invocata come parametro di riferimento al fine di affermare, nella specie, la lesione del principio di eguaglianza ha delineato, nella complessa tipologia dei procedimenti espropriativi, una disciplina speciale, la �ui adozione pu� essere giustificata tanto in relazione ai suoi presupposti oggettivi (natura agricola dei beni espropriati) che soggettivi (categorie e interessi protetti, riferiti tutti alla conduzione� dei terreni agrari); n� le ragioni politiche di tale scelta, che il legislatore ha inteso differenziare rispetto ad altre categorie di beni suscettibili di espropriazione, possono formare oggetto di sindacato in questa sede. II (omissis) L'ordinanza emessa dalla Corte di Cassazione il 3 giugno 1983 -ritenuta inapplicabile la sopravvenuta legge 3 maggio 1982, n. 203, essendo gi� intervenuta, nella specie, una sentenza esecutiva ex lege --:: solleva questione di legittimit� costituzionale dell'art. 11 della legge 23 mag gio 1950, n. 253, nella parte in ci.ii f!-On prevede un equo indennizzo in favore dell'affittuario di fondo rustico nell'ipotesi di cessazione della pro RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 28 roga legale del contratto d'affitto determinata dall'esigenza del concedente di costruire sul terreno un edificio d'abitazione. La sollevata questione va dichiarata fondata limitatamente all'ipotesi, sottoposta all'esame del giudice remittente, nella quale � stato chiesto, intendendo il proprietario costruire sul fondo �edifici di abitazione�, il rilascio dell'intero fonda. Il primo comma dell'art. 11 della legge 23 maggio 1950, n. 253 prevede espressamente un'ipotesi d'esenzione �parziale� dalle proroghe e vincoli previsti dalle leggi sui contratti agrari. Il citato comma, infatti, recita: � Sono esenti �dalle proroghe e vincoli previsti dalle leggi sui contratti agrari i terreni ... sui quali il proprietario intenda costruire edifici di abitazione, limitatamente ad un'area pari al doppio di quella che dovr� occupare il fabbricato �. E se si considera esclusivamente la fattispecie tipica di esenzione � parziale � dalle proroghe legali d'un determinato fondo sul quale il proprietario intenda costruire edifici d'abitazione, non � ravvisabile contrasto, censurabile in questa sede, con l'art. 44 Cost. N� � da ritenere la predetta fattispecie analoga a quella esaminata dalla sentenza di questa Corte n. 107 del 1974, sotto il profilo della quantit� del sacrificio imposto al concessionario. Per vero, qualche dubbio di legittimit� sorge anche per l'ipotesi tipicamente prevista dal primo comma della norma impugnata: � ben vero, infatti, che quest'ultima prevede l'esenzione dalla proroga legale soltanto per parte del fondo, lasciando intatto il diritto del concessionario pe<r la rimanente; ma nelle ipotesi in cui, in concreto, il doppio dell'area che dovr� occupare �il fabbricato� s'estenda fino a ridurre la parte del fondo lasciato al concessionario ad un'entit� insignificante e" tale da sostanzialmente impedire al medesimo il raggiungimento dei fini contrattuali, la continuazione della titolarit� formale del diritto del concessionario su di una � parte � del fondo non varrebbe ad impedire la sostanziale vanificazione del diritto stesso. Tuttavia, da un canto, non � in questa sede censurabile la discrezionale scelta del legislatore, che ha ritenuto preminente l'interesse del proprietario a costruire sul fondo � edifici d'abitazione � rispetto all'interesse del conces sionario a continuare a beneficiare della proroga legale suH'intero fondo (e tale scelta non � manifestamente irrazionale, tenuto conto del valore assunto nei tempi attuali dall'esigenza di costruzioni adibibili ad abitazione) e d'altro conto spetter� al giudice di merito stabilire se, in concreto, il richie sto rilas.cio di gran parte o della massima, quasi integrale, parte del fondo costituisca ipotesi da ritenersi analoga a quella del chiesto rilascio dell'in tero fondo, ipotesi che si va a dichiarare costituzionalmente illegittima. Ed infatti, il primo comma dell'articolo impugnato, come il giudice �a quo� esattamente �rileva (dichiarando la rilevanza, nella specie al suo esame, dell'ora citato comma) pu� esser invocato anche nell'ipotesi di PARm I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE richiesta da parte del proprietario di rilascio dell'intero fondo. Ed � da tener presente che, appunto, in prima ed in seconda sede, nel procedimento �a quo�, � stato richiesto il rilascio dell'intero fondo e che le sentenze di primo e secondo grado hanno pronunciato il rilascio dell'intero fondo. Ed in questa ipotesi il primo comma dell'art. 11 della legge 23 maggio 1950, n. 253 � violativo dell'art. 44 Cost., che espressamente prevede la possibilit� che la legge imponga obblighi e vincoli alla propriet� terriera privata anche al fine di stabilire � equi rapporti sociali �. Ed equo contemperamento so. ciale di opposti interessi � appunto quello che, mentre consente al proprietario la facolt� di richiedere il rilascio, dell'intero fondo, al fine di costruirvi �edifici d'abitazione� riconosce al conduttore nei casi di totale risoluzione incolpevole del contratto agrario, tenuto conto del danno che indubbiamente tale risoluzione arreca, e senza sua colpa, al conduttore, un equo indennizzo. Non pu� dirsi, invero, in armonia con la direttiva costituzionale, conte nuta nell'art. 44 Cost., la totale cessazione del rapporto agrario prorogato ex art. 11 della legge 253 del 1950 senza adeguata valutazione della contrap posta posizione del conduttore. Se � vero che non -� censurabile, in questa sede, la scelta legislativa che privilegia l'interesse del proprietario e della collettivit� alla costruzione di case d'abitazione sull'interesse del conduttore a)la continuazione del rapporto agrario, integralmente considerato, � altres� vero che tale scelta non pu� non tener conto del sacrificio che il conduttore viene a subire e non prevedere il pagamento, a quest'ultimo, da parte del proprietario, d'un equo indennizzo: diversamente viene violata la precitata direttiva costituzionale di cui all'art. 44 Cost. Esattamente il giudice � a quo � richiama la sentenza di questa Corte n. 107 del 1974 al fine di rilevare l'estensibilit� al caso sottoposto al suo esame della disciplina della fattispecie sulla quale _si � pronunciata l'ora indicata sentenza. Intanto, in ehtrambi i casi si tratta di �totale rilascio del fondo�: ma, di pi�, bench� l'ipotesi all'esame del giudice � a quo � at� tenga al rilascio del fondo, da parte del conduttore, per la costruzione, ad opera del proprietario, di case d'abitazione mentre quella decisa dalla precitata sentenza riguardava l'abbandono del fondo, da parte del conduttore, per radicali trasformazioni agrarie, nell'una e nell'altra ipotesi vi � un conflitto tra capitale e lavoro che richiede un armonico bilanciamento al fine d'assicurare equi rapporti sociali. Ed � stata, appunto, questa Corte che, con la sentenza n. 30 del 1977, nel rigettare l'istanza tesp. a far riconoscere come dovuto un indennizzo nell'ipotesi di cessazione della proroga agraria in relazione al dichiarato proposito del concedente di coltivare direttamente il fondo, ha tenuto a differenziare quest'ultima ipotesi (in cui si contrappongono interessi omogenei, entrambi diretti all'esplicazione di un'attivit� lavorativa sul fondo) da quella esaminata dalla sentenza n. 107 del 1974, che riguarda, invece, una contrapposizione tra capit_ale e lavoro (che va armonicamente bilan 30 RASSEGNA PELL'AVVOCATURA DELLO STATO ciata al fine d'assicurare equi rapporti sociali) e che � certamente simile a quella oggi all'esame del giudice �a quo'" Va, infine, sottolineato che l'evoluzione legislativa in .materia, e soprattutto la riforma dei contratti agrari introdotta con la legge 3 maggio 1982, n. 203 (che ha sancito l'attribuzione d'un indennizzo al conduttore in tutti i casi di risoluzione incolpevole de� contratto agrario e, nell'ipotesi di destinazione edilizia del fondo, in conformit� degli strumenti urbanistici, ha anche previsto altre provvidenze a favore del conduttore) ulteriormente con' fortano nel riconoscere parzialmente viziato da illegittimit� costituzionale il primo comma dell'art. 11 della legge 23 maggio 1950, n. 253. III I ~ Le tre ordinanze della Corte di Cassazione sollevano la stessa questione, avente per oggetto l'art. 12, primo comma, secondo periodo, della legge i ! della Provincia di Bolzano 20 agosto, n. 15 riferita agli stessi parametri co stituzionali. I La questione sollevata dalle predette ordinanze � fondata. In esse si J ricorda, infatti, che, con giurisprudenza costante .e ormai consolidata, la ~: Corte di Cassazione ha sempre attribuito valore vincolante, anche per il giudice, ai parametri valutativi (cosidette �tabelle�), predisposti semestralmente dalla Commissione provinciale ai fini della determinazione dell'in I I f: dennit� di espropriazione dei fondi situati nella Provincia di Bolzano. Ebbene, se cos� �, non pu� non riconoscersi -come le ordinanze prospettano -che da quel carattere vincolante pu� effettiva.mente derivare pregiudizio ai principi di cui agli art.li 24 e 42 Cost. Il giudice, infatti, se costretto a non discostarsi dai parametri fissati dall'organo della pubblica amministrazione, ove questi non corrispondano a quel concetto di �serio ristoro� elaborato dalla_giurisprudenza di questa Corte, sarebbe impossibilitato a ripristinare la legittimit� di quei valori, lasciando cos� senza riparo l'offesa al principio di cui al terzo comma del l'art: 42 Cost. D'altra parte, anche il diritto di difesa resterebbe compromesso da sif fatta situazione, in quanto il cittadino sarebbe ammesso solo parzialmente a tutelare in giudizio il proprio diritto sostanziale, e cio� soltanto nei ~imiti in �cui i parametri stessi siano stati male applicati alla specie. Ma un tale limite non � nell'art. 24 Cost., ed � anzi espressamente escluso dall'art. 113 Cost. Del resto, la stessa Provincia di Bolzano ha riconosciuto nelle sue scrit ture la disapplicabilit�, da parte del giudice ordinario, delle tabelle elaborate dalla Commissione. N� Ji>U� interferire su tale giudizio la sentenza di questa Corte 13 luglio i984 n. 231, sopravvenuta alle ordinanze de quib�s, in quanto I ! I I I ____,_I PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE la pronunziata declaratoria d'illegittimit� costituzionale dell'art. 12, primo comma, oggetto dell'attuale impugnazione, si riferiva esclusivamente come chiaramente appare dal dispositivo -� al regime dell'indennit� d'e sproprio pr!visto per le aree comprese nel centro edificato, o altrimenti provviste...dell'attitudine edificatoria �, ampliando principi peraltro gi� enunciati nella sentenza di questa Corte 30 gennaio 1980, n. 5 che alla rimet tente era ben nota. Nella specie, infatti, le ordinanze di rimessione si riferiscono, invece, a terreni agricoli senza attitudine edificatoria: � proprio per questo la questione � stata sollevata, nonostante i principi affermati dalla sentenza di questa Corte per ultimo citata. Semmai deve dirsi che non � ben chiaro perch� mai l'impugnazione sia riferita al secondo periodo del primo comma dell'art. 12, se per secondo periodo s'intende ci� che segue alla punteggiatura (punto) che conclude il primo periodo. Proprio il secondo periodo, infatti, � quello particolarmente colpito dalla sent. n. 231 del 1984. Forse pi� che al periodo ci si voleva riferire all'inciso, sta di fatto che tutta la motivazione � intesa a rimuovere il valore vincolante delle tabelle, per l'esprnpriazione di area quale terreno agricolo, e non sembra potersi dubitar� che il disposto normativo che le concerne � quello che fa riferimento al �giudizio dell'ufficio tecnico provinciale �, contenuto nel primo periodo. In tal senso, perci�, deve intendersi rettificato l'evidente errore materiale, tenuto conto del preciso indirizzo della non equivoca motivazione dell~ ordinanze. Ben diversa, invece, � la questione sollevata dalla Corte d'Appello di Trento in ordine al successivo art. 13 della stessa legge provinciale di Bolzano, in riferimento agli art.li 3 e 42 Cost. Quella Corte era chiamata a decidere l'indennit� da corrispondere, sia ai proprietari che agli affittuari, per l'esproprio di un'azienda agricola, sita in zona destinata all'edilizia abitativa agevolata del Comune di S. Candido. La Corte d'Appello ha potuto determinare agevolmente l'indennit� dovuta. ai proprietari perch�, dopo la dichiarata illegittimit� costituzionale degli art.li 12, primo comma, 13, primo comma e 15, terzo comma, della legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972 n. 15 (v. sent. Corte Cost. 13 luglio 1984 n. 231), afferma di aver potuto applicare il regime indennitario previsto dalla legislazione regionale del T.A.A., in virt� della competenza primaria in materia di esproprio ad essa riservata dallo Statuto. La legislazione, regionale, per�, -secondo quanto sostiene la stessa ordinanza -non ha previsto alcuna forma d'indennizzo per fittavolo, colono o mezzadro che, trovandosi a coltivare il fondo, sieno costretti a lasciarlo a causa dell'esproprio: salvo .l'ipotesi (che non � della specie) dei miglioramenti, che il proprietario stesso � tenuto ad indennizzare (nei limiti dell'indennizzo a sua volta percepito) a' sensi dell'art. 35 I. reg. 17 maggio 1956 n. 7. RASSEGNA DELL'�WOCATURA DELLO STATO Ne consegue che per l'indennizzo agli affittuari non resterebbe che applicare il secondo comma dell'art. 12 della 1. provinciale di Bolzano impugnata. Senonch�, secondo i rilievi della Corte d'Appello, il predetto comma calcola l'indennizzo dovuto all'affittuario sulla base cfi' un decimo dell'indennit� di espropriazione (moltiplicata per gli anni di effettiva coltivazione del terreno) dovuta al proprietarfo, a' sensi di quel primo comma dell'art. 12 della legge che la Corte Costituzionale ha, per�, dichiarato illegittimo. Il secondo comma dell'art. 13 sarebbe, pertanto, rimasto privo di un razionale coordinamento con il criterio impostato sul valore effettivo dell'area espropriata, esponendo l'espropriante al rischio di dover pagare un prezzo di gran lunga superiore al valore venale del bene, qualora fosse costretto a liquidare anc;tie al fittavolo un'.indenn1t� pari a quella da cor� rispondere al proprietario di un'area con attitudine edificatoria. E ci� in violazione sia dell'art. 42 Cost., perch� l'indennizzo verrebbe a superare i limiti di �serio ristoro�, sia dell'art. 3, perch� verrebbe a verificarsi un irrazionale divario rispetto all'ipotesi in cui l'area sia coltivata direttamente dal proprietario; e ci� nonostante che la situazione oggettiva dell'area sia sempre la stessa. Ritiene tuttavia la Corte che la questione cos� .proposta trovi gi� soluzione nella ricordata sentenza n. 231 del 1984. Questa decisione, infatti, ancorando le determinazioni del legislatore in materia di indennizzo al dato del reale valore del bene ha coerentemente chiarito, in motivazione ed in dispositivo, che la dichiarazione di illegittimit� costituzionale degli artt. 12 e 13 della legge provinciale non si riferisce ai criteri in essi contenuti, quando l'area da -espropriare abbia destinazione agricola. In tal modo, nell'ipotesi (che ricorre nella specie) di area a destinazione edificatoria su cui insiste un'azienda agricola, il valore reale su cui commisurare l'indennizzo comprender� la consistenza di quest'ultima. Tale consistenza, stante il permanente vigore dei criteri gi� detti, andr� calco� lata in base ai par�JJmetri di maggiorazione del valore agricolo (idea1mente considerato) contenuti negli artt. 12 e 13, con la conseguenza 'di corrispondere al coltivatore diverso dal proprietario quella parte di indennit� pre� vista dal secondo comma dell'art. 13, in detrazione della maggiorazione stessa. Cos� operando non si lede l'art. 42 della Costituzione, giacch� l'indennizzo, fondato sul valore effettivo dell'area, non supera il serio ristoro previsto dal principio invocato n� si viola il principio di~eguaglianza, posto che la maggiorazione in parola va corrisposta anche nel caso di proprietario coltivatore diretto. Resta, infine, il punto concernente l'imputazione dell'onere di soddisfare il diritto del coltivatore del fondo. Secondo l'ordinanza sarebbe escluso che sul proprietario espropriato possa ricadere queH'onere, perch� porterebbe all'azzeramento del �serio PARTE I, SEZ. I, GiuRISPRUDENZA COSTITUZIONALE 33 ristoro � dominicale, determinando un'ulteriore incompatibilit� costituzionale sia ex art. 3 che ex art. 42 Cost. Ma siffatto rilievo trova evidentemente fondamento nell'opinione del Giudice rimettente, pi� sopra lumeggiata, secondo cui anche all'affittuario dovrebbe spettare un indennizzo in relazione all'attitudine edificatoria del fondo da lui coltivato. Una volta, per�, esclusa quella tesi, e ridotta l'indennit� dell'affittuario al criterio del valore agricolo, quella preoccupazione non ha pi� ragion di essere, e dovr� darsi applicazione al secondo comma dell'art. 13 della legge che prevede la corresponsione dell'indennizzo all'affittuario in detrazione a quello spettante al proprietario. Per tal modo l'espropriante pagher� un solo indennizzo ed ogni dubbio di costituzionalit� rester� escluso. CORTE COSTITUZIONALE, 2 febbraio 1988, n. 139 (cam. cons) -Pres. Saja Rei. Caianello. Corte Costituzionale -Giudizio incidentale di legittimit� costituzionale -Ri� levanza della questione. La � necessaria pregiudizialit� � della questione di legittimit� costituzionale deve� sussistere in concreto e deve emergere dalla motivazione della ordinanza di remissione (1). (omissis) Considerato che la' norma viene impugnata nella parte in cui impone al soggetto che intenda ottenere la restituzione di tributi indebitamente versati la prova documentale che i relativi oneri non sono stati trasferiti su altri soggetti; che tale prova attenendo ad una causa di estinzione dell'obbligazione restitutoria presuppone necessariamente il sorgere di quest'ultima; che dall'ordinanza di rinvio non emerge in alcun modo che la sussistenza di un obbligo di restituzione a carico dell'Amministrazi�ne finanziaria sia stato definitivamente accertato, ma sembra anzi che lo stesso debba ancora costituire oggetto di cognizione, dal momento che l'applicazione della norma impugnata viene dal giudice a quo soltanto ipotizzata; ch� l'incidente di costituzionalit� appare pertanto irrilevante in quanto (1) La Corte ricol'da ai Giudici remittenti che l'incidente di legittimit� costitu2l�onale non pu� essere sollevato se la causa pu� essere decisa prescin� dendo dalla disposizione della cui costituzionalit� si dubita.~ Tale regola parrebbe non subire eoce:i:;ione neppure ne.I caso l'ordine logico delle questioni abbia a suggerire di anteporre la risoluzione dell'incidente di costituzionalit� (ma nel caso esaminato non vi era possibilit� di esaminare questo aspetto). RASSEGNA DELL'l\VVOCATURA DELLQ STATO 34 il carattere di �necessaria pregiudizialit�� della questione di legittimit� rispetto alla decisione del merito, non pu� essere ritenuto in astratto, ma deve invece sussistere in concreto; CORTE COSTITUZIONALE, 11 febbraio 1988, n. 155 -Pres. Saja -Rel. Spagnoli -Bucci ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Mataloni). l Locazione � Edilizia abitativa convenzionata � Canone � Non pu� essere pi� elevato dell'equo canone. (Cost., art. 3; I. 27 luglio 1978 n. 392, art. 26). L'art. 26 primo comma lettera c) della legge 27 luglio 1978 n. 392 � costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non dispone che il canone di locazione degli immobili soggetti alla disciplina dell'edilizia convenzionata non pu� divenire pi� elevato dell'equo canone. � (omissis) L'edilizia convenzionata � stata introdotta nel nostro ordinamento E dal citato art. 35 della 1. n. 865 del 1971, che dispone che i comuni o i consorzi di comuni possono concedere a fini edificatori~ con diritto di superficie 1 o in propriet�, a soggetti pubblici e privati aree inserite nei.piani urbanistici speciali previsti dalla legge 18 aprile 1962, n. 167, ed interamente espropriate dai comuni. Sia la concessione del diritto di superficie che la C: I cessione in propriet� sono accompagnate da una convenzione che deve prevedere, insieme alle caratteristiche costruttive, i criteri per la determinazione e la revisione dei canoni di locazione. La legge 28 gennaio 1977, n. 10 ha ampliato il campo d'azione dell'intervento � convenzionato >>, consentendo che esso possa operare anche su aree esterne a. quelle ricomprese nei piani di zona di .cui alla legge n. 167 del 1962: aree che possono ap� partenere a privati ma possono altres� essere espropriate per la utilizzazione a scopo di costruzione ove rientrino nei programmi pluriennali di attuazione previsti dalla stessa legge (art. 13). Gli artt. 7 e 8 disciplinano il sistema di convenzionamento inteso a favorire interventi di edilizia abitativa: le regioni predispongono convenzioni tipo -cui debbono essere uniformate quelle di comuni -in cui sono indicate le caratteristiche tipologiche e costruttive degli alloggi, sono determinati i prezzi di cessione degli stessi (sulla base del costo delle avee, del costo della costruzione, delle opere di urbanizzazione e delle spese generali) � e i canoni di locazione in percentuale del valore desunto dai prezzi di cessione degli alloggi. Al costruttore che assume gli impegni relativi ai prezzi di vendita e ai canoni di locazione viene consentito di corrispondere un contributo per il rilascio della concessione (previsto dall'art. 3) solo PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE per la parte commisurata agli oneri di urbanizzazione e non anche per quella relativa al costo di costruzione. Ci� premesso, deve innanzitutto escludersi che la differenziazione prospettata dai giudici a quibus sia meramente occasionale e di fatto, e non dipenda invece direttamente -e con incidenza, se non generale, statisticamente significativa -dalla diversit� dei congegni previsti dalle norme in discussione. La differenziazione non appare dovuta tanto ai diversi criteri di determinazione del canone (nell'edilizia convenzionata i canoni vengono stabiliti con l'applicazione di una aliquota sul valore desunto dal prezzo di cessione dell'alloggio, a sua volta determinato sulla base dell'effettivo costo di costruzione, mentre per l'equo canone l'aliquota si applica sul valore locativ_p ricavato sulla base di un costo di costruzione teorico, corretto da vari coefficienti) in quanto, almeno per gli alloggi ultimati dopo il 31 dicembre 1975, o comunque costruiti dopo l'entrata in vigore della legge, l'equo canone viene calcolato su un costo di costruzione prossimo alla realt�, determinato tenendo conto, tra l'altro, proprio dei costi di produzione dell'edilizia convenzionata (art. 22).. La ragione della divaricazione � invece dovuta alla mancata estensione alle locazioni convenzionate del meccanismo di adeguamento dei canoni disposto dall'art. 24 della legge n. 392 del 1978, che prevede un adeguamento annuaie entro il liinite del 75 % delle variazioni dell'indi~e dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e di impiegati. Ha cos� continuato ad operare per le locazioni convenzionate il sistema di aggiornamento previsto dall'art. 8 della _legge n. 10 del 1977, assai pi� sfavorevole per i conduttori in quanto comporta adeguamenti biennali rapportati al cento per cento della variazione dell'indice dei costi di costruzione. A parte la sensibile diversit� della percentuale delle variazioni, la divergenza si � formata per effetto della progressione del costo delle costruzioni, che � avvenuta in termini assai pi� incisivi -come risulta anche dai dati offerti da una elaborazione del CENSIS contenuta nel rapporto 1987 sulla condizione economico-sociale del Paese -rispetto a quella relativa al costo della vita. Tale essendo la situazione, la censura di violazione del principio di uguaglianza deve ritenersi fondata. L'edilizia convenzionata si colloca, invero, nel pi� ampio quadro dell'edilizia residenziale pubblica, mirante a sopperire al fabbisogno abitativo di categorie sociali di limitate capacit� economiche, o ritenute per altre ragioni meritevoli di tutela. Tale indirizzo � stato realizzato non solo con la costruzione di alloggi a totale carico dello Stato, destinati alle fasce di reddito pi� basse cui si applica perci� un canone sociale (cfr. art. 26, lett. b), 1. n. 392 cit.}, ma anche mediante regimi convenzionali in cui tale obiettivo � perse .. 36 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO guito assicurando al costruttore particolari vantaggi: o attraverso la corresponsione cli un contributo statale diretto ad abbattere il tasso di interesse sui mutui (c.d. edilizia agevolata-convenzionata: cfr. la 1. n.� 457 del 1978) o, come nel caso cli cui agli artt. 7-8 I. n. 10 del 1977, attraverso una congrua riduzione degli oneri afferenti il rilascio della concessione edilizia. Con quest'ultimo regime, in particolare, si � mirato ad orientare le tecnologie costruttive ed i capitali di investimento verso una tipologia cli edilizia residenziale di costo contenuto e di dimensioni controllate, al duplice fine di assicurare -anche attraverso le previste agevolazioni un'equa remunerazione all'investimento e di fornire alloggi accessibili alle fasce cli reddito medio-basse. Tale destinazione � manifesta nell'originaria disciplina cli cui all'art. 35 I. n. 865 del 1971 -che anzi in talune ipotesi la limita ai soggetti aventi i requisiti per l'assegnazione cli alloggi economici e popolari (commi 16� e 18�) -ma es_sa � indubbiamente propria anche del regi~e convenzionale regolato dalla legge n. 10 del 1977. E ci� sia perch� questo costituisce un'estensione del primo -onde il silenzio della nuova normativa sul punto va inteso come inserimento cli essa nell'alveo cli quella precedente -sia perch� nello stesso senso dispongono esplicitamente talune leggi regionali di attuazione (v., ad es., l'art. 5 legge Regione Emilia-Romagna 2 giugno 1980, n. 46). Del resto, che l'edilizia convenzionata si caratterizzasse come �edilizia che prevede canoni e prezzi controllati e quindi accessibili alle categorie meno abbienti � � circostanza che fu ben presente in sede cli redazione della legge sull'equo canone (cfr. relazione �al d.l. governativo n. 465 -VII legislatura -da cui scatur� la I. n. 392). Ci� che per� il legislatore del 1978 non ha tenuto sufficientemente in conto nel dettare l'art. 26, lett. c) � stato che, soprattutto per via del diverso meccanismo di aggiornamento, il canone delle locazioni convenzionate potesse in prospettiva pervenire a superare quello fissato in via generale con la nuova legge: pericolo, questo, che era stato prontamente avvertito dalle Regioni -chiamate ad applicare il regime convenzionale previsto dalla legge n. 10 del 1977 -le quali, all'indomani del varo di questa, espressero un orientamento comune per cui, al fine di consentire che il canone convenzionato corrispondesse nel contempo alle finalit� sociali rivolte alla tutela del conduttore e al riconoscimento di una giusta redditivit� dell'investimento, era necessario da un lato per la determinazione di un canone fissare un'aliquota sul prezzo di cessione inferiore o parificata a quella che sarebbe stata stabilita dalla legge sull'equo canone (sul valore locativo dell'immobile), e dall'altro equiparare il meccanismo di aggiornamento del canone convenzionato a quello fissato dalla nuova legge per l'equo canone stesso (cfr. Orientamenti delle Regioni PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE per l'attuazione della legge 28 gennaio 1977, n. 10 -Documento unitario delle Regioni, 14 aprile 1977, par. 2.3.). D'altra parte, che il canone dell'edilizia convenzionata possa essere superiore -ed anche di molto, come i casi di specie dimostrano -a quello di cui alla 1. n. 392 � cosa che si appalesa incongrua anche rispetto agli orientamenti della legislazione coeva o successiva. Da un lato, infatti, � stato previsto in taluni casi l'assoggettamento dell'edilizia convenzionata a requisiti reddituali di accesso analoghi a quelli dettati per l'edilizia a sovvenzione pubblica (artt. 18 e 20 1. n. 457 del 1978: cfr. anche il gi� citato art. 2 1. R. Emilia-Romagna n. 46 del 1980); dall'altro, l'applicazione del regime di equo canone, proprio in quanto pi� elevato, � stata prevista per gli alloggi pubblici dati in godimento a soggetti fruenti di redditi superiori a quelli stabiliti per l'assegnazione (cfr. gli artt. 22 1. n. 513 del 1977; 7, 8 e 22 1. n. 25 del 1980). N� a giustificare un canone superiore per l'edilizia convenzionata possono addursi ragioni diverse qa quelle finora considerate. Non certo queHe attinenti a vantaggi di altro tipo propri di tale regime contrattuale, posto che le relative disposizioni non prescrivono, ad es., garanzie di stabilit� del rapporto analoghe a quelle previste dalla legge sull'equo canone. Nemmeno, poi, pu� dirsi che un tale risultato sia reso necessario dalle esigenze di incentivazione degli investimenti in edilizia: e ci� sia perch� l'obiettivo � stato perseguito anche con legge n. 392 (cfr. la gi� citata relazione governativa al d.l. n. 465, p. 4), sia perch� non � certo ragionevole che esso si realizzi col sacrificio delle categorie meno abbienti, anzich� della generalit� dei cittadini. D'altra parte, come la stessa Avvocatura dello Stato ha evidenziato, tanto la normativa sull'edilizia convenzionata che quella sull'equo canone assolvono ad una funzione calmieratrice del mercato delle locazioni: e questa � evidentemente frustrata se una cons~stente lievitazione dei canoni si manifesta proprio rispetto a tipologie edilizie progettate per le esigenze di fasce sociali che difficilmente possono soddisfare altrimenti il proprio diritto all'abitazione. In questo quadro, il modello convenzionale trova congrua collocazione per la sua spiccata attitudine a consentire soluzioni il pi� possibile aderenti alle esigenze poste dalle singole situazioni. Ma la flessibilit� dello strumento trova un limite l� dove, a parit� di caratteristiche, consente l'assoggettamento a canoni superfori a quelli che, a giudizio del legislatore, realizzano un equo contemperamento delle esigenze di proprietari e . di inquilini, giacch� ci� si traduce in un non consentito trattamento deteriore che, rispetto alla generalit� dei conduttori, viene riservato a quelli meno abbienti. 38 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO L'art. 26, primo comma, lett. c) della legge n. 392 del 1978 va perci� dichiarato costituzionalmente illegittimo, in quanto nel prevedere l'inapplicabilit� delle locazioni relative ad alloggi soggetti alla disciplina dell'edilizia convenzionata delle disposizioni del capo I del titolo I della legge medesima, non stabilisce che per esse il canone non pu� comunque essere superiore a quello che risulterebbe dall'applicazione di queste ultime. Pioch� il vizio riscontrato si radica sul raffronto tra la disciplina suc� cessiva -di cui alla 1. n. 392 del 1978 -e quella anteriore -di cui agli artt. 35 1. n. 865 del 1971 e 8 1. n. 10 del 1977 -� invece evidentemente infondata la medesima questione in quanto riferita a queste ultime disposizioni. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 11 febbraio 1988, n. 158 � Pres. Saja -Rel. Baldassarre -Pres. Consiglio dei Ministri (avv. Stato Onufrio) e Regione Abruzzi. Corte Costit.zionale -Impugnazione diretta di delibera legislativa regionale � Reiterazione del rinvio -Nozione di legge nuova. Regione � Illegittima reiterazione del rinvio � Ammissibilit� del ricorso per conflitto di attribuzione � Nuova riapprovazione della delibera legislativa rinviata -Sana la illegittimit�. La delibera legislativa riapprovata dopo rinvio ai sensi dell'art. 127 comma terzo, Cost., non pu� essere qualificata � nuova � quando le modifiche: a) non siano tali da comportare un mutamento del significato nor� mativo delle disposizioni oggetto del rinvio, oppure b) concernano le disposizioni oggetto del rinvio, oppure e) siano esterne al contenuto dispositivo della legge (ad esempio riguardino una diversa disciplina della vacatio legis), oppure d) concernano le norme di copertura finanziaria con adeguamento di esse al tempo trascorso (1). La regione pu� 11eagire mediante conflitto di attribuzione alla illegittima reiterazione del rinvio; peraltro la riapprovazione della legge da parte del Consiglio regionale, comportando l'esaurimento degli effetti del .. rinvio, ne sana i vizi e rende inammissibile il ricorso per conflitto (2). (1-2) La sentenza in rassegna -di notevole importanza -fomisce pre� ziosi insegnamenti sulla nozione di delibera �legislativa �nuova� e sui limiti della reiterazione del irinvio. Nel complesso, essa restringe detta nozione, e IJIJlaIIJllllJJf?lllilrllfJ/llllFllllllllrllllflllllllPifllfll PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 39 Pregiudiziale a ogni altro accertamento � la verifica della fondatezza dell'eccezione di inammissibilit� del ricorso prospettata dalla Regione Abruzzo, in relazione all'asserito rilievo che il Governo ha reiterato il rinvio, affinch� il Consiglio regionale riesaminasse sotto profili di legittimit� costituzionale totalmente nuovi la. legge ora in contestazione, nonostante che questa fosse gi� stata approvata una seconda volta e fosse stata modificata, nell'occasione, in conformit� alle censure rivolte dal Governo con il precedente rinvio. Al fine di decidere su tale eccezione, occorre procedere a una duplice verifica: innanzitutto bisogna accertare se la legge oggetto del secondo rinvio sia da considerare come una legge � nuova �, ai sensi dell'art. 127 Cost., in m.odo da decidere se il rinvio effettuato la seconda volta sia da considerare una reiterazione vera e propria dello stesso o, piuttosto, il primo e unico rinvio di una legge diversa;. in secondo luogo, nell'eventualit� che tale verifica risulti negativa, occorre considerare se siano intercorsi da parte regionale atti idonei a sanare eventuali vizi di ammissibilit� del ricorso stesso. li rinvio per riesame disciplinatd dall'art. 127 Cost., comma 3�, non � stato previsto dal Costituente al fine di una riapertura totale del procedimento legislativo su cui si innesta, ma, al pari del suo ascendente diretto, cio� il rinvio presidenziale delle leggi statali, � stato pensato come un momento essenziale, interno a un determinato procedimento legislativo, diretto a innescare una rifilessione dell'organo di deliberazione della legge regionale in relazione alle osservazioni di legittimit� o di merito eventualmente prospettate dall'istanza di controllo, in ipotesi il Governo. Ci� comporta che, una volta che una legge sia stata rinviata e il legislatore regionale abbia manifestato, riapprovando la legge con la maggioranza prescritta dall'art. 127 Cost., la volont� di mantenersi nella propria posizione o, comunque, di non conformarsi alle censure formulate dal Governo, (o, ci� che � lo stesso, di conformarvisi solo parzialmente), quest'ultimo non pu� reiterare, una o pi� volte, l'atto di rinvio verso quella medesima quindi protegge in misura pi� ampia '1'autonomia legislativa delle regiorui (e province autonome) anticipando l'intervento delfa giurisdizione costituzionale. In sostanza, ogni questione irelativa alle disposizioni oggetto del primo �rinvio (l'Ipotesi di cui al1la lettera b della prima 1inassima pare assorbire senza residui l'ipotesi di cui alla lettera a) deve dallo Stato essere prospettata con ricorso alla Corte e non pi� con un secondo rinvio. L'adesione solo par:llia:le o �di facciata � al rilievo formulata in sede di primo rinvio � equiparata alla non adesione ad esso rilievo. Di notevole interesse anche la seconda massima, che -quanto alla seconda parte di essa -si collega alla puntualizzazione teorica contenuta nella prima parte della motivazione: �Il rinvio per riesame.... � ... momento ... interno ad un determinato procedimento ,legislativo �. In altre parole, il rinvio governativo fa corpo con la funzione legislativa regionale. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 40 legge, ma ove ritenga che la regione non abbia (adeguatamente) soddisfatto le proprie richieste di modifica, pu� promuovere la questione di costituzionalit� di fronte a questa Corte (oppure quella di merito di fronte al Parlamento). Del resto, il divieto di reiterazione del rinvio di una legge regionale riapprovata non si ricava soltanto dalla logica dell'istituto, ma si desume. anche dall'art. 127, comma 4�, Cost., come interpretato dalla legge 11 marzo 1953, n. 87, nella quale si legge, all'art. 31, che il ricorso di costituzionalit� pu� esser proposto dal Governo entro il termine di quindici giorni da quando gli � stato comunicato � che la legge � stata per la seconda volta approvata dal Consiglio regionale �. Tuttavia, occorre precisare che tale divieto opera sul presupposto che, in sede di riapprovazione da parte del Consiglio regionale, la legge non abbia sub�to modifiche tali da poter essere considerata come una legge � nuova �, ai sensi dell'art. 127 della Costituzione. Questa Corte si � gi� pronunziata sul problema pi� volte. Dopo aver ritenuto che una legge regionale dovesse considerarsi� non nuova� pur se leggermente modificata (sentt. nn. 132 del 1975 e 9 del 1976), in occasione del conflitto deciso con la sentenza n. 40 del 1977 ha affermato che, al fine di dare immediata certezza a tutti gli operatori in presenza di discutibili prassi e di pretestuose contestazioni, non era possibile far dipendere la decisione sulla �novit��, o meno, della legge da criteri basati su distinzioni di natura tale da lasciare all'interprete notevoli margini di discrezionalit�, come ad esempio la distinzione tra modifiche sostanziali o non, oppure quella tra modifiche particolarmente incisive o non. Su tale premessa la Corte ritenne allora di consederare �non nuova�, ai sensi dell'art. 127 Cost., ogni legge che fosse riapprovata nello stesso testo che aveva formato oggetto della prima deliberazione e del relativo rinvio. Da questo orientamento non c'� motivo di discostarsi nella sostanza. C'� soltanto il bisogno di aggiungere alcune precisazioni che si rendono necessarie proprio a causa delle discutibili prassi che la stessa sentenza n. 40 del 1977 intendeva fronteggiare e che sono continuate in verit� in misura tutt'altro che lieve, anche successivamente a quella decisione. Innanzitutto occorre sottolineare che una Jegge deve esser considerata come identica o �non nuova"� ai fini dell'applicazione dell'art. 127 Cost., non solo nell'ovvia ipotesi che nessuna modifica sia stata apportata al suo testo, ma anche in quella in cui l'intervento di eventuali modifiche in sede di -riapprovazione-non sia tale da comportare un mutamento del significato normativo delle disposizioni oggetto del rinvio. �, infatti, una nozione giuridica comune che il testo legislativo � soltanto un mezzo materiale per esprimere un significato normativo (o norma) e che, ai fini della valutazione della legittimit� di una certa disposizione, ci� che rileva PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE '41 � il itesto in relazione al suo significato nQl1mativo, non certo il bruto materiale linguistico in s� considerato (che, come tale, � mera astrazione). In secondo luogo, va precisato che alcune modifiche sono da ritenere come non rilevanti o non pertinenti al fine di considerare una legge come �nuova�, ai sensi dell'art. 127 della Costituzione. Tali sono le modifiche apportate dal legislatore alle norme censurate nel rinvio governativo ovvero quelle esterne al contenuto dispositirvo della legge (come, ad esempio, le modifiche relative al preambolo, l'inserimento o l'eliminazione di clausole d'urgenza, una diversa disciplina della vacatio legis) o, ancora, le modifiche delle norme di copertura finanziaria resesi necessarie esclusivamente a causa del tempo trascorso tra la prima deliberazione della legge e la sua riapprovazione a seguito del rinvio (come, ad esempio, il riiferimento al bilancio dell'anno successivo quando la riapprovazione conseguente al rinvio sia avvenuta sotto il regime dell'esercizio finanziario dell'anno dopo). Nelle ipotesi appena considerate, nelle quali nessuna modifica � stata' apportata ovvero quelle eventuamlente operate non hanno comportato un mutamento del significato normativo o debbono esser considerate come non rilevanti, nel senso precedentemente pa:-ecisato, la legge riapprovata dal Consiglio regionale va considerata come � non nuova �, ai fini dell'applicazione dell'art. 127 della Costituzione. Di fronte ad essa, pertanto, il Governo non pu� reiterare il rinvio, ma pu� soltanto, ove lo ritenga opportuno, sollevare questione di costituzionalit� davanti a questa Corte (ovvero quella di merito davanti al Parlamento). Qualora invece il legislatore regionale, provvedendo a modificare o a ridisciplinare, in sede di riapprovazione, parti del contenuto dispositivo diverse da quelle oggetto del rinvio, dimostri nei fatti di considerar~ totalmente riaperto il procedimento legislativo, la legge deve esser considerata come �nuova�, ai fini dell'applicazione dell'art. 127 della Costituzione. In tali ipotesi, il Governo pu� nuovamente effettuare un rinvio per il semplice fatto che si tratta propriamente non gi� di una reiterazione dello stesso, ma piuttosto di quell'unico e legittimo rinvio che, ove lo si ritenesse vietato, porterebbe al risultato di conferire alla regione la possibilit� di formulare disposizioni legislative ingiustificatamente immuni dal controllo governativo. Applicando questi criteri di giudizio al caso di specie, si giunge alla conclusione che la legge impugnata, considerata nel testo riapprovato dal Consiglio regionale a seguito del (primo) rinvio governativo, deve esser ritenuta come � non nuova � ai fini dell'applicazione dell'art. 127 della Costituzione. In sede di riapprovazione, infatti, il legislatore regionale ha semplicemente aggiunto all'art. 2, vale a dire all'unico articolo allora oggetto di censure da parte del rinvio, una disposizione che, essendo diretta a precludere ai nuovi soci delle cooperative la possibilit� di immis 42 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sione nei ruoli della pubblica amministrazione, si conformava, con tutta evidenza, alla censura contenuta nel primo rinvio (come riferita in narra tiva al punto 2.1.). Trattandosi di una modifica che, in base ai criteri esposti nel punto precedente, non pu� considerarsi tale da indurre a ritenere la legge riapprovata come � nuova �, il secondo rinvio governativo che oltretutto comprendeva censure totalmente diverse da quelle pre cedentemente formulate, andava considerato come frutto di un'illegittima reiterazione del controllo previsto dall'art. 127, comma 3�, della Costi tuzione. Senonch� la Regione Abruzzo, invece di elevare conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato onde far valere la menomazione della propria competenza legislativa a causa dell'illegittima reiterazione del rinvio, ha provveduto a riapprovare nuovamente la legge, finendo cos� per sanare i vizi relativi al secondo rinvio. �, infatti, giurisprudenza costante di questa Corte (v. sent. n. 8 del 1967, ord. n. 139 del 1986) che la riapprovazione della legge da parte del Consiglio regionale, comportando l'esaurimento completo degli effetti del rinvio, preclude l'impugnazione e l'accertamento di eventuali vizi connessi al rinvio medesimo. Per tali motivi l'eccezione di inammissibilit� prospettata dalla Regione Abruzzo va senz'altro respinta. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 25 febbraio 1988, n. 209 (cam. cons.) -Pres. Saja -Rel. Baldassarre. Tributi (in generale) -�Riscossione tramite aziende di credito � Ritardo nei versamenti � Penale. (Cost., art. 3; I. 2 dicembre 1975 n. 576, art. 17). Il rapporto tra l'amministrazione finanziaria e le aziende di credito delegate dai contribuenti per l'esecuzione dei versamenti delle imposte in tesoreria nella c.d. autotassazione, ha natura privatistica,-pertanto pari natura ha la penale prevista per il ritardo nell'effettuazione dei predetti versamenti. La prima questione sottoposta al giudizio di questa Corte concerne l'art. 17, u.c., della legge 2 dicembre 1975, n. 576, per la parte in cui stabilisce una penale del 2 % per ogni giorno di ritardo in relazione alle somme riscosse e non tempestivamente (entro cinque giorni) versate alla tesoreria da parte delle aziende di credito delegate alla riscossione delle imposte sul reddito delle persone fisiche. Ammesso che tale penale abbia . natura privatistica, e non tributaria, i gii.Idici a quibus ravvisano un possibile contrasto con l'art. 3 Cost., in quanto sussisterebbe un'irragionevole disparit� di regime tra la suddetta penale, che non pu� essere ridotta, e le sanzioni pecuniarie di diritto tributario o le clausole penali di diritto civile, ambedue riducibili. PARm I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE La questione � infondata. Non vi pu� essere dubbio che la penale ex art. 17, u.c., della legge n. 576 del 1975, abbia natura privatistica. A ci� concorrono tanto la sua inerenza a un rapporto diverso da quello intercorrente tra il contribuente e l'amministrazione tributaria, quanto le sue finalit�, le quali sono dirette a evitare che le aziende di credito lucrino in misura eccessiva dal ritenere le somme riscosse oltre un ragionevole termine. Su tale premessa, si deve concludere, innanzitutto, che viene meno quel minimo di omogeneit� necessario per l'instaurazione di un giudizio di ragionevolezza tra la penale di cui alla disposizione impugnata e le sanzioni pecuniarie di diritto tributario. Di ci� non pu� dubitarsi per il semplice fatto che, come ha gi� affermato questa Corte (sent. n. 109 del 1973), l'inadempimento di un'obbligazione di natura privatistica, ipotizzato nel caso in capo alle aziende di credito nei confronti dello Stato, non � affatto equiparabile all'inadempimento relativo alle obbligazioni tributarie verso lo stesso Stato. V'�, poi, un secondo motivo che impedisce di instaurare una comparazione, sempre ai fini del giudizio di ragionevolezza, tra l'impugnata penale e le sanzioni pecuniarie di diritto tributario. Mentre per queste ultime l'art. 15 della legge n. 4 del 1929 prevede che il trasgressore delle leggi finanziarie, oltre il tributo, possa pagare all'atto della contestazione della violazione una somma (ridotta) pari al sesto del massimo della pena pecuniaria, nel caso oggetto del presente giudizio, invece, la penale viene determinata in misura fissa dal legislatore in relazione all'inadempimento di un'obbligazione pecuniaria di natura civilistica. Ci� comporta che nel caso di specie non sussistano gli elementi qualificanti dell'ipotesi assunta come tertium comparationis e, in particolare, tanto la determinazione della pena accessoria tra un minimo e un massimo, quanto il parametro (cio� il massimo) cui ragguagliare l'eventuale riduzione della pena pecuniaria. Del pari infondata � la prospettazione della disparit� di trattamento tra la penale impugnata e quella di diritto civile prevista dagli artt. 1382 e segg. del codice civile. Anche se ambedue le penali presentano una sostanziale identit� di natura giuridica, deve tuttavia negarsi che siano equiparabili sotto il profilo della riduzione equitativa, di cui all'art. 1384 del codice civile. Le ragioni di questa affermazione sono almeno duplici. Innanzitutto, mentre nel caso disciplinato dall'art. 1384 e.e. il giudice interviene equitativamente nei confronti di un atto di autonomia privata con il quale viene predeterminato il danno cagionato dall'inadempimento di una delle parti del rapporto obbligatorio, al contrario in quello sottoposto al presen!e giudizio non v'� spazio per tale intervento, in quanto � direttamente una norma giuridica a determinare la misura della penale. In secondo luogo, mentre nell'ipotesi dell'art. 1384 e.e. la riduzione equitativa della clausola penale RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO pu� avere come presupposto l'adempimento parziale dell'obbligazione da parte del creditore, nell'ipotesi della disposizione impugnata, invece, tale presupposto appare incompatibile con la natura dell'obbligazione intercorrente tra le aziende di credito e lo Stato. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 10 marzo 1988 n. 267 -Pres. Saja � Rel. Corasaniti -Presidenza Consiglio dei Ministri (avv. Stato Siconolfi) e Regione Molise. Impiego pubblico -Dipendenti regionali � Principio di omnicomprensivit� ed omogeneit� � Deve applicarsi. Il principio di omnicomprensivit� ed omogeneit� del trattamento retributivo deve essere applicato anche al settore dei dipendenti delle Regioni; contrasta perci� con l'art. 117 Cost. la delibera legislativa regionale che ad esso non si attenga (1). Il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato, in via principale, questione di legittimit� costituzionale della norma racchiusa nell'art. 36, ultimo comma, della legge della Regione Molise apporavata il 30 novembre 1981 e riapprovata il 2 febbraio 1982 (Istituzione del servizio � Provveditorato e disciplina dell'attivit� contrattuale�), in riferimento agli artt. 117, 97, 3 e 36 Cost.. Secondo il ricorrente la norma impugnata, con l'attribuire agli impiegati regionali aventi maneggio di cassa una 'speciale indennit�, e quindi un emolumento aggiuntivo non previsto dalla contrattazione collettiva, sarebbe in contrasto con il princ�pio della onnicomprensivit� della retribuzione, proprio della materia dell'impiego pubblico statale, e con quello dell'utilizzazione, ai fini della determinazione del trattamento retributivo, della contrattazione collettiva, recepito dalla stessa legislazione regionale -ivi compresa quella del}a Regione Molise (legge regionale 8 maggio 1980, (1) Di notevole interesse dI riconoscimento che il princ1p10 di omnicomprensivit� � da includersi �tra i princ�pi di cui all'art. 117 Cost. Peraltro, la sentenza non pare abbia ancora portato alle sue ultime conseguenze il limite alla competenza legislativa regi:ona:le derivante dal riconoscimento del contratto collettivo qua:le fonte esclusiva di normazione negli ambiti fissati dalla legge-quadro 29 marzo 1983, n. 93; anzich� una generale inibizione delle c.d. � leggine �, si hanno pronunce caso per caso (con conseguente rischio di i:ncoerenza). I I I PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE n. 12) -in funzione della omogeneit� e perequazJone del detto trattamento retributivo. N� ci� sarebbe contraddetto -sostiene il ricorrente a confutazione delle argomentazioni addotte dal Consiglio regionale in sede di riapprovazione della legge impugnata -dalla previsione, ad opera di specifiche disposizioni (l'art. 4 del d.P.R. 5 maggio 1975, n. 146, cui fa riferimento la stessa legge impugnata, e l'art. 19 del d.P.R. 9 giugno 1981, n. 310), della indennit� di maneggio cassa per i dipendenti civili dello Stato, essendo stata tale indennit� conservata, su accordo con le organizzazioni sindacali, nel quadro di una ponderata regolamentazione complessiva del trattamento economico dei detti dipendenti. (omissis) La questione posta in riferimento all'art. 117 Cost., � fondata. Effettivamente il princ�pio della omnicomprensivit� e omogeneit� del trattamento retributivo � stato introdotto in via generale nell'impiego statale, a fini di certezza, trasparenza e perequativit�, dall'art. 2 della legge 15 novembre 1973, n. 734, con il quale, mentre si attribuisce a tutti i dipendenti civili dello Stato (escluse talune categorie specicamente indicate) un assegno perequativo pensionabile (non computabile ai fini della tredicesima mensilit� e del compenso per lavoro straordinario, ma strettamente aderente alla retribuzione sotto ogni altro profilo, anche in relazione alle vicende del rapporto di impiego), si fa divieto di corrispondere agli attributari indennit�, compensi, premi, gettoni di presenza, soprassoldi, assegni ed emolumenti comunque denominati (salvi i compensi per lavoro straordinario), a carico del bilancio dello Stato, di contabilit� speciali o di gestioni fuori bilancio, per l'opera svolta quali dipendenti dello Stato o in rappresentanza dell'amministrazione statale. Il principio, la cui affermazione costituisce il risultato di un'ampia azione sindacale, � stato enunciato anche per altri settori del pubblico impiego (cfr., per i dipendenti dagli enti pubblici non economici, l'articolo unico, comma terzo, legge 15 novembre 1973, n. 732 e l'art. 26 della legge 20 marzo 1975, n. 70) per essere poi ribadito con l'art. 17 della legge-quadro sul pubblico impiego 29 marzo 1983, n. 93, che rappresenta la conclusiva espressione di un indirizzo invalso nella legislazione statale in materia di impiego pubblico. N� il prindpio � scalfito da ci�, che l'art. 4 della stessa legge n. 734 del 1973 prevede che, con regolamento da approvarsi con decreto del Presidente della Repubblica, sentite le organizzazioni ,sindacali maggiormente rappresentative, siano determinate la misura e le modalit� di corresponsione dell'indennit� di cassa -come puntualmente avvenuto con il d.P.R. n. 146 del 1975 e con il d.P.R. n. 310 del 1981 -giacch� la previsione come quella concernente altre specifiche indennit�, formulata negli stessi termini � chiaramente operata dall'art. 4 della detta legge n. 734 del 1973 in via di stretta eccezione al princ�pio enunciato nell'art. 2. 46 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Va dunque dichiarata, in riferimento all'art. 117 Cost., l'illegittimit� costituzionale dell'art. 36, ultimo comma, della legge regionale impugnata, con conseguente assorbimento delle altre questioni. CORTE COSTITUZIONALE, 16 giugno 1988 n. 648 -Pres. Saja -Rel. Borzellino. Espropriazione per pubblica utilit� � Zone riservate a piste sciistiche � Divieto di ingombri alla discesa � Non determina diritto ad indennizzo. (Cost;, artt. 3, 41 e 42; I. prov. Trento 11 novembre 1968 n. 20, art. 16). I beni naturali per loro ubicazione inseriti in complessi valorizzati a fini d'utilit� sociale costituiscono categoria ab origine di interesse pubblico generale,� ne discende che non sono costituzionalmente illegittime la mancata previsione di indennizzo e la compressione dell'iniziativa economica privata e del godimento della propriet�. La legge della Provincia autonoma di Trento n. 20 dell'll novembre 1968 (Approvazione del Piano regolatore generale del Comune di Trento) all'art. 16 dispone divieto, nelle zone riservate a piste sciistiche, di recinzioni, di rimboschimento, di ingombri che possano importare ostacolo � alla libera discesa �. Il Collegio remittente dubita della legittimit� costituzionale della normativa poich� da essa conseguirebbe uno svotamento sostanziale del diritto di propriet� per la mancata previsione di indennizzi, con violazione del principio di eguaglianza fra tutti i cittadini e compressione, nel contempo, dell'iniziativa economica privata nonch� delle garanzie di godimento della propriet� (artt. 3, 41 e 42, secondo e terzo comma, Cost.). La questione non � fondata. La Corte ha avuto modo gi� in passato di considerare che i beni naturali per loro ubicazione inseriti in complessi valorizzati a fini d'utilit� sociale costituiscono categoria ab origine di interesse pubblico generale, essendo connaturata ad essi quella destina zione di elevato valore paesaggistico che li contraddistingue, quale mezzo di realizzazione del corrispondente interesse pubblico. Consegue da ci� l'esigenza intrinseca di assicurare la conservazione a siffatti fini delle preesistenti qualit� essenziali, assorbenti o quanto meno prevalenti rispetto al godimento dei singoli. D'altra parte, i proprietari vengono di certo a fruire, a motivo proprio delle limitazioni conservative, dei vantaggi corrispondenti, per le iniziative che vi si intraprendono, alla situazione dei luoghi (sent. n. 106 del 1976 e ord. n. 23 del 1987). Non emerge motivo per discostarsi da tali enunciati, non risultando di conseguenza incisi i riferiti parametri. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 41 CORTE COSTITUZIONALE, 16 giugno 1988 n. 651 (in cam. cons.) -Pres. Saja -Rel. Caianiello. Tributi erariali in genere -Imposte di fabbricazione -Traslazione in avanti dell'onere -Rilevanza. (Cast., artt. 3 e 24; d.l. 30 settembre 1982 n. 688, art. 19). Nonostante l'autorevole orientamento giurisprudenziale formatosi in relazione a tributi rilevanti nell'ordinamento comunitario, deve ritenersi che -per i tributi che tale rilievo non hanno -l'esercizio del diritto di azione non � vanificato o comunque illegittimamente compresso dalla previsione di una prova documentale, anche in relazione a fattispecie creatasi in epoca anteriore all'entrata in vigore della norma,� e per quanto attiene alla lamentata lesione del principio di eguaglianza, la ratio perseguita dalla norma, di evitare l'arricchimento senza causa di alcuni operatori economici a danno di una maggioranza di altri soggetti (effettivamente incisi dall'onere tributario), consente di giustificare il diverso regime di ripetizione dell'indebito in relazione a quei tributi per i quali, attesa la loro peculiare natura, il fenomeno della traslazione costituisce un'evenienza normale nella prassi dell'economia di mercato (1). Ritenuto che nel corso di un giudizio avente ad oggetto la restituzione di un'imposta di fabbricazione indebitamente versata, la Corte di appello di Genova, con ordinanza in data 29 maggio 1986, ha sollevato questione di legittimit� costituzionale dell'art. 19, primo e secondo comma, del d.I. 30 settembre 1982, n. 688 (�Misure urgenti in materia di entrate fiscali�, convertito in fogge 27 novembre 1982, n. 873), con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.; (1) Pronuncia di notevole importanza, e non solo per aver confermato quanto la Corte di giustizia delle C.E. aveva gi� riconosciuto nel 1980 e cio� che il metiro dell'� arricchimento� (senza causa) pu� costituire la �chiave di volta� di una normativa in tema di rimborsi di tributi mal percetti. La pronuncia � importante anche per avere, con valenza pi� generale, colto che conseguenze ed implicazi:oni d'ordine persino sostanziale devono essere tratte dall'obbligo di tenuta e conservazione di libri e scritture contabili (obbligo certamente non meramente �formale� e fine a se stesso), e sottolineato la ragionevolezza dell'agganciare una normativa tributaria allo id quod plerumque accidit. Segue una breve riflessione sulla disposizione che ha superato il vaglio della legittimit� 'Costituzionale. Restituzione dell'indebito ed arricchimento del solvens: il diritto tributario si allontana dal diritto civile. L'art. 19, primo comma, del d.I. 30 settembre 1982, n. 688 contiene una disposizione di ampia portata: come noto, essa concerne le imposte di fabbricazione, �di grande importanza economica nel sistema tributario italiano (si pensi all'imposizione sulla benzina e sugli oli minerali, per larga parte col 48 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO che la norma impugnata viene censurata nella parte in cui, subordinando, con effetto retroattivo, la ripetizione di alcuni tributi indebitamente versati, alla prova documentale che l'onere non sia stato in alcun mbdo trasferito su altri soggetti, si porrebbe in contrasto: a) con l'art. 3 Cost., creando un'ingiustificata disparit� di trattamento fra coloro che hanno pagato i tributi in questione e coloro che hanno invece. corrisposto altri tipi di tributi, per i quali il diritto al rimborso non � subordinato al suddetto onere probatorio, per giunta documentale; b) con l'art. 24 Cost., violando il diritto di agire in giudizio in quanto modificherebbe, con effetto retroattivo, le condizioni dell'azione di ripetizione e della relativa disciplina probatoria; (omissis) legata �a valle� con prezzi amministrati), le imposte di consumo, ed in genere tutto il settore dell'imposizione indi!retta per cos� dire � sulle merci � (non �sugli affari�). Essa non concerne !'I.V.A. perch� caratterizzata da un parti� colare meccanismo (rivalsa, detrazione -di regola -per aggregati imposta da dmposta, ed eventuale rimborso); ed ovviamente, non concerne l'imposizione sui redditi, per la quale problematica (ma non inavvertibile) � la traslazione. Non pu� dunque ravvisarsi nell'art. 19 una misura speciale concernente soltanto secondari tributi. La norma introdotta dall'ar.t. 19, primo oomma, � stata sovente considerata come una �deroga� a regole, supposte � generali �, su1la ripetizione di indebito (� condictio indebiti�). Se per� si considera da un fato l'ampiezza dell'area di applicazione della disposizione e dall'altro lato gli approfondimenti del principio in essa affermato avutisi in altri Stati europei (Francia, Danimarca) ai quald � seguita la pregevole elaborazione contenuta nelle sentenze della Corte di giustizia delle Comunit� Europee 27 febbraio 1980 (causa n. 68/79) e successive conformi (tra le quali anche la 27 maggio 1981, in cause nn. 142 e 143 del 1980), a ben vedere non contraddette dalle' successive (ultima delle quali la 24 marzo 1988, in causa n. 104/86, pubblicata in questo numero), ci si avvede che in realt� � possibile, anzi doveroso, ravvisare nell'art. 19 citato l'enunciazione di una regola generale per il diritto tributario separata (e non subalterna alla diversa regola stabilita per il diritto civile e commerciale). Nelle relazioni tra privati � ragionevole assegnare il diritto (e la Jegittimazione processuale) a :ripetere l'indebito ail soggetto che il pagamento non dovuto ha effettuato; nell'assoluta maggioranza delle situazioni � proprio questo il soggetto � autodainneggiatosi � con il pagamento. Nel diritto tributario, specie nella par.te in �esso che riguarda l'imposizione indiretta e sui commerci, la coincidenza �normale � tra soggetto che ha effettuato il pagamento non dovuto ed il soggetto realmente � daillIJ.eggiato)) per il pagamento non si ha, per l'operare �normale � dei meccanismi di traslazione �in avanti � (addirittura formalizzati quando v'� obbligo di rivalsa e laddove d prezzi sono �amministrati�); ben si comprende quindi come il diritto tributario -che non � affatto un'appendice �minore � del diritto civile e commerciale -conosca una regola generale diversa. Certamente, lo Stato non � il soggetto che ha sofferto pregiudizio per l'indebito pagamento; tale pregiudizio � stato sofferto dalla generalit� � diffu� sa � dei consumatori. Tuttavia, a) neppure il commerciante �esattore � ha sof 'I 1 ~ I f ~...~ PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 49 Considerato che, come si dichiara nella relazione al d.d.l. di conversione del d.l. 30 settembre 1982, n. 688 (atto Senato n. 2040) la disposizione impugnata � stata emanata allo scopo di � evitare l'indebita locupletazione degli operatori economici, i quali, avendo, come di regola, gi� trasferito sui successivi acquirenti anche gli oneri per tributi che, poi, a distanza di tempo, risultino non dovuti, indubbiamente verrebbero a conseguire un lucro se potessero ugualm~nte ottenere il rimborso�; che, come si soggiunge in detta .relazione, � poich� al rimborso si dovrebbe far luogo, ovviamente, a carico del bilancio statale, e quindi della collettivit�, si avrebbe, se si consentisse l'indiscriminato rimborso, l'effetto di porre a carico di detta collettivit�, e quindi dei singoli, oneri che questi hanno gi� subito, avendo gi� pagato i prodotti ad un prezzo comprendente il rimborso anche di quegli oneri�; ferto il pregiudizio predetto; �e contrasta con il suum cuique tribuere tlconoscere un Tistoro al commerciante � esattore � per nul!la pregirudicato dalla for, male solutio; come limpidamente affermato dalla Corte costituzionale (ord. 807 del 1988) il fenomeno economico della traslazione giustifica il �limite al diritto di ripetizione�; b) la generalit� �diffusa� dei consumatori tende a coincidere con la generalit� �diffusa� dei cittadini contribuenti, e certamente non si identifica affatto con un gruppo ristretto di commercianti �esattori �. La giurisprudenza italiana � finora rimasta all'interno dello schema concettuale della condictio indebiti civilistica, laddove invece la disposizione in questione ha dntrodotto un istituto giuridico del tutto nuovo, proprio. del diritto �tributario, ed iJ cui nucleo centrale � indennitario (e non restitutorio). Questo nuovo istituto non � riducibile a �variante anomala� della tradizionale condictio indebiti, ma ha connotati autonomi che (se proprio si vuol continuare -ed impropriamente -ad usare nozioni civilistiche) sono avvicinabili per taluni aspetti al risarcimento danno, per altri all'arricchimento senza causa, e per altri aspetti ancora alla restituzione dell'indebito oggettivo. Il nucleo indennitario della disposizione si coglie agevolmente se solo si considera che la sostanza precettiva di essa avrebbe potuto essere -senza alcuna differenza in termini di effettiva portata -espressa con fa formula �quando e per quanto ha subito pregiudizio per non aver trasferito l'onere su altri soggetti�. Se si confronta una pretesa indennitaria, per sua natura basata sul verificarsi di un evento dannoso e quindi avente �causa � ben concreta, con una pretesa restitutoria, basata su mero fatto, magari accidentale, della effettuazione di un pagamento, appare evidente che questa seconda � per sua natura �astratta� e, per certi versi, meramente possessoria (come del resto da tempo osservato dalla dottrina civilistica in tema di condictio indebiti) essendo rivolta soltanto a produrre un fatto eguale e contrado al.lo spossessamento avutosi con l'anteriore fatto-pagamento. Significativi i limiti del � suo arricchimento �, del �suo vantaggio� e simHi previsti dagli artt. 2037, secondo comma, 2039, 1443, etc. del codice civile. Del resto, non a caso ancora oggi si parla di condictio indebiti, si usa una nozione (quella .di condictio) che � propria del processo formale romano e che, persino� in quello, segna un momento di particolare astrattezza e formalismo; laddove invece i.tl diritto moderno guarda al momento sostanziale pi� 50 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO che, la ratio ispiratrice della norma impugnata, come enunciato nella relazione, appare ragionevole e plausibile per cui, tenuto conto dei presupposti d'ordine economico su cui essa si fonda e delle finalit� che si intendono perseguire, la deroga apportata alla disciplina comune prevista dall'art. 2033 cod. civ., appare congrua e giustificata; che, in particolare, per quanto attiene all'onere probatorio del mancato trasferimento del peso fiscale su altri soggetti, esso trova fondamento nella presunzione ispiratrice della norma secondo la quale l'operatore economico percosso da taluni tipi di imposta, normalmente, le riversa sui soggetti che da lui acquistano beni o servizi; che, tale presunzione su cui si basa il legislatore, secondo le regole di comune esperienza, non appare irragionevole, mentre i suoi effetti, che a quello !PI'Ocessuale, e -di norma -d� rilievo a causae petendi .non astratte ma �causali�, radicate nella realt�. Se ancor oggi si parla di condictio indebiti � perch� causa petendi dell'azione civilistica di restituzione �, in pratica, rimasto il fatto-pagamento, un fatto cio� di �mera legittimazione� (un po' come un credito cambiario) che prescinde sia dalla esistenza e consistenza di un effettivo pregiudizio da paga� mento indebito. Se si abbandona -come deve abbandonarsi -il quadro di riferimento della condictio indebiti civilistica, risulta evidente come >l'evento �pregiudizio dell'operatore economico � sia un fatto positivo, che solo partendo dalla � astrattezza � di �una pretesa restitutoria di stampo possessorio pu� erronea� mente essere raffigurato come fatto negativo. Si � detto dianzi che l'istituto di diritto tributario di che trattasi presenta qualche aspetto avvicinabile alla restituzione dell'indebito obiettivo. Ed invero esso a questa si avvicina a) quando stabilisce che l'operatore economico non pu� ottenere pi� di quanto esso ha pagato (maggiorato ovviamente degli interessi), anche se -in ipotesi -il preg1udizio fosse concretamente stato maggiore, e b) quando individua nel soggetto che ha p_agato il legittimato a ripetere. La Corte di Giustizia deHe C.E., fin dalla ricordata sentenza 27 febbraio 1980, ha saggiamente riconosciuto che il criterio dell'arriccrnmento pu� costi� tu�!re �la chiave di volta delle norme riguardanti la restituzione dei tributi versati per errore o indebitamente �; � chiave di volta�, dunque, e non speciale � deroga�. Ed invero attribuire al soggetto che nessun danno o parziale danno ha in concreto sofferto per effetto del pagamento, il diritto a ripetere tutto quanto pagato, equivale ad assegnare a tale soggetto un � arricchimento senza causa�, a sovraindennizzarlo di un danno che non sopportato, equivale -a ben vedere -a far derivare acriticamente un diritto sostanziale da una mera legittimazione processuale solo formale. Il diritto moderno non � costituito da un insieme di � formule processuali �; e, di per s� isolatamente considerato, il fatto storico pagamento non necessariamente (anzi, nell'ambito tributario, neppur �normalmente�) esprime una realt� sostanziale di depauperamento del soggetto che lo effettua. Razionale quindi che ad un insieme composito di fatto (il pagamento :pi� il verificarsi di un arricchimento da avvenuta traslazione o -se si preferisce -di un pregiudizio da non-traslazione) si assegni un ruolo di � fattispecie � costitutiva del diritto a ripetere. Ovviamente una � fattispecie � siffattamente composita pone dei problemi di prova, resi pi� delicatJi dalla molteplicit� delle operazioni commerciali � a j ! PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIO!"ALE 51 consistenti nel porre a carico del solvens� l'onere probatorio della mancata traslazione, escludono, attraverso la esplicita previsione della pos� sibilit� di fornire la prova contraria, una qualche lesione del diritto di agire in giudizio (art. 24 Cost.); che, peraltro, nonostante l'autorevole orientamento giurisprudenziale formatosi in relazione a tributi rilevanti nell'ordinamento comunitario, pu� ritenersi -per quel che concerne tributi che tale rilievo non hanno, e rispetto ai quali nel presente giudizio il sindacato di questa Corte va riferito esclusivamente ai parametri costituzionali invocati -che l'esercizio del diritto di azione non � vanificato o comunque illegittimamente compresso dalla previsione di una prov� documentale, anche in relazione a fattispecie createsi in epoca anteriore all'entrata in vigore della norma; che devesi difatti rilevare che quest'ultima non richiede un .documento specifico e preordinato alla dimostrazione della mancata trasla- valle� e dalla difficolt� pratica di quantificare l'arricchimento (o, specularmente, il depauperamento). Questi per� sono inconvenienti empirici, non circostanze determinanti per una ricostruzione te9rica; del Testo, la stessa Corte di cassazione, oggi poco propensa a discostarsi dallo schema tradizionale della condictio indebiti, iin passato ritenne legittimato a chiedere il rimborso de1l'I.G.E. (imposta generale sull'entrata) indebitamente pagata anche il sog� getto che non l'aveva pagata ma ne aveva sopportato l'.onere economico in via di rivalsa. Prima di concludere, giova sottolineare� che l'art. 19 non deve essere valu� tato avendo presente soltanto le pronunce che, sulle disposizioni impositive, possono essere rese dalla Corte Costituzionale o dalla Corte di giustizia delle C.E. -La portata dell'art. 19 � generale, e quindi copre anche (e prima di tutto) i casi nei quali nessuna sentenza costituzionale o comunitaria � stata resa. Sembra necessario sottolineare questo punto perch� finora le liti sono sorte per solito in occasione di sentenze interpretative comunitarie; H che ha prodotto una distorsione ottica, ed ha in qualche misura collegato la disposi� zione in esame con la problematica relativa alla retroattivit� ed alla efficacia erga omnes di dette sentenze. Tra questa problematica e l'art. 19 di che trattasi v'� un collegamento, ma solo empirico ed occasionale, non logico-giuridico e necessario. Deve quindi ritenersi per cos� dire �estemo � al tema qui trattato un argomento cui talvolta �. stato accennato; e cio� l'argomento che occorre evitare di scoraggiare, di fatto (svuotando i vantaggi pratici conseguibili dal pri� vato), il sindacato costituzionale e comunitario sulle leggi nazionali (la Com� missione C.E. ha da armi attiviato uno � sportello � al quale possono accedere -con denunce alle quali viene garantita una piena � riservatezza� -gli operatori economici interessati a che uno Stato membro sia messo � sotto accusa�). Il contemperamento tra questa esigenza e le .ragioni di razionalit� fiscale e di equit� espresse dall'art. 19 va ricercato, ma avendo chiara la consapevolezza che tutto considerato si tratta di problema marginale e non �centrale � rispetto all'operare della disposizione di che trattasi. Ferma restando tale marginalit� del problema, si segnala che esso � stato prospettato anche alla Corte costituzionale nella controversia condusasi con l'ordinanza 681 del 1988; la Corte ha comprensibilmente avuto cura dd inter� 5 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO zione, essendo evidente che il legislatore ha inteso riferirsi a scritture dalle quali il fatto da provare possa dedursi anche indirettamente; che, in tal senso, l'obbligo di conservazione dei libri e delle scritture contabili, imposto all'imprenditore, esclude, anche in riferimento agli effetti retroattivi della norma, quel grado di difficolt� probatoria c:P,e, ad avviso del giudice a quo, renderebbe praticamente impossibile l'eser� cizio del diritto di ripetizione; I che, per quanto attiene alla lamentata lesione del principio di egua� glianza, la ratio, perseguita dalla norma, di evitare l'arricchimento senza causa di alcuni operatori economici a danno di una maggioranza ' di altri soggetti (effettivamente incisi dall'onere tributario), consente di giustificare il diverso regime di ripetizione �dell'indebito in relazione a quei tributi, per i quali, attesa la loro peculiare natura, il fenomeno ferire il meno possibile ne1l'ordinaimento comunitario, anche per evitare di entrare in rotta di ooliliisione con la Corte di Giusti:llia C.E. lrnteressanti cionondimeno le parole con le quali la Corte costituzionale ha motivato il proprio non liquet, parole che giova riportaire: �la retroattivit� delle statuizioni (rectius, delle declaratorie interpretative) della Corte di giustizia delle C.E., il cui oggetto va individuato anche .in relazione all'atto introduttivo del giudizio (aggiungasi �a quo�), ... comporta l'illegittimit�, e quindi la ripetibilit�, dei diritti doganali in questi.ooe �, La Corte costituzionale, dunque, ha considerato, e giustamente, che occorre riconoscere retroattivit� alle pronunce del Giudice comunitario, non per� una retroattivit� piena (cio� limitata solo dall'operare della prescrizione) bens� una retroattivit� circoscritta alla data del!'� atto introduttivo del giudizio" a quo. In altre parole, occorre solo una retroattivit� funzionale all'esigenza prioritaria di rendere � azionabili � le ipotizzate violazioni dell'ordinamento comunitario; similmente la Corte di Giustizia C.E. quando ha accennato a quel poco di retroattivit� che � strettamente indispensabile per consentire ai singoli di � azionare � la normativa comunitaria (senza sentirsi opporre una inammissibilit� della domanda per carenza di 1nteresse) e cio� per salvaguar� dare il ruolo interpretativo della Corte di giustizia C.E. Quanto autorevolmente affermato dalla Corte costituzionale (in esito a giudizi nei quali ampio e vivace � stato il contraddittorio, ben pi� di quanto appaia dalle ordinanze) � da condividere. Atl principio della rilevanza della avvenuta traslazione � in avanti >>, nonch�. al principio che lo Stato membro � -per diritto comunitario -obbligato ad eliminare le sue norme dichiarate contrastanti con il divieto di discriminazione (non ad estendere a tutti gli operatori le agevolazioni o gli abbuoni ritenuti discriminatori), occorre apportare una deroga circoscritta ed eccezionale per riconoscere una sorta di � premio � a favore di coloro che, prima della declaratoria di incompatibilit� di un tributo in quanto avente � effetto �equivalente a daziio doganale� o della declaratoria di � similarit�� ai fini dell'art. 95 del Trattato CEE, hanno sollevato la questione poi ritenuta fondata dalla Corte di giustizia C.E. � evidente che tutto ci� comporta un cospicuo sforzo ricostruttivo del tessuto dell'ordinamento normativo, sia sul piano della produzione legislativa sia su quello dell'interpretazione. Occorre avere piena consapevolezza del fatto che un fenomeno istituzionale cos� nuovo, eccezionale e � creativo �, quale PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 53 della traslazione costituisce un'evenienza normale nella prassi dell'economia di mercato; che, difatti, in riferimento al presupposto impositivo ed ai beni sui quali gravano, i tributi individuati dal legislatore nella norma impugnata si caratterizzano appunto per una particolare attitudine ad essere trasferiti su altri soggetti, e quindi per lo scarso grado di probabilit� che l'indebito possa restare definitivamente a carico del patrimonio di chi lo ha corrisposto; che, peraltro, proprio la fattispecie oggetto del giudizio a quo � emblematica di tale realt� in quanto, come gi� posto sopra in evidenza, il Comitato provinciale prezzi aveva consentito la maggiorazione per una certa aliquota del prezzo del prodotto fino al totale recupero della imposta di fabbricazione, il che dimostra come il fenomeno, in tale imposta e nelle altre considerate dalla norma in esame, sia idoneo a giustificare lo speciale apprezzamento fattone dal legislatore nel porre la presunzione, essendosi tenuto conto dell'id quod plerumque accidit, nella materia della produzione e dello scambio; che la lamentata diversit� di regime non appare perci� ingiustificata, dovendosi escludere l'omogenit� delle situazioni poste a raffronto, peraltro in termini generici, dal giudice a quo; che, pertanto, la questione va dichiarata manifestamente infondata in tutti i suoi profili. la vicenda comunitaria indubbiamente �, esige all'interno dei singoli Stati risposte altrettanto nuove, eccezionali e �creative �; sarebbe semplicemente inadeguato appiattirsi su strumenti concettuali utili a tutt'altre situazioni (quale la condictio indebiti) e subire passivamente il troppo banale desiderio di lucrum captare di commercianti operanti fn passaggi privilegiati del sistema economico. Rimane comunque fermo �che con l'ordinanza n. 651 in rassegna la Corte costituzionale ha sgomberato definitivamente il campo dalla � reazione di rigetto � opposta dagli interessati, e purtroppo anche da numerosi Giudici, alle disposizioni (taluna di principio generale) contenute nell'art. 19 in questione. La non-impossibiJit� per �l'importatore di da!I'e la prova richiestagli dall'art. 19, la ['agionevolezza della presunzione di avvenuta traslazione, l'utilizzabilit� delle scritture contabili e dei documenti d'impresa, e l'esigenza persino secondo parametri costituzionali di evitare l'� arricchimento senza causa di alcuni operatori economici � costituiscono altrettante affermazioni di principio ormai non pi� discutibili. FRANCO FAVARA SEZIONE SECONDA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 68 sez., 8 dicembre 1987, nella causa 144/86 -Pres. Due -Avv. Gen. Mancini -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte di cassazione italiana nella causa Gubisch Maschinenfabrik c. Palumbo -Interv.: Governi della Rep. fed. di Germania (ag. Bohmer) e italiano (avv. Stato Fiumara) e Commissione delle C.E. (ag. Berardis). Comunit� europee � Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968 sulla competenza giurisdizionale � Competenza � Nozione di litispendenza. (Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968, ratificata e resa esecutiva in Italia con leg� ge 21 giugno 1971, n. 804, art. 21). La nozione di litispendenza di cui all'art. 21 della convenzione del 27 settembre 1968 contempla il caso in cui una parte presenti ad un giudice di uno Stato contraente una domanda volta alt' annullamento o alla risoluzione di un contratto di vendita internazionale mentre una domanda dell'altra parte volta all'esecuzione del medesimo contratto � pendente dinanzi ad un giudice di un altro Stato contraente (1). (omissis). 1. -Con ordinanza 9 gennaio 1986, pervenuta alla Corte il 12 giugno seguente, la Corte Suprema di Cassazione ha proposto, a norma del protocollo 3 giugno 1971 relativo all'interpretazione da parte (1) La convenzione di Bruxelles p.revede in .due separati articoli (21 e 22) le ipotesi rispettivamente di litispendenza e di connessione. Si ha litispendenza, secondo l'art. 21, quando, davanti a giudici di Stati contraenti differenti, �fra le stesse parti siano state proposte domande aventi il medesimo oggetto e il m�desimo titolo �. Si ha connessione quando, davanti a giudici di Stati con� traenti diversi, sono proposte � cause aventi fra di loro un legame cos� stretto da rendere opportune una trattazione e decisione uniche per evitare soluzioni fra di loro incompatibili ove le cause fossero trattate separatamente >>. La def�Jili2lione di cOillilessione contenuta nel 3� comma dell'art. 22, -ha avuto cura di precisare la relazione Jenard alla convenzione (in Bollettino delle Comunit� europee, supplemento 12/72} -, si � resa necessaria �perch� il termine 'connessione' non ha negli Stati membri lo stesso significato�. D.i fronte a due domande, dirette l'una aHa risoluziione o all'annullamento di� un contratto di vendita internazionale di beni mobili materiali e l'altra all'e� secuzione del medesimo contratto, la Corte ha adottato un'interpretazione ampia della nozione di litispendenza, rilevando che, paoifica l'identit� di soggetti e PARm I, SBZ. II, GIURIS. COMUNITARIA :S INTERNAZIONALE ss della Corte di giustizia della Convenzione 27 settembre 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (in prosiegun: la Convenzione), una questione pregiudiziale relativa all'interpretazione dell'art. 21 della Convenzione. 2. -La questione � stata sollevata nell'ambito di una controversia tra la ditta Gubisch Maschinenfabrik AG, con sede in Flensburg (Repubblica federale di Germania) e il sig. Palumbo, residente in Roma, in merito alla validit� di un contratto di vendita. Il Palumbo aveva convenuto in giudizio la Gubisch dinanzi al Tribunale di Roma per sentir dichiarare l'inefficacia di detto contratto in quanto la sua proposta d'ordine era stata ritirata prima che giungesse alla Gubisch per l'accettazione; in via subordinata, chiedeva che il contratto venisse annullato per vizio della volont� e in linea gradata, che venisse pronunziata la risoluzione del contratto in quanto la Gubisch non aveva rispettato il termine di consegna. 3. -Quest'ultima, eccepiva l'incompetenza del Tribunale di Roma ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 21 della Convenzione facendo valere di aver previamente adito il Tribunale commerciale di Flensburg onde ottenere l'esecuzione della prestazione della quale il Palumbo era debitore in forza del summenzionato contratto e cio� il pagamento del prezzo della macchina acquistata. 4. -Poich� il Tribunale di Roma respingeva l'eccezione di litispendenza fondata sull'art. 21 della Convenzione, la Gubisch adiva la Corte cli titolo, non pu� essere negata l'identit� di oggetto allorch� centro di entrambe le controversie sia, in definitiva, la forza obbligatoria del contratto. Con una interpretazione pi� letterale dell'art. 21 (stesse personae, stessa causa petendi, stesso petitum) una soluzione poteva essere trovata in termini non di litispendenza ma di connessione, ai sensi del successivo art. 22, ricomprendendo in quest'ultima anche quei casi che in alcuni ordinamenti giuridici vengono definiti di �continenza� e ivi sono soggetti ad una disciplina intermedia, come intermedia appare la loro posizione, fra quella della litispendenza e quella della connessione: nell'ordinamento giuridico italiano l'art. 39, secondo comma, del codice cli procedura civile si applica, secondo l'interpretazione giurisprudenziale, non solo quando fra le due cause, caratterizzate da identit� di soggetti e di titolo, sussiste una differenza solo quantitativa circa l'oggetto, nel senso che il petitum di una di esse � pi� esteso in modo da comprendere il contenuto o la pretesa costituente oggetto dell'altra, ma anche quando le questioni dedotte con la lite precedentemente instaurata costituiscano presupposto necessario della definizione di quella successiva fra gli stessi soggetti, come appunto nel caso di domande contrapposte inerenti ad un medesimo rapporto sostanziale, il cui esito dipende dalla definizione di una identica questione di base, in modo che 1a decisione sulla domanda preventivamente avanzata costituisca presupposto necessario della pronuncia sulla domanda successivamente proposta. 56 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Suprema cli Cassazione la quale sospendeva il giudizio e sottoponeva alla Corte la seguente questione pregiudiziale: � Se rientri nella nozione di litispendenza di cui all'art. 21 della Convenzione di Bruxelles in data 27 settembre 1968 il caso in cui in relazione allo stesso contratto una parte chieda dinanzi al giudice cli uno Stato contraente la dichiarazione di inefficacia (o comunque la risoluzione) del contratto mentre l'altra proponga innanzi al giudice di altro Stato contraente domanda di esecuzione dello stesso contratto �. 5. -Per una pi� ampia esposizione degli antefatti, delle fasi del procedimento e delle osservazioni scritte presentate alla Corte, si fa rinvio alla relazione d'udienza. Questi elementi degli atti di causa verranno mer.:ionati in prosieguo solo in quanto necessari per illustrare il ragionamento della Corte. 6. -Onde risolvere la questione sollevata, � opportuno, in via preliminare, determinare se le nozioni di cui viene fatto uso all'art. 21 della Convenzione per descrivere le condizioni di �litispendenza', termine che compare unicamente nell'intestazione della sezione 8 del titolo II, debbano essere interpretate in via autonoma o si debba ritenere che esse fanno rinvio al diritto interno di uno o dell'altro membro interessato. 7. -A questo proposito, occorre sottolineare, come la Corte ha gi� dichiarato nella sentenza 6 ottobre 1986, (causa 12/76, Tessili, Racc. pag. 1473) che nessuna delle due opzioni pu� essere accettata in modo esclusivo, giacch� la soluzione migliore va studiata cli volta in volta per ciascuna norma della Convenzione, in modo tale tuttavia da garantire la piena efficacia cli quest'ultima nella prospettiva delle realizzazioni volute dall'art. 220 del trattato CEE. 8. -In quest'ambito � opportuno ricordare che la Convenzione, secondo il preambolo che riprende in parte i termini del precitato art. 220, persegue in particolare la semplificazione del riconoscimento e dell'esecuzione delle decisioni giudiziarie nonch� il potenziamento nella Comunit� della tutela giuridica delle persone residenti sul suo territorio. Per quel che riguarda pi� in particolare l'art. 21 esso fa parte, con l'art. 22 relativo alla connessione, della sezione 8 del titolo II della Convenzione, sezione la quale, nell'interesse cli una buona amministrazione della giustizia nella Comunit�, � intesa ad evitare procedimenti paralleli pendenti dinanzi ai giudici di diversi Stati contraenti e il contrasto di decisioni che ne potrebbe risultare. Pertanto, questa disciplina � volta ad escludere, per quanto possibile e sin dall'inizio, una situazione come quella contemplata all'art, 27, punto 3�, e cio� H mancato riconoscimento cli una decisione in quanto contrastante con una decisione resa tra le medesime parti nello Stato riichiesto. PARm I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INmRNAZIONALB 9. -Nella sentenza 30 novembre 1976, (causa 42/76, De Wolf, Racc. pag. 1759), la Corte ha d'altronde riconosciuto l'importanza di questa finalit� della Convenzione ancfo~ al di l� dell'ambito limitato della litispendenza, osservando che sarebbe incompatibile con lo spirito degli artt. 26 e segg. relativi al riconoscimento delle decisioni giudiziarie la presentazione d'una domanda giudiziale, identica, sia per quanto ne riguarda le parti, sia per quanto ne riguarda l'oggetto, ad un'altra domanda gi� decisa dal giudice di un altro Stato contraente. 10. -Si deve poi osservare che la nozione di litispendenza non � la stessa in tutti gli ordinamenti giuridici degli Stati contraenti e che, come la Corte ha gi� constatato nella sentenza 7 giugno 1984 (causa 129/83, Zelger, Racc. pag. 2397), non si pu� desumere una nozione comune della litispendenza dall'accostamento delle varie norme nazionali pertinenti. 11. -Tenendo presente le summenzionate finalit� perseguite dalla convenzione e il fatto che il testo dell'art. 21 invece di riferirsi al termine � litispendenza � quale utilizzato nei diversi ordinamenti giuridici nazionali degli Stati contraenti enumera diversi presupposti sostanziali come elementi di una definizione ,se ne deve concludere che le nozioni utilizzate all'art. 21 per determinare una situazione di litispendenza devono essere considerate autonome. 12. -Questo risultato non e m contrasto con la precitata sentenza 7 giugno 1984, in cui la Corte ha affermato che la questione del momento in cui una causa � considerata pendente ai sensi dell'art. 21 della Convenzione dev'essere valutata e ri~olta, per ciascun giudice, .in base al suo diritto nazionale. Questo ragionamento si � fondato infatti sulla mancanza di indicazioni, in quest'articolo, in merito alla natura delle relative formalit� procedurali, dato che la Convenzione non persegue l'unificazione di dette formalit�, prettamente connesse alla struttura processuale nei diversi Stati membri. Esso non pu� quindi pregiudicare l'interpretazione del contenuto sostanziale dei presupposti per la litispendenza di cui all'art. 21. 13. -La questione se una situazione processuale come quella del caso di specie sia contemplata dall'art. 21 deve quindi essere affrontata tenendo presenti le summenzionate finalit� e avendo cura di garantire la coerenza delle disposizioni degli artt. 21 e 27, punto 3�. Le caratteristiche di questa situazione consistono nel fatto che una parte ha presentato ad un tribunale di prima istanza una domanda di esecuzione di una prestazione contemplata in un contratto di vendita internazionale e viene poi messa a confronto con una domanda presentata dall'altra parte in un altro Stato contraente, volta ad ottenere l'annullamento o la risoluzione del contratto stesso. 58 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 14. -Al riguardo, va innanzitutto osservato che, a termini dell'art. 21 questa disposizione si applica qualora le parti nelle due controversie siano le medesime e le due domand~ abbiano il medesimo oggetto e il medesimo titolo; essa non esige alcun altro requisito. Anche se la versione tedesca dell'art. 21 non fa una distinzione espressa fra le nozioni di � oggetto � e �titolo�, essa va intesa nel medesimo senso delle altre versioni linguistiche le quali tutte presentano tale distinzione. 15. -La situazione processuale oggetto della presente questione pregiu� diziale � caratterizzata dal fatto che le stesse parti sono impegnate in due controversie in diversi Stati membri e con lo stesso � titolo �, e cio� il medesimo rapporto contrattuale. Si pone quindi il problema di stabilire se queste due controversie abbiano il medesimo � oggetto � dato che, nel primo caso, la domanda � intesa ad ottenere l'esecuzione del contratto e, nel secondo, il suo annullamento o la risoluzione. 16. -Quando si tratta in particolare, come nel caso di specie, della vendita internazionale di beni mobili materiali, ne risulta che la domanda di esecuzione del contratto � volta a renderlo efficace, e che la domanda di annullamento e di risoluzione � volta appunto a negargli ogni efficacia. La forza obbligatoria del contratto si trova pertanto al centro delle due controversie. Se la domanda di annullamento o di risoluzione � la domanda posteriore, essa pu� addirittura essere considerata un. semplice mezzo di difesa contro la prima domanda presentata in forma di azione autonoma dinanzi ad un tribunale di un altro Stato contraente. 17. -Stando cos� le cose dal punto di vista processuale � giocoforza constatare che le due controversie hanno il medesimo oggetto, dato che quest'ultima nozione non pu� essere ristretta all'identit� formale delle due domande. 18. -Infatti, se in un caso come quello di specie le questioni controverse relative ad un medesimo contratto di vendita internazionale non fos� sero decise dal solo tribunale dinanzi al quale la domanda di esecuzione del contratto � pendente e che � stato adito per primo, la parte che chiede !'-esecuzione del contratto sal'ebbe esposta al rischio di vedersi negare, ai sensi dell'art. 27, punto 3�, il riconoscimento di una decisione resa a suo favore, malgrado il rigetto del mezw di difesa eventualmente presentato dal convenuto e dedotto dalla mancanza di forza obbligatoria del contratto. Non � infatti possibile porre in dubbio che il riconoscimento di una deci� sione giudiziaria resa in uno Stato contraente e che disponga la condanna all'esecuzione di un contratto sarebbe rifiutato nello Stato richiesto qualora esistesse una decisione di un tribunale di quest'ultimo Stato che disponesse I ( I� l'annullamento o la risoluzione del medesimo contratto. Un simile risultato, ! I I PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE S9 che implicherebbe la limitazione degli effetti di ogni decisione giudiziaria al territorio nazionale, sarebbe in contrasto con le finalit� della Convenzione la quale intende potenziare in tutto lo spazio giUridico della Comunit� la tutela giuridica delle persone residenti sul territorio di questa e facilitare il riconoscimento, in ogni Stato contraente, delle decisioni giudiziarie rese in qualunque altro Stato contraente. 19. -Si deve pertanto rispondere al giudice nazionale che la nozione di litispendenza di cui all'art. 21 della Convenzione del 27 settembre 1968 contempla il caso in cui una parte presenti ad un giudice di uno Stato contraente una domanda volta all'annullamento o alla risoluzione di un contratto di vendita internazionale mentre una domanda dell'altra parte volta all'esecuzione del medesimo contratto � pendente dinanzi ad un giudice di un altro Stato contraente. (omissis) CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Sed. plen., 4 febbraio 1988, nella causa 256/85 -Pres. Mackenzie Stuart -Avv. Gen. Da Cruz Vila�a -Repubblica italiana (avv. Stato Fiumara) c. Commissione delle C.E. (ag. Prozzillo). Comunit� europee -Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia (F.E.A.O.G.) � Colorazione dei cereali � Rimborso delle spese. (Reg. CEE della Commissione 6 ottobre 1983, n. 2794, art. 5; reg. CEE del Consiglio 2 ago� sto 1978, n. 1883, artt. 4 e 6; 9 novembre 1981, n. 3247/81). La colorazione dei cereali per la destinazione all'alimentazione zootecnica ai sensi del reg. della Commissione 2794/83, in quanto mira a rendere il prodotto identificabile per agevolare il controllo del suo uso come ali-; mento zootecnico, non pu� essere considerata n� un'operazione di trasformazione di un prodotto destinato all'alimentazione umana in un prodotto destinatoall'alimentazione zootecn�ca, non implicando una modifica delle caratteristiche intrinseche del prodotto, n� un'operazione di uscita dal magazzino, essendo preordinata non al controllo della quantit� o della qualit� dell� merci prima della loro uscita dal magazzino, ma al controllo a posteriori della destinazione della merce. Di conseguenza le spese sopportate per essa dallo Stato membro debbono essere rimborsate dal FEAOG integralmente, purch� il sistema adottato per effettuare la colorazione sia stato il meno costoso possibile, e non forfettariamente. (omissis) 1. � Con atto depositato nella cancelleria della Corte il 19 agosto 1985, la Repubblica italiana ha proposto, a norma dell'art. 173, 1� comma, del Trattato CEE, un ricorso diretto all'annullamento della decisione della Commissione 7 giugno 1985, che fissa un importo forfettario per il rimborso delle spese relative al trattamento di cereali mediante denaturazione o co RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 60 !orazione per la destinazione degli stessi all'alimentazione zootcnica, quanto meno per la parte in cui si applica all'operazione di colorazione contemplata dal regolamento della Commissione 6 ottobre 1983, n. 2794, relativo alla vendita sul mercato interno di 450.000 tonnellate di frumento tenero panificabile detenute dall'ente d'intervento italiano (G.U. n. L 274, pag. 18). 2. -Dal fascicolo emerge che col regolamento del Consiglio 26 maggio 1983, n. 1322, relativo al trasferimento di 550.000 tonnellate di frumento tenero panificabile detenute dagli enti d'intervento francese e tedesco (G. U. n. L 138, pag. 63), veniva fra l'altro disposto il trasferimento, dall'ente d'intervento francese all'ente d'intervento italiano, di 450.000 tonnellate di frumento tenero da destinarsi all'alimentazione zootecnica. 3. -L'art. 5 del regolamento n. 2794/83, con cui la Commissione ha stabilito le modalit� di detta operazione di trasferimento di 450.000 tonnellate di frumento tenero, disponeva che, al fine di agevolare il controllo dell'uso dei cereali di cui trattasi nell'alimentazione zootecnica, l'ente d'intervento interessato avrebbe provveduto con un minimo di spesa a colorarli onde consentirne l'identificazione. 4. -Dopo aver effettuato la colorazione l'ente d'intervento italiano chiedeva alle autorit� comunitarie il rimborso delle spese che aveva effettivamente sostenuto per detta operazione, ammontanti a 6,15 ECU la tonnellata. 5. -In base all'art. 6 del regolamento del Consiglio 2 agosto 1978, n. 1883, relativo alle norme generali per il finanziamento degli interventi da parte del FEAOG, sezione garanzia (G. U. n. L 216, pag. 1), la Commissione considerava che le suddette spese dovevano essere rimborsate forfettariamente e non integrali:nente. A questo scopo essa adottava la controversa decisione 7 giugno 1985, in cui stabiliva l'importo forfettario di 1,17 ECU la tonnellata come rimborso spese in caso di colorazione dei cereal\,_,� da destinare all'alimentazione zootecnica. 6. -Per una pi� ampia esposizione degli antefatti, delle norme di diritto comunitario vigenti, nonch� dei mezzi e degli argomenti delle parti, si rinvia alla relazione d'udienza. Questi elementi del fascicolo sono menzionati in prosieguo solo se necessario al ragionamento della Corte. 7. -Il Governo italiano, ritenendo che la decisione di cui trattasi sia lesiva nei suoi confronti, l'ha impugnata col presente ricorso, a sostegno del quale ha dedotto due mezzi. In primo luogo esso sostiene che con l'adozione di detta decisione la Commissione ha infranto e applicato erroneamente gli artt. 4 e 6 del regolamento del Consiglio n. 1883/78 nonch� l'al PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE legato I del regolamento della Commissione n. 3247/81, in relazione al re� golamento del Consiglio n. 1322/83 e al regolamento della Commissione n. 2794/83. In secondo luogo il Governo italiano deduce che la Commissione ha commesso uno sviamento di potere poich�, interpretando e applicando erroneamente l'art. 6 del regolamento n. 1883/78, si � arrogata il potere di rimborsare forfettariamente le spese di colorazione. 8. -Si deve rilevare che il mezzo di sviamento di potere fatto valere dalla ricorrente si risolve in sostanza nel dedurre la violazione di una norma giuridica, nella fattispecie, l'art. 6 del regolamento n. 1883/78 che costituisce gi� oggetto del primo mezzo. Risulta pertanto che il secondo mezzo dedotto coincide nella fattispecie con il primo, di modo che essi devono essere esaminati contemporaneamente. 9. -Il Governo italiano sostiene che l'operazione di colorazione non rientra in nessuna delle categorie di �operazioni specialmente indicate nel punto I-1 dell'allegato I del regolamento del Consiglio 9 novembre 1981, n. 3247, relativo al finanziamento, da parte del FEAOG, sezione garanzia, di talune misure d'intervento, in particolare di quelle consistenti nell'acquisto, nel magazzinaggio e nella vendita di prodotti agricoli da parte degli organismi d'intervento (G. U. n. L 327, pag. 1), per le quali vige una disciplina di rimborso mediante importi forfettari. Di conseguenza, detta operazione dovrebbe essere inquadrata, residualmente, f.ra le altre operazioni di cui al punto I-3 del medesimo allegato, per le quali � contemplato il rimborso in� tegrale. Il Governo italiano sottolinea che del resto la Commissione se ne � resa conto quando ha avuto cura di precisare nell'art. 5 del suddetto regolamento n. 2794/83 che �la colorazione dev'essere effettuata con un minimo di spesa �. 10. -Dal canto suo la Commissione, basandosi sull'art. 6 del regolamento n. 1883/78, sostiene che per principio, salvo deroga espressa, le spese relative a interventi per cui non sono stabiliti importi unitari devono essere rimborsate secondo il sistema degli importi forfettari. Di conseguenza, siffatto sistema di rimborso dovrebbe applicarsi all'operazione di colorazione, in mancanza di una deroga espressa nel regolamento n. 3247/81. ll. -Ad avviso della Commissione, le spese connesse all'operazione di colorazione devono comunque essere rimborsate mediante importi forfet� tari, sia che si ritenga che la colorazione, istituita a fini di controllo, costituisca un'operazione materiaile relativa all'uscita dal magazzino di un prodotto detenuto da un ente d'intervento ai sensi del punto I-1, lett. e), dell'allegato I del regolamento n. 3247/81, sia che si equipari detta colorazione ad un'operazione materiale di trasformazione di un prodotto, il che con 62 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sentirebbe di includerla nel punto 1-1, lett. d), dell'allegato I. La disposizione contenuta nell'art. 5 del regolamento n. 2794/83, a tenore della quale �la colorazione dev'essere effettuata con un minimo di spesa �, sarebbe giustificata dalla consideralione che, anche qualora il rimborso sia effettuato mediante importi forfettari, questi sono calcolati in base e costi reali che devono essere mantenuti bassi per ottenere importi forfettari ridotti al minimo. 12. -A questo proposito, si deve rilevare che l'art. 6 del regolamento n. 1883/78, norma su cui la Commissione si � basata per l'emanazione della controversa decisione 7 giugno 1985, dispone quanto segue: �Le operazioni materiali occasionate dal magazzinaggio e, se del caso, dalla trasformazione di prodotti acquistati dall'organismo di intervento, sono finanziate dal FEAOG, sezione garanzia, mediante importi forfettari uniformi per la Comunit�, da determinarsi applicando la procedura di cui all'articolo 13 del regolamento (CEE) n. 729/70 e, se necessario, previo esame del comitato di gestione interessato �. 13. -Dal testo stesso di detto articolo emerge chiaramente che esso riguarda non tutte le operazioni materiali relative ad una misura d'intervento, ma soltanto quelle occasionate dal magazzinaggio o dalla trasformazione, di modo che la Commissione avrebbe potuto legittimamente disporre il rimborso delle l�pese relative all'operazione di colorazione mediante importi forfettari solo qualora detta operazione avesse costituito un'operazione materiale occasionata dal magazzinaggio o dalla trasformazione di un prodotto acquistato dall'ente d'intervento. 14. -Dato che l'allegato I, punto I, del regolamento n. 3247 precisa ci� che si deve intendere per operazioni materiali ai sensi dell'art. 6 del regolamento n. 1883/78, occorre in realt� esaminare se la colorazione dei cereali possa essere definita operazione materiale relativa all'uscita dal magazzino (punto 1-1, lett e), oppure operazione di tra:sfo:ru:nazione del prodotto (punto 1-1, lett d). 15. -La colorazione dei cereali -diversamente da quanto sostiene la Commissione -non pu� essere considerata operazione di trasformazione, ai sensi del punto 1-1 lett. d), dell'allegato I, di un prodotto destinato all'alimentazione umana in prodotto destinato all'alimentazione zootecnica. La nozione di trasformazione, nel signific�to abituale del termine, implica infatti una modifica delle caratteristiche intrinseche del prodotto, mentre la colorazione di cui trattasi mira solo a rendere i cereali identificabili �per agevolare il controllo del loro uso come alimenti zootecnici. A questo proposito � d'altronde significativo che la Commissione, nella PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE decisione 7 giugno 1985, abbia ritenuto opportuno includere le spese con� trc:iverse nelle spese relative all'uscita dal magazzino. 16. -Non pu� essere accolto neanche l'argomento della Commissione secondo cui le spese di colorazione devono essere equiparate a spese di controllo che di regola costituiscono parte integrante delle spese relative all'uscita dal magazzino. 17. -Anche se la colorazione dei cereali � stata disposta a fini di controllo e i cereali possono uscire dal magazzino per essere usati nell'alimentazione zootecnica solo dopo tale colorazione, si deve tuttavia rilevare che l'unico scopo di siffatta operazione di controllo � quello di consentire la verifica della destinazione finale di detti prodotti. In ci� essa si distingue dalle altre operazioni di controllo che la Commissione, alla luce dei questionari da essa inviati agli Sfati membri per la revisione degli importi forfet. tari e dei documenti di lavoro relativi alla determinazione di detti importi, considera incluse nelle operazioni di uscita dal magazzino. Infatti con queste operazioni si mira a controllare :I.e quantit� o la qualit� delle merci prima della loro uscita dal magazzino, e non a controllare a posteriori la destinazione della merce. Esse perseguono pertanto, a diffe. renza dell'operazione di colorazione, uno scopo direttamente connesso all'uscita dal magazzino. 18. -Dato che l'operazione di colorazione non pu� essere considerata operazione materiale di uscita dal magazzino o di trasformazione, si deve far riferimento alla sola disposizione di regolamento riguardante le spese connesse all'operazione di colorazione, e cio� all'art. 5 del regolamento n. 2794/83, il quale dispone che �la colorazione dev'essere effettuata con un minimo di spesa�. In base all'esame del testo di detto articolo si deve ritenere che le spese connesse all'operazione di colorazione devono essere rimborsate integralmente purch� il sistema adottato per effettuare la colorazione sia stato il meno costoso possibile, punto che non � stato sollevato nell'ambito del presente ricorso. 19. -Dalle considerazioni che precedono emerge la fondatezza del mezzo relativo alla violazione e all'erronea applicazione degli artt. 4 e 6 del regolamento del Consiglio n. 1883/78, nonch� dell'allegato I del regolamento della Commissione n. 3287/81. 20. -Ne consegue che la decisione della Commissione 7 giugno 1985 dev'essere annullata nella parte in cui si applica all'operazione di colorazione contemplata dal regolamento della Commissione 6 ottobre 1983, nu� mero 2794. (omissis) RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 64 CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 6a sez., 25 febbraio 1988, nella causa 299/86 -Pres. Due -Avv. Gen. Darmon -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte d'appello di Genova nel procedimento penale c. Drexl Rainer -Interv.: Governo italiano (avv. Stato Conti) e Commissione della C.E. (ag. Marenco e Fons Buhl). Comunit� europee -Disposizioni fiscali -IVA all'importazione -Base imponibile. (Trattato CEE, art. 95; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 1, 67, 70). Comunit� europee -Disposizioni fiscali -IVA all'importazione -Sanzioni Disparit� di trattamento. (Trattato CEE, art. 95; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 1, 67, 70). L'art. 95 del Trattato CEE dev'essere interpretato nel senso che, nel caso d'importazione da parte di un privato di un bene da un altro Stato membro, che non ha dato luogo n� a sgravio all'esportazione n� a franchigia fiscale nello Stato membro d'importazione, l'IVA all'importazione dev'essere applicata tenendo conto della quota residua dell'IVA pagata nello Stato membro di esportazione ed ancora inglobata nel valore del bene al momento dell'importazione, in modo tale che l'importo di detta quota residua non faccia parte della base imponibile e sia dedotto dall'IVA dovuta all'importazione (1). Una disciplina nazionale che sanzioni le infrazioni concernenti l'IVA all'importazione pi� severamente di quelle concernenti l'IVA sulle cessioni di beni all'interno del paese � incompatibile con l'art. 95 del Trattato CEE qualora detta differenza sia sproporzionata rispetto alla diversit� delle due categorie di infrazioni (2). (1-2) La prima massima conferma quanto era gi� stato affermato dalla Corte di giustizia nelle sentenze del 5 maggio 1982 (causa 15/81, SCHUL I, Racc., 1409), 21 maggio 1985 (caus� 47/84, SCHUL Il, Racc., 1501) e 23 gennaio 1986 (causa 39/85, BERGERES BECQUE, m Racc., 259). La seconda massima � ispirata a principi che la �orte ha pi� volte affer mato in materia di libera circolazione delle persone. La Imo applicazione nella specie suscita, peraltro, notevoli perplessit�. Riproduciamo, sul punto, parte della memoria difensiva redatta per il Gover no italiano. � (Omissis) 4. -La Corte di Genova chiede, in sostanza, se di diritto comunitario obblighi gli Stati membri ad assoggettare le inf.razioni in materia di I.V.A. all'importazione alle stesse sanzioni previste per le infrazioni in materia di I.V.A. sulie cessioni di beni all'interno. Non sembra dubbio che la risposta debba essere nettamente negativa. a ben chiaro, anzitutto, che un obbligo del genere non pu� desumersi dalla disposizione (art. 12, n. 5, della sesta direttiva del Consdglio 17 maggio 1977, n. 77/338/CEE) secondo cui l'aliquota applicabile all'importazione di un bene � PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 65 (omissis) 1. -Con ordinanza 12 novembre 1986, pervenuta alla Corte il 1� dicembre successivo, la Corte d'appello di Genova ha sollevato, a norma dell'art. 177 del Trattato CEE, tre questioni pregiudiziali relative all'interpretazione dell'art. 95 del Trattato, onde determinare la compatibilit� con detta disposizione della normativa italiana in materia di applicazione dell'imposta sul valore aggiunto ai prodotti importati da un altro Stato membro da parte di un privato. 2. -Dette questioni sono state sollevate nell'ambito di un procedimento. penale contro Rainer Drexl, cittadino tedesco, residente in Loano, Italia, imputato del reato di contrabbando per aver importato irregolarmente un'autovettura dalla Repubblica federale di Germania, introducendola e utilizzandola sul territorio italiano senza osservare le norme sulla temporanea importazione. 3. -Risulta dall'ordinanza di rinvio che l'imputato acquistava nella Repubblica federale di Germania un'autovettura d'occasione del tipo Volkswagen Golf, ivi immatricolata, mentre continuava ad essere residente in Italia dove esercitava la professione di odontotecnico. 4. -Il pretore di Albenga giudice di primo grado, accertava un'evasione dell'imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: IV A) per un impor- quella applicata alla fornitura di uno stesso bene effettuata all'interno del paese. Non vi �, infatti, alcuna correlazione fra l'aliquota applicabile ed il sistema delle sanzioni, che deve, ovviamente, tener conto delle profonde differenze fra !'I.V.A. all'importazione e !'I.V.A. interna rispetto all'individuazoine del fatto generatore dell'imposta (art. 10 della sesta direttiva), alla base imponibJle (art. 11), all'individuazione dei debitori d'imposta ed alla determinazione dei rispettivi obblighi (artt. 21 e 22), al regime delle deduzioni (art. 17), ecc. Quanto, poi, all' "uniformit� del sistema fiscale", � sufficiente ricordare che le direttive comunitarie "operano soltanto una armonizzazione parziale del sistema dell'imposta sul valore aggiunto" (sentenza 5 maggio 1982, causa 15/81, ScHUL I, n. 13) e che tale armonizzazione illon riguaTda affatto il sistema delle sanzioni. Ugualmente irrilevante � il richiamo alla "soppressione dei dazi doganali all'interno della Comunit�", rposto che !'I.V.A. all'importazione "va considerata parte integrante di un regime generale di tributi interni ai fini dell'art. 95 del Trattato e la sua compatibilit� col diritto comunitario deve essere valutata alla luce di tale norma e non alla Luce deglii artt. 12 e segg. del T.rattato" (sentenza SCHUL I, cit., n. 21). 5. -Resta da esam�illare la parte del quesito che fa richiamo ai "pr1ncipi di proporzionalit� e di non discriminazione �. II giudice a quo si riferisce, evidentemente, alla giurisprudenza di codesta Corre reLativa alle misure di controllo che gli Stiatii membri possono adottare nell'ambito defila l~bera drcoLazione delle me11ci, dei capita1i e delle persone. Com'� noto, il principio generale da tempo affermato in questa materia � quello secondo cui le misure amministrative di controllo e le connesse sanzioni non devono esulare dai limiti di quanto � strettamente necessario. Le modalit� dei controlli 66 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO to di Lit. 1.134.000 pari al 18 % del rnlore, non contestato, dell'autoveicolo d'occasione. Condannava l'imputato, concesse le attenuanti generiche, ad una multa di Lit. 1.600.000, condizionalmente sospesa, ed alla confisca dell'autovettura. 5. -Dinanzi alla Corte d'appello, l'imputato sosteneva, tra l'altro, che il veicolo in oggetto era stato regolarmente acquistato nella Repubblica federale di Germania ove l'IVA era stata pagata nella misura del 13%, pari a DM 2.148,57. 6. -Stando cos� le cose, la Corte d'appello di Genova ha sospeso il procedimento ed ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: � 1) Se le norme comunitarie in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative all'imposta sulla cifra di affari (articolo 95 del Trattato di Roma), vietino agli Stati membri di assoggettare all'IVA le importazioni da altro Stato membro di autoveicoli ivi acquistati con pagamento dell'IVA e immatricolazione in tale Stato, senza tener conto della quota residua dell'imposta sul valore aggiunto corrisposta nello Stato membro esportatore ancora inglobato nel valore della merce al momento dell'importazione. non devono perci�, essere concepite d111 modo da limdtiare le libert� volute dal Trattato e dalle norme derivate. Non � lecito, inoltre, comminare sanzioni talmente sproporzionate rispetto alla gravit� dell'infrazione da risolversi in un ostacolo all'esercizio di queste libert� (cfr., ad es., �sentenza 11 novembre 1981, oausa 203/80, CASATI, R:acc. pag. 2595, l!l. 27). Questa giurisprudenza si riferisce, come si � detto, all'ipotesi in cui una norma o un principio di diritto comunitario riconosca ai privati un diritto, Ii � pur consentendo misure di verifica del suo legittimo esercizio. Allo scopo di non ��vanificare il diritto �riconosciuto, � chiaro che le misure ammesse non possono eccedere il limite segnato dalla stretta necessit� e le relative sanzioni non i devono essere talmente sproporzionate da risolversi in una vera e propria limitazione della libert� prevista dal diritto comunitario. Al di fuori di questa ben delimitata ipotesi, i richiamati principd giurisprudenziali non possono trovare applicazione. In particolare, allorch� si tratti dell'osservanza di norme tributarie nazionali, gli Stati membri sono i soli competenti a disciplinare le relative sanzioni penali e amministrative, e non incontrano alcun limite all'esercizio di tale competenza nel diritto comund:tario. Gli obblighi fiscali non possono, infatti, considerarsi alla stregua di semplici formalit� accessorie rispetto all'esercizio delle libert� previste dal Trattato. Si tratta, al contrario, di un settore del tutto autonomo, nel quale, nell'attuale stadio dii evoluzione del diritto comun[tiario, spetta al le~slatore na2iionale la competenza primaria. Tale competenza incontra certamente una serie di limiti. di diritto comunitario. Ma tali limiti si pongono esclusivamente sul piano della disciplina sostanziale e tendono a far s� che gli oneri fiscali imposti dai vari Stati membri non contrastil!lo con le esigenze del mercato comune. Utna vo1ta rispettato ! - PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 67 2) Se l'IVA imposta da uno Stato membro all'importazione, senza tener conto della quota residua dell'imposta ancora inglobata nel valore della merce costituisca, ove la riscossione di tale importo non venga effettuata nelle cessioni delle stesse merci fra privati all'interno dello Stato, un'imposizione interna superiore a quella applicata ai prodotti nazionali analoghi, e come tale vietata ai sensi dell'art. 95 del Trattato. 3) Se le norme dell'ordinamento comunitario che sottopongono alla st.essa aliquota di imposta [e importazioni e le cessioni dello stesso bene all'interno dello Stato membro, ostino ad una normativa nazionale che, nell'ipotesi di mancato pagamento dell'imposta all'importazione, preveda un regime di sanzioni diverse per natura ed entit� rispetto all'ipotesi di mancato pagamento dell'imposta relativa a scambi all'interno �lel paese. E pi� in particolare se le norme comunitarie sull'uniformit� del sistema fiscale e sulla soppressione dei dazi doganali all'interno della Comunit�, in relazione ai prinicipi di proporzionalit� e di non discriminazione elaborati dalla Corte di giustizia, siano di ostacolo ad una normativa nazionale (articolo 70 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633) che, considerando le infrazioni all'IVA all'importazione da Stati membri come reato di contrabbando doganale, applica alle stesse le sanzioni, anche penali, previste dalle leggi doganali relative ai diritti di confine, difformemente da analoghe infra- questo limite, l'osservanza deHe norme nazionali che impongono legittimi obblighi tributari pu� essere garantita dalle sanzioni che il legislatore nazionale ritenga pi� opportune, senza che, in materia, sussistano limiti o vincoli di diritto comunitario. Non si tratta, infatti, di garantire l'effettivo esercizio delle libert� assicurate dal Trattato contro controlli eccessivi o esorbitanti vincoli formali, ma si tratta di assicurare la piena osservanza di norme di diritto tributario sostanziale poste nel rispetto del limite segnato dai principi dell'art. 95 del Trattato e dalle eventuali direttive di armonizzazione emanate in determinati settori. ~ i L'ipotesi di un contrasto fra le disposizioni nazionali che sanzionano l'inos~ servanza di legittime norme tributarie sostanziali ed i principi di diritto comunitario va, quindi, esclusa in radice. 6. -Anche a prescindere da ci�, � certo, in ogni caso, che non sussistono norme o principi di d1riito comunitario di cui si possa ipotizzare l'incompatibilit� con una disciplina nazionale che assoggetti le infrazioni in materia di I.V.A. all'importazione a sanzioni diverse da quelle concernenti !'I.V .A. sulle cessioni di beni all'interno. L'ordinanza di rinvio parla di >infrazioni "analoghe" e fa richiamo all'art. 50 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. � necessario precisare, per�, che tale disposizione (che, in materia di I.V.A. "interna", prevedeva sanzioni penali per evasioni superiori a determinati importi, oltre che per false fatturazioni o registrazioni) � stata abrogata dall'art. 13 del decreto legge 10 luglio 1982, n. 429, convertito nella legge 7 agosto 1982, n. 516. Attualmente, il sistema sanzionatorio vigente in Italia prevede, in materia di I.V.A sulle cessioni di beni e sulle prestazioni di servizi, una serie di sanzioni pecuniarie non penali per le violazioni degli obblighi di fatturazione, registrazione, dichiarazione e versamento, nonch� degli obblighi relathd alla conta 6 68 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO zioni concernenti invece le cessioni degli stessi beni nell'interno dello Stato (art. 50 d.P.R.) �, 7. -Per una pi� ampia espos1z1one dello sfondo normativo e degli antefatti della causa principale, nonch� delle osservazioni presentate alla Corte, si fa rinvio alla relazione d'udienza. Questi elementi degli atti di causa verranno menzionati in prosieguo solo in quanto necessari al ragionamento della Corte. 8. -Le prime due questioni, che � opportuno esaminare congiuntamente, riguardano l'importo di IV A all'importazione che uno Stato membro pu� applicare a un privato che abbia importato un bene usato da un altro Stato membro. La terza questione tocca un problema diverso, e cio� le sanzioni applicate alle infrazioni dell'IVA, pi� severe nel caso di importazione che non nel caso di scambi all'interno del paese. Sulle prime due questioni. 9. -Occorre anzitutto ricordare che, in forza degli artt. 99 e 100 del Trattato, � stato istituito con direttive comunitarie un sistema comune di IVA. La Sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, n. 77/388, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri rela� bilit� (artt. 41 e segg. del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633). Se l'ammontare dei corrispettivi non dichiarati, an!Ilotati o fatturati supera determinati dmporti, si rendono applicabili anche sanzioni penali (arresto o ammenda: art. 1 del citato decreto legge 10 luglio 1982, n. 429). Sanzioni penali gi� gravi (reclusione e multa) sono previste, poi, per le false fatturazioni e per altri analoghi reati (art. 4). Per !'I.V.A. sulle importazioni si applicano, invece, come g.i� si � detto, le sanzioni previste dalle leggi doganali, le quali configurano come reato di oontrabbando (pllillito oon la multa non minore di due e non maggiore di dieci volte i diritti evas�, salve eventuali circostanze aggravanti) la sottrazione di merci al pagamento dei diritti di confine dovuti. � evidente che, nell'ambito di questo sistema, non esiste alcuna " analogia " fra le infrazioni in materia di I.V.A. all'importazione e queUe in materia di I.V.A. "interna". Le prime consistono nella concreta sottrazione di merci al pagamento dcll'imposta, mentre le seconde consistono nella violazione di una ~er.ie di obb~ighi formali o strumentali (dichiarazione, fatturazione, annotazione) imposti dalla legge. E ci� non accade a caso o per un'arbitraria scelta del legislatore italiano, ma risponde alla profonda differenza di natura che intercorre tra i due tipi di imposta. Come ha sottolineato, infatti, la sentenza 5 maggio 1982 (causa 15/81, ScHUL I, Racc. pag. 1409, n. 14) "per quanto riguarda le operamoni al� l'interno di uno Stato membro, il fatto generatore dell'imposta � costituito dalla cessione a titolo oneroso di un bene da parte di un soggetto passivo che agisca in quanto tale, mentre, per quanto riguarda le operazioni all'importazione, il fatto generatore � costitudto dal semplice ingresso di un bene all'in� terno di uno Stato membro indipendentemente dal fatto che abbia luogo o PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 69 tive alle imposte sulla cifra d'affari -Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (G.U. n. L 145, pag. 1), dispone, all'art. 2, che sono soggette all'IVA non solo le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, effettuate a titolo oneroso all'interno del paese da un soggetto passivo, ma anche le importazioni di beni, effettuate da un soggetto passivo o da un privato. L'IVA all'importazione � intesa, al fine di garantire la neutralit� del sistema comune rispetto all'origine dei beni, a porre i prodotti importati nella stessa situazione dei prodotti nazionali analoghi per quanto riguarda gli oneri fiscali gravanti sulle due categorie di merci. 10. -Secondo una giurisprudenza costante della Corte, l'applicazione dell'IVA all'importazione non pu� avere per conseguenza che un prodotto d'importazione sia soggetto ad una doppia imposizione, perch� ci� � in contrasto con l'art. 95 del Trattato. Il problema si pone in particolare quando un privato importa un bene da un altro Stato membro, senza fruire di una franchigia fiscale, dato che il bene � gi� assoggettato all'IVA di tale Stato in mancanza dello sgravio all'atto dell'esportazione che viene praticato se l'esportatore � soggetto passivo. 11. -La Corte ne ha dedotto che l'IVA all'importazione, da parte di un privato, di beni provenienti da un altro Stato membro che non meno un negozio, che l'operazione venga effettuata a titolo oneroso o gratuito, da un soggetto passivo o da un privato". :B evidente che da questa fondamentale differenza di natura e di presupposti fra i due tipi di imposta discende tutta una serie di conseguenze, che ne caratterizzano in maniera nettamente differenziata il relativo regime. In partico� lare, per l'imposta sulle operazioni all'interno, da un lato si eonfigura tutto un complesso di obblighi strumentali gravanti sui soggetti passivi (contabilizzazione, fatturazione, dichiarazione), e dall'altro i versamenti all'erario vanno effettuati, non in corrispondenza delle singole operazioni, ma periodicamente. Tali versamenti devono avere ad oggetto l'importo netto �risultante dalla differenza fra l'ammontare complessivo dell'imposta relativa alle operazioni compiute nel periodo considerato e l'ammontare dell'imposta detraibile " a monte " (art. 22 della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE). L'imposta all'importazione, invece, non pu�, in linea di principio, che essere accertata, liquidata e riscossa per ogni singola operazione, a carico dell'importa� tore, sia esso un " soggetto passivo " o un privato. Il sistema sanzionatorio di obblighi strumentali e finali cos� differenziati fra loro non pu�, quindi, che essere corrispondentemente differenziato. Non ha senso, perci�, invocare principi di proporzionaldt� o di non discriminazione che, trattandosi di situazioni non omogenee, non possono, neppure in astratto, trovare applicazione. Del resto, il criterio seguito dal legislatore italiano, di estendere all'I.V.A. all'importazione le sanzioni previste dalle leggi doganali in materia di diritti di confine, � del tutto coerente con i principi della sesta direttiva 17 mag� gio 1977, n. 77/388/CEE. Tale direttiva stabilisce, infatti, che, per quanto ri� 70 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO hanno beneficiato di uno sgravio all'esportazione, non pu� essere riscossa che nella misura in cui � presa in considerazione la quota residua dell'IVA pagata nello Stato membro d'esportazione ancora inglobata nel valore del prodotto all'atto della sua importazione. 12. -Nella sentenza 21 maggio 1985 (causa 47/84, Gaston Schul, Racc. paig. 1501), la Corte ha precisato che, in tal caso, l'IVA all'importazione dev'essere calcolata tenendo conto dell'importo dell'IVA pagata nello Stato membro esportatore ed ancora inglobata nel valore del prodotto, cos� che tale importo non faccia parte della base imponibile e sia inoltre dedotto dall'IVA dovuta all'importazione. 13. -Viste le . considerazioni che precedono, la prima e la seconda questione vanno cos� risolte: L'art. 95 del Trattato dev'essere interpretato nel senso che, nel caso d'importazione da parte di un privato di un bene da un altro Stato membro, che non ha dato luogo n� a sgravio all'esportazione n� a franchigia fiscale nello Stato membro d'importazione, l'IVA all'importazione dev'essere applicata tenendo conto della quota residua dell'IVA pagata nello Stato membro d'esportazione ed ~ ancora inglobata nel valore del bene al momento dell'importazione, in I guarda il fatto generatore e l'esigibilit� dell'I..VA. all'importazione, possono ap� J plicarsi le diSIIJosizioni relative ai dazi doganali o ai prelievi imposti da norme l comunitarie (art. 10, n. 3, 2� e 3� comma). Prevede inoltre, che gli Stati membri possono adottare come base imponibile il valore definito nel regolamento CEE n. 803/68 (art. 11 lett. B, n. 2). Contempla infine, una serie di esenzioni parai� I lele a franchigie doganali (art. 14, n. 1). L'assimilazione del regJme, anche sanzionatorio, dell'I.V.A. �all'importazione a quello dei diritti di confine, oltre che coerente con la natura ed i presupposti dell'imposta, � quindi anche con� I forme ai principi posti dalle d�:rettive comunitarie. 1l. chiaro, comunque, che nessuna ipotetica violazione del principio di ! proporzionalit� pu� scorgersi nel solo fatto che, nell'ordinamento italiano, le san2lioni in materia di I.V.A. all'importazione hanno sempre carattere penale, mentre quelle in materia di I.V.A. sulle operazioni compiute all'interno si articolano in una serie di misure che vanno dalle sanzioni pecuniarie di carattere amministrativo filno alla reclusione. A parte quanto si � detto sulla corrispondente articolazione dei doveri strumentali imposti ai "soggetti passivi", � evidente che la lotta alle evasioni in materia di I.VA. all'importa:cione (evasioni che possono essere compiute da chiunque, e cio� anche da soggetti non tenuti ad alcun obbligo formale o strumentale di contabilizzazione. fatturazione e dichiarazione) pone problemi del tutto particolari e che un'adeguata risposta a taH problemi pu� essere rappresentata soltanto da una rigorosa e generalizzata repressione penale. Nel complesso, comunque, non pu� certo dirsi che, in Italia, l'onere comportato dalle sanzioni in materia di I.V.A. all'importazione sia pi� gravoso di quello, reso netmmente pi� pesante dal receinte dii. 10 luglio 1982, n. 429, combinato con le sanzioni non penali gi� precedentemente previste, in materia cti. LV.A. sulle ope~azioni compiute all'linterno (MARCELLO CONTI) �, PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE modo tale che l'importo di detta quota residua non faccia parte della base imponibile e sia dedotto dall'IVA dovuta all'importazione. Sulla terza questione 14. -Con questa questione, il giudice nazionale vuole sapere se un regime che commini per le infrazioni concernenti l'IVA all'importazione sanzioni pi� severe di quelle contemplate per le infrazioni concernenti l'IVA sugli scambi all'interno del paese non sia in contrasto con l'art. 95 del Trattato, con la parit� di trattamento e con il principio di proporzionalit�. 15. -Dagli atti di causa si ricava che la normativa italiana distingue tra le due anzidette categorie di infrazioni. Infatti, per le infrazioni in materia d'IVA all'importazione, si applicano le disposizioni della normativa doganale, mentre un diverso regime vige per quel che riguarda l'inosservanza degli obblighi -relativi al pagamento dell'IVA sulle cessioni di beni e sulle prestazioni di servizi all'interno del paese. g assodato che le sanzioni contemplate nell'ambito di quest'ultimo regime sono, di norma, meno severe di quelle che risultano dall'applicazione della normativa doganale. 16. -A questo proposito, il Governo italiano ha osservato in via preliminare che gli Stati membri conservano, in materia di s;mzioni per le infrazioni alla loro normativa fiscale, una competenza esclusiva, la quale non � limitata dall'art. 95 del Trattato e dai principi di non discriminazione e di proporzionalit� n� inficiata dall'armonizzazione in materia di IV A, che verte solo sulla disciplina sostanziale contemplata dalle normative nazionali con l'esclusione dei profili penalistici. 17. -Questo argomento non pu� essere accolto in toto. Sebbene la legislazione penale e il regime sanzionatorio, anche in materia fiscale, rientrino senz'altro nella competenza degli Stati membri, il diritto comunitario pone dei limiti nel caso in cui la normativa nazionale possa incidere sulla neutralit� dei tributi interni rispetto agli scambi intracomunitari, voluta dall'art. 95 del Trattato, nonch� sul buon funzionamento del sistema comune dell'IVA istituito dalle direttive comunitarie. 18. -Come fa Corte ha gi� dichiarato in un altro contesto, quello della libera circolazione delle persone, un sistema di sanzioni non pu� avere per conseguenza di compromettere le libert� contemplate dal Trattato. Ci� si verificherebbe se una sanzione fosse cos� sproporzionata alla gravit� dell'infrazione da divenire un ostacolo alla libert� garantita dal diritto comunitario (cfr. sentenza 3 luglio 1980, causa 157/79, Stanislaus Pieck, Racc. pag. 2171). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 72 19. -Di conseguenza, � d'uopo esaminare, in questa prospettiva, la compatibilit� con il Trattato di un doppio sistema di sanzioni per infrazioni in materia d'IVA come quello predisposto dalla normativa italiana. 20. -L'appellante nella causa principale sostiene che il mancato pagamento dell'IVA dev'essere considerato come una stessa infrazione, indipendentemente dal fatto che si verifichi all'importazione o negli scambi interni, e che, pertanto, una differenziazione del livello delle sanzioni � in contrasto col diritto comunitario. La Commissione sostiene uria tesi analoga, affermando che una normativa nazionale che finisca per repri� mere sistematicamente il mancato pagamento dell'IVA all'importazione con sanzioni pi� severe di quelle applicate in caso di mancato pagamento dell'IVA sulle cessioni effettuate all'interno del paese � incompatibile con l'art. 95 del Trattato. 21. -Il Governo italiano, invece, ritiene che le due categorie di infrazioni non siano comparabili, n� sotto il profilo degli elementi costitutivi delle infrazioni, n� per quanto riguarda le norme che ad esse si applicano. Circa quest'ultimo punto, il Governo italiano richiama l'attenzione sull'art. 10, n. 3, della Sesta direttiva (precitata), ai sensi del quale le disposizioni in vigore per i dazi doganali possono essere applicate per quanto riguarda il fatto generatore e l'esigibilit� dell'IVA all'importazione; un regime di IVA all'importazione analogo a quello dei dazi doganali troverebbe quindi nella direttiva la sua espressa giustificazione. Quanto agli elementi costitutivi dell'infrazione, il Governo italiano sostiene che le infrazioni all'IVA all'importazione consistono nel far entrare un bene all'interno del paese senza pagare l'imposta, mentre le infrazioni all'IVA all'interno possono essere commesse solo da soggetti passivi che sono sottoposti ad un insieme di obblighi strumentali come contabilizzazione, fatturazione, dichiarazione etc. 22. -Occorre constatare a questo proposito che le due categorie di infrazioni di cui trattasi si distinguono per diverse circostanze che attengono tanto gli elementi costitutivi dell'infrazione quanto alla difficolt� maggore o minore di scoprirla. Infatti, l'IVA all'importazione � riscossa all'atto del semplice ingresso fisico del bene nel territorio dello Stato membro interessato, piuttosto che in occasione di uno scambio. Dette differenze implicano che gli Stati membri non sono obbligati ad istituire un regime identico per le due categorie di infrazioni. 23. -Tuttavia, tali differenze non possono giustificare un divario manifestamente sproporzionato nella severit� del:le sanzioni comminate per le due categorie di infrazioni. Una sproporzione siffatta sussiste PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE quando la sanzione comminata per il caso dell'importazione comporta, di norma, pene detentive e la confisca della merce in forza delle norme intese a reprimere il contrabbando, mentre sanzioni comparabili non sono contemplate o non sono applicate . in modo generale, nel caso di infrazione all'IVA negli scambi interni. Tale situazione potrebbe avere effettivamente la conseguenza di compromettere la libert� di circolazione delle merci all'interno della Comunit�, e sarebbe quindi incompatibile con l'art. 95 del Trattato. 24. -Infatti, come la Corte ha affermato nella sentenza 5 maggio 1982 (causa 15/81, Gaston Schul, Racc. pag. 1409), l'interpretazione del� l'art. 95 deve tener conto degli scopi .del Trattato, enunciati negli artt. 2 e 3, fra i quali figura, in primo luogo, l'instaurazione di un mercato comune, nel quale sia eliminato ogni intralcio per gli scambi al fine di fondere i mercati nazionali in un mercato unico il pi� possibile simile ad un vero e proprio mercato interno. La Corte ha aggiunto che � importante che i vantaggi di tale mercato siano garantiti, oltre che ai commercianti di professione, anche ai privati che intraprendano operazioni economiche oltre le frontiere nazionali. 25. -Pertanto, la terza questione va risolta nel senso che una disciplina nazionale che sanzioni le infrazioni concernenti l'IVA all'importa� zione pi� severamente di quelle concernenti l'IVA sulle cessioni di beni all'interno del paese � incompatibile con l'art. 95 del Trattato qualora detta �differenza sia sproporzionata rispetto alla diversit� delle due cate� gorie di infrazioni (omissis). CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Sed. plen., 24 marzo 1988, corretta con ordinanza 27 aprile 1988, nella causa 104/86 � Pres. f.f. Bosco -Avv. Gen. Slynn -Commissione delle Comunit� europee (ag. Marenco) c. Repubblica �italiana (avv. Stato Favara). Comunit� eur�pee � Tributi nazionali in contrasto con il diritto comunitario � Ripetizione dell'indebito -Prova del mancato trasferimento dei tributi sul prezzo delle merci. (Trattato CEE, artt. 9 e 95; d.l. 30 settembre 1982, n. 688, conv. in legge 27 novembre 1982, n. 873, art. 19). La preminenza e l'efficacia diretta delle disposizioni del diritto comunitario non sottraggono gli Stati membri all'obbligo di eliminare dal loro ordinamento giuridico interno le disposizioni incompatibili con il diritto comunitario; la Repubblica italiana � venuta meno a tale obbligo mantenendo in vigore, dell'art. 19 del d.l. 30 settembre 1982, n. 688: a) la RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 74 disposizione che consente al contribuente esclusivamente la prova documentale dell'a,vvenuta traslazione in avanti dell'onere per i tributi percetti e b) la disposizione che attribuisce effetto retroattivo alla disposizione indicata sub a). (1). (omissis). 1. -Con atto depositato nella cancelleria della Corte il 2 maggio 1986, la Commissione delle Comunit� Europee ha proposto, a norma dell'art. 169 del Trattato CEE, un ricorso inteso a far dichiarare che:. a) col tn1sferire sul contribuente l'onere di provare che diritti e tasse nazionali indebitamente corrisposti, perch� contrastanti con gli artt. 9 e segg. e 95 del Trattato, non sono stati trasferiti su altri soggetti, -con l'ammettere a tale riguardo solo la prova documentale, -con l'attribuire a dette disposizioni effetto retroattivo, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi impostdle dagli artt. 5, 9 e segg. e 95 del Trattato; ---~ --�----------�---..---~----~ . b) legiferando� in materia di rimborso dei dazi stabiliti dalla Tariffa Doganale Comune e dei diritti all'importazione e all'esportazione stabiliti nell'ambito della politica agricola comune, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi impostile dall'art. 5 del Trattato e dal regolamento del Consiglio 2 luglio 1979, n. 1430 (G. U. n. L. 175, pag. 1). (1) La sentenza � pubblicata nel testo risultante da correzione ad essa apportata con ordinanza 27 aprile 1988, in seguito ad istanza dell'Avvocatura dello Stato (la quale ha rilevato una non innocua discordanza tra testo origi� nario redatto in lingua francese e traduzione italiana). La precedente sentenza 9 novembre 1983 � in questa Rassegna, 1983, I, 848. Per l'afrermazione contenuta nel punto 12 della motivazione, cfr. la sentenza 15 ottobre 1986, in questa Rassegna, 1987, I, 36. Sull'art. 19 del dl. n. 688 del 1982, cfr. anche Corte Cost., 16 giugno 1988, n. 651, pubblicata in questo numero. La Corte di giustizia ha rimproverato al legislatore italiano di aver omesso di adeguare, mediante una sostituzione o modifica dell'art. 19 predetto, l'ord�� namento normativo nazionale ai principi affermati nella sentenza 9 novembre 1983 citata. La inosservanz�a del legislatore italiano � stata resa pi� evidente dal comportamento del legislatore francese, il quale invece nel dicembre 1986 ha proceduto ad adeguare la parallela disposizione che esisteva ed esiste in quell'ordinamento; il nuovo testo ha ricevuto il placet della Commissione C.E. che ha quindi archiviato la procedura di infrazione avviata, all'inizio, anche contro la Repubblica francese. L'Avvooatura generale dello Stato, non appena edotta deMa vicenda legisla� tiva francese, ha prospettato l'opportunit� di procedere parimenti e senza indugio, Il suggerlmenrt:o � rimasto finora senza seguito alcuno; il P1arlamento non � stato ancora investito del problema. D'rutrio canto, la dissonanza tra ordim1amento giuridico nazionaile e principi enunciati nella sentenza Corte giust. 9 novembre 1983 citata � stata acuita PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 75 2. -Dopo la chiusura della fase orale, la Commissione, con lettera pervenuta alla cancelleria 1'8 febbraio 1988, dichiarava di rinunciare al secondo capo della sua domanda. Precisava per� di tener ferme tutte le altre conclusioni formulate nell'atto introduttivo, comprese quelle miranti alla condanna della convenuta alle spese. 3. -Con telex 18 febbraio 1988 la Repubblica italiana, ottemperando all'invito della Corte a presentare le sue osservazioni in proposito, manifestava il suo accordo sulla rinuncia parziale della Commissione agli atti e precisava che, per quanto riguarda la parte della controversia che non costituiva oggetto della rinuncia, teneva fermi tutti gli argomenti presentati nella controreplica, compresi quelli in relazione ai quali la Commissione aveva effettuato la rinuncia parziale. Di conseguenza, occorre esaminare solo la prima censura formulata dalla ricorrente. 4. -Per quanto riguarda le disposizioni nazionali e comunitarie di cui trattasi, ncmch� i mezzi e gli argomenti delle parti, si rinvia alla relazione d'udienza. Questi elementi del fascicolo sono menzionati in prosieguo solo se necessario al ragionamento della Corte. 5. -La Commissione sostiene che l'art. 19 del decreto legge 30 settembre 1982, n. 688 (G. U. della Repubblica italiana del 30 settembre 1982, n. 270), convertito in legge 27 novembre 1982, n. 873 (G. U. della Repubdall'orientamento assunto dalla giurisprudenza della I sezione� civile della Corte di Cassazione, pronunciatasi nel senso di una " indivisibilit�" dell'art. 19 in questione. Se la -pervero molto op:i:nabLle -tesi della " indivisioolit� " non fosse stata adottata, le questioni sollevate dalle parole "prova documentalmente che" (e dalla retroattivit� ad esse relativa) sarebbero state da tempo superate, come confermato dall'atteggiamento assunto dal Governo italiano nella causa decisa dalla sentenza in rassegna. Il risultato pratico � che per ora, e finch� perdurer� l'inerzia anzidetta, il gettito di tributi sostanzialmente pagati dai consumatori italiani sar� devoluto ad una dozzina di importatori (massimi beneficiari del c.d. mercato comune europeo) anzich� "a concorrere alle spese pubbldche" (art. 53 Cost.). 1:: appena il caso di osservare che anche la sentenza in rassegna ha contraddetto la tesi della "indivisibilit�", appuntando le censure su specifiche e circoscritte parti del citato art. 19 (le stesse che erano state indicate nel ricorso della Commissione). Ci� � stato espressamente confermato dalla ordinanza di coNezione 27 aprile 1988: il traduttore aveva scritto " attribuendo al suddetto articolo (l'art. 19) efficacia retroattiva", e la Corte l'ha corretto "attribuendo alle .relative (alias, predette specifiche) disposizioni un effetto retroattivo". In sostanza, la sentenza in rassegna ha criticato l'art. 19 primo comma in questione per tre delle pi� disposizioni in esso conviventi, e cio�: I) per la norma che pone l'onere di prova esclusivamente a carico dell'importatore, II) per il � documentalmente >>, e III) per la norma solo t.ransitoria che ha dato efficacia retroattiva alle disposizioni sub I) e sub Il) (non anche l'altra norma transitoria relativa alla 76 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO blica italiana del 29 novembre 1982, n. 328), fa gravare sul contribuente l'onere di provare che i tributi indebitamente pagati non sono stati trasferiti su altri soggetti e limita i mezzi di prova esclusivamente alla prova documentale. Inoltre, secondo la Commissione, la retroattivit� della disposizione di cui trattasi aggrava la situazione dei contribuenti interessati per quanto riguarda il periodo precedente all'entrata in vigore della stessa. Imponendo in tal modo condizioni probatorie che sarebbe praticamente impossibile soddisfare, la suddetta disposizione della normativa nazionale sarebbe in contrasto col diritto comunitario e in particolare con gli artt. 9 e segg. e 95 del Trattato. 6. -Come la Corte ha gi� affermato (vedasi sentenza 27 febbraio 1980, causa 68/79, Just, Racc. 1980, pag. 501), in mancanza di una normativa comunitaria in materia di restituzione dei tributi nazionali riscossi in contrasto col diritto comunitario, spetta agli Stati membri garantire il rimborso di detti tributi, conformemente al loro diritto nazionale. Peraltro, il diritto comunitario non esige che si conceda la restituzione di tributi indebitamente riscossi a condizioni tali da causare un arricchimento senza giusta causa degli aventi diritto; pertanto esso non esclude che si tenga conto del fatto che l'onere di detti tributi ha potuto essere ripercosso su altri operatori economici o sui consumatori. 7. -Si deve poi ricordare che, come la Corte ha considerato nella sentenza 9 novembre 1983 (causa 199/82, San Giorgio, Racc. 1983, pag. 3595), efficacia retroattiva data alla quarta e non criticata disposizione, quella fondamentale sul criterio del non-arrfochimento senza causa). Occorre aver consapevolezza del fatto che l'unificazione europea � un evento rivoluzionario: un nuovo ord1namento si viene affermando e sov,rapponendo, e gli Stati faticano ad adattare i propri ordinamenti; si formano continuamente ampie zQne di incertezza, sovente risolte solo � a co}pi di sentenze � che per loro natura non possono che essere dichiarative-interpretative e quindi retroattive (si .pensi proprio alle pronunce in tema di � similarit�� ex art. 95 del Trattato). Di qui la necessit�, avvertita non solo dall'Italia ma anche da parecchi altri Stati membri, di evitare che queste zone di incertezza si traducano in ingiustificati arricchimenti per operatori che beneficierebbero di una parassitaria � rendita di posizione � per il solo fatto di essere di fatto � esattori � di imposte e di trovarsi ad operare in passaggi obbligati del commercio interstatale. Si consenta anche un'altra notazione, d'ordine istituzionale. L'Italia non rice~e un numero di � pareri motivati � superiore a quello indirizzato ad altri Stati membri dii equivalente importanza; per� � da anni nelle prime posizioni quanto a � condanne � deJla Corte di giustizia. La ragione di questa divergenza � semplice: le amministrazioni di altri Stati membri pi� frequentemente assumono tempestive iniziative per eliminare, per quanto possibile (e in modo non particolarmente pregiudizievole agli interessi nazionali), le situazioni che possono sfociare in una �condanna�, (F. F.). PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE che riguarda per l'appunto l'art. 19 del decreto legge di cui trattasi, sono incompatibili col diritto comunitario tutte le modalit� di prova che abbiano l'effetto di rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il rimborso dei tributi riscossi in contrasto col diritto comunitario. Ci� vale in particolare per le presunzioni o per i criteri di prova che tendono a far gravare sul contribuente l'onere di provare che i tributi indebitamente versati non sono stati trasferiti su altri soggetti, o per particolari limitazioni in merito alla forma della prova da fornire, come l'esclusione di qualsiasi prova non documentale. 8. -Il Governo italiano non contesta i principi citati, che emergono dalla giurisprudenza della Corte. Rileva per� che l'art. 19 del decreto legge italiano n. 688 non osta all'efficacia di detti principi nell'ordinamento giuridico nazionale. 9. -A questo proposii:to il Governo italiano sostiene che la disposizione censurata non pu� produrre effetti conmggenti con il diritto comunitario grazie a due recenti sentenze della Corte costituzionale italiana. Con la prima sentenza (n. 170), emessa 1'8 giugno 1984, detta Corte avrebbe ammesso che i giudici nazionali possono, a causa della preminenza e dell'efficacia diretta del diritto comunitario, disapplicare una legge interna confliggente con una norma di diritto comunitario. Con la seconda sentenza (n. 113), pronunciata il 23 aprile 1985 a definizione di un giudizio incidentale di costituzionalit� avente proprio ad oggetto l'art. 19 del decreto legge di cui trattasi, essa avrebbe esteso questo principio anche alle statuizioni risultanti dalle sentenze interpretative della Corte di giustizia. Il Governo italiano sottolinea che queste sentenze hanno introdotto una radicale innovazione nell'ordinamento giuridico italiano con la conseguenza che, per l'appunto, i giudici nazionali, fra cui la Corte di cassazione italiana (sentenz� 18 ottobre 1985, n. 5219), hanno dichiarato di disapplicare l'art. 19 di cui trattasi, considerato incompatibile con la normativa comunitaria. A causa di questa innovazione, una legge nazionale che modificasse l'art. 19 non potrebbe aggiungere nulla e costituirebbe una sorta di � ricezione�, inutile e contrastante col principio dell'applicabilit� diretta del diritto comunitario. 10. -Il Governo italiano osserva inoltre che la disposizione controversa � compatibile con le norme del diritto comunitario e con la giurisprudenza della Corte nel senso che la prova dell'effettivo trasferimento dell'onere fiscale resta a carico dell'amministrazione nazionale. A carico degli operatori interessati sarebbe solo la prova dell'asserzione che l'onere fiscale non � stato traslato, prova che sarebbe possibile produrre grazie alla documentazione che ogni impresa deve necessariamente possedere. 78 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 11. -L'argomentazione del Governo italiano non pu� essere accolta. La controversa disposizione della normativa italiana impone agli operatori l'onere di provare un fatto negativo, in quanto essi debbono dimostrare, contro le mere asserzioni dell'amministrazione, che il tributo indebitamente pagato non � stato traslato su altri soggetti, e debbono farlo meddante prove esclusivamente documentali. Una disposizione del genere � in contrasto con le norme del diritto comunitario come interpretate dalla Corte. 12. -Malgrado le citate sentenze, invocate dal Governo italiano, e anche se occorre sottolineare che l'evoluzione della giurisprudenza costituzionale itafliana facilita l'applicazione dei principi dell'efficacia diretta e della preminenza del diritto comunitario nell'ordinamento giuridico interno, si deve osservare che la disposizione controversa fa ancora parte t I ~della normativa nazionale. Come la Corte ha pi� volte rilevato, la preminenza e l'efficacia diretta delle disposizioni del diritto comunitario non sottraggono gli Stati membri all'obbligo di eliminare dal loro ordinamento giuridico interno le disposizioni incompatibili col diritto comunitario: infatti, il mantenimento in vigore delle stesse crea una situazione I di fatto ambigua, in quanto mantiene gli interessati in uno stato d'incer ~:; tezza circa le possibilit� loro garant~te di fare appello al diritto comunitario. i:: , :~ 13. -In base alle considerazioni che precedono, si deve dichiarare che l l ~:: la Repubblica italiana, imponendo al contribuente, mediante l'art. 19 del ::~ . decreto legge 30 settembre 1982, n. 688, convertito in legge 27 novembre 1982, ' . n. 873, l'onere di �provare, esclusivamente con la prova documentale, che I diritti e tasse nazionali di cui egli chieda il rimborso in quanto indebita I ~ mente comsposti, perch� contrastanti con gli artt. 9 e segg. e 95 del Trattato CEE, non sono stati trasferiti su altri soggetti, e attribuendo alle relative disposiizioni un effetto retroattivo, � venuta meno agli obblighi impostile dagli artt. 5, 9 e segg. e 95 del T~attato (omissis). I I ~ f,< : ' ~:~ i:: ,,, I f.~ (.. I' I >; SEZIONE TERZA GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. lavoro, 22 ottobre 1987, n. 7819 -Pres. Afeltra � Rel. Alibrandi � P. M. Martone -Sindacato autonomo personale viaggiante (avv. Li Gotti) c. Ente Ferrovie dello Stato (avv. Stato Stipo). Competenza � Ente Ferrovie� dello Stato � Controversie collettive di la� volo � Foro erariale � Inapplicabilit�. Nelle controversie collettive di lavoro non � applicabile l'art. 23 della legge 17 maggio 1985 n. 210 che, in deroga al principio generale, impone il foro erariale anche per le cause davanti al Pretore. (1) (1) L'art. 23 deNa legge 23 maggio 1985 n. 210 istitutiva dell'Ente Ferrovie dello Stato attribuisce alla competenza del Pretore del foro erariale �le con troversie di lavoro relative al personale dipendente dell'ente�, Se quindi nell'ambito delle disposizioni del citato art. 23 non sono com� prese le controversie collettive, ci� significa che la giurisdizione del Pretore � limitata alle controversie individuali di lavoro, con esclusione quindi di ogni altra controversia come quelle di natura previdenziale, ![lispetto alle quali resta in vigore il precedente sistema normativo, come peraltro � detto nell'art. 21, quarto comma, della legge stessa. I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 3 dicembre 1987, n. 9019 -Pres. Granata -Rel. Della Terza -P. M. Virgnio (conf.) -Tesoro (avv. Stato Stipo) c. Modica (avv. Uncario). Pensioni � Domanda concernente il quantum pensionistico e gli interessi e rivalutazione per differenze sulla misura della pensione � Giurisdizione della Corte dei conti. Rientra nella giurisdizione esclusiva della Corte dei conti la controversia che investa l'attivit� decisoria della P.A., come nel caso in cui si reclami la differenza sulla misura della pensione �liquidata dall'Ente compe BO RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO tente, oppure la si presupponga in una diversa misura e si chieda il pagamento degli interessi legali ed il risarcimento del danno da svalutazione monetaria sulla differenza non corrisposta. II CORTE DEI CONTI, Sez. riun., 27 gennaio 1987, n. 525 -Pres. Carbone -Rel. Ristuccia -P. M. Todaro -Carta, Farris e Pieri. Pensioni -Rivalutazione automatica -Pensioni di guerra e pensioni pri I vilegiate ordinarie -Non spetta. Pensioni � Interessi � Decorrono dalla data del provvedimento amministra� tivo pensionistico. Pensioni � Interessi � Decorrono dalla data del provvedimento impugnato. Pensioni � Interessi e rivalutazione � Domanda autonoma � Difetto di giurisdizione della Corte dei conti. Non � ammessa la rivalutazione automatica ex art. 429 c.p.c. per I i crediti pensionistici, ove non sussista intima connessione con attivit� lavorativa �a, favore dello Stato o di un ente pubblico non economico, come nel caso delle pensioni di guerra e, nell'ambito delle pensioni privilegiate I ordinarie, quelle, definite � tabellari�, che spettano ai militari di leva per infermit� dipendente da causa di servizio; ci�, in quanto entrambe queste categorie di pensione, del tutto estranee ad un rapporto di lavoro con lo Stato, traggono fondamento dal principio di riconoscimento e soli I dariet� nei confronti di coloro che abbiano subito una menomazione fisica i~ o la perdita di un congiunto per causa della guerra o per aver adempiuto al dovere dello svolgimento del servizio militare. Per i crediti di pensione, sia ordinaria che di guerra, la liquidit� e la esigibilit� va individuata nella emanazione di un provvedimento amministrativo da tenersi distinto dai procedimenti meramente contabili riguardanti l'emissione del titolo di spesa; pertanto i singoli ratei di pensione producono interessi di pieno diritto dalle relative scadenze a far data dal provvedimento amministrativo pensionistico. Il provvedimento che non riconosca il diritto al trattamento pensionistico o che ne liquidi l'ammontare in misura inferiore a quella pretesa dall'interessato, va configurato come manifestazione di volont� del debitore contraria all'adempimento, che determina la .mora ex re dell'Amministrazione (art. 1219 cpv. n. 2 e.e.) e quindi la produzione di diritto degli interessi senza necessit� di domanda da parte del creditore. PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 81 Non rientra nella giurisdizione della Corte dei conti la domanda di rivalutazione e di interessi proposta in via autonoma rispetto alla domanda concernente il credito principale ovvero successivamente ad una decisione che si sia gi� pronunciata sull'esistenza e la misura del trattamento di pen� sione. (1) (1) Sulla terza massima l'orientamento delde SS.RR. � stato contestato dalla sezione I delle Pensioni di guerra con la decisione in rassegna. E invero non sempre il provvedimento negati:ivo configura la volont� di non adempiere: basti pensare alle ipotesi in cui il decreto negativo � l'espressione di un atto vincolato, essendo scaduti i termini per la presentazione della domanda o per l'accertamento sanitario e successivamente vengono riaperti. Non � ammissibile la confusione del momento genetico degli interessi corrispettivi e moratori, essendo distinta la loro rispettiva causa genetica e non essendo essi cumulabili, in quanto dalla data della mora gli interessi moratori succedono a quelli cor.rispettivi. La diversit� della causa genetica trova riscontro anche nella necessit� della specificazione della richiesta della parte, ai fini sia dell'accertamento della giurisdizione del giudice adito, sia dell'eventuale vizio di ultrapetizione; La produzione di diritto degli interessi si verifica solo se trattasi di risarcimento per fatto illecito. Le SS.UU. della Cassazione (sent. n. 5750 del 3 novembre 1982) hanno posto in evidenza che fra le due categorie di interessi esiste una differenza di disciplina tale da riservare soltanto a quelli corrispettivi il carattere di effetto automatico della obbligazione. La liquidit� del credito non esiste nemmeno dopo l'accoglimento del ricorso, in quanto la decisione della Corte dei conti abbisogna per la sua esecuzione del decreto di liquidazione, in mancanza del quale il ricorrente deve esperire la procedura di cui all'art. 27, n. 4, del t.u. delle leggi sul Consi~lio di Stato. III CORTE DEI CONTI, Sez. I, 28 aprile 1987, n. 283.656 -Pres. Pisciotta -Est. Pensa -P. M. Lener -Piccini Egisto c. Tesoro. Pensioni � Provvedimento negativo � Accoglimento del ricorso � Interessi � Difetto di giurisdizione della Corte dei conti. In seguito al provvedimento negativo in materia di pensioni di guerra gli interessi che possono maturare ove venga accolto il ricorso sono quelli moratori previsti dall'art. 1224, I comma, e.e., in ordine ai quali sussiste. la giurisdizione del giudice ordinario. 82 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I (omissis) Il Ministero ricorrente deduce che la posizione previdenziale del dott. Modica ha attraversato il normale iter amministrativo dettato dal sistema in materia pensionistica, ossia l'erogazione di acconti sulla pensione, da parte del datore di lavoro; l'istiruttoria deHa pratica ed iJ conferimento di una determinata pensione annua, da parte della Cassa Previdenza Sanitari presso il Ministero del Tesoro (il 14 giugno 1983); ed il pagamento degli arretrati al netto degli acconti corrisposti dal datore di lavoro (settembre 1983). Deduce, altres� che la Cassa Previdenza per i sanitari dipendenti ,da Enti pubbHoi, provvedendo alla liqu1dazione delle pensioni e cielle indenillit� di fine rapporto, pone in essere un rapporto previdenziale che, ai sensi dell'art. 54 della fogge 6 luglio 1939 n. 1035, � sottoposto alla giurisdizione esclusiva della Corte dei conti. La tesi � fondata e merita accoglimento. Invece, la domanda formulata dal dott. Modica omette di considerare l'esistenza del provvedimento amministrativo che definiva la pensione annua, richiamando solo gli acconti di pensione erogati dall'Ente datore di lavoro, che, alla data del 31 dicembre 1983, lascerebbero insoluta una notevole differenza retributiva, rispetto alla qua-le, si 1n:etende il pagamento degli interessi e della rivalutazione monetaria del credito e si attribuisce all'azione esercitata natura risarcitoria. La pretesa si articola, anzitutto, sull'errore giuridico di considerare l'obbligazione di pagare gli interessi corrispett.iv[ e di risarcire H danno da svalutazione monetaria come avulsa, nel suo momento genetico dall'obbligazione principale, che, nel caso di specie, � dato dall'esistenza di un determinato titolo pensionistico. Tra l'una e l'altra obbligazione esiste un vincolo di dipendenza assoluta: per cui, non � giuridicamente concepibile l'esistenza dell'obbligo di pagare gli interessi e di rivalutare il credito se non esiste, oppure prima che esista, l'obbligo di pagare un determinato capitale pensionistico. Orbene, posto che tale ultimo obbligo condiziona la nascita ed il contenuto del credito preteso dall'attore, quale elemento accessorio dell'obbligazione principale, � chiaro che il credito medesimo si articola su di una differenza, sulla pensione gi� liquidata dalla P.A., che non � sorretta da alcun provvedimento amministrativo. N�, di questo, si pu� presupporre la esistenza ed inserire razione, direttamente nella fase esecutiva dell'obbligazione principale. A tal riguardo, questa Corte Suprema ha gi� avuto occasione di chiarire che si verte in materia di diritto di credito, sottoposta alla cognizione del giudice ordinario, solo quando la controversia attenga alle modalit� di esecuzione dell'obbligazione di corrispondere la pensione ed al pagamento del relativo importo (Cass. SS.UU. n. 2950/1981). PARm I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONB La pretesa azionabile davanti al giudice ordinario deve, dunque, riguardare una situazione che consegua ad una posizione di diritto, la quale, nel sistema pensionistico, postula lo svolgimento di un autonomo procedimento amministrativo e l'emanazione di un provvedimento della P.A. anche nel caso di contestazione del � quantum �. , Di contro, rientra nella competenza esclusiva della Corte dei Conti, ai senSli. degli artt: 13 e 62 del r.d. 12 luglio 1934 n. 1214, la controversia che investa l'attivit� decisoria della P.A., come nel caso in cui si reclami la differenza sulla misura della pensione liquidata dall'Ente competente, oppure la si presupponga in una diversa misura e si chieda il pagamento degli interessi legali ed il risarcimento del danno da svalutazione monetaria sulfa differenza non corrisposta. Tale ragionamento � conforme al costante orientamento di questa Corte Suprema (Cass. SS.UU. n. 77/1981 -Idem n. 3815/1983) ed � sorretto dalla circostanza che l'attuale controversia incide sul � quantum � del diritto alla pensione in relazione ad un rapporto previdenziale specifico, quello che involge i sanitari dipendenti da Enti pubblici, rispetto al quale, la norma di cui all'art. 54 della legge 6 luglio 1939 n. 1035, prevede il ricorso alla Corte dei conti contro il provvedimento della P.A. che delibera sulla misura della pensione. Deve, quindi, affermacrsi la giurisdizione della Corte deii conti in ordine alla controversia instaurata dal dott. Modica Vitale contro il Ministero del Tesoro. II (omissis) 1. Le questioni di contrasto giurisprudenziale rimesse a queste Sezioni Riunite, ai sensi dell'art. 4, 1� comma, I. 21 marzo 1953 n. 161, con tre distinte ordinanze di identico contenuto della Sezione giurisdizionalle della Sardegna, attenendo alla soluzione di problemi di identica natu:ra relativi alle diverse articolazioni della materia delle pensioni a carico dello Stato ed involgendo valutazioni di carattere unitario, vanno decise congiuntamente. 2. I profili di ammissibilit� sostanziale e di giurisdizione che comporta la questione della rivalutazione monetaria e degli interessi sulle somme dovute dallo Stato a titolo di trattamento pensionistico e corrisposte con ritardo, non divergono, anche per l'aspetto della loro stretta connessione, da quelli relativi ai crediti di retribuzione da rapporto di lavoro pubblico. Appare per� opportuno precisare che mentre in rapporto ai crediti di �retribuzione la questione della giurisdizione in ordine alle domande di rivalutazione monetaria e di interessi si colloca nell'ambito di precise norme di rii.partizione delle competenze (art. 30, 2� comma, r.d. 26 giugno 1924 n. 1054 e art. 7, 3� comma 1. 16 dicembre 1971 n. 1034) che, pur nelle materie di giurisdizione esclusiva, riservano al giudice ordinario 84 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO la cogmz1one delle questioilli attinenti ai diritti patrimoniali conseguenziali alla pronuncia di illegittimit� dell'atto, per i crediti di pensione verso Io Stato l'analoga questione s�. pone in termini diversi. Ed in vero, poich� gli artt. 13 e 62 del T.U. delle leggi sulla Corte dei c9nti, approvato con r.d. 12 luglio 1934 n. 1214, parlano di � ricorsi in materia di pensione � e di ricorsi �contro i provvedimenti definitivi di liquidazioni di pensione�, potrebbe dubitarsi dell'esistenza per la Corte dei conti di un limite positivo analogo a quello di cui all'art. 30 e all'art. 7 leggi cit. L'ampia dizione della legge -materia di pensione -potrebbe cio� indurre a ritenere che rientrino nell'ambito giurisdizionale della Corte dei conti tutte le questioni che comunque valgono a definire, sotto ogni aspetto, la pretesa patrimoniale nascente dal rapporto pensionistico nei confronti dello Stato. In realt�, per definire i limiti della giurisdizione della Corte dei conti in materia di pensioni � necessario rifarsi alla 1. 14 agosto 1862 n. 800 che attribu� alla stessa la competenza a � liquidare � le pensioni a carico dello Stato ed a conoscere in sede giurisdizionale dei ricorsi avverso detti decreti di liquidazione. A parte la considerazione che gli art. 13 e 62 T.U. de:l 1934, pur adottando la formula apparentemente pi� ampia della � materia di pensioni �, non hanno ampliato la competenza giurisdizionale della Corte in quanto la legge di delega (art. 35 1. 10 aprile 1933 n. 255) non conferiva alcun potere di innovazione e modifica dell'ordinamento preesistente, l'interpretazione giurisprudenziale si � sempre attenuta, in materia, al principio secondo cui il discrimine tra la giurisdizione della Corte e le altre giurisdizioni sia costituito dall'elemento della �liquidazione� di cui alla norma originaria del 1862, intesa come accertamento della spettanza del diritto a pensione (an) e come determinazione della relativa misura (quantum). Pertanto, nel delineare i limiti della cognizione del giudice delle pen sioni a carico .dello Stato, la giurisprudenza, pi� che ricercare distinzioni tra il concetto di �accessorio� e quello di �ulteriore�, come in rapporto alla espressione diritti patrimoniali conseguenziali, ha assunto a criterio di ripartizione il �titolo� della pretesa fatta valere, affermando la giuri sdizione della� Corte ove la domanda sia fondata direttamente ed esclu sivamente stil rapporto pensionistico e negandola allorch� il titolo della pretesa sia autonomo e distinto rispetto al rapporto di pensione, ancorch� a questo connesso. Le conclusioni non differiscono, peraltro, da quelle attinenti alla giuri sdizione esdusiva del giudice amministrativo, essendo evidente che, anche seguendo tale autonoma via, la giurisprudenza non poteva che pervenire alla esclusione dall'ambito della giurisdizione pensionistica della Corte dei conti delle questioni relative ad un ordinario diritto di credito verso l I I I l l ( ~~ PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI� GIURISDIZIONE l'Amministrazione, come le controversie attinenti al pagamento e alla fase esecutiva dell'obbligazione e quelle nelle quali non sia comunque in contestazione n� H diritto alla pensione n� la sua misura (v. Cass. Sez. Un. 7 gennaio 1981 n. 77; idem 7 mag~o 1981 n. 2950). � piuttosto da rilevare come la linea tendenziale della giurisprudenza della Cassazione sia, negli ultimi tempi, nel senso del riconoscimento di un principio di � concentrazione � nel giudice delle pensioni di tutte le questioni concernenti, direttamente o indirettamente, la misura della pensione, comprese anche quelle relative al recupero di somme indebitamente percepite (Cass. Sez. Un. 7 gennaio 1981 n. 77 cit.), in precedenza attribuite alla giurisdizione del giudice ordinario o del giudice amministrativo. 3. L'affermarsi nella giurisprudenza di tendenze alla concentrazione -ravvisabili anche in recenti iniziative di revisione legislativa del processo amministrativo -� dunque un ulteriore elemento di cui va tenuto conto nella necessaria ricostruzione dello stato attuale del diritto sul problema di cui queste Sezioni Riunite sono state investite. Storicamente, la demarcazione tra giurisdizione esclusiva del giudice� amministrativo e giurisdizione ordinaria, regolata dal principio dei diritti patrimoniali conseguen21iali e della relativa tradizionale interpretazione giurisprudenziale e dottrinaria che li identificava nelle pretese di natura risarcitoria, poteva considerarsi questione del tutto pacifica, non bisognevole di verifiche o revisioni, cos� come per anni era stata incontroversa, in dottrina e giurisprudenza, la inidoneit� della svalutazione monetaria a costituire elemento di cui tenere conto automaticamente ai fini della disciplina prevista dall'art. 1224, 2� comma e.e. A porre in crisi tale sistema di pacifici e tradizionali convincimenti interveniva la consistenza e la durata del fenomeno inflattivo per gli effetti prodotti proprio su quei rapporti economici -i rapporti di lavoro -che mentre, da un lato, costituiscono il fondamento della societ� civile e quindi ricevono particolare tutela costituzionale e legislativa, partecipano, dall'altro, della disciplina prevista dal codice civile per il genere di obbligazioni nel quale i relativi crediti sono inquadrabili. La natura di obbligazione di valuta dei crediti di lavoro e la conseguente applicabilit� agli stessi del principio nominalistico nonch�, per l'ipotesi di ritardo nel pagamento, di quello della dimostrazione da parte del lavoratore. dell'esistenza di un maggiior danno rispetto agli interessi legali, si scontrava palesemente con il principio costituzionale della retribuzione �adeguata�, quaile sicuramente non poteva ritenersi una retribuzione corrisposta in ritardo e quindi erosa dall'inflazione nel suo reale potere d'acquisto. Da qui, evidentemente, l'intervento del legislatore che, con la legge 11 agosto 1973 n. 533, modificando il testo dell'art. 429 c.p.c., introduceva RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEILO STATO 86 il principio della determinazione automatica, da parte del giudice, in ipotesi di condanna al pagamento di crediti di lavoro, oltre che degli interessi legali, del maggior danno eventualmente subito dal lavoratore per la diminuzione del valore del suo credito, con decorrenza dal giorno della maturazione del diritto, principio integrato dal testo modificato dell'art. 150 disp. att. cod. proc. civ., secondo il quale, ai fini della suddetta determinazione, deve applicarsi l'indice ISTAT per la scala mobile per i lavoratori dell'industria. Tale intervento legislativo, cui pu� riconoscersi il valore di � presa d'atto � del fenomeno inflattivo, men che eliminare questioni e controversie, comportava notevoli problemi interpretativi concernenti l'applicabilit� di detto principio ad altri rapporti che, egualmente partecipanti della natura di debiti di valuta ed egualmente destinati al soddisfacimento di bisogni primari della vita, rimanevano estranei alla categoria dei rapporti di lavoro privato cui si riferiva l'art. 429 c.p.c. Tale norma veniva quindi sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale sia sotto il profilo della mancata previsione dei crediti per prestazioni previdenziali (pensioni di linvalidi�t� a carico dell'assicurazione generale obbligatoria I.V.S. gestita dall'l.N.P.S.), sia sotto quello della non estensibilit� ai crediti di lavoro dei dipendenti degli enti pubblici non economici, sottratti alla giurisdizione dell'A.G.O. Entrambe le questioni venlivano dichiarate infondate dal giudice delle leggi sul rilievo della non esistenza, in rapporto alle situazioni fatte valere, delle tre ragioni nelle quali era stato identificato il fondamento giustificativo della novella legislativa e cio� l'esigenza di mantenere inalterato il potere d'acquisto del salario in relazione alle finalit� di questo ex art. 36 Cost.; l'esigenza di porre una remora al ritardo nell'adempimento; l'esigenza di riequilibrio delle posizioni economiche delle parti con il recupero in favore del lavoratore dell'arricchimento conseguito dal datore di lavoro (sentenze nn. 13, 43 e 162 del 1977). In particolare, per i crediti di prestazioni previdenziali, la Corte Cost., pur riconoscendo la loro funzione di sostentamento al pari dei crediti di lavoro osservava che il rapporto di pensione presenta, rispetto al rapporto di lavoro dipendente, caratteristica autonoma di natu:ra pubblicistica; che il ritardo nella liquidazione non � ascrivibile al proposito degli Istituti debitori di lucrare sulla svalutazione; che, conseguentemente, la sanzione della rivalutazione non avrebbe effetto di remora. La risposta negativa della Corte Costituzionale alla richiesta di una pronuncia �additiva� non sortiva per� l'effetto di una chiusura definitiva della questione e ci� proprio in relazione alle ammissioni ed ai riconoscimenti contenuti nelle stesse dichiarazioni di non fondatezza. Il tema degli interessi e della rivalutazione monetaria dei crediti di lavoro dei pubblici dipendenti veniva, infatti, ripreso dal Consiglio di Stato PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONB che, con le sentenze Ad. Plen. 7 aprile 1981 n. 2 e 30 ottobre 1981 n. 7, affermava la giurisdizione del giudice amministrativo in materia. Di tali pronunce giova ricordare la distinzione, ai fini del riparto delle competenze ex art. 30 T.U. 1054/24, tra le questioni inscindibilmente implicate con la questione :nientrante nelila giurisdizione esclusiva, in quanto a questa direttamente inerenti, e quelle che, invece debbono considerarsi � ulteriori �, in quanto richiedenti indagini e valutaziollii aggiuntive 'SU elementi diversi da quelli sui quali si fonda il diritto principale fatto valere; l'affermazione della sostanziaJe identit� di situazioni, rispetto alla diminuzione patrimoniale derivante dal ritardo nell'adempimento della prestazione retributiva, tra le diverse categorie di lavoratori; l'assimilabilit� dello schema previsto dall'art. 429 c.p.c. novellato, caratterizzato dall'introduzione del principio di automatismo risarcitorio, al sistema di eguale automatismo, pur nell'ambito dei generali principi della responsabilit� per mora di cui agli artt. 1218 e 1224 e.e., rinvenibile, da un lato, nell'ammissibilit� del ricorso da parte del giudice alle nozioni di comune esperienza (art. 115 c.p.c.), tra le quali va compresa la svalutazione monetaria, e, dall'altro, nel principio della mora ex re di cui all'art. 1219 cpv. n. 3 e.e., applicabile ai crediti di lavoro; la conseguente aderenza del sistema di protezione dei crediti di lavoro desumibile dai principi di diritto comune alla tendenza legislativa resa esplicita dal testo modificato dell'art. 429 c.p.c.; l'esistenza, quindi, nell'ordinamento di un principio generale di rilevanza automatica della svalutazione monetaria :per tutti indistintamente i crediti di lavoro, pur in costanza del principio nominalistico sul quale si fondano le prestazioni retributive, che consente di attrarre in una fattispecie unica e complessa, ai fini della determinazione della giurisdizione, tanto i momenti di maturazione dei crediti quanto gli interessi e la rivalutazione. All'orientamento del Consiglio di Stato si uniformava, sostanzialmente, la Corte di Cassazione con la precisazione, espressione dell'indirizzo tradizionale, che la giu:nisdizione del giudice.amministrativo deve ritenersi esclusa per le controversie relative agli interessi moratori od al maggior danno conseguente a comportamenti dolosi o colposi dell'Amministrazione, da continuare ad intendersi come questioni �conseguenziali� (cfr. Cass. Sez. Un. 3 novembre 1982 n. 5750; idem 12 ottobre 1982 n. 5225). 4. La questione degli interessi e della rivalutazione dei crediti di pensione e della relativa giurisdizione non pu� non inserirsi nel surricordatp quadro normativo e giurisprudenziale. E ci� per la considerazione, essenziale e prioritaria, che, almeno per quanto riguarda il nucleo principale delle pensioni a carico dello Stato le pensioni ordinarie -la situazione economica di chi trae i mezzi di sostentamento dalle proprie prestazioni lavorative non pu� ritenersi modificata in meglio, per effetto della cessazione del rapporto di lavoro e quindi del percepimento della pensione in luogo della retribuzione, tanto da non RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 88 necessitare dei correttivi di riequilibrio monetario per il caso di ritardo nell'adempimento, di cui, come visto, i credti.ti di lavoro attualmente beneficiano. Vale, innanzitutto, ricordare in quali termini si ponga attualmente sif� fatta questione nella giurisprudenza. A parte i contrasti per i quali sono state investite queste Sezioni Riunite, il principio prevalente appare esisere quello della inapplicabilit� dell'art. 429 c.p.c. ai crediti previdenziali. In tal senso sono, tra le mo�e, Cass. Sez. 1. 13 settembre 1978 n. 4127; Sez. Un. 27 aprile 1983 n. 2876; Sez. Un. 27 aprile 1983 n. 2886; Sez. 1. 28 aprile 1984 n. 2674. Tale orientamento fonda su alcuni punti essenziali: l'esclusione dell'art. 429 ult. comma c.p.c. dal richiamo di cui all'art. 442 c.p.c., che dichiara applicabili alle controversie in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie le disposizioni contenute nel Capo I, in quanto detto richiamo � limitato alle norme processuali mentre l'art. 429 u.c. ha natura di norma sostanziale (Sez. Un. 27 aprile 1983 n. 2876 cit.); la distinzione tra rapporto previdenziale e rapporto di lavoro fondata sulla circostanza che il primo si stabilisce direttamente con l'Istituto di previdenza, per cui il rapporto di lavoro si pone come antecedente necessario e non come momento genetico del diritto alle prestazioni previdenziali; la affermazione conseguenziale .che il titolare di un credito previdenziale deve dimostrare, avanti all'A.G.O., il maggior danno subito per effetto del ritardo nell'adempimento, ai sensi dell'art. 1224 2� comma e.e. Ai fini che in questa sede interessano deve tuttavia rilevare il Collegio che, pur nel quadro di siffatto orientamento, apparentemente omogeneo, non mancano pronunce che appaiono rimettere in discussione, soprattut to per quanto riguarda i dipendenti di enti pubblici, il principio della inap plicabilit� della rivalutazione automatica per tutti i crediti diversi da quelli derivanti da rapporto di lavoro in atto. Ed invero, sia la Cassa2lione (Sez. I. 21 dicembre 1982 n. 7089; idem 27 marzo 1985 n. 2159; iidem 30 marzo 1985 n. 2052) sia il Consiglio di Stato (Ad. Plen. 26 marzo 1985 n. 8) hanno introdotto una distinzione nell'ambito dei crediti di quiescenza, negando la rivalutazione automatica ex art. 429 c.p.c. per i crediti che debbono qualificarsi come propriamente previdenziali ed ammettendola, invece, per quelli cui possa riconoscersi natura di retribu zione differita. La circostanza che la giurisprudenza ordinaria ed amministrativa non accomuni in un sol genere, ai fini dell'automatismo rivalutativo, tutti i crediti conseguenti alla cessazione del rapporto di lavoro, fondando so stanzialmente la distinzione, aldil� delle espressioni usate, sull'elemento della erogazione del credito da parte dello stesso datore di lavoro o meno, �� estremamente importante. r111a1111111111111111111rMrlf1111111111rf1111r1ra111,r111a1111~�i111r�rf PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE Ed infatti, l'ammissione che l'applicabilit� dell'art. 429 c.p.c. non sia ristretta in maniera esclusiva ai crediti relativi a rapporti di lavoro in atto deve considerarsi parte integrante del � diritto vivente �, al quale fa espresso riferimento la pi� recente pronuncia della Corte Costituzionale in materia. Con la sentenza n. 52 del 24 marzo 1986, la Corte Cost., pronunciando di nuovo sulla questione di costituzionalit� dell'art. 429 c.p.c. in quanto non applicabile ai pubblici dipendenti, ha dichiarato non fondata la questione stessa sul rilievo che l'indirizzo giurisprudenziale del Consiglio di Stato e della Cassazione ha dato vita ad un � diritto vivente � che assicura ai lavoratori pubbLici, in tema di �rivalutazione dei crediti vantati verso la P. A., lo stesso trattamento garantito ai lavoratori privati. Ed � fondamentale rilevare che tale principio � stato enunciato in riferimento anche ad una ordinanza di rimessione emessa in un giudizio avente ad oggetto, specificamente, l'erogazione, da parte di un ente pubblico non economico, di trattamento di quiescenza e di previdenza (fondi integrativi). Ritiene a questo punto il Collegio che la soluzione del problema della rivalutazione autom~tica dei crediti di pensione sia gi� contenuta nel � diritto vivente � appena ricordato. Non sembra, infatti, che sussistano validi motivi per non dare integrale applicazione, in rapporto ai crediti di pensione, alle ragioni che hanno giustificato il formarsi del � diritto vivente � relativo ai crediti di lavoro pubblko. L'argomento principale al quale ha fatto ricorso la giurisprudenza civile ed amministrativa per negare il principio della rivalutazione automatica per i crediti c.d. previdenziali, e cio� la circostanza (cui fece inizialmente riferimento Corte Cost. n. 162/77) che il rapporto previdenziale si stabilisce direttamente con l'Istituto erogatore e che il rapporto di lavoro assume carattere di solo antecedente necessario, se pu� presentare validit�, almeno sul piano formale, in riferimento al rapporto di lavoro privato ed all'assicurazione generale obbligatoria I.V.S. gestita dall'I.N.P.S., � privo. di consistenza -e proprio per le ragioni addotte dalla succitata giurisprudenza -nei confronti della pensione ordinaria dei pubblici dipendenti. Con l'ammettere, infatti, la rivalutazione automatica ove la prestazione pensionistica venga erogata direttamente da{ datore di lavoro e sia qua1 lificabile come �retribuzione differita>>, viene in definitiva ad affermarsi che presupposto fondamentale dell'applicazione di tale principio siano quegli elementi di intima connessione con il rapporto di lavoro e di erogazione diretta da parte del datore di lavoro, che caratterizzano proprio le pensioni ordinarie a carico dello Stato, comprese le privilegiate aventi funzione sostitutiva od integrativa della pensione di quiescenza. 90 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA �DELLO STATO N� sembrano valere, in contrario, le considerazioni del P.G. secondo cui le pregresse pr�stazioni lavorative del pubblico dipendente non si pongono in rapporto di � sinallagma � con la pensione. Il �rischio immediato di siffatta argomentazione � quello di non far uscire la questione dai limiti di una mera disputa terminologica sul si� gnificato da attribuirsi all'espressione � sinallagma � nella particolare materia delle pensioni. In realt�, ben dovendosi ammettere Slia l'esis�tenza di periodii di servizio (sino al raggiungimento del c.d. minimo pensionabile) privi di copertura pensionistica, sia il concorso di elementi estranei alla esclusiva valutazione del servizio effettivamente prestato nel calcolo del quantum, sia il carattere di aleatoriet� del trattamento pensionistico, sia il peculiare sistema di trasmissione iure proprio e non iure successionis a particolari categorie di aventi diritto, rimane comunque incontestabile non soltanto che il rapporto di lavoro (considerato nel duplice aspetto di rapporto in atto e di rapporto venuto a cessare) costituisca il fatto genetico del rapporto pensionistico pubblico, ma che l'entit� delle prestazioni lavorative determini, con carattere di assoluta preminenza, la misura del trattamento di pensione. Il problema, allora, non � quello di stabilire se tale relazione di stretta dipendenza del trattamento pensionistico dalle prestazioni lavorative possa qualificarsi di natura sinallagmatica, ancorch� la classica definizione del sinallagma come rapporto di reciprocit� ben potrebbe attagliarsi alla situazione in esame, nella quale in tanto il diritto a pensione sussiste in quanto vi sia stata una controprestazione di attivit� lavorativa pregressa (con ci� dandosi ragione della definizione di retribuzione differita spesso riconosciuta alla pensione). Il punto fondamentale appare piuttosto consistere nella circostanza che la pensione svolge, per il pubblico dipendente, la medesima funzione della retribuzione di assicurare i mezzi di sostentamento e che, pertanto, quelle stesse ragioni che avevano indotto a ritenere del tutto prevalente la posizione del lavoratore nel risolvere il problema della rivalutazione automatica dei crediiti di lavoro pubblico, non possono considerarsi essere venute improvvisamente meno per effetto della cessazione del rapporto di lavoro. Ritiene, pertanto, il Collegio che per le pensioni ordinarie a carico dello Stato -con le precisazioni di cui in prosieguo -deve riconoscersi, come per i crediti di lavoro dei dipendenti pubblici, l'applicabilit� della rivalutazione automatica, specie tenuto conto che tale soluzione appare pienamente in armonia con il riconoscimento giurisprudenziale del ca rattere di retribuzione differita delle prestazioni pensionistiche -cui si � fatto gi� cenno -affermato non soltanto da queste stesse Sezioni Riu nite (dee. 4 dicembre 1981 n. 53), ma dalla Corte costituzionale nelle sen tenze che hanno dichiarato la illegittimit� costituzional� delle disposizioni PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE concernenti la perdita, la sospensione o la riduzione della pensione nei confronti di pubblici dipendenti incorsi in condanna penale o destituiti o aUontanati dal servizio (sent. 13 giugno 1966, n. 3; 3 luglio 1967, n. 78; 19 luglio 1%8, n. 112; 9 dicembre 1968, n. 124) e ripreso comunque da Cassazione e Consiglio di Stato (fra le molte cfr. Sez. 1. 13 settembre 1978, n. 4127; Ad. Plen. 26 marzo 1985, n. 8 cit.). La riconosciuta applicabilit� ai crediti di pensione dei pubblici dipendenti del principio della rivalutazione automatica entro i medesimi limiti gi� ammessi dalla giurisprudenza civile ed amministrativa per i crediti di lavoro dei dipendenti pubblici, e cio� dandosi rilevanza alla svalutazione come fatto notorio e calcolandone la relativa misura secondo l'indice ISTAT ai sensi dell'art. 150 disp. att. cod. proc. civ. nel testo mo� dificato dalla J. 533/73, comporta la conseguenziale affermazione della giurisdizione di questa Corte (in tal senso, di recente, Cons. St. Sez. IV 28/86 n. 121). Entro detti limiti, come gi� ampiamente posto in luce, si tratta di questione che non introduce elementi ulteriori rispetto a quel1i da accertarsi per la pronuncia sulla sussistenza e la misura delle ragioni creditorie, ma che attiene alla quantificazione stessa del trattamento pensionistico nei valori monetari idonei a salvaguardarne il potere d'acquisto originariamente acquisito al momento della maturazione. 5. L'aver dato soluzione al problema della dvalutazione automatica dei crediti di pensione ordinaria, normale e di privilegio, mediante la estensione ad essi del � diritto vivente ,. che ammette detta rivalutazione per i crediti di lavoro dei dipendenti pubblici, fornisce altresl il criterio per risolvere l'analogo problema relativamente alle altre categorie di pensione di cui alle ordinanze di rimessione a queste Sezioni Riunite. Deve escludersi che possa trovare applicazione il ricordato � diritto vivente � ove non sussista il presupposto di una intima connessione del. credito con una attivit� lavorativa a favore dello Stato o di un ente pub~ blico non economico. l1 questa la situazione in cui versano le pensioni di guerra e, nell'ambito delle pensioni privilegiate ordinarie, quelle, definite �tabellari�, che spettano ai militari di leva per infermit� dipendenti da causa di servizio. Entrambe queste categorie di pensione, del tutto estranee ad un rapporto di lavoro con lo Stato, traggono fondamento dal principio di riconoscimento e solidariet� nei confronti di coloro che abbiano subito una menomazione fisica o la perdita di un congiunto per causa della guerra o per aver adempiuto al dovere dello svolgimento del servizio militare. Il rilievo che dette pensioni possano svolgere una funzione alimentare, nel senso di assicurare i mezzi di sostentamento di cui il soggetto, per effetto delle menomazioni subite o della perdita del congiunto, potrebbe altrimenti rimanere privo, non costituisce, ad avviso del Collegio, ele 92 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO mento sufficiente per ritenere ad esse applicabile il principio dell'automatismo rivalutativo. Secondo il �diritto vivente� sopra ricordato, infatti, la forza espan siva del principio dell'automatismo pu� essere riconosciuta solo in rapporto a tutte le situazioni creditorie che partecipino della natura di col legamento con una attivit� di lavoro, in funzione della quale, appunto, esso era stato originariamente reso esplicito nell'ordinamento dalla I. 533/73. Mancando tale elemento di raccordo, tutti gli altri crediti, ancorch� denominati di pensione ed ancorch� svolgenti funzione di sqstentamento, non possono che rimanere soggetti alla disciplina generale connessa alla loro natura. E la natura delle pensioni di guerra e delle pensioni militari � tabellari � non pu� che essere quella di obbligazioni' di valuta, dovendosi riconoscere ad esse carattere di indennizzo per attivit� legittima e non carattere propriamente risarcitorio, dal momento che tale ultima definizione (cui pure la giurisprudenza costituzionale fa ricorso} ha valore solo se usata in contrapposizione agli ordinari crediti pensionistici, definiti remunatori nel senso avanti precisato, ma � priva degli indispensabili presupposti dell'antigiuridicit� del comportamento del debitore e dell'integralit� del �ristoro del danno subito. La disciplina della rivalutazione monetaria applicabile a tali generiche obbligazioni pecuniarie dello Stato, non rientranti n� assimilabili ai crediti connessi ad attivit� lavorativa, non pu� quindi essere quella, eccezionale e derogatoria, di cui all'art. 429 c.p.c. novellato ed al conseguente �diritto vivente�, ma la disciplina generale di cui all'art. 1224 2� comma c;c., di nuovo interpretata in� senso �r.igoroso dalla pi� recente giurisprudenza della Cassazione (Sez. Un. 5 aprile 1986, n. 2368). In base a tale disciplina generale il problema della svalutazione monetaria per i crediti di pensione di guerra e di pensione privilegiata militare tabellare rimane un problema di prova del maggior danno che, comportando la cognizione di ulteriori elementi rispetto al mero rapporto fondamentale, deve ritenersi non rientrare nell'ambito della giurisdizione di questa Corte. 6. Passando a trattare la seconda questione oggetto di contrasto di giurisprudenza, relativa agli interessi sui crediti di pensione (nel senso della giurisdizione per effetto della riconosciuta natura di interessi corrispettivi e non moratori, v. Sez. III pens. civ. n. 46001/80 e idem n. 58762/ 86; nel senso dell'esclusione della giurisdizione, sostenendosi il difetto di liquidit� ed esigibilit� sino alla definitiva pronuncia giudiziale e quindi la natura di interessi moratori, v. Sez. Sard. n. 126/84), ritiene il Collegio doversi innanzitutto rammentare lo stato della giurisprudenza sul problema degli interessi sui crediti di lavoro pubblico, alla quale, per le I PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE ragioni svolte in precedenza, non pu� non riconoscersi un analogo valore di �diritto vivente�. Nella giurisprudenza del consiglio di Stato si � affermato un indirizzo, che appare attualmente consolidato, secondo cui appartiene alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la cognizione in ordine agli interessi sui crediti di retribuzione dei pubbl!ici dipendenti, sia che abbiano natura di interessi corrispettivi sia che debbano qualificarsi moratori, non essendo necessaria, anche in rapporto a questi ultimi, alcuna indagine giudiziale n� sul danno n� sulla colpa del debitore (Ad. Plen. 7 aprile 1981, n. 2; Sez. IV 17 novembre 1983, n. 825; Sez. 13 ottobre 1984, n. 615; Sez. VI 7 luglio 1986, n. 494). In particolare, la sentenza Ad. Plen. n. 2/81 che ha dato origine a detto indirizzo, ha precisato che, ai fini del requisito della liquidit� del credito, presupposto della producibilit� di interessi di pieno diritto senza domanda del creditore ai sensi dell'art. 1282 e.e., deve negarsi rilievo alla contestazione da parte del debitore (presunta causa di incertezza e quindi di illiquidit�), dovendosi escludere che spetti al debitore il potere di determinare il .regime del credito; che l'esigibilit� dei crediti verso la P.A. non � subordinata all'esaurimento delle procedure contabili (art. 270 ss. R.D. 23 maggio 1924, n. 827); che anche per i crediti da retribuzione non liquidi n� esigibiH anteriormente alla domanda dell'interessato, in quanto privi di .termine di scadenza, i rnlativi interessi, pur qualificabili moratori, appartengono alla cognizione del giudice amministrativo non richiedendo valutazioni diverse da quelle che presiedono all'attribuzione degli interessi corrispettivi. La giurisprudenza della Cassazione (cfr., per tutte, Sez. Un. 12 ottobre 1982, n. 5225; idem 3 novembre 1982, n. 5750) appare invece ferma nella distinzione tra interessi corrispettivi e moratori ed afferma rientrare solo i primi, cui viene riconosciuto il carattere di effetto automatico dell'obbligazione, nella giurisdizione del giudice amministrativo mentre per i secondi, quale oggetto di un diritto conseguenziale, pur nella consapevolezza della comunanza di presupposto (ritardo) e funzione (ristorare il creditore dell'attesa della soddisfazione delle sue ragioni), viene ribadita la regola� della competenza del giudice ordinario.� Il problema, per gli interessi sui crediti di pensione, non sembra porsi in termini diversi. Anche in relazione a questi si tratta di stabilire la na tura degli interessi sotto il profilo, soprattutto, dell'esistenza dei requi siti di liquidit� ed esigibilit� che rendono il credito produttivo di interessi di pieno diritto. Al riguardo va innanzitutto tenuto conto che, come ormai tutta la giurisprudenza mostra di ritenere e come ha sostenuto lo stesso P. G. in udienza, gli adempimenti contabili di ordinazione della spesa rimangono del tutto estranei alla. configurazione dei requisiti in esame. RASSEGNA DBIL'AVVOCATURA Dm.LO STATO 94 Esclusa la rilevanza dei procedimenti di ordinazione delle spese ritiene per� il Collegio che, per i crediti di pensione, la liquidit� e la esigibilit� non possa venire individuata nella data di scadenza dei singoli ratei. :S, infatti, necessario considerare (v. Sez. Riun. 4 dicembre 1981, n. 53/C) che l'istituto pensionistico � configurabile come una situazione giuridica complessa nella quale la realizzazione del diritto � subordinata alla ema� nazione di un provvedimento amministrativo da tenersi distinto dai procedimenti meramente contabili riguardanti l'emissione del titolo di spesa (artt. 278., 356 r.d. 23 maggio 1924, n. 827). Ai fini che in questa sede interessano � del tutto inutile stabilire s~ la natura di tale provvedimento sia dichiarativa o costitutiva: ci� che rileva � soltanto il suo carattere di necessariet� e di ineliminabilit� da cui deriva che, prima della sua emanazione, non possa parlarsi di liquidit� ed esigibilit�. Si tratta dunque di una situazione che, richiedendo un � decreto di liquidazione '" differenzia il credito di pensione da quello di retribuzione, per il quale, secondo la surricordata giurisprudenza, i requisiti di liquidit� ed esigibilit� vengono fatti derivare, in pieno automatismo, dalle tabelle stipendiali, da una parte, e dalla semplice scadenza dei singoli ratei, in riferimento ai periodi di effettiva prestazione di attivit� lavorativa, dall'altra. Per quanto concerne le pensioni -sia ordinarie che di guerra, analogo essendo il relativo :procedimento -la liquidit� e la esigibilit� deb~ bono ritenersi requisiti connessi alla conclusione della fase amministra! iva di liquidazione mediante l'emissione del relativo provvedimento e riferirsi, quindi, esclusivamente ai singoli ratei venuti a scadenza successivamente alla data del provvedimento stesso, senza possibilit� di retroda� tazione degli interessi al momento di tnsorgenza del diritto. N� potrebbe valere, in contrario, l'osservazione che il provvedimento di cui trattasi si presenta, proprio nei casi che vengono alla cognizione giudiziale, come provvedimento negativo, come provvedimento cio� di non riconoscimento e quindi di non liquidazione del diritto o di parte del diritto richiesto. Una prima osservazione � che il provvedimento che non riconosca il diritto al trattamento pensionistico o che ne liquidi l'ammontare in misura inferiore a quella pretesa dall'interessato, va configurato come manifestazione di volont� del debitore contraria all'adempimento, che determina la mora ex re dell'Amministrazione (art. 1219, cpv. n. 2 e.e.) e quindi la produzione di diritto degli interessi senza necessit� di domanda dd parte del creditore. A ci� deve aggiungersi che quegli stessi principi di tutela del creditore, introdotti dalla giurisprudenza al fine di non far dipendere il regime degli interessi dalla volont� dello stesso debitore -cio� la semplice ! . ' PARTE I, SBZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE liquidabilit� in base ad operazioni aritmetiche e la esigibilit� svincolata dalla procedura di ordinazione contabile della spesa -se sono impediti dalla pendenza della prodromica e necessaria fase amministrativa, non possono non trovare applicazione a partire dal momento in cui detta fase si sia comunque conolus�a. Pertanto, confondendosi nell'ipotesi di provvedimento negativo sulla pensione i momenti della produzione di interessi per effetto della mora ex re e per effetto della sopravvenienza dei requisiti di esigibilit� e liquidit� e quindi risultando evidente, in relazione a ciascuna delle suddette situazioni, il prodursi di interessi di pieno diritto senza necessit� di alcuna istanza e di alcuna attivit� processuale da parte del creditore, ritiene il Collegi� che si versi in quella condizione di effetto automatico dell'obbligazione e di immanenza nel credito che costituisce, per la citata giurisprudenza, la causa giustificativa dell'attribuzione della relativa questione al giudice amministrativo. Del tutto estraneo a siffatta configurazione rimane, allora, il solo profilo di una domanda fondata su un colposo ritardo nell'emissione del provvedimento pensionistico e delle conseguenze, sul piano degli interessi, di una eventuale intimazione alla P.A. a provvedere (cfr. Cass. Sez. Un. numero 5750/82 cit.). Discende, infatti, da quanto in precedenza precisato che in tale ipotesi si � completamente al di fuori di una pronuncia circoscritta al rapporto pensionistico e che si versa, invece, nell'ambito di pretese fondate su un titolo specificamente risarcitorio, che non rientrano nella giurisdizione esclusiva di questa C�rte. Deve conclusivamente .ritenersi che i singoli ratei di pensione, sia ordinaria che di guerra, producano interessi di diritto dalle relative scadenze a far data dal provvedimento amministrativo pensionistico e che la relativa cognizione appartenga alla giurisdizione di questa Corte dei conti. 7. Per completezza � necessario precisare che il principio della immedesimazione della questione di rivalutazione e di interessi con il credito pensionistico, del quale non implicano un incremento ulteriore, ma un semplice meccanismo di conservazione del valore economico dei ratei riferito al momento della loro maturazione -fondamento della affermata giurisdizione della Corte dei conti in materia (nei limiti indicati) -esclude che la domanda di rivalutazione e di interessi possa proporsi avanti a questo giudice in via autonoma rispetto alla domanda concernente il credito principate ovvero successivamente ad una decisione che si sia gi� pronunciata sull'esistenza e la misura del trattamento di pensione. Nel primo caso, invero, mancando ogni pretesa o contestazione in ordine al credito di pensione, la autonoma domanda di rivalutazione e di interessi non potrebbe pi� considerarsi come questione intimamente con� nessa con la determinazione del vailore del credito, fondata cio� sul me RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEllO STATO desimo titolo pensionistico che giustifica la giurisdizione di questa Corte, ma come domanda fondata sull'ordinario diritto di credito originato dal mancato godimento della somma di cui si aveva diritto al momento previsto per il suo pagamento, come tale di competenza della A.G.O. (v. Cass. Sez. Un. 7 maggio 1981, n. 2950 cit.). Nel secondo caso, all'impedimento di cui sopra deve aggiungersi la preclusione derivante dal precedente giudicato sul diritto a pensione che copre il dedotto ed il deducibile (cfr. Cons. St. Sez. VI 7 luglio 1986 n. 494). III (omissis) In ordine alla domanda di interessi formulata all'odierna pubblica udienza, la Sezione ritiene necessario accertare, preliminarmente, l'esistenza della propria giurisdizione in merifo alla stessa. A tale filne, occorre considerare che, a norma dell'art. 1 del T.U. approvato con il D.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, la pensione, assegno o indennit� di guerra costituiscono atto risarcitorio, di doveroso riconoscimento e di solidariet� da parte dello Stato nei confronti di coloro che, a causa della guerra, abbiano _subito menomazioni della integrit� fisica o perdita di un congiunto, per cui il fondamento giuridico del diritto viene individuato nell'obbligo che incombe allo Stato, di indennizzare coloro che, nell'interesse della collettivit� nazionale, hanno subito un danno di carattere fisico. L'ordinamento, in tali casi, riconosce al soggetto danneggiato il diritto ad un indennizzo e non al risarcimento del danno in senso civilistico, in quanto il fatto causativo non pu� qualificarsi illecito. Escluso, quindi, che si tratti di danno risarcibile causato da fatto illecito, ne consegue che gli interessi eventualmente dovuti non rientrano nell'oggetto dell'obbligazione. ~ noto, infatti, che gli interessi .costituiscono una componente del danno risarctbile quando questo � causato da fatto illecito e d� luogo a responsabilit� civile, per cui non hanno alcuna autonomia per ci� che riguarda la fonte e debbono essere riconosciuti anche di ufficio, dovendosi ritenere implicita la relativa richiesta nella domanda di integrale risarcimento del danno (Cass. Civ. 16 ottobre 1974, n. 2884; 12 ottobre 1979, n. 5333; 13 febbraio 1982, n. 894; 30 luglio 1983, n. 5242). Fuori dall'ipotesi di interessi su somma dovuta a titolo di risarcimento, opera l'autonomia dell'obbligazione di interessi, rispetto all'obbligazione principale, in quanto il vincolo di accessoriet� esiste solo nel momento genetico, nel senso, cio�, che non pu� sorgere debito di interessi, se non preesiste debito di capitale, ma, una volta sorta, l'obbligazione ne rimane autonoma (Cass. Civ. 6 maggio 1965, n. 830; 2 ottobre 1980, n. 5343; 30 luglio 1983, n. 5242). PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE Del pari deve escludersi che la pensione di guerra sia un'obbligazione pecuniaria assimilabile ai crediti connessi ad attivit� lavorativa a favore dello Stato, essendo essa del tutto estranea ad un rapporto di lavoro con lo Stato, come hanno evidenziato le Sezioni Riunite nella decisione n. 225/ A del 5 novembre 1986, per cui non trova possibilit� di applicazione il principio della tutelabilit� della prestazione lavorativa in presenza di oggettivi fattori esterni, idonei ad alterare l'originario equilibrio tra detta prestazione e la controprestazione remunerativa. Conseguentemente, non pu� farsi ricorso al meccanismo della corretta � aestimatio �, tesa a stabilire l'intrinseco valore economico del credito, e come tale non implicante la necessit� di una esplicita domanda da parte del creditore. Rivolgendo, quindi, l'indagine agli interessi connessi alle obbligazioni pecuniarie dello Stato, � necessario premettere che siano essi moratori, corrispettivi o compensativi, avendo un fondamento autonomo rispetto a quello dell'obbligazione principale e non rientrando le pensioni di guerra nelle fattispecie di danno risarcibile causato da fatto illecito o di credito di lavoro, possono essere attribuiti solo su espressa domanda che ne indichi la fonte e la misura (Cass. Civ. 30 luglio 1983, n. 5242; 13 febbraio 1982, n. 894; 12 ottobre 1979, n. 5333). Ci� premesso, deve ritenersi escluso, per evidenti motivi concettuali, che sui crediti di pensione di guerra possano essere riconosciuti interessi cosiddetti compensativi, tipici dei contratti di scambio, per i quali si prescinde dalla mora del debitore e dalla scadenza del debito, in quanto decorrono sul prezzo, anche se non ancora esigibile, della cosa produttiva di frutti, venduta e cQIJ.Segnata al compratore (art. 1499 e.e.). Resta, quindi, da stabilire, tenuta presente la natura di obbligazione di valuta riconosciuta alla pensione di guerra nella citata decisione delle Sezioni Riunite numero 525/A, se trattasi di interessi corrispettivi oppure di interessi moratori. Al riguardo, l'art. 1282 del e.e. per il prodursi dei priini (corrispet tivi), dovuti di pieno diritto sulla base della naturale fecondit� del de naro, senza bisogno di domanda o di costituzione in mora, presuppone l'esistenza di crediti liquidi ed esigibili, mentre i secondi (moratori) decorrono dal giorno della mora colpevole ed indipendentemente dalla liquidit� ed esigibilit� del credito, avendo il legislatore tenuto conto, nell'art. 1224, comma primo, del e.e., soprattutto del profilo del danno subito dal creditore per effetto del ritardo nell'adempimento, in base all'id quod plerumque accidit. Gli uni e gli altri, inoltre, non sono cumulabili, in quanto dalla data della mora gli interessi moratori succedono a quelli corrispettivi. Ci� posto, occorre considerare che, come evidenziato dalle Sezioni Riunite nella decisione n. 53/C del 4 dicembre 1981, e ribadito nella richia / 98 RASSEGNA DBU.'AVVOCATURA DBU.O STATO mata pronuncia del 5 novembre 1986, �l'istituto pensionistico � configurabile come' una situazione giuridica complessa nella quale la realizzazione del diritto risulta necessariamente subordinata alla emanazione di un provvedimento amministrativo... (omissis) da cui �deriva la giuridica impossibilit� di una diretta ed immediata realizzabilit� e tutelabilit� del diritto a pensione di guerra per il solo verificarsi dei fatti che ne costituiscono il fondamento �. Ne consegue che, fino a quando non sia stato emanato il provvedimento amministratiyo conclusivo del procedimento instauratosi con la presentazione dell'istanza di pensione, non possono ritenersi sussistere la liquidit� ed esigibilit� del credito e, quindi, non possono prodursi interessi corrispettivi ex art. 1282 del e.e. Intervenuto il provvedimento cosiddetto di liquidazione, che riconosce il diritto al trattamento privilegiato di guerra, ove non ne segua o ritardi l'emissione del titolo di spesa per il pagamento di quanto riconosciuto, cominciano a decorrere gli interessi corrispettivi. Nell'ipotesi, invece, che il provvedimento emanato sia negativo e, quiri:di, non riconosca il diritto a pensione, trova applicazione l'art. 1219, comma secondo, n. 2 del e.e., da cui consegue non solo che sia superfluo mettere in mora il debitore, ma anche la certezza della definitivit� dell'inadempimento dell'obbLigazione, nonch� la produzione di interessi legali dal giorno della mora, ex articolo 1224, primo comma del e.e. Dalle considerazioni che precedono si evince che, in seguito al decreto negativo, in materia di pensioni di guerra gli interessi che possono maturare ove venga accolto il ricorso sono quelli moratori, che trovano la loro causa immediata nel ritardo colpevole nell'adempimento della prestazione. Al riguardo, utili indicazioni si desumono da quanto affermato dalla Corte di Cassazione, nella sentenza n. 410 del 17 gennaio 1981, in merito all'indennit� di espropriazione per pubblica utilit�, rientrando anche quest'uitima, come la pensione di guerra, tra le fattispecie di responsabilit� per atti legittimi. In essa si afferma che l'obbligo di corrispondere l'in~ennit� di espropriazione costituisce debito di valuta, insuscettibile, come tale, di rivalutazione monetaria in mancanza della prova del maggior danno postulata dall'art. 1224 e.e. e per i1 quale gli interessi moratori competono limitatamente alla parte determinata in esito al giudizio di opposizione alla stima, poich�, per la parte residua (gi� liquidata) decorrono gli interessi corrispettivi sin dalla data del relativo versamento alla Cassa DD.PP. La distinzione operata dalla Corte di Cassazione � la conseguenza logica della diversit� della causa genetica degli interessi corrispettivi rispetto a quelli moratori, la quale trova riscontro, altres�, nella necessit� PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE della specificazione della richiesta della parte, ai fini sia dell'accerta mento della giurisdizione del ~udice adito, sia dell'eventuale vizio di extrapetiziol;le (Cass. Civ. 23 dicembre 1972, n. 3668). � Conseguentemente, non pu� ritenersi che, intervenuto l'accoglimento del ricorso, operino contemporaneamente certezza e liquidit� del cre dito e mora ex re, per cui si versi nella condizione di effetto automa tico dell'obbligazione e di immanenza nel credito degli interessi, in quanto, come hanno evidenziato le Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza n. 5750 del 3 novembre 1982, esiste fra le due categorie di interessi una differenza di discipline tale da riservare soltanto a quelli corrispettivi il carattere di effetto automatico dell'obbligazione. � da ritenersi, invece, che, configurando il provvedimento negativo, cos� come evidenziato dalle Sezioni Riunite nella decisione numero 525/A, quale manifestazione di volont� del debitore contraria all'adempimento, che determina la mora ex re dell'Amministrazione, gli interessi che si producono sono quelli moratori previsti dall'art. 1224, primo comma, del e.e., in ordine ai quali ogni decisione compete al giudice ordinario, in � quanto esulano dal rapporto pensionistico di guerra. Al riguardo le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella richia mata sentenza numero 5750, hanno ribadito che vanno devolute alla co gnizione dell'a.g.o. le domande dirette a conseguire un risarcimento, per il danno da ritardo, cominisurato in modo diverso dalla rivalutazione automatica di cui all'art. 150 disp. att. C.p.c. o altro analogo, nonch� quelle per gli interessi moratori. E la Corte Costituzionale, nella sen tenza n. 55 del 18-24 marzo 1986, nel ritenere non fondata la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 429, comma 3, C.p.c., in quanto ne venga esclusa l'applicabilit� ai crediti derivanti da rapporti di lavoro con enti pubblici non economici, ha considerato rilevante ai fini del decidere proprio l'indirizzo giurisprudenziale che attribuisce alla giuri sdizione del giudice amministrativo la liquiidazione della maggiore somma dovuta a titolo di rivalutazione e ne esclude le controversie sugli interessi moratori o sul maggior danno conseguente a comportamenti colposi o dolosi dell'Amministrazione, essendo da qualificarsi questioni conseguen ziali rientranti nella giurisdizione del giudice ordinario. Nella stessa ottica, l'Ad. plen. del Consiglio di Stato, nella decisione numero 13 del 15 aprile 1985, ha ritenuto non precluso al giudice amministrativo liquidare d'ufficio, anche in grado di appello, le somme vantate dal pubblico dipendente per interessi e svalutazione monetaria del credito di lavoro non soddisfatto tempestivamente dalla pubblica ammi nistrazione, in quanto � i parametri di riferimento normativi che assumono rilevanza non sono quelli connessi alla imputabilit� del danno ingiusto causato dal ritardo nell'adempimento dell'obbligazione p~cuniaria, nei sensi indicati dall'art. 1224 e.e., bens� quelli, di tutt'altra natura, RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 100 afferenti all'allargamento dell'area di tutelabilit� della prestazione lavorativa in presenza di oggettivi fattoti esterni, idonei ad alterare l'originario equilibrio contrattuale tra detta prestazione e la controprestazione remunerativa �, Che l'accertamento delle conseguenze dovute al ritardo nell'adempimento delle obbligazioni pecuniarie esuli dalla giurisdizione del giudice amministrativo � stato ancora ribadito dall'Ad. plen. del Consiglio di Stato nella decisione n. 14 del 16 aprile 1985 in tema di riliquidazione dell'equo indennizzo, il quale, com'� noto, costituisce fattispecie assimilabile, per alcuni aspetti, all'indennizzo dovuto per causa di servizio di guerra. Se a quanto sopra esposto si aggiunge la considerazione che nella disciplina della pensionistica di guerra non esiste alcuna norma che abiliti la Corte dei Conti, in analogia a quanto previsto dall'art. 26, comma terzo, della Legge 6 dicembre 1971, n. 1034, a condannare l'Amministr�zione al pagamento delle somme di cui sia debitrice, ne risulta un quadro logico-giuridico nel quale � da escludersi la possibilit� di attribuire alla giurisdizione del giudice speciale per le pensioni di guerra le domande dirette a conseguire gli interessi moratori. L'accertato difetto di giurisdizione, gi� individuato anche dalla Sezione Giurisdizionale per la Regione Sardegna nella decisione n. 22/g del 1� giugno 1983, esonera dall'ulteriore indagine, connessa al fondamento autonomo dell'obbligazione di interessi rispetto a quello dell'obbligazione principale ed alla conseguente necessit� della proposizione in giudizio di domanda autonoma, nel rispetto di quanto disposto dagli articoli 183 e 184 del c.p.c. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 4 marzo 1988, n. 2259 -Pres. Granata Est. Onnis -P. M. Caristo (conf.) � Gestione comm. ferrovie compl. Sardegna (avv. Stato Stipo) c. Carta (avv. Fulgheri). Trasporti -Trasporti in concessione -Controversia promossa da dipendente di societ� concessionaria successivamente alla dichiarazione di decadenza dalla concessione e assunzione del servizio in gestione commissariale governativa ma prima della pronuncia di annullamento del provvedimento di de,eadenza -Giurisdizione amministrativa. Appartiene alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la pretesa fondata su un rapporto di lavoro subordinato, che, seppure in origine di natura privatistica siccome istituito con una societ� privata concessionaria di un pubblico servizio ferroviario, sia divenuto,� al momento della proposizione della domanda, di carattere pubblicistico a PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 101 seguito della decadenza della concessione e dell'assunzione del servizio da parte della Gestione Commissariale Governativa; non ha rilevanza i[, fatto che nel corso di causa il provvedimento di decadenza sia stato annullato in sede giurisdizionale, poich� in virt� del principio sancito dall'art. 5 cod. proc. civ., la giurisdizione si determina con riguardo allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda. (omissis) Con il primo motivo del ricorso la Gestione Commissariale Governativa delle Ferrovie Complementari della Sardegna sostiene che l'emolumento di lire 30.000 mensili, previsto dall'accordo nazionale 21 maggio 1981, era stato escluso ad opera delle parti contraenti dalla base di calcolo del lavoro straordinario. Col secondo motivo la ricorrente assume che la retribuzione fissa mensile dev'essere divisa per trenta, e non per ventisei, al fine della determinazione della retribuzione giornaliera. Con il terzo motivo deduce che il premio di anzianit� doveva ritenersi riassorbito nei miglioramenti disposti dalla legge n. 30 del 1978, e lamenta che il Tribunale abbia dichiarato inammissibile l'appello incidentale sul punto, pur riconoscendo nella motivazione l'erroneit� di tale pronunzia. Ci� premesso, devesi pregiudizialmente rilevare che la controversia esula dalla giurisdizione del giudice ordinario e spetta invece alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Il difetto di giurisdizione pu� essere, invero, rilevato in ogni stato e grado del giudizio anche d'ufficio, salvo che sul punto non si sia formato un giudicato esplicito e implicito (ipotesi questa che non ricorre nel caso in esame). La pretesa del Carta trae titolo da un rapporto di lavoro subordinato che, seppure in origine di natura privatistica, siccome istituito con una societ� privata concessionaria di un pubblico servizio ferroviario, era ormai gi� divenuto, al momento della proposizione della domanda, di carattere pubblicistico, a seguito della decadenza della concessione e dell'assunzione del servizio da parte della Gestione Commissariale Governativa, la quale � riferibile direttamente allo Stato. Con riguardo proprio alle Ferrovie Complementari della Sardegna queste Sezioni Unite, in analoga controversia (sentenza 29 luglio 1987 n. 6558), hanno dichiarato la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, dando atto che la gestione delle dette ferrovie, con decreto numero 2554/1/2 del 14 dicembre 1971 del Ministro dei trasporti, � stata affidata ad un Commissario governativo e che, con successivo decreto del 29 gennaio 1972 n. 00767, � stata dichiarata la decadenza della concessione nei confronti della societ� concessionaria. 102 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Le stesse Sezioni Unite con la citata sentenza hanno peraltro escluso la rilevanza del fatto che nel corso di causa il provvedimento di decadenza sia stato annullato con sentenza del Consiglio di Stato del 29 febbraio 1984 n. 70, sul rilievo che, in virt� del principio sancito dallo articolo. 5 c.p.c., la giurisdizione si determina con riguardo allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda. Alla stregua di tale propria precedente statuizione, conforme peraltro alla giurisprudenza della stessa Corte in materia (cfr.: Cass. S.U. 5 settembre 1986 n. 5428 e 5429), devesi in conclusione dichiarare la giurisdi� zione esclusiva del giudice amministrativo, con la conseguente cassazione senza rinvio della sentenza impugnata. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 17 giugno 1988, n. 4120 -Pres. Brancaccio -Rel. Cantillo -P. M. Caristo -Marotta e altri (avv. De Blasi) c. Ministero Finanze (avv. Stato Palatiello). Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Ingiunzione � Controversia sulla esistenza del potere di accertamento -Cognizione esclusiva delle Commissioni tributarie. Nel vigente sistema contenzioso tributario appartengono in via esclusiva alla giurisdizione delle commissioni tributarie le controversie r~lative ai tributi elencati nell'art. 1 del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, com� prese tutte le questioni attinenti alla esistenza e all'entit� dell'obbligazione tributaria, senza che abbia rilievo a tali fini la distinzione tra atti emessi dall'Amministrazione in carenza di potere ed atti costituenti illegittimo esercizio del potere. (1) 1. -Con il primo motivo di ricorso, denunziando la violazione delle norme sul riparto della giurisdizione -tra i giudici ordinari e le commissioni tributarie (art. 1 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, in relazione agli artt. 1 e 9 c.p.c. e 3 T.V. 15 aprile 1910 n. 639), i ricorrenti sostengono che erroneamente la Corte di appello ha negato la giurisdizione del giudice ordinario, senza considerare che nella specie era stato contestato in radice il potere dell'Amministrazione di emettere l'ingiunzione e di agire in executivis, sicch� l'atto soggetto della tassazione, erroneamente qualifi� (1) Giurisprudenza costante. Cfr., tra le pronunce indicate in motivazione. Cass. Sez. Un. 24 febbraio 1987 n. 1948, in Foro lt. 1988, I, 1426, con nota di precedenti e nota di commento di G. ALBENZO. PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE cato scioglimento di comunione, non poteva legittimare l'aumento di valore e perci� mancavano i presupposti della pretesa tributaria. La censura � destituita di fondamento. Nel sistema del vigente contenzioso tributario appartengono alla giurisdizione delle commissioni tributarie le controversie relative ai tributi elencati nell'art. 1 del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, tra i quali l'imposta di registro; e tale giurisdizione � esclusiva, comprendendo tutte le questioni attinenti all'esistenza e all'entit� dell'obbligazione tributaria, senza che abbia rilievo a questi fini la distinzione tra atti emessi dall'Amministrazione in carenza di potere ed atti costituenti illegittimo esercizio del potere. Al riguardo, questa Corte ha pi� volte precisato che la tutela giuridizionale dei diritti del contribuente si svolge attraverso l'impugnazione di specifici atti dell'Amministrazione, di accertamento, di imposizione o di rifiuto di rimborso di somme riscosse, elencati nell'art. 16 della legge sud� detta, con esclusione di ogni azione di accertamento negativo del debito d'imposta sia innanzi alle commissioni tributarie sia innanzi al giudice or� dinario, dovendosi ritenere abrogate le preesistenti disposizioni (compreso l'art. 6 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E) che consentivano tale ultima azione (v. sent. n. 942 del 1977, n. 6262 del 1980, n. 2118 del 1981 e, da ultimo, n. 1948 del 1987). Ne11a specie, la domanda del contribuente era diretta a contestare la legittimit� dell'ingiunzione emessa dell'Ufficio del Registro di Caserta in relazione alla qualificazione di un atto di trasferimento diversa da quella enunciata al momento della registrazione. E si era in presenza, quindi, di una tipica controversia di imposta, originata da un atto di imposizione compreso tra quelli elencati nell'art. 16 del D.P.R. n. 636 del 1972 (modif. dal D.P.R. n. 739 del 1981), cio� l'ingiunzione, contro la quale il contribuente doveva proporre impugnazione innanzi alla competente commissione tributaria di primo grad(). 2. -Manifestamente infondato � anche il secondo motivo, con cui i ricorrenti si dolgono di essere stati condannati al pagamento delle spese del giudizio. La statuizione, infatti, � corollario del criterio della soccombenza, essendo principio pacifico che, agli effetti del regolamento delle spese processuali, la soccombenza pu� essere determinata non solo da ragioni di merito, ma anche da ragioni di ordine processuale, posto che l'art. 91 c.p.c., non richiede, per la statuizione sulle spese, una decisione che atten� ga al merito, bens� una pronuncia che chiuda il processo davanti al giudice adito, come quella di difetto di giurisdizione (v. fra altre, sent. numero 1124 del 1986 e n. 1802 del 1981). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 104 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 17 giugno 1988, n. 4130 ,-Pres. Branccaccio -Est. Sensale -Prefettura di Potenza (avv. Stato Polizzi) c. S.p.A. Bitum Beton (avv. Angelucci Apostolico). Procedimento civile -Confisca -Opposizione ad ordinanza � Ingiunzione Termini -Requisiti -Decadenza. (Artt. 20, 21, 22, 23 I. 689/81; artt. 34 e 38 disp. att. c.p.c.; art. 1 I. 7 febbraio 1979, n. 59). Considerata la perentoriet� del termine previsto dall'art. 22, primo comma, legge 689/81 (trenta giorni dalla notifica del provvedimento), se il cancelliere rifiuta di ricevere l'atto d'opposizione perch� non corredato dai depositi prescritti dal combinato disposto degli artt. 38 disp. att. cod. proc. civile e dell'art. 1 legge 7 febbraio 1979 n. 59, la parte decade dal diritto di proporre opposizione avverso l'ordinanza-ingiunzione. (1) (omissis) 2. Le argomentazioni, in base alle quali il Pretore di Potenza ha ritenuto tempestivamente proposta l'opposizione mediante un atto rifiutato dal cancelliere (che, quindi, non ne ha attestato l'avvenuto deposito) perch� non corredato dai concorrenti adempimenti prescritti dalle norme processuali, non trovano alcun riscontro nel vigente ordinamento. Che le ipotesi d'inammissibilit� dell'opposizione siano soltanto quelle previste dagli artt. i2 e 23 della 1. 689/81 � affermazione esatta, se con essa si vuol dire che non vi pu� essere decadenza se non per l'inosservanza di un termine perentorio stabilito dalla legge; ma � evidente che, quando l'art. 22, 1� comma, dispone che l'opposizione deve proporsi entro il termine di trenta giorni dalla notificazione del provvedimento e l'art. 23, 1� comma, stabilisce che, se il ricorso � proposto oltre quel termine il pretore ne dichiara l'inammissibilit�, la legge attribuisce al termine stesso carattere perentorio e dalla inosservanza di esso fa discendere l'effetto della decadenza. Che, poi, ad impedire quest'effetto basti una volont� in qualsiasi modo manifestata -come afferma il Pretore -� principio che contrasta con la perentoriet� del termine e con la decadenza che, dalla inosservanza di esso, deriva. Queste esigono, infatti, che il comportamento imposto alla parte al fine di evitare conseguenze ad essa sfavorevoli sia precisamente individuato e sia compiutamente tenuto secondo le modalit� prescritte dalla �1egge. Trattasi di un onere dalla cui (1) Non si rnvvisano precedenti in termini. Sulla portata dell'applicazione della legge 59/1979, cui fa riferimento la sentenza che si annota, cfr.: R. POGGESCHI, lscri:zfone della causa a ruolo, in Novissimo Digesto, Appendice IV, Utet, Torino, 1983, 440; Servizi di cancelleria in materia di spese processuali civili (circolare Ministero Giustizia 1 marzo 1979 n. 4/602/63), in Fisco 1980, 61; Commentario a cura di Punzo e con la collaborazione di D'Alessio A., Massa E., Papi M., e Sandulli P., in Nuove Leggi civili, 1980, 131. PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 105 osservanza o inosservanza non possono che derivare conseguenze certe e che, traducendosi in uno strumento, imposto dall'ordinamento, idoneo ad impedire conseguenze sfavorevoli per la parte soltanto se compiutamente realizzato, non � suscettibile d'interventi sostitutivi o integrativi da parte dell'ordinamento e, meno ancora, da parte del giudice, volto, com'� a garantire -oltre ad esigenze di certezza di carattere generale -da un lato la facolt� del soggetto attivo di osservare, oppur no, l'onere (essendo a suo solo carico_ le conseguenze della inosservanza), dall'altro la tutela del soggetto passivo di fronte all'altrui esercizio, in senso positivo, di quella facolt�. 3. Si tratta, quindi, di stabilire se, in base alle norme processuali generali, non derogate dalla I. 689/81, la. spedizione dell'atto di opposizione alla cancelleria della pretura, senza che siano adempiute le concorrenti modalit� prescritte dalla legge e senza che dell'atto stesso sia attestato il deposito da parte del cancelliere, realizzi la fattispecie legale che consente di ritenere proposto il ricorso e impedita, in tal modo, la decadenza. La risposta non pu� non essere negativa. L'art. 22 1. 689/81 s,tabilisce che l'opposizione si propone davanti al pretore ed � ovvio che tale proposizione non si sottrae alla regola generale del deposito dell'atto in cancelleria, che, a norma dell'art. 57 c.p.c., dev'essere attestato, a tutti gli effetti, dal cancelliere, responsabile se ricusa, senza giustificato motivo, di compiere gli atti che gli sono legalmente richiesti (art. 60 n. 1 c.p.c.). L'art. 38 disp. att. c.p.c. fa obbligo alla parte, che deposita in cancelleria il ricorso, non solo di provvedere ai depositi specificament~ previsti dalla legge, ma anche di consegnare al cancelliere la carta bollata per lo svolgimento del procedimento e una somma per le spese di cancelleria. E l'art. 1 della I. 7 febbraio 1979 n. 59 (recante modificazioni ai servizi di cancelleria di spese processuali civili) non esonera da tali adempimenti la parte che deposita il ricorso, prescrivendo a suo carico il pagamento dell'imposta di bollo, nella misura e con le modalit� stabilite in apposita tariffa, e delle spese di canceHeria mediante l'applicazione di marche o il versamento del relativo importo sul conto corrente postale intestato all'ufficio del registro di Roma. Il 2� comma dell'art. 38, poi, fa obbligo al cancelliere di rifiutare di ricevere gli atti che non sono accompagnati dai depositi suddetti ed analoga disposizione si rinviene nell'art. l, 5� comma, della I. 59/79, a norma del quale �il cancelHere rifiuta di ricevere gli atti, se le marche o le ricevute dei versarrnenti sui conti correnti postali mancano o sono d'importo inferiore a quello stabilito �. Se il disposto dell'atto in cancelleria � necessario affinch� l'opposizione possa ritenersi proposta, il rifiuto del cancelliere che riceve l'atto, perch� non corredato dei depositi prescritti dalle norme citate, impedi raxr11111r11r11t11111111111111.1111ra1=181Jr111111111t11�11 106 RASSEGNA. DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sce il deposito e, quindi, la proposizione dell'opposizione; e, se il termine entro il quale questa deve avvenire � perentorio, e per ci� non pu� essere n� prorogato n� riaperto, il rifiuto del cancelliere si traduce in decadenza per la parte. In questa prospettiva, non ha alcun rilievo accertare se l'opposizione, spedita per posta da Napoli il 26 aprile 1983 (ammesso che tale modalit� di presentazione, espressamente ammessa per il ricorso in cassazione e per il controricorso dall'art. 134 disp. att. c.p.c., debba ritenersi consentita in via generale), sia pervenuta nella cancelleria della pretura il giorno successivo, ultimo utile per la proposizione dell'opposizione; e la indagine al riguardo disposta dal Pretore presso l'ufficio postale, pure se abbia dato esito positivo, non ha efficacia risolutiva della questione in esame.� L'attivit� documentativa dell'avvenuto deposito compete, infatti, in via esclusiva al cancelliere e non pu� essere surrogata dall'attivit� del giudice, il quale non dispone di poteri certificativi al riguardo e .non pu�, quindi, avvalersi di referenze �provenienti da altri organi; e non � senza significato che il cancelliere -e soltanto lui -pu� rispondere civilmente, ai sensi dell'art. 60 c.p.c., per avere rifiutato l'atto senza giustificato motivo. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 17 giugno 1988, n. 4131 -Pres. Brancaccio -Rel. Sensale -S.r.l. IN.DI.S. (avv. Marone e Bertoli) c. Prefettura di Milano (avv. Stato Polizzi). Procedimento civile -Confisca � Opposizione ad ordinanza � Ingiunzione � Illecito permanente � Competenza, Nell'ipotesi di illecito amministrativo permanente (nella specie viola zione dell'art. 58 codice stradale), il luogo in cui � stata commessa la vio lazione coincide con quello in cui la stessa viene accertata. Non � pertanto applicabile in via analogica l'art. 39, terza comma, codice procedura penale, dal momento che le disposizioni della legge 689/81 integrano un sistema giuridico completo ed autosufficiente. (1) I (omissis) Con la sentenza impugnata in questa sede, il Pretore di Brescia ha disatteso l'assunto dell'opponente sul punto della competenza del I r 1 (1) Non constano precedenti in termini. f: Sotto il profilo della competenza del pretore del forum commissi deltcti 'f. si vedano, tra le numerose altre: Cass. 4 novembre 1982 n. 5785, in Foro it. 1983, I, 1001; Cass. 22 dicembre 1987, n. 9572, in Mass. foro it. 1987; Cass. 13 novembre 1987, n. 834, in Mass. foro it., 1987. I --I PARTE I, SBZ, III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE Prefetto, ritenendo che la legge n. 689/81 contiene una disciplina completa ed autosufficiente in ordine ana competenza del Prefetto ad emettere l'ordinanza ingiunzione e il provvedimento di confisca e consente di affermare, senza che debba ricorrersi all'applicazione analogica dell'art. 39 c.p.p., che la competenza spetta allo stesso tempo a qualsiasi autorit� nel cui territorio sia avvenuta una parte dell'infrazione. Quindi, da un lato ha affermato che il Prefetto di Milano fosse anch'egli competente a provvedere (oltre al Prefetto di Brescia), in quanto il veicolo sprovvisto della carta di circolazione aveva sicuramente circolato nell'ambito territoriale della Prefettura di Milano; dall'altro, pur non pronunziandosi espressamente al riguardo, non ha dubitato della propria competenza a decidere sull'opposizione, implicitamente dando credito alla tesi dell'opponente, secondo cui la circolazione era iniziata ed in parte avvenuta in territorio dipendente dalla Prefettura di Brescia. Censurando in questa sede, con il primo motivo, tale statuizione, la ricorrente ripropone la tesi gi� prospettata nel giudizio pretorile, in base alla quale competente ad emettere il provvedimento impugnato era esclusivamente il Prefetto di Brescia e che, conseguentemente, competente a decidere sull'opposizione era il Pretore di Brescia, davanti al quale essa era stata proposta. La Corte ritiene: a) che competente ad emettere il provvedimento di confisca era esclusivamente il Prefetto di Milano, nel cui territorio la violazione risultava commessa perch� in esso era stata accertata,� b) che, conseguentemente, competente a giudicare sulla opposizione era il Pretore di Milano e non quello di Brescia; c) che, trattandosi di competenza territoriale funzionale, e per ci� inderogabile, in ordine alla quale non si era formato il giudicato n� si erano verificate preclusioni, la competenza del Pretore di Milano pu� essere dichiarata d'ufficio in questa sede, con conseguente cassazione della decisione impugnata, in quanto pronunciata da giudice funzionalmente incompetente, salva, per l'opponente, la possibilit� di riassumere la causa davanti al giudice competente, ai sensi dell'art. 50 c.p.c. 2. Esaminandosi il punto sub a), deve ritenersi non priva di fondamento la premessa dalla quale la tesi della ricorrente muove, e cio� che � la logica giuridica del nostro ordinamento esclude in terminis la possibilit� di attribuire contemporaneamente a pi� organi (siano essi amministrativi o giurisdizionali) la competenza a conoscere di un medesimo fatto�; e che, � tutt'al pi�, in ipotesi eccezionali, potranno ricorrere casi di competenze alternative, mai contemporanee�, tale possibilit� presegue la ricorrente -essendo esclusa, oltre che dalle norme costituzionali sulla precostituzione per legge dal giudice (da cui nessuno pu� essere distolto) e sulla distribuzione della competenza fra gli organi amministrativi, da tutte le altre disposizioni, dirette, da un lato, a indi RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 108 viduwe preventivamente le relative sfere di competenza e, dall'altro a regolare i possibili conflitti. N� � senza significato iii. rilievo che la tesi accolta nella sentenza impugnata condurrebbe al risultato, inaccettabile sul piano logico e su quello giuridico, per cui ad ogni prefetto sarebbe consentito emettere propxi e distinti provvedimenti in relazione al medesimo, unico fatto. 3. Ma, se ci� � vero, non pu� tuttavia condividersi la tesi della ricorrente nella parte in cui sostiene che la competenza -amministrativa -del prefetto andrebbe determinata mediante l'applicazione analogica della norma processuale che regola la competenza -giudiziale in materia di reati permanenti. A parte la difficolt� di estendere all'attivit� amministrativa una ratio ad essa estranea e propria, invece, della disciplina del processo, ispirata all'esigenza d'impedire che sia la parte, col f�ar cessare la permanenza, a determinare, secondo il vecchio testo dell'art. 39 c.p.p., la competenza del giudice; ed a parte la considerazione che contrasterebbe con l'esigenza di speditezza e di certezza, nella materia in esame, dell'azione amministrativa diretta alla repressione di comportamenti illeciti, imporre alla Amministrazione il compimento di indagini laboriose al fine d'individuare, ogni volta, il luogo �in cui abbia avuto inizio la consumazione della violazione (nel caso in esame, la circolazione del veicolo), indipendentemente da quello in cui sia stata accertata, � certo che, nella prev~sione della legge 689/81, il luogo in cui � stato commesso l'illecito coincide con quello in cui esso viene accertato; e ci� priva di valore il rilievo della ricorrente teso a dimostrare che tale legge, ancorando la competenza del pretore al luogo in cui � stata commessa la violazione, avrebbe contenuto innovativo della precedente disciplina, che faceva riferimento al luogo in cui la violazione era stata accertata. Invero, l'art. 13 della 1. 689/81 demanda agli organi addetti al controllo sull'osservanza delle disposizioni (per la cui violazione � prevista la sanzione amministrativa) il relativo accertamento, fornendoli di specifici poteri per assumere informazioni e procedere a ispezioni di cose, a xilievi segnaletici, descrittivi e fotografici e ad ogni altra operazione tecnica, e per procedere al sequestro cautelare delle cose che possono formare oggetto di confisca amministrativa, nei modi e con i limiti con cui il codice di procedura penale consente il sequestro alla polizia giudiziaria, sequestro che gli organi addetti devono sempre disporre quando si tratti di veicoli circolanti senza copertura assicurativa o senza che per essi sia stato rilasciato il documento di circolazione. Gli stessi organi devono provvedere alla contestazione immediata (cio� nel tempo e nel luogo dell'accertamento) o alla notifica degli estremi della violazione, individuata secondo le circostanze di tempo e di luogo accertate (v. art. 14), PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE e sono tenuti a presentare il rapporto all'autorit� territorialmente competente secondo il luogo in cui � stata commessa la violazione. Nel dettare queste disposizioni -e, in particolare, nell'attribuire unitariamente ad organi forniti di una specifica capacit� tecnica il potere di accertamento, d'ispezione, di compiere rilievi e di procedere al sequestro -la norma implica la infungibilit� di tali organi e degli atti di accertamento che essi compiono, affinch� la violazione assuma rilievo ai fini della irrogazione della sanzione amministrativa; implica, cio�, che non vi pu� essere accertamento della violazione se non da parte di quegli organi e che, in definitiva, istantanea o permanente che sia la violazione, essa non pu� ritenersi commessa se non nel tempo e nel luogo risultanti da quell'accertamento. In altri termini, la legge non consente che la violazione, e il luogo in cui � stata commessa, possano accertarsi in qualsiasi modo o denunziarsi da chiunque; e quindi non attribuisce alcuna rilevanza al luogo in cui � iniziata la consumazione della violazione prima che essa sia accertata da parte degli organi a ci� addetti, con le modalit� tecniche loro consentite e con il successivo adempimento dell'obbligo di contestazione, previsto dalla legge ai fini della irrogazione della sanzione amministrativa. Se, dunque, il luogo in cui la violazi�ne � stata commessa non pu� essere individuato se non attraverso l'accertamento degli organi addetti, ne deriva che il prefetto territorialmente competente ad emettere l'ordinanza ingiunzione e il provvedimento di confisca � quello del luogo in cui la violazione sia stata accertata, il che, da un lato esclude che, per lo stesso fatto, possano risultare contemporaneamente competenti pi� autorit�, dall'altro fuga il temuto inconveniente delle difficoltose indagini che l'autorit� amministrativa sarebbe costretta a compiere per individuare il luogo della commessa violazione, risultando questo, in ogni caso ed esclusivamente, dall'atto di accertamento. 5. Individuato il luogo in cui � stata commessa la violazione in quello in cui essa sia stata accertata, � in relazione ad esso che si determinano sia la competenza del prefetto ad emettere il provvedimento sanzionatorio (art. 17, 5� comma) sia la competenza del pretore a giudicare sull'opposizione (art. 22, 1� comma). Che la competenza del pretore del luogo in cui � stata commessa la violazione sia funzionale, e quindi inderogabile, non pu� dubitarsi. Si � osservato in dottrina che la norma in esame s'inquadra nel criterio di competenza del luogo in cui � sorta l'obbligazione (avente ad oggetto il pagamento della sanzione pecuniaria, rispetto alla quale la confisca costituisce sanzione accessoria), perch� il carattere costitutivo dell'accertamento fa s� che l'obbligazione nasca nel luogo dove ha sede l'ufficio accertatore, che � l'ufficio pubblico periferico nella cui circoscrizione territoriale la violazione � stata commessa; ed assume il luogo - 110 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO in cui l'obbligazione � sorta come criterio di competenza territoriale non gi� facoltativo, ma esclusivo e inderogabile. Quest'affermazione trova indubbiamente conferma nel testo normativo, il quale, determinando nel modo suddetto la competenza del pretore senza far salvo alcun altro foro, alternativo o concorrente, e senza rin� viare alle norme processuali ordinarie relative alla competenza (di cui esclude, quindi, l'applicabilit�), costituisce disposizione espressa della inderogabilit� della competenza. Ma ancor pi� rileva la considerazione che la competenza territoriale, da una norma stabilita -per ragioni di pubblico interesse -in modo esclusivo e inderogabile, ha carattere funzionale e che il procedimento instaurato a seguito dell'opposizione � sicuramente permeato da connotati pubblicistici, non solo sotto l'aspetto della natura normalmente propria dello strumento processuale, ma anche sotto il profilo del contenuto delle pretese sostanziali che vi si fanno valere: da un lato quello della P.A. a vedere applicata al trasgressore la sanzione per una generale esigenza sociale di restaurazione dell'ordine giuridico violato; dall'altro, quella di colui che subisce la sanzione non solo a difendere la propria sfora giuridico,patrimoniale, ma anche a far s� che l'azione amministrativa sia legittimamente e correttamente esercitata. Induce a questa conclusione anche il rilievo che il meccanismo, attraverso il quaJe si svolge id procedimento di accertamento dell'illecito e di irrogazione della sanzione (strutturato con necessario riferimento al luogo dell'accertamento), vede come soggetto primario la P.A., quale portatrice di un interesse pubblico in quanto, appunto, competente per es� sere stata accertata la violazione nell'ambito della sua circoscrizione ter� ritoriale; e che ci� si riflette nel successivo procedimento giurisdizionale, attribuito alla competenza del pretore del luogo in cui � stata commessa (perch� ivi accertata) la violazione, per presunzione assoluta di legge ritenuto come� il pi� idoneo ad apprezzare l'interesse pubblico coinvolto nel giudizio. Ci� di cui nella causa di opposizione si controverte �, infatti, la legittimit� e l'adeguatezza di una sanzione, irrogata in virt� di un procedimento amministrativo di evidente derivazione penalistica, connotato dal superiore principio di legalit�, in linea col carattere sanzionatorio che esso assume e con la natura punitiva del provvedimento che lo conclude. E non si � mai dubitato che qualsiasi procedimento giurisdizionale, in cui possa essere direttamente applicata una sanzione oppure debba sindacarsi la corretta applicazione di una sanzione precedentemente inflitta, sia sottratta al potere dispositivo delle parti in ordine alla determinazione del giudice competente, individuato in base a inderogabili criteri legali. SEZIONE QUARTA GIURISPRUDENZA CIVILE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. II, 22 novembre 1986, n. 6887 -Pres. Parisi -Rel. Buccarelli -P. M. Martinelli (conf.) -Soc. Impresa Pizzarotti (avv. Castore) c. Stati Uniti d'America (avv. Ardito e Buglielli). Contabilit� pubblica � Contratti della P. A. -Licitazione privata � Clausole onerose � Specifica approvazione scritta � Non oc�orre. Il contratto concluso a seguito di gara di licitazione privata ha la natura di un contratto per adesione sub specie per relationem perfectam, in ordine al quale non pu� trovare applicazione il regime dell'art. 1341 secondo comma del codice civile (1). (omissis). :B accertato e pacifico in atti che la conclusione del contratto in parola ebbe luogo all'esito di una privata licitazione, ossia di una gara di appalto nella quale la Societ� oggi ricorrente present� l'offerta ritenuta migliore dall'Amministrazione appaltante. Non risulta mai (1) La Cassazione con pi� sentenze (v. Cass. del 22 nov. 1986, n. 6887; 18 marzo 1987, n. 2724; 22 maggio 1986, n. 3407; 26 gennaio 1987, n. 713) si � espressa nel senso dell'applicabilit� dell'art. 1341 e.e. ai contratti stipulati dalla P. A. anche a seguito di licitazione privata. La Corte Costituzionale, con ordinanza 14-21 gennaio 1988 n. 61, ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimit� costituzionale degli artt. 1341 e 1342 del codice civile sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dalla Corte d'Appello di Roma, con ordinanza emessa il 9 maggio 1980, in quanto � giurisprudenza costante della Cassazione la app!i� cabilit� di detta no.rma ai contratti della P.A. Questa unifor:mit� di indirizzo della Cassazione non sembra per� sia da riscontrare, in quanto la Sez. II, con la sentenza in Rassegna, si � espressa in senso contrario. Se ne segnala pertanto la esauriente motivazione. Appare invero arduo affermare che il contraente, il quale ha esaminato lo schema di contratto, ed in base al quale ha formulato la sua offerta, non sia stato in grado di conoscere l'onerosit� degli obblighi che va ad assumere. g naturale invece ritenere che la misura dell'offerta presentata alla gara sia in necessaria relazione con il contenuto delle clausole inserite nello schema contrattuale. Pervenire a conclusioni contrarie a quelle di cui alla sentenza in Rassegna equivale a falsare la gara di aggiudicazione in favore del concorrente che ha formulato l'offerta con la riserva mentale di fare annullare una clausola a lui sfavorevole. La giurisprudenza contraria andrebbe pertanto rimeditata. (GIUSEPPE STIPO) RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 112 dedotto da quella che la proposta di questa non contenesse tutti i dati necessari alla valutazione, per i partecipanti, delle condizioni, dei requisiti e delle specifiche per l'assegnazione; sicch� tal proposta, come correttamente implic� la Corte del merito, precisava che era esclusa, per J'appaltatore, la facolt� di chiedere la revisione dei prezzi. Peraltro, nel � memorandum for record� del 13 giugno 1978, questo patto era ben chiarito; ed il memorandum stesso era stato sottoscritto da un rappresentante della Societ� interessata. Ora, non si tratta di stabilire se quel documento dovesse prevalere sui o integrare i patti del futuro contratto, n� di accertare quale efficacia su questo potesse ormai avere quello, se la stessa Amministrazione appal� tante aveva chiarito che i patti contenuti nello stesso memorandum non sarebbero stati ritenuti efficaci se non riportati nel contratto che sarebbe stato stilato. Si � invece, come ritenne la Corte territoriale, dinanzi a un elemento probatorio atto a confermare quel che gi� era risultato: ossia che la Societ� era a conoscenza della clausola di rinunzia alla facolt� di revisione, che la sua attenzione era stata chiaramente sollecitata e indirizzata su quel patto, che nelle trattative inter partes esso era stato pienamente contemplato e discusso; e che, infine, la parte interessata aveva avuto modo e agio per ponderarlo e decidere se il contratto in questione fosse oppur no confacente ai suoi interessi. Valutazione che evidentemente importava anche la relazione fra prezzo e rischio, e in particolare fra compenso e maggiore alea conseguente alla rinunzia al diritto sancito dall'art. 1664 del codice civile. Sotto altro riguardo lo schema contrattuale predisposto dalla amministrazione appaltante atteneva a particolari costruzioni da erigersi a Sigonella; era compilato acciocch� giungesse alla cognizione di pi� interessati in reciproca concorrenza; con possibilit� per ciascuno di essi di trarre opportuno giudizio e pervenire a ponderata decisione circa il fare o il non fare offerte, e, nella prima ipotesi, in quale misura. L'accettazione dello schema non era quindi l'accettazione del contratto, ancora da stipularsi; ma la accettazione delle clausole che in esso si sarebbero contenute previa piena conoscenza e valutazione delle stesse, e, .in buona sostanza, discussione di esse con la controparte. N� questa situazione pu� essere considerata in modo diverso perch� una certa clausola era ritenuta indefettibile dal proponente. Si ha dunque un contratto per adesione sub specie per relationem perfectam, in ordine al quale non pu� trovare applicazione il regime dell'art. 1341, 2� comma, del codice civile, dato. che lo schema negoziale viene predisposto da uno dei contraenti in conformit� di trattative comunque condotte con l'altro, che poi sottoscrive il contratto conforme per adesione; mentre le argomentazioni del ricorrente sarebbero ineccepibili -a parte quanto si dir� in ordine alla natura della clausola in contestazione -qualora si vertesse in tema di contratto di adesione per rela PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 113 tionem imperfectam; e inoltre di contratto non precostituito con moduli preveduti per una serie indefinita di negozi, in uno schema globale tipico e non gi� solo per un determinato patto che possa costantemente essere contenuto in differenti negozi (Conf. Cass. 3948/69; 894/72; 1343/76; 1952/77; nonch� per caso di specie -precedente licitazione privata - Cass. 1383/71; e infine, sui contratti per adesione secundum relationem perfectam aut imperfectam, Cass. 3012/63; e quanto alla previa conoscenza dell'atto da sottoscrivere da parte del contraente c.d. pi� debole, v. Cass. 2254/58; 1041/61; 3012/63). (Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 21 giugno 1988, n. 4222 -Pres. Granata � Rel. Caturani -P. M. Locascio (conf.) -Istituto Poligrafico dello Stato (avv. Stato Corsini) c. Soc. ETI (avv. Libonati). Enti pubblici -Enti pubblici non economici -Istituto Poligrafico dello Stato -Imprenditore � Riconoscimento della qualifica � Limiti. Enti pubblici � Enti pubblici non economici � Istituto Poligrafico dello Stato � Imprenditore � Fotocopiatura di parte dei testi della Gazzetta Ufficiale e sua riproduzione su periodici � Concorrenza sleale � Esclusione. (L. 13 luglio 1966, n. 559, art. 2; d.P.R. 24 luglio 1967, n. 806). L'Istituto Poligrafico dello Stato, cui spetta in base alla l. 13 luglio 1966, n. 559, la qualit� di ente pubblico non economico, � soggetto alla disciplina dell'imprenditore commerciale con esclusione per� dell'obbligo di iscrizione nel registro delle imprese e di tenuta dei libri contabili, limitatamente a quelle attivit� non prevalenti rispetto ai suoi complessivi compiti, che presentino i caratteri dell'esercizio d'impresa (artt. 2093 e 2201 e.e.) (1). (1-3) La decisione, per la quale non constano precedenti specifici, � pub blicata in Giur. it. 1988, I, 1718 con nota critica di M. SARALE, in Giust. civ. 1988, I, 223'2 ed in Foro it. 1988, I, 3288. In essa i Giudici della S.C. riconoscono all'Istituto Poligrafico dello Stato quale ente pubblico non economico la veste di imprenditore e come tale l'ap plicazione allo stesso della disciplina contenuta nel Libro V del codice civile: ivi comprese le norme sulla concorrenza sleale. Dopo aver per� preso in considerazione l'attivit� di stampa e gestione della Gazzetta Ufficiale ed indi� viduato in essa tipiche finalit� di interesse pubblico (prima fra tutte il com� pimento della procedura relativa alla pubblicazione delle leggi e quindi quelle relative alla realizzazione della conoscibilit� delle norme pubblicate e della certezza dei testi normativi nella stessa contenuti), alla stregua di dette finalit�, la S.C. esclude che la riproduzione fotostatica su libri e riviste di pagine o parti di pagine della Gazzetta Ufficiale possa integrare concorrenza sleale nei confronti del Poligrafico; in tal mod.o sembrerebbe affermarsi che la detta 114 RASSEGNA DEU.'AVVOCATuRA DEI.LO STATO Fra tali attivit� non possono includersi la stampa, gestione e vendita della Gazzetta Ufficiale, le quali configurano funzioni svolte nell'interesse generale, con strumenti sottratti alla disciplina privatistica e nell'ambito del procedimento attinente alla pubblicazione delle leggi e degli altri provvedimenti normativi dello Stato, nonch� al rafforzamento della loro conoscibilit� da parte dei destinatari (2). Ne consegue che l'attivit� di fotocopiatura da parte di terzi dei testi normativi pubblicati nella Gazzetta Ufficiale deve ritenersi libera, avendo ad oggetto un bene accessibile a tutti, restando altres� escluso che la pubblicazione di tali copie in libri o riviste possa integrare atto di concorrenza sleale (3). 1. -Con il primo motivo, denunziando violazione dell'art. 2 della 1. 13 luglio 1966 n. 559, del D.P.R. 24 luglio 1967 n. 806, dell'art. 2598 e.e. nonch� difetto di motivazione (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.), la ricorrente si duole che la Corte di appello abbia ravvisato concorrenza sleale nella attivit� di riproduzione fotografica sulle proprie riviste dei testi normativi pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale senza tener presente che, per quanto riguarda la pubblicazione delle leggi, l'Istituto Poligrafico dello Stato non esercita alcuna prerogativa dell'imprenditore-editore, versando in posizione meramente esecutiva rispetto al Ministro Guardasigilli. D'altro canto si afferma che l'Istituto svolge tale attivit� in regime di esclusiva nell'ambito del procedimento di pubblicazione dei testi normativi e che lo spazio pratico appartenente sul mercato alla rivista di legislazione e commento edita dall'ETI non � paragonabile a quello della Gazzetta. attivit� di stampa e gestione della Gazzetta da parte del Poligrafico non costituisce esercizio di impresa. Sul punto della attribuibilit� della veste di imprenditore all'ente pubblico non economico la Cassazione riafferma un principio che pu� considerarsi ormai un risultato condiviso dalla maggior parte della scienza giuridica (da ultimo cfr. CoTTINO, Diritto commerciale, Padova, 1986, t. II, 178; GALGANO, L'imprenditore commerciale, in Tratt. dir. comm. e dir. pubb. ec., l'impresa, Padova, 1978, 84; entrambi nel senso che l'esercizio dell'impresa costituisce presupposto sufficiente per l'assunzione della qualit� di imprenditore. Nel senso che dunque anche all'ente pubblico � attribuibile in presenza dei detti requisiti la veste di imprenditore, v. �da ultimo CIRENEI, Le imprese pubbliche, Milano, 1983, 111. L'individuazione dei connotati in presenza dei quali l'esercizio di una attivit� economica assurge a dmpresa, nel nostro caso, pubblica ai fini di riconoscere in capo alla stessa l'applicabilit� della disciplina codicistica anche in tema di concorrenza sleale � l'argomento centrale della sentenza in epigrafe ed � quello che offre maggiori spunti di riflessione in merito alla soluzion~ adottata. La Cassazione afferma che l'attivit� di stampa, gestione e vendita della Gazzetta Ufficiale � complessivamente da ricondurre alla finalit� pubblica che � Il l $ ~ I I ! PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 115 2. -La censura � fondata. La giurisprudenza di questa Corte s1 ispira ad un indirizzo ormai costante nel ritenere che la I. 13 luglio 1966 n. 559, sul nuovo ordinamento dell'Istituto Poligrafico dello Stato, ha reso prevalenti, rispetto alle attivit� imprenditoriali cui � tuttora dedito, i servizi svolti dall'Istituto medesimo nell'interesse delle amministrazioni statali, mediante strumenti sottratti alla disciplina del diritto privato. Tale riforma, pertanto, }a quale ha trovato conferma nel distacco della Zecca dal Ministero del Tesoro e nella costituzione di essa in Sezione dell'Istituto Poligrafico, a norma della I. 20 aprile 1978 n. 154, ha conferito all'Istituto medesimo la natura di ente pubblico non economico (Sezioni unite nn. 3226/83; 5560/81; 2123/80; 3230/79; 2/78). 3. -La qualificazione dell'Istituto Poligrafico dello Stato, come ente pubblico non economico, impone di verificare ex officio, per la sua incidenza sulla decisione del ricorso, se tale sua veste sia astrattamente compatibile con la qualit� di imprenditore. Mentre la persona fisica se esercita professionalmente una attivit� economica �compresa tra quelle previste daU'art. 2195 e.e. acquista senz'altro la qualifica di imprenditore commerciale, l'ente pubblico per essere tale deve avere per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di una attivit� commerciale ed in tale ipotesi soltanto � soggetto all'obbligo dell'iscrizione nel registro delle imprese (art. 2201 e.e.). Non sono compresi nella formulazione della legge i casi in cui l'attivit� pubblicistica dell'ente � prevalente rispetto aJ:l'attivit� di impresa dal medesimo esplicata -come si ver1fica per l'Istituto Poligrafico dello Stato -onde la necessit� logica e giuridica di stabilire se in quest'ult1mo caso possa ugual- l'Istituto persegue e che tale elemento teleologico vale da solo ad escludere per quell'attiwt� l'esercizio dell'impresa. L'individuazione del carattere di attivit� economica organizzata professionalmente (indubbiamente esistente se si pensa al confezionamento del prodotto, alla scelta della veste tipografica, all'organizzazione del sistema di vendita ecc.) sembra invece rimasta estranea alla valutazfone della Suprema Corte: ci� rin un momento in cui considerando la realt� dell'impresa pubblica si � andata progressivamente sminuendo l'essenzialit� dello stesso scopo di lucro (Corrrno, op. cit. 88). Desta in definitiva qualche perplessit� l'esclusione, affermata dalla S. C. dell'applicabiLit� della normativa sulla concorrenza sleale, che � normativa tipicamente finalizzata al rispetto della correttezza e delle � regole del gioco " tra imprenditori proprio perch� tale esclusione � giustificata solo in relazioile al perseguimento delle ffoalit� pubbliche dell'Istituto e dunque alla non configurabilit� per essa di un'attivit� d'impresa. Il che sembra negare il principio affermato in premessa della sostanziale assimilazione, per quanto attiene alla disciplina, dell'impresa pubblica e privata (sw.i soggetti della concorrenza sleale con alcuni riferimenti anche agli enti pubblici non economoi, v. SCIRE', La concorrenza sleale nella giurisprudenza, Padova, 1975, 123). AURELIO VESSICHELLI 9 116 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO mente discorrersi di attivit� di impresa' gestita dall'ente pubblico nono� stante il difetto di quel requisito essenziale che la norma richiede agli effetti che si considerano. In dottrina l'interpretazione dell'art. 2201 e.e. non � univoca: secondo un indirizzo, la norma definisce la figura dell'ente pubblico� imprendi� tore attraverso il requisito dell'attivit� commerciale esclusiva o prevalente che il medesimo deve svolgere, onde in sua mancanza l'ente non potrebbe qualificarsi imprenditore e ad esso sarebbe quindi inapplicabile in toto la disciplina dell'impresa contenuta nel libro V del codice civile. Secondo una diversa corrente di pensiero, invece, che questa Corte condivide, il problema va risolto procedendo al coordinamento dell'arti� colo 2201 con l'art. 2093 e.e., secondo cui: � Le disposizioni di questo libro si applicano agli enti pubblici inquadrati nelle associazioni professionali. Agli enti pubblici non inquadrati � si applicano le disposizioni di questo libro, limitatamente alle imprese da essi esercitate �. Come si � rilevato in. dottrina, la terminologia della norma richiama il soppresso ordinamento corporativo secondo cui, gli enti pubblici che avevano per oggetto esclusivo o principale una attivit� commerciale erano inquadrati nelle associazioni professionali, onde si ricava dalla dizione della legge la equipollenza dell'ente pubblico inquadrato nelle associazioni professionali, cui fa riferimento l'art. 2093 comma l, con l'ente pubblico che abbia per oggetto esclusivo o principale una attivit� commerciale. Con argomentazione a contrario risulta perci� dal �secondo comma che l'attivit� d'impresa pu� essere altres� gestita (e disciplinata dal codice civile) quando essa sia svolta da un ente pubblico che prevalentemente tenda a realizzare scopi di pubblico interesse. Ne consegue che, mentre gli enti pubblici economici (per i quali l'esercizio dell'attivit� economica costituisce l'oggetto principale od esclusivo) sono considerati dalla legge, nella loro conformazione unitaria ed inscin� dibile, imprenditori commerciali, gli enti pubblici che tendono a con� seguire prevalentemente scopi di pubblico interesse, per cui svolgono soltanto in via marginale attivit� di impresa, devono ritenersi imprenditori anche se non commerciali, per non essere sottoposti all'obbligo della iscrizione nel registro delle imprese, limitatamente all'impresa da essi esercitata. Poich� essi sono pur sempre imprenditori, sono soggetti alle norme sulla impresa contenute nel codice civile, con esclusione soltanto di quelle che si riferiscono in modo esclusivo all'imprenditore commerciale, cio� gli artt. 2188-2221 e.e., onde sono sottratti all'obbligo della iscrizione nel registro delle imprese e della tenuta delle scritture contabili. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 4. -Stabilito che, in linea di principio, l'ente pubblico non economico che gestisce un'impresa � soggett� alle norme del libro V del codice, civile che si riferiscono all'impresa e quindi anche a quella invocata nel presente giudizio dalla difesa dell'Istituto Poligrafico dello Stato (l'art. 2598 e.e. in tema di concorrenza sleale), il punto centrale della controversia interpretativa insorta tra le parti riflette l'individuazione della natura giuridica dell'attivit� che l'Istituto svolge relativamente alla stampa ed alla gestione della Gazzetta Ufficiale. La difesa del resistente, nelle note scritte di udienza, pur ritenendo possibile la fotocopiatura delle leggi, sostiene che non � altrettanto lecita l'attivit� di vendita dei testi legislativi da parte di terzi, il che autorizzerebbe �lo sfruttamento, con illecito abbattimento di oneri, del prodotto altrui, prodotto che ha propria veste editoriale e tipografica, e propri pregi caratteristici quale (riconosciuto anche ex adverso) la esattezza testuale�. La tesi non pu� essere seguita dal Collegio, in quanto si limita a prendere in considerazione l'attivit� di vendita delle imprese che si assumono concorrenti, senza tener presente la natura dell'attivit� che l'Istituto svolge allorch� diffonde al pubblico le copie della Gazzetta Ufficiale, anche in abbonamento. A tal fine va considerato che l'attivit� esplicata dall'Istituto in ordine alla stampa e alla gestione della Gazzetta Ufficiale (art. 2 comma 2 della 1. 13 luglio 1966 n. 559) non pu� essere presa in esame in s� stessa, avulsa cio� dalla disciplina giuridica dalla quale � regolata e dal procedimento nel quale si inserisce e senza apprezzare quale sia lo scopo che attraverso la medesima l'ordinamento mira a conseguire. Tra le funzioni che la legge devolve all'Istituto Poligrafico dello Stato, � senza dubbio preminente, per la sua importanza intrinseca, la pubblicazione per esteso delle leggi e dei provvedimenti normativi nella Gazzetta Ufficiale (r.d. 24 settembre 1931 n. 1256; r.d. 2 settembre 1932 n. 1293; r.d.l. 14 maggio 1936 n. 831 e 1. 5 maggio 1939 n. 660 che modificano il r.d. 24 settembre 1931 n. 1256). La pubblicazione infatti, costituisce il momento terminale del procedimento di formazione delle leggi, cui fa riferimento l'art. 73 della Costituzione allorch� stabilisce che esse sono p.bblicate subito dopo la promulgazione e, di regola, entrano in vigore il quindicesimo giorno successivo alla loro pubblicazione. Questa costituisce nel diritto positivo una attivit� tecnicamente rientrante nel procedimento legislativo poich� fin quando essa non sopraggiunga, non si verifica l'entrata in vigore della legge; d'altra parte, l'atto legislativo promulgato nella sede competente costituisce l'oggetto stesso della operazione in cui si concreta l'attivit� pubblicitaria. La pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale non costituisce, peraltro, l'unico sistema di pubblicit� degli atti normativi previsto dalle leggi ordinarie. Sussistono all'uopo disposizioni che prevedono procedure di pub 118 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO blicazione da attuarsi con mezzi diversi: i regolamenti delle regioni a statuto ordinario sono pubblicati nel Bollettino Ufficiale (art. 12 della 1. 10 febbraio 1953 n. 62), mentre i regolamenti comunali sono sottoposti alla sola pubblicazione nell'albo pretorio (art. 62 del r.d. 3 marzo 1934 n. 363). Ora per quanto concerne la pubblicazione delle leggi nella Gazzetta Ufficiale, essa come ogni altra forma di pubblicit� prevista per gli atti normativi, tende ad attuare la maggiore diffusione possibile del testo pubblicato. Si ritiene, invero, in dottrina che il sistema di pubblicazione accolto nel nostro ordinamento corrisponde al tipo di pubblicazione che si � definita �materiale�, in quanto ha attitudine a diffondere il testo della legge nella maniera pi� completa possibile, in modo da dare a tutti i destinatari la possibilit� concreta di conoscerla, e di adeguare ad essa i propri comportamenti. La stessa vacatio legis, prevista dalla norma costituzionale, costituisce, inoltre, elemento integrante la pubblicazione, rafforzandone la funzione giuridica, poich� l'evento che si mira a conseguire (che risiede nella efficacia della legge) non si determina soltanto in base alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale (art. 8 del T.U. n. 1256 del 1931; artt. 5 e 6 del r.d. 2 settembre 1932 n. 1293); occorre altres� che questa � esibizione � al pubblico si protragga per un certo tempo. E non � dubbio che questa protrazione concorre a rafforzare la possibilit� che attraverso la pubblicazione si .realizzi la maggiore diffusione possibile della legge e quindi la sua notoriet� per tutti. 5. -Il sistema di pubblicazione delle leggi e dei decreti, previsto dall'art. 7 del r.d. n. 1256 del 1931, tuttora in vigore, costituisce un sostanziale superamento del sistema anteriore vigente nel Regno Sardo secondo cui, la pubblicazione delle norme giuridiche era attuata mediante affissione nei capoluoghi comunali (art. 8 e 9 codice civile Albertino del 1837). Tale procedura, dal cui compimento dipendeva l'entrata in vigore della legge, presentava tuttavia degli inconvenienti poich� rendeva conoscibili le norme non gi� per tutto il periodo della loro efficacia, ma per il tempo liimitato deH'affissione. Questo sistema, che garantiva una conoscenza soltanto presunta della legge perch� in realt� soltanto in casi molto limitati i cittadini prendevano conoscenza del testo normativo nell'albo comunale, fu perci� soppresso e attraverso successive disposizioni in materia si pervenne alla introduzione di una procedura fondata sulle due fasi della inserzione e della pubblicazione del testo normativo nella sua integralit� e non pi� sulla sola notizia dell'avvenuta inserzione, come per l'ordinamento anteriore. Al testo pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale si riconobbe inoltre valore i legale, onde si stabil� che il Ministro della Giustizia avrebbe autorizzato I i I I - PARm I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE il �si stampi� soltanto dopo di aver accertato �la perfetta conformit� dello stampato all'originale� (art. 4 r.d. 2 settembre 1932 n. 1293). Iil base ai precedenti rilievi pu� affermarsi che la stessa attivit� di stampa e gestione della Gazzetta Ufficiale, cui l'art. 2 della 1. 13 luglio 1966 n. 559 fa riferimento, va considerata nel quadro della funzione pubblkistica che la medesima adempie nel diritto vigente. Essa � diretta a procurare sia la notoriet� delle norme pubblicate sia la certezza ai testi normativi in essa contenuti circa la conformit� del testo all'originale. Il che spiega come la direzione e la redazione della Gazzetta rientrino nelle attribuzioni del Ministero di Grazia e Giustizia (art. 2 della I. 559), onde la relativa attivit� si .inquadra nello stesso procedimento pubblicistico che � diretto ad attuare la accennata finalit�; ed in essa si inquadrano altres� la veste tipografica che ne agevola la diffusione nonch� i pregi eventuali dell'opera. Ed in questo ambito di carattere pubblico si inserisce altres�, essendo rivolta anch'essa a realizzare la pi� completa diffusione della Gazzetta al pubblico, non solo la fornitura, ma la sua vendita anche in abbonamento. Il che non consente di accogliere la distinzione tratteggiata dalla Corte d'appello, tra l'at�ivit� pubblicistica dell'Istituto che si esaurirebbe con la pubblicazione del testo della legge nella Gazzetta Ufficiale e la vendita della stessa, perch� dalla disciplina giuridica si traggono elementi univoci e concordanti che inducono a ritenere conforme a legge l'interpretazione la quale considera attratta nel procedimento pubblicistico svolto dall'Istituto per tutto ci� che attiene alla Gazzetta Ufficiale le stesse modalit� attraverso cui la conoscibilit� della legge � resa concreta e attuale e questa conoscibilit� non si arresta con la mera pubblicazione della legge, ma comprende tutto ci� che quella pubblicazione favorisce, come accade per la fornitura e la vendita della Gazzetta Ufficiale. Da quanto precede consegue che i prezzi di vendita e di abbonamento della Gazzetta Ufficiale non costituiscono il corrispettivo di una attivit� privatistica dell'Istituto, ma una prestazione patrimoniale che viene pagata dai cittadini per l'espletamento di un servizio pubblico che l'Istituto Poligrafico dello Stato svolge nell'interesse della generalit�, quando si avvalgono di detto servizio. Il che, tra l'altro, appare confermato dal fatto che trattasi di prezzi i quali non obbediscono alle leggi economiche del mercato, ma vengono determinati secondo scelte di carattere politico-sociale, dal Provveditore Generale dello Stato e sono approvati dal Ministro per il Tesoro sentito il Ministro di Grazia e Giustizia (art. 2 del D.P.R. 24 luglio 1967 n. 806). Quanto precede supera in radice la obiezione della difesa del resistente secondo cui, la mancata fissazione di prezzi remunerativi da parte del Poligrafico non pu� significare che il medesimo non svolga RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 120 attivit� d'impresa, non essendo il profitto uno scopo che necessariamente qualifica la figura dell'imprenditore. La interpretazione accolta esclude, invero, l'attivit� d'impresa per ragioni che sono intrinseche alla stessa attivit� esplicata, che si � ritenuta di carattere pubblicistico e non privatistico-imprenditoriale. Ne discende che, contrariamente a quanto ritenuto dalla impugnata sentenza, l'attivit� di fotocopiatura dei testi legislativi pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale da parte dei terzi devesi ritenere una attivit� libera, consentita a tutti, perch� avente ad oggetto urn bene che, essendo di tutti, � accessibile a tutti con i mezzi consentiti dalla tecnica moderna. 5. -L'accoglimento del primo motivo determina l'assorbimento del secondo col quale si assume che la Corte d'appello ha errato nell'identificare in concreto il comportamento contrario alla correttezza professionale e l'imitazione servile (art. 2598 nn. 1 e 3 e.e.). 7. -In definitiva, in accoglimento del ricorso, si impone la cassazione dell'impugnata sentenza ed il rinvio della causa ad altro giudice che si designa in altra Sezione della Corte d'appello di Roma la quale nel decidere la controversia si atterr� ai seguenti principi di diritto: � L'Istituto Poligrafico dello Stato, quale ente pubblico non economico, in quanto svolge prevalentemente, in base alla legge di riforma 13 luglio 1966 n. 559, attivit� pubblicistica rispetto all'attivit� di diritto privato, per H combinato disposto degli artt. 2093 e 2201 e.e. � soggetto alla disciplina dell'imprenditore commerciale limitatamente alle imprese da esso esercitate, con esclusione dell'obbligo di iscrizione nel registro delle imprese e di tenuta dei libri contabili. La stampa, la gestione e la vendita della Gazzetta Ufficiale, ai sensi dell'art: 2 della 1. 13 luglio 1966 n. 559 e dell'art. 2 del regolamento di attuazione approvato con D.P.R. 24 luglio 1%7 n. 806, rientrano tra i compiti che l'Istituto Poligrafico dello Stato svolge nell'interesse pubblico mediante strumenti sottratti alla disciplina di diritto privato, inquadrandosi nell'ambito del procedimento pubblicistico che attiene alla pubblicazione delle leggi e dei provvedimenti normativi dello Stato, di cui tendono a rafforzare la conoscibilit� da parte dei destinatari. L'attivit� di fotocopiatura dei testi normativ'i pubblicati nella Gazzetta Ufficiale da parte dei terzi costituisce attivit� libera consentita a tutti, perch� avente ad oggetto un bene che essendo di tutti � accessibile a tutti, con i mezzi consentiti dalla tecn:ica moderna. SEZIONE QUINTA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 14 giugno 1988, n. 733 -Pres. Quartulli Est. Lignani -Saccani Vito (avv. Dragogna) c. Az. aut. Ferrovie dello Stato (avv. Stato Stipo). Giustizia amministrativa -Rappresentanza in giudizio dello Stato e degli Enti pubblici -Non occorre mandato all'Avvocatura dello Stato n� delibera a stare in giudizio. Concessioni amministrative -Obbligo del concessionario di restituire il bene alla scadenza senza necessit� di disdetta o di motivazione �sul pubblico interesse -Revoca di concessione in atto -Sindacato giurisdizionale sulla sufficienza e congruit� della motivazione. Per la rappresentanza e difesa in giudizio, sia dello Stato sia di un ente pubblico ammesso al patrocinio erariale, agli avvocati dello Stato, non � richiesto un atto di conferimento del mandato n� una deliberazione a stare in giudizio (1). Dopo che il rapporto di concessione � scaduto alla data prevista nella convenzione, il concessionario ha l'obbligo di restituire il bene senza necessit� di disdette e sollecitazioni e tanto pi� senza bisogno per l'Amministrazione di dimostrare particolari motivi di necessit� o di interesse pubblico; solo nel caso di revoca di una concessione in atto ~ ammissibile un sindacato giurisdizionale sulla sufficienza e congruit� della motivazione, potendosi porre il problema di eventuali travisamenti di fatto, disparit� di trattamento, mancata comparazione fra l'interesse pubblico e l'affidamento del privato. (omissis) Una seconda questione preliminare � quella della ritualit� della costituzione in giudizio dell'Ente Ferrovie dello Stato, subentrato all'Azienda autonoma Ferrovie dello Stato. Si sostiene che l'ente avrebbe (1) Si fa sempre pi� costante l'orientamento giurisprudenziale, secondo cui non occorre una delibera a stare in giudizio ogni qualvolta un ente pubblico diverso dallo Stato gode del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato. Anche per i pubblici dipendenti, i quali sono assistiti dall'Avvocatura ai sensi dell'art. 43 T.U. 30 ottobre 1933, n. 1611, non occorre la procura alle lit' (cos� Cass. 25 maggio 1987, n. 6759, in questa Rassegna 1987, I, 343). La seconda massima pone in evidenza le differenti ipotesi di scadenza della concessione e di revoca di concessione in atto. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dovuto costituirsi previa delibera del Consiglio d'amministrazione e depositare il relativo verbale. Il Collegio osserva che per fa Jegge 17 maggio 1985, n. 210, l'ente ferrovie dello Stato succede in tutti i rapporti gi� facenti capo dell'Azienda autonoma (art. 1), e si avvale del patrocinio ll1ecessario dell'Avvocatura dello Stato secondo la disciplina del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611 (art. 24). Ora, di tarle disciplina fa parte anche il combinato disposto degli artt. 1, secondo comma, 43 e 45, a norma del quale gli avvocati dello Stato, sia che rappresentino lo Stato (art. 1) sia che rappresentino un ente pubblico ammesso al patrocinio (artt. 4 e 45) � non hanno bisogno di mandato (...) bastando che consti della foro qualit��. Con ci� s'intende che non si , richiede un atto di conferimento del mandato (procura) e neppure una deliberazione di stare in giudizio (cfr. Cons. St., Sez. VI, 12 ottobre 1982, n. 482; Cass. 10 aprile 1984, n. 2300; ecc.). Si deve dunque respingere l'eccezione del ricorrente ed affermare la validit� della costituzione in giudizio dell'ente Ferrovie dello Stato. 3. -Nel merito, si osserva che sia il ricorso, sia i vari motivi aggiunti, risultano tutti costruiti sul presupposto che alla data di emanazione dell'atto impugnato fosse in atto un rapporto di concessione fra le Ferrovie ed il ricorrente, avente per oggetto, l'area �de qua�, e che l'atto stesso si configuri, pertanto, come �revoca� discrezionale di que1la concessione. Tale assunto � radicalm~nte erroneo, sicch� tutti i motivi dedotti in base ad esso risultano, prima che infondati, non pertinenti. Se si trattasse di revoca di una concessione in atto, si potrebbe anche parlare di un sindacato sulla sufficienza e congruit� della motivazione: si potrebbe porre il problema di eventuali travisamenti di fatto, di una ipotetica disrparit� di trattamento, di una mancata comparazione fra l'interesse pubblico e l'affidamento del privato, e via dicendo. Ma la realt�, che il ricorrente non dovrebbe fingere d'ignorare, � che il rapporto di concessione era scaduto alla data prevista nella convenzione, cio� il 31 dicembre 1976; che .la convenzione non prevedeva rinnovi taciti; che, in tale situazione, ~lla scadenza l'interessato aveva senz'altro l'obbligo di restituire il bene, senza necessit� di disdette, revoche, richieste, solleciti, o altro; che, ad ogni buon conto, l'assenza di una ipotetica volont� di proseguire nel rapporto era dimostrata, da parte dell'Azienda, dalle richieste di rilascio avanzate nel marzo 1977, poi reiterate (omissis) Infine non si pu� dire che l'Azienda abbia manifestato l'intenzione di considerare potratto il rapporto di concessione nel momento in cui accettava il pagamento dei relativi canoni; vi � in atti la prova che dal 1978 al 1982 l'Azienda ha sempre comunicato, all'interessato, che considerandosi il rapporto cessato il 31 dicembre 1976, l'importo versato a titolo di canone veniva accettato in conto risarcimento danni per occupa� PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA zione abusiva; e che nel marzo 1982, per la stessa ragione, � stata disposta la restituzione �dei nuovi versamenti (verosimilmente con riserva implicita di esigere in separata sede il risarcimento del danno). 5. -Posto dunque che l'atto impugnato non � � revoca � di una concessione, ma ingiunzione di rilascio di un immobile demaniale detenuto senza titolo, . cadono, come gi� detto sopra, le censure originarie e quelle aggiunte, tutte senza eccezione prospettate nel dichiarato presupposto che si trattasse di revoca di concessione. Va sottolineato, al riguardo, che stante l'acclarata abusivit� dell'occupazione, l'Azienda F.S. non aveva bisogno di dimostrare particolari motivi di necessit� o di interesse pubblico, e che perci� solo � ad colorandum � nell'atto impugnato si fa parola di tali motivi; dato e non concesso che essi fossero insussistenti, ci� non potrebbe togliere legittimit� alla pretesa dell'amministrazione di avere in restituzione un bene detenuto senza titolo. N� possono trovare ingresso le deduzioni del ricorrente circa l'individuazione dell'organo competente a revocare la concessione e alle forme da seguire per la revoca. TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO, Sez. III, 3 novembre 1987, n. 1817 -Pres. Miceli -Est. Minicone -Soc. Nicolai c. Ente Ferrovie dello Stato (avv. Stato Favara). Trasporti pubblici -Ferrovie -Beni dell'Ente Ferrovie dello Stato destinati a pubblico servizio -Natura di beni patrimoniali indisponibili. Trasporti pubblici -Ferrovie -Beni dell'Ente Ferrovie dello Stato -Regime civilistico e regime pubblicistico -Esercizio del potere di autotutela per i beni destinati a pubblico servizio. II 2� comma dell'art. 15 legge 17 maggio 1985 n. 210, con lo stabilire la insottraibilit� alla destinazione di pubblico servizio dei beni dell'Ente Ferrovie dello Stato senza il consenso dell'Ente stesso, non fa che applicare il regime dei beni patrimoniali indisponibili di cui al 2� comma dell'art. 828 cod. civ., cos� come richiamato dall'art. 830 cod. civ. La previsione del 1� comma dell'art. 15, primo comma, della legge 17 maggio 1985 n. 210, secondo la quale l'Ente Ferrovie dello Stato ha la piena disponibilit� del proprio patrimonio secondo il regime civilistico della propriet� privata, mentre nulla aggiunge ai principi di carattere generale in tema di beni degli enti pubblici non territoriali, risulta ana" logamente circoscritta dall'elemento teleologico della destinazione di taluni beni a pubblico servizio, che rende questi ultimi oggetto di una particolare protezione da parte dell'ordinamento, ivi compresa la tutela RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 124 esecutiva di cui all'art. 823 cod. civ., finch� tale destinazione non venga meno per effetto di una diversa determinazione dell'Ente, che sottragga esplicitamente o implicitamente il bene dalla sua adibizione al servizio pubblico. (1) (omissis) La societ� indicata in epigrafe, che da molti anni esercita la propria attivit� di confezionamento e distribuzione di prodotti ortofrutticoli, utilizzando i magazzini da essa costruiti su un'area sita nell'ambito de1lo scalo merci della stazione di Roma-Ostiense, ha impugnato, con il presente ricorso, sia il provvedimento con il quale l'ente Ferrovie dello Stato ha dichiarato decadute le obbligazioni a suo tempo assunte nei suoi confronti, sia l'ordine di rilascio dell'area di insistenza di detti magazzini, adottato dall'ente medesimo. 2. -Con il primo motivo di gravame, l'istante contesta, in radice, il potere dell'ente di adottare atti unilaterali ed autoritativi di autotutela amministrativa in ordine all'area de qua, sostenendo, in via principale, la natura di bene disponibile della stessa e, quindi, la inconfigurabilit� del rapporto originariamente intercorso con l'azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato come rapporto di concessione, dovendosi, invece, lo stesso ritenere un rapporto contrattuale privatistico. In subordine, quand'anche il rapporto in questione fosse sorto come concessione amministrativa, lo stesso si sarebbe, comunque, trasformato in rapporto privatistico per effetto della istituzione, con la 1. n. 210 del 17 maggio 1985, del nuovo ente �Ferrovie dello Stato�, avente natura di ente pubblico economico, e del1a sopravvenuta disciplina dei beni trasferiti a tale ente, costituenti patrimonio disponibile secondo il regime civilistico della propriet� privata, con il conseguente venir meno dei presupposti sia soggettivi sia oggettivi per il permanere di un rapporto concessorio. 3. -La questione, nei termini in cui � prospettata dalla ricorrente, richiede la previa verifica, ai fini della individuazione del giudice (ordinario o amministrativo) competente a conoscere della.controversia, della natura: ed esatta qualificazione giuridica del rapporto attualmente intercorrente tra� la sqciet� istante e l'ente Ferrovie dello Stato e -conseguentemente -della consistenza della posizione che, in ordine a tale rapporto, va riconosciuta alla societ� stessa. (1) La legge 17 maggio 1985 n. 210, istitutiva dell'Ente Ferrovie dello Stato, se ha fotto perdere i:l orurartrere di demanialit� ali beni prev1sti dall'art. 822 cod. oiv., tuttavia non ha sottratto i beni stessi al regime dei beni patrimoniali indisponibili, con tutte le conseguenze anche in ordine alla autotute1a. Possono pertanto ritenersi validi i principi in passato affermati con ri� guardo ai beni destinati all'esercizio ferroviario, sui quali giova richiamare Cass. 18 marzo 1981 n. 1603, in questa Rassegna 1983, I, 491. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 3.1. -Priodtaria, peraltro, nell'esame di tale questione, � la puntualiz� zazione della connotazione giuridica della convenzione a suo tempo stipulata con l'azienda autonoma Ferrovie dello Stato, dalla quale la ricorrente ha tratto la facolt� di utilizzazione dell'area, che ora viene posta in discussione dal nuovo ente subentrato per effetto della I. 210/85. Il che si risolve, in definitiva, nell'accertamento della circostanza se l'area de qua fosse da compl'endere fra i beni patrimoniali disponibili come sostiene l'istante, ovvero fra quelli demaniali. 3.2. -In ordine a tale questione incidentale, non sembra dubbio al col� legio che l'atea data in uso alla societ� Nicolai appartenesse al demanio ferroviario ai sensi dell'art. 822 e.e. E, invero, detto demanio � costituito, a norma di legge ed in questo facente direttamente capo dello Stato, dalle strade ferrate con tutte le loro opere e pertinenze (stazioni, impianti, viadotti, ponti ecc.). Ora, che l'area de qua fac�ja parte deJ.la stazione di Roma-Ostiense non � posto in dubbio neppure dalla ricorrente e risulta, del resto, chiaramente dalla convenzione stipulata con l'azienda autonoma Ferrovie dellQ Stato, dalla quale si evince che la stessa � sita � su piano caricatore s�operto della stazione di Roma-Ostiense �. Tutto ci� trova conferma �nella planimetria, versata in atti dall'av� vocatura dello Stato, attraverso la quale pu� verificarsi l'inclusione del� l'area medesima negli impianti di stazione, dei quali fa parte integrante. Priva di pregio appare, pertanto, l'affermazione della ricorrente, che desume la disponibilit� del bene in questione dalla sua mancata destina� zione all'esercizio del trasporto ferroviario, laddove la sua destinazione a tale esercizio risalta non solo in relazione all'elemento topografico della sua collocazione nell'ambito delle pertinenze alla strada ferrata, ma altres� a quello funzionale, dell'essere l'area in parola finalizzata, proprio a ragione della sua collocazione ,strutturale, all'attivit� di trasporto dei prodotti ortofrutticoli, esercitata dalla societ� ricorvente, e, quindi, al servizio fer� roviario, che �, appunto, servizio di trasporto di persone e merci (art. 206 1. 20 marzo 1865 n. 2248, all. F). 3.3. -Deve, dunque, ritenersi che il provvedimento con il quale l'azienda autonoma Ferrovie della Stato ha, a suo tempo, dato in uso il bene di cui si discute alla istante, sia da ascrivere, conformemente del resto alla qualificazione formale data ad esso dall'amministrazione (e, per la verit�, mai fino ad ora contestata dalla soc. Niccolai), agli atti di concessione destinati ad instaurare su un bene pubbl:iico una facolt� di utilizzazione disciplinata su base convenzionale (c.d. concessione-con� tratto). 4. -Posto, dunque, che il rapporto intercorrente fra la soc. Niccolai e l'azienda autonoma Ferrovie dello Stato era un vero e proprio rapporto RASSEGNA DEI.L'AVVOCATURA DELLO STATO 126 di concessione diretto a regolamentare l'uso particolare di un'area demaniale, occorre affrontare l't.ter.iore problema della sorte di tale rapporto a ,seguito della trasformazione del soggetto concedente da azienda statale ad ente pubblico e del mutamento della natura del bene, che, in quanto facente parte del demanio accidentale (e non necessario), non ha potuto conservare certo, ai sensi dell'art. 822 e.e., tale classificazione in conseguenza del trasferimento della propriet� pubblica a soggetto diverso dello Stato (e ci� anche a prescindere dall'art. 15 1. 210/85 che disciplina espressamente il regime giuridico dei beni mobili ed immobili trasferiti al nuovo ente). 4.1. -Ora, per quel c!J.e concerne la fattispecie particolare oggetto di causa, in cui ci si trova in presenza di un rapporto di concessione sorto anteriormente alla trasformazione del soggetto pubblico da azienda statale ad ente con personalit� giuridica ed autonomia patrimoniale, alla soluzione della questione potrebbe anche pervenirsi senza darsi carico dei complessi problemi sollevati dalla ricorrente ed inerenti alla natura giuri� dica del nuovo ente ed al regime dei beni ad esso appartenenti. L'art. 15 1. 210/85, infatti, quale che debba essere ritenuto, come si vedr� pi� oltre, il suo effettivo ambito di operativit�, � norma che si indirizza a disciplinare l'attivit� posta in essere dal nuovo ente, in ordine al patrimonio ad esso trasferito o successivamente acquistato, e non pu�, dunque, essere utilmente invocato in relazione ai rapporti sorti anteriormente al disposto trasferimento dei beni ed aventi ad oggetto questi ultimi. Di tale aspetto si occupa, in realt�, l'art. l, 3� comma, della legge, il quale statuisce che �l'ente succede in tutti i rapporti attivi e passivi beni, partecipazioni, gestioni speciali -gi� di pertinenza dell'azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato �. L'aver disposto, ope legis, la successione del nuovo ente, a titol� universale, nel complesso dei rapporti facenti capo all'originario soggetto pubblico, comporta, indubbiamente che il soggetto subentrante ha acquistato la titolarit� di tali rapporti con tutta la somma di posizioni attive e passive (diritti, facolt�, potest�, obblighi e doveri) inerenti ai rapporti stessi e facenti capo al dante causa. 4.2. -N� potrebbe obiettarsi che la traslocazione dei rapporti di concessione sarebbe ostacolata, nel nuovo ordinamento, dalla inidoneit� del soggetto (ente pubblico economico) e da quella dell'oggetto (essendo venuto meno il carattere di demanialit� o di indisponibilit� del bene). Per quel che riguarda l'elemento soggettivo, � agevole osservare che la natura dell'avente causa non viene in rilievo, una volta che la legge abbia disposto, in capo ad esso, l'acquisto a titolo derivativo di tutti i rapporti imputabili al dante causa. PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA Per quel che concerne l'elemento oggettivo, a prescindere da ci� che in seguito si dir� ed a tutto voler concedere, appare del tutto irrilevante soffermarsi sulla impossibilit� della configurazione giuridica di un rapporto di concessione in ordine a beni facenti parte, asseritamente, di un patrimonio divenuto disponibile, una volta che non sia contestabile che, comunque si voglia qualificare il rapporto avente ad oggetto i beni del patrimonio stesso, il nuovo ente abbia conservato, per effetto della successione, i poteri inerenti all'originario rapporto concessorio, integralmente attribuitigli dalla norma dell'art. 1. A convincersi di cio � sufficiente, del resto, por mente alla circostanza che l'altro soggetto del rapporto trasferito a titolo di successione (nella specie, il privato concessionario), non pu�, per il solo effetto della novazione soggettiva intervenuta nel rapporto stesso, acquisire una posizione attiva, nell'ambito di tale rapporto, pi� ampia rispetto a quella che gli spettava originariamente. In particolare, la societ� ricorrente, concessionaria di un bene pubblico, non pu� pretendere di r.iqualificare, in relazione al semplice passaggio di titolair-it� di detto bene da un altro soggetto pubblico, la propria posizione di diritto affievolito nei confronti del concedente in una posizione di diritto soggettivo perfetto, almeno in assenza di una esplicita manifestazione di volont� in tal senso del soggetto subentrante nell'originario rapporto. 4.3. -Non pu� negarsi, allora, che l'ente Ferrovie dello Stato, nel succedere ope legis all'azienda autonoma, anche nella titolarit� del rapporto di concessione de quo, abbia mantenuto, in relazione a tale rapporto, i poteri spettanti alla concedente, ivi compreso quello di far venir meno, unilateralmente, verificandosi i presupposti previsti dall'ordinamento, il rapporto stesso, e che, correlativamente, nei confronti di tale potere la societ� concessionaria � restata nella medesima originaria posizione di soggezione. 5. -Le considerazioni che precedono, se sono sufficienti ad affermare la sussistenza, in capo al nuovo ente, del potere di autotutela amministrativa nei .riguardi del rapporto in esame, non si .rivelano, per� idonee a risolvere l'ulteriore questione relativa alla permanenza, in capo all'ente medesimo, anche del potere di autotutela esecutiva, estrinsecantesi nell'ordine di rilascio del bene e nella comminatoria, in caso di inottemperanza, della esecuzione d'ufficio. Ed in verit�, in ordine a tale ulteriore aspetto del problema, non pu� farsi utilmente ricorso all'art. 1, 3� comma, I. 210/85, posto che il potere di coercibilit� non inerisce al rapporto di concessione in quanto tale (e non � suscettibile, quindi, di essere ricompreso fra quelli trasmessi iure successionis). 128 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Trattasi, infatti, di potere eccezionale spettante alla p.a. nei limiti in cui l'ordinamento, ispirato al principio della legalit� dell'azione amministrativa, lo ammette ed � rivolto non alla gestione del rapporto concessorio (che, anzi, esso sorge riel momento in cui tale' rapporto sia venuto meno), bens� a garantire al soggetto pubblico l'immediata apprensione del bene, una volta che esso, per effetto della risoluzione autoritativa del rapporto, sia detenuto dal privato senza titolo. L'accertamento, quindi, dalla sussistenza o no di un tale potere in capo dell'ente Ferrovie dello Stato, non pu� p!'escindere (atteso il disposto dell'art. 823, 2� comma, e.e. che lo riconosce solo per la tutela dei beni demaniali e -1secondo la interpretazione costante della giurisprudenza dei beni patrimoniali indisponibili) dalla definizione del regime giuridico dei beni trasferiti all'ente medesimo. Sotto questo profilo, non ci si pu�, quindi, esimere dall'affrontare le complesse questioni che pone l'art. 15 I. 210/85, che di tale regime si occupa ex professo. 5.1. -Pregiudizialmente, occorre, peraltro, ancora una volta osservare come, nella soluzione dello specifico problema, non appare rilevante la natura giuridica del nuovo ente, se esso si atteggi, cio�, come ente pubblico economico, o come personificazione giuridica di un'impresa pubblica statale o addirittura come ente strumentale non economico. Non pu� negarsi che la I. 210/85 contenga riferimenti contraddittori in ordine alla natura del nuovo ente, come si desume, del resto, da un lato, dal richiamo all'art. 2093 e.e. (che si riferisce sia agli enti pubblici economici in senso stretto, sia alle imprese esercitate da enti pubblici non economici) e, dall'altro, dalla minore autonomia gestionale e programmatoria attribuita all'ente Ferrovie dello Stato, rispetto a quella normalmente riconosciuta ag1i enti pubblici economici. Sta di fatto, per�, che, per quel che interessa l'oggetto della presente controversia, anche il riconoscimento alla nuova struttura della natura di ente pubblico economico -che appare al collegio quella maggiormente aderente al complesso delle disposizioni contenute nella I. 210/85 -non sarebbe sufficiente ad escludere (contrariamente a quel che mostra di ritenere la ricorrente) la titolarit� di un potere di autotutela esecutiva avente ad oggetto beni indisponibili. A prescindere datla considerazione, infatti, che non si idntraccia, nel nostro ordinamento, uno schema tipico dell'ente pubblico economico, che inquadri rigidamente le attribuzioni di questi ultimi e le modalit� di svolgimento della loro attivit� (essendo la disciplina legale, ai sensi dell'articolo 2093 c.s., rivolta a prendere in considerazione solo i rapporti di lavoro dipendente intrattenuti con tali enti), sta di fatto che l'affermazione comunemente recepita circa la collocazione in ambito privatistico dell'attivit� degli enti pubblici economici attiene essenzialmente al per- f PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA seguimento dei fini istituzionali, e quindi, in definitiva, alla posizione di detti enti in ordine a11o svolgirrnento dell'attivit� imprenditoriale, per la quale essi sono costituiti; ma non esplica compiuti riflessi per quel che attiene ai modi atraverso i quali gli enti medesimi organizzano 1a propria struttura e, comunque, tutte le volte in cui es_si agiscono al di fuori dell'ambito della propFia attivit� imprenditoriale. In quest'ultimo caso, la titolarit� o no di poteri autoritativi non pu� essere inferita dalla natura economica dell'ente, ma va definita, di volta in volta, in relazione alla posizione concreta che il soggetto (il quale conserva, comunque la veste pubblica) assume nell'ambito del singolo rapporto e con riguardo al contenuto e all'oggetto del medesimo nonch� alla sua causa giuridica. 5.2. Sotto questo profilo, rilievo essenziale viene ad assumere, per quel che concerne la fattispecie, il pi� volte richiamato art. 15 I. 210/85, il quale ai primi due commi, dispone testualmente: �I beni mobili ed immobili trasferiti all'ente o comunque acquistati nell'esercizio dell'attivit� di cui all'art. 2 della presente legge, costituiscono patrimonio giuridicamente ed amministrativamente distinto dai restanti beni delle amministrazioni pubbliche e di essi l'ente ha piena disponibilt� secondo il regime civilistico della propriet� privata, salvi i limiti_ su di essi gravanti per le esigenze della difesa nazionale. � I beni destinati al pubblico servizio non possono essere sottratti alla loro destinazione senza il consenso dell'ente�. La societ� ricorrente desume, dalla p11evisione secondo cui l'ente ha � piena disponibilit� � dei beni ad esso trasferiti e pu� gestirli � secondo il regime civilist1oo della propriet� privata�, la conclusione che anche i beni gi� appartenenti al demanio facciano ormai parte del patrimonio disponibile e non vi sia, quindi, spazio, ai sensi dell'art. 823 e.e., per la tutela di essi in via amministrativa, potendo l'ente soltanto avvalersi degli strumenti che sono concessi al privato per la difesa delle proprie ragioni. Gi� il collegio ha avuto modo di osservare come tale previsione sia ininfluente, per negare la potest� di revoca delle concessioni in atto alla data di entrata in vigore della I. n. 210. Deve, ora, rilevarsi come la previsione stessa sia inidonea anche a sorreggere una conclusione negativa circa la sussistenza in capo all'ente Ferrovie dello Stato del potere di autotutela esecutiva. 5.3. A ben guardare, l'indicazione fornita dal 1� comma dell'art. 15 non fa che riprodurre il regime giuridico proprio dei beni appartenenti , agli enti pubblici non territoriali (fra i quali possono, a ragione, rientrare anche quelli economici), di cui all'art. 830, 1� comma, e.e., il quale sancisce esplicitamente che tali beni � sono soggetti alle regole del presente codice �! con ci� puntualizzando la loro normale riconduzione -a differenza dei 130 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO beni che costituiscono il patrimonio degli enti territoriali (che, in base, all'art. 828 e.e., sono soggetti alle regole particolari che li concernono e, solo subordinatamente all'assenza di una specifica disciplina, a quelle comuni) -al regime civilistico della propriet� privata. � da notare, peraltro, che lo stesso art. 830 e.e., nel 2� comma, deroga alla regola generale previ:sta dal 1 o comma, per quel che concerne i beni destinati a pubblico servizio, ai quali estende il regime dei beni patrimoniali indisponibili. La destinazione a servire finalit� di pubblico interesse �, dunque, considerata dal nostro ordinamento condizione sufficiente perch� i beni patrimoniali degli enti pubblici non territoriali si collochino in una sfera di disciplina peculiare e formino, conseguentemente, oggetto dei relativi poteri autoritativi da parte della p.a. Tale principio -che, anche in assenza di una specifica previsione della 1. speciale 210/85 dovrebbe ritenersi applicabile ai beni dell'ente pubblico Ferrovie dello Stato -risulta, comunque, esplicitamente ribadito dal 2� comma dell'art. 15 di detta legge, il quale, con lo stabilire la inso~traibilit�, senza il consenso dell'ente, alla destinazione di pubblico servizio dei beni in questione, non fa che applicare al caso particolare il regime dei beni patrimoniali indisponibili di cui al 2� comma dell'art. 828 e.e., cos� come richiamato dall'art. 830 e.e. 5.4. Pu� concludersi, allora, che la previsione del 1� comma del pi� volte citato art. 15, secondo la quale l'ente Ferrovie dello Stato ha la piena disponibilit� del proprio patrimonio secondo il regime civilistico della propriet� privata mentre nulla aggiunge ai principi di carattere generale in. tema di beni degli enti pubblici non territoriali, risulta analogamente circoscritta dall'elemento teleologico della destinazione di taluni beni a pubblico servizio, che rende questi ultimi oggetto di una particolare protezione da parte dell'ordinamento, ivi compresa la tutela esecutiva di cui all'art. 823 e.e., finch� tale destinazione non venga meno per effetto di una diversa determinazione dell'ente (il �consenso� cui si riferisce impropriamente il 2� comma dell'art. 15 l. 210/85), che sottragga esplicitamente o' implicitamente (purch� inequivocabilmente) il bene dalla sua adibizione al servizio pubblico. 5.5. Nel corso che interessa, l'area concessa in uso alla societ� Nicolai . rientra indubbiamente fra i beni destinati a pubblico servizio,. come � dimostrato dalla gi� rilevata sua pertinenza agli impianti della stazione di Roma-Ostiense. N� a far venir meno tale destinazione pu� invocars'i l'atto di concessione d'uso in favore della societ� ricorrente, giacch�, a prescindere dal rilievo che tale argomentazione costituirebbe una petizione di principio, sta di fatto che anche l'uso particolare, cui la societ� stessa � stata am f .~ f f �r: f PARTB I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA messa, appare conforme alla destinazione primaria del bene -che � anche quella di servire il trasporto delle merci -costituendone solo una specificazione e non certo una sottrazione. 5.6. Deve, dunque, ritenersi che, una volta revocata la concessione, sussista in capo al nuovo ente anche il potere di ordinare il rilascio del bene, con comminatoria dello sgombero diretto a mezzo dei propri agenti, nella ipotesi di inottemperanza entro il termine assegnato. 5.7. Tutte le considerazioni che precedono danno ragione, insieme, sia della giurisdizione del giudice amministrativo sulla questione oggetto del primo motivo di ricorso, sia della infondatezza della questione stessa. (omissis) SEZIONE SESTA GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. un. 3 giugno 1987 n. 4844. Pres. Sandulli Est. Corda -P.M. Virgilio (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Palatiello) c. Soc. Aedilia Nova. Tributi in genere -Accertamento tributario -Imposte indirette -Difetto di motivazione -Sanzione di nullit� -Esclusione. Tributi in genere -Contenzioso tributario -Natura -Accertamento non motivato � Difetto assoluto � Nullit�. Poich� nessuna norma in materia di imposte di registro e di successione sancisce la nullit� dell'accertamento non motivato, la nullit� non pu� essere dichiarata dal giudice in conformit� di un principio normativamente sancito per gli atti processuali che � anche espressione di un principio di civilt� giuridica (1). Le commissioni tributarie non sono organi di giustizia amministrativa, ma organi di giurisdizione speciale davanti ai quali si svolge un giudizio di impugnazione-merito per l'accertamento del rapporto rispetto al quale la rilevanza di vizi dell'atto impugnato non � fine a s� stessa ma serve soltanto da � veicolo di accesso � per la decisione sul merito. Tuttavia la pronunzia del giudice deve arrestarsi al rilievo di invalidit� del1' atto se i vizi sono talmente gravi da non consentire l'identificazione degli elementi materiali della pretesa e tali da indurre una sorta di inesistenza giuridica dell'atto (2). (1 -4) Le due sentenze, conformi a varie altre intervenute nello stesso periodo, piuttosto contrastanti nelle premesse, sono strettamente convergenti nelle conclusioni. La prima sentenza � nella linea tradizionale riaffermata recentemente (Cass. 3 febbraio 1986 n. 660 e 661, in Foro it., 1986 e 1902) e condi� visa dalla Corte Costituzionale ,(3 dicembre 1985 n. 313; Foro it., 1986, 876). La seconda pronunzia riprende l'impostazione (stesso estensore) della sentenza 25 marzo 1985 n. 2085 (in questa Rassegna, 1985, I, 659 con nota cli C. BAFILE). Le due divel1Se impostazioni coinrvolgono d pi� importanti principi <;lel diritto tributario ed aprono quindi una discussione sulla quale si dovr� tornare. Tuttarvia le conclusioni dei due orientamenti sul punto della nu1lit� dell'ac-' certamento non motivato sono ooinddenti: solo un diifetto totale che per l'impossibilit� di far conoscere i presupposti materiali del tributo si risolve in una sorta di inesistenza giuridica pu� giustificare una dichiarazione di nullit�. Sulle PART!l I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 133 II CORTE DI CASSAZIONE, Sez. un. 13 luglio 1987 n. 6096. Pres. Bile � Est. Cantillo � P. M. Virgilio (conf.) Ministero delle Finanze (avv. Stato Palatiello) c. Capecchi. Tributi in genere � Contenzioso tributarlo � Natura � Vizi dell'atto di accer� tamento � Rilevanza. Tributi in genere � Accertamento tributarlo � Difetto di motivazione � Nul� lit� � Requisito minimo di motivazione � Fattispecie. Il processo speciale tributario, specialmente dopo la novella del d.P.R. 21 novembre 1981 n. 739, � diretto all'accertamento dell'obbligazione ma per .il tramite della impugnazione di atti dei quali verifica la legittimit� formale e sostanziale con la conseguenza che, potendosi verificare l'osservanza di norme di azione, oggetto della decisione pu� essere il mero annullamento degli atti impugnati (3). Anche nelle imposte indirette, pur in mancanza di norme esplicite, l'accertamento non motivato � nullo in applicazione di principi generali sugli atti amministrativi. Tuttavia, poich� la funzione dell'accertamento � quella di esternare le ragioni del provvedimento per mettere il destinatario nella condizione di esercitare la difesa, la motivazione, in relazion~ alla tipologia dei singoli atti, pu� esprimersi anche in forme estremamente semplici e contratte e attraverso forme ripetitive attuate con particolari mezzi grafici, purch� risulti idonea allo scopo (4). � I 1. -Il ricorso viene all'esame delle Sezioni Unite, quale giudice della giurisdizione, pur se in esso non si configura una questione di giurisdizione in senso tipico. Non si censura, infatti, la decisione impugnata per avere esorbitato dei limiti del potere giurisdizionale del giudice adito (il tipico � eccesso di potere giurisdizionale�). Si deduce, invece, che l'organo giurisdizionale ha rifiutato la pronuncia su materia ad esso devoluta: si denuncia, in altri termini, un atipico � eccesso di potere �, nel significato negativo di � non esercizio � del potere stesso. 2. -Come � stato in precedenza riferito, la pronuncia impugnata si sostanzia nell'annullamento dell'avviso di accertamento di valore, il questioni suscitate dalla recente giurisprudenza cfr. BAFILE, Considerazioni diverse sulla natura del processo tributario, in Rass. trib., 1986 I, 393 nonch� Recentissime di giurisprudenza sulla natura del processo tributario, ivi, 1987, I, 497.. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO c.d. � avviso di accertamento in rettifica �. E poich� l'annullamento di esso comporta (non gi� che l'Ufficio tributario debba o possa e~etterne uno nuovo, purgato dei vizi che affliggevano il primo, bens�) che diventa definitirvo i.rl valore dichiarato dal contribuente, ecco che l'Amministrazione finanziaria insorge per far rilevare come l'organo giurisdizionale, omettendo in tal modo la pronuncia sul merito della controversia, abbia cosi omesso di esercitare il proprio potere giurisdizionale. Nell'ambito di questa impostazione, la censura proposta dalla Finanza si muove in una duplice direzione. Da un lato, si fa rilevare che � stata dichiarata una nullit� non comminata dalla legge; dall'altro, che il giudice tributario non pu� limitarsi ad annullare l'atto eventualmente viziato, dovendo invece entrare nel merito della controversia cio� verificare la fondatezza, o meno, della pretesa tributaria. Il ricorso � fondato. I 3. -Il rapporto giuridico oggetto della controversia � regolato dalla I legge istitutiva de11'INVIM (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643) la quale, per quanto attiene alle � modalit� � degli avvisi di accertamento in rettifica, ~ rinvia alle disposizioni contenute nella legge di registro. ! :B chiaro che, in virt� del principio tempus regit actum, la legge di ! i registro cui occorre fare riferimento � quella vigente nel tempo in cui fu concretamente emesso l'avviso di accertamento; e, perci�, in concreto, J il d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634. :B nel vero l'Amministrazione ricorrente quando assume che non esisteva alcuna comminatoria di nullit� di un avviso di accertamento I emesso nel vigore di detta legge. Questa, infatti, prescriveva che l'avviso f di accertamento deve bens� essere motivato (art. 49); ma poi non com! minava alcuna nullit� per il caso di inosservanza. ~ f. Per compiutezza di indagini, si pu� ricordare che nell'ambito della ! riforma tributaria del 1972-73 la nullit� dell'avviso cli accertamento per ! omessa motivazione � comminata solo per le imposte dirette (art. 42, I secondo comma, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 633). Non �, invece, espressamente comminata per l'imposta di registro, che � quella che interessa I in questa sede. Per la verit�, sempre nell'ambito delle imposte indirette, la nullit� era comminata dalla legge sulle successioni e donazioni (art. 26, terzo I comma, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637); ma poi, con la legge di modifica (d.P.R. 6 dicembre 1977, n. 914) quella comminatoria � scomparsa. Proprio con .riiferimento alla legge or ora citata (il d.P.R. 6 dicembre 1977, n. 914), il quale con l'art. 3 ha �sostituito� il secondo comma dell'art. 49 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634 (il quale ultimo, con la I disgiuntiva al posto della congiunzione, aveva creato seri problemi interl i pretativi circa il contenuto della motivazione dell'avviso di accertamento I l ' I I I PARm I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA us in rettifica), va notato che neppure questa volta il legislatore ha ritenuto di dover comminare la nullit� dell'avviso immotivato. La comminatoria di nullit� non � stata inserita neppure nella nuova legge di registro, di cui al d.P.R. 26 apriile 1984 n. 131. 4. -Il problema, allora, � ,di stabilire se una nullit� non comminata dalla legge possa essere dichlarata dal giudice. A un quesito di siffatta formulazione non pu� essere data risposta negativa, perch� la regola secondo cui non pu� essere dichiarata una nullit� di atti del processo, se questa non � comminata dalla legge, non � soltanto una disposizione codificata dalla legge processuale (civile e penale), ma � espressione di un principio di civilt� giuridica, in quanto tendente alla certezza dei rrapporti. N� pare che rostacolo possa essere aggirato con l'osservazione che nel campo del diritto tributario sono sostanzialmente equivalenti le espressioni �nullit��, �illegittimit�� e �annullamento�; di modo che, indipendentemente dalle formule che venissero di volta in volta adoperate, al difetto di motivazione conseguirebbe in bella sostanza l'annullamento dell'avviso di accertamento, il quale ultimo sarebbe in definitiva un atto amministrativo, come tale soggetto, appunto, all'annullamento per i vizi che sono tipici di tale atto. Una tale enunciazione, infatti, sposta completamente i termini del problema; e introduce, anzi, all'ulteriore discorso che qui deve essere svolto, essendo indubitabile che il vizio in esame (difetto di motivazione) non resta senza conseguenze nel processo tributario, ma deter� mina, proprio, quella dichiarazione di illegittimit� dell'atto che -come � stato detto -� � veicolo di accesso � al susseguente giudizio di merito. 5. -A questo punto viene all'esame il problema riguardante la natura e la funzione dell'avviso di accertamento .e, soprattutto, la con~ figurazione del potere giurisdizionale del giudice tributario (commissioni e corte di appello). Queste Sezioni Unite, con una precedente pronuncia (n. 1472/80) hanno gi� avuto occasione di porre in evidenza che le commissioni tributarie non sono organi della giustizia ~ministrativa, ma organi di giurisdizione speciale, davanti ai quali s� svolge un giud�Zio di � impugnazione- merito � e non un giudizio di � impugnazione -annullamen to�, Dunque, il giudice tributario � investito dall'accertamento del rapporto, con la conseguenza che deve pronunciare con ampiezza di poteri sulla sussistenza dell'obbligazione pubblica (tributaria), e deve, perci�, verificare i presupposti e gli effetti di tale obbligazione, cio� del rap porto. llltlilllw'=JlllllllCflftl:tllllllllllllWlllllllllllllllfllllllllll RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEU.O STATO 136 Questa configurazione dei poteri del giudice tributario � stata condivisa anche dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 63/82, la quale ha ugualmente parlato di giudizio sul rapporto e non di giudizio di mero annullamento. Dopo qualche oscillazione giurisprudenziale (e ci si riferisce, in particolare, a quelle sentenze che, pur in tema di imposte dirette, limitano inter.pretativamente la comminatoria di nullit� soltanto ai casi di totale 'mancanza di motivazione, ovvero di motivazione �apparente�), il principio dianzi enunciato sembra avere. trovato definitiva conferma, proprio neUa successiva giurisprudenza di queste Sezioni Unite (il riferimento � questa volta alle sentenze n. 1322/86 e 66/86). Le ultime pronunce, infatti, contengono le seguenti precisazioni: a) il giudizio tributario � un giudizio di impugnazione e concerne la legittimit� non solo formale, ma anche sostanziale degli atti impugnati; b) soltanto quando il provvedimento, o atto, impugnato risulti viziato da �totale carenza ,., di indicazione degli elementi individuanti della fattispecie, tale da non consentire neppure la identificazione degli elementi materiali e giuridici del rapporto cui � correlata la pretesa tributaria, si deve pronunciare la (semplice) invalidazione del provvedimento; c) l'atto (avviso di accertamento) � il �veicolo di accesso,., al contenzioso che ha per oggetto l'obbligazione tributaria. Questi principi, peraltro, sono stati enunciati in fattispecie attinenti ad avvisi di accertamento relativi a imposte dirette. Ma la regola secondo cui la pronuncia del giudice tributario deve arrestarsi al rilievo dell'invalidit� dell'atto, se i vizi di esso sono talmente gravi, sul piano formale, da non consentire neppure la identificazione degli elementi materiali e giuridici della pretesa tributaria (invalidit� che si traduce, in definitiva, in una sorta di inesistenza giuridica dell'atto), pu� essere ritenuta applicabile, in astratto, anche all'ipotesi di avvisi di accertamento (come quelli relafrvi all'INVIM e all'imposta di registro, dei quali specificamente ci si occupa) per i quali non vi �, nella legge, alcuna comminatoria di nullit�. 11. chiaro, quindi, che in ogni altro caso (e cio� nel caso di �non esauriente� ma esistente, motivazione dell'avviso di accertamento) il rilievo d�l vizio non pu� essere fine a s� stesso, ma soltanto s�rve da � veicolo � per investire il giudice tributario della conoscenza del merito della controversia. 6. -g � chiaro, che, a questo punto, s1 mserisce un problema di metodo di valutazione di quell'embrione di motivazione che fosse, per avventura, contenuto nell'avviso di accertamento; si pone, cio� il problema di stabilire quando l'atto debba essere semplicemente annullato, PARTE I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA e quando, invece, al rilievo della illegittimit� formale e sostanziale dell'atto stesso debba seguire il giudizio di merito. Sul punto, per�, queste Sezioni Unite si sono espresse con chiarezza (sent. 1322/86, cit.) e, pertanto, non resta che rifarsi a quegli enunciati. Si � detto, in particolare, che l'obbligo di motivare gli atti tributari si atteggia diversamente a seconda della natura e funzione che essi hanno in base alle norme loro proprie, gi'acch�, accanto ad atti che costituiscono espressione di una funzione di prelievo articolata e complessa ve ne sono altri in cui la funzione viene esercitata in forme estremamente semplici e contratte, tjsolvendosi talvolta nella mera imposizione di una determinata disciplina. � in relazione al contenuto tipico e all'oggetto del singolo atto, quindi, che deve essere verificata in concreto l'osservanza dell'obbligo, nel senso che questo deve ritenersi adempiuto allorch� la motivazione, ancorch� sommaria e semplificata, sia tale da esternare le ragioni del provvedimento, evidenziandone i momenti ricognitivi logico-deduttivi, e consentendo di conseguenza al � destinatario � di svolgere efficacemente la propria difesa attraverso la tempestiva impugnazione dell'atto. Risulta chiaro, allora, dalla lt!ttura delle riportate proposizioni -le quali vengono incondizionatamente recepite dal Collegio -che l'esistenza di un �principio di motivazione� (e tale �, per fare l'esempio pi� attinente al caso concreto, l'indicazione di un presunto � valore venale �) comporta la duplice conseguenza di consentire al contribuente una immotivata opposizione e al giudice tributario di entrare nel merito della controversia. Indipendentemente dalla comminatoria, o meno, della nullit�, certo � che la legge prescrive l'onere dell'Ufficio di motivare gli avvisi di accertamento. Ed � intuitivo che ci� equivale ad affermare che nel processo di opposizione l'onere della prova resta condizionato dal fatto che l'Ufficio abbia o meno assolto a quell'onere. � chiaro, infatti, che se l'Ufficio motiva esaurientemente l'avviso, per opporsi ad esso il contribuente dovr� motivare altrettanto esaurientemente la propria opposizione (e, poi, provare in giudizio il proprio assunto). Ma se la motivazione dell'avviso � sommaria (il cid. �principio di motivazione�), � intuitivo che l'oppos-izione non potr� essere motivata (manca, infatti, quel quid che deve esser contrastato); e, pertanto, nel giudizio dovr� essere l'Ufficio a dare la prova del proprio assunto. In definitiva, quindi, la mancanza di una sufficiente motivazione dell'avviso di accertamento per il quale non � dalla legge comminata la sanzione di nullit� (di quegli avvisi per i quali la nullit� � comminata non ci si deve occupare in questa sede) comporta per l'Ufficio l'onere di esplicitare in giudizio le ragioni della pretesa. E questo di RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO� STATO 138 mostra che la � motivazione � � anche in funzione deUa difesa del contribuente. t!. peraltro vero che l'insufficiente motivazione dell'avviso di accertamento fa nascere in capo al contribuente un onere, e cio� quello della instaurazione del giudizio tributario (di fronte a un'esauriente motivazione il contribuente potrebbe anche acquietarsi); ma il processo tributario � gratuito, n� va dimenticato che il �disagio� del contribuente non � necessariamente correlato al �torto� dell'Amministrazione (non � detto, infatti, che l'Amministrazione non possa alla fine risultare vittoriosa, solo perch� non ha esaurientemente motivato l'avviso di accertamento). Infine (e ci� va detto con riferimento proprio al caso di specie), la pronuncia di mero ann.ullamento si manifesta in tutta la sua incongruenza quando non solo il contribuente ha potuto esplicare per intero la propria difesa, ma soprattutto quando il giudice tributario � entrato nel merito della controversia, se pure per affermare che neppure nel corso del giudizio l'Ufficio avrebbe dato la piena dimostrazione del proprio assunto. Laddove � chiaro, invece, che in tali casi la pronuncia avrebbe dovuto essere di merito, non di semplice annullamento. (omissis) II 1. -Con l'unico e complesso motivo di ricorso, l'Amministrazione critica la decisione impugnata sostanzialmente per due distinti ordini di argomenti: a) denunziando la violazione dei principi che difiniscono l'ambito della giurisdizione tributaria, l'Amministrazione sostiene che la Commissione centrale, una volta ritenuto, per altro erroneamente, l'assoluto difetto di motivazione dell'avviso di rettifica della dichiarazione INVIM~ non poteva limitarsi a rilevarne l'invalidit�, ma, trattandosi di un giudizio di accertamento di rapporti e non di mero annullamento, avrebbe dovuto determinare il plusvalore dell'immobile e statuire, quindi, sul suo valore iniziale e sull'ammontare delle spese incrementative; b) denunziando ila violazione dell'art. 20 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, e degli artt. 48 e 49 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, nonch� vizi della motivazione, la ricorrente sostiene che erroneamente la decisione impugnata ha ritenuto l'assoluto difetto di motivazione dell'avviso di rettifica di cui si discute, laddove erano stati indicati i valori accertati dall'Ufficio e, sia .. pure in modo sintetico, i criteri adottati nella valutazione, facendosi altres� riferimento alla stima effettuata dall'U.t.e., del tutto ignorata dalla pronunzia. La censura sub a) � infondata. PARTE I, S!!Z. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Sui problemi di fondo che essa suscita queste Sezioni Unite si sono gi� espresse con le sentenze n. �1233 e n. 2246 del 1986 (ed altre coeve), riguardanti controversie sostanzialmente analoghe. Con tali pronunzie si � anzitutto negato che la censura dia luogo ad una questione di giurisdizione, in quanto non si dubita che la controversia appartenga alla cognizione del giudice speciale tributario, n� che a questo competa il potere di invalidare e di modificare gli atti dell'Amministrazione impugnati. Si contesta, invece, che detto giudice possa limitarsi ad accertarne l'invalidit�, sostenendosi che in ogni caso, a prescindere dai vizi dell'atto, dovrebbe statuire sul merito del rapporto (sicch�, a ben guardare, pi� che un eccesso di potere giurisdizionale, si denunzia un carente esercizio del medesimo). Ma questo problema attiene all'oggetto del process0 tributario e alla tipologia delle decisioni in esso consentite, sicch� riguarda le caratteristiche proprie della giurisdizione, non certo i suoi limiti esterni. 2. -La tesi dell'Amministrazione � stata ritenuta infondata, poi, alla stregua della nuova disciplina del processo tributario d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 (e succ. modf.), in cui non pu� essere pi� seguito l'indirizzo dottrinale e giurisprudenziale, largamente prevalente in passato, che ravvisava l'oggetto del processo nel diretto accertamento dell'obbligazione tributaria, a prescindere dagli atti attraverso i quali si esercitava l'azione amministrativa di prelievo e si svolgeva .il rapporto d'imposta, con la conseguenza che diventava irrilevante, in sede giudiziale, il vizio di motivazione dell'atto impositivo, posto che l'omissione o l'illogicit� della stessa non poteva mai condurre al rigetto di una pretesa della Finanza che fosse sostanzialmente fondata. Nel sistema del contenzioso vigente, invece, il giudizio � ugualmente diretto all'accertamento dell'obbligazione tributaria, ma questo si svolge per il tramite dell'impugnazione di atti, essendo il processo strutturato come impugnativa di specifici provvedimenti dell'Amministrazione, che scandiscono le varie fasi del rapporto di imposta; e il giudizio concerne la legittimit� formale e sostanziale degli stessi, sicch�, da un lato, vengono in rilievo i vizi relativi alla regolarit� degli atti del procedimento e, pi� in generale, inerenti all'osservanza di norme di azione e, dall'altro, il riesame del merito del rapporto d'imposta, relativo all'accertamento dell'an e del quantum dell'obbligazione ex lege, avviene in funzione del provvedimento impugnato, in quanto il giudice deve direttamente accer~ tare, nei limiti della contestazione, i presupposti materiali e giuridici della pretesa dell'Amministrazione assunti a fondamento dell'atto mede simo. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Inoltre, anche in virt� del principio di tassativit� dell'elenco degli atti impugnabili, l'accertamento del rapporto � rigorosamente circoscritto alla seguenza procedimentale che mette capo al provvedimento impugnato, rimanendo preclusa qualsiasi contestazione riflettente la fase precedente, che 'Si si:a conclusa con un atto compreso fra quelli impugnabili, ma non impugnato o altrimenti diventato definitivo. Questi lineamenti del processo pongono in primo piano, cio�, anche ai fini della tutela giurisdizionale, l'esercizio del potere di imposizione, che si estrinseca appunto in una serie normativamente predeterminata di atti, ciascuno produttivo di effetti e in rapporto di autonomia nella complessa dinamica del prelievo; e si comprende bene, quindi, come la pronuncia del giudice tributario debba necessariamente arrestarsi all'an� nullamento dell'atto impugnato se i vizi che lo inficiano incidano sulla sostanza stessa del rapporto, precludendo l'indagine sul merito dell'obbligazione tributaria (id est: della fase del rapporto medesimo cui si riferisce quell'atto), come nei casi di incompetenza asso1uta dell'organo che l'ha emesso ovvero di assoluto difetto della motivazione. In particolare, con riferimento a quest'ultima . ipotesi, che qui interessa, la tutela giurisdizionale non pu� che consistere nell'invalidazione del provvedimento allorquando la carenza di motivazione sia tale da non consentire l'identificazion~ dei presupposti materiali e giuridici cui � correlata Ja pretesa dell'Amministrazione, relativa all'esistenza, alJa quantificazione o all'attuazione dell'obbligazione tributaria; e risulti conseguentemente precluso il controllo di quei presupposti da parte del giu� dice tributario, il quale, ai fini del riesame del merito del rapporto, dispone di �un ampio potere di indagine istruttoria (che non ha riscontro nel giudizio di accertamento di rapporti innanzi al giudice ordinario), ma non pu�, ovviamente, sostituirsi all'Amministrazione nella ricerca della materia imponibile e dei .presupposti del rapporto d'imposta (che debbano essere allegati dall'Amministrazione). Ma il problema relativo al tipo di decisione � ormai normativamente risolto, giacch� l'art. 21 del d.P.R. n. 636 del 1972 (nel testo introdotto con il d.P.R. 21 novembre 1981, n. 739), mentre dispone in via generale che il giudice, nel caso rilevi un vizio di incompetenza o un diverso vizio dell'atto non concernente l'esistenza o l'ammontare del credito tribu tario, deve sospendere il giudizio ed assegnare un termine all'amministrazione per rinnovare l'atto viziato, esclude che possa � provvedersi a rinnovazione. . . quando il vizio consista nel difetto di motivazione �. Dalla disposizione chiaramente risulta che: a) in presenza di vizi formali comportanti l'invalidit� dell'atto impugnato, � precluso al giu dice di procedere direttamente all'accertamento del rapporto, poten� do solo disporre -ove ci� sia ancora consentito -la rinnovazione dell'atto, con conseguenze diverse a seconda che l'Amministrazione a ~: ~� t f: ~ ~ il �-. t PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA ci� provveda o non provveda, in quanto nel primo caso o cesser� la materia del contendere (quando l'impugnativa sia limitata ai VIZI emendati) o il giudizio di accertamento avverr� in relazione al nuovo atto, mentre nel secondo caso la pronunzia sar� necessariamente di annullamento del provvedimento viziato; b) neppure il potere di ordi, nare la rinnovazione � concesso se il vizio consiste nel difetto di motivazione, giacch� in tal caso il giudice deve rigorosamente fermarsi a pronunciare la nullit� dell'atto, senza alcuna possibilit� di esaminare il merito (ci� che conferma la natura non sostitutiva del giudizio tributario, nel senso -si ripete -che il giudice, appunto peixh� tale, non pu� sostituirsi aill'Amministrazione nel ricercare i presupposti materiali del tributo, ma deve limitarsi ad acce11tare I'an e il quantum della pretesa individuata nell'atto). Pertanto, non residua spazio per contestare, sul piano della tipologia dei provvedimenti giurisdizionali, l'ammissibilit� di decisioni d~ (mero) annullamento degli atti impugnati, n� per negare, in particolare, il potere-dovere del giudice tributario di emettere pronunzie limitate alla dichiarazione di nullit� dell'atto impositivo carente di motivazione, potere che doveva essergli riconosciuto, per altro, gi� prima della novella del 1981 (come pure � stato affermato con le sentenze suddette). 3. -I rilievi svolti conducono altresi a respingere gli ulteriori argomenti addotti dalla ricorrente (nella memoria) specificamente quanto agli accertamenti, in relazione ai quali si deduce che non sempre la carenza di motivazione � prevista come causa di invalidit� dell'atto e si sostiene che in tal caso il giudice non possa sottrarsi al dovere di esaminare il merito della controversia. g esatto che gli atti riconducibili nella categoria degli accertamenti -intesa in senso lato e perci� comprendente ogni atto conclusivo di un procedimento o subprocedimento con cui si accerta �e dichiara, con effetto nei confronti del destinatario, l'esistenza in tutto o in parte dell'obbligazione tributaria o di un suo elemento -sono variamente disciplinati quanto al. requisito della motivazione, che solo per alcuni tributi � espressamente prevista a pena di nullit� (per le imposte dirette, ai sensi dell'art. 42, secondo comma, d.P.R. n. 600 del 1973, e per l'IVA, ai sensi dell'art. 56 d.P.R. n. 633 del 1972); in particolare, una tale previsione manca per gli accert.amenti di valore relativi all'imposta di registro e, conseguentemente, all'INVIM, che viene in rilievo nella controversia in esame. Ma la diversit� di disciplina non autorizza a ritenere che il difetto di motivazione non possa assurgere a causa di nullit� degli accertamenti per i quali questa non sia espressamente comminata. H2 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La contraria op1mone, argomentata con riferimento al principio che si ricava dell'art. 156 c.p.c. -per cui la nullit� cli atti del processo non pu� mai essere dichiarata dal giudice se non stabilita dalla legge -muove da una concezione di indole processuale de�'a:ccertamento (riconducibile alla risalente ed incongrua qualifica di mera provocatio ad opponendum) sicuramente da respingere, in quanto si tratta, come ormai genera1mente si riconosce, di un provvedimento amministrativo di attuazione del rapporto di imposta, sorto ex lege con il verificarsi del presupposto del tributo, che incide con effetto vincoJante sulla posizione sostanziale del soggetto passivo (spesso consiste nella rettifica di un atto del medesimo e costituisce altres�, anche se contestato, il presupposto di un titolo esecutivo conseguenziale per un immediato pagamento) ed � suscettibile di efficacia preclusiva, in quanto, se non impugnato, determina in modo definitivo l'an e il quantum del debito di imposta nei sensi unilateralmente stabiliti dall'Am� ministrazione (con conseguenze connesse alla qualificazione come illecito del comportamento del contribuente). L'esigenza di motivare gli accertamenti, quindi, scaturisce in via generale gi� dal principio, di rilevanza costituzionale, per cui � obbligatoria la motivazione degli atti amministrativi che comportino comprensione dei diritti e degli interessi dei destinatari o che, comunque, a prescindere dalla loro efficacia degradatoria o dalla loro discrezionalit� (caratteristiche che non si riscontrano, ovviamente, per gli atti in questione), impongono limitazioni o prestazioni. Inoltre, negli avvisi di accertamento di valore (di cui ai d.P.R. n. 634, 637 e 643 del 1972), la motivazione � un elemento dell'atto previsto e regolato dalla legge anche nel contenuto; e non � seriamente contestabile che la mancanza o l'in� sufficienza di tale requisito possa inficiare la validit� degli accertamenti ancorch� non specificamente sanzionata. Invece, la distinzione fra gli atti correlata a tale evenienza, a seconda cio�, che ne sia o non ne sia prevista la nullit� per difetto di motivazione, opera su un piano diverso, nel senso che nei primi -i quali hanno sempre un contenuto complesso precisamente determinato, diretto a garantire il controllo del procedimento e dei criteri prescritti nella ricerca della materia imponibile e nella quantificazione dell'imposta -la difformit� dal modulo legale comporta in ogni caso, per una valutazione tipica del legislatore, l'invalidit� dell'atto, mentre per i secondi, anche quando sia previsto un modello motivazionale, la difformit� non neces. sariamente � causa di nullit� dell'atto, la quale si verifica solo se la carenza di motivazione incida sulla sua idoneit� a svolgere la funzione cui � destinato, nel senso innanzi delineato in via generale. Al riguardo, appunto muovendo dalla constatazione che l'obbligo di motivare gli atti tributari si atteggia diversamente a seconda della natu t ~ f 1 ! ! f. ! f: f. ! 1 PARTE I, SEZ. VI1 GIURISPRUDENZA TRIBVTARIA ra e funzione che essi hanno secondo le norme loro proprie, le Sezioni Unite hanno altre volte precisato che l'adempimento dell'obbligo medesimo deve essere verificato in relazione al contenuto tipico e all'oggetto del singolo atto; e che esso deve ritenersi soddisfatto, in via di principio, quando la motivazione sia tale da esternare, ancorch� in forma estremamente contratta e semplificata, le ragioni del provvedimento, evidenziando �i momenti ricognitivi e logico-deduttivi essenziali, in modo da consentire al destinatario di svolgere efficacemente la propria difesa, attraverso la tempestiva e motivata impugnazione dell'atto, e al giudice di verificare gli aspetti materiali e giuridici della pretesa fiscale (cfr., fra altre, sent. n. 2277 e 1322 del 1986). Pertanto, per gli accertamenti per i quali l'osservanza del modulo legale non � specificamente imposta a pena di nullit�, il vizio di motivazione dell'avviso si configura quando essa non presenti neppure il contenuto minimo suddetto e perci� l'atto, non conforme allo schema eventualmente previsto per il tipo di accertamento, � inidoneo a svolgere la sua funzione dichiarativa e partecipativa degli elementi essenziali assunti a sostegno della pretesa, con conseguenziale pregiudizio delle connesse esigenze di controllo della legalit� del procedimento e di tutela delle posizioni giuridiche soggettive incise. Non ha giuridico fondamento, poi, la distinzione fra assoluta mancanza della motivazione e insufficienza della motivazione, la quale ultima darebbe luogo a mera illegittimit� dell'atto e, in sede di impugnativa giudiziale, pur non precludendo l'esame del merito, influenzerebbe la ripartizione dell'onere della prova, che allora graverebbe interamente sulla Amministrazione. A quesfultima proposizione � agevole .obiettare cJ:.ie motivazione dell'accertamento ed onere della prova stanno su piani affatto diversi, in quanto la prima attiene alla (mera) enunciazione degli elementi utilizzati dall'Amministrazione nelle sue determinazioni, il secondo alla dimostrazione di tali elementi (fattuali) in giudizio. L'onere della prova dei fatti costitutivi della pretesa -sia pure con le particolari caratteristiche che esso assume nel processo tributario (in cui il giudice dispone di ampi poteri officiosi di indagine) ......:.. in via di principio incombe sempre all'Amininistrazione, anche quando l'atto sia compiutamente motivato; e il carattere sommario della motivazione pu� solo comportare -tenuto conto, in ogni caso, dei limiti della contestazione -un maggior impegno probatorio o richiedere un'ulteriore allegazione, con le modalit� e nel termine stabilito dalle norme del processo. Inoltre, la nullit� dell'accertamento (non espressamente comminata) � correlata alla sua inettitudine ad assolvere la propria funzione e perci� -rispetto al requisito della motivazione -solo a fini meramente descrittivi � dato ipotizzare una categoria di atti irregolari, ma validi: se la 144 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO motivazione, ancorch� sommaria o difforme dal modello normativo, � adeguata alla funzione dell'atto, questo � valido e l'irregolarit� non produce conseguenze giuridiche; in caso contrario, l'inadeguatezza della motivazione inficia la validit� dell'atto e non consente, come si � visto, il giudizio di merito. 4. -B fondata, invece, fa censura sub b). L'art. 49 della previgente legge di registro n. 634 del 1972 (modif. dall'art. 3 del d.P.R. n. 914 del 1977), applicabile anche all'INVIM in forza del rinvio di cui all'art. 20 del d.P.R. n. 643 del 1972 (modif. dall'art. 6 della legge n. 694 del 1975), stabilisce che l'avviso di accertamento deve � contenere l'indicazione del valore attribuito a ciascuno dei beni e diritti in esso descritti, nonch� il criterio seguito dall'ufficio per la determinazione del valore venale attribuito ai beni o diritti medesimi, secondo le indicazioni di cui al precedente art. 48 �; e questa disposizione indica, appunto, i metodi con i quali va effettuata la stima (cio�, per gli immobili, il metodo comparativo o quello di capitalizzazione del reddito), sicch� la motivazione risulta finalizzata allo scopo di controllare il criterio in concreto seguito e gli elementi all'uopo utilizzati (va segnalato che l'art. 52, secondo comma, del T.U. dell'imposta di registro ora in vigore, approvato con d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, stabilisce che l'avviso deve contenere gli � elementi... in base ai quali � stato determinato � il valore ai sensi dell'art. 51 e questa disposizione riproduce sostanzialmente il precedente art. 48). Sennonch� occorre considerare, anzitutto, che la motivazione non � imposta a pena di nullit�, sicch� la sua sufficienza deve essere concretamente apprezzata in termini di idoneit� dell'atto, nei sensi innanzi precisati. Inoltre, il difetto di motivazione non va confuso con il mancato rispetto del. disposto dell'art. 48, cio� con l'adozione di un criterio non previsto o incongruo: il primo � un vizio attinente alla regolarit� formale (contenuto-forma) del provvedimento e si configura, al limite, anche se sia stato adottato uno dei metodi prescritti, ma nulla venga detto nell'atto, sicch� la stima risulti del tutto immotivata (lo stesso accade se, pur essendosi proceduto alla stima, nessun valore venga esposto nell'atto, il quale non enuncia, quindi, alcuna determinazione dell'Amministrazione); per contro, l'adozione di un metodo estimativo non conforme al tipo di bene valutato (ad es., se un'azienda non venga stimata in modo analitico) ovvero il ricorso -non imposto da assoluta necessit� -ad un criterio diverso da quelli indicati, pu� dar luogo ad un vizio del procedimento di accertamento e ad una valutazione ingiusta, ma non certo immotivata, se il criterio erroneamente seguito risulti tuttavia esposto nel provv~dimento. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIJiUTARIA HS Il quale adempie cos� alla funzione di esternare le determinazioni dell'ufficio e le ragioni che le sorreggono, per modo che � dato al destinatario e poi al giudice di individuare la pretesa e sindacarne la fondatezza; e, non riscontrandosi perci� difetto di motivazione, l'errore riguardante il criterio di stima si risolve in un motivo dell'accertamento giudiziale, con la conseguenza che, se il valore del bene risulter� conforme a quello dichiarato dal contribuente ovvero inferiore a quello determinato nell'atto impugnato, questo sar� eliminato e, rispettivamente, sostituito dalla decisione giurisdizionale di merito. In questa ottica, e tenuto conto che la determinazione del valore di immobili e diritti reali immobiliari implica per lo pi� un giudizio sintetico (sicch� non si pu� esigere, di massima, una motivazione articolata come quella della stima analitica), deve essere riaffermato il principio numerose volte enunciato da questa Corte, secondo cui l'obbligo dell'Amministrazione di motivare gl� avvisi di accertamento di valore degli immobili, imposto dalle disposizioni suddette, deve ritenersi soddisfatto quando la motivazione consenta di individuare quale dei metodi di stima previsti dalla legge sia stato prescelto o, comunque, quali criteri siano stati seguiti nella valutazione ed altres� di conoscere, sia pure in modo sommario, gli elementi qualificativi del pene o comparativi all'uopo utilizzati. N� l'attitudine dell'enunciato dell'atto a comunicare questi dati (elementari) � pregiudicata, in via di massima, dall'uso di formule ripetitive o di particolari mezzi grafici, che sono strumenti di una tecnica semplificatrice non raffinata (e non commendevole), ne astrattamente idonea allo scopo e, per �altro, correlata a giuste esigenze di razionalizzazione e di speditezza dell'azione amministrativa; anche in queste ipotesi, quindi, la sufficienza della motivazione va apprezzata di volta in volta, con riguardo all'enunciazione, o meno, del contenuto minimo suddetto in riferimento al caso concreto. Nella specie, la Commissione tributaria centrale, dopo avere esattamente affermato che l'avviso di accertamento deve essere motivato e che la motivazione non pu� consistere nella sola contrapposizione dei valori determinati dall'ufficio, ha ritenuto invalido l'avviso in questione in biise all'unico rilievo che � aMa mancanza di motivazione va parificata la motivazione stereotipata �. Nella decisione non si precisa quali fossero gli elementi indicati nell'atto e si pu� solo supporre che essi consistessero nel generico riferimento a qualit� dell'immobile (consistenza, ubicazione, etc.). Anche muovendo da tale premessa, per�, la conclusione risulta arbitraria, giacch�, come si � detto, l'uso di formule reiterative e predisposte a stampa non autorizza 146 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ad esprimere a priori un giudizio negativo sulla sufficienza della motivazione dell'avviso, che deve essere verificata in concreto, nel contesto dell'atto e in relazione alla natura del bene stimato. La Commissione ha trascurato siffatta indagine e, soprattutto, non ha tenuto conto del.l'esistenza di una stima dell'U.t.e., menzionata nell'av-~ �:� viso, ma non allegata ad esso, sulla quale aveva fondato la propria decisione la Commissione tributaria di secondo grado. Ora il .richiamo alla stima U.t.e. di per s� d� consistenza alla motivazione, a nulla rilevando che l'elaborato tecnico non si trovi allegato all'avviso o in esso integralmente riprodotto. Da un lato, quel riferimento conferisce concrt:tezza agli altri elementi esposti nell'atto e alle determinazioni adottate, dovendosi presumere che siano espressioni di una ponderata e specifica valutazione; dall'altro, consente �gua1mente al contribuente di verificare funditus, -prima di proporre la contestazione giudiziale -, i criteri e gli elementi assunti per la stima, prendendo visione del relativo elaborato presso l'Ufficio che ha emesso l'avviso. Questa Corte, del resto, si � gi� pronunziata allo stesso modo in relazione ad un accertamento di valore del tutto uguale, affermando appunto che l'avviso di maggior valore pu� fondarsi anche sul richiamo alla stima dell'U.t.e., che � sufficiente ad integrare una valida motivazione qualora siano indicate le caratteristiche dell'immobile considerate, come la consistenza, l'ubicazione e la qualit� (Cass. 7 giugno 1982, n. 3436). II;.::(Omissis). ' . . ' CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 10 giugno 1987 n. 5052 � Pres. Zucconi Galli Fonseca � Est. Finocchiaro -P. M. Paolucci (conf.). � Amantini (avv. de Jorio) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Favara). I I I Tributi erariali diretti � Accertamento induttivo � Sottoscrizione di azio I ni . Presunzione di capacit� economica � Legittimit�. iif:l (D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, art. 39). I ~ f:� In materia di accertamento dell'imposta sui redditi in via induttiva, ~ la sottoscrizione dell'aumento di capitale di una societ�, con il conseguente onere di versamento, pu� costituire elemento per la determinazione del reddito, mentre � a carico del contribuente la prova contraria Il che la disponibilit� patrimoniale � riferibile a redditi prodotti in anno t I I r:: diverso o a redditi esenti o gi� assoggettati a ritenuta di imposta; ci� perch� in tema di presunzioni semplici, legittimamente utilizzabili per : ; .. I : '. ~~ f: f: PARTE I, SBZ. VI, GIURISPltUDBNZA TRIBUTARIA 147 l'accertamento induttivo, la relazione tra fatto noto e fatto ignoto non deve avere carattere di necessit� ma solo di mera probabilit� (1). (Omissis). Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione del l'art. 41comma4, d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 per avere la Commissione Tributaria Centrale disatteso il principio di diritto enunciato da questa Corte in molteplici occasioni e per il quale il reddito, presupposto gene tico dell'obbligazione tributaria, non pu� arbitrariamente presumersi dalla sottoscrizione di azioni costituenti un mero investimento di capitale. Con il secondo motivo si deduce violazione degli art. 2697, 2727, 2729 e.e. -e degli artt. 38 e 41 d.P.R. n. 600 del 1973, nonch� difetto di motivazione per avere la Commissione Tributaria Centrale ritenuto che gli elementi presuntivi posti dall'Ufficio finanziario a fondamento dell'accertamento avevano quei requisiti di � gravit�, precisione e concordanza � che spo stavano sul contribuente l'onere di dimostrare il contrario sulla base di affermazioni apodittiche e indimostrate. Secondo i ricorrenti, poi, gli stessi vizi di violazione di legge e di difetto di motivazione sono ravvisabili nella quantificazione del reddito in una misura talmente elevata da uscire completamente, al tempo stesso, dal campo delle presunzioni e da quello della realt�, quando a fronte di una sottoscrizione di azioni per l'ammontare di lire 250.000.000 si presume un reddito di lire 130.000.000 e cio� un investimento di capitale per sotto scrizione di azioni di una societ� viene considerato proveniente da redditi prodotti nel 1975 nella misura del 55 % del capitale investito. I due motivi di ricorso da esaminarsi congiuntamente in quanto logi camente connessi, appaiono infondati sulla base delle considerazioni che seguono. La questione sottoposta a questa Corte consiste nello stabilire se in sede di accertamento sintetico dei redditi legittimamente compiuto dal l'amministrazione finanziaria (l'illegittimit� di tale forma di accertamento � solamente adombrata nel ricorso senza che sul punto vi sia alcuna espressa censura) possa costituire valida presunzione dell'esistenza di un reddito tassabile il compimento di una operazione di sottoscrizione di aumento di capitale sociale evidenziante una notevole capacit� e dispo mbilit� economica. L'art. 38, comma 4, d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, stabilisce espres samente che � se il reddito complessivo risultante dalla determinazione analitica � inferiore a quello fondatamente attribuibile al contribuente in base ad elementi e a circostanze di fatto certi, l'ufficio determina sinte (1) Massima di evidente interesse. Sul grado di verisimiglianza della presunzione secondo l'id quod plaerunque accidit V. Cass. 21 maggio 1984 n. 3109 in questa Rassegna, 1984, I, 776. 11 HB RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ticamente il reddito complessivo netto in relazione al contenuto induttivo di tali elementi e circostanze�; mentre il successivo comma 5 dello stesso articolo faculta il contribuente a dimostrare, anche prima della notificazione dell'accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente � costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, aggiungendo che �l'entit� di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione �. Non ignora il Collegio che questa stessa sezione con una non recente sentenza ha affermato il principio secondo cui una isolata acquisizione di beni, quale mera operazione patrimoniale, non � sufficiente a consentire l'applicazione dell'art. 137 del t.u. n. 645 del 1958, ove non sia dimostrata la sua connessione e dipendenza, attraverso congrui elemenrti, dai redditi prodottisi nel medesimo anno che assicurino una maggiore capacit� contributiva, per il motivo che da siffatta operazione pu� dedursi soltanto la disponibilit� temporanea di un cor.r.ispondente capitale, senza che vi sia alcun elemento, nell'operazione stessa, per dedurre l'esistenza di un reddito che abbia concorso a formarlo, parzialmeil!te o no, nello stesso anno (Cass. 15 dicembre 1980, n. 6615). Non ritiene .per� la Corte di poter segu~.re tale precedente che, nella sua assolutezza, ancorata ad una ormai superata giurisprudenza in tema di prova presuntiva, si appalesa contrario al disposto della norma innanzi citata. Se l'accertamento sintentico pu� essere basato su presunzioni per espressa disposizione di legge (�l'ufficio determina sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione al contenuto induttivo �di tali elementi e circostanze�) e se tale presunzione pu� essere basata su qualunque � elemento e circostanza �, non esiste alcun motivo per escludere aprioristicamente una operazione patrimoniale rivelatrice di una notevole ~ disponibilit� economica fra gli elementi e le circostanze dai quali dedurre presuntivamente l'esistenza di un reddito purch� della presunzione sus sistano i presupposti. Seppure � esatto che l'operazione di sottoscrizione di aumento di I capitale sociale -con il conseguente onere di versamento a carico del sottoscrittore -non � indice esclusivamente dell'esistenza di un reddito Iprodotto nell'anno, non pu� per� escludersi che una tale disponibilit� possa derivare anche dall'esistenza di un reddito e ci� � sufficiente per ! fondare su tale elemento una determinazione sintetica del reddito. if L'art. 38, d.P.R. cit., richiede la certezza degli elementi e delle cir~ ! costanze di fatto (nella specie: la sottoscrizione, per un determinato ammontare, dell'aumento di capitale sociale) ma non anche la certezza I della riferibilit� degli elementi e delle circostanze prese in considerazione ! al reddito. ! I I I - PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Il giudizio di riferibilit� dell'operazione patrimoniale all'esistenza di un reddito � il frutto di una presunzione semplice tratta dall'Ufficio e di cui la Commisisone Tributaria Centrale ha dimostrato la legittimit� sulla base di una serie di valutazioni di fatto, inoensurabHi in questa sede in quanto conformi al principio costantemente affermato e per il quale in tema di prova per presunzioni non occorre che i fatti su cui la presunzione si fonda siano tali da far apparire l'esistenza del fatto ignoto come l'unica conseguenza possibile dei fatti accertati in giudizio secondo un legame di necessariet� assoluta ed esclusiva, bastando invece che l'operata inferenza sia effettuata alla stregua di un canone di probabilit�, con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti, la cui sequenza e ricorrenza possono verificarsi secondo regole di esperienze colte dal giudice per giungere all'espresso convincimento cil'lca tale probabilit� di sussistenza e la compatibilit� del fatto supposto con quel�o accertato (Cass. 4 maggio. 1985 n. 2790; Cass. 22� agosto 1984 n. 4672; Cass. 21 maggio 1984 n. 3109; Cass. 29 ottobre 1983 n. 6444; Cass. 20 di� cembre 1982 n. 7026; Cass. 4 agosto 1982 n. 4376), dovendo ritenersi superata quella giurisprudenza -alla quale implicitamente si � riferita Cass. n. 6615 del 1980 -secondo cui nelle presunzioni semplici il fatto ignoto, cui si risale dal fatto noto, deve profilarsi, in base alle� regole di comune esperienza, come conseguenza univoca e necessaria, �e quindi come la sola conseguenza logicamente ipotizzabile, del fatto noto, e non come il risultato di una deduzione solo probabile la quale non escluda ragionevoli dubbi (Cass. 2 luglio 1981 n. 4295; Cass. 29 giugno 1981 n. 4222). N� in contrario alle conclusioni dell'Ufficio e, soprattutto, al giudizio espresso dalla Commissione Tributaria Centrale, che viene in questa sede immediatamente in rilievo, vale dedurre una pretesa perplessit� di motivazione della decisione di quest'ultima, che, nel riferire ad una serie di motivi la causa della disponibilit� delle somme (disinvestimento patrimoniale a seguito di alienazione di immobili o di titoli esenti da imposte o soggetti a ritenute alla fonte, risparmio etc.) dimostrerebbe l'insussisteza degli elementi idonei a fondare la presunzione. La tesi difensiva, seppure abilmente prospettata, non ha pregio, in quanto Ja Commissione, considerata Ja riferibilit� della disponibilit� patrimoniale ad una pluralit� di fattori e rilevata l'inattivit� dei contribuenti che non avevano fornito quelle prove loro incombenti ex art. 38, comma 5, d.P.R. cit. e facilmente acquisibili per dimostrare la non riferibilit� della disponibilit� economica ad un reddito prodotto nell'anno in contestazione, ha tratto proprio da tale inattivit� ulteriore argomento per la fondatezza della presunzione, sicch� il richiamo alle possibili cause invocabili, ma non invocate per il superamento di quest'ultima, cosHtuisce ulteriore prova della fondatezza della presunzione e non anche dimostra� � zione della sua insussistenza. .X � :W.-> <-x��'W.-> :��:: X .. ::::: 150 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Inammissibile perch� propone una questione di fatto � la censura di arbitrariet� della determinazione del reddito in L. 130.000.000 a fronte di una disponibilit� economica accertata di L. 250.000.000. Parimenti inammissibile � infine la deduzione del vizio di motivazione dell'accertamento tributario trattandosi di questione nuova e non proposta innanzi alla Commissione Tributaria Centrale. Concludendo, si deve quindi ritenere che in materia di accertamento dell'imposta sui redditi ed al fine della determinazione sintetica del reddito annuale complessivo, secondo la previsione dell'art. 38 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, la sottoscrizione da parte del contribuente dell'aumento di capitale di una societ�, con il conseguente onere di versamento, pu� costituire elemento sulla cui base determinare induttivamente ;il reddito complessivo netto, mentre � a carico del contribuente la prova contraria che la disponibilit� patrimoniale non .dipende da redditi prodotti nehl'anno o dipende da redditi esenti da imposte o in ordine ai quali sia gi� stata effettuata la ritenuta alla fonte, in quanto in tema di presunzioni semplici, che l'ufficio finanziario � legittimato ad applicare per l'accertamento sintetico, la relazione fra fatto noto e quello ignoto non deve avere carattere di necessit�, ma di mera probabilit�. A tali principi si � attenuta la decisione impugnata ed il ricorso contro la stessa proposta va rigettato. (Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 giugno 1987 n. 5624 Pres. Bologna Est. Catamo -P. M. Di Renzo (diff.) -Guar�ino c. Ministero delle Finanze (Avv. Stato Salimei). Tributi in genere -Contenzioso tributarlo -Estinzione -Dichiarata dal presidente � Reclamo al collegio � Accoglimento � Appellabilit� � Esclusione. (D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, art. 44; c.p.c. art. 308). In applicazione dei principi generali desumibili dall'art. 308 c.p.c., l'ordinanza collegiale che accoglie il reclamo contro l'ordinanza del Presidente che dichiara l'estinzione non � appellabile (1). (Omissis). Il ricorso � fondato. L'ordinanza della Commissione Tributaria di 1� Grado, con cui venne revocato il provvedimento di estinzione del processo pronunciato dal Presidente della stessa Commissione non era infatti impugnabile. (1) Decisione di evidente esattezza che va segnalata per la precisa individua zione del rapporto tra norme speciali del processo tributario e principi generali del processo. PARTE I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA La sua inoppugnabilit� trova la propria fonte normativa non tanto nelle norme contenute negli artt. 17, comma 2�, e 35, comma 3� d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (la cui effimera ,esistenza, tra l'altro, � venuta meno con iii nuovo testo degli stessi articoli introdotto, rispettivamente, dagli articoli 8 e 23 del d.P.R 3 novembre 1981, n. 739), all'applicazione delle quali potrebbe fare da limite l'argomentazione �a contrario� che si potrebbe ricavare dalla loro specifica previsione per i rispettivi casi tipici disciplinati, e non quindi per altri casi 'SI�mdli ricorrenti nella stessa legge; n� pu� trovarla nel comma primo dell'art. 39 del medesimo d.P.R. n. 636/72, dato che la norma di rinv.io in esso contenuta, compatibilmente con le disposizioni di tale decreto e delle leggi disciplinanti le singole imposte, riguarda esclusivamente le norme contenute nel libro primo del codice di procedura civile, tra cui non se ne rinviene alcuna adattabile al caso di specie. La trova, invece, nel principio desumibile dall'art. 308 c.p.c., come estensibile razionalmente alla materia de qua, alla cui applicazione nei procedimenti dinanzi alle commissioni tributarie non � di ostacolo l'apparente limite derivante dalla predetta norma di rinvio contenuta nell'art. 39 del d.P.R. n. 636/72. In virt� di essa, infatti, con la riserva circa l'eventuale incompatibilit� di cui si � detto, l'intero primo libro del codice di procedura civile, con le tassative esclusioni nella stessa previste, viene ad essere sostanzialmente incorporato nel testo della nuova disciplina del contenzioso tributario, evitando l'ingombro della ripetizione letterale dei suoi singoli articoli. Si tratta, come si vede, di un espediente di tecnica legislativa, peraltro molto diffuso in materia processuale, che, lungi dall'inibire per vie indirette (art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale), un collegamento tra legge \richiamante e legge richiamata, ne rivela anzi l'intima connessione, se non il vero e proprio rapporto di filiazione tra l'una e l'altra, posto che la parte del codice di procedura civile richiamata � costituita dalle disposizioni di carattere generale. Se, quindi, il procedimento del contenzioso tributario pu� essere ispirato ai principi che regolano il processo civile, a questo si deve ispirare, a norma dell'art. 12, c.p.v., delle disposizioni sulla legge in generale, nei casi in cui manchi di una disciplina propria. Pertanto, siccome per l'art. 308 c.p.c. contro l'ordinanza di estinzione del processo � ammesso reclamo al collegio, il quale, se l'accoglie, provvede con � ordinanza non impugnabile �, � evidente che nel caso .di specie l'ordinanza della Commissione Tributaria di l� Grado, con oui venne accolto il reclamo contro il provvedimento di estinzione pronunciato dal Presidente della stessa Commi~ssione, era inoppugnabile. Correttamente, quindi, la Commissione Tributaria di 2� Grado dichiar� inammissibile l'appello proposto dall'Ufficio contro �letta ordinanza; ed illegittimamente, in conseguenza, la sua decisione venne annullata dalla RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 152 Commissione Tributaria Centrale, il cui provvedimento, pertanto, deve essere, a sua volta, _annullato da questa Corte, con rinvio alla stessa Commissione Tributaria Centrale per nuovo esame. (Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 3 luglio 1987 n. 5812 -Pres. Falcone -Est. Senofonte -P. M. Amirante (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Palatiello) c. Chir�. Tributi in genere -Tributi erariali indiretti -Accertamento -Motivazione Insufficienza -Mera illegittimit� -Giudizio di merito -Ammissibilit�. L'accertamento, quale atto non discrezionale diretto a identificare i dati storici di concretizzazione della fattispecie, deve avere una motivazione la cui mancanza comporta una invalidit� che non ammette una graduazione in ragione del totale o parziale difetto. Tuttavia l'invalidit� si concretizza in una annullabilit� (o illegittimit�) sanabile con il raggiungimento dello scopo e che non preclude il giudizio di merito (1). (Omissis). Denunciando violazione dell'art. 20 d.P.R. 643/1972 e dell'art. 49 d.P.R. 634/1972, anche con riguardo al principio generale di cui all'art. 156 c.p.c., l'Amministrazione ricorrente contesta che l'accertamento del maggior valore, ai fini delle imposte di registro e INVIM, debba essere motivato a pena di nullit�. Deduce, inoltre, che la pretesa nullit� sarebbe stata, comunque, sanata, nella specie, per raggiungimento dello scopo. Aggiunge, infine, che la Commissione centrale non avrebbe potuto, in ogni caso, limitarsi a dichiarare nullo l'atto impugnato, avendo la impugnazione dell'accertamento natura di � impugnazione-merito �, non di � impugnazione-annullamento �. Premesso che, contrariamente a quanto sostenuto con la memoria e ribadito nella discussione orale dall'Amministrazione finanziaria, la censura non involge un problema di giurisdizione, poich� si controverte non sulla giurisdizione del giudice tributario, ma sulla tipologia delle decisioni che egli, in relazione all'oggetto del processo, pu� adottare, il ricorso � fondato. La decisione impugnata si muove nel solco di un nutrito filone giuri sprudenziale (v. tra le sentenze pi� recenti, Cass. 4129/1985, 4541/1984, 5325/1983 e altre), secondo il quale � nullo l'avviso di accertamento motivato con formule generiche, stereot1pate o di stile, in ciclostile o (1) Decisione da condividere pienamente e conforme ad un fermo indirizzo perseguito di recente anche dalle Sezioni Unite (sentenza 3 giugno 1987 n. 4844 e 13 luglio 1987 n. 6096, .iJil questo fascicolo pagg. 132 e 133). Ma di questa pronunzia va segnalata la eccezionale ricchezza argomentativa nell'apporto di nuova materia che merita attenta riflessione. �A- PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 153 stampigliate, privo, comunque, di specifici riferimenti al caso concreto (motivazione c,d. apparente). Senza disconoscere le esigenze di buona amministrazione e di difesa del cittadino alle quali � questo orientamento � chiaramente ispirato, si deve, tuttavia, ammettere che non sul piano delle ripetitivit� espressive o dei mezzi grafici usati (modeste tecniche di razionalizzazione e di speditezza dell'azione amministrativa suggerite da problemi noti di un settore che non favorisce certo esercizi di creativit� strnstiche) pu� misurarsi l'attitudine della motivazione ad assolvere la sua precipua funzione di informare il .contribuente sugli elementi (veri o non veri) utilizzati dall'Amministrazione per l'accertamento dell'imponibile, s� da consentirgli di opporre le proprie ragioni. L'uso (eventualmente) distorto di queste tecniche non attiene, infatti, alla regolarit� fol'llllale (contenuto-forma) deWatto, ma pu� influire, se mai, sul terreno probatorio della pretesa con esso � affermata � e sulla ripartizione dei relativi oneri, nei limiti in cui �di questi ultimi � dato parlare in un processo largal]J.ente aperto a poteri officiasi di indagine e, come tale, soggetto al principio inquisitorio. Pertinente, al contrario, � il rilievo che non pu� ritenersi validamente motivato l'accertamento avulso dai parametri legislativi (vincolanti) di valutazione. Ma su questo (diverso) piano non vi �, anzitutto, spezio per le grada� zioni di invalidit� evocate dalla risalente distinzione tra motivazione (del � tutto) omessa e motivazione insufficiente, che darebbero, rispettivamente, luogo alla nullit� radicale (inesistenza giuridica) o alla semplice illegittimit� (annullabilit�) dell'atto, con rilevanti conseguenze applicative (specie in ordine alla sua integrabilit� e operativit�) significativamente testimoniate dalle sentenze gi� citate. Nel campo del diritto amministrativo, infatti, questa distinzione pu� correttamente proporsi solo in relazione ad atti autoritativi, e, in particolare, ad atti contrassegnati da note di discrezionalit� (vera e propria) circa il perseguimento di uno specifico interesse pubblico, nel senso che, per stabilire, nei casi singoli, se esso s1a stato adeguatamente apprezzato e meriti, quindi, di essere realizzato, gli organi cui ne � affidata la cura debbono dar conto delle propde scelte, le quali proprio perch� rimesse alla valutazione (discrezionale, appunto) degli autori esprimono, inevitabilmente, tassi variabili di soggettivit� e si prestano, dunque, ad essere motivate pi� o meno compiutamente. Pare ovvio dedurne che eventualit� di questo tipo non siano ipotizzabili riguardo ad atti non consegnati a valutazioni di convenienza in ordine alla realizzazione di un particolare interesse pubblico, in quanto diretti solo alla ricognizione in concreto degli elementi di fatto di una fattispecie normativa per s� definita (chiusa) e che richiede, quindi, solo RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO di essere attuata sulla base di criteri rigidamente precostituiti, pur se da specificare caso per caso e suscettibili, dunque, al pi� di apprezzamenti (non di merito, m}l esclusivamente) tecnici, da esternare nella motivazione in senso largo. La quale, non configurandosi, in casi siffatti, scelte discrezionali da giustificare, nell'interesse della collettivit�, si esaurisce nell'esposizione dei dati storici di concretizzazione della fattispecie� astratta preindicati dalla legge e tutti insieme, se plurimi e cumulativamente previsti, destinati a strutturare la � motivazione �, Con la conseguenza che, se anche solo parzialmente negletti, quest'ultima, pi� che semplificata, insufficiente o sommaria, deve considerarsi omessa, perch� difforme da quella legale, e, quindi, concettualmente non distinguibile dalla motivazione del tutto mancata. . In questa seconda categoria di atti si iscrive l'accertamento concernente l'imposta di registro (e, per rinvio, l'INVIM), istituzionalmente preordinato alla (mera) .quantificazione del valore imponibile (base normativa dell'imposizione) mediante l'applicazione di parametri tassativi, anch'essi predeterminati �ex lege � (combinato disposto degli artt. 48 e 49 vecchio e nuovo testo della previgente legge sul registro), che, nel caso in esame, non risultano neppure enunciati. L'atto, per s� preso, �, quindi, senza dubbio invalido. Ma sulla individuazione della specie di invalidit�, il Collegio non , condivide il drastico giudizio di nullit� (inesistenza) emesso dalla Commissione centrale, privo, peraltro, di specifiche argomentazioni, avendo essa dato per scontato che sia proprio questa la sanzione correlata alla mancanza di motivazione, senza considerare affatto, per lo meno, che di codesta sanzione non vi � traccia nella legge sul registro in vigore alla data di notificazione dell'avviso (sul punto, del resto, non innovata, dalla legge vigente) e che la nullit� appare sanzione difficilmente configurabile per gli atti amministrativi (compreso, pertanto, l'avviso di accertamento) non (o insufficientemente) motivati, e, per questo, tradizionalmente ritenuti, se cos� viziati, semplicemente illegittimi o annullabili. N� indicazioni di segno contrario esibisce la disciplina del contenzioso tributario (riformato), che, anzi, annoverando espressamente il difetto di motivazione tra i canali di accesso al giudizio (esclusivo) delle Commissioni e ammettendo, quindi, il consolidamento dell'atto, se non ritualmente impugnato (art. 13, 1I1el testo novellato dall'art. 21 del d.P.R. 739/1981), ne attesta univocamente la sola annullabilit� ed esclude, dunque, che esso possa qualificarsi radicalmente nullo o inesistente. In quest'ottica si inserisce, a pieno titolo, la questione (del cui mancato esame l'Amministrazione fondatamente si duole) riguardante la dedotta sanatoria dell'invalidit� per raggiungimento dello scopo, in riferimento alle articolate contestazioni mosse nel merito dall'opponente ai criteri di accertamento utilizzati dall'ufficio, rivelatrici -esse -dell'atti PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA tudine della motivazione concretamente adottata a consentire un'adeguata difesa del destinatario, la cui sola potenzialit� � stata altre volte ritenuta perfino idonea, esaltando la funzione processuale dell'atto, a neutralizzare l'invalidit� astrattamente imputabile alla preterizione dei parametri legislativi di valutazione. E, se anche Ja questione dovesse essere negativamente risolta dal giudice del rinvio, il giudizio non potr�, comunque, esaurirsi con una pronuncia di (mera) invalidazione dell'atto impugnato, ma deve approdare ad una decisione di merito. �, al riguardo, ampiamente noto che sulla individuazione dell'oggetto (atto o rapporto) e della natura (costitutiva o ,dichiarativa) del processo tributario persistono 'dissensi, per buona parte dovuti a disparit� di opinioni in ordine alla fonte stessa (legge o atto impositivo) del debito d'imposta e, di conseguenza, alla natura (provvedimentale o non) dell'accertamento. � noto, altres� che' sulla questione (apparsa datata, dal punto di vista del diritto processuale civile, stante la traduzione in norma positiva -art. 161 c.p.c. -del principio 'di conversione dei motivi di nullit� in motivi di gravame e dell'assorbimento dell'invalidazione nella impugnazione) � prevalso, fino ad epoca ,reaente, nella giurisprudenza di questa Corte l'orientamento favorevole alla configurazione del processo tributario come giudizio (non di annullamento, ma) di � impugnazione-merito �, avente, come tale, per oggetto (non l'atto impugnato, ma) il rapporto d'imposta (Cass. 3047/1984, 1472/1980, 742/1977 e altre). Ripensamenti (testimoniati, soprattutto, dalle sentenze nn. 2277, 2246 e 1322 del 1986) sono, peraltro, emersi (anche se gi� prima, sebbene meno risolutamente, proposti) a seguito della emanazione del d.P.R. 739/1981, con particolare riguardo al nuovo testo dell'art. 21 d.P.R. 636/1972, interpretato, tra l'altro, nel senso che il difetto di motivazione conduce all'annullamento (senza residui) dell'atto impugnato. Questa conclusione si inserisce in un quadro argomentativo pi� vasto, che recepisce puntualmente l'opinione (diffusa in dottrina) secondo la quale anche il riesame del rapporto avviene in funzione dell'atto impugnato e, quindi, del suo eventuale annullamento. Ma, con sentenze deliberate nell'udienza del 20 novembre 1986, le Sez. un. di questa Corte hanno restaurato il precedente indirizzo (condiviso anche daltla Cor,te cost., con le sentenze n. 313/1985, n. 63/1982, e fatto, altres�, dichiaratamente proprio -conviene dirlo -dalla Relazione allo schema del decreto n. 739 cit.): al quale il Collegio intende ora attenersi. Nessuna convincente spiegazione, infatti, risulta fin qui fornita della compatibilit� tra giudizio di (semplice) annullamento e potere del giudice tributario di determinare, sostitutivamente, l'imponibile contestato: potere, che, in presenza di norme univoche (quali, ad es., l'art. 15 d.P.R. 602/1973, 156 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I gli artt. 60 e 61 d.P.R. 633/1972, agli artt. 54 e 73 d.P.R. 634/1972, ecc...), non !: si vede come possa essere disconosciuto e che, necessariamente, si tra� t I I i: duce in decisioni di merito, nel senso, processualcivilistico, di attribuzione del torto o della ragione, all'esito di un giudizio che, vertendosi in materia di diritti soggettivi, non pu� essere che giudizio di accertamento, questo essendo il mezzo tipico e proprio di tutela giurisdizionale dei medesimi. A questa logica �, del resto, ispirato lo stesso decreto n. 739 cit.: il potere di condannare l'Amministrazione riconosciuto dall'art. 12 non �, infatti, un'anomalia del sistema, ma coerente espressione del tipo di giuri� sdizione attribuita alla Commissione e nella quale si iscrive, altres�, il potere di (mera) disapplicazione (altrimenti dirfficile da capire), degli atti generali ritenuti illegittimi (art. 7). N� il nuovo testo dell'art. 21, se non isolatamente assunto, contraddice, malgrado innegabili ambi� guit�, queste indicazioni. La norma (novellata al dichiarato scopo di eliminare fasce di evasione legrudzzata rese possibili dall'abile sfruttamento di errori meramente fo11mali) muove daill'intento di � liberare � il giudizio sul rapporto solo nei casi in cui esso si manifesti davvero necessario per garantire cor� rettezza nell'esercizio della funzione impositiva, e, ad un tempo, l'interesse del contribuente, senza, tuttavia,. vanificare il concorrente i,nteresse della collettivit�, anch'esso costituzionalmente protetto, al pagamento delle 1mposte clfettivamente dovute. Il mezzo, a questo fine, prescelto � la rinnovazione (disposta dalla Commissione) dell'atto affetto da vizi che non attengono � all'esistenza o all'ammontare del credito tributario � e che la Commissione abbia preventivamente rilevati. Ma la rinnovazione costituisce soltanto un onere imposto all'Ufficio per chiudere l'accesso al giudizio di merito occasionato da vizi (sanabili) dell'atto impugnato. Ne deriva che se l'onere viene assolto cessa la materia del contendere e il giudizio sulla fondatezza-infondatezza della pretesa (se non alimentato da altri motivii) rimane precluso; contrariamente (se il vizio, cio�, non viene sanato) rivivono le condizioni della sua proseguibilit� e sar� condotto, quindi, a termine con la congruente decisione (di merito). Alla luce di questi rilievi deve essere letto il secondo comma della no1.1ma � de qua�; in riferimento al difetto di motivazione (che qui interes� sa), non sanabile -questo -col rimedio della rinnovazione (non spon� tanea) e, dunque, per disposizione espressa, non in grado di bloccare attraverso la sua sanatoria, l'accesso al giudizio di merito. Vuol dire che la non sanabnit� del vizio di cui si discute produce, nella materia, gli stessi effetti del vizio (sanabile, ma) non sanato: libera, cio�, il giudizio sul rapporto, erroneamente, pertanto, ritenuto, nel caso di specie, pre� eluso dalla Commissione centrale. Il ricorso deve essere, quindi, accolto, con conseguente annullamento della decisione impugnata e rimessione della causa alla stessa Commis� I I i ~ PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 157 sione centrale, che proceder� al riesame della controversia, muovendo dal principio di diritto secondo cui � in tema di imposta di registro, la motivazione dell'avviso di accertamento del valore imponibile, priva, in tutto o in parte, di riferimento ai parametri legislativi vincolanti di valutazione, determina non la nullit� (radicale), ma la semplice .annullabilit� (illegittima) dell'atto, il cui rilievo apre l'accesso al giudizio di merito �. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 7 luglio 1987 n. 5890 -Pres. Tilooca -Est. Favara -P. M. Lo Cascio (conf.) Ministero delle Finanze (avv. Stato Salimei) c. Camposeo. Tributi locali -INVIM � Valore iniziale ancora in corso di accertamento � Determinazione autonoma del valore finale � Legittimit�. Ove al momento del trasferimento il valore dell'anteriore trasferimento che costituisce il valore iniziale ai fini dell'INVIM sia ancora in corso di contestazione, legittimamente viene intanto accertato in via autonoma il valore finale (1). (omissis) Con l'unico motivo di ricorso l'Amministrazione finanziaria, denunciando violazione dell'art. 49 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 634 sull'imposta di registro e falsa applicazione dell'art. 6 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643 sull'INVIM sostiene che l'accertamento di valore dell'Ufficio, anche se finalizzato alla determinazione dell'imponibile dell'imposta sull'incremento di valore degli immobili non costituisce un atto di liquidazione dell'imposta, per il quale soltanto pu� trovare applicazione la regola di cui all'art. 6 del d.P.R. n. 643/1972. Il ricorso � fondato. L'accertamento tributario di maggior valore, che � volto a conseguire in contraddittorio con il contribuente (merc� l'instaurazione del processo tributario) la determinazione del valore del bene (nella specie, ai fini della determinazione dell'imponibile dell'imposta di registro e dell'incremento di valore di immobMe trasferito) d� luogo ad un procedimento del tutto indipendente ed autonomo rispetto a quello di accertamento e liquidazione dell'imposta, sia pure effettuato (quanto al valore finale) sulla base del predetto accertamento di valore, una volta divenuto definitivo. :B pur vero, secondo quando � detto anche nella sentenza impugnata, che, ai sensi dell'art. 6 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643, aii fini della determinazione delll'imponibile deM'INVIM, Jlincvemento di valore � costituito (1) La decisione appare ineccepibile. La controversia sul valore iniziale non pregiudica l'accertamento del valore finale mentre l'attesa non escluderebbe il maturare di decadenza a carico dell'Amministrazione. 11r1r&11111111ru111r111111r11t1illr11111mr11111111&r111r1t1r11i111t1111111 158 RASSEGNA DELL)VVOCATURA DELLO STATO (sul punto cfr. Cass. 1. 3 giugno 1984 n. 3531) dalla differenza tra valore finale e valore iniziale dell'immobile, entrambi da intendersi come valori definitivi e cio� come valori, dichiarati o accertati, divenuti in qualunque modo definitivi (per effetto di inutile scadenza dei terroni per il ricorso avverso l'avviso di accertamento di maggior valore, o di concordato, o di decisione non pi� impugnabile delle competenti commissioni tributarie, ecc.). Ed � anche vero che, per procedere alla determina7Jione dell'impo� nibile e alfa liquidazione dell'imposta, occorre che entrambi i detti valori siano appunto divenuti definitivi. Ma non pu� certamente pretendersi che alla determinazione del valore finale, o di quello iniziale, che sono i due termini sui quali va operato il calcolo della base imponibile, si possa procedere solo congiuntamente o dopo che uno dei due sia divenuto definitivo, poich� invece � vero che, per l'autonomia che sussiste tra le due valutazioni, riferite a presupp�sti e momenti estimativi diversi, bene � possibile che valore iniziale e valore finale siano determinati separatamente e in procedimenti diversi. E del fatto che, come nel caso di specie; sia pendente la contestazione sul valor� iniziale del bene, cos� che al momento sia impossibile procedere alla liquidazione dell'imposta sull'incremento di valore, perch� non c'� ancora il valore definitivo da assumere come valore iniziale dell'incre� mento, non � lecito trarre la conseguenza che sia precluso all'Amministrazione, per intanto, di portare avanti il procedimento tendente alla defini� zione di maggior valore del bene all'atto del nuovo trasferimento e cio� alla individuazione dell'altro valore, quello finale, da porre a base della futura liquidazione dell'imposta Risulta perci� evidente l'equivoco in cui � incorsa la corte di merito, confondendo il procedimento di accertamento del maggior valore (fi� nale), ammissibile anche in pendenza di contestazione sul valore finale, con il procedimento di liquidazione dell'imposta, ammissibile invece solo _ dopo che entrambi i valori predetti siano divenuti definitivi. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 16 luglio 1987, n. 6252 � Pres. Scanzano � Est. Senofonte � P. M. Martinelli (diff.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Laporta) c. Italinvest. Tributi in genere� Norme Tributarie� Decreti Delegati �Valore di norma interpretativa � Esclusione salvo espressa previsione -Efficacia retroat� tiva -Riformulazione e precisazione della norma originaria -Fatti� specie. (d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643, art. 13; d.P.R. 23 gennaio 1974 n. 688, art. 1). Nelle norme delegate e negli atti di normazione secondaria � diffi� cilmente configurabile la retroattivit� quali norme interpretative, po� ,, @ i: PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 159 tendosi attribuire tale eccezionale effetto solo alle leggi ordinarie; di conseguenza, salvo espressa previsione, le norme � integrative e corret� tive � della riforma tributaria non hanno effetto retroattivo. Tuttavia il legislatore ha fatto frequente impiego di norme che, pur non essendo di interpretazione autentica sono dirette a precisare meglio i presupposti del tributo riformulando e sostituendo il testo della norma origi� naria; anche queste disposizioni possono avere effetto retroattivo, come nell'ipotesi dell'art. 1 del d.P.R. 23 gennaio 1974 n. 688 che ha riformulato l'art. 13 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643 (1). (omissis) Denunciando violazione dell'art. 13 d.P.R. 643/1972 e falsa applicazione dell'art. 1 d.P.R. 688/1974, l'Amministrazione ricorrente contesta che quest'ultima norma abbia natura interpretativa e sia quindi, applicabile, in virt� della connessa retroattivit�, anche ai rapporti anteriori alla sua entrata in vigore e non ancora definiti. Deduce, al riguardo, che l'originario sistema delineato dal decreto istitutivo dell'INVIM (in particolare, dall'art. 11 e dal vecchio testo dell'art. 13) era chiaramente orientato nel senso di considerare spese incrementative solo quelle gi� effettuate al momento di trasferimento dell'immobile, rispondendo ad elementari criteri di logica chf!� dovendosi determinare la differenza del valore di un bene in due distinti momenti del tempo, dal valore finale venga detratto non solo quello iniziale ma tutto quanto (e non di pi�), nell'arco di tempo considerato, ha contribuito a portare il valore del bene al livello finale. L'art. 1 cit., includendo tra le spese detraibili anche quelle non ancora erogate alla data di alienazione, si muoverebbe, perci�, in un'ottica opposta a quella della normativa preesistente e, non potendo, in difetto di specifica disposizione sulla sua retroattivit�, classificarsi tra le norme interpretative, non potrebbe, di conseguenza, applicarsi ai rapporti posti in essere prima della sua entrata in vigore. Il ricorso non � fondato. La questione relativa alla retroattivit� -irretroattivit� della disposizione di cui si discute viene per la prima volta all'esame di questa Corte, ma � stata _gi� ripetute volte risolta dalla Commissione tributaria centrale in senso prevalentemente sfavorevole all'Amministrazione Finanziaria (dee. 2412/1984, 4148/1983, 1577/1982, 4365/1981, fra le tante), con motivazioni, peraltro, solitamente affidate ad argomenti di carattere terminologico e lessicale non sufficientemente approfonditi e, (1) Questione interessante ma alquanto fumosa. Spesse volte nelle norme di assestamento della riforma tributaria si dice espressamente, anche a distanza di lungo temp�, che la nuova norma ha effetto dall'origine della riforma; ove ci� non sia stabilito � abbastanza arduo distinguere la norma di interpretazione autentica da quella che "precisa meglio i presupposti di fatto del tributo'" 160 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO per questo, puntualmente criticati, specie nella discussione orale, dal!' Amministrazione ricorrente. Con la quale si deve pure convenire sull'impropriet� del riferimento fatto (anche) nella decisione ora denunciata alla nozione di norma interpretativa (e alla inerente efficacia retroattiva) non addicendosi il concetto ad una norma sostitutiva (qual � l'a!l:t. 1 cit.), la qruale assume come proprio referente non la norma anteriore ma (direttamente) la fattispecie sostanziale regolata e si porge, perci�, come noruna di pci:mo grado. Deve, anzi, aggiungersi che la retroattivit� degli atti normativi subprimari ~decreti legislativi o leggi delegate) -e degli atti di normazione secondaria in generale -� difficilmente configurabile, al di fuori dei casi espressamente previsti dalle leggi di provenienza parlamentare, poich� deroghe al principio di irretroattivit� della legge non possono essere apportate (o consentite) che dal potere legislatirvo. Il quale, infatti, � intervenuto con leggi apposite l� dove ha inteso estendere anche ai rapporti pendenti le disposizioni �i1J1tegra:tive e correttive� emanate, a nol1IIla dell'art. 17, II co. (pi� volte prorogato), della legge-delega n. 825/1972, dopo la prima fase di attuazione della medesima (significativo, proprio in materia di INVIM, � l'art. 5 della legge n. 694/1975). Si spiega, pertanto, come questa Corte non abbia esitato, in altra occasione, ad affermare che tali disposizioni (�integrative e correttive�) non hanno efficacia retroattiva (sent. 822 del 1982). _;.,.,~i~~ L'affermazione riguarda, per�, una norma chiaramente innovativa (l'art. 2 del d.P.R. 60/1975, che ha escluso dall'assoggettamento all'ILOR anche i redditi derivanti dalla locazione di immobili strumentali di propriet� degli enti pubblici esercenti un'attivit� commerciale) e non �, dunque, generalizzabile, anche se, in relazione alla particolarit� del caso deciso, pienamente giustificata. � comunemente ammessa, infatti, la possibilit� di disposizioni � integrative e correttive � non innovative. E proprio in riferimento al decreto n. 688, la stessa Amministrazione Finanziaria ha riconosciuto (tra l'altro, con la circolare n. 3 del 30 gennaio 1975) che esso contiene un gruppo di norme pacificamente applicabili anche ai rapporti anteriori, in qua1I1to unicamente dirette a precisare meglio i presupposti di fatto del tributo. In questo gruppo, per�, non rielltrerebbe -secondo l'Amministrazione -l'art. 1 nella parte in cui sostituisce l'originario testo dell'art. 13 d.P.R. 643/1972, includendo tra le spese detraibili anche quelle relative ad oneri di urbanizzazione, ancorch� non eseguite alla data del trasferimento. La tesi non pu� essere condivisa. Conviene premettere, in primo luogo, che la norma sostitutiva non � necessariamente (per s� e senz'altro) iillilovativa, quanto al suo con tenuto precettivo, rispetto alla norma sostituita, potendo ben darsi che PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRmUTARIA la sostituzione si esaurisca in una riformulazione (per ragioni cli opportunit�) del precetto normativo che ne esprima pi� adeguatamente la portata, senza modificarne la sostanza. Di questa tecnica, anzi, il legislatore delegato si serve normalmente nei casi in cui avverte l'esigenza cli rimediare ad inadeguatezza espressiva delle proprie norme (senza, quindi, rimetterne in discussione l'efficacia nel tempo), non potendo egli fruire autonomamente, per la ragione gi� nota, dell'alternativa offerta dalla retroattivit� propria dell'interpretazione autentica. Con l'avvertenza, peraltro, che mentre quest'ultima, imponendo autoritativamente di intendere in un certo modo la norma interpretata si presta anche a modifioazioni del suo contenuto originario, siffatta eventualit� non � ipotizzabile nel caso cli semplice riformulazione del testo. Di conseguenza in questa seconda evenienza, una volta verificata l'identit� di contenuto precettivo tra vecchio e nuovo testo, la norma sostitutiva deve ritenersi applicabile anche ai rapporti anteriori non ancora definiti. Ora, codesta identit�, per quanto concerne ~l testo riformulato dalla norma in esame rispetto a quello sostituito, pu� essere facilmente di� mostrata, ove si rifletta che neppure nel decreto istitutivo dell'INVIM � dato rinvenire norme dalle quali si possa legittimamente indurre che le spese incrementative fossero (� olim �) detraibili solo se gi� effettuate all'atto del trasferimento. L'art. 11 (rimasto immutato) richiede, infatti, a questo fine, solo che esse siano � riferibili � al periodo da considerare per la determinazione dell'incremento del valore imponibile. Anche il vecchio testo della norma considerava, a sua volta, spese incrementative quelle �relative ad opere e utilit� esistenti alla data di determinazione del valore finale del bene�, annoverando tra le utilit� anche la liberazione di esso da servit�, oneri reali e altri vincoli. Con ogni evidenza, dunque, rilevante (anche nel disegno della legge istitutiva dell'imposta). non � il fatto che, alla data di determinazione del valore finale, le spese incrementative siano gi� state materialmente erogate, ma che, a tale data, esistano le corrispondenti opere o utilit�, ossia fattori (non necessariamente costituiti da opere gi� eseguite) che abbiano positivamente influito (accrescendolo) sul valore iniziale dell'immobile, depauperando l'alienante, che se ne sia accollato l'onere. Dal quale, quindi, il legislatore delegato non avrebbe potuto prescindere senza discostarsi, inammissibilmente, dalle direttive univoche contenute nell'art. 6 della legge di delegazione. Non si pu�, pertanto, fondatamente dubitare che tra i fattori incrementativi rientrassero, gi� prima della riformulazione della norma, le iniziative del proprietario volte ad avviare il processo di concretizzazione dell'attitudine edificatoria del suolo e formalizzate con la convenzione di urbanizzazione, la cui stipulazione, comportando per il promittente l'obbligo di eseguire le relative opere, 162 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO si traduce gi� in ragione di maggiore appetibilit� del bene (e, quindi, in aumento del valore finale), dovuta alla �utilit�� di cui la convenzione � portatrice e che il mercato apprezza, dandone per �scontata, alla stregua dell'id quod plerumque accidit, la effettiva esecuzione da parte dell'obbligato, pur se indipendentemente da questa. Il che spiega perch� il nuovo testo della norma de qua ha inteso esplicitare che, se egli non esegue, nei termini stabiliti, le opere di urbanizzazione programmate, deve versare l'imposta corrispondente alla (presupposta) maggiorazione del valore iniziale derivante dal fatto di essere state impegnativamente previ>ste e dovendo essere, perci�, comprese, allo stato di rappresentazione, fra le �utilit� esistenti�, anche nella legge istitutiva del tributo men7Jionate separatamente daHe opere eseguite e senza traccia di endiadi. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 17 luglio 1987, n. 6293 -Pres. Rossi Est. Vignale -P. M. Leo (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Laporta) c. Fallimento Bonomi Validio. Tributi erariali indiretti -Riscossione � Fallimento � Credito non defini� tivamente accertato � Insinuazione tardiva � Sospensione del proce dimento. (c.p.c., art. 295; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, art. 101). Quando venga domandata con domanda tardiva l'insinuazione al passivo del fallimento di un credito per imposte indirette non ancora definitivo, il giudice, che non ha giurisdizione per decidere la questione di merito, deve sospendere il procedimento a norma dell'art. 295 c.p.c. fino all'esito della controversia tributaria innanzi al giudice speciale (1). (omissis) Con l'unico motivo di ricorso, l'Amministrazione Finanziaria sostiene l'erroneit� della decisione nella parte in cui ipotizza che motivo d'inammissibilit� dell'insinuazione tardiva possa essere la circo (1) La sentenza, pur cassando una pronunzia che addirittura escludeva in radice l'insinuabilit� di crediti tributari non definitivi, ha, forse inavvertitamente, creato le premesse per un gravissimo vuoto nella riscossione dei tributi. :�. infatti evidente che se per i crediti il cui accertamento viene impugnato occorre attendere per l'ammissione l'esaurimento della controversia di imposta in tutte le sue fasi, l'Amministrazione rimarr� esclusa da tutte le ripartizioni dell'attivo. La sentenza sembra basare la sua motivazione principalmente sul punto che nell'insinuazione tardiva non sarebbe possibile l'ammissione con riserva. Ma non � su questo terreno che va posta la questione la cui soluzione sostan -�--��.. ,, .*-x ,, a . .w. . ru:::::. . . , , . X � n. . / � . X ml m,w.g-:w.::x;ww�� PARm I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 163 stanza che il credito era stato contestato non dal debitore prima dell'apertura del fallimento, ma dal curatore. L'Amministrazione ricorrente denuncia l'irrilevanza, ai fini predetti, della circostanza indicata, giacch� anche la contestazione originariamente proveniente dal debitore deve essere in ogni caso fatta propria dal curatore per aver peso nel giudizio fallimentare. Rileva, inoltre, che la disciplina del fallimento assicura. a tutti i creditori di concorrere alla formazione del passivo pur dopo la chiusura delle operazioni di verifica, senza alcuna limitazione per i crediti condizionati riguardo ai quali non dovrebbe sussistere ragione per negare l'operativit� della norma sugli accantonamenti. Quanto, poi, ai crediti contestati (che a quelli condi� zionati sono equiparabili), non dovrebbe costituire motivo d'inammis� sibilit� della domanda l'incertezza sull'esistenza e sull'ammontare dei crediti, essendo questa destinata ad essere superata proprio con la sentenza pronunciata a conclusione dello stesso giudizio di insinuazione tardiva. La soluzione non potrebbe essere diversa, sostiene, infine la ricorrente, nel caso che la contestazione riguardi un credito d'imposta, giacch�, se non si vogliono creare disparit� di trattamento in contrasto con i principi costituzionali, la circos,tanza che, per motivi di giurisdi� zione, l'accertamento del credito non sia possibile innanzi allo stesso tribunale fallimentare, dovrebbe portare soltanto alla conclusione che il credito debba essere ammesso con riserva oppure che il giudizio di amInissione debba essere sospeso fino alla definizione della controversia tributaria. Il ricorso � fondato. A norma dell'art. 101 della legge fallimentare, i creditori possono chiedere al giudice delegato l'ammissione di un credito al passivo anche dopo il decreto di esecutivit� dello stato passivo, fino a che non siano esaurite tutte le ripartizioni dell'attivo, ma, se il curatore ne contesta l'ammissione o il giudice lo ritiene infondato, deve procedersi all'istru-. zione della causa a norma dell'art. 175 e seguenti del codice di proce� dura civile. La disposizione, quindi, ai fini dell'ammissibilit� della domanda, non distingue affatto tra crediti gi� contestati dal debitore in ziale non pu� essere che uniforme, sia o meno tempestiva la insinuazione. Il credito tributario va allora, come � espressamente stabilito per le imposto;: dirette dall'art. 45 del d.P.R. n. 602/1972, ammesso con riserva. Non ha infatti alcuna giustificazione l'applicazione dell'art. 295 c.p.c. rispetto ad una procedura di natura esecutiva universale nella quale concorrono tutti i crediti, definitivi e non. In argomento cfir. ROSSI, L'ammissione nel passivo fallimentare dei crediti per imposte e sanzioni pecuniarie dopo la riforma tributaria, in Giur. Comm., 1984, I, 314. 12 RASSEGNA DEIL'AVVOCATURA DELLO STATO bonis a crediti fatti valere per la prima volta in sede fallimentare e in questa sede contestati, prevedendo soltanto che, nel caso di contestazione del curatore o di, valutazione negativa dal giudice, il credito venga ammesso subordinatamente al suo accertamento giudiziale. La norma, peraltro, non pone nessuna preclusione n� esclude l'ammissibilit� della domanda per nessuna categoria di crediti e tanto meno per i crediti in relazione ai quali gi� penda controversia innanzi alle commissioni tributarie. Nella decisione impugnata, richiamandosi alcune pronunce di questa Corte (le sentenze n. 1806 del 1974 e n. 117 del 1970), � stato affermato che in sede di insinuazione tardiva del credito, non essendo prevista l'ammissione � con riserva �, il giudice, di fronte alla contestazione del credito tributario, non potrebbe che escluderlo. La questione � gi� stata risolta dalle S.U. di questa Corte proprio nella sentenza n. 117 del 1970, richiamata nella decisione impugnata ed evidentemente non correttamente interpretata dal giudice di merito. Anche in quella decisione si affrontava il problema se fosse ammissibile la dichiarazione taroiva di un credito d'imposta in pendenza di un giudizio promosso dal curatore innanzi alle commissioni tributarie. Qui, la S.C., premesso che la richiesta tardiva di ammissione al passivo implica una domanda di accertamento del credito ed � volta ad acquisire, attraverso tale accertamento, il titolo idoneo per concorrere alla ripartizione dell'attivo, osserv� che, in tale ipotesi, se il tribunale fallimentare fosse tenuto a pronunciare immediatamente sulla richiesta � senza attendere..., in caso di questioni implicanti la giurisdizione esclusiva delle ... commissioni (tributarie), di avere la possibilit� di tener conto della loro definitiva decisione al riguarido, dovrebbe senz'altro respingere la richiesta di ammissione per la pura e semplice circostanza della pendenza di quel giudizio. Infatti, la richiesta non risulterebbe fondata su un titolo definitivo per la riscossione dell'imposta, in quanto il giudizio delle commissioni tributarie incide sulla formazione dell'atto di accertamento �. Viceversa -concluse la sentenza -in tal caso � l'esatto rimedio � la... sospensione del processo fino a che, essendo intervenuta una decisione definitiva in sede di commissioni tributarie sulle questioni formanti oggetto delle eccezioni di curatore, sia stata risolta la que stione... deHa quale il giudice ordinario... non poteva conoscere �. Ed invero, �l'art. 101 della legge fallimentare non impone affatto al giudice di decidere in ordine alla domanda ,di insinuazione tardiva im mediatamente e sulla base degli atti, ma, come si � gi� osservato, nel caso di contestazione del curatore o di valutazione negativa circa la fondatezza del credito, gli fa carico di procedere all'istruzione della PARTE I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRmUTARIK 165 causa per il relativo accertamento. Dal che si desume innanzitutto l'ammissibilit� della richiesta d'insinuazione e si trae poi l'ulteriore conseguenza che, non potendo tale ammissibilit� comportare una pronuncia di ammissione del credito con riserva in analogia con il disposto dell'art. 95 della legge fallimentare, la decisione sull'ammissione del credito in termini di esistenza, e di ammontare, resta subo11dinata all'esito del giudizio che va ad instaurarsi. E se <l'accertamento dello stesso, come nella specie, � precluso al tribunale fallimentare per motivi di ripartizione della giurisdizione, soccorre la disposizione di cui all'art. 295 cod. proc. civ., il quale prevede la sospensione necessaria del giudizio ordinario, quando debba essere preliminarmente risolta dal giudice am� ministrativo una controversia dalla quale dipende la decisione della causa. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 23 luglio 1987, n. 6426 � Pres. Scanzano � Est. Rossi � P. M. Virgilio (diff.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Laporta) c. Pluchinotta. Tributi in genere � Solidariet� tributaria . Decadenza dell'Amministra zione � Atto compiuto contro un solo obbligato � Effetto conserva� tivo verso gli altri � Si verifica. (e.e., art. 1310). Bench� la solidariet� tributaria sia regolata dai princ�pi di diritto comune, deve ritenersi applicabile anche alla decadenza il principio, stabilito per la prescrizione nell'art. 1310 e.e., che l'effetto dell'atto conservativo del diritto relativo alla prestazione oggettivamente unica si estende a tutti i condebitori anche se intimato ad uno soltanto di essi (1). (omissis) Con l'unico mezzo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 21 r.d.l. 7 agosto 1936 n. 1639, 34 r.d. 30 dicembre 1923 n. 3269 e 1310 cod. civ. per non avere la Commissione Centrale riconosciuto all'avviso di accertamento validamente notificato alla societ� venditrice dell'immobile l'effetto di impedire la decadenza dell'Ammini� strazione consentendole quindi la notifica dell'accertamento anche nei (1) La pronunzia, che ha qualche raro precedente (Cass. 16 giugno 19'75 n. 2408 in questa Rassegna, 1975, I, 888) apprezzabile per il suo sforzo di ricomporre l'unitaviet� dell'obbligazione, non supera tutte le difficolt�. Premesso che non pu� valere il richiamo agli artt. 102 e 331 c.p.c. (il litisconsorzio necessario non si concilia con la solidariet�) resta difficile stabilire quale realmente sia RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO confronti dei coobligati acquirenti dell'usufrutto pur dopo la scadem� del termine all'uopo stabilito. Il ricorso � fondato. La solidariet� in materia tributaria non assume una configurazione diversa da quella disciplinata dal codice civile in tema di obbligazioni solidali passive, con la conseguenza che, in mancanza di specifiche deroghe stabilite dalle leggi tributarie, la disciplina dettata dal codice civile in materia di obbligazione � direttamente applicabile. Sicch� deve escludersi che nelle obbligazioni tributarie solidali il Tapporto tributario sia unico e inscindibile e che tra. i condebitori solidali di imposta ricorra un rapporto di mutua rappresentanza sostanziale e processuale. E deve ritenersi correlativamente, stante la pluralit� dei rapporti obbligatori, anche se sorretti da una causa unica ed aventi identico contenuto, che fanno capo ai medesimi condebitori solidali di imposta, che l'accertamento notificato ad alcuni soltanto dei coobligati solidali, pur producendo i suoi effetti normali nei confronti dei soggetti ai quali la notificazione sia stata eseguita, non � invece opponibile agli altri e non � idoneo a far decorrere anche nei loro confronti i termini per l'esperimento dei rimedi giurisdizionali ed eventua1mente di quelli amministrativi previsti dall'ordinamento (ofr. sent. n. 1503/1974). Ma tali rilievi, utilizzati per la corretta impostazione della questione, non sono riso1utivi nella specie, che � caratterizzata dalla necessariet� della verifica degli effetti propri dell'avviso 'di accertamento nei ,rapporti tra l'amministrazione finanziaria e gli altri condebitori cui non sia stato notificato o sia stato invalidamente notificato. In materia processuale � principio fondamentale desumibile dagli artt. 102 e 331 c.p.c. (costituenti particolari applicazioni in tema di litisconsorzio necessario e di impugnazioni relative a cause inscindibili o dipendenti) che un atto validamente e tempestivamente compiuto nei confronti di uno o di alcuni dei soggetti di un rapporto giuridico soggettivamente complesso, � idoneo a produrre i suoi effetti tipici nonch� a preservare il diritto di impugnazione anche nei confronti delle altre parti. Nella disciplina dettata dal codice civile per le obbligazioni solidali manca invero una specifica disposizione che regoli gli effetti, rispetto l'effetto conservativo che si estende: se � lo stesso effetto di impedimento della decadenza il diritto rimarrebbe esercitabile verso il condebitore non intimato a tempo indefinito; se � un effetto simi1are alla interruzione � difficile conciliare l'interruzione con la decadenza e concepire una decadenza che ricomincia a decorrere dopo l'interruzione. l l I I ! I PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA agli altri condebitori, dell'atto impeditivo della decadenza compiuto dal creditore nei confronti di uno o di alcuni dei condebitori, solidali. Ma � prevista l'estensione degli effetti a tutti i condebitori, per gli atti meramente conseI'VatiV'i del diritto che riguardano oggettivamente la prestazione, la quale, nonostante la pluralit� dei vincoli, � unica per tutti i condebitori -come gli atti interruttivi della prescrizione (art. 1310, :;>rimo comma, cod. civ.). Questa regola pu� ritenersi applicabile anche all'atto impeditivo della decadenza, posto che, pur essendo diverso il fondamento di questo istituto rispetto a quello della prescrizione, � infatti innegabile che l'atto che impedisce la decadenza e l'atto interruttivo della prescrizione hanno in comune la funzfone di conservare il diritto senza incidere .direttamente su alcuna posizione soggettiva del soggetto passivo del rapporto. Sicch� entrambi debbono essere assoggettati, per quanto riguarda le obbligazioni solidali, alla medesima disciplina, la quale, anche se dettata espressamente con riferimento ahl'atto interruttivo della prescrizione, esprime tuttavia, avuto riguardo al sistema nel quale si inserisce, una regola di portata pi� generale di quella risultante dalla sua formulazione letterale (cfr. sent. citata). � Appunto in base a tali considerazioni questa Corte ha affermato, con la citata sentenza n. 1503 del 1974, con la quale ha richiamato anche la precedente sentenza n. 2345 del 1970, che se la mancata conoscenza dell'accertamento, da parte del condebitore solidale di imposta, a causa della mancanza o della invalidit� della notificazione, impedisce il verificarsi di effetti che possono incidere direttamente nella sfera delle sue situazioni giuridiche soggettive; o comportare la decorrenza di un termine di scadenza, entro il quale egli abbia l'onere di compiere una determinata attivit� per evitare la perdita di un diritto o cli altra posizione soggettiva giuridicamente tutelata, tuttavia, l'accertamento notificato ad uno, o ad alcuni degli altri condebitori solidali, -in quanto atto di esercizio, da parte dell'amministrazione finanziaria, del diritto al pagamento dell'imposta, umica quanto a contenuto della prestazione e quanto a presupposto nei confronti di tutti i soggetti che, hanno concorso alla realizzazione del presupposto stesso, sono perci� solidamente coobligati a tale pagamento -non pu� -data la unitariet� degli elementi di cui gi� detto -non riflettersi automaticamente e necessariamente sulle posizioni di tutti i condebitori solidali, determinando nei confronti di quelli di essi cu~ non sia stato (o non sia stato validamente) notificato, l'effetto conservativo di impedire la decadenza dell'amministrazione finanziaria del diritto all'accertamento, nonostante che quest'ultimo sia notificato o nuovamente notificato nei loro confronti dopo la scadenza del termine all'uopo stabilito. (omissis) 168 RASSEGNA DELL'il.VVOCATURA DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 24 luglio 1987, n. 6436 -Pres. Bologna � Est. Corda -P. M. Zema (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Palatiello) c. ISVEIMER (avv. Corapi). Tributi locali -INVIM -Espropriazione immobiliare � Decreto di trasfe rimento � Obbligo del Cancelliere di presentare la dichiarazione e pa gare il tributo -Ricomprensione della imposta nelle spese di giustizia � Esclusione. (e.e., art. 2780). Bench� il credito per INVIM sia indiscutibilmente privilegiato e bench� fra le spese di giustizia possono ricomprendersi anche quelle sorte dopo il pignoramento o in occasione del trasferimento e non necessariamente anticipate dal procedente, tuttavia detto credito nell'ordine dei privilegi dell'art. 2780 figura al quinto posto e quindi in posizione dissociata dalle spese di giustizia che sono per necessit� al primo posto; ci� esclude che l'INVIM sia da ricomprendere fra le spese di giustizia (1). (omissis) 1. -Col primo motivo ~deD1Unciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 2770 e 2777 cod. civile, 90 e 95 cod. proc. civile e 38 e 39 disp. att. cod. proc. civ.) la ricorrente Amministrazione finanziaria censura la sentenza nei punti in cui, per negare che nell'ambito di una procedura esecutiva immobiliare possa essere ricompreso fra le �spese di giustizia� il credito per l'INVIM, ha affermato che spese di giustizia sono soltanto quelle anticipate dal creditore siccome indispensabili per portare a termine la procedura esecutiva: non, quindi, anche il credito della Finanza che non grava sul prezzo di acquisto dell'immobile sottoposto a esecuzione e che, per di pi�, sorge � dopo il pignoramento "� La ricorrente sottopone a critica ciascuno degli argomenti addotti dai giudici di appello come sar� pi� avanti analiticament� esposto. (1) La sentenza ha chiaramente eluso il pi� complesso problema del pagamento dell'INVIM quando il trasferimento avviene nel corso dell'espropriazione immobiliare. Il d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643, in parallelo con il coevo d.P.R. n. 634 sull'imposta di registro, dopo aver in via generale riaffermato che i notai e gli altri pubblici ufficiali sono obbligati al pagamento dell'imposta (art. 3) stabilisce, sempre richiamando il d.P.R. sul registro, che i notai e gli altri pubblici ufficiali debbano 11ichiedere e produrre la dichiarazione per tutti gli atti stipulati con il loro ministero (art. 18) e sono soggetti alle sanzioni in caso di inosservanza (art. 23). Ci� � particolarmente rilevante per l'INVIM, che � sempre a: carico del venditore e sarebbe difficilmente rdscuotibile dopo il trasferimento. A fronte di ci� non sembra aver rilevanza il fatto che l'INVIM � collocata al quinto posto nell'ordine dei privilegi dell'art. 2780 e non ha nessun rilievo PARTil I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 169 Col secondo motivo (denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 5, 18, 19 e 31 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 634 e 10 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634) la ricorrente critica la sentenza impugnata per non avere tenuto nel debito conto il dato normativo ai sensi del quale deve ritenersi sussistente l'obbligo del cancelliere del giudice dell'esecuzione di ricevere e presentare la dich~arazione ai fini dell'INVIM, e di pagare H tributo. 2. -Il problema che la Corte � chiamata a risolvere � se il credito della Finanza per l'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili (IN.V.IM.), sorto nell'ambito di una procedura esecutiva immobiliare, debba essere considerato � credito per spese di giustizia �, ai sensi dell'art. 2777 stesso codice. ~ pacifico tra le parti (n� potrebbe essere diversamente) che il credito per l'IN.V.IM. � un credito privilegiato. Lo stabiliscono espressamente, del resto, gli artt. 2780 cod. civ. e 28 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643 (nell'attuale formulazione) e ne d� atto la sentenza impugnata. Il solo problema, quindi, � quello della collocazione del privilegio, giacch� la Finanza ha preteso e pretende la pi� favorevole delle collocazioni, cio� queilla che il codice riserva alle spese di giustizia. 3. -Una tale collocazione � stata giustamente esclusa dalla sentenza impugnata, anche se gli argomenti addotti non appaiono puntuali. La sentenza, invero, ha fatto leva sulle seguenti considerazioni: 1) le spese di� giustizia sono quelle indispensabili ai fini della concreta realizzazione della pretesa creditoria, mentre l'IN.V.IM. rappresenta solo un credito che sorge � in occasione � del trasferimento coattivo dell'immobile oggetto della procedura esecutiva; 2) le spese di giustizia considerate negli articoli 2770 e 2777 cod. civ. sono quelle "<anticipate� dal creditore, mentre l'IN.V.IM. non costituisce anticipazione; 3) il credito per IN.V.IM. segue l'immobile ma �non grava sul prezzo realizzato per la questione se il credito relativo rientri o meno fra le spese di giustizia. Anche le imposte di bollo e di registro hanno un privilegio che non � quello delle spese di giustizia, ma ci� non esclude che sul decreto di trasferimento queste imposte wm.no assolte dntegr~lmente. Al contrario � diffdcilmente pen1sabile che il credito per INVIM, che sorge con il trasferimento, possa concorrere nella distribuzione del prezzo ricavato per essere o no soddisfatto a seconda del grado di privilegio degli altri crediti. Ma se si nega che il cancelliere abbia l'obbligo di provvedere al pagamento dell'imposta, in quanto non rientrante fra le spese di giustizia, il credito non soddisfatto conserva il suo privilegio speciale con diritto di seguito con il che l'acquirente all'incanto, che non ha potuto cautelarsi preventivamente trattenendo una parte del prezzo, finisce con l'essere il contribuente inciso, non ostante li divieto dcll'ar�t. 27, che non pu� esercitare la rivalsa. 170 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO effetto del trasferimento� (ch�, ritenendo diversamente, si finirebbe per porre l'imposta a carico dell'acquirente, mentre la stessa deve, per definizione, gravare sul venditore). La sentenza, inoltre (e in parte contraddicendosi), ha dichiarato di condividere tutte le argomentazioni svolte dai primi giudici per negare validit� alla tesi esposta da:lla Finanza.� E fra tali argomentazioni vi � anche quella secondo cui non dovrebbe neppure tenersi conto -in base al disposto dell'art. 2916, n. 3, cod. civ. -del privilegio di cui al citato art. 28 del d.P.R. n. 643, del 1972, perch� relativo a un credito � S?rto dopo il pignoramento �. Questi argomenti per� (come si � accennato), non sono idonei a dimostrare le tesi. Non il primo, perch� anche le spese sorte � in occasione " della vendita forzata ben possono rientrare nella previsione dell'art. 2770 cod. civile. Ne sono esempio tipico le imposte di registro e bollo, i � diritti � spettanti agli ufficiali giudiziari e ai cancellieri, le retribuzioni dei custodi, periti, ecc. Non il secondo, perch� non solo le � anticipazioni " ma tutte le prestazioni che concorrono a trasformare in denaro il bene oggetto di esecu:i_:ione forzata possono costituire � spese di giustizia �. Non il terzo, perch� la garanzia sull'immobile (art. 28 del citato d.P.R. n. 643 del 1972) � prevista -come sar� pi� avanti chiarito -per l'ipotesi che la Finanza non riesca a realizzare il p.roprio credito sul prezzo di vendita. Non, infine, il quarto (quello addotto dai primi giudici), perch� l'assunto � smentito dal disposto dell'art. 2780 cod. civile, ai sensi del quale il credito per l'IN.V.IM. d� luogo a prelazione sltl prezzo dell'immobile sottoposto a vendita forzata. 4. -Dagli esposti rilievi sembrerebbe, allora, risultare che H credito per l'IN.V.IM. � assistito dal poziore dei privilegi, ai sensi dell'art. 2777 cod. civile. Tale, infatti, dovrebbe essere la logica conclusione del ragionamento giuridico fin qui seguito, se non intervenisse, in con-. trarlo, un fattore di natura normativa che n� le parti n� i giudici di merito sembrano avere adeguatamente considerato, ossia il disposto del citato art. 2780 cod. civile. I! Detta �norma disciplina l'ordine dei privilegi, ossia delle prelazioni sul prezzo degli immobili sottoposti a esecuzione forzata; e (nel testo ! I introdotto dall'art. 13 della legge 29 luglio 1975 n. 426) colloca al quinto l ~ posto � i crediti per l'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili�. n chiaro allora che, se le spese d� giiustizia si collocano per defin'i ' i zione {rectius: per espressa volont� di [egge) al primo posto in assoluto, I ! I I PARTE I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRmUTARIA il disposto della norma ora all'esame vale, da solo, a demolire ogni argomento tendente a dimostrare che il credito in parola debba essere ricompreso fra le spese di giustizia. Sarebbe, pera:ltro, un voler escludere la voluntas legis il ritenere che la collocazione al quinto posto avrebbe riguardo a eventuali, precedenti crediti della Finanza per imposta IN.V.IM. gravante sul medesimo immobile e che l'imposta relativa alla vendita forzata troverebbe, invece, collocazione in base al disposto degli articoli 2770 e 2777: nessun elemento infatti induce ad escludere che il legislatore, dettando l'art. 2780, abbia inteso riferirsi proprio all'imposta attinente alla differenza tra il valore � iniziale � dell'immobile e quello � finale � rappresentato dal prezzo della vendita forzata. Sencondo i princ�pi, in definitiva, l'IN.V.IM. avrebbe potuto essere ricompresa tra le spese di giustizia; ma il le~islatore chiaramente ha voluto escluderlo, per ragioni che in questa sede non devono essere ricercate. 5. -In conclusione, quindi deve affeirmarsi che il credito in questione � bens� privilegiato, ma non pu� essere ricompreso tra le � spese di giustizia �. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 settembre 1987, n. 7311 -Pres. Scanzano -Est. Tilocca -P. M. Grossi (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato De Stefano) c. Storelli (avv. Ciccotti). Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Plusva� lenza � Terreni di pi� soci dati in gestione a societ� di capitali � Cessione da parte dei soci � Intento di speculazione presunto � Esclu� sio ne. (t.u. 29 gennaio 1958 n. 645, artt. 81, 100 e 106). Nel caso che pi� proprietari che abbiano conferito ad una societ� di capitali, di cui sono i soci esclusivi, il diritto personale di godimento di beni immobili ed abbiano successivamente rivenduto unitariamente gli stessi beni, non pu� configurarsi un'ipotesi di intento di speculazione presunta n� ex art. 106, come riferibile alla societ� perch� i beni non appartengono ad essa, n� ex art. 100 come riferibile ad una societ� di fatto costituita tra i proprietari per valorizzare i beni perch� questa sarebbe una societ� semplice neppure proprietaria dei beni; eventualmente l'ac.;_ cardo fra pi� proprietari per lo sfruttamento in comune di beni contigui RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 172 attraverso il conferimento in godimento alla societ� possono essere elementi che possono essere valorizzati per dimostrare un positivo intento di speculazione ex art. 81. (1) (omissis) L'Amministrazione ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 100 comma I, d.P.R. n. 645 del 1958, artt. 112 e 345 c.p.c. e 81, comma 2 del detto d.P.R. nonch� insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia. Essa, in particolare sostiene � che i beni oggetto della vendita, costituenti nel loro complesso un'azienda, fossero di propriet� dei soci e solo fossero stati gestiti dalla societ� di capitali, non escludeva la possibilit� di considerare esistente_ fra le persone dei soci una distinta societ� di fatto, costitU!�tas[ con 1a messa in comune dei beni e per l'esercizio di una corrispondente attivit� imprenditoriale'" L'aver omesso di considerare ci� d� luogo ai denunziati vizi di motivazione e falsa applicazione del suindicato art. 100. � La circostanza, poi, che a base dell'accertamento l'Ufficio ave,sse posto l'art. 100 T.U. non avrebbe impedito di ricavarne fa medesima situazione di fatto a diversa fattispecie legale, non avrebbe cio� impedito di cons~derare verificato il presupposto di imposta in base alla diversa norma dell'art. 81 c.p.c. una volta che restavano inalterati tutti gli estremi della fattispecie�, cos� come allegato dall'Ufficio con il secondo motivo di appello, non esaminato dalla Commissione centrale la quale, in tal modo, � incorsa nella violazione degli artt. 112 e 345 e dell'art. 81 T.U. n. 645 del 1958 nonch� nel vizio della controversia. Il ricorso va accettato nei limiti che risulteranno dalle seguenti motivazioni. Il T.U. (sulle imposte dirette) n. 645 del 1958, sotto la cui vigenza si verific� la fattispecie in esame, disponeva (art. 81, c.p.c.; 100, comma I, 106) che concorrevano a formare il reddito imponibile ai fini dell'imposta di (1) Un ennesimo costrutto architettato per eludere Ja tassazione della plusvalenza non pienamente apprezzato nella decisione in esame. t; vero che il conferimento del diritto personale di godimento non attribuisce la propriet� alla societ�, ma � anche vero che nel caso la plusvalenza era riferita alla cessione di aZJienda, comprensiva dell'avviamento, azienda che si era creata dopo il conferimento ad opera della societ� alla quale erano stati conferiti soltanto terreni; la societ� era quindi proprietaria dell'azienda anche se solo detentrice dei terrood. Ma di pi� lascia perples1si la seconda pavte del dli!scorso, ove, senza negare la possibilit� che i proprietari dei beni avessero costituito una societ� di fatto al di sotto della societ� di capitali, qualifica senz'altro questa con1c una societ� semplice cui non � riferibile l'art. 100. Non si vede in base a quale criterio si � ritenuto che riunire in unico plesso pi� terreni allo scopo di attivare su di essi una azienda commerciale per il tramite di una societ� di gestione alla quale si conferiscono altre risorse PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 173 R.M. le plusvalenze, stabilendo al riguardo una diversa disciplina secondo . che il soggetto passivo fosse stato imprenditore o meno e, quindi, secondo che si fosse trattato di imprenditori individuali e di societ� (costituite, cio�, in uno degli !Schemi indicati dall'art. 2200 e.e.) e, poi, di 'Societ� non tassabile in base a bilancio oppure di societ� (o persona giuridica) tassabile in base a bilancio per legge (art. 8, comma 3, 2106, comma I) o per opzione (artt. 104 e 106 comma 2). Per �i non imprenditori" le plusvalenze erano computabili solo se effettivamente realizzate e conseguenti ad operazioni poste in essere con un preciso e provato intento speculativo (art. 81, c.p.c.), mentre iper .tutti gli imprenditori (individuali o collettivi) si prescindeva dall'accertamento della sussistenza dell'intento speculativo (artt. 100 e 106) (nonch�, per le sole societ�, pall'effettivo conseguimento delle plusvalenze essendo sufficiente che queste fossero state distribuite ai soci o addirittura fossero state solo iscritte in bilancio: art. 100, comma 2, p. II; art. 106, comma 1). lii fatto che per gli imprenditori l'art. 100 non richiedeva la prova dell'esistenza dell'intento speculativo, si spiegava con il rilievo che un siffatto intento non potesse non caratterizzare le operazioni effettuate dai predetti soggetti, dediti, per professione abituale, a conseguire dei profitti. Nei confironti degli imprenditori la suddetta norma prevedeva, pertanto, quanto aM'esiistenza dell'intento speculativo, una presul1Zione iuris et de iure, la quale, per gli imprenditori individuali, operava limitatamente al realizzo di beni relativi all'impresa, mentre per la societ� riguardava la vendita di qualsiasi bene ad essi appartenente, anche se cio�, non � relativo alil'impresa �. Ora deve essere senz'altro cOIJ1divisa l'affermazione delfa decisione impugnata secondo la quale non pu� trovare nella specie applicazione la predetta presunzione. Gli immobili oggetto dell'atto di vendita di notaio Accolla, erano, prima della conclusione di tale atto, utilizzati s� nell'eser per la creazione dell'azienda, il tutto con �1a prospettiva di realizzare profitti sia con la conduzione dell'azienda sia a suo tempo con la cessione, sarebbe l'oggetto di una attivit� diversa da quella commerciale. Ci� � d'altra parte in contrasto con l'ultima parte della sentenza nella quale si afferma che questi stessi elementi possono dare la dimostrazione di un intento di speculazione. Altre volte la giurisprudenza ha preso in considerazione situazioni assai meno rilevanti e durevoli come la vendita concentrata di azioni attraverso l'accordo di pi� possessori (Cass. 19 gennaio 1984 n. 457 in questa Rassegna, 1984, I, 341) o la costruzione di un edificio in comune (18 dicembre 1984 n. 6622, ivi, 1985, I, 314) ed anche nel caso che l'attivit� commerciale sia consistita nella gestione di un unico affare (31 maggio 1986 n. 3690, ivi, 1986, I, 300). Ancor meno si pu� condividere l'affermazione che la societ� non sarebbe proprietaria dei beni perch� ad essa non risultano confeJJiti con atto scritto ad sustantiam: ci� equivale a dire che la societ� di fatto � sempre irrilevante. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO cizio di un'attivit� imprenditoriale, ma questa non veniva esercitata dai loro proprietari -Storelli, Bertossi e Ascanio -, bens� dalla S.r.l. Secomar (avente perci� personalit� giuridica), di cui essi erano (i tre unici) soci. Questi avevano conferito alla societ� il diritto personale di godimento su quegli immobili, che pertanto erano rimasti in propriet� dei soci. Avendo come si � detto, la soc. Secomar personalit� giuridica, l'impresa dalla medesima esercitata non pu� imputarsi sotto alcun profilo, ai soci, non ammissibile, cio�, una qualsiasi confusione fra la qualifica di imprenditore di pertinenza esclusiva della Secomar e quella di proprietario degli immobili, rimasta in capo ai singoli soci. L'art. 100, dopo aver disposto che � concorrono a formare il reddito impon[bile, compreso l'avviamento, derivante dal realizzo dei beni relativi alla impresa... '" precisa che �.nei confronti della societ� indicata dall'art. 2200 del codice civile si considerano relativi all'impresa tutti i beni ad essi appartenenti. .. �, g evidente che la norma trascritta richiedeva come presupposto necessario per la sua applicabilit� e, quindi, per l'operativit� della presunzione (iuris et de iure), da essa .prevista, defila sussistenza de'l disegno speculativo che il bene, dal cui realizzo fosse derivata una plusvalenza, fosse � appartenuto � all'imprenditore nella cui impresa esso era stato impiegato effettivamente o presuntivamente. Richiedeva, cio�, che fosse stato lo stesso imprenditore a conseguire la plusvalenza dal realizzo del bene impiegato gi� nella sua impresa, che egli ne fosse stato anche il proprietario ed il venditore. Nella specie gli immobili, non essendo mai entrati nel patrimonio della soc. Secomar, nella cui impresa erano utilizzati, vennero venduti dai loro rispettivi proprietari (Storelli, Bertosisi e Ascanio) facendo propria direttamente ed immediatamente l'eventuale plusvalenza derivatane. Questa pu� essere tassata nei loro confronti e in relazione ai singoli beni di cui ciascuno di essi era proprietario solo se ne � provato, in base all'art. 81, comma II, l'intento speculativo. L'applicazione della presunzione di cui all'art. 100 viene reclamata dall'Amministrazione ricorrente sotto un ultimo profilo. Al riguardo osserva l'Amministrazione nel ricorso (P. 8), riprendendo riferimenti accennati nell'avviso di accertamento e negli atti difensionali da essa svolti davanti le Commissioni che � la circostanza che i beni oggetto della vendita, che nel loro complesso costituivano un'azienda, fossero di propriet� dei soci e solo .fossero gestiti dalle societ� di capitali che ad essi facevano capo, non escludeva la possibilit� di considerare esistente tra le persone dei soci una distinta societ� di fatto costituitasi con la messa in comune dei beni e fa loro trasformazione in opificio industriale �, � In conclusione �, sostiene lAmministrazione, �avrebbe dovuto ricercarsi� (dalla Commissione centrale) �se la societ� di fatto tra i soci non era titolare di una distinta impresa colle PARm I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA gata a quella fondamentale imputabile alla societ� di capitali e tale da qualificare la vendita dell'azienda come realizzo di beni relativi all'impresa �. Sennonch� una societ� di fatto, come quella ipotizzata dall'Amministrazione, avente cio� per oggetto sociale � la messa in comune di beni � dei soci della soc. Secomar e � la loro trasformazione in opificio industriale, ossia la costituzione e l'affidamento in gestione di uno stabilimento industriale �, si quaiificherebbe come societ� semplice e non come societ� commeroia:le, non isi includerebbe perci�, fra quelle indicate dall'art. 2200 e.e. le sole �richiamate dal citato art. 100, con la conseguenza che sarebbe applicabile la norma dell'art. 81 c.p.c., e n0111 opererebbe, pertanto la presunzione sull'esistenza dell'intento speculativo. Inoltre va osservato, come ha gi� rilevato la Commissione centrale, che, ammesso che fosse stata effettivamente costituita la � pr�sunta societ� di fatto �, non potrebbe ritenersi che la propriet� degli immobili trasferiti alla soc. � !tal-Solai � fosse stata acquisita in precedenza dalla detta societ� di fatto, �in mancanza di qualsiasi atto di trasferimento o di conferimento � � nella medesima parte di StOTeHi, Bertossi ed Ascanio. Peraltro siffatti atti di conferimento non possono n� presumersi n� desumersi da comportamenti concludenti, giac�h� per il loro oggetto (propriet� immobiliare) avrebbero dovuto investire ad substantiam, ai sensi degli artt. 1350, 2251 e 2293 e.e.; la fOTma scritta (Cass. sent. n. 6266 del 1980). Di conseguenza, a proposito della ipotizzata societ� di fatto possono ripetersi le stesse osservazioni svolte con riguardo alla soc. Secomar: ancorch� Ja societ� di fatto avesse utilizzato gli immobili in parola nell'ese.r� cizio di una sua attivit� imprenditoriale, le eventuali plusvalenze derivate dalla loro vendita alla soc. �!tal-Solai� sarebbero state ugualmente lasciate in modo diretto ed immediato, da Bertossi, Storelli ed Ascanio, che, in quanto non imprenditori, sono�soggetti alla disciplina dell'art. 81 c.p.c. Va precisato che la societ� di fatto, come tale priva di personalit� giuridica, al pari di tutte le altre societ� organizzate su base personale, costituisce pur sempre una collettivit� unificata, un gruppo sociale distilllto dalle persone dei soci, per cui l'attivit� imIJTenditoriale che viene esplicata � attivit� del gruppo e a questo e soltanto a questo (e non ai singoli soci) ineris�ce la qualifica di imprenditore con il conseguenziale complesso dei diritti e degli obblighi connessi alla predetta attivit�. Poteri e diritti competono ai soci, sia nell'ambito dei rapporti interni che nei confronti dei terzi non per� uti singoli ma uti soci, ossia come componenti del gruppo (art. 2266, comma I, e.e.) e difatti la loro responsabilit� � sussidiaria (art. 2267, 2268 e 2304 e.e.) rispetto a quella diretta della societ� e se il patrimonio sociale costituito dai conferimenti aventi la forma RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 176 giuridica di una comunione fra tutti i soci (e ciascun socio anche riguardo ai beni da lui conrferiti), su di esso tuttavia viene a gravare un onere di destinazione all'esercizio deH'attiwt� sociale con effetti vincolanti per i terzi e per i soci medesimi (il cd. fenomeno dell'autonomia patrimoniale). Pertanto Storelli, Bertossi ed Ascanio, pur se soci di una societ� di fatto distinta dalla soc. Secomar non potrebbero essere considerati imprenditori ed assoggettati alila presunzione di cui all'art. 100. La decisione impugnata va censurata, invece, per non aver esaminato una volta esclusa l'applicabilit� di tale norma, se le eventuali plusvalenze non fossero computabili, invece, in bene all'arit. 81, comma 2, tanto pi� che essa ha sicuramente avvertito fa rilevanza della questione scrivendo che �in mancanza di qualsiasi atto di trasferimento o di conferimento I fj in societ� la plusvalenza conseguente alla vendita dell'immobile era tassabile in capo ai rispettivi soci in relazione all'art. 81 e non all'art. 100 T.U. n. 645 (p. n.). La Commissione centrale avrebbe dovuto valutare, prendendo in considerazione uno specifico motivo d'impugnazione proposto dall'Amministrazione davanti la Commissione di secondo grado e richiamato nella memoria presentata davanti ad essa, se l'accertamento risulti effettuato sostanzialmente nei confronti di Storelli, Bertossi ed Ascanio anzich� dell'ipotizzata societ� di fatto e se nell'accertamento stesso si parli di societ� di fatto impropriamente ed erroneamente sul piano giuridico, per indicare, cio�, l'accordo, che si integra in quello pi� ampio diretto a costituire le soc. Secomar, di conferire in tale societ� il godimento dei loro contigui appezzamenti di terreni e l'intesa fra di essi di collegare in rapporto di reciproca interoipendenza i contratti di vendita che essi si apprestavano a concludere, ciascuno per i fondi di sua propriet� individuale, con la soc. �!tal-Solai�. Una volta che la Commissione centrale avesse acquisito che l'accertamento era stato svolto nei confronti di Storelli, Bertossi ed Ascanio e che i riferimenti in esso contenuti alla soc. di fatto erano impropri, generici ed inesatti, avrebbe dovuto ovviamente accertare, ai sensi deill'art. 81, comma 2, T.U. n. 645 del 1958, se i predetti avessero conseguito dalla vendita plusvalenze e con un preciso e specifico intento speculativo. Non avendo svolto siffatti accertamenti, la Commissione centrale � incorsa nella violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c. oltre che nel vizio di omessa moth~azione, dato che, come si � detto, l'Amministrazione nell'atto di appello (davanti la Commissione di 2 grado) aveva formulato uno specifico motivo, poi richiamato nella memoria del giudizio di terzo grado, basato proprio sulla tassabilit�, ai sensi dell'art. 81, comma Il, della plusvalenza conseguita da ciascuno dei tre proprietari in occasione della conclusione dell'atto di vendita di notaio Accolta. (omissis) PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 171 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 settembre 1987 n. 7312 -Pres. Vela� Est. Caturani -P. M. Lo Cascio (diff.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Braguglia) c. Gombi. Tributi erariali indiretti -Imposte di fabbricazione -Gas metano -Rap porto di rivalsa tra fornitore e consumatore -Non ha natura tribu taria -Controversia sulla dovutezza del tributo � Estraneit� dell'Am� ministrazione. (d.!. 7-2-1987 n. 15, art. 10):. Poich� nell'imposta di fabbricazione del metano soggetto passivo � soltanto il fornitore e il rapporto di rivalsa tra questo e il consumatore si svolge nell'ambito di un fenomeno puramente economico, quando il consumatore fa valere contro il fornitore l'azione di ripetizione di parte. I del prezzo assumendo che la fornitura sia esente da imposta, propone una controversia ordinaria �alla quale l'Amministrazione � estranea (1). (omissis) Con il primo motivo, denunziando anche difetto di motivazione, l'Amministrazione ricorrente si duole che la Corte d'appello, pur avendo confermato la statuizione del tribunale che aveva dichiarato il suo difetto di legittimazione passiva rispetto alla domanda di rimborso dell'utente, ha ritenuto che l'accertamento della illegittimit� della pretesa !ributaria (quale presupposto della domanda di rimborso) andava operato anche nei confronti della Finanza. Si afferma infatti che la suddetta affermazione non ha tenuto presente la .diversit� di presupposti tra rapporto d'imposta e rapporto di rivalsa, onde il presente giudizio, inerente esclusivamente al rapporto di rivalsa fornitore-utente del gas metano, non � affatto comune all'Amministrazione. La censura � fondata. Ai sensi dell'art. 10 d.l. 7 febbraio 1977 n. 15 convertito in I. 7 aprile 1977 n. 102, il gas metano usato come combt11stibfile per impieghi diversi da quelli delle imprese industriali ed artigiane � assoggettato ad imposta di consumo nella misura di lire 30 al metro cubo. L'imposta � dovuta dai soggetti che forniscono direttamente il prodotto ai consumatori. Dalla formulazione del precetto normativo risulta che il soggetto passivo della imposta di consumo sul gas metano � il fornitore del prodotto e non il consumatore al quale il corrispondente onere viene traslato in virt� e nello ambito di un fenomeno meramente economico. Quindi, il rapporto tributario inerente al pagamento dell'imposta si svolge esclusiva (1) Decisione da condividere pienamente RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 178 mente tra l'Amministrazione finanziaria ed i soggetti che forniscono Q.irettamente il gas metano ai consumatori, onde ad esso � del tutto estraneo l'utente (cfr. per il principio generale la sentenza di questa Corte n. 1696 del 1987). Ne consegue che, quando il consumatore fa valere nei confronti del fornitore -che ha compreso nel prezzo di vendita del prodotto anche l'mposta di consumo pagata allo Stato ex art. .10 cit. -l'azione di ripetizione. della parte di prezzo corrispondente al suddetto tributo, ritenendo di essere esonerato dal relativo pagamento in forza della citata disposizione (in quanto cio� compreso tra le imprese artigiane o industriali), egli non esevcita un'azione tributaria di rimborso, ma richiede, nel rapporto con l'altro contraente, la restituzione tli una parte del prezzo indebitamente corrisposta, �poich�, secondo legge, non avrebbe potuto essere compresa nel prezzo medesimo. Nel caso di specie, non si discute pi� tra le parti: a) del diritto della utente ditta Gombi, qU131le impresa oo-tigiaina, ad ottenere nei confronti delle Terme di Salsomaggiore il rimborso della parte di prezzo della fornitura del gas metano, corrispondente alla imposta di consumo non dovuta, ai sensi delfart. 10, d.l. 15/77. Il relativo capo di pronunzia della Corte di appello di Bologna non � stato infatti impugnato dalle Terme e quindi � passato in cosa giudicata: b) della mancata proposizione da parte delle Terme dell'azione di rimborso nei confronti dell'Amministrazione finanziaria riflettante la suddetta imposta; quindi, il giudizio di merito ha avuto per oggetto esclusivamente il rapporto contrattuale: ditta Gombi-Terme e non anche ii rapporto giuridico d'imposta Terme-Finanze. Il thema decidendum risiede, pertanto, nello stabilire se sia esatta l'affermazione della Corte d'appello secondo cui, l'indagine sulla fondatezza della domanda di rimborso proposta dalla utente ditta Gombi nei confronti della societ� fornitrice del gas metano, Terme di Salsomaggiore, presuppone necessariamente l'accertamento deHa illegittimit� della pretesa fiscale nei confronti dell'Amministrazione finanziaria titolare di un interesse contrapposto a quello dell'istante. Questa parte della sentenza impugnata implica necessariamente, anche se non espressamente formulato nel dispositivo, un autonomo capo di pronuncia, riflettente l'accertamento della illegittimit� della pretesa fi. scale nei confronti dell'Amministrazione finanziaria che quest'ultima ha interesse ad impugnare, potendo pregiudicare l'esito di un eventuale giudizio di rimborso che le Terme di Salsomaggiore volessero in futuro promuovere contro la medesima. Ora il suddetto capo di pronunzia non pu� ritenersi conforme al diritto per le seguenti considerazioni. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Esso non isolo contradd:iJce il pur riconosciuto difetto di legittimazione passiva dell'Ammi111istraziane fma111ziaria nei c()[lfronti de1l'utente, ma aanmette una interferenza tra i due mpporti giuridici: fornitoreAmministrazione finanziaria e fornitore-utente, che per legge invece non sussiste nel senso preteso dalla impugnata sentenza. Nel rapporto contrattuale fornitore-utente, infatti, la qualit� di impl'esa artigiana della utente ditta Gombi, esonerata in quanto tale dal pagamento dell'imposta, era sufficiente per giustificare inter partes la pronunzia di condanna della ditta fornitrice al rimborso della somma indebitamente riscossa. La relativa indagine non richiedeva alcun accertamento circa la legittimit� della pretesa tributaria ed, in definitiva, circa la ricorrenza dei presupposti che avrebbero potuto autorizzare l'esercizio vittorioso di una azione di rimborso delle Terme di Salsomaggiore nei confronti del!' Amministrazione finanziaria,. per il semplice motivo che tale azione come la Corte d'appello ha stabiJito con motivazione non impugnata in questa sede -non era stata proposta in giudizio.� N� il suddetto accertamento pu� ritenersi consentito rilevando, con la impugnata sentenza, che esso � stato compiuto incidenter tantum, poich� ci� conferma ancora una volta che la partecipazione al giudizio de�l'Amministrazione finanziaria non era affatto necessaria. N� potrebbe repl<icarsi con fondamento ponendo i111 evidenza un certo autonomismo circa la fo?datezza delle rispettive pretese di rimborso nei dlJe rappor~i giuridici, i quali invece sono caratterizzati da discipline del tutto diverse, come � dimostrato tra l'altro dall'art. 4 del d.m. 12 luglio 1977 (G. U. 30 luglio 1977 n. 208) il quale impone a:l fornitore (debitore d'imposta), e non ovviamente all'utente, dei doveri funzionali nell'ambito del rapporto tributario, quali l'obbligo di trasmettere l'elenco degli utenti i cui consumi di gas metano non sono stati assoggettati a tassazione con uniti i certifcati della Camera di commercio comprovanti l'iscrizione di detti utenti fra le imprese industriali ed artigiane; prevedendosi in mancanza di tali adempimenti, la soggezione del gas metano consumato dalle predette imprese, all'imposta. � quindi possibile -come correttamente rilevato dalla difesa dell'Amministrazione -che la domanda di rimborso del .fornitore d'imposta sia accolta nei confronti della Finanza, mentre la domanda dell'utente nei confronti del fornitore non possa trovare accoglimento per ragioni che sono esclusive del corrispondente rapporto giuridico, come pu� accadere il contrario. In realt�, deve quindi riconoscersi che la Corte d'appello, avendo ammesso una reciproca interferenza tra il rapporto contrattuale di fornitura del gas metano ed il rapporto tributario, che sono invece autonomi e distinti tra :loro, � caduta nel denunziato vizio di extrapetizione (art. 112 180 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO c.p.c.) allorch�, per giudicare sulla fondatezza della domanda di rimborso dell'utente nei confronti del fornitore del gas metano, ha esteso la propria indagine anche sulla legittimit� della pretesa fiscale nel distinto rapporto giuridico d'imposta: amministrazione delle finanze-fornitore, non sottoposto da nessuna delle parti al suo esame. (omissis) I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 5 ottobre 1987, n. 7423 -Pres. Marziano -Est. Rocchi -P. M. Paolucci (conf.). Soc. Stilmat c. Ministero delle Finanze (avv. Stato D'Amato). Tributi in genere -Contenzioso tributario -Ingiunzione -Opposizione � Giurisdizione delle Commissioni. Tributi in genere � Riscossione � Sospensione della esecuzione � Difetto di giurisdizione di ogni giudice. Nelle imposte elencate nell'art. 1 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 anche l'opposizione contro l'ingiunzione � devoluta alla giurisdizione delle Commissioni ed � sottratta a quella del giudice ordinario (1). , La sospensione cautelare dell'esecuzione fiscale, sia nelle imposte dirette che nelle indirette � sottratta alla giurisdizione di ogni giudice (2). II CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 5 ottobre 1987, n. 7424 -Pres. Marziano -Est. Rocchi -P. M. Paolucci (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Favara) c. Ginori. Tributi in genere � Riscossione � Sospensione � Ricorso al pretore ex art. 700 c.p.c. � Provvedimento decisorio di merito � Regolamento di giuri� sdizione � Inammissibilit�. Quando su ricorso ex art. 700 c.p.c. il Pretore abbia pronunciato un anomalo provvedimento avente sostanza di decisione di merito (nella specie dichiarazione di illegittimit� di procedimento di riscossione) il regolamento di giurisdizione � inammissibile (3). (1-4) Le sentenze danno una definitiva riconferma di posizioni ben note (da ultimo Cass. 20 gennaio 1987 n. 461, Fora lt., 1987, I, 1368 oltre a Corte Cost. 1� aprile 1982 n. 63 pi� volte confermata con ordinanze). Da segnalare nella pr,ima massima la motivazione appoggiata al richiamo che le norme sulle varie �".".�:-:-:-:-:-:-:�'.�Z".".�Z�Z".-:�Y�:� �.���:�.�z;�.�.�.�� �.���.� �.�.��.�.�.�.'.�.�.� �.�.�.� � ��.� ��.�.� ��.�.�.�.� � � �.� �.�� �.�.� �.�.� ��.� -.� �.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.��.�.�.� �.�.�.�.�.�.� ��.� �.� � � �.�.ᥥ.�.� � � � �.��.-�.� �.�.�.�.�.�.�.� �.�.�.-��� � ��� � � � �� � � � ��� ���� � � -� � � � --,--..--,-�--..--,--..--..----��..-r ---,.,,---..--.-.rr -.--.-.-.-�., -.r -.-,�;. -~ PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 181 III CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 5 ottobre 1987, n. 7425 -Pres. Marziano -Est. Rocchi -P. M. Paolucci (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Criscuoli) c. Soc. Fomgasolio. Tributi in genere � Riscossione -Sospensione � Ricorso ex art. 700 c.p.c. � Improponibilit�. Il ricorso al pretore ex art. 700 c.p.c. diretto ad ottenere la sospensione cautelare della riscossione delle imposte � improponibile sia perch� nessun giudice ha la potest� di pronunciarsi su detta sospensione sia perch� la tutela cautelare � sempre esclusa nelle controversie non rientranti nella giurisdizione dell'A.G.O. (4). I (omissis) Con il �ricorso preventivo di giurisdizione, la societ� ricorrente sostiene che la giurisdizione, sia .in ordine alla opposizione all'ingiunzione fiscale, s:ia in ordine alfa richiesta di sospensfone cautelare dehla esecuzione intrapresa dall'amministrazione finanziaria, appartiene all'autorit� ordinaria, nel riflesso che oggetto della contestazione � il diritto del fisco a procedere esecutiva.mente. La tesi � infondata sotto entrambi i profili. Per quanto concerne, infatti, l'opposizione alla ingiunzione emessa dall'ufficio fiscale per la riscossione coattiva dell'imposta de qua, la giurisdizione compete alle commissioni tributarie di cui al d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 e non all'autorit� giudiziaria ordinaria. Assume carattere decisivo in tal senso la disposizione di cui all'art. 62, comma secondo, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 sulla istituzione e disciplina dell'I.V.A., secondo cui �se entro trenta giorni dalla notificazione dell'ingiunzione il contribuente non esegue il pagamento si procede alla riscossione coattiva secondo le disposizioni degli artt. da 5 a 29 e 31 del T.U. approvato con r.d. 14 aprile 1910, n. 639 �, imposte indirette fanno agli artt. da 5 a 29 del T.U. 14 aprile 1910 n. 639 e non all'intero T.U. Qualche preoccupazione desta la terza massima sul piano operativo perch� non � dato sapere anteriormente quale potr� essere il provvedimento del Pre� tore, e d'altra parte anticipare la proposizione del regolamento non impedi.>ce (o non sempre !impedisce) che il provvedimento cautelare venga pronunciato egualmente. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 182 Analoga disposizione � dettata dall'art. 54, comma quarto del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, sull'imposta di registro, secondo cui �per. la riscossione delle imposte, delle soprattasse e delle pene pecuniarie si applicano le disposizioni degli artt. da 5 a 29 e 31 del r.d. 14 aprile 1910, n. 639 �. Risulta, invero, evidente come il rinvio al testo unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato contempli I~ norme sull'esecuzione mobiliare (arrtt. da 5 a 15) e quelle sull'esecuzione immobiliiare (artt. da 16 a 28), nonch� alcune disposizioni finali (artt. 29 e 31) ed escluda, invece, esplicitamente gli artt. 3 e 4 della legge del 1910, che prevedono la possibilit� di proporre opposizione all'ingiunzione fiscale davanti all'autorit� giudiziaria ordinaria (v. anche Oass. n. 6151/83). Il riconoscimento della giurisdizione delle commissioni tributarie deriva, d'altro canto, dalla compiutezza della discip1ina dettata dal d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, sulla revisione del contenzioso tributario, che, come le Sezioni unite hanno ripetutamente aff.ermato, a partire dalla sentenza n. 942 del 1977, ha inteso attribuire esclusivamente alle commissioni tributarie la tutela giurisdizionale contro gli atti dell'ente impositore (Cass. citata). Per quanto concerne, poi, la domanda di sospensione cautelare dell'esecuzione, deve essere dichiarato il difetto assoluto di giurisdizione, poich� la stessa non pu� essere conosciuta n� dal giudice ordinario, n� dalle commissioni tributarie, n� da alcun altro giudice. Al riguardo � sufficiente il rinvio a quanto le Sezioni unite hanno gi� affermato con la sentenza 1471 del 1980, secondo la quale il potere di sospendere in via cautelare la riscossione dei tributi spetta all'intendente di finanza -contro le cui determinazioni le posizioni soggettive del contribuente sono tutelabili dinanzi il giudice amministrativo in sede di giurisdizione di legittimit� -e non alle commssioni tributarie o al giudice 011dinario, in quanto lia facolt� di incidere direttamente sulla riscossione delle entrate erariali non rientra nelle loro attribuzioni giurisdizionali. E di recente la Corte costituzionale, con sentenza n. 63 del 1982, ha ritenuto conforme alla Costituzione siffatta soluzione. Questo orientamento giurisprudenziale, ancorch� formatosi a proposito della riscossione delle imposte dirette, deve ritenersi idoneo al regolamento della giurisdizione anche nel caso in esame per esigenze di compiutezza ed organicit� del sistema e per la natura generale dei princ�pi cui esso � informato (v. ancora Cass. 6151/83). PARTB I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRmUTARIA In conclusione, va dichiarato il difetto assoluto di giurisdizione quanto alla richiesta _di sospensione cautelare della esecuzione e la giurisdizione delle commissioni tributarie, quanto all'opposizione all'esecuzione. Motivi di opportunit� inducono a compensare tra le parti le spese della presente fase giudiziale. (omissis). II (omissis) Il ricorso � inammissibile. Il regolamento preventivo ,~i giurisdizione pu� essere proposto in ogni momento, finch� la causa non sia decisfl nel merito in primo grado (art. 41 c.p.c.), ovvero finch� non sia passata in giudicato la sen tenza di primo grado, che, senza decidere il merito, abbia risolto la questione di giurisdizione. Per decisione di merito preclusiva del regolamento, deve intendersi quella che affermi o neghi, nel caso concreto, l'esistenza di una volont� di legge conforme alla pretesa dedotta in giudizio, anche se concerne soltanto alcuni capi della domanda, ovvero quella che risolve questioni preliminari attinenti pur sempre al merito (Cass. 2607/69, 16/71; 3612/84). Orbene, nella specie, l'ordinanza resa dal Pretore, in esito alla ri chiesta formulata ai sensi dell'art. 700 c.p.c., contiene i connotati essen ziali della � pronuncia di merito >>, preclusiva del regolamento preven tivo di giurisdizione. Invero, il provvedimento prende in esame, svolge con dettagliata analisi e decide nella sostanza una questione tipicamente di � merito >>, assumendo, conseg�entemente, concreto contenuto di sentenza, contenuto che viene ulteriormente ribadito dalla pronuncia resa in ordine alle � spese del procedimento "� che vengono dal pretore compensate fra le parti. Siffatto sostanziale contenuto di sentenza del provvedimento pretorile � d'altronde, riconosciuto dalla stessa Amministrazione, la quale, nei confronti del medesimo provvedimento ha proposto impugnazione al Tribunale di Firenze con atto del 27 settembre 1982, suocesisivo aLI'istanza di regolamento preventivo, testualmente precisando che � l'apparente forma cautelare di tale anomalo provvedimento giudiziario � contraddetta dalla sostanza dichiarativa del provvedimento stesso, il quale va, perci�, � considerato come decisorio, in quant~ tale autonomamente impugnabile "� (omissis) 184 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO III (omissis) Il ricorso � fondato. g principio ripetutamente affermato da questa Corte di legittimit� che, in tema di riscossione delle imposte sul reddito, nella disciplina !introdotta con il d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, il potere di sospendere, in via cautelare, l'efficacia esecutiva dell'iscrizione a ruolo e la riscossione esattoriale del tributo spetta all'intendente di finanza, a norma I dell'art. 39, primo comma, del citato decreto, avverso le cui decisioni le posizioni soggettive del contribuente sono tutelabili dinanzi al giudice amministrativo, in sede di giurisdizione di legittimit�. Il potere medesimo, invece, deve essere negato alle Commissioni tributarie, adite I con il ricorso contro l'iscrizione a ruolo, cos� come a qualsiasi altro giudice investito della controversia, tenuto conto che, nelle !relative attri I buzioni giurisdizionali, la facolt� di incidere cautelativamente su quella riscossione non � evincibile direttamente dalle norme della Costitu I zione, n�, in particolare, dagli artt. 24 e 113 della medesima, n� � ravvi 1" * sabile negli artt. 39 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1094, e 21 della legge 6 di cembre 1971 n. 1034, i quali operano esclusivamente nel diverso ambito del processo di annullamento dell'atto amministrativo davanti agli organi fil della giustizia ammimstrativa (Cass. n. 1471/80). ~i f: Da tale generale inammis,sibilit� ,di ogni intervento giurisdizionale in <��: sede cautelare nella materia de qua discende che deve essere ritenuta �: improponibile, per difetto di giurisdizione, la domanda cautelare rivolta al Pretore di Firenze, siccome intesa a conseguire un provvedimento di sospensione della riscossione delle imposte di cui trattasi. Si versa, infatti, in un ambito nel quale, secondo la sopra richiamata giurisprudenza, tale risultato pu� essere raggiunto sempre e soltanto per il tramite del potere cautelare dell'Intendente di Finanza, ossia attraverso provvedimenti sindacabili dal giudice amministrativo sotto il profilo della legittimit�, ma in relazione all'emissione dei quali non pu� essere ritenuta ammis1sibile surroga alcuna. Sotto altro profilo, si ossei:va che questa Corte di legittimit� ha costantemente escluso fa possibilit� per il Pretore di adottare provvedimenti di urgenza ex art. 700 c.p.c. nei casi in cui la controversia di merito non rientri nella giurisdizione dell'A.G.O., espressamente negando l'autonomia funzionale della tutela cautelare (strettamente ed ineliminabilmente correlata con la giurisdizione di merito) e, quindi, l'esistenza, in capo al giudice ordinario, di un generale potere in materia cautelare che produca un'estensione generale della sua giurisdizione, sia pur limitatamente alla tutela delle situazioni urgenti (cfr., da ultimo, Cass. SS.UU. 5575/1979; 5336/1980; 1484/1981). (omissis) PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 185 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 7 ottobre 1987, n. 7491 -Pres. Scanzano -Est. Grieco -P. M. Virgilio (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato D'Amico) c. Soc. Bagni di Lucca. Tributi fu genere -Contenzioso tributario -Giudizio di terzo grado -Ricorso alla Corte d'Appello -Scadenza del termine per ricorrere alla Commissione Centrale -Sospensione feriale -Si applica. (D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, art. 40; I. 7 ottobre 1969 n. 742). La sospensione feriale trova applicazione anche al termine per ricorrere alla Commissione Centrale la cui scadenza � presupposto per ricorrere alla Corte di Appello (1). (omissis) La ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell'art. 40, 1� comma, d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 e dell'art. 1 I. 7 ottobre 1969 n. 742, in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. Assume l'Amministrazione finanziaria che l'art. 40 del citato decreto, disponendo che � decorso inutilmente, per tutte le parti, il termine 'per ricorrere alla Commissione Centrale, la decisione... pu� essere impugnata entro novanta giocni � non determinava affatto, nella specie, la data del 30 giugno 1978 come termine ultimo per proporre impugnazione innanzi alla Corte d'Appello. La data coincideva solo con il termine per ricorrere alla Commissione Centrale. Di conseguenza, dovendosi tener conto della sospensione dei termini nel periodo feriale, i novanta giorni di cui all'art. 40 erano solo � iniziati a decorrere � ma non certo � spirati � allorch�, il 27 ottobre 1978, era stato notificato l'atto introduttivo del giudizio. In definitiva, solo con il primo luglio 1978 poteva dichiararsi inutilmente decorso il termine di impugnazione innanzi alla Commissione Centrale ed iniziato quello per adire la Corte di Appello. Il ricorso � fondato. Ed invero, la valutazione sulla tempestivit� dell'impugnazione proposta alla Corte fiorentina va formulata alla stregua della normativa contenuta nella legge 742/69 che ha �innovato� la precedente disciplina secondo cui restavano sospesi (art. 1 della legge 14 luglio 1965 n. 818) di diritto i termini processuali � scadenti � tra 51 primo agosto ed il quindici settembre. L'art. 1 deUa legge 742/69 dispone, invece, che il decorso dei termini processuali relativi alla giurisdizione ordinaria ed amministrativa � sospeso di diritto dal 1� agosto al 15 settembre di ciascun anno, riprendendo a decorrere dalla fine del periodo di sospensione. (1) Decisione ineccepibile posto che la sospensione feriale deve avere applicazione per tutti i termini del processo tributario. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO E ove il decorso abbia inizio durante il periodo di sospensione, l'inizio stesso � differito alla fine di detto periodo. Come ha gi� rilevato questa Corte (Cass. 30 gennaio 1970 n. 217), la nuova legge ha abrogato la precedente in quanto ha regolato diversamente la medesima materia � congelando '" agli effetti che nella specie interessano, il periodo compreso tra il primo agosto ed il quindici settembre. Con il logico spostamento � dell'inizio stesso " della decorrenza al giorno successivo alla fine del periodo ove esso (l'inizio) cada in uno dei giorni del periodo c.d. �congelato"� Detto questo, va osservato che per effetto della 1. 2 dicembre 1975 n. 576 (entrata in vigore mentre era in corso il termine per adire la Commissione tributaria centrale) e delle successive proroghe, veniva ad essere sospeso anche ed anzitutto il termine ora indicato, che riprendeva a decorrere il primo luglio 1978. Scaduto il termine per l'esaurimento del contenzioso davanti al giudice tributario, iniziava la sospensione (di cui si � innanzi detto) disposta dalla legge 742/69 per il periodo feriale. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 19 novembre 1987, n. 8512 -Pres. Bologna -Est. Favara -P. M, Grossi (conf.). Soc. Saras (avv. Nigro) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato D'Amato). Tributi in genere -Norme tributarie -Concetto di tributo -Tasse portuali � Natura tributaria -Riscossione -Ingiunzione doganale. (L. 9 febbraio 1963 n. 82; d.!. 26 febbraio 1974 n. 47; d.P.R. 23 gennaio 1973 n. 43, artt. 18 e 82). .,, La tassa erariale di sbarco e la tassa portuale sulle merci sbarcate hanno natura di tributo; e bench� non possano ricomprendersi fra i dazi doganali, in quanto connesse con operazioni doganali sono soggette alla disciplina dei diritti doganali per quanto concerne l'accertamento e la riscossione, a cui si provvede mediante ingiunzione che diventa definitiva nel termine di 15 giorni (1). (omissis) I -A) Ha precedenza logica l'esame del terzo motivo del ricorso principale, con il quale la SARAS, deducendo (ai sensi dell'art. 360 (1) Sulla natura delle prestazioni in questione la S.C. si era gi� espressa con 1a menzionata sentenza 10 novembre 1984 n. 5684 di cui non si rinviene pubblicata la motivazione. Sulla connessa prestazione del diritto di approdo la Corte Cost. (sent. 2 febbraio 1988 n. 127) ha del pari riconosciuto natura tribu taria. i i ' f PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA n. 3 c.p.c.) violazione e falsa applicazione dell'art. 82 d.P.R. 23 gennaio 1973 n. 42 (T.U. leggi doganali) e deH'art. 3 T.U. 14 aprile 1910 n. 639, impugna la decisione della Corte di Cagliari che ha ritenuto applicabile il termine breve di 15. giorni previsto nel citato art. 82, anzich� quello ordinario di 30 giorni previsto nell'art. 3 della legge n. 639/1910 (contenente la disciplina generale della riscossione coattiva delle entrate patrimoniali dello Stato), swl presupposto che la tassa portuale .riscossa dallo Stato ai sensi della I. 5 maggio 1976 n. 355, a beneficio delle aziende dei mezzi meccanici sia, se non un tributo doganale, una tassa relativa ad operazioni doganali, come tale riscossa dagli uffici doganali, tenuti ad uniformarsi alle procedure di riscossione previste dalle leggi che li riguardano. Le argomentazioni che la SARAS svolge con tale mezzo di ricorso e che ha poi sviluppato in memoria, sono: a) che la tassa portuale, distinta dalla tassa erariale di sbarco e dai diritti di confine, non � un tributo doganale in senso proprio, come del resto riconosciuto dalla stessa sentenza impugnata, in quanto applicata su tutte le merci quale che sia la loro provenienza e destinazione; b) che � da escludere anzi la stessa sua natura di tributo, perch� essendo essa applicabile solo in certi porti determinati dalla legge manca del requisito -essenziale per le imposte e tasse -della generalit�; e) che anche a ritenerla tributo, � da escludere la legittimit� della riscossione a mezzo della Dogana perch� l'art. 35 legge Doganale affida a tale ufficio l'applicazione e la riscossione secondo la procedura prevista dal.l'art. 82 solo quando si tratti di diritti doganali e sempre che le leggi che riguardano tali diritti non dispongano diversamente; d) che anche se le leggi parlano di tasse portuali, si tratterebbe, come dice testualmente la legge n. 355 del 1976 nella sua titolazione, di �benefici�, concessi (come risulta anche dai lavori preparatori di tale legge) alle Aziende dei mezzi meccanici (e prima agli enti portuali) al fine di potenziare l'organizzazione delle operazioni di sbarco e imbarco in taluni porti, i:n corrispettivo dei servizi resi mediante le operazioni di carico e scarico delle merci, e perci� di diritti, anche se di natura pubblica (in quanto correlati a prestazioni pubblicistiche erogate nelle aree portuali), ma non di diritti doganali; e) che ci� 'Sarebbe confermato dal fatto che la misura di detti diritti � determinata � iIJ. relazione ai costi medi di gestione dei servizi resi ~ alla natura delle merci sbarcate e imbarcate (come precisato nei d.P.R. 13 marzo 1974 e 12 maggio 1977); ino!ltre f) dal fatto che � possibile in altsrnativa anche il versamento nella Tesoreria provinciale a mezzo marche o in conto corrente, secondo disposizioni (contenute nel d.m. 10 febbraio 1976) che, derogando alle regole genera:li, rendono per altro veriso inapplicabile l'art. 82 cui l'art. 35 legige Doganale rinvia solo qualora non esistano disposizioni speda:li. Sostiene ancora la SARAS g) che nessun particolare interesse avrebbe del resto lo Stato ad avvalersi della pro� . ....,..., . I ::ura rapMa ili cu::.:.,:::.::ttosOO che ili quella ~.i.�I generale di oui alla legge n. 639/1910 (che la sentenza n. 45/1981 della S. C. ha limitato ai tributi di sicura natura doganale), dato che esso percepisce !i1 solo un terzo delle tasse portuali, essendo gli altri due terzi di esse devo !f,�[:�'_.'_. luti alle Aziende dei mezzi meccanici (art. 2 della I. 355/1976). Fa infine > rilevare la SARAS h) che � comunque errata l'affermazione della Corte di ~ Cagliari, secondo cui � applicabile la procedura ed il termine di cui all'art. 82 legge Doganale perch� le modalit� di riscossione coattiva dei tributi non possono essere che queHe proprie dell'amministrazione che procede alla riscossione, dal momento che nel nostro sistema le modalit� di riscossione coattive non sono affatto s.tabilite in funzione delle carat� teristiche proprie degli uffici che procedono alla riscossione, ma delle caratteristiche dei tributi da riscuotere. Il motivo. � infondato. 1~ La legge 9 febbraio 1963 n. 82, concernente la rev1s1one di �tasse e diritti marittimi �, al Titolo II istitu� (Capo I) la tassa erariale di sbarco ~ sulle merci provenienti dall'estero anche se in transito; e, al Capo III, !l ill una tassa portuale sulle merci sbarcate in taluni porti specificamente ~ indicati, ai quali altri vennero aggiunti con successive specifiche leggi di j=,~=.� estensfone. Il d.l. 26 febbraio 1974 n. 47 (convertito, con modifiche, nella r i:: I. 16 aprile 1974 n. 117), emesso al fine di adottare un nuovo e diverso ~= sistema di tassazione correlato allo sba11co delle merci nei porti (e aeroporti), compatibile con la disciplina comunitaria nel frattempo divenuta operante, nel sopprimere la tassa prevista per le merci in transito (pro venienti o dirette verso l'estero), conferm�, oltre alla tassa erariale di sbarco, la tassa portuale sullo sbarco e imbarco nei porti indicati dalla legge n. 82 del 1963 e successive modificazioni e ad essa assoggett� anche le merci in transito, non assoggettabili a dazio doganale in base alle norme CEE. Il citato art. 2, al 3� comma, stabil� inoltre i criteri per la determinazione e la modificazione delle aliquote delle tasse di cui al Capo II, Titolo II della I. 9 febbraio 1963 n. 82 e successive modificazioni (cio� delle tasse portuali dovute nei porti determinati per legge), nonch� per la devoluzione degli introiti agli enti beneficiari (enti autonomi portuali e, poi, aziende per i mezzi meccanici). La natura tributaria di simili imposizioni non pu� essere seriamente posta in dubbio, stante la espressa qualificazione in tale senso data dalle norme sopra ricordate (che rese poi necessaria l'abrogazione delle disposizioni concernenti le merci in transito, provenienti dall'estero e destinate all'importazione temporanea, contenute nell'art. 27 1. 1963/82): sia la tassa erariale, sia la tassa portuale hanno natura corrispondente a tale espressa loro denominazione, e non di imposte o dazi doganali, perch� correlate a prestazioni pubblicistiche che trovano il loro presupposto nel fatto obiettivo della movimentazione delle merci per effetto delle opera PARm I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA zioni di sbarco e imbarco (Sez. Un., sentenza n. 5684/1984). Esse gravano in pari misura su tutte le merci sbarcate e imbarcate, anche se provenienti dall'estyro (e per tali ragioni la citata sentenza n. 5684/1984 pot� escludere che dall'applicazione di essa derivi violazione dei princ�pi co� munitari). La natura di tributo non pu� essere poi esclusa per il fatto che la tassa portuale sarebbe priva del carattere di generalit� in quanto limitata solo a taluni porti e devoluta a favore di taluni enti, dal momento che la sua generalit� di applicazione in relazione alle ricordate prestazioni pubblicistiche e in occasione di operazioni doganali non � esclusa dal fatto che utenti di tali prestazioni, per ci� obbligati al pagamento dei diritti doganali, siano solo ' una particolare categoria di soggetti, quelli cio� che eseguono operazioni di sbarco e imbarco in uno dei porti indicati dalla legge. La devoluzione (per due terzi) alle Aziende dei mezzi meccanici dell'importo delle tasse portuali riscosse (che invece vengono per intero incassate dallo Stato quando si tratta della tassa erariale di sbarco) si giustifica per il fatto che dette Aziende assicurano lo svolgimento delle operazioni di sbarco e imbaI'co delle merci, che sono prestazioni pubblicistiche perch� si svolgono nelle aree portuali, con relativi impianti {pontili, banchine, ecc.), consentendo la realizzazione di finalit� che sono certamente di carattere statuale, perch� affidate alla cura delle Capitanerie di porto, a spese del Ministero dei LL.PP. (art. 122 r.d. 26 settembre 1904 n. 713). Ma al tempo stesso si giustifica che lo Stato, a mezzo della Dogana, trattenga il residuo terzo del ricavato della tassa portuale, trattandosi di diritti marittimi dovuti allo Stato -uni�o titolare del potere di accertare e riscuotere la tassa -e precisamente alla Dogana dello Stato, per il fatto che esso eroga, a mezzo delle Aziende, un servizio in occasione di operazioni che si svolgono in zone demaniali e che devono essere qualificate, ai sensi dell'art. 18 legge Doganale, come operazioni doganali; con conseguente facolt� di riscossione a mezzo degli uffici doganali competenti, come ha gi� avuto modo di precisare questa Corte nella citata sentenza n. 5684 deHe Sezioni Unite, nell'affermare che gli enti beneficiari del tributo hanno .solo un dir1tto di credito verso lo Stato, unico titolare del potere impositivo, per la parte di tributo loro destinata per legge. Anche perci� se non si tratta, per quanto riguarda la tassa portuale, di tributo eraruale (imposta doganale), i diritti che lo Stato fa valere sulle merci sbarcate o imbarcate nei porti indicati dalla legge per il fatto obiettivo della movimentazione sono diritti doganali, secondo fa definizione contenut� nel citato art. 18 legge Doganale, soggetti a riscossfone da parte degli uffici doganali. Trattandosi di diritti doganali, poi, e :non essendo prevista una disciplina particolare per la loro riscossione, trova diretta applicazione, ai sens[ dell'art. 35 legge Dogana[e, l'art. 82 stessa legge, che apprmto autoriz2la detti uffici ad avva� lersi per fa riscossione di detti diritti della procedura esecutiva di cui alla j 190 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 1 legge n. 639/1910, con riduzione tuttavia (art. 82 cpv.), a 15 giorni del ! termine rper propovre opposizione avverso J'i;ngiunzione emessa dal con� ! tabile doganale, ai sensi dell'art. 82, 1� comma. Per quanto poi concerne gli argomenti addotti dalla SARAS sub d) I ed e), ad escludere la natura doganale dei diritti per cui � causa non I, � sufficiente la dizione �benefici� che si legge nella Iegge n. 355/1976, perch� proprio di benefici si tratta ,quando i diritti riscossi dallo Stato vengono devoluti � pro quota � agli enti cui concretamente � affidato l'esercizio del compito istituzionale delle Capitanerie di porto di provvedere con le apposite attrezzature e gli opportuni mezzi meccanici, alle operazioni di sbal'Co e imbarco; cos� come coerente con il predetto carattere corrispettivo del servizio assicurato � la commisurazione della tassa portuale ai costi medi di gestione del servizio e alla natura delle merci. Viene a cadere, conseguentemente, anche l'argomentazione sub g), che cio� trattandosi di meri benefici e non di diritti doganali non si giustificherebbe il ricorso alla procedura abbreviata ex art. 82 legge Doganale; mentre, quanto all'argomento sub f), � agevole osservare che non giova alla tesi della ricorrente la possibilit�, riconosciuta al contribuente, di versamento alla Tesoreria provinciale in conto corrente o a mezzo marche, trattandosi pur sempre di versamenti (d.m. 10 febbraio 1976 in G.U. 8 marzo 1976 n. 62) diretti all'ufficio doganale e intestati al ricevitore doganale. L'argomentazione sub h) infine potrebbe essere esatta solo se la Corte di merito avesse qualificato (tautologicamente) i diritti in questione come tassa doganale per il solo fatto che la riscossione avviene a mezzo degli uffici doganali, laddove essa, nel rilevare la natura doganale della tassa, ha affermato la competenza per tale ragione degli uffici doganali alla riscossione e quindi l'applicabilit� della procedura di cui aill'art. 82 legge Doganale. In ogni caso le sopra esposte considerazioni vailgono, per quanto occorre, ad integrare la motivazione del giudice di merito ai sensi detll'ar.t. 384 cpv. c.p.c., ferma restando la esattezza della decisione, che cio� erano imprnponibili, perch� tardive rispetto al termine di 15 giorni di cui all'art. 82, le opposizioni alle ingiunzioni doganali della SARAS. B) Da tale improponibilit� la Corte di Cagliari ha fatto poi discen� dere anche l'irretrattabilit� e incontestabilit� della pretesa tributaria. E contro tale affermazione si appunta la censura di cui al quarto motivo di ricorso, con cui si deduce violazione e falsa applicazione (art. 360 n. 3 c.pJc.) dell'art. 82 legge Doganale e di tutte le norme e princ�pi in materia di ingiunzione fisicale; censura che � anch'essa pa:lesemente infondata alla stvegua deLla costante giua:isprudenza di questa S.C., secondo cui l'ingiunzione fiscale costituisce ad un tempo atto formale di accertamento dell'imposta e atto iniziale del procedimento coattivo di riscossione e per PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA ci� non esclusivamente atto di esecuzione forzata della pretesa tributaria, cosicch� non pu� ritenersi che la scadenza del termine esaurisce i suoi effetti nell'ambito della procedura esecutiva; senza determinare la definitivit� dell'accertamento, con presunzione di legittimit� della pretesa tributaria. L'inutHe decorso del termine di 15 giorni previsto per l'opposizione all'ingiunzione in materia doganale preclude perci� al contribuente ogni possibilit� di contestazione della pretesa tributaria, rendendo definitivo l'accertamento contenuto nell'ingiunzione non opposta (specificamente, Cass. 12 novembre 1974 n. 3561; inoltre, Cass. 12 febbraio 1981 n.. 356 e numerose rutre). Superati il terzo e quarto motivo del ricorso, che investono la questione di fondo proposta con il ricorso principale, si rivela chiaramente l'infondatezza, sotto vari aspetti, degli altri motivi del ricorso stesso. C) Col primo mezzo si deduce violazione di legge e falsa applicazione . dell'art. 112 c,p.c. (in relazione all'art. 360 n. 3 e 4 c.p.c.) e si sostiene che la domanda di accertamento negativo sull'applicabilit� del tributo in questione alle merci sbarcate nell'approdo di Sarroch era stata proposta in via autonoma rispetto a1le opposizioni alle ingiunzioni successivamente notificate alla SARAS e come tale era stata esaminata e decisa dal Tribunale sia pure in senso sfavorevole, cosicch� la pronuncia di assorbimento emessa daHa Corte, dopo la riunione tra il procedimento relativo alla domanda di accertamento negativo e quelli relativi alle varie opposizioni, alcune tempestive ed altre tardive rispetto al termine di 15 gior?i di cui all'art. 82 legge Doganale, si concretava, almeno per le opposizioni ritenute tardive, in un rifiuto di pronunzia, essendo evidente l'interesse, concreto ed attuaile, di essa SARAS ad ot<tenere la drohial'.azione d'inapplicabilit� dei diritti doganali proprio in una specie in cui la pretesa fiscale era divenuta definitiva per la ritenuta tardivit� delle opposizioni. Senonch� � da rilevare, in linea generale, ed in relazione a quelle controversie tributarie in cui non operi la riserva a favore delle Commissioni tributarie prevista nella disciplina del contenzioso tributario di cui ad d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 (per le quali questa Corte con la sentenza S.U. 3 febbraio 1986 n. 660 ha gi� avuto modo di affermare l'improponibilit� dell'azione preventiva di accertamento negativo del debito d'imposta tanto davanti alle dette Commissioni quanto davanti al giudice ordinario), che non pu� ritenersi esistente un interesse concreto ed attuale ad ottenere una decisione autonoma sulla domanda di accertamento negativo, che tenda a paralizzare in prevenzione il potere impositivo e, conseguentemente, la facolt� di emettere ingiunzioni fiscali per la riscossione dei tributi, dopo che non solo sia sorto il contestato rapporto tributario (per essersi verificato il presupposto dell'imposizione), ma sia anche stata azionata la pretesa fiscale con l'ingiunzione, costituente come si � visto, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 192 atto di accertamento del debito d'imposta, e avverso questa sia stata dal contribuente proposta opposizione davanti al giudice. Una volta disposta in fatti la riunione tra tali procedimenti, all'interesse alla dichiarazione di inapplicabilit� del tributo in astratto si sostituisce, fondendosi in essa (da cui l'assorbimento, correttamente ritenuto dalla Corte di Appello), quello concreto alla dichiarazione di illegittimit� dell'ingiunzione emessa; mentre, quanto alle opposizioni �poi dichiarate dal Tribunale improponibili perch� oltre i termini ex art. 82 legge Doganale, l'incon. testabilit� della pretesa tributaria per ragioni di rito e preliminari derivata dalla pronuncia di improponibitlit� emessa dahlo stesso Tribunale poteva essere rimossa solo impugnando tale dichiarazione d'improponibilit� e faoendo dichiarare inapplicabile il ,termine perentorio di 15 giorni lasciato scadere, cos� da fare venire meno la definitivit� dell'accertamento e non certo attraverso una dichiarazione di astratta inapplicabilit� del tributo (peraltro nella specie implicitamente affermata, relativamente alle altre opposizioni tempestivamente propos.te), destinata a restare priva di conseguenze sui rapporti tributari divenuti definitivi. E comunque un interesse concreto alla predetta astrattia declaratoria non poteva essere ravvisato anche sotto il profilo che la pronuncia di improponibilit� dell'opposizione non intaccava il merito della pretesa tributaria, pur essendo questa divenuta per altro verso definitiva. (omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 27 novembre 1987 n. 8815 -Pres. Granata -Est. Cantillo -P. M. Amirante (conf.). Banco Anstalt c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Fiumara). Tributi erariali direttti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Societ� estere -Stabile organizzazione -Nozione. (t.u. 29 gennaio 1958 n. 645, art. 145). La stabile organizzazione, che nel vigore dell'abrogato t.u. delle imposte dirette costituiva il presupposto per l'assoggettamento all'imposta sulle societ� degli enti collettivi stranieri, si ha quando una organizzazione � costituita come strumentale ad una attivit�, anche non economica, che sia non occasionale e stabile; sono invece irrilevanti le dimensioni e l'assetto strutturale; non � necessario che la struttura organizzativa sia di per s� produttiva di reddito (1). (1) Decisione importante, util� anche sotto la normativa vigente. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (omissis) 3. -Nella disciplina dell'imposta sulle societ�, dettata dal t.u. n. 645 del 1958, mancava ,ma definizione del concetto di � stabile organizzazione �, che doveva essere desunto, qu1ndi, mediante l'esegesi sistema1lica, con riferimento alle altre disposizioni del medesimo t.u., concernenti lo stesso elemento (tuttavia del pari senza fornirne una specifica nozione), con riferimento al presupposto materiale� del tributo, costituito dal � possesso di un patrimonio o di un reddito �, e, in primo luogo, in relazione alla specifica funzione del requisito, il quale realizzava il collegamento con l'ordinamento italiano dell'ente straniero e ne determinava la soggezione al tributo, stabilendo l'art. 145 che soggetti passivi delfimposta erano (anche) le societ� estere �operanti in Italia mediante una stabile organizzazione �. L'analisi di questo enunciato consente di affermare che: a) l'organizzazione deve essere str,umentale ad un'attivit� che l'ente straniero svolge abitualmente (cio� non occasionalmente) in Italia. Tanto risulta direttamente dal participio �operanti �, che implica, appunto, una pluralit� di atti ed operazioni nel territorio nazionale, e trova conferma nell'esegesi storica della disposizione, la quale deriva dall'art. 1 .della legge 6 agosto 1954, n. 603, che assumeva a requisito della tassazione il �fare operazioni in Italia�, richiamando il titolo II del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3280. b) Deve trattarsi di un'organizzazione stabile, tale da poter essere utilizzata in maniera durevole, come si richiede, del resto, per lo svolgimento di un'attivit� non meramente occasionale: appunto per la stretta correlazione fra i due elementi questa Corte ha gi� avuto modo di affermare che il requisito della � stabile organizzazione � � equipollente a quello previsto dalJa legge n. 603 del 1954 (v. sent. n. 3319 del 1971), conseguentemente giudicando infondato in radice il sospetto di eccesso di delega da parte del legislatore del t.u. (cui l'art. 63 della legge 5 gennaio 1956 n. 1, consentiva soltanto il coordinamento normativo, senza possibilit� di innovare la disciplina vigente). e) Mentre sono prive del connotato della stabilit�, quindi, le installazioni create per un'attivit� occasionale (ad es., Uf!:O stand dimostrativo in un'esposizione), sono irrilevanti � le dimensioni e l'assetto strutturale dell'organizzazione (a seconda che sia prevalente l'elemento umano o quello materiale) essendo sufficiente che essa costituisca un centro di imputazione dell'attivit� svo'lta dall'ente estero..d) L'attivit� cui si dedica la stabile organizzazione pu� essere secondaria e strumentale rispetto a que11a dell'ente estero e lo soopo pu� anche non essere economico cos� come non si richiede che la struttura organizzativa sia di per s� produttiva di reddito ovvero dotata di autonomia gestionail.e o contabile. Autonomia che normalmente hanno, 1nvece, le succursali o sedi secondarie, previste dail.l'art. 2506 cod. civ., ie quali, per�, costitUJiscono soltanto una species tipica di stabile organizzazione, che si riscontra, invece, in tutte le fattispecie aventi le caratteristiche 194 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO suddette, come ri1sulta, del resto, dal1'art. 82 t.u. n. 645 del 1958, che -ai fini de11'impos:ta di r.m. -distingue appunto le �succursali� daUe � a1tre stabilii organizzazioni � (rpur accomunandole nella medesima disci Il f: ~-: plina). Con riferimento al sistema tributario precedente alla riforma, si pu� conclusivamente affermare, quindi, che il requisito della stabile organizzazione in Italia di societ� estere, richiesto ai fini della loro soggezione alla (soppressa) imposta sulle societ�, doveva essere ritenuto esistente quando l'ente straniero svolgesse abitualmente attivit� nel territorio nazionale avvalendosi di una struttura organizzativa materiale e/o personale, qualunque ne fosse la dimensione, purch� non avesse carattere precario o temporaneo e costituisse, quindi, un centro di imputazione di rapporti e situazioni giuridiche riferibili al soggetto straniero, titolare del patrimonio o del reddito cui andava commisurato il tributo. Tale nozione nel suo nucleo centrale corrisponde alla definizione contenuta in numerose convenzioni contro le doppie imposizioni, stipulate in conformit� allo schema elaborato dell'OCSE, secondo cui la stabile organizzazione deve essere intesa come � installazione fissa di affari dove l'impresa esercita in tutto o in parte la propria attivit��. Ma va avvertito che nel sistema delle imposte personali (irpef e irpeg) intro I I dotte con la riforma, in cui ugualmente manca una definizione del concetto di stabHe organizzazione, il problema si pone in termini parzialmente diversi, posto che quel requisito non cond~ziona pi� l'assoggettamento ad imposta di una societ� straniera, bens� vale a delimitare il presupposto materiale del tributo e a stabilire il criterio di localizzazione dei soli redditi d'impresa, che devono intendersi prodotti in Italia solo se ottenuti a mezzo di una stabile organizzazione. I 4. -Ai criteri innanzi esposti si � attenuta la sentenza impugnata nell'affermare la tassabilit� della Banco Anstalt, risolvendo positivamente il quesito circa la possibilit� di configurare una stabile organizzazione nell'acquisto e nel possesso di immobili in Italia. Ci� deve escludersi, infatti, quando il possesso si esaurisca neH.a mera gestione dell'immobile (come accade, ad es., se l'aoquisto realizzi unicamente un investimento di capitale), ma non quando l'immobile sia strumentale all'esercizio di un'attivit� d'impresa ovvero costituisca esso stesso l'oggetto di un'attivit� d'impresa, come accade ad es., nelle ipotesi in cui un suolo venga acquistato per lottizzarlo e rivenderlo ovvero, in generale, per lucrare la differenza di plusvalori attraverso la rivendita. Il, requisito va allora ritenuto esistente non gi� per il possesso del bene immobile -che di per s� pu� assumere rilievo solo ai fini deH'elemento della stabilit� dell'installazione in Italia -bens� in relazione all'attivit� che si svolge avendo la disponibilit� dell'immobile, che vale ad individuare l'esi PARTB I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA stenza di una stabile organizzazione o perch� di essa l'immobile costitui� sce uno degli elementi (ad es., sede di un'attivit� commerciale) o perch� essa � necessariamente implicata dall'attivit� che ha ad oggetto l'immobile. Nella sipecie, la C~di appello ha a:ocertato che l'Anstalt aveva com� piuto una pluralit� di acquisti, cronologicamente ravvicinati, per assicurarsi la propriet� di circa 77 etteri di terreno di grande interesse turistico in localit� Costa Smeralda, con un fronte a mare di 900 metri; e ci� in attuazione ,di un programma volto allo sfruttamento diretto o indiretto delle potenzialit� dei terreni medesimi, che aveva comportato l'impiego di ingenti capitali ed un'organizzazione personale, ancorch� di minime dimensioni, per H compimento deHa complessa attivit� giuridica e mate� riale attinente agli acquisti, ai risvolti fiscali dei medesimi, all'assetto e a1'1a gestione dei terreni, etc. La quaile organizmzione, appunto perch� strumentale allo svolgimento del suddetto programma di valorizzazione dei terreni, aveva i caratteri di stabilit� richiesti dall'art. 145 del t.u. del 1958. Questo accertamento di fatto, cosi congruamente motivato, non � qui censurabile; n� pu� ritenersi contraddittorio il rilievo, fatto in sen� tenza, per cui la Banco Anstalt al tempo si trovava � in una posizione di attesa del momento pi� opportuno per il conseguimento di profitti o di altre utilit��. La ricorrente ravvisa in ci� il riconoscimento del carattere meramente preparatorio degli atti di organizzazione, per cui non sarebbe esistita (ancora) un'attiv1t� d'impresa; sennonch� -a parte la considerazione che nella specie non � in questione l'acquisto della qualit� imprenditrice (problema rispetto al quale � stata talvolta utilizzata, com'� noto, la discussa distinzione fra atti di organizzazione e atti dell'organizzazione) -la Corte di appello ha ritenuto che le opera� zioni compiute erano direttamente attinenti all'oggetto dell'attivit� economica intrapresa, :mppresentandone una fase necessaria in cui non ancora poteva esservi la realizzazione dell'utile, sicch� ha correttamente ravvisato l'esistenza di una concreta organizzazione esercente attivit� imprenditrice. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 2 dicembre 1987, n. 8953 � Pres. Scan� zano -Est. Grieco � P. M. Visalli (conf.). Soc. Autocentro Sannita (avv. Cavalli) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Laporta). Tributi erariali indiretti � Imposta sul valore aggiunto � Presunzione di cessione e di acquisto � Prova contraria � Bolle di accompagnamento � Inidoneit�. (d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, art. 39 e 53). La presunzione posta dall'art. 53 del d.P.R. n. 633/72, bench� ammetta la prova contraria, la restringe a casi e modalit� molto limitati s� che 196 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO non risulta possibile utilizzare per la prova mezzi diversi da quelli indicati nell'art. 39 (1). (omissis) Con il primo �mezzo�, si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 53 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633; difetto di motivazione �per contraddittoriet� e perplessit��. Assume 1a ricorrente che l'affermazione della sentenza impugnata, secondo cui la presunzione ex art. 53 del d.P.R. 633/72 pu� essere vinta solo dalle risultanze desumibili dal libro giornale o da altro registro tenuto a norma dell'art. 39, non � legittima in quanto, per la riconosciuta natura di� onere� (e non di obbligo) alle formalit� di valore probatorio assoluto, necessariamente devono ritenersi ammissibili -quali fonti di priova -anche le �bolle di accompagnamento�. Con il secondo motivo, si denunzia insufficiente motivazione e travisamento dei fatti circa un punto decisivo per l'ass�rita impossibilit� di raffronto tra � bolle di accompagnamento � e � fatture � relative alle provvigioni. Proprio tale raffronto, invece, avrebbe dovuto dimostrare che la ricorrente riscuoteva, quale intermediaria, una � provvigione � sui singoli acquisti (le �fatture� concernevano gli acquirenti non i �cedenti�) separata dal prezzo versato al proprietario venditore del veicolo, essendo la propriet� dei terzi attestata delle risultanze del PRA non vanificabili dalle dichiarazioni rese informalmente alla G. di F. da alcuni interessati. I motivi, strettamente connessi, vanno esaminati congiuntamente. Il legislatore -con il d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 -ha previsto un ampio sistema di �presunzione di cessioni e di acquisti� (art. 53), in relazione ai beni negoziati o prodotti dal contribuente o da costui, comunque, fatti oggetto della propria attivit�; consentendo, per altro, sia la prova della inesistenza deH.a � cessione � -in quanto: la utilizzazione dei beni ha interessato la produzione; i beni sono andati perduti o sono stati consegnati a terzi per elaborazioni o per titoli non� traslativi della propriet� -sia la prova della inesistenza dell'acquisto (ultima parte della norma) sempre che il contribuente dimostri � nei modi e nei casi indicati nel primo e nel secondo comma, di averli ricevuti in base ad un rapporto di rappresentanm o di lavorazione o ad uno degli altri titoli di cui al primo comma �. Il sistema, almeno quanto alle ipotesi menzionate, fa palese riferimento a presunzioni juris tantum ma limita, specificamente, la prevista prova contraria ai casi e alle modalit� di cui all'art. 53, (1� e 2� comma), come modificato dal d.P.R. 29 gennaio 1979 n. 24. (1) Decisione che con molto rigore definisce i limiti, molto stretti, della prova contraria alla presunzione di cessione e di acquisto. PARTE I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA I!, dunque, indispensabile -per vincere la presunzione che i beni appartengono al contribuente in quanto trovati in uno dei luoghi di esercizio della sua attivit� -che costui dimostri (ove assuma di averli consegnati a terzi in dipendenza di contratto di mandato o di altro titolo non traslativo della propriet�): A) che la rappresentainza risulti � da atto pubblico, da scrittura privata registrata o da lettera annotata in apposirto regi.s:tro, in data anteriore a quella del passaggio dei beni, presso l'ufficio competente; B) die la consegna dei beni a terzi (in lavo� razione o in dipendenzia di contratto di mandato o di altro titolo non traslativo della propriet�) risulti dal libro giornale o da altro libro tenuto a norma del codice civile o da apposito registro tenuto in conformit� all'art. 39 del presente decreto � ovvero da altro documento conservato a norma dello stesso articolo �. Mentre � necessario, per superare la presunzione di � cessione � dei beni acquistati che non si trovino nei luoghi in cui H contribuente eserciti la sua attivit�, che dimostri la loro utilizzazione per la produzione e la loro distribuzione; o la c�nsegna a terzi per la lavorazione o in dipendenza di contratto di mandato, di opere... o di altro titolo non traslativo della propriet�. Ora, tanto il superamento della presunzione di �cessione� quanto il superamento della presunzione di � acquisto � sono strettamente con� nessi a riscontri documentali tassativi che restano tali anche con riguardo alle ipotesi dalla formula apparentemente �aperta�, perch� se � vero che il legislatore ha fatto riferimento ai dati tratti �da altro� librp tenuto a norma del codice civile... ovvero da � altro � documento �conservato� a norma dello stesso articolo (art. 39 del decreto 633/72), � specifico il richiamo delle caratteristiche di siffatti documenti sicch� il riferimento � sostanzialmente tassativo non essendo riconosciuta a documentazione con caratteri diversi la idoneit� a superare la presunzione stabilita dal legislatore. S agevole constatare che le c.d. � bolle di accompagnamento � -menzionate dal d.P.R. 6 ottobre 1978 n. 627 -non sono riconducibili all'art. 39 del d.P.R. 633/72 che fa riferimento unicamente a �registri� numerati e bollati ai sensi dell'art. 2215 e.e. e tenuti a norma dell'art. 2919 e.e.; all'ammissibilit� di � schedari � e fogli mobili o di � tabulati � di macchine elettrocontabili, secondo modalit� previamente approvate dall'amministrazione finanziaria su� richiesta del contribuente; od altri specifici documenti secondo la previsione del penultimo comma dell'art. 53. Al rigua11do, va sottolineato che, a norma dell'art. 39, fr~ i documenti da conservare �ordinatamente� vi sono le �fatture�, le bollette doganali e � gli altri documenti previsti dal presente decreto �. Tra essi, tuttavia, non possono essere comprese le � bolle di accompagnamento � in quanto prive della � causale � obbligatoria, a' termini 198 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO del settimo comma dell'art. 1 d.P.R. 6 ottobre 1978 n. 627, integrativo e correttivo del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, quando il trasporto riguarda beni non ceduti. N� le �fatture�, cui la ricorrente si richiama, possono valutarsi come documenti utilizzabili per il superamento della presunzione di � acquisto � perch�, come ha tenuto a precisare la stessa ricorrente, esse attengono ad un momento diverso da quello considerato dalla � presunzione � di acquisto (si riferiscono -prescindendo dalla loro intrinseca inidoneit� ad incidere sul rapporto, secondo i rilievi della Corte del merito -alla � cessione � dei beni, realizzata in tempo successivo). Le censure mosse alla sentenza impugnata -in forza della (legittima) esclusione del superamento, da parte della ricorrente, della presunzione di cui all'art. 53 del d.P.R. 72/633 -sono dunque prive di fondamento. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 16 dicembre 1987, n. 9328 -Pres. Vela � Est. Maiella -P. M. Di Renzo (conf.). Miniistero delle Finanze (avv. Stato Braguglia) c. Rattalino. Tributi erariali Indiretti -Sanzioni non penali � Imposta sul valore aggiunto � Continuazione � Applicabilit� art. 81 cod. pen. � Esclusione. (c.p. art. 81; d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, art. 41 e segg. e 75). Tributi erariali Indiretti � Sanzioni non penali � Imposta sul valore aggiunto � Pi� violazioni della stessa disposizione � Art. 8 legge 7 gennaio 1929 n. 4 � Applicabilit�. (L. 7 gennaio 1929 n. 4, art. 8; d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, art. 48). Il principio della continuazione, come concepito nell'art. 81 cod. pen. � inapplicabile alle sanzioni non penali (1). Indipendentemente dall'art. 48 del d.P.R. n. 633172, che stabilisce l'unificazione obbligatoria delle diverse violazioni compiute nell'ambito di una operazione, � applicabile il principio dell'art. 8 della legge 7 gennaio 1929 n. 4 che prevede facoltativamente l'unificazione di pi� violazioni della stessa disposizione in esecuzione della medesima risoluzione, ma con il limite ad un solo periodo di imposta (2). (omissis) Con il primo mezzo del ricorso, nel denunciare la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 n. 3 c.p.c.), l'Amministrazione delle Finanze dello Stato censura la decisione impu (1-2) Sulla prima massima nulla questio. Sulla seconda va osservato che la " medesima risoluzi0111e � �l1iOl!l pu� identifilcarsi oon l'abituale inosservanza. prolungata per tutto il pericolo dii i.IJllposta. Una eccezione all'art. 8 � poi stabilita nehl'art. 6 del dJI.. 1� ottobre 1982 n. 697. PARTB I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRmUTARIA gnata per avere erroneamente affermato che, in mancanza di una specifica disposdzione del d.P.R. n. 633 del 1972, deve trovare applicazione la norma sul reato continuato di cui all'art. 81 del codice penale. Al riguardo, sostiene che la disciplina delle violazioni tributarie, previste dal citato decreto, non pu� essere influenzata dalla norma sul reato roonti!lluato ~sia nel testo o.riginario, sia nel testo modificato dalla legge n. 99 del 1974) in quanto le va'�=ie violazioni devono essere singolarmente sanzionate. Soggiunge che, nella specie, caratterizzata dal fatto che al trasgressore sono' state addebitate pi� violazioni di diverse disposizioni del d.P.R. n. 633, non pu� essere neppure applicato l'art. 8 della legge n. 4 del 1929, che inerisce soltanto a pi� violazioni della stessa disposizione di legge. Il motivo merita accoglimento per quanto di ragione. Devesi premettere che al Rattalino vennero contestate, con l'avviso di accertamento in rettifica, pi� violazioni dell'obbligo di fatturazione in relazione ad una molteplicit� di operazioni dal 1973 al 1976 ai sensi dell'art. 41 primo comma del d.P.R. n. 633 del 1972, nonch� pi� violazioni dell'obbligo di dichiarazione ai sensi dell'art. 43 dello stesso decreto. Ci� posto, la prima questione giuridica da risolvere consiste nello stabilh-e se l'art. 81 del codice penale (nel vecchio o nell'attuale testo) sia applicabile agli illeciti tributari sanzionati con la sola pena pecuniaria dalle norme del d.P.R. n. 633 del 1972. Contrariamente all'avviso espresso daUa Commissione tributaria centrale ed in conformit� dellla tesi sostenuta daH.'Amministrazione delle Finanze dello Stato, la risposta deve essere negativa. Pur essendo vero, infatti, che in materia di accertamento delle violazioni e di sanzioni, per quanto non � diversamente disposto, si applicano le norme del codice penale (e del codice di procedura penale, della legge n. 4 del 7 gennaio 1929 e del regio decreto-legge 3 gennaio 1926 n. 63 convertito nella legge 24 maggio 1926 n. 898 e successive modificazioni) � di chiara evidenza che le norme del codice penale, e quindi l'art. 81, possono trovare applicazione soltanto nelle ipotesi in cui gli illeciti tributari siano configurati come reati, vale a dire esclusivamente nei casi previsti dall'art. 50 del d.P.R. n. 633 del 1972. In ogni altro caso, invece, sarebbe del tutto arbitrario estendere l'applicazione di norme penali ad illeciti tributari non penali, atteso che la materia e il sistema di norme del codice penale possono ritenersi compatibili con le norme penali contenute in altre leggi, ma si rivelano intrinsecamente e funzionalmente incompatibili in modo assoluto con norme diverse da 'quelle penali. Pertanto, la decisione impugnata � sicuramente erronea per avere ritenuto applicabile l'art. 81 del codice penale ad illeciti tributari non RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 200 penali, cio� sanzionati con la sola pena pecuniaria amministrativa, come quelli addebitati al Rattalino, ai sensi degli artt. 41 e 43 del d.P.R. n. 633 del 1972. Peraltro, poich� l'Amministrazione ricorrente ha dedotto che alle violazioni commesse dal Rattalmo non � neppure applicabile l'art. 8 della legge n. 4 del 1929, si rende necessario verificare se tale assunto sia esatto ovvero se, al contrario, la suddetta norma esplichi la sua operativit� anche in relazione alle ipotesi di violazioni di natura non penale previste dal d.P.R. n. 633 del 1972, il cui art. 75, come si � gi� rilevato, prevede �che, per quanto non � diversamente disposto, si applicano, in materia di accertamento delle viola2iioni e cli sanzioni, le norme della legge n. 4 del 1929. L'art. 8 di quest'ultima legge, dopo di avere sancito, nel primo comma, �che per ogni violazione della stessa disposizione �di legge si applica la relativa sanzione, statuisce, nel secondo comma, che � non di meno, nel caso rdi pi� violazioni commesse anche in tempi diversi. in esecuzione della medesima risoluzione, la sanzione pu� essere applicata una sola volta, tenuto conto delle circostanze dei fatti e della personalit� dell'autore delle W.olazioni �, precisando, nel terzo comma, che �in tal caso, la sanzione � applicata in misura superiore a quella stabilita dalla legge per una sola violazione, purch� non si superi la met� dell'ammontare complessivo delle pene, delle pene pecuniarie e delle soprattasse, che si sarebbero dovute applicare calcolando le singole violazioni�. Ora, nel secondo e nel terzo comma dell'art. 8, testualmente riportati, il legislatore ha delineato una speciale fi~ra di illecito rcontinuato in ripotesi di concorso omogeneo, cio� di pi� violazioni della stessa disposizione di legge, commesse anche in tempi diversi, ma in esecuzione della medesima risoluzione. Si tratta, dunque, di accertare se la speciale figura di cui sopra possa trovare applicazione per quanto riguarda gli illeciti tributari di natura non penale previsti dalle norme del d.P.R. n. 633 del 1972. A tale applicazione potrebbe essere di ostacolo, di primo acchitto, l'art. 48 secondo comma del cennato decreto, in base al quale � se in relazione ad una stessa operazione sono state commesse pi� violazioni punite con la pena ~ecuniaria, si applica soltanto la pena pecuniaria stabilita per la pi� grave di esse, aumentata da un terzo alla met�. In realt� l'ostacolo � soltanto apparente. L'art. 48, secondo comma, richiede che le varie violazioni siano state poste in essere nell'ambito deMa stessa operazione, cio� dello stesso negozio patrimoniale (� nota caratteristica dell'I.V.A. la possibilit� che ad un'unica operazione siano collegati molteplici adempimenti a carico del contribuente). I I PARm I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRmUTARIA 201 Ove c10 si verifichi, il legislatore impone, per evidenti ragioni di equit�, la unificazione delle varie viol:azioni, come � reso evidente dall'espressione �si applica�, che non lascia margine alla discrezionalit�, se non per quanto riguarda il concreto aumento da apportare all'entit� della sanzione connessa alla violazione pi� grave. Ne deriva che per ogni � operazione � deve essere necessariamente applicata, nel caso di pluralit� di viola2lioni, una sanzione unica. Ma, qualora, nel corso dello stesso periodo di imposta, siano state � realizzate molteplici operazioni ed in ciascuna di esse siano' state commesse pi� . violazioni della stessa disposizione di legge in esecuzione della medesima risoluzione, devesi ammettere che, in sede amministrativa, prima, ed in sede contenziosa, poi, in esito alle unificazioni � obbligatorie � di cui all'art. 48, secondo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972, � possa � farsi luogo all'applicazione, ai sensi dell'art. 8 secondo e terzo comma della legge n. 4 del 1929, di una san2Jione globale, determinata in misura superiore a quella stabilita dalla legge per la pi� grave delle violazioni gi� unificate, purch� non si superi la met� dell'ammontare complessivo delle pene pecuniarie, che si sarebbero dovute applicare calcolando le singole operazioni, tenuto conto, ovviamente, della personalit� dell'autore delle violazioni e delle circostanze dei fatti. In altri termini, la figura particolare di continuazione tra illeciti tributari di natura omogenea, delineata nel secondo comma dell'art. 8 della legge n. 4 del 1929, non � incompatibile con l'ipotesi prevista dall'art. 48 secondo comma, perch� quest'ultima si traduce nella unificazione obbligatoria delle varie violazioni e nella irroga2Jione di una sanzione pecuniaria determinata sulla base della pena pecuniaria stabilita per la violazione pi� grave, con l'aumento da un terzo alla met�, mentre la prima � legata all'esercizio di un potere discrezionale, che non pu� prescindere dalla valutazione delle circostanze dei fatti e della personalit� del trasgressore, ed esige che si tratti di pi� violazioni della stessa disposizione di legge, poste in essere !in esecuzione della medesima risoluzione. Consegue che il potere discrezionale di applicare la continuazione, ai sensi dell'art. 8 secondo comma della legge n. 4 del 1929, deve ritenersi precluso soltanto nella ipotesi in cui, pur nell'ambito della stessa operazione, siano state violate diverse disposizi0111i di legge. In tale ipotesi, infatti, dovr� procedersi esclusivamente alla unificazione della sanzione, cos� come previsto dall'art. 48 del d.P.R. n. 633 del 1972. Infine, va precisato che la continuazione di cui all'art. 8 secondo comma della legge n. 4 del 1929, qualora venga applicata, dovr� comunque essere limitata aid un solo periodo di imposta. (omissis) SEZIONE SETTIMA GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI" ACQUE ED APPALTI PUBBLICI SEZIONE SETTIMA GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI" ACQUE ED APPALTI PUBBLICI CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 11 giugno 1988, n. 3989 -Pres. Granata � Est. Vignale -P. M. Lo Cascio (diff.). Scialpi (avv. Berti) c. Ministero Beni culturali (avv. Stato Tallarida). Appalto -Appalto di servizi -Disciplina delle. riserve contenuta nel r.d. 25 maggio 1895 n. 350 -Applicabilit� -Esclusione -Revisione del prezzo � Regime. I (R.D. 25 maggio 1895, n. 350; cod. civ., art. 1664). I La disciplina delle riserve contenuta nel regolamento approvato con r.d. 25 maggio 1895, n. 350 � applicabile ai soli appalti per l'esecuzione di j opere pubbliche e non pure agli appalti di servizi, nei quali la revisione del prezzo resta regolata esclusivamente dall'art. 1664 cod. civ., del I I fil tutto prescindendosi da un onere di tempestiva riserva. (omissis) Con il primo motivo del ricO])SO principale, lo Scialpi si duole che il .giudice di merito, ritenendolo superfluo, abbia omesso di �: ordinare all'Amministrazione l'esibizione di tutti gli atti di cottimo f.iiJduciario, rilevando che, invece, agli atti non risultava prodotto quello relativo al periodo 1� gennaio-31 ottobre 1978, nel quale egli aveva fommlato la riserva di revisione del prezzo d'app,;:tlto. I Con il secondo, lamenta che, violando le norme in materia d'inter~: pretazione dei contratti, erroneamente la Corte d'appello di Lecce aveva ritenuto fossero intervenuti tra le parti vari e distinti contratti, sostenendo che nella specie si trattava di un unico contratto di appalto continuativo per il prezzo �di L. 14.000.000 annue. Con il terzo motivo, censura la sentenza impugnata nella parte in curi ha ritenuto applicabile alla fattispecie la normativa inerente alla formulazione delle riserve di cui al capitolato generale per le opere pubbliche del 1895, assumendo che essa non � applicabile agli appalti di servizi, rigua1do ai quali occorre far ricorso alle regole generali di cui all'art. 1664 cod. civ. Con il quarto ed ultimo motivo, lo Scialpi si duole che la Corte di appello abbia ritenuto ininfluente la raccomandata contenente la richiesta di revisione, mentre questa era stata inoltrata proprio nelle forme e nei modi richiesti dalla stessa Pubblica Amministrazione. ! PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 203 Va, in online logico, esaminato per primo il terzo motivo del ricorso principale, per la ragione che la fondatezza della tesi secondo la quale per la revisione del prezzo nella ipotesi di appalto di servizi non sarebbe applicabile la particolare normativa sulla formulaziione delle riserve contenuta nel r.d. 25 maggio 1895 n. 350, renderebbe superfluo l'esame del primo, del secondo e del quarto motivo che, essendo finalizzati a verificare la correttezza della decisione impugnata nella parte in cui , ha negato la rilevanza delle riserve concretamente formulate dall'appaltatore, presuppongono, invece, appunto l'applii.cabilit� di quelle disposizioni. La censura appare fondata. Come emerge dall'impugnata sentenza, il contratto stipulato dallo Scialpi con l'Amministrazione Pubblica aveva ad oggetto l'esecuzione del servizio di pulizia del Museo Nazionale di Taranfo. Esso, quindi, va correttamente qualificato, �J. di l� della denominazione che possano averne dato le parti, come contratto di appalto di servizi. A questa categoria di contratti, il giudice del merito ha ritenuto di dover applicare le norme .sulla formulazione delle riserve del privato appaltatore, contenute nel Regolamento approvato con r.d. 25 maggio 1895 n. 350, perch� ad esso le parti si erano genericamente richiamate in una clausola finale del contratto. La decisione non appare corretta, in quanto quella normativa -essendo stata dettata per regolare i rapporti scaturenti non gi� da qualsiasi appalto della Pubblica Amministrazione, ma solo da quelli finalizzati all'esecuzione di � opere � pubbliche -non pu� essere applicata anche a rapporti che implicano l'esecuzione di servizi, per i quali il legislatore non ha certamente previsto l'apprestamento di misure che (come, ad esempio, la presenza di direttori dei lavori e la tenuta di una serie di documenti contabili) sono disposte esclusivamente per assicurare la corretta esecuzione dei lavori pubblici. N� pu� condividersi la tesi sostenuta dalla Amministrazione resistente, secondo la quale quella normativa sarebbe applicabile anche al contratto di specie (denominato dalle parti �cottimo fiduciario�) perch� espressamente estesa a tali tipi di contratto dagli artt.. 66 e segg. del regolamento del 1895, giacch� il c.d. cottimo fiduciario concerne l'esecuzione in economia pur sempre di �lavori� o somministrazioni ~di cose) e non anche l'esecuzione di servizi, tal che, sulla base di tali considerazioni, perde ogni rilievo la circostanza che, nella specie, le parti abbiano cosi denominato il contratto in questione. Poich�, in conclusione, ai contratti di appalto di servizi stipulati della Pubblica Amministmzione non sono applicabili le nonne sulla formulazione delle riserve di cui al regolamento approvato con r.d. n. 305 del 1895, il rapporto deve intendersi disciplinato, per quanto riguarda la revisione del prezzo convenuto, esclusivamente dall'art. 1664 cod. civ. 204 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Ne consegue l'erroneit� dell'impugnata pronuncia che ha ritenuto non poter esaminare il merito della domanda di revisione del prezzo dell'appalto per il motivo che il privato appaltatore non risultava aver formulato riserve con le modalit� stabilite da quel regolamento. L'accoglimento dell'esaminata censura rende superfluo (per i motivi indicati inizialmente) l'esame delle altre tre, le quali, pertanto, devono ritenersi assorbite. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 17 giugno 1988, n. 4135 -Pres. Bile Est. Rebuffat -P. M. Virgilio (conf.). Condominio Trivella Insiti Ba:rresi (avv. Selvaggi) c. Assessorato LL.PP. Regione siciliana (avv. Stato Carbone) e Consorzio Inziti Pizziferri (avv. Ferruggia). Acque � Acque pubbliche -Provvedimenti di polizia delle acque � Ordine di tombamento di un pozzo -Natura discrezionale. (r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 105). Il provvedimento, dell'ingegnere capo dell'ufficio del Genio Civile, di riduzione al primitivo stato di un'opera non autorizzata di eduzione di !acque sotterranee ha natura discrezionale e, in quanto tale, deve essere e risultare indirizzato al perseguimento di un interesse pubblico specifico e concreto, attinente al regime delle acque pubbliche. Nell'unico motivo del ricorso per cassazione, il Condominio Trivella Insiti Barresi ascrive alla sentenza impugnata la violazione e l'erronea interpretazione-applicazione dell'art. 105 del r.d. U dicembre 1933 n. 1775. Al riguardo, ripropone la tesi -che non ha trovato credito innanzi al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche -secondo cui, in materia di polizia delle acque pubbliche, i provvedimenti del Genio Civile non sono vincolati e di mera, indefettibile repressione, ma espressli.one di discrezionalit� amministrativa, sicch� devono essere sorretti dall'obiettivo � di interesse generale � e di � perseguimento dei fini al cui soddisfacimento le acque sono destinate �. Secondo il ricorrente, � la sentenza impugnata, proprio per avere totalmente negato qualsiasi discrezionalit� amministrativa, degradando l'intervento del Genio Oivile al livello di atto dovuto, sulla base di soli presupposti formali, ha violato le norme sopracitate e non pu� non essere cassata �, Il motivo � fondato nei termini che qui si illustrano. Come si � ricordato narrando lo svolgimento del processo, la sentenza del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche reputa che, accertato lo scavo abusivo di un pozzo di eduzione di acque sotterranee, il genio civile non abbia alcun potere discrezionale (n� in relazione all'an PARTB I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI n� nel quantum del provvedere, essendo tenuto all'adozione dell'ordine di �tombamento �, � pena la consumazione del reato di omissione di atti di ufficio�). Sulla base di questo .postulato, essa ravvisa l'infondatezza delle numerose censure indirizzate dal Condominio all'ordine suddetto, tutte aventi perno sulla mancata verifica e sull'omessa motivazione c�il'Ca la concreta sussistenza di un pubblico interesse all'otturazione della maggiore profondit� del pozzo d'eduzione. Orbene, non � esatto, in diritto, il presupposto da cui muove il ragionamento espresso nella sentenza del Tribunale Superiore delle Acque. Il comma primo dell'art. 221 del T.U. n. 1775 del 1933 stabilisce: �per le contravvenzioni alle norme della presente legge, che alterano lo stato delle cose, � riservata all'ingegnere capo dell'ufficio del genio civile la facolt� di ordinare la ridUZJ�one al primitivo stato, dopo di aver riconosciuto la regolarit� della denuncia �. Si evince dall'univoco tenore letterale della disposizione che essa contempla due divel'.1se attivit� dell'Amministrazione, cio� una di ricognizione (della regolarit� della denuncia) e altra discrezionale (l'ordinare la riduzione in pristino). La seconda � solo eventuale e, quel che qui rileva, espressione �di una potest� (definita � facolt� � nella disposizione considerata, quasi a sottolinearne la discre~ionalit�) il cui esercizio -conformemente ai princ�pi -deve essere costantemente orientato e sorretto da un interesse pubblico specifico e concreto, qui nel quadro di quell'economia del regime delle acque pubbliche protetta dalla legge, segnatamente dagli artt. l, comma primo, e 105, comma secondo, del T.U. n. 1775 del 1933. Quest'ultima attivit� non �, dunque, necessariamente repressiva e ripristinatoria. ~ non soltanto preventiva o protettiva dell'interesse pubblico specifico ma anche di gestione amministrativa dell'interesse stesso nelle particolarit� del caso concreto. Corollario dell'evidenziata natura discrezionale del provvedimento che la estrinseca � che esso necessita dei requisiti -formali e sostanziali di legittimit� propri degli atti amministrativi discrezionali incidenti su posizioni soggettive private. Il ricorso merita dunque accoglimento, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa al Tribunale Superiore delle Acque pubbliche, che la decider� uniformandosi ai .seguenti princ�pi di diritto: � Il provvedimento, dell'ingegnere capo dell'ufficio del Genio Civile, di ridmione al primitivo stato di un'opera non autorizzata idi eduzione di acque sotterranee ha natura discrezionale e, in quanto tale, deve essere e risultare indirizzato al perseguimento di un interesse pubblico specifico e concreto, attinente al regime delle acque pubbliche'" (omissis) SEZIONE OTTAVA I GIURISPRUDENZA PENALE I f; CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, �sez. IV penale, 14 gennaio 1988, n. 2099 -Pres. Battimelli -Rel. Nigro -rie. Ente Ferrovie dello Stato parte civile (avv. Stato Stipo). Procedimento civile -Parte civile -Costituzione di parte civile dell'Ente Ferrovie dello Stato quale assicuratore che agisce in surrogazione ex art. 1916 e.e. -Legittimazione -Insussistenza. Procedimento civile -Parte civile -Costituzione di parte civile dell'Ente Ferrovie dello Stato quale assicuratore che agisce in surrogazione ex art. 1916 e.e. -Diritto di richiedere in sede di impugnazione l'annullamento della pronuzia di condanna dell'imputato e del responsabile civile al risarcimento dei danni verso le altre parti civili. L'Ente Ferrovie dello Stato, che agisce in surroga quale istituto assicuratore che ha costituito una rendita vitalizia a favo re degli eredi dv un proprio dipendente vittima di un sinistro stradale, non � legittimato a costituirsi parte civile non potendo essere considerato n� offeso n� danneggiato dal reato. L'Ente Ferrovie dello Stato che, agendo in surroga quale istituto assicuratore che ha costituito una rendita vitalizia a favore degli eredi di un proprio dipendente vittima di un sinistro stradale, si � costituito part~ civile ed ha partecipato al processo non avendo le altre parti fatto valer'e, con rituale opposizione alla costituzione, l'insussistenza della legittimazione di cui alla massima che precede, non ha il diritto di chiedere in sede di impugnazione l'annullamento (sia pure parziale) della pronunzia di condanna dell'imputato e del responsabile civile al risarcimento dei danni verso le altre parti civili. Verso le ore 17 del 14 agosto 1980 Marin Marino, dipendente delle Ferrovie dello Stato, percorreva alla guida della propria � vespa � la strada statale� Romea� con direzione Venezia -Chioggia, quando, giunto all'altezza di un distributore di carburante, in localit� Malconvento, il suo mezzo andava a collidere con la fiancata destra contro quella sinistra di un autocarro di propriet� di Barbiero Paolino, guidato da Barbato Luigi, che usciva dall'area del detto distributore per immettersi sulla strada nello stesso senso di marcia del motoveicolo. A seguito dell'urto la � vespa � veniva proiettata verso s.inistra e il Marin urtava contro il pneumatico sfaistro di un autoarticolato che stava PARm I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE sopraggiungendo nell'opposto senso di marcia, riportando frattura cranica e morendo immediatamente. Si procedeva a carico del Barbato per il de1itto di omicidio colposo aggravato a' sensi .dell'art. 589 2� comma cod. pen. e per l'illecito di cui all'art. 105 90 comma cod. stradale. Nel processo si costituivano parti civili i prossimi congiunti della vittima e l'Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato, che agiva in surroga, quale istituto assicuratore che aveva costituito una rendita vitalizia a favore �lella vedova e dei figli minori della medesima vittima. Con sentenza in data 14 marzo 1983 il Tribunale di Venezia dichiarava l'imputato colpevole del reato ascrittogli e, con la concessione delle attenuanti generiche valutate equivalenti alla contestata aggravante, lo condannava alla pena di mesi dieci di reclusione {con i benefici di Jegge) e alla sospensione della patente di guida per ugual periodo (sanzioni tutte condonate), e condrunnava, inoltre, lo stesso Barbato al pagamento della somma di L. 30.000 per l'illecito amministrativo e, ritenuto il concorso di colpa della vittima nel 20%, al risarcimento dei danni, in solido col responsabile civile Barbiero Paolino, verso le costituite par.ti civili, danni da liquidarsi in separato giudizio. Proponevano appello l'imputato e le parti civili ~ienda autonoma delle Ferrovie dello Stato, Artusi Irma per s� e per i figli minori Marin V,alerio e Marina, Marin Ugolino, Lino, Eusania, Aldo, Livia e Mattiazzi Maria. Con sentenza in data 6 aprile 1984, la Corte d'Appello di Venezia dichiarava inammissibili, per mancata presentazione dei motivi, le impugnazioni delle Ferrovie dello Stato e dell'imputato e, in accoglimento di quella de11e altre parti civili, 1n parziale riforma della decisione impugnata, escludeva ogni concorso di colpa della vittima, assegnava ,a titolo ,di provvisionale sulla liquidazione dei danni patrimoniali l'ulteviore somma di lire 20.000.000 a favore di Artusi Inma in proprio e quale ~egaile rappresentante dei figli minori, liquidava a titolo cli risarcimento dei danni non patrimoniali la somma di L. 10.000.000 a favore di Artusi Irma, quclla di L. 5.000.000 a favore di ciascuno dei figli della vittima e quella di L. 1.500.000 a favore di ciascuno dei fratelli e sorelle della stessa vittima, oltre la rivalutazione monetaria del 40% e gli interessi lega1i dalla data del fatto illecito; confermava nel resto la pronuncia dei primi giudici. Contro tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione il responsabile civile Barbiero Paoliino e la parte civile Azienda Autonoma (ora Ente) delle Ferrovie dello Stato. MOTIVI DELLA DECISIONE Il ricorso del responsabile civile Barbiero Paolino, che �ol primo mezzo denuncia violazione dell'art. 2 del codice della strada per essere stato 208 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO escluso il concor.so di colpa della vHtima, e coo gM altri motivi difetto di motivazione e violazione dell'art. 2056 del codice civile circa l'assegnazione di provvisionale e la liquidazione dei danni non patrimoniali, � inammissibile, perch� non � stato notificato alle altre parti, a norma dell'art. 202 cod. proc. pen. � vero che il difensore del suddetto ricorrente, con memoria che ammette la mancanza di notificazione, ha sostenuto che Fluesta non fosse necessaria, in quanto l'impugnazione sarebbe stata proposta non solta~to per gli interessi civili, investendo essa anche -con le doglianze relative al negato concorso di colpa della vittima -la misura della pena inflitta all'imputato. Ma se pure ci� corrispondesse a realt� (se, cio�, effettivamente con quelle doglianze si mirasse a censurare anche la determinazione in concreto della pena inflitta al Barbato), il ricorso sul punto saxebbe sempre inammissibile, sia perch� il responsabile dvii.le non ha alcun proprio interesse all'irrogazione di una pena pi� mite (art. 190 4� comma cod. proc. pen.), sia perch�, avendo la Corte d'Appello escluso il concorso .di colpa della vittima, senza peraltro modifiicare l'entit� delle sanzioni irrogate al condannato dai giudici di primo grado, la sentenza di questi �, ill1 quel capo, coperta da giudicato formatosi per il mancato valido appello da parte dell'imputato medesimo. Col ricorso proposto dall'Azienda autonoma (ora Ente) delle Ferrovie dello Stato, si deducono cinque mezzi di annullamento della sentenza impugnata. Col primo si dennncia la violazione dell'art. 1916 del codice civile, perch� il diritto al rimborso delle somme erogate per la costituzione della rendita vitalizia a favore dei ,superstiti della vittima, spettante al ricorrente quale assicuratm:e nei limiti dell'ammontare del risarcimento del danno liquidato agli stessi congiunti dcl Marin, sarebbe pregiudicato dalla liquidazione dei danni non patrimoniali. a favore delle altre parti civili. Col secondo motivo si denuncia difetto di motivazione della sentenza impugnata sul perch� siano stati Liquidati tali danni. Col terzo motivo si denuncia travisamento del fatto, per il caso che si ritenesse fa detta motivazione nello stesso senso di quella adottata per l'assegnazione della provvisionale. Col quarto motivo si denuncia violazione d.ell'art. 1916 del codice civile, qualora si ritenesse che la sentenza impugnata abbia voluto affermare che l'istituto assicuratore non avrebbe diritto alla surroga sulle somme liquidate a titolo di risarcimento di danno non patrimoniale. Infine, col quinto motivo si denuncia il vizio di ultrapetizione della sen tenza impugnata, che avrebbe liquidato quei danni in misura superiore all'ammontare richiesto dalle stesse parti civili. Anche questo ricorso dev'essere dichiarato inammissibile. I P. -: PARTB I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PBNALI! Va, anzitutto, affermato che la costitU7Jione di parte civile dell'assicuratore che agisce in surrogazione � sensi dell'art. 1916 del codice civile non potrebbe essere consentita, in quanto J'assicuratore non pu� essere considerato n� offeso n� danneggiato dal reato; da questo � derivato, s�, il danno che egli ha provveduto a risarcire al danneggiato, ma soltanto quest'ultimo � stato direttamente leso dalla commissione del delitto e, quindi, ha titolo per costituirsi pa1rte civile. (Nello stesso senso, si vedano: Cass. pen. 31 maggio 1985, rie. Faccioli; Cass. civ. 26 agosto 1985 n. 4551, INPA-Croatto). � ovvio, peraltro, che, non essendo stata impugnata n� fa sentenza di primo grado che ha condannato l'imputato e il responsabile civile al risarcimento dei danni anche verso l'Ente delle Ferrovie, che agiva quale assicuratore in surrogazione, n� la sentenza in grado d'appello che sul punto ha confermato la prima, non pu� in questa sede annullarsi la suddetta pronuncia a favore dell'Ente ricorrente. Pu�, invece, e deve rilevarsi l'assoluta mancanza, in capo all'odierno ricorrente, del diritto di chiedere l'annullamento (sia pure parziale) della pronuncia di condanna 'degli stessi imputato e responsabile civile al risarcimento dei danni v,erso le altre parti civili, contro le quali non � ammessa la proposizione di alcuna domanda. Invero, la costituzione di parte civile � diretta sempre ed esclusivamente contro fimputato (ed eventualmente contro ii! responsabile civile), ma mai contro altri soggetti, a norma dell'art. 95 cod. proc. pen., che prescrive appunto che della avvenuta costituzione sia data notizia con le forme prescritte all'imputato e al responsabile civile. E ci� a prescindere dal rilievo -che l'Ente delle Ferrovie de1lo Stato non potrebbe mai agire in surroga del dil'itto (spettante � jure proprio � e non gi� � jure ereditario�) dei congiunti della vittima, diversi dalla vedova e dai figli di questa, al risarcimento dei danni subiti per la marte di Manin Marino, danni che non erano coperti dall'assicurazione, in virt� della quale l'Ente medesimo agisce in surrogazione. Si deve, pertanto, concludere per l'inammissribilit� del ricorso dell'Ente delle Ferrovie dello Stato, il quale non ha, in sede penale, titolo per opporsi alle pretese delle altre parti civili verso l'imputato e verso il responsabile civile, pretese che sono state ritenute fondate dai giudici di merito. Dalla dichiarazione d'iiilammissibilit� dei ricorsi discende l'obbligo dei rkorrenti al pagamento delle spese processuali (Jn solido fra loro) e al versamento ,di congrua somma a favore della Cassa delle ammende, nonch� al rimborso delle spese sostenute dalle parti civili resistenti, spese che si pos-. sono liquidare come in dispositivo. I ! lI i l I I I I I ! PARTE SECONDA I I I ij I ~ [: [: fil. l''i: 1: f:fl I llifl !' ~="=,-=,,,,,,,,,,,,,,,,_,,,~--,--_,,,,,,,,,,,,,, ,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,, ,,,,,,,,, ,,,,,,,,,_,_,,, ~,,,,,,,,,,:_~,,~::,J r11111r�ilir1:11r111111111r111r1:B1r111���111111r111�1111 QUESTIONI INTERESSE LEGITTIMO E PROCEDIMENTO* SOMMARIO 1. -La crisi di trasforimazione in atto: daHo Stato sociale altlo Stato postmoderno. 2. -L'interesse legittimo: storia di una genesi ed attualit� di una crisi. 3. -Il procedimento amministrativo: perdurante esigenza di una sua disciplina generale. Procedimento amministrativo ed interesse legittimo. 4. -La giustizia amministrativa riformata: occasioni mancate e prospet� tive. Auspicio conclusivo. 1. -La crisi di trasformazione in atto: dallo Stato sociale allo Stato postmoderno. Nel 1981, in occasione di un convegno intitolato a 50 anni di esperienza giuridica in Italia, Massimo Severo Giannini parl� di una crisi di trasfor� mazione � epocale � della societ� e dello Stato, crisi non solo italiana, ma di dimensioni planetarie, profetizzando, in termini quasi millenaristici, la fine dello Stato nazionale, giunto al termine del suo ciclo vitale e pronto a cedere il passo -dopo un travaglio di guerre e rivoluzioni prossime venture -alla Repubblica Universale (1). Si tratta della crisi che vede la societ� � post-industriale � dello Stato � post-moderno � succedere alla societ� del benessere incubata nello Stato sociale. * L'articolo � tratto dalla relazione presentata da �1. F. Caramazza al convegno sul procedimento amministrativo tenutosi a Taormina-Messina nei giorni 25-26 febb.mio 1988 ed organizzato in occasione della presentazione di �due disegni di legge: 1) disegno di legge presentato dal Presidente del Consiglio dei ministvi il 19 novembre 1987 (Camera dei deputati n. 1913), intitolato �Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi�; 2) disegno di ini:l'Jiativa parlamentare presentato dai deputati Martinazzoli ed altri il 9 luglio 1987 (Camera dei deputati n. 788) intitolato �Delega al Governo per l'emanazione di norme sul processo amministratdvo dinanzi ai Tribunali Amministrativi regionali, al Consiglio di Stato ed al Consiglio di giustizia amministrativa per le regione siciliana, nonch� sul ricorso straordinario al Presidente della Repubblica e. sui ricorsi ammdnistrativi �, Il relativo testo riproduce quello approvato in sede referente dalla I Commissione nella IX legislatura (A. C. 1353-1803-A). (1) M. S. GIANNINI, Diritto Amministrativo, in Cinquanta anni di esperienza giuridica in Italia, Atti del Congresso tenuto a Messina-Taormina, 3/8 novembre 1981, Milano, 363 ss. 2 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Quella crisi venne individuata, neMa stessa sede, da Angelo F:alzea con le seguenti caratteristiche: degradazione della convivenza a mera coeS!�stenza e degenerazione del pluralismo in particolarismo in una 1societ� in cui la confusione dei linguaggi porta all'incomunicabilit� ed il rifiuto del formalismo all'irrazionalit� (2). Giudizio, questo, quanto mai pes1simistico, probabilmente indotto dal clima angoscioso di quei giorni, volgenti nel pieno degli � anni di piombo �. Tentando di descriverla empiriicamente ed in termini meno pessimistici -con quel tanto di pirronismo che deve sempre nutrire il contemporaneo, quale meno favorito deg1i osservatori -potremmo notare come la combinazione dell'ideale politico dello Stato del benessere con un fenomeno economico di crescita vistosa e prolungata, grazie soprattutto a lunghi anni di energia disponibile a basso costo, aibbia pol11:ato alla civilt� consumistica di massa e, subito dopo, alla sua crisi. L'ac�esso di un numero enorme di persone (praticamente tutti) a tutti (o quasi.) i beni artificiali di cons�mo ha paradossalmente sottratto a tutti quei beni naturali che erano considerati una volta fuori commercio perch� res communes omnium: il verde, l'aria pura, il mare limpido (3). Di qui J'awio di una reazione di recupero dei valori profondi della persona umana, in una forma di nuovo umaneS!�mo che vede in ciascun uomo, affrancato dai bisogni materiali e dai rischi, il consapevole membro di una societ� sostanzialmente egualitaria, partecipe dalla sua costruzione e del suo divenire politico ed economico (4). Ci� ha comportato riflessi imponenti sul piano giuridico che sarebbe fuori idi luogo anche solq elencare in questa sede. Limitandoci ad alcUil\� aspetti soltanto si pu� accennare come si vada apprumando l'istituto della :responsabilit� per colpa, man mano soppiantato in progressione da quello della responsabilit� oggettiva per rischio (5). Si accentua la crisi dell'istituto proprietario, inidoneo, da un lato, a garantire la tutela degli interessi diffusi (6) (il cui numero e la cui rilevanza � in crescita costante, nella realt� e nella coscienza sociale) e, dall'altro (2) A. FALZEA, Introduzione generale, in Cinquanta anni di esperienza giuridica in Italia cit., 13 ss. (3) S. RODOT�, Introduzione a Il controllo sociale dell'attivit� privata, Bologna, 1977, 20. (4) G. MANZARI, Avvocatura dello Stato, in Cinquanta anni di esperienza giuridica in Italia cit., 1349 ss. (5) S. RODOT�, Il problema della responsabilit� civile, Milano, 1964; G. ALPA, Teorie e ideologie nella disciplina dell'illecito, in Riv. Trim. dir. e proc. civ., 1977, 811 ss.; P. TRIMARCHI, Rischio e responsabilit� oggettiva, in Atti del Convegno sulla responsabilit� del produttore e la tutela dell'ambiente, 17-18 dicembre 1976; Corte di Appello di New York 8 aprile 1976, Mi.oallef v. Miehle co., in Foro it., 1977, IV, 460 con nota di G. Alpa; Cass. 25 maggio 1964 n. 1270; G. Al:LPA e M. BESSONE, La responsabilit� del produttore, Milano, 1976. (6) S. RoDOT�, Introduzione cit.; R. FEDERICI, Gli interessi diffusi, Padova, 1984; 30. PARTB II, QUESTIONI lato, sempre meno importante, in un mondo economico in cud la vera grande ricchezza � rappresentata da valori -come i titoli azionari (7) -controllati da soggetti non proprietari (8). Nell'dmpresa, infine, a!l valore del momento dinamico dell'attivit�, posto in luce dal diritto commerciale, �si contrappone quello istituzionale della comunit� di lavoro (9), in cui si realizza l'esigenza partecipativa dei membri della nuova societ�. Altrettanto profondi i rivolgimenti nel diritto pubblico -a comin� ciare dal.la revisione della stessa nozione dell'antica netta dicotomia pri� vato-pubb1ico -dove i poteri dello Stato si articolano, ormai, in modo assai diverso da quello elaborato dalla filosofia di Montesquieu e si moltiplicano i soggetti pubblici, e51POnenziali e non, talvolta con confusione di ruoli e di competenze (10) in una situazione in rapido divenire. Per limitarci all'esempio italiano � interessante notare un nuovo ruolo assunto dalle organizzazioni sindacali, che interferisce nell'esercizio dei pubblici poteri e che prova in maniera paradigmatica come l'evoluzione dell'ordinamento in questi ultimi anni abbia portato alla creazione di molte pi� strutture e procedure ibride -fra pubblico, privato e collettivo -di quante non siano le categorie classiche elaborate dalla giuspubblidstica tradizionale. Un tipico connotato di tale categoria di procedure -da taluno definite espressione caratteristica di democrazia consociativa e partecipativa -� l'intervento delle c.d. � parti sociali � nel procedimento di predisposizione del contenuto di atti normativi di vario rango. S questo un sintomo inequivoco di un nuovo tipo di amministrazione pubblica che, abbandonato il classico schema autoritativo provvedimentale, deve ricercare il � consenso � procedendo per accordi, programmi ed indirizzi (11). Cercando �di cogLiere l'essenza della crisi di trasformazione che stiamo vivendo in rapporto alle due paragonabili che l'hanno preceduta con riferimento al bilanciamento dei poteni tradizionali, un dato caratteristico � 11 pendere della bilancia dell'importanza dalla parte del potere giudiziario (12). Non a caso si � parlato da tal.uni di una nuova forma di (7) G. KoLKo, La concentrazione del potere 11elle societ� anonime, in Il diritto privato nella societ� moderna, a cum di S. Rodot�, Bologna, 1971, 355 ss. (8) R. DAHRENDORF, Propriet� e controllo: la scomposizione del capitale, in Il diritto privato ecc., cit., 367 ss. (9) A. CESSARI, Aspetti della crisi del diritto del lavoro, in � Sulla crisi del diritto �, a cura di E. Simonetto, Padova, 1973. (10) A. G. VALDECASAS, La crisis del derecho, in Sulla crisi ecc., cit., 94. (11) A. QUARANTA, Il principio di contrattualit� nell'azione amministrativa e gli accordi procedimentali, normativi e di organizzazione, in Cons. Stato 1987, II, 1198. (12) La prima crisi di passaggio fra � ancien r�gime � e stato liberal-borghese aveva visto privilegiato il legislativo, nell'era delle grandi codificazioni. La seconda crisi di trasformazione, che port� dallo stato liberale a quello sociale, o del benessere, esalt� l'esecutivo: non a caso fra le due guerre fiorirono dittature 4 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Stato, diverso dallo Stato di diritto nella sua concezione classica, e da definirsi come �Stato di giui:iisdizione � (13). L'aumento del rischio di con� flitti e di frizioni tra potere pubblico e cittadino ed una acuita coscienza delle esigenze partecipative inducono, infatti, ad un aumento della � do manda di giustizia � e questo porta alla ricerca di nuovi strumenti atti a garantire la legalit� ,di Ul11a azione amministrativa sempre pi� artico lata, sempre pi� complessa e sempre pi� presente nella vita di ogni giorno. Un bravo cittadino inglese, � stato scritto, avrebbe potuto vivere, fino alla prima guerra mondiale, senza accorgersi dell'esi:stenza di uno Stato se non per i poliziotti e gli uffici postali (14). Inutile illustrare, perch� sotto gli occhi di tutti, � quantum mutata ab illa � sia l'attuale situazione, in Inghilterra come in Italia. Avvento dello Stato �di giustizia� dunque e non certo nel senso della instaurazione cli quel � governo dei giudici � cos� temuto dai primi legisti rivoluzionari francesi, quanto nel senso di espansione� di ogni possibile strumento atto a garantire legalit� sostanziale. Un sintomo significativo di tale linea di tendenza � l'irraggiamento, nel mondo, dell'istituto dell'Ombudsman, da considerare come istituto para-giurisdizionale. g un irraggiamento singolare, paragonabile soltanto a quello del Consiglio di Stato francese nel secolo scorso e che per� ha la caratteristica idi innestarsi in sistemi giuridici divei:isissimi fra foro, alcuni dei quali scarsamente compatibili con l'istituto stesso. L'Ombudsman, quanto meno nella sua originale con~igurazione svedese, si colloca, infatti, orizzontalmente attraverso� i tre poteri tradizionali, derivando la propria legittimazione dal legislativo ed operando attraverso l'adozione di provve dimenti che hanno natura di atti amministrativi ma i cui effetti equivalgono a quelli delle sentenze (15). Ciononostante l'Ombudsman � stato introdotto di recente in pi� ,di novanta ordinamenti giuridici statuali con caratteristi che tra Je pi� diverse tra loro. La seconda linea di tendenza indotta nella societ� contemporanea dalla accresciuta domanda di giustizia � l'aumento dei poteri del giudice, pur nella diversit� dei sistemi giur�.dici. Nei sistemi di common law e, in parti colare, in Inghfil.terra, [a dottr1na delil'ultra vires va affinando un penetrante sistema di giustizia amministrativa che controlla sempre pi� da vkino I fra le peggiori che la storia ricordi. Vedi in proposito I. F. CARAMAZZA, Depenali zation and Decriminalization, fa Crime and criminal Police, a cura di P. David, Angeli, Roma, 1985, 159 ss. (13) M. NIGRO, Il giudice amministrativo oggi, in La riforma del processo J � amministrativo, Milano, 1980, 4-5. (14) A.J.P. TAYLOR, English history, 1914-1945 cit. in H.W.R. Wade, Administra~ tive Law, 5a ed., Clarendon Press, Oxford, 1982, 3. l (15) Cf,r, Atti dell'incontro iJ.i studio in memoria del prof. Arturo Carlo !emolo i su �L'istituzione del difensore civico nell'ordinamento italiano� in Rass. Avv. Sta I to, 1982, II, 49 ss. ~ f f . I PARTB II, QUESTIONI J il corretto esercizio del potere da parte dell'esecutivo (16). Nei paesi di tradizione romanistica, come Francia, Germania, Italia, i giudici appaiono muniti di strumenti sempre pi� incisivi per il controllo di quell'esecutivo che nel primo 800 si voleva sottratto ad ogni sindacato del giudiziario. Infine in molti settori dell'attivit� pubblica" si va diffondendo una procedimentalizzazione retta dalla regola � quasi giudiziale � del giusto procedimento, il che sottolinea ancora una volta l'accresciuta importanza della funzione di giustizia nella nuova societ�. Purtroppo l'utilizzazione dei metodi del giudiziario da parte del potere amministrativo � estranea alla nostra tradizione, erede in questo del sistema francese, nato e cresciuto all'insegna di una rigorosa separazione ini: lliale (17) dovuta alla diffidenza nei confronti del ruolo di retroguardia giocato dagli antichi Parlamenti. Basti ricordare in proposito il divieto -penalmente sanzionato -fatto ai giudici di -mescolarsi agli atti. dell'esecutivo dalle leggi rivoluzionarie del 1790 e del 1793 (18). Ben div.erse la tradizione angfosassone, in cui � una costante la procedura amministrativa quasi judicial, e quella austriaca, caratterizzata da un sottofondo di affinit� tra amministrazione e giurisdizione (19). Non a caso nei progetti di Costituzione elaborati negli assolutismi illuminati e � preLiberali � di 1stampo asburgico i poteri dello Stato venivano bipartiti fra Legislativo ed Esecutivo e quest'ultimo a sua volta fra Amministrativo e Giudiziario, entrambi caratterizzati da una �comune funzione di garanzia di legalit�, anche se con diversi strumenti esercitata {20). 2. � L'interesse legittimo: storia di una genesi e attualit� di una crisi. Passando dal generale al particolare della 'Situazione italiana, vediamo come due delle tre linee �di tendenza ora accennate �stiano evolvendo nel nostro ordinamento con riguardo al processo amministrativo ed al proce� dimento amministrativo. Entrambi sono in attesa di nuove �regole per una migliore tutela di quell'� interesse legittimo� �che nella nostra tradi:llione vi partecipa come protagonista, da quella categoria basilare del nostro d!�� ritto amministrativo che � (21), o quanto meno � stata, perch� sembra si stiano moltiplicando i segni di rimeditazione su di essa. (16) H.W.R. WADE, op. cit., spec. 249-404. (17) G. BERTI, La struttura procedimentale dell'amministrazione pubblica, in Atti dell'incontro di studio �L'azione amministrativa fra garanzia ed efficienza�, Roma 29 marzo 1980, Formez, 1981, 59-60. (18) G. VEDEL, Il controllo giurisdizionale della pubblica amministrazione in Francia, in �Il controllo giurisdizionale della P.A. '" Studi di diritto comparato di A. Piras, Torino, 1971, 84-85. (19) G. BERTI, op. loc. cit. (20) I. F. CARAMAZZA, L'avvocato Regio di Toscana, in L'Avvocatura dello Stato, Roma, 1976, 185 ss. (21) B. SORDI, Giustizia e amministrazione nell'Italia liberale � La formazione della nozione di interesse legittimo, Milano, 1985, 373. 6 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Alcuni anni fa un'autorevole amministrativista diceva che il diritto amministrativo � moribondo (22). Si trattava forse di una progn�si infausta, f:~ premaitura; ma viene da chiede~si se sarebbe altrettanto prematura, oggi, una prognosi mfausta per l'interesse legittimo. La profonda evoluzione subita dal giudimo amministrativo negli u[timi I tre lustri, non poteva, d'altronde lasciare intoccato il suo oggetto, attesa, in generale, la necessaria interrelazione che sempre esiste fra diritto sostantivo e diritto processuale e considerata, dn particolare, fa singolare I vicenda, di tipo simbiotico, che lega storicamente in Italia la categoria giuridica dell'interesse legittimo al giudizio dinanzi al giudice amministrativo (23). La prima affermazione � ovvia: ogni tipo di giudizio � congruente con le rispettive materie giudicabili e non con altre, tanto che la stessa � verit� processuale � � un concetto relativo, correlato alla regola di giudizio applicabile in un certo tipo di processo (24). La seconda poggia sulle vicende storiche ben note (ma maii abbastanza ricordate) che condussero a quella singolarissima -e per tanti versi ambigua -costruzione del giudizio dinanzi al Consiglio di Stato italiano, nato nell'ammini:strazione ed evoluto nella giurisdizione per giud!icare di un interesse legittimo considerato come situazione sostanziale fino alle soglie Idel giudizio, al cui accesso legittimava, per perdere poi in esso tale connotato in quanto la natura cassatoria della pronuncia non riconosceva o disconosceva alcun bene della vita, limitandosi ad annullare -o non annullare -un atto amministrativo. Fu detto a suo tempo che, con l'istituzione della IV sezione del Consiglfo di Stato, una parte della classe dirigente fu chiamata a controllare se stessa .(25): questo in linea con quella tradizione transalpina che riconosceva nel Conseil d'Etat -nato come massima espressione logica di una � amministrazione senza giudice � ed evolutosi in giudice dell'amministrazione (26) -il duplice ruolo di garante dei diritti del cittadino contro gli abusi dell'amministrazione e di protettore delle. prerogative del potere pubblico (27), considerato non solo �parte� da giudicare, ma anche apparato da dirigere e da consigliare (28). (22) S. CASSBSE, Cultura e politica del diritto amministrativo, Bologna, 1971, 5. (23) I. F. CARAMAZ.ZA, La riforma del processo amministrativo, in Atti della Tavola rotonda 19 aprile 1980, in Riv. Amm. 1980. (24) I. F. CARAMAZZA � M. L. GUIDA, La prova nel processo amministrativo, in Rass. Avv. Stato, 1985, Il, 87. (25) L. PICCARDI, Intervento al X Convegno di studi di scienza dell'amministrazione, 1964, Atti, 97. (26) G. VEDEL, op. cit. (27) A. MESTRE, Le Conseit d'Etat, protecteur des pr�rogatives de l'Administration, Parigi, 1974. (28) M. HAURIOU, Principes de droit public, Parigi, 1910, 491. 7 PARTB II, QUESTIONI Alla conseguente ambiguit� del relativo giudizio si aggiunge poi quella ulteriore derivante logicamente da un sindacato di tipo ca:ssatorio non omogeneamente collegato con un previo giudizio � di merito �. In tale ambiguit� di fondo nacque e prosper� l'int�resse legittimo come creatura di laboratorio o pianta di serra che da tale origine fu sempre d'altronde perseguitato, meritando da parte della dottrina le pi� irrispettose qualificazioni: da � inesistente quiddit� � (29) a � criterio inafferrabile ed imponderabile� {30), a� informe creatura� (31), a� diritto soggettivo 1sottosviluppato � (32), a �fantasma� (33), a �oggetto misterioso� (34), a �esclusiva e poco invidiabile peculiarit� del nostro sistema� (35), a �figura mitologica che non si pu� n� comprendere n� discutere� (36), a � pseudo-.concetto di misteriosofia giuridica� (37), per non citarne che alcune in ordine cronologico. Nato come espediente esegetico (38) per superare le aporie del sistema di giustizia creato dalle leggi del 1865 e del 1889 (o piuttosto dalla loro interpretazione) fu teorizzato come situazione giuridica soggettiva sostanziale unitaria sulla scorta del seguente silJogisma: se alla IV Sezione doveva riconoscersi natura giurisdizionale e se l'interesse davanti ad essa fatto valere poteva essere protetto denunciando incompetenza, violazione di legge ed eccesso di ipotere, occorreva allora riconoscere che la riforma del 1889 aveva attribuito natura giuridica a situazioni diverse al tempo stesso dal diritto civile e politico e dall'interesse semplice, materiale, economico (39). L'argomento appare discutibile in s� e comunque condizionato dal postulato della situazione giuridica soggettiva come � prodotto immutabile della ragione� (40). (29) G. D. TIEPOLO, La giustizia amministrativa e il discentramento, in Giustizia amministrativa, III, 1892, 103. (30) V. E. ORLANDO, Contenzioso Amministrativo, in Il Digesto Italiano, voi. VIII, prt. 2a, Torino, 1895-98, 988. (31) G. BERTI, Amministrazione autonoma e giustizia amministrativa nella legislazione unificatrice del 1865: il contributo del deputato Francesco Borgatti, in L'unificazione amministrativa e i suoi protagonisti, a cura di F. Benvenuti e G. Miglio, Milano, 1969, 418. (32) M. S. GIANNINI � A. PIRAS, Giurisdizione amministrativa, in Enciclopedia del diritto, XIX, 281. (33) E. FAZZALARI, Il futuro del processo amministrativo visto da un processualcivilista, Foro amm., 1985, Il, 349. (34) E. FAZZALARI, op. loc. cit. (35) F. LoNGO, Proposta per una riforma del supremo organo regolatore del riparto delle giurisdizioni e delle questioni di attribuzione giurisdizionale, in Studi per il centocinquantenario del Consiglio di Stato, Roma, 1981, III, 1368. (36) M. NIGRO, Ma che cos'� questo interesse legittimo? Interrogativi vecchi e nuovi spunti di riflessione, in Foro it., 1987, V, 470. (37) R. CARBONI, Gli aiuti comunitari fra diritto soggettivo e interesse legittimo, in Diritto comunitario e degli scambi internazionali, 1985, 137. (38) E. GUICCIARDI, Concetti tradizionali e principi ricostruttivi della giustizia amministrativa, in Studi di giustizia amministrativa, Torino, 1967, 8. (39) O. RANELLETTI, cit. in B. Sordi, op. cit. 271-272. (40) L. MENGONI, Diritto e politica nella dottrina giuridica, lustitia, 1974, 337 ss. 8 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Se il diritto fosse una scienza esatta, tale operazione logica potrebbe essere paragonata a quella attuata dagli astronomi quando, dallo studio delle orbite dei pianeti esterni del sistema solare, deducono l'esistenza di un invisibile decimo pianeta e ne misurano massa e orbita. Non essendo per� iil diritto una scienza esatta, l'operazione somiglia di pi� -e specularmente -a quella del manzoniano don Ferrante, morto di quella peste che, non essendo n� accidente n� sostanza, non poteva esistere secondo quanto conosciuto dalla sua filosofia. Pur con tutti~ suoi vizi d'origine, sta per� di fatto che l'interesse legittimo crebbe e si sv.ilupp� al centro di quella elegantissima costruzione giuridica che d.l Consiglio di Stato italiano ha creato in tre quarti di secolo, una costruzione in cui non si sa mai se ammirare di pi� la fantasia nell'escogitare nuove soluzioni (basti ricordare il silenzio e l'atto paritetico), il rigore giuridico nell'argomentarle o il pragmatismo nel raggiungere sostanziali risultati di giustizia attraverso un armamentario normativo rozzo e limitatissimo. � Condizione di vita per l'interesse legittimo in quanto � fiore di serra � era per� il permanere della serra, cio� di quello speciali!ssimo giudizio di cui si � detto e che era, s�, processo di parti, ma in cui una parte � 1 �meno parte d�ll'altra � (41) ed in cui il giudice � anche il �padre spirituale � di quella (42). Un processo, insomma, � datato � e connotato da peculiarissimi dati politologici, sociologici e culturali. Quel processo oggi non esiste pi�: .i vetl.1� della serra sono stati rotti dalla legge istitutiva dei T.A.R. Non si .vuol dire con questo che la I. 1034/71 contenga rivoluzionarie innovazioni normative: essa appare, anzi, rispettosa in larghissima misura delle formule tradizionali. Sul piano normativo-organizzatorio si potrebbe addirittura dire che le ambiguit� e contraddittoriet� del processo amministrativo si sono moltiplicate con la creazione di un doppio grado di giudizio di legittimit� che � in s� un non-senso logico e che ancora meno sensato appare quando si rifletta che con il venir meno delle giunte provinciali ammini� stra:tive e dei ricorsi gerarchici (in conseguenza della non pi� necessaria definitivit� de:M'atto) si � canceUato anche quello schema procedurale preesistente al giudizio il quale poteva apparentarsi strutturalmente ad un giudizio di merito e fondare quindi logicamente un sindacato� di tipo cassatorio (43). (41) L. PICCARDI, Il problema della difesa dello Stato in Giudizio e la soluzione italiana, Riv. dir. pubbl., 1931, 595. (42) E. CANNADA BARTOLI in Atti parlamentari, Camera, I Commissione permanente, Audizioni sullo stato della giustizia amministrativa, seduta 30 ottobre 1984. � (43) G. GRECO, L'accertamento autonomo del rapporto nel giudizio ammini� strativo, Milano 1980, 92 ss. : 9 PARTE II, QUESTIONI La vera innovazione � esplosa invece a livello di realt� sociale. La creazione di una nuova classe di giudici amministrativi, di estrazione diversa da quella tradizionale del Consiglio di Stato e sganciati da: ogni funzione di consulenza, ha fatto s� che nei confronti dell'amministrazione la giurisdizione ammi[1istrativa abbia manifestato, per la prima volta nella sua storia, un netto distacco, cui si aggiunge una nota di dif� fidenza e sospetto ogni qualvolta la questione sottoposta al giudizio ha una particolare rilevanza politica o comunque incide su� fatti politicamente rilevanti (44). La diffusione � sul territorio � dei giudici amministrativi ha reso, poi, cli massa una domanda di giustizia che era prima solo elitaria. La forza delle cose ha imposto quindi al nuovo giudice amministrativo di soddisfare un'esigenza di giustizia sostanziale. La richiesta sempre crescente montante dalla societ� era che egli s,i trasformasse da giudice dell'atto in giudice del rapporto per la conseguibilit� nel processo amministrativo di quel � bene della vi:ta � che dovrebbe pur essere col1!seguibile se � vero che l'interesse legittimo � una situazione sostanziale. Orbene, bench� stretto nelle angustie di una giurisdizione generale di legittimit� che rimane pur sempre una giurisdizione di annullamento, il giudice amministrativo � riuscito a rendere giustizia nel rapporto attrave11so lo strumento cautelare. Il fenomeno � troppo noto perch� vi si debba indugiare; basti ricordare come in buona sostanza il processo amministrativo oggi si risolva con la concessione o il diniego della sospensiva (45). Da un lato ci� pu� essere ricondotto a quella funzione di supplenza cui ogni tipo di giurisdizione � oggi chiamata da un'eccesso di domanda di giustizia. Non occorre, in proposito, ricorrere a raffinate analisi sociologiche per constatare come al giudice italiano tocchi in sorte pagare il prezzo di colpe non sue, l'eccesso di contenzioso essendo dovuto ad una carenza o ad un difetto di funzionamento di quei meccanismi ffa.iologici della societ� e delle istituzioni che dovrebbero ridurre a sparuta eccezione i casi di mancato spontaneo adeguamento dell'essere del fatto al dover essere della norma (46). Chiamato a porre rimedio alla preoccupante forbice che 'si va aprenda tra evolvere della realt� ed evolvere dell'ordinamento, il giudice italiano si � trovato costretto -H pi� delle volte per necessit� e non per scelta protagonistica -ad esercitare una fun:zfone di vera e propr.ia (44) F. PIGA, 15(} anni del Consiglio di Stato, in Atti del Convegno celebrativo del 150� anniversario della istituzione del Consiglio di Stato, Milano, 1983, 391. (45) M. NIGRO, in Atti parlamentari -audizioni cit., seduta 16 ottobre 1984. (46) I. F. CARAMAZZA -M. G. MANGIA, Le misure cautelari nel processo amministrativo, in Rass. Avv. Stato, 1986, II, 87. 10 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO supplenza. La via maestra imboccata � stata quella del ricorso alla mi� sura cautelare: non potendo dare risposta definitiva in tempi ragionevoli, il nostro giudice d� r.i>Sposta provvisoria in tempi giusti, privilegiando l'efficienza rispetto alla meditazione. Questo � vero sia in sede di giudizio civile, dove Fazzalari ha parlato di � settecentizzazione della giustizia � (47) con riferimento all'uso e all'abuso che il pretore fa dell'art. 700 c.p.c. ~ vero, purtroppo, nel processo penale, come annotava malinconicamente Andrioli {48), in cui troppo spesso la vera pena non � quella che segue alla condanna, ma � quella scontata dagli imputati iin sede di custodia preventiva, colpevoli o innocenti che siano. ~ vero, infine, nel processo amministrativo, dove la curva statistica della percentuale di sospMsive si impenna a freccia, divaricandosi da quella, pur montante, dei ricorsi (49). E questo induce a certo non confortanti considerazioni. D'.altro lato, per�, occorre rilevare come nel momento cautelare il giudice amministrativo diventi fiis.iologicamente giudice del rapporto e quindi del bene della vita da riconoscere o da negare. Nella fase di mer.ito, infatti, tradizionalmente, la valutazione dell'interesse sostanziale tutelato ha sempre condizionato solo l'ammissibilit� del giudizio; nelila fase cautelare, invece, dovendo il giudice conoscere della � gravit� e irreparabilit� del pregiudizio >>, la valutazione dell'.interesse sostanziale condiziona anche il merito della decisione: decisione che regola, dunque, il rapporto (50). t'evoluzione della giurisprudenza amministrativa in tema di sospensiva (e in sede di giurisdizione generale di le~ittimit�) nell'ultimo decennio � troppo nota perch� vi si debba indugiare: � stata, infatti, affermata e sistematizzata la sospendibilit� di una serie di atti amministrativi (quali dinieghi di ammissione, atti intermedi di procedimenti, atti negativi di controllo, ecc.) esclusi dalla sospendibilit� secondo le teorie classiche perch� atti negativi. Oltretutto, il giudice amministrativo ha utilizzato con estrema duttilit� lo strumento cautelare piegandolo, per esempio, a fiinii istruttori o mirandolo meglio al fine attraverso l'introduzione di elementi accessori come il termine o la condizione. Si � cos� giunti a (47) E. FAZZALARI, Il futuro del procedimento amministrativo visto da un processualcivilista, cit., 349. (48) V. ANDRIOLI, Relazione, in Atti tavola rotonda romana, 1982, 1688 cit. in M. E. ScHINAIA, Brevi note sul giudizio amministrativo cautelare, in Riv. amm., 1985, I, 591-604. ( 49) I. F. CARAMAZZA -M. G. MANGIA, Le misure cautelari nel processo amministrativo, cit. (SO) E. FOLLIERI, Giudizio cautelare amministrativo e interessi tutelati, Milano, 1981, 46 ss. PARTE II, QUESTIONI 11 soddisfare, in sede di sospensiva, non solo �interessi oppositivi�, ma anche � dnteressi pretensivi � (quanto meno quelli �a soddisfazione preregolata �) {51), restando quindi esclusi, come posizioni sostanziali cono� sdbi1i, soltanto quegli interessi pretensivd per la cui soddisfazione l'Am� ministrazione conservi margini di discrezdonalit� in ordine all'an, al quomodo ed al quando. E ne restano esclusi perch� posizioni sostanziali non sono, non potendo preesistere ad una nascita condizionata da quella variabile indipen� dente che � l'esercizio della discrezionalit� amministrativa (52). Da quanto sopra sembra potersi trarre la conclusione che si accomu� nino sotto la stessa etichetta di interesse legittdmo situazioni assolutamente eterogenee. 1interessi oppositivi e interessi pretensivi a soddisfazione preregolata sembrano infatti presentare tante analogie con i diritti soggettivi da chiedersi se, per caso -e quanto meno in gran parte -diritti sogget� tivi non siano (o non siano divenuti) e se taili non siano stati considerati sin dal 1865 solo per un eccessivo � self-restraint � del giudice ordinario nell'interpretare la legge abolitrice del contenzioso amministrativo, come ci si riserva di dimostrare pi� avanti. Certo, per tale via, il giudice amministrativo sconfina un po' da quel mero � effetto antioipatorio � della pronuncia di merito che dovrebbe avere la decisione cautelare alla luce dell'insegnamento chiovendiano secondo cui il tempo necessario ad avere ragione nel processo non deve tornar� a danno ili chi ha ragione (53). In qualche modo il giuilice amministrativo rimedia con quelle prescrizioni � ordinatorie � o �ad effetto conformativo� (54) che costituiscono idoneo ponte fra le attuali conqui� ste dell'evoluzione giurisprudenziale e le emanande norme di riforma del processo che, sintomaticamente, prevedono una statuizione del giudice pienamente satisfattiva dell'interesse del ricorrente ad eccezione dei (51) E. FOLLIERI, op. loc. cit. (52) S. GIACCHETTI, L'oggetto del giudizio amministrativo in Studi per il cento� cinquantenario cit., III, 1489-1490. (53) G. CHIOVENDA, Nota a Cass. Roma 7 marzo 1921 in Giur. civ. comm. 1921, 362 ss. (54) Fra le pi� tipiche decisioni in tal senso vedasi T.A.R. Toscana 21 giugno 1978 n. 344, in I T .A.R. 1978, I, 349, che recita, in parte qua: � L'accoglimento del ricorso giurisdizionale per vizi di carattere sostanziale non comporta soltanto l'annuUamento dell'atto impugnato, ma altres� l'accertamento della situazione giurJdiea fatta valere dinanzi al giudice amministrativo, ossia in un certo modo la situazione giuridica controversa; pertanto, allorch� l'annullamento dell'atto non sia pienamente satisfattorio della pretesa di ulteriori provvedimenti dell'am� ministrazione, quest'ultima soggiace, nella rinnovazione dell'atto annullato, al vincolo, derivante dal giudicato, di non pregiudicare l'interesse del ricor.rente, nei limiti 1n cui dalla decisione sia stato riconosciuto giuridicamente protetto �. 1.2 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO casi m cui alla p.a. siano attribuiti poteri discrezionali in ordine alle modalit� ed al tempo dell'adozione dell'atto o del comportamento (55). Al fenomeno sopra accennato (e che per� dovrebbe indurre il giudice della cautela amministrativa a motivare anche sul fumus boni juris) si accompagna una nettissima tendenza all'ampliamento delle materie at I tribuite al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva. La legge istitutiva dei T.A.R. segn� l'avvio, con l'attribuzione a detta competenza della materia delle concessioni, cos� intaccando per la prima volta un criterio di ripartizione non pi� basato sulla contrapposizione (o, nella specie, sulla possibile confusione) fra diritto e interesse ilegittimo ma su una distinzione di �blocchi di materie � (56). Sulla stessa via sembra d'altronde essersi posta la Corte di Cassazione (57), in una linea di tendenza. che sembra destinata a privare del suo principale significato quella distinzione di situazioni soggettive che tradizionalmente segna il discrimine fra le due giurisdizioni (58). Il tendenziale aumento dei casi di giurisdizione esclusiva (confermato dalle leggi 28 gennaio 1977 n. 10, 20 marzo 1980 n. 75 e 24 marzo 1981 n. 145) (59) riceve una corposa conferma dal testo dell'ultimo disegno di legge-delega che prevede una estensione della giurisdizione esclusiva alle mater.i.e � connesse e conseguenti � a quelle a tale giurisidizione gi� Iattl'.1ibuite, a1l'espropriazione e all'occupazione di urgenza e alle prestazioni dei pubblici servizi di sanit�, istruzione e assistenza pubbliche (60). Altra conferma viene dal disegno di legge sul procedimento, che riserva ~l:la giurisdizione esclusiva [e controversie in matenia di accordi (61). Ove si ponga mente al fatto che normalmente la, giurisdizione per materie � una �giurisdizione piena� (62), sembra potersi concludere che in via tendenziale attraverso l'evoluzione della giurisprudenza ed an via conclusiva attraverso le riforme legislative in itinere e . che sembrano ormai mature, gran parte delle �Situazioni soggettive sostanziali f.inora qualificate come dnteressi legittimi � avviata a trovare nel processo amministrativo quella soluzione pienamente satisfattiva che il tradizionale giudizio rigorosamente cassatorio non assicurava se non in alcuni casi di degradazione o di affievolimento. (55) Aiit. 1-3.Jll-2 del disegno di legge delega, citato in nota (1). (56) F BENVENUTI, Atti parlamentari cit., seduta del 24 ottobre 1984. (57) M. NIGRo, Atti parlamentari cit., seduta del 16 ottobre 1984. i (58) A. NOCCELLI, Principio di partecipazione e funzione del giudice amministrativo, in Studi per il centocinquantenario cit., III, 1671-1672. ! (59) M. NIGRO, Giustizia Amministrativa, Bologna, 1983, 103. (60) A11t. 1-3-b-3 del disegno di legge delega n. 788 cit. a nota (1). (60) Art. 12 del disegno di legge n. 1913 cit. a nota (1). I I (62) F. MERUSI, Atti parlamentari cit., seduta del 23 ottobre 1984. I PARTE II, QUESTIONI H N� � tale tipo di conclusione potrebbe opporsi il dettato della Costituzione in materia di situazioni soggettive e di riparto di giurisdizioni. A parte l'ovvia considerazione che ogni problema, anche formale, risulterebbe superato con l'ampliamento dell'area della giurisdizione esclusiva (la cui forza espansiva non sembra limitata in modo categorico dal costituente) (63), giova osservare come il compito del legislatore costituzionale sia quello di porre delle norme di principio e non quello di scrivere un dizionario giuridico: i termini ed i concetti usati nella Costituzione del '47 rispecchiano �i dati semantici che la cultura del tempo forniva�� (64); riflettono, quindi, ovviamente. un diritto vivente che era, in tema di interesse legittimo e di processo amministrativo, una intima anche se elegante contraddizione. Sembra sussfatere dunque per l'interprete un largo margine di manovra anche in materia di ridefinizione dei concetti di diritto e di interesse. In realt�, in materia di tutela giurisdizionale e di riparto delle giurisdizioni, Ja voluntas legis del costituente mir� soprattutto (se non soltanto) ad assicurare il massimo di garanzia della giurisdizione per ogni possibile situazione g1uTidica soggettirva rilevante (diritti e interessi legittimi fu l'endiadi ritenuta esaustiva) e nei confronti di �tutti gli atti della p.a. � con esclusione di tutte quelle eccezioni (per categorie di atti e per mezzi di impugnazioni) di cui il precedente regime aveva offerto ricco florilegio (65). 3. -Il procedimento amministrativo: perdurante esigenza di una sua disciplina generale. Procedimento amministrativo e interesse legittimo. Avviate cos� a trovare piena tutela quelle posizioni sostanziali sin qui qualificate come interessi legittimi � opposith'.i � e � pretensivi a soddisfazione pre-regolata � potrebbe sorgere l'astratto problema della -perdurante o meno -opportunit� di una disciplina del procedimento. g (63) F. LoNGO, Proposte per una riforma cit., 1350, nota 22. (64) A. ROMANO, Il giudice amministrativo di fronte alla tutela degli interessi c.d. diffusi, Foro it., 1979, V, 8. (65) Sembra opportuno riportare la dichiarazione formulata in occasione della discussione dell'art. 103 dal Presidente Ruini: � Non occorre che ricordi da quali criteri era stata dettata la disposi:llione. Vi � stata, durante il fascismo, l'abitudine di privare del ricorso giurisdizionale molte categorie di atti dell'autorit� amministrativa lesivi degli interessi e dei diritti dei privati. Ad ogni pi� sospinto veniva una legge e pi� spesso un decreto-legge fascista che diceva: per questi atti non � ammesso alcun ricorso n� davanti ai tribunali n� davanti al Consiglio di Stato. Ci� ha preoccupato la Commissione ed abbiamo di conseguenza stabilito che non si pu� togliere ai cittadini, per segmento di materie e di atti, la garanzia del ricorso giurisdizionale. Nessun dubbio che fin qui tutti noi dell'Assemblea siamo d'accordo � (M. RUINI, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell'Assemblea Costituente, vol. V, Camera dei Deputati, p. 4194). 1.4 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO noto infatti il principio di alternativit� fra procedimento amministrativo e processo giurisdizionale: l'uno serve a compensare la incompletezza delfoltro, perch� quanto migliore � la tutela giurisdizionale, tanto mano � necessaria una discipJ.ina del procedimento, che deve essere invece formalizzato e processualizzato quando la tutela offerta dal giudice � poca e meramente formale (66). La ci.sposta � agevole: la necessit� di introdurre una disciplina del procedimento rimane per un triplice ordine di ragioni, che si cercher� di individuare in ordine crescente di importanza. Il primo � che non tutti gli interessi tradizionalmente qua1if.icati come legittimi riescono a trovare piena tutela in quel nuovo processo amministrativo che evoluzione della giurisprudenza e legislatore della riforma vanno delineando: ne rimangono fuori quelli la cui soddisfazione non pu� prescindere da una scelta amministrativa discrezionale (segnata� mente quelli � pretensivi a soddisfazione non pre-regolata �). In essi rite� niamo non possa ravvisarsi la tutela di alcuna situazione sostanziale perch� quest'ult�IIIla non potr� mai preesi!stere alla opzione amministrativa, prima d'allora fondandosi in capo all'interessato soltanto la pretesa ad un provvedimento legittimo (67). Una tale categoria di interessi appare, per 1a verit�, largamente recessiva attesa l'eclissi dell'Amminis:trazione di stampo provvedimentale, � schiacciata fra l'atto programmatorio e l'atto convenzionale� (68) e la constatazione che anche laddove permanga l'uso di atti puntuali, questi appaiono quasi sempre vincolati, quando non dovuti. Torna alla mente in proposito l'aforisma della discreziona1it� come favola accreditata dall'insufficienza del regime delle prove nel processo amministrativo (69). Al di l� della battuta, va rilevato come il progresso tecnico e tecnologico trasformi sempre di pi� la discrezionalit� amministrativa in discrezionalit� tecnica Ja quale ben consente il sindacato del giudice e che comunque la discrezionalit� amministrativa, laddove rimane, vede normalmente spostato il suo momento di esercizio a monte dell'atto puntuale, nel �diaframma programmatorio dell'atto generale� (70) che si frappone fra quello e la legge. (66) M. NIGRO, Procedimento amministrativo e tutela giurisdizionale contro la pubblica amministrazione (il problema di una legge generale sul procedimento amministrativo), <in Atti dell'incontro di studio 29 marzo 1980 �L'azione ammini� strativa fra garanzia ed efficienza� cit., 28. (67) R. LASCHENA, Profili innovatori della� disciplina del processo amministrativo, in Dir. proc. amm. 1986, 21. ! (68) F. LoNGo, Presentazione del Tema del XXXII congresso di Varenna, in Cons. Stato 1986, II, 1187. ' I (69) G. A.BBAMONTE, Atti parlamentari cit., seduta del 23 ottobre 1984. (70) F..LONGO, Presentazione cit. I ~ f f ~ � �PARTE II, QUESTIONI Per poco che rimanga di tale categoria di interessi, 11 cui soddisfacimento � legato all'esercizio di wi potere discrezionale, appare opportuno tuttavia garantirne un'effettiva tutela in sede di procedimento. Il secondo ordine di ragioni � che si vanno affacciando a!l mondo della tutela giuridica interessi di nuovo tipo, caratterizzati da una natura strumentale e partecipativa, che sollo nel procedimento possono trovare ragion d'essere prima ancora che tutela. Si tratta in priimo luogo degli interessi diffusi e degli interessi collettivi, da intendersi, con formulazione sintetica, come interessi alla � qualit� della vita� (ambiente, salute, ecc.), sino a ieri tutelati dall'ordina: mento in via meramente obbiettiva ed oggi ammessi alla tutela sogget� tiva dinanzi al giudice amministrativo attraverso molteplici aperture giurisprudenziali e normative (de lege lata e de lege ferenda) tralasciando ovviamente in questa sede la massima apertura della tutela diretta offerta dal giudice ovdinario con sentenze famose che gi� hanno fatto dubitare se il discrimine dirittcrinteresse sia ancora la regola di riparto delle giurisdizioni {71). Sar� sufficiente ricordare in proposito la larga ammissione alla tutela ,giurisdizionale di singoli portatori di un interesse diffuso, considerati come titolari di un interesse legittimo sulla scorta di valutazioni differenziali assai concessive {72) e che collocano il nostro trend giurisprudenziale in quella linea battuta dalla giurisprudenza d'oltralpe cosl bene riassunta dal Commissario del Governo Chenot nelle conclUJSioni sull'affare Cicquel: � � � � non � necessario che l'interesse fatto valere sia proprio e speciale del richiedente ... �. Esso deve per� iscriversi in un ambito di interessi che non sia dilatato � ... fino alle dimensioni della collettivit� nazionale � (73). Si ricorder� anche la tendenza di altro fHone giurisprudenziale (e del legislatore) ad ammettere a tutela gli interessi diffusi attraverso strutture di imputazione istituzionalizzate, che consentono di valutare l'interesse diffuso -cos� trasformato in interesse collettivo -come interesse fatto valere da una �formazione sociale� (74). Si noter�, infine, come l'amplissima formulazione dell'art. 10 del disegno di legge sul procedimento sembri consentire l'accesso ad esso cos� (71) F. PIGA, Diritti soggettivi, interessi legittimi, interessi diffusi e tutela giurisdizionale, in Giust. civ., 1980, I, 703. (72) Cons. Stato, IV, 28 agosto 1984, n. 646; adde giurisprudenza citata in F. SCOCA, Modello tradiZionale e trasformazione del processo� amministrativo dopo il primo decennio di attivit� dei T.A.R., in Dir. proc. amm., 1985, 281. (73) C. E. 10 febbraio 1950 cit. in M. Long, P. Weil et G. Braibant, Les grands arr�ts de la jurisprudence administrative, Parigi 1%5, 34. (74) Art. 18 L. 8 luglio 1986, n. 349; Cons. Stato Ajd. Plen. 19 ottobre 1979, n. 24. Vedi in proposito M. NIGRO, Le due facce dell'interesse diffuso: ambiguit� di una formula e mediazioni della giurisprudenza, in Foro It., 1987, V, 7. 16 16 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dei singoli titolari di interesse �diffuso� come degli aggregati esponen ziali legittimati a far valere l'interesse collettivo (75) (quest'ultima � in vece la sola ipotesi prevista dalla legge sul processo). Sembra andarsi delineando, in tal modo, una nuova categoria di inte resse partecipativo non privo di un suo contenuto sostanziale (che vale a differenziarlo da quello del quisque de populo) ma che tale valore esaurisce alle soglie del procedimento (76), in ordine al quale il sindacato giurisdizionale potr� essere invocato al solo fine di garanzia del rispetto delle regole del giusto procedimento. L'interesse sostanziale di ciascun portatore di interesse diffuso ha, infatti, per sua natura, un contenuto indifferente per l'ordinamento in quanto potenzialmente diverso per ciascuno dei titolari. Soltanto una astrazione semplilficatoria di tipo statistico pu� indivi duare nell'Jnteresse diffuso una somma seriale di situazioni individuali analoghe, se non identiche, una somma di � interessi di uguale contenuto, comuni a pi� persone� (77). In realt� se uno � il bene cui un numero indefinito di persone tende, � ipotizzabile una serie infinita di posizioni individuali diverse in ordine alla sua fruizione, s� che l'interesse collet tivo corrisponder� alla sommatoria di tutti gli interessi individuali che costituiscono l'interesse diffuso, interpretati secondo i principi de1la rap presentanza esponenziale con il criterio del comune denominatore (78). Se cos� �, l'interesse considerato rilevante � dunque soltanto quello . partecipativo a che il definitivo assetto di interessi venga deciso in contrad dittorio con tutti gli interlocutori aventi titolo ed a cui dovr� concedersi una correlativa legittimazione processuale per far valere la garanzia del due process of law {79). " (75) Sembra auspicabile in proposito il ripristino del testo proposto dalla Commissione Nigro, pi� chiaro e sintatticamente meglio articolato del testo del disegno governativo. Le due stesure corrono, rispettivamente, come segue: Testo Nigro: � 4. Intervento nel procedimento. Qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici, diffusi, collettivi o privati, al quale possa derivare un pregiudizio dal provvedimento, ha facolt� di intervenire nel procedimento, di proprio iniziativa o su richiesta dell'amministrazione competente '" Testo governativo: � Art. 10 -1. Qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, nonch� i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, hanno facolt� di intervenire nel procedimento qualora ne possa derivare un pregiudizio dal provvedimento�. (76) A. ROMANO, Il giudice amministrativo di fronte al problema della tutela degli interessi c.d. diffusi, in Foro it., 1979, V. 8. (n) R. FEDERICI, Gli interessi diffusi, Padova, 1984, 19. (78) G. SANTANIELLO, La tutela degli interessi diffusi dinanzi al giudice ammi� nistrativo, in Studi per il centocinquantenario cit., III, 1547. . (79) F, LQNGO, op. loc. ult. cit. Contra P. VIRGA, Relazione di sintesi al convegno di Varenna 1986, in Cons. Stato, 1986, II, 1405. 17 PARTE II, QUESTIONI Altra categoria di interessi che va emergendo ed a cui sembra poter riconoscere la stessa natura cli tipo partecipativo sopra indicata � quella degli interessi di enti o organismi pubblici nei confronti di provvedimenti che riguardino settori a cui detti enti ed organismi non siano estranei (80). La natura infraorganizzativa del rapporto sembra infatti accomunare tali situazioni a quelle ora esaminate sotto l'aspetto unificante del giusto procedimento. Il terzo ed ultimo ordine di ragioni attiene al nuovo ruolo del procedimento amministrativo nella realt� di oggi. Esso non � pi�, infatti, come all'origine, concepito in funzione. servente dell'atto che ne costituisce il prodotto (81) n� (o non pi� soltanto) come forma di esercizio dell'autorit� -o sua �epifania � -per garantire il corretto svolgersi della funzione (82), ma costituisce ormai sostanza di organizzazione dell'azione pubblica, non pi� sorretta dal principio cli autorit� ma regolata da quelli di pluralismo, consenso, partecipazione (83). Alla crisi di un principio di legalit� (84) correlato all'esercizio di una pubblica funzione corrisponde infatti l'affermarsi cli un principio consensuale che presiede all'erogazione di pubblici servizi nella nuova societ� ispirata a principi consociativi e partecipativi (85). Di qui gli spazi concessi all'autonomia, al decentramento funzionale, alla partecipazione, in quella che se 1I1on � una generalizzata � fuga nel privato � � per� sicuramente una �fuga dall'autorit�� (86). Nel passaggio dallo stato cli diritto allo stato sociale e da questo a quello postmoderno, l'azione amministrativa si estende fino a penetrare le pi� intime connessioni del tessuto sociale, abbandonando il modulo provvedimental� per adottare quello normoproduttivo (87) (non di rado preceduto dalla contrattazione del contenuto della norma co;n le parti sociali), quello per indirizzi e quello per accordi (88). Orbene, se nell'utilizzazione del primo modulo la partecipazione risponde ad una scelta politica, nell'utilizzazione degli altri due essa risponde, invece, ad una esigenza logica e funzionale, rappresentando il procedimento il luogo in cui si identificano gli .interessi coinvolti, da apprezzare d'intesa con i loro portatori. La tutela procedimentale ad essi accordata costituisce d'altronde (80) F. ScocA, op. loc. cit. (81) A. M. SANDULLI, Il pro�edimento amministrativo, Milano, 1940. (82) F. BENVENUTI, Funzione amministrativa, procedimento, processo, in Riv. Trim. dir. pubbl., 1950, 1. (83) M. NIGRO, Procedimento amministrativo e tutela cit., 21 ss.; G. SANTANIELLO, Il procedimento amministrativo: linee di sviluppo, in Dir. proc. amm., 1985, 496. (84) N. BoBBIO, Giusnaturalismo e positivismo giuridico, Mi1ano, 1972, 119 ss. (85) A. NOCCELLI, op. cit., 1647; G. BERTI, Diritto e Stato: riflessioni sul cambiamento, Padova, 1986, 350 ss. (86) R. FEDERICI, op. cit., 111; A. NOCCELLI, op. cit. 1631 ss. spec. 1654. (87) A. NocCELLI, op. cit., 1644. (88) M. NIGRO, op. ult. cit., 38. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 1.8 legittimazione alla tutela giurisdizionale in quanto la partecipazione al procedimento d� titolo di per s� ad una pretesa al giusto procedimento (89), salva 1sempre naturalmente la pi� piena tutela che possono invocare i titolari di interessi sostanziali -e non meramente partecipativi -eventualmente lesi. Il di!segno di legge governativo sul procedimento presentato dal Presidente del Consiglio dei Ministri il 9 novembre 1987 risponde pienamente a tutte le rappresentate esigenze della nuova societ�, in quanto si discosta dalla linea tradizionale ancora di recente adottata in altri Paesi, abbandonando ogni contemplazione dell'atto amministrativo e dei suoi requisiti ed esaltando il momento partecipativo. La legittimazione alla partecipazione viene infatti individuata nella titolarit� di un �interesse� che dall'atto terminale del procedimento possa venire comunque � pregiudicato �. Formula, come si vede, quanto mai comprensiva, su cui la giurisprudenza e la dottrina prossime venture saranno chiamate ad applicarsi e che sembra comunque individuare una figura di interesse partecipativo distinto dal mero interesse procedimentale tradizionale, identificato nella classica tripartizione del potere di iniziativa, di istanza e di osservazione. Quest'ultimo, infatti, � servente rispetto ad una situazione-base protetta di diritto o di interesse legittimo e la sua lesione in tanto � tutelabile in giustizia in quanto ridondi in lesione di quella (90). L'interesse partecipativo, invece, pur vivendo nel procedimento e per il procedimento (la situazione sostanziale, come si � visto, non � tutelata in quanto tale ma � contemplata come un titolo di legittimazione) consente di invocare la garanzia giurisdizionale per il rispetto del giusto procedimento di legge. 4. � La giustizia amministrativa riformata: occasioni mancate e prospettive. Auspicio conclusivo. Il quadro della giustizia amministrativa che va cos� delineandosi in prospettiva prevede dunque: a) una piena tutela delle situazioni sostanziali sin qui qualificate come diritti soggettivi e �interessi legittimi oppositivi o pretensivi a sod� disfazione preregolata, con riparto di competenza giurisdizionale fra il giudice ordinario e un giudice amministrativo fornito di poteri istruttori, cautelari e decisori atti a garantire il conseguimento del bene dell~ (89) F. LoNGO, op. ult. cit., 1191; M. NIGRO, op. ult. cit., 4041. (90) M. S. GIANNINI, Diritto amministrativo, Milano, 1970, II, 929. PARTE II, QUESTIONI 19 vita ed operante, quanto meno tendenzialmente, in sede di giurisdizione esclusiva (91); b) una indiretta tutela di tutti quegli interessi non contemplati dalJ.'ordinamento come posizioni sostanziali attraveI1So la (possibile) partecipazione ad un procedimento connotato da� caratteristiche giustiziali ed il cui atto termdnale � comunque assoggettato ad un sindacato giurisdizionale di tipo cassatorio affidato al giudice amministrativo a garanzia del rispetto delle regole del giusto procedimento. Mutatis mutandis il quadro appare singolarmente 1somigliante all'as� setto dettato dal legislatore del 1865-1889 letto, naturalmente, in chiave evolutiva. Teoria dei corsi e ricorsi storici messa da parte, � questo un paradosso che dimostra quanto in anticipo sui tempi fossero quelle riforme e quanto restrittiva fosse l'interpretazione a suo tempo fattane. Una interpretazione � liberale � dell'art. 2 della legge abolitrice del contenzioso amministrativo ben avrebbe consentito, infatti, al giudice ordinario italiano -come analoga norma aveva consentito al suo collega belga -di conoscere di � diritti civili � ancorch� direttamente aggrediti da atti amministrativi illegittimi (92) e di interpretare la locuzione � diritti pol.itici � nel senso dei diritti soggettivi pubblici della dottrina tedesca (93). Si sarebbe cosi realizzata una piena tutela di quelli che si qualificherebbero oggi interessi oppositivi e interessi pretensivi a soddisfazione preregolata (o quanto meno di buona parte di essi) restando riservata la tutela degli interessi condizionati dal potere discrezionale della p.a. al procedimento � quasi giudiziale � contemplato dall'art. 3 della legge del 1865, cui la riforma del 1889 doveva poi offrire l'ulteriore garanzia del controllo cassatorio della IV Sezione del Consiglio di Stato. Ma le cose, come si sa, andarono diversamente: prevalse nel giudice ordinario il pi� rigoroso self-restraint, determinato anche dal fatto che giudice dei conflitti fra giurisdizione e amministrazione fu, all'inizio, il Consiglio di Stato (cio� la stessa amministrazione) che procedette, nei primi dodici anni di avvio della riforma, secondo H prevedibile schema riduttivo del �tu hai torto e perci� ti nego il giudice� (94). (91) Cfr. G. BERTI, Momenti della trasformazione delta giustizia amministrativa, Riv. Trim. dir. pubbl., 1972, 1861. (92) Cass. Napoli, 24 febbraio 1876, in Foro it., 1876, I, 202; G. GRECO, L'accer� tamento autonomo del rapporto nel giudizio amministrativo, Milano, 1980, 77. (93) F. BENVENUTI, Giustizia amministrativa, voce della Enciclopedia del Di� ritto, XIX, 600. (94) V. CERULLI IRELLI, Il problema del riparto delle giurisdizioni, Pesaro, 1971, 22 ss. 20 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Prevalse cos� la teoria della insindacabilit� dell'atto amministrativo attaccato �in via diretta e principale � ed il concetto dell'attivit� � jure gestionis � -contrapposta a quella � jure imperii � -come unico possibile oggetto di sindacato del giudice (95). N� le cose cambiarono nel 1'877 con il passaggio dal Consiglio di Stato alla Cassazione romana della funzione di giudice dei conflitti {96). Ne segue la non certo esaltante constatazione che, per tutta tutela giurisdizionale, al nostro concitta~o di cento anni fa veniva consentito di agire in giudizio contro la pubblica ammind.strazione solo quando questa avesse operato nella sua capacit� di diritto privato. Ma per una simile tutela non occorreva certo la iriforma liberale del 1865 e non occorreva addirittura neanche la rivoluzione francese: un qualunque mugnaio di Sans-Souci del secolo precedente avrebbe potuto .trovare a Berlino tutti i giudici che voleva. Non sorprende, quindi, che la riforma del 1889, consistente nella istituzione della IV Sezione del Consiglio di Stato, nata come garanzia oggettiva di legalit� dell'azione amministrativa, da tutelare contro le intromissioni del potere politico -in ordine a cui l'interesse offeso del cittadino costituiva solo �motivo e occasione� ,(97), -sia stata interpretarta ex post cOine creazione di una istanza giurisdizionale. Per forza di cose furono, infatti, portate dinanzi ad essa tutte quelle situazioni soggettive che la dottrina dell'attivit� jure gestionis aveva lasciato orfane di giudice perch� prive della tutela del giudice ordinar: io. Da ci� scaturirono ulteriod conseguenze. La pvima fu l'equiparazione di tutte le situazioni sostanziali rimaste prive di giudice a quegli � interessi coordinati agli interessi generali nei quali vanno a confondersi � (98) che erano stati il fisiologico oggetto del sindacato avuto di mira dal legislatore del 1889 (99). Venivano cos� unificate in un unico contenitore -che doveva pi� tardi assumere l'etichetta di interesse legittimo -situazioni assolutamente eterogenee. La seconda fu la creazione di un processo i.I).adeguato al suo ampliato oggetto m quanto chiamato a conoscere, con i mezzi e le regole (95) B. SORDI, op. cit., 174. (96) M. S. GIANNINI -A. PIRAS, Giurisdizione amministrativa, voce dell'Enciclopedia del Diritto, XIX, 229 ss. spec. 244. (97) S. SPAVENTA, Per l'inaugurazione della IV Sezione del Consiglio di Stato, in La politica della destra, Scritti e discorsi raccolti da B. Croce, Bari, 1910, 456. (98) Relazione dell'Ufficio centrale sul disegno di legge di riforma del 1889 cit. in B. Sordi, op. cit., 199. (99) Illuminante in proposito il discorso pronunziato dal Procuratore Generale della Corte di Cassazione di Roma, De Falco, il 3 gennaio 1884 cit. tn B. Sordi, op. cit., 187, nota 33. l PARTE II, QUESTIONI 21 previsti per le sue originarie limitate funzioni, am::he situazioni sog� gettive che avrebbero richiesto un pi� affinato e ricco istrumentario, sia sotto il profmo cognitorio che sotto quello decisorio. Di qui l'origine della singolare storia del nostro p:rocesso ammini� strativo sino alla crisi attuale, per il cui prossimo definitivo supera� mento sembra doversi trarre favorevole auspicio dalla evoluzione della giurisprudenza edalle innovazioni normative che appaiono ormai mature. All'auspicio ottimistico sia per� consentito accompagnare una punta di preoccupazione. La legislazione amministrativa reca da sempre con s� la bizzarra connotazione di provocare effetti-paradosso. Per non citare che due esempi basti ricordare che lo stesso nascere del diritto amministrativo in Francia fu valutato da Alexis de Tocquev.ille come espressione di dispotismo ed ebbe la funzione, secondo gli storici pi� accreditati, di fornire alla borghesia emergente nuovi manici per megldo usare antiche mannaie (100). Bench� di matrice tanto autoritaria, questo nuovo diritto seppe ben presto esprimere l'effetto-paradosso della areazione di valori di libert�, offrendo agli amministrati d'oltralpe, attraverso la coraggiosa opera del Consiglio di Stato francese, valide garanzie contro il cattivo uso del potere da parte dell'autorit� amministrativa (101). Il fenomeno inverso si verific� per la legge ita1iana abolitrice del contenzioso amministrativo del 1865: una riforma di schietto stampo liberale e progressista che -interpretata nel modo restrittivo che si � visto -non solo non ottenne i risultati sperati, ma fece anzi �retrocedere l'ordinamento del diritto pubblico� (102) e rimpiangere i vecchi Tribunali del contenzioso. Auguriamoci che l'effetto-paradosso non si ripeta per le leggi di riforma i cui disegni sono ora all'esame del Parlamento e che si realizzi invece appieno quello spirito di libert�, di giustizia, di democrazia e di efficienza amministrativa che li ha ispirati. I. F. CARAMAZZA F. SCLAFANI (100) M. S. GIANNINI, Diritto amministrativo, voce dell'Enciclopedia del Diritto, XII, 855. (,101) G. VEDEL, op. cit. (102) S. SPAVENTA, La giustizia nell'amministrazione, in Codice della giustizia amministrativa (per cura dell'avvocato Ranieri Porrini), Firenze, 1900, 29. x,,Jffi! R. .,,.. ,. �' . %. ..,~�-/:. >�=:ef�x=-.r -~ illf - RASSEGNA DI LEGISLAZIONE QUESTIONI DI LEGITTIMIT� COSTifUZIONALE I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI codice civile, art. 158, nella parte in cui non prevede che il decreto di omologazione della separazione consensuale costituisce titolo per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale ai sensi dell'art. 2818 del codice civile. Sentenza 18 febbraio 1988, n. 186, G. U. 24 febbraio 1988, n. 8. codice clvile, art. 291, nella parte in cui non consente l'adozione a persone che abbiano discendenti legittimi o legittimati maggiorenni e consenzienti. Sentenza 19 maggio 1988, n. 557, G. U. 25 maggio 1988, n. 21. codice clvile, art. 2109, nella parte in cui non prevede che la malattia insorta durante il periodo feriale ne sospenda il decorso. Sentenza 30 dicembre 1987, n. 616, G. U. 8 gennaio 1988, n. 1. codice penale, art. 5, nella parte in cui non esclude dall'inescusabilit� dell'ignoranza della legge penale l'ignoranza inevitabile. Sentenza 24 marzo 1988, n. 364, G. U. 30 marzo 1988, n. 13. codice penale, art. 175, primo comma, nella parte in cui prevede che la non menzione nel certificato del casellario guidiziale di condanna a sola pena pecuniaria possa essere ordinata dal giudice quando non sia superiore a un milione, anzich� a somma pari a quella risultante dal ragguaglio della pena detentiva di anni due, a norma dell'art. 135 cod. pen. Sentenza 17 marzo 1988, n. 304, G. U. 23 marzo 1988, n. 12. codice di procedura penale, art. 529, limitatamente alla parte in cui non dispone che l'incarico per la sottoscrizione dei motivi di ricorso, al difensore iscritto nell'albo speciale della Corte di Cassazione, possa essere conferito anche � con lettera raccomandata diretta allo stesso cancelliere "� Sentenza 31 maggio 1988, n. 588, G. U. 8 giugno 1988, n. 23. legge 17 luglio 1890, n. 6072, art. 1, nella parte in cui non prevede che le IPAB regionali e infraregionali possano continuare a sussistere assumendo la personalit� giuridica di diritto privato, qualora abbiano tuttora i requisiti di un'istituzione privata. Sentenza 7 aprile 1988, n. 396, G. U. 13 aprile 1988, n. 15. r.d. 30 ottobre 1930, n. 1731, art. 9. Sentenza 21 gennaio 1988, n. 43, G. U. 27 gennaio 1988, n. 4. 24 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO r.d.I. 12 agosto 1937, n. 1757, art. 2 [conv. in legge 16 giugno 1938, n. 1207] Sentenza 24 marzo 1988, n. 330, G. U. 30 marzo 1988, n. 13. r.d. 25 luglio 1940, n. 1077, art. 265 [nel testo sostituito dall'art. 8 della legge 6 giugno 1973, n. 341], nella part� in cui esclude dal diritto all'assegno alimentare, nella misura prevista dal quarto comma dello stesso articolo, il dipendente del servizio del lotto sospeso cautelarmente a seguito di ordine o di mandato di cattura. Sentenza 7 aprile 1988, n. 405, G. U. 13 aprile 1988, n. 15. d.1.lgt. 21 novembre 1945, n. 722, art. 3 e legge 8 aprile 1952, n. 212, art. 8, nella parte in cui escludono il diritto dell'impiegata �statale coniugata alla corresponsione delle quote di aggiunta di famiglia per figli a carico, nel caso in cui il di lei marito svolga attivit� lavorativa che non dia titolo alla corresponsione di assegni familiari. Sentenza 31 marzo 1988, n. 365, G. U. 6 aprile 1988, n. 14. d.1.1. 21 novembre 1945, n. 722, art. 3, primo comma, nella parte in cui esclude che le quote aggiunte di famiglia spettanti per il coniuge a carico debbano essere corrisposte anche alla moglie lavoratrice alle stesse condizioni previste per il marito lavoratore. Sentenza 30 dicembre 1987, n. 613, G. U. 8 gennaio 1988, n. 1. d.1.1. 21 novembre 1945, n. 722, art. 4, primo comma, nella parte in cui non comprende anche i figli nati da precedente matrimonio dell'altro coniuge che ne sia affidatario. Sentenza 18 febbraio 1988, n. 181, G. U. 24 febbraio 1988, n. 8. d.I.vo 6 maggio 1948, n. 655, art. 3, n. 3, nella parte in cui non prevede l'attri� buzione alla sezione giurisdizionale della Corte dei conti di Palermo, con tutte le facolt� e i poteri relativi, dei giudizi sui ricorsi e sulle istanze in materia di pensioni, assegni o indennit� civili a carico totale o parziale dello Stato, quando il ricorrente, all'atto del ricorso o dell'istanza, abbia la residenza anagrafica in un Comune della regione siciliana e per i giudizi pendenti non sia stata emessa pronuncia interlocutoria presso la competente sezione centrale della Corte dei conti. Sentenza 10 marzo 1988, n. 270, G. U. 16 marzo 1988, n. 11. d.I.vo 6 maggio 1948, n. 655, art. 3, n. 3, nella parte in cui non prevede -negli stessi termini e riferimenti -l'attribuzione alla Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione siciliana dei giudizi sui ricorsi e sulle istanze in materia di pensioni, assegni e indennit� militari e di guerra nonch� di ogni altro giudizio per pensioni, assegni e indennit� a carico totale o parziale dello Stato e degli enti pubblici previsti dalla legge (oltre quelli per i quali gi� la norma dispone), attribuito o attribuibile alla giurisdizione della Corte dei conti. Sentenza 10 marzo 1988, n. 270, G. U. 16 marzo 1988, n. 11. !t! PARTE Il, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE ' 2J legge 11 aprile 1950, n. 130, art. 4, quarto comma [come modificato dal� l'art. 8 della legge 2 aprile 1952, n. 212], nella parte in cui escludei che le quote aggiunte di famiglia, spettanti per i figli a carico, debbano essere corrisposte, in alternativa, anche alla moglie lavoratrice alle stesse condizioni e con gli stessi limiti previsti per il marito lavoratore. Sentenza 30 dicembre 1987, n. 614, G. U. 8 gennaio 1988, n. 1. legge 23 maggio 1950, n. 253, art. 11, primo comma, limitatamente alla parte in cui non prevede la corresponsione al conduttore d'un equo indennizzo da parte del locatore che ottenga il rilascio dell'intero fondo locato per costruirvi case d'abitazione. � Sentenza 14 aprile 1988, n. 437, U. G. 20 aprile 1988, n. 16. legge 8 aprile 1952, n. 212, art. 8, e dJ.lgt. 21 novembre 1945, n. 722, art. 3, nella parte in cui escludono il diritto dell'impiegata statale coniugata alla corresponsione delle quote di aggiunta di famiglia per figli a carico, nel caso in cui il di lei marito svolga attivit� lavorativa che non dia titolo alla corresponsione di assegni familiari. Sentenza 31 marzo 1988, n. 365, G. U. 6 aprile 1988, n. 14. legge prov. aut. di Bolzano 29 marzo 1954, n. 1, art. 30, nella parte in cui non prevede che pure in caso di trasferimento coattivo del maso chiuso, in un procedimento di esecuzione forzata instaurato entro il� termine ivi contemplato, l'assuntore � tenuto a versare alla massa ereditaria, per la divisione suppletoria, l'eccedenza del ricavo dalla vendita o del valore di assegnazione sul prezzo di assunzione, previa deduzione di eventuali spese inerenti all'assunzione e del valore delle migliorie apportate al maso. Sentenza 5 maggio 1988, n. 505, G. U. 11 maggio 1988, n. 19. d. leg. Pres. Reg. Sic. 29 ottobre 1955, n. 6, art. 175, primo comma, nella parte in cui prevede, per le' cause d'incompatibilit� preesistenti all'elezione, la san� zione della nullit� dell'elezione stessa anzich� quella della decadenza dalla carica. Sentenza 3 marzo 1988, n. 235, G. U. 9 marzo 1988, n. 10. d. leg. Pres. Reg. Sic. 29 ottobre 1955, n. 6, art. 175, ultimo comma, nella parte in cui non prevede un procedimento di dichiarazione di decadenza dalla carica conforme ai principi di cui all'art. 7, commi 3-8, della legge 23 aprile 1981, n. 154. Sentenza 3 marzo 1988, n. 235, G. U. 9 marzo 1988, n. 10. legge 12 agosto 1962, n. 1339, art. 1, secondo comma, nella parte in cui non consente l'integrazione al minimo della pensione di riversibilit� erogata dalla Gestione artigiani nei confronti dei titolari di pensione diretta a carico dello Stato allorch�, per l'effetto del cumulo, venga superato il minimo garantito dalla legge. Sentenza 18 febbraio 1988, n. 184, G. U. 24 febbraio 1988, n. 8. Legge 22 novembre 1962, n. 1646, art. 6, secondo comma [cos� come modificato per la differenza di et� (anni venticinque, anzich� venti) per effetto della sen� tenza di questa Corte 15 febbraio 1980, n. 15]. Sentenza 5 maggio 1988, n. 502, G. U. 11 maggio 1988, n. 19. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 26 legge 22 novembre 1962, n. 1646, art. 6, secondo comma, limitatamente alle parole � e la differenza di et� tra i coniugi non superi i venticinque anni �, Sentenza 31 maggio 1988, n. 587, G. U. 8 giugno 1988, n. 23. legge 22 novembre 1962, n. 1646, art. 6, terzo comma (artt. 3 e 29 della Costituzione). Sentenza 14 aprile 1988, n. 439, G. U. 20 aprile 1988, n. 16. legge 22 novembre 1962, n. 1646, art. 7, primo comma, limitatamente alle parole � dall'iscritto anteriormente alla cessazione dal servizio�. Sentenza 10 marzo 1988, n. 268, G. U. 16 marzo 1988, n. 11. legge 22 novembre 1962, n. 1646, art. 7, ultimo comma, nella parte in cui non prevede nei confronti dei fratelli e sorelle inabili e conviventi con l'iscritto agli Istituti di previdenza del Ministero del Tesoro, il consolidamento della pensione di riversibilit� alla morte del genitore del dante causa, al quale spettava per ultimo la pensione, alle condizioni previste dall'art. 87, secondo comma, del t.u. 29 dicembre 1973, n. 1092. Sentenza 7 aprile 1988, n. 397, G. U. 13 aprile 1988, n. 15. legge 9 gennaio 1963, n. 9, art. 1, secondo comma, nella parte in cui non consente l'integrazione al minimo della pensione di vecchiaia erogata dal fondo speciale per i coltivatori diretti, mezzadri e coloni per i titolari di pensione diretta a carico dello Stato, dell'INADEL, della regione siciliana, allorch�, per effetto del cumulo, venga superato il minimo garantito dalla legge. Sentenza 18 febbraio 1988, n. 184, G. U. 24 febbraio 1988, n. 8. legge 7 maggio 1965, n. 459, articolo unico, nella parte in cui non prevede anche i sanitari comunali elencati nell'articolo unico della legge 26 dicembre 1962, n. 1751. Sentenza 7 aprile 1988, n. 398, G. U. 13 aprile 1988, n. 15. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 3, primo comma, nella parte in cui non prevede che �l'assicurazione contro le malattie professionali nell'industria � obbligatoria anche per malattie diverse da quelle comprese nelle tabelle allegate concernenti le dette malattie e da quelle causate da una lavorazione specifica o da un agente patogeno indicato nelle tabelle stesse, purch� si tratti di malattie delle quali sia comunque provata la causa di lavoro �. Sentenza 18 febbraio 1988, n. 179, G. U. 24 febbraio.. 1988, n. 8. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 77, secondo comma, nella parte in cui dispone che, per quanto riguarda il coniuge, debbano ricorrere le condizioni di cui al secondo e terzo comma del n. 1 dell'art. 85 stessa legge. Sentenza 12 maggio 1988, n. 529, G. U. 18 maggio 1988, n. 20. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 134, primo comma, dalla parola � semprech� ,. aUa fine. Sentenza 18 febbraio 1988, n. 179, G. U. 24 febbraio 1988, n. 8. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 135, secondo comma. Sentenza 25 febbraio 1988, n. 206, G. U. 2 marzo 1988, n. 9. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 150, quinto comma, nella parte in cui non prevede che la rendita ivi indicata possa essere concessa anche quando non sia stata corrisposta quella prevista dal primo comma dello stesso articolo, Sflmpre che ricorrano tutte le altre condizioni in esso prescritte. Sentenza 18 febbraio 1988, n. 178, G. U. 24 febbraio 1988, n. 8. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 211, primo comma, nella parte in cui non prevede che l'assicurazione � obbligatoria anche per malattie diverse da quelle comprese nelle tabelle concernenti malattie professionali nell'agricoltura e da quelle causate da una lavorazione specificata o da un agente patogeno indicato nelle tabelle stesse, purch� si tratti di malattie delle quali sia comunque provata la causa di lavoro. Sentenza 18 febbraio 1988, n. 179, G. U. 24 febbraio 1988, n. 8. d.P.R. 30 1iiugno 1965, n. 1124, art. 254, dalla parola � semprech� � alla fine. Sentenza 18 febbrai� 1988, n. 179, G. U. 24 febbraio 1988, n. 8. legge 22 luglio 1966, n. 613, art. 19, secondo comma, nella parte in cui non consente l'integrazione al minimo della pensione di vecchiaia erogata dalla gestione speciale commercianti per i titolari di pensione diretta a carico: dello Stato, delle Ferrovie dello Stato, della Cassa di previdenza degli enti locali e di altri trattamenti a carico dell'assicurazione generale obbligatoria, allorch�, per effetto del cumulo, venga superato il minimo garantito dalla legg�. Sentenza 18 febbraio 1988, n. 184, G. U. 24 febbraio 1988, n. 8. legge 6 aiosto 1967, n. 699, art. 10, settimo comma, limitatamente alle parole �e se la differenza d'et� fra i due coniugi non sia maggiore di anni 20 �. Sentenza 31 maggio 1988, n. 587, G. U. 8 giugno 1988, n. 23. legge 2 aprile 1968, n. 475, art. 17, nella parte in cui non prevede anche per i gestori provvisori di farmacie non di nuova istituzione la regolamentazione del� l'indennit� di avviamento prevista dall'art. 110 del t.u. delle leggi sanitarie approvato con r.d. 27 luglio 1934, n. 1265. Sentenza 24 marzo 1988, n. 333, G. U. 30 marzo 1988, n. 13. legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 8, ultimo comma, nella parte in cui, nell'ultima proposizione, dispone �non spetta ai titolari di altro trattamento di pensione ed�. Sentenza 5 maggio 1988, n. 503, G. U. 11 maggio 1988, n. 19. 28 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.l. 19 giugno 1970, n. 370, art. 8 [conv. in legge 26 luglio 1970, n. 576], nella parte in cui non prevede che i riconoscimenti di servizio ivi previsti operano anche nei confronti di coloro che, per qualsiasi motivo, siano cessati dal servizio nel periodo compreso tra il io luglio i970 e il i0 gennaio i972. Sentenza 7 aprile i988, n. 402, G. U. i3 aprile 1'988, n. i5. legge 20 novembre 1971, n. 1062, art. 9, primo comma, nella parte in cui adopera le parole � deve avvalersi � anzich� le parole � pu� avvalersi �. Sentenza i4 aprile i988, n. 440, G. U. 20 aprile i988i n. i6. legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 4, primo comma, lett. c), nella parte in cui non prevede che le lavoratrici affidatarie in preadozione possano avvalersi della astensione obbligatoria durante i tre mesi successivi all'effettivo ingresso del bambino nella famiglia affidataria. Sentenza 24 marzo i988, n. 332, G. U. 30 marzo i988, n. i3. legge 30 dicembre 1971, n. 1204, artt. 7, primo comma, e 15, nella parte in cui 11on prevedono che il diritto della lavoratrice madre alla astensione facoltativa dal lavoro e alla relativa indennit� spetti altres�, per il primo anno dall'ingresso del bambino nella famiglia affidataria, alla lavoratrice alla quale sia stato affidato provvisoriamente un minore in sensi dell'art. 314/6 cod. civ. � Sent. 24 marzo 1988, n. 332, G. U. 30 marzo 1988, n. i3. legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 12, nella parte in cui non prevede che il diritto della lavoratrice a percepire, nel caso di dimissioni volontarie presentate durante il periodo di divieto di licenziamento stabilito dal precedente art. 2, le indennit� stabilite da disposizioni legislative e contrattuali per il caso di licenziamento, si applichi anche alla lavoratrice affidataria in preadozione che abbia presentato le dimissioni volontarie entro un anno dall'effettivo ingresso del bambino nella famiglia affidataria. Sentenza 24 marzo 1988, n. 332, G. U. 30 marzo 1988, n. 13. legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 17, secondo comma, nella parte in cui non esclude dal computo di sessanta giorni immediatamente antecedenti all'inizio del periodo di astensione obbligatoria dal lavoro, il periodo di assenza di cui la lavoratrice abbia fruito per accudire ai minori affidatile in preadozione. Sentenza 24 marzo 1988, n. 332, G. U. 30 marzo 1988, n. 13. legge provinciale di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 12, primo comma [cosi come sostituito dall'art. 5 della l. prov. Bolzano 22 maggio 1978 n. 23], nella parte in cui, limitatamente all'indennit� d'esproprio da attribuirsi ai terreni agricoli senza attitudine edificatoria, si richiama al giusto prezzo, determinato in modo vincolante dall'uffici~ tecnico provinciale, sulla base dei para~ metri fissati dalla commissione provinciale. Sentenza 12 maggio 1988, n. 530, G. U. 18 maggio 1988, n. 20. PARTl'l II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE dP.R. 26. ottobre 1972, n. 633, art. 58, quarto comma, nella parte in cui non prevede che anche il cessionario del bene, o il committente del servizio pu� beneficiare della conciliazione amministrativa versando all'ufficio finanziario una somma pari ad un sesto del massimo della pena pecuniaria prevista, nel termine di trenta giorni dalla notificazione dell'atto concernente la sanzione. Sentenza 25 febbraio 1988, n. 207, G. U. 2 marzo 1988, n. 9. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 6, 28, 48 e 93, nella parte in cui dispongono che l'Amministrazione delle Poste e delle Telecomunicazioni non � tenuta al risarcimento dei danni, oltre all'indennit� di cui all'art. 28, in caso di perdita o manomissione di raccomandate con le quali siano stati spediti vaglia cam� biari emessi in commutazione di debiti dello Stato. Sentenza 17 marzo 1988, n. 303, G. U. 23 marzo 1988, n. 12. legge prov. di Trento 26 luglio 1973, n. 18, art. 9, terzo comma. Sentenza 30 dicembre 1987, n. 615, G. U. 8 gennaio 1988, n. 1. legge 20 dicembre 1973, n. 831, art. 17, nella parte in cui fa decorrere la dichiarazione dell'idoneit� ad essere ulteriormente valutato ai fini della successiva nomina alle funzioni direttive superiori ed il connesso trattamento economico dal 1� gennaio dell'anno successivo a quello del compimento dell'ottavo anno nella qualifica di magistrato di Cassazione, anzich� dalla data di scadenza dell'ottennio di anzianit�. Sentenza 30 dicembre 1987, n. 612, G. U. 8 gennaio 1988, n. 1. dP.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 14, primo comma, lett. H, nella parte in cui non prevede i professori universitari di ruolo dalla facolt� di riscatto dei servizi prestati in qualit� di lettore di lingua e letteratura italiana presso universit� estere. Sentenza 21 gennaio 1988, n. 44, G. U. 27 gennaio 1988, n. 4. dP.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 81, terzo comma, nella parte in cui -nei casi di impossibilit� a contrarre nuove nozze per l'esistenza di precedente vincolo -non consente, per i matrimoni celebrati entro il 31 dicembre 1975, la deroga. al requisito della differenza di et� tra i coniugi non superiore ai venticinque anni. Sentenza 5 maggio 1988, n. 502, G. U. 11 maggio 1988, n. 19. dP.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 81, terzo comma, limitatamente alle parole �e che la differenza d'et� tra i coniugi non superi i venticinque anni�. Sentenza 31 maggio 1988, n. 587, G. U. 8 giugno 1988, n. 23. d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 82, primo comma, nella parte in cui esclude il diritto alla pensione di riversibilit� degli orfani maggiorenni dei dipendenti statali, in caso di frequenza da parte loro di un corso di studi universitario, per tutta la durata del corso medesimo e, comunque, fino al limite massimo del ventiseiesimo anno di et�. Sentenza 31 marzo 1988, n. 366, G. U. 6 aprile 1988, n. 14. JO RASSEGNA Dm.L'AVVOCATURA DEU.O STATO d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 82, terzo comma, limitatamente alle parole � purch� la domanda di dichiarazione giudiziale di paternit� sia anteriore alla data di morte del dante causa�. Sentenza 7 aprile 1988, n. 403, G. U. 13 aprile 1988, n. 15. d.l. 2 marzo 1974, n. 30, art. 13 [conv. in legge 16 aprile 1974, n. 114] per la parte in cui non prevede un meccanismo di adeguamento del valore monetario ivi indicato. Sentenza 27 aprile 1988, n. 497, G. U. 4 maggio 1988, n. 18. legge 14 giugno 1974, n. 270, art. 1, nella parte in cui non prevede che il valore di riferimento da esso prescelto per la determinazione del canone enfiteutico sia periodicamente aggiornato mediante l'applicazione di coeffi. denti di maggiorazione idonei a mantenerne adeguata con una ragionevole approssimazione, la corrispondenza con la effettiva realt� economica. Sentenza 7 aprile 1988, n. 406, G. U. 13 aprile 1988, n. 15. legge provincia di Bolzano 12 luglio 1975, n. 35, art. 14-bis, nono comma [nel testo inserito dall'art. 12 della legge della provincia di Bolzano 2 luglio 1981, n. 16]. Sentenza 16 giugno 1988, n. 646; G. U. 22 giugno 1988, n. 25. legge reg. Umbria approvata il 9 dicembre 1976 e riapprovata il 20 gen� naio 1977. Sentenza 14 aprile 1988, n. 441, G. U. 20 aprile 1988, n. 16. legge reg. siciliana 18 giugno 1977, n. 42, art. 1. Sentenza 31 marzo 1988, n. 367, G. U. 6 aprile 1988, n. 14. legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 4, nella parte in cui subordina il diritto delle lavoratrici, in possesso dei requisiti per la pensione di vecchiaia, di continuare a prestare la loro opera fino agli stessi limiti di et� previsti per gli uomini da disposizioni legislative, regolamentari e contrattuali, all'esercizio di un'opzione in tal senso, da comunicare al datore di lavoro non oltre la data di maturazione dei predetti requisiti. Sentenza 27 ap�"ile 1988, n. 498, G. U. 4 maggio 1988, n. 18. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 6, nella parte in cui non prevede la successione nel contratto di locazione al conduttore che abbia cessato la convi� venza, a favore del gi� convivente quando vi sia prole naturale. Sentenza 7 aprile 1988, n. 404, G. U. 13 aprile 1988, n. 15. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 6, primo comma, nella parte in cui non prevede tra i successibili nella titolarit� del contratto di locazione, in caso di morte di;l conduttore, il convivente � more uxorio �. Sentenza 7 aprile 1988, n. 404, G. U. 13 aprile 1988, n. 15. .�.� PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE J1 legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 6, terzo comma, nella parte in cui non prevede che il coniuge separato di fatto succeda al conduttore, se tra i due si sia cosi convenuto. Sentenza 7 aprile 1988, n. 404, G. U. 13 aprile 1988, n. 15. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 26, primo comma, lett. c), nella parte in cui non dispone che il canone di locazione degli immobili soggetti alla disciplina dell'edilizia convenzionata non deve con;iunque superare il canone che risulterebbe dall'applicazione delle disposizioni del titolo I, capo I, della medesima legge. Sentenza 11 febbraio 1988, n. 155, G. U. 17 febbraio 1988, n. 7. legge 27 luglio 1987, n. 392, art. 80, primo comma, nella parte in cui dispone � e comunque entro un anno dal mutamento di destinazione '" Sentenza 18 febbraio 1988, n. 185, G. U. 24 febbraio 1988, n. 8. legge 9 agosto 1978, n. 463, art. 13, settimo comma, nella parte in cui, ai fini della immissione in ruolo di insegnanti di scuole secondarie, non equi� para a coloro che hanno conseguito l'abilitazione a seguito della partecipazione ai corsi abilitanti indetti ai sensi dell'art. 5 della legge 6 dicembre 1971 n. 1074, coloro che l'abbiano conseguita per effetto della partecipazione a concorsi a cattedre banditi anteriormente alla entrata in vigore della predetta legge. Sentenza 23 giugno 1988, n. 690, G. U. 29 giugno 1988, n. 26. legge reg. Campania approvata il 26 luglio 1978 e riapprovata il 25 set� tembre 1978, art. 4. Sentenza 14 aprile 1988, n. 441, G. U. 20 aprile 1988, n. 16. legge regionale Sardegna 23 ottobre 1978, n. 62, art. 22, nella parte in cui prevede la decadenza delle deliberazioni dei Comuni, Province, Comunit� montane, organismi comprensoriali e Consorzi, che non siano pubblicate entro dieci giorni dalla loro adozione e per la durata di quindici giorni. Sentenza 19 maggio 1988, n. 556, G. U. 25 maggio 1988, n. 21. legge reg. Puglia approvata il 29 luglio 1978 e riapprovata il 14 febbraio 1979. Sentenza 3 marzo 1988, n. 233, G. U. 9 marzo 1988, n. 10. legge 3 aprile 1979, n. 103, art. 29 (combinato disposto 3� e 4� comma in relazione al primo comma stesso articolo), nella parte in cui consente, a seguito della collocazione dei procuratori capo dello Stato in servizio alla data di entrata in vigore della legge in posizione pi� favorevole rispetto ad avvocati dello Stato comunque gi� in tali ruoli per nomina conseguita a seguito di concorso, la pospozione di questi ultimi ai primi. Sentenza 10 marzo 1988, n. 269, G. U. 16 marzo 1988, n. 11. J2 RASSEGNA DEIJ..'AVVOCATURA DEIJ..O STATO legge reg. Veneto 24 agosto 1979, n. 64, art. 4, nella parte in cui non prevede che il Laboratorio .Provinciale di igiene e profilassi dia avviso dell'inizio delle operazioni d'analisi al responsabile dello scarico affinch� questi possa presenziare, eventualmente con l'assistenza di un consulente tecnico, all'e'secu� zione delle operazioni stesse. Sentenza 27 aprile 1988, n. 469, G. U. 4 maggio 1988, n. 18. legge reg. Umbria approvata il 17 marzo 1980 e riapprovata il 23 aprile 1980, nella parte in cui prevede una erogazione di denaro in favore dei cit� tadini emigrati in occasione della loro partecipazione alle elezioni politiche. Sentenza 26 gennaio 1988, n. 79, G. U. 3 febbraio 1988, n. 5. J legge reg. Veneto, riapprovata il 30 ottobre 1980. Sentenza 24 marzo 1988, n. 329, G. U. 30 marzo 1988, n. 13. legge 23 dicembre 1980, n. 930, art. 6, nella parte in cui prevede per gli idonei di un concorso, bandito in virt� di una precedente legge, che il requisito dell'et� debba essere posseduto alla data della nomina, anzich� alla data stabilita per la presentazione della domanda al concorso cui avevano partecipato. Sentenza 7 aprile 1988, n. 401, G. U. 13 aprile 1988, n. 15. legge reg. Trentino-Alto Adige riapprovata il 29 gennaio 1981� .Sentenza 3 marzo 1988, n. 234, G. U. 9 :tnarzo 1988, n. 10. legge reg. Abruzzo approvata il 23 aprile 1980 e riapprovata il 15 aprile 1981. Sentenza 7 aprile 1988, n. 400, G. U. 13 aprile 1988, n. 15. legge 7 maggio 1981, n. 180, art. 15, primo comma, nella parte in cui con� sente che i provvedimenti di cui allo stesso articolo siano ulteriormente adottati con la procedura indicata nella medesima disposizione. Sentenza 9 marzo 1988, n. 266, G. U. 16 marzo 1988, n. 11. d.1. 28 maggio 1981, n. 255, art. 8 [come modificato dalla legge 24 luglio 1981, n. 391], nella parte in cui non prevede l'estensione ai dipendenti della scuola collocati in quiescenza nel periodo tra il 1� giugno 1977 ed il 1� aprile 1979, dei benefici concessi ai dipendenti cessati dal servizio dopo quest'ultima data. Sentenza 5 maggio 1988, n. 504, G. U. 11 maggio 1988, n. 19. legge reg. Umbria 21 ottobre 1981, n. 69, art. 11, nella parte in cui sancisce che possono ottenere la �presa d'atto � da parte della Regione, corsi liberi a carattere professionale organizzati da scuole ed enti privati o da imprese nell'ambito dei propri programmi �purch� in armonia con le indicazioni della programmazione regionale �. Sentenza 14 aprile 1988, n. 438, G. U. 20 aprile 1988, n. 16. 111r11r1r1a111111:1111&f11111111111111111111111111�rr111111r1 PARTB II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE d.l. 26 novembre 1981, n, 678, art. 1, quarto comma [come conv. in legge 26 gennaio 1982, n. 12], per la parte in cui sottopone ad autorizzazipne del Ministro della sanit�, sentito il Consiglio sanitario nazionale, l'ampliamento delle pi�nte organiche provvisorie delle Unit� sanitarie locali. Sentenza 10 giugno 1988, n. 610, G. U. 15 giugno 1988, n. 24. d.l. 22 dicembre 1981, n. 791, art. 6, secondo comma [cohv. in legge 26 febbraio 1982, n. 54], nella parte in cui non dispone che il termine ivi previsfo per l'esercizio della facolt� di opzione di cui al comma precedente non possa com1,l11que scadere prima che siano trascorsi sei mesi dall'entrata in vigore del decreto-legge medesimo. Sentenza 11 febbraio 1988, n. 156, G. U. 17 febbraio 1988, n. 7. d.l, 22 dicembre 1981, n. 791, art. 6, terzo comma, ultima proposizione [conv. in legge 26 febbraio 1982, n. 54]. Sentenza 11 febbraio 1988, n. 156, G. U. 17 febbraio 1988, n. 7. legge reg. Molise riapprovata il 2 febbraio 1982, art. 36, ultimo comma. Sentenza 10 m~zo 1988, n. 267, G. U. 16 marzo 1988, n. 11. legge reg. Lombardia 8 febbraio 1982, n. 12, art. 26, primo comma,' nella parte in cui non prevede che la richiesta di audizione da parte degli organi rappresentativi degli enti soggetti a controllo e da parte dei rappresentanti delle minoranze debba pervenire agli organi di controllo della Regione in 1,111 termine congruo per consentire l'esercizio della funzione di controllo entro il termine di decadenza previsto dall'art. 59 della legge 10 febbraio 1953, n. 62. Sentenza 16 giugno 1988, n. 645, G. U. 22 giugno 1988, n. 25. legge 3 maggio 1982, n.� 203, art. 17, settimo comma, nella parte in cui estende �il regime dei miglioramenti, delle addizioni e trasformazioni, statuito nel medesimo �art. 17, agli affittuari che, in data anteriore all'entrata in vigore della legge, abbiano eseguito, senza l'osservanza delle procedure prescritte dalla legislazione precedente, opere migliorative, incrementative o trasforma� tive non previste nel contratto o consentite dal concedente. Sntenza 23 giugno 1988, n. 692, G. U. 29 giugno 1988, n. 26. legge 20 maggio 1982, n. 270, art. 31, nella parte in cui non prevede la riserva di posti nei concorsi magistrali, anche per gli insegnanti supplenti nella scuola popolare. Sentenza 7 aprile 1988, n. 399, G. U. 13 aprile 1988, n. 15. legge 20 maggio 1982, n. 270, art. 43, secondo comma, nella parte in cui non prevede l'ammissione agli appositi corsi speciali, organizzati dall'ISEF per il conseguimento del titolo di studio, anche dei docenti di educazione fisica e di attivit� ginnico-sportive delle scuole secondarie pareggiate o legalmente riconosciute, che si trovassero in servizio nell'anno scolastico 1980-81 con almeno tre anni complessivi di anzianit�. Sentenza 18 febbraio 1988, n. 180, G. U. 24 febbraio 1988, n. 8. .,,~~.;��,��u�~.. . � %. .::::::.)=" .��. . . RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 20 ottobre 1982, n. 773, art. 23, primo comma, limitatamente alle parole " o, comunque, non siano stati iscritti ad altra forma cli previdenza obbligatoria in conseguenza di diversa attivit� da loro svolta successivamente al compi� mento del 35� anno cli et� '" Sentenza 31 marzo 1988, n. 368, G. U. 6 aprile 1988, n. 14. legge 4 maggio 1983, :11. 184, artt. 45, secondo comma, e 56, secondo comma, nella parte in cui � previsto il consenso anzich� l'audizione del legale rappresentante del minore. Sentenza 18 febbraio 1988, n. 182, G. U. 24 febbraio 1988, n. 8. iegge 4 maggio 1983, n. 184, art. 79, primo comma, nella parte in cui non consente l'estensione degli effetti della adozione legittimante nei confronti dei minori adottati con adozione ordinaria quando la differenza cli et� fra adot� tanti ed adottato superi i 40 anni. Sentenza 18 febbraio 1988, n. 183, G. U. 24 febbraio 1988, n. 8. d.I. 12 settembre 1983, n. 463, art. 5, quattordicesimo comma [conv. in legge 11 novembre 1983, n. 638], nella parte in cui non prevede una seconda visita medica cli controllo prima della decadenza dal diritto a qualsiasi trattamento economico di malattia nella misura della met� per l'ulteriore periodo successivo ai primi dieci giorni. Sentenza 26 gennaio 1988, n. 78, G. U. 3 febbraio 1988, n. 5. legge 12 giugno 1984, n. 222, art. 3. Sentenza 14 aprile 1988, n. 436, G. U. 20 aprile 1988, n. 16. legge reg. Lombardia 29 novembre 1984, n. 60, art. 36, quarto comma, lett. A, nella parte in cui esclude qualsiasi valutazione dei servizi prestati come dipendente di altri enti pubblici, compreso lo Stato. Sentenza 24 marzo 1988, n. 331, G. U. 30 marzo 1988, n. 13. legge 21 dicembre 1984, n. 867, art. 2, primo comma. Sentenza 19 gennaio 1988, n. 1, G. U. 20 gennaio 1988, n. 3. legge 22 dicembre 1984, n. 892, art. 5. Sentenza 18 febbraio 1988, n. 177, G. U. 24 febbraio 1988, n. 8. legge 17 aprile 1985, n. 141, artt. 1, 3, primo comma, e 6 nella parte in cui, in luogo degli aumenti ivi previsti, non dispongono, a favore dei magistrati ordinari, amministrativi, contabili, militari, nonch� dei procuratori e avvocati dello Stato, collocati a riposo anteriormente al 1� luglio 1983, la riliquidazione, a cura delle Amministrazioni competenti, della pensione sulla base del trat� tamento economico derivante dall'applicazione degli artt. 3 e 4 della legge 6 agosto 1984, n. 425, con decorrenza dalla data del 1� gennaio 1988. Sentenza 5 maggio 1988, n. 501, G. U. 11 maggio 1988, n. 19. PARm Il, RASSEGNA DI LEGISLAZIONB legge 26 marzo 1986, n. 86, art. 5 nella parte in cui non osserva il principio del bilinguismo relativamente al personale del compartimento di Trento, destinato al contingente con competenza anche sulla Provincia di Bolzano. Sentenza 19 maggio 1988, n. 555, G. U. 25 maggio 1988, n. 21. legge prov. aut. di Bolzano approvata il 19 marzo 1986 e riapprovata il 17 ottobre 1986, art. 1, quinto comma, nella parte in cui autorizza la Giunta provinciale, in mancanza di accordo tra le organizzazioni sindacali provinciali pi� rappresentative dei datori e dei prestatori di lavoro, a disciplinare con regolamento la durata dell'apprendistato entro il limite massimo previsto dalla legislazione statale. Sentenza 23 giugno 1988, n. 691, G. U. 29 giugno 1988, n. 26. d.I. 12 gennaio 1988, n. 2, art. 12, primo, secondo e terzo comma. Sentenza 10 marzo 1988, n. 302, G. U. 16 marzo 1988, n. 11. II -QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE codice civile, art. 184, primo comma (artt. 3, 24, primo comma, 29, secondo comma e 42, secondo comma, della Costituzione). Sentenza 17 marzo 1988, n. 311, G. U. 23 marzo 1988, n. 12. codice civile, art. 184, secondo comma (art. 24, primo comma, della Costi� tuzione). Sentenza 17 marzo 1988, n. 311, G. U. 23 marzo 1988, n. 12. codice civile, art. 263, secondo comma (artt. 29 e 30 della Costituzione). Sentenza 30 dicembre 1987, n. 625, G. U. 8 gennaio 1988, n. 1. codice civile, art. 1224, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Sntenza 7 aprile 1988, n. 408, G. U. 20 aprile 1988, n. 16. codice civile, art. 1224, secondo comma (artt. 3, 36, primo comma, 38, secondo comma, 97, 24 e 113 della Costituzione). Sentenza 7 aprile 1988, n. 408, G. U. 20 aprile 1988, n. 16. codice civile, art. 2947, terzo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 31 marzo 1988, n. 372, G. U. 13 aprile 1988, n. 15. disposizioni attuazione codice civile, art. 150 (artt. 3, 36, primo comma, 38, secondo comma, 97, 24 e 113 della Costituzione). Sentenza 7 aprile 1988, n. 408, G. U. 20 aprile 1988, n. 16. J6 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO codice di procedura civile, art. 429, terzo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 7 aprile 1988, n. 408, G. U. 20 aprile 1988, n. 16. codice di procedura civile, art. 429, terzo comma (artt. 3, 36, primo comma, 38, secondo comma, 97, 24 e 113 della Costituzione). Sentenza 7 aprile 1988, n. 408, G. U. 20 aprile 1988, n. 16. codice di procedura civile, art. 437, secondo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 26 gennaio 1988, n. 82, G. U. 10 febbraio 1988, n. 6. codice penale, art. 81, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 17 marzo 1988, n. 312, G. U. 23 marzo 1988, n. 12. codice penale, art. 324 (art. 3, primo comma, della Costituzione). Sentenza 17 marzo 1988, n. 309, G. U. 23 marzo 1988, n. 12. codice penale, art. 649, n. 1 (artt. 2 e 3 della Costituzione). Sentenza 7 aprile 1988, n. 423, G. U. 20 aprile 1988, n. 16. codice di procedura penale, art. 271, quarto comma (artt. 3 e 13 della Costituzione). Sentenza 14 aprile 1988, n. 442, G. U. 4 maggio 1988, n. 18. codice di procedura penale, art. 435, terzo comma (artt. 3 e 25, primo comma, della Costituzione). Sentenza 26 gennaio 1988, n. 80, G. U. 10 febbraio 1988, n. 6. legge 10 luglio 1930, n. 1078, art. 4, primo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 18 febbraio 1988, n. 189, G. U. 24 febbraio 1988, n; 8. r.d. 20 settembre 1934, n. 2011, art. 53 e 80 (art. 23 della Costituzione). Sentenza 5 maggio 1988, n. 507, G. U. 11 maggio 1988, n. 19. r.d.L 2 giugno 1936, n. 1172, art. 1 [conv. in legge 26 dicembre 1936, n. 2439] (art. 3 della Costituzione). Sentenza 5 maggio 1988, n. 509, G. U. 11 maggio 1988, n. 19. legge 10 maggio 1938, n. 745, art. 11 (art. 42, secondo comma, della Costituzione). Sentenza 23 giugno 1988, n. 702, G. U. 29 giugno 1988, n. 26. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE r.dJ. 28 febbraio 1939, n. 334, artt. 23 e 23-ter [conv. in legge 2 giugno 1939, n. 7391 (art. 53 della Costituzione). � Sentenza 25 febbraio 1988, n. 219, G. U. 2 marzo 1988, n. 9. r.d. 25 maggio 1939, n. 1279, art. 47 (art. 42, secondo comma, della Costituzione). Sentenza 23 giugno 1988, n. 702, G. U. 29 giugno 1988, n. 26. legge 23 1118ggio 1950, n. 253, art. 8 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza�23 dicembre 1987, n. 580, G. U. 8 gennaio 1988, n. 1. legge 23 maggio 1950, n. 253, art. 35 (artt. 3, .24, 41, 42 e 113 della Costi� tuzione). Sentenza 23 dicembre �1987, n. 579, G. U. 8 gennaio 1988, n. 1. legge prov. aut. di Bolzano 29 marzo 1954, n. 1, art. 30, nella parte in cui non prevede la rivalutazione monetaria del prezzo di assunzione del maso ai fini del calcolo dell'eccedenza del ricavo dall'alienazione (artt. 3, 42 e 44 della Costituzione). Sentenza 5 maggio 1988, n. 505, G. U. 11 maggio 1988, n. 19. legge 19 gennaio 1955, n. 25, art. 21 (~rtt. 3, 31, 35, 37 e 38 della Costituzione). Sentenza 10 marzo 1988, n. 276, G. U. 16 marzo 1988, n. 11. legge 12 febbraio 1955, n. 77, art. 3, quarto comma (art. 3 della Costituzione). � Sentenza 25 febbraio 1988, n. 208, G. U. 2 marzo 1988, n. 9. legge 12 novembre 1955, n. 1137, art. 26 (artt. 3, 52, 97 e 113 della Costi� tuzione). Sentenza 7 aprile 1988, n. 409, G. U � .20 aprile 1988, n. 16. d.P.R. 19 marzo 1956, n. 303, art. 24 (artt. 3, 25 e 70 della Costituzione). Sentenza 27 aprile 1988, n. 475, G. U. 4 maggio 1988, n. 18. legge 4 dicembre 1956, n. 1404, artt. 8 e 9 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 23 giugno 1988, n. 693, G. U. 29 giugno 1988, n. 26. dJ. 5 maggio 1957, n. 271, artt. 12 e 15 [conv. in legge 2 luglio 1957, n. 474] (art. 53 della Costituzione). Sentenza 25 febbraio 1988, n. 219, G. U. 2 marzo 1988, n. 9. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 87, primo comma e 140, ultlmb comma (artt. 38 e 53 della Costituzione). Sentenza 27 aprile 1988, n. 471, G. U. 4 maggio 1988, n. 18. legge 2 aprile 1958, n. 339, artt. 1 e 14 (artt. 3 e 36 della Costituzione). Sentenza 23 dicembre' 1987, n. 585, G. U. 8 gennaio 1988, n. 1. legge 29 novembre 1962, n. 1655, art. 9, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 31 marzo 1988, n. 371, G. U. 13 aprile 1988, n. 15. legge 27 gennaio 1963, n. 19, art. 6 (artt. 3 e 42, terzo comma, della Costituzione). Sentenza 2 febbraio 1988, n. 126, G. U. 17 febbraio 1988, n. 7. d.P.R. 30 giugno 19651 n. 1124, artt. 10, quinto comma, 11 e 112, quinto comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 31 marzo 1988, ri. 372, G. U. 13 aprile 1988, n. 15. legge 2 aprile 1968, n. 475, art. 17 (artt. 3 23 della Costituzione). Sentenza 24 marzo 1988, n. 333, G. U. 30 marzo 1988, n. 13. legge 2 aprile 1968, n. 482, artt. 1, 11, 16, primo, quarto e ultimo comma (artt. 3, 4, primo comma, 38, terzo e quarto comma, 41, secondo e terzo comma, 97, primo comma, della Costituzione). Sentenza 30 dicembre 1987, n. 622, G. U. 8 gennaio 1988, n. 1. legge provincia di Trento 11 novembre 1968, n. 20, art. 16 (artt. 3, 41, 42, secondo e terzo comma, della Costituzione). Sentenza 16 giugno 1988, n. 648, G. U. 22 giugno 1988, n. 25. legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 19, primo comma, lett. a) (art. 39 della Costituzione). Sentenza 24 marzo 1988, n. 334, G. U. 30 marzo 1988, n. 13. legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 28 (artt. 3 e 39 della Costituzione). Sentenza 24 marzo 1988, n. 334, G. U. 30 marzo 1988, n. 13. legge 20 maggio 1970, n. 300, artt. 31 e 37 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 23 giugno 1988, n. 698, G. U. 29 giugno 1988, n. 26. legge 24 maggio 1970, n. 336, artt. 1, 2, 3, primo, secondo e terzo comma (art. 81, quarto comma, della Costituzione). I Sentenz� 2 febbraio 1988, n. 123, G. U. 11 febbraio 1988, n. 7. I . II PARm II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE J9 legge 24 maggio 1970, _n. 336, art. 4 (artt. 3, 41 e 53 della Costituzione). Sentenza 2 febbraio 1988, n. 123, G. U. 17 febbraio 1988, n. 7. legge 9 ottobre 1971, n. 824 (artt. 3, 41 e 53 della Costituzione). Sentenza 2 febbraio 1988, n. 123, G. U. 17 febbraio 1988, n. 7. legge 9 ottobre 1971, n. 824, art. 6 (artt. 3 e 81, quarto comma della Costi� tuzione). Sentenza 2 febbraio 1988, n. 123, G. U. 17 febbraio 1988, n. 7. legge 9 ottobre 1971, n. 824, art. 6 (art. 81, quarto comma, della Costi� tuzione). Sentenza 2 febbraio 1988, n. 123, G. U. 17 febbraio 1988, n. 7. legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 35, commi ottavo, lett. e) e quattordi� ceslmo (art. 3 della Costituzione). Sentenza 11 febbraio 1988, n. 155, G. U. 17 febbraio 1988, n. 7. legge 29 ottobre 1971, n. 889, artt. 5 e 17 (artt. 3, 36; 38, 42 e 53 della Costituzione). Sentenza 14 aprile 1988, n. 445, G. U. 27 aprile 1988, n. 17. legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 17, terzo e quarto comma (artt. 3, 31, 35, 37 e 38 della . Costituzione). Sentenza 10 marzo 1988, n. 276, G. U. 16 marzo 1988, n. 11. legge provinciale di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 13, secondo comma [come sostituito dall'art. S della I. prov. di Bolzano 22 maggio 1978, n. 23J (11rtt. 3 e 42 della Costituzione). Sentenza 12 maggio 1988, n. 530, G. U. 18 maggio 1988, n. 20. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 41, quarto comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 25 febbraio 1988, n. 207, G. U. 2 marzo 1988, n. 9. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 25, secondo comma, lett. a) (art. 3 della Costituzione). Sentenza 7 aprile 1988, n. 410, G. U. 20 aprile 1988, n. 16. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 648, art. 10 (artt. 76 e 77 della Costituzione). Sentenza 7 aprile 1988, n. 414, G. U. 20 aprile 1988, n. 16. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 649, art. 9 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 19 maggio 1988, n. 568, G. U. 1 giugno 1988, n. ~. 40 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 37 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Sentenza 31 marzo 1988, n. 373, G. U. 13 aprile 1988, n. 15. legge 11 agosto 1973, n. 533, art. 20, primo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 26 gennaio 1988, n. 82, G. U. 10 febbraio 1988, n. 6. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art, 52, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 19 gennaio 1988, n. 3, G. U. 27 gennaio 1988, n. 4. legge 27 dicembre 1973, n. 852, art. 2, primo comma (artt. 3 e 39, primo comma, della Costituzione). Sentenza 24 marzo 1988, n. 334, G. U 30 marzo 1988, n. 13. d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, artt. 3 e 38 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 25 febbraio 1988, n. 220, G. U. 2 marzo 1988, n. 9. d.l. 11 gennaio 1974, n. 1, art. 4, lett. f) [conv. in legge 11 marzo 1974, n. 46] (art. 23 della Costituzione). Sentenza 2 febbraio 1988, n. 127, G. U. 17 febbraio 1988, n. 7. d.P.R. 31 maggio 1974, n. 417, art. 133, primo comma (artt. 3, primo comma, e 97, primo comma, della Costituzione). Sentenza 7 aprile 1988, n. 412, G. U. 20 aprile 1988, n. 16. legge reg. Toscana 20 marzo 1975, n. 22, art. 11 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 10 giugno 1988, n. 622, G. U. 15 giugno 1988, n. 24. d.P.R. 31 marzo 1975, n. 136, art. 8, n. 5 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 7 aprile 1988, n. 419, G. U. 20 aprile 1988, n. 16. legge reg. Lombardia 15 aprile 1975, n. 51, artt. 40, secondo comma, 43, primo, terzo e quarto comma (artt. 3, 24, 42, 101, 113 e 117 della Costituzione). Sentenza 5 maggio 1988, n. 513, G. U. 11 maggio 1988, n. 19. legge 20 maggio 1975, n. 164, art. 3 (artt. 3 e 38 della Costituzione). Sentenza 31 marzo 1988, n. 374, G. U. 13 aprile 1988, n. 15. legge reg. Lazio 3 giugno 1975, n. 42, art. 10 (art. 117 della Costituzione). Sentenza 14 aprile 1988, n. 446, G. U. 27 aprile 1988, n. 17. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE legge 12 luglio 1975, n. 311, art. 2 (artt. 3 e 24, primo e secondo comma, della Costituzione). Sentenza 10 giugno 1988, n. 615, G. U. 15 giugno 1988, n. 24. legge 22 luglio 1975, n. 319, art. 2, terzo comma (artt. 1, 3, 36 e 38 della Costituzione). Sentenza 7 aprile 1988, n. 420, G. U. 20 aprile 1988, n. 16. legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 69, quarto comma, ultima parte (art. 3 della Costituzione). Sentenza 14 aprile 1988, n. 443, G. U. 27 aprile 1988, n. 17. legge 2 dicembre 1975, n. 576, art. 17, ultimo comma (art. 3 della Costi� ti�zione). Sentenza 25 febbraio 1988, n. 209, G. U. 2 marzo 1988, n. 9. legge 2 dicembre 1975, n. 576, art. 28 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Sentenza 31 marzo 1988, n. 375, G. U. 13 aprile 1988, n. 15. d.P.R. 23 dicembre 1975, n. 683, art. 1 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Sentenza 31 marzo 1988, n. 375, G. U. 13 aprile 1988, n. 15. legge 28 gennaio 1977, n. 10, art. 8, primo comma, lett. c) (art. 3 della Costituzione). Sentenza 11 febbraio 1988, n. 155, G. U. 17 febbraio 1988, n. 7. d.l. 1 febbraio 1977, n. 12, artt. 2 e 4 [conv. in legge 31 marzo 1977, n. 91] (art. 39, ultimo comma, della Costituzione). Sentenza 23 giugno 1988, n. 697, G. U. 29 giugno 1988, n. 26. d.P.R. 16 giugno 1977, n. 671, (artt. 76, 117 e 118 della Costituzione). Sentenza 10 giugno 1988, n. 617, G. U. 15 giugno 1988, n. 24. legge 4 agosto 1977, n. 524, art. 2, primo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 26 gennaio 1988, n. 81, G. U. 10 febbraio 1988, n. 6. legge reg. Lazio riapprovata il 5 agosto 1977 (artt. 117 e 128 della Costituzione). Sentenza 19 maggio 1988, n. 562, G. U. 25 maggio 1988, n. 21. legge reg. Piemonte 5 dicembre 1977, n. 56, art. 72, primo comma (artt. 31, 36, 39 e 41 dello statuto regionale e 121 e 123 della Costituzione). Sentenza 19 maggio 1988, n. 567, G. U. 1 giugno 1988, n. 22. 42 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 27 dicembre 1977, n. 968, art. 11, ultimo comma (artt. 95, 97 e 117 della �ostituzione). Sentenza 10 marzo 1988, n. 278, G. U. 16 marzo 1988, n. 11. d.P.R. 6 gennaio 1978, n. 13, (artt. 76, 117 e 118 della Costituzione). Sentenza 10 giugno 1988, n. 617, G. U. 15 giugno 1988, n. 24. legge reg. Toscana 21 febbraio 1978, riapprovata il 26 aprile 1978 (artt. 3, 25, secondo comma, 97 e 117 della Costituzione). Sentenza 14 aprile 1988, n. 447, G. U. 27 aprile 1988, n. 17. legge 13 maggio 1978, n. 180, artt. 2, ultimo comma, 3, primo, terzo, quarto e quinto comma, 4, S, secondo comma, e 8, secondo e terzo comma (art. 20 dello statuto Trentino-Alto Adige). Sentenza 25 febbraio 1988, n. 211, G. U. 2 marzo 1988, n. 9. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. S (artt. 3 e 24, primo comma, della Costituzione). Sentenza 31 marzo 1988, n. 377, G. U. 13 aprile 1988, n. 15. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 26, primo comma, lett. b) (art. 3 della Costituzione). Sentenza 11 febbraio 1988, n. 155, G. U. 17 febbraio 1988, n. 7. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 34, prim~ comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 23 dicembre 1987, n. 576, G. U. 8 gennaio 1988, n. 1. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 59, primo comma, n. 1 (artt. 3, 35 e 41 della Costituzione). Sentenza 23 dicembre 1987, n. 578, G. U. 8 gennaio 1988, n. 1. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 60, primo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 23 dicembre 1987, n. 580, G. U. 8 gennaio 1988, n. 1. dJ. 18 agosto 1978, n. 481, art. 1 quinquies, terzo comma [conv. fn legge 21 ottobre 1978, n. 641] (artt. 8, n. 14, e 68 dello Statuto per il Trentino-Alto Adige). Sentenza 12 maggio 1988, n. 532, G. U. 18 maggio 1988, n. 20. d.l. 18 agosto 1978, n. 481, art. 1 quinquies, quarto comma, lett. b) [conv. in legge 21 ottobre 1978, n. 641] (artt. 8, n. 14, e 68 dello statuto per il TrentinoAlto Adige). Sentenza 12 maggio 1988, n. 532, G. U. 18 maggio 1988, n. 20. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 4J dJ. 18 agosto 1978, n. 4s1, art. 1 quinquies, quarto comma, lett. e) [conv. In legge 21 ottobre 1978, n. 641] (art. 18 cpv. dello statuto per il Trentino e l'Alto Adige). Sentenza 12 maggio 1988, n. 532, G. U. 18 maggio 1988, n. 20. dJ. 18 agosto 1978, n. 481, art. lisexies [conv. In legge 21 ottobre 1978, n. 641] (artt. 8, n. 25, e 78 dello statuto per il Trentino e l'Alto Adige). Sentenza 12 maggio 1988, n. 532, G; U. 18 maggio 1988, n. 20. dJ. 18 agosto 1978, n. 481, art. 1 decies [conv. In legge 21 ottobre 1978, n. 641] (art. 8, n. 25 dello statuto per il Trentino e l'Alto Adige). Sentenza 12 maggio 1988, n. 532, G. U. 18 maggio '1988, n. 20. d.l. 26 settembre 1978, n. 576, art. 2, primo comma [conv. In legge 24 novembre 1978, n. 738] (artt. 3 e 41 della Costituzione). Sentenza 11 febbraio 1988, n. 159, G. U. 24 febbraio 1988, n. 8. legge prov. aut. di Trento 18 novembre 1978, n. 47, art. 3 (artt. 8 e 9 statuto spec. Trentino-Alto Adige e art. 24 della Costituzione). Sentenza 23 giugno 1988, n. 699, G. U. 29 giugno 1988; n. 26. legge reg. Piemonte 22 novembre 1978, n. 69, art. 3, ultimo comma (art. 128 della Costituzione). Sentenza 27 aprile 1988, n. 499, G. U. 11 maggio 1988, n. 19. legge 21 dicembre 1978, n. 861, art. 3 (art. 43 statuto reg. siciliana e art. 1, cpv., d.P.R. 9 aprile 1956, n. 1111). Sentenza 14 aprile 1988, n. 451, G. U. 27 aprile 1988, n. 17. legge 23 dicembre 1978, n. 833, art. 52 (artt. 4, lett. h) e i), 6, 7 e 13 dello statuto speciale reg. Sardegna). Sentenza 25 febbraio 1988, n. 212, G. U. 2 marzo 1988, n. 9. legge reg. Sicilia 27 dicembre 1978, n. 71, art. 48 (artt. 3, 41 e 101 della Costituzione e 14 statuto spec. reg. Sicilia). Sentenza 10 giugno 1988, n. 623, G. U. 15 giugno 1988, n. 24. legge 11 gennaio 1979, n. 12, art. 40 (artt. 3, primo comma, 4 e 35 della Costituzione). Sentenza 5 maggio 1988, n. 508, G. U. 11 maggio 1988, n. 19. legge reg. liguria 10 aprile 1979, n. 12, art. 11 (artt. 5, 117 e 128 della Costi� tuzione). . Sentenza 25 febbraio 1988, n. 221, G. U. 2 marzo 1988, n. 9. 44 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge reg. Umbria 11 maggio 1979, n. 20 (artt. 41, secondo e terzo comma, 97, 42, �secondo comma, 24 e 113 della Costituzione). Sentenza 19 maggio 1988, n. 572, G. U. 1 giugno 1988, n. 22. legge reg. Sardegna 5 . luglio 1979, n. 59, artt. 4 e 5 (art. 27 dello statuto regionale). Sentenza 19 maggio 1988, n. 569, G. U. 1 giugno 1988, n. 22. legge 21 febbraio 1980, n. 28, art. 5 (artt. 3 e 97 della Costituzione). Sentenza 30 dicembre 1987, n. 620, G. U. 8 gennaio 1988, n. 1. legge 2 aprile 1980, n. 127, art. 3, sesto e settimo comma (art. 38, secondo comma, della Costituzione). Sentenza 30 dicembre 1987, n. 624, G. U. 8 gennaio 1988, n. 1. legge 11 luglio 1980, n. 312, artt. 46, 51, primo, secondo e quinto comma, 152 e 160 (artt. 3, pimo comma, 36, primo comma, 38, secondo comma, e 97, primo comma, della Costituzione). Sentenza 30 dicembre 1987, n. 618, G. U. 8 gennaio 1988, n. 1. d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 36 (artt. 76 e 77 della Costituzione). Sentenza 31 marzo 1988, n. 376, G. U. 13 aprile 1988, n. 15. d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, artt. 36 e 119 (artt. 36, 76 e 77 della Costituzione). Sentenza 31 marzo 1988, n. 376, G. U. 13 aprile 1988, n. 15. d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 51 secondo comma (artt. 76, 3, 97 della Costituzione). Sentenza 30 dicembre 1987, n. 620, G. U. 8 gennaio 1988, n. 1. d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 59, secondo comma (artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione). Sentenza 17 marzo 1988, n. 310, G. U. 23 marzo 1988, n. 12. d.P.R. 31 luglio 1980, n. 613, art. 11, terzo comma (artt. 3, terzo comma, 8, n. 29, 9, n. 10, 16 e 19 dello statuto Trentino-Alto Adige). Sentenza 25 febbraio 1988, n. 213, G. U. 2 marzo 1988, n. 9. d.P.R. 31 luglio 1980, n. 614, art. 5 (artt. 3, terzo comma, 8, nn. 1 e 21, 9 n. 10 e 16 dello statuto Trentino-Alto Adige e art. 76 della Costituzione). Sentenza 25 febbraio 1988, n. 214, G. U. 2 marzo 1988, n. 9. legge reg. Campania 17 marzo 1981, n. 12, artt. 3 e 10 e tabella C allegata (artt. 3, 36, 97 e 117 della Costituzione). Sentenza 10 giugno 1988, n. 624, G. U. 15 giugno 1988, n. 24. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONB 4J legge reg. Campania 17 m�rzo 1981, n. 12, art. 47 (artt. 3, 36 e 97 della Costitwfone). Sentenza 10 giugno 1988, n. 624, G. U. 15 giugno 1988, n. 24. legge reg. Campania 17 marzo 1981, n. 12, art. 51 (artt. 3, 36, 38, 97 e 117 della Costituzione). Sentenza 10 giugno 1988, n. 624, G. U. 15 giugno 1988, n. 24. legge 30 marzo 1981, n. 113, art. 1, secondo comma e artt. da 2 a 15 (artt. 5 e 116 della Costiuzione, 14, lett. A, G, M, O, e P dello statuto reg. Sicilia e 8, nn. 1, 17, 21, e 25 dello statuto reg. Trentino). � Sentenza 10 giugno 1988, n. 632, G. U. 15 giugno 1988, n. 24. legge 5 agosto 1981, n. 441, (art. 4, n. 6, statuto speciale reg. Friuli-Venezia Giulia). Sentenza 27 aprile 1988, n. 472, G. U. 4 maggio 1988, n. 18. legge reg. Umbria 21 ottobre 1981, n. 69, artt. 7, 8, 9 e 11 (artt. 33, terzo e quarto comma, e 117, primo comma, della Costituzione). Sentenza 14 aprile 1988, n. 438, G. U. 20 aprile 1988, n. 16. dl. 26 novembre 1981, n. 678, art. 1, primo comma [conv. in legge 26 gennaio 1982, n. 12] (artt. 117, 118 e 119 della Costituzione). Sentenza 10 .giugno 1988, n. 610, G. U. 15 giugno 1988, n. 24. dl. 22 dicembre 1981, n. 791, art. 6, primo comma, ultima parte [conv. In legge 26 febbraio 1982, n. 54] (artt. 3, primo e secondo ,comma, e 38, secondo comma, della Costituzione). Sentenza 23 giugno 1988, n. 700, G. U. 29 giugno 1988, n. 26. dl. 22 dicembre 1981, n. 791, art. 6, quinto comma [conv. in legge 26 febbraio 1982, n. 54] (artt. 3 e 38. della Costituzi�ne). Sentenza 11 febbraio 1988, n. 156, G. U. 17 febbraio 1988, n. 7. legge 22 dicembre 1981, n. 797, art. 25 (artt. 3 e 6 della Costituzione e 2, 89 e 100 dello statuto spec. Trentino-Alto Adige). Sentenza 19 maggio 1988, n. 570, G. U. 1 giugno 1988, n. 22. legge reg. Abruzzo riapprovata il 23 dicembre 198l (artt. 3, 97 e 117 della Costituzione). Sentenza 11 febbraio 1988, n. 158, G. U. 24 febbraio 1988, n. 8. legge reg. Abruzzo riapprovata il 23 dicembre 1981 (art. 128 della Costituzione). Sentenza 11 febbraio 1988, n. 158, G. U 24 febbraio 1988, n. 8. 46 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 26 aprile 1982, n. 181, art. 13, <.:.uarto comma (artt. 130, 117 e 123, primo comma della Costituzione). Sentenza 10 giugno 1988, n. 612, G. U. 15 giugno 1988, n. 24. legge 29 aprile 1982, n. 187, art. 1 (artt' 117, 118 e 128 della Costituzione). Sentenza 12 maggio 1988, n. 533, G. U. 18 maggio 1988, n. 20. legge 29 maggio 1982, n. 297, art. 5, secondo e terzo comma (artt. 3 e 36 della Costituzione). Sentenza 26 gennaio 1988, n. 83, G. U. 10 febbraio 1988, n. 6. d.P.R. 8 giugno 1982, n. 470 in toto, e artt. 3, 4, 5, 6 e 9 e allegati n. 1 e n. 2 (artt. 8, nn. 6 e 24, 9, nn.. 9 e 10, 16 e 107 dello statuto spec. Trentino-Alto .Adige e 76 della Costituzione). Sentenza 17 marzo 1988, n. 305, G. U. 23 marzo 1988, n. 12. legge reg. Friuli-Venezia Giulia riapprovata il 15 giugno 1982 (art. 117 della Costituzione, art. 5 dello statuto speciale per la regione Friuli-Venezia Giulia). Sentenza 10 marzo 1988, n. 271, G. U. 16 marzo 1988, n. 11. d.P.R. 3 luglio 1982, n. 515 in toto, e artt. 2, .3, 8, secondo. comma, e 9 (artt. 8, nn. 6, 17 e 24, 9, nn. 9 e 10, 14, 16 e 107 dello stattuo spec. Trentino-Alto Adige e 76 della Costituzione). Sentenza 17 marzo 1988, n. 306, G. U. 23 marzo 1988, n. 12. d.l. 10 luglio 1982, n. 429, art. 26 [conv. in legge 7 agosto 1982, n. 516] (artt. 3, 23, 53 e 97 della Costituzione). Sentenza 19 maggio 1988, n. 575, G. U. 1 giugno 1988, n. 22. legge 7 agosto 1982, n. 516, art. 29 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 25 febbraio 1988, n. 207, G. U. 2 marzo 1988, n. 9. legge 7 agosto 1982, n. 51'6, art. 29 (art. 27 della Costituzione). Sentenza 25 febbraio 1988, n. 207, G. U. 2 marzo 1988, n. 9. d.P.R. 23 agosto 1982, n. 791, art. 1 secondo comma, nn. 6, 9 e 10 (artt. 117, 125, 127 e 130 della Costituzione). Sentenza 10 marzo 1988, n. 272, G. U. 16 marzo 1988, n. 11. legge reg. Piemonte 27 agosto 1982, n. 22, art. 3, secondo comma (artt. 41, e 117 della Costituzione). Sentenza 14 aprile 1988, n. 446, G. U. 27 aprile 1988, n. 17. PARTB II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 47 legge 6 ottobre 1982, n. 752, artt. 3, quinto, sesto, settimo e ottavo comma; 4, terzo comma: 5, 6, 7, 9, quarto, quinto e sesto comma: 12, sesto comma: 14, primo e quinto comma: 15, primo e secondo comma: 20 (artt. 8, nn. 5, 6, 14, 17 e 19; 9, nn. 3 e 8; 15, 16 e 78 dello statuto spec. Trentino-Alto Adige). Sentenza 10 giugno 1988, n. 633, G. U. 15 giugno 1988, n. 24. legge 20 ottobre 1982, n. 773, art. 2, primo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 31 marzo 1988, n. 368, G. U. 6 aprile 1988, n. 14. legge 11 novembre 1982, n. 861 (artt. 89, primo e terzo comma, 99 e 100 dello � statuto spec. Trentino-Alto Adige). Sentenza 19 maggio 1988, n. 570, G. U. 1 giugno 1988, n. 22. d.1. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 10 [conv. in legge 25 marzo 1983, n. 79] (artt. 36 e 38 della Costituzione). Sentenza 12 maggio 1988, n. 531, G. U. 18 maggio 1988, n. 20. legge reg. Lombardia n. 92-ter, art. unico, nn. 1, 3 e 4 riapprovata il 24 febbraio 1983 (artt. 117 e 97 della Costituzione). Sentenza 10 marzo 1988, n. 273, G. U. 16 marzo 1988, n. lL dJ. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 20, quinto comma [conv. in legge. 26 apri� le 1983, n. 131] (artt. 3 e 53 della Costituzione). Sentenza 19 maggio 1988. n. 574, G. U. 1 giugno 1988, n. 22. legge 26 aprile 1983, n. 131, art. 30-bis (artt. 3 e 81, quarto comma, della . Costituzione). Sentenza 2 febbraio 1988, n. 123, G. U. 17 febbraio 1988, n. 7. legge 26 aprile 1983, n. 131, art. 30-bis (artt. 5, 114 e 128 della Costituzione). Sentenza 2 febbraio 1988, n. 123, G. U. 17 febbraio 1988, n. 7. legge 26 aprile 1983, n. 131, art. 30-bis (art. 81, quarto comma, della Costituzione). I Sentenza 2 febbraio 1988, Ii. 123, G. U. 17 febbraio 1988, n. 7. legge 26 aprile 1983, n. 131, art. 30-bis (art. 136 della Costituzione). Sentenza 2 febbraio 1988, n. 123, G. U. 17 febbraio 1988, n. 7. legge 26 aprile 1983, n. 131, art. 30-ter (artt. 3, 38, primo e secondo comma e 81, quarto comma, della Costituzione). Sentenza 2 febbraio 1988, n. 123, G. U. 17 febbraio 1988, n. 7. legge 4 maggio 1983, n. 184, art. 76 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 18 febbraio 1988, n. 190, G. U. 24 febbraio 1988, n. 8. 48 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEU.O STATO d.I. 12 settembre 1983, n. 463, art. 6, terzo comma [conv in legge 11 novem� bre 1983, n. 638] (artt. 3 e 38 della Costituzione). Sentenza 18 febbraio 1988, n. 184, G. U. 24 febbraio 1988, n. 8. legge reg. Puglia 27 febbraio 1984, n. 10, art. 32 (artt. 3 e 117 della Costi� tuzione). Sentenza 10 marzo 1988, n. 279, G. U. 16 marzo 1988, n. 11. legge provincia di Trento, approvata in seconda lettura il 2 maggio 1984 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 19 maggio 1988, n. 563, G. U. 25 maggio 1988, n. 21. legge 9 maggio 1984, n. 118 (artt. 3, 41 e 53 della Costituzione). Sentenza 2 febbraio 1988, n. 123, G. U. 17 febbraio 1988, n. 7. legge 9 maggio 1984, n. 118 (artt. 101, secondo comma e 104, primo comma, della Costituzione). Sentenza 2 febbraio 1988, n. 123, G. U. 17 febbraio 1988, n. 7. legge 12 giugno 1984, n. 222, art. 1, quarto comma (artt. 3, 29, 30, 31 e 38 della Costituzione). Sentenza 10 giugno 1988, n. 644, G. U. 15 giugno 1988, n. 24. legge 15 giugno 1984, n. 246, art. 3, terzo e sesto comma (artt. 8, nn. 14 e 17, 9, n. S, e 16 dello statuto spec. per il Trentino-Alto Adige). Sentenza 10 giugno 1988, n. 633, G. U. 15 giugno 1988, n. 24. legge 15 giugno 1984, n. 246, artt. 3, terzo e sesto comma, 6, primo, quinto e sesto comma, e 7 (artt. 8, nn. 5, 6, 14, 17 e 19; 9, nn. 3 e 8, 15 16 e 78 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige). Sentenza 10 giugno 1988, n. 633, G. U. 15 giugno 1988, n. 24. legge 6 agosto 1984, n. 425, art. 1, secondo comma (artt. 3, 36, 70, 97 e 107, terzo comma, della Costituzione). Sentenza 7 aprile 1988, n. 413, G. U. 20 aprile 1988, n. 16. legge 6 agosto 1984, n. 425, art. 10, secondo comma (artt. 24, 25, 101, 102, 103 e 113 della Costituzione). Sentenza 7 aprile 1988, n. 413, G. U. 20 aprile 1988, n. 16. legge reg. Lombardia 29 novembre 1984, n. 60, art. 35, primo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 24 marzo 1988, n. 331, G. U. 30 marzo 1988, n. 13. PARTB II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE legge reg. Lombardia 29 novembre 1984, n. 60, art. 35, primo e secondo comma (artt.. 3, 51, 97 e 113 della Costituzione). Sentenza 24 marzo 1988, n. 331, G. U. 30 marzo 1988, n. 13. legge reg. Lombardia 29 novembre 1984, n. 60, art. 36, quarto comma (artt. 3, 51, 97 e 117 della Costituzione). Sentenza 24 marzo 1988, n. 331, G. U. 30 marzo 1988, n. 13. legge reg. Lombardia 29 novembre 1984, n. 60, art. 47, primo comma (art. 81, quarto comma, della Costituzione). Sentenza 24 marzo 1988, n. 331, G. U. 30 marzo 1988, n. 13. legge 22 dicembre 1984, n. 892, artt. 1, 2, 3, 4 e 6 (artt. 9, n. 10, e 16 dello statuto speciale reg. Trentino-Alto Adige). S~ntenza 18 febbraio 1988, n. 177, G. U. 24 febbraio 1988, n. 8. legge 22 dicembre 1984, n. 892, artt. 1, 2, 3 e 6 (art. 100 dello statuto spec. reg. Trentino-Alto Adige). Sentenza 18 febbraio 1988, n. 177, G. U. 24 febbraio 1988, n. 8. legge 22 dicembre 1984, n. 892, artt. 3 e 6 (artt. 9, n. 10, e 16 dello statuto spec. reg. Trentino-Alto Adige). Sentenza 18 febbraio 1988, Ii. 177, G. U. 24 febbraio 1988, n. 8. d.l. 25 gennaio 1985, n. 8, art. 6 [conv. in legge 27 marzo 1985, n. 103] (artt. 3, 101 e 104, primo comma, della Costituzione) . . Sentenza 19 gennaio 1988, n. 6, G. U. 27 gennaio 1988, n. 4. legge 28 febbraio 1985, n. 47, art. 22 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 31 marzo 1988, n. 370, G. U. 13 aprile 1988, n. 15. legge 28 febbraio 1985, n. 47, art. 22 (artt. 101, 32, 2 e 3 della Costituzione). Sentenza 31 marzo 1988, n: 370, G. U. 13 aprile 1988, n. 15. legge 28 febbraio 1985, n. 47 art. 22 (art. 112 della Costituzione). Sentenza 31 marzo 1988, n. 370, G. U. 13 aprile 1988, n. 15. legge 28 febbraio 1985, n. 47, artt. 31, 34, 38 (art. 3 d�lla Costituzione). Sentenza 31 marzo 1988, n. 369, G. U. 13 aprile 1988, n. 15. legge 28 febbraio 1985, n. 47, artt. 31, 35, 38 (artt. 25, primo comma, 101, secondo comma, e 79 della Costituzione). Sentenza 31 marzo 1988, n. 369, G. U. 13 aprile 1988, n. 15. fO RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 28 febbraio 1985, n. 47, artt. 31, 35, 38, 39 e 44 (artt. 3, 25, primo comma, 79 e 101, secondo comma, della Costituzione). Sentenza 31 marzo 1988, n. 369, G. U. 13 aprile 1988, n. 15. legge 28 febbraio 1985, n. 47, artt. 35, 38, 43 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 31 marzo 1988, n. 369, G. U. 13 aprile 1988, n. 15. legge 28 febbraio 19S5, n. 47, art. 38, primo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 31 marzo 1988, n. 369, G. U. 13 aprile 1988, n. 15. legge 28 febbraio 1985, n. 47, art. 38, primo comma, e 44 (art. 3, primo comma, della Costituzione). Sentenza 31 marzo 1988, n. 369, G. U. 13 aprile 1988, n. 15. legge 28 febbraio 1985, n. 47, art. 38, quinto comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 31 marzo 1988, n. 369, G. U. 13 aprile 1988, n. 15. legge 29 marzo 1985, n. 113, artt. 1, terzo e quarto comma, 2 e 8 (artt. 3, 33, quinto comma, 81, quarto comma, 117 e 119 della Costituzione). Sentenza 10 giugno 1988, n. 628, G. U. 15 giugno 1988, n. 24. d.l. 23 aprile 1985, n. 146, art. 8..quater [introdotto dalla legge di conv. 21 giugno 1985, n. 298] (art. 3 della Costituzione). Sentenza 31 marzo 1988, n. 369, G. U. 13 aprile 1988, n. 15. legge 3 agosto 1985, n. 429, articolo unico (artt. 117, 118, 119 e 97 della Costituzione). Sentenza 27 aprile 1988, n. 478, G. U. 4 maggio 1988, n. 18. legge 9 dicembre 1985, n. 705, art. 10 (artt. 3, 24, 97, 134, 136 e 137 della Costituzione). Sentenza 30 dicembre 1987, n. 620, G. U. 8 gennaio 1988, n. 1. legge 24 dicembre 1985, n. 776, art. 2 (artt. 117 e 118 della Costituizone). Sentenza 23 giugno 1988, n. 695, G. U. 29 giugno 1988, n. 26. legge 15 gennaio 1986, n. 4, articolo unico (art. 4, n. 7, dello statuto speciale per la reg. Trentino-Alto Adige). Sentenza 10 marzo 1988, n. 274, G. U. 16 marzo 1988, n. 11. . legge 26 marzo 1986, n. 86, artt. 4 e 21, primo e quarto comma (art. 10 Costituzione e artt. 89, primo e quinto comma, 100 e 107 dello statuto speciale Trentino-Alto Adige). Sentenza 19 maggio 1988, n. 555, G. U. 25 maggio 1988, n. 21. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONB legge 8 luglio 1986, n. 349, art. 18, secondo comma (artt. 5, 25, primo comma. e 103, secondo comma, della Costituzione). Sentenza 30 dicembre 1987, n. 641, G. U. 13 gennaio 1988, n. 2. legge reg. Calabria, riapprovata il 31 luglio 1986 (art. 117 della Costituzione). Sentenza 3 marzo 1988, n. 238, G. U. 9 marzo 1988, n. 10. legge reg. Campania, riapprovata il 9 dicembre 1986 (art. 117 della Costituzione). Sentenza. 3 marzo 1988, n. 238, _G. U. 9 marzo 1988, n. 10. I legge 18 dicembre 1986, n. 891 (artt. 8, n. 10, e 16 dello statuto Trentino- Alto Adige). Sentenza 25 febbraio 1988, n. 217, G. U. 2 marzo 1988, n. 9. legge 3 marzo 1987, n. 59, artt. 7, primo e quarto comma, e 8 (artt. 2, 3, terzo comma; 8, nn. 3, 4, 5, 6, 7, 13, 14, 15, 16, 21, 24; 9, nn. 9 e 10; 16 e 52 dello statuto spec. Trentino-Alto Adige e art. 10 della Costituzione). Sentenza 30 dicembre 1987, n. 617, G. U. 8 gennaio 1988, n. 1. d.I. 12 gennaio 1988, n. 2, artt. 4, terzo comma, 11 e 13, primo comma (artt. 117 e 118 della Costituzione). Sentenza 10 marzo 1988, n. 302, G. U. 16 marzo 1988, n. 11. III -QUESTIONI PROPOSTE codice civile,. art. 202, primo e secondo comma (artt. 3 e 29, secondo comma, della Costituzione). Tribunale di Catania, ordinanza 10 ottobre 1986, n. 164/88 G. U. 11 maggio 1988, n. 19. codice civile, art. 379, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Lecce, ordinanza 9 novembre 1987, n. 17/88, G. U. f febbraio 1988, n. 5. codice civile, artt. 390 e 397 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Agrigento, ordinanza 5 novembre 1987, n. 77/88, G. U. 23 marzo 1988, n. 12. codic� civile, artt. 565 e 578 (artt. 3 � e 30, terzo comma della Costituzione). Tribunale di Chiavari, ordinanza 13 ottobre 1987, n. 134/88, G. U. 27 aprile 1988, n. 17. .f2 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO codice di procedura civile, art. 131, ultimo comma [aggiunto dalla legge 13 aprile 1988, n. 117, art. 16, secondo comma] (artt. 3, 97, 101, secondo comma, e 104, primo comma, della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 29 aprile 1988, n. 270, G. U. 15 giugno 1988, n. 24. codice di procedura civile, art. 202, secondo comma (art. 24, secondo comma, della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 20 ottobre 1986, n. 64/88, G. U. 16 marzo 1988, n. 11. r codice di procedura civile, art. 371, primo comma (artt. 3, primo comm� e 24, primo e secondo comma, della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 13 marzo 1987, n. 94/88, G. U. 30 marzo 1988, n. 13. codice di procedura civile, art. 404, primo comma (artt. 3 e 24, primo e secondo comma). Tribunale di Velletri, ordinanza 9 dicembre 1987, n. 110/88, G. U. 6 apri� le 1988, n. 14. codice di procedura civile, art. 429 (artt. 3 e 38 della Costituzione). . Tribunale di Genova, ordinanza 20 gennaio 1988, n. 283, G. U. 29 giugno 1988, n. 26. codice di procedura civile, art. 444, primo comma (artt. 3, primo comma, 24, primo comma e 25, primo comm,a, della Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 29 dicembre 1987, n. 120/88, G. U. 20 apri� le 1988, n. 16. codice di procedura civile, art. 608 (art. 42, secondo comma, della Costitu� zione, nel combinato disposto con gli artt. 1, 2, 3, 29~ 31, 36 e 47). Pretore di Finale Ligure, ordinanza 16 novembre 1987, n. 53/88, G. U. 2 mar� zo 1988, n. 9. codice di procedura civile, art. 657 (art. 97, primo comma, della Costituzione). Pretore di Cortina d'Ampezzo, ordinanza 18 febbraio 1988, n. 151, G. U. 4 maggio 1988, n. 18. codice di procedura civile, art. 684. Giudice istruttore presso Tribunale di Ancona, ordinanza 12 dicembre 1987, n. 140/88, G. U. 27 aprile 1988, n. 17. codice penale, art. 81, secondo comma (artt. 3 e 25 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 21 giugno 1985, n. 849/87, G. U. 13 gennaio 1988, n. 2. PARTB II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONB !1 codice penale, art. 175, quarto comma (art. 3, primo comma, della Costi� tuzione). Pretore di Palma di Montechiaro, ordinanza 27 ottobre 1987, n. 57/88, G. U. 2 marzo 1988, n. 9. Pretore di Palma di Montechiaro, ordinanza 10 novembre 1987, n. 58/88, G. U. 2 marzo 1988, n. 9. Pretore di Palma di Montechiaro, ordinanza 22 dicembre 1987, n. 83/88, G. U. 23 marzo 1988, n. 12. Pretore di Palma di Montechiaro, ordinanze (due) 27 ottobre 1987, n. 154 e 155/88, G. U. 4 maggio 1988, n. 18. codice penale, art. 177, primo comma (artt. 3 e 13 della Costituzione). Tribunale di sorveglianza di Firenze, ordinanza 10 febbraio 1988, n. 181, G. U. 18 maggio 1988, n. 20. codice penale, art. 177, primo comma (artt. 3, primo e secondo comma, 13, primo e secondo comma, e 27, primo e . terzo comma, della Costituzione. Tribunale di Bergamo, ordinanza 10 dicembre 1987, n. 202, G. U. 1� giu� gno 1988, n. 22. codice penale, art. 219; terzo comma (art. 3 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 12 marzo 1987, n: 104/88, G. U. 6 aprile 1988, n. 14. codice penale, art. 528 [come integrato dall'articolo unico della legge 17 lu� gllo 1975, n. 355] (artt. 3 e 21 della Costituzione). Pretore di Trieste, ordinanza 11 novembre 1987, n. 35/88, G. U. 17 febbraio 1988, n. 7. codice penale, art. 626, primo comma, n. 1 (artt. 3, primo comma, 25, secondo comma e 27, primo comma, della Costituzione). Pretore di Fermo, ordinanza 5 novembre 1986, n. 26/88, G. U. 17 feb� braio 1988, n. 7. codice penale, art. 724, primo comma (art. 25 della Costituzione). Pretore di San Don� di Piave, ordinanza 24 novembre 1987, n. 163/88, G. U. 11 maggio 1988, n. 19. codice di procedura penale, art. 131 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Corte d'appello di Messina, ordinanza 3 novembre 1987, n. 63/88, G. U. 16 marzo 1988, n. 11. codice di procedura penale, art. 177-bls (art. 24, secondo comma, della Costituzione). Tribunale di Vigevano, ordinanza 22 ottobre 1987, n. 60/88, G. U. 9 mar� zo 1988, n. 10. J4 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO codice di procedura penale, art. 399, primo comma [nel testo riformato della legge 31 luglio 1987, n. 400] (artt. 3 e 24 della Costituzione). Corte d'appello di Perugia, ordinanza 3 dicembre 1987, n. 70/88, G. U. 16 marzo 1988, n. 11. Corte di cassazione, ordinanza 29 gennaio 1988, n. 27-8, G. U. 22 giugno 1988, n. 25. codice di procedura penale, art. 399, primo comma (artt. 3, 24 e 136 della Costituzione). Corte d'appello di Trento, ordinanza 1� dicembre 1987, n. 107/88, G. U. 6 aprile 1988, n. 14. codice di procedura penale, art. 498 (art. 24 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 12 dicembre 1987, n. 167/88, G. U. 11 mag� gio 1988, n. 19. codice penale militare di pace, art. 39 (artt. 2, 3, 13, 27, primo e terzo com� ma, e 52, terzo comma, della Costituzione). Tribunale militare di Padova, ordinanza 26 giugno 1987, n. 8/88, G. U. 20 gen� naio 1988, n. 3. codice penale militare di pace, art. 170 (artt. 2, 3, 13 e 52 della Costituzione). Tribunale militare di Padova, ordinanza 1� ottobre 1987, n. 862, G. U. 20 gennaio 1988, n. 3. codice penale militare di pace, art. 184, secondo comma (artt. 2, 3, 17, 21 e 52, ultimo comma, della Costituzione). Tribunale militare di Padova, ordinanza 12 gennaio 1988, n. 185/88, G. U. 18 maggio 1988, n. 20. codice penale militare di pace, art. 263 (artt. 3 e 31, secondo comma, della Costituzione). Tribunale militare di Padova ordinanza 22 dicembre 1987, n. 132/88, G. U. 27 aprile 1988, n. 17. codice penale militare di pace, art. 314 (artt. 3 e 13 della Costituzione). Tribunale militare di Padova, ordinanza 26 gennaio 1988, n. 216, G. U. 8 giugno 1988, n. 23. codice penale militare di pace, artt. 382 e 383 � (art. 25, primo comma, della Costituzione). Tribunale militare di Padova, ordinanza 6 novembre 1987, n. 863, G. U. 20 gennaio 1988, n. 3. PARTB II, RASSEGNA DI LEGISLAIZIONB JJ legge 13 giugno 1912, n. 555, art. 8, ultimo comma (artt. 10, secondo comma, e 52 della Costituzione). Tribunale amministrativo region�le del Lazio, ordinanza 7 luglio 1987, n. 840, G. U. 13 gennaio 1988, n. 2. r.d. 30 dicembre 1923, n. 3282, art. 1 (artt. 24, terzo comma, e 36 della Costituzione). Corte d'appello di Salerno, ordinanza 14 marzo 1988, n. 285 G. U. 29 giugno 1988, n. 26. r.dJ. 8 maggio 1924, n. 750, art. 22, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 18 luglio 1987, n. 229, G. U. 8 giugno 1988, n. 23. ' r.d. 23 ottobre 1925, n. 2537, art. 7, primo comma, lett. B) (art. 10 della Costit�izione). Consiglio nazionale degli architetti, ordinanza 30 maggio 1984, n. 851/87, G. U. 13 gennaio 1988, n. 2. r.d. 28 maggio 1931, n. 602, art. 3 (artt. 24, terzo comma, e 36 della Costi� tuzione). Corte d'appello di Salerno, ordinanza 14 marzo 1988, n. 285, G. U. 29 giu� gno 1988, n. 26. r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736, art. 116, secondo comma (art. 25 della Costituzione). Pretore di Gardone Val Trompia, ordinanza 23 ottobre 1987, n. 282/88, G. U. 22 giugno 1988, n. 25. r.d.I. 20 luglio 1934, n. 1404, art. 9 [conv. in legge 27 maggio 1935, n. 835] (artt. 3 e 31 della Costituzione). Tribunale militare di Padova, ordinanza 22 dicembre 1987, n. 132/88, G. U. 27 aprile 1988, n. 17. r.d. 20 settembre 1934, n. 2011, art. 17, primo comma (art. 3 della Costi� tuzione). Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 18 luglio 1987, n. 229, G. U. 8 giugno 1988, n. 23. ' r.d.l. 4 ottobre 1935, n. 1827, art. 128 (artt. 3 e 29 della Costituzione). Pretore di Oristano, ordinanza 11 novembre 1987, n. 152/88, G. U. 4 mag� gio 1988, n. 18. r.d. 3 marzo 1938, n. 680, art. 69, primo comma (artt. 3 e 6 della Costituzione). Corte dei conti, ordinanza 10 giugno 1987, n. 251/88, G. U. 15 giugno 1988, n. 24. S6 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO r.dJ. 3 marzo 1938, n. 680, art. 69, primo comma (artt. 3 e 97 della Costi~ tuzione). Tribunale di Bologna, ordinanza 13 gennaio 1988, n. 147, G. U. 4 maggio 1988, n. 18. r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 34 (art. 106 della Costituzione). Pretore di Gravina in Puglia, ordinanze (due) 24 dicembre 1987, nn. 30-31/88, G. U. 17 febbraio 1988, n. 7. r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 34, primo e secondo comma (art. 106 della Costituzione). Pretore di Gravina di Puglia, ordinanze (tre) 19 gennaio 1988, nn. 80-82/88, G. U. 23 marzo 1988, n. 12. r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 192 (art. 3 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 4 giugno 1987, n. 153/88, G. U. 4 maggio 1988, n. 18. r.d. 19 luglio 1941, n. 1198, art. 89 cpv. (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 15 aprile 1987, n. 86/88, G. U. 23 marzo 1988, n. 12. r.d. 13 marzo 1942, n. 267, art. 43 (artt. 24, secondo comma, e 27 della Costituzione). Corte d'appello di Firenze, ordinanza 21 settembre 1987, n. 857, G. U. 20 gennaio 1988, n. 3. r.d. 13 marzo 1942, n. 267, artt. 54, 55 e 59 (artt. 3 e 36 della Costituzione). Tribunale di Frosinone, ordinanza 25 gennaio 1988, n. 188, G. U. 25 maggio 1988, n. 21. r.d. 13 marzo 1942, n. 267, art. 59, combinato disposto con art. 429, terzo comma, del cod. proc. civ. e art. 55, primo comma, e 54, terzo comma (artt. 3 e 36, primo comma, della Costituzione. Tribunale di Savona, ordinanza 8 febbraio 1988, n. 222, G. U. 8 giugno 1988, n. 23. r.d. 13 marzo 1942, n. 267 combinato disposto artt. 59 e 169 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Firenze, ordinanza 22 ottobre 1987, n. 48/88, G. U. 24 febbraio 1988, n. 8. r.d. 13 marzo 1942, n. 267, art. 101, secondo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 21 ottobre 1987, n. 98/88, G. U. 30 marzo 1988, n. 13. Tribunale di Roma, ordinanza 27 gennaio 1988, n. 280, G. U. 22 giugno 1988, n. 25. PARm II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE J7 d.1.1. 21 novembre 1945, n. 722, art. 3 (artt. 3, 29 e 37 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 24 gennaio 1984, n. 124/88, G. U. 20 aprile 1988, n. 16. legge 2 marzo 1949, n. 144, art. 15 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Catania, ordinanza 15 ottobre 1987, n. 200/88, G. U. 1� giugno 1988, n. 22. legge 2 marzo 1949, n. 144, art. 15 (artt. 3 e 35 della Costituzione). Pretore di Morbegno, ordinanza 10 novembre 1987, n. 9/88, G. U. 20 gen� naio 1988, n. 3. legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 27 (artt. 3, 24, 35, 97 e 113 della Costituzione). Tribunale amministrativo pe~ la Lombardia, ordinanza 10 luglio 1987, n. 76/88, G. U. 16 marzo 1988, n. 11. d.P.R. 19 marzo 1955, n. 520, art. 8, primo, secondo e terzo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Fermo, ordinanza 12 novembre 1986, n. 27/88, G. U. 17 febbraio 1988, n. 7. d.P.R. 8 agosto 1955, n. 666, art. 1 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Corte d'appello di Messina, ordinanza 3 novembre 1987, n. 63/88, G. U. 16 marzo 1988, n. 11. dJ. presidente reg. Sicllla 29 ottobre 1955, n. 6, art. 236 (artt. 3, 4, 35 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, ordinanza 8 novembre 1985, n. 248, G. U. 8 giugno 1988, n. 23. d.P.R. 19 marzo 1956, n. 303, art. 24 (artt. 3, 24, 25 e 70 della Costituzione). Pretore di Massa, ordinanza 2 luglio 1987, n. 842, G. u: 13 gennaio 1988, n. 2. d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 85 (artt. 3, 24, 35, 97 e 113 della Costituzione). Tribunale amministrativo per la Lombardia, ordinanza 10 luglio 1987, n. 76/88, G. U. 16 marzo 1988, n. 11. d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 85, lett. A) (artt. 3, 4, 35 e 97 della Costituzione). Tribunale ai:;iministrativo regionale della Sicilia, ordinanza 8 novembre 1985, n. 248, G. U. 8 giugno 1988, n. 23. d.I. 5 maggio 1957, n. 271, art. 13, primo comma [conv. In legge 2 luglio 1957, n. 474] (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Catania, ordinanza 12 novembre 1987, n. 864, G. U. 20 gennaio 1988, n. 3. RASSEGNA DEIJ..1AVVOCATURA DELLO STATO legge 14 ottobre 1957, n. 1203, artt. 1 e 2 (artt. 23, 24 e 41 della Costituzione). Tribunale di Venezia, ordinanza 29 gennaio 1987, n. 93/88, G. U. 30 mar� zo 1988, n. 13. d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, artt .85, 87, primo comma, 89 e 140, ultimo comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Roma, ordinanz� (tre) 22 gen� naio, 25 e 18 giugno 1987, nn. 273-275/88, G. U. 22 giugno 1988, n. 25. d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 140, ultimo comma (art. 3 della Costi� tuzione). Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanza 2 giugno 1983, n. 210/88, G. U. 4 maggio 1988, n. 18. legge 18 marzo 1958, n. 311, art. 12, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 9 aprile 1986, n. 115/88, G. U. 6 aprile 1988, n. 14. legge 27 maggio 1959, n. 324, art. 1, terzo comma (artt. 3 e 36 della Co� stituzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo, ordinanze (due) 8 apri� le e 25 marzo 1987, nn. 71 e 72/88, G. U. 16 marzo 1988, n. 11. legge 27 maggio 1959, n. 324, art. 1, terzo comma, let. B) [come sost. dall'art. 1 della legge 3 marzo 1960, n. 185] (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). Pretore di Viterbo, ordinanza 6 giugno 1987, n. 836, G. U. 13 gennaio 1988, n. 2 d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, artt. 80, tredicesimo comma, e 80-bls [cos� come risulta dall'art. 142 della legge 24 novembre 1981, n. 689] (artt. 3, 4, 35, 36, 16 e 42, secondo comma, della Costituzione). Pretore di Fermo, ordinanza 21 maggio 1986, n. 25/88, G. U. 17 febbraio 1988, n. 7. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 83, quinto e sesto comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Isili, ordinanza 5 dicembre 1987, n. 52/88, G. U. 2 marzo 1988, n. 9. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 121, nono comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 15 dicembre 1987, n. 121/88, G. U. 20 aprile 1988, n. 16. d.P.R. 20 agosto 1960, n. 3, art. 5, n. 3 (artt. 51, primo comma, e 3 della Costituzione). Tribunale di Catania, ordinanze (due) 17 gennaio 1986, nn. 232-233/88, G. U. 8 giugno 1988, n. 23. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE J9 d.P.R. 20 agosto 1960, n. 3, art. 5, nn. 3 e 7 (artt. 3 e 51 della Costituzione). Tribunale di Catania, ordinanze (otto) 20 dicembre 1985, nn. 234 241/88, G. U. 8 giugno 1988, n. 23. legge 22 luglio 1961, n. 628, art. 5 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Fermo, ordinanza 12 novembre 1986, n. 27/88, G.U. 17 febbraio 1988, n. 7. legge 5 agosto 1962,, n. 1257, art. 27 (art. 3 della Costituzione). Corte d'appello di Torino, ordinanza 25 settembre 1987, n. 133/88, G. U. 27 aprile 1988, n. 17. legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, 4 e 5 (art. 3 e 38 della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 7 gennaio 1988, n. 66, G. U. 16 marzo 1988, n. 11. legge 29 novembre 1962, n. 1680, art. 1, ultimo comma (art. 3 della Costi� tuzione). Commissione tributaria di secondo grado di Enna, ordinanza 27 ottobre 1987, n. 255, G. U. 15 giugno 1988, n. 24. legge 3 febbraio 1963, n. 69, art. 63, terzo comma [come sostituito dall'art. 2 della legge 10 giugno 1969, n. 308] (art. 108, secondo comma, della Costituzione). Tribunale di Milano, ordinanza 13 novembre 1987, n. 62/88, G. U. 9 marzo 1988, n. 10. legge reg. Sicilia 15 marzo 1963, n. 16, art. 253 (artt. 3, 24, 97 e 103 della Costituzione). Corte dei conti, sezioni riunite, ordinanza 13 maggio 1987, n. 23/88, G. U. 17 febbraio 1988, n. 7. d.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237, art. 1, lett. B) (artt. 10, secondo comma, e 52 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 7 luglio 1987, n. 840, G. U. 13 gennaio 1988, n. 2. legge prov. Trento 2 marzo 1964, n. 2, art. 14 (artt. 3 e 113 della Costituzione). Tribunale reg. giustizia amm.va di Trento, ordinanza 27 novembre 1987, n. 116/88, G. U. 20 aprile 1988, n. , 16. d.P.R. 30 giugno 1964, n. 1523, art. 109 (art. 97 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Lucera, ordinanza 28 febbraio 1986, n. 95/88, G. U. 30 marzo 1988, n. )3. 60 RASSEGNA DBU.'AVVOCATURA DELLO STATO legge 31 maggio 1965, n. 575, art. 10, primo e secondo comma (artt. 3, 4, 27, terzo comma, 41 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 24 giugno 1987, n. 252, G. U. 15 giugno 1988, n. 24. legge 31 maggio 1965, n. 575, artt. 10-ter e 10-quater (artt. 3, 27, 35 e 41 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 28 settembre 1987, n. 90/88, G. U. 30 marzo 1988, n. 13. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124. art. 3, in relazione all'allegata tabella 4 (artt. 3 e 35, primo comma, e 38, primo e secondo comma, della Costituzione). Pretore di Lecco, ordinanza 27 novembre 1987, n. 68/88, G. U. 16 marzo 1988, n. 11. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 4, primo comma, n. 6 (artt. 3 e 38 della Costituzione). Corte di Cassazione, ordinanza 23 giugno 1987, n. 224, G. U. 8 giugno 1988, n. 23. legge 22 luglio 1966, n. 613, art. 19, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Brescia, ordinanza 27 gennaio 1988, n. 177, G. U. 18 maggio 1988, n. 20. Pretore di Taranto, ordinanza 26 gennaio 1988, n. 193, G. U. 25 maggio 1988, n. 21. legge 17 febbraio 1968, n. 108, art. 19 (art. 3 della Costituzione). Corte d'appello di Torino, ordinanza 25 settembre 1987, n. 133/88, G. U. 27 aprile 1988, n. 17. legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 2, primo comma, lett. C) (art. 3 della Costi� tuzione). Pretore di Varese, ordinanza 23 settembre 1982, n. 228/88, G. U. 8 giugno 1988, n. 23. legge 2 aprile 1968, n. 475, art. 17 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Padova, ordinanza 22 maggio 1987, n. 74/88, G. U. 16 marzo 1988, n. 11. legge 2 aprile 1968, n. 482, art. 5 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Milano, ordinanza 7 ottobre 1987, n. 106/88, G. U. 6 aprile 1988, n. 14. Pretore di Monza, ordinanza 22 gennaio 1988, n. 141, G. U. 27 aprile 1988, n. 17. Tribunale di Milano, ordinanza 2 dic.embre 1987, n. 191/88, G. U. 25 maggio 1988, n. 21. PARm II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONB d.P.R. 6 ottobre 1968, n. 67, art. 7, ultimo comma (artt. 77, 76 e 25 della Costituzione). Tribunale di Fermo, ordinanza 25 giugno 1987, n. 150/88, G. U. 4 maggio 1988, n. 18. d.P.R. 30 aprile 1969, n. 153, art. 69 !art. 3 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 10 febbraio 1988, n. 184/88, G. U. 18 maggio 1988, n. 20. legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 7, secondo e terzo comma (artt. 2 e 3 della Costituzione). Pretore �li Firenze, ordinanza 16 dicembre 1987, n. 139/88, G. U. 27 aprile 1988, n 17. legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 22 (art. 41 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 25 maggio 1987, n. 165/88, G. U. 11 maggio 1988, n. 19. legge reg. siciliana 4 giugno 1970, n. 5, art. 10, primo comma (art. 3 della Costituzione e art. 14, lett. Q) dello statuto reg. siciliana. Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, ordinanza 24 febbraio 1987, n. 249/88, G. U. 8 giugno 1988, n. 23. legge reg. siciliana 23 marzo 1971, n. 7, artt. 56, 75 e 90 (art. 3 della Costituzione e art. 14, lett. Q) dello statuto reg. siciliana). Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, ordinanza 24 febbraio 1987, n. 249/88, G. U. 8 giugno 1988, n. 23. legge 30 marzo 1971, n. 118, art. 12 ultimo comma (artt. 3 e 24, primo comma della Costituzione). Pretore di Modena, ordinanze (quattro) 4 novembre 1987, nn. 168-171/88, G. U. 11 maggio 1988, n. 19. Pretore di Modena, ordinanza 4 novembre 1987, n. 217, G. U. 8 giugno 1988, n. 23. legge 9 ottobre 1971, n. 824, art. 6 (artt. 2, 3, 81, ultimo comma, 41, terzo comma, 53 e 97 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 8 aprile 1987, n. 186/88, G. U. 18 maggio 1988, n. 20. legge 9 ottobre 1971, n. 825, artt. 8, primo comma, nn. 2, 4, 6 e 8 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Bari, ordinanza 28 luglio 1987, n. 49/88, G. U. 2 marzo 1988, n. 9. legge 9 ottobre 1971, n. 825, art. 10, n. 11 (art. 76 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Venezia, ordinanza 8 febbraio 1985, n. 178/88, G. U. 18 maggio 1988, n. 20. legge 9 ottobre 1971, n. 825, artt. 17, secondo comma, e 10, n. 11 (artt. 76 e 77, primo comma e 25, secondo comma, della Costituzione). 62 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Tribunale di Biella, ordinanza 28 r;ennaio 1988, n. 109, G. U. 6 aprile 1988, n. 14. legge 22 ottobre 1971, n. 865, artt. 12 e 17, secondo comma (art. 42, terzo comma, della Costituzione). Tribunale di Milano, ordinanza 30 aprile 1987, n. 114/88, G. U. 6 aprile 1988, n. 14. Laudo della Com.nanza delle Regole d'Ampezzo, art. 7; e regolamento del Laudo, artt. 2, 6, 9, 10 e 11, aventi forza di legge in virt� dell'art. 10 della legge 3 dicembre 1971, n. 1102 (artt. 2, 3, e 44, terzo comma, della Costituzione). Pretore di Cortina d'Ampezzo, ordinanza �l agosto 1987, n. 861, G. U. 20 gennaio 1988, n. 3. legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 7 (art,t. 3 e 37 della Costituzione). Tribunale di Busto Arsizio, ordinanza 22 gennaio 1982, n. 7 /88, G. U. 20 gennaio 1988, n. 3. legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 15, primo comma (artt. 3, 37, primo comma, e 38, secondo comma). Pretore di Modena, ordinanza 28 gennaio 1988, n. 208, G. U. 1 giugno 1988, n. 22. d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, artt. 28 e 49 (art. 3 della Costituzione). Corte d'assise di Bolzano, ordinanza 9 novembre 1987, n. 853, G. U. 13 gennaio 1988, n. 2. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 55, primo comma (artt. 3, 24 e 76 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Teramo, ordinanza 15 ottobre 1987, n. 47/88, G. U. 24 febbraio 1988, n. 8. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 16 e 19 (artt. 24, secondo comma, e 27 della Costituzione). Corte d'appello di Firenze, ordinanza 21 settembre 1987, n. 857, G. U. 20 gennaio 1988, n. 3. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, art. 39, primo comma (art. 3 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Udine, ordinanza 19 settembre 1987, n. 97/88, G. U. 30 marzo 1988, n. 13. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, artt. 52 e 54 (art. 3, 76 e 77 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Napoli, ordinanza 7 giugno 1986, n. 175/88, G. U. 18 maggio 1988, n. 20. PARTE Il, RASSEGNA DI LBGISLAZIONB 6J d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 23 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Bari, ordinanza 28 luglio 1987, n. 49/88, G. U. 2 marzo 1988, n. 9. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 23, ultimo comma (art. 76 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di La Spezia, ordinanze (tre) 8 aprile 1987, nn. 20-22/88, G. U. 3 febbraio 1988, n. 5. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 648, art. 10 (artt. 76 e 77 della Costituzio~e). Corte dei conti, ordinanza 11 novembre 1986, n. 172/88, G. U. 18 maggio 1988, n. 20. Tribunale di Roma, ordinanza 29 settembre 1987, n. 174/88, G. U. 18 maggio 1988, n. 20. legge 15 dicembre 1972, n. 772, art. 5 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Cagliari, ordinanza 20 gennaio 1988, n. 190, G. U. 25 maggio 1988, n. 21. legge prov. Trento 30 dicembre 1972, n. 31, art. 28, primo, secondo e sestoi comma (artt. 24, primo comma, 101, secondo comma, 113, primo e secondo comma; 42, secondo e terzo comma della Costituzione). Cort� di Cassazione, ordinanza 3 giugno 1987, n. 225, G. U. 8 giugno 1988, n. 23. legge 2 febbraio 1973, n. 12, art. 20, primo comma, lett. A) (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Ferrara, ordinanza 29 febbraio 1988, n. 148, G. U. 4 maggio 1988, n. 18. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 6 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 15 aprile 1987, n. 86/88, G. U. 23 m�rzo 1988, n. 12. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 12, lett. E) (art. 3 della Costituzione)., Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanza 2 giugno 1983, n. 210/88, G. U. 4 maggio 1988, n. 18. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 12, lett. E), 46, secondo comma, e 83 (artt. 3, 53 e 76 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Treviso, ordinanza 29 giugno 1987, n. 50/88, G. U. 2 marzo 1988, n. 9. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 7, 12 e 47, primo comma (artt. 3, 76 e 77 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Udine, ordinanza 6 luglio 1987, n. 197/88, G. U. 1 giugno 1988, n. 22. 64 RASSEGN'.A DELL'AVVOCATURA DELLO. STATO d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, combinato disposto artt. 9, penultimo e ultimo comma e 47, primo e terzo comma (artt. 3 e 23 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Torino, ordinanza 4 giugno 1987, n. 253/88, G. U. 15 giugno 1988, n. 24. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, combinato disposto artt. 9, ultimo comma,, 12, quarto comma e 47, primo comma (art. 3 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Torino, ordinanza 4 giugno 1981, n. 253/88, G. U. 15 giugno 1988, n. 24. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 12 e 47, primo comma (artt. 3 e 76 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Udine, ordinanze (due) 6 luglio 1987, nn. 161 e 162/88, G. U. 11 maggio 1988, n. 19. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 46, 56, primo comma, 57, secondo comma (artt. 24, secondo comma, e 27 della Costituzione). Corte d'appello di Firenze, ordinanza 21 settembre 1987, n. 857, G. U. 20 gennaio 1988, n. 3. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 6001 art. 47 (art. 76 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Venezia, ordinanza 8 febbraio 1985, n. 178/88, G. U. 18 maggio 1988, n. 20. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 56, ultimo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Pistoia, ordinanza 27 ottobre 1987, n. 850, G. U. 13 gennaio 1988, n. 2. Tribunale di Pistoia, ordinanza li gennaio 1988, n. 113/88, G. U. 6 aprile 1988, n. 14. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 34 (art. 3 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Verona, ordinanza 2 novembre 1987, n; 847, G. U. 13 gennaio 1988, n. 2. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 34, primo'� comma (art. 3 della Costituzione). Commisisone tributaria di secondo grado di Milano, ordinanza 22 maggio 1987, n. 41/88, G. U. 24 febbraio 1988, n. 8. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 15, 39, 53 e 54 (artt. 24 e 113 della Costituzione). Pretore di Mineo, ordinanza 27 gennaio 1988, n. 183, G. U. 18 maggio 1988, n. 20. PARm II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONI d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 54, primo comma (artt. 24 e 113 della Costituzione}. Pretore di Trieste, ordinanze (quattro} 12 gennaio e 9 febbraio 1987, nn. 244247, G. U. 8 giugno 1988, n. 23. d.P.R. �29 settembre 1973, n. 602, art. 54, primo e secondo comma (artt. 24, 102 e 113 della Costituzione}. Pretore di Saronno, ordinanza 28 marzo 1987, n. 854, G. U. 13 gennaio 1988, n. 2. d.P.R.. 29 settembre 1973, n. 602, art. 92 (artt. 3 e 76 della Costituzion�}. Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanza 30 ottobre 1980, n. 211/88, G. U. 4 maggio 1988, n. 18. d.P.R..29 settembre 1973, n. 602, art. 92, primo comma (artt. 3, 76 e 77 della Costituzione}. Commissione tributaria� di. primo grado di Trento, ordinanza 15 maggio 1987, n. 45/88, G. U. 24 febbraio 1988, n. 8. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 97 (artt. 3 e 24 della Costituzione}. Tribunale di Roma, ordinanza 21 gennaio 1988, n. 279, G. U. 22 giugno 1988, n. 25. legge 15 novembre 1973, n. 734, art. 1, terzo comma (art. 36 d~lla Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Toscana, ordinanza 30 aprile 1980, n. 117/88, G. U. 20 aprile 1988, n. 16. legge reg. siciliana 7 dicembre 1973, n. 45, art. 1 (art. 3 della Costituzione e art. 14, lett. Q) dello statuto reg. siciliana}. Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, ordinanza 24 febbraio 1987, n:. 249, G. U. 8 giugno 1988, n. 23. � d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, artt. 3 e 38 (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione}. � Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 2 marzo 1987, n. 56/88, G. U. 2 marzo 1988, n. 9. Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 15 luglio 1987, n. 207, G. U. 1 giugno 1988, n. 22. Pretore di Viterbo, ordinanza 6 giugno 1987, n. 836, G. U. 13 gennaio 1988, n. 2. d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, art. 38 (art. 3 della Costituzione}. Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 24 giugno 1987, n. 223, G. U. 8 giugno 1988, n. 23. 66 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, art. 38 (artt. 3, 36 e 38 secondo commiv della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Toscana, ordinanze (due) 9 aprile 1986, nn. 118 e 119/88, G. U. 20 aprile 1988, n. 16. d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, art. 42, terzo comma (artt. 3 e 51 della Costituzione). Consiglio di Stato, ordinanza 13 novembre 1987, n. 55/88, G. U. 2 marzo 1988, n. 9. d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381, art. 21 (artt. 3 e 113 della Costituzione). Tribunale reg. giustizia amministrativa di Trento, ordinanza 27 novem� bre 1987, n. 116/88, G. U. 20 aprile 1988, n. 16. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 5, quarto e sesto comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Lucca, ordinanza 16 ottobre 1987, n. 196/88, G. U. 25 maggio 1988, n.21. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 5, quarto e sesto comma (art. 25 della Costituzione). Pretore di Castelnuovo ne' Monti, ordinanza 23 marzo 1988, n. 254, G. U. 15 giugno 1988, n. 24. legge 26 luglio 1975, n. 354, artt. 22 e 23 (artt. 3, 36, primo comma, e 53 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 20 ottobre 1986, n. 73/88, G. U. 16 marzo 1988, n. 11. legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 30-ter, quinto comma (art. 27 della Costituzione). Tribunale di sorveglianza di Brescia, ordinanze (due) 13 ottobre 1987, nn. 145 e 146/88, G. U. 27 aprile 1988, n. 17. legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 69, quarto comma (art. 3 della Costituzione). Ufficio di sorveglianza presso tribunale di Roma, ordinanza 21 gennaio 1988, n. 131 G. U. 27 aprile 1988, n. 17. Magistrato di sorveglianza di Brescia, ordinanza 19 agosto 1987, n. 144/88, G. U. 27 aprile 1988, n. 17. legge 22 dicembre 1975, n. 685, artt. 71, 72 e 80 (art. 3 della Costituzione). I Tribunale di Forl�, ordinanza 23 ottobre 1987, n. 126/88, G. U. 20 aprile 1988, 1 l n. 16. Tribunale di Sanremo, ordinanza 12 gennaio 1988, n. 204, G. U. 1 giugno 1988, ! n. 22. I ! I I I PARTB II, RASSEGNA DI LEGISIAZIONE legge 23 dicembre 1975, n. 698, art. 9 (artt. 3 e 36 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 12 novembre 1986, n. 6/88, G. U. 20 gennaio 1988, n. 3. d~. 18 marzo 1976, n. 46, art. 7 [conv. in legge 10 maggio 1976, n. 249] (artt. 76, 77, pnmo comma e 25, secondo comma, della Costituzione). Tribunale di Biella, ordinanza 28 gennaio 1988, n. 109, G. U. 6 aprile 1988, n. 14. legge 28 gennaio 1977, n. 10, art. 1 (artt. 3, 42 e 44 della Costituzione). Pretore di Sannicandro Garganico, ordinanza 13 ottobre 1987, n. 843, G. U. 13 gennaio 1988, n. 2. legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 4 (artt. 3 e 51 della Costituzione). Consiglio di Stato, ordinanza 13 novembre 1987, n. 55/88, G. U. 2 marzo 1988, n. 9. legge 16 dicembre 1977, n. 904, art. 2, secondo comma (artt. 3, 24 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Busto Arsizio, ordinanza 2 giugno 1987, n. 33/88, G. U. 17 febbraio 1988, n. 7. legge 27 febbraio 1978, n. 41, art. 1 [di conversione del d.I. 27 dicembre 1977, n. 942] (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). Pretore di Aosta, ordinanza 18 febbraio 1988, n. 181, G. U. 18 maggio 1988, n. 20. d.P.R. 6 marzo 1978, n. 218, art. 105 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Cosenza, ordinanza 30 gennaio 1988, n. 187, G. U. 25 maggio 1988, n. 21. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 1, 3, 58 e 65 (art. 97, primo comma, della Costituzione). Pretore di Cortina d'Ampezzo, ordinanza 18 febbraio 1988, n. 151, G. U. 4 maggio 1988, n. 18. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 12 e 14 (artt. 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Acireale, ordinanza 22 febbraio 1988, n. 281, G. U. 22 giugno 1988, n. 25. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 14 (artt. 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Acireale, ordinanze (due) 23 dicembre 1987, nn. 14 e 15/88, G. U. 3 febbraio 1988, n. 5. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 68 legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 29, secondo comma, e 73 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Napoli, ordinanza 23 settembre 1987, n. 205/88, G. U. 1 giugno 1988, n. 22. ,. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 59 e 60 (artt. 3, 16, 42, 47 e 10 della Costi� tuzione). Pretore di Roma, ordinanza 30 ottobre 1987, n. 78/88, G. U. 23 marzo 1988, n. 12. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69 (artt. 3, 41, 42 e 53 della Costituzione). Pretore di Taranto, ordinanza 16 ottobre 1987, n. 91, G. U. 30 marzo 1988, n. 13. d.P.R. 6 ottobre 1978, n. 627, art. 7, ultimo comma (artt. 76, 77 e 25 della Costituzione). Giudice istruttore presso tribunale di Vicenza, ordinanza 20 gennaio 1987, n. 19/88, G. U. 3 febbraio 1988, n. 5. Tribunale di Fermo, ordinanza 4 giugno 1987, n. 189/88, G. U. 25 maggio 1988, n. 21. Tribunale di Viterbo, ordinanza 2 febbraio 1988, n. 198, G. U. 1 giugno 1988, n. 22. d.P.R. 6 ottobre 1978, n. 627, art. 7, ultimo comma (artt. 76 e 77 della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanze (due) 2 giugno e 2 luglio 1987, n. 858 e 859, G. U. 20 gennaio 1988, n. 3. Tribunale di Biella, ordinanza 28 gennaio 1988, n. 109, G. U. 6 aprile 1988, n. 14. Tribunale di Torino, ordinanze (quattro) 29, 14, 24, e 28 dicembre 1987, nn. 127-130/88, G. U. 20 aprile 1988, n. 16.. Tribunale di Torino, ordinanza 5 febbraio 1988, n. 242, G. U. 8 giugno 1988, n. 23. � legge 21 dicembre 1978, n. 843, art. 20 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 13 giugno 1987, n. 173/88, G. U. 18 maggio 1988, n. 20. legge 29 marzo 1979, n. 91, art. 12-quater (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 15 luglio 1987, n. 54/88, G. U. 2 marzo 1988, n. 9. legge 2 aprile 1979, n. 97, art. 9, secondo comma (artt. 3 e 36 della Costituzione). Consiglio di Stato, ordinanze (undici) 16 ottobre 1987, nn. 256-266/88, G. U. 1.5 giugno 1988, n. 24. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE legge 3 aprile 1979, n. 101, artt. 17 e 41 (artt. 3, 36, 38 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 23 febbraio 1987, n. 143/88, G. U. 27 aprile 1988, n. 17. legge reg. siciliana 28 dicembre 1979, n. 254, art. 1 (art. 3 della Costituzione e art. 14, lett. Q) dello statuto reg. siciliana). Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, ordinanza 24 febbraio 1987, n. 249, G. U. 8 giugno 1988, n. 23. d.I. 30 dicembre 1979, n. 663, art. 2 [conv. in legge 29 febbraio 1980, n. 33] (art. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 5 giugno 1987, n. 166/88, G. U. 11 maggio 1988, n. 19. legge 21 febbraio 1980, n; 28, art. 4, ultimo comma (artt. 3 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, ordinanza 24 novembre 1987, D.. 142/88, G. U. 27 aprile 1988, n. 17. legge 21 febbraio 1980, n. 28, art. 5, terzo e quarto comma (artt. 3 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 2 luglio 1987, n. 157/88, G. U. 4 maggio 1988, n. 18. legge 29 febbraio 1980, n. 33, art. 14 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 13 giugno 1987, n. 173/88, G. U. 18 maggio 1988, n. 20. legge 7 luglio 1980, n. 299, art. 3 (artt. 3 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 29 ottobre 1986, n. 837/87, G. U. 13 gennaio 1988, n. 2. Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 19 gennaio 1987, n. 5/88, G. U. 20 gennaio 1988, n. 3. d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, artt. 6 e 36, secondo, terzo e quarto comma (artt. 3 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, ordinanza 24 novembre 1987, n. 142/88, G. U. 27 aprile 1988, n. 17. d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 28 (artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione). Pretore di Venezia, ordinanza 19 dicembre 1987, n. 192/88, G. U. 25 maggio 1988, n. 21. 70 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 28, terzo comma (artt. 3 e 97 della Costituzione). Pretore di Parma, ordinanze (due) 17 dicembre 1987, nn. 87-88/88, G. U. 23 marzo 1988, n. 12. d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. SO (artt. 3 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 2 luglio 1987, n. 157/88, G. U. 4 maggio 1988, n. 18. d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 51, secondo comma (artt. 76, 3 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 19 novembre 1986, n. 839/87, G. U. 13 gennaio 1988, n. 2. Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 2 luglio 1987, n. 15'7/88, G. U. 4 maggio 1988, n. 18. d.P.R. 31 luglio 1980, n. 618, ~tt. 2, lett. A) e 11, primo comma (artt. 76, 35 e 38 della Costituzione). Pretore di Parma, ordinanza 7 marzo 1988, n. 231, G. U. 8 giugno 1988, n. 23. legge 20 settembre 1980, n. 576, art. 2, ottavo e sesto comma (artt. 2, 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Firenze, ordinanza 10 novembre 1987, n. 105/88, G. U. 6 aprile 1988, n. 14. legge reg. siciliana 29 dicembre 1980, n. 145, art. 27 (art. 3 della Costituzione e art. 14, lett. Q) dello statuto reg. siciliana). Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, ordinanza 24 febbraio 1987, n. 249, G. U. 8 giugno 1988, n. 23. legge reg. siciliana 29 dicembre 1980, n. 145, art. 55 (art. 3, primo comma, della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, ordinanza 9 giugno 1987, n. 250, G. U. 8 giugno 1988, n. 23. legge 30 dicembre 1980, n. 895, art. 1 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 13 giugno 1987, n. 173/88, G. U. 18 mag� gio 1988, n. 20. legge 19 febbraio 1981, n. 27, art. 3 (artt. 3 e 36 della Costituzione). Consiglio di Stato, ordinanze (undici) 16 ottobre 1987, nn. 256-266/88, G. U 15 giugno 1988, n. 24. legge reg. Sicilia 30 marzo 1981, n. 37, art. 9 (art. 3 della Costituzione). Corte d'appello di Palermo, ordinanza 24 marzo 1987, n. 846, G. U. 13 gennaio 1988, n. 2. PARTE II, RASSllGNA DI LEGISLAZIONE legge 23 aprile 1981, n. 154, art. 2, n. 8 (artt. 3 e 97 della Costituzione). Tribunale di Lecce, ordinanza 16 novembre 1987, n. 69/88, G. U. 16 mar� zo 1988, n. 11. legge 23 aprile 1981, n. 154, art. 7 (art. 3 della Costituzione). Corte d'appello di Torino, ordinanza 25 settembre 1987, n. 133/88, G. U. 27 aprile 1988, n. 17. legge 26 settembre 1981, n. 537, art. 1 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 13 giugno 1987, n. 173/88, G. U. 18 mag. gio 1988, n. 20. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 23, quinto e dodicesimo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Pescara, ordinanza 26 febbraio 1988, n. 243, G. U. 8 giugno 1988, n. 23. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 64, ultimo comma (artt. 3 e 27 della Costituzione). Magistrato di Sorveglianza di Milano, ordinanza 12 gennaio 1988, n. 291, G. U. 29 giugno 1988, n. 26. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Firenze, ordinanza 21 settembre 1987, n. 85/88, G. U. 23 mar� zo 1988, n. 12. dJ. 22 dicembre 1981, n. 791, art. 2, secondo comma [conv. in legge 26 feb� braio 1982, n. 54] (artt. 3, primo comma, 23 e 53, primo comma, della Costi� tuzione). Pretore di Roma, ordinanza 20 gennaio 1988, n. 138, G. U. 27 aprile 1988, n. 17. d.l. 22 dicembre 1981, n. 791, art. 6, primo comma [conv. in legge 26 feb-' braio 1982, n. 54] (artt. 3, 4 e 38 della Costituzione). Pretore di Galatina, ordinanza 2 dicembre 1987, n. 51/88, G. U. 2 marzo 1988, n.~ . d.l. 23 gennaio 1982, n. 9, art. 7 cpv., lett. A) [conv. in legge 25 marzo 1982; n. 94] (artt. 3, 42 e 44 della Costituzione). � Pretore di Sannicandro Garganico, ordinanza 13 ottobre 1987, n. 843, G. U. 13 gennaio 1988, n. 2. legge 3 maggio 1982, n. 203, art. 49 (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). Tribunale di Casale Monferrato, ordinanza 20 novembre 1987, n. 92/88, G. U. 30 marzo 1988, n. 13. 72 RASSEGNA l>ELL'AVVOCATURA !>EU.O STATO legge 20 maggio 1982, n. 270, art. 31 (artt. 3 e 97 della Costituzione). Consiglio di giustizia amministrativa per la regione Sicilia, ordinanza 9 luglio 1987, n. 59/88, G. U. 9 marzo 1988, n. 10. legge 20 maggio 1982, n. 270, artt. 34 e 57 (artt. 3, 51 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 19 ottobre 1987, n. 269/88, G. U. 15 giugno 1988, n. 24. legge 20 maggio 1982, n. 270, art. 43 (artt. 3, 33, 51 e 97. della Costituzione) .. Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 28 ottobre 1985, n. 40/88, G. U. 24 febbraio 1988, n. 8. 'legge 20 maggio 1982, n. 270, art. 49, primo comma (artt. 3, 51 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 19 ottobre 1987, n. 268, G. U. 15 giugno 1988, n. 24. legge 20 maggio 1982, n. 270, artt. 57, primo comma, e 30 (artt. 3, 51 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 19 ottobre 1987, n. 267/88, G. U. 15 giugno 1988, n. 24. legge 29 maggio 1982, n. 297, art. 5, terzo comma (artt. 3 e 36 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 11 marzo 1987, n. 108/88, G. U. 6 aprile 1988, n. 14. legge reg. Lombardia 28 giugno 1982, n. 29, art. 2 (artt. 3, 4, 51, 97 e 117 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 27 febbraio 1987, n. 852, G. U. 13 gennaio 1988, n. 2. d.I. 10 luglio 1982, n. 429, art. 12, primo comma [conv. in legge 7 agosto 1982,, n. 516] (art. 3 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Piacenza, ordinanza 23 novembre 1987, n. 75/88, G. U. 16 marzo 1988, n. 11. d.l. 10 luglio 1982, n. 429, art. 12, primo comma [conv. in legge 7 agosto 1982, n. 516] (artt. 3 e 24 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Bolzano, ordinanza 13 novelll� bre 1987, n. 36/88, G. U. 17 febbraio 1988, n. 7. d.l. 10 luglio 1982, n. 429, art. 26 [conv. in legge 7 agosto 1982, n. 516] (artt, 3 e 97 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Udine, ordinanza 1 ottobre 1987, n. 96/88, G. U. 30 marzo 1988, n. 13. PARTB II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE legge 7 agosto 1982, n. 516, art. 2, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). Corte d'appello di Trieste, ordinanza 11 novembre 1987, n. 10/88, G. U. 20 gennaio 1988, n. 3. d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, art. 26 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Tione di Trento, ordinanza 11 dicembre 1987, n. 111/88, G. U. 6 aprile 1988, n. 14. legge 13 settembre 1982, n. 646, art. 21 [come sost. dalla legge 12 ottobre 1982, n. 726] (artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione)'. Pretore di Poggibonsi, ordinanza 9 dicembre 1987, n. 65/88, G. U. 16 mar� zo 1988, n. 11. d.l. �30 settembre 1982, n. 688, art. 19 [conv. In legge 27 novembre 1982, n. 873] . Jartt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Venezia, ordinanze (due) 20 ottobre 1985, nn. 276 e 277/88, G. U. 22 giugno 1988, n. 25. legge 20 ottobre 1982, n. 773, artt. 10, sesto comma, e 17 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Messina, ordinanza 13 giugno 1987, n. 841, G. U 13 gennaio 1988, n. 2. d.l. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 6, primo e terzo comma [conv. in legge 25 marzo 1983, n. 79] (artt. 3 e 31 della Costituzione). Tribunale di Cosenza, ordinanza 27 novembre 1987, n. 179/88, G. U. 18 maggio 1988, n. 20. d.l. 12 settembre 1983, n. 462, art. 1, secondo comma [conv. In legge 10 novembre 1983, n. 687] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 7 ottobre 1987, n. 67/88, G. U. 16 marzo 1988, n. 11. Pretore di Milano, ordinanza 7 settembre 1987, n. 79/88, G. U. 23 marzo 1988, n.12. d.l. 12 settembre 1983, n. 463, art. 5, quattordicesimo comma [convertito in legge 11 novembre 1983, n. 638] (artt. 2, 13, 32, 36 e 38 della Costituzione). Pretore di Abbiategrasso, ordinanza 2 ottobre 1987, n. 230, G. U. 8 giugno 1988, n. 23. d.l. 12 settembre 1983, n. 463, [conv. In legge 11 novembre 1983, n. 638] art. 6, ottavo comma (artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione). � Pretore di Modena, ordinanza 12 febbraio 1988, n. 209, G. U. 1 giugno 1988, n. 22. 74 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 11 novembre 1983, n. 638, art. 2, primo comma e 3, primo e secondo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Fermo, ordinanza 12 novembre 1986, n. 27/88, G. U. 17 feb� braio 1988, n. 7. legge 11 novembre 1983, n. 638, art. 5, quattordicesimo comma (art. 13, primo comma, 32, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 3 novembre 1987, n. 89/88, G. U. 23 marzo 1988, n. 12. Pretore di Milano, ordinanza 3 novembre 1987, n. 271/88, G. U 22 giugno 1988, n. 25. legge reg. Emilia-Romagna 14 marzo 1984, n. 12, art. 26, primo e secondo comma (art. 117, primo e secondo comma, della Costituzione). Pretore di Ferrara, ordinanze (quattro) 25 marzo 1988, nn. 218-221, G. U 8 giugno 1988, n. 23. legge 20 marzo 1984, n. 34, art. 2, quinto comma (artt. 3 e 36 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia Romagna, ordinanza 22 febbraio 1988, n. 272, G. U. 22 giugno 1988, n. 25. d.I. 17 aprile 1984, n. 70, art. 2, secondo comma [conv. in legge 12 giugno 1984, n. 219] (artt. 3 e 31 della Costituzione). Tribunale di Cosenza, ordinanza 27 novembre 1987, n. 179/88, G. U. 18 maggio 1988, n. 20. legge reg. Abruzzo 6 giugno 1984, n. 39, punto 28 (artt. 3, 41, 42, 97 e 117 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo, ordinanza 11 giugno 1987, n. 844, G. U. 13 gennaio 1988, n. 2. legge 12 giugno 1984, n. 222, artt. 2 e 12 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Mantova, ordinanza 18 febbraio 1988, n. 203, G. U. 1 giugno 1988, n. 22. legge 12 giugno 1984, n. 222, art. 3 (artt. 3 e 38, secondo comma, della Co stituzione). Pretore di Torino, ordinanza 16 ottobre 1987, n. 848, G. U. 13 gennaio 1988, n. 2. Pretore di Ferrara, ordinanza 14 dicembre 1987, n. 16/88, G. U. 3 feb� braio 1988, n. 5. Pretore di Foggia, ordinanza 17 settembre 1987, n. 61/88, G. U. 9 marzo 1988, n. 10. Pretore di Bari, ordinanza 9 luglio 1987, n. 84/88, G. U. 23 marzo 1988, n. 12. II PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE Pretore di Camerino, ordmanza 27 gennaio 1988, n. 125, G. U. 20 aprile 1988, n. 16. Pretore di Gorizia, ordinanza 11 gennaio 1988, n. 201, G. U. 1 giugno 1988, n. 22. Pretore di Termini Imerese, ordinanze (due) 29 gennaio 1988, nn. 289 e 290, G. U. 29 giugno 1988, n. 26. legge 12 giugno 1984, n. 222, art. 3 (art. 38, secondo comma, della Costi� tuzione). Pretore di Pavia, ordinanza 17 dicembre 1987, n. 18/88, G. U. 3 febbraio 1988, n. 5. legge 16 luglio 1984, n. 326, art. 3 (art. 3 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Toscana, ordinanza 16 ottobre 1986, n. 123/88, G. U. 20 aprile 1988, n. 16. legge 6 agosto 1984, n. 425, art. 1, primo e secondo comma (artt. 24, 102 e 103 della Costituzione). Consiglio di Stato, ordinanze (undici) 16 ottobre 1987, nn. 256-266/88, G. U. 15 giugno 1988, n. 24. legge 6 agosto 1984, n. 425, art. 1, secondo comma (artt. 3, 36 e 101 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanze (due) 29 ottobre 1986, nn. 158 e 159/88, G. U. 4 maggio 1988,' n. 18. legge 6 agosto 1984, n. 425, artt. 1, secondo comma, 8 e 10, secondo comma (artt. 3 e 36 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 10 luglio 1987, n. 11/88, G. U. 3 febbraio 1988, n. 5. legge 6 agosto 1984, n. 425, art. 4, primo, terzo ed ultimo comma (artt. 3 e 97 della Costituzione). Consiglio di Stato, ordinanza 30 giugno 1987, n. 182/88, G. U. 18 maggio 1988, n. 20. legge 6 agosto 1984, n. 425, art. 4, ottavo e undicesimo comma (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 14 gennaio 1987, n. 34/88, G. U. 17 febbraio 1988, n. 7. legge 6 agosto 1984, n. 425, art. 10, primo comma (artt. 24, 25, primo comma, 101, 102, 103, primo comma, 134, 136 e 137 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 29 ottobre 1986, n. 160/88, G. U. 4 maggio 1988, n. 18. 76 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DBLLO STATO legge 6 agosto 1984, n. 425, art. 10, second� comma (artt. 24, 103, 111 e 113 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 29 ottobre 1986, n. 837/87, G. U. 13 gennaio 1988, n. 2. legge reg. Sicilia 21 agosto 1984, n. 67, art. 1 (artt. 3, 2, 32, primo comma e 25, secondo comma della Costituzione e art. 17 statuto regione siciliana). Pretore di Sortino, ordinanze (tre) 23 novembre 1987, nn. 99-101/88, G. U. 6 aprile 1988, n. 14. legge reg. Lombardia 29 novembre 1984, n. 60, art. 36 (artt. 3, 4, 51, 97 e 117 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 27 febbraio 1987, n. 852, G. U. 13 gennaio 1988, n. 2. legge 28 febbraio 1985, n. 47, art. 6, primo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Teano, ordinanze (due) 25 maggio 1987, nn. 834 e 835, G. U. 13 gennaio 1988, n. 2. legge 28 febbraio 1985, n. 47; artt. 13 e 22 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Castelfiorentino, ordinanza 14 dicembre 1987, n. 122/88, G. U. 20 aprile 1988, n. 16. legge 28 febbraio 1985, n. 47, art. 15 (artt. 3 e 25 della Costituzione). Pretore di Cittadella, ordinanza 3 dicembre 1987, n. 199/88, G. U. 1 giugno 1988, n. 22. legge 28 febbraio 1985, n. 47, art. 20, lett. B) (artt. 3, 42 e 44 della Costituzione). Pretore di Sannicandro Garganico, ordinanza 13 ottobre 1987, n. 843, G. U. 13 gennaio 19881 n. 2. legge 28 febbraio 1985, n. 47, art. 22 (art. 112 della Costituzione). Pretore di Avola, ordinanza 5 febbraio 1988, n. 206, G. U. 1 giugno 1988, n. 22. legge 28 febbraio 1985, n. 47, artt. 31, 34, 35, 38 e 44 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Nola, ordinanza 23 novembre 1987, n. 156/88, G. U. 4 maggio 1988, n. 18. legge 28 febbraio 1985, n. 47, art. 38 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Avola, ordinanza 12 febbraio 1988, n. 292, G. U. 29 giugno 1988, n. 26. legge reg. Lombardia 27 marzo 1985, n. 22, art. � (artt. 3, 4, 51, 97 e 117 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 27 febbraio 1987, n. 852, G. U. 13 gennaio 1988, n. 2. PARm II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE dJ. 23 aprile 1985, n. 146, art. 8-quater [conv. in legge 21 giugno 1985, n. 2981 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Castelfiorentino, ordinanza 14 dicembre 1987, n. 122/88, G. U. 20 aprile 1988, n. 16. legge 26 settembre 1985, n. 482, artt. 2 e 4 (art. 53 della Costituzione). Pretore di Genova, ordinanza 3 marzo 1988, n. 286, G. U. 29 giugno 1988, n. 26. legge 9 dicembre 1985, n. 705, art. 10 (artt. 3, 24 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 2 luglio 1987, n. 157/88, G. U. 4 maggio 1988, n. 18. legge 9 dicembre 1985, n. 705, art. 10 (artt. 3, 24, 97, 134, 136 e 137 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 19 novembre 1986, n. 839/87, G. U. 13 gennaio 1988, n. 2. dJ. 6 gennaio 1986, n. 2 [conv. in legge 7 marzo 1986, n. 60] (artt. 3 e 35 della Costituzione). Pretore di Nocera Inferiore, ordinanza 15 febbraio 1988, n. 195, G. U. 25 maggio 1988, n. 21. legge 28 febbraio 1986, n. 41, art. 31, primo, ottavo, nono, decimo, quattor-' dicesimo e quindicesimo comma (artt. 3, 36 e 53 della Costituzione). Pretore di Pisa, ordinanza 19 ottobre 1987, n. 28/88, G. U. 17 febbraio 1988, n. 7. legge 28 febbraio 1986, n. 41, art. 31, primo, ottavo, decimo e undicesimo comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). Pretore di Imperia, ordinanza 5 ottobre 1987, n. 46/88, G. U. 24 febbraio 1988, n. 8. legge 28 febbraio 1986, n. 41, art. 31, primo, ottavo, undicesimo, tredicesimo e quattordicesimo comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). Pretore di Venezia, ordinanza 10 settembre 1987, n. 42/88, G. U. 24 febbraio 1988, n. 8. legge 28 febbraio 1986, n. 41, art. 31, ottavo comma (artt. 3, 35 e 53 della Costituzione). Pretore di Caltanissetta, ordinanza 23 maggio 1987, n. 102/88, G. U. 6 aprile 1988, n. 14. legge 28 febbraio 1986, n. 41, art. 31, ottavo, decimo, tredicesimo e quattor,i dicesimo comma (artt. 3, 53, primo e secondo comma, e 81, terzo comma, della Costituzione). Pretore di Messina, ordinanze (quattro) 5 maggio e 17 marzo 1987, nn. 1-4/88, G. U. 20 gennaio 1988, n. 3. 78 RASSEGNA DBLL'AWOCATURA DELLO STATO legge 28 febbraio 1986, n. 41, art. 31, ottavo, undicesimo, tredicesimo e quat� tordicesimo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Lecco, ordinanza 18 giugno 1987, n. 845, G. U. 13 gennaio 1988, n. 2. legge 28 febbraio 1986, n. 41, art. 31, ottavo, tredicesimo e quattordicesimo\ comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). Pretore di Sondrio, ordinanza 28 luglio 1987, n. 24/88, G. U. 17 febbraio 1988, n. 7. d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 52 (�rtt. 3 e 97 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Termini lmerese, ordinanza 11 maggio 1987, n. 32/88, G. U. 17 febbraio 1988, n. 7. Commissione tributaria di primo grado di Pavia, ordinanza 10 luglio 1987, n. 29/88, G. U. 17 febbraio 1988, n. 7. d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 56, n. 4 (artt. 24 e 113 della Costituzione). Pretore di Chioggia, ordinanza 6 novembre 1987, n. 12/88, G. U. 3 febbraio 1988, n. 5. legge 8 luglio 1986, n. 349, art. 18, primo, secondo e terzo comma (art. 1 secondo comma, 3, primo comma, 5, 9, primo comma, 24, 25, primo comma, 28, 54, secondo comma, 97, primo e secondo comma, 103, secondo comma, 114 e 128 della Costituzione). Corte dei conti, ordinanza 1 aprile 1987, n. 44/88, G. U. 24 febbraio 1988, n. 8. legge 8 luglio 1986, n. 349, art. 18, secondo comma (art. 3, 5, 24, 25, 97 e 103 della Costituzione). Corte dei conti, ordinanza 16 giugno 1987, n. 856, G. U. 20 gennaio 1988, n. 3. legge 26 settembre 1986, n. 599, art. 2 (artt. 3 e 25, secondo comma, della Costituzione). Giudice istruttore presso tribunale di Roma, ordinanza 26 gennaio 1988, n. 103/88, G U. 6 aprile 1988, n. 14. legge 10 ottobre 1986, n. 663, art. 47, terzo e quarto comma (art. 3 dell3i Costituzione). Tribunale di sorveglianza di Torino, ordinanza 18 gennaio 1988, n. 149, G. U. 4 maggio 1988, n. 18. legge 5 dicembre 1986, n. 856, art. 3, quarto comma (artt. 3, 4, 35 e 37 della Costituzione). Pretore di Venezia, ordinanza 24 dicembre 1987, n. 176/88, G. U. 18 maggio 1988, n. 20. d.l. 6 dicembre 1986, n. 832, art. 1, ultimo comma [conv. in legge 6 feb:braio 1987, n. 15] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Rimini, ordinanza 29 ottobre 1987, n. 43/88, G. U. 24 febbraio 1988, n. 8. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONB legge 24 dicembre 1986, n. 958, art. 20 (art. 81, quarto comma, della Costi� tuzione). Pretore di Genova, ordinanza 10 marzo 1988, n. 287, G. U. 29 giugno 1988, n. 26. d.P.R. 11 febbraio 1987, n. 32, artt. 1 e 3 (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). Pretore di Aosta, ordinanza 18 febbraio 1988, n. 181, G. U. 18 maggio 1988, n. 20. dJ. 31 agosto 1987, n. 359, art. 23, quarto conima [conv. in legge 29 ottobre 1987, n. 440] (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Firenze, ordinanza 9 novembre 1987, n. 13/8S, G. U. 3 febbraio 1988, n. 5. Pretore di Genova, ordinanza 11 dicembre 1987, n. 112/88, G. U. 6 apri� le 1988, n. 14. dJ. 31 agosto 1987, n. 359, art. 23, quarto comma [convertito in legge 29 ot� tobre 1987, n. 440] (artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 9 febbraio 1988, n. 227, G. U. 8 giugno 1988, �n. 23. Pretore di Firenze, ordinanza 16 novembre 1987, n. 284/88, G. U. 29 giugno 1988, n. 26. dJ. 31 agosto 1987, n. 359, art. 23, quarto comma [conv. in legge 29 ottobre 1987, n. 440] (artt. 3 e 97 della Costituzione). Tribunale di Parma, ordinanze (tre) 26 novembre 1987, n. 135-137, G. U. 27 aprile 1988, n. 17. d.I. 31 agosto 1987, n. 359 [conv. in legge 29 ottobre 1987, n. 440] art. 23. quarto comma (artt. 3, 97, 36 e 38 della Costituzione). Pretore di Parma, ordinanze (tre) 25 febbraio 1988, nn. 212-214, G. U. 1 giugno 1988, n. 22. d.I. 31 agosto 1987, n. 359, artt. 23, quarto comma, e 30 (artt. 77, 3, 24 e 113 della Costituzione). Tribunale di Genova, ordinanze (tre) 1 ottobre 1987, nn. 37-39/88, G. U. 17 feb� braio 1988, n. 7. dJ. 7 settembre 1987, n. 371, artt. 1, lett. A), B) e C); 2 e 4, secondo, terzo~ quarto e quinto comma [conv. in legge 29 ottobre 1987, n. 449] (artt. 117, 118, 119 e 97 della Costituzione). Regione Lombardia, ricorso 12 dicembre 1987, n. 24, G. U. 8 gennaio 1988, n. 1. d.I. 19 settembre 1987, n. 384, [conv. in legge 19 novembre 1987, n. 470] in toto e, in particolare, artt. 1, primo comma, lett. A) e B); 4, commi primo, dal terzof al decimo, e diciassettesimo; 5; 5-quinquies; 6; ll�bis, primo comma; art. 1, 80 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO secondo comma (artt.' 8, primo comma, nn. 5, 9,. 10, 13, 18, 20, 21; 9, primo comma, nn. 3, 8, 11; 16, primo comma; 52 e 79 dello statuto spec. TrentinoAlto Adige). Provincia aut. di Trento, ricorso 4 gennaio 1988, n. 1, G. U. 10 febbraio 1988, n. 6. d.l. 19 settembre 1987, n. 384 [conv. in legge 19 novembre 1987, n. 470], in toto e in particolare artt. 1, primo comma, lett. A) e B) e quarto comma: 4, primo, terzo, quarto, quinto, sesto, settimo, ottavo, nono, decimo e diciassettesimo comma; 5: 5-quinquies, 6; 7, secondo comma: 11-bis, primo comma: art. 1, secondo comma (artt. 8, primo comma, nn. 5, 9, 10, 13, 17, 18, 20, 21, 22, 24, 25 e 28; 9, primo comma, nn. 3, 8, 9, 11, 16, primo comma; 52 e 79 dello statuto spec. Trentino-Alto Adige). Provincia aut. di Bolzano, ricorso 4 gennaio 1988, n. 2, G. U. 10 febbraio 1988, n. 6. dJ. 25 settembre 1987, n. 393, art. 2 [convertito in legge 25 novembre 1987; n. 478] (art. 3 e 42 della Costituzione). I Tribunale di Roma, ordinanza 9 febbraio 1988, n. 227, G. U. 8 giugno 1988, n. 23. legge 29 ottobre 1987, n. 440, art. 23, quarto comma (art. 3 della Costi� tuzione). Pretore di Genova, ordinanza 3 marzo 1988, n. 286, G. U. 29 giugno 1988, n. 26. d.P.R. 19 novembre 1987, n. 527, artt. 2, secondo comma, ed 11, terzo comma (artt. 8, n. 18, e 16 dello statuto speciale Trentino-Alto Adige). Provincia autonoma di Trento, ricorso 5 febbraio 1988, n. 4, G. U. 24 febbraio 1988, n. 8. Provincia autonoma di Bolzano, ricorso 5 febbraio 1988, n. 5, G. U. 24 febbraio 1988, n. 8. legge reg. Campania 2 luglio 1986, riapprovata il 27 novembre 1987 (art. 117, ultimo comma, della Costituzione). Presidente Consiglio Ministri, ricorso 24 dicembre 1987, n. 25/88, G. U. 10 febbraio 1988, n. 6. disegno di legge reg. Lazio riapprovato il 22 dicembre 1987 (art. 117 della Costituzione). Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 9 febbraio 1988, n. 6, G. U. 24 febbraio 1988, n. 8. d.l. 12 gennaio 1988, n. 2, artt. 4, 11, 12 e 13 (artt. 117, 119, 9 e 77 della Costituzione). Regione Toscana, ricorso 26 gennaio 1988, n. 3, G. U. 10 febbraio 1988, n. 6. Regione Umbria, ricorso 20 febbraio 1988, n. 8, G. U. 2 marzo 1988, n. 9. i I I l I I PARTB II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONB cU. 12 gennaio 1988, n. 2, art. 6 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Avola, ordinanza 12 febbraio 1988, n. 292, G. U. 29 giugno 1988, n. 26. legge reg. Emilia-Romagna 13 gennaio 1988, n. 131 (artt. 117 della Costi� tuzione). Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 12 febbraio 1988, n. 7, G. U. 2 mar� zo 1988, n. 9. disegno di legge reg. Liguria riapprovato il 27 gennaio 1988 (art. 117 della Costituzione}. Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 23 febbraio 1988, n. 9, G. U. 2 mar� zo 1988, n. 9. dJ. 2 febbraio 1988, n. 22 [�onvertito in legge 21 marzo 1988, n. 92], artt. 1 quarto, quinto e sesto comma; 2, primo comma; 5, primo comma; 6, prim<\ e secondo comma; 7, terzo comma; e 8, secondo comma (artt, 9, n. 11, e 16 dello statuto speciale Trentino-Alto Adige). Provincia autonoma cli Trento, ricorso 29 aprile 1988, n. 11, G. U. 8 giugno 1988, n. 23. d.I. 8 febbraio 1988, n. 25, art. 1 (artt. 3, 24, 38 e 113 della Costituzione). Pretore di Parma, ordinanza 27 febbraio 1988, n. 215, G. U. 1 giugno 1988, n. 22. d.I. 5 marzo 1988, n. 59, art. 2 (artt. 8, nn. 13, 14, 17, 21 e 24 dello statuto speciale Trentino-Alto Adige). Provincia autonoma di Bolzano, ricorso 15 aprile 1988, n. 10, G. U. 4 maggio 1988, n. 18. dJ. 1 aprile 1988, n. 103, art. 1 (artt. 117, 118, 119, 77 e 97 della Costituzione). Regione Emilia Romagna, ricorso 9 maggio 1988, n. 13, G. U. 25 maggio 1988, n. 21. legge reg. Valle d'Aosta riapprovata il 6 aprile 1988 (artt. 3, 5, 41, terzo comma, 81, 97, primo comma, 120 e 127, quarto comma, della Costituzione). Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 3 maggio 1988, n. 12, G. U. 25 maggio 1988, n. 21. legge reg. Sicilia 5 maggio 1988, artt. 1, secondo comma, 4, 7, 8, terzo comma, 9, 11, 16, 21, 23, 24, 25, 26 e 28 (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). Commissario dello Stato per la regione Sicilia, ricorso 23 maggio 1988, n. 16, G. U. 8 giugno 1988, n. 23. legge reg. Sicilia 5 maggio 1988, art. 2 (art. 33 della Costituzione e 17, Iett. C), dello statuto spec. reg. Sicilia). Commissario dello Stato per la regione Sicilia, ricorso 23 maggio 1988, n. 15, G. U. 8 giugno 1988, n. 23. 82 RASSEGNA DEIL'AVVOCATURA DELLO STATO legge reg. Sicilia 5 maggio 1988, art. 6, terzo comma (artt. 3 e 32 della Costituzione, art. 17, lett. C, statuto spec. reg. Sicilia). Commissario dello Stato per la regione Sicilia, ricorso 23 maggio 1988, n. 14, G. U. 8 giugno 1988, n. 23. legge reg. Lazio 11 maggio 1988, art. 1 (art. 117 della Costituzione). Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 11 giugno 1988, n. 19, G. U. 29 giugno 1988, n. 26. legge reg. Marche 13 maggio 1988, art. 1 (art. 117 della Costituzione). Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 9 giugno 1988, n. 17, G.U. 22 giugno 1988, n. 25. legge reg. Valle d'Aosta 17 maggio 1988 (art. 3 statuto reg. Valle d'Aosta). Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 9 giugno 1988, n. 18, G.U. 22 giu� gno 1988, n. 25.