ANNO XXXVII -N. 1 GENNAIO -FEBBRAIO 1985 

RASSEGNA 


DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 



Pubblicazione bimestrale di servizio 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 

ROMA 1985 



ABBONAMENTI ANNO 1985 

ANNO L. 33.350 
UN NUMERO SEPARATO .....�.............. I> 6.100 


Per abbonamenti e acquisci rivolgersi a: 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 
Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma 
e/e postale n. 387001 

Stampato in ltalia -Printed in Italy 
Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 lu2Uo 1966 


(6219290) Roma, 1985 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato P.V. 



INDICE 

Parte prima: GIURISPRUDENZA 

Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura del


/'avv Franco Favara) . pag. 
Sezione seconda: GIURISPRUDENZA 
ZIONALE (a cura 
COMUNITARIA 
de/l'avv. Oscar 
E INTERNAFiumara) 
� 26 
Sezione terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 
(a cura degli avvocati Carlo Carbone, Carlo 
Sica e Antonio Cingolo) � 58 
Sezione quarta: GIURISPRUDENZA CIVILE (a cura 
Paolo Cosentino e Anna Cenerini) 
degli avvocati 
� 93 
Sezione quinta GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura 
gli avv. Raffaele Tamiozzo e G. P. Palizzi) 
de11 
102 
Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a 
vocato Carlo� Bafile) . . . 
cura de/l'av� 
134 
Sezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED 
APPALTI PUBBLICI (a cura degli avvocati Sergio 
Laporta, Piergiorgio Ferri e Paolo Vittoria) � 178 
Sezione ottava: GIURISPRUDENZA PENALE (a cura degli avvocati 
Paolo di Tarsia di Be/monte e Nicola Bruni) � 190 

Parte seconda: �UESTIONI -RASSEGNA DI DOTTRINA 
RASSEGNA DI LEGISLAZIONE -INDICE, BIBLIOGRAFICO 


RASSEGNA DI DOTTRINA (a cura del/'avv. Ignazio Caramazza) pag. 1 
RASSEGNA DI LEGISLAZIONE )) 26 
INDICE BIBLIOGRAFICO �. 56 

La pubblicazione � diretta dall'avvocato: 
UGO GARGIULO 


CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA 
DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AVVOCATURE 


Avvocati 

Glauco NoRI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Carlo BAFFILE, L'Aquila; Nicasio 
MANcuso, Palermo; Rocco BERARDI, Potenza; Maurizio DE F'RANcHis, 
Trento; Paolo SCOTTI, Trieste; Giancarlo MAND�, Venezia. 


ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI 

O. 
FIUMARA, Dell'uso di alcune sostanze antiparassitarie sugli ortofrutticoli: 
limiti nazionali alla commercializzazione del prodotto . . . pag. 38 

PARTE PRIMA 

INDICE ANALITICO -ALFABETICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


APPALTO 

-Appalto di opere pubbliche -Revisione 
dei prezzi -Rapporti con l'anticipazione 
-Art. 3, u.c., legge 10 
dicembre 1981, n 741 -:t:: norma di 
interpretaZione autentica, 185. 

-Appalto di opere pubbliche -Risoluzione 
-Per grave colpa dell'appaltatore 
-Provvedimento di risoluzione 
-Annullabilit� o revocabilit� 
da parte dell'A.G.O., 178. 

-Appalto di opere pubbliche -Risoluzione 
-Per grave colpa dell'appaltatore 
-Rescissione ex art. 340 
legge 2248/11865, ali. F -Giurisdizione 
ordinaria o amministrativa Giurisdizione 
ordinaria -Mancata 
proposizione di azione risarcitoria Irrilevanza, 
179. 

-Appalto di opere pubbliche -Risoluzione 
-Per grave inadempimento 
dell'appaltatore -Rescissione ex articolo 
340 legge 2248/1865, ali. F Risoluzione 
ex artt. 1454 e 1662, 
2� c., e.e. -Alternativit�, 179. 

COMPETENZA CIVILE 

-Giurisdizione ordinaria e ammm1strativa 
-Contratti della P.A. -Appalto 
di opere pubbliche -Controversie 
-Giurisdizione dell'A.G.0., 178 

COMUNIT� EUROPEE 

-Agricoltura -Organiz2lazione comune 
di mercato nel settore dello zucchero 
-Quote di produzione -Contributi, 
45. 

-Libera circolazione . delle merci Accordo 
di libero scambio CEE Confederazione 
elvetica � -Nozione 
di prodotti ordginari, 30. 

-Libera circolazione delle merci Misura 
di effetto equivalente a restriizioni 
quantitative all'importazione 
-Divieti di antiparassitari per 
le mele, con nota di FIUMARA, 38. 

-Libera circolazione delle persone Previdenza 
sociale -Assegni familiari, 
26. 

CORTE COSTITUZIONALE 

-Conflitt� di attribuzione -Ricorsi 
per � vindicatio rerum � -Esulano 
dalla competenza della Corte Costiruzionale, 
1 

COSA GIUDICATA 

-Accoglimento parziale ricorso -Esecuzione 
in base a capo sentenza 
primo grado -Appello -Effetto sui 
provvedimenti adottati -Dubbi sull'applicabilit� 
dell'art. 336, cod. proc. 
civ., 120. 

-Atto vincolato -Atto difforme -Giudizio 
di inottemperanza -Termine 
impugnazione, 121. 

-Giudicato a formazione progressiva 
-Esecuzione in base a capo sentenza 
primo grado -Invalidit� sopravvenuta 
per incompatibilit� con 
decisione appello -Applicabilit� 336 
cod. proc. civ., 122. 

ENTI PUBBLICI 

-Ente pubblico non economico -Gestione 
di scuole o asili -Impiego 
pubblico -Requisiti necessari -Inserimento 
reale nell'apparato organizzativo 
dell'ente -Atto formale di 
nomina -Non necessit�, 58. 

-Procedura di liquidazione -Carattere 
concorsuale -Inesistenza di situazione 
deficitaria -Interessi su debiti 
chirografari -Sospensione -Esclusione, 
93. 

ESECUZIONE PENALE 

-Incidente di esecuzione -Questioni 
di efficacia soggettiva del giudicato 
e di misure di sicurezza patrimoniali 
-Art. 28 c.p.p. -Applicabilit� Distinzione 
tra soggetti che hanno 

~; 
~~ 

~ 

1: 
?: 


INDICE ANALITICO-ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA :rvu 

partecipato al giudizio di cognizione 
e soggetti che non vi harino partecipato 
~ Necessit�, 195. 

GIURISDIZIONE CIVILE 

-Impiego pubblico statale -Associazioni 
sindacali dei dipendenti statali 
-Diritti sindacali -Tutela -Articolo 
28 Statuto dei lavoratori -Inapplicabilit� 
-Diritti sindacali esclusivi 
del sindacato � Giurisdizione ordinaria, 
con nota di G. PALMIERI, 60. 

-Impiego pubblico statale -Associazioni 
sindacali di dipendenti statali 
-Diritti sindacali � Tutela � Articolo 
28 Statuto lavoratori � Inapplicabilit� 
� Diritti sindacali esclusivi 
del sindacato -Giurisdizione ordinaria 
� Diritti sindacali connessi 
a posizioni di pubblico impiego Giurisdizione 
amministrativa esclusiva, 
con nota di G. PALMIERI, 59. 

-Regolamento preventivo di giurisdizione 
-Art 28 legge 20 maggio 1970, 

n. 300 � Diritti soggettivi politici delle 
associazioni sindacali � Giurisdizione 
ordinaria -Correlazione con 
diritti dei singoli impiegati statali Giurisdizione 
amministrativa esclusiva, 
86. 
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA 

-Accoglimento ricorso per violazione 
diritti soggettivi � Riforma sentenza 
� Onere ricorso incidentale per 
dedurre illegittimit� provvedimento, 

114. 
-Appello incidentale autonomo � Termine 
ordinario per deposito . Appello 
incidentale proprio � Termine 
breve per deposito, 126. 
-Appello -Appello incidentale � Interesse 
ad impugnare, 125. 
- 
Appello � Notifica al domiciliata-� 
rio -Art. 140 c.p.c. � Inapplicabilit�, 

114. 
-Esecuzione del giudicato � Annullamento 
scrutinio -Ricorso per inottemperanza, 
122. 
-Esecuzione del giudicato � Dispensa 
dal servizio � Annullamento -Atto 
elusivo del giudicato, 123 
-Esecuzione del giudicato -Dispensa 
dal servizio � Annullamento -Ripristino 
rapporto servizio subordinato 
ad accertamento sanitario -Atto 
elusivo del giudicato, 123 

-Esecuzione del giudicato � Ricorso 
per inottemperanza � Richiesta interessi 
e rivalutazione su retribuzioni 
arretrate � Ammissibilit�, 123 

-Notifica sentenza -Domiciliatario 
non procuratore � Termine appello, 
102 

-Pluralit� di impugnazioni � Appello 
principale ed incidentale � Termine 
per l'impugnazione -Riunione giudizi, 
126 

-Sentenza favorevole � Appello � Interesse 
alla impugnazione � Impugnazione 
graduatoria, 104 

IGIENE E SANIT� 

-Funzioni amministrative trasferite 
alle Regioni � Competenza residua 
enti locali -Chiusura industrie in� 
salubri, 112. 

IMPIEGO PUBBLICO 

-Arricchimento senza causa � Giurisdizione 
giudice amministrativo, 113. 

-Concorso -Illegittimit� nelle prove 
pratiche -Onere immediata contestazione 
-Non sussiste, 104. 

-Concorso -Prove pratiche � Assimilazione 
a prove scritte o prove orali 
-Anonimato, 104. 

-Scrutinio � Annullamento � Nuova 
impugna:1lione scrutinio annullato � 
Mancata deduzione in giudizio � Nuovo 
annullamento -Efficacia sentenza, 
122. 

MINIERE, CAVE E TORBIERE 

-Cave � Autorizzazione -Cava di prestito 
-Carattere temporaneo -Destinazione 
materiali ad opera pubblica, 

124. 
-Cava -Autorizzazione � Diniego � 
Parere favorevole del Comune -Interessi 
tutelati dal Comune e dalla 
Regione, 124. 
- 
Cava � Autorizzazione -Diniego � 
Programmazione � Piano delle cave, 

124. 
MISURE DI SICUREZZA 

-Misure di sicurezza patrimoniali 
Confisca � Confisca facoltativa 
Inapplicabilit� in sede di giudizio 
di rinvio dalla Cassazione, nei con



vm 
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

fronti di imputato deceduto successivamente 
alla sentenza della S.C., 

195. 
-Misure di sicurezza patrimoniali � 
Confisca � Confisca facoltativa -Sequestro 
di compendio indiviso o in� 
divisibile in parte di propriet� del 
condannato e in parte di propriet� 
di terzi estranei al reato -Confiscabilit� 
parziale, 195. 
-Misure di sicurezza patrimoniali Confisca 
-Confisca obbligatoria � 
Applicabilit� indipendentemente da 
pronunzia di condanna e dalla estin� 
zione del rapporto processuale per 
morte dell'imputato, 195. 

ORDINAMENTO GIUDIZIARIO 

-Magistrato -Nomina direttore isti� 
tuto carcerario -Censure sulla norma 
legittimante -Inammissibilit� in 
difetto impugnazione atto nomina, 

113. 
-Magistrato -Nomina direttore isti� 
tuto carcerario -Non costituisce in� 
debito arricchimento dell'Amministrazione, 
113 

PREVIDENZA 

-Contributi previdenziali -Omesso 
versamento -Domanda risarcitoria 
in forma di costituzione di rendit� 
vitalizia -Rapporto di pubblico im� 
piego -Giurisdizione esclusiva del 
giudice amministrativo, 91. 

REATO 

-Concorso di persone nel reato Concorso 
previsto dall'art. 116 c.p. Presupposti, 
190. 

REGIONI 

-Att11ibuzioni conferite dal d.P .R. n. 616 
del 1977 alle regioni a statuto ordinario 
-Implicito conferimento anche 
alle regioni a statuto speciale � 
Condizioni, 1. 

-Avvocatura dello Stato -Patrocinio 
obbligatorio e facoltativo -Sussistenza 
di entrambe -Procura formale, 
124. 

-Controllo statale sugli atti regio� 
nali -Atto di controllo ed atto di 
amministrazione attiva -Distinzione, 
2. 

-Fiere e mercati -Attribuzioni statali 
e regionali in tema di interregionali 
-Legittimit� costituzionale, 

2. 
-Interessi statali e regionali -Integrazione 
tra art. 117 e art. 127 Costituzione, 
1. 
-Interventi per la protezione della 
natura -Interessi di carattere � interregionale 
� -Connotazione geografica 
e non funzionale di tale no� 
zione, 1. 

SANIT� 

-Concorso per farmacia -Prove pra� 
tiche diverse -Ripetizione stesse 
prove in diversi turni -Legittimit�, 

104. 
- 
Sanitario -Concorso -Sovvertimento 
della graduatoria da parte del 

G. A. -Impossibilit� riesame da parte 
Commissione -Nullit� relativa 
delibera -Proclamazione vincitore 
concorso da parte G. A. -Commis� 
sario, 121. 
SICILIA 

-Assemblea regionale siciliana -Elettorato 
passivo -Iscrizione nelle liste 
elettorali in un comune della regione, 
22. 

TRIBUTI ERARIALI DIRETTI 

-Esecuzione esattoriale -Ricorso all'Intendente 
-Impugnazione silenzio 
-Rigetto Intendente -Provvedimento 
illegittimo � Giurisdizione 
G.A., 114. 

-Esecuzione esattoriale -Ricorso all'Intendenza 
-Impugnazione provvedimento 
Intendente -Lesione diritto 
propriet� -Giurisdizione G.O., 

114. 
-Imposta sui redditi di ricchezza 
mobile e imposta complementare � 
Condono -Rimborso di ritenute di 
acconto eccedenti -Esclusione � Imputazione 
alle imposte addizionali Esclusione, 
148. 
-Riscossione -Interessi e maggiorazione 
di aliquota per ritardata iscrizione 
a ruolo -Successione di leggi 
nel tempo -Tributi soppressi -Sostituzione 
degli interessi alla maggiorazione 
di aliquota con decorrenza 
dal 1� gennaio 1974, 137. 


INDICE ANALITICO-ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA 

-Soggetti passivi � Terzo possessore 
di beni gravati di privilegio speciale 
� Diritto all'accertamento � Esclu� 
sione � Azioni proponibili, 145. 

TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI 

-Imposta di registro � Consolidazione 
di usufrutto � Costituzione di 
usufrutto in epoca anteriore alla ri� 
forma e riunione in epoca successiva 
� � dovuta l'imposta di consolidazione 
�secondo le norme abrogate, 
175. 

-Imposta di successione � Beni tra� 
sferiti negli ultimi sei mesi di vita 
a terzi � Concetto di terzi � Vi sono 
compresi anche gli eredi � Art. 9 

d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 637 � Eccezione 
di illegittimit� costituzionale � 
Manifesta infondatezza, 160. 
-Imposta sul valore aggiunto � San� 
zioni � Tardiva presentazione di di� 

chiarazione � Equivale a dichiarazione 
omessa, 134. 

-Imposte di fabbricazione � Oli mi� 
nerali . Soggetto passivo -Autore 
della violazione -Persona che agisce 
per conto di una societ� -� tale, 
157� 

.-Riscossione -Interessi � Imposta 
complementare -Ritardo imputa� 
bile al debitore � � presunto, 141. 

-Riscossione -Interessi -Obbligazione 
autonoma dell'imposta -Prescri~ 
zione quinquennale -Decorrenza, 141. 

TRIBUTI IN GENERE 

-Contenzioso tributario -Impugnazione 
di terzo grado � Oggetto, 168. 
-Contenzioso tributario -Impugnazione 
di terzo grado -Oggetto, 169. 
-Contenzioso tributario -Ripartizione 
di potest� trn CommisSioni e 
corte d'appello -Non � questione di 
giurisdizione, 169. 


INDICE CRONOLOGICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


CORTE COSTITUZIONALE 
25 luglio 1984, n. 223 � Pag. 1 

23 gennaio 1985, n. 8 
30 gennaio 1985, n. 20 
30 gennaio 1985, n. 21 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE 

I sez., 12 luglio 1984, nella causa 242/83 . . . 
4� sez., 12 luglio 1984, nella causa 218/83 
Sez. plen., 19 settembre 1984, nella causa 94/83 . 
4� sez., 113 dicembre 1984, nella causa 106/83 . . 

GIURISDIZIONI CIVILI 

CORTE DI CASSAZIONE 


Sez. I, 26 mar.w 1984, n. 1991 
Sez. Un., 11 luglio 1984, n. 4060 . 
Sez. Un., 26 luglio 1984, n. 4386 . 
Sez. Un., 26 luglio 1984, n. 4387 
Sez. Un., 26 luglio 1984, n. 4388 
Sez. Un., 27 luglio 1984, n. 4428 
Sez. I, 4 settembre 1984, n. 4753 . 
Sez. I, 4 settembre 1984, n. 4755 . 
Sez. I, 20 settembre 1984, n. 4801 . 
Sez. Un., 22 settembre 1984, n. 4819 


Sez. I, 18 ottobre 1984, n. 5265 
Sez. I, 25 ottobre 1984, n. 5443 . 
Sez. I, 30 ottobre 1984, n. 5545 
Sez. I, 8 novembre 1984, n. 5643 
Sez. I, 12 novembre 1984, n. 5690 . 
Sez. Un., 17 novembre 1984, n. 5841 . 
Sez. I, 23 novembre 1984, n. 6071 . 
Sez. I, 5 gennaio 1985, n. 7 
Sez. I, 17 gennaio 1985, n. 117 ... 


. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE 

CONSIGLIO DI STATO 

Ad. Plen., 3 dicembre 1982, n. 18 . 
11 marzo 1984, n. 6 . . . . . . . 

� 1 
� 22 

)) 2 

Pag. 26 
� 30 
38

" 

)) 45 

Pag. 134 
)) 58 
)) 59 

� 60 
� 86 

)) 91 
� 137 
� 141 
� 145 
� 178 
� 148 
� 157 
� 160 
� 168 
)) 169 
)) 179 
� 175 
� 93 
� 96 

Pag. 122 
)) 121 


INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA Xl 

29 novembre 1984, n. 20 Pag. 102 
Sez. IV, 9 no.vembre 1984, n. 853 � 104 
27 novembre 1984, n. 872 112

)) 

27 novembre 1984, n. 873 )) 113 
5 dicembre 1984, n. 879 114

)) 

))

28 dicembre 1984, n. 1067 114 

Sez. V, ordinanza 5 febbraio 1982, n. 68. � 120 

,.

Sez. VI, 19 novembre 1984, n. 652 122 

,.

26 novembre 1984, n. 664 123 
4 dicembre 1984, n. 685 124

)) 

4 dicembre 1984, n. 688 )) 125 

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO 
Sez. III, 31 dicembre 1984, n. 1187 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 185 

GIURISDIZIONI PENALI 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 

Sez. I, 19 dicembre 1984, n. 1074 Pag. 190 
Sez. III, 10 dicembre 1984, n. 1650 . . � 195 


PARTE SECONDA 
Rassegna di dottrina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 
RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 
Leggi e decreti . . . . . . . . . 
Questioni di legittimit� costituzionale 
I -norme dichirate incostituzionali . . . . . . . . . . . . . 
Ib -Ammissibilit� della richiesta di referendum abrogativo . 
II -Questioni dichiarate non fondate . 
III -Questioni proposte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Pag. 
Pag. 
� 
� 
� 
Indice bibliografico .... . .................... Pag. 
26 
28 
29 
29 
30 
56 

-



PARTE PRIMA 



GIURISPRUDENZA 


SEZIONE PRIMA 

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

I 

CORTE COSTITUZIONALE, 25 luglio 1984, n. 223 -Pres. Elia -Rel. Conso Regione 
Veneto (avv. Viola) Regione Toscana (avv. Cheli), Regioni Friuli-
Venezia Giulia (avv. Pacia) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice 
avv. gen. Stato Azzariti). 

Corte Costituzionale � Conflitto di attribuzione � Ricorsi per � vindicatio 
rerum � � Esulano dalla competenza della Corte costituzionale. 

Regioni � Attribuzioni conferite dal d.P.R. n. 616 del 1977 alle regioni a 
statuto ordinario � Implicito conferimento anche alle regioni a statuto 
speciale -Condizioni. 

Regioni � Interventi per la protezione della natura � Interessi di carattere 
� interregionale � � Connotazione geografica e non funzionale di tale 
nozione. 

L'imposizione di vincoli forestali da parte dello Stato (attivit� preordinata 
alla tutela e gestione del territorio, a prescindere da ogni problema 
di appartenenza) non vale ad esprimere la determinazione dello Stato 
stesso di escludere dal trasferimento alla regione i territori sui quali quei 
vincoli vengono a ricadere (scelta implicante una presa di posizione sull'appartenenza 
del bene, a prescindere da,lla sua tutela e gestione); comunque i 
ricorsi per vindicatio rerum esulano dalla competenza della Corte costituzionale. 


e 

In assenza di espressa disposizione in contrario, deve ritenersi che 
-in materia (quella delle riserve naturali) per la prima volta specificata 
dal d.P.R. n. 616 del 1977 -le regioni a statuto speciale non siano prive 
di attribuzioni da detto decreto conferito alle regioni a statuto .ordinario. 

L'aggettivo �interregionale� ha, nelle non poche disposizioni del 

d.P.R. n. 616 del 1977 che ne fanno uso, una connotazione meramente territoriale. 
II 

CORTE COSTITUZIONALE, 23 gennaio 1985, n. 8 -Pres. Elia -Rel. Paladin 
-Associazione VIP MACEF (avv. Piras) e 'resistente Consiglio 
dei Ministri (avv. Stato Onufrio). 

Regioni � Interessi statali e regionali � Integrazione tra art. 117 e art. 127 
Costit1.1zione. 



2 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

I 

Regioni -Fiere e mercati -Attribuzioni statali e regionali in tema di 

I

.K-'.

fiere interregionali -Legittimit� costituzionale. 

, ~


(Cost. art. 117; d.P.R. 27 luglio 1977, n. 616, artt. 51 e 53). 

t,: 

}:� 

Lo stabilire in quali forme interessi statali (o in genere sovraregionali) 
ed interessi regionali debbano venire armonizzati compete in larga misura 
alla legge statale ordinaria, cui spetta decidere in che limiti ed a quali 

I 

effetti l'intreccio tra detti interessi richieda che vengano introdotti congegni 
di cooperazione, anzich� di netta separazione delle rispettive attri


I 

buzioni di Stato e Regioni; l'art. 117 Cost. va interpretato in collegamento 
con l'art. 127, ultimo comma, Cost. laddove dispone che le questioni �di 
merito per contrasto di interessi� sono risolte dalle Camere e non 
dalla Corte costituzionale (1). 

I

Non contrasta con la Costituzione la disciplina dettata dal d.P.R. 

n. 616 del 1977 in materia di fiere e mercati che distingue tre ambiti di 
I 

funzioni (riservate allo Stato, suddivise tra Stato e Regioni, e attribuite 

I 
~ 

residualmente alle Regioni), lascia allo Stato la funzione di qualificazione ~ 
delle fiere internazionali, ed inibisce alle Regioni di svolgere all'estero 
attivit� promozionali relative alle materie di loro competenza, se non 
previa intesa con il Governo e nei limiti stabiliti dagli atti di indirizzo 

ili ~ 

e coordinamento. 

fil 

ili

III f~ 

f.: 

CORTE COSTITUZIONALE, 30 gennaio 1985, n. 21 -Pres. Elia -Rel. Saja -t:: 
Regione Marche (avv. Guarino) e Presidente Consiglio dei Ministri t�: 
(avv. Stato Corti). Il 

~ 

~j

Regioni -Controllo statale sugli atti regionali -Atto di controllo ed atto 

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di amministrazione attiva -Distinzione. 

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L'approvazione da parte della Giunta regionale del provvedimento I: 
di nomina del direttore generale di un ente di sviluppo agricolo � atto ~ 
di controllo (da non sottoporre all'esame della Commissione statale di 
controllo sugli atti della regione) se alla Regione non � attribuito alcun 

I 

potere di interferenza nell'esercizio della relativa funzione di ammini


I 

strazione attiva (2). 

I 

(1) Il princ1p10 enunciato appare di grande importanza e suscettibile di 
I 

ampi sviluppi. Non par dubbio che la disattenzione finora avutasi nei riguardi fil 
de.ll'art. 127 ult. comma Cost. (norma rimasta in pratica inapplicata) ha finito 

~ 

per privare � il disegno costituzionale delle autonomie regionali � della � necessaria 
elasticit� � e per sacrificare gli interessi statali sovente affidati alla � comt,: 
prensione � delle regioni od a costosi strumenti indiretti di carattere finanziario. 

1:: 

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(2) La pronuncia suscita qualche perplessit�, sia perch� non considera 
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affatto il tipo di fonte normativa che ha configurato il � potere � in questione (. 

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3

PARm I, SBZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

I 

(omissis) I sette decreti del Ministro per l'agricoltura e le foreste 
impugnati dalla Regione Veneto si collocano tutti tra il 20 ed il 29 dicembre 
1975; identiche le loro premesse e identico il loro articolato, incentrato 
precipuamente sull'asserito � preminente interesse nazionale delle 
riserve naturali�. Identiche, d'altro canto, sono pure la struttura, la motivazione 
e le conclusioni dei relativi ricorsi, imperniati, a loro volta, sul 
rilievo che l'aver costituito una riserva naturale su beni forestali � dopo 
la scadenza del termine del 1� aprile 1972 �, fissato dall'art. 1 del decretolegge 
28 dicembre 1971, n. 1121, convertito nella legge 25 febbraio 1972, 

n. 15, per il trasferimento delle funzioni amministrative dallo Stato alle 
regioni a statuto ordinario, � invade la sfera di competenza attribuita alla 
Regione Veneto a norma dell'art. 117 in relazione all'art. 119 della Costituzione 
medesima, dell'art. 11 della legge 16 maggio 1970, n. 281, e degli 
artt. l, 4 e 21 del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 11 �. 
Per l'Avvocatura dello Stato i ricorsi della Regione Veneto, prima 
ancora che infondati nel merito, sarebbero inammissibili. Come risulterebbe 
dall'invocata relazione dell'art. 117 della Costituzione con l'art. 119 
della stessa, l� dove questo (terzo comma) tratta di �un demanio e patrimonio 
� � proprio � della Regione, e dal dedotto contrasto con l'art. 11 
della legge 16 maggio 1970, n. 281, in forza del quale (comma quinto, primo 
periodo) �sono trasferite alle Regioni e fanno parte del patrimonio indisponibile 
regionale le foreste, che a norma delle leggi vigenti appartengono 
allo Stato�, la Regione Veneto mirerebbe a contestare non tanto la istituzione 
di riserve naturali, quanto la sottrazione dei corrispondenti territori 
al patrimonio regionale: peraltro -sostiene l'Avvocatura -�ogni questione 
relativa al trasferimento delle foreste al patrimonio regionale non 
pu� essere sollevata in questa sede di impugnazione dei decreti aventi ad 
oggetto la costituzione di riserve naturali, ma, come la Corte ha precisato 
con la sentenza n. 219 del 1972, dovr� essere affrontata in sede di eventuale 
ricorso avverso il decreto di trasferimento delle foreste �. 

Nessun dubbio che l'imposizione di vincoli forestali da parte dello 
Stato (attivit� preordinata alla tutela e gestione del territorio, a prescindere 
da ogni problema di appartenenza) non vale ad esprimere la determinazione 
dello Stato stesso di escludere dal trasferimento alla regione 
i territori sui quali quei vincoli vengono a ricadere (scelta implicante 

(la regione avrebbe � disposto >>, mediante propria legge, del controllo statale 
su una categoria di propri atti), sia perch� la distinzione tra amministrazione 
attiva e controllo � tutt'altro che netta e non pare riducibile alla formula � v'� 
controllo laddove v'� mero accertamento della conformit� (di un provvedimento) 
alla legge � (sul punto, si consenta di rinviare a FAVARA, L'interesse 
pubblico nei controlli, in Atti del XXIV Convegno di Varenna, Giuffr�, 1979, 86). 

2 



4 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

una presa di posizione sull'appartenenza del bene, a prescindere dalla 
sua tutela e gestione): questa Corte l'ha ben chiarito nella sentenza sopra 
menzionata e, prima ancora, nella sentenza n. 79 del 1972. Donde la conseguenza 
che eventuali doglianze nell'uno e nell'altro senso dovranno 
essere fatte valere autonomamente, senza equivoche sovrapposizioni o 
confusioni. Tanto pi� che, come questa Corte ha ulteriormente ancor 
meglio precisato (sentenza n. 111 del 1976), le iniziative dirette a chiedere 
� l'accertamento dell'appartenenza di determinati beni forestali, che 
le Regioni assumono trasferiti al loro patrimonio indisponibile e indebitamente 
trattenuti dallo Stato >>, per il fatto di avere ad oggetto � una 
effettiva e diretta vindicatio rerum �, � non prospettano una invasione 
della loro sfera di competenza, n� chiedono uria dichiarazione o delimitazione 
delle proprie attribuzioni costituzionalmente garantite�, in tal 
modo esorbitando dallo schema dei conflitti di attribuzione, per trovare, 
invece, spazio nell'ambito degli ordinari rimedi giurisdizionali consentiti 
dall'ordinamento. 

Tutto ci� -se davvero i ricorsi in questione risultassero preordinati 
soltanto a rivendicare il diritto della Regione Veneto �al proprio patrimonio 
delle foreste incluse nelle riserve�, come afferma l'Avvocatura dello 
Stato -comporterebbe una loro inammissibilit� a doppio titolo: da un 
lato, perch� si tr�tta di ricorsi oggettivamente diretti contro decreti 
aventi un ben diverso contenuto; dall'altro, perch�, anche a ritenere possibile 
una conversione di tale contenuto, i ricorsi per vindicatio rerum 
esulano dalla competenza di questa Corte (v., per un puntuale precedente, 
la gi� ricordata sentenza n. 111 del 1976). 

Pur non potendosi negare che i ricorsi della Regione Veneto sono 
pressoch� totalmente dedicati alla confutazione della nota ministeriale 
13 novembr� 1973, con la quale era stato manifestato l'intento di non 
trasferire, almeno per quel momento, i terreni forestali classificati in 
riserve naturali, si deve comunque riconoscere che i ricorsi stessi condudono 
chiedendo che venga dichiarata � di esclusiva competenza della 
Regione Veneto l'attribuzione costituzionale di costituire riserve naturali 
nelle foreste ecc. "� Nel che traspare evidente il raccordo con la dedotta 
violazione -gi� lo si � ricordato -non solo e non tanto dell'art. 119 
della Costituzione, quanto, soprattutto, dell'art. 117 della Costituzione, e 
non solo dell'art. 11 della legge 16 maggio 1970, n. 281, bensi anche degli 
artt 1, 4 e 21 del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 11. 

I ricorsi della Regione Veneto non sono fondati. E non lo sono, n� 
se presi alla lettera nella loro richiesta conclusiva di veder dichiarata, 
in ordine all'istituzione di riserve naturali entro le zone ricomprese nel 
patrimonio forestale ricadente nell'ambito territoriale della Regione Veneto, 
l'� esclusiva � competenza della Regione stessa e, quindi, negata 
ogni competenza dello Stato in materia; n� se intesi in senso meno drastico, 
nel senso, cio�, di negare legittimit� ai provvedimenti emessi nelle 

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

singole fattispecie considerate perch� comunque invasivi della sfera di 
competenza attribuita alla Regione. 

A smentire la tesi della esclusiva competenza regionale � pi� che 
sufficiente rimarcare il tipo di risposta ricavabile, con riguardo alle ri-� 
serve naturali, dal d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 11, per tutto quanto attiene 
all' � esigenza del rispetto dell'interesse nazionale, quale prevista dall'art. 
117 della Costituzione� (v. la sentenza n. 142 del 1972). Tale d.P.R. 
si caratterizza, per quel che qui pi� direttamente interessa, in un duplice 
modo: dando ampio spazio, in via generale (art. 8), all'esercizio 
da parte dello Stato della � funzione di indirizzo e coordinamento delle 
attivit� amministrative delle Regioni a statuto ordinario che attengono 
ad esigenze di carattere unitario � e mantenendo ferma, in via particolare 
(art. 4, lettera h), la competenza degli organi statali in ordine 
�agli interventi per la protezione della natura�, sia pur fatti �salvi 
gli interventi regionali non contrastanti con quelli dello Stato �. Il tutto 
in conformit� alla delega conferita dalla legge 16 .maggio 1970, n. 281, 
il cui art. 17, al fine di garantire che �lo svolgimento concreto delle 
funzioni regionali abbia ad essere armonicamente conforme agli interessi 
unitari della collettivit� statale� (sentenza n. 39 del 1971), aveva disposto 
che le funzioni trasferite alle regioni in ordine alle materie elencate 
nell'art. 117 della Costituzione dovessero essere �contenute nel limite 
degli interessi connessi alle esigenze delle . singole Regioni senza travalicare 
in quelli propri dello Stato e di altre Regioni� (sentenza n. �142 
del 1972). 

Ma neanche la tesi meno drastica -carenza di legittimazione statale 
alla base dei decreti impugnati -regge a fronte della disposizione 
in ultimo ricordata. �, infatti, indubitabile che l'istituzione di riserve 
naturali rappresenta una tipica forma di intervento preordinato alla protezione 
della natura e, pi� precisamente, alla conservazione del ben~ 
naturale, giacch� � essa comporta l'esclusione cli ogni attivit� che possa 
comprometterne lo stato attuale� (sentenza n. 79 del 1972), giustificando 
con il preminente interesse nazionale l'inserimento del relativo territorio 
tra i beni meritevoli di conservazione e di protezione. Il riconosciuto 
persistere in allora della competenza statale quanto agli interventi per 
la protezione della natura -art. 4, lettera h, del d.P.R. n. 11 del 1972 porta 
a ritenere che lo Stato, ai tempi di detto d.P.R., aveva sicuramente 
conservato � la pienezza dei suoi poteri in ordine all'imposizione di vincoli 
di tutela e di destinazione � sui beni forestali: donde la. conseguenza 
che, anche con riferimento ai sette decreti impugnati dalla Regione Veneto, 
ben pu� asserirsi che � la legittimit� dei provvedimenti adottati 
nell'esercizio dei suddetti poteri trova fondamento nell'ordinamento vigente 
all'epoca della loro emanazione� (v. sentenza n. 219 del 1972). 

(omissis) 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

6 

Il fatto che la legittimit� dei singoli provvedimenti trovi riscontro 
nell'ordinamento vigente all'epoca della loro emanazione rende, ovviamente, 
irrilevante ai fini della soluzione del conflitto di attribuzione il 
successivo evolveFsi , della normativa sul riparto delle competenze tra 
Stato e regioni; ma ci�, altrettanto ovviamente, non esclude che le innovazioni 
legislative possano riflettersi sulla dinamica dei rapporti instaurati 
in precedenza. Cos� si dica proprio per quel che attiene al contemperamento 
tra interventi statali ed interventi regionali in materia di 
protezione della natura: l'art. 83, secondo comma, del d.P.R. 24 luglio 1977, 

n. 616, nell'occuparsi espressamente dei parchi nazionali e delle riserve 
naturali dello Stato � esistenti � al momento della sua entrata in vigore, 
demanda la definizione della relativa disciplina e la ripartizione dei compiti 
tra Stato e regioni (nonch� comunit� montane) ad un'apposita legge, 
che mantenga ferma �la unitariet� dei parchi e riserve �. 
Ancor pi� determinante si appalesa, per quanto riguarda il trasferimento 
dei beni forestali alle regioni, l'art. 68 del� d.P .R. n. 616 del 1977, 
che regola nei dettagli le sorti dei beni dell'Azienda di Stato per le 
foreste demaniali, soppressa dalla prima parte dello stesso articolo: per 
i beni da trasferire e che non fossero stati ancora trasferiti lo Stato 
non potrebbe esimersi dal provvedere, alla stregua di ci� che dispongono 
le altre parti dell'art. 68. 

I tre decreti impugnati dalla Regione Toscana, rispettivamente datati 
8 �agosto 1980, 13 agosto 1980 e 15 aprile 1981, hanno premesse ed articolato 
soltanto parzialmente coincidenti: ma, mentre le differenze riscontrabili 
fra i primi due decreti appaiono marginali e, comunque, 
ininfluenti ai fini del� decidere, le differenze fra essi ed il terzo decreto 
sono per pi� versi tali da comportarne una trattazi�ne disgiunta. (omissis) 

I primi due ricorsi della Regione Toscana . lamentano, in via principale, 
la �violazione e falsa applicazione dell'art. 117 Cost. e degli artt. 66, 
primo comma, e �83, primo comma, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 �, 
norme che, considerate �nel loro insieme, attribuirebbero alle regioni 
ogni competenza in ordine alle nuove riserve naturali aventi dimensione 
infraregionale, quali sono quelle in questione, sottraendo allo Stato qualsiasi 
iniziativa, diretta o indiretta, nella materia. E lamentano, in via 
subordinata, la �violazione dell'art. 3, primo comma, legge 22 luglio 1975, 

n. 382, e dell'art. 4, primo comma, d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 �, nel senso 
che, se in parziale difformit� da tale drastica interpretazione si intendesse 
riconoscere allo Stato la possibilit� di assumere iniziative in ordine 
a nuove riserve naturali anche di dimensione infraregionale, e ci� nell'ambito 
delle funzioni di indirizzo e di coordinamento delle quali si 
occupa l'art. 83, quarto comma, del d.P.R. n. 616 del 1977, i decreti in 
esame non avrebbero comunque rispettato l'adozione delle complesse 
forme a detto fine tassativamente richieste. 

PARm I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

I due ricorsi dianzi riassunti non s_ono fondati. Come questa Corte 
ha sottolineato in una precedente occasione (sentenza n. 123 del 1980), 
risolvendo un conflitto dalla fisionomia parzialmente similare, la Convenzione 
di Ramsar, nel cui ambito attuativo i decreti impugnati sicuramente 
rientrano, � congegnata� in termini tali da comportare una serie di adempimenti 
e di valutazioni . affidabili esclusivamente allo Stato: infatti, 
solo i suoi organi sono in grado di � apprezzare le esigenze e gli interessi 
ecologici, non di singole regioni, ma dell'intera collettivit� nazionale �. 

Una convenzione che � tutta imperniata, sin dal suo titolo, � sull'importanza 
internazionale delle zone umide�, che fa espresso richiamo 
nelle premesse ad �una politica nazionale lunghnirante �, che subordina 
all'esistenza di �interessi nazionali urgenti� la cancellazione o restrizione 
delle zone gi� individuate (artt. 2 n. 5 e 4 n. 2), che invita a tener 
conto delle � responsabilit� sul piano internazionale � � (art. 12 n. � 6), che 
contempla la possibilit� di zone umide estese sul territorio di �pi� Stati 
(art. 5), non pu� non demandare agli organi� dello Stato l'adozione di 
provvedimenti quali quelli impugnati, �posti in. �funzione di un vincolo 
internazionale che spettava allo Stato instaurare � (sente:hza n. 123 del 
1980). Il che, visto nel suo complesso, appare ben rispondente alla pre~ 
visione contenuta in quella parte dell'art. 4, pnmo comma, del d:P.R. 
24 luglio 1977, n. 616, che comprende fra le competenze dello Stato �le 
funzioni, anche nelle materie trasferite .o delegale alle regioni, attinenti 
ai rapporti internazionali �. 

La Regione ric�rrente n�n disconosce i contenuti della sentenza n. 123 

. 
del 1980, ma ne contesta l'applicabilit� ai due casi in esame. Anzitutto, 
perch� qui �entra in gioco una competenza di �una ft;!gione a statuto 
ordinario specific~ente prevista e disciplinata dal d.P..R~ .24 luglio i977, 

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n. 616,, (art. 66, primo comma, e 83, primo comma), m.entre nell'occasione 
precedente era in discussione la competenza della, Re~op.e Sardegna; 
in secondo luogo, :i;>erch� l'attivit� internazionale rilevante ai fini dell'esecuzione 
della Convenzione di Ramsar �risulta essersi gi� esaurita 
e completata attraverso la precedente dichiarazione .. del valore intern,a" 
zionale della zona umida operata con d.m. 9 maggio 1977 �, di modo �che 
� l'istituzione di una riserva naturale nell'ambito di una zona umida gi� 
designata dallo Stato non rappresenta l'esecuzione .diretta di un obbligo 
internazionale, ma solo un elemen~o aggiuntivo di tutela della zona umida, 
rispetto a cui permane la distribuzione interna delle competenze fissata 
nell'art. 66 � del d.P.R. n. 616 del 1977. 
Alla prima obiezione � agevole replicare che -a parte il pi� generale 
problema dei rapporti tra le competen;ze. delle regioni a statuto ordinario 
e le competenze delle regioni a statuto speciale, non certo risolubile 
nel senso che a queste ultime possano� essere riconosciute competenze 
pi� ridotte -proprio lo Statuto sardo� � .. quello che. contiene, all'art. 52, 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

primo comma, la disposizione pi� avanzata in tema di partecipazione 
regionale alla gestione del potere estero. 

A superare la seconda obiezione, che mette in risalto la innegabile 
diversit� intercorrente tra l'oggetto degli attuali ricorsi (il decreto istitutivo 
della riserva naturale) e l'oggetto del ricorso deciso con la sentenza 
n. 123 del 1980 (la determinazione o designazione della zona da 
inserire nell'elenco delle zone umide di importanza internazionale, atto 
addirittura anteriore al decreto dichiarativo del valore internazionale 
della zona umida designata, cui fa a sua volta seguito il decreto istitutivo 
della riserva), vale l'osservazione che l'obbligo di creare riserve naturali 
� elemento fondamentale, e non solo aggiuntivo, del sistema cui d� vita 
la Convenzione di Ramsar. Esplicitamente previsto dall'art. 4 n. 2 per 
il caso di cancellazione o restrizione di una zona gi� inclusa nell'apposito 
elenco ai fini di creare � nuove � riserve, tale obbligo � da intendersi, 
a maggior ragione, operante nell'ipotesi dell'art. 4 n. 1 (creazione di 
riserve naturali in via primaria). Ed. invero -a parte la considerazione 
che, secondo la pi� volte citata sentenza n. 123 del 1980, poich� ~ il 
provvedimento impugnato � stato posto in f.nzione di un vincolo internazionale 
sulle zone umide da esso individuate �, la competenza dello 
Stato � si atteggia come piena ed esclusiva � -appare decisivo il rilievo 
che l'istituzione di una o pi� riserve naturali trasforma il vincolo previsto 
in sede internazionale, che del regime della Convenzione rappresenta 
il cardine, da virtuale (quale lo aveva reso la designazione della 
zona destina�a: ad essere inserita nell'elenco) in attuale, secondo gli 
strumenti di adattamento apprestati dal diritto interno. 

Cos� riconosciuta per i due decreti dell'S e del 13 agosto 1980 la 
competenza dello Stato sulla base di quella parte dell'art. 4, primo 
comma, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, che si richiama ai rapporti 
internazionali intesi come si � detto, indipendentemente, quindi, da ogni 
collegamento con l'esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento, 
resta privo di rilievo il motivo di ricorso formulato in via subordinata. 

Il terzo ricorso della Regione Toscana .;... proposto nei confronti di 
un provvedimento che, pur richiamandosi anch'esso alla Convenzione di 
Ramsar, oltrech� ad una pi� recente direttiva� del Consiglio delle Comunit� 
europee, � venuto a costituire in riserva naturale un bi�topo rispetto 
al quale non risulta esservi stata n� la determinazione ministeriale 
di destinarlo all'inserimento nell'elenco delle zone umide di importanza 
internazionale, n� la dichiarazione del valore internazionale della relativa 
zona umida -deduce quattro ordini di motivi. In via principale la 
�violazione e falsa applicazione degli artt. 117 e 118 Cost., in relazione 
agli artt. 66, primo comma, e 83, primo comma, d.P.R. 24 luglio 1977, 

n. 616, nonch� all'art. 78, lettera a, del medesimo d.P.R. �, che, nel loro 
complesso, demanderebbero l'istituzione di riserve naturali esclusivamente 
alle regioni a statuto ordinario. E, in via progressivamente subordinata: 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

la �violazione e falsa applicazione degli artt. 117 e 118 Cost., in relazione 
agli artt. 66 e 83 d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, anche con riferimento all'esecuzione 
della convenzione relativa alle zone umide d'importanza internazionale 
firmata a Ramsar il 2 febbraio 1971 �, e ci� non solo perch� 
l'istituzione di riserve naturali rappresenterebbe un momento estraneo 
all'esecuzione degli obblighi posti dalla convenzione, ma anche perch�, 
comunque, nel caso di specie sarebbe mancata la dichiarazione di zona 
umida avente valore internazionale; la �violazione degli artt. 117 e 118 
Cost. e degli artt. 6, 66 e 83 d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, anche in relazione 
alla direttiva comunitaria del 2 aprile 1979 �, perch�, sotto il profilo 
degli obblighi comunitari, opererebbe il principio di cui al detto 
art. 6, che ha trasferito alle regioni le funzioni amministrative attinenti 
all'applicazione dei regolamenti e delle direttive comunitarie; e, infine, 
la �violazione dell'art. 83, quarto comma, d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 �, 
con, �in ipotesi, violazione dell'art. 3, primo comma, legge 22 luglio 1975, 

n. 382, e dell'art. 4, primo comma, d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 �, mancando 
il principale presupposto per l'applicazione del quarto comma di 
detto art. 83 (riserve naturali .di carattere interregionale) e, comunque, 
in concreto, il rispetto delle forme previste per l'esercizio delle funzioni 
di indirizzo e di coordinamento. Poich� tanto il primo motivo quanto 
una parte del secondo risultano contraddetti dalle considerazioni gi� 
svolte, l'analisi del ricorso ora in esame potr� concentrarsi sui profili 
particolari che residuano. 
Sotto tali profili il terzo ricorso della Regione Toscana � fondato. 
Sono, infatti, da condividere le argomentazioni svolte dalla ricorrente 
in ordine sia alla portata rivestita dalla dichiarazione del valore internazionale 
della zona umida nell'ambito esecutivo della Convenzione di 
Ramsar, sia all'esercizio delle funzioni relative all'attuazione delle direttive 
della Comunit� economica europea, sia al significato da attribuire 
alla espressione � di carattere interregionale � nell'art. 83, quarto comma, 
del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616. Il che toglie, ovviamente, anche questa 
volta, sia pur per opposte ragioni, ogni rilievo alle considerazioni sulla 
forma assunta nella specie dal provvedimento impugnato, venendo a 
risultare inesistente la legittimazione stessa dello Stato ad emanare il 
decreto istitutivo della riserva naturale in oggetto. 

Nessuno dei titoli giustificativi adombrati nel contesto del provvedimento 
trova il necessario riscontro nelle circostanze di fatto e nelle 
norme. Non trova rispondenza nelle prime il richiamo agli artt. 1 e 4 
della Convenzione di Ramsar, essendo possibile far leva sui vincoli nascenti 
da un trattato internazionale per risalire alla fonte delle competenze 
dello Stato di cui all'art. 4, primo comma, del d.P.R. 24 luglio 1977, 

n. 616, solo in quanto uno almeno degli adempimenti previsti dal trattato 
(in particolare, la Convenzione di Ramsar contempla la dichiarazione 
del valore internazionale della zona umida e la designazione della stessa 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

10 

ai fini dell'inclusione nell'elenco delle zone umide conservato dall'Ufficio 
internazionale per la tutela della natura e delle risorse naturali) risulti 
realizzato: in caso contrario, mancando ogni collegamento con il trattato, 
qualsiasi atto che vi si richiami resta automaticamente al di fuori dell'esecuzione 
di esso. Non trova appoggio nelle norme la pretesa di agganciare 
la competenza dello Stato alla necessit� di far fronte ad una direttiva 
del Consiglio delle Comunit� europee: il primo comma dell'art. 6 
del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, � esplicito nel trasferire alle regioni le 
funzioni preordinate all'attuazione delle direttive comunitarie fatte proprie 
dallo Stato, con l'unico limite del particolare, complesso, meccanismo 
configurato nel terzo comma del medesimo articolo. Non trova, infine, il 
conforto delle norme e delle circostanze di fatto il generico riferimento 
agli artt. 68 e 83 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, e relativi adempimenti, 
meglio precisato nelle difese dell'Avvocatura dello Stato con il suo attestarsi 
sul quarto comma dell'art. 83, inteso nel senso che la ivi considerata 
� potest� del Governo di individuare, nell'ambito delle funzioni di 
indirizzo e di coordinamento, i nuovi territori nei quali istituire riserve 
naturali e parchi di carattere interregionale �, postulerebbe un'interregio~ 
nalit� non di ordine territoriale o geografico, ma insita nella portata 
sovraregionale, e quindi nazionale, degli interessi tutelati: dal confronto 
con le altre non poche disposizioni del d.P.R. n. 616 del 1977 che fanno 
uso dell'aggettivo �interregionali� (art. 69, secondo comma, rispetto 
alle �aziende�; artt. 89, secondo comma, e 91 rispetto ai �bacini idrografici 
�; artt. 113, primo comma, e 122, primo comma, rispetto agli 
�enti�, ecc.) o della stessa nozione di �carattere interregionale� (art. 85, 
secondo comma, rispetto alle � linee di gran turismo �), emerge in maniera 
sufficientemente chiara la connotazione geografica o territoriale di 
tali espressioni, da rapportare, cio�, a situazioni che territorialmente 
interessino pi� regioni, come non � certo il caso della zona umida oggetto 

del decreto in discussione. 

Sempre a proposito dell'art. 83, quarto comma, del d.P.R. 24 luglio 
1977, n. 616, non va, oltretutto, dimenticato che l'esercizio delle 
funzioni di indirizzo e di coordinamento, nucleo centrale di tale disposto, 
reca in s� l'idea di un coinvolgimento di pi� regioni. D'altro canto, perch� 
l'interesse nazionale possa assurgere a criterio ispiratore degli organi 
statali (come l'Avvocatura dello Stato vorrebbe ai fini dell'individuazione 
di nuovi territori nei quali istituire riserve naturali), sembra indispensabile 
che esso non rimanga indeterminato e, quindi, apoditticamente 
rimesso alla valutazione, di volta in volta, di un ministro, ma riceva adeguata 
qualificazione attraverso un ragionevole fondamento normativo, 
demandato, pertanto, all'individuazione del legislatore: il che, fino ad oggi, 
non si � verificato, non essendo stata emanata la legge-quadro per i 

parchi e le riserve naturali, alla quale lo stesso d.P.R. 

n. 616 del 1977 \ 
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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

demanda, sia pure per i soli aspetti considerati dal secondo comma 
dell'art. 83, la definitiva soluzione dei problemi in esame. 

Si aggiunga che il decreto impugnato, a differenza dei due di poco 
precedenti, non si preoccupa nemmeno di � far salve � le competenze 
regionali, mal adeguandosi, anche sotto questo profilo, all'ottica adottata 
dalla delega di cui all'art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382, e dal conseguente 
d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, ottica tutta tesa a valorizzare materie 
esplicitamente non enunciate nell'art. 117 della Costituzione, attraverso 
un largo uso delle interconnessioni tra materie (qui rilevano, soprattutto, 
l'� urbanistica � e l'� agricoltura e foreste �) e tra le relative competenze. 

Il caso delle riserve naturali � uno dei pi� emblematici in proposito. 
Non fatte oggetto, diversamente di quanto accaduto per i parchi nazionali 
{art. 4, lettera s), di una espressa previsione da parte del d.P.R. 
15 gennaio 1972, n. 11, che -come si � visto nel punto 5 -si limitava a 
parlare genericamente di � interventi per la protezione della natura � 
senza ulteriori specificazioni, le riserve naturali hanno trovato larga 
considerazione nel d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, che se ne occupa direttamente 
sia nel capo dedicato all'agricoltura e foreste (art. 66, primo comma, 
che affianca all'istituzione di parchi e riserve naturali � la tutela 
delle zone umide�), sia nel capo dedicato all'urbanistica: qui � l'art. 83, 
primo comma, a ribadire la regola del trasferimento delle funzioni amministrative 
concernenti le riserve ed i parchi nazionali alle regioni, 
salvi -in favore dello Stato -i soli limiti risultanti dall'art. 83, secondo 
comma, per i parchi nazionali e le riserve naturali �dello Stato esistenti� 
al momento della sua entrata in vigore e dall'art. 83, quarto comma, 
per le riserve naturali ed i parchi di carattere interregionale, oltre, beninteso, 
al gi� esaminato limite di ordine generale posto dall'art. 4 in 
attinenza ai rapporti internazionali. 

Il provvedimento de quo, in quanto adottato da organi dello Stato 
al di fuori di ogni eccezione consentita, lede la sfera della Regione ricorrente 
e va di conseguenza annullato. 

Il decreto del Ministro per l'agricoltura e le foreste impugnato dalla 
Regione Lombardia reca la stessa data (13 agosto 1980) di uno dei decreti 
impugnati dalla Regione Toscana (per la precisione, il secondo), ma, 
mentre l'articolato � virtualmente il medesimo, compreso il disposto che 
fa � salve le competenze regionali �, le premesse coincidono soltanto 
nella parte in cui si d� atto della � richiesta di istituzione di una riserva 
naturale di popolamento animale nell'area anzidetta, avanzata dall'Associazione 
italiana per il World Wildlife Fund -Fondo mondiale per la 
natura, con nota in data 25 luglio 1980 �. Per il resto, non vi � qui alcun 
cenno alla Convenzione di Ramsar, n� all'esistenza di una � zona umida 
di valore internazionale �, pur non mancandosi di qualificare il bi�topo 
come �zona di sosta e di nidificazione di numerosi uccelli acquatici�. 
D'altro canto, viene fatto richiamo ad una delibera del consiglio regionale 


RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DEU.O STATO 

della Lombardia del 15 febbraio 1979, �relativa alla costituzione di una 

riserva naturale locale � nella stessa area. 

A sua volta, il ricorso della Regione deduce, con un unico ma com


posito motivo, la �violazione degli artt. 118 e 117 della Costituzione, 
,anche in relazione all'art. 83 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, e all'art. 3 
della legge 22 luglio 1975, n. 382 �, insistendo particolarmente, quanto 
all'art. 83, sull'inosservanza del primo comma e, comunque, sull'inapplicabilit� 
del quarto comma, sia per il carattere � non interregionale � 
della riserva de qua, sia, in subordine, per la carenza delle forme indispensabili 
agli effetti ivi previsti, come anche richiesto dall'art. 3 della 

legge n. 382 del 1975. 

Il ricorso della Regione Lombardia � fondato. 

Esclusa in partenza qualsiasi possibilit� per gli organi dello Stato 

di avvalersi dell'art. 4, primo comma, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 

(� lo stesso decreto ministeriale a mostrarsene ben consapevole, tanto 

da non contenere alcun cenno a vincoli e rapporti di ordine internazio


nale), le doglianze della Regione ricorrente meritano pieno accoglimento, 

e ci� alla stregua di quanto si � avuto modo di puntualizzare con ri


guardo alle varie parti dell'art. 83 del d.P.R. n. 616 del 1977, in sede di 

esame del terzo ricorso della Regione Toscana. 

Non potendo, infatti, trovare applicazione n� il secondo comma di 

detto art. 83 (la riserva � di istituzione successiva all'entrata in vigore 

del d.P.R. n. 616 del 1977), n� il quarto comma dello stesso (la riserva 

non � di carattere territorialmente interregionale, con conseguente assor


bimento degli altri problemi di forma posti da tale comma), nella fatti


specie concreta in questione � da ritenersi competente la Regione Lom


bardia: una competenza, del resto, gi� esercitata, ai sensi degli artt. 66, 

primo comma, e 83, primo comma, del d.P.R. n. 616 del 1977 e in con


formit� agli artt. 117 e 118 della Costituzione, con la delibera costitutiva 

della riserva locale (15 febbraio 1979), la cui legittimit� �, comunque, qui 

fuori discussione, non solo perch� non disconosciuta nemmeno dal de


creto ministeriale, ma anche perch� l'illegittimit� di quest'ultimo rende 

ultroneo affrontare il tema dei rapporti tra una riserva locale gi� istituita 

e l'istituzione nella stessa zona di una riserva naturale di popolamento 

animale da parte dello Stato con un atto che fosse di per s� legittimo, 

ma che si venisse a sovrapporre alla delibera regionale in quanto ema


nato successivamente. 

Il presente provvedimento, di per s� viziato perch� invasivo delle 

attribuzioni della Regione, va, pertanto, annullato. 

Il decreto impugnato dalla Regione Friuli-Venezia Giulia, che reca la 

data del 30 luglio 1980, risulta emanato da:l Ministro per l'agricoltura e 

le foreste di concerto con il Ministro dell'interno, essendo la � Foresta 

di Tarvisio�, suo punto di riferimento territoriale, di propriet� del


l'Azienda patrimoni riuniti ex-economali, cos� da rientrare fra i beni 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

forestali espressamente esclusi dal trasferimento al patrimonio indisponibile 
della Regione Friuli-Venezia Giulia (art. 1, second� comma, del 

d.P.R. 26 giugno 1965, n. 958). L'articolato del decreto ministeriale, che 
� per i problemi di gestione che possono interferire con gli interessi 
regionali � prescrive di sentire la Regione, costituisce in riserva naturale 
di popolamento anim�le le molte zone della � Foresta di Tarvisio � diverse 
da quelle gi� dichiarate riserva naturale integrale con un precedente 
decreto ministeriale (2 dicembre 1975), citato nelle premesse del 
provvedimento in esame, unitamente a varie fonti normative, quali gli 
artt. 68 e 83 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, e le due leggi 27 dicembre 
1977, n. 968 e 984, non senza diversi accenni, sia pur generici, ad 
organizzazioni ed enti internazionali e � all'importanza internazionale dell'area 
da proteggere�. 
Con il relativo ricorso, la Regione, dopo aver osservato che nel 
decreto vengono �promiscuamente richiamate la materia della caccia e 
la materia dell'urbanistica�, muove ad esso l'addebito di essere lesivo, 
sotto il prim� profilo, della sfera di competenza � costituzionalmente 
assegnata alla Regione Friuli-Venezia Giulia dall'art. 4 n. 3 dello Statuto 
speciale e dall'art. 1 del d.P.R. n. 1116 del 1965 � e, sotto il secondo profilo, 
della sfera di competenza alla stessa Regione � attribuita con l'art. 4 

n. 12 dello Statuto speciale e con gli artt. 22 del d.P.R. n. 1116 del 1965 
e 21 e 26 del d.P.R. n. 902 del 25 novembre 1975 �. 
11 ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia � fondato. Non si pu�, 
invero, disconoscere che, nel dare attuazione all'art. 4 della legge costituzionale 
31 gennaio 1963, n. 1, il d.P.R. 26 agosto 1965, n. 1116, abbia, 
con gli artt. 1 e 22 (quest'ultimo tanto nel suo testo originario quanto 
nel testo sostituito dall'art. 21 del d.P.R. 25 novembre 1975, n. 902), trasferito 
alla Regione Friuli-Venezia Giulia le attribuzioni degli organi dello 
Stato sia in materia di caccia sia in materia di urbanistica con una portata 
non suscettibile 'di trovare limitazioni in nessuna delle indicazioni 
contenute nelle premesse del decreto impugnato e sviluppate all'udienza 
dall'Avvocatura dello Stato. 

Per quanto riguarda le considerazioni basate sull'esclusione dal trasferimento 
alla Regione Friuli-Venezia Giulia dei rapporti relativi ai beni 
forestali appartenenti, come la �Foresta di Tarvisio�, all'Azienda patrimoni 
riuniti ex-economali, va detto subito che esse -allo stesso modo 
del similare art. 68, secondo comma, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 non 
rilevano ai presenti fini, i quali coinvolgono non questioni di ordine 
patrimoniale (oltretutto, estranee alla competenza di questa Corte), ma 
questioni di gestione funzionale. 

N�, tanto meno, valgono i richiami all'art. 83 del d.P.R. 24 luglio 1977, 

n. 616, nelle parti in cui vi sarebbe prevista �una futura normativa di 
ripartizione di compiti fra Stato, Regioni e Comunit� montane �, lasciando 
allo Stato �il potere di individuare nuovi territori da costituire in riserve 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

14 

naturali di interesse nazionale�: il secondo comma di detto articolo prevede 
si � una futura normativa di ripartizione di compiti "� ma con esclusivo 
riferimento alle riserve naturali dello Stato gi� esistenti, mentre il 
quarto comma parla non di riserve naturali di interesse nazionale, ma 
di riserve naturali a carattere interregionale. 

Non vi � dubbio, ed in questo gli argomenti svolti dalla stessa Avvocatura 
sono pienamente da condividere, che l'art. 83, pur rientrando in 
un d.P.R., come il n. 616 del 1977, dettato in attuazione di una delega 
concernente le regioni a statuto ordinario (v. art. 1, parte prima, della 
legge 22 luglio 1975, n. 382), trovi applicazione anche per le regioni a 
statuto speciale, non essendo accettabile che in una materia -quale 
quella delle riserve naturali, per la prima volta specificata appunto dal 

d.P.R. n. 616 del 1977 -le regioni a statuto speciale, nell'assenza di una 
espressa disposizione in contrario, restino prive delle attribuzioni conferite 
alle regioni a statuto ordinario. Orbene, la portata principale dell'art. 
83 sta, appunto, nell'aver trasferito �alle regioni le funzioni amministrative 
concernenti gli interventi per la protezione della natura, le 
riserve ed i parchi naturali� (primo comma), con i soli limiti, qui non 
riscontrabili, posti in favore dello Stato dal secondo e dal quarto comma. 
Altrettanto controproducente si rivela il richiamo che la prima premessa 
del provvedimento fa alla legge 27 dicembre 1977, n. 968. Nel dettare 
� principi generali e disposizioni per la protezione e la tutela della 
fauna e la disciplina della caccia�, tale legge, all'art. 6, primo comma, 
impegna, per gli interventi nel settore della caccia, le regioni a predisporre 
piani annuali o pluriennali, qualificati di conseguenza piani regionali, 
con la previsione, tra l'altro, di � oasi di protezione, destinate al 
rifugio, alla riproduzione, alla sosta della fauna selvatica � (lettera a) e 
di � zone di ripopolamento e cattura, destinate alla riproduzione della 
selvaggina, al suo irradiamento nelle zone circostanti ed alla cattura 
della medesima per il ripopolamento� (lettera b). La prescrizione dell'art. 
4 n. 3 dello Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia non 
potrebbe trovare rispondenza pi� puntuale di questa. 

Ultroneo �, poi, il richiamo alla legge 27 dicembre 1977, n. 984, sul 
quale ha pur insistito la difesa orale dell'Avvocatura dello Stato: emanata 
pochi mesi dopo il d.P.R. n. 616 del 1977, tale legge, essenzialmente 
mossa dall'intento di assicurare adeguati finanziamenti a tipi svariatissimi 
di intervento pubblico, non poteva pretendere -n� ha preteso di 
modificare l'appena tracciato riparto delle competenze tra lo Stato e 
le regioni. Troppo generica risulta, infine, l'utilizzazione della dimension~ 
internazionale, qui insufficiente in modo palese: il limite degli obblighi 
internazionali opera a favore dello Stato soltanto in presenza di adempimenti 
precisi, necessari per dare puntuale esecuzione ad un vincolo 
formalmente assunto. 

L'illegittimit� del decreto impugnato, invasivo della sfera di compe


tenza della Regione Friuli-Venezia Giulia, ne comporta l'annullamento. 

i: 
1� 


PAIU'B I, SBZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

II. 
Occorre anzitutto ricordare che il giudizio pendente presso il Tribunale 
amministrativo regionale del Lazio riguarda due mostre a carattere 
internazionale che avrebbero dovuto svolgersi nei quartieri dell'Ente fiera 
di Milano, pur non essendo state organizzate dall'Ente medesimo, bensl 
da una privata associazione quale la ricorrente. Nel ricorso proposto da 
tale associazione -avverso un provvedimento ministeriale che respingeva 
la sua domanda, negando che in materia sussistesse la competenza 
dello Stato -veniva denunciata in primo luogo la violazione degli 
artt. 51 ss. del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616: i quali non avrebbero trasferito 
alle Regioni il potere autorizzativo in discussione, dato il disposto dell'art. 
53, n. l, in cui si afferma la perdurante competenza statale circa 
le funzioni amministrative concernenti �gli enti fiera internazionali di 
Milano, di Bari e di Verona�. E, solo in subordine, si richiedeva che il 
TAR sollevasse questione di legittimit� costituzionale delle norme predette, 
in quanto t.ali da non tutelare � il carattere internazionale delle 
manifestazioni�, indipendentemente dalla sede nella quale si svolgano. 

Tuttavia, il giudice a quo non ha ritenuto di affrontare preliminarmente 
lo specifico problema delle manifestazioni fieristiche internazionali 
occasionalmente organizzate a cura di soggetti diversi dagli enti fiera 
di Milano, di Bari e di Verona, ma destinate a svolgersi presso gli enti 
stessi. Ed ha, viceversa, impugnato senz'altro gli artt. 51 e 53 d.P.R. cit., 
con particolare riferimento alle� norme che trasferiscano o deleghino alle 
Regioni funzioni amministrative in tema di fiere internazionali (ovvero 
non riservino allo Stato l'intera spettanza delle funzioni medesime). 

Cos� ricostruito, il tema dell'impugnativa si presenta, dunque, alquanto 
pi� ampio della controversia in atto fra l'associazione e il Ministero 
dell'industria, commercio ed artigianato. Ma ci� non toglie che si tratti di 
una questione rilevante ed ammissibile, poich� l'accoglimento di essa 
toglierebbe qualunque fondamento normativo all'atto ministeriale in 
esame e ne consentirebbe l'immediato annullamento da parte del TAR, 
senza che quel giudice fosse comunque tenuto a reinterpretare le norme 
impugnate. 

Nel merito, va premesso che le funzioni amministrative regionali esercitabili 
in base agli artt. 51 e 53 del d.P.R. n. 616 rappresentano il frutto 
di un trasferimento, operato nel� presupposto che quelle funzioni ricadano 
in una materia di competenza regionale propria; non gi� di una delegazione, 
fondata sul secondo comma dell'art. 118 Cost. e avente per oggetto 
�altre funzioni amministrative�, eccedenti le �materie elencate nel precedente 
articolo�, delle quali lo Stato conservi la titolarit�. La lettera 
dell'art. 51, in cui si fa espresso richiamo alla materia �fiere e mercati�, 
non consente alcun dubbio in proposito; ed una ulteriore conferma si 
ricava -ex adverso -dal seguente primo comma dell'art. 52, mediante 


RASSEGNA DELl,.'AVVOCATURA DELLO STATO 

16 

il quale s'� avuto cura di avvertire esplicitamente che il solo eserc1z10 
delle previste funzioni amministrative in tema di �attivit� commerciali � 
deve considerarsi � delegato alle regioni �. Pertanto, l'unica questione da 
risolvere nel presente giudizio riguarda l'asserita illegittimit� degli artt. 51 
e 53 del d.P.R. n. 616, in riferimento all'art. 117 Cost.; mentre non ricorre 
l'ipotesi per cui le funzioni regionali concernenti le manifestazioni fieristiche 
internazionali discenderebbero invece da una delega liberamente 
disposta con atto legislativo dello Stato, in pretesa violazione dei principi 
di buon andamento e d'imparzialit�, sanciti dall'art. 97 della Costituzione. 


La questione non � fondata. Secondo l'ordinanza di rimessione, le 
norme impugnate non garantirebbero pi� la necessaria � tutela degli 
interessi nazionali � ed anzi interferirebbero nella stessa sfera dei � rapporti 
che lo Stato italiano intrattiene con gli Stati esteri�; sicch� ne verrebbe 
contraddetta l'indicazione offerta dalla sentenza n. 138 del 1972, con 
cui questa Corte ha affermato che �in base alla Costituzione le attribuzioni 
legislative e le corrispondenti attribuzioni amministrative delle 
Regioni hanno ad oggetto solo fiere e mercati di carattere regionale, 
giacch� queste manifestazioni, quando abbiano pi� vasta dimensione, 
corrispondono ad interessi sostanziali che fanno immediatamente capo 
all'intera comunit� nazionale ed appartengono, conseguentemente, alla 
competenza dello Stato �. Ma il giudice a quo non ha considerato adegua� 
tamente n� la natura dei contrapposti interessi in gioco, n� i margini che 
in tal campo rimangono affidati alla discrezionalit� legislativa, n� il 
quadro normativo in cui s'inseriscono le norme impugnate: quadro assai 
mutato rispetto a quello in cui si collocava il d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 7 
(contenente disposizioni sul �trasferimento alle Regioni a statuto ordinario 
delle funzioni amministrative statali in materie di fiere e mercati e 
del relativo personale�), sul quale si � pronunciata la predetta decisione 
della Corte. 

Certo, dev'essere tuttora condiviso l'insegnamento basilare della sentenza 
n. 138 del 1972: ossia che, per tutti i settori elencati dal primo comma 
dell'art. 117 Cost., �vale la considerazione che, pur nell'ambito di una 
stessa espressione linguistica, non � esclusa la possibilit� di identificare 
materie sostanzialmente diverse secondo la diversit� degli interessi, regionali 
o sovraregionali, desumibile dall'esperienza sociale e giuridica � 
(senza di che -aggiungeva la Corte -� fondamentali esigenze dell'intera 
comunit� rischierebbero di restare insoddisfatte�). Ma lo stabilire in 
quali forme le due specie di interessi debbano venir considerate e reciprocamente 
armonizzate compete in larga misura alla legge statale ordinaria: 
cui spetta, in particolar modo, decidere in che limiti ed a quali effetti 
l'intreccio riscontrabile fra gli interessi nazionali e regionali richieda che 
vengano introdotti congegni di cooperazione tra le Regioni e lo Stato, 


anzich� separare con nettezza gli oggetti dell'una e dell'altra competenz,a. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

L'art. 117 va per questa parte interpretato in collegamento con l'art. 127, 
ultimo comma, della Costituzione: l� dove si dispone che le questioni � di 
merito per contrasto di interessi � sono risolte dalle Camere e non da 
questa Corte. Diversamente, il disegno costituzionale delle autonomie 
regionali non conserverebbe la necessaria elasticit� e non potrebbe venire 
costantemente adeguato -nell'ambito delle stesse materie elencate 
dall'art. 117 -alle mutevoli esigenze delle popolazioni locali e della collettivit� 
nazionale. 

Non � dunque pensabile che i due. ordini di interessi in esame debbano 
rimanere -per Costituzione -dimensionati alla stregua di leggi 
statali ordinarie o di atti legislativi equiparati, previgenti rispetto alla 
Carta costituzionale: quale sarebbe, nella specie, il r.d.l. 29 gennaio 1934 

n. 454, in cui si classificavano le mostre, le fiere e le esposizioni, secondo 
che avessero carattere locale, provinciale, interprovinciale, nazionale od 
internazionale. La circostanza che tali norme fossero in vigore nel momento 
in cui veniva elaborata ed approvata la Costituzione repubblicana 
e che, in un primo tempo, il d.P.R. n. 7 del 1972 le abbia fondamentalmente 
assunte a base (pur apportandovi significative deroghe, ai fini del riparto 
fra le competenze statali e regionali) non implica affatto che le 
norme stesse debbano considerarsi costituzionalizzate e che il legislatore 
statale ordinario non possa modificarle, agli effetti previsti dall'art. 117 
Cost. Ma in ci�, precisamente, si risolve la nuova disciplina dettata dal 
d.P.R. n. 616 del 1977, la quale -in sostanza -riduce a tre sole le cinque 
categorie preesistenti: ponendo in distinta evidenza e riservando allo 
Stato le funzioni relative agli enti fieristici di Milano, di Bari e di Verona 
(unitamente alle� esposizioni universali�); suddividendo fra la competenza 
statale e quella regionale le funzioni relative alle altre manifestazioni 
fieristiche internazionali; ed attribuendo alle Regioni tutte le funzioni 
residue, con la conseguenza che le fiere locali, provinciali, interprovinciali 
e nazionali rimangono in tal senso indifferenziate (salvo il calendario 
ufficiale di cui al n. 3 dell'art. 53 d.P.R. cit.). 
A giustificare una disciplina del genere sul piano costituzionale, sta 
il fatto che gli interessi regionali esistenti in materia non attengono alle 
sole fiere di livello infraregionale, ma indubbiamente coinvolgono le manifestazioni 
fieristiche di maggiore importanza, pur non escludendo la compresenza 
di interessi facenti capo -secondo la terminologia della sentenza 
n. 138 del 1972 -all'intera comunit� nazionale: basta infatti ricordare 
-per averne la prova -il rilievo che le fiere internazionali presentano ai 
fini dello sviluppo economico delle popolazioni locali, dell'incremento del 
turismo di competenza regionale, dello stesso assetto del territorio, per 
ci� che riguarda la localizzazione e l'urbanizzazione delle aree destinate 
alle fiere medesime. Non a caso, gi� nel d.P.R. n. 7 del 1972 si disponeva 
il trasferimento alle Regioni ordinarie delle funzioni concernenti le fiere 


18 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

internazionali non organizzate � da enti riconosciuti ai sensi dell'art. 2 
del regio decreto-legge 29 gennaio 1934, n. 454 �, e si prevedevano specifici 
poteri regionali in tema di � riconoscimento di nuovi enti fieristici organizzatori 
di fiere internazionali�, nonch� di designazione di componenti i 
relativi consigli di amministrazione (cfr. gli artt. l, secondo comma, lett. a, 
2, terzo comma, e 3, primo comma). Sicch� per questa parte gli artt. 50 
e seguenti del d.P.R. n. 616 del 1977 non hanno fatto altro che integrare il 
primo trasferimento delle funzioni amministrative statali alle Regioni, 
in base ai principi direttivi stabiliti dalle leggi 16 maggio 1970, n. 281, e 22 lu 
glio 1975, n. 382, quanto alla necessaria organicit� del trasferimento medesimo: 
principi che la stessa Corte ha valorizzato pi� volte, sin dalla 
sentenza n. 39 del 1971, con cui s'� affermata -in vista dell'art. 17 
della legge n. 281 -l'esigenza che �alle Regioni siano assegnate per 
intero le materie indicate nell'art. 117 della Costituzione�, assicurando 
bens� che � lo svolgimento concreto delle funzioni regionali abbia ad essere 
armonicamente conforme agli interessi unitari della collettivit� nazionale 
�, ma senza per questo addivenire ad � una preventiva e generale 
riserva allo Stato di settori di materie �. 

N� si pu� dire che le norme impugnate non abbiano tenuto conto 
degli interessi nazionali. Da un lato, la perdurante potest� ministeriale di 
qualificazione delle fiere internazionali -che, nella prassi, viene esercitata 
mediante appositi decreti di riconoscimento, aventi un carattere ampiamente 
discrezionale, nei quali si fissano o si confermano il luogo ed il 
tempo di tali manifestazioni, sebbene autorizzate da parte regionale esclude 
a priori quell'indiscriminata ed incontrollata proliferazione delle 
fiere stesse, che il TAR del Lazio vorrebbe evitare mediante la restaurazione 
d'una integrale competenza dello Stato. D'altro lato, a garantire 
che non si verifichino estemporanee intromissioni regionali nei rapporti 
fra Italia e gli altri Stati, vale comunque il rimedio previsto dall'art. 4, 
terzo comma, del d.P.R. n. 616, per cui �le regioni non possono svolgere 
all'estero attivit� promozionali relative alle materie di loro competenza 
se non previa intesa con il Governo e nell'ambito degli indirizzi e degli 
atti di coordinamento di cui al comma precedente �; ma � significativo 
che il conseguente decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, emesso 
1'11 marzo 1980, non abbia ritenuto di dettare disposizioni specificamente 
concernenti le fiere internazionali destinate a svolgersi nel territorio 
italiano, considerando soltanto la partecipazione regionale ad esposizioni 
da tenersi in altri Paesi. 

Come prospettata dall'ordinanza in esame, l'impugnativa dev'essere 
dunque respinta; mentre spetta al giudice a quo stabilire quale sia l'incidenza 
dell'art. 53 n. 1 del d.P.R. n. 616, relativamente alla particolare controversia 
che ha dato origine al presente giudizio. 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

III 

Con il conflitto di attribuzione che viene all'esame della Corte, la 
Regione Marche deduce che l'approvazione da parte della Giunta regionale, 
in data 13 luglio 1981, della deliberazione adottata il 22 giugno 1981, 

n. 36 dal Consiglio di amministrazione dell'� Ente di sviluppo nelle Marche
� e relativa alla nomina del direttore generale (cui diede successivamente 
esecuzione il presidente dell'Ente medesimo), non � soggetta al 
controllo' della Commissione governativa di cui agli artt. 125 della Costituzione 
e 45 I. 10 febbraio 1953, n. 62. Da ci� consegue, secondo la Regione, 
che, essendo la deliberazione de qua pienamente efficace per effetto 
della ricordata approvazione, legittimamente, �con l'altra e successiva 
deliberazione 9 settembre 1981 n. 3251, venne determinato dalla stessa 
Giunta regionale il trattamento economico del predetto direttore generale. 
Illegittimo, per contro, perch� invasivo della competenza regionale, 
sarebbe l'atto della predetta Commissione governativa in data 26 marzo 
1982 n. 8069, con cui fu annullata la deliberazione da ultimo indicata 
nonch� quella n. 816 del 12 marzo 1982 (che l'aveva confermata), sul rilievo 
che non era stato trasmesso il sopra detto provvedimento relativo alla 
nomina, ossia quello del 13 luglio 1981, il quale costituiva l'indispensabile 
presupposto dell'attribuzione del trattamento economico. 
Riconosce la Regione che gli atti di amministrazione attiva emessi 
dai suoi organi -come quello, ora indicato, della Giunta regionale, relativo 
alla retribuzione del direttore generale -sono soggetti a controllo 
statale; deve invece ritenersi che il controllo sugli atti dell'Ente di sviluppo 
si esaurisce nell'ambito regionale in base al disposto dell'art. 16 

I. reg. 24 novembre 1979, n. 41 (contenente la ristrutturazione del predetto 
Ente), il quale sottopone le relative deliberazioni all'approvazione di organi 
regionali: in particolare le deliberazioni di maggior rilievo, previste 
nel primo comma (e concernenti il regolamento di amministrazione e di 
contabilit�, quello organico del personale, il bilancio di previsione e di 
rendiconto) sono devolute al Consiglio regionale; mentre alla Giunta 
sono devolute le altre considerate nel secondo comma, tra le quali rientrano 
quelle in esame. Pertanto -prosegue la ricorrente -lo Stato, 
con il suddetto atto 26 marzo 1982, n. 8069 della Commissione governativa, 
ha invaso la sfera di competenza regionale, pretendendo di esercitare il 
controllo sulla nomina del direttore generale dell'Ente. 
In conclusione, la ricorrente chiede che sia riconosciuta la propria 
competenza in subiecta materia e venga anrtullata la ricordata deliberazione 
26 marzo 1982 della Commissione di controllo sull'Amministrazione 
regionale delle Marche. 

La risoluzione del conflitto esige che la Corte preliminarmente esamini 
la funzione della indicata approvazione, nell'ambito della serie procedimentale 
in cui essa � inserita, e precisamente stabilisca se essa vada 


20 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

considerata come atto di amministrazione attiva ovvero come esercizio 
del potere di controllo. 

In linea di principio, conformemente ad un autorevole e ormai quasi 
generale orientamento, ritiene la Corte di dover propendere per la seconda 
delle qualificazioni prospettate, in quanto l'approvazione non si collega 
intrinsecamente con l'attivit� dell'organo o dell'ente soggetto a controllo, 
in modo da dar vita ad un atto complesso, ma rimane fuori dalla fattispecie 
costitutiva e ne condiziona soltanto l'efficacia. Com'� noto, nel nostro 
ordinamento non mancano casi, ad es. in materia urbanistica, in cui il 
legislatore si esprime impropri�mente, indicando con l'espressione � approvazione
� un'attivit� di positiva ingerenza nella sfera del soggetto passivo; 
ma nel caso in esame non par dubbio che il termine sia stato impiegato 
correttamente dal cit. art. 16 1. reg. n. 41/1979, in quanto il controllo � 
circoscritto al mero accertamento della conformit� alla legge dell'atto 
controllato, e il potere della Regione, se l'approvazione non � accordata, si 
esaurisce nel mero annullamento dell'atto, senza alcuna possibilit� di interferenza 
nell'esercizio dell'azione amministrativa, neppure impartendo 
direttive ovvero indirizzi di gestione. Tale ingerenza � invece indispensabile 
perch� sia configurabile un'attivit� di amministrazione attiva, la quale in 
effetti � prevista, con evidente contrapposizione, nel successivo art. 17: 
in questo sono infatti elencati gli atti con cu� la regione pu� positivamente 
interferire, con il proprio intervento, nell'azione dell'ente sottordinato, 
emettendo provvedimenti diretti alla realizzazione dei fini del medesimo. 

Dai superiori rilievi discende che il potere devoluto all'organo regionale 
rientra in questo caso nell'ambito dell'attivit� di controllo propriamente 
detto. 

N� pu� essere omesso di ricordare come la norma dell'art. 16 cit. 
� completata dalla previsione di automatica esecutivit� delle deliberazioni 
dell'Ente, se l'annullamento non � pronunciato entro il termine di 
venti giorni dal loro ricevimento. Ci� rende anche concretamente impossibile 
un successivo controllo statale, il quale ha sempre carattere preventivo 
e non � quindi ammissibile se l'atto in questione sia gi� divenuto esecutivo 
a causa dell'inerzia dell'organo regionale. 

La soluzione prospettata si trova peraltro in linea con la giurisprudenza 
di questa Cor~e. 

In proposito giova premettere che l'art. 117 Cost., nell'elencare le 
materie attribuite alla potest� regionale, indica per prima �l'ordinamento 
degli uffici e degli enti amministrativi dipendenti dalla Regione �. In relazione 
a tale previsione normativa la Corte ritenne in un primo momento 
che la competenza regionale non si estendesse alla materia dei controlli, 
riservata in ogni caso allo Stato (cfr. sentt. nn. 24 del 1957, 40 e 164 del 
1972 e 62 del 1973). Ma successivamente ha considerato che non � possi




PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

bile separare la funzione di controllo da quella concernente l'� ordinamento
� dell'ente, in quanto la prima inerisce strettamente alla seconda: 
pertanto l'� ordinamento � comprende l'intero procedimento relativo agli 
atti emessi dagli enti preposti alla cura delle materie di cui all'art. 117, 
senza la possibilit� di limitazioni e frazionamenti, che sarebbero ingiustificati 
e irrazionali. Tale nuovo orientamento, iniziato con la sent. 19 dicembre 
1973, n. 178 e pi� esplicitamente ribadito con la sent. 9 dicembre 1976 

n. 244, trova ora altr�s� conforto nel d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 il quale 
nell'art. 13 espressamente dispone che I'� ordinamento degli enti amministrativi 
dipendenti dalla Regione � �oncerne anche la materia dei � controlli 
�. Anzi, la formula legislativa � talmente comprensiva da dissipare 
gli eventuali dubbi rispetto ai provvedimenti dei c.d. enti strumentali 
(come quelli di sviluppo agricolo), che una parte della dottrina vorrebbe 
considerare diversamente dagli altri enti regionali, quali rami staccati 
ma pur sempre appartenenti all'apparato amministrativo della regione, 
con la conseguenza che i loro atti sarebbero soggetti, al pari di quelli 
degli organi della regione stessa, al controllo ex art. 125 della Costituzione. 
N� in contrario vale obiettare, come pur � stato fatto, che in tal modo 
le regioni, creando degli enti strumentali e trasferendo ad essi alcune 
delle proprie funzioni, si sottraggono in definitiva alla regola del controllo 
statale. Questa regola infatti non � assoluta, come si evince direttamente 
dalla stessa Costituzione, secondo cui il controllo sui provvedimenti 
degli enti territoriali minori (comuni, province e loro consorzi) si 
esauriscono nell'ambito regionale -mediante attribuzione delle relative 
funzioni al CO.RE.CO. -e non sono soggetti alla verifica di alcun organo 
statale, nemmeno quando deliberano nelle materie ad essi delegate dalle 
Regioni (art. 130 Cost. e 4 1. n. 382 del 1975). 

Perci� non pu� ritenersi contrastare con la previsione costituzionale 
il fatto che l'esclusione del controllo statale si riscontri anche per gli enti 
che operano nelle materie devolute alle regioni: invero per essi pu� essere 
sufficiente, ai fini della tutela del pubblico interesse, il controllo dalle 
medesime effettuato. 

In base alle superiori osservazioni non sembra dubbio nella specie 
che il controllo sulla deliberazione del Consiglio di amministrazione 
dell'Ente, n. 36 del 22 giugno 1981, legittimamente sia avvenuto e si sia 
esaurito nell'ambito regionale con l'atto della Giunta in data 13 luglio 1981. 
La pretesa della Commissione governativa di un ulteriore controllo in 
proposito risulta dunque illegittima perch� invasiva della competenza 
regionale e l'illegittimit� si comunica al rifiuto di approvazione della successiva 
deliberazione della Giunta regionale n. 3251 del 1981 nonch� del 
ricordato at!o 12 marzo 1982, n. 816. Conclusivamente, pertanto, il con� 
flitto va risolto nel senso sostenuto dalla Regione Marche. 


:-::


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO ST.\TO

22 

CORTE COSTITUZIONALE, .30 gennaio 1985, n. 20 -Pres. Elia -Rel. Buc


ciarelli Ducci -Fede (avv. Silvestri) e regione Sicilia (avv. Stato Onu


frio). 

Sicilia -Assemblea regionale siciliana -Elettorato passivo � Iscrizione nelle 
liste elettorali in un comune della regione. 

(Cast., artt. 3 e 51; I. reg. Sicilia 20 marzo 1951, n. 29, come modificata con I. rcg. 
Sicilia, 29 dicembre 1975, n. 87, art. 7). 

Non contrasta con gli artt. 3 e 51 Cast. la disposizione cli legge regionale 
che, in una regione a statuto speciale, attribuisce l'elettorato passivo 
solo a cittadini iscritti nelle liste elettorali di un comune della regione (1). 

La questione sottoposta all'esame di questa Corte � se contrasti o 
meno con gli artt. 3 e 51 della Costituzione l'art. 7 della legge regionale 
siciliana 20 marzo 1951, n. 29 (modificata con legge regionale 29 dicembre 
1975, n. 87), nella parte in cui limita l'eleggibilit� all'assemblea regionale 
siciliana ai cittadini iscritti nelle liste elettorali dei Comuni della 
Regione. 

La norma impugnata, nel testo attuale, recita infatti: �sono eleggibili 
a deputati regionali gli elettori che abbiano compiuto il ventunesimo 
anno di et� entro il giorno dell'elezione�. E l'art. 4, relativo all'elettorato 
attivo, definisce �elettori� tutti i cittadini iscritti nelle liste elettorali 
dei comuni della Regione che non si trovino in alcuna delle condizioni 
previste dall'articolo seguente (privazione dei .diritti civili). 

Il testo originario dell'art. 7 della legge n. 29/1951, anteriore cio� alle 
modifiche introdotte con la legge n. 87 del 1975, prevedeva, oltre al diverso 
limite di et� (25 anni), altri due requisiti alternativi per l'eleggibilit� all'assemblea 
regionale e cio�: che gli elettori fossero nati nella regione o vi 
fossero residenti da almeno cinque anni ininterrotti. 

Il Tribunale di Palermo interpreta la normativa vigente nel senso 
che il termine �elettori� usato all'art. 7 non possa avere altro significato 
di quello precisato nel precedente art. 4, cio� di cittadini iscritti nelle 

(1) La pronuncia distingue tra regioni a statuto ordinario e regioni a statuto 
speciale, e desume -pervero in modo troppo automatico -la costituzionalit� 
del limite posto all'elettorato passivo dalla attribuzione a queste ultime regioni 
di una potest� legislativa primaria in materia elettorale. 
La pronuncia suscita perplessit� anche per un'altra ragione: essa assegna 
un peso determinante alla � interpretazione del giudice a quo �, relegando in 
un angolo la diversa (peraltro non contraddetta) interpretazione che della disposizione 
regionale sub fudice era stata data dalla difesa della Regione Sicilia. 
Non pare che nel decidere nel merito una questione incidentale di legittimit� 
costituzionale alla � interpretazione del giudice a quo � debba essere riconosciuta 
una importanza privilegiata (diverso discorso pu� farsi invece per quanto 
attiene alla decisione preliminare sulla rilevanza della questione stessa). 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

liste elettorali di un comune della Sicilia e che, pertanto, le modifiche 
del 1975 non abbiano toccato tale requisito fondamentale, limitandosi 
solo ad anticipare il limite di et� ed abolendo i due� requisiti, supplementari 
e alternativi, della nascita nell'Isola o della residenza ultraquinquennale. 


Interpretata in tal modo la norma sarebbe -secondo il giudice 
a quo -.in contrasto con i principi sanciti dagli artt. 3 e 51 della Costituzione, 
perch� realizzerebbe una disparit� di trattamento ed una limitazione 
dei diritti politici rispetto alla legislazione nazionale, che, per l'elezione 
dei Consigli delle Regioni a statuto ordinario, attribuisce l'elettorato 
passivo ai cittadini iscritti nelle liste elettorali di un qualsiasi comune 
della Repubblica (come disponeva all'epoca dell'ordinanza l'art. 4, secondo 
comma, della legge 17 febbraio 1968, n. 108, e come dispone oggi l'art. 1 
della legge 23 aprile 1981, n. 154). 

La questione prospettata nei termini sopra indicati � infondata. Infatti, 
seguendo l'interpretazione del giudice a quo, cui compete peraltro 
l'esame ermeneutico delle norme che regolano la fattispecie, vi sarebbe 
un perfetto parallelismo tra elettorato attivo ed elettorato passivo per 
l'elezione dell'assemblea regionale siciliana, nel senso di attribuire l'uno 
e l'altro solo a quei cittadini che� siano iscritti nelle liste di un comune 
dell'Isola. 

La norma dell'attuale art. 7 della I. reg. 29/1951, quale risulta dopo 
le modifiche apportate con la I. regionale n. 87/1975, cos� interpretata in 
connessione a quanto disposto dal precedente art. 4, non contrasta tuttavia 
con i parametri costituzionali invocati, �trovando una sua razionale 
giustificazione nel regime di autonomia delle regioni a statuto speciale 
ivi compresa la Regione siciliana. 

Il principio di uguaglianza tra tutti i cittadini della Repubblica nel 
godimento dei diritti politici non soffre, infatti, lesioni quando la disciplina 
dell'esercizio di tali diritti venga adeguata ad un altro principio costituzionalmente 
rilevante, quale quello del riconoscimento di una potest� 
legislativa primaria in materia elettorale alle regioni a statuto speciale. 

Tale principio si ricollega a precise norme costituzionali, quali l'art. 116 
della Costituzione e le norme in materia elettorale degli Statuti speciali 
(artt. 3, primo comma, 14, lett. O, e 15 dello Statuto per la Sicilia; art. 25, 
primo comma, dello Statuto per il Trentino-Alto Adige; art. 16, primo 
comma, Statuto per la Sardegna; art. 13, primo comma, Statuto per il 
Friuli-Venezia Giulia). 

N� vale richiamare -come fa il giudice a quo per sostenere la propria 
tesi -la sentenza di questa Corte n. 108 del 1969 con la quale venne 
dichiarata la illegittimit� costituzionale della legge regionale siciliana 
30 aprile 1969, in materia di ineleggibilit� a consigliere comunale e provinciale 
nel territorio della Regione siciliana. La questione infatti ora 
all'esame della Corte non ha ad oggetto le norme per la elezione nei 


24 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

consigli comunali o provinciali (la cui esigenza di uniformit� in tutto 
il territorio nazionale ben pu� discendere dall'identit� di interessi che 
comuni e province rappresentano nei confronti delle rispettive comunit� 
locali, quale che sia la regione di appartenenza), bens� quelle per la elezione 
della assemblea regionale, dotata di un preciso rilievo politico e costituzionale. 
In questo caso l'applicazione stessa del principio affermato 
dalla Corte con la citata sentenza n. 108/1969 conduce al riconoscimento 
della legittimit� della norma impugnata. 

Non � ingiustificato, infatti, che gli interessi di una comunit� regionale 
-cui lo stesso ordinamento costituzionale attribuisce carattere di specialit�, 
collegato alle peculiari tradizioni storiche e culturali della regione siano 
rappresentati a livello politico regionale da cittadini che abbiano 
con la comunit� stessa il collegamento personale costituito dall'iscrizione 
nelle liste elettorali dei comuni dell'Isola. 

Del resto l'identit� dei requisiti tra elettorato passivo ed elettorato 
attivo, sul modello della rappresentanza parlamentare nazionale, � carat� 
teristica comune di tutte le Regioni .a statuto speciale, cui la Repubblica 
ha riconosciuto un'autonomia pi� qualificata, rispetto a quella delle rimanenti 
Regioni. 

Tutte le norme che regolano l'elettorato passivo nelle altre quattro 
Regioni a Statuto speciale esigono infatti tra l'altro come requisito minimo 
l'iscrizione nelle liste di un comune della Regione. 

Tuttavia anche seguendo l'interpretazione che della norma impugnata 
d� l'Avvocatura dello Stato, a difesa della Regione Sicilia, la questione 
risulterebbe infondata. In tal caso, infatti, sarebbe stato lo stesso legislatore 
siciliano a rimuovere, in modo del tutto legittimo per le ragioni 
prima esposte, ogni limitazione all'esercizio dell'elettorato passivo, con 
l'intento di adeguare sul punto la legislazione regionale a quella statale 
prevista per le Regioni a statuto ordinario ed introdotta con la citata legge 
del 1968 (n. 108). L'uniformit� della disciplina escluderebbe del tutto 
ogni lesione da parte della norma impugnata dei parametri costituzionali 
invocati nell'ordinanza di rimessione. 

Si trascrive il brano della � narrativa � relativo alla interpretazione 
data dalla difesa della Regione Sicilia. 

Secondo la difesa della Regione, invece, la qualifica di � elettore � 
contenuta nell'impugnato art. 7 va intesa in senso generale, cio� di titolare 
del diritto di elettorato attivo secondo l'ordinamento statale, in quanto 
manchino le cause di esclusione (incapacit� civile, fallimento, ecc.) elencate 
dall'art. 5. 

Tanto pi� appare evidente la volont� del legislatore siciliano di ampliare 
la cerchia dell'elettorato passivo rispetto a quello attivo -prosegue 
l'Avvocatura -alla luce -delle innovazioni introdotte con la citata \' 
l~gge 29 dicembre 1975, n. 87, che hanno modificato anche l'art. 7, abrogan-t 

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

do i requisiti della nascita e della residenza quinquennale nell'Isola 
per estendere la eleggibilit� a tutti i cittadini italiani, iscritti nelle liste 
di qualsiasi comune della Repubblica. 

Con la novellazione -argomenta la difesa della Regione -si � voluto 
adeguare la normativa elettorale regionale a quella statale per l'elezione 
dei consigli regionali nelle regioni a statuto ordinario nonch� al principio 
generale di aprire le amministrazioni regionali al respiro degli interessi 
nazionali e al principio costituzionale contenuto negli artt. 3 e 51 Cost., 
secondo il quale la Regione, nell'esercizio della potest� legislativa primaria 
spettantele, non pu� dar vita a norme che comportino deroghe, non 
giustificate e non razionali, alla legislazione elettorale statale (ved. sent. 
di questa Corte n. 108/1969). Infine -conclude l'Avvocatura -quando 
il legislatore regionale ha voluto porre all'elettorato passivo un requisito 
cos� limitativo lo ha sempre fatto in modo espresso e inequivoco, come 
le Regioni Sardegna, Valle d'Aosta, Trentino-Alto Adige, Friuli-V�nezia 
Giulia. 


SEZIONE SECONDA 

GIURISPRUDENZA COMUNITARIA 
E INTERNAZIONALE 


CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE, I sez., 12 luglio 
1984, nella causa 242/83 -Pres. Koopmans -Avv. Gen. Darmon Domanda 
di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte di cassazione 
del Belgio nella causa Caisse de compensation pour allocations 
familiales du batiment, de l'industrie et du commerce du Hainaut 

c. Patteri -Interv.: Governi della Rep. fed. di Germania (ag. Seidel 
e Roder) e italiano (avv. Stato Ferri), Commissione (ag. Griesmar) e 
Consiglio (ag. Carbery) delle C.E. 
Comunit� Europee -Libera circolazione delle persone -Previdenza sociale 
� Assegni familiari. 
(Trattato CEE, art. 51; regolamento CEE del Consiglio 14 giugno 1971, n. 1408/71, art. 77). 

Qualora, nel caso contemplato dall'art. 77, n. 2 lett. b) i) del regolamento 
del Consiglio 14 giugno 1971, n. 1408/71, relativo all'applicazione 
dei regimi di previdenza sociale ai lavoratori dipendenti ed alla loro 
famiglia che si spostano nell'ambito della Comunit�, l'importo delle prestazioni 
corrisposte dallo Stato .di residenza sia inferiore a quello delle 
prestazioni versate dall'altro Stato debitore, il lavoratore conserva il 
vantaggio dell'importo maggiore ed ha il diritto di ricevere dall'ente previdenziale 
competente di questo secondo Stato, un supplemento di prestazioni 
pari alla differenza fra i due importi. L'esame delle questioni 
sollevate non ha rivelato alcunch� atto ad inficiare la validit� della norma 
sopradetta (1). 

(omissis) 1. -Con sentenza 3 ottobre 1983, pervenuta alla Corte il 
25 ottobre successivo, la Cour de cassation belga ha sollevato, a norma 
dell'art. 177 del Trattato CEE, due questioni pregiudiziali vertenti sull'interpretazione 
degli artt. 51 del Trattato CEE e 77 del regolamento del Con


(1) La pronuncia si muove, nel senso proposto anche dal Governo italiano 
nell'intervento in causa, in un'ottica di tutela dei diritti quesiti dei lavoratori. 
� Lo scopo degli artt. 48 -51 del Trattato -diceva gi� la Corte nella sentenza 
15 luglio 1964, nella causa 100/63, VAN DER VEEN, in Racc., 1964, pag. 1093, citata 
in motivazione -non sarebbe raggiunto, bens� frustrato, qualora il lavoratore, 
per poter fruire della libert� di circolazione che gli � garantita, dovesse adattarsi 
a perdere dei diritti gi� quesiti in uno dei Paesi membri, senza ricevere in 
cambio prestazioni per lo meno equivalenti �. In considerazione della man� 
canza di un regime previdenziale comune, le norme del regolamento 1408/71 non 

27

PARTE I, SEZ. II, GIURlS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

siglio 14 giugno 1971, n. 1408, relativo all'applicazione dei regimi di previdenza 
sociale ai lavoratori dipendenti ed alle loro famiglie che si spostano . 
nell'ambito della Comunit� (G.U. 1971, n. L 149) e, in subordine, sulla 
validit� dell'art. 77, n. 2 lett. b) i) di detto regolamento. 

2. -Le questioni sono state sollevate nell'ambito di una lite vertente 
sul rifiuto del competente ente previdenziale belga di versare ad 
un lavoratore italiano, titolare di una pensione d'invalidit� tanto nel Belgio 
quanto in Italia e residente in Italia, a partire dal 9 agosto 1979, un supplemento 
di assegni familiari per figli a carico, pari alla differenza fra 
l'importo degli assegni belgi e quello, inferiore, degli assegni italiani. 
3. -Dal fascicolo trasmesso dal giudice nazionale si desume che 
l'interessato, il quale ha lavorato nel Belgio dal 28 giugno 1956 al 31 luglio 
1971, ha percepito, a norma delle leggi belghe, degli assegni familiari 
per i figli a carico sino al ritorno definitivo in Italia, avvenuto il 9 agosto 
1979. Dopo questa data, l'ente previdenziale belga si � rifiut�to di 
versare all'interessato la differenza fra l'importo degli assegni familari 
belgi riscossi fino a quel momento e quello, inferiore, degli assegni familiari 
riscossi a partire da quel momento in Italia. A sostegno esso invoca 
l'art. 77, n. 2 lett. b) i) del regolamento n. 1408/71, a norma del quale gli 
assegni familiari spettanti al lavoratore, titolare di una pensione d'invalidit� 
attribuita a. norma delle leggi di pi� Stati membri, indipendentemente 
dallo Stato membro nel cui territorio il titolare o i figli risiedono, sono 
attribuiti �conformemente alla legislazione dello Stato sul cui territorio 
risiede, se il diritto ad una delle prestazioni di cui al � 1 � ivi acquisito 
in base alla legislazione di tale Stato �, 
4 -L'ente previdenziale belga non ha tenuto ,conto del fatto che il 
problema era gi� stato risolto dall'interpretazione che la Corte ha dato 
a dette disposizioni nella sentenza 12 giugno 1980 (Laterza, 733/79, Racc. 
pag. 1915). Secondo l'ente previdenziale belga, l'art. 51 del Trattato CEE 

possono imporre la limitazione delle prestazioni spettanti in Stati membri 
diversi, mediante decurtazione dell'importo della prestazione spettante in forza 
della sola legislazione nazionale di uno Stato membro (sentenza 21 ottobre 1975, 
nella causa 24/75, PETRONI, in Racc., 1975, 1149), e non possono avere altro effetto 
che quello di evitare la sovrapposizione delle prestazioni, per cui una prestazione 
non potrebbe essere soppressa se non per quella parte che � coperta da una 
analoga prestazione (arg. da sentenze 13 ottobre 1977, nella causa 22/77, MURA, 
in questa Rassegna, 1977, I, 782, con nota; 16 maggio 1979, nella causa 236/78, 
MURA, ibidem, 1979, I, 254, con nota; 2 luglio 1981, nelle cause riunite 116, 117, 
119, 120 e 121/80, CELESTRE, ibidem, 1981, I, 476). 

Specificamente sulle prestazioni familiari cfr., oltre la sentenza LATERZA, 
citata in motivazione, anche le sentenze 24 novembre 1983, nella causa 320/82, 
D'AMARIO, in Racc. 1983, 38lil; 19 febbraio 1981, nella causa 104/80, BEECK, in Racc., 
1981, 503; 9 luglio 1980, nella causa 807/79, GRAVINA, in Racc., 1980, 2205; 6 mar� 
zo 1979, nella causa l(J0/78, RossI, in Racc., .1979, 831. 



28 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

attribuisce dei poteri al Consiglio unicamente per realizzare il cumulo dei 
periodi assicurativi ed il pagamento effettivo delle prestazioni a coloro 
che risiedono nel territorio degli Stati membri e che, tenuto conto di 
questi limiti, l'art. 77, n. 2 lett. b) i) del regolamento n. 1408/71 non pu� 
contenere altro che una norma di rinvio che designa il diritto nazionale 
da applicarsi. Esso ritiene quindi che detta disposizione, se dovesse essere 
interpretata nel senso che faccia sorgere un diritto che non � con� 
templato da alcuna legislazione nazionale, non troverebbe fondamento 
nell'art. 51 del Trattato CEE. 

5. � L'interessato si � opposto a questa interpretazione restrittiva 
dell'art. 51 del Trattato CEE e del regolamento n. 1408/71, che gli farebbe 
perdere gli assegni familiari maggiori cui avrebbe continuato ad 
avere diritto se fosse rimasto nel Belgio. 
6. -Su ricorso contro la sentenza della Cour d'appel di Mons che 
aveva dato ragione all'interessato, la Cour de cassation ha ritenuto che 
il mezzo dedotto sollevasse questioni d'interpretazione del diritto comunitario 
che non risultava fossero gi� state sottoposte alla Corte. La Cour 
de cassation belga ha quindi sollevato le seguenti questioni: 
1) Se l'art. 51 del Trattato di Roma autorizzi il Consiglio dei Ministri 
unicamente ad adottare i provvedimenti che consentano di garantire 
il pagamento effettivo delle prestazioni previdenziali ai lavoratori migranti, 
mentre dette prestazioni restano esclusivamente disciplinate, quanto alla 
loro esistenza ed al loro importo, da regimi distinti che fanno sorgere 
crediti distinti nei confronti di enti previdenziali distinti e si debba quindi 
interpretare il regolamento numero 1408/71 ed in particolare l'art. 77 
di esso nel senso che esso attribuisce un diritto diretto ai singoli solo 
per quanto � necessario per ottenere il pagamento effettivo delle prestazioni 
la cui esistenza e il cui importo restano disciplinati esclusivamente 
dai vari diritti nazionali, di guisa che la disposizione summenzionata non 
pu� attribuire ai lavoratori migranti un diritto diretto al pagamento, a 
carico dell'ente di uno Stato membro, di assegni familiari che non 
spettino in forza della legge nazionale di detto Stato membro. 

2) Nell'ipotesi in cui si debba interpretare l'art. 77, n. 2, b) i), del 
regolamento n. 1408/71 nel senso che il diritto ad assegni familiari a 
carico dello Stato nel cui territorio risiede il titolare di una pensione 
d'invalidit� non fa venir meno il diritto a prestazioni maggiori precedentemente 
spettante a carico di un altro Stato membro e quanto meno 
ad un regolamento pari alla differenza tra i due importi, facendo insorgere 
a vantaggio del beneficiario un diritto che nessuna delle legislazioni nazionali 
contempla, se il regolamento n. 1408/71 sia valido sotto il profilo 
dell'art. 51 del Trattato di Roma. 

7. -Come l'ente previdenziale belga e la Commissione delle Comunit� 
Europee rilevano, le due distinte questioni che sono state sottoposte 
r1:1a1111111i�11111r11111111111111111111111r1111;!1111111r11111111111m1 



PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

alla Corte riguardano in realt� un unico problema: quello dell'interpretazione 
da darsi all'art. 51 del Trattato CEE. La validit� dell'art. 77 n. 2, 
lett. b) i) del regolamento n. 1408/71 pu� infatti essere messa in discussione 
unicamente se l'art. 51 del Trattato CEE ha la portata limitata attribuitale 
dall'Ente previdenziale belga. 

8. � Dall� lettera stessa l'art. 51 si desume che i due provvedimenti 
indicati � cio�: � a) il cumulo di tutti i periodi presi in considerazione 
dalle varie legislazioni nazionali, sia per il sorgere e la conservazione 
del diritto alle prestazioni, sia per il calcolo di queste�, e � b) il pagamento 
delle prestazioni alle persone residenti nel territorio degli Stati 
membri � � sono unicamente due mezzi possibili in un complesso di prov� 
vedimenti che spetta al Consiglio adottare onde promuovere la libera 
circolazione dei lavoratori. Garantirla, come � stato posto in rilievo dalla 
costante giurisprudenza (sentenze 19 marzo 1964, Unger, 15/63, Racc. 
pag. 346, 9 giugno 1964, Nonnenmacher, 92/63, Racc. pag. 557 e 15 luglio 
1964, van der Veen, 100/63, Racc. pag. 1105), � lo scopo fondamentale 
perseguito dall'art. 51 del Trattato CEE. Non pu� quindi essere accolta 
l'interpretazione restrittiva di detta disposizione che � caldeggiata dall'ente 
previdenziale belga. 
9. � Come la Corte ha pi� volte rilevato, lo scopo perseguito dall'art. 
51 del Trattato CEE presiede all'interpretazione dei regolamenti 
adottati dal Consiglio nel campo della previdenza sociale dei lavoratori 
migranti. 
10. � Appunto in ossequio a questi principi la Corte, nella sopramen� 
zionata sentenza 12 giugno 1980, ha deciso che l'art. 77, n. 2 lett. b) i) 
del regolamento n. 1408171 non pu� essere interpretato in modo da pri� 
vare il lavoratore, sostituendo le prestazioni offerte da uno Stato membro 
a quelle dovute da un altro Stato membro, delle prestazioni pi� favorevoli. 
Dato che questa interpretazione � imposta dallo scopo dell'art. 51 
del Trattato CEE, la validit� dell'art. 77, n. 2 lett. b) i) del regolamento 
n. 1408/71 cos� interpretato non pu� essere messa in discussione invocando 
lo stesso art. 51. 
11. � Per questi motivi le questioni sollevate vanno risolte nel senso 
che, qualora, nel caso contemplato dall'art. 77, n. 2 lett. b) i) del regolamento 
n. 1408/71, l'importo delle prestazioni corrisposte dallo Stato di 
residenza sia inferiore a quello delle prestazioni versate dall'altro Stato 
debitore, il lavoratore conserva il vantaggio dell'importo maggiore ed ha 
il diritto di ricevere, dall'ente previdenziale competente di questo secondo 
Stato, un supplemento di prestazioni pari alla differenza fra i due importi 
e che l'esame delle questioni sollevate non ha rivelato alcunch� 
atto ad inficiare la validit� dell'art. 77, n. 2 lett. b) i) del regolamento 
n. 1408/71. (omissis) 

30 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 4a sez., 12 luglio 
1984, nella causa 218/83 -Pres. Koopmans -Avv. Gen. Slynn Domanda 
di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte di Cassazione 
francese nella causa s.r.l. Les Rapides Savoyards c. Dir. gen, dogane -
Interv.: Governo italiano (avv. Stato Conti) e Commissione C. E. 
(ag. Cristoyannopoulos e Sack). 

Comunit� Europee -Libera circolazione delle merci -Accordo di libero 
scambio CEE � Confederazione elvetica � Nozione di prodotti originari. 

(Accordo di libero scambio CEE -Confederazione elvetica 22 luglio 1972, protocollo n. 3). 

L'Accordo fra la CEE e la Confederazione elvetica 22 luglio 1972 e in 
particolare il protocollo n. 3 allegato a detto Accordo, relativo alld definizione 
di �prodotti originari� ed ai metodi di collaborazione amministrativa, 
vanno interpretati nel senso che la valutazione dei fattori rilevanti 
per determinare l'origine di un prodotto e pertanto la sua ammissione al 
regime previdenziale contemplato dall'Accordo spettano all'Amministrazione 
doganale dello Stato esportatore del prodotto finito, la quale applica, 
alle parti importate da paesi terzi, al momento dell'importazione di dette 
parti, le proprie norme in fatto di valore in dogana e di cambio (1). 

(omissis) 1. � Con sentenza 29 giugno 1983, pervenuta alla Corte 
il 29 settembre successivo, la Cour de cassation francese ha sollevato, a 
norma dell'art. 177 del Trattato CEE, due questioni pregiudiziali vertenti 
sull'interpretazione dell'Accordo fra la Comunit� Economica Europea e la 
Confederazione Elvetica 22 luglio 1972 e, in particolare del Protocollo n. 3 
allegato a detto Accordo, relativo alle defenizione di ~' prodotti originari � 
ed ai metodi di collaborazione amministrativa; (G.U. n. L. 300, pag. 188). 

2. � Dal fascicolo si desume che 1'8 giugno 1977, la societ� � Les 
Rapides Savoyards � ed il suo amministratore, sig. Roger Dejussel, importavano 
dalla Svizzera, per conto della � Diffusion Marketing International 
� DMI con sede in Stains, Seine-Saint-Denis, una partita di penne 
stilografiche di cui alla voce doganale 98.03, munita di un certificato di 
circolazione EUR. 1, rilasciato dall'amministrazione doganale elvetica in 
forza del Protocollo n. 3 e attestante l'origine svizzera della n-'ierce. 
3. � Dalle informazioni, non contestate, fornite in corso d'istanza � 
emerso che tali penne erano state fabbricate e montate nel modo seguente: 
le cartucce erano state importate dalla DMI dagli Stati Uniti D'America, 
messe in libera pratica in Francia e riesportate in Svizzera in regime 
d'esportazione temporanea. In Svizzera, esse sono state rivestite, a cura 
(1) Soluzione conforme a quella proposta dal Governo italiano. 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. CO:'.\WNITARIA E INTERNAZIONALE 

di un fabbricante locale, di guaine e di cappucci cromati ottenuti pure 
in loco, nonch� di punte e, per talune penne, di graffe (clips) direttamente 
importate in Svizzera dagli Stati Uniti d'America. Il prodotto finito, 
munito del marchio del produttore svizzero (LINDY), veniva dichiarato, 
all'importazione in Francia, come prodotto originario della Svizzera, al 
prezzo franco stabilimento espresso in franchi svizzeri. Le ricorrenti 
nella causa principale chiedevano l'applicazione della tariffa preferenziale 
del 2,6% del valore in dogana, vigente a quell'epoca tra la Svizzera e la 
Comunit�. 

4. -La dogana francese, previo esame del prezzo della merce, ricalcolava 
il valore delle varie parti di essa, a seconda che fossero originarie 
dagli Stati Uniti d'America o dalla Svizzera, ai sensi dell'art. 35 -8 del 
code des douanes il quale dispone che, qualora i fattori rilevanti per 
determinare il prezzo normale di una merce siano espressi in valuta 
estera, la conversione va effettuata al cambio ufficiale in vigore al momento 
in cui viene registrata la dichiarazione, in altri termini, al momento 
dell'importazione. Considerando che, secondo tali calcoli, il valore 
delle parti, provenienti dagli Stati Uniti d'America, nel prodotto finito, 
superava la soglia del 5% alla quale il Protocollo n. 3 ed il suo allegato 
III, elenco B, limitano l'inclusione di parti originarie di paesi terzi per 
il riconoscimento dell'origine svizzera, la dogana applicava il dazio generale 
della tariffa doganale comune che era, a quell'epoca del 13%, fatta 
salva la detrazione dei dazi doganali gi� pagati all'atto dell'importazione 
delle cartucce. 
5. -Le ricorrenti nella causa principale ricorrevano alla Commission 
de Conciliation et d'Expertise Douani�re (CCED), che dava loro torto 
il 16 maggio 1978. Adito dall'amministrazione doganale, con sentenza 
19 giugno 1979, il Tribunal d'istance di Saint-Julien-en-Genevois, convalidava 
la decisione della CCED. Adita in appello, con provvedimento 11 maggio 
1981, la Cour d'appel di Chamb�ry confermava tale sentenza. La 
societ� � Les Rapides Savoyards �, il suo amministratore Roger Dejussel 
e la DMI impugnavano tale sentenza dinanzi alla Cour de cassation. 
6. -Dal fascicolo, come pure dal mezzo unico di cassazione richiamato 
nel provvedimento di rinvio, si desume che la lite deferita ai giudici 
francesi verte, in primo luogo, sul tasso di cambio applicato dall'amministrazione 
doganale francese per la valutazione dei diversi fattori rilevanti 
per determinare l'origine della merce e, pi� in particolare, sul momento 
da prendere in considerazione per definire i rapporti di cambio tra le 
varie valute. Le ricorrenti nella-causa principale sostengono che il tasso 
di cambio dev'essere quello vigente nel momento in cui le varie parti 
sono state importate, o in Francia o in Svizzera, mentre l'amministrazione 
doganale eccepisce che tutti questi valori vanno determinati nel 

32 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

momento stabilito dall'art. 35 -8 del code des douanes francese, c10e 
nel momento dell'importazione in Francia del prodotto finito. Le ricorrenti 
nella causa principale sostengono che questo metodo � incompatibile 
col Protocollo n. 3 a causa dell'incertezza ch'esso crea circa l'origine 
in seguito alle modifiche dei cambi che possono avvenire fra il momento 
dell'importazione delle parti staccate ed il momento dell'importazione 
del prodotto finito. 

7. -Risulta, inoltre, dal fascicolo che nel corso delle istanze precedenti 
e fino alla formulazione del mezzo di cassazione, le ricorrenti nella 
causa principale non hanno messo in discussione la competenza dell'amministrazione 
doganale francese a procedere, al momento dell'importazione 
del prodotto finito, ad una nuova valutazione dei fattori rilevanti 
per determinare l'origine, dato che la discussione resta circoscritta alla 
compatibilit�, con l'Accordo di libero scambio e con le normative comunitarie 
eventualmente pertinenti, dell'applicazione dei tassi di cambio 
vigenti al momento dell'importazione del prodotto finito alla valutazione 
delle parti gi� importate in Svizzera. 
8. -La lite cos� circoscritta induceva la Cour de cassation a chiedere 
alla Corte di giustizia di p:i:onunciarsi sul: 
(1) se l'Accordo fra la Comunit� Economica Europea e la Confederazione 
Elvetica 22 luglio 1972, il Protocollo n. 3 ed i regolamenti 
comunitari vadano interpretati nel senso che, qualora dei fattori rilevanti 
per stabilire il valore in dogana di una merce siano espressi in una moneta 
diversa da quella dello Stato membro nel quale avviene la valutazione, 
la conversione va effettuata al cambio ufficiale in vigore al momento 
in cui viene registrata la dichiarazione; 
(2) in caso negativo, in che modo vada calcolato il cambio secondo 
il diritto comunitario. 
9. -Nel corso del procedimento davanti alla Corte, le parti nella 
causa principale hanno, in sostanza, richiamato gli argomenti gi� svolti 
dinanzi ai giudici nazionali. Viceversa, la Commissione ed il Governo 
della Repubblica italiana hanno sottoposto alla Corte criteri interpretativi, 
ricavati dall'Accordo di libero scambio e dal Protocollo n. 3, che non 
erano stati presi in considerazione dai giudici delle istanze precedenti. 
10. -La Commissione e il Governo italiano deducono infatti che la 
soluzione delle questioni sollevate dalla Cour de cassation dipende dal 
previo accertamento delle competenze rispettive dell'amministrazione 
doganale svizzera e delle amministrazioni doganali della Comunit�, per 
quanto riguarda la determinazione dell'origine delle merci nei rapporti 
f..ra la Svizzera e la CEE. La Commissione pone in rilievo che l'importanza 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

del problema va oltre il caso in esame, dato che, clausole analoghe a 
quelle del Protocollo n. 3, figurano in tutti gli accordi di libero scambio 
stipulati dalla Comunit� con gli Stati membri dell'Associazione Europea 
di libero scambio e che, inoltre, le norme relative all'origine si applicano 
nello stesso modo tanto alle merci esportate dagli Stati di cui trattasi 
nella Comunit�, quanto alle merci �esportate dalla Comunit� in tali Stati. 

11. -La Commissione e il Governo italiano sostengono, in proposito 
che, a norma degli artt. 6, 8 e 10 del Protocollo n. 3, spetta alle autorit� 
doganali svizzere accertare l'origine delle merci esportate nella Comunit� 
e, qualora le merci contengano parti importate da paesi terzi, valutare 
se dette parti supe~ino il limite del 5 % ad valorem contemplato dal 
Protocollo. Nel caso in cui questo limite non venga superato, l'origine 
svizzera del prodotto � attestata dal rilascio del certificato di circolazione 
EUR. 1, contemplato dal Protocollo. 
12. -Sempre secondo la Commissione e il Governo italiano, le amministrazioni 
doganali della Comunit� non possono sostituire i loro calcoli 
alla valutazione dei fattori di valore presi in considerazione dalle autorit� 
dello Stato esportatore per la determinazione dell'origine; esse sono 
quindi tenute ad applicare il regime preferenziale contemplato dall'Accordo 
alle merci la cui origine svizzera sia debitamente documentata. La Commissione 
pone in rilievo l'importanza del fatto che le decisioni adottate 
dalle autorit� doganali elvetiche in fatto di origine siano osservate dalla 
Comunit�, dato che questa, da parte sua, deve poter contare sul fatto 
che le decisioni adottate dagli Stati membri siano del pari riconosciute 
in Svizzera. 
13. -La Commissione e il Governo italiano osservano che questo metodo 
� il solo che possa garantire che la valutazione dell'origine sia la 
stessa in tutti gli Stati membri della Comunit�; dato che l'applicazione 
delle norme nazionali, come il . code des douanes francese, rischia di 
risolversi in valutazioni contradditto1;fo sull'origine dello stesso prodotto 
a seconda delle oscillazioni delle varie monete nazionali. Tali divergenze 
di valutazione causerebbero a loro volta sviamenti di traffico e distorsioni 
della concorrenza. 
14. -In conclusione, la Commissione ed il Governo italiano sono del 
parere che la prima questione posta dalla Cour de cassation vada risolta 
in senso negativo cio� che non spetta alle autorit� doganali nazionali 
rivalutare, in base al cambio ufficiale in vigore al momento dell'importa� 
zione, i fattori rilevanti per determinare l'origine delle merci in relazione 
alle varie parti del prodotto e di risolvere la seconda questione nel senso 
che la determinazione dei valori da prendere in considerazione per sta� 
bilire l'origine e, pertanto, l'applicazione del regime preferenziale con

34 

RASSEGNA DELL'AVVOC.\TURA DELLO STATO 

templato dall'accordo di libero scambio va risolta tenendo presente la 
ripartizione delle competenze contemplate dal Protocollo n. 3 allegato 
all'Accordo stipulato con la Confederazione svizzera. La Commissione ri� 
chiama l'attenzione sul fatto che l'art. 16 del Protocollo n. 3 contempla 
l'obbligo per gli Stati membri e per la Svizzera di prestarsi mutua 
assistenza per il controllo dell'autenticit� e della legittimit� dei certifi� 
cati EUR. 1 e che l'art. 17 consente il controllo a posteriori degli stessi 
certificati in caso di dubbio circa l'esattezza dei dati relativi all'origine 
effettiva della merce. 

15. -Nel corco della fase orale, le ricorrenti nella causa principale 
dopo aver richiamato gli argomenti svolti in un primo tempo, hanno 
dichiarato di poter del pari condividere il ragionamento della Commissione 
che, a loro parere, porta allo stesso risultato da esse proposto. 
16. -L'amministrazione doganale francese ha sollevato una duplice 
obiezione avverso le argomentazioni della Commissione e del Governo 
italiano. In primo luogo, essa allega che la questione � stata formulata 
dalla Commissione e dal Governo italiano in termini diversi dalla Cour 
de cassation e che la Corte di giustizia deve limitarsi a risolvere le questioni 
che le vengono sottoposte. In secondo luogo essa sostiene che sarebbe 
incompatibile con la sovranit� doganale degli Stati membri imporre 
a queste le valutazioni effettuate da una amministrazione doganale straniera 
e che non si pu� quindi restringere l'applicazione delle norme del 
code des douanes francese alla valutazione del solo valore in dogana 
del prodotto finito al momento dell'importazione, onde determinare l'imponibile 
del dazio doganale. Spetta all'amministrazione doganale accertare 
il valore delle parti del prodotto finito onde determinare l'origine e, di conseguenza, 
decidere se la merce debba fruire del regime preferenziale 
dell'Accordo di libero scambio ovvero debba esser assoggettata al re� 
gime generale della tariffa doganale comune. 
17. � Quali che siano le tesi svolte dai vari partecipanti per quanto 
riguarda i fattori rilevanti per determinare il regime doganale delle merci 
importate dalla Svizzera nella Comunit�, le questioni poste dalla Cour 
de cassation vanno risolte alla luce dell'intero sistema creato dall'Accordo 
di libero scambio e dal Protocollo n. 3. A tale scopo, vanno anzitutto 
ricordate le afferenti disposizioni di detti strumenti tanto pi� che quelle 
del Protocollo hanno subito talune modifiche dopo l'entrata in vigore 
dell'Accordo. 
18. � L'Accordo fra la CEE e la Confederazione svizzera si applica. 
secondo il suo art. 2, salvo taluni regimi particolari � ai prodotti originari 
della Comunit� e della Svizzera�. L'art. 11 dell'Accordo dispone 
che �il Protocollo n. 3 determina le regole di origine�. Va rilevato �che 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

il titolo II di tale Protocollo, che comprende gli artt. 8-17, � stato emendato 
con la decisione del Comitato misto CEE-Svizzera 14 dicembre 1977, 

n. 1, messo in vigore nella Comunit� dal regolamento del Consiglio 20 dicembre 
1977, n. 2933 (G.U. n. 2342, pag. 27), cio� in una data di poco 
posteriore all'impox:tazione che � all'origine della presente lite. Tuttavia 
non appare necessario determinare se la controversia, nelle sue successive 
fasi sia retta dalle vecchie norme o dalle nuove, dato che le disposizioni 
afferenti, bench� pi� chiare nella loro nuova versione, sono in sostanza, 
equivalenti nelle successive due versioni del Protocollo. 
19. -Ai sensi dell'art. l, n. 2, del Protocollo, vanno considerati prodotti 
originari della Svizzera, 
a) i prodotti totalmente ottenuti in Svizzera, 
b) i prodotti ottenuti in Svizzera e nella cui fabbricazione sono 
entrati prodotti diversi da quelli indicati nella lett. a), a condizione che 
tali prodotti siano stati oggetto di lavorazioni o trasformazioni sufficienti 
ai sensi dell'art. 5 �. 

20. -Secondo l'art. 5, n. 1, sono considerati �sufficienti�, fra l'altro, 
� b) le lavorazioni o trasformazioni indicate nell'elenco B �. Tale elenco, 
che forma l'allegato III del Protocollo, contiene, in testa alla terza colonna, 
una �norma� relativa, fra l'altro, alle penne a sfera di cui alla 
voce doganale 98.03. Detta norma, che � stata riformulata e completata con 
la decisione del Comitato misto 31 ottobre 1974, n. 3, messa in vigore nella 
Comunit� del regolamento del Consiglio 2 dicembre 1974, n. 3288 (G. U. 
n. L. 352, pag. 31), recita: � l'incox:porazione dei prodotti, parti e pezzi 
staccati, non originari ... nelle merci (di cui alla voce) ... n. 98.03 non 
ha l'effetto di far perdere il carattere di prodotti originari alle suddette 
merci, a condizione che il valore di questi prodotti, parti e pezzi non 
superi il 5% del valore del prodotto finito �. 
21. � La determinazione dei fattori rilevanti per il calcolo del valore 
limite del 5% � disciplinata dalle seguenti disposizioni del Protocollo. 
22 � L'art. 6, n. l, dispone in proposito quanto segue: 

�Quando gli elenchi A e B, di cui all'articolo 5, dispongono che 
le merci ottenute nella Comunit� o in Svizzera ne sono considerate esclusivamente 
originarie a condizione che il valore dei prodotti messi in 
opera non superi una data percentuale del valore delle merci ottenute, 
i valori da prendere in considerazione per la determinazione di detta 
percentuale sono: 

-da un lato, 
per quanto riguarda i prodotti di cui � comprovata l'importazio� 
ne: il loro valore in dogana al momento dell'importazione; 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

per quanto riguarda i prodotti di origine non determinata: il 
primo prezzo controllabile pagato per detti prodotti nel territorio della 
Parte contraente in cui avviene la fabbricazione; 

� dall'altro, 
il prezzo franco fabbrica delle merci ottenute, al netto delle 
imposte interne restituite o da ,restituire in caso di esportazione �. 

23. -Secondo l'art. 8, n. 1, i prodotti ai sensi dell'art. 1 del Protocollo 
sono ammessi all'atto dell'importazione nella Comunit� o in Svizzera, 
a fruire dell'Accordo, su presentazione di un certificato di circolazione. 
Questo certificato, sostituito al certificato A. CH. 1 contemplato nella 
versione originaria del Protocollo n. 3 con decisione 12 dicembre 1973, 
n. 10, messa in vigore nella Comunit� dal regolamento del Consiglio 
27 dicembre 1973, n. 3600 (G. U. n. L. 365, pag. 135), � attualmente il certificato 
EUR 1. 
24. � A norma dell'art. 10, tale certificato, rilasciato dalle autorit� 
doganali dello Stato esportatore all'atto dell'esportazione delle merci 
alle quali si riferisce, costituisce. il giustificativo per l'applicazione del 
r�gime ,preferenziale previsto nell'Accordo . 
. 25. � Va infine rilevato che gli artt. 16 e 17 danno alle amministrazioni 
doganali della Comunit� le pi� ampie possibilit� di appianare, in collaborazione 
con le autorit� doganali elvetiche, le difficolt� cui possono 
dar luogo la determinazione dell'origine e il rilascio di certificati di circolazione. 


26 � Dal complesso di queste disposizioni discende che la determinazione 
dell'origine delle merci secondo il Protocollo n. 3 si basa sulla 
ripartizione delle competenze fra le autorit� do~anali delle parti dell'Accordo 
di libero scambio, nel senso che l'origine viene accertata dalle autorit� 
dello Stato d'esportazione, mentre il controllo del funzionamento di 
tale regime viene garantito dalla collaborazione fra le competenti amministrazioni 
delle due parti. Questo sistema si spiega col fatto che le autorit� 
dello Stato esportatore possono pi� agevolmente accertare direttamente 
i fatti che condizionano l'origine; inoltre, esso ha il vantaggio di condurre 
a risultati certi e uniformi per quanto riguarda l'identificazione dell'origine 
delle merci e di evitare, in tal modo, sviamenti di traffico e distorsioni 
di concorrenza negli scambi. 

27 � Questo sistema pu� tuttavia funzionare solo qualora l'amministrazione 
doganale dello Stato importatore accetti le valutazioni effettuate 
legalmente dalle autorit� dello Stato esportatore. Il riconoscimentQ 
di siffatte decisioni da parte delle amministrazioni doganali degli Stati 
membri � necessario perch� la Comunit� possa pretendere a sua volta, 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

dalle autorit� degli altri Stati legati nei suoi confronti nell'ambito dei regimi 
di libero scambio, l'osservanza della decisione adottata dalle autorit� 
doganali degli. Stati membri relative all'origine delle merci esportate 
dalla Comunit� in tali Stati. 

28. -Non vi � motivo di temere che l'applicazione di dette disposizioni 
possa agevolare pratiche abusive, tenuto conto del fatto che gli artt. 16 
e 17 del Protocollo n. 3, in particolare nella loro nuova versione, hanno 
disciplinato nei particolari i metodi di collaborazione fra le competenti 
amministrazioni doganali, in caso di contestazione sull'origine o in caso 
di frodi da parte degli esportatori o importatori. 
29. -Va ancora rilevato che il funzionamento di questo sistema basato, 
come detto sopr�, sulla ripartizione dei compiti fra le amministrazioni 
doganali delle parti aderenti all'Accordo di libero scambio e nell'affidamento 
dovuto agli atti emananti da tali amministrazioni nell'ambito 
delle rispettive competenze -non reca pregiudizio all'autonomia fiscale 
n� della Comunit� e degli Stati membri, n� degli Stati terzi interessati, 
dato che il regime definito dal Protocollo n. 3 � stato istituito in base 
ad obblighi reciproci che collocano le parti su un piano di parit� negli 
scambi fra loro. 
30. -Da tutto quanto precede discende che, trattandosi nel caso di 
specie di merci montate in Svizzera, spettava alle autorit� di tale Stato, 
a norma del Protocollo n. 3, accertare l'origine delle merci destinate ad 
essere esportate nella Comunit�. Di conseguenza, sono le norme doganali 
e le norme sui cambi della Confederazione svizzera quelle che andavano 
applicate nella determinazione dei fattori rilevanti per il calcolo 
dei valori da tener presenti per accertare se la merce potesse considerarsi 
originaria della Svizzera. In particolare, spettava a dette autorit� 
determinare il valore in dogana delle parti importate da un paese terzo, 
al momento contemplato dall'art. 6, n. l, primo trattino, del Protocollo 
n. 3, cio� al momento dell'importazione di dette parti in Svizzera, ed effettuare, 
in tale momento, le operazioni di cambio ai sensi delle loro 
norme nazionali. Il rilascio per le merci di cui � causa, da parte della 
dogana svizzera, del certificato di circolazione EUR. 1 attesta che l'origine 
svizzeri:i delle merci � stata regolarmente accertata, a norma del 
Protocollo. 
31. -Tenuto conto del Protocollo n. 3, lo Stato importatore della 
merce pu� unicamente valutare al momento dell'importazione il valore 
in dogana del prodotto finito, ai fini dell'applicazione del regime preferenziale 
contemplato dall'Accordo di libero scambio. 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

32. -Le questioni sollevate dalll:I-Cour de cassation francese vanno 
quindi risolte dichiarando che l'Accordo tra la CEE e la Confederazione 
Elvetica 22 luglio 1972, e in particolare il Protocollo n. 3 allegato a detto 
Accordo, vanno interpretati nel senso che la valutazione dei fattori rilevanti 
per determinare l'origine di un prodotto e pertanto la sua ammissione 
al regime preferenziale contemplato dall'Accordo spettano all'amministrazione 
doganale dello Stato esportatore del prodotto finito, la quale 
applica, alle parti importate da paesi terzi, al momento dell'importazione, 
le proprie norme in fatto di valore in dogana e di cambio. (omissis) 
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE, Sed. plen., 19 settembre 
1984, nella causa 94/83 -Pres. Mackenzie Stuart -Avv. Gen. 
Lenz -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall'Arrondissementsrechtbank 
di Haarlem nella causa Pubblico Ministero c. Heijn -
Interv.: Governi della Rep. fed. di Germania (ag. Seidel e Rohland), 
italiano (avv. Stato Fiumara) e olandese (ag. Verkade e Keur) e Commissione 
delle C.E. (ag. Haagsma). 

Comunit� Europee -Libera circolazione delle merci � Misura di effetto 
equivalente a restrizioni quantitative alla imp.ortaziol}e -Divieti di 
antiparassitari per le mele. 
(Trattato CEE, artt. 30 e 36). 

Gli articoli 30 e 36 del Trattato CEE non ostano a che uno Stato membro 
vieti l'importazione di mele da un altro Stato. membro per il motivo 
che sopra o in dette mele � presente una percentuale di vinchlozoline 
superiore al massimo consentito dalla legge nel primo Stato membro, 
anche se la percentuale massima di vinchlozoline tollerata nel primo Stato 
membro differisce dalle percr;mtuali consentite per altre derrate alimentari 
o bevande (1). 

(omissis) 1. -Con ordinanza 25 aprile 1983, giunta nella cancelleria 
della Corte il 25 maggio 1983, l'Economische Politierechter (giudice di 
polizia in materia economica) dell'Arrondissementsrechtbank (tribunale) 

(1) Dell'uso di alcune sostllllZe antiparassitarie sugli ortofrutticoli: limiti 
nazionali alla commercializzazione del prodotto. 
1. � In effetti i. quesiti posti dal giudice olandese presupponevano una 
situazione di fatto errata, cio� che le mele importate dall'Italia, contenenti 
vinchlozoline, fossero in Italia legittimamente commercializzate. 
Il Governo italiano, viceversa, nelle osservazioni scritte aveva precisato 
che l'uso del vinchlozoline quale antiparassitario per le mele non � consentito 
in Italia. 

In campo comunitario -si era detto -non vi � che una parziale armonizzazione 
dei limiti di tolleranza dei residUi delle sostanze antiparassit~e 


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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

di Haarlem ha sollevato, a norma dell'art. 177 del Trattato CEE, quattro 
questioni pregiudiziali relative all'interpretazione degli artt. 30 e 36 del 
Trattato CEE, che riguardano la libera circolazione delle merci nell'ambito 
della Comunit�. 

2. -Dette questioni sono insorte nell'ambito di un procedimento 
penale promosso a carico della soc. Albert Heijn B.V. di Zaandam, per 
aver tenuto in magazzino, al fine di venderla, o quanto meno per consegnarla, 
una partita di mele destinate al consumo umano, che potrebbero 
essere nocive per la salute, data la presenza di 1 milligrammo di un antiparassitario
� chiamato vinchlozoline per ciascun Kg. di mele. 
3. -L'art. 16 della legge olandese del 1962 sugli antiparassitari (Bestrijdingsmiddelenwet) 
dichiara inidonee alla vendita � le derrate alimentari 
o le bevande che contengono percentuali di uno o pi� antiparassitari... in 
quantit� superiore alla percentuale stabilita da un regolamento o dalle 
disposizioni adottate per la sua applicazione... �, 
4. -In particolare, il decreto ministeriale del 1965 sui residui (Residubeschikking), 
adottato a norma del regio decreto del 1964 sui residui (Residubesluit), 
in forza dell'autorizzazione conferita dalla legge del 1964 
sugli ortofrutticoli, attuata con la direttiva del Consiglio 76/895/CEE del 23 novembre 
1976 in G.U.C.E. 9 dicembre 1976, n. L. 340, pag. 26) e successive modifiche 
(cfr. direttive 80/428/CEE del 28 marzo 1980, in G.U.C.E. 19 aprile 1980, n. L. 102, 
pag. 26 e 81/36/CEE del 9 febbraio 1981, in G.U.C.E. 19 febbraio 1981, n. L. 46, 
pag. 33). La direttiva si limita a stabilire che gli Stati membri non possono 
vietare od ostacolare l'immissione in circolazione nel loro territorio di alcuni 
ortofrutticoli se essi presentano residui di alcuni determinati antiparassitari in 
quantit� non eccedente i li.miti massimi indicati nella direttiva stessa, limiti 
che gli Stati membri possono solo elevare. Per i pn;>dotti e per gli antiparassitari 
non contemplati nella direttiva non v'� alcuna armonizzazione. Il vinchlozoline 
� un antiparassitario non contemplato nella direttiva. 

In Italia l'art. 5 della legge 30 aprile 1962, n. 283, che contiene la disciplina 
igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle 
bevande, vieta in linea general�, la commercializzazione di sostanze alimentari 
che contengano � residui di prodotti, usati in agricoltura per la protezione 
delle piante ... tossici per l'uomo�, facendo salvo, peraltro, il potere del Ministero 
della Sanit� di stabilire � per ciascun prodotto, autorizzato all'impiego 
per tali scopi, i limiti di tolleranza e l'intervallo che deve intercorrere fra 
l'ultimo trattamento e la raccolta �. A norma del successivo art. 6, la produzione, 
il commercio e la vendita di antiparassitari sono soggetti ad autorizzazione 
ministeriale, a controllo e a registrazione come presidi sanitari. 

L'ordinanza del Ministro della Sanit� 6 gennaio 1979 (in Gazzetta Ufficiale 
Repubblica italiana 8 febbraio 1979, n. 39, all. n. 1), consente l'uso d�l vinchfozoline 
nella quantit� massima di 1,50 mg/Kg. quale antiparassitario per �frutta 
e ortaggi �, ma all'art. 4 ha cura di precisare che le dizioni � frutta� e � ortaggi � 
riportate negli allegati all'ordinanza stessa si riferiscono ai prodotti elencati 



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RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

sugli antiparassitari, fissa le percentuali massime di residui di antiparassitari 
consentiti nelle derrate alimentari e nelle bevande. 

5. -Per la vinchlozoline, la percentuale di residui normalmente con� 
sentita dal decreto in questione � pari a zero, salvo deroghe che autorizzano 
una tolleranza ben specificata per determinati prodotti ortofrutticoli 
espressamente elencati, tra i �quali per� non figurano le mele. 
6. -Dinanzi al giudice nazionale, la Albert Heijn ha sostenuto che le 
mele rinvenute nei suoi depositi con residui di vinchlozoline provenivano 
dall'Italia, ove erano regolarmente in vendita e che quindi, il divieto di 
venderle nei Paesi Bassi sarebbe stato incompatibile con le norme del 
Trattato CEE in fatto di libera circolazione delle merci. 
7. -Ritenendo che la sua pronuncia fosse subordinata alla soluzione 
del problema se la summenzionata normativa olandese fosse compatibile 
con gli artt. 30 e 36 del� Trattato CEE e che, quindi, fosse necessario far 
interpretare dette disposizioni, l'Economische Politierechter ha sospeso 
il procedimento ed ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: 
1) Se il divieto di porre in commercio in uno Stato membro mele 
importate da un altro S~ato membro, in ragione della circostanza che 

nell'allegato 1 dell'ordinanza ministeriale del 23 settembre 1978 � limitatamente 
a quelle specie di frutta e ortaggi, per le quali �l'impiego di ciascun antiparassitario 
� stato autorizzato �. 

Il vinchlozoline � presente nei presidi sanitari denominati RoNILAN (la cui 
vendita � stata autorizzata con decreto� 27 aprile 1978), RONILAN PULVER (autorizzazioni 
24 novembre 1982 e 26 aprile 1983) e RoNILAN S (autorizzazioni di pari 
data del precedente). Le autorizzazioni sono state concesse con la composizione 
e alle condizioni indicate nelle etichette di pertinenza di ciascun presidio 
(allegate ai decreti stessi). Nelle etichette sono indicate le singole variet� di 
frutta e di ortaggi per i quali l'uso dell'antiparassitario � consentito ed � precisato 
che non � consentito altro uso. Le mele non sono contemplate fra le variet� 
di frutta indicate. 

Poich�, dunque, le mele di cui si discuteva -che si presupponeva essere 
di provenienza italiana -non potevano �essere trattate, in Italia, con il 
vinchlozoline e non potevano, quindi, neanche in Italia essere messe in commerdo 
con i residui riscontrati dalle autorit� olandesi, le numerose questioni 
poste dal giudice olandese apparivano in realt� prive di oggetto, in quanto 
avrebbero avuto un rilievo puramente teorico. 

2. -La Corte ha preferito comunque dare risposta ai quesiti posti (lasciando 
evidentemente al giudice nazionale di 'Valutare la rilevanza delle questioni) e la 
risposta � stata conforme a quelle gi� date dalla Corte stessa in via generale in 
relazione a questioni similari (e alle osservazieni sv�ilte nel corso della discussione 
orale del Governo italiano). 
Gi� in numerose sentenze, infatti (cfr., in particolare le sentenze 5 feb


braio 1981, nella causa 53/80, EYSSEN, in Racc., 1981, 409, U dicembre 1981, nella 

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PARTE I, SEZ. Il, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

41 

su dette mele si trovano residui di un antiparassitario -non menzionato 
nell'allegato II della direttiva del Consiglio 23 novembre 1976 (76/895/ 
/CEE) -in contrasto con le disposizioni legislative vigenti in materia, 
secondo cui il porre in commercio generi alimentari contenenti residui 
di antiparassitari � vietato, a meno che i residui siano limitati ad un quantitativo 
massimo fissato per ciascun prodotto e per ciascun antiparassitario, 
costituisca una misura d'effetto equivalente ad una restrizione 
quantitativa, vietata dall'art. 30 del Trattato CEE. 

2) Se . e in qual misura la soluzione della prima questione dipenda 
dalla soluzione della questione relativa al se le suddette mele siano state 
prodotte e messe in commercio, nello Stato di provenienza, in conformit� 
alle disposizioni legislative ivi vigenti. 

3a) Qualora la prima questione venga risolta in senso affermativo, 
se le disposizioni legislative nazionali ivi menzionate possano essere considerate 
come una necessaria tutela della salute ai sensi dell'art. 36 del 
Trattato CEE. 

3b) Se, per risolvere la questione formulata al punto 3a), si debba 
accertare che il divieto in concreto vigente per le mele in relazione ad un 
determinato antiparassitario sia giustificato in quanto necessaria tutela 
della salute, ovvero tale divieto possa anche essere considerato giustifi


causa n. 272/80, BIOLOGISCHE BV, in Racc., 1981, 3277 e 14 luglio 1983, nella causa 
174/82, SANOOZ, in questa Rassegna, 1983, I, 836), '1a Corte aveva preoisato che se 
� vero che gli articoli 30 e 34 del trattato vietano qualsi,asi restrizione quantitativa 
o misura di effetto equivalente nel commercio fra Stati membri, non � men 
vero che gli ostacoli per la circolazione intracomunitaria derivanti dalle disparit� 
delle norme nazionali relative allo smercio dei prodotti sono consentite 
dall'art. 36 del trattato, qualora le nqrme sottese agli ostacoli stessi siano giustificate 
da motivi, tra l'altro, di tutela della salute delle persone: sempre che, 
naturalmente, i divieti o le restrizioni di cui trattasi non costituiscano un mezzo 
di discriminazione arbitraria, n� una restrizione dissimulata al commercio fra gli 
Stati membri. In mancanza di norme di armonizzazione, spetta agli Stati membri 
stabilire il grado di tutela della salute e della vita delle persone che essi 
intendono garantire. La difficolt� e le incertezze inerenti alla valutazione del 
livello necessario nei singoli casi per garantire la salute e le diversit� delle 
situazioni di fatto esistenti nei diversi paesi possono spiegare la mancanza di 
uniformit� delle leggi nazionali degli Stati membri e l'esistenza in alcuni di 
misure pi� rigorose che in altri. 

L'art. 36 del trattato riconosce agli Stati membri il potere di fissare discre


zionalmente le misure che essi ritengono necessarie per la protezione della 

salute delle persone: anche ricorrendo, per raggiungere lo scopo, a mezzi impe


ditivi degli scambi comunitari, purch� essi siano necessari alla tutela perse


guita e non costituiscano una restrizione dissimulata agli scambi stessi. 

Di conseguenza deve ritenersi che un siffatto potere discrezionale esercitato 

da uno Stato non possa avere effetto che nello Stato stesso e non possa vinco


lare, viceversa, gli altri Stati, che altrimenti sarebbero corrispondentemente 

spogliati del potere attribuito loro dalla norma del trattato e tenuti a uniformare 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

cato nel caso in cui sia stabilito in base ad una politica generale intesa ad 
impedire, per quanto possibile, la presenza di residui di antiparassitari 
nei generi alimentari e nell'ambito della quale si proceda alla fissazione di 
una tolleranza relativa ai residui soltanto qualora, per un determinato prodotto, 
esista la necessit� di un determinato antiparassitario e, sotto il 
profilo della salute, tenuto conto delle abitudini alimentari nazionali, non 
vi sia .alcun motivo rilevante che osti a tale fissazione �. 

4a) Se, per risolvere le questioni formulate al punto 3, abbia rilevanza 
il fatto che le disposizioni legislative nazionali del paese importatore 
non consentano la presenza di residui di un determinato antiparassitario 
su determinati generi alimentari, mentre stabiliscono un limite 
massimo di tolleranza relativamente ai residui dello stesso antiparassitario 
per altri generi alimentari. 

4b) Ovvero, in concreto: se sia rilevante la circostanza che, nei Paesi 
Bassi, i residui di � vinchlozoline � non sono ammessi per le mele, 
mentre sono ammessi per altri prodotti ortofrutticoli e il quantitativo 
massimo tollerato di residui di � vinchlozoline � per alcuni di questi pro� 
dotti � addirittura maggiore di quello che si � riscontrato sulla partita 
di mele di cui � causa. 

8. -Con dette questioni il giudice nazionale chiede in sostanza se, alla 
luce degli artt. 30 e 36 del Trattato, la disciplina di uno Stato membro che 
le loro normative in materia sanitaria a quella dello Stato che ha adottato sul 
punto la disposizione meno restrittiva. Si avrebbe, in pratica, una vera e propria 
deviazione della finalit� perseguita dalla norma comunitaria che, anzich� consen� 
tire una diversit� di disciplina in funzione delle diverse esigenze dei singoli Stati 
(si pensi alle diverse condizioni ambientali e climatiche e alle diverse abitudini 
alimentari), verrebbe a porsi come lo strumento per pervenire ad una armonizzazione 
al livello della normativa nazionale meno restrittiva. 

Quel che la normativa comunitaria certamente non consente � una discriminazione 
palese o dissimulata o una misura che comunque voglia impedire 
lo scambio intercomunitario; ma non impedisce certamente che ciascuno Stato 
imponga determinati, requisiti allo smercio dei prodotti senza alcuna distinzione 
fra quelli nazionali e quelli importati, per esigenze di tutela della salute 
ragionevolmente valutate. Ammettere che il prodotto importato sia esonerato 
dagli obblighi imposti dalla normativa sanitaria interna, che continuerebbero 
a gravare invece sul prodotto nazionale, significherebbe creare un privilegio 
per il prodotto importato, che non trova alcuna logica nello spirito del trattato. 

3. -Applicando queste considerazioni generali al caso del vinchlozoline, si 
pu� puntualizzare: 
-� pacifico che gli antiparassitari in genere sono nocivi per la salute 
umana e per l'ambiente; ma � altres� pacifico che il loro uso �, entro certi 
limiti, utile per l'agricoltura: occorre quindi contemperare queste due esigenze 
contrastanti al fine di pervenire ad una soluzione ragionevole; 

-in questa prospettiva, e con esplicito richiamo (nel decimo considerando) 
a questa duplice esigenza, si � mossa la sopracitata direttiva del 1976, 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

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vieti la vendita delle mele provenienti da un altro Stato membro in quanto 
su o in detto prodotto � presente una percentuale di vinchlozoline superiore 
a quella consentita dalla legge sul primo Stato membro, possa giustificarsi 
in quanto necessaria misura di tutela della salute pubblica. 

9 -Prima di risolvere i quesiti di cui sopra, � opportuno osservare, 
come � stato giustamente rilevato nell'ordinanza di rinvio, che l'uso 
dell'antiparassitario di cui trattasi non � disciplinato dalla direttiva 
del Consiglio 23 novembre 1976, n. 76/895, che fissa le quantit� massime 
di residui di antiparassitari consentite sugli e negli ortofrutticoli (G.U. 

n. L. 340 pag. 26). 
10 -Su dette questioni, il Governo tedesco e quello olandese sostengono 
che il divieto in questione � giustificato da esigenze di tutela 
della pubblica sanit�, in quanto gli antiparassitari sono sostanze di 
per s� altamente nocive ed era superfluo, prima di adottare provvedimenti 
di tutela, accertare se fosse nociva la vinchlozoline sulle mele. 

11 -Per la Albert Heijn, un divieto come quello in questione � 
sproporzionato rispetto allo scopo di tutelare la sanit� pubblica, poich� 
l'antiparassitario di cui trattasi � noto alle autorit� nazionali e tollerato 
su determinati prodotti ortofrutticoli. 

che, come si � ripetutamente detto, ha costituito solo una dichiarata prima 
tappa di armonizzazione, e non contempla il vinchlozoline; 

-� ammissibile che gli Stati membri subordinino l'uso del vinchlozoline, 
in quanto antiparassitario, ad autorizzazione e ne disciplinino l'uso con lo stesso 
provvedimento di autorizzazione. 

Quanto ai limiti di questa disciplina nazionale � per� necessario: 

-innanzitutto che essa non faccia discriminazioni arbitrarie e quindi 
sia applicabile indistintamente ai prodotti nazionali e ai prodotti importati; 
-in secondo luogo che non imponga divieti ingiustificati, cio� non 

ragionevoli. 

Ma, occorre intendersi sull'esistenza di giustificazioni, sulla ragionevolezza. 
Non occorre guardare il singolo prodotto. Pu� anche ipotizzarsi, infatti, che il 
vinchlozoline non sia in s� pi� pericoloso che un altro antiparassitario; e pu� 
altres� ipotizzarsi che, comunque, l'uso di esso sulle mele -ora vietato -non 
sia pi� pericoloso dell'uso su altri prodotti -ora consentito. 

Ma occorre tener conto dell'esigenza di un bilanciamento fra i vari residui 
tossici negli alim\'.nti, di un tetto massimo di assorbibilit� giornaliera ammissi� 
bile senza rischi da parte dell'uomo. 

Da tutto ci� si evince che gli Stati membri hanno il potere di valutare 
ciascun prodotto in s� e di consentirne l'uso in base ad una stima comparativa 
e ponderata che tenga conto della esigenza sopradetta. 

OSCAR FIUMARA 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

44 

12 -Per la Commissione, si devono conciliare le necessit� della produzione 
ortofrutticola e le esigenze di tutela della salute umana ed 
animale, tenendo conto dei progressi della ricerca scientifica nel campo 
degli antiparassitari e delle abitudini alimentari della popolazione; 
spetterebbe al giudice nazionale esaminare i motivi del divieto di ammettere 
la vinchlozoline sulle o nelle mele. 

13. -� assodato che gli antiparassitari implicano gravi rischi per 
la salute degli uomini e degli animali nonch\! per l'ambiente, cosa peraltro 
ammessa sul piano comunitario, specie nel quinto considerando 
della direttiva del Consiglio n. 76/895 summenzionata, nel quale si dichiara 
che � questi prodotti antiparassitari, essendo in genere sostanze 
tossiche o preparati con effetti pericolosi, non hanno sulla produzione 
vegetale soltanto incidenze favorevoli '" 
14. -Poich� la vinchlozoline non � disciplinata da questa direttiva, 
gli Stati membri possono, in via generale, adottare provvedimenti relativi 
alle percentuali massime consentite per i residui di detto antiparassitario, 
fermo restando che detta facolt� � a sua volta limitata dal Trattato, 
e in particolare dall'ultima frase dell'art. 36. 
15. -Adottando questi provvedimenti, gli Stati membri devono tener 
presente che gli antiparassitari sono sostanze nel contempo necessarie per 
l'agricoltura e nocive per la salute umana ed animale. Il fatto che i quantitativi 
assorbiti dal consumatore, specie sotto forma di residui sulle 
derrate alimentari, sono imprevedibili e incontrollabili, giustifica la 
necessit� di provvedimenti rigorosi onde limitare i rischi corsi dal consumatore. 
16. -Se la normativa comunitaria in materia non contempla determinati 
antiparassitari, gli Stati membri possono disciplinare la presenza 
di residui di detti antiparassitari sulle derrate alimentari in un 
modo che pu� variare da paese a paese a seconda delle condizioni 
climatiche, delle abitudini alimentari della popolazione e dello stato 
di salute della popolazione stessa. In questo contesto essi possono diversificare, 
per lo stesso antiparassitario, la percentuale consentita a seconda 
degli alimenti. 
17. -Una siffatta disciplina nazionale pu� quindi inserirsi nell'ambito 
di una politica generale di prevenzione della presenza �li residui di antiparassitari 
sugli alimenti. 
18. -Le autorit� dello Stato membro importatore devono per� modificare 
la percentuale massima consentita se ad esse risulta che i motivi 
che hanno dettato la scelta di detta percentuale si sono modificati, ad 

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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

45 

esempio in seguito alla sc_operta di un nuovo uso per questo o quell'antiparassitario. 


19. -� quindi opportuno risolvere le questioni sollevate nel senso 
che gli artt. 30 e 36 del Trattato CEE non ostano a che uno Stato 
membro vieti l'importazione di mele da un altro Stato membro per il 
motivo che sopra o in dette mele � presente una percentuale di vinchlozoline 
superiore al ~assimo consentito dalla legge nel primo Stato 
membro, anche se la percentuale massima di vinchlozoline tollerata nel 
primo Stato membro differisce. dalle percentuali per altre derrate alimentari 
o bevande. (Omissis) 
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 4a sez., 13 dicembre 
1984, nella causa 106/83 -Pres. Bosco -Avv. Gen; Verloren 
Van Themaat -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal 
Tribunale di Genova nella causa Sermide S.p.A. c. Cassa Conguaglio 
Zucchero e Ministeri Finanze e Tesoro -Interv.: Governo italiano 
(avv. Stato Braguglia) e Commissione C.E. (ag. Campogrande). 

Comunit� Europee . Agri�oltura . Organizzazione comune. di mercato nel 
settore dello zucchero � Quote di produzione � Contributi. 

(Regolamenti CEE del Consiglio 30 giugno 1981, n. 1785; della Commissione 12 marzo 
1973, n. 700, e 25 novembre 1981, n. 3358; Trattato CEE, art. 40, n. 3). 

La disciplina dell'art. 7, n. 2, del regolamento CEE della Commissione 

n. 700/73, concernente il calcalo del contributo alla produzione, � obiettivamente 
giustificata anche se in essa vengono utilizzati diversi periodi 
di riferimento, e cio�, in primo luogo, quello della campagna saccarifera 
per stabilire la quantit� della produzione di zucchero bianco considerata 
(c.d. elemento quantitativo) e, in secondo luogo, quello del periodo compreso 
fra il l� ottobre della campagna saccarifera di cui trattasi eq il 
30 settembre successivo, per stabilire la media delle perdite allo smercio 
(c.d. elemento 'finanziario). La Commissione pu� utilizzare e prendere 
come punto di riferimento i dati risultanti dal sistema dei certificati di 
importazione e di esportazione che comportano, per i titolari, l'impegno 
di effettuare le operazioni previste dietro garanzia di una cauzione, 
al fine di quantificare e di calcolare le correnti di importazione e di 
esportazione. Non si rinvengono elementi atti ad inficiare la validit� 
dell'art. 7� del reg. CEE della Commissione n. 700/1973 e dell'art. 1 del reg. 
CEE della Commissione n. 3358/1981. 
(omissis) 1. -Con ordinanza 28 marzo 1983, pervenuta il 6 giugno successivo, 
il Tribunale di Genova ha sottoposto alla Corte, a norma dell'art. 
177 del Trattato CEE,.tre questioni pregiudiziali relative alla va



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

lidit� dell'art. 7, n. 2, del regolamento della Commissione 12 marzo 1973, 

n. 700, �che stabilisce talune modalit� necessarie per l'applicazione del 
sistema delle quote nel settore dello zucchero� (G.U. n. L. 67, pag. 12) 
e dell'art. 1 del regolamento della Commissione 25 novembre 1981, n. 3358 
� che fissa 'gli importi del contributo gravante sulla produzione nel 
settore dello zucchero per il periodo 1� luglio 1980 � 30 giugno 1981 e 
gli importi che i fabbricanti di zucchero devono pagare ai venditori di 
barbabietole� (G.U. n. L. 339, pag. 17). 
2. � Tali questioni sono state sollevate nell'ambito di un giudizio. 
intentato dalla ditta Sermide S.p.A., nel frattempo fallita (in prosieguo: 
Sermide), produttore italiano di zucchero bianco, contro la Cassa Conguaglio 
Zucchero e i Ministeri delle Finanze e del Tesoro (in prosieguo: 
i convenuti nella causa principale). Nel giudizio pendente dinanzi 
al tribunale nazionale sono inoltre intervenuti, a sostegno della Sermide, 
il Consorzio Nazionale Bieticoltori e l'Associazione Nazionale Bieticoltori, 
nonch� i sigg. M. Bianchini e C. Merciai. 
3. � La controversia verte sul diritto, da parte della Cassa Conguaglio 
Zucchero, di riscuotere una somma di 321.008.350 lire, ridotta 
nel corso della causa principale a 261.515.085 lire, a titolo di contributi 
alla produzione per lo zucchero prodotto dalla Sermide, nel corso 
della campagna saccarifera 1980/81, in eccesso rispetto alla quota di 
base assegnatale e il cui pagamento era stato intimato dall'Ufficio 
Ricevitoria (esattoria) della dogana di Genova mediante un'ingiunzione 
fiscale notificata il 10 maggio 1982. 
4. � Tale contributo era stato calcolato sulla base del precitato 
regolamento della Commissione n. 3358/81, adottato sulla base dell'art. 48 
del regolamento del Consiglio 30 giugno 1981, n. 1785, relativo all'organizzazione 
comune dei mercati nel settore dello zucchero (G.U. n. 
L. 177, pag. 4) e in applicazione dell'art. 7 del summenzionato regolamento 
della Commissione n. 700/73, modificato dall'art. l, n. 2, del regolamento 
della Commissione 30 giugno 1976, n. 1573 (G.U. n. L. 172, pag. 52). 
5. � Nell'ambito del giudizio dinanzi al tribunale nazionale, la Sermide 
ha fatto valere l'illegittimit� delle due norme succitate in quanto 
discriminatorie nei suoi confronti e, di conseguenza, contrarie al Trattato 
CEE e ad altre norme comunitarie. 
6. -Ritenendo seri i dubbi espressi dalla Sermide per quanto riguarda 
la validit� delle norme di cui � causa, il Tribunale di Genova 
ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali; 
1) Se l'art. 7, par. 2, del regolamento Commissione e.E.E. numero 
700/73 � che dispone che il totale delle perdite risultanti dallo 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

smercio della quantit� prodotta nella Comunit� � calcolato in funzione 
dell'importo corrispondente alla media ponderata delle perdite allo 
smercio verificatesi nel periodo compreso tra il 1 o ottobre della campagna 
saccarifera in corso ed il 30 settembre successivo -non sia 
illegittimo perch� in contrasto: a) col divieto di discriminazione sancito 
dall'art. 7, par. 1, del Tr,attato di Roma; b) col divieto di discriminazione 
sancito dall'art. 40, par. 3, del Trattato di Roma; c) con l'art. 2, del regola!
flento Consiglio C.E.E. n. 1785/81, che stabilisce che la campagna 
di commercializzazione ha inizio il 1� luglio e termina il 30 giugno successivo; 
d) con l'art. 28 del regolamento Consiglio e.E.E. n. 1785/81, che 
stabilisce che il contributo gravante sulla produzione di zucchero di ogni 
campagna di commercializzazione � in funzione, anche, della perdita media 
per gli impegni all'esportazione da realizzare a titolo della stessa 
campagna. 

2) Se conseguentemente, in caso di risposta affermativa aUa prima 
questione, l'art. 1 del regolamento Commissione C.E.E. n. 3358/81 -che 
determina in ECU 3,407 x 100 Kg. di zucchero bianco il contributo gravante 
sulla produzione della campagna 1980/81 -non sia anch'esso illegittimo. 


3) Se, anche in caso di risposta negativa alle prime due questioni, 
l'art. 1 del regolamento Commissione e.E.E. n. 3358/81 -che determina 
in ECU 3,407 x 100 Kg. di zucchero bianco, il contributo gravante sulla 
produzione della campagna 1980/81 -non sia illegittimo perch� in contrasto: 
a) con l'art. 27, par. 2, del regolamento Consiglio C.E.E. n. 3330/74 
in base al quale il contributo sulla produzione deve essere determinato 
-per la campagna 1980/81 -in funzione della quantit� di zucchero 
effettivamente esportata nei paesi extracomunitari: b) con l'art. 28 del 
regolamento Consiglio C.E.E. n. 1785/81, in base al quale soltanto a 
partire dalla campagna 1981/82 il contributo sullo zucchero prodotto deve 
essere determinato in funzione della quantit� di zucchero semplicemente 
impegnato all'esportazione�. 

Sulle norme riguardanti la presente controversia. 

7. -Al fine di risolvere le questioni sollevate dal Tribunale di Genova, 
vanno innanzitutto ricordate le caratteristiche, inerenti al caso di specie, 
del regime delle quote di produzione e del calcolo� del contributo alla 
produzione nel settore dello zucchero. 
8. -Il regolamento base del Consiglio 19 dicembre 1974, n. 3330, relativo 
all'organizzazione comune del mercato nel settore dello zucchero 
(G.U. n. L. 359, pag. 1), che ha mantenuto la disciplina di quote di produzione 
stabilita dal precedente regolamento base del Consiglio 18 dicembre 
1967, n. 1009 (G.U. n. 308, pag. 1), distingue fra tre categorie di zuc

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

chero bianco prodotto durante una determinata campagna saccarifera, ossia 

durante il periodo che va dal 1� luglio al 30 giugno seguente: 

-il quantitativo che pu� essere liberamente messo in commercio 
nel mercato comune e il cui smercio � garantito dal prezzo d'intervento 
(in seguito: quota A); 

-il quantitativo che eccede la quota A senza superare un certo limite 
massimo (detto �quota massima�, pari alla quota A cui � applicato 
un coefficiente), che pu� anch'esso essere liberamente messo in commercio 
� nel mercato comune o esportato con un aiuto all'esportazione (in seguito: 
quota B); per tale quantitativo, gli Stati membri percepiscono dai fabbricanti 
di zucchero interessati un contributo alla produzione destinato 

a finanziare l'aiuto all'esportazione accordato allo zucchero B); 

-il quantitativo che eccede la quota massima e che non pu� essere 
smerciato sul mercato comune, ma deve essere esportato tale e quale 
anteriormen.te al 1� gennaio successivo alla fine della campagna saccarifera 
di cui trattasi senza che possa essere oggetto di aiuti all'esportazione 
(in prosieguo: quota C). 

9. -A norma dell'art. 3 del regolamento base, il Consiglio fissa annualmente 
per lo zucchero bianco un prezzo d'intervento per la zona maggiormente 
eccedentaria e prezzi d'intervento derivati per altre zone che 
tengono conto delle differenze regionali di prezzo dello zucchero. 
10. -Il precitato regolamento base dispone altresi, all'art. 19, che, 
nella misura necessaria per consentire l'esportazione di zucchero bianco 
sul mercato mondiale, pu� essere .con�essa una restituzione all'esportazione 
che copre la differenza tra i J?rezzi sul mercato modiale e i prezzi 
nella Comunit� e che � la stessa per tutta la Comunit�, mentre il totale 
delle restituzioni all'esportazione corrisponde alle �perdite risultanti 
dallo smercio� di cui all'art. 7, n. 2, lett. b), del regolamento n. 700/73. 
11. -Il contributo alla produzione che gli Stati membri percepiscono 
dai fabbricanti di zucchero per la quota B � calcolato, in conformit� all'art. 
27, n. 2, del regolamento base, dividendo il totale delle perdite risultanti 
dallo smercio del quantitativo prodotto nella Comunit�, che supera 
la quantit� garantita (corrispondente almeno alla quota A) per la 
totalit� dei quantitativi prodotti oltre la quota A dalle imprese della 
Comunit� senza superare la quota massima. Tuttavia, tale contributo non 
pu� eccedere un importo superiore al 30% del prezzo d'intervento. 
12. -Le modalit� di applicazione del sistema delle quote di produzione 
sono stabilite dal regolamento della Commissione n. 700/73, adottato sulla 
base del regolamento n. 1009/67, e rimasto in vigore, con talune modifiche, 
apportate in particolare dal regolamento della Commissione n. 1573/76, 
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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 49 

fino alla sua abrogazione da parte del regolamento della Commissione 
8 giugno 1982, n. 1443 (G.U. n. L. 158, pag. 17), entrato in vigore il 10 giugno 
1982. 

13. -Dall'art. 7, n. 2, del regolamento n. 700/73, nella versione di cui 
all'art. 1, n. 2, del regolamento n. 1573/76, risulta che il totale delle perdite 
di cui all'art. 27, n. 2, del regolamento base n. 3330/74, � calcolato in funzione 
di due elementi, e cio� di un elemento, detto quantitativo, da un 
lato, e di un elemento, detto finanziario, dall'altro. L'elemento quantitativo 
� costituito dalla produzione totale di zucchero bianco effettuata 
nel corso della campagna saccarifera di cui trattasi diminuita della quantit� 
garantita valida per la stessa campagna saccarifera, delle quantit� 
prodotte oltre la quota massima, nonch� delle quantit� prodotte entro 
il limite della quota massima riportate dalle imprese alla campagna saccarifera 
successiva. Invece, l'elemento finanziario � costituito dalla media 
ponderata delle perdite allo smercio verificatesi nel periodo compreso 
tra il 1 � ottobre della campagna saccarifera di cui trattasi e il 30 settembre 
successivo (diminuite dall'importo dei prelievi all'esport�zione 
riscossi durante lo stesso periodo). 
14. -Ne consegue che l'elemento quantitativo � calcolato tenendo 
conto della produzione effettuata .nel corso della campagna saccarifera, 
ossia del periodo compreso tra il 1� luglio ed il 30 giugno successivo, 
mentre l'elemento finanziario � calcolato prendendo in considerazione un 
periodo sfalsato di tre mesi rispetto alla campagna saccarifera. 
15. -Gli artt. 24-31 del regolamento base n. 3330/74, relativi alla 
disciplina delle quote di produzione ivi compreso il contributo alla produzione, 
mentre originariamente si applicavano solo alle campagne saccarifere 
dal 1975/76 al 1979/80, incluse, sono stati dichiarati validi anche 
per la campagna saccarifera 1980/81 (ad eccezione dell'art. 31, n. 1, 
2� comma) dall'art. 1, n. 1, del regolamento del Consiglio 24 giugno 1980, n. 
1592 (G.U. n. L. 160, pag. 12). 
16. -Il regolamento base n. 3330/74 � stato abrogato a partire dal 
30 giugno 1981 dall'art. 49, n. 3, del nuovo regolamento base n. 1785/81, 
i cui artt. 24-32, relativi alla disciplina delle quote di produzione, si 
applicano, a norma dell'art. 23, n. l, alle campagne saccarifere dal 1981/1982 
al 1985/86. 
17. -Il nuovo regolamento base ha mantenuto in linea di massima 
il sistema delle quote di produzione, ma vi ha apportato modifiche importanti, 
soprattutto riguardo al contributo alla produzione che, a riarma 
dell'art. 28, n. 3, viene pagato dai fabbricanti non solo sulla loro produzione 
di zucchero B, ma sulle loro produzioni A e B insieme; tuttavia, 
tale contributo principale non pu� superare un importo massimo pari 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

50 

al 2% del prezzo d'intervento. Qualora tale limitazione del contributo 
non consenta di coprire integralmente la perdita complessiva, i fabbricanti 
devono pagare, sulla loro produzione di zucchero B, un contributo 
ulteriore che non pu� superare un importo pari al 30% del prezzo d'intervento 
(e in certi casi un importo pari al 37,5% di tale prezzo). 

18. -Di conseguenza, il contributo principale � calcolato, a norma 
dell'art. 28, n. 3, del nuovo regolamento base, dividendo la perdita complessiva 
prevedibile per il quantitativo prevedibile di zucchero A e B 
prodotto in conto della campagna in corso. La perdita complessiva prevedibile 
� calcolata, ai sensi dell'art. 28, n. 1, lett. d), tenendo conto 
della perdita media prevedibile per gli impegni all'esportazione da realizzare 
a titolo della campagna in corso. 
19. -Per quanto riguarda il contributo alla produzione per la campagna 
saccarifera 1980/81, il suo importo � stato fissato in 3,407 ECU per 
100 Kg. di zucchero bianco a norma dell'art. 1, n. l, del regolamento della 
Commissione 25 novembre 1981, n. 3358 (G.U. n. L. 339, pag. 17). Tale 
regolamento � stato adottato in esecuzione dall'art. 48 del regolamento 
base n. 1785/81 che autorizza la Commissione ad emanare le disposizioni 
transitorie che si rendano eventualmente necessarie per facilitare il passaggio 
al regime istituito da tale regolamento, in particolare nel caso in 
cui l'applicazione di detto regime alla data prevista incontri difficolt� 
notevoli. Tali disposizioni si applicano solo fino al 30 giugno 1982. 
20. -Fissando l'importo del contributo all� produzione per la campagna 
saccarifera 1980/81, la Commissione ha applicato, secondo i considerandi 
del regolamento n. 3358/81, i criteri stabiliti dall'art. 7, n. 2, del 
regolamento n. 700/73 tenendo conto, nel calcolo dell'elemento finanziario, 
della media ponderata delle perdite allo smercio nel corso del 
periodo compreso fra il 1� ottobre 1980 e il 30 settembre 1981. 
Sulla prima questione. 

21. -La prima questione verte su due diversi problemi: innanzitutto 
quello di stabilire se il fatto che, in base all'art. 7 del regolamento 
n. 700/73, il periodo �li riferimento per il calcolo della media delle perdite 
allo smercio, che va dal 1� ottobre della campagna in corso fino al 30 
settembre successivo, differisce dal periodo della campagna saccarifera, 
che va dal 1� luglio al 30 giugno successivo (in prosieguo: lo �slittamento 
dei periodi di riferimento �), costituisca o meno una discriminazione vietata 
dagli artt. 7 e 40, n. 3, del Trattato; quindi quello di stabilire se 
tale normativa sia in contrasto con gli artt. 2 e 28 del nuovo regolamento 
base n. 1785/81. 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

Sull'asserita violazione del principio di non discriminazione. 

22. -In ordine all'asserita violazione del principio di non discriminazione, 
il giudice nazionale ritiene che lo slittamento dei periodi di riferimento 
si concreterebbe, almeno per quanto riguarda la campagna saccarifera 
1980/81, in una misura discriminatoria a detrimento delle imprese 
italiane, situate in regioni deficitarie e non esportatrici, o esportatrici 
per quantit� proporzionalmente inferiori, e a beneficio esclusivo 
delle imprese del Nord, situate in regioni eccedentarie e tradizionalmente 
esportatrici. 
23. -Tale discriminazione risulterebbe dal fatto che l'aumento del 
prezzo d'intervento comunitario in vigore dal 1� luglio 1981, data d'inizio 
della nuova campagna saccarifera, e la contemporanea diminuzione 
del prezzo mondiale dello zucchero, avrebbero comportato un forte aumento 
dell'importo pagato per le restituzioni all'esportazione (ci� di cui 
si sarebbero avvantaggiate le imprese del Nord) e pertanto un aumento 
anormale del contributo gravante sulla produzione 1980/81 dello zucchero 
B (ci� che sarebbe avvenuto a scapito delle imprese italiane). 
34. -La Sermide e il Governo italiano, a l�ro volta, sostengono il 
carattere discriminatorio del fatto che il contributo alla produzione non 
sia calcolato esclusivamente in funzione delle perdite allo smercio effettivamente 
verificatesi nel corso della campagna saccarifera la cui produzione 
� assoggettata al contributo. Infatti, il nuovo prezzo d'intervento 
comunitario entra in vigore ogni ,anno all'inizio di questo periodo, che 
corrisponde precisamente al ciclo naturale di coltivazione della barbabietola 
da zucchero nelle regioni meridionali. Invece, solo le imprese del 
Nord, dopo la fine della campagna saccarifera, grazie al loro ciclo di 
coltivazione delle barbabietole da zucchero, disporrebbero di un quantitativo 
abbastanza elevato di zucchero prodotto prima di tale data per 
poter beneficiare delle pi� elevate restituzioni all'esportazione. 
25. -Inoltre, il Governo italiano e la Sermide sostengono che, nel 
calcolo del contributo alla produzione sia per il 1980/81 che per il 1981/82, 
le restituzioni dirette allo zucchero prodotto nel corso della campagna 
saccarifera 1980/81 ed esportato durante il terzo trimestre 1981 sarebbero 
prese in considerazione due volte. Tale doppia presa in considerazione 
avrebbe comportato oneri considerevoli e ingiustificati per i produttori. 
26. -La Commissione, invece, contesta ogni accusa di discriminazione 
sottolineando che, nello stabilire quale periodo di riferimento per il 
calcolo della perdita allo smercio il periodo compreso fra il 1� ottobre ed 
il 30 settembre successivo (e non quello della campagna saccarifera), essa 
avrebbe tenuto conto solo dei cicli naturali di coltivazione nonch� 
delle realt� economiche, ossia delle prassi commerciali comuni e delle 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

correnti di scambio tradizionali. L'inizio della campagna saccarifera sarebbe 
stato fissato proprio al 1� luglio per consentire ai produttori di 
zucchero italiani di beneficiare dei nuovi prezzi di intervento per il nuovo 
zucchero, mentre una parte dello zucchero prodotto nelle regioni settentrionali 
nel corso della campagna saccarifera sarebbe tradizionalmente 
esportato solo dopo il 1� luglio fino allo scadere ,del periodo di riferimento. 


27. -Infine, la Commissione sostiene altresi che non sarebbe discriminitorio 
il fatto di far partecipare tutti i produttori dello zucchero 
eccedente la quota A al finanziamento delle restituzioni all'esportazione 
in quanto solo lo smercio dello zucchero eccedente nei paesi terzi consentirebbe 
di mantenere all'interno del mercato comune un equilibrio fra 
l'offerta e la domanda, il che contribuirebbe a sostenere il prezzo interno 
nell'interesse di tutti i produttori, comprese le imprese italiane. 
28. -Va innanzitutto osservato che il principio di non discriminazione 
fra produttori o consumatori della Comunit�, sancito dall'art. 40, n. 3, 
2� comma, che comprende il divieto di discriminazione in base alla nazionalit� 
di cui all'art. 7, 1� comma, del Trattato, impone che situazioni 
analoghe non siano trattate in maniera differenziata e che situazioni diverse 
non siano trattate in maniera uguale a meno che un tale trattamento 
non sia obiettivamente giustificato. I diversi elementi dell'organizzazione 
comune dei mercati, misure di protezione, sovvenzioni, aiuti e 
altri potrebbero . quindi essere differenziati a seconda delle regioni e di 
altre condizioni di produzione o di consumo solo in relazione a criteri 
di natura obiettiva che garantiscano una ripartizione proporzionale dei 
vantaggi e degli svantaggi per gli interessati, senza distinguere fra i territori 
degli Stati membri. � 
29. -Al riguardo, va constatato che la disciplina dell'art. 7, n. 2, del 
regolamento n. 700/73 concernente il calcolo del contributo alla produzione 
� obiettivamente giustificata anche se in essa vengono utilizzati diversi 
periodi di riferimento, e cio�, in primo luogo, quello della campagna 
saccarifera per stabilire la quantit� della produzione di zucchero bianco 
considerata (c.d. elemento quantitativo) e, in secondo luogo, quello del 
periodo compreso fra il 1� ottobre della campagna saccarifera di cui 
trattasi ed il 30 settembre successivo, per stabilire la media delle perdite 
allo smercio (c.d. elemento finanziario). 
30. -Circa l'argomento secondo cui tale metodo di calcolo sarebbe 
arbitrario in quanto sfavorisce i produttori del Sud nei confronti di 
quelli del Nord, va innanzitutto constatato che la suddetta disciplina 
riguarda solo lo zucchero effettivamente prodotto nel corso della stessa 
campagna saccarifera. La presa in considerazione delle restituzioni per 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

quantitativi di zucchero esportati dopo la fine della campagna saccarifera 
� obiettivamente giustificata dato che tali quantitativi sono stati prodotti 
durante la stessa campagna saccarifera. � quindi semplicemente conseguenziale 
il fatto di tener conto, nell'effettuare il calcolo del totale 
delle perdite, e quindi del contributo alla produzione per una campagna 
saccarifera determinata, anche delle perdite allo smerdo di zucchero 
bianco prodotto nel corso di tale campagna, ma smerciato dopo la sua 
cessazione. 

31. -Non pu� essere preso in considerazione dal giudice il fatto che 
i produttori del Sud, a differenza di quelli del Nord, a causa del ciclo 
naturale di coltivazione della barbabietola da zucchero, dopo la fine della 
campagna saccarifera non dispongano pi� dello zucchero prodotto prima 
di tale data e non possano pertanto beneficiare del nuovo prezzo d'intervento 
in vigore a decorrere dall'inizio della nuova campagna saccarifera, 
mentre il contributo gravante sulla loro produzione della campagna 
saccarifera cessata comprende anche il totale delle perdite verificatesi 
durante la parte del periodo di riferimento che va oltre la fine della campagna 
saccarifera. Infatti, tale argomento mette in discussione la scelta, 
operata dal Consiglio, della data d'inizio della campagna saccarifera e 
della data di fissazione del prezzo d'intervento, scelta la cui validit� 
pu� essere messa in dubbio solo sotto il profilo di uno sviamento di 
potere che non � sostenuto nel caso di specie. 
32. -D'altro canto, quanto all'argomento secondo cui lo slittamento 
dei periodi di riferimento avrebbe avuto effetti arbitrari per quanto concerne 
l'importo delle restituzioni e quindi del contributo almeno per la 
campagna saccarifera 1980/81, atteso il livello particolarmente elevato del 
nuovo prezzo d'intervento in vigore dal 1� luglio 1981, va rilevato che le restituzioni 
sono destinate, come precisato dal quinto considerando del regolamento 
di base n. 3330/74, a stabilizzare il mercato comunitario evitando, 
in particolare, che fluttuazioni di prezzo sul mercato mondiale 
si ripercuotano sul prezzo praticato all'interno della Comunit�. Ne con 
segue che gli adeguamenti dell'importo delle restituzioni sono inerenti 
al regime degli scambi con paesi terzi, che rientra nell'organizzazione 
comune dei mercati nel settore dello zucchero. 
33. -�Per quanto concerne l'argomento secondo cui l'applicazione di 
un periodo di riferimento protraentesi oltre la fine della campagna saccarifera 
1980/81 per il calcolo delle perdite allo smercio non sarebbe 
stato compatihlle col fatto che profonde modificazioni del regime dello 
zucchero si sarebbero verificate dal 1� luglio 1981, va constatato che la 
commissione ha applicato la disciplina di cui � causa solo allo smercio 
di zucchero prodotto in epoca anteriore al 1� luglio 1981. Il fatto che 
taluni elementi del regime successivo non esistessero nel regime prece

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

dente non pu�, di per s�, costituire una discriminazione nei limiti in cui 
l'atto adottato non eccede l'ambito dell'ampio potere discrezionale di cui 
il legislatore comunitario dispone in questa materia. 

34. -In ordine all'argomento secondo cui si sarebbe verificata una 
doppia presa in considerazione di talune restituzioni, nel calcolo del contributo 
sia per il 1980/81 che per il 1981/82, la Corte constata che, prendendo 
in considerazione per il calcolo della per�lita media per la campagna 
saccarifera 1980/81 le perdite risultanti dalle restituzioni fissate periodicamente 
per lo zucchero prodotto nel corso della campagna saccarifera 
1980/81 e smerciato durante il terzo trimestre 1981, la Commissione si 
� limitata ad applicare la normativa fin qui vigente. Tenuto conto delle 
ragioni addotte dalla Commissione, in particolare delle considerevoli difficolt� 
amministrative, essa non era tenuta ad istituire, esclusivamente 
per il periodo di riferimento 1980/81, un sistema di imputazione di tali 
perdite all'una e all'altra campagna sarcarifera. Il fatto che la Commissione 
si sia attenuta, anche per il periodo transitorio di cui � causa, alla 
normativa in essere da anni, ossia al regolamento n. 700/73, non contrasta 
col divieto di discriminazione sancito all'art. 40, n. 3, 2� comma, del 
Trattato. 
35. -Invece, per quanto riguarda il fatto che la Commissione ha preso 
in considerazione queste stesse perdite anche per il calcolo della perdita 
media per la campagn.a saccarifera 1981/82, va rilevato che un doppio 
onere in relazione agli stessi fatti non sarebbe compatibile col principio 
di proporzionalit�. Al riguardo, la commissione sostiene che, nel caso 
di specie, la seconda presa in considerazione di tali perdite non ha avuto 
�conseguenze sfavorevoli per i produttori di questa campagna saccarifera, 
in quanto essa ha in realt�, condotto soltanto ad una diminuzione della 
perdita media e quindi ad una diminuzione, per quanto assai modesta, 
dell'importo del contributo per detto periodo. Per contro, la Sermide osserva 
che questa specie di � generosit� � della Commissione nei calcoli da 
questa effettuati sarebbe costata ai produttori italiani � per la sola campagna 
1980/81, circa 7 miliardi di lire>>, e che � probabile �che altrettanto 
sia costata nel 1981/82 �. Essa tuttavia non produce n� indicazioni 
specifiche sul danno che essa avrebbe subito, n� prove in ordine all'esistenza 
di un nesso di causalit� fra tale danno ed i calcoli operati dalla 
Commissione. 
36. -Stando cos� le cose, l'argomento addotto dalla Commissione 
appare sufficiente ad escludere una violazione del principio di proporzionalit�, 
dato che un forte aumento delle perdite deriverebbe dall'andamento 
dei prezzi sul mercato mondiale. 
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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

37. -Da quanto precede risulta che l'art. 7, n. 2, del regolamento 
n. 700/73, non viola il principio di non discriminazione fra produtt01i 
della Comunit�, sancito all'art. 40, n. 3, 2� comma, del Trattato. 
Sulla violazione degli artt. 2 e 28 del regolamento n. 1785/81 

38. -Il giudice nazionale solleva altres� la questione di stabilire se 
l'art. 7, n. 2, del regolamento n. 700/73 non sia illegittimo in quanto 
in contrasto con gli artt. 2 e 28 del regolamento n. 1785/81, a norma 
dei quali il periodo di riferimento per il calcolo della perdita media 
allo smercio coincide con la campagna saccarifera. 
39. -A questo proposito, va osservato che le norme del regolamento 
n. 1785/81 relative al cakolo del contributo alla produzione si applicano, 
ai sensi del suo art. 23, solo dall'inizio della campagna saccarifera 1981/82 
e, pertanto, non al contributo alla produzione gravante sullo zucchero 
prodotto durante la campagna. saccarifera 1980/81. Dato che quest'ultimo 
poteva essere effettuato solo qualche tempo dopo la fine della campagna, 
vale a dire gi� nel corso del periodo di validit� del nuovo regolamento 
base, il Consiglio ha autorizzato la Commissione, all'art. 48 del regolamento 
n. 1785/81, ad adottare le disposizioni transitorie necessarie sulla 
base del regolamento n. 700/73, rimasto in vigore anche dopo l'abrogazione 
del regolamento n. 3330/74. 
40. -Ne consegue che l'art. 7, n. 2, del regolamento n. 700/73 non � 
incompatibile con gli artt. 2 e 28 del regolamento n. 1785/81. 
Sulla seconda questione 

41. -Essendo stata proposta solo in caso di soluzione affermativa della 
prima questione, la seconda questione � pertanto divenuta priva d'oggetto. 
Sulla terza questione 

42. -Con questa terza questione, il giudice nazionale intende stabilire 
se l'art. 1 del regolamento della Commissione n. 3358/81 non sia illegittimo 
perch� in contrasto con l'art. 27, n. 2, regolamento base n. 3330/74 e con 
l'art. 28 del nuovo regolamento base n. 1785/81, in quanto il contributo 
alla produzione di zucchero per la campagna saccarifera 1980/81 � determinato 
in funzione della quantit� di zucchero oggetto di un impegno all'esportazione 
e non in funzione della quantit� effettivamente esportata. 
43. -La Sermide, a sua volta, fa valere che il regolamento n. 3358/81 
della Commissione sarebbe illegittimo in quanto, prendendo in considera

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

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zione, nel calcolo del contributo per la campagna saccarifera 1980/81, non 
solo i quantitativi di zucchero effettivamente esportati, ma anche gli impegni 
all'esportazione per i quali non si fosse verificata una materiale 
esportazione nel corso della stessa campagna, la Commissione avrebbe 
ecceduto i propri poteri, limitati dalle norme dei regolamenti del Consiglio. 
Analogamente, il Governo italiano ritiene che la presa in considerazione 
degli impegni all'esportazione no.n sia appropriata, almeno per la campagna 
1980/81. La Commissione ribatte invece c1'e, dall'istituzione dell'organizzazione 
comune di mercato nel settore dello zucchero in poi, essa 
avrebbe sempre seguito l'interpretazione applicata nella fattispecie. 

44. -Nel corso dell'udienza, il Governo italiano ha espresso dubbi per 
quanto concerne la validit� del regolamento della Commissione n. 3358/81, 
in quanto il suo fondamento giuridico, ossia l'art. 48 del nuovo regolamento 
base n. 1785/81, non costituirebbe una base giuridica sufficiente per fissare 
un contributo a carico dei fabbricanti di zucchero. 
45. -Dato che il contributo alla produzione per la campagna saccarifera 
1980/81 poteva essere fissato solo dopo il 1� luglio 1981, data dell'abrogazione 
del regolam~nto base n. 3330/74, e che la transizione dall'uno all'altro 
regime sarebbe stata pregiudicata ove non fossero stati presi provvedimenti 
integrativi, la Commissione poteva fondare il regolamento n. 3358/81 
sulla suddetta norma al fine di assicurare la continuit� della disciplina del 
mercato dello zucchero voluta dal Consiglio. La Corte ritiene che proprio 
il tipo di problemi che il caso di specie presenta costituisce la ragion 
d'essere dell'art. 48 del nuovo regolamento base n. 1785/81 che autorizzava 
l'adozione delle disposizioni transitorie necessarie a facilitare il passaggio 
al nuovo regime del mercato dello zucchero . 
. . 46. -Per. quanto concerne la nozione di smercio, .� esatto che l'art. 27, 

n. 2, del regolamento base n. 3330/74 si riferisce, in ordine al calcolo del contributo 
alla produzione, alle sole perdite risultanti dallo smercio senza 
menzionare gli impegni all'esportazione, mentre l'art. 28 del nuovo regolamento 
base n. 1785/81 si riferisce espressamente alle perdite per gli impegni 
all'esportazione da realizzare a titolo della campagna in corso. Tuttavia 
n� il regol�mento base del Consigiio n. 3330/74, n� il regolamento della Commisione 
n. 700/73 danno una definizione della nozione di smercio; tali 
regolamenti lasciano quindi alla Commissione il compito di interpretare 
quest'ultima secondo lo scopo ed in base al contesto della norina di cui 
trattasi. 
47. -Come la Corte ha pi� volte dichiarato, la Commissione pu� utilizzare 
e prendere come punto di riferimento i dati risultanti dal sistema 
dei certificati di importazione e di esportazione che comportano, per i 
titolari, l'impegno di effettuare le operazioni previste dietro garanzia di 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

una cauzione, al fine di quantificare e di calcolare le correnti di importazione 
e di esportazione. 

48. -Nella fattispecie, l'interpretazione, da parte della Commissione, 
della nozione di smercio nel senso di impegni all'esportazione era giustificata 
alla luce del fatto che, in primo luogo, gli Stati membri non contabilizzano 
le esportazioni effettive di zucchero in funzione della campagna 
saccarifera o del periodo di riferimento per il calcolo della perdita media 
e che, in secondo luogo, le esportazioni effettuate nell'ambito della gara 
permanente sono subordinate alla costituzione di una cauzione. 
49. -Dall'esame della terza questione non emerge pertanto alcun elemento 
tale da inficiare la validit� dell'art. 1 del regolamento n. 3358/81. 
50. -Alla luce dell'insieme delle considerazioni precedentemente svolte, 
le questioni sollevate dal giudice nazionale vanno risolte nel senso che il 
loro esame non ha messo in luce elementi atti ad inficiare la validit� 
dell'art. 7 del regolamento della Commissione 12 marzo 1973, n. 700, o 
quella dell'art. 1 del regolamento della Commissione 25 novembre 1981, 
n. 3358. (omissis) 

SEZIONE TERZA 
GIURISPRUDENZA 
SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 
SEZIONE TERZA 
GIURISPRUDENZA 
SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 11 luglio 1984, n. 4060 -Pres. Greco -
Rel. Tondo -P. M. Sgroi -Croce Rossa Italiana (Vice avv. gen. Stato 
Gargiulo) c. Travaglione. 

Enti Pubblici -Ente pubblico non economico -Gestione di scuole o asili � 
Impiego pubblico � Requisiti necessarl � Inserlmento reale nell'apparato 
organizzativo dell'ente � Atto formale di nomina � Non necessita. 

L'attivit� di gestione, da parte di enti pubblici non economici, di scuole 

o asili �, indipendentemente dalla correlazione con i fini istituzionali dell'ente, 
pubblicistica quando si svolga nell'ambito dell'organizzazione tipica 
.dell'ente medesimo, con gli strumenti propri dell'azione amministrativa e 
in. considerazione dei fini sociali cui � diretta, al di fuori di fini di 
luc'ro e per il rapporto di impiego costituito non � necessario l'atto formale 
di nomina (1). 

(omissis) Secondo l'ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte 
suprema (v. per tutte, sent. 15 novembre 1983, n. 6768), l'attivit� di gestione, 
da parte di enti pubblici non economici, di scuole od asili �, indipendentemente 
dalla correlazione con i fini istituzionali dell'ente, di natura pubblicistica 
quando si svolga nell'ambito dell'organizzazione tipica dell'ente 

�medesimo, con gli strumenti propri dell'azione amministrativa ed in considerazione 
dei fini sociali cui essa � diretta, senza dare perci� vita ad 
un'autonoma struttura di tipo imprenditoriale, rivolta come tale al procacciamento 
di entrate remunerative dei costi. 

Nella specie, l'anzidetta correlazione con i fini istituzionali della C.R.I. 
addirittura sussiste (attesa l'ampia e comprensiva formulazione della norma 
statutaria sopra ricordata), come pure � indubbio che la gestione della 
scuola � Palasciano � sia stata dall'ente direttamente svolta nell'ambito 
della propria organizzazione pubblicistica e senza fine di lucro. Ne con


(1) Deve ritenersi ormai consolidato in tal senso l'orientamento della Suprema 
Corte circa la non necessariet� della sussistenza di un atto formale di 
nomina al fine della qualificazione di un rapporto di pubblico impiego (cfr. 
Cass. 2 marzo 1981, n. 1203; Cass. 22 ottobre 1980, n. 5680). In specie la Corte ha 
ribadito quanto pi� volte affermato circa la conformit� dell'attivit� di gestione 
di scuole o asili ai fini previsti dall'art. 1 del d.l. c.p.s. 13 novembre 1947 n. 1256 
(cfr. Cass. 10 novembre 1977, n. 4838; 6 maggio 1978, n. 2168; 6 febbraio 1980, 

n. 840; 15 novembre 1983, n. 6768). 

59

PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

segue che la prestazione lavorativa retribuita, effettuata dalla Travaglione 
con continuit� e vincolo, di subordinazione, ha dato vita ad un rapporto 
di pubblico impiego, ben essendo configurabile l'inserimento della dipen� 
dente nell'ambito dell'anzidetta organizzazione pubblicistica, ed essendo 
irrilevante in contrario sia la mancanza di un formale atto di nomina, 
sia l'inappropriata qualificazione giuridica data dalle parti al rapporto 
all'atto dell'assunzione (incarico professionale), sia la circostanza che 
quest'ultima sia stata effettuata a termine ed annualmente rinnovata, 
essendo quello della (relativa) stabilit� carattere proprio del solo rapporto 
di pubblico impiego di ruolo. 

In applicazione degli artt. 29 T.U. sul Consiglio di Stato 26 giugno 1924, 

n. 1054 e 7, commi secondo e terzo, I. 6 dicembre 1971, n. 1034, deve conseguentemente 
essere dichiarata la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. 
. Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del procedimento. 


I 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 26 luglio 1984, n. 4386 -Pres. Mirabelli -
Rel. Panzarani -P. M. Tamburrino (conci. conf.) -Ministero delle Finanze 
(avv. St~to Carbone) c. S.I.D.A.F. (avv. Regard) e C.N.I.S.I.A. 

Giurisdizione civile -Impiego pubblico statale -Associazioni sindacali di 
dipendenti statali -Diritti sindacali -Tutela -Art. 28 statuto lavoratori 
-Inapplicabilit� -Diritti sindacali esclusivi del sindacato Giurisdizione 
ordinaria -Diritti sindacali connessi a posizioni di 
pubblico impiego -Giurisdizione amministrativa esclusiva. 

(Artt. 24, 39, 40 Cost.; art. 29 r.d. 26 giugno 1924, n. 1054; art. 28 I. 20 maggio 1970, 

n. 300; art. 7, I. 6 dicembre 1971, n. 1034; artt. 23, 28, I. 29 marzo 1983, n. 93). 
Nel settore del pubblico impiego statale, esclusa l'applicabilit� dello 
art. 28 del c.d. statuto dei lavoratori, � competente il giudice ordinario, 
secondo le �norme del codice di procedura civile, per la tutela dei diritti 
sindacali propri ed esclusivi delle associazioni sindacali; mentre � competente 
il giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva per l� 
tutela dei diritti sindacali del sindacato connessi a rapporti di pubblico 
impiego (1). 

(1-2) Con le due decisioni in epigrafe e con altre coeve, la Corte di Cassazione 
sembra aver trovato la definitiva soluzione al problema dell'applicabilit� 
dell'art. 28 dello statuto dei lavoratori e della tutela dei diritti sindacali nel 
settore del pubblico impiego. 

Come ha ricordato la Corte nelle predette sentenza, l'art. 37 dello statuto 
dei lavoratori prevede che le norme dello statuto si applichino agli enti pub




60 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

II 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 26 luglio 1984, n. 4387 -Pres. Mirabelli -
Rel. Onnis -P. M. Tamburrino (concl. conf.) -Politecnico di Milano 
(avv. Stato Freni) v. C.G.I.L.-C.I.S.L-U.I.L. (avv. Ventura). 

Giurisdizione civile -Impiego pubblico statale � Associazioni sindacali dei 
dipendenti statali -Diritti sindacali � Tutela � Art. 28 Statuto dei 
lavoratori � Inapplicabilit� � Diritti sindacali esclusivi del sindacato � 
Giurisdizione ordinaria. 
(Art�. 3, 24, 39 e 40 Cost.; artt. 28, 37 1. 20 maggio 1970, n. 300; art. 7 I. 6 dicembre 1971, 

n. 1034; art. 5 1. 25ottobre 1977, n. 808; 1. 29 marzo 1983, n. 93). 
Sussiste la giurisdizione ordinaria, esclusa l'applicabilit� dell'art. 28 
del c.d. statuto dei lavoratori, nel caso di lesione di un diritto sindacale 
proprio ed esclusivo e, cio�, non inerente a posizioni soggettive del singolo 
rapporto di pubblico impiego, della associazione sindacale dei dipendenti 
statali (2). 

I 

Nell:unico motivo dell'istanza l'Amministrazione delle Finanze, richiamata 
la sentenza di queste Sezioni Unite 6 maggio 1972 n. 1380, deduce 
l'improponibilit� della domanda del Sindacato e ci� per carenza assoluta 
di giurisdizione dato che la norma dell'art. 37 dello Statuto dei lavora


blici economici, mentre agli altri enti pubblici soltanto se la materia non sia 
stata diversamente regolata da norme speciali, escludendosene l'applicabilit� 
allo Stato (cfr. Cass., 6 maggfo 1972, n. 1380, in Giur. cost., 1973, 647 con nota di 
PANNUNZIO, in Foro it., 1972, I, 1201; in Giust. civ., 1973, I, 1408; in questa Rassegna, 
1972, I, 574 con nota di FAVARA sul presupposto che nella nostra legislazione il 
riferimento anche allo Stato, oltrech� agli altri enti pubblici, � sempre espresso; 
id., 9 novembre 1974, n. 3476, in Giust. civ., 1975, I, 223; id., 27 marzo 1975, n. 1158, 
in Giur. it., 1977, I, 1615; Consiglio di Stato, A.P., 10 dicembre 1976, n. 6, in 
Cons. Stato, 1976 I, 1333). La Corte costituzionale ha, d'altronde, escluso che la 
mancata estensione della disciplina dello statuto �lei lavoratori ai dipendenti 
statali sia in contrasto con la Costituzione: cfr. Corte Cost., 20 maggio 1976, 

n. 118, in Foro it., 1976, I 2551, con nota di SPAGNOLETTI, in Giust. civ., 1976, III, 
305; id., 5 maggio 1980 n. 68, in Foro it., 1980, I, 1553, in Giust. civ., 1980, I, 1214. 
Di conseguenza la giurisprudenza ha escluso che i sindacati dei dipendenti statali 
potessero adire ex art. 28 statuto dei lavoratori il pretore in caso di comportamento 
antisilildacale della Amm.ne (cfr. Cass., 27 marzo 1975, n. 1158, cit., id. 
S.U., 18 dicembre 1975 n. 4164, in cui � stata dichiarata improponibile per difetto 
assoluto di giurisdizione la domanda di repressione della condotta antisindacale 
della CASMEZ, in Foro it., 1976, I, 52; cfr. inoltre la Relazione dell'Avvocato Generale 
dello Stato al Presidente .del Consiglio dei Ministri, anni 1976-1980, vol. II, 
p. 156; id., 22 giugno 1978, n. 3067, in Giust. civ., 1978, I, 2044); mentre tale rimedio 
si consentiva alle organizzazioni 
enti pubblici, ma solo nel caso 

di categoria del personale di tutti gli altri 
in cui il comportamento dell'Amm.ne ledesse 

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1 

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I 


PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

61 

tori -che estende la disciplina di tale legge anche agli enti pubblici non 
economici ove la materia non sia diversamente regolata da norme speciali 
-non � applicabile ai dipendenti dello Stato. 

Tutto ci� richiamato, ritiene il Collegio come sia necessario svolgere, 
in ordine alla delicata tematica proposta dal ricorso dell'associazione sindacale 
e dall'istanza di regolamento di giurisdizione dell'Amministrazione 
delle Finanze, le seguenti argomentazioni di ordine generale e sistematico, 
e ci� al fine di enucleare e di inquadrare i problemi che da tale tematica 
scaturiscono e poter quindi ricercare quella soluzione che si appalesi pi� 
esatta, tenuto conto delle pronunce della Corte Costituzionale, degli indirizzi 
seguiti dalla giur.isprudenza di questa Suprema Corte. delle indicazioni 
emergenti nello sviluppo della legislazione nonch� del contributo 
fornito dalla dottrina. 

I. -Nella ricordata ordinanza n. 6 del 28 ottobre 1976-11 gennaio 1977 
(n. 65 del registro ordinanze del 1977, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 
del 13 aprile 1977, n. 100) oon cui gli atti della presente causa furono rimessi 
alla Corte Costituzionale, queste Sezioni Unite avevano ritenuto 
non manifestamente infondata la questione di legittimit� costituzionale 
delle disposizioni relative alla disciplina dell'attivit� sindacale nell'ambito 
dell'impiego statale (art. 146 del testo unico approv. con il d.P.R. 
10 gennaio 1957, n. 3 modific. dall'art. 7 della legge 28 ottobre 1970, n. 775, 
art. 44 bis della legge 18 marzo 1968 n. 249 nel testo introdotto dall'art. 20 
il sindacato nell'attivit� e nei diritti supi propri (cfr. Cass., 5 luglio 1979, n. 3820 
e 3821, in Giust. civ., 1979, I, 1535; in Cons. St., 1979, II, 1112). Escluso che il 
sindacato potesse rivolgersi ad alcun giudice per far valere il comportamento 
antisindacale di un ente pubblico non economico, posto in essere mediante 
lesione di diritti� propri del pubblico dipendente, l'ord. Cass., 21 giugno 1979, 

n. 302, in Foro it., 1979, I, 1661 deferl alla Corte Costituzionale -per contrasto 
con gli artt. 3, 24, 25 Cost. -la normativa di cui agli artt. 28 st. lav., 29 n. 1 e 39 
t.u. C.d.S. e 7, 19, 21 legge T.A.R. Con la sentenza n. 68/80 cit. la Corte dichiar� 
infondata la questione 
In deroga alla regola enunciata dalla sentenza n. 3820/79 cit l'art. 31 d.lg. 
24 marzo 1981 n. 145 deferisce al giudice amministrativo le controversie per la 
repressione della condotta antisindacale sorte'nell'ambito del rapporto di lavoro 
del personale (soggetto alla giurisdizione amministrativa esclusiva) della Azienda 
Statale di assistenza al volo; controversie alle quali applica il rito speciale 
del lavoro di cui alla legge n. 533/73. Pcme in luce l'anomalia del sistema 

A.M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, -Napoli, Jovene, 1984, p. 1328 
(nota 391 a). Cfr., inoltre, art. 24 legge quadro sul pubblico impiego e A. PROTO 
PISANI, Problemi processuali della legge quadro sul p.i., in Foro it., 1984, I, 475; 
A. CORPACI, L. quadro sul p.i. e giurisdizione esclusiva, ivi, 516. 
L'art. 23 della predetta legge rimette alla contrattazione collettiva l'applicazione 
dei principi enunciati in altri articoli dello statuto (20, 21, 23, 24, 25, 26, 
27, 29, 30). 

La Cassazione ritiene che nelle more della contrattazione collettiva si 
applichi lo statuto dei lavoratori agli enti pubblici non economici diversi dallo 



62 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

della detta legge n. 775 del 1970 e 45-50 della stessa legge n. 249 del 1968) 
in quanto non prevista in esse, nei riguardi delle associazioni sindacali 
dei dipendenti statali, la tutela giurisdizionale del. loro interesse al rispetto 
della libert� e dell'attivit� sindacale nonch� del diritto di sciopero e ci� 
con ingiustificata disparit� rispetto al trattamento riservato alle altre 
associazioni sindacali dall'art. 28 della legge 20 maggio 1970 n. 300 (Statuto 
dei lavoratori), in riferimento pertanto agli artt. 3 e 24, commi 1 e 2, della 
Costituzione. 

La Corte Costituzionale, nel decidere con la sentenza 5 maggio 1980 

n. 68 la suddetta questione nonch� altre analoghe proposte sia da queste 
stesse Sezioni Unite (con ordinanza 3 giugno-3 settembre 1976 n. 468) sia 
dal Tribunale di� Milano, e inoltre la questione di legittimit� costituzionale 
del suddetto art. 28 dello Statuto dei lavoratori sollevate dai Pretori di 
Agropoli e Torino, le dichiarava tutte non fondate in riferimento alle 
suindicate norme della legge fondamentale. La Corte invero -richiamando 
la propria precedente decisione 20 maggio 1976, n. 118 -affrontava anzitutto 
il problema se la situazione delle associazioni sindacali nell'ambito 
dell'impiego statale fosse identica o simile a quella delle analoghe associazioni 
considerate in ordine agli altri rapporti di lavoro, osservando al 
riguardo che una condizione di fondamentale eguaglianza doveva in effetti 
essere riconosciuta in dipendenza delle norm~ contenute negli artt. 39 e 40 
della Costituzione, laddove lo � status � sindacale delle associazioni dei 
dipendenti pubblici aveva avuto un suo significativo riconoscimento con 
Stato (cfr. Cass., 29 ottobre 1983, n. 6419, in Foro it., 1984, I, 474; in Giust. civ., 
1984, I 398 con nota di Zou). 

Le sentenze in epigrafe sono pubblicate anche in Giust. civ., 1984, I, 2713 
con ampia nota redazionale che ricostruisce minuziosamente i precedenti editi, 
e ivi, I, 2714 con nota di commento di F. MERUSI, Diritti dei sindacati e riparto di 
giurisdizione, ovvero, sul come raddrizzare le gambe ai cani ... nonch�, in Foro it., 
1984, I, 2106 con ampia nota critica di A. PROTO PISANI. 

Per gli enti pubblici non ecqnomici le disposizioni dello statuto sono applicabili 
solo quando le norme (legislative o regolamentari) per essi previste non 
contengano una disciplina diversa o incompatibile con lo statuto: cfr. Consiglio 
di Stato, V, 6 febbraio 1973 n. 77, in Dir. e soc., 1973, 455, con nota di PANNUNzrn; 
id., A.P., 4 novembre 1977, n. 17, in Cons. Stato, 1977, I, 1575; id., 5 maggio 1978, 

n. 16, ivi, 1978, 759; id., sez. V, 3 aprile 1981, n. 117, ivi, 1981, 407. L'art. 23 della 
legge quadro sul pubblico impiego (legge 29 marzo 1983, n. 93) ha esteso al personale 
di tutte le pubbliche amministrazioni, compreso lo Stato, l'applicazione 
delle disposizioni degli artt. 1 (diritto di libera manifestazione del pensiero 
cfr. art. 10 legge 20 marzo 1975 n. 70); 3 (obbligo di rendere noto ai dipendenti i 
nominativi e le mansioni di vigilanza); 8 (divieto di indagini sulle opinioni); 9 
(diritto di controllare l'applicazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni); 
11 (attivit� culturali, ricreative ed assistenziali); 14 (diritto di svolgere l'attivit� 
sindacale); 15-17 (divieto di discriminazioni). 
GABRIELLA PALMIERI 



PARTE I,_ SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 63 

l'introduzione in tale settore della contrattazione collettiva (anche se necessitante, 
per la sua operativit�, di atti del potere esecutivo). 

In relazione quindi al problema se fossero razionalmente giustificate 
le diversit� sussistenti (rispetto agli altri sindacati) in ordine alla tutela 
giurisdizionale delle situazioni soggettive da riconoscere alle associazioni 
sindacali dei dipendenti dello Stato, la Corte Costituzionale rilevava come 
fosse necessario considerare il pi� ampio contesto del rapporto d'impiego 
statale e le peculiarit� proprie del datore di lavoro di tale rapporto. 
Richiamato in proposito il processo di convergenza tra la posizione giuridica 
dei lavoratori privati e quella dei dipendenti dello Stato e degli enti 
pubblici non economici, emergente -per gli uni -dal raggiungimento di 
una assai elevata garanzia in tema di stabilit� del posto di lavoro e -per 
gli altri -appunto dall'ingresso della contrattazione collettiva quale 
fase necessaria per la determinazione del trattamento non soltanto economico, 
la Corte argomentava che tale processo aveva tuttavia raggiunto 
dei risultati ancora parziali, dovendosi invero tener conto che nella Pubblica 
Amministrazione la disciplina del lavoro era pur sempre strumentale, 
mediamente e immediatamente, rispetto alle finalit� istituzionali assegnate 
ai suoi singoli uffici. Sul punto rilevava ulteriormente che la disciplina 
di siffatti rapporti si presentava tuttora come un dato che soltanto il 
legislatore avrebbe potuto immutare, laddove (dovendosi in ogni caso 
considerare come rapporti di diritto pubblico quelli dei dipendenti cui 
era o poteva essere affidato l'esercizio di potest� pubbliche) non poteva 
disconoscersi che lo Stato ..:._ datore di lavoro si differenziava profondamente 
da quel datore di lavoro che era protagonista in senso negativo della. 
fattispecie preveduta dall'art. 28 dello Statuto: su tale punto rilevava 
invero che il funzionario in posizi_one di superiorit� rispetto ad altri 
dipendenti statali presentava caratteristiche strutturalmente diverse rispetto 
all'imprenditore o al dirigente d'impresa fiduciario di lui. in quanto 
non era partecipe sotto alcun aspetto ad una situazione conflittuale di 
natura economica, qualificata pur sempre, in modo mediato o immediato, 
da una contesa sui margini del profitto, sicch� non poteva accogliersi la 
proposizione secondo cui l'interesse dell'impresa era dal punto di vista 
storico l'equivalente nei rapporti interprivati dell'interesse dell'Amministrazione 
-datore di lavoro nei rapporti di pubblico impiego. 

Osservava ancora la Corte Costituzionale che lo Statuto degli impiegati 
civili dello Stato assicurava loro un complesso di garanzie assolutamente 
identico sia ai � superiori � che ai dipendenti, nel mentre era rimasta 
ferma (anche dopo la legge 11 agosto 1973, n. 533, art. 409 n. 5 cod. 
proc. civ.) la differenziazione della tutela giurisdizionale la quale avrebbe 
potuto creare serie difficolt� ove si fosse senz'altro applicato l'art. 28 
(dello Statuto dei lavoratori) ai sindacati del pubblico impiego nelle ipotesi 
di comportamento antisindacale realizzato attraverso una lesione di 
diritti inerenti al rapporto d'impiego di singoli dipendenti e gruppi di essi. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

64 

Sulla base di tali rilievi la Corte Costituzionale escludeva pertanto 
che il principio di eguaglianza sancito dall'art. 3, comma 1; della legge 
fondamentale esigesse l'estensione pura e semplice della disciplina dello 
art. 28 dello Statuto dei lavoratori alle associazioni sindacali dei dipen� 
denti dello Stato spettando piuttosto al legislatore ordinario operare 
ulteriori scelte. In proposito osservava la Corte che, a prescindere dalla 
istituzione con legge costituzionale di uno speciale giudice unico per tutte 
le controversie di lavoro (privato e pubblico, statale incluso), lo stesso 
legisl�tore avrebbe potuto optare sia per un'estensione della giurisdizione 
del giudice ordinario sia per una riaffermazione della giurisdizione esclusiva 
del �giudice amministrativo allargandola alle controversie in cui 
fossero parte i sindacati (con ulteriore avvicinamento ai poteri del giudice 
civile ex Statuto dei lavoratori e alla riforma del processo del lavoro 
del 1973). 

In relazione poi al problema della natura delle posizioni soggettive 
dei sindacati, la Corte Costituzionale osservava che le libert� sindacali 
dovevano ritenersi tutelabili nel settore del pubblico impiego, cos� come 
le Sezioni Unite avevano ritenuto fin dal 1974, in qualit� di situazioni di 
diritto soggettivo proprie ed esclusive del sindacato (cfr., sul punto, la 
sentenza della stessa Corte Costituzionale 6 marzo 1974, n. 54) e ci� attraverso 
i procedimenti ordinari promossi avanti al giudice civile, � idest � 
al di fuori del quadro dell'art. 28, laddove, se in relazione a particolari 
disposizioni fossero emerse situazioni d'interesse legittimo, esse avrebbero 
dovuto trovare tutela diretta avanti ai giudici amministrativi. 

Considerato, quindi, che nella giurisprudenza dei Tribunali ammini� 
strativi regionali non si negava in linea di tendenza (e non di rado si 
riconosceva in concreto) la legittimazione delle associazioni sindacali e 
degli ordini professionali a ricorrere e ad intervenire a tutela degli specifici 
interessi facenti loro capo (distinti da quelli dei singoli lavoratori e 
professionisti), la Corte Costituzionale osservava ancora che non esisteva 
l'asserita lacuna di tutela giurisdizionale, trattandosi piuttosto di forme 
di tutela meno rapide e penetranti di quelle previste nell'art. 28 dello 
Statuto, ma non per questo incostituzionali, talch� le norme sul pubblico 
impiego non contenenti per le associazioni sindacali dei dipendenti statali 
la previsione di tutela giurisdizionale del loro interesse al rispetto della 
libert� e dell'attivit� sindacale nonch� del diritto di sciopero non si rivelavano 
viziate d'incostituzionalit�. 

� noto peraltro come queste Sezioni Unite abbiano, nel corso di 
altri giudizi per regolamento di giurisdizione, rimesso i relativi atti 
alla Corte Costituzionale, con ordinanze del 18 gennaio-21 giugno 1979 e del 
22 marzo-11 settembre 1979, sollevando questioni di legittimit� costituzionale 
degli artt. 29, n. 1 e 39 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 nQllch� degli 
artt. 7, 19 e 21 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 sotto il profilo del con� 
trasto con l'art. 25, comma l, della Costituzione in relazione alle possibili 


PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

contraddittoriet� di giudicati (rispettivamente, del giudice ordinario adito 
dai sindacati degli enti pubblici non economici in base all'art. 28 dello 
Statuto dei lavoratori e del giudice amministrativo in sede di giurisdizione 
esclusiva relativamente alle questioni attinenti a posizioni individuali di 
pubblico impiego), nonch� dell'art. 28 dello Statuto dei lavoratori per contrasto 
con gli artt. 3 e 24 della stessa legge fondamentale in quanto non 
prevista, in esso la tutela nei riguardi del comportamento antisindacale 
post� in essere dagli enti pubblici non economici. Orbene, la Corte Costituzionale 
con sentenza 26 ottobre 1982, n. 169 ha dichiarato inammissibili 
tali questioni osservando che una parte delle ordinanze di remissione si 
basavano su un'interpretazione (applicabilit� dell'art. 28 ai dipendenti 
degli enti pubblici non economici) contrapposta a quella delineata in altre 
ordinanze, con conseguente difficolt� pertanto d'individuare l'oggetto sottoposto 
al vaglio d'incostituzionalit�. La stessa Corte ha tuttavia, nella 
stessa decisione, osservato come -. non essendo intellegibile la simultanea 
contestazione dell'art. 28 dello Statuto dei lavoratori e delle norme 
sulla giurisdizione esclusiva dei giudici amministrativi in tema di rap� 
porto di pubblico impiego -non fosse agevole ritenere applicabili soluzioni 
cos� chiaramente alternative in ordine alla tutela giurisdizionale 
delle associazioni sindacali dei dipendenti degli enti pubblici, rilevando 
che l'interesse pubblico dell'estensione delle garanzie dell'art. 28 Stat. lav. 
comportava comunque una scelta tra le soluzioni ritenute possibili (la 
stessa Corte Costituzionale, facendo riferimento alla suddetta sentenza 

n. 169 del 1982, ha peraltro con ordinanza n. 210 del 30 novembre 1982 
dichiarato manifestamente inammissibili altre similari questioni sollevate 
ancora da queste Sezioni Unite con due ordinanze del 1� ottobre-22 dicembre 
1981). 
Ricordato peraltro che con la sentenza 20 maggio 1976, n. 118 la 
Corte Costituzionale aveva rilevato che l'art. 37 dello Statuto de.i lavoratori 
non consentiva l'applicamone delle disposizioni dello stesso Statuto 
ai rapporti d'impiego dei dipendenti statali (pur non escludendo 
la possibilit� di eventuali denunzie d'incostituzionalit� in caso di specifica 
lacuna di tuteLa di per s� non altrimenti rimediabile), daJle suddette 
pronunce della Corte Costituzionale e, in ispecie, da quella n. 68 
del 1980 (che si � peraltro ritenuto di richiamare pi� diffusamente 
concernendo essa direttamente il presente giudizio) � possibile trarre 
le seguenti indicazioni: 1) l'esistenza nel vigente ordinamento giuridico 
-e con fondamento di natura costituzionale -di posizioni soggettive 
proprie delle associazioni . sindacali de.i dipendenti pubblici e, 
in particolare, di quelle dei dipendenti dello Stato; 2) l'esclusione assoluta 
per le associazioni dei dipendenti dello Stato deU'operativit� del 
raccordo di cui a11'art. 37 dehlo Statuto dei lavoratori e pertanto la 
non applicabilit� dell'art. 28 di esso; 3) la possibile esperibilit�, nei 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

.66 

riguardi delle suddette posizioni proprie delle associazioni sindaca1i 
e su iniziative di esse, di mezzi di tutela attraverso procedimenti giudiziari 
ordinari. 

II. -Per quanto concerne quindi l'orientamento della giurisprudenza 
di q.esta Suprema Corte, va ricordato come il problema dell'applicabilit� 
dello Statuto dei lavo11atori all'impiego statale sia stato per 
la prima volta affrontato in sede di Sezioni Unite con la sentenza 6 maggio 
1972, n. 1380 nella quale -con ampio richiamo peraltro ai lavori 
preparatori -si ebbe a dimostrare l'esdusione di tale impiego dal1


l'ambito del richiamo dell'art. 37 dello stesso Statuto e ci� (oltrech� 
per la portata di ta1i favori), sia per l'argomento letterale in base al 
quale nella locuzione �altri enti pubblici� non pu� ritenersi compreso 
anche lo Stato, sia per la considerazione dell'esistenza di un assetto normativo 
dei suoi dipendenti tale da ammettere e discip1inare in seno ailla 
propria amministra:ttlone l'ingerenza delle organizzazioni 1sindacali dei 
lavoratori nella designamone di un certo numero di rappresentanti del 
personale nei cpnsigli di amministrazione (art. 146 del D.P.R. n. 3 del 
1957 modif. dall'art. 7 della legge n. 249 del 1968) attribuendo ad esse 
la facolt� di chiedere il collocamento in aspettativa dei dipendenti ,in. 
vestiti di mandato sindacale (art. 45), prevedendo la concessione di permessi 
per la partecipazione alle riunioni degli organi collegiali e per 
l'espletamento della normale attivit� sindacale (art. 47) nonch� la concessione 
di locali da adibire a ufficio sindacale e di appositi spa:ttl per 
affissioni murali (art. 49), consentendo la riscossione dei contributi sindacali 
a mezzo della s1tessa Amministrazione (art. 50) e garantendo 
l'utilit� a tutti gli effett~ giuridici ed economici dei periodi di aspettativa 
e di assenze per motivi sindaoali (artt. 46 e 48), disciplina pertanto 
sotto molti aspetti anticipator.ia di quella sancita dallo Statuto 
dei lavoratori e integrata quindi dall'art. 20 della legge n. 775 del 1970 
sul diritto dei dipendenti dello .stato di effettuare riunioni, per un 
certo numero di ore, durante l'orario di lavoro senza perdita della retribuzione 
e sul diritto delle organizza:ttloni sindacali rappr~sentate 
nel consiglio d'amminiistrazione di indire riunioni per la trattazione 
di materie d'interesse sindacale e del lavoro. Nella suddetta decisione 
si � pertanto considerarto come l'idoneit� di tale disciplina a garantire 
l'operativit� dei sindacati nell'Amministrazione dello Stato, l'inconfigurabilit� 
di contrapposizioni contrattualistiche nell'ambito dell'organizzazione 
statale preordinata a fini che trascendono gli interessi individuali 
e di categoria, fa specifica protezione di cui sono dotati i dipendenti 
statali in ordine alla conservazione del posto di lavoro nonch� ai trasfenimenti 
e alle sanzioni disciplinari, l'idoneit� dei mezzi di tutela 
ad essi accordata dall'Ordinamento giuridico per rimuovere anche in 
v�a d'urgenzia (sospensione) provvedimenti che, comunque motivati, fossero 
sostanzialmente diretti a reprimere la loro attivit� (eccesso di po



PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

tere), tutto oi� desse, nel suo insieme, adeguata ragione della mancata 
inclusione dell'impiego statale nel campo d'applicazione dello Statuto 
dei lavoratori. 

Essendo peraltro lo specifico problema oggetto del relativo giudizio 
quello della determinazione del mezzo di difesa esperibile avverso il 
trasferimento di un dipendente disposto dall'Amministrazione statale, 
atto che si assumeva essere stato deciso per impedirne o quanto menq 
per limitarne l'attivit� sindacale, queste Sezioni Unite nella suddetta 
sentenza -nel mentre consideravano che lo Statuto dei lavoratori 
aveva reso giudizialmente tutelabili gli interessi collettivi conferendo ad 
essi nella loro completa esplicazione la consistenza di diritti soggettivi 
e attuando cos� i precetti costituzionali che tali diritti avevano astrattamente 
proclamato, con l'implicazione che sii. provvedesse in sede legislativa 
a disporre i meZ2li di tutela, e osservando ancora che in quella 
fattispecie l'associazione sindacale non. era insorta per rimuovere provvedimenti 
adottati direttamente contro di essa e rivolti ad impedire U 
concreto esercizio di alcuna delle facolt� ad essa attribuite da specifiche 
norme dello Statuto -ribadivano che l'inapplicabilit� dell'art. 28 
trovava ragione nella peculiarit� dell'dmpiego statale, ulteriormente argomentando 
che parimenti lo Statuto dell'impiego statale, a differenza 
di quello dei lavoratori, non consentiva agli organismi sindacali di assumere 
sia pure a tutela dii propri interessi la protezione del singolo 
dipendente che, ancorch� a causa di attivit� spiegata nell'interesse 
collettivo, avesse subito provvedimenti di rappresaglia idonei a ripercuotersi 
sull'ulteriore attiviit� sindacale. Osservano ,ancora che il sistema 
di tutela preventiva assicurato dalla posizione di collaborazione 
delle associazioni sindacali nell'ambito dei consigli di amministrazione 
risultava integrato e potenziato dalla facolt� di cui l'impiegato poteva 
avvalersi con l'eventuale ausilio dell'organismo sindacale interessato, 
d'invocare, in sede giudiziale, l'immediata sospensione del provvedimento 
subito e la rimozione dello stesso per eccesso di potere. 

Le successive pronunce di queste Seziond Unite, hanno, poi mantenuto 
costantemente fermo il principio dell'assoluta inapplicabilit� dell'art. 
28 della legge n. 300 del 1970 nell'ambito dell'impiego statale stante 
la non riferibilit� del richiamo contenuto nell'art. 37 di essa (cfr. 

p. es. le sentenze 3 novembre 1973, n. 2853, 9 novembre 1974, n. 3476 
e 18 dicembre 1975, nn. 4163 e 4164), richiamando ami in proposito la 
figura dell'improponibilit� della domanda per carenza assoluta di giurisdizione 
(cfr., in particolare, le sentenze 27 novembre 1974, n. 3872, 
27 marzo 1975, n. 1158, 8 aprile 1975, n. 1267, 28 maggio 1975, n. 2152 
e 6 agosto 1975, n. 2992). Peraltro diversa � stata la posizione assunta 
da tale giurisprudenza nei riguardi dei comportamenti antisindacali posti 
in essere dagli � altri enti pubblici � (non economici) data invero 
l'estens.ione ad essi delle norme dello Statuto �dei lavoratori (salvi i 

RASSEGNA DELt.'AVVOCATURA DELLO STATO

68 

casi di materia �diversamente regolata da norme speciali�), l'itenen


/

dosi in tal caso la diretta esperibilit� del rimedio di cui all'art. 28 
<lello Statuto lavoratori, con superamento peraltro dei limiti posti dall'art. 
4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, sia pur nelle sole 
ipotesi di lesdoni di interessi propri ed esolusivii del sindacato (v. p. es. 
le sentenze 11 novembre 1974, n. 3504, 19 novembre 1974, n. 3700, 22 
aprile 1975, n. 1558, 12 maggio 1975, n. 1826, 25 ottobre 1976, n. 3836, 
13 giugno 1977, n. 2443, 18 giugno.1979, n. 3412 e 5 luglio 1979, n. 3821), non 
correlati a posizioni afferenti a rapporti individuali di pubblico impiego 
(cfr. ancora la sentenza 9 novembre 1974, n. 3477 per l'affermazione dell'improponibilit� 
dell'azione) anche se in relazione a tale profilo non sono 
mancate prese di posizione pi� possibilistiche (cfr. la sentenza 5 luglio 
1979, n. 3820). 

Pur tuttavia questa stessa Suprema Corte non ha potuto fare a 
meno di avvertire l'dnadeguatezza di una situazione normativa che, alla 
stregua dell'interpretazione fino ad allora condotta, portava ad escludere 
per le organizzazioni sindacali operanti nel settore del pubblico 
impiego la possibilit� di una diretta tutela giurisdiziionale dei loro in� 
teressi in quanto col.legati con posizioni individuali dei singoli dipendenti, 
in relazione al che -anche ne1la presente causa -� stato 
sollecitato l'intervento della Corte Costituzionale la quale, pur ddchiarando 
infondate le valiie questioni ad essa sottoposte, ha tuttavia fornito 
indicazioni suscettibili di proficuii. sviluppi. 

Riassumendo, pertanto, la posizione della giurisprudenza di questa 
Suprema Corte, deve rilevarsi che, per quanto concerne il settore dell'impiego 
statale, del che specificamente nella presente controversia 
dev'essere trattato, risulta assolutamente esclusa l'applicabilit� dell'art. 
28 Stat. lav. sia in ordine alle posizioni proprie ed �esclusive del 
sindacato sia in riferimento alle situazioni connesse ai rapporti di 
pubblico .impiego dei dipendenti svolgenti attivit� sindacale. D'altra 
parte, mentre per detti dipendenti � stato ovviiamente ribadito il diritto 
di adire il giudice amministrativo con possibilit� nel re1ativo giudizio 
di una protezione soltanto dndiretta ed eventuale del � correlato � interesse 
sindacale, per gli interessi facenti capo al solo sindacato, pur 
riconoscendosene la consistenza quali diritti soggettivi (cfr. ancora, sul 
punto, le sentenze 5 luglio 1979, nn. 3820-3824) e pur essendosi affermata 
in via generale l'esperibilit� dei rimedi (diversi da quello dell'art. 28), consentiti 
dai principi vigenti nell'Ordinamento giuridico (cfr. ancora la 
sentenza n. 3872 del 1974 cit.), non si � tuttavia proceduto al :r.iguardo 
ad ulteriori precisazioni. 

III. -Per ci� che riguarda poi la situazione normativa, va roicordato 
che in relazione agli enti pubblici non �economici diversi dallo 
Stato, con la legge 20 mar:m 1975, n. 70 (c.d. �del parastato�), i diritti 
sindacali sono stati fatti oggetto di specifica considerazione, perial! 
. Ii 


PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

tro attraverso l'espresso richiamo allo Statuto dei lavoratori e in particolare 
all'art. 37 di esso (art. 10; v. poi, sugLi accordi sindaoaili, il 
succesivo art. 28), laddove il D.P.R. 26 maggio 1976 n. 411 (sulla discip1ina 
del rapporto di favoro del personale dei suddetti enti pubblici 
non economici) ha, nell'art. 54, stabilito l'applicazione � in quanto estensibili 
� di viarie norme dello stesso Statuto, tra cui quella dell'art. 28, 
� con gli adattamenti e le integrazioni � previsti dalle successive disposizioni 
dello stesso testo (artt. 55-59). 

Se pertanto la ricordata giurisprudenza di questa Suprema Corte 
� stata -quanto agli enti pubblici non econ0Il1lici -coerente con tali 
dati normativi, per ci� che concerne l'impiego statale va detto che 
la sopravvenuta legislazione d� parimenti ragione a tale giurisprudenza, 
ed invero la recente legge 29 marzo 1983, n. 93 (�legge quadro sul pubblico 
impiego�, la quale peraltro riguarda, oltrech� le Amministrazioni 
dello Stato, anche le regioni a statuto ordinario, le province, i comuni 
e tutti gli enti pubblici non economici: art. l, comma 1) ha, nel comma 
1� dell'art. 23, indicato come immediatamente applicabili varie disposizioni 
della Jegge n. 300 qel 1970 (artt. 1, 3, 8, 9 e 11, nonch� 14, 
15, 16, comma 1 e 17) e, nel secondo comma, ha previsto l'operativit� 
di �altre disposizioni della stessa legge e ci� mediante norme da emanarsii 
in base ad accordi sindaca1i (artt. 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 29 
e 30), non menzionando per� affatto l'art. 28. 

Se pertanto per gli altri �enti pubblici non economici potrebbero 
in teoria presentarsi problemi di coordinamento con quanto gi� previsto 
dal ricordato art. 54 del D.P.R. n. 411 del 1976 (tematica che non attiene 
all'oggetto de1la presente causa; v. peraltro la recente decisione 
di queste Sezioni Unite 29 ottobre 1983, n. 6419) non pu� che rimanere 
univoca la deduzione circa la volont� del legislatore di non ritenere di 
per s� applicabile nel settore dell'impiego statale la speciale tutela 
dell'art. 28 Stat. _lav., pur enunciando lo stesso legislatore, nell'art. 28 

' della legge n. 93 del 1983, I'.intendimento di provvedere, in sede di revisione 
dell'ordinamento della giurisdizione amministrativa, � all'emanazione 
di norme che si ispiriino, per la tutela giurisdizionale del pubblico 
impiego ai principi contenuti nelle leggi 20 maggio 1970, n. 300 
e 11 agosto 1973 n. 533 "� 
� inoltre significativo che il disegno di legge approvato il 30 gennaio 
1984 dal Consiglio dei Ministri (in sostituzione del testo gi� presentato 
nel corso della precedente legislatura), per il conferimento al 
Governo di delega ai fini di una nuova disciplina del giudizio avanti 
ai Triibunali amministrativi regionali e deil Consiglio di Stato, prevede 
quale oggetto del n. 9) dell'art. 1 quello di � disc,iplinare il giudizilo in 
materia di pubblico impiego, in modo da assicurare una pi� adeguata 
tutela della posi:ztlone del ricorrente, tenendo conto degli orientamenti 
legislativi in materia di �lavoro privato e di processo del lavoro e 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

70 

prevedendo l'attribuzione al giudice amministrativo di poteri di ordinanza 
per disporre il pagamento di somme prima dell'emanazione della 
sentenza o la cessazione di comportamenti illegittimi diretti ad impedire 

o limitare l'esercizio della libert� re del:l'attivit� sindacale nonch� del 
diritto di sciopero�. 
In base a tutto ci� non pu� pertanto non tenersi conto della tendenza, 
chiaramente espressa dall'Ordinamento giuridico, da un lato di 
offrire nel settore del pubblico impiego una pi� sicura e adeguata tutela 
gh,rrisdizionale dei dirJtti sindaca:Ii m conformit� di quella che con 
lo statuto dei lavoratori e con la nuova disciplina del processo del 
lavoro -� andata attuandosi nell'ambito del rapporto privato, e dall'altro 
di unificare tale tutela presso il giudice amministrativo, del che 
peraltro una specifica ipotesi di gi� avvenuta attuazione � riscontrabile 
nell'art. 31 della legge 24 marzo 1981 n. 145, sull'ordinamento dell'Azienda 
autonoma di assistenza ail volo per il traffico aereo generale, 
che ha attribuito aill'esdusivia giurisdizione dei Tribunali amministrativi 
regionali la cognizione delle controversie di lavoro relative al personale 
in servizio presso di essa prevedendo espressamente che in tali giudizi 
trovino applicazione l'art. 28 della legge 20 maggio 1970 n. 300 e, m 
quanto applioabili, le disposizioni della legge 11 agosto 1973 n. 533. 
� inoltre da ricordare, per l'ipotesi di comportamenti diretti a violare 
le disposizioni degli artt. 1 e 5 della legge 9 dicembre 1977 n. 903 (sulla 
parit� ili trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro) l'art. 5, 
comma 5, della stessa legge dl quale stabilisce che, ove le violazioni riguardino 
dipendenti pubblici, si appLicano le norme in materia di sospensione 
dell'atto di cw all'art. 21, ult. comma, della legge 6 dicembre 
1971 n. 1034 (sull'istituzione dei Tribunali ammdnistrativi regionali). 

IV. � In attesa tuttavia che il legislatore adotti compiutamente 
una disciplina che -seoondo l'indirizzo intrapreso -rea[izzi nel contempo 
una pd� adeguata saJvaguardia dei diritti sindacali e soddisfi 
altres� l'esigenza di una giurisdizJ.one il pi� possibHe unitaria che eviti 
quegli inconvenienti che irrimediabilmente potrebbero conseguire da 
pronunce fra loro contrastanti, ail quesJto se tuttavia gi� attualmente 
sia riscontrabile, sulla base cio� delle norme positive vigenti, un'effettiva 
possibilit� di tutela giudiziaria dei diritti sindacali nel settore del 
pubblico impiego e, in particolar.e, in quello dell'impiego statale e 
ci�, sia per quelli autonomi ed esclusivi del sindacato (diritti sindacali 
in senso stretto ) , sia per quelli connessi a posizioni individuali 
dei dipendenti (diritti sindacali �correlati�), pu� essere data -in 
base ai rilievi che seguono e in conformit� delle conclusioni del Procuratore 
Generale -positiva risposta. Con tale soluzione viene superata 
l'ipotesi, da taluno avanzata, che, sotto profili diversi rispetto a quelli 
indicati nella precedente ordinanza del 28 ottobre 1976 � 11 gennaio 1977, 
possa aversi nuova remis1sione degli atti alla Corte Costituzionale. 

PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 71 

Si osserva innanzi tutto in proposito come proprio la sentenza 5 mag


. ,gio 1980, n. 68, pronunciata dalla Corte Costituzionale in relazione (anche) 
al presente giudi2lio e sopra riassunta, offra �adeguati spunti per 
l'approfondimento del problema, laddove merita di essere seguito l'invito 
da1la stessa Corte :implicitiamente Tivolto ai giudici nella succesiva sentenza 
(di natura meramente processuale) 26 ottobre 1982 n. 169 ad operare 
una scelta tra possibili soluzioni giuridiche. Orbene, M primo e fondamentale 
aspetto che dev'essere al riguardo sottolineato, che esprime 
-'Secondo quanto gi� esposto -un dato acquisito nella giurisprudenza 
sia della Corte Costituzionale che di questa Corte regolatrice e 
che peraltro ha formato oggetto di ampia elaborazione dottrinale, � quello 
relativo alla sussiistenza nelle organizzazioni sindacali di posizioni direttamente 
riconosciute dall'Ordinamento giuridico appunto come proprie 
del!le stesse organizzazioni, la cui consistenza � data da interessi definiti 
� cohlettivi �, come taLi �nuovi� e distinti rispetto a quelli dei singo1i 
associati (e non costituenti, pertanto, una semplice � sommatoria � di 
questi), attenendo essi iinvero alla soddisfazione di bisogni sia economici 
(come quellii del sailario e delle quaJ.ifiche professionali) sia extraeconomici 
(relativi, in particolare, aila libert� e alla dignit� dehla persona 
nonch� alla sicurezza dei luoghii di lavoro) riguardanti tutti gli appartenenti 
ad interi gruppi di Javoratori, bisogni insorgenti dalla comunanza 
delle loro condizioni di lavoro e dailla cons�eguente necessit� che tali 
condizioni siano congiuntamente e unitariamente difese e in modo omogeneo 
migliorate. L'iinteresse collettivo pu� pertanto definirsi come iii 
momento di � convergenza � e perci� anche di � limite � � degli interessi 
individuali dei singoli lavoratori, interessi -questii ultimi -che, normalmente 
con essi collimanti, potrebbero 'tuttavia presentare aspetti di dive:
risificazione e ci�, in particolare, ove un loro pi� favorevole soddisfacimento 
venga a collidere contro le esigenze d� un trattamento uniforme 
proprio del gruppo. 

Se peraltro l'individuazione degli interessi collettivi dev'essere operata 
-com'� stato esattamente rilevato dalla dottrina sulla base della concreta 
prassii dei rapporti intersindacali e ci� anche per quanto concerne la determinazione 
dei mezzi e dei modi del loro attuarsi (cfr. la sentenza 
di queste Sezioni Unite 24 febbraio 1982 n. 1149), il fondamento primario 
del relativo riconoscimento giuridico non pu� cl;te essere ravvisato negli 
artt. 29, comma 1, e 40 della Costituzione i quali, sancendo rispettivamente 
la <libert� dell'organizzazione sindacale 'e il diritto di sciop�ero, 
garantiiscono sia l'autonomia collettiva e l'azione sindacale in tutte le 
forme in �cui essa pu� estrinsecarsi col che la proclamata libert� acquista 
valore sostanziale sia l'impiego di strumenti -parimenti collettivi di 
pressione economica e sociale (ovviamente in q�anto mantenuti nel 
rispetto di altri valori costituzionali: cfr., sull punto, le sentenze della 


n RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

Corte Costituzionale 14 gennaio 1974, n. l e 27 dicembre 1974, n. 290, nonch�, 
tria le altre, quella di questa Suprema Corte 30 gennaio 1980 n. 711). 

II diretto riconoscimento giuridico dei suddetti interessi come � propri 
� delle organizzazioni sindacali comporta pertanto che essi -secondo 
una consolidata posizione sia de1Ia dottrina che della giurisprudenza 
che ha avuto modo di esplicarsi iinnanzi tutto nel campo del diritto 
amministrativo -integrino dei diritti soggettivi perfetti, i cui titolari 
non possono che essere ile dette organizza:ziioni sindacali. 

Del resto l'ampia e incondizionata formula dell'art. 39, comma 1, 
del1a Costituzione non consente limitazione alcuna e per nessuna categoria 
di dipendenti (pubblici o privati che siano) alla libert� di associarsi 
sindacalmente, sicch� gi� il solo fatto che nella concreta realt� 
esistano delle organizzazioni di lavoratori costituite per la difesa degli 
interessi comuni dei loro aderenti (e perci�, come tali, �collettivi�), 
attinenti alle condizioni di favoro (inteso il termine nelila pi� ampia accezione, 
anche se la determinazione dei trattamenti economici rappresenta 
tuttora parte rillevante dell'attivit� sindacale), rende ragione della protezione 
giuridica di s�ffiatti interessi. 

D'altra parte l'attivit� sindacale � andata storicamente svolgendosi 
in molteplici forme (origanizzazione, negoziazioni con i datori di lavoro 
e le loro associazioni professionali, propaganda e proselitismo, assemblee 
nei luoghi e fuori dei luoghi di lavoro, riscossioni di contributi, interventi 
presso gli organi pubblici in relazione a problemi del lavoro ed economici 
in generale) oggettivamente riconoscibili nella cosdenza sociale, per l'appunto, 
come � sindacali �, ed � proprio in relazione a tali forme che 
~�art. 39 della Costituzione, riguardando la concreta realt�, ha operato 
11'attribuzione del proprio riconoscimento giuridico, norma pertanto (come 
quella del successivo art. 40) di indubbia immediata operativit� ( � precettivit� 
�) e non gi� -secondo una formulazione che, del resto, non 
ha pi� seguito neppure nella dottrina generale del diritto costituzionale 
-meramente � programmatica �. N� va dimenticato che il diritto di 
tutti i prestatori di lavoro, senza distinzione, di organizzars� sindacalmente 
al fine di promuovere e difendere i loro interessi � stato a sua vol1Ja 
affermato dalla Convenzione deilla Conferenza dell'Organizzazione internazionale 
del lavoro del 17 giugno 1948 n. 87 resa esecutiva in Italia con 
la legge 23 marzo 1958 n. 367 e ribadito peraltro dalla Carta sociale europea 
adottata il 18 ottobre 1961 e ratificata con la legge 3 luglio 1965, 

n. 929 (art. 'S). Inoltre le 1leggi suil'impiego pubblico (v. quelle sopra ricordate) 
da un lato, e lo Statuto dei lavorator� (in particolare gli artt. 19-27), 
dall'altro, hanno specificato singoli �diritti sindacali� (di costituire rappresentanze 
interne ai luoghi di lavoro, �di tenere assemblee, di indire 
:il �referendum�, di fruire -quanto ai dirigenti -di permessi, di aff�iggere 
testi e comunicati d'interesse sindacale, di raccogliere contributi, 
di disporre di focali). 

PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

Ma, alla stregua di quanto sopra gi� considerato circa la fonte costituzionale 
dei diritti sindacali, possono inoltre concepirsi (e ci� sempre 
secondo il criterio di riconoscibilit� sociale di cui si � fatta menzione) 
ulteriori forme di attivit� inerenti alJ'esercizio della libert� sindacale 
e, pertanto, altri interessi di natura collettiva che, secondo quanto argomentato, 
sustanziano dei veri dirutti soggettivi. 

Data dunque siffatta natura, da ci� necessariamente consegue, per 
imprescindibile esigenza giuridica, che per taili diritti debba in ogni caso 
esistere la possibilit� di tutela giurisdizionale ed invero, ove questa fosse 
esclusa, sarebbe evidente il contrasto delle relative disposizioni con lo 
art. 24, comma 1�, della Costituzione e, all'occorrenza, con l'art. 113, commi 
1 e 2, di essa, Je quali norme garantiscono tale tutela, ruspettivamente, 
in via generale nonch� nei confronti degli atti della Pubblica Amministrazione, 
tutela perci� non subordinata per la sua operativit� all'emanazione 
di futuri provvedimenti attuativi, cos� come invece un passaggio 
della richiamata decisione di queste Sezioni Unite n. 1380 del 1972 potrebbe 
lasciare intendere. 

V. -In relazione a tutto ci�, riflettendo ulteriormente sulla pregressa 
giurJsprudenza che ha avuto il suo avvio, per l'appunto, nella suddetta 
decisione, va osservato come l'affermazione, circa il riconosciinento 
anche nel settore dell'impiego statale della consistenza di diritti soggettivi 
perfetti negli Jnteressi riferibili in modo esolusivo e autonomo al 
�solo sindacato (v. �supra�, p. II, in fine) dev'essere necessariamente 
completata -conformemente a quanto � stato univocamente indicato 
dalla Corte Costituzionale nella sentenza riguardante (anche) i.I presente 
giudizio (v. �supra�, p. I, in fine) -nel senso che deve ammettersene 
la tutela attraverso i procedimenti ordinari promuovibili innanzi al giudice 
civile. Allorquando infatti si tratti di diritti esclusivamente afferenti 
al sindacato in relazione a posizioni e ad attivit� (p. es.: assemblee, 
propaganda, sciopero) non connesse ai rapporti dei singoli dipendenti 
statali e ali relativo svolgimento, non emerge alcun problema d'interferenza 
tra procewmenti giudiziari, per cui non c'� che da applicare 
il fondamentale principio sull'attribuzione al giudice ordinario della giurisdizione 
civile, la quale ha carattere generale salvo speciali disposizioni 
di legge (sul punto v. per� �infra�) e va esercitata secondo le norme del 
codice di procedura civile (art. 1 di esso). 

Se pertanto hl giudice ordmario pu� dn tali casi essere adito dai sindacati 
dei dipendenti dello Stato con quei mezzi processuali che il codice 
di rito prevede, l'art. 28 dello Statuto dei lavoratori non rientra 
tuttavia fra essd. A tal proposito dev'essere rilevato, a scanso di errori 
interpretativi che possono derivare da una certa lettura del detto articolo 
(pur non ignorando la Oor�te l'intenso dibattito presente nella dottrina 
circa il carattere di norma � primaria � ovvero � secondaria � di esso 
che sembra peraltro potersi comporre verso soluzioni che evitino, da un 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

74 

fato, un inammissibile rigorismo formalistico e, dall'altro, un :inutile 
vago �astrattismo�), che tale norma prevede un particolare strumento 
�processuale� di tutela di diritti che non scaturiscono propriamente 
da essa, ma che, secondo quanto si � sopra argomentato, gi� preesistono 
:in virt� di precetto costituzionale, diritti che del resto sono in gran 
parte menzionati dn altre disposizioni di natura sostanziale dello �stesso 
Statuto. 

Strumento, quello deM'art. 28 dello Statuto dei lavoratori, indubbiamente 
di rapida ed efficace salvaguardia, volto altres� (grazie alla 
possibilit� di un incisivo intervento del giudice) a prevenire l'inasprimento 
del connitto sociale (cfr. ancora la sentenza della Corte Costituzionale 
n. 54 del 1974 cit.), ma che non � l'unico esperibile contro la 
condotta antisindacale e la cui non appliicabi:lit� nei confronti degli organi 
dello Stato -cos� come disposto dal legislatore, secondo l'interpretazione 
dell'art. 37 dello stesso Statuto constantemente seguita dalla 
giurisprudenza di questa Suprema Corte -si spiega ailtres� in base a 
quegli elementi evidenziatli dalia Corte Costituzionale nella decisione che 
concerne il presente giudizio, elementi in i;elazione ai quali non � ravvisabile 
violazione degli artt. 3 e� 24 della CostittuJione. 

Al contrario, la possibilit� dell'applicazione dello stesso art. 28 nei 
riguardi degli � altri enti pubblici � non economici � in quanto estensibili 
� (art. 54 del DPR n. 411 del 1976 cit.) si spiega tra l'altro (a 
parte la gi� accennata prevision� contenuta nell'art. 28 della legge n. 93 
del 1983 di un'organica riforma della giurisdizione ammindstr�ativa la quale 
non ha tuttavia di per s� mutato la preesistente situazione giuridica: 
cfr. la sentenza n. 6419 del 1983 oit.) in relazione alla molteplicit� degli 
ordinamenti dei singoli enti pubblici non economici, parte dei quali mancanti 
del tutto di una normativa garantistica della libert� e dell'attivit� 
sindacale e per i quali la stessa disciplina del rapporto di lavoro dei 
propri dipendenti dev'essere a volte ricavata dalle disposizioni sul lavoro 
privato (cfr. l'art. 2129 cod. civ. e l'art. 2 p.p., del R.D. 13 novembre 1924 

n. 1825, convertito nella legge 18 marzo 1926 n. 562, sul contratto d'impiego 
privato). 
Va in proposito ancora aggiunto che anche nell'ambito del lavoro 
privato (che riguarda altres� glii enti pubblici economici) l'art. 28 dello 
Statuto dei lavoratori in tanto pu� trovare applicazione in quanto siano 
gli � organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano 
interesse� (comma 1) a proporre il ricorso da ~sso previsto: la norma 
ha perci� riconosciuto soltanto a tali articolazioni periferiche dei sindacati 
nazionali il diritto di servirsi dello speciale mezzo processuale di 
tutela de~i interessi collettlivi. Siffatta soluzione � stata dettata dalla 
duplice esigenza, da un lato, di lasciare l'iniziativa del:la repressione 
della condotta antisindacale (tramite il suddetto mezzo) ai so1i organdsmi 
collettivi operanti in posizioni pi� vicina ai luoghi di lavoro e quindi 



PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

in� grado di meglio valutare le concrete situazioni e fa rawisabilit� 
di attentati alle libert� sindacali contro i quali -appunto in relazione 
a tali luoghi -lo Statuto ha inteso apprestare una particolare tutela e, 
dall'altro, di oonsentire l'uso del detto mezzo, al di l� di ogni � spontaneismo
�, esclusivamente a quegli organismi che siano espressione di 
associazioni sindacali operanti sul piano nazionale. A prescindere pertanto 
da ogni questione -diversamente risolta -circa la portata della proposizione 
� che vi abbiano interesse � contenuta� nel primo comma dell'art. 
28 Stat. lav. e se cio� essa vada riferita alle associazioni sindacali 
nazionali (cfr. la sentenza della Corte Costituzionale n. 54 del 1974 
cit.) ovvero ai soli organismi locali di esse (cfr. la sentenza di questa 
Suprema Corte 29 marzo 1979 n. 1826) con oonseguente necessit� di 
chiaramente definire al riguardo ii concreti criteri differenziatori tra la 
� �egitimatio ad causam � e la � legitimatio ad processum �, � comunque 
certo che un organismo � non locale � di un sindacato nazionale, ove 
anche si reputi .direttamente leso da una determinata condotta posta 
in essere da un datore �di lavoro, non potrebbe agire in bas� al suddetto 
art. 28 ove I'� organismo locale � non ritenga invece di prendere 
,l'iniziativa al riguardo, come pure una tale possibiLit� sarebbe preclusa 
a una qualsiasi altra associazione che non rivesta ie caratteristiche 

di un sindacato nazionale. 

La distinta � soggettivit�� che, ai fini dell'applicabilit� dell'art. 28 dello 
Statuto dei lavoratori, dev'essere ravvisata nei suddetti organismi locali 
delle associazioni sindacali nazionali onde tutelare � iure proprio � 
quegli interessi collettivi che abbiano ricevuto attentato nei luoghi di 
lavoro (artt. 19-20 dello stesso Statuto) non esclude quindi, in linea 
di principio, che quegli stessi interessi possano coincidere con quelli 
pi� vastii delle suddette associazioni e quindi far capo anche ad esse. 
Non pu� conseguentemente negarsi che queste ultime possano a loro 
volta agire �iure proprio�, ma non certamente -in caso d'inerzia degli 
organismi locali e quindi d'impossibilit� di un intervento adeSlivo subordinato 
(art. 105, comma 2, cod. proc. civ.) -in base al� detto art. 28; 
eguale considerazione va peraltro svolta per quanto concerne i sindacati 
�minori�, non affiliati cio� ad associazioni di carattere nazionale. In tal 
s�enso si debbono pertanto precisare e completare, nella considerazione 
dell'effettiva consistenza degli interessi collettivi quali oggetto di diritti 
perfetti, le argomentaziollli svolte nella oit. sentenza n. 1826 del 1979, rilevandosi 
invero come una determinata condotta del datore di lavoro 
possa essere � plurioffensiva � anche nello stesso ambito degli interessi 
collettivi, la cui tutela potrebbe pur tuttavia, per i profili sopra consiideratii, 
non essere riconducibile alla previsione demart. 28 Stat. lav. 

VI. -Se dunque il problema de11'individuazione del giudice !investito 
della competenza giurisdizionale non presenta difficolt� ove gli interessi 
fatti valere dai sindacati dei dipendenti dello Stato si rivelino � collettivi � 

76 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

dn senso istretto senza cio� alcun coinvolgimento delle posizioni individuali 
di Javoro dei � singoii dipendenti, quando si trat1li. invece di interessi 
attinenti a siffatte posizioni individuali dei singoli dipendenti attraverso 
la lesione dei cui diritti sia stato arrecato attentato altres� a 
quelli � correlati � dei sindacati (ipotesi di � plurioffensivit� " di cui i 
casi pi� significativi sono quelli della destituzione, del trasferimento e 
dell'applicazione di sanzioni disciplinari nei confronti di dipendenti svolgenti 
attivit� sindacali) pi� delicato � lo stabilire come i suddetti sindacati 
possono agire a tutela di quelli che sono pur sempre dei propri diritti 
soggettivi (v. �supra�). 

Si tiiatta invero di accertare se tali associazioni possono egualmente 
agire avanti all'Autorit� giudiziaria ordinaria come nell'ipotesi in precedenza 
considerata di lesione di interessi loro esclusivi, ovvero se debbano 
adire il giudice amministrativo (e ci� ancor prima che abbia attuazione 
la riforma prevdsta dall'art. 28 della legge n. 93 del 1983), evitandosi 
in tale secondo caso quelfirrazionale possibilit� di contrasto fra giudicati 
su una medesima situazione giuridica, il che aveva costituito, sia 
pur sotto un particolare profilo, uno dei motivi perch� della questione 
fosse investita la Corte Costituzionale. 

Ritiene al riguardo il Collegio come la seconda soluzione sia, per 
le ragioni che seguono, quella meritevole di accoglimento. Alla stregua iinvero 
dell'odi�erna realt� economico-oociale, della portata e dell'operativit� 
dei precetti di cui agli artt. 39 e 40 della Costituzione nonch� delle 
varie dncisive innovazioni che hanno avuto luogo nella disciplina legislativa, 
dev'essere innanzi tutto considerato quel fenomeno definito di 
� sindacalizzazione � del pubblico impiego e in particolare di quello statale, 
fenomeno che si � del resto sviluppato nell'ambito di una chiara 
tendenza di armonizzazione tra settore pubblico e settore privato di cui 
le norme Jegislative sopra richiamate sono significativa espressione, costituendo 
peraltro materia dJ sempre pi� attento esame da part�e de1la 
scienza della Pubblica Amministrazione. La nozione del pubblico impiego 
non pu� pertanto ormai pi� prescindere dal nuov'o contesto in cui esso 
si svolge e da quelle componenti sociali che sempre pi� vengono a 
caratterizzarlo in vista del1a tutela, durante il suo svolgJmento, altres� 
di quegli interessi collettivd di cui le associazioni sindacali sono titolari. 


Le vicende del rapporto d'impiego pubblico possono pertanto, in particolare 
ove si tratti di �esponenti sindacali, direttamente incidere anche 
sugli interessi collettivi, talch� la tutela di esso si atteggia come strumento 
utile e necessarfo per la protezione altres� di detti interessi. 
Dovendosi pertanto in ogni caso riconoscere al sindaoato il diritto 
di azione ai fini di tale tutela (v. ((supra�), lo stesso viene conseguentemente 
ad essere 1legittimato �aure proprio� a trattare � materia del 
pubblico impiego �, vale a dire -quale che possa essere il concreto 


PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI, GIURISDIZIONE 

atteggiamento del singolo dipendente al quale il provvedimento della 
Pubblica Amministrazione si riferisca, dipendente che potrebbe anche non 
prendere alcuna ii.niziativa giudiziaria al riguardo -a promuovere una 
controversia relativa, per l'appUIIlto, �al rapporto di pubblico impiego� 
in quanto essa attiene pur sempre a vicende di questo. 

La determinazione del giudice competente a conoscere de1la relativa 
domanda non pu� pertanto che essere effettuata in conformit� della 
vigente discipliina legislativa la quale attribuisce al giudice amministrativo 
-e cio� ai Tribunali amministrativi regionali e al Consiglio di Stato 
in .grado di appello (art. 7 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034 :nichiamante, 
tra l'altro, l'art. 29 del testo unico 26 giugno 1924 n. 1054) -la 
giurisdizione esclusiva in materia di rapporti d'impiego, in particolare, 
dei dipendenti dello Stato. Trattasi invero di una competenza giurisdizionale 
di carattere genemle avente fondamento nella stessa Costituzione 
(artt. 113 e 125, comma 2) e giustificata dalla peculiarit� dei 

. suddetti rapporti che, pur nella rilevata � sindaoalizzazione �, attengono 
pur sempre direttamente all'orgamzzazione della Pubblica Amministrazione 
alla quale essi strettamente ineriscono quali imprescindibili 
componenti per l'esercizio dei pubblici poteri a sua volta diretto ad 
esclusive finalit� pubbliche (artt. 97, comma 1, e 98, comma 1, della 
Costituzione), il che -tenuto conto altres�, in tale prospettiva, dell'assenza 
di un contrasto economico con il datore di lavoro che possa 
essere equivalente a quello riscontrabile nel rapporto di lavoro privato 
(a proposito del quale profilo sono state gi� richiamate le puntualizzazioni 
svolte, in -ispecie, nella sentenza n. 68 del 1980 della Corte Costituzionale: 
v. � supra �, p. I) -d� ragione di quei possibili limitli 
nella tutela degli interessi sindacali nell'ambito dell'impiego statale (tra 
cui la stessa esclusione dello strumento processuale apprestato dall'art. 
28 dello Statuto dei lavoratori) dato invero che sussistono altre, 
anche se meno immediate, forme di garanzia quali sono state analizzate, 
in particolare, rnella sentenza di queste Sezioni Unite n. 1380 del 1972 

(v. �supra�, p. II). 
Il far rientrare fa tutela degli iinteressi collettivi �correlati� ai rapporti 
d'impiego dei dipendenti dello Stato nell'ambito della giurisdizione 
esclusiva amministrati'1a non evidenzia pertanto -stanti i richiamati 
presupposti -profili d'incostituzionalit�. N� essi potrebbero emergere 
dalla obiezione secondo cui la soluzione cos� prospettata viene a fra2lionare 
la tutela degli interessi collettivi dei sindaoati dell'impiego 
statale, ~ispettivamente, fra l'Autonit� giudiziaria ordinaria nell'ipotesi di 
diritti esclusivamente propri dei sindacati stessi, e il giudice amministrativo 
nel caso di diritti sindacali �correlati�. A parte invero il rilievo 
che detta solt12lione permette di rinvenire nell'unico modo possibile una 
forma di tutela giurisdizionale che la precedente giurisprudenra aveva 
invece del tutto esoluso nitenendo -come si � ricordato -l'impropo



78 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DEU.0 STATO 

nibilit� asso:luta della domanda, non pu� al riguardo cbe essere ancora 
richiamato il costante indirizzo della giurisprudenza della Corte Co. 
stituzionale (cfr. p. es. tla sentenza 16 marzo 1976 n. 47) nonch� di questa 
stessa Suprema Corte secondo cui la diversit� della forma di giudizio 
non importa lesione del principio di eguaglianza ove siano assicurate 
le fondamentali garanzie delle parti e ove la diffe:i;enza trovi giustificaziione 
nella diversit� delle situa2lioni (sul carattere non affatto eccezionale 
della giurisdizione dei Tribunali amministrativi regionali e del 
Consiglio di Stato, articolata in un sistema 'undtario con la garanzia del 
doppio grado �di giudizio e ci� alla �stregua, per l'appunto, di specifici 
dettati cbstituzionali, cfr. la sentenza di queste Sezio;ni Unite 18 settembre 
1970, n. 1576, richiamata nella recente decisione 16 luglio 1983, n. 4885). 
Se dunque il giudice amministrativo � il � giudice naturale � del rap


porto di pubblico impiego e, in particolare, di quello statale, soltanto 

esso pu� conoscere �delle controversie in cui tale rapporto sfa dedotto 

e in relazione al quale debbono essere adottati quei provvedimenti 

che la legge a tale giudice ha specificamente attribuito. Situazione 

pertanto che, per i suoi presupposti e per i possibili effetti, non muta 

allorquando siffatte controversie �siano promosse da soggetti diversi dal


l'impiegato e, cio�, dai sindacati per la tutela di interessi (�correlati�) 

che soltanto attraverso la cognizione del suddetto rapporto e l'adozione 

dii provvedimenti ad esso inerenti pu� essere tutelato. 

N� alla soluzione prospettata pu� essere .di ostacolo l'enunciazione 

letterale dell'art. 29, comma l, n. l, del testo unico n. 1054 del 1924 se


condo cui sono attribuite alla ~urisdizione esclusiva amministrativa 

i ricorsi relativi al rapporto d'impiego prodotti � dagli impiegati dello 

Stato, degli enti od istituti. pubblici etc. �. Ed invero -trattandosi di 

formula redatta allorquando non era concepibile l'interferenza nei rap


porti. d'impiego pubblico di posizioni diverse da quelle facenti capo,, 

da un lato, alla Pubblica Amministrazione e, dall'altro, all'impiegato 


fil legislatore dell'epoca non poteva raffigurarsi altro soggetto legittimato 

a proporre' le controversie del pubblico impiego se non lo stesso impie


gato, laddove la precipua finalit� della legge 6 dicembre 1971 n. 1034 

di regolare l'istituzione e .il funzionamento dei Tribunali amministrativi 

regionali -peraltro in un momento non molto successivo all'entrata 

in vigore dello Statuto dei lavomtori e all'attuazione della � sindacaliz


zazione � del pubblico impiego -non poteva, far ravvisare la necessit�, 

!in tema di legittimazione al ricorso, di esprimere una formulazione di


versa rispetto a quella del suddetto art. 29) comma 1, del testo unico 

n. 1054 del 1924 e di quella analoga dell'art. 4 (comma 1) del coevo testo 
unico n. 1058 sulle attribuzioni delle Giunte provinciali amministrative 
in sede giurisdizionale entrambi fatti oggetto del rinvio recettizio di cui 
all'art. 7, comma 2, della suddetta legge n. 1034 del 1971. 
Ma la pi� chiara emergenza di posizioni collettive aventi il rango 


PARTE l, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

di diritti soggettivi strettamente connesse al rapporto d'impiego pubblico 
e la stessa riaffermazione -espressa del resto attraverso l'approvazione 
della suddetta legge n. 1034 del 1971 -della giurisdizione amministrativa 
quale giurisdizione generale del pubblico impiego, inducono 
a ritenere, sulla base di un'interpretazione pi� contenutistica, che la considerata 
disposizione dell'art. 29, comma 1 n. 1, del testo unicC�> n. 1054 
del 1924 (cos� come quella dell'art. 4 del testo unico n. 1058) debba intendersi 
diretta a determinare, non tanto il profilo della legittimazione ad 
agire, quanto pillttosto l'ambito della suddetta giurisdizione. � significativo 
del resto che il gi� ricordato art. 28 della legge � quadro � n. 93 cl.el 
1983 usi le pi� ampie formule di � tutela giurisdizionale del pubblico 
impiego� (comma 1) e di � ricorsi in materia di pubblico impiego � (com� 
ma 2), laddove l'art. 24 della stessa legge abilita gli organismi sindacali 
a ricorrere al competente Tribunale amministrativo .regionale in materia 
di provvedimenti concernenti l'installazione (nei pubblici uffici) di im� 
pianti audiovisivi e l'effettuazione di visite personali di controllo. 

Non � ravvisabile pertanto alcun ostacolo di ordine concettuale-sistematico 
ed anzi emergono univoci elementi di conforto al riguardo per 
ammettere che la controversia del pubblico impiego possa essere promossa, 
avanti al giudice naturale di esso e cio� a quello amministrativo, 
anche da quei soggetti che, diversi dai dipendenti, hanno pur tuttavia 
un proprio diretto interesse (secondo i principi di natura sostanziale sopra 
richiamati) alla tutela giurisdizionale dei loro rapporti e ci� anche quando 
gli stessi dipendenti ritengano di prendere proprie iniziative di difesa. 

Provveder� poi il detto giudice amministrativo, secondo le norme pro� 
prie che regolano il procedimento che avanti a lui si svolge, all'eventuale 
integrazione del contraddittorio nei confronti dei cointeressati o dei controinteressati, 
cos� come -all'occorrenza -ad emettere le pronunce 
cautelari di sospensione dei provvedimenti amministrativi (art. 21, comma 
7, della legge n. 1034 del 1971) o di imposizione all'Amministrazione 
di determinati comportamenti necessari per la realizzazione della tutela 
giurisdizionale e ci� secondo la linea evolutiva che ha avuto recente 
espressione nell'ordinanza 7 febbraio-1� giugno 1983, n. 14 dell'Adunanza 
plenaria del Consiglio di Stato. Parimenti sar� compito di tale giudice 
procedere all'individuazione dei soggetti sindacali legittimati al ricorso 
e ci� attraverso il concreto accertamento della consistenza degli interessi 
collettivi fatti valere e degli organismi sindacali cui siano riferibili (v. 
� supra �, p. V). 

In base alle suesposte considerazioni deve pertanto concludersi che, 
essendo stata la controversia di che trattasi promossa in difesa di interessi 
sindacali che si deduce siano stati lesi in relazione all'atto di trasferimento 
ad altro ufficio del dipendente statale ing. Rizzi, il diretto coinvol� 
gimento nella vicenda del rapporto d'impiego di questi comporta -nel 


80 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

riconoscimento del diritto del sindacato di chiedere la tutela giurisdizionale 
dei detti interessi -l'attribuzione della relativa cognizione alla 
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. (omissis) 

II 

(omissis) L'istanza per regolamento di giurisdizione ed il ricorso per 
cassazione, siccome relativi alla stessa causa e concernenti entrambi la 
identica questione di giurisdizione, devono essere riuniti in un solo procedimento 
sotto il pi� antico numero di ruolo. 

Nell'eccepire il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, si richla� 
ma dai ricorrenti la giurisdizione della Corte di cassazione e della Corte 
costituzionale circa l'inapplicabilit� dell'art. 28 della legge 20 maggio 1970, 

n. 300 (statuto dei lavoratori) nell'impiego statale, e si deduce che le 
Universit� e gli Istituti .di Istruzione Superiore sono appunto organi 
dello Stato, sia pure dotati di propria autonomia e muniti di personalit� 
giuridica. Si soggiunge, in particolare, che la nomina da parte dei Rettori 
dei rappresentanti sindacali a componenti della commissione per il perso. 
nale, a norma dell'art. 5 della legge 25 ottobre 1977, n. 808, costituisce 
attivit� statale, sia perch� riferita a rapporti di impiego statale ed esercitata 
da soggetti in rapporto di servizio con lo Stato, sia perch� rientrante 
nelle attribuzioni del Consiglio di amministrazione del Ministero della pubblica 
istruzione e meramente decentrata ai Rettori e non gi� delegata 
all'Universit�. Si sostiene pertanto che le organizzazioni sindacali avrebbero 
potuto far valere il proprio interesse allo svolgimento dell'attivit� sindacale 
nelle forme previste dalla citata legge n. 808 del 1977 (partecipa� 
zione alla commissione 'per il personale) solo davanti alla competente 
giurisdizione amministrativa. 

I due ricorsi sono infondati. 

� bens� vero che le Universit� statali e gli altri Istituti statali di 
istruzione superiore, costituiscono organi dello Stato, muniti di personalit� 
giuridica, essendo inseriti nella organizzazione statale, come risulta 
sia dall'imputazione allo Stato di almeno una parte degli atti da essi 
posti in essere, sia dallo �status� del relativo personale, anche docente, 
appartenente ai ruoli degli impiegati statali, sia dalla fonte del relativo 
finanziamento posto essenzialmente a carico dello Stato (efr.: Cass. 

S.U. 28 giugno 1975, n. 2546; Cass. 12 gennaio 1981, n. 256). 
Ed � altres� esatto, in relazione al caso in esame, che il provvedimento 
rettorale di nomina della commissione prevista dal cit. art. 5 della legge 

n. 808 del 1977 non rientra fra gli atti riferibili propriamente alle Universit� 
come istituzioni autonome, ma costituisce esplicazione di attivit� amministrativa 
statale decentrata al Rettore quale organo periferico del Ministero 
della pubblica istruzione. 

PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

Senonch�, la gi� affermata da questa Corte inapplicabilit� nei confronti 
dello Stato del procedimento previsto dall'art. 28 st. lav. non 
esclude che la cognizione della controversia, avuto riguardo all'oggetto 
sostanziale della domanda, concernente una situazione di diritto soggettivo, 
spetti come sar� pi� innanzi precisato, all'autorit� giudiziaria ordinaria. 


2. -Le situazioni soggettive attive contemplate dall'art. 28 st. lav. 
costituiscono veri e propri diritti soggettivi, appartenenti alla categoria 
dei diritti politici (art. 2 legge 20 marzo 1865 n. 2248 all. E), di cui 
sono titolari 1in via esclusiva le associazioni sindacali dei lavoratori, 
come portatrici dell'interesse collettivo al rispetto della libert� e dell'attivit� 
sindacale, nonch� del diritto di sciopero da parte del datore 
di lavoro, sia quando la condotta antisindacale di quest'ultimo si esaurisce 
nella sfera propria del sindacato, come momento di aggregazione 
del detto interesse collettivo, sia quando tale condotta, per il suo carattere 
plurioffensivo, lede altres� nel contempo la posizione soggettiva 
dei singoli lavoratori, incidendo concretamente sui loro rispettivi rapporti 
d.i lavoro. 
In entrambe le ipotesi, a tutela di siffatte situazioni soggettive proprie 
ed esclusive delle associazioni sindacali, l'art. 28 appresta -nell'ambito 
della giurisdizione .del giudice ordinario -un rapido ed incisivo procedimento 
speciale, inteso alla cassazione del comportamento illegittimo 
ed alla rimozione degli effetti, esperibile sfa nei confronti dei da� 
tori di lavoro privati, sia nei riguardi degli enti pubblici e~nomici, 
ai quali � applicabile integralmente la normativa contenuta nello statuto 
dei lavoratori, ai sensi dell'art. 37, prima parte, dello statuto medesimo. 


Ci� premesso, giova ricordare che le Sezioni Unite di questa Corte 
di Cassazione, a partire dalla sentenza 6 maggio 1972 n. 1380, hanno 
costantemente affermato i.I principio dell'inapplicabilit� nel settore dell'impiego 
statale della disciplina dettata dallo statuto dei lavoratori, 
e, in particolare, hanno escluso che del procedimento per la repressione 
della condotta antisindacale previsto dal cit. art. 28 possano avvalersi 
le associazioni dei dipendenti dello Stato, non ravvisando operante per 
l'impiego statale il meccanismo di raccordo normativo tra la disciplina 
statutaria e quella vigente nel pubblico impiego, predisposto dall'art. 37, 
seconda parte, st. lav., per i rapporti di impiego dei dipendenti degli 
�altri enti pubblici� (non economici), sul preminente rilievo che in 
quest'ultima locuzione non � implicitamente compreso anche lo Stato, 
e sono cos� pervenute in numerose decisioni ad affermare l'improponibilit� 
della domanda delle associazioni dei dipendenti statali ex art. 28 
st. lav. p�r difetto assoluto di giurisdizione. 

Dal canto suo la Corte costituzionale con la sentenza 20 maggio 1976 

n. 118 ha dichiarato non fondata la questione di legittimit� costituzionale 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

82 

del oit. art. 37, seconda parte, nella interpretazione sopra accennata, 
sollevata da alcuni giudici di merito in raferimento agli articoli 3 e 24 
della Costituzione. La Corte costituzionale ha per� precisato nella stessa 
sentenza che la carenza del raccordo non avrebbe precluso l'eventuale 
denuncia di incostituzionalit� allorch� si fosse dubitato che &tuazioni 
identiche o simili siano irrazionalmente regolate in modo diverso da una 
norma statutaria e da una norma dettata per il rapporto di impiego statale, 
investendo in tal caso la questione di legittimit� costituzionale non 
gi� l'art. 37, bens� le norme che, nei rispettivi. ambiti, disciplinano direttamente 
l'interesse delle associazioni sindacali dei dti.pendenti statali e delle 
altre associazioni sindacali al rispetto della libert� sindacale. 

Pertanto, nella prospettiva dischiusa dalla citata sentenza n. 118 del 
1976 della Corte costituzionale, queste Sezfoni Unite hanno sollevato, 
in altro procedimento, questione di legittimit� costituzionale delle norme 
di legge che disciplinano nell'ambito dell'impiego statale i c.d. diritti 
sindacali (art. 146 d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, come modificato dall'art. 7 
della legge 28 ottobre 1970 n. 775; art. 44 bis della legge 18 marzo 1968 

n. 249, nel testo introdotto dall'art. 20 della cit. legge n. 775 del 1970, 
articoli da 45 e 50 della cit. legge n. 249 del 1968), sotto iii profilo 
che tali norme, in contrasto con gli articoli 3 e 24, 1� e 2� comma, 
Cost., non prevedono per le associazioni dei dipendenti statali, con ingiustificata 
disparit� rispetto al trattamento riservato alle altre associazioni 
sindacai( dall'art. 28 st. lav., la tutela giurisdizionale del loro interesse al 
rispetto della libert� e dell'attivit� sindacale, nonch� del diritto di sciopero. 
Ma la Corte Costituzionale con la sentenza 5 maggio 1980 n. 68, nel 
dichiarare la questione non fondata, principalmente sul presupposto 
della diversit� tuttora sussistente tra i due rapporti di impi�ego, pubblico 
e privato, ha osservato, richiamando la giurisprudenza delle Sezioni Unite . 
del 1974, che le libert� sindacali, nel settore del pubb1ico impiego, sono 
tutelabili, in qualit� di situazioni soggettive proprie ed esclusive del 
&ndacato, attraverso i procedimenti ordinari davanti al giudice civile, 
cio� al di fuori del quadr~ dell'art. 28. Ed accennando anche alla possibilit� 
che, in relazione a particolari disposizioni, siano configurabili 
situazioni di interesse legittimo, tutelabili, come tali, dinanzi ai giudici 
amministrativi, ha concluso che non �esiste, in materia, alcuna lacuna 
di tutela giurisdti.zionale, e si � piuttosto dinanzi a forme di tutela meno 
rapide e penetranti di quelle previste dall'art. 28 st. lav., ma non perci� 
incostituzionali. 

3. � Ri�esaminata l'intera materia, in relazione non soltanto alla ipotesi, 
vilevante nel presente procedimento ed a cui sembra prevalentemente 
riferirsi la citata sentenza n. 68 del 1980 della Corte costituzionale, di 

PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

comportamenti antisindacali non incidenti anche su posizioni soggettive 
dei singoli dipendenti, ma altresl all'ipotesi in cui una tale incidenza 
sia ravvisabile, le Sezioni Unite convengono che, nonostante il'inapplicabilit� 
nell'ambito dell'impiego statale della citata norma di raccordo 
dell'art. 37 st. lav., e la conseguente impossibilit� per le associazioni 
sindacali dei dipendenti dello Stato di avvalersi del procedimento isti� 
tuito dall'art. 28, non esiste nell'ordinamento la paventata lacuna di 
tutela giurisdizionale in pregiudizio delle dette associazioni sindacali, 
e che pertanto � possibile una soluzione della dibattuta questione fuori 
dall'alternativa finora considerata: difetto assoluto di giurisdizione o 
'Sospetta incostituziona1it� del complesso normativo regolante la materia. 

Invero, la parte c.d. sostanziale del cit. art. 28 com'� stato rilevato 
in dottrina ed era stato gi� avvertito dalle stesse Sezioni Unite nella 
senten2la n. 1380 del 1972, non � altro che la premessa per la predisposizione 
nello stesso testo del cit. articolo di un particolare strumento 
processuale e di una certa sanzione, ma siffatta premessa, indipendentemente 
dall'art. 28, ha la sua originaria fondamentale matrice nella 
Costituzione e, in particolare, nei principi sanciti dall'art. 39, 1� comma, 
in tema di libert� sindacale, di cui l'attivit� sindacale � proiezione, e nell'art. 
40 in materia di diritto di sciopero. 

Codesti principi di carattere costituzionale, da considerarsi unitariamente 
nella loro logica connessione (cfr,: sent. Corte cost. 4 maggio 
1960 n. 29), posti in relazione col fenomeno c.d. di �sindacalizzazione� 
del pubblico impiego anche statale �e con le particolari norme di legge 
che disciplinano nello stesso impiego statale 1 c.d. diritti sindacali, e 
visti anche alla luce dell'evoluzione guirisprudenziale intervenuta in 
tema di esercizio del diritto di sciopero nell'1impiego pubblico, sono certamente 
operanti anche nell'ambito dell'amministrazione dello Stato, 
sicch� le associazioni sindacali dei dipendenti statali devono ritenersi 
pur esse titolari di situazioni di diritto soggettivo, proprie ed esclusive, 
al rispetto da parte dell'amministrazione datrice di lavoro della libert� 
ed attivit� sindacale, nonch� del diritto di sciopero. 

In virt� del principio, sancito dall'art. 24 Cost., dell'inscindibilit� tra 

situazioni sostan2liali e possibilit� di agire in giudizio, aHe anzidette si


tuazioni soggettive del sindacato dei dipendenti statali debbono peraltro 

corrispondere forme di tutela giurisdizionale, le quali, seppure non iden


tifilcabili con quelle peculiari dell'art. 28 st. lav., siano tuttavia idonee 

per lo loro � effettivit� � ad assicurare soddisfazione all'interesse collet


tivo che di quelle situazioni sono espressione. 

Ci� posto, devesi osservare che la questione relativa all'individua


2lione del giudice cui spetti somministrare tali forme di tutela, siccome 

fornito al riguardo di potere giurisdizionale, si pone in modo diverso 

't 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

84 

a seconda che la situazione soggettiva del sindacato sia o no correlata 
con posizioni soggettive inerenti al rapporto di impiego di singoli dipendenti. 


Nella prima delle dette ipotesi, come queste Sezioni Unite, nel pronunziare 
su altro ricorso discusso nell'udienza odierna, hanno affermato, 
l'associazione sindacale dei dipendenti statali pu� tutelare la propria 
situazione soggettiva correlata con quella del singolo impiegato (ed indipendentemente 
da un'jniziativa di quest'ultimo) davanti allo stesso 
giudice del rapporto di impiego, cio� dinanzi al giudice amministrativo 
in sede di giurisdizione esclusiva, con conseguente superamento di gi� 
prospettati dubbi di costituzionalit�, per ragioni alle quali � sufffoiente 
ai fini del presente giudizio soltanto accennare, e che si compendiano 
essenzialmente neMa considerazione secondo cui le norme di legge in tema 
di tutela delle posizioni soggettive inerenti al rapporto di pubblico impiego 
(art. 29, n. 1, del T.U. delle leggi sul Consiglio di Stato, approvato 
con r.d. 25 giugno 1924 n. 1054, richiamato dall'art. 7 della legge 6 dicembre 
1971, n. 1074, istitutiva dei Tribunali amministrativi regionali) 
rivelano, alla stregua di una lata interpretazione evolutiva, il foro effettivo 
significato precettivo di individuazione dell'ambito della giurisdizione 
in relazione all'oggetto del giudizio, e non gi� di delimitazione della legittimazione 
ad agire. 

Nella seconda delle dette ipotesi, invece, in cui la condotta antisindacale 
denunciata lede soltanto la situazione soggettiva del sindacato, 
avente consistenza di diritto soggettivo, e fino a quando la materia 
non sia regolata � ex novo ,. dal legislatore (vedansi in proposito 
la legge quadro sul pubblico impiego 29 marzo 1983 n. 93, sulla cui 
portata queste Sezioni Unite hanno gi� pronunciato con sentenza 29 ottobre 
1983 n. 6419, nonch� il disegno di legge di delega al Governo 
per una nuova disciplina del procedimento dinanzi ai T.A.R. ed al 
Consiglio di Stato approvato il 30 gennaio 1984 dal Consiglio dei Ministri, 
e segnatamente l'art. 1, n. 9) le appropriate forme di tutela, come 
ritenuto nella sentenza n. 68 del 1980 della Corte Costituzionale, non 
possono che rinvenirsi -escluso il ricorso al procedimento istituito 
dall'art. 28 st. lav. -nelle norme del processo ordinario davanti al 
giudice civile, cui spetta, nel riparto delle giurisdizioni, la cognizione dei 
diritti sia civi:1i che politici (cit. art. 2 legge n. 2248 del 1865, ali. E). 

La diversa tutela che viene cos� ad essere offerta alle associazioni 
sindacali dei dipendenti statali nelle due ipotesi sopra prospettate, a 
seconda che la pretesa sia fatta valere davanti all'autorit� giudiziaria 
ordinaria o dinanzi alla giurisdizione amministriativa, potrebbe determinare 
ulteriori sospetti di incostituziona1it�, in riferimento ag1i articoli 3 
e 24 della Costituzione, per ineguaglianza di trattamento di diritti aven



PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

ti eguale consistenza. Siffatti dubbi possono per� essere agevolmente 
fugati sol che si ricordi il principio, costantemente affermato dalla Corte 
costituzionale e dalla Corte di cassazione, alla stregua del quale la 
diversit� della forma di giudizio non importa lesione del precetto costituzionale 
dell'eguaglianza, ove siano osservate le fondamentali garanzie 
delle parti nel giudizio e la differenza trovi giustificazione nella 
diversit� delle situazioni. 

4. -Nella fattispecie in esame, � stato denunciato il comportamento 
antisindacale dei Rettori del Politecnico e dell'Universit� degli studi di 
Milano, per aver essi nominato, quali rappresentanti sindacali del personale 
docente nella commissione per il personale prevista dall'art. 5 
del1a legge n. 808 del 1977 due esponenti designati dall'Unione sindacale 
professori di ruolo (USPUR) e dal Comitato nazionale universitario (CNU), 
anzich� gli esponenti designati dalle organizzazioni sindacali denuncianti. 
La citata norma di legge che disciplina 1a composizione della anzidetta 
commissione per il personale e ne affida la nomina al Rettore, 
come organo periferico dell'Amministrazione della pubblica istruzione, 
stabilendo, fra l~altro, che i n � mbru rapresentanti del personale docente 
e non docente sono designati -~le organizzazioni sindacali maggiormente 
rappresentative sul piano nazionale, rispettivamente, del personale 
docente e non docente, � attributiva di un diritto soggettivo delle dette 
organizzazioni all'esercizio dell'attivit� sindacale nei modi previsti dalla 
norma medesima. 

Una tale situazione non muta, peraltro, in considerazione del carattere 
di maggiore rappresentativit� sul piano nazionale richiesto a quelle 
organizzazioni per lo svolgimepto di siffatta attivit� sindacale. 

Invero, ai fini della verifica della maggiore rappresentativit�, la 
amministrazione, come questa Corte ha gi� avuto occasione di affermare 
in relazione ad altra fattispecie (cfr.: Cass. 11 novembre 1974 n. 3504). 
lungi dal compiere una valutazione discrezionale, rispetto alla quale 
debba ammettersi soltanto l'esistenza di interessi legittimi, si limita 
all'accertamento di un dato obiettivo, al di fuori, di ogni margine di 
apprezzamento. 

Poich� nella specie il denunciato comportamento antisindacale incide 
su una situazione di diritto soggettivo, propria ed esclusiva delle organizzazioni 
sindacati, non correlata a posi2lloni soggettive inerenti al rapporto 
di pubblico impiego di singoli dipendenti, alla stregua dei principi 
sopra enunciati, la cognizione della controversia spetta alla giurisdizione 
del giudice ordinario ed in tal senso devesi pertanto statuire, con il conseguente 
rigetto del ricorso per cassazione. (Omissis) 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

86 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 26 luglio 1984, n. 4388 -Pres. Mirabelli 
-Rel. Omnis -P. M. Tamburrino -Ministero dei Trasporti (avv. 
Stato Ferri) c. C.I.S.A.L. 

Giurisdizione civile -Regolamento preventivo di giurisdizione -Art. 28 
legge 20 maggio 1970, n. 300 -Diritti soggettivi politici delle �ssocia� 
zioni sindacali -Giurisdizione ordinaria � Correlazione con diritti 
dei singoli impiegati statali -Giurisdizione amministrativa esclusiva. 

Allorquando la propria situazione soggettiva sia correlata con quella 
del sirigolo impiegato, l'associazione sindacale dei dipendent~ statali 
pu� trovare tutela dinanzi al giudice del rapporto di impiego in via 
esclusiva; ove invece, al di fuori di tale correlazione, sia lesa soltanto 
la situazione soggettiva del sindacato, avente consistenza di diritto soggettivo, 
la cognizione spetta al giudice civile (1). 

(Omissis) Con l'istanza per regolamento di giurisdizione, premesso 
che, in conseguenza dell'assunzione a norma della legge 23 dicembre 1963, 

n. 1855, da parte del Ministero dei trasporti, per mezzo cli commissario, 
della gestione delle Ferrovie calabro-lucane, il personale 1in servizio pres� 
so le stesse Ferrovie riveste la qualit� di impiegato dello Stato, e che 
in base all'art. 37 della legge 20 maggio 1970 n. 300 (Statuto del. lavora� 
tori) le disposizioni della stessa legge non sono applicabili nell'ambito 
d�ll'impiego statale, si deduce il difetto di giurisdizione del giudice ordinario 
a provvedere a norma dell'art. 28 del citato statuto dei lavoratori. 
L'istanza � infondata alla stregua delle seguenti considerazioni. 

:�, invero, esatta la premessa circa la qualit� di impiegati dello Stato 
dei dipendenti delle FerrovJe calabro-<lucane dopo l'assunzione da parte 
del Ministero dei trasporti, per mezzo di un commissario, della relativa 
gestione (cfr.: Cass. S.U. 3 novembre 1973 n. 2853; 21 febbraio 1974 

n. 488; 11 novembre 1975 n. 3784) e circa l'inapplicabilit� nell'impiego 
statale delle norme dello statuto dei lavoratori, ma non � accoglibi,Je 
la conclusione che, in tema di g.iurisdizione, da una tale premessa si 
intende far denivare. 
Valgano al riguardo le seguenti considerazioni. 

(1) Precedenti della questione: Sez. Un. 6 maggio 1972 n. 1380 (inapplicabilit� 
dello statuto dei lavoratori nel settore del pubblico impiego, anche in 
riferimento alle associazioni sindacali dei pubblici dipendenti); Corte Cost. 
20 maggio 1976, n. 118 (che esclude l'illegittimit� costituzionale dell'art. 37 
Statuto lavoratori in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., laddove la locuzione 
�altri enti pubblici� non ricomprende lo Stato); Corte Cost. 5 maggio 1980 n. 68 
(sulla tutelabilit� delle libert� sindacali nel settore del pubblico impiego fuori 
del quadro dell'art. 28 Statuto lavoratori, e cio� con i procedimenti ordinari 
davanti al giudice civile). 

PARm I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

2. -Le situazioni soggettive attive contemplate dall'art. 28 st. lav. costituiscono 
veri e propri diritti soggettivi, appartenenti alla categoria dei 
diritti politici (art. 2 legge 20 marzo 1865, n. 2248 all. E), .di cui sono 
titolari in via esclusiva le associazioni sindacali dei lavoratori, come 
portatrici dell'interesse collettivo al rispetto della libert� e dell'attivit� 
sindacale, nonch� del diritto di sciopero da parte del datore di lavoro, 
sia quando ila condotta antisindacale di quest'ultimo si esaurisce nella 
sfera propria del sindacato, come momento di aggregazione del detto interesse 
collettivo, sia quando tale condotta, per il suo carattere plurioffensivo, 
lede a:ltres� nel contempo la posizione soggettiva dei singoli 
lavoratori, incidendo concretamente sui loro rispettivi rapporti di 
lavoro. 
In entrambe le iipotesi, a 'tutela di siffatte situazioni soggettive 
proprie ed esclusive delle associazioni sindacali, l'art. 28 appresta nell'ambito 
della giurisdizione del giudice ordinario -un rapido ed 
incisivo procedimento speciale, inteso alla cessazione del comportamento 
iillegittimo ed alla rimozione degli effetti, esperibile sia nei confronti 
dei datori di lavoro privati, sia nei riguardi degli enti pubblici economici, 
ai quali � applicabile integralmente la normativa contenuta nello 
statuto dei lavoratori, ai sensi dell'art. 37, prima parte, dello statuto 
medesimo. 

Ci� premesso, giova ricordare che le Sezioni Unite di questa Corte 
di cassazione, a partire dalla sentenza 6 maggio 1972 n. 1380, hanno 
costantemente affermato il principio dell'inapplicabilit� nel settore dell'impiego 
statale della disciplina dettata dallo statuto dei lavoratori, e, 
in particolare, hanno escluso che del procedimento per la repressione 
della condotta antistindacale previsto dal dt. art. 28 possano avvalersi 
Je associazioni dei dipendenti dello Stato, non ravvisando operante per 
l'impiego statale il meccanismo 'di raccordo normativo tra ila disciplina 
statutaria e quella vigente nel pubblico iimpiego, predisposto dall'art. 37, 
seconda parte, st. lav., per i rapporti di impiego dei dipendenti degli 
�altri enti pubblici� (non economici), sul preminente rilievo che in 
quest'ultima locuzione non � implicitamente compreso anche .lo Stato, 
e sono cos� pervenute in numerose decisioni ad affermare l'improponibiLit� 
della domanda delle associazioni dei dipendenti statali ex art. 28 
st. lav., per difetto assoluto di giurisdizione. 

Dal canto suo la Corte Costituzionale con la sentenza 20 mag~o 1976 

n. 118 ha dichiarato non fondata la questione di legittimit� costituzionale 
del cit. art. 37, seconda parte, nella iinterpretazione sopra accennata, sollevata 
da alcuni giudici di merito Jn riferimento agli articoli 3 e 24 della 
Costituzione. La Corte Costituzionale ha per� precisato nella stessa sentenza 
che la carenza del raccordo non avrebbe precluso l'eventuale denuncia 
di incostituzionalit� allorch� si fosse dubitato che situazioni, identiche 
o simili siano irrazionalmente regolat'e in modo diverso da una 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

norma statutaria e da una norma dettata per iil rapporto di impiego statale, 
investendo in tal caso la questione di le~ttimit� costituzionale non 
gi� l'art. 37, bensi le norme che, nei rispettivi ambiti, disciplinano 
direttamente l'interesse delle associazioni sindacali dei dipendenti statali 
e delle altre associazioni sindacali al rispetto della libert� sindacale. 

Pertanto, nella prospettiva dischiusa dalla citata sentenza n. 118 del 
1976 della Corte Costitu2li.onale, queste Sezioni Unite hanno sollevato, 
in altro procedimento, questione di legittimit� costituzionale delle norme 
di legge che disciplinano nell'ambito dell'impiego statale i c.d. diritti 
sindacali (art. 146 d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, come modificato dall'art. 
7 della legge 28 ottobre 1970 n. 775; art. 44 bis della legge 18 marzo 
1968 n. 249, nel testo introdotto dall'art. 20 della cit. legge n. 775 
del 1970, articoli da 45 e 50 della cit. legge n. 429 del 1968), sotto 
il profilo che tali norme, in contrasto con gli articoli 3 e 24, 1� e 2� 
comma, Cost., non prevedono per le associazioni dei dipendenti statali, 
con ingiustificata disparit� rispetto al trattamento riservato alle altre 
associazioni sindacali da1l'art. 28 st. lav., la tutela giurisdizionale del 
loro interesse al. rispetto della Hbert� e dell'attivit� sindacale, nonch� 
del diritto di sciopero. 

Ma la Corte Costituzionale con la sentenza 5 maggio 1980 n. 68, nel 
dichiarare la questione non fondata, principalmente sul presupposto 
della diversit� tuttora sussistente tra i due rapporti di impiego, pubblico 
e privato, ha osservato, richiamando la giurisprudenza delle Sezioni 
Unite del 1974, che le libert� sindacali, nel settore del pubblico 
.impiego, sono tutelabili, in qualit� di situazioni soggettive proprie ed 
esclusive del sindacato, attraverso i procedimenti ordinari davanti al 
giudice civile, cio� al di fuori del quadro dell'art. 28. Ed accennando 
anche alla possibilit� che, dn relazione a particolari disposizioni, siano 
configurabili situazioni di interesse legittimo, tutelabili, come tali, dinanzi 
ai giudici amministrativi, ha concluso che non esiste, in materia, 

.alcuna lacuna di tutela giurisdizionale, e si � piuttosto dinanzi a forme 

di tutela meno rapide e penetranti �di quelle previste dall'ar.t. 28 st. 

lav., ma non perci� incostituzionali. 

3. � Riesaminata l'intera materia, in relazione non soltanto alla 
ipotesi, rilevante nel presente procedimento ed a cui sembra prevalentemente 
riferirsi la citata sentenza n. 68 del 1980 della Corte costituzionale, 
di comportamenti antisindacali non incidenti anche su posizioni 
soggettive dei singoli dipendenti, ma altresi all'ipotesi in cui una tale 
incidenza sia ravvisabile, le Sezioni Unite convengono che, nonostante 
l'inapplicabilit� nell'ambito dell'impiego statale della citata norma di raccordo 
dell'art. 37 st. lav., e la conseguente impossibilit� per le associazioni 
sindacali dei dipendenti dello Stato di avvalersi del procedimento 
istituito dall'art. 28, non esiste nell'ordinamento la paventata lacuna di ~ 
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PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

tutela giurisdizionale in pregiudizio delle dette associazioni sindacali, e 
che pertanto � possibile una soluzione della dibattuta questione fuori 
dall'alternativa finora considerata: difetto assoluto di giurisdizione o sospetta 
incostituzionalit� del complesso normativo regolante la materia. 

Invero, la parte c.d. sostanziale del cit. art. 28 com'� stato rilevato 
in dottrina ed era stato gi� avvertito dalle stesse Sezioni Unite nella 
sentenza n. 1380 del 1972, non � altro che la premessa per la predisposizione 
nello stesso testo del cit. articolo �di un particolare strumento 
processuale e di una certa sanzione, ma siffatta premessa, indipendentemente 
dall'art. 28, ha la sua originaria fondamentale matrice nella 
Costituzione e, .in particolare, nei principi sanciti dall'art. 39, 1� comma, 
in tema di libert� sindacale, di cui l'attivit� sindacale � proiezione, e 
nell'art. 40 in matena di diritto d.i sciopero. 

Codesti principi di carattere costituzionale, da considerarsi unitariamente 
nella loro logica connessione (cfr. sent. Corte cost. 4 maggio 
1960 n. 29), posti in relazione col fenomeno c.d. di � sindacalizzazione 
� del pubblico impiego anche statale e con le particolari norme 
di legge che disciplinano nello stesso impiego statale i c.d. diritti 
sindacali, e visti anche alla luce dell'evoluzione giurisprudenziale intervenuta 
in tema di esercizio del diritto di sciopero nell'impiego pubblico, 
sono certamente operanti anche nell'ambito dell'amministrazione dello 
Stato, sicch� le associazioni sindacali dei dipendenti statali devono ritenersi 
pur esse <titolari di situazioni di diritto soggettivo, proprie ed 
esclusive, al rispetto da parte dell'amministrazione-datrice di lavoro della 
libert� ed attivit� sindacale, nonch� del diritto di sciopero. 

In virt� del principio, sancito dall'art. 24 cost., dell'inscindibilit� 
tra situazioni sostanziali e possibilit� di agire in giudizio, alle anzidette 
situazioni soggettive del sindacato dei dipendenti statali debbono peraltro 
corrispondere forme di tutela giurisdizionale, le quali, seppure non identificabili 
con quelle peculiari dell'art. 28 st. lav., siano tuttavia idonee 
per la loro � effettivit� � ad assicurare soddisfazione all'interesse collettivo 
che di quelle situazioni sono espressione. 

Ci� posto, devesi osservare che .la questione relativa all'individuazione 
del giudice cui spetti somministrare tali forme di tutela, siccome 
fornito al riguardo di potere giurisdizionale, �si pone in modo diverso 
a seconda che la situazione soggettiva del sindacato sia o no correlata 
con posizioni soggettive inerenti al rapporto di impiego di singoli dipendenti. 


Nella prima delle dette ipotesi, come queste Sezioni Unite, nel 
pronunciare su altro ricorso discusso nell'udienza odierna, hanno affermato, 
l'associazione sindacale dei dipendenti statali pu� tutelare la propria 
situazione soggettiva correlata con quella del singolo impiegato (ed indipendentemente 
da un'iniziativa di quest'ultimo) davanti allo stesso giudice 
del rapporto di impiego, cio� dinanzi al giudice amministrativo in sede 


90 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

di giurisdizione esclusiva, con conseguente superamento di gi� prospettati 
dubbi di costituzionalit�, per ragioni alle quali � sufficiente ai fini del 
presente giudizio soltanto accennare, e che si compendiano essenzialmente 
nella considerazione secondo cui le norme di legge in tema di tutela delle 
posizioni soggettive inerenti al rapporto di pubblico impiego (art. 29, n. 1, 
del T.U. delle leggi sul Consiglio di Stato, approvato con r.d. 25 giugno 1924 

n. 1054, richiamato dall'art. 7 della legge 6 dicembre 1971 n. 1074 istitutiva 
dei Tribunali amministrativi regionali) rivelano, alla stregua di una lata 
interpretazione evolutiva, il loro effettivo significato precettivo di individuazione 
dell'ambito della giurisdizione in relazione all'oggetto del giudizio, 
e non gi� di delimitazione della legittimazione ad agire. 
Nella seconda delle dette ipotesi, invece, in cui la condotta antisindacale 
denunciata lede soltanto la situazione soggettiva del sindacato, 
avente consistenza di diritto soggettivo, e fino a quando fa materia 
non sia regolata � ex novo � dal legislatore (vedansi in proposito la legge 
quadro sul pubblico iimpiego 29 marzo 1983 n. 93, sulla cui portata 
queste Sezioni Unite hanno gi� pronunciato con la sentenza 29 ottobre 
1983 n. 6419, nonch� il disegno di legge di delega al Governo per una 
nuova disciplina del procedimento dinanzi ai T.A.R. ed al Consiglio di 
Stato approvato .il 30 gennaio 1984 da:l Consiglio dei Ministri, e segnatamente 
l'art. 1, n. 9) le appropriate forme di tutela, come ritenuto nella 
sentenza n. 68 del 1980 della Corte Costituzionale, non possono che rin


�venirsi -escluso il ricorso al procedimento istituito dall'art. 28 st. 
lav. -nelle norme del processo ordinario davanti al giudice civ.ile, cui 
spetta, nel riparto delle giurisdizioni, la cognizione dei diritti sia civ.ili 
che politici (cit. art. 2 legge n. 2248 del 1865, ali. E). 

La diversa tutela che viene cos� ad essere offerta alle associazioni 
sindacali dei dipendenti statali nelle due ipotesi sopra prospettate, a 
seconda che la pretesa sia fatta valere davanti all'autorit� giudiziaria 
ordinaria o dinanzi alla giurisdizione amministrativa, potrebbe determinare 
ulteriori sospetti di incostituzionalit�, in riferimento agli articoli 
3 e 24 della Costituzione, per ineguaglianza di trattamento di diritti 
aventi eguale consistenza. Siffatti dubbi possono per� essere agevolmente 
fugati sol che si ricordi il principio, costantemente affermato dalla 
Corte costituzionale e dalla Corte di cassazione, alla stregua del quale 
la diversit� della forma di giudizio non importa lesione del precetto 
costituzionale dell'eguaglianza, ove siano osservate le fondamentali garanzie 
delle parti nel giudizio e la differenza trovi giustificazione nella diversit� 
delle situazioni. 

4. -Nel caso in esame, dalle organizzazioni sindacali � stato denunziato, 
siccome antisindacale, il comportamento della Gestione commissariale 
delle Ferrovie calabro-lucene, consistente nella arbitraria 
sospensione delle ritenute dei contributi sindacali in favore della F.A.I.S.A.C.
I.S.A.L. sulle paghe dei dipendenti. 
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PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 91 

L'art. 50 della legge 18 marzo 1968 n. 429 attribuisce, invero, al 
sindacato (al pari del corrispondente art. 26 dello statuto dei lavoratori) 
il diritto di percepire il contributo, nella misura stabilita dai competenti 
organi statutari, che il dipendente dello Stato intenda versargli, in 
virt� d:i delega conferita all'amministrazione, mediante trattenuta da 
operarsi da parte di quest'ultima, di una quota mensile dello stipendio, 
paga o retribuzione, il che impone un'attivit� specifica di collaborazione 
da parte dell'amministrazione medesima. 

Ora, poich� il denunciato comportamento antisindacale incide su 
una situazione di diritto soggettivo propria ed esclusiva delle associazioni 
sindacali, non correlata a posizioni soggettive inerenti al rapporto di 
impiego di singoli dipendenti, alla stregua dei principi sopra enunciati, 
la cognizione della controversia spetta alla giurisdizione del giudice ordinario 
ed in tal senso devesi pertanto statuire. 

Nulla per le spese di questo procedimento, non essendosi gli intimati 
costituiti. (Omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 27 luglio 1984, n. 4428 -Pres. Gambogi 
-Rel. Maresca -P. M. Miccio -ENPAS (avv. Stato Fiengo) c. Paolantoni 
(avv. Agostini). 

Previdenza -Contributi previdenziali � Omesso versamento � Domanda 
risarcitoria in forma di costituzione di rendita vitalizia � Rapporto 
di pubblico impiego � Giurisdizione esclusiva del giudice ammini� 
strativo. 

La domanda con cui il dipendente dello Stato o di un Ente pubblico 
non economico chieda il risarcimento del danno per omissione o irregolarit� 
nel versamento dei contributi previdenziali sia pure in forma 
di costituzione di una rendita vitalizia, appartiene alla giurisdizione esclusiva 
del giudice amministrativo, trovando titolo immediato e diretto 
nel rapporto di pubblico impiego e nei relativi obblighi del datore di 
lavoro. (1). 

(Omissis). Con il primo mezzo il ricorrente, denunciando violazione 
degli artt. 7 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, 2116 cod. civ., 442 e 444 
cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, n. 1 e 3, del codice di rito, censura 
l'impugnata sentenza per aver ritenuto la competenza giurisdizionale 
del giudice ordinario a conoscere della controversia, laddove avrebbe 
dovuto riconoscere la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, 

(1) Giurisprudenza costante. V. al riguardo Sez. Un. 17 febbraio 1983, n. 1202; 
19 novembre 1979, n. 6021; 17 maggio 1979, n. 2805; 14 maggio 1977, n. 1924. 

92 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

alla quale, per costante giurisprudenza, � riservata la cognlZlone delle 
domande relative agli aspetti previdenziali del rapporto di pubblico 
impiego, anche se risarcitorie, come nel caso in esame. 

La censura � fondata. 

Come gi� ritenuto da queste Sezioni unite (sent. 17 febbraio 1983, 

n. 1202; 19 novembre 1979, n. 6021; 17 maggio 1979, n. 2805; 14 maggio 
1977, n. 1924), la domanda con la quale un dipendente dello Stato e di 
Ente pubblico non economico (e. tale �, nella specie, l'E.N.P.A.S.), deducendo 
omissioni o irregolarit� nel versamento dei contributi previdenziali, 
chieda la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno, 
sia pure nella forma di costituzione di una rendita vitalizia ex art. 13 
della legge 12 agosto 1962, n. 1338, come nel caso in esame, appartiene 
alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, trovando titolo 
immediato e diretto nel rapporto di pubblico .impiego �e nei relativi 
obblighi del datore di lavoro (art. 29 del r,d. 26 giugno 1924, n. 1054, e 7 
della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, non modificati dalla legge 11 agosto 
1973, n. 533). 
Questa giurisprudenza, in ordine alla quale il resistente non ha 
mosso alcun rilievo critico essendosi limitato a opporre, in via del tutto 
apodittica, J'autonomia -rispetto aJ rapporto di pubblico impiego del 
diritto esercitato nei confronti dell'Ente, merita d'esser riaffermata 
come quella che pi� tiene conto del carattere della giurisdizione amministrativa 
in materia di pubblico impiego, che l'ordinamento ha reso 
esclusiva proprio perch� ha voluto affidarle nella misura pi� esauriente 
possib.ile la tutela di esso. 

Il primo mezzo di ricorso va, pertanto, accolto, con la conseguente 
declaratoria della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo a 
conoscere della controversia, mentre l'impugnata sentenza deve essere 
cassata senza rinvio. 

L'accoglimento del pr.imo mezzo del ricorso � assorbente rispetto 
al contenuto degli altri due, relativi nell'ordine -ai limiti interni 
della competenza del giudice ordinario e alla prescrizione del diritto 
fatto valere. 

Ricorrono giusti motivi perch� le spese dell'intero giudizio siano 
integralmente compensate fra le parti in causa. (omissis). 



SEZIONE QUARTA 

GIURISPRUDENZA CIVILE 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 5 gennaio 1985, n. 7 -Pres. Virgilio � 
Rel. Vercellone -P. M. Ferraiuolo (eone. conf.) -Ministero del Tesoro 
(avv. Stato Laporta) c. lst. Credito Casse Risparmio Italiane (avv. 
Manzi, Leoni e Oppo). 

Enti pubblici -Procedura di liquidazione -Carattere concorsuale � Ine


sistenza di situazione deficitaria � Interessi su debiti chirografari � 

Sospensione � Esclusione. 

(Legge 4 dicembre 1956, n. 1404, artt. 8, 9, 10 e 15; art. 55 L.F.; art. 30 e.e.; artt. 14, 

15 e 16 disp. att. e.e.). 

La legge 4 dicembre 1956 n. 1404 sulla liquidazione degli Enti pub� 
blici configura bens� una procedura di liquidazione di tipo concorsuale, 
tuttavia,. sintantoch� non si prospetti una situazione deficitaria tale da 
dar luogo a liquidazione coatta amministrativa, non possono trovare in 
essa applicazione le disposizioni della legge fallimentare ed in particolare 
l'art. 55 in forza del quale � sospeso dal giorno della dichiarazione 
di fallimento il corso degli interessi sui debiti chirografari (1). 

(Omissis) Col primo mezzo si denunciano violazione e falsa applicazione 
degli artt. 8, 9, 10 1. 4 dicembre 1956 e dei principi fondamentali 
in materia di liquidazione degli enti pubblici soppressi. 

Il ricorrente rileva che 1a Corte ha erroneamente sostenuto, sulla 
base di una serie di considerazioni, che la procedura di liquidazione in 
�esame non � legata alla massa attiva dell'ente in liquidazione, avendo 
l'amministrazione a disposizione per il pagamento dei debiti anche 
altri fondi, e precisamente gli avanzi attivi di precedenti liquidazioni. 
Conclude il ricorrente che nella legge 1404/1956 non vi � alcuna disposizione 
che autorizzi a pensare ad una successione dello Stato agli 
enti sottoposti a liquidazione. 

Sotto altro aspetto, sempre nel primo motivo, viene riaffermato che 
la liquidazione in parola � governata dal principio della concorsualit� 
proprio degli istituti disciplinati dalla legge fallimentare: ad essa dunque 
sarebbero applicabili le norme che regolano le tipiche procedure concorsuali, 
in specie quella di cui all'art. 55 (ed art. 201 per la liquidazione coatta 
amministrativa) in base alla quale la dichiarazione di fallimento o l'accertamento 
giudiziale dell'insolvenza sospende il corso degli interessi 

(1) Non si rinvengono precedenti. 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DEllO STATO

94 

legali o convenzionali, agli effetti del concorso, fino alla chiusura del 
follimento. 
Col secondo mezzo viene denunciata violazione e falsa applicazione 
degli artt. 30 cod. civ. 14, 15 e 16 disp. att. del codice civile. 

Il ricorrente sostiene che, in assenza di espressa regolamentazione, 
sono applicabili alla, liquidazione degli enti pubblici le disposizioni del 
codice civile relative alla liquidazione delle persone giuridiche di diritto 
privato. Secondo , il ricorrente ne -discenderebbe, per logico corollario, 
l'applicabilit� dell'art. 55 della legge fallimentare, per effetto del rinvio 
di cui all'art. 16 delle disp. att. del codice civile. 

Va premesso che, ad avviso di questa Corte, scarsa rilevanza 
ha stabilire se, in caso cli liquidazione di ente pubblico, vi sia o no 
una successione dello Stato a titolo universale nell'attivo e nel passivo 
dell'ente soppresso. 

Essenziale � invece il rilievo per cui proprio nella legge che regola 
la liquidazione di enti pubblici soppressi, l'art. 15 dispone che si fa 
luogo alla liquidazione coatta amministrativa � per le liquidazioni deficitarie 
�. � logico dedurre che in ipotesi di liquidazioni non deficitarie, 
quando cio� non vi sono problemi di incapienza (e ci� a prescindere 
dalle ragioni: capienza in s� del patrimonio dell'ente o assunzione dei 
debiti da parte di altri, Stato o altri enti), non si fa luogo alla liquidazione 
coatta amministrativa. Come wteriore corollario si deve ritenere 
che, ove non si abbia liquidazione coatta amministrativa, non si debbano 
applicare le regole che disciplinano codesto istituto, nemmeno per 
via analogica: si deve escludere cio� che si debba applicare l'art. 55 
legge fallimentare. 

Ci� premesso, e per entrare nell'esame pi� analitico del primo motivo, 
si pu� dare per postulato che la legge 4 dicembre 1956 preveda 
una procedura di liquidazione concorsuale. Infatti, iii pagamento dei debiti 
non pu� avvenire singolarmente, mano mano che i creditori si 
presentano, ma deve avvenire solo al .termine dell'accertamento del passivo 
e del realizzo dell'attivo. 

Ma non � accettabile la deduzione che vorrebbe trarne il ricorrente: 

che cio�, siccome la procedura di liquidazione pu� sfociare in una pro


cedura coatta amministrativa, dunque sempre, anche quando si sta 

svolgendo la normale Jiquidazione, � necessario sottoporre i creditori 

chirografari a una falcidia tanto consistente quale � la esclusione de


gli interessi maturati dopo la cessazione dell'ente. 

� vero, [nvece, il contrario. Fino a quando non si prospetta una 
situazione deficitaria, la liquidazione si effettua rispettando i diritti, dei 
creditori, chirografori o no, ammettendo dunque tutti i loro crediti, compresi 
quelli relativi agli interessi in corso di maturazione. � solo se 
e quando si giunga ad una liquidazione coatta amministrativa che si 
avr� sospensione del corso degli interessi. 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

L'errore su cui si fonda il ragionamento del ricorrente � credere 
che la sospensione del decorso degli interessi � legata al fatto in s� che, 
messo in liquidazione un ente pubblico, la legge richiede che il pagamento 
dei debiti avvenga ad avvenuto accertamento complessivo dei debiti 
stessi. 

La sospensione, invece, � legata all'incapienza del patrimonio dell'ente, 
accertata nelle forme proprie della procedura concorsuale tipica 
agli enti pubblici, cio� la .liquidazione coatta amministrativa. � infatti 
l'insolvenza che determina l'inizio della procedura e con �essa l'insensibilit� 
del patrimonio a nuove obbligazioni che possono sorgere successivamente 
alla dichiarazione dello stato di insolvenza (salvo quelle che 
si costituiscono ad opera degli organi che amministrano la procedura). 
Tale sospensione, tra l'altro, opera soltanto nei confronti dei creditori 
chirografari, per i quali esS'enzialmente vale il principio della � par condicio
�: il che conferma il fatto che la sospensione stessa � legata ad 
una situazione di insolvenza la quale fa presumere come certo od almeno 
altamente probabile che gi� i crediti di capitale dei chirografari subiranno 
una falcidia. La sospensione non .avrebbe invece alcuna giustificazione 
nella ipotesi di patrimonio capiente, qualunque sia il meccanismo 
previsto dalla legge per la liquidazione. Non si vede in base a quale principio, 
a tutela di quali interessi, i creditori dovrebbero essere espropriati 
del loro legittimo diritto, sancito dall'art. 1282 cod. civ. 

� onere degli organi preposti alla liquidazione procedere rapidamente 
onde evitare di pagare gli interessi che maturano giorno per 
giorno. 

Sarebbe davvero assurdo, come vorrebbe il ricorrente, che fosse 
sufficiente lo scioglimento di un ente per evitare le conseguenze negative 
di un ritardo dell'ente nel pagamento del suo debito. 

La tesi dell'Amministrazione porterebbe ad una conseguenza ancora 
pi� assurda. 

In base all'art. 55 legge fallimentare, Ia dichiarazione di fallimento 
sospende il corso degli interessi, ma solo agli effetti del concorso e 
solo fino alla chiusura del fallimento. Sicch� poich� a norma dell'art. 120 
stessa legge, a chiusura del fallimento i creditori riacquistano il libero 
esercizio delle loro azioni, ai creditori resta la possibilit� di recuperare 
pi� oltre, in capo a nuove disponibilit� patrimoniali del debitore, gli 
interessi decorsi dopo la dichiarazione di fallimento. 

Secondo il ricorrente, invece, lo scioglimento di un ente pubblico 
non in situazione di insolvenza porterebbe alla perdita netta, sicura e 
per sempre, non alla mera sospensione di esercizio, del diritto agli interessi 
sui loro crediti. 

Il primo motivo va dunque rigettato. Non v'� alcuna analogia tra la 
situazione di un ente pubblico sottoposto a liquidazione coatta ammini



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1 

96 
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

I 

strativa e quella d.i un ente pubblico disciolto per i pi� diversi motiv.i ~ 
e del quale non risulta o addirittura � esclusa, come nel caso di specie, 
una incapienza del patrimonio. 

I

Tutto quanto sin qui detto rende pi� facile e breve la confutazione ~i. 

I ~j

delle ragioni portate a sostegno del secondo motivo che, anch'esso va 
rigettato. 

Pur ammettendo che possa applicarsi per analogia al caso di scioglimento 
di ente pubblico la disciplina relativa alla liquidazione delle 
persone giuridiche di diritto privato, l� dove manchi una espressa norma 
in materia di scioglimento degli enti pubblici, deve tuttavia rilevarsi 
che le disposizioni contenute negli artt. 11 e seguenti delle disp. att. del 
codice civile distinguono chiaramente due procedure: a) la prima, quella 

II

normale, quando vi � eccedenza dell'attivo sul passivo: non si applica 
alcuna norma che escluda il pagamento degli interessi maturati dopo 
l'estinzione della persona giuridica; b) la seconda, chiamata �liquidazione 
generale � che deve essere svolta solo quando il patrimonio non � 

I 

sufficiente al pagamento integrale della passivit�; disposta questa liqui@ 
dazione generale, a norma dell'art. 16, e per i successivi richiami al~ 
l'art. 201 legge fallimentare e dunque all'art. 55 stessa legge, il decorso ~ 
degli interessi � sospeso. 

I 
!~(:;

Resta dunque confermato, anche in base al.le norme ora esaminate, ~=: 
che la sospensione degli interessi � legata non gi� alla procedura di liquidazione, 
ma ad una situazione gi� accertata o presumibile di incapienza. 


I ~ 

i:1 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 17 gennaio 1985, n. 117 � Pres. Scanza ~;: 
no� Rel. Sensale� P. M. Zema (conci. conf.) � Ministero Beni Culturali 

II 

e Ambientali (avv. Stato Palatiello) c. Granito di Belmonte G. ed A. 
(n.c.). 


Antichit� e Belle Arti � Cose di interesse storico e artistico � Alienazione 
a titolo oneroso � Prelazione dello Stato � Riserva di compropriet� 
a favore dell'alienante � Parte indivisibile del bene � Inefficacia 
della clausola nei confronti dello Stato. 

I

(Legge, 1 giugno 1939, n. 1089, artt. 31 e 32). 
rili 
fil 

~~

Nel caso di alienazione a titolo oneroso di un immobile soggetto alle 

~1

norme sulla tutela delle cose di interesse artistico o storico di cui alla 

l~1

legge 1 giugno 1939 n. 1089 e di prelazione esercitata dallo Stato ai sensi 
degli artt. 31 e 32 di detta legge, non vincola lo Stato, ai sensi del-

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PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 97 

l'art. 32, ultimo comma, la clausola che riservi all'alienante la compropriet� 
di una parte dell'immobile, compresa nella unitaria e indivisibile 
struttura di esso e non avente perci� carattere pertinenziale (1). 

1. -Con il primo motivo, l'Amministrazione denuncia la violazione 
ed erronea applicazione della legge 25 giugno 1865 n. 2359 e dell'art. 32, 
ult. comma, dela legge 1� giugno 1939 n. 1089, deducendo che con l'esercizio 
del diritto di prelazione da parte dello Stato, che ha carattere espropr.
iativo, tutti i diritti compresi nelle quote del castello, inclusi quelli 
sulla cappella, ricadono nella espropriazione ai sensi della legge n. 2359 
del 1865 e che le clausole contrarie non sono opponibili allo Stato, 
in virt� dell'art. 32 ult. comma della legge 1089 del 1939, il quale stabilendo 
che Ie clausole del contratto di alienazione non vincolano lo 
Stato, vuole evitare che resti paralizzato o sminuito il diritto dello Stato 
di acquisire al patrimonio artistico o storico per intero l'immobile, o la 
quota di esso, oggetto del contratto. 
Tali censure sono fondate. 

2. � Nelle fasi di merito � rimasto accertato che, nella divisione ereditaria 
dei beni di Angelo Granito di Belmonte, il Castello di Copertino 
venne diviso tra Gennaro, e Antonio Granito, con comunione del cortile 
d'ingresso, del cortile interno, della cappella e del pozzo. Con successivi 
sei atti di trasferimento, tre per ciascuno, Gennaro e Antonio Granito 
alienarono le rispettive porzioni del castello e soltanto nell'ultimo atto, 
rogato dal notaio Buonerba il 30 maggio 1954, Gennaro Granito si riserv� 
i diritti di comunione sulla cappella e il diritto di accedervi 
attraverso il portone e l'atrio scoperto. Se ne desume quindi, che la Cappella 
era interna al castello e ne costituiva parte integrante, come qualsiasi 
altro vano da ritenersi necessario complemento della vita degli 
abitanti del castello, in modo da trovarsi con esso in una situazione 
di unitaria connessione organica-strutturale e da perdere, nell'ambito di 
una cosa composta, ogni individualit� sotto il profilo giuridico, con la 
cons�eguenza della unitariet� del vincolo d'interesse artistico e storico 
su tutte le parti del castello. 
Se l'accertamento di fatto compiuto nelle fasi di merito non pu� essere 
sindacato in questa sede (anche perch� le prospettate censure non 

(1) Non constano precedenti in termini; la decisione, citata in motivazione, 
che ha tra l'altro affermato la natura espropriativa della prelazione esercitata 
dallo Stato ai sensi degli artt. 31 e 32 della legge n. 1089 del 1939, Cass. 17 feb� 
braio 1976 n. 514 (in Foro It., 1976, I, 1260 con nota di BARONE nonch� in questa 
Rass., 1976, I, 241) riguard� una fattispecie di alienazione (e quindi di prelazione) 
parziaria, nella quale era venuta in contestazione la natura, amministrativa o 
giurisdizionale, del provvedimento di determinazione del prezzo di prelazione 
in siffatta ipotesi. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

98 

investono tale accertamento, ma, anzi muovono implicitamente proprio 
da esso), per contro il problema di qualificazione relativo alla natura 
giuridica della cappella in relazione al castello, necessariamente implicato 
dal primo motivo del ricorso, rientra nei poteri d'indagine di questa 
Corte e merita soluzione contraria a quella accolta nella sentenza impugnata. 
In essa erroneamente si � attribuita aUa cappella natura di pertinenza 
del castello, con conseguente applicazione delle norme privatistiche 
circa il regime delle pertinenze e senza che, peraltro, s'indagasse 
sul punto se la imposizione del vincolo d'interesse artistico o storico, 
attravers? la notificazione prevista dagli artt. 2 e 3, 2� comma, della 
legge 1� giugno 1939 n. 1089, non crei, in principio, un rapporto pertinenziale 
di natura pubblicistica (trascendente l'interesse privato del 
proprietario e formante oggetto, per la tutela del pubblico interesse, di 
apprezzamento tecnico-discrezionale dell'autorit� amministrativa) -rapporto 
che per ci� si sovrapponga alla comune relazione pertinenziale fra 
esse soggette alla disciplina di diritto privato -e se tale rapporto di 
natura pubblicistica consenta separati atti di disposizione che investano 
la cosa principale e la pertinenza: indagine che, se compiuta, avrebbe 
potuto dare alla controversia una impostazione diversa, in base ad una 
costruzione del fenomeno tale da escludere che della pertinenza possa 
separatamente disporsi in modo da vanificare il vincolo d'interesse storico 
o artistico e senza incorrere nella previsione dell'art. 32, ultimo 
comma, a norma del quale le clausole del contratto di alienazione di beni 
d'interesse artistico o storico appartenenti a privati non vincolano lo 
Stato. 

Come peraltro si � accennato, il presupposto del carattere pertinenziale 
della cappella rispetto al castello, da cui muove la sentenza impugnata, 
non pu� essere condiviso sotto il profilo giuridico. 

� vero che il fenomeno pertinenziale trova luogo anche fra immobili 
e che la connessione materiale fra le cose non � sufficiente ad escludere 
il vincolo pertinenziale, in quanto tra i beni formanti un tutto 
non � tanto rilevante la natura materiale del vincolo, quanto piuttosto 
la relazione di parit�, ovvero di servizio o ornamento, tra i beni stessi. 
Deve tuttavia osservarsi che, proprio per questo, il modo mediante il 
quale la connessione materiale risulta realizzata e la localizzazione della 
cosa connessa incidono necessariamente sul riconoscimento del vincolo 
pertinenziale, dal punto di vista della qualificazione giuridica, a -seconda 
che la cosa incorporata in un altra, o connessa con un altra, formi con 
essa un unicum strutturale ed organico ovvero conservi una sua autonomia 
funzionale e sia suscettibile di astratta individuazione; e pu� aggiungersi 
che, se cos� non fosse, tutte le parti comuni di un edificio, qm i 
sono indicate nell'art. 1117 e.e., che, pure, costituiscono sicuramente, 
con l'edificio medesimo, una unit� strutturale ed organica, trasmigrerebbero 
nella categoria delle pertinenze. 



PART!i I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILB 

In tal modo, mentre non potrebbe dubitarsi del carattere pertine:t:>.� 
ziale di una cappella che fosse esternamente annessa ad un palazzo 
e riservata al culto di coloro che ne sono titolari, lo stesso non pu� dirsi 
nel caso in esame, in cui la cappella 'non � collegata al castello da un 
rapporto di connessione materiale che ne consenta tuttavia una individuazione 
concettuale come bene a s� stante posto al servizio del castello 
medesimo, ma costituisce con esso un tutt'uno strutturale ed organico, 
essendo compenetrata in una cosa composta unitariamente intesa e 
costituendone una parte allo stesso modo degli altri locali che paritariamente 
lo compongono, ciascuno con una destinazione che concorre alla 
funzionalit� �del tutto. 

3. � Il problema che, dunque, s.i pone � se, in base ai principi e � 
alle norme che regolano il regime delle cose d'interesse artistico e 
storico, siano opponibili allo Stato le clausole contenute in atti di disposizione 
di un bene avente carattere di unitariet� strutturale e�l organica, 
con le quali si sottragga al trasferimento, e quindi alla prelazio:.e 
consentita dagli artt. 31 e 32 della legge n. 1089/39, una parte di tale 
bene; e, prima ancora, se sia possibile che, in virt� della inefficacia 
della prelazione sulla parte del bene che l'alienante abbia riservato -e, 
per giunta, come �quota ideale -a s� stesso, il bene rimanga soggetto, 
nelle sue parti, a diversi regimi giuridici concorrenti, cio� ' a quello 
di diritto privato ed a quello proprio, di diritto pubblico, dei beni 
demaniali. 
Al fine di dare adeguata risposta a tali interrogativi, che pongono 
problemi fra loro interdipendenti, occorre partire dal secondo dei quesiti 
enunciati. 

4. � Come questa Corte ebbe gi� ad ossel'Vare in sentenza n. 2613 del 
1962, con la legge sopra citata, in tema di trasferimento delle cose 
d'interesse artistico o storico si � inteso contemperare equamente il diritto 
del privato con l'interesse dello Stato di evitare che l'alienazione 
di detti beni possa� danneggiarne la conservazione o menomarne il pubblico 
godimento. In particolare, per quanto concerne le cose appartenenti 
ai privati, pur essendosi riconosciuto ad essi un ampio potere di disposizione, 
l'art. 30 della legge 1089/39 fa obbligo ai proprietari, ai loro 
eredi e ai detentori a qualsiasi titolo di denunziare al competente Ministero 
ogni atto di alienazione destinato a trasmettere in tutto o in 
parte, a titolo oneroso o gratuito, quelle cose che siano oggetto di notifica 
a cura dei Ministro ai sensi degli artt. 2, 3 e 5. A !ma volta 
quest'ultimo, ove l'alienazione sia a titolo oneroso, ha facolt� di acquistare 
la cosa allo stesso prezzo stabilito nell'atto di alienazione (art. 31), 
s� che il diritto di prelazione, che si � ricondotto nella categoria degli 
atti ablatori autoritativamente posti in essere dalla p.a. (sent. 514/76), 
costituisce un vincolo, imposto al proprietario, quando costui abbia gi� 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

100 

manifestato, sUl piano negoziale, la volont� di trasferire a terzi, mediante 
corrispettivo, la cosa d'interesse artistico o storico. Nel citato precedente, 
questa Corte si � posta, quindi, il problema se tale diritto sia 
configurabile in riferimento alle alienazioni parziali della cosa ed ha 
osservato che la legge speciale prevede la possibilit� per la p.a. di 
esercitare la prelazione solo in parte o quando la cosa d'interesse artistico 
e storico sia alienata insieme ad altre per un unico corrispettivo 
(art. 31) o quando venga effettuata l'alienazione di collezioni e serie di 
oggetti di propriet� privata (art. 34); ma che tale disciplina non autorizza 
a rirenere che il legislatore abbia inteso consentire, in linea 
generale, l'esercizio parziale della prelazione, poich� negli anzidetti 
casi particolari il bene d'interesse artistico o storico � scelto e avulso 
da un complesso di cose, ma viene pur sempre considerato nella sua 
autonoma individualit�. 

Desunto dall'art. 966, comma 2, e.e. (che in tema di enfiteusi, nel 
concorso di pi� concedenti, vieta ad uno solo di essi l'esercizio parziale 
di tale diritto) un principio di portata pi� vasta, estensibile ad ogni 
ipotesi di prelazione, sia essa legale o volontaria, si osserv� nella citata 
sentenza che quanto si era affermato in termini generali risultava confermato 
dalla particolare natura della prelazione dello Stato sulle cose 
d'interesse artistico o storico, essendo il relativo rapporto disciplinato 
da un punto di vista pubblicistico e in maniera autonoma rispetto a ogni 
altra prelazione legale. L'esercizio di tale diritto consente, infatti, alla 

p.a. di acquistare la propriet� dei beni anzidetti, che entrano a far parte 
del demanio statale ai sensi dell'art. 822, 2� comma, e.e. e rimangono 
sottoposti alla condizione giuridica prevista dal successivo art. 823. Se 
si tiene conto che la prelazione de qua produce un effetto giuridico tutto 
particolare, in quanto opera un mutamento radicale della natura stessa 
del bene che ne costituisce l'oggetto, ne deriva che l'esercizio di un 
simile diritto � configurabile in relazione ad una entit� artistica o storica 
considerata nell~ sua interezza e mai su una parre o su una quota 
ideale di essa, perch� in tale eventualit� si perverrebbe ad una comunione 
tra Stato e privati, con la conseguenza che un medesimo bene resterebbe 
sottoposto a due diversi regimi giuridici, di cui l'uno demaniale 
e l'altro privatistico. 
Se, dunque, non potrebbe efficacemenre esercitarsi la prelazione 
su una quota ideale della medesima cosa che rivesta interesse artistico 

o storico, per le sresse rag.ioni il privato alienante non pu� mediante 
riserva della propriet� -in contrasto col vincolo che investe unitariamente 
la' cosa -sottrarre alla prelazione, esercitata senza limitazioni 
o esclusioni, una parte o una quota della cosa indivisibilmente assoggettata 
al vincolo, atteso che questo trascende l'interesse del privato 
proprietario, essendo espressione del prevalente interesse pubblico; e ci� 
tanto pi� se si considera che, sotto il profilo culturale ed artistico 

101

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

e quindi sul piano degli interessi correlativamente tutelati potrebbe 
essere proprio la parte d'immobile � riservata � ad avere valore qualificante 
rispetto all'intero complesso. 

5. -Ci� consente d'intendere la portata dell'ultimo comma dell'art. 32 
della legge 1089/39, secondo il quale �le clausole del contratto di alienazione 
non vincolano lo Stato�. Nel quadro delle finalit� della intera 
disciplina delle cose . d'interesse artistico o storico, la norma, la quale 
non a caso ha un contenuto di assoluta generalit�, non pu� intendersi 
limitata a quelle clausole accessorie dirette a precisare le obbligazioni 
assunte dalle parti o a condizionarne la efficacia o, anche, a stabilirne 
particolari modalit� di adempim�nto, ma deve necessariamente estendersi 
a tutte le clausole che in qualsiasi modo possono compromettere il vincolo 
pubblico, comprese quelle che, attraverso una limitazione dell'oggetto 
del contratto, si risolvono in un impedimento o in un condizionamento 
dell'esercizio della prelazione da parte dello Stato, che, come 
si � visto, non pu� non investire la cosa nella sua unitariet� ed interezza. 
La interpretazione riduttiva dell'ultimo comma dell'art. 32, accolta 
dalla Corte d'appello, non pu�, quindi, condividersi, perch� il problema da 
risolvere, . al fine di considerare vincolato, oppur no, lo Stato alla riserva 
della compropriet� della cappella a favore dell'alienante, contenuta nell'atto 
Buonerba, non era quello se la clausola avesse la funzione di deJimitare 
l'oggetto del contratto, bens� quello di stabilire se la clausola 
si ponesse inammissibilmente in contrasto con l'esistente vincolo d'interesse 
pubblico: problema che, in base alla qualificazione della cappella 
come parte integrante di una cosa unitariamente vincolata (il castello), 
avrebbe dovuto ricevere soluzione opposta a quella data dalla Corte 
d'appello. 

Problema diverso, ,ma� non ancora prospettato in causa, resta quello 
della possibilit� di riferire il prezzo, (pagato in una determinata misura 
dall'acquirente sul presupposto della riserva della compropriet� della 
cappella a favore dell'alienante) all'intero immobile, dovendosi a tal 
fine accertare in che misura la riserva della compropriet� della cappella 
abbia inciso sulla dete;rminazione del prezzo e stabilire se, ammesso 
che incidenza vi sia stata, non sia consentito all'alienante; mediante 
l'estensione alla ipotesi considerata del 2� e del 3� comma dell'art. 31, 
promuovere in sede amministrativa la determinazione di un prezzo che 
lo compensi della perdita'del bene, compresa la compropriet� della cappella. 


� 



SEZIONE QUINTA 
GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 
CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., 29 novembre 1984, Il� 20 � Pres. Pescatore, 
Est. Baccarini. Regione Liguria (avv. Glendi) c. Presidenza del Consiglio 
dei Ministri (avv. Fiengo) e Associazione Nazionale famiglie 
caduti e dispersi in guerra (avv. Nigro). 
Giustizia amndn.istrativa � Notifica sentenza � Domiciliatario non procuratore 
� Termine Appello. 
La notificazione. della sentenza effettuata presso il domiciliatario 
non procuratore della parte soccombente non � idonea a far decorrere 
il termine breve per la impugnazione. (1) 
(omissis) La questione preliminare che l'ordinanza di rimessione della 
IV Sez. ha devoluto alla cognizione della Adunanza plenaria � quella 
della ricevibil~t� degli appelli in quanto proposti oltre il termine di sessanta 
giorni dalla notificazione .della sentenza di primo grado alla parte 
presso il procuratore domieili�rio. 
L'ordinanza di rimessione si iscrive nella linea di tendenza della 
giurisprudenza del Consiglio di Stato, successiva all'art. 10 della legge 
3 aprile 1979, n; 103, intesa a dare una soluzione sistematica ed uniforme 
al problema del luogo di notificazione della sentenza di primo grado �ai 
fini della decorrenza del termine breve per l'impugnazione. 
L'Adunanza plenaria, con le sentenze 7 dicembre 1979, n. 32 e 6 mag~ 
gio 1980, n. 12, aveva gi� affermato che, nel caso di amministrazioni difese' 
dall'Avvocatura dello Stato, la sentenza di primo .grado doveva 
essere notificata presso l'ufficio dell'Avvocatura e non gi� nella sede 
dell'Amministrazione. 
Successivamente, con la sentenza 5 aprile 1984, n. 8, ha affermato, 
completando il processo di riflessione sulla precedente sentenza 23 mar(
1) La decisione costituisce in ordine temporale l'ultima tessera del mosaico 
col quale l'Adunanza Plenaria sta meticolosamente ricostruendo il sistema processuale, 
soprattutto in materia di notificazione, onde fugare una volta per tutte 
ogni genere di perplessit� in proposito. 

In questa linea di tendenza si segnala il costante riferimento ai principi 
enucleabili dal codice di rito che produce anche il vantaggio di creare uniformit� 
tr.a il processo civile e quello amministrativo (cfr. in materia Verde G.: Norme 
processuali ordinarie e processo amministrativo in Foro it. 85, V, 157). 


PARm I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

zo 1979, n. 9, iniziatq_ con Sez. V, 10 luglio 1982, n. 615 che il regime 
degli atti processuali non va differenziato, di regola, a seconda della 
natura delle parti che ne sono autrici o destinatarie e che anche per le 
parti private, il termine breve per l'impugnazione decorre dalla notificazione 
della sentenza di primo grado presso il procuratore costituito, 
a norma degli artt. 285 e DO C.p.c. 

Ha ulteriormente specificato, con la sentenza 19 giugno 1984, n. 13, 
che, ai sensi degli artt. 285 e 170 C.p.c., � il procuratore costituito e non 
fa parte il natural-e destinatario degli atti processuali e che pertanto 
la sentenza di primo grado deve essere notificata al procuratore costituito 
nel domicilio reale o in quello eletto ovvero, in mancanza di 
domicilio reale o eletto, nel luogo dove ha sede il T.A.R., presso la segreteria 
del T .A.R. medesimo. 

I suesposti principi di diritto consentono di risolvere la questione 
che ne occupa in relazione alla concreta situazione processuale, evidenziata 
dalla Regione appellante nella memoria per l'Adunanza plenaria 
e risultante dagli atti del giudizio, concretantesi in ci� che le sentenze 
di primo grado furono notificate alla Regione presso il domiciliatario 
non procuratore (la Regione, infatti, aveva eletto domicilio in Roma 
in entrambi i giudizi di primo grado presso avvocato diverso da quelli 
ai quali aveva conferito procura). 

Ed invero, se il conferimento della rappresentanza procuratoria � 
cosa del tutto diversa dall'elezione di domicilio e da essa non desumibile 
(cfr. Cass. 1 agosto 1980 n. 4909) e se, a norma degli artt. 285 e 
170 C.p.c., la notificazione della sentenza di primo grado va eseguita 
al. procuratore costituito, salva J'equipollenza tra la notificazione al procuratore 
quale rappresentante della parte e quella alla parte presso 
il procuratore, appare conseguente affermare che la notificazione della 
sentenza � improduttiva di effetti, ai fini del decorso del termine breve 
per l'impugnazione, qualora sia effettuata non al procuratore costituito, 
ben~� al domiciliatario non procuratore della parte soccombente, 
a nulla rilevando il fatto che nell'atto di conferimento della procura 
la parte abbia eletto domicilio presso altro difensore non costituito 
in giudizio (cfr., Cass. 18 gennaio 1982, n. 320; 9 luglio 1977, n. 3079; 
30 maggio 1963, n. 1431; 15 maggio 1957, n. 1730). 

Nella specie, quindi, la notificazione delle sentenze di primo grado 
al domiciliatario non procuratore della parte era inidonea a far decorrere 
il termine br�ve per l'appello, sicch� l'eccezione di irricevibilit� 
degli appelli, formulata dall'Associazione appellata, deve essere respinta. 
(omissis) 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

104 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 9 novembre 1984, n. 853 -Pres. Crisci, Est. 
Lignani -Delogu ed altri (avv. Russo e Satta) c. Regione Sardegna 
(avv. Stato Mataloni), Pisano ed altri (avv. Adriano e Lubrano) ed 
altri. 

Giustizia amministrativa -Sentenza favorevole -Appello -Interesse alla 
impugnazione -Impugnazione graduatoria. 

Impiego pubblico -Concorso -Illegittimit� nelle prove .pratiche -Onere 
imm:ediata contestazione � Non sussiste. 

Sanit� -Concorso per farmacia -Prove pratiche diverse -Ripetizione. 
stesse prove in diversi turni -Legittimit�. 

Impiego pubblico -Concorso -Prove praticpe -Assimilazione a prove 
scritte o prove orali -Anonimato. 

Quando sia stata impugnata una graduatoria denunciando varie 
illegittimit� incorse sia nelle prove pratiche sia in quelle orali ed il 
giudice di primo grado �abbia accolto il ricorso riconoscendo viziate le 
sole prove orali, la patte ricorrente � legittimata ad impugnare la sentenza 
per riproporre le censure concernenti le prove pratiche,� avendo interesse 
a che l'Amministrazione nell'esecuzione del giudicato rinnovi integralmente 
le procedure concorsuali. (1) 

I candidati di un concorso non sono tenuti a contestare immediatamente 
alla Commissione, a pena di decadenza, le illegittimit� ravvisate 
ne:tlo svolgimento delle prove pratiche. (2) ' 

In base alla disposizione regolamentare secondo la quale nei concorsi 
per Farmacia dovevano essere assegnate tante prove diverse per 
quanti sono i candidati che sostenevano le prove nella giornata, � legittimo 
l'operato della Commissione che, avendo suddiviso i candidati in distinti 
turni di esame, predisponga un numero di prove corrispondenti al numero 
dei candidati di ogni singolo turno, anche se le stesse prove vengano poi 

(1) Sull'interesse ad impugnare la sentenza favorevole si ricorda come 
precedente Cons. St., Sez. V, 16 novembre 1979, n. 683 secondo la quale se il 
Tribunale amministrativo regionale abbia accolto un ricorso solo per alcuni 
dei motivi proposti, respingendo gli altri, il ricorrente ha interesse a proporre 
appello contro la sentenza ove dalla riforma di questa discendano effetti 
sostanziali. 
La presente sentenza si rivela molto interessante per l'approfondimento 
sulle ragioni sostanziali di tale orientamento rinvenute negli effetti ordinatori 
della decisione che vincolano l'Amm. a non ripetere nel nuovo procedimento 
i vizi riconosciuti dal giudice, consentendogli per contro di reiterare con sicu� 
rezza gli atti passati indenni al vaglio giudiziaro. 

(2-3-4) In materia di prove pratiche si rinvengono numerosi precedenti che 
hanno deciso fattispecie particolari. Cos� Sez. V, 18 novembre 1982, n. 798 secondo 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 105 

riassegnate, nei turni successivi al primo, agli altri candidati in ordine 
sorteggiati (3). 

Nell'ambito delle c.d. prove pratiche di concorso vanno distinte quelle 
in cui oggetto della valutazione sia un elaborato da quelle in cui viene 
valutato il modo di operare in atto del candidato; mentre le. prime 
vanno assimilate alle prove scritte con conseguente applicabilit� della 
regola dell'anonimato, le seconde vanno parificate alle prove orali per 
le quali l'anonimato non � possibile n� richiesto. (4) 

(omissis)' 1. -Risolte, con la decisione parziale pubblicata il 13 febbraio 
1984, tutte le questioni poste dall'appello incidentale ed indipendente 
Pisano ed altri, il Collegio deve prendere ora in esame le questioni 
relative all'appello principale Delogu ed altri, in ordine al quale � stato 
adempiuto l'incombente dell'integrazione del contraddittorio. 

La prima questione � quella, preliminare, dell'ammissibilit� di tale 
appello, che viene contestata da tutte le parti resistenti. Questi appellanti, 
infatti, sono coloro che hanno proposto ricorso in primo grado 
contro la graduatoria del concorso, ottenendo, in effetti, il risultato utile 
dell'annullamento della graduatoria stessa; ma, mentre essi avevano 
denunciato varie illegittimit� occorse (secondo il loro assunto) sia durante 
le prove pratiche del concorso, sia durante le successive prove 
orali, la sentenza appellata ha riconosciuto viziate (e quindi da rinnovare) 
solo le prove orali, mentre ha dichiarato irricevibili le doglianze 
relative alle prove pratiche. 

La tesi degli appellanti (gi� ricorrenti) � che il loro interesse ed il 
loro scopo era quello di ottenere la rinnovazione di tutte le prove concorsuali 
(e non solo di quelle orali), sicch� la loro domanda non si pu� ritenere 
interamente accolta e sussiste materia per impugnare la sentenza, 
pur favorevole per altri versi. 

la quale le prove di concorso di assunzione al posto di farmacista collaboratore 

presso enti ospedalieri sono di natura pratica ed orale: per cui ad esse non � 

applicabile la norma che impone di distanziare di almeno venti giorni lo svolgi


mento delle prove scritte rispetto a quelle orali (art. 9 decr. 130/1969). 

Sulla presenza necessaria dell'intera Commissione alle prove pratiche 

assimilabili per la loro sostanza a quelle orali cfr. Sez. V, 30 ottobre 1979, n. 668 

per la quale: le prove pratiche dei concorsi devono svolgersi alla presenza 

di tutti i componenti della Commissione giudicatrice (nella specie, trattavasi 

di prova pratica di guida in un concorso per autista di autoambulanza, ese


guita alla presenza di un solo commissario, poich� nella cabina di guida non 

potevano trovare posto altri componenti), e Sez. V, 8 maggio 1981, n. 150: 

ai sensi dell'art. 62 D.P.R. 27 marzo 1969, n. 130, � illegittimo il procedimento 

concorsuale per la copertura di un posto di ptimario ospedaliero, quando alle 

prove cliniche e pratiche non abbia assistito l'intera Commissione giudicatrice. 

Su questo argomento si rinviene anche un parere della Sez. II del 13 apri� 

le 1976 ove si ritiene che la prova pratica di dattilografia nei concorsi per 



106 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

I

La tesi degli appellanti � che il petitum era l'annullamento della 

i:= 

graduatoria e che pertanto l'accoglimento della domanda � stato pieno 
ed integrale; in tale situazione, il rigetto (o la dichiarazione. di inamli 
~; 
missibilit� o d'irricevibilit� di taluno dei motivi) � sostanzialmente ir


rilevante, nel senso che non � idoneo a fare stato e non preclude, pertanto, 
la riproposizione degli stessi motivi nei confronti del nuovo 
provvedimento amministrativo (nella fattispecie: la nuova graduatoria 
del concorso) conseguente all'annullamento del primo. In altre parole, 

I

la sede propria per riaprire le questioni rispetto alle quali i ricorrenti 
vincitori sono rimasti soccombenti non � l'appello contro la sentenza, 
ma l'eventuale ricorso contro il nuovo provvedimento, se ed in quanto 
questo risulti lesivo per gli interessati. 

Il Collegio ritiene che l'appello sia ammissibile. 

In via generale, si deve osservare che la domanda s'identifica non 
solo attraverso il petitum ma anche attraverso la causa petendi, sicch� 
anche a quest'ultima occorre aver riguardo per stabilire se l'accoglimento 
della domanda � stato totale o parziale. 

Invero, l'effetto annullatorio della sentenza non rivestirebbe che poco 

o punto interesse per il ricorrente (e per la stessa Amministrazione) 
se non vi si accompagnasse il cosiddetto effetto ordinatorio, che vincola 
l'Amministrazione a non riprodurre nel nuovo provvedimento (il 
quale pu� anche disporre nello stesso senso di quello annullato) i vizi 
riconosciuti dal Giudice, prendendo invece atto che altri vizi sono stati 
dichiarati insussistenti o indeducibili. 
Ci� � particolarmente evidente nell'ipotesi in cui ciascun motivo, 

o gruppo� di motivi, concerna una delle varie fasi del procedimento o 
l'assunzione presso enti ospedalieri non � soggetta alla regola della segretezza, 

prevista solo per le prove scritte dall'art. 8 decreto del Presidente della Repubblica 
27 marzo 1%9, n. 130. 

Tesi. che appare in astratt� contrastante con quella perspicuamente sostenuta 
nella presente sentenza in base alla quale la prova di dattilografia dovrebbe 
produrre un elaborato da esaminare sotto i vincoli dell'anonimato. 

Sulla differenziazione del contenuto delle prove pratiche assegnate ai singoli 
concorrenti si ricorda Sez. V, 18 febbraio 1983, n. 54: � illegittimo l'operato di 
una Commissione esaminatrice di un concorso ospedaliero a primario che abbia 
assegnato ai candidatii, per ciascuna delle prove pratiche, lo stesso tema in � 
violazione dell'art. 62, quinto comma, del d.P.R. 27 marzo 1969, n. 130, e, sul 
sorteggio delle prove di pari difficolt� Sez. V, 29 agosto 1978, n. 903: in sede 
di espletamento della prova pratica di un concorso per sanitario ospedaliero, 
l'assegnazione della prova ad ogni concorrente deve avvenire per sorteggio tra 
quelle prestabilite dalla commissione giudicatrice; se per� l'esecuzione delle 
prove da parte dei primi concorrenti abbia reso tecnicamente impossibile l'espletamento 
delle altre prove predeterminate da parte degli altri concorrenti, la 
commissione ben pu� assegnare altre prove nO'll comprese tra quelle predeterminate, 
ma anche in tale ipotesi deve procedere per sorteggio, tra un numero 
di prove (di pari difficolt�) superiore a quello dei concorrenti residui. 



PARTB I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

dell'attivit� comunque preparatoria o intermedia rispetto al provvedimento 
terminale, oggetto del ricorso. 

In tale caso, se i vizi dedotti siano stati riconosciuti dal Giudice solo 
in una fase del procedimento e siano stati invece esclusi o dichiarati 
inammissibili per ci� che concerne le fasi anteriori, � logico che l'Amministrazione, 
in virt� dell'effetto ordinatorio della sentenza, si ritenga 
tenuta a rinnovare esclusivamente quelle parti della sua pregressa attivit� 
che sono investite dalla ill�gittimit� rilevata dal Giudice, tenendo 
ferme le attivit� precedenti. Il che, sul piano pratico, avrebbe effetti 
assurdamente defatigatori se, concluso il nuovo procedimento, ogni sua 
fase pot�sse essere ancora oggetto di impugnazione e di censura. Ne 
deriva che, nell'ipotesi considerata, sembra inevitabile un accoglimento 
parziale (pur in presenza dell'annullamento dell'atto terminale), con conseguente 
interesse del �ricorrente ad impugnare quella parte della pronuncia 
giurisdizionale che ha disatteso le distinte censure da lui formulate. 


� appena il caso di sottolineare che la tematica in esame, pur presentando 
qualche aspetto di contiguit� con quella relativa ai cosiddetti 
motivi assorbiti, se ne distingue nettamente: nel caso dei motivi assorbiti 
il Giudice omette volutamente di pronunciarsi (a volte per una 
obiettiva ragione logico-giuridica, altre volte per economia di giudizio) 
e dunque manca per definizione una pronuncia idonea a fare stato. 

Non spetta, comunque, a questo Collegio addentrarsi in problemi 
pi� vasti di quelli pertinenti alla fattispecie, e pertanto � sufficiente 
concludere che .la sentenza del T .A.R. Sardegna, che ha annullato la graduatoria 
del concorso per vizi rilevati nello svolgimento delle prove 
orali, ma ha dichiaxlato irricevibili le doglianze prospettate con riferimento 
alle anteriori prove pratiche, non ha corrisposto integralmente 
a quanto formava il contenuto obiettivo e complesso della pretesa fatta 
valere, onde poteva essere legittimamente impugnata da coloro che 
avevano proposto il ricorso in primo grado. 

2. -Affermata, cos�, l'ammissibilit� dell'appello Delogu, resta da prendere 
in esame un'altra questione preliminare adombrata da taluna delle 
controparti: si dice, infatti, che anche ammettendo la sussistenza di 
un originario interesse ad appellare, questo potrebbe essere venuto meno 
in corso di giudizio per effetto dell'approvazione di una nuova graduatoria 
(compilata a seguito della rinnovazione delle prove orali) la 
quale, in ipotesi, potrebbe anche risultare di piena soddisfazione per 
gli originari ricorrenti. In proposito, gli appellati Pisano ed altri avanzano 
una domanda di istruttoria. 
Queste argomentazioni vanno disattese. In realt� non si tratta di 
un'eccezione, ma di una sollecitazione al Collegio perch� assuma l'iniziativa 
di verificare se, per avventura, non siano sopravvenute situa



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

108 

zioni di fatto tali da determinare l'estinzione dell'interesse ad appellare. 
In effetti, gli appellati non deducono, positivamente, che la nuova gra. 
duatoria sia satisfattiva per gli appellanti, e neppure che essa sia stata 
realmente approvata, ma si limitano a prospettare delle astratte possibilit�. 


Si deve osservare, per�, che una volta accertata la sussistenza dell'interesse 
a ricorrere, la sua permanenza sino al momento della decisione 
si pu�, in generale, presumere; spetta a chi vuole vincere la 
presunzione dimostrare, o quanto meno positivamente dichiarare il 
fatto sopravvenuto e la sua rilevanza sugli interessi dedotti in giudizio. 

3. -Si pu�, cos�, passare all'esame dell'appello Delogu, il quale, nella 
parte in cui contesta la declarativa d'irricev.ibilit� dei motivi attinenti 
alle prove pratiche del concorso, appare fondato. 
Sul punto, non occorre una motivazione particolarmente approfondita, 
giacch� questa Sezione, nella decisione parziale relativa all'appello 
incidentale Pisano ed altri (nel quale sosteneva !'irricevibilit� anche dei 
motivi attinenti alle prove orali) ha enunciato principi di massima riferibili 
a questo punto della comp1'essa controversia. Si � detto, infatti, 
che non esiste alcuna norma o principio che imponga ai candidati 
di un concorso di contestare seduta stante� alla commissione, a pena 
di decadenza, le illegittimit� o irregolarit� che si verifichino nello 
svolgimento delle prove. 

Si pu� dunque concludere, sul punto, che la sentenza del Tribunale 
amministrativo va riformata, nella parte in cui ha dichiarato irricevi� 
bili, per tardiv.it�, le censure mosse contro le modalit� di effettuazione 
delle prove pratiche, in base al rilievo che esse non avevano formato 
oggetto di apposito, rituale reclamo presso la commissione del concorso. 


4. -Posto, dunque, che quei motivi a torto erano stati dichiarati 
irricevibili, resta da vedere se essi fossero fondati nel merito. 
La doglianze possono essere cos� raggruppate: 

a) asserita violazione del J?rincipio della par condicio dei concorrenti, 
nella fase dello svolgimento delle prove; 
b) asserita violazione dello stesso princ1p10, sotto il particolare 
profilo della regola dell'anonimit� degli elaborati. 

Con il primo gruppo di censure, si sostiene, in sintesi, che talune 
modalit� seguite dalla commissione avrebbero prodotto l'effetto di rendere 
a qualche candidato pi� facile, e a qualche altro pi� difficile, 
l'esecuzione della p~ova pratica. Gran parte di queste censme, tuttavia, 
riguardano particolari irrilevanti ai fini della legittimit�; cos�, il fatto 
che le bilance di precisione poste a disposizione dei candidati fossero 
in numero limitato pu� aver dato luogo a qualche inconveniente ma 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 109 

non si pu� dire che, nella sostanza, abbia alterato le risultanze della 
prova; lo stesso si pu� dire del fatto che il tempo richiesto per l'assegnazione 
di una prova diversa a ciascun candidato (come prescritto) 
abbia comportato per i primi candidati un leggero aumento del tempo 
a disposizione (comunque non pi� di venti minuti per il concorrente 
pi� favorito, stando all'affermazione degli stessi ricorrenti, peraltro 
contestata dagli avversari, rispetto ad un totale di diverse ore). Queste 
censure debbono dunque essere disattese, anche perch� sono dedotte 
senza un esplicito riferimento alla posizione personale dei ricorrenti, 
sicch� non � neppure chiaro se, in punto di fatto, quegli episodi si 
siano risolti in loro danno piuttosto che in loro vantaggio. 

La censura principale di questo gruppo riguarda, peraltro, i criteri 
adottati per la scelta delle prove. I ricorrenti invocano, al riguardo, il 
disposto del Decreto ministeriale 16 agosto 1974, e ne lamentano la 
violazione. Si tratta della disposizione per cui, ai fini dell'effettuazione 
della prova pratica nei concorsi per farmacia, la commissione deve predisporre 
tante prove diverse (necessariamente di pari difficolt�) quanti 
sono i candidati che debbano sostenere la prova �nella giornata�, in 
modo che ciascun candidato abbia una prova diversa da tutti gli altri 
che svolgono la prova nella stessa giornata (la distribuzione delle prove 
� fatta mediante sorteggio). 

Ora, bench~ i ricorrenti lamentino la violazione di questa regola, 
in realt� ammettono che essa, per quanto la norma testualmente dispone, 
� stata osservata. Premesso che i candidati erano, complessivamente, 
�irca 500, e che pertanto sono stati divisi in dieci turni, ciascuno 
di circa cinquanta, i ricorrenti non negano .il fatto che, all'interno di 
ciascun turno ad ogni candidato � stata assegnata una prova diversa 
(ma di P<tri difficolt�) da quel.le assegnate ai colleghi esaminati nella 
stessa giornata. Da questo punto di vista, dunque, non vi sarebbe stata 
alcuna irregolarit�. 

I ricorrenti, per�, lam�entano il fatto che, di giorno in giorno, la 

�rosa� delle cinquanta (o cinquantadue) prove era sempre la stessa; 

sicch�, a loro dire, i candidati degli ultimi turni avevano la concreta pos


sibilit� di sapere quali erano le prove e di prepararsi di conseguenza. 

In proposito si osserva, innanzi tutto, che da un punto di vista 

strettamente formale, come gi� detto, il modo di procedere cos� descritto 

non costituisce violazione di alcuna norma espressa; da un punto di vista 

sostanziale, si rileva in primo luogo che la formulazione di cinquecento 

prove diverse era praticamente impossibile, tenuto conto del duplice 

limite rappres�entato dalla ovvia regola della �pari difficolt�� e dal 

fatto che, comunque, si doveva trattare di preparazioni farmaceutiche 

realizzabili da una persona sola nel tempo dato e con la normale dota


zione di laboratorio; in secondo luogo, che il numero complessivo delle 

prove predisposte (cinquantadue) era troppo alto perch� l'anticipata 



110 

RASSEGNA DEU..'AVVOCATURA DELLO STATO 

conoscenza di taluna di esse potesse risolversi in un significativo varr 
taggio per i candidati. Va anche tenuto conto della relativa prevedibilit� 
di prove del genere, anche in condizioni normali, nonch�, soprattutto, 
del fatto che lo scopo di queste prove non � quello di verificare 
la capacit� del candidato di affrontare un tema o un problema ignoto, 
bens� quello di verificarne l'abilit� nello svolgimento di operazioni rientranti 
nella normale pratica professionale. 

Questo gruppo di doglianze. va dunque respinto. 

5. -Diversa considerazione meritano, invece, fo doglianze relative alla 
violazione del principio della anonimit� degli elaborati; precisamente 
vien detto che la commissione, pur avendo voluto, apparentemente, prestare 
ossequio a c:iuesta regola, di fatto avrebbe tenuto comportamenti 
tali da vanificarla. 
Al riguardo, i residenti eccepiscono, preliminarmente, che le asserite 
violazioni (che pure contestano) della regola dell'anonimit� sarebbero 
comunque .irrilevanti, perch� quella regola, dettata dal D.P.R. n. 686 
del 1957 per le prove scritte, sarebbe inapplicabile alle prove pratiche. 

Il 
Collegio osserva che, in effetti, le disposizioni generali in materia 

, 
di concorso nulla dispongono, espressamente, riguardo all'anomalia delle 
prove pratiche, ma ci� si spiega agevolmente con la considerazione che 
quello delle prove pratiche � un genus molto vario e dagli incerti confini; 
basti ricordare che taluni regolamenti usano l'espressione �prova 
pratica � per designare un tipo di prova scritta (redazione di un atto 
giudiziario, o simili). 

In generale, si pu� dire che le prove pratiche si dividono in due 
grandi categorie: quelle in cui l'oggetto del giudizio della Commissione 
� un �elaborato� finale (che pu� essere una cosa materiale, un disegno, 
una preparazione chimica e via dicendo, a volte anche insieme ad 
una relazione scritta nella quale il candidato descrive le operazioni compiute, 
i criteri seguiti, i dati rilevati, ecc.); e quelle in cui, invece, la 
commissione valuta direttamente e de visu il modus operandi del candidato, 
e solo marginalmente l'eventuale prodotto di queste operazioni. 

Ci� posto, � inevitabile inferirne che le prove pratiche del primo 
tipo vanno assimilate alle prove scritte, e le altre alle prove orali, salvo 
che non sussistano disposizioni speciali. 

Cos�, per . esempio, alla prova pratica consistente nella guida di un 
automezzo non si potr� applicare la regola dell'anonimato ma si potr� 
applicare una diversa regola, tipica delle prove orali, e cio� quella 
che ogni candidato deve svolgere separatamente la prova, in modo che 
la commisione possa assistervi collegialmente, formulare il proprio giudizio. 


Si pu� ammettere che in taluni casi sia difficile inquadrare una prova 
nell'una o nell'altra categoria; in tali casi, peraltro, si pu� ritenere che 



PARTB I, SEZ. V, GIURISPRt)DBNZA AMMINISTRATIVA 

rientri nei poteri della commissione (semprech� manchino disposizioni 

apposite) scegliere la regola cui attenersi. 

Nel caso in esame, tuttavia, non vi sono perplessit�: dall'insieme 

delle disposizioni regolamentari si evince, con sufficiente chiarezza, che 

nel concorso per farmacie la prova pratica consiste nella confezione di un 

� elaborato � (preparazione fa.rmaceutica e relazione) sul quale si espri


me il giudizio della commissione; mentre da nessuna disposizione � de


sumibile che la commissione deoba assistere collegialmente all'esecu


zione dei lavori da parte di ogni singolo candidato per esprimere in questa 

sede il proprio giudizio (anzi, la ricordata disposizione che prevede lo 

svolgimento . della prova pratica simultaneamente da p~t� di un certo 

numero di candidati sembra indicare il contrario). 
. Sta di fatto, infine, che la commissione ha inteso, in effetti, giudicare 

gli elaborati e non i comportamenti dei candidati; si pu� dunque con


cludere che la prova in questione presentava rilevanti analogie con le 

prove scritte e che pertanto ad essa si applicava la regola dell'anoni


mit� degli elaborati. 

6. -Prima di passare alla verifica delle modalit� di fatto che, secondo 
i ricorrenti, hanno concretato violazioni alla suddetta regola della 
anonimit�, conviene fare alcune precisazioni di massima: 
a) perch� la regola possa dirsi violata, non � necessario che durante 

Ja revisione e la valutazione la commissione (o taluno dei suoi membri) 

sia effettivamente a conoscenza della paternit� dei singoli elaborati, o di 

taluno di questi, ma � sufficiente che siano violate le disposizioni det


tate per garantire l'anonimit�, a prescindere dal fatto che tali violazioni 

siano state provocate intenzionalmente dalla Commissione, o che comun


que questa, essendone a conoscenza, abbia inteso avvalersene, o se ne 

sia avvalsa; 

b) la regola riguarda le scritture documentali, ed impone, in parti


colare, che ogni documento utile ad identificare l'autore dell'elaborato 

resti sigillato sino alla conclusione delle operazioni, questa regola pertan


to non � violata, n�, peraltro, resa superflua o inapplicabile per il fatto 

che circostanze concrete ed inevitabili (ad esempio, il numero ristret


tissimo dei concorrenti, o il fatto che a ciascun candidato sia stata as


segnata una prova diversa) rendano possibile ai commissari formulare 

ipotesi pi� o meno fondate (ma pur sempre destituite di un riscontro 

documentale) circa la paternit� degli elaborati (si prescinde qui, ovvia


mente, dal caso di accordo fraudolento). 

Alla luce di queste precisazioni acquistano piena rilevanza giuridica 

due fatti denunciati dai ricorrenti; primo, che le buste sigillate che 

contenevano le schede con le generalit� dell'autore di ogni singolo 

elaborato erano di materiale inidoneo, s� da rendere possibile la let



112 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
tura in trasparenza; secondo, che giorno per giorno, assegnandosi, come 
prescritto, una prova diversa per ciascun candidato, � stato redatto 
l'elenco delle assegnazioni, senza, peraltro, che si provvedesse a sigillarlo. 
Risultano, infatti, irrilevanti gli argomenti esposti nella relazione della 
commissione, estesa dopo la proposizione del ricorso al T.A.R. ed in funzione 
di questo; e cio� che � le buste erano quelle poste a disposizione 
della commissione � e che sarebbe illogico pensare che la commissione 
stessa, dopo aver scelto (discrezionalmente, cos� si assume) di seguire 
la procedura segreta, avesse predisposto accorgimenti per eluderla o se 
ne fosse servita. Non sono infatti in gioco, come . si � gi� detto, il dolo 

o la buona fede della commissione, bens� rileva l'obiettiva vanificazione 
delle regole formali. 
Non vale nemmeno l'argomento che l'annotazione della prova as-� 
segnata a ciascun candidato era necessaria per prevenire o reprimere 
eventuali frodi, perch� si sarebbero potute adottare modalit� rispettose 
del principio dell'anonimit�. 

Riguardo alla prova dei fatti in discorso, si osserva che nessun problema 
sorge per il secondo (annotazione della prova assegnata a ciascun 
candidato) che � introverso e risulta anche dai verbali, ma anche il primo 
(inidoneit� delle buste), pur contestato con formule di stile, si pu� ritenere 
sostanzialmente accertato, tenuto conto anche del fatto che la commissione, 
nella propria relazione esplicativa, ha preferito giustificarsi adducendo 
la propria estraneit� alla scelta del materiale, e l'assenza di intenzioni 
fraudolente, piuttosto che smentire positivamente l'assunto di 
fatto dei ricorrenti. 

7. -In conclusione, l'appello degli originari ricorrenti va accolto, e, 
in riforma della sentenza appellata per la parte investita dall'appello 
stesso, va ritenuta la ricevibilit� in parte qua del ricorso di primo grado, 
e va pronunciato l'accoglimento stesso, per la parte ancora in contestazione 
e nei limiti ora precisati. 
CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 27 novembre 1984, n. 872 -Pres. Crisci, Est. 
Santelia-Regione Friuli-Venezia Giulia (avv. Pacia e Ricci) c. Soc. 

I.C.F.I. (avv. Benvenuti e Lorenzoni). 
Igiene e Sanit� -Funzioni amministrative trasferite alle Regioni -Competenza 
residua enti locali -Chiusura industrie insalubri. 

Poich� alle Regioni sono state trasferite le funzioni amministrative 
in materia di igiene e sanit� con esclusione di quelle gi� spettanti agli 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 113 

enti locali, compete al Sindaco il potere di ordinare, in base alle norme 
del testo unico delle leggi sanitarie, la chiusura di attivit� insalubri. (1) 

(1) In materia cli attivit� insalubri la giurisprudenza del Consiglio di Stato 
costantemente riconosce che nell'esercizio di poteri ex art. 216 e 217 del T.U. 
1265/1934 il Sindaco agisce in qualit� cli organo governativo (cfr. Sez. V 
25 ottobre 1974, n. 435 e 14 aprile 1978 n. 451). 
La sent. 435/74 riconosce tra le funzioni trasferite alle Regioni anche quelle 
di decidere sui ricorsi gerarchici in materia di industrie insalubri esercitata dal 
medico provinciale prima del D.P.R. 14 gennaio 1972, n. 4. 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 27 novembre 1984, n. 873 -Pres. Crisci. Est. 
Rosini -Toni (avv. Monti), c. Ministro di Grazia e Giustizia (avv. Stato 
Linguiti). 

Impiego pubblico -Arricchimento senza causa � Giurisdizione giudice am, 
ministrativo. 

Ordinamento giudiziario -Magistrato nominato direttore istituto car� 
cerarlo � Non costituisce indebito arricchimento dell'Amministrazione. 

Ordinamento giudiziario � Magistrato � Nomina direttore istituto carcerario 
� Censure sulla norma legittimante -Inammissibilit� in difetto 
impugnazione atto nomina. 

La domanda con la quale un pubblico dipendente chiede venga accertato 
che l'ente di appartenenza si � arricchito indebitamente per le 
proprie prestazioni non retribuite costituisce una richiesta di maggiore 
retribuzione e quindi rientra nella giurisdizione del G.A. (1) 

L'attivit� di direttore di istituto penitenziario svolta dal Procuratore 
della Repubblica non integra una ipotesi di arricchimento indebito dell'Amministrazione, 
in quanto non manca la causa costituita dalla nomina 
a direttore del suddetto da parte del Ministero. (2) 

Le censure sulla vigenza e sulla legittimit� costituzionale della 

norma che consente la nomina di un magistrato a direttore di istituto 

penitenziario sono inammissibili non essendo stato impugnato l'atto di 

nomina. (3) 

(1-3) Non si rinvengono precedenti in termini; l'istituto dell'indebito arricchimento 
� stato sino ad oggi utilizzato nel settore pubblico solo nei rapporti 
dell'Amm.ne con un privato estraneo al proprio apparato; cos� secondo Cons. 
St. Sez. V, 25 ottobre 1978, n. 145, l'amministrazione che nell'esecuzione di una 
opera abbia utilizzato un progetto eseguito da un libero professionista, al di fuori 
di un rapporto contrattuale, ha l'obbligo di indennizzare il professionista non 
in base alle tariffe professionali, ma in base ai principi dello indebito arric� 
chimento. 

Ai princ�pi dell'indebito viene fatto risalire anche il c.d. riconoscimento 

di debito su cui cfr. Sez. Il, parere 6 maggio 1975. 



114 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 5 dicembre 1984, n. 879 -Pres. De Roberto, 
Est. Cortese -Ministro Difesa (avv. Linguiti) c. Consolini (avv. Rizzardi). 


Giustlzia amministrativa � Appello � Notifica. al domicillatario � Art. 140 

c.p.c. � Inapplicabilit�. 
Qualora la notifica dell'Appello debba essere effettuata al domicilio 
eletto dal ricorrente presso il T.A.R. e l'Ufficiale giudiziario trovando 
chiusa la Segreteria del Tribunale provveda al deposito della copia nella 
Casa comunale, apponendo avviso alla porta dell'Ufficio ed inviando 
raccomandata con ricevuta di ritorno, l'impugnazione deve ritenersi non 
rttualmentei notificata e quindi inammissibile per scadenza dei termini. 
(1) 

(1) In materia di notifiche (in questo periodo all'ordine del giorno a Palazzo 
Spada) si pu� ricordare l'ordinanza 27 febbraio 1984, n. 109 della Sez. VI che 
ha rimesso all'Ad. Plen. la decisione in ordine alla validit�, ai fini della decor� 
renza del termine breve prescritto dall'art. 28 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, 
della notificazione della decisione di primo grado al ricorrente presso il procuratore 
costituito, ovvero presso la segreteria del TAR, qualora il ricorrente non 
abbia espressamente eletto domicilio presso il procuratore medesimo, anzich� 
nel domicilio reale o nella residenza effettiva del ricorrente stesso. 
CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 28 dicembre 1984, n. 1067 � Pres. Crisci, Est. 
Grassi -Intendenza di Finanza di Alessandria (avv. Stato Bruno) c. 
Baldi ed altri (n.c.) 

Tributi erariali diretti -Esecuzione esattoriale � Ricorso all'Intendenza Impugnazione 
provvedimento Intendente -Lesione diritto propriet� . 
Giurisdizione G.O. 

Tributi erariali diretti � Esecuzione esattoriale � Ricorso all'Intendente Impugnazione 
silenzio rigetto Intendente � Provvedimento illegittimo 
� Giurisdizione G.A. 

Giustizia amministrativa � Accoglimento ricorso per violazione diritti 
soggettivi � Riforma sentenza � Onere ricorso incidentale per dedurre 
illegittimit� provvedimento. 

Il G.A. difetta di giurisdizione sul ricorso proposto avverso il provvedimento 
dello Intendente di Finanza che neghi la sospensione della 
procedura esattoriale, quando si deduca la lesione del diritto di pro-

i 

1r~1111r1:1:1r12=11111M1:1:r1Jr1t~r1@1r1111r1r1tfltill11r1fi1~1111111111Jrr1=1t11i1r1111&1s11i1t11 


PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA llS 

prtet� in seguito al pignoramento di propri beni effettuato presso l'abitazione 
del debitore erariale. (1) 

Sussiste la giurisdizione del G.A. quando si deduca l'illegittimit� 
del silenzio rigetto dell'Intendente di Finanza sul ricorso per la sospensione 
della esecuzione esattoriale o l'illegittimit� della decisione per tardivit� 

o per mancata acquisizione delle deduzioni dell'esattore. (2) 
Avendo il giudice di primo grado fondato la propria decisione di accoglimento 
del ricorso avverso il provvedimento dell'Intendente di Finanza 
che nega la sospensione dell'esecuzione< esattoriale sull'errato 
presupposto che l'Intendente dovesse vagliare l'efficacia probatoria del 
tttolo di acquisto dei beni pignorati da parte del terzo � onere dello 
appellato riproporre con ricorso incidentale le c�nsure concernenti' le 
11zolazioni procedimentali del provvedimento intendentizio. (3) 

(omissis) Come � noto, la speciale procedura esecutiva fiscale � caratterizzata 
dall'accentuata tutela dello Stato creditore ai fini della sollecita 

e: sicura riscossione dei tributi ad esso dovuti. 
In particolare, le opposizioni giudiziarie regolate dagli articoli 615618 
Cod. proc. civ. (opposizione all'esecuzione e agli atti esecutivi) non 
sono consentite al debitore di imposta e agli altri coobbligati (articolo 
54 secondo comma D.P.R. n. 602 del 1973). I terzi colpiti dall'esecuzione 
possono, invece, proporre l'opposizione di cui all'articolo 619 Cod. proc. 

civ. (art. 52 primo comma D.P.R. n. 602), ma da tale rimedio sono esclusi 
fra gli altri, il coniuge del contribuente e i suoi parenti ed affini fino al 
terzo grado, per quanto riguarda i mobili pignorati nella casa di abitazione 
dell'esecutato (art. 52 lettera b), D.P.R. n. 602), a meno che si tratti 
di beni costituiti in dote con atto avente una determinata data. 
Peraltro, se coloro che sono esclusi dalle predette azioni si ritengono 
in qualsiasi modo pregiudicati dall'esecuzione esattoriale, possono agire 
in sede giudiziaria, ad esecuzione compiuta, contro l'esattore per chiedergli 
il risarcimento del danno (art. 54 ultimo comma D.P.R. n. 602). 

Attraverso questo sistema, le ragioni del Fisco vengono assicurate 
se~a interferenze dell'autorit� giudiziaria sullo svolgimento della pro


(1-2-3) La sentenza fa il punto, con dovizia di richiami giurisprudenziali, 
sul riparto di giurisdizione tra GA. e G.0. in materia di impugnazione del prov� 
vedimento adottato dall'Intendente di Finanza ex art. 53 del d.P.R. 26 settembre 
1973, n. 602, chiarendo che deve adirsi il giudice ordinario quando si 
lamenti la violazione del proprio diritto di propriet� leso da un pignoramento 
ricadente su beni propri invece che del debitore erariale, ed invece il giudice 
amministrativo quando si deduca l'illegittimit� del provvedimento prefettizio 
sotto qualunque profilo. 

Tra i precedenti Sez. IV, 11 novembre 1983, n. 784 e 6 giugno 1978, n. 532, 

ritenevano il ricorso al G.A. limitato all'ipotesi in cui la pretesa consista nel� 

la dkh1armone dell'obbligo dell'Intendente di pronunciarsi nei termini sulla 

proposta opposizione. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

116 

cedura esecutiva (tranne la sospensione, che pu� essere disposta dal 
pretore, ai sensi dell'art. 54 primo comma in caso di opposizione di terzi 
legittimati) ed evitando l'eventualit� immediata che lo Stato stesso 
debba restituire quanto riscosso a seguito dell"esecuzione esattoriale (il 
risarcimento dei danni ai sensi dd citato art. 54, fa carico direttamente 
all'esattore, che ne risponde con Ja cauzione versata). 

Ad attenuare dJ rigore del delineato sistema e a completare la necessaria 
tutela dei soggetti non ammessi alle azioni giudiziarie di cui 
agli artt. 615, 618 e 619 C.p.c. � posta la disposizione dell'art. 53 D.P.R. 
602 del 19731 la quale introduce in loro favore un rimedio amministrativo 
contenzioso: il ricorso all'Intendente di Finanza, il quale decide 'entro 
30 giorni dopo aver sentito l'ufficio delle imposte ed avere invitato l'esattore 
a presentare le sue deduzioni, e pu� anche sospendere gli atti esecutivi 
con provvedimento motivato. 

t!. evidente (e Ja giurisprudenza costituzionale lo ha pi� volte ribadito) 
che contro la decisione dell'Intendente, in quanto atto amministrativo, 
� consentita sempre agli interessati l'azione giurisdizionale davanti 
agli organi competenti, siano essi l'autorit� giudiziaria ordinaria 

o 
il giudice amministrativo (art. 113 Cost.). 
N� questa tutela si risolve in una duplicazione di quella gi� concessa 
agli stessi soggetti, ai sensi del citato art. 54, ultimo comma D.P.R. n. 602 
del 1973. 
Mentre, infatti, quest'ultima norma consente una azione di risarcimento 
dei danni nei confronti del solo esattore e ad esecuzione compiuta, 
. la proposizione del ricorso amministrativo contro gli atti esecutivi dell'esattore 
e la conseguente decisione dell'Intendente di Finanza danno adito 
ad un'azione in sede giurisdizionale nei confronti della Pubblica amministrazione, 
con tutti gli effetti propri della impugnazione dei provvedimenti 
amministrativi, coinvoJgendo l'eventuale responsabilit� dello Stato, a 
prescindere da quella dell'esattore e integrando, cos�, sia pure attraverso 
il preventivo filtro di una delibazione da parte dell'Amministrazione statale 
creditoria, la tutela giurisdizionale dei soggetti colpiti dall'esecuzione 
esattoriale. 

Il punto, tuttavia, � quello di appurare se, e in quali casi, competente 
ad accertare l'illegittimit� della decisione intendentizia sia l'autorit� 
giudiziaria ordinaria, se, e in quali casi, sia il giudice amministrativo. 

Al riguardo la Sezione non pu� non ricordare che la giurisprudenza 
del Consiglio di Stato, dopo essersi espressa, con la decisione VI Sez., 

n. 1004 del'll dicembre 1963, nel senso che il difetto di giurisdizione suJ 
gravame avverso il provvedimento intendentizio decisorio del ricorso 
contro gli atti esecutivi esattoriali, con decisione della stessa VI Sez., 
n. 325 del 27 aprile 1971, ha affermato la giurisdizione del giudice amministrativo 
(cfr. anche C.d.S. VI Sez., n. 468 del 1967; VI S�ez., n. 325 del 
1969). 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

Il contrasto di orientamenti cos� determinatisi ha portato al deferimento 
della questione all'Adunanza plenaria, con l'ordinanza di questa 
Sezione n. 173 del 12 febbraio 1974. Manc� in quella occasione una decisione 
di medto, per la sopraggiunta improcedibilit� del ricorso trasmesso 
all'Adunanza stessa in conseguenza dell'avvenuta estinzione del debito 
di imposta. La decisione di questa Sezione n. 933 del 30 ottobre 1973, 
richiamata dall'attuale appellato nel proprio ricorso a sostegno della proponibilit� 
del gravame davanti al giudice amministrativo, ha affrontato 
i rapporti tra procedura esattoriale e procedura concorsuale ritenendo 
implicitamente la sussistenza della giurisdizione amministrativa sulle orme 
della citata decisione della stessa Sezione n. 468 del 1967. 

Quanto alla Corte costituzionale, questa, con la sentenza n. 67 del 
13 marzo 1974, richiamando anche precedenti decisioni, le quali accennavano 
genericamente alla possibilit� della tutela giurisdizionale contro 
il provvedimento intendentizio davanti ai � giudici competenti �, esplicitamente 
rilevava che la normativa impugnata (artt. 206, 208, 209 e 277 
del T.U. n. 645 del 1958, sostanzialmente identici alla normativa in vigore) 
predisponeva, in via primaria, proprio al fine di assicurare la legalit� 
dell'esecuzione esattoriale, il ricorso all'Intendente di Finanza, conformemente 
alla natura particolare della procedura coattiva in argomento, 
che mette in moto un procedimento contenzioso amministrativo, il quale 
� costringe l'Intendente a provvedere motivamente sulla richiesta di sospensione, 
rimuovendo, se del caso, gli atti es�ecutivi impugnati �. E continuava 
la pronuncia: � Contro il suo provvedimento 'possono essere poi 
esperiti i comuni rimedi propri della giurisdizione amministrativa�. 

Del pari la Corte di cassazione (sentenza della III Sez. civ. 25 ot~ 

tobre 1967, n. 2641), richiamandosi ai principi affermati dalla Corte co


stituzionale, mentre dichiarava la manifesta infondatezza della questione 

di incostituzionalit� del citato art. 207, lett. b), sollevata in riferimento 

all'art. 24 Cost., rilevava quanto alla dedotta illegittimit� della norma in 

riferimento all'art. 25 Cost., che �i ricorrenti incorrono nell'errore di rite


nere� che il �giudice naturale precostituito per legge... debba necessaria� 

mente essere quello ordinario �i laddove, la norma costituzibnale sancisce 

soltanto � il principio della certezza del giudice per modo che esso, sia 

ordinario che amministrativo, deve avere una competenza predeterminata 

rispetto a fattispecie realizzabili�. 

Con sentenza 30 marzo 1968, n. 974, la medesima Corte di cassazione 

SS.UU. dichiarava che il T.U. delle leggi sulle imposte dirette, riferen


dosi alle esecuzioni fiscali, riserva alla cognizione del'autorit� giudiziaria 

soltanto le opposizioni di terzo previste dall'art. 619 C.p.c., con le limi


tazioni sopra accennate, mentre devolve alla cognizione oggettivamente e 

soggettivamente amministrativa dell'Intendente di Finanza ogni altra op


posizione, concludendo che � l'opposizione stessa non poteva essere pro



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

posta dinanzi all'autorit� giudiziaria, la cui giurisdizione sulle opposi


zioni ad ingiunzioni fiscali � limitata nei modi dnnanzi precisati �. 

Nel senso della declinatoria della giurisdizione amministrativa, (per 
ci� che riguarda le pretese attinenti alla lesione della propriet� sui beni 
soggetti all'esecuzione esattoriale, la negarione dell'obbligazione tributaria 
ecc.), sono, dall'altra parte, le pi� pronunce di questa stessa Sezione 
(n. 106 del 24 febbraio 1976; n. 1185 del 12 dicembre 1977; n. 532 
.del giugno 1978 e n. 784 del 15 novembre 1983) e della IV Sezione (n. 277 
del 2 luglio 1976; 1977, I, 1865; 1978, I, 973; 1983 I, '1157; 1976, I, 849). 

Tanto nella decisione della VI Sez., n. 1004 del 1983, negatoria della 
giurisdizione del giudice amministrativo, quanto in quella n. 325 del 1971, 
affermativa di tale giurisdizione, entrambe gi� citate, � stato, infine 
rilevato che nessun argomento testuale poteva desumersi dalla disposizione 
dell'art. 208 'ultimo comma, ultima parte, concernente l'abbreviazione 
del termine per la proposizione del ricorso straordinario al Capo 
dello Stato contro i provvedimenti definiti dell'Intendente di finanza, 
disposirione non riprodotta nel corrispondente art. 53 del D.P.R. n. 602 
del 1973, posteriore all'organica disciplina di tale ricorso data dal D.P.R. 
24 novembre 1971, n. 1199. Si rileva, nelle ricordate decisioni, che, pur 
nella alternativit� del ricorso straordinario al Capo dello Stato con 
quello davanti al giudice amministrativo, la giur.isprudenza e la dottrina 
ammettono Ja possibilit� di far valere con il ricorso straordinario cos� 
interessi legittimi come diritti soggettivi. 

In questo quadro di riferimenti, ritiene il Collegio che non siano da 
condividere le non recenti affermazioni della giurisprudenza di questo 
Consiglio secondo cui tutte le pretese fatte valere nel ricorso all'Intendente 
di finanza e da questo disattese rientrano nella giurisdizione del 
Consiglio 4i Stato. Secondo tale orientamento, il legislatore, nel disciplinare 
il procedimento giudiziale, che sfocia nella decisione dell'Intendente 
di finanza, pi� che tutelare direttamente le pretes~ dei singoli 
esclusi dai normali rimedi giurisdizionali di cui agli artt. 615-618 e 
619 Cod. proc. civ., avrebbe avuto presente in via immediata l'interesse 
pubblico alla legalit� e regolarit� dell'azione amministrativa, combinato 
con l'interesse pubblico alla celerit� dell'es�ecuzione fiscale. Si tratterebbe, 
quindi, di norme di azione che, anche se vincolano l'Intendente 
di finanza all'accertamento di situazioni giuridiche soggettive rigidamente 
regolate dall'ordinamento, sono poste innanzi tutto nell'interesse del 
buon andamento dell'azione amministrativa, con tutela solo indiretta 
dei singoli. 

Come hanno �esattamente posto in luce le pi� recenti decisioni di 
questo Consiglio sopra citate, la causa petendi delle richieste avanzate 
dalle parti �, in questa materia, sostanzialmente rappresentata, per la 
massima parte, da situazioni di diritto soggettivo dedotte in via principale, 
e non meramente incidentale, sia pure attraverso la censura 

f 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

dell'operato dell'_esattore o dell'Intendente di finanza, i quali della sussistenza 
di dette situazioni non si sono dati carico (accertamento negativo 
dell'obbligazione tributaria, accertamento della non comprimibilit� 
del diritto di propriet� sui beni assoggettati all'esecuzione esattoriale, 
ecc.). 

_ Poich�, quindi, in questi casi l'essenza della pretesa dedotta nel ricorso 
all'Intendente deriva dalla lesione di tipici diritti soggettivi, di carattere 
patrimoniale, e nessun margine di discrezionalit� tale da determinare 
il noto fenomeno dell'affievolimento appare consentito all'esattore 
nel corso dell'esecuzione e all'Intendente di finanza nella decisione 
del ricorso contro gli atti esecutivi (tranne, forse, nell'esercizio della, 
facolt� di sospensione, sul quale cfr. Cassazione SS.UU. 5 marzo 1980 

n. 1472), non vi � alcuna plausibile ragione di ipotizzare l'esistenza di 
norme di azione, anzich� di relazione. 
Sotto questo profilo la Sezione, aderendo alla pi� recente giurisprudenza 
di questo Consiglio, gi� menzionata, ritiene che sussista il difetto 
di giurisdizione del giudice amministrativo, in ordine alle pretese avanzate 
dal Baldi Pietro nell'originario ricorso, in relazione all'asserita lesione 
del suo diritto di propriet� in seguito al pignoramento di beni da 
lui acquistati nell'ambito della procedura faUimentare a carico della 
sorella Baldi Carla e rinvenuti nella casa di quest'ultima nel corso dell'ese�uzione 
esattoriale a di lei carico. 

Non � peraltro da escludere che, indipendentemente dagli aspetti fin 
qui esaminati, gli atti esecutivi dell'esattore contro i quali � consentito 
ricorso all'Intendente di finanza ai sensi del citato art. 53 D.P.R. n. 602 
e la conseguente decisione amministrativa possano dare luogo alla lesione 
di interessi legittimi. 

Coloro i quali sono legittimati al ricorso all'Intendente di finanza 
possono, infatti, avere un interese qualificato, a prescindere dalla lesione 
del Joro diritto di propriet�, a far valere le irregolarit� del procedimento 
esecutivo (gen�rica o errata identificazione dei beni pignorati, irregolarit� 
formali degli atti esecutivi) o l'illegittimit� della decisione intendentizia 
(difetto o contraddittoriet� della motivazione, mancata audizione 
dell'ufficio delle imposte, omessa acquisizione delle deduzioni dell'esattore 
ecc.); e ci� allo scopo di ottenere, mediante la decisione favorevole 
dell'Intendente di finanza o dell'Autorit� giurisdizionale, la sospensione 
dell'�esecuzione o, quanto meno, nelle more della rinnovazione degli 
atti illegittimi, un ritardo della vendita forzata che consenta, nel caso 
che frattanto il debito tr.ibutario venga soddisfatto o in altro modo 
estinto, di ottenere la restituzione dei beni pignorati alla loro disponi� 
bilit� 

Negli accennati casi, non apparendo la deduzione dei vizi di legittimit� 
necessariamente e inscindibilmente connessa con la lesione di diritti 
soggettivi perfetti, si versa in materia di interessi legittimi, con cons�e



120' RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

guente giurisdizione del giudice amministrativo (cfr. citate sentenze della 
Corte costituzionale 13 marzo 1974, n. 67 e della Corte di cassazione 
SS.UU. 5 marzo 1980, n. 1472, in materia di diniego di sospensione degli 
atti esecutivi da parte dell'Intendente di finanza, nonch� le citate decisioni 
del Consiglio di Stato, IV Sez., 24 febbraio 1976 n. 106, 6 giugno 
1978, n. 532 e 11 novembre 1983, n. 784, in materia di obbligo dell'Intendente 
di pronunciarsi nei termini sulla proposta opposizione). 

Sotto questo profilo, potrebbe affermarsi la giurisdizione del giudice 
amministrativo per la parte dell'originario ricorso del sig. Pietro Baldi 
conc�rnente l'asserita illegittimit� del silenzio-rigetto dell'Intendente di 
finanza o della successiva decisione, adottata oltre il trentesimo giorno 
dalla presentazione del ricorso e senza avere preventivamente acquisito 
specifiche deduzioni da parte dell'esattore. 

Va peraltro notato che il giudice di prime cure ha esclusivamente 
fondato la propria pronuncia su questione che, come si � detto, incide 
su diritti soggettivi, cio� sul convincimento che l'Intendente di finanza do


vesse vagliare l'efficacia probatoria del tito~o di acquisto allegato dal privato 
(contratto di compravendita, avente data C'erta, stipulato con il curatore 
fallimentare) onde riconoscere, eventualmente, il diritto del privato 
stesso, ai sensi dell'art. 2910 Cod. civ., di non soggiacere con i beni 
di sua propriet� all'esecuzione forzata (e stimando, perci�, di natura 
meramente processuale la norma dell'art. 65 D.P.R. n. 602, in contrasto 
con quanto ritenuto nelle sentenze della Corte costituzionale nn. 42 e 
93 del 1964 e n. 4 del 1973, nonch� della Corte di cassazione Sez., I, 
15 luglio 1983, n. 4873; III Sez. 4 giugno 1969; I Sez. 25 ottobre 1967 

n. 2541, ecc.). 
La sentenza impugnata non ha invece considerato gli ulteriori vizi 
dedotti acarico del provvedimento intendentizio circa la violazione delle 
disposizioni procedimentali dettate dal citato art. 53 del D.P.R. n. 602. 

Era onere dell'appellato riproporre in questa sede le relative censure, 
con ricorso incidentale. Ma ci� non � avvenuto e non � perta~to consentito 
alla Sezione di dar corso ad un esame nel merito dei citati motivi, proposti 
solo nel ricorso di primo grado e considerati assorbiti nella sentenza del 

T.A.R. 
Per le suesposte considerazioni, l'appello dell'Amministrazione va 
accolto e va dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo 
con le precisazioni e nei limiti, suindicati. � 

I 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, ordinanza 5 febbraio 1982, n. 68 -Pres. 
Crisci -Est. Merenda -Iraci (avv. Dean) c. U.S.L. di Perugia (avv. 
Migliorini) e Casotto (avv. Scoca). 

Cosa giudicata -Accoglimento parziale ricorso -Esecuzione in base a 
capo sentenza primo grado � Appello � Effetto sui �provvedimenti 
adottati. 


I 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 121 

Dubl?i sull'applicabilit� dell'art. 336 cod. proc. civ. 

E dubbio in giurisprudenza se la forza del giudicato amministrativo 
possa estendersi fino al punto di prescindere dalle situazioni venute 
storicamente a determinarsi nel corso del giudizio, anche di appello, 
ad opera dell'Amministrazione (attraverso l'emanazione di atti, anche 
illegittimi, sostitutivi di quello annullato in sede giurisdizionale), ovvero 
non emerse nel giudizio stesso (perch� ignorate dal giudicante); pertanto, 
va deferita all'Adunanza plenaria la questione se nel giudizio di 
ottemperanza al giudicato trovi applicazione l'art. 336 cod. proc. civ., 
secondo il quale la riforma dell'atto impugnato, con sentenza passata 
in giudicato, estende i suoi effetti ai provvedimenti ed agli atti dipendenti 
dalla sentenza riformata (1). 

II 

CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., 11 marzo 1984, n. 6 -Pres. Pescatore Est. 
Vacirca -Iraci (avv. Dean) c. U.S.L. n. 3 (avv. Migliarini) e Casotto 
(avv. Scoca). 

Cosa giudicata -Atto vincolato -Atto difforme -Giudizio di inottempe.
ranza -Termine impugnazione. 

Sanit� -Sanitario -Concorso -Sovvertimento della graduatoria da parte 
del G. A. -Impossibilit� riesame da parte Commissione -Nullit� relativa 
delibera -Proclamazione vincitore concorso da parte G. A. � 
Commissario. 

Quando in ottemperanza al giudicato l'Amministrazione sia tenuta 
all'adozione di un atto a contenuto vincolato, essa � priva del potere 
di provvedere diversamente e gli atti difformi possono essere dichiarati 
nulli dal G. A., anche se impugnati oltre l'ordinario termine di decorrenza, 
finch� duri l'azione di giudicato (2). 

Quando il G. A. abbia stabilito in sentenza il sovvertimento delta gra


duatoria con la collocazione puntuale dei candidati nei posti spettanti, 

la Commissione convocata dall'Amministrazione non pu� riesaminare i 

titoli e modificare le posizioni dei candidati; deve quindi dichiararsi 

nulla la relativa delibera e deve procedersi alla nomina del vincitore 

del concorso, risultando superflua la nomina di un commissario (3). 

(1-5) Ripubblichiamo la massima della sentenza n. 6/84 dell'Adunanza 
Plenaria, unitamente a quella tratta da Ad. Plen. 18/82 e dall'ord. 68/82 della V 
per rettificare quanto segnalato nella nota redazionale gi� pubblicata in questa 
Riv. 1984, 515: difatti come emerge dalla lettura combinata delle 3 pronunce 



122 

RASSEGNA DBLL'AWOCATURA DELLO STATO 

Accolto parzialmente il ricorso al T AR avverso una graduatoria, qualora 
l'Amministrazione abbia riesaminato i titoli in esecuzione di un 
capo della sentenza di I grado, � dubbio se la decisione di secondo 
grado travolga anche la seconda graduatoria in applicazione del principio 
di cui all'art. 336 cod. proc. civ. o se essa debba essere autonomamente 
impugnata (4). 

III 

CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., sent. 3 dicembre 1982, n. 18 -Pres. 
Pescatore -Est. Berruti -Iraci (avv. Dean) c. U.S.L. .di Perugia (avv. 
Mi~liorinj) c. Casotto (avv. Scoca). 

Cosa giudicata � Giudicato a formazione progressiva � Esecuzione in base 
a capo sentenza primo grado � Invalidit� sopravvenuta per incom� 
patibilit� con decisione appello � Applicabilit� 336 cod. proc. civ. 

Nell'ipotesi di giudicato a formazione progressiva che si ha quando 
una parte dei motivi venga accolta in primo grado ed una seconda in 
appello, l'Amministrazione pu� procedere all'esecuzione dei capi definitivi 
della decisione di primo grado pur in pendenza dell'appello, ma tali 
atti di ottemperanza incorrono in invalidit� sopravvenuta quando non 
risultino compatibili col giudicatQ definitivo, ai sensi dell'art. 336 cod. 
proc. civ. applicabile anche al processo amministrativo (5). 

la questione posta dalla Sez. V era gi� stata decisa dalla Plenaria con la 
sent. 18/82, per cui Ad. Plen. 6/84 � intervenuta nuovamente sulla questione 
solo in sede di ottemperanza. Resta quindi superato anche quanto si era rilevato 
circa la nomina del Commissario ad acta. 

I 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 19 novembre 1984, n. 652 -Pres. Caianiello, 
Est. Nocelli -Ceccarelli (avv. Bartali) c. Ministero delle Poste (avv. 
Stato Palizzi). 

Impiego pubblico � Scrutinio � Annullamento � Nuova impugnazione scrutinio 
annullato � Mancata deduzione in giudizio � Nuovo annullamento � 
Efficacia sentenza. 

Giustizia amministrativa � Esecuzione giudizio � Annullamento scruti� 
nio � Ricorso per inottemperanza. 

Quando venga impugnato per la seconda volta uno scrutinio e l'Amministrazione 
non eccepisca l'annullamento dello stesso gi� decretato dal 



PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 123 

giudice nell'altra causa, la nuova sentenza di annullamento concorre a 
delimitare l'ambito di discrezionalit� dell'Amministrazione nella reiterazione 
dell'atto annullato. (1) 

Mentre a seguito dell'annullamento dello scrutinio ottenutO su domanda 
giudiziale di altri l'interesse dello scrutinato alla sollecita reiterazione 
del procedimento concorsuale � tutelato solo con il procedimento 
del silenzio-rigetto, per effetto del nuovo annullamento avvenuto 
a seguito della propria azione lo scrutinato pu� ricorrere al giudizio 
di inottemperanza. (2) 

II 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 26 novembre 1984, n. 664 -Pres. Quartulli, 
Est. Pajno -Baciocchi (avv. Sciacca) c. Aeroclub d'Italia (avv. Selvaggi) 


Giustizia amministrativa -Esecuzione del giudicato -Dispensa dal servizio 
-Annullamento � Atto elusivo del giudicato. 

Giustizia amministrativa � Esec.zione del giudicato � Dispensa dal ser� 
vizio � Annullamento � Ripristino rapporto servizio subordinato ad 
accertamento sanitario � Atto elusivo del giudicato. 

Giustizia amministrativa � Esecuzione del giudicato � Ricorso per inottemperanza 
� Richiesta interessi e rivalutazione su retribuzioni arretrate � 
Ammissibilit�. 

Anullato il provvedimento di dispensa dal servizio di un pubblico 
dipendente, l'atto difforme dal giudicato o elusivo dello stesso � nullo 
in quanto posto in essere in carenza di potere e va impugnato col ricorso 
per inottemperanza. (3) 

Annullata la dispensa dal servizio di un pubblico dipendente sia 
per il mancato superamento del periodo massimo di aspettativa sia 
per l'esistenza di vizi di forma del giudizio di non idoneit�, la delibera 

(1-5) Si riportano due decisioni in materia di esecuzione del giudicato contenenti 
spunti di un certo interesse: cos� la 652/84 per quanto concerne gli effetti 
del duplice annullamento in due distinte cause dello stesso scrutinio a istanza 
di parti diverse. 

La 664/84, ineccepibile sul piano della sistemazione teorica lascia qualche 
perplessit� per quanto concerne l'applicazione pratica dato che le ragioni dell'annullamento 
della dispensa cos� come accennate (vizi di forma del giudizio 
di non idoneit�) non sembrerebbero escludere la necessit� di un nuovo accertamento 
dello stato di salute della dipendente, sicch� potrebbe sembrare ecces




124 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

dell'Ente di appartenenza che subordini il ripristino del rapport9 di servizio 
all'accertamento dello stato di salute della dipendente costituisce 
elusione del giudicato. (4) 


In sede di esecuzione del giudicato possono essere riconosciuti al 
dipendente, la cui dispensa dal servizio sia stata annullata, gli interessi 
e la rivalutazione monetaria sugli arretrati dovuti dall'Ente di appar-� 
tenenza. (5) 

siv� imporre all'Amministrazione prima di ripristinare il rapporto di servizio e 
poi di procedere alla visita sanitaria. 

Sull'esecuzione delle sentenze che abbiano annullato degli scrutini la giurisprudenza 
si � spesso occupata dell'estensione dell'obbligo di rinnovazione 
anche agli scrutini di promozione successivi, offrendo soluzioni non sempre 
concordi (�fr. Sez. IV, 1 aprile 1972, n. 230 e Sez. VI, 2 marzo 1983; n. 108). 

Nel panorama giurisprudenziale sembra costituire una rilevante novit� 
l'affermazione contenuta nella ultima massima che contrasta con quanto pi� 
volte deciso dalla Sez. V con sent. 10 ottobre 1983, n. 430 e 19 ottobre 1983, n. 455, 
ai sensi delle quali: � inammissibile la domanda volta ad ottenere, in sede di 
giudizio di ottemperanza, la rivalutazione monetaria e gli interessi sulla somma 
rivalutata ove tale pretesa non sia stata avanzata (o, comunque, considerata) 
nel processo di merito concluso con il giudicato al quale si chiede che l'amministrazione 
ottemperi. 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 4 dicembre 1984, n. 685 -Pres. Caianiello 
Est. Meale -Regione Lombardia (avv. Stato Ferri) c. Soc. Costruzioni 
Generali Prefrabbricati (avv. Ribolzi, Zanchi e Salvucci). 

Regioni -Avvocatura dello Stato -Patrocinio obbligatorio e facoltativo Sussistenza 
di entrambe -Procura formale. 

Miniere, cave e torbiere -Cave -Autorizzazione -Cava di prestito -Car�t� 
tere temporaneo -Destinazione materiali ad opera pubblica. 

Miniere, cave e torbiere -Cava -Autorizzazione -Diniego -Programma� 
zione -Piano delle cave. 

Miniere, cave e torbiere -Cava -Autorizzazione -Diniego -Parere "favorevole 
del Comune -Interessi tutelati dal Comune e dalla Regione. 

Anche dopo l'entrata in vigore della normativa che consente alle 
Regioni, che lo abbiano deliberato nelle dovute forme, di avvalersi del 
patrocinio dell'Avvocatura dello Stato secondo il regime previsto per 
le Amministrazioni statali (c.d. patrocinio obbligatorio), permane la possibilit� 
per le Regioni di utilizzare il sistema del patrocinio facoltativo 
proprio delle Amministrazioni non statali, deliberando volta per volta 



PARm I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 125 

di affidare all'Avvocatura lo incarico difensivo senza necessit� di formale 
procura. (1) 

� soggetto al generale regime di autorizzazione regionale l'esercizio 
della c.d. cava di prestito, anche se l'attivit� abbia carattere temporaneo 
e se i materiali siano destinati alla esecuzione di opera pubblica (2). 

. Non � illegittimo il provvedimento regionale che neghi l'autorizzazione 
all'esercizio di una cava per contrasto con la visione programmata 
dello sfruttamento dei materiali del sottosuolo anche se il piano 
delle cave non sia stato ancora adottato. (3) 

Non � illegittimo il provvedimento regionale che neghi l'autorizzazione 
all'esercizio di una cava adottato senza tenere conto del parere 
favorevole espresso da un Comune, in quanto l'intervento di quest'ultimo 
ha finalit� urbanistico ambientali mentre la Regione contempera 
tale interesse con quello relativo al corretto uso delle risorse minerali. 
(4) 

(1) Importante decisione del Consiglio di Stato che sembra avere intenzione 
di seguire la strada tracciata dalla Cassazione con la sent. 15 marzo 1982, n. 1672 
delle Sez. Un. nella quale si ammetteva la compatibilit� dei due sistemi del patrocinio 
obbligatorio e facoltativo per le Regioni e si affermava la non necessit� 
di un formale mandato. Nella giurisprudenza del Consiglio di Stato, si rinvengono 
quali precedenti Sez. V, 1� marzo 1977, n. 151 che dichiarava inammissibile 
l'Appello proposto dal Presidente della Reg. Friuli senza l'autorizzazione a stare 
in giudizio previsto dall'art. 46 dello Statuto non rilevando la circostanza, del 
patrocinio da parte della Avvocatura. La sentenza 12 ottobre 1982, n. 482 della 
VI Sez. dichiarava che l'Avvocatura non necessita di apposito mandato per 
difendere in giudizio l'Universit� ed in genere gli enti pubblici non statali 
autorizzati. 
La presente decisione, nega la necessit� di un formale mandato ma non, a 
quando sembra, quella di una apposita delibera da adottare per ogni singola 
causa. 

(2-4) Nessun precedente specifico sulle questioni riassunte nelle massime 
che sono piuttosto peculiari. Sulla posizione del Comune nel procedimento di 
au~orizzazione all'esercizio della cava cfr. per qualche riferimento Cons. St. VI, 
3 marzo 1982, n. 155 e 2 marzo 1983, n. 119. 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 4 dicembre 1984, n. 688 � Pres. Caianiello 
Est. Nocelli -Pacifico (avv. Spagna e Mazziotti) ed altri c. Ministero del 
Lavoro (avv. Stato Imponente) ed altri. 

Giustizia amministrativa � Appello � Appello incidentale � Interesse ad 
impugnare. 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

Giustizia amministrativa -Pluralit� di impugnazioni � Appello principale 
ed incidentale -Termine per l'impugnazione -Riunione giudizi. 

Giustizia amministrativa -Appello incidentale autonomo -Termine ordinario 
per deposito -Appello incidentale proprio � Termine breve per 
deposito. 

Nel processo amministrqtivo il ricorrente incidentale non ha una 
posizione omogenea a quella del ricorrente principale in quanto l'interesse 
all'impugnativa nasce per lui non dal provvedimento impugnato 
ma dal ricorso altrui giustificandosi per l'eventualit� che esso venga 
accolto. (l) . 

Nel giudizio con pluralit� di parti tutte le impugnazioni successive alla 
prima, sia che assumano la forma dell'appello principale sia quella dello 
appello incidentale, devono essere proposte nel termine mass.imo di sessanta 
giorni dalla data di ricevuta notifica dell'Appello principale salvo 
che non sia stata in precedenza notificata anche la sentenza, onde consentire, 
anche con la riunione dei giudizi, il simultaneus processus (2). 

L'appello incidentale autonomo o improprio non deve essere depositato 
entro dieci giorni dalla notifica; termine questo che va osservato solo 
per l'appello incidentale proprio ovvero per quella impugnazione che non 
solo si dirige contro l'impugnazione principale ma si inserisce nello stesso 
processo (3). 

(omissis) La sentenza n. 456 del 20 settembre 1982 con cui il T.A.R. 
Campania, accogliendo nel merito il ricorso di De Simone Irene e Zannini 
Giulia, ha annullato la decisione (21 maggio 1980) della Commissione 
provinciale per il collocamento di Caserta, che aveva a sua volta accolto 
il gravame amministrativo di Tartaglia Rita, Palmieri Maria, Ambrosino 
Elena, Miraglia Marfa, Brodella Maria, Fusco Caterina e De Biase Palma 
avverso le determinazioni della Sezione di collocamento di Mondragone 
comportanti la loro cancellazione dalla lista speciale e dalla graduatoria 
ex artt. 4 e 5 della legge n. 285 del 1977, nonch� la conseguente 

(1-3) Pr~gevole decisione relativa alla questione del deposito dell'Appello 
incidentale il cui termine di 10 giorni risulta spesso difficilmente rispettabile; 
la Sezione conferma l'evoluzione dell'orientamento del Consiglio di Stato che 
� maturato nel senso di una attenuazione del rigoroso formalismo iniziale a 
partire dalla sent. 2 maggio 1983, n. 308, la quale ebbe ad affermare che, nel 
processo amministrativo si applica l'art. 333 cod. proc. civ., per cui la parte 
alla quale sia stata notificata l'impugnazione principale, deve a sua volta 
proporre le proprie doglianze nello stesso processo in via incidentale. Tuttavia, 
allorch� lo scopo di concentrare gli appelli proposti avverso la medesima 
sentenza sia raggiunto mediante la riunione di gravami proposti separatamente, 
la violazione della norma predetta non ha rilievo e non pu� essere pronunciata 
la nullit� del ricorso in appello. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 127 

revoca del gi� connesso nulla-osta per avviamento al lavoro presso lo 
stesso Comune di Mondragone, � stata invest.ita da sei appelli, che vanno 
pertanto riuniti, a mente dell'art. 335 C.p.c., e contestualmente decisi. 

Appellante in via principale � Pacifico Salvatore, il quale, pur titolare 
di una posizione prospettata come identica a quella fatta valere 
da De Simone e Zanini con l'originale ricorso, � rimasto, a differenza 
delle sue litisconsorti totalmente soccombente nel giudizio di pr.imo grado 
per avere il Tribunale ravvisato sussistente una conc;lizione di im


. procedibilit� dell'impugnativa da esso Pacifico proposta, conseguente 
alla sua cancellazione, medio tempore intervenuta, dalla lista speciale 
ex lege n. 285 del 1977, l'iscrizione alla quale era, com'�, da considerare 
comunque presupposto di legittimazione al processo per tutti i ricorrenti 
originari. 

In ragione dell'anteriorit� cronologica di questo appello, le appellate 
De Simone e Zanini sollevano, in resistenza a tutte le altre successive 
impugnazioni, varie questioni pregiudiziali di rito, per Ja cui intelligenza 
� necessario individuare J'esatta posizione assunta dalle parti in 
questo grado del giudizio, con particolare riguardo al complessivo contenuto 
dispositivo della gravata s�entenza e alle reciproche soccombenze 
derivatene. 

Come avverte la stessa difesa delle dnteressate, � pregiudiziale l'esame 
dell'eccezione d'inammissibilit� sollevata nei confronti dell'appello dell'Avvocatura 
(n. 79 del 1983), poich� l'Amministrazione, a differenza degli 
altrJ appellati e appellanti incidentali, ha interesse a che sia riaffermata 
la legittimit� del provvedimento, originariamente impugnato, nella sua 
integrit�. Un eventuale accoglimento di tale gravame peraltro, non renderebbe 
superfluo l'esame degli altri sotto i profili di rito qui prospettati 
dalle resistenti De Simone e Zanini, avendo ciascuna delle parti private 
interesse a che sia accolta la propria impugnativa; analogamente, la 
eventuale declaratoria d'inammissibilit� dell'appello proposto dalla difesa 
erariale indurrebbe il Collegio ad esaminare l'aminissibi1it� delle altre 
impugnative incidentali sino al punto in cui, potendo eventualmente pervenirsi 
alla conferma della decisione del T.A.R. sulla questione di merito, 
risultassero soccombenti in grado di appello almeno tre dei detti appellanti 
incidentali (in guisa da lasciare liberi tre posti di lavoro per soddisfare 
l'interesse sostanziale dei tre originari ricorrenti Pacifico, De 
Simone e Zannini). 

Orbene, le appellate sostengono che il gravame dell'Avvocatura � 
inammissibile perch�, dovendo assumere necessariamente la struttura 
dell'appello incidentale (in quanto proposto dopo la notifica dell'appello 
Pacifico, da considerarsi principale, ed anche successivamente all'appello 
incidentale Tartaglia-Palmieri), esso risulta non notificato alla stesso appellante 
principale, notificato irritualmente alle predette Tartaglia e PalInieri 
(a foro volta prime appellanti incidentali in ordine cronologico) 


128 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO. 

e, infine, depositato oltre i dieci giorni successivi all'ultima notifica, 
in violazione dell'art. 37 del r.u. n. 1054 del 1924. 

Delle denunziate frregolarit� formali solo la terza sembrava avere 
un qualche peso, poich�, quanto alle prime due, va subito rilevato che 
l'appello in questione � stato ritualmente (i.l 31 dicembre 1982) notificato 
alle stesse De Simone e Zanini, totalmente vittoriose nel giudizio di 
primo grado, onde la mancanza e/o invalidit� delle altre notifiche non 
� causa di inammissibilit�, ma semmai, di impro�edibilit� delle impugnative 
(cfr. VI, Sez., 21 marzo 1980, n. 392; VI Sez., 26 settembre 1980, 

n. 952; Adun. gen., 28 ottobre 1980, n. 39), nella specie inconfigurabile 
per essersi ricostituita l'integrit� del contradditorio in seguito alla gi� 
disposta riunione di tutti gli appellanti dn esame. Il terzo profilo della 
complessa argomentazione difensiva, invece, impone un riesame di quell'ordinamento 
giurisprudenziale che, in modo abbastanza unanime (con la 
sola eccezione della dee. n. 308 del 1983 di questa Sezione) intende 
senz'altro estensibile al processo amministrativo d'appello il principio 
sancito dall'art. 333 C.p.c., con la conseguenza di estendere ad ogni 
impugnazione, cronologicamente successiva alla prima, lo speciale regime 
che l'art. 37 del R.D. 26 giugno 1924, n. 1054 riservava al ricorso 
incidentale nel giudizio in unico grado dinanzi al Consiglio di Stato 
(V Sez., 15 dicembre 1978, n. 1614; 19 ottobre 1979, n. 584; IV Sez. 28 agosto 
1981 n. '677; 21 giugno 1982, n. 398; 25 marzo 1983 n. 165; etc., 1979, 
I, 1369; 1981, I, 917; 1982, I, 796; 1983, I, 242). In proposito, la Sezione 
ritiene che J'indicato orientamento giurisprudenziale non possa condividersi 
quanto all'estensione e al rigore formale con cui intende ed applica 
il principio di � concentrazione � nel processo amministrativo di 
terzo grado, e che debba invece ribadirsi il contrario orientamento espresso 
nella sua precedente decisione n. 308 del 1983, ancorch� con gli adattamenti 
resi necessari dalla peculiarit� della fat~ispecie qui in esame. 
Come � noto, il concetto d'incidentalit� � proprio della disciplina ~ 
del processo civile ed aveva, inizialmente, una connotazione pi� spicca~ 
tamente sostanziale, in quanto serviva ad individuare un rapporto di 
dipendenza (art. 485 secondo comma C.P.C. del 1865) o di connessione 
(art. 470 stesso codice) tra due o pi� impugnative volte contro la stessa 

I

sentenza delle quali la prima fosse sorretta da una posizione1 di soccomben! 
za (totale o parziale) rispetto a quelle, o un interesse opposto (controimpu


I

gnazione) o un interesse omog~neo (appello adesivo). Non era invece i 

If,

prevista l'obbligatoriet� della forma incidentale per la parte che avesse 
un interesse � autonomo � a gravarsi della decisione del primo giudice, 
perch� siffatto mezzo di impugnazione veniva in rilievo nel solo caso ! 

l 
{

che fosse scad,uto l'ordinario termine per appellarsi in via principale e 
costituiva quindi un ampliamento della facolt� di impugnazione concessa 
alla parte, gi� acquiescente, al fine di ristabilire l'equilibrio, fissato nella l 
! 

II 
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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

sentenza di primo grado tra i vari interessi in contrasto, che fosse stato 
rimesso in discussione dall'altra parte, impugnante in via principale. 
Su questo paradigma si � modellato il ricorso incidentale ex art. 17 

R.D. n. 1054 del 1924, ma limitatamente al �tipo� della controimpugnazione, 
essendo noto che ~l ricorrente incidentale nel processo amministrativo 
non � titolare di una posizione omogenea a quella del ricorrente 
principale (cointeressato) n� pu�, comunque, denunziare una lesione 
direttamente e immediatamente derivante dal provvedimento impugnato 
con il ci.corso principale; l'interesse all'impugnativa nasce, per lui, dal 
ricorso altrui e si giustifica per l'eventualit� che detto ricorso venga 
accolto, sicch� subisce la disciplina formale dell'appello incidentale tardivo 
quale risultante' dall'art. 487 C.P.C. del 1856, pur senza ricomprendere 
tutte le ipotesi riconducibili allo schema dell'impugnazione incidentale nel 
, processo civile, difettandone innanzitutto il presupposto (comuPe a tutti 
gli appelli incidentali �autonomi�) della soccombenza immediata rispetto 
a statuizioni autonome del provvedimento _non toccate dal ricorso 
principale, e non potendo mai assumere, in secondo luogo e di conseguenza, 
il carattere della (possibH�) tardivit� proprio dello strumento 
impugnatorio di secondo grado stante la gi� rilevata mancanza di autonomia 
della lesione deducibile con il detto ricorso incidentale rispetto 
alla prima impugnativa rivolta contro lo stesso provvedimento. Il codice 
di procedura civile del 1940 ha notevolmente innovato nel sistema 
delle impugnazioni sancendo il principio della loro concentrazione in 
un unico processo (art. 333), il che ha creato sovente confusioni come 
non hanno mancato di avvertire dottrina e giurisprudenza -tra 
appello incidentale � proprio � e � improprio �, distinzione, questa, che 
comunque da Cassazione ha tenuto ferma per escludere l'ammissibilit� 
dell'impugnazione tardiva di tipo improprio (invertente, cio�, un capo di 
sentenza affatto diverso da quello impugnato in via principaJe; cfr. ad 
es., Cass., 23 ottobre 1980, n. 5706; 24 giugno 1980, n. 3965; 28 maggio 1980, 

n. 3504; 21 maggio 1977, n. 2130; 29 maggio 1976, n. 1939, ecc.; per una 
interpretazione pi� elastica dell'art. 331 C.P.C., si vedano, peraltro, Cass., 
Sez. lav., 8 giugno 1981, n. 3698; 17 gennaio 1983, n. 374; Sez. un., 27 aprile 
1983, n. 2886). 
La giurisprudenza del Consiglio di,Stato in materia appare, invece, 
alquanto incerta. Alle pronunce che valorizzano il profilo squisitamente 
formale dell'istituto della incidentalit� (traendone la conseguenza che in 
ogni caso l'appello cronologicamente successivo al principale va proposto 
nelle forme ed entro i termini prescritti dall'art. 37 del T.U. 26 giugno 
1954, n. 1054; cfr., per tutte, V Sez., 15 dicembre 1978, n. 1614 cit.), si 
contrappone quell'orientamento che valorizza la distinzione tra im� 
pugnazione incidentale propria ed impropria (autonoma) quanto meno 
al fine di escludere, per quest'ultima, la riapertura del termine ex art. 
334 C.P.C. (Adun. plen. 18 luglio 1983, n. 20). 


130 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
Ne deriva una certa sfalsatura dei, piani su cui devono essere dislocati 
gli istituti in esame, perch�, se l'autonomia dell'appello, sostenuto da 
un interesse direttamente leso dalla sentenza, � invocata al fine di 
escludere il beneficio ex art. 334 C.P.C. (fu aderenza, quindi ai caratteri 
peculiari del processo amministrativo, in cui non � data impugnazione 
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tardiva avverso il provvedimento che sia suscettibile di ledere immediatamente 
una posizione subiettiva), non pu� poi negarsi rilevanza alla 
distinzione tra dncidentalit� sostanziale e formale per dire in ogni caso 
applicabile al giudizio amministrativo di secondo grado la disciplina 
propria del ricorso incidentale in primo grado (ex art. 37 R.D. n. 1054 
del 1924), cos� ignorando il rapporto sostanziale di pregiudizialit� tra i 
due interessi, rispettivamente 'sottesi all'impugnazione principale e a 
quella incidentale, che nel giudizio di unico grado dinanzi al Consiglio 
di Stato ha storicamente determinato, e tuttora giustifica, la rigorosa 
disciplina formale di cui al citato a:rt. 37 del T.U. n. 1054 del 1924. 

Fermo restando, quindi, il principio che l'immediata soccombenza 
determina l'onere, per la parte, d'immediata e autonoma impugnazione 
dei capi della sentenza di primo grado diversi da quelli gi� investiti da autonomi 
appelli proposti da altri soccombenti, resta da vedere quali effetti 
produca su questo regime delle impugnazioni c.d. di concentrazione, che 
a mente dell'art. 333 dello stesso codice, impone a ciascuna parte destinataria 
di un primo appello, a prescindere dalla posizione sostanziale di soccombenza 
che rispetto all'impugnazione principale essa possa assumere, di 
proporre le proprie doglianze contro la sentenza� nello stesso processo�. In 
proposito, la sezione ha gi� avuto occasione di affermare (dee. n. 308 del 
1983) che l'esigenza di concentrazione dei giudici di appello aventi ad oggetto 
la stessa sentenza si realizza in pari misura sia attraverso il regime 
delle impugnazioni incidentali (art. 333 C.P.C.) sia facendosi luogo alla 

riunione degli appelli separati eventualmente proposti contro detta sentenza 
(art. 335 Cod. proc. civ., ) ; si � altres� rilevato nella detta decisione 
n. 308/83 che, ove sia raggiunto attraverso la riunione degli appelli, 
lo scopo del simultaneus processus cui � preordinata la disposizione dell'art. 
333 Cod. proc. civ., l'inosservanza delle modalit� e dei termini 
dell'impugnazione incidentale non assume alcun rilievo, in quanto la 
violazione della norma processuale non � suscettibdle di produrre l'effetto 
negativo (decisioni separate, ed eventualmente contrastanti, su appelli 
avverso la stessa sentenza) a prevenire il quale l'onere del si111ultaneus 

processus � dalla norma medesima imposto. 

La conclusione suggerita dal surriferito precedente di questa Sezione 
appare la pi� logica anche considerando che la violazione delle forme 
del processo pu� costituire, in linea di principio, oggetto di eccezione 
soltanto nell'ambito dello stesso giudizio in cui il comportamento eventualmente 
scorretto si inserisce, mentre non pu� farsi valere in un pro


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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

cesso autonomo, in cui la regola formale (asseritamente) violata non 
avrebbe ragione di esplicarsi. 

La decadenza sancita dall'art. 333 Cod. proc. civ. non potrebbe quindi 
essere eccepita e rilevata nel separato giudizio promosso dall'appellato 
in via principale se non sotto il profilo (sostanziale) dell'inosservanza 
del termine per appellare che, appunto, ai sensi degli artt. 331 e 332 
(pi� che alla stregua della richiamata disposizione dell'art. 333), decorre 
dalla notifica del primo appello, se di data antecedente alla notifica della 
sentenza. 

La questione, nella prospettiva sopra evidenziata; diviene allora materia 
di eccezione in senso tecnico, in quanto attiene alla preclusione che 
nel secondo giudizio di appello deriva dal giudicato ('esterno) formatosi 
sui capi della sentenza non tempestivamente impugnati. 

Sotto tale aspetto, non possono essere condivise talune osservazioni 
(da considerarsi, peraltro, quali obiter dieta) contenute nella precedente 
decisione n. 308/83, in quanto, se � vero che l'esigenza di concentrazione 
� ugualmente rispettata con la riunione delle impugnazioni separate, 
non pu� dirsi irrilevante, al fine di prevenire il rischio di molteplici 
decisioni in grado di appello, la notifica della prima impugnazione, la 
quale comunque vale a �costituire in mora�, per cosi dire, le altre 
parti che non intendono prestare acquiescenza alla sentenza appellata 
in via principale. Ci� si desume agevolmente dal combinato disposto 
degli artt. 326 cpv. 331 e 332 Cod. proc. civ., poich�, se la notifica del 
primo appello fa decorrere il termine breve per lo stesso appellante 
al fine dell'integrazione del contraddittorio (artt. 326, cpv., e 332) e, per 
converso, le altre parti possono fruire del termine lungo solo nel caso 
che non abbiano ricevuto la notifica del primo appello (art. 332, ultimo 
comma), � logico dedurre, con argomento � a contrario�, che tutte le 
parti cui il primo appello sia stato notificato, sia in causa scindibile 
sia, ancor pi� in causa inscindibile, devono proporre le loro impugnazioni 
entro il termine breve decorrente dalla prima impugnazione, e ci� 
indipendentemente dal fatto che tali appelli propongano nello stesso 
processo (art. 333) o dando vita a processi separati (art. 335). La concentrazione 
delle impugnazioni sotto questo particolare profilo di connessioni 
cronologiche, risponde ad una esigenza di ordine sostanziale e 
non soltanto formale (quale � quella di non lasciare la sentenza, che 
una parte abbia gravata di appello, esposta al rischio di essere rimessa 
in discussione in ogni momento, nel corso dell'anno, oltre il limite 

temporale segnato dalla scadenza dei termini attivati, per cosi dire, col 

primo atto d'impugnazione), ed integra pertanto un istituto di diritto 

processuale comune, certamente estendibile al processo amministrativo: 

al quale si applica, indipendentemente da un espresso richiamo ad esso 

fatto dall'art. 28 della legge n. 1304 del 1971, per lo stesso motivo per il 

quale si ritiene comunemente che debbano trovare applicazione l'art. 332 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

e, ancor pi�, l'art. 331 del Cod. proc. civ. (disposizioni nelle quali come 
sopra detto -il principio in parola trova il suo fondamento logico 
e la sua sede naturale). 

Discende da tutto quanto sopra esposto che nel caso (ricorrente 
nella fattispecie), di appello incidentale autonomo (o improprio), il 
termine decorre dalla data notificata della sentenza di 1� grado o, se 
antecedente, dalla data di notifica dell'appello principale (in questo 
.caso, cronologicamente antecedente), ma le modalit� di proposizione dell'impugnativa 
sono quelle prescritte dall'art. 28 secondo comma, della 
legge n. 1034 del 1971, dovendosi limitare l'onere di osservanza dell'art. 37 
del R.D. n. 1054 del 1924 alla sola ipotesi di incidenzialit� �propria�, 
cio� all'ipotesi della � controimpugnazione �, che -come innanzi precisato 
-non solo deve dirigersi contro l'impugnazione principale, ma 
deve anche inserirsi nello stesso processo, cui la prima ha dato vita. 

Da ci� ancora consegue che nella specie vanno considerati ammissibili 
sia l'appello dell'avvocatura (n. 79/83), sia quello di Tartaglia-Palmieri 
(n. 1140/82), sia quello autonomo proposto, con atto notificato 
il 29 e 31 dicembre 1982, da Brodella, Ambrosino, Miraglia, Fusco e 
De Biase. 

L'appello dell'Avvocatura, infatti, risulta notificato alle ricorrenti, 
De Simone e Zannini totalmente vittoriose in 1� grado, il 31 dicembre 1982, 
cio� entro il 60� giorno dalla notifica della sentenza del T .A.R. (effettuata 
il 9 novembre 1982), che a sua volta � antecedente alla data di notifica 
del primo appello (principale) del Pacifico (effettuato il 16 novembre 
1982;) avendo carattere autonomo, la detta impugnazione non andava 
depositata entro il 10� giorno dall'ultima notifica. 

Discorso identico vale per l'appello Tartaglia-Palmieri (totalmente 
soccombenti in 1� grado), che risulta proposto in termini non solo rispetto 
alla data di notifica della sentenza di 1� grado (17 novembre 1982), 
ma anche rispetto alla data di notifica dell'appello principale del Pacifico 
(soccombente rispetto a un capo autonomo della sentenza); e ci� senza 
dire che in nessun caso potrebbe considerarsi inammissibile la detta 
impugnativa per violazione dell'art. 37 del R.D. n. 1034 del 1924, in quanto 
l'appello principale risulta notificato (due volte) ad esse Tartaglia e 
Palmieri irritualmente, n� l'effetto sanante di tali nullit�, collegabile 
alla costituzione nel giudizio principale dei coappellati Brodella ed altri 
(sopra ricordati), pu� retroagire sino al punto da far considerare scaquto 
il termine iniziale di proposizione dell'impugnativa per le altre 
parti soccombenti che non avevano assunto la �qualit�� di appellati, 
in quel momento, a causa della nullit� della notifica ad esse rivolta 
del detto appello principale (sul principio secondo cui la notifica del!'
appello fatta al procuratore di pi� parti mediante consegna di unica 
copia inesistente, con .conseguente esclusione della retroattivit� dell'effetto 
sanante connesso con la costituzione degli appellati: cfr. Cass. 

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PARTE I, SEZ, V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

14 ottobre 1976, n. 3041; 18 giugno 1976, n. 1754; 15 maggio 1975, n. 1873; 
12 marzo 1974, n. 666; 22 maggio 1973, n. 1488; 23 maggio 1972, n. 1605; ect.). 

Parimenti ammissibili sono gli appelli, incidentale e separato, che 
Brodella, Ambrosino, Miraglia, Fusco e De Biase hanno proposto con 
atti notificati, rispettivamente, il 28. gennaio 1983 quello incidentale 
(tempestivamente rispetto all'appello Tartaglia-Palmieri, essendo irrimediabilmente 
nulla, per quel che si � detto, la notifica fatta ad essi 
appellanti incidentali dell'appello principale del Pacifico} e il 29 dicembre 
1982 quello �separato�, tempestivo rispetto alla data di notifica della 
sentenza, che risulta essere quella del 9 novembre 1982, secondo quanto 
riconosciuto dagli stessi appellanti, e non quella del 26 ottobre 1982, 
affermata invece dalle qui resistenti De Simone e Zannini (queste ultime, 
d'altronde, dichiarano che la sentenza � stata notificata ai controinteressati 
presso il domicilio reale, il che vale ad escludere, contrariamente 
al loro assunto, la decorrenza del termine per appellare 
principaliter: cfr. per le parti private destinatarie della notifica, Sez. V, 
10 luglio 1982, n. 613 e Sez. VI, 3 luglio 1981, n. 357; per le Amministrazione 
pubbliche non statali si vedano, di recente, Adun. plen. 5 aprile 
1984, n. 8 e Sez. VI, 21 maggio 1984, n. 295; per le Amministrazioni 
statali il principio � pacifico). 


SEZIONE SESTA 

GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 marzo 1984 n. 1991 -Pres. ed Est. 
Scanzano -P. M. Cecere (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato 
Angelini Rota) c. Soc. Grafiche Tdrelli. 

Tributi erariali indiretti -Imposta sul valore aggiunto � Sanzioni � Tardiva 
presentazione di dichiarazione -Equivale a dichiarazione omessa. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 43; d.P.R. 29 gennaio 1979, n. 24, artt. 1 e 3). 
La regola espressamente enunciata con effetto retroatttivo negli 
artt. 1 e 3 del d.P.R. 29 gennaio 1979 n. 24, secondo la quale le dichiarazioni 
presentate con ritardo superiore ai trenta giorni si considerano 
omesse a tutti gli effetti, � meramente interpretativa giacch� gi� nel testo 
originario dell'art. 43 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 era contenuto 
il principio che la sanzione per omessa dichiarazione era� applicabile 
anche per l'ipotesi di dichiarazione tardiva. (1) 

(omissis) Col ricorso principale si denuncia violazione e falsa applicazione 
dell'art. 43 in relazione agli artt. 17, 28, 31 e 47 n. 3 d.P.R. 
26 ottobre 1972 n. 633. 

Secondo la Corte di Trieste -come si � gi� detto -l'inosservanza, 
da parte del contribuente, del termine assegnato per la presentazione 
della dichiarazione rientra nella previsione dell'art. 47 n. 3, che punisce 
ogni violazione degli obblighi stabiliti dal decreto dtato, non contemplata 
espressamente. 

Sostiene invece l'Amministrazione che il riferimento dell'art. 43 alle 
disposizioni che fJssano i termini per i vari adempimenti e la natura 
perentoria di tali termini rendono l'inosservanza di questi equivalente 
all'inadempimento dell'obbligo di presenta:llione della dichiarazione, con 
la conseguenza che la sanzione prevista per l'omissione della dichiarazione 
stessa � applicabile anche al caso della tardiva presentazione di essa. 

Tale conclusione sarebbe confermata dalla disciplina dettata dall'art. 
48, 4� comma, del d.P.R. citato, riguardo alla dichiarazione tempestivamente 
presentata ad ufficio incompetente, nonch� dall'attenuante 

(1) Decisione da condividere pienamente. In conformit� di quanto � previsto 
per le imposte dirette (art. 9 e 46 d.P.R. n. 600/1973), il dovere di dichiarazione 
pu� considerarsi osservato quando questa sia tempestiva e solo per una espressa 
norma eccezionale al principio � considerata valida, bench� dia luogo a sanzione, 
la dichiarazione presentata con ritardo non superiore ad un mese. 

PARTE I, SEZ, VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

concessa dal primo comma della stessa disposizione per il caso che l'ob� 
bligo violato venga poi adempiuto entro 30 giorni dalla scadenza del termine 
previsto e dalla palese inaccettabilit� dell'opinione contraria, che 
condurrebbe ad escludere la punibilit� dell'inosservanza di termini perentori. 
Sarebbero, infine, del tutto ingiustificati i dubbi di costituzionalit� 
ipotizzati dalla Corte triestina; invero la disciplina del citato 
d.P.R., interpretato secondo la tesi dell'Amministrazione, equipara il ritardo 
all'omissione in quanto l'equiparazione � giustificata dalla perentoriet� 
dei termini prev.isti per l'adempimento di che trattasi; l'oblazione 
� consentita per tutte le violazioni, in base alla 1. 7 gennaio 1929 

n. 4 richiamata dall'art. 75 del decreto 633/72 ed in base al nuovo 
testo dell'art. 58 della stesso decreto; la correlazione tra violazione e 
sanzione risulta assicurata dall'attenuante prevista dall'art. 48 del decreto 
medesimo. 
Il ricorso � fondato. 
Successivamente alla data del'infrazione contestata � stato emanato 
il d.P.R. 29 gennaio 1979 n. 24 che ha modificato con effetto retroattivo 

(v. artt. 1 e 3) l'art. 37 d.P.R. n. 633/72 aggiungendovi un comma, 
secondo cui le dichiarazioni presentate con ritardo superiore ai trenta 
giorni si considerano omesse a tutti gli effetti; disposizione, questa 
che, se il ritardo � stato superiore ai trenta giorni, rende chiaramente 
applicabile nella specie }e sanzioni previste, per il caso di omissione, 
dall'art. 43, primo comma, del d.P.R. da ultimo citato 
Della modificazione come sopra introdotta viene adombrata, nel 
controricorso, l'illegittimit� costituzionale, in forma del tutto generica 
ma verosimilmente con riferimento ad un preteso generale principio 
(desunto dall'art. 25 cost.) di irretroattivit� di norme sanzionatorie. 


Ma tale questione � manifestamente infondata perch� il nuovo ultimo 
comma del citato art. 37 non fa altro che interpretare ed esplicitare 
una norma gi� insita nel sistema vigente all'epoca dell'infra� 
zione 

Secondo l'art. 43 primo comma del d.P.R. 633/72 (testo originario) 
� punito con una pena pecuniaria ragguagliata ad un multiplo dell'imposta 
dovuta (da due a quattro volte il suo ammontare) �chi non presenta 
una delle dichiarazioni previste negli artt. 27, 28 e 31 �. 

Il primo, fondamentale rilievo che la norma impone � che la violazione 
degli obblighi del contribuente relativi alla presentazione delle 
dichiarazioni prescritte trovava e trova, nella legge, la sua previsione 
esplicita. 

Ci� conduce a ritenere che la soluzione del caso va ricercata non 
nell'art. 47 n. 3 (che riguarda le violazioni di obblighi non espressamente 
contemplate) ma anzitutto nell'art. 43, la cui applicazione potrebbe essere 
esclusa -a favore della norma generica di chiusura -solo in pre



RASSECNA Dfil.L'AWOCATURA DELLO STATO

136 

senza di elementi letterali o razionali o sistematici insuperabili. Ma 
tali non sono quelli valorizzati dalla Corte di merito. 

Gli articoli 27, 28 e 31; cui l'originario art. 43 faceva riferimento, 
riguardano le dichiarazioni annuali, mensili o trimestrali ed assegnano 
al contribuente, tenuto a presentarle, precisi termini che, in quanto diretti 
ad assicurare allo Stato la continuit� e la regolarit� dei flussi 
finanziari, hanno natura perentoria. 

Ci�, da un lato, esclude che essi possono essere prorogati mediante provvedimenti 
che non abbiano forza normativa almeno pari a quella del 
citato decreto presidenziale, e dall'altro, comporta che la loro inosservanza 
determina violazione dello obbligo cui il termine inerisce ed espone 
l'obbligato a sanzione. Deve allora ritenersi che il riferiipento dell'art. 
43 originario a disposizioni che prevedono obblighi vincolati quanto 
a termini di adempimento introduce i termini stessi nella fattispecie 
dell'illecito sanzionato, nel senso che questo si configura come mancata 
presentazione della dichiarazione nel termine stabilito dalle disposizioni 
richiamate. L'art. 43 primo comma andava dunque inteso nel senso che 
� punito con la pena ivi prevista colui che non presenta la prescritta 
dichiarazione nel termine di legge, e quindi anche colui che ritarda 
l'adempimento del relativo obbligo. 

Questa conclusione, che trova nella lettera e nella logica della legge 
una sicura base, � confortata da altre significative norme della legge 
stessa. 

L'art. 48, nel testo risultante dal d.P.R. 29 gennaio 1979 n. 24, dispone 
che le sanzioni previste dagli artt. 43 e 44 non si applicano se la dichiarazione 
sia stata presentata o il versamento sia stato eseguito presso un 
ufficio incompetente entro ii termini rispettivamente stabiliti. 

Ci� significa che l'inosservanza del termine (e quindi l'adempimento 
tardivo dell'obligo di dichiarazione o di versamento) espone il contribuente 
alla sanzione dell'art. 43 (o 44): ci� logicamente non perch� la 
sanatoria dell'incompetenza sia giustificabile solo entro quel �termine, 
ma perch� il termine appartiene alla fattispeeie dell'obbligo e dello illecito 
determinato dalla sua violazione. 

Dispone poi l'art. 48 1� comma che le sanzioni previste dagli arti


coli precedenti sono ridotte qualora la violazione consista nell'mosser


vanza di un termine e l'obbligo venga adempiuto entro trenta giorni 

dalla scadenza, salvo che nel frattempo la violazione sia stata gi� ac


certata. 

Ora, una volta escluso che l'art. 47 n. 3 possa riguardare Je vio� 

!azioni relative all'obbligo della dichiarazione (essendo esse contemplate 

espressamente altrove) l'attenuante come sopra prevista deve applicarsi 

non alla sanzione di cui alla disposizione test� citata (come ritenuto 

dalla Corte di merito) ma a quella di cui all'art. 43, primo comma: 

il che significa che l'inosservanza dei termini perentori stabiliti dalle 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

disposizioni ivi (originariamente) richiamate, sempre che l'inosservanza 
stessa venga sanata entro trenta giorni (e prima del suo accertamento), � 
considerata non come violazione autonoma ma come circostanza attenuante 
della violazione consistente nella mancata tempestiva dichiarazione. 

Il primo comma dell'art. 48 dimostra altres� che nel d.P.R. n. 633 
trova concreta attuazione il principio della correlazione tra entit� della 
violazione ed entit� della sanzione (principio cui del resto � informato 
anche l'art. 43 laddove determina la sanzione applicabile entro limiti variabili 
da due a quattro volte l'imposta dovuta); onde, considerata anche 
la discrezionalit� insita -nella materna della determinazione delle sanzioni 
-nei poteri del delegato, risulta palesemente infondata una questione 
di costituzionalit� da violazione della legge di delega. Egualmente 
manifesta � l'infondatezza delle altre questioni di costituzionalit� prospettate 
nell'impugnata sentenza e nel controricorso. Invero, data 
la natura perentoria del termine stabilito per la presentazione delle 
dichiarazioni, deve ritenersi, da un lato, che anche alla stregua del 
testo originario del d.P .R. n. 633 hanno pari rilevanza giuridica -tale 
da richiedere identit� di ,trattamento sanzionatorio -l'omissione ed 
il ritardo nella presentazione della dichiarazione, e dall'altro che, dovendosi 
applicare una attenuante per il caso che l'omissione venga riparata 
con una dichiarazione tardiva, � razionalmente giustificato l'esercirlo 
della discrezionalit� legislativa nel senso che l'attenuante venga 
riconosciuta solo se il ritardo non superi un certo limite. 

Per quanto concerne poi la diversit� di trattamento che si assume 
ingiustamente fatta in materia di oblazione, dall'art. 58 tra colui che spon� 
taneamente ripara all'omissione e colui nei cui confronti l'omissione sia 
stata accertata, � sufficiente rilevare che la discriminazione � stata eliminata 
dal d.P.R. 29 gennaio 1979 n. 24, con effetto retroattivo (v. art. 3 quarto 
comma del d.P.R. ora citato). (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 4 settembre 1984 n. 4753 � Pres. San� 
tosuosso �Est. Gualtieri � P. M. Morozzo della Rocca (conf.) �Ministero 
delle Finanze (Avv. Stato Braguglia) c. Soc. Reggiani (Avv. De Mita). 

Tributi erariali diretti -Riscossione � Interessi e maggiorazione di aliquota 
per ritardata iscrizione a molo � Successione di leggi nel tempo Tributi 
soppressi � Sostituzione degli interessi alla maggiorazione di 
aliquota con decorrenza dal 1 � gennaio 1974. 

(T.U. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 184 bis; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 20, 
104 e 105). 
Relativamente ai tributi soppressi, iscritti a ruolo con ritardo dopo 
la riforma tributaria, sono dovuti la maggiorazione di aliquota, ove sus



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

sista il presupposto dell'infedele dichiarazione, per il periodo anteriore 
al 1� gennaio 1974 e gli interessi per il periodo successivo. (1) 

(omissis) Col primo motivo, denunciando falsa applicazione del 
l'art. 184 bis del T.U. 29 gennaio 1958, n. 645 e violazione degli artt. 20 
e 104 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, in relazione all'art. 360 n. 3, 
c.p.c., l'Amministrazione finanziaria si duole che la Commissione Tributaria 
Centrale, postaSli. il problema di qua}e fosse il regime da applicare 
alla ritardata iscrizione a ruolo, avvenuta nel 1977, di imposte 
vigenti prima dell'entrata in vigore della riforma tributaria, abbia ritenuto 
che per il periodo anteriore a tale entrata in vigore, cio� fino 
al 31 dicembre 1973, dovesse continuare ad avere applicazione la normativa 
di cui all'art. 184 bis del T.U. 1.1.D.D. del 1958, mentre per il 
periodo successivo, cio� dal 1� gennaio 1974, dovesse trovare applicazione 
la nuova normativa sugli ~nteressi per ritardata iscrizione a ruolo di 
cui all'art. 20 d.P.R. n. 602 del 1973, (sulla riscossione delle imposte 
sul reddito). 

Cos� argomentando, deduce la ricorrente, la Commissione Centrale 
ha finito per attribuire una non consentita ultrattivit� alle norme del 

T.U. del 1958, abrogate con effetto dal 1� gennaio 1974, e contemporaneamente 
per limitare, senza alcuna ragione, l'efficacia delle norme del 
decreto delgato. 
Ad avviso della ricorrente, secondo i principi generali in tema di successione 
delle leggi nel tempo, � noto che, da un lato, la legge nuova 
non pu� essere applicata ai rapporti in corso solo se in tal modo 
si disconoscano gli. effetti gi� verificatisi dell'atto o del fatto generatore 
del rapporto e che, d'altro lato, invece, la nuova legge deve essere 
applicata alle situazioni esistenti, ancorch� conseguenti ad un fatto 
passato, quando debbano essere prese in considerazione in s� stesse, 
prescindendo dal fatto che le ha generate, in modo che resti escluso 
che attraverso tale applicazione sia modificata la disciplina giuridica 
dell'atto o del fatto generatore. 

Ne deriva, secondo la ricorrente, che, nella specie, sono assenti le 
condizioni che escludono l'applicabilit� della nuova disciplina e sono 
presenti quelle che impongono la sua applicazine. 

La complessa censura � infondata. 

Questa Corte, con la sentenza 5 apri.le 1984, n. 2194, si � gi� occupata 
della questione anzidetta, sulla premessa che, secondo il contribuente, 
quando l'iscrizione a ruolo delle sovrattasse e delle maggiorazioni 
relative a riscossione di tributi anteriori al 1974, avviene dopo il 

(1) Viene confermata la sent. 5 aprile 1984, n. 2194 in questa Rassegna, 
1984, I, 555. 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

1� gennaio 1974, non pu� pi� applicarsi l'art. 184 bis del testo unico, 
perch� relativo ai tributi maturati successivamente al 1� gennaio 1974, 
mentre invece, secondo l'Amministrazione finanziaria, la nuova disciplina 
dev'essere applicata in tutta la sua portata, dalla data della sua entrata 
in vigore, anche in relazione ai tributi soppressi, incidendo essa 
non sull'obbligazione tributaria, ma soltanto sugli effetti della stessa, 
che, protraendosi nel tempo, non danno adito a problemi di retroattivit� 


Inoltre, questa Corte ha gi� precisato che sia la maggiorazione prevista 
dalla normativa abrogata, sia gli interessi contemplati dal citato 
art. 20 della nuova normativa, integrano prestazioni accessorie, di natura 
risarcitoria, tendenti a compensare l'Amministrazione finanziaria 
del pregiudizio derivante dalla ritardata iscrizione a ruolo del tributo; 
con la conseguenza che maggiorazioni e interessi, ancorch� inerenti 
ad un rapporto tributario gi� sorto, rappresentano autonomi effetti 
del medesimo, trovando fondamento in un fatto successivo e distinto 
dalla originaria obbligazione tributar�a, quale, appunto, il ritardo nella 
riscossione della imposta. 

D'altro canto, l'obbligazione accessoria, ancorata all'indicata situazione 
di ritardo, � suscettibile, in funzione del suo stesso divenire, di essere 
regolata diversamente se la normativa vigente all'epoca in cui il ritardo 
ha avuto inizio venga successivamente rinnovata. 

Infatti, nelle ipotesi di norme tributarie che si� succedono nel tempo, 
devesi distinguere tra norme che attengono alla realizzazione della 
fattispecie impositiva (la quale dev'essere regolata in base alla legge vigente 
nel momento in cui si attua) e norme relative alle modalit� di 
riscossione che, attenendo, invece, al procedimento tributario ed essendo 
di pronta soluzione, devono necessariamente regolare, all'atto della loro 
entrata in vigore, rapporti sostanziali sorti con la disciplina precedente. 

Orbene, secondo la sentenza surriferita, per il periodo anteriore al 
1� gennaio 1974 risulta indubbia l'operativit� dell'art. 184 bis del testo 
unico e la maggiorazione prevista da detta norma rimane collegata, 
come in precedenza, ad un comportamento illecito del contribuente giuridicamente 
qualificato da dichiarazioni omesse, incomplete od infedeli 

o da condotta dolosa o colposa o nell'eludere o nel rappresentare una 
situazione materiale o contabile non conforme alia verit� dei fatti. 
Inoltre, deve dedursi che, quanto alla base cronologica succesiva all'entrata 
in vigore della riforma fiscale, trova applicazione la nuova 
sistematica di riscossione, la quale, in quanto attinente al processo tributario, 
deve necessariamente regolare, all'atto della sua entrata in 
vigore, anche i rapporti sostanziali sorti con la disciplina precedente, 
risultando, in difetto, l'applicazione delle nuove norme inammissibilmente 
ritardate nel tempo, fino al momento in cui i rapporti sostanziali 


140 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

non risultino regolati completamente dalla nuova normativa con la conseguenza 
che l'applicazione della maggiorazione nel vigore di tale normativa 
non implica l'ultrattivit� della normativa abrogata, ma comporta 
semplicemente la quantificazione di un'obbligazione sorta nel vigore del 
precedente regime. 

N� vale argomentare che l'art. 184 bis non � stato richiamato dall'art. 
100 delle disposizioni transitorie, che fa esplicitamente salvi gli 
artt. 174, 175, 180 e 183 del T.U., avendo l'art. 100 previsto, ai fini 
dell'iscrizione a ruolo dei vecchi tributi, un sistema misto, disciplinato in 
parte dalla vecchia normativa, e in parte dalla nuova (art. 15 e 18) 
e, a questo scopo, ha conservato in vita alcune disposizioni del T.U. relativo 
al procedimento, compertanti attivit� altrimenti precluse agli uf. 
fici senza tale salvezza. 

Il mancato richiamo dell'art. 184 bis nella disposizione in esame, 
se vale a confermare l'inapplicabilit� delle maggiorazioni in essa previste 
per il ritardo successivo alla nuova legge, non influenza il problema 
relativo alla loro spettanza per il periodo precedente, il quale va risolto 
nel senso che dette maggiorazioni vanno applicate in presenza dei 
presupposti richiesti dall'art. 184 bis. 

Per quanto riguarda, poi, la questione se la ritardata iscrizione 
di tributi soppressi, con riferimento alla mora verificatasi successivamente 
all'entrata in vigore della nuova normativa, sia regolata dall'art. 20, 
ovvero non dia luogo ad alcuna conseguenza giuridica, la questione 
stessa s[ presenta pi� articolata. 

Il problema non coinvolge la tematica della retroattivit� della nuova 
normativa, trattandosi della sua applicabilit� a ritardi verificatisi nella 
vigenza del regime innovatore; n� assume rilievo l'argomento derivato 
dalla diversit� dei presupposti della nuova disciplina rispetto a quelli 
(infedelt� della dichiarazione) previsti dall'art. 184 bis, poich� la caratteristica 
assorbente di entrambe le presunzioni accessorie resta quella 
della natura risarcitoria e compensativa correlata al decorso del tempo. 

E la nuova disciplina non incide sul fatto generatore del rapporto 
tributario ma soltanto su un momento del medesimo, derivato da un 
distinto presupposto di carattere continuativo (ritardo della iscrizione 
a ruolo) e, in quanto tale, suscettibile di una diversa regolazione nel 
tempo in cui si verifica. 

In conclusione, devesi ritenere, sulla scia della sentenza sopra indicata: 
a) che l'art. 184 bis del T.U. n. 645 del 1958 trova indubbia operativit�, 
per il periodo anteriore al 1� gennaio 1974, pur in presenza del 
nuovo sistema tributario e delle abrogazioni che ne sono conseguite, e 
le maggiorazioni applicabili dovranno sempre collegarsi ad un comportamento 
illecito del contribuente giuridicamente qualificato da dichirazioni 
omesse, incomplete ed infedeli, e da condotta dolosa o colposa 
nell'eludere o nel rappresentare una situazione materiale o conta



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 141 

bile alla verit� dei fatti; b) che l'art. 20 d.P.R. n. 602 del 1973, a sua 
volta, trova applicazione dal 1� gennaio 1974, anche nei confronti di tributi 
esistenti prima della riforma tributaria e posti in riscossione successivamente 
all'entrata in vigore della stessa. 

Riassumendo, devesi affermare: a) che la normativa dell'art. 184 bis 

T.U. n. 645/1958 � applicabile in ordine ai ritardi di imposizioni maturati 
fino al 31 dicembre 1973, essendo fino a tale data detta disposizione 
ancora vigente rispetto a proventi allora prodottisi; b) successivamente 
a tale data va app1icato l'art. 20 d.P.R. 602/1973, affatto compatibile con � 
i vecchi tributi e non comportando tale applicazione problemi di retroattivit�; 
c) per i ritardi maturati fino al 31 dicembre 1973 resta, peraltro 
presuposto necessario della maggiorazione l'infedelt� o l'incompletezza 
dell~ dichiarazione. (omissis) 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 4 .settembre 1984 n. 4755 -Pres. Sandulli Est. 
Sensale -P. M. Martinelli (conf.) -Lanzerini (avv. Comandini) c. 
Ministero delle Finanze (Avv. Stato D'Amico). 

Tributi erariali indiretti -Riscossione -Interessi -Imposta complementare 
-Ritardo imputabile al debitore -t!. presunto. 

(L. 27 gennaio 1961, n. 29; I. 28 marzo 1962, n. 147). 
Tributi erariali indiretti -Riscossione -Interessi � Obbligazione autonoma 
dall'imposta � Prescrizione quinquennale -Decorrenza. 

(L. 27 gennaio 1961, n. 29; cod. civ. art. 2948 n. 4). 
Gli interessi sull'imposta complementare sono dovuti per il solo 
fatto del ritardato adempimento essendo la mora presuntivamente imputabile 
al debitore, a meno che non sia dimostrato che la dichiarazione 

o un successivo atto indicassero valori vicini al valore definitivamente 
accertato, s� che il perdurare della controversia di valutazione � imputabile 
soltanto all'ufficio (1). 
L'obbligazione per gli interessi � autonoma da quella di imposta, ed 
� soggetta alla prescrizione quinquennale dell'art. 2948 n. 4 cod. civ. che 
non � interrotta dagli atti diretti ad ottenere il pagamento dell'imposta; 

(1) Sulla prima massima la giurisprudenza � costante (v. Relazione Avv. 
Stato, 1976-80, Il, 439). 
Sulla seconda massima va a consolidarsi la affermazione, non del tutto 
persuasiva, che gli atti rivolti a conseguire il pagamento dell'imposta non 
producono effetto sulla prescrizione degli interessi, ma anche il principio che 
la prescrizione non decorre affatto fino a quando il credito di imposta non � 
definitivamente accertato (da ultimo Cass. 7 febbraio 1984, n. 935 e 26 giugno 
1984, n. 3717, in questa Rassegna, 1984, I, 359 e 998). 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

tuttavia la prescrizione per l'obbligazione di interessi non comincia a 
decorrere prima che, essendo divenuto definitivo l'accertamento inerente 
al tributo, sia diventata certa e liquida (1). 

(omissis). Con il primo motivo la ricorrente, denuncia la violazione 
e falsa applicazione dell'art. unico della legge 28 marzo 1962 n. 147, 
censura la decisione impugnata nella parte in cui ha ritenuto dovuti 
gli interessi di cui alla legge 27 gennaio 1961 n. 29, autenticamente interpretato 
dalla legge n. 147/62, sull'imposta corrispondente alla differenza 
tra valore dichiarato e valore definitivamente accertato. Sostiene 
la ricorrente che non sussistono gli estremi di un suo comportamento 
colp�evole, avendo ella fornito, nella denunzia di succesione, tutti gli 
elementi necessari per la valutazione e vertendo la controversia unicamente 
sull'applicabilit�, o meno, dei coefficienti di cui alla legge 20 ottobre 
1954 n. 1044. A suo avviso, la opinabilit� dei valori e la obiettiva 
difficolt� della loro determinazione, dimostrata dalla lunga controversia 
di valutazione, escludeva che la differenza tra i valori, dichiarato ed 
accertato, fosse ad essa imputabile. 

La censura � infondata. 

Occorre premettere che la contribuente, nella denunzia di successione, 
aveva dichiarato un valore di circa 33 milioni e che l'Ufficio lo 
aveva elevato a L. 355.709.000; che la contribuente aveva quindi rettificato 
il valore dichiarato in L. 63.351.000 circa e che lo stesso era stato 
definitivamente accertato in L. 88.220.000. Tuttavia, ti1 ritardo nella riscossione 
dell'imposta complementare non pu� attribuirsi alla esorbitanza 
dell'accertamento dell'Ufficio, in quanto la divergenza ancora esistente 
tra il maggior valore offerto e quello definitivamente accertato non era 
valsa ad eliminare la insufficienza della denunzia di successione. Invero, 
intanto la tardiva rettifica dell'imponibile avrebbe potuto in Lipotesi 
porre a carico dell'Amministrazone il perdurare della controversia di 
congruit� (e, quindi, la tardiva liquidazione del tributo complementare), 
in quanto la contribuente, con l'offerta in aumento del valore dichiarato, 
avesse indicato un valore corrispondente a quello successivamente determinato 
in via definitiva, nel qual caso il perdurare della controversia 
sarebbe risultato privo di giustificazione ove il valore definitivo fosse 
stato sin dall'inizio accertato dall'Ufficio nella stessa misura. Ma il divario, 
comunque esistente, tra il valore spontaneamente elevato dalla contribuente 
e quello definitivamente accertato giustificava il perdurare della 
controversia allo stesso modo se la prima avesse sin dal principio dichiarato 
quel valore. E' evidente, quindi, che l'errore compiuto dell'Amministrazione 
con l'atto di accertamento non ha spiegato alcuna influenza 
sul sorgere della controversia, ricollegabile alla infedel:e denunzia della 
contribuente come causa ad essa imputabile della mora, presunta dalla 
legge, rimasta tale anche dopo lo spontaneo aumento del valore da parte 

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PARTE I, SEZ. VI, GIL'RISPRUDENZA TRIBUTARIA 

sua. Quest'ultimo, infatti, non ha altro effetto che quello di limitare 
l'importo degli interessi in dipendenza del fatto che, sin dal momento 
dello spontaneo aumento dell'imponibile, l'Amministrazione era in condizione 
di provvedere alla liquidazione e al recupero della imposta su 
tale imponibile. 

Restano, quindi, applicabili i principi affermati :in materia, secondo 
i quali la disciplina contenuta nelle leggi n. 29/61 e 147/62, diversa da 
quella civilistica dettata per le obbligazioni pecuniarie, data la speciale 
natura del credito cui si riferiscono (cfr., in proposito, Corte Cost. 6 giugno 
1968 n. 58), ha, in una alle finalit� risarcitorie proprie degli interessi, 
anche lo scopo di sollecitare il contribuente ad adempiere l'obbligo 
tributario per cui l'applicazione degl'interessi, che si giustifica per 
il semplice ritardo nell'adempimento dell'obbligazione tributaria di natura 
complementare rispetto alla data di esigibilit� dell'imposta liquidata 
in via prJncipale, � legittima .in quanto la mora � presuntivamente 
imputata al debitore, il quale ha l'onere di dimostrare che la inesattezza 
o insufficienza del valore dichiarato, con la conseguente necessit� 
di procedere alla liquidazione complementare, non siano a lui imputabili, 
il che non pu� ritenersi, come questa Corte ha osservato con la 
sentenza 9 novembre 1977 n. 4785, quando la controversia abbia ad oggetto 
l'applicazione, o meno, dei coefficienti tabellari prevJsti per la 
valutazione dei fondi rustici. Infatti -si � precisato in tema d'imposta 
di successione -la legge 20 ottobre 1954 n. 1044, ove prevede, con 
riguardo ai fondi rustici, particolari criteri per la determinazione della 
base imponibile, non comporta una deroga ai principi fissati dall'art. 51 
dell'abrogata legge sulle successioni (applicabile nel caso concreto, trattandosi 
di successione apertasi anteriormente alla riforma tmbutaria), 
in base ai quali il contribuente, in sede di denuncia di successione, � 
tenuto a dichiarare il valore oggetfilvo dei beni, con la conseguenza 
che, anche per detti beni, una denuncia infedele, in quanto indicativa 
di un valore inferiore a quello venale, espone il contribuente all'onere 
degl'interessi moratori sul tri.buto complementare, che venga liquidato 
a seguito del giudizio di congruit�. 

Con il secondo motivo la ricorrente, denunziando la violazione dell'art. 
2848 n. 4 e.e., censura la decisione impugnata nella parte in cui 
ha r�tenuto che, essendo gli interessi un accessoria del tributo, la prescrizione 
ad essi relativa era rimasta sospesa dalla pendenza della 
controversia relativa al tributo. Sostiene, per contro, la ricorrente che 
l'obbligazione, avente ad oggetto gli interessi � autonoma rispetto a 
quella relativa all'imposta e che tale autonomia si riflette anche sulla 
disciplina della prescrizione, con la conseguenza che la interruzione relativa 
al debito d'imposta non si comunica agl'interessi e la prescrizione 
degli interessi continua a correre. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

144 

La ricorrente invoca, a sostegno del proprio assunto, alcune decisioni 
di questa Corte che hanno affermato l'autonomia dell'obbligazione 
avente ad oggetto gl'interessi rispetto a quella relativa al credito cui 
afferiscono (in termini generali, V. sent. 1779/72, 1574/73, 1075/76, 336/78 
e n. 4188/79, la quale ultima ne ha dedotto che la domanda volta ad 
ottenere la corresponsione degl'interessi moratori deve essere espressamente 
proposta nel corso del giudizio di primo grado; in relazione 
alle imposte indirette, v. sent. 2394/72, 831/73, 2805/73, 1658/74, 3110/75, 
5343/80, le quali dalla affermata autonomia hanno dedotto che il termine 
� q.ello previsto dall'ar.t 2948 n. 4 e.e. e che sono fra loro in� 
dipendenti le cause d'interruzione relative all'una o all'altra obbligazione; 
159/76 e 4785/77 con riferimento al condono fiscale; 686 e 687/80 
in tema di tributi doganali). Sennonch�, pur volendo condividere la tesa 
della ricorrente (la giurisprudenza di questa Corte in senso contrario, 
costituita dalle decisioni n. 20/72 e 2023/73, �, infatti, minoritaria) e 
pur dovendosi, in conseguenza, correggere la motivazione della decisione 
impugnata ai sensi dell'art. 384 cpv. c,p.c., si perviene alla medesima 
conclusione fatta propria dalla Commissione Tributaria centrale. Fermo, 
infatti, che, per effetto della riconosciuta autonomia della obbligazione 
d'interessi, il termine prescizionale applicabile agl'interessi non � quello 
stabi1ito nella disciplina delle varie imposte cui essi accedono, ma 
quello previsto dall'art. 2948 n. 4 e.e. e che le cause d'interruzione 
operano autonomamente, � necessario, perch� si ponga un problema 
d'interruzione, che l'obbligazione relativa agl'interessi sia esigibile, essendo 
evidentee che, in relazione al credito, ,la prescrizione non inizia 
a decorrere se non quando esso sia certo, nell'an e nel quantum, e 
sia esigibile. Ne consegue che, fin quando l'accertamento del tributo 
non sia definitivo, non � certo se, e in quale misura, siano dovuti 
gl'interessi, s� che, non essendo ancora sorto il diritto alla riscossione 
di essi, la prescrizione, prima che essere interrotta, non inizia a decorrere 
e non pu� in alcun modo compiersi. 

In base ad analoghe considerazioni, questa Corte, con la sentenza 

n. 5915/80, ha enunciato il principio, cui deve prestarsi adesione che, 
in tema d'imposte indirette, .. l'esigibilit� degl'interessi di cui alle leggi 
29/61 e 147/62, anche al fine dell'inizio del decorso della prescrizione, 
postula la definitivit� dell'accertamento inerente al tributo al quale accedono 
e, quindi, ove questo sia stato oggetto di controversia dinanzi 
alle commissioni trJbutarie, il passaggio in giudicato della relativa pronunzia, 
per decorso dei termini di impugnazione. Impostato il problema 
in questo ambito e non potendosi quindi condividere l'impostazione 
prospettata dalla ricorrente, deve concludersi che, non perch� operasse 
una causa d'interruzione della prescrizione ma perch� questa non 
aveva iniziato il suo corso in pendenza della controversia di congruit�, 
fondatamente l'eccezione di prescrizione formulata dalla contribuente 
� stata respinta dalla Commissfone Centrale. (omissis) 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 145 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 20 settembre 1984, n. 4801 -Pres. Santosuosso 
-Est. Sgroi -P. M. Iannelli (conf.) -Ruggieri (avv. Serpe) 

c. Ministero delle Finanze (Vice Avv. Gen. Stato Gargiulo). 
Tributi erariali diretti � Soggetti passivi � Terzo possessore di beni gravati 

di privilegio speciale � Diritto all'accertamento � Esclusione � Azioni 

proponibili. 

(T.U. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 201, 208 e 209). 
Il terza possessore di beni gravati di privilegio speciale (nella 
specie moglie del debitorie dell'imposta straordinaria sul patrimonio) � 
soltanto assoggettato alla procedura esecutiva esattoriale, ma, non essendo 
debitore dell'imposta, non partecipa al procedimento di accertamento,
� solo dopo la notifica del'avviso di mora, il terza potr� contestare 
il debito o il privilegio ma solo limitatamente al bene posseduto. 
(1) 

(omissis) Col primo motivo la ricorrente deduce la violazione degli 
artt. 3, 24 e 113 Cost.; falsa applicazione dei principi di diritto tributario 
in riferimento all'art. 31 del t.u. 29 gennaio 1958 n. 645, sull'accertamento 
ed avviso al contribuente, ed omessa motivazione, in relazione 
all'art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c., riproponendo il problema essenziale 
di causa che pu� enunciarsi nei seguenti termini: se la Segoni aveva 

o meno il diritto di essere informata dell'accertamento tributar.io effettuato 
a carico del patrimonio del marito, ma nel quale patrimonio 
venivano considerati anche propri beni, assoggettati a privilegio speciale 
per l'intero tributo dal marito dovuto. 
Secondo la ricorrente, deve applicarsi il principio generale di diritto 
tributario che riconosce il diritto di contestare l'accertamento alle 
persone chiamate a rispondere col proprio patrimonio del debito d'im


(1) La sentenza � importante perch� tocca un problema poco coltivato dalla 
giurisprudenza. Il terzo possessore di bene gravato di privilegio speciale non � 
affatto debitore dell'imposta; � quindi esattissima la affermazione che il terzo, 
che non essendo parte del procedimento non ha avuto alcuna notizia dell'accertamento, 
non ha alcuna posizione rilevante fino a quando non riceve la notifica 
dell'avviso di mora, non preceduto da alcun altro atto (Cass. 15 ottobre 1976, 
n. 3466, in Riv. Leg. fisc., 1977, 325). 
Meno precisa � la parte della sentenza nella quale si ammette che il terzo 
possa contestare il debito ed il privilegio; � ben vero che si precisa che la 
contestazione sul debito sembrerebbe riguardare la inclusione nella base imponibile 
del bene oggetto di privilegio. Si deve per� ritenere che il terzo possa 
contestare soltanto il privilegio e mai il debito accertato nei confronti del 
solo contribuente. 



146 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

posta; principio che ha ispirato le sentenze n. 48/1968 � 139/1968 della 
Corte Cost. che non possono essere circoscritte al solo caso dei debitori 
solidali d'imposta. 

La gravata sentenza nega la tutela dei propri diritti alla ricorrente 
e la riconosce soltanto tenuta a subire passivamente l'espropriazione 
forzata dei propri beni per il pagamento del debito tributario del marito 
violando il suddetto principio. 

Con il secondo motivo, la ricorrente deduce l'omesso esame circa 
un punto, decisivo della controversia (art. 360 n. 5 c.p.c.), richiamando 
le censure mosse in relazione alla domanda principale, per quanto 
concerne la domanda subordinata; e lamentando inoltre che la Corte 
d'appello abbia omesso di considerare la circostanza che i coniugi 
Ruggeri-Segoni, all'epoca dell'accertamento, erano separati (come era 
noto all'Ufficio) e che lo stato di separazione, anche solo di fatto, comporta 
la tassazione separata dei due coniugi. 

Il ricorso � infondato. Per l'esatta impostazione dei problemi che 
esso solleva, in relazione alla domanda introduttiva dinanzi all'Autorit� 
giudiziaria ordinaria proposta dalla Ruggeri, si deve ricordare che 
costei non � erede del padre (debitore d'imposta), perch� dalla sentenza 
impugnata risulta che ha rinunciato all'eredit�; ma � erede della 
madre (Anita Segoni), la cui posizione, nei riguardi dell'imposta straordinaria 
progressiva sul patrimonio di cui al t.u. n. 203 del 1950, era 
quella di assoggettata all'esecuzione esattoriale sugli immobili di sua 
propriet� (ed ora della sua erede), cumulati con i cespiti del marito 
ai fini dell'applicazione dell'imposta. 

P.ertanto, la posizione della Ruggeri � soltanto quella di titolare di 
beni immobili su cui grava il prJvilegio previsto dal primo comma 
dello art. 65 del t.u. citato. Come risulta sia dai caratteri generali del 
privilegio, sia dalle testuali espressioni contenute nei successivi commi 
dell'art. 65, si tratta di un diritto di prelazione che assume rilevanza 
nel momento della riscossione (forzata) dell'imposta; e che prima di tale 
momento non rHeva, se non per il diritto di seguito a carico del terzo 
acquirente (Cass. 9 agosto 1983 n. 5323), da considerare parte necessaria 
dell'esecuzione forzata (Corte Cost. 3 marzo 1982 n. 51). 

La Segoni e la sua erede Ruggeri sono meri soggetti passivi della 
procedura esecutiva esattoriale ed, in quanto tali, potevano contestare il 
debito, l'esistenza e l'estensione del pnivilegio, la estinzione o limitazione 
dell'uno o dell'altro. Proprio per l'intima connessione fra base imponibHe 
(comprendente i beni di propriet� della Segoni e cumulati nell'imposta 
a carico del marito) e privilegio sui beni stessi, non vi � dubbio 
che un possibile oggetto della contestazione sarebbe stata l'inclusione 

o meno dell'immobile (in ordine al quale la Esattoria intendeva pro� 
! 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

muovere l'esecuzione forzata) nell'imponibile; invero, la contestazione 
del privilegio avrebbe potuto discendere dall'eventuale illegittima in� 
elusione dell'immobile nell'imponibile, ai sensi dell'art. 3 del t.u. n. 203 del 
1950. Nessuna contestazione di tal genere (all'infuori di quella mossa 
ai sensi dell'ultimo comma del cit. art. 3, di cui si dir�) � stata sollevata 
dalla Ruggeri, che ha avanzato una pretesa estranea alla sua sfera, 
attinente alla notifica dell'avviso di accertamento, e cio� alla procedura 
di determinazione dell'imposta che riguardava l'obbligo alla dichiarazione 
fiscale (che era soltanto il Ruggeri). Si tratta di una contestazione 
irrilevante per la tutela della posizione della Ruggeri che � quella 
di assoggettata all'esecuzione fiscale (per la sola realizzazione del privilegio, 
,in quanto essa non risponde del debito fiscale con gli altri suoi 
beni, salvo il suo eventuale interesse a pagarlo, per liberare l'immobile 
dal privilegio, in relazione alla convenienza economica rapportata ai diversi 
valori dell'uno e dell'altro). 

Invero, a tutela del suo diritto di contestare il privilegio, dopo la 
ricezione dell'avviso di mora che deve precedere l'esecuzione es�ttoria.Ie 
(art. 200 e ss. t.u. n. 645 del 1958, vigente all'epoca) la Ruggeri poteva 
disporre degli strumenti offerti dagli artt. 208 e 209 terzo comma del 
cit. t.u., contro l'esattore, come non ha mancato di rilevare la Corte 
d'appello, la quale inoltre (con pronuncia che non � stata censurata 
dall'Amministrazione in questa sede) ha stabilito che potesse proporre 
un'azione di accertamento negativo del credito e del privilegio d'imposta, 
contro l'Amministrazione. 

Tale azione, peraltro, come esattamente ha rilevato la Corte d'appello, 
prescindeva del tutto dalla notifica dell'avviso di accertamento 
alla qual<> .la Segoni non aveva diritto (Cass. 14 febbraio 1974 n. 428) 
in quanto non era il soggetto passivo del rapporto d'imposta (n� !'ere� 
de del soggetto passivo medesimo). La mancanza della notificazione 
dell'avviso di accertamento del tributo .alla Segoni � irrilevante, proprio 
perch� ta~e mancanza non impediva di muovere quelle contestazioni che 
la Ruggeri non ha sollevato (all'infuori di quella contenuta nella domanda 
subordinata). 

L'esatta impostazione del problema toglie ogni rilievo alla pretesa 
incostituzionalit� della normativa, posto che il proprietario del bene soggetto 
al privilegio speciale di cui si tratta -non � privato della 
garanzia della tutela giurisdizionale dei suoi diritti (eventuali ed in 
concreto esistenti). La Ruggeri non ha indicato per quale motivo potesse 
contestare il debito o il privilegio, nella sua totalit�, all'infuori 
della pretesa limitazione del privilegio alla quota proporzionale di imposta 
afferente il bene di sua propriet�, invocando a suo favore la norma 
posta a tutela del marito dall'ultimo comma dell'art. 3 del t.u. n. 203. 

(omissis) 

Il 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA Dm.LO STATO 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 18 ottobre 1984, n. 5265 -Pres. Sandulli Est. 
Lipari -P. M. Paolucci (conf.) -Annunziata c. Ministero delle 
Finanze (Avv. Stato Angelini). 

Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile e imposta 
complementare -Condono -Rimborso di ritenute di acconto eccedenti 
-Esclusione -Imputazione alle imposte addizionali -Esclusione. 

(D.L. 5 novembre 1973, n. 660, art. 3; t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 117). 
Il rimborso delle ritenute di acconto eccedenti sull'imposta �definitivamente 
dovuta � incompatibile con la speciale determinazione sintetica 
e transattiva del debito di imposta mediante condono. Una volta 
assorbita la ritenuta, per estinguere l'imposta principale, una sua eventuale 
eccedenza non pu� essere imputata in pagamento delle imposte ad" 
dizionali che hanno un diverso titolo indipendente dalla ritenuta. (1) 

., (omissis) 1. -Come risulta dalla narrazione che precede la materia del 

contendere sottoposta al Collegio riguarda due problemi fra loro con


nessi. 

Si tratta, in primo luogo, di stabilire se, in applicazione delle norme 
sul condono, di cui al d.P.R. 5 novembre 1973, n. 669,, convertito, con mo 
dificazioni, nella legge 19 dicembre 1973, n. 823, il contribuente possa 
pretendere la differenza rispetto a quanto versato in pi� per ritenuta 
d'acconto; ed in secondo luogo di accertare e di verificare se si possa 
. quantomeno imputare sulla suddetta differenza l'ammontare delle ad


dizionali. 

Sia la Commissione di secondo grado che quella Tributaria Centrale 

hanno dato risposta negativa ad entrambi i quesiti, che formano ogget


to dei due motivi del presente ricorso, con i quali il contribuente ripro


pone e sviluppa le ragioni giuridiche prospettate, senza fortuna, ai giu


dici tributari. 

Con il primo mezzo, denunciando la violazione dell'art. 10 della I. 19 

dicembre 1973, n. 823, degli artt. 143 e 177 del d.P.R. 29 gennaio 1958 

n. 645; 3, comma 5 della I. 29 dicembre 1962 n. 1745, nonch� della 
legge 19 maggio 1967, n. 336, si censura la decisione della C.T.C. per 
avere negato la ripetibilit� delle maggiori ritenute d'acconto versate, rispetto 
all'effettivo debito risultato in applicazione dell'accertamento automatico 
previsto dalla legge sul condono, in adesione all'ori:entamento 
dell'amministrazione secondo cui l'imputazione delle ritenute alla fonte, 
adeguatamente documentate, non potrebbe in alcun modo portare al 
rimborso dell'ammontare delle ritenute stesse, eccedenti il debito di 
(1) Sulla prima parte della massima v. Cass. 29 ottobre 1981, n. 5696, in 
questa Rassegna, 1982, I, 360. La seconda parte della massima appare ineccepibile. 
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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 149 

imposta relativo agli imponibili definiti ai sensi del provvedimento agevolativo. 
Secondo la decisione impugnata, la procedura di determinazione 
automatica dell'imponibile, e quindi dell'imposta, prescindendo da ogni 
valutazione analitica delle componenti dello stesso reddito, cristallizza 
le situazioni pendenti, precludendo da un fato alla amministrazione finanziaria 
la ricerca di analisi dei redditi dichiarati, �e dall'altro ai contribuenti 
il rimborso delle eccedenze delle ritenute alla fonte rispetto al 
debito di imposta definitivamente risultante dalla applicazione delle norme 
sul condono, per il fatto stesso che, con il loro comportamento, richiedendo 
appunto il condono, costoro hanno rinunciato all'esame analitico 
della loro posizione fiscale. 

Assume il ricorrente che l'automatismo dell'ingranaggio deter 
minativo dell'imponibile, alla stregua dello strumento del condono, 
resta circoscritto, e si esaurisce, in tale determinazione, non potendo 
travolgere le posizioni debitorie e creditorie che discendono dal rapporto 
tributario nel suo complesso, continuando la ritenuta d'acconto a svolgere 
la funzione sua propria cli predeterminare, in via provvisoria, il 
tributo per essere rimborsata parzialmente, o integrata, a seconda dell'ammontare 
definitivo della obbligazione tributaria. Pertanto, cos� come 
l'erario ha diritto alla integrazione ove l'acconto sia risultato insufficiente, 
al contribuente correlativamente spetta il rimborso della differenza 
ove l'acconto sia risultato eccedente. 

La soluzione adottata dalla C.T.C. appare censurabile al ricorrente 
perch� detenninerebbe una diversit� di trattamento ingiustificata fra 
contribuente e fisco, che pu� ottenere l'integrazione, mentre la ripetizione 
� negata al debitore di imposta che abbia versato pi� del dovuto. 

D'altra parte, -si soggiunge -� significativo che la legge non 
contenga alcuna statuizione espressa per escludere la . ripetizione, che 
trova il suo fondamento normativo, di carattere generale, nell'art. 3 
comma 5 della legge 29 dicembre 1962, n. 1745. La soluzione adottata 
dalla C.T.C. finisce cos� per distorcere la funzione specifica della ritenuta 
d'acconto, trasformandola in imposta a carattere definitivo. 

N� giova richiamare, a sostegno di tale soluzione, l'ultimo comma 

dell'art. 2 della 1. n. 823, che si riferisce esclusivamente alla pronunce 

giurisdizionali divenute definitive ed agli imponibili iscritti o iscrivibili . 

a ruolo anteriormente all� entrata in vigore del decreto, ai sensi degli 

art. 174 e 175 lett. b) del t.u. n. 645 del 1958. 

Con il secondo motivo, sempre invocando a parametro le stesse 

norme precedentemente richiamate, si sostiene che nessuna somma poteva 

essere pretesa a titolo di addizionale, �stante la incontrovertibile cir


costanza che l'imposta determinata con i criteri automatici � stata 

assorbita ad abundantiam nella ritenuta d'acconto. 

Ad avviso del contribuente non si deve riduttivamente affermare che 
l'acconto versato in misura tale da coprire anche l'ammontare delle 


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150 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

addizionali, calcolate sulla imposta del tributo cos� come automaticamente 
definito, valga comunque a soddisfare l'obbligazione accessoria, 
ma pi� radicalmente va postulata la non debenza, in assoluto, di qualsivoglia 
addizionale, poich� non essendo dovuta alcuna imposta, non 
sono dovute nemmeno le addizionali per il loro carattere di accessoriet�. 

Le ritenute alla fonte devono essere prese in considerazione fino alla 
concorrenza del debito di imposta, scaturente dagli imponibili definiti 
(inteso per debito di imposta quello scaturente dalla imposta base 
maggiorata dagli accessori). 

Le addizionali non possono essere corrisposte due volte; ed in ogni 
caso non sarebbe dovuta quella pro Calabria (in ragione di L. 5.821.660) 
essendone gi� scaduto il termine ultimo di applicazione. La non debenza 
di questa specifica addizionale comporterebbe la carenza di titolo 
alla riscossione dell'intero ammontare delle addizionali. 

Conclusivamente, secondo il contribuente, nel sistema della legge 
di condono del 1973 l'imposta che scaturisce �dall'imponibile automaticamente 
determinato, maggiorata daUe eventuali addizionali rappresenta 
il solo ed unico onere tributario, e le maggiori ritenute di acconto 
rispetto all'anzidetto onere debbono essere rimborsate. 

2. -Il ricorso � infondato in entrambe le censure in cui si articola. 
Anche se al momento della sua notificazione questa Suprema Corte� 
non aveva avuto modo di pronunciare sul problema di cui al primo 
mezzo, e la giurisprudenza della C.T.C. apariva oscillante (essendosi espressa 
a favore della tesi del fisco la Sez. VIII con decisione 14 luglio 
1978 n. 11642; ed a favore della tesi del contribuente altra decisione 
della medesima Sezione 26 ottobre 1978 n. 11358, nonch� la Sez. V con 
decisione 29 ottobre 1979 n. 11280), successivamente la questione della 
ripetibilit� delle ritenute alla fonte eccedenti il debito di imposta diretta 
(per R.M. e per complementare), corrispondente all'imponibile definito inapplicazione 
delle norme agevolative contenute nella normativa sul condono 
fiscale del 1973, � stata affrontata e risolta dalla sentenza di questa 
I Sezione 29 ottobre 1981 n. 56% la quale ha stabilito, dando adeguato 
supporto argomentativo alla tesi dell'amministrazione finanziaria (di cui 
alla nota 7 settembre 1974 n. 1543, alle risoluzioni 9/437 del 5 settembre 
1974, 9/2125 del 21 gennaio 1975, ed alla circolare del 29 gennaio 
1975 9/196) che il diritto del contribuente al rimborso delle ritenute 
effettuate in eccedenza rispetto all'imposta dovuta, sancito dall'art. 177 
~el d.P.R. 29 gennaio 1958 n. 645, resta neutralizzato e non pu� essere 
invocato, quando l'imponibile sia stato calcolato automaticamente in 
applicazione delle norme agevolative di cui alla ricordata legge sul condono 
del 1973. 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Riti:ene il Collegio di condividere la soluzione cui la Corte � pervenuta 
con la ricordata sentenza e non reputa adeguate ad un mutamento 
di indirizzo giurisprudenziale le notazioni del ricorrente le quali nei loro 
spunti validi censurano talune argomentazioni dei giudici di merito, senza 
intaccare la esattezza della soluzione raggiunta che va confermata, integrando, 
per quanto possa occorrere, la motivazione, ai sensi dell'art. 384 
comma 2 c.p.c. 

La C.T.C. non ha risolto la controversia attraverso una applicazione 
diretta dell'art. 2 della 1. n. 823 del 1973, ma l'ha postulata in coerenza 
con le implicazioni del sistema scaturente dalla l:egge sul condono. 

Il problema si pone, infatti, perch� il d.l. n. 660 (e la successiva legge 
di conversione) non l'ha risolto con disposizione espressa, diversamente 
da questo stabilito in tema di imposte indirette (per le quali si precisa 
puntualmente che il contribuente � ammesso a godere della definizione 
agevolata mediante il pagamento di una aliquota di imposta: cfr. Cass. 
3515/76 in motivazione; nonch� successivamente numerosi precedenti conformi, 
fra cui Cass. 470/81, 4873/80, 4190/80, 1380/80 ecc.). 

Essendo fuori discussione (anche nella presente controversia) che 
le ritenute d'acconto valgono per conguagliare l'imposta risultante 
dall'applicazione dell'aliquota sull'imponibile determinato alla stregua 
del calcolo automatico indicato dalla legge di condono, si tratta di� stabilire 
se � conciliabile con tale meccanismo, e pi� in generale con le 
finalit� della legge, Ja persistente operativit� del principio per cui le 
ritenute d'acconto, presentandosi come veri e propri � acconti � del futuro 
ed effettivo debito di imposta, restano soggette a conguaglio, anche 
rispetto alla determinazione dell'imponibile effettuata in applicazione 
dell'art. 3 del d.l. n. 660 del 1973. 

Ritiene il Collegio che, in coerenza allo scopo perseguito d~l provvedimento 
di condono, il meccanismo posto in essere mediante calcolo 
automatico e non analitico dei redditi, escluda che vi sia spazio per la 
persistente operativit� dell'art. 177 del t.u. n. 645 del 1958. 

3. -Il condono disciplinato dal d.l. 5 novembre n. 660, come modificato 
dalla legge di conversione 19 dicembre 1973, n. 823, si caratterizza, 
nella sua genesi, per la coincidenza con la riforma tributaria cui, nello 
stesso contesto temporale, si poneva mano. 
Nel momento in cui detta riforma diveniva operante, si volle offrire 
al contribuente l'opportunit� di chiudere le passate controversie in mo~o 
che la riforma potesse decollare senza che gli uffici restassero intasati 
dalle numerosissime controversie pendenti, iniziando ex novo, un rapporto 
pi� corretto fra contribuente e fisco alla stregua di una pi� sensibile 
coscienza tributaria (facendo corrispondere al condono l'amnistia per 
i reati tributari). 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Sulla � novit�� del provvedimento del 1973 ha avuto modo di soffermarsi 
la stessa Corte costituzionale (cfr. le sentenze n. 32 del 1976, 
% del 1980, 119 del 1980). Si tratta di provvedimento che intende creare 
le migliori condizioni per l'avvio della riforma tributaria, agevolando, 
prima ancora che la regolarizzazione di situazioni contra legem, la definizione 
con metodo semplificato, delle controversie esistenti all'entrata in 
vigore del decreto legge. A tal fine -ed � questa la fondamentale circostanza 
che preme sottolineare -a differenza di quanto era previsto 
nei precedenti provvedimenti di condono, non si condiziona l'abbandono 
delle sanzioni alla definizione in regime ordinario dei redditi, attesi 
gli obiettivi di rapidit�, anzi automaticit�, che si intendevano raggiungere. 
Il contribuente pu� soltanto presentare domanda irrevocabile 
(art. 10) per l'applicazione del provvedimento, quando ritiene che la definizione 
cos� realizzata sia pi� conveniente di quella conseguibile in 
regime ordinario; l'amministrazione, dal canto suo, deve limitarsi ad applicare 
gli schemi di definizione all'uopo predisposti, con tutte le implicazioni 
logico-giuridiche che l'automatismo postula. 

Questo dominante ed essenziale criterio dell'automatismo, correlato 
al venir meno rispetto alle fattispecie disciplinate dal condono della 
normale procedura di accertamento, comporta che, . �ome ef~etto conseguenziale 
del trattamento agevolato, entrambe le parti del rapporto 
tributario restino assoggettate alla specifica disciplina dettata per l'accertamento 
automatico, con tutti i corollari che ne conseguono. Fra 
essi la non invocabilit� dell'ingranaggio � compensativo � che correla 
l'acconto all'accertamento definitivo del debito d'imposta attraverso un 

conguaglio che, secondo il segno aritmetico delle � poste � raffrontate, 
si risolve nella pretesa integrativa del fisco, ovvero in quella restitutoria 
del contribuente. 

La inerzia del conguaglio al � tipo � di accertamento analitico comporta 
che l'abbandono di detta tipologia per quella dell'automatismo, 
prescelta dal contribuente perch� ritenuta pi� conveniente, spezza la 
corrispettivit� fra acconto e tributo definitivo, nel senso che mentre 
quel che � stato. pagato �n prevenzione concorre alla solutio del debito 
tributario, cos� come risulta automaticamente determinato, resta irripetibile 
l'eventuale supero .correlato alla analiticit� dell'ordinario accertamento, 
non essendo pi� possibile determinare, con effetti giuridici 
vincolanti, quanto si sarebbe dovuto pagare, secondo il metodo analitico 
a titolo di imposta (e di correlativa addizionale). Di un-rimborso si 
potrebbe, infatti, parlare legitttimamente solo se il procedimento accertativo, 
fosse andato innanzi secondo il modelo tipico di diritto comune. 
La sostituzione del modello comporta l'abbandono al fisco del quid pluris 
che potrebbe venire a risultare, come ineluttabile conseguenza della operata 
scelta. 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

L'equivoco di fondo della difesa del contribuente sta, appunto, nel 
non aver colto l'elemento per cos� dire transattivo, che caratterizza 
l'istituto del condono, .attraverso l'integral�e sostituzione del modello 
accertativo e nel pretendere di cumulare un doppio vantaggio: quello 
in ipotesi riconducibile alla procedura normale di accertamento e 
quello scaturente dalla determinazione automatica dell'imponibile. 

Nel sistema normale la ritenuta d'acconto � una quota del futuro 
tributo; e quindi ne va_ tenuto conto secondo la doppia valenza dell'insufficienza 
o dell'eccesso con l'effetto che se a seguito di definizione 
dell'accertamento risulta un � attivo � o un � passivo � si procede al 
conguaglio. Ma questa bivalenza della ritenuta d'acconto, proprio perch� 
si collega al normale accertamento analitico (con tuttte le lungaggini 
ed incertezze determinative che vi si riconnettono e le numerose 
frange di contenzioso che normalmente ne conseguono) non opera pi� 
quando il contribuente sceglie irrevocabilmente la via dell'accertamento 
automatico, reputando, a ragion veduta, che gli convenga comunque 
(fra l'altro) abbandonare il supero della ritenuta d'acconto, cristallizzata 
in termini di definitivit�, rispetto all'imposta automaticamente� 
determinata di gran lunga inferiore a quello che sarebbe stato l'imponibile 
determinato col normale regime impositivo di accertamento, depurato 
dalla integrale utilizzazione della ritenuta stessa. 

A questo riguardo il caso di specie � addirittura paradigmatico perch� 
il contribuente � stato gravato in definitiva di un carico tributario 
di L. 21.750.000 (a parte le addizionali dovute, come si dir� tra breve, 
sul pi� ridotto ammontare de~la imposta automaticamente definita) 
a fronte di una imposta che con il sistema ordinario di accertamento 
avrebbe eroso l'imponibile di 400 milioni di oltre il 50%. 

Il contribuente, optando per il condono, sa (o dovrebbe sapere, attraverso 
un procedimento esegetico, il rischio della cui esattezza sta 
a suo � carico, cos� come avviene per qualsiasi interpretazione di leggi 
che incidono sulla sfera patrimoniale dei sottoposti) che il prezzo del 
condono, quando si tratti di tributi cui viene riferita la ritenuta di acconto, 
� dato dal tetto di questa ritenuta, di cui potr� giovarsi per 
intero per l'adempimento dell'obbligazione, restando acquisita l'even� 
tu,ale differenza al fisco. 

4. � Vart. 177 del T.U. n. 645 del 1958 risulta, pertanto, incompatibile 
con il sistema dell'accertamento automatico postulato dalla legge di 
condono, perch� presuppone per la sua operativit� un rapporto diretto 
fra le somme che hanno concorso a formare l'imponibile ed i versamenti 
in acconto effettuati sulle somme stesse (questo rapporto di c�rrispettivit� 
biunivoca emerge con assoluta chiarezza dal testo del comma 
secondo della legge in esame). 
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RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

La corrispondenza fra somme concorrenti a formare l'imponibile 
e d'acconto versate man mano che vengano percepite, non �, invece, ipotizzabile 
alla stregua del sistema del calcolo automatico contemplato dalla 
legge agli effetti del condono, non dal momento che prendono in considerazione 
<le somme effettivamente acquisite al patrimonio del contribuente 
nel periodo di imposta considerato, ma si fa riferimento ad imponibili 
accertati o dichiarati per un periodo di imposta precedente. 

Risulta, quindi, evidente che nessun rapporto sussiste fra le componenti 
del'imponibile automaticamente determinato, senza alcun effettivo 
riferimento ai redditi del contribuente, e le ritenute d'acconto la 
cui ragion d'essere sta nel riferirsi volta a volta a specifiche componenti 
di quei redditi. 

L'art. 177 si colloca necessariamente nella logica di un sistema di 
accertamento analitico dei redditi che concorrono a formare l'imponi� 
bile. Se tale accertamento analitico non pu� operare, per scelta dello 
stesso contribuente, non � pensabile che il contribuente stesso si avvalga 
ad un tempo di componenti dell'accertamento automatico (e quindi necessariamente 
presuntivo) per maggiorazione predeterminata degli imponibili 
degli anni precedenti, e di componenti del sistema di accertamento 
analitico. 

Negando la ripetibilit� delle ritenute di acconto versate in eccedenza 
rispetto all'imponibile accertato ed il sistema automatico non si 
verifica un indebito oggettivo di cui, contrarius, si negherebbe l'azionabilit� 
con violazione dei principi che governaD:o l'istituto. 

Un ragionamento siffatto confonde i due piani dell'accertamento� 
quale avrebbe potuto essere alla stregua delle regole generali e quale � 
stato per effetto del sistema automatico presuntivo: ed intanto ha un 
minimo di plausibilit� in quanto si dimostri che gli acconti versati 
sarebbero stati eccedenti rispetto ad un normale accertamento riferito 
ai redditi effettivamente conseguiti dal contribuente nel periodo considerato 
(e si �� gi� osservato che nel caso di specie se non si fosse avvalso 
del condono l'Annunziata avrebbe dovuto corrispondere un'imposta 
di gran lunga maggiore dell'acconto versato). Ma quand'anche, in ipotesi, 
per un errore di calcolo, il cont~ibuente avesse scelto la strada meno 
favorevole del condono (il ragionamento viene svolto ad abundantiam 
e per completezza di motivazione, perch� non � questo il caso di cui 
il Collegio � investito) per concretare gli estremi dell'indebito oggettivo 
occorrerebbe (come messo in evidenza nella richiamata sentenza 5696/81) 
che questi previamente facesse valere l'annullabilit� della dichiarazione, 
con la quale � stata chiesta l'applicazione delle disposizioni sul con� 
dono, nei limiti in cui l'annullabilit� � ammessa, dimostrando, sottoponendosi 
all'accertamento analitico delle componenti del proprio reddito 
imponibile, che lo stesso � inferiore a quello che risulta dall'appli-

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

cazione del cosiddetto condono fiscale, o che le somme corrisposte 
a titolo di ritenuta d'acconto superano quelle effettivamente dovute 
a titolo di imposta. In difetto di tale accertamento non � concettualmente 
possibile ravvisare alcun ((indebito�, in difetto di omogeneit� 
dei termini dell'operato raffronto. 

La soluzione cui il Collegio perviene ribadendo le conclusioni precedentemente 
riassunte (con la ricordata sentenza n. 5656/81) risponde ai 
canoni della logica comune e si inserisce armonicamente nella ratio del 
condono sui generis introdotto con i provvedimenti legislativi del 1973, 
senza prestare il fianco a dubbi di costituzionalit�: n� p�er quanto 
attiene al principio di eguaglianza, poich� tutti i contribuenti si trovano 
sottoposti al medesimo trattamento rispetto alla negazione della 
ripetibilit� della eccedenza; n� per quanto riguarda la capacit� contributiva, 
ex art. 53 comma 1 Cost., perch� se effettivamente la scelta 
del condono risultasse pregiudizievole al contribuente (ma si tratta 
di ipotesi assolutamente marginali) sussiste, come si � appena rilevato, lo 
strumento dell'annullamento della dichiarazione unilaterale in tal senso 
resa al fine di accertare l'effettivo indebito negli estremi oggettivi 
evidenziati �all'interno� del sistema di accertamento analitico. 

5. -Anche il secondo mezzo � privo di giuridico fondamento. 
La C.T.C. ha precisato che la ritenuta d'acconto non pu� venire 
in considerazione ai fini del conguaglio con le addizionali da commisurare 
all'importo dell'imposta quale � risultato dall'applicazione dell'aliquota 
all'imponibile determinato alla stregua della legge sul condono, perch� 
per sua natura tale ritenuta costituisce una quota dell'imposta base, � 
cio� ritenuta d'imposta, e non anche ritenuta di addizionale d'imposta. 

Trattasi di notazione determinante per respingere la tesi principale 
del ricorrente che pretenderebbe di operare una sorta di interversione del 
titolo giuridico e di operare una compensazione fra entit� non omogenee, 
non potendo il quod pluris versato a titolo di acconto sull'imposta 
definitiva, risultata di ammontare inferiore per' effetto dell'applicazione 
dell'ingranaggio del condono, che resta cristallizzato a favore 
del fisco, �essere opposto al fisco medesimo per neutralizzare la pretesa 
qualitativamente diversa dall'addizionale. 

In effetti il ricorrente, se ben se ne � intesa la doglianza, non sostiene 
la te'si dell'assorbimento facendo rientrare il debito per addizionale 
nel maggior importo residuato dopo l'imputazione di parte della 
ritenuta di acconto a soddisfo dell'obbligazione tributaria principale (e 
ad ogni buon fine tale tesi resterebbe confutata dalle precedenti osservazioni), 
ma assume pi� radicalmente, che, non essendo dovuto alcun 
tributo, non sono dovute nemmeno le addizionali, quali imposte meramente 
accessorie. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

156 

Il discorso impeccabilmente sillogistico, si regge tutto sulla singolare 
tesi della non debenza dell'imposta che si presenta come proposizione 
diacronica, assolutamente non condividibile perch� confonde la 
non debenza della imposta stessa in astratto con gli effetti della intervenuta 
solutio che rende non pi� dovuta ulteriormente l'obbligazione 
tributaria gi� assolta. 

Se in effetti il contribuente volesse paradossalmente sostenere che 
non avrebbe dovuto corrispondere alcunch� a titolo di complementare 
per l'anno 1973 sarebbe agevole contestargli la preclusione che nasce 
dalla richiesta di condono e dal pagamento del debito che alla applicazione 
di condono si correlava trattandosi d~ obbligazione tributaria ormai 
definita e rispetto alla quale, del resto al contribuente non � stata presentata 
in questo giudizio alcuna richiesta restitutoria, la restituzione essendo 
limitata al quid pluris differenziale risultante dalle contrapposizioni 
della imposta, ed eventualmente dalle addizionali calcolate su tale imposta, 
all'ammontare della ritenuta. 

L'unico discorso plausibile da svolgere non pu� quindi innestarsi 
sulla �attuale� inesistenza del debito principale di imposta, per negare 
ingresso alla obbligazione accessoria per addizionali, giacch� per escludere 
Ja debenza dell'addizionai-e non basta invocare il pagamento dell'imposta 
principale ma bisogna dimostrare, appunto, l'inesistenza di tale 
obbligazione � madre �. 

Ma, una volta ribadito che un'obbligazione per imposta � venuta 
in essere ed � stata adempiuta, il contribuente non pu� sottrarsi alla 
regola dell'accessoriet�, sforzandosi di dimostrare l'adempimento anche 
di tale obbligazione accessoria � riportandola � al maggiore importo 
residuale dell'addizionale che se valeva per la solutio del minor debito 
a titolo di imposta principale, non vale per l'imputazione a titolo di 
imposta addizionale, poich� sicuramente di questa non ha costituito 
anticipazione, sicch� l'assunto della doppia imposizione risulta assolutamente 
privo di fondamento. 

In altre parole, rapportata la ritenuta d'acconto alla sola imposta 

principale e negata la ripetibilit� del supero che resta acquisito al 

fisco (per le ragioni esposte nel precedente parag:(afo), tale supero non 

� pi� nella sfera di disponibilit� del contribuente che non pu� imputare 

il diverso credito per addizionale che scaturisce de plano dalla indiscussa 

debenza dell'imposta principale. Ne consegue che, non essendo state cor


risposte le addizionali (salve le 250.000 di cui � cenno nella narrazione 

del fatto, secondo modalit� che sfuggono all'esame del Collegio, non es


sendovi comunque imputazione specifica sul punto) correttamente la 

C.T.C. ha riconosciuto la fondatezza della iscrizione per L. 7.968.652 nei 
ruoli di settembre del 1975. (omissis) 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 157 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 25 ottobre 1984, n. 5443 -Pres. Santosuosso 
-Est. Rocchi -P. M. Dettori (conf.) -Ministero delle Finanze 
(Avv. Stato Braguglia) c. Locatelli (Avv. Romanelli). 

Tributi erariali indiretti -Imposte di fabbricazione -Oli minerali -Sog


getto passivo -Autore della violazione -Persona che agisce per conto 

di una societ� -~ tale. 

(D.L. 28 febbraio 1939 n. 334, art. 23). 
Soggetti passivi dell'imposta di fabbricazione sono, oltre al fabbricante 
e al commerciante, tutti gli autori della trasgressione, e fra� questi 
anche le persone che hanno agito per conto di una societ�. (1) 

(omissis) Con processo verbale del 27 luglio 1959, il Nucleo regionale 
della polizia tributaria di Milano denunciava all'Autorit� giudiziaria 
Guido Locatelli per i reati di cui all'art. 9 della legge 2 luglio 1957, 

n. 474 (sottrazione al pagamento della imposta di fabbricazione di olio 
lubrificante) e agli artt. 483 e 61, n. 2 c.p. (falsa attestazione della natura 
del prodotto), commessi nella veste di direttore della S.p.A. Compagnia 
nazionale prodotti petroliferi Veedol. 
Il processo penale, nel quale l'Amministrazione finanziaria si costituiva 
parte civile per ottenere il recupero della imposta evasa, era 
definito dalla Corte di Appello di Milano, che, con sentenza 20 giugno 
1978, dichiarava i reati estinti per effetto di prescrizione. , 

Con ingiunzione del 27 agosto 1976, l'intedente di finanza richiedeva 
al Locatelli il pagamento della somma di L. 2.609.054, quale imposta 
evasa. 

Con citazione del 12 novembre 1976, il Locatelli proponeva opposizione, 
convenendo l'Amministrazione finanziaria innanzi il Tribunale 
di Milano, nel riflesso della illegittimit�, quanto meno nei suoi 
confronti, della pretesa tributaria. 

Con sentenza del 23 febbraio 1978, il Tribunale adito accoglieva 
l'opposizione, rilevando che, in materia di imposte indirette l'Amministrazione 
ha la potest� di autoaccertare i propri crediti e di ingiungere, 
mediante atto amministrativo, il pagamento delle relative somme, soltanto 
nei confronti dei soggetti di imposta, e non pure a carico di chi, come 

(1) La sentenza, sulla base del principio pacifico che soggetti passivi della 
imposta di fabbricazione sono tutte le persone, anche diverse dal fabbricante 
e dal commerciante, che sono parti attive della violazione (Cass. 26 marzo 1977, 
n. 1184 e 26 aprile 1982, n. 2554, in questa Rassegna 1977, 322 e 1982, I, 841) 
corregge l'affermazione della decisione 30 marzo 1983, n. 2291 (ivi, 1983, I, 538) 
che aveva escluso la qualit� di contribuente per l'ag1mte di una societ�. Ovvia 
conseguenza � che contro l'autore della violazione considerato soggetto passivo 
pu� (e deve) essere accertato il debito di imposta mediante ingiunzione. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

il Locatelli, possa essere eventualmente tenuto a risarcire lo Stato del 
danno derivato, in conseguenza della evasione, dalla mancata percezione 
del tributo. 

Avverso detta sentenza proponeva appello l'Amministrazione finanziaria, 
innanzi la Corte territoriale, che respingeva l'impugnazione con motivazione 
sostanzialmente identica a quella adottata dal primo giudice. 

Contro la sentenza della Corte milanese ricorre per cassazione l'Amministrazione 
finanziaria, con unico motivo di annnullamento. Resiste 
il Locatelli con controricorso. 

Motivi 

Con l'unico motivo di annullamento, l'Amministrazione ricorrente 
deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 18 e 23 del D.L. 28 febbraio 
1939, n. 334, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c. lamentando che 
la Corte territoriale abbia ritenuto che i soggetti ,passivi dell'imposta 
di fabbricazione sugli olii minerali sono tassativamente ed esclusivamen~
e indicati negli artt. 12 (fabbricanti) e 13 (commercianti) del citato decreto 
e, pertanto, che gli autori dell'evasione fiscale prevista e punita 
dall'art. 23 denunciato, diversi dal fabbricante o dal commerciante, pur 
essendo responsabili del danno sub�to dalla P.A., per il mancato pagamento 
del tributo, non sono soggetti passivi dello stesso, e non sono, 
conseguentemente, perseguibili mediante l'ingiunzione fiscale di cui all'art. 
18 del D.L. n. 334/39, ma soltanto mediante un ordinario giudizio 
risarcitorio. 

La censura � fondata. 

Premesso che l'accertamento del reato in questione non fu compiuto, 
essendo stato il reato stesso dichiarato estinto per prescrizione, il problema 
di fondo � quello della individuazione dei soggetti passivi del 
rapporto tributario d'imposta di fabbricazione. 

Sul punto, questa Corte di legittimit� ,si � gi� pronunciata, con 

la sentenza n. 302 del 1970, affermando che nell'ipotesi di frode fiscale 

che costituisce reato, come per il contrabbando di merci introdotte nel 

territorio dello Stato o di quello di specie consistente nell'illecita sot


trazione di un prodotto al tributo, soggetto passivo dell'imposta � l'au


tore della frode, dalla quale nasce l'obbligazione tributaria e �ad un 

tempo, la pretesa punitiva dello Stato (nello stesso senso anche Cass. 

n. 2095/72, in motivazione). 
In siffatta prosp�ettiva, la Corte di legittimit� ha altres� affermato, 
in chiave conseguenziale, che l'accertamento e la riscossione del tributo 
ben possono avvenire in via di autotutela, mediante il ricorso alla �ngiunzione 
fiscale, e che non � preclusa l'indagine in .sede civile sul 
fatto-reato generator� dell'obbligo tributario, qualora, per qualsiasi causa 
(ad es. prescrizione del reato) tale accertamento non possa pi� avvenire 
in sede penale. 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 159 

Il principio che considera l'autore della frode fiscale come soggetto 
passivo dell'obbligazione tributaria ha trovato altres�, conferma nelle sentenze 
di questa Corte n. 1184 del 1977 e n. 2554 del 1982. In particolare, 
con la sentenza n. 1184, la Corte, prendendo in esame tutti i casi di 
frode fiscale contemplati dalla normativa di cui al capo VIII del D.L. 
28 febbraio 1939, n. 334, cos� come modificato dapprima� cqn il D.L. 
3 dicembre 1953, n. 878 e, poi, con il D.L. 5 maggio 1957, n. 271, 
afferma che le disposizioni relative �creano debitore di imposta colui 
che � stato scoperto come autore della trasgressione � e che nella 
previsione di ciascuna ipotesi delittuosa viene usato il termine � chiunque 
� proprio per indicare che imposta e pena fanno capo al trasgressore, 
indipendentemente dalla sua veste. 

Ai detti principi il Collegio ritiene di doversi uniformare, condividendone 
d contenuti logico-interpretativi e non essendo stati, pel"altro, 
addotti, nella sede presente, argomenti decisivi di dissenso 

In particolare si osserva che dovendosi considerare l'autore della 
frode fiscale, anche se soggetto diverso dai soggetti tipici del rapporto 
di imposta, debitore d'imposta, cio� soggetto passivo del rapporto tributario, 
non c'� ragione per ritenere che nei suoi confronti l'Amministrazione 
finanziaria non possa agire in via di autotutela, per il recupero 
della imposta evasa, ricorrendo al mezzo particolare della ingiunzione 
fiscale e debba, invece azionare una pretesa risarcitoria, precostituendosi 
il titolo relativo. 

Appare, infatti, evidente che la pretesa tributaria fatta valere mediante 
ingiunzione resta all'interno del rapporto di imposta, del quale 
l'autore della frode � considerato soggetto passivo, e non si trasforma 
in pretesa risarcitoria, che potrebbe al limite esulare dal potere di 
autoaccertamento della P.A. 

Rilevasi, da ultimo, che il resistente sottolinea nel controricorso che 
il reato contestatogli � stato dichiarato prescritto in sede penale, la 
qual cosa precluderebbe l'esercizio, da parte della P.A., del potere di 
autoaccertamento della sua pretesa. 

Si � gi� detto che questa Corte di legittimit�, pronunciandosi sul pun� 
to, ha ritenuto non preclusa, in sede civile, l'indagine sulla esistenza del 
fatto reato da cui dipende l'obbligazione tributaria, e che il Collegio non 
ha motivo di discostarsi anche da tale principio. 

Vale, comunque, rilevare che il procedimento di ingiunzione fiscale 

corrisponde sostanzialmente ad un fatto formale di accertamento ed ha, 

al tempo stesso, forza di titolo esecutivo e di precetto, che consentono, 

in difetto di opposizione o di sospensione, l'esecuzione forzata nei con


fronti del debitore di imposta. Orbene, garantita al contribuente la pos


sibilit� -mediante il ricorso alla opposizione che d� luogo ad un ordinario 

processo di cognizione -di contestare e porre nel nulla la pretesa 

tributaria, non sembra rilevare che l'obbligazione derivi da .fatto ille



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

cito costituente reato, oppure da altro titolo, in quanto, anche nella 
prima ipotesi, ferma pur sempre la pregiudizialit� penale, non pu� certamente 
considerarsi preclusa, nella logica del sistema, l'indagine, in sede 
civile, circa la_ sussistenza del fatto-reato, il quale, per una qualsiasi 
causa, non potesse pi� essere accertato in sede penale (vedi in motivazione 
Cass. n. 3�2/70, citata). (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 30 ottobre 1984, n. 5545 -Pres. Falcone Est. 
Sensale -P. M. Morozzo della Rocca (diff.) -Ministero delle Finanze 
(Avv. Stato Angelini) c. Rossi (Avv. Ferreri). 

Tributi erariali indiretti � Imposta di successione � Beni trasferiti negli 
ultimi sei mesi di vita a terzi � Concetto di terzi � Vi sono compresi 
anche gli eredi � Art. 9 d.P.R. 26 ~ttobre 1972 n. 637 � Eccezione di illegittimit� 
costituzionale � Manifesta infondatezza. 

(D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, art. 9; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 25). 
La presunzione di appartenenza all'attivo ereditario dei beni che 
siano stati trasferiti a terzi a titolo oneroso negli ultimi sei mesi di 
vita (art. 9, d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 637), � operante per tutti i trasferimenti, 
compresi quelli in favore degli eredi, ad eccezione soltanto dei 
trasferimenti fra parenti in linea retta per i quali si applica l'altra presunzione 
dell'art. 25 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634. L'eccezione di illegittimit� 
costituzionale della norma dell'art. 9 del d.P.R. 26 ottobre 1972 

n. 637 per contrasto con gli artti 3, 24 e 53 Cast. � manifestamente infondata. 
(1) 
(omissis) 1. -L'Amministrazione ricorrente denuncia la violazione e 
falsa applicazione dell'art. 9 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, in relazione 
all'art. 8 n. 4 della legge 9 ottobre 1971 n. 825, nonch� il vizio di contraddittoriet� 
della motivazione, censurando 'la decisione impugnata 
per aver ritenuto avulsi dall'asse ereditario i beni acquistati dall'erede 
negli ultimi sei mesi di vita del de cucius. Essa sostiene che: a) se, 
come la stessa Commissione tributaria centrale riconosce, la norma 
contenuta nell'art. 9 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 637 attua una direttiva 
contenuta nell'art. 8 n. 4 della legge delega 9 ottobre 1971 n. 825 diretta 

ad evitare o, quanto meno, scoraggiare le tentazioni di sottrarre con mezzi 
surrettizi materia pertinente all'attivo successorio tassabile e se la legge di 
delega stabilisce la irrilevanza, ai fini della determinazione dell'imponibile 

(1) Questione nuova risolta con motivazione approfondita che ricostruisce 
l'intero sistema di cautele rivolte ad impedire la sottrazione di materia imponibile 
all'attivo ereditario. � 
! 

! 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 161 

nelle successioni ereditarie, delle alinazioni di beni poste in essere negli 
ultimi sei mesi �di vita del dante causa, chiunque sia l'acquirente (e 
quindi anche quando tale sia il futuro erede), l'art. 9 del decreto delegato, 
dovendosi interpretare nel senso della sua aderenza ai principi costituzionali, 
non pu� avere . altro significato che quello conforme alla 
norma di delega e deve riferirsi anche alle vendite effettuate al 
futuro erede, con la conseguenza che le parole �a terzi�, compre� 
se nell'art. 9, nulla aggiungono al significato della espressione �beni 
alienati a titolo oneroso � e costituiscono, pertanto, solo �una 
inopportuna aggiunta di carattere pleonastico; b) sarebbe contrario 
alle finalit� della norma che, proprio nei confronti del proprietario e 
del futuro erede( i quali, ess�endo direttamente interessati al pagamerito 
delle maggiori imposte di successione, sono le parti naturali dell'accordo 
simulatorio tendente alla evasione di tali imposte), essa dovesse rimanere 
inattuata; c) l'interpretazione, nel senso sostenuto nel ricorso, 
del 1� comma dell'art. 9 si coordina con il disposto dell'ultimo comma 
(in base al quale l'Amministrazione finanziaria pu� provare la simulazione 
degli atti di trasferimento anteriori agli ultimi sei mesi di vita 
dell'autore della successione) e, come questo si riferisce agli atti di 
trasferimento chiunque sia il soggetto acquirente, cos� lo stesso riferimento 
deve intendersi operato in relazione agli atti compiuti negli � 
ultimi sei mesi, per i quali la legge stabilisce una presunzione assoluta 
di simulazione; d) se i casi previsti dall'art. 9, 1� comma, sono quelli 
che riguardano vendite di beni ad estranei, del ricavato delle quali 
l'erede non possa dare dimostrazioni dell'uso (cos� la decisione imp�gnata), 
deve riconoscersi che la situazione degli acquirenti eredi non 
differisce da quella degli acquirenti estranei e che sarebbe ingiustifi�ato 
ritenere che dall'osservanza della norma �siano dispensati i primi; e) la 
circostanza che l'erede, secondo la interpretazione_ sostenuta nel ricorso, 
debba pagare l'imposta di successione, pur avendo pagato l'imposta d� 

registro come acquirente a titolo oneroso, non d� luogo a duplicazione 
d'imposta, trattandosi di imposte dovute per due diversi trasferimenti 
dello stesso bene aventi cause giuridiche diverse; ad analoga conclusione 
si perviene, tenendo conto del fatto che il 1� comma dell'art. 9 
tende a colpire il trasferimento gratuito all'erede delle somme costituenti 
il prezzo della vendita stipulata dal de cuius, s� che non solo sono 
diversi gli atti di trasferimento, ma lo sono anche i beni che ne formano 
oggetto e, mentre la prima tassazione colpisce la capacit� contributiva 
manifestata dal venditore e dal compratore con la vendita del bene, la 
seconda colpisce la capacit� contributiva manifestata dall'erede che acquista, 
a titolo gratuito di successione, la somma acquisita e appartenente 
al de cuius quale prezzo del bene da esso venduto; f) poich� 
ai sensi dell'art. 25 del d.P.R. n. 634 del 1972, le vendite d'immobili fria 
parenti in linea retta si presumono, in via assoluta, donazioni e, come 

rlltlllll�lllllllrlllJllflliltrllllllllllllllllllllllflllJlllll�~ 



162 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

tali, sono soggette a coacervo ai fini della determinazione delle aliquote 
delle imposte relative alla successiva successione fra gli stessi parenti, ritenere 
che le vendite al futuro erede, che non sia parente in linea retta 
con il de cuius, siano escluse dalla previsione dell'art. 9, 1� comma, del 
decreto n. 637/72, vorrebbe dire accogliere la inaccettabile conclusione 
di un trattamento pi� sfavorevole riservato alle successioni tra padre 
e figlio: le due norme possono, invece, coordinarsi fra loro nel senso 
che le vendite tra parenti in linea retta, avendo gi� subito sin dal 
momento della loro registrazione analoga presunzione, non possono pi� 
essere soggette a quella stabilita dall'art. 9, 1� comma, il� quale deve per 
ci� riferirsi a trasferimenti onerosi diversi da quelli immobiliari fra parenti 
in linea retta, con la conseguenza che � terzi � nel senso di cui 
all'art. 9, 1� comma, sono tutti coloro, eredi o non eredi, rispetto ai quali 
non � operante la presunzione posta dall'art. 25 del decreto n. 634, espressamente 
richiamata dall'art. 7 del d.P.R. n. 637. 

Il ricorso � fondato. 

2. -L'art. 8 della legge 9 ottobre 1971 n. 825 (delega al Governo per 
la riforma tributaria), dettando i principi e i criteri direttivi cui si 
sarebbe dovuto uniformare il regime tributario delle successioni, al n. 4 
stabiliva, fra l'altro, la .irrilevanza, ai fini della determinazione dell'imponibile, 
delle alienazioni di beni negli ultimi sei mesi di vita del dante 
causa, se non fosse stata fornita la prova valida dell'investimento o 
del consumo del ricavo. La norma aggiungeva che gli stessi atti, posti 
in essere in precedenza, sarebbero stati considerati irrilevanti quando ne 
fosse stata dimostrata la simulazione. 
I principi e i criteri suddetti sono stati trasfusi nell'art. 9 del d.P.R. 
26 ottobre 1972 n. 637, il cui primo comma stabilisce che si considerano 
compresi nell'attivo ereditario i beni e i diritti, soggetti ad imposta, 
che siano stati trasferiti a terzi a titolo oneroso negli ultimi sei mesi 
di vita del defunto, ed il cui ultimo comma consente all'Amministrazione 
finanziaria di provare la simulazione degli atti di trasferimento posti 
in essere anteriormente agli ultimi sei mesi di vita dell'autore della 
successione. 

Peraltro, nel terzo comma, l'art. 9 stabilisce che dal valore dei beni 
e diritti dev'essere detratto l'ammontare (a) dei crediti sorti in dipendenza 
dell'alienazione, (b) delle somme reinvestite nell'acquisto di beni 
indicati nella dichiarazione o che siano stati rivenduti ovvero distrutti 

o perduti per causa non imputabile al defunto, (c) delle somme impiegate, 
successivamente al trasferimento, nella estinzione di passivit� o di debiti 
tributari, (d) delle somme erogate per spese di malattia o di mantenimento 
dell'autore della successione o dei familiari a suo carico; Il quarto 
comma, poi, per i conferimenti in societ� e per le permute, consente la 
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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

detrazione del valore delle azioni o quote sociali o dei beni ricevuti dal 
valore dei beni conferiti o alienati. 

Per completare la rassegna delle norme che interessano la soluzio� 
ne delle questioni prospettabili nell'ambito della presente controversia, 
occorre richiamare anche l'art. 7 del decreto sulla imposta di succesione, 
il quale stabilisce che, ai soli fini della determinazione delle aliquote, 
il v,alore globale dell'asse ereditario � maggiorato di, un importo pari 
al valore complessivo di tutte le donazioni, comprese quelle che si presumono 
tali ai sensi dell'art. 25 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 634, fatte 
dal defunto agli eredi e legatari: art. 25, a termini del quale i trasferimenti 
immobiliari posti in essere fra parenti in lina retta si presumono 
donazioni con esclusione della prova contraria, se la relativa im� 
posta (di registro) risulti inferiore a quella dovuta in caso di trasferimento 
a titolo gratuito. 

3. � Per la prima volta viene all'esame di questa Corte la questione circa 
il significato da attribuire al primo comma dell'art. 9 del decreto numero 
637/72 e, in particolare, all'espressione � i beni e i diritti... elle 
siano stati trasferiti a terzi�. La norma, secondo il resistente, sarebbe 
talmente chiara nell'escludere i beni e i diritti trasferiti al futuro erede, 
da non giustificare il ricorso alla interpretazione logica e sistematica; 
e, con una impostazione analoga, la Commissione tributaria centrale 
ha affermato che, per comprendere qualsiasi cessione a chiunque fatta 
negli ultimi sei mesi, la norma non avrebbe dovuto riferirsi a � terzi � 
e che, se lo ha fatto, vuol dire che i casi previsti sono quelli riguar� 
danti le vendite ad estranei. 
Tale impostazione non pu� essere condivisa. 

Sul piano della interpretazione meramente letterale potrebbe sostenersi 
tanto che il vocabolo �terzi� debba intendersi nel s�enso di terzi 
rispetto al rapporto tributario di successione (nel qual caso dalla pre� 
visione normativa sarebbero esclusi i trasferimenti a titolo oneroso 
compiuti dal dante causa negli ultimi sei mesi a favore dell'erede o 
del legatario), tanto nel senso di terzi rispetto all'alienante, e tali sarebbero, 
prima dell'apertura della successione, anche l'erede e il legatario. 
Non sembra, anzi, da escludere che, essendosi tradotto nel primo comma 
dell'art. 9 il principio contenuto nell'art. 8 n. 4 della legge di delega 
(che parla di alienazione senza alcuna diversificazione circa fa persona 
dell'acquirente), soltanto esigenze linguistiche giustificassero che la for� 
mula prescelta nell'art. 9 del decreto delegato fosse completata con 
l'aggiunta di un complemento di termine, in modo che la proposizione 
non rimanesse tronca. In tale modo la formula �a terzi�, mentre sa� 
rebbe coerente con la seconda delle due possibili interpretazioni letterali, 
non assumerebbe il ,significato riduttivo accolto dalla Commissione 
tributaria centrale, e risulterebbe, sul piano sostanziale, pleona� 


164 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

stica, e quindi ininfluente a determinare il preteso effetto limitativo, 
nell'ambito di una norma, che, infelicemente espressa, potrebbe al pi� 
dar luogo a dubbi interpretativi, ma non certo giustificare le certezze 
manifestate al riguardo dalla Commissione tributaria centrale. 

Ma ci� che impone di respingere la tesi sostenuta dal resistente 
� la interpretazione logica e sistematica della norma, cui deve farsi ricorso 
nella impossibilit� di una univoca ed appagante interpretazione 
letterale. 

Come sostanzialmente si riconosce nel1a decisione impugnata, l'intento 
del legislatore, manifestato nell'art. 8 n. 4 della legge di delega, 
�. di evitare l'evasione dal tributo nelle forme che precedentemente erano 
divenute molto frequenti. Tale intento � presente, chiunque sia l'acquirente 
dei beni e, quindi, indipendentemente dall'essere egli estraneo, 
oppure no, alla successione. Pu� dirsi cio�, che, se la norma ha voluto 
approntare uno strumento idoneo ad evitare o, quanto meno, a scoraggiare 
la sottrazione di materia pertinente all'attivo successorio tassabile, 
non poteva sfuggire al legislatore che tali sottrazioni potevano ess~
re realizzate attraverso l'alienazione di beni sia a terzi estranei sia 
al futuro erede e che, anzi, nella realt� dei fatti, proprio mediante 
l'alienazione a quest'ultimo lo scopo della sottrazione veniva pi� di fre. 
quente conseguito. 

La legge di delega, nel suo ampio e generale contenuto, prescinde 
dalla buona o male fede delle parti, essendo preordinata ai fini della 
determinazione dell'imponibile, e si concreta non gi� in una presunzione 
di simulazione (ch�, anzi, a differenza di quanto stabilisce per le alienazioni 
anteriori, per le quali la irrilevanza segue soltanto alla dimostrazione 
della simulazione, le considera realmente avvenute), ma, come si 
preciser� meglio in seguito, in una presunzione di appartenenza all'attivo 
ereditario del valore dei beni alienati. . Nel contempo, proprio in 
coerenza �con tale preordinazione, non distingue (e la distinzione non 
avrebbe senso) tra alienazioni di beni a terzi estranei e alienazioni di 
beni al futuro erede. 

Tali considerazioni suggeriscono un primo rilievo e cio� che una 
norma posta in attuazione della delega, che avesse limitato l'ambito soggettivo 
delle alienazioni di beni da considerare ai fini del computo del 
loro valore nell'attivo ereditario, non solo avrebbe tradito I'.intento di 
evitare sottrazioni di ricchezza all'imposta di successione proprio con 
riguardo a quei soggetti per i quali tale intento era maggiormente avvertito, 
ma si renderebbe anche sospetta l'incostituzionalit� ai sensi dell'art. 
76 Cost., ed � noto che, qualora di una stessa norma siano possibili 
due interpretazioni, l'una aderente al precetto costituzionale e la 
altra contraria, nel dubbio bisogna accogliere la prima. 

Del resto, la interpretazione qui accolta appare coerente non solo 
�con 1a legge di delega e con la logica della imposizione tributaria 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

organicamente intesa (e tale interpretazione � anche confortata dal parere 
della Commissione interparlamentare e dalla relazione ministeriale, 
in cui l'art. 9 viene inteso come applicazione puntuale dell'art. 8 

n. 4 della legge di delega), ma con le altre norme contenute nel decreto 
delegato. 
Lo stesso art. 9, nei commi successivi, prevede le ipotesi di detrazioni, 
che si operano sul valore dei beni trasferiti, e, se la giustificazione 
del riferimento al � valore � risiede nella presunzione della sua esistenza 
dell'attivo ereditario, tale presunzione sussiste indipendentemente dal 
soggetto cui il bene sia stato trasferito a titolo oneroso e rileva con 
riguardo al corrispettivo pagato, che il dante causa ha ricevuto e che 
deve ritenersi rimasto nel suo patrimonio, se l'erede non ne dimostri 
l'uso fattone, secondo la previsio~e normativa. 

Inoltre, l'ultimo comma dell'art. 9 consente all'Amministrazione di 
provare, secondo le norme del codice civile, la simulazione degli atti 
di trasferimento posti in essere anteriormente agli ultimi sei mesi di vita 
dell'autore della successione. 

La norma, che non distingue in ordine alla persona dell'acquirente 
-nonostante faccia riferimento alla simulazione (e ci� per eliminare 
qualsiasi dubbio sulla legittimazione dell'Amministrazione finanziaria a 
farla valere), mentre il primo comma dell'art. 9 ne prescinde, ben potendo 
l'alienazione essere reale -� anch'essa preordinata, come quella contenuta 
nel primo comma, alla determinazione dell'imponibile successorio 
e deve necessariamente applicarsi nello stesso ambito soggettivo, s� che 
come essa si riferisce alle alienazioni a chiunque fatte, cos� anche il 
primo comma deve intendersi in modo da comprendervi tutte le alienazioni 
fatte negli ultimi sei mesi, il diverso dato temporale giustificando 
soltanto la diversa disciplina in ordine alla fonte -la legge, nel caso 
di cui al primo comma, eventualmente la pronuncia giudizia1'e, nel caso 
di cui all'ultimo comma -da cui deriva la irrilevanza dell'alienazione. 

Infine, non urta contro il sistema, cos� delineato, la previsione dell'art. 
25 decreto n. '634/72, secondo cui, ai fini dell'imposta di registro, 
i trasferimenti immobiliari tra parenti in linea retta si presumono donazioni. 
Innanzi tutto, anche se ai soli fini della determinazione delle 
aliquote, tali trasferimenti_ soggiacciono allo stesso regime delle donazioni 
e quindi l'asse ereditario risulta maggiorato del loro valore, s� 
che per tali trasferimenti, avendo essi sub�to sin dal momento della 
registrazione gli effetti di una presunzione che li assoggetta a un maggior 
onere tributario, giustificato appare che essi siano riconsiderati 
nell'asse ereditario ai soli fini della determinazione delle aliquote. 

In secondo luogo, proprio la previsione delle norme ora citate, qualora 
fosse esatta la tesi accolta dalla Commisione tributaria centrale, 
darebbe luogo ad una incongruenza del sistema, risultando un maggior 
aggravio fiscale per le succesioni tra parenti in linea retta rispetto a 


II 

166 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

quelle tra collaterali e persino tra estranei. Infine, l'unica conseguenza I 

che pu� trarsi dalle norme suddette (e che opera una coerente chiusura 

del sistema) � che � terzi �, nel S'enso indicato dal primo comma delJ'art. 
9, sono tutti coloro, eredi e non eredi, rispetto ai quali non � 
operante la presunzione di cui all'art. 25 del decreto 364/72. Ci� si spiega 
con la considerazione che, a differenza dell'abrogata legge di registro, 
nell'art. 25 non si tratta pi� di trasferimenti a titolo oneroso ai 

w

quali si applica una imposta propria dei trasferimenti a titolo gratuito, ma 
di trasferimenti che vengono fiscalmente considerati a titolo gratuito, mutandosene, 
sul piano tributario, la stessa loro natura, s� che trattandosi 
di trasferimenti che nella previsione tributaria non sono a titolo oneroso, 
ad essi non risulta applicabile il primo comma dell'art. 9 del decreto 

n. 637/72. 
4. -Il resistente sostiene, tuttavia, che, se interpretata come s1 e 
detto, la norma si porrebbe in contrasto con l'art. 24 Cost., in quanto 
la presunzione assoluta in �essa stabilita e la impossibilit�, per l'erede, 
di sottrarvisi, si risolverebbero in una grave limitazione del diritto di 
difesa; e con gli artt. 3 e 53 Cost., perch� assoggetterebbe l'erede, a 
differenza dell'acquirente estraneo, a una doppia imposizione. 
Tale assunto non pu� condividersi. 

Come si � visto, l'art. 8 n. 4 della legge di delega pone il principio 
della irrilevanza delle alienazioni compiute negli ultimi sei mesi, se non 
sia fornita la prova dell'investimento o del consumo del � ricavo �. A sua 
volta l'art. 9 del decreto delegato, pur avendo menzionato, nel primo 
comma i beni e i diritti trasferiti a terzi a titolo oneroso, per considerarli 
compresi nell'attivo ereditario, nei successivi commi fa riferimento 
sempre al � valore � dei beni e diritti, dai quali � possibile detrarre, 
nelle ipotesi previste, l'� ammontare� di somme (cio� un'espressione di 
valore), di modo che -appare evidente -ci� che viene considerato 
esistente nell'attivo ereditario non � il bene trasferito, ma il suo valore, 
per intero ovvero nella parte residua dopo che siano state operate le 
detrazioni. Analogo � il testo dell'art. 7, allorch�, con riguardo alle donazioni 
(comprese quelle ritenute tali dall'art. 25 del decreto 634/72) 
dispone che l'asse ereditario sia maggiorato del � valore � delle donazioni. 


Considerato questo costante riferimento al � ricavo � o al � valore � 
che �si presume presente nell'attivo ereditario e che, quindi, dev'essere 
assoggettato al tributo successorio, appare evidente che il riferimento ai 
beni e diritti sta ad indicare non gi� che essi si considerano rientrati 
nel patrimonio del de cuius nella loro entit� fisica, ma che se ne considera 
presente il valore che essi esprimono e di cui costituiscono un mero 
dato di riferimento. 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Ci� � coerente con quanto si � precedentemente osservato e c1oe 
che la legge non solo prescinde dalla buona o mala fede delle parti nell'atto 
del trasferimento, ma :d� per scontato che questo sia realmente 
avvenuto, intendendo combattere quelle forme di entrat�e � invisibili � 
di ricchezza nel patrimonio ereditario, che, attraverso l'alienazione di 
beni, potrebbero realizzarsi. 

Si � detto, pure, che l'art. 9, 1� comma, non contiene una presunzione 
assoluta di simulazione, contrapposta ad una presunzione relativa, 
quale sarebbe quella prevista nell'ultimo comma che impone l'accertamento 
in concreto della simulazione e pone a carico dell'Amministrazione 
il relativo onere probatorio, bens� una presunzione di esistenza 
nel patrimonio ereditario di un valore, di cui l'erede non possa dare 
giustificazione, poich�, essendo stato alienato il bene �e non potendo questo 
rinvenirsi nel patrimonio ereditario per essere stato realmente trasferito, 
vi si dovrebbe trovare il ricavo. 

In questa ottica, si � osservato che, essendo la norma preordinata 
soltanto ai fini della determinazione dell'imponibile, la presunzione, posta 
dalla stessa, concerne il computo del valore dei beni alienati nell'attivo 
ereditario. Ci� spiega che la legge parli di irrilevanza delle alienazioni, 
che � concetto diverso da quello di inefficacia, p�er significare 
che nessun effetto dell'atto di trasferimento viene meno in applicazione 
del primo comma dell'art. 9 (e che il bene trasferito non � pi� nel 
patrimonio del dante causa) e per sottoporre al tributo il valore di 
tale bene. 

Ne deriva che � inesatto parlare di doppi.a imposizione, con riferimento 
a quella che colpisce l'atto di trasferimento a titolo oneroso 
del bene ed a quella cui il ricavo o valore viene assoggettato in sede 
successoria. Trattasi, invero, non solo di due imposte distinte, aventi 
ad oggetto, l'una, l'atto di trasferimento tra vivi e, l'altra, la ricchezza 
che si presume esistente nel patrimonio ereditario, cio� due distinte manifestazioni 
di capacit� contributiva, ma di imposte che hanno oggetti 
diversi e momenti di applicazione diversi costituiti, per l'uno, dal momento 
del trasferimento e, per l'altro, dal momento dell'apertura della 
successione. Il fatto che, nella ipotesi concreta, le due imposte accidentalmente 
gravino sulla stessa persona � del tutto irrilevante, poiCh� 
questa viene colpita distintamente come soggetto di rapporti diversi, 
allo stesso modo in cui, nel caso di alienazione al terzo estraneo, le due 
imposte fanno capo all'acquirente del bene e all'erede. 

In conseguenza, la norma, cos� come interpretata, non viola gli 

artt. 3 e 53 Cost., e v'� anzi, da chiedersi se, sotto tali profili, non 

sarebbe proprio la interpretazione sostenuta dal resistente a renderla 

sospetta di incostituzionalit�. 

N� la censura, nella interpretazione che se n'� data, menoma il di


ritto di difesa (del resto tale menomazione si verificherebbe per l'erede 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

168 

anche nel caso di vendita ad estranei), poich� la presunzione di permanenza 
del valore nell'asse ereditario non � assoluta, come inesattamente 
ritiene il residente, essendo consentito all'erede di sottrarre in tutto o 
in parte tale valore dal patrimonio ereditario, dimostrando l'investimento 

o il consumo del ricavo (compresa la distruzione o la perdita, non imputabile 
al defunto, dei beni in cui il ricavo stesso sia stato reinvestito), 
l'impiego dello stesso nella estinzione di passivit� o nell"erogazione per 
spese di malattia o di mantenimento dell'autore della successione e 
dei familiari a suo carico. (omissis) 
I 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 8 novembre. 1984, n. 5643 -Pres. San� 
dulli -Est. Gualtieri -P. M. Morozzo della Rocca (conf.) -Soc. 
Edilcoop c. Ministero delle Finanze (Avv. Stato D'Amico) 

Tributi in genere -Contenzioso tributario � Impugnazione di terzo grado � 
Oggetto. 

(D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 26 e 40). 
Nel sistema del nuovo contenzioso tributario � conservata alla 
Commissione centrale e alla Corte d'appello la medesima sfera di competenza 
che ad essi veniva attribuita secondo la disciplina previgente, 
bench� sia superata l'incerta nozione di estimazione complessa. La valutazione 
estimativa, sottratta al giudice di terza grado, comprende non 
solo la mera quantificazione ma anche le questioni di fatto relative 
alla esistenza del reddito o del cespite e, in genere, della base imponibile 
e del presupposto materiale e oggettivo del tributo, restandone escluse 
le questioni concernenti l'individuazione dei soggetti passivi e la loro 
qualit� e modo d'essere. (1) � 

(1-3) Le due sentenze, quasi contemporaneamente intervenute, si riportano 
alla pronunzia deHe Sez. Un. 113 ottobre 1983, n. 5960 in questa Rassegna, 1984, 
I, 135) che va cos� ad assumere un valore di principio consolidato. Le pronunzie 
sono esatte e accolgono in larghissima parte le tesi sostenute dall'Avvocatura ed 
in particolare l'ampia casistica esposta nella seconda sentenza risponde ai pi� 
corretti indirizzi ormai bene affermati. 

Tuttavia prima che queste massime si cristallizzino in formule stereotipe, 
sono da fare due osservazioni. 

Con la ricordata sentenza delle Sez. Unite la Corte regolatrice ha manifestato 
per la prima volta l'intendimento di ripudiare, come per "liberarsi da un 
peccato originale, la nozione, ormai sgradita, di estimazione complessa, che non 
avrebbe pi� ragione d'essere. Numerose volte invece la S.C. aveva riaffermato 
la perfetta coincidenza tra estimazione semplice e valutazione estimativa e 
aveva delimitato l'area del giudizio di terzo grado con l'estimazione complessa, 

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�x 
PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 169 

II 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 12 novembre 1984, n. 5690 -Pres. ed 

Est. Zappulli -P. M. Zema (conf.) -La Coppola c. Ministero delle 

Finanze (Avv. Stato Angelini). 

Tributi in genere -Contenzioso tributario -Ripartizione di potest� tra 
Commissioni e Corte d'appello -Non � questione di giurisdizione. 

(D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 1 e 40). 
Tributi in genere -Contenzioso tributario -Impugnazione di terzo grado Oggetto. 


(D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 26 e 40). 
Non d� luogo a questione di giurisdizione, e si risolve nella questtone 
della ammissibilit� della impugnazione di terza grado, l'indagine 
diretta a stabilire se una impugnazione pertinente alla valutazione estimativa 
sia sottratta alla cognizione della Corte di appello (2). 

La nuova disciplina del contenzioso sul giudizio di terl,O grado, p�r 
esplicitando una realt� gi� presente nel precedente ordinamento, ha 
superato la nozione di estimazione complessa che non ha pi� ragion 
d'essere perch� ormai tutte le questioni di fatto estranee alla valutazione 
estimativa sono attratte nella cognizione piena della Commissione centrale 
e della corte di appello. L'ambito della valutazione estimativa comprende 
non solo la nzera quantificazione, ma anche le questioni di fatto 
relative alla esistenza del reddito o del cespite e, in genere, del presupposto 
materiale e oggettivo del tributo, restando escluse le questioni 
concernenti la individuazione dei soggetti passivi e la loro qualit� e il 
loro modo d'essere (3). 

impiegando sistematicamente questa terminologia (4 marzo 1981, n. 1240, in 
questa Rassegna, 1981, 813; 8 gennaio 1981, n. 137, ivi, 1982, I, 121; 21 maggio 1981, 

n. 3329, ivi, 1982, I, 140; 27 giugno 1981, n. 4185, ivi, 1982, I, 152; 15 marzo 1982, 
n. 1674, ivi, 1982, I, 819). Ora se il ripudio del tradizionale concetto di estimazione 
� soltanto un fatto nominalistico, non appare necessario farne oggetto di interesse 
e dovrebbe anzi rinunziarsi ad introdurre nuove terminologie in sostituzione 
di quelle ben conosciute. Se invece l'abbandono o il superamento della 
contrapposizione tra estimazione semplice e complessa dovesse avere un valore 
sostanziale, nel senso che il pot�re del giudice di terzo grado sulle questioni di 
fatto � pi� esteso, si dovrebbe fermamente dissentire da una tale proposizione 
che oltretutto � contradittoria con l'affermazione che l'area dell'attuale impugnazione 
di terzo grado coincide con quella che nell'abrogato ordinamento processuale 
era riservata alla Commissione centrale e al giudice ordinario. Sarebbe 
pertanto opportuno precisare che il superamento della nozione di estimazione 
complessa non deve alimentare la tendenza, che poi in concreto la S.C. respinge, 
a dilatare l'oggetto del giudizio di terzo grado. 
Sulla definizione della valutazione estimativa (o estimazione semplice) 
sono pienamente da condividere le puntualizzazioni, ormai pacifiche, che essa 



170 RA.SSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
I 
(omissis) Con il primo motivo, denunziando violazione dell'art. 26 
d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, la ricorrente. deduce che la Commissione 
tributaria centrale, escludendo l'indicazione nella dichiarazione dei redditi 
degli elementi attivi e passivi per l~ determinazione del reddito, 
al fine di giudicare sulla legittimit� dell'accertamento sintetico, aveva 
deciso una questione di estimazione semplice, sottratta alla competenza 
funzionale del suddetto organo. 
La. censura � infondata. 
Nel sistema del nuovo contenzioso tributario, introdotto con il d.P.R. 
26 ottobre 1972, n. 636, � conservata alla Commissione TPibutaria Centrale 
ed al giudice ordinario (Corte di appello) la medesima sfera di 
competenza che ad essi veniva attribuita secondo la disciplina previgente, 
eliminandosi peraltro le ragioni di incertezza che in queste erano 
insite grazie al superamento, alla stregua di un pi� razionale criterio 
di discriminazione, della nozione di estimazione complessa, la quale non 
ha pi� ragione di ess�ere, perch� ormai tutte le questioni di fatto estranee 
alla valutazione estimativa, oltre a tutte le questioni di diritto, sono 
indiscutibilmente attratte nella cognizione piena della Commissione tributaria 
centrale e della Corte d'Appello. Tale valutazione estimativa, come 
attivit� di giudizio, comprende non solo la mera quantificazione, ma 
anche le questioni di fatto relative alla esistenza del reddito o del cespite 
e, in genere, della base imponibile e del presupposto materiale 
ed oggettivo del tributo, restandone escluse -in quanta non relative a 
valutazione estimativa -Je questioni concernenti l'individuazione dei 
soggetti passivi del rapporto tributario e la loro qualit� o modo di essere, 
nonch� la tassabilit� o meno del reddito o del cespite (cfr. Cass. 
sez. Un., 13 ottobre 1983, n. 5960). 
Tali principi sono pienamente applicabili al caso di specie, sottoposto 
all'esame di questa corte, in quanto � questione di fatto quella 
se il contribuente abbia indicato gli elementi attivi e passivi per la 
determinazione del reddito. (omissis) 
non si concreta nella mera quantificazione ma abbraccia le questioni di fatto 
relative, oltre che alla base imponibile, all'esistenza del reddito e del presupposto 
del tributo. Si deve per� dissentire sull'altra affermazione, che appare piuttosto 
assertiva e non accompagnata da apprezzamenti concreti, secondo la quale 
esulerebbero dalla valutazione estimativa le questioni, sempre di fatto, concernenti 
l'individuazione del soggetto passivo. 
L'imputazione soggettiva del presupposto non � che un aspetto dell'esistenza 
del presupposto medesimo; l'accertamento dell'esistenza del fatto generatore 
dell'obbligazione tributaria non pu� essere fatto in astratto (o oggettivamente) 
bens� solo in riferimento ad un soggetto determinato; in tanto esiste una obbligazione 
in quanto essa si va a radicare su un soggetto. Sarebbe pertanto del 
tutto irragionevole stabilire che il se dell'avveramento del presupposto pu� 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 171 

II 

(omissis) 1. -La ricorrente La Coppola, con l'unico motivo del ricor� 
so, ha censurato la sentenza impugnata per violazione dell'art. 40 del 

d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 con riferimento all'art. 6 del d.P.R. n. 643 
in ugual data e per insufficienza di motivazione per avere la corte di 
merito ritenuto trattarsi nella specie di estimazione semplice, come 
tale sottratta al sindacato dell'autorit� giudiziaria ordinaria pur nel ri� 
corso alla corte d'Appello di cui al suddetto art. 40, dando per pacifica 
l'ubicazione del fondo in questione in una zona destinata dal Piano 
Regolatore a insediamenti industriali e asserendo erroneamente che l'unica 
questione sottoposta al giudizio era la congruit� del valore accertato. 
Invece, secondo la rico.rrente, essa aveva negato in toto, nel giudizio 
innanzi la corte d'appello l'edificabilit� del terreno venduto che, 
come incontestabilmente accertato, anche a distanza di sette anni dalla 
vendita era rimasto inedificato. 
Il motivo non pu� essere accolto. 

Peraltro, prima ancora del suo specifico esame, va premesso, e c10 
al fine di escludere la competenza funzionale delle Sezioni Unite di 
questa l)uprema Corte, di cui agli artt. 374, 360 n. 1 e 362 c.p.c. che, come 
gi� posto in rilievo in analoga controversia (Sez. Un., 31 marzo 1983 

n. 2350), l'indagine diretta a stabilire se una data questione di fatto 
in materia tributaria sia relativa a valutazione estimativa, e come tale 
sottratta, in virt� degli art. 26 e 4-0 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, 
alla cognizione rispettivamente della commissione tributaria centrale e 
della corte di Appello, non involge un problema di giurisdizione, necessariamente 
assoggettato alle citate particolari norme. 
Se ci� � evidente nei confronti della prima, quale organo di giurisdizione 
tributaria dello stesso ordine delle commissioni di primo �e 
di secondo grado, investendo una� ripartizione tra le commissioni tributarie 
di diverso grado, ad uguale soluzione si deve pervenire nei confronti 
delle impugnazioni delle decisioni di quelle di secondo grado 
alla corte d'appello. Deve, infatti, considerarsi che, a differenza di quanto 
avveniva nel contenzioso precedente alla riforma, nella allora completa 
indipendenza dei due procedimenti e nella diversit� dei modelli proces


essere oggetto soltanto dei giudizi di primo e secondo grado mentre pu� ancora 
discutersi in terzo grado se quel presupposto � riferibile a Tizio o a Caio. 
E' invece esatto che pu� esorbitare dalla valutazione estimativa la questione 
sulla qualit� e modo d'essere del soggetto; questa pu� comportare qualificaziop.i 
giuridiche o apprezzamenti inerenti alla interpretazione di leggi o negozi giuridici, 
cosa che non si riscontra, salvo casi particolarissimi, per la individuazione 
del soggetto a cui � imputabile il presupposto. 

La prima massima della seconda sentenza � conforme a un indirizzo ormai 
consolidato: 4 marzo 1981, n. 1240, in questa Rassegna, 1981, I, 813; 31 marLO 
1983, n. 2350, ivi, 1983, I, 552; 6 febbraio 1984, n. 871, ivi, 1984, I, 350. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

172 

suali, nel nuovo ordinamento della giustizia tributaria, delineato secondo 
il principio di cui all'art. 10 n. 14 della legge delega 9 ottobre 1971 

n. 825, il ricorso alla suddetta corte d'appello non d� luogo ad una autonoma 
azione innanzi il giudice ordinario, ma configura un normale 
mezzo di impugnazione, secondo 1a formula legislativa, in alternativa 
al ricorso alla commissione centrale, onde trattasi di questione meramente 
di ammissibilit� del gravame. � 
Tale alternativit�, invero, non esclude l'uguaglianza nel contenuto 
delle rispettive impugnazioni di cui all'art. 26 per la suddetta commissione 
e all'art. 40 per la menzionata corte, per la quale i rispettivi 
ricorsi costituiscono un mezzo uguale di gravame, sia per violazione di 
leggi sostanziali e processuali (compresi i vizi in procedendo) sia per 
errata valutazione di questioni di fatto, con la sola esclusione, per queste 
ultime, di quelle relative a mere valutazioni estimative, nonch� alla 
misura di pene pecuniarie. 

In questo stretto e identico collegamento tra le nuove commissioni 
di primo e di secondo grado con la Corte d'appello (per il quale, 
pur con giurisprudenza contrastante, � stata dibattuta l'ammissibilit� del 
regolamento di competenza nei confronti delle decisioni di quelle commissioni), 
� ormai principio acquisito, seguito pure nella citata sentenza, 
che il giudizio iniziato presso le stesse continua ad ogni effetto 
innanzi la co_rte d'appello, secondo lo schema proprio del nuovo ordiname!
lto in un processo tributario che non � affidato esclusivamente 
agli Ol'.gani speciali, e cio� alle commissioni, essendo chiamato a parteciparvi 
anche .n organo della giurisdizione ordinaria (la Corte d'appello), 
indipendentemente dal generale ricorso alla corte regolatrice ex 
art. 111 della Costituzione. 

A causa di questa identit� sostanziale della materia e del collegamento 
processuale sopra rilevato, con inserimento della Corte d'appello 
quale giudice di terzo grado anche per il fatto, sebbene cos� limitato, 
la citata disposizione dell'art. 40 del d.P.R. n. 636 del 1972 � norma 
attinente alla competenza funzionale di quest'ultimo organo. Pertanto, 
lo stabilire se una questione debba o no ritenersi inerente a valutazione 
estimativ:a non d� luogo a problema di giurisdizione ma solo di ammiss.
ibilit� dell'impugnazione. 

2) Circa la questione prospettata nel ricorso attuale, e cio� al riferimento 
delle censure proposte innanzi la Corte d'appello ad estimazione 
valutativa o no, va osservato che � stato pur recentemente riaffemato 
da questa Suprema Corte (Sez. Un., 13 ottobre 1983 n. 5960), in 
conformit� al principio gi� ritenuto dalla Corte costituzionale nella decisione 
25 marzo 1982 n. 57, che l'espressione � per soli motivi di legittimit� 
� usata nell'art. 10 n. 14 della menzionata legge delega 9 ottobre 1971 

n. 825 per determinare la competenza della Corte d'appello e della commissione 
centrale non equivale ai motivi attinenti esclusivamente a 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

questioni di diritto e non corrisponde al disposto dell'art. 360 n. 3 c.p.�., 
ma riprende una formula tradizionalmente propria del procedimento amministrativo, 
nel quale il giudice, anche quando � investito del solo sindacato 
di legittimit� dell'atto amministrativo, ha il potere di conoscere 
le questioni di fatto la cui risoluzione � necessaria per verificare l'esistenza 
dei vizi dell'atto impugnato, cio� di ricostruire la realt� materiale 
presupposta dall'atto amministrativo, o sulla quale questo deve esplicare 
i suoi effetti. 

Alla precedente tradizionale distinzione tra questione di estimazione 
�semplice e di estimazione complessa, � stata sostituita, con pi� ap� 
propriata terminologia, nei citati art. 26 e 40 l'attribuzione alla com� 
missione centrale e alla Corte d'appello della denunzia di violazione 
di legge e di questioni di fatto, escluse soltanto quelle relative a mere 
valutazioni estimative ponendo in tal modo, una discriminazione per le 
suddette questioni di fatto, secondo che queste ultime siano inerenti o 
no a quelle valutazioni. 

Al riguardo, qu�sta Suprema Corte, nella citata sentenza delle Sezioni 
Unite 13 ottobre 1983 n. 5960, ricollegandosi ad analoghi precedenti pronunzie 
della stessa corte, ha posto in rilievo che la nuova disciplina, 
pur �esplicitando una re.alt� gi� presente nel precedente ordinamento, 
ne ha eliminato le ragioni di .incertezza che vi erano rimaste, consentendo 
il superamento della nozione di estimazione complessa, la quale non ha 
pi� ragione di ess�ere, poich� ormai tutte l� questioni di fatto estranee 
alla valutazione estimativa, nonch� tutte le questioni di diritto, sono 
indiscutibilmente attratte nella cognizione piena della Commissione centrale 
e dalla Corte d'appello. 

Ma � stato ben precisato, in questa come in altre sentenze, che l'ambito 
della valutazione, come attivit� di giudizio, comprende non solo la 
mera quantificazione, ma anche le questioni di fatto relative alla esistenza 
del reddito o del cespite e, in genere, della base imponibile e 
del presupposto materiale ed oggettivo del tributo, restando escluse, in 
quanto non relative a valutazioni estimative, le questioni concernenti la 
indicazione dei soggetti passivi del rapporto tributario e la loro qualit� 
e il loro modo di essere, nonch� la tassabilit� o meno del reddito o 
del cespite. 

Pertanto, da un lato, come nella menzionata sentenza 5960 del 1983 

e in altra (Cass. 4 marzo 1981 n. 1240), in difformit� dalla precedente 

giurisprudenza, � stato affermato che la questione circa la esistenza del


l'intento speculativo, per la tassazione �n ricchezza mobile della plusvalenza 

realizzata da soggetto non imprenditoriale, rientra nella cognizione di� 

retta di quei due giudici alternativi in ogni caso, e quindi anche quando 

presenti aspetti soltanto di fatto, dall'altro � stato precisato (Sez. Un., 

31 marzo 1983 n. 2349 e 2350; 21 novembre 1981 n. 6196; 17 dicembre 1981 

n. 6678) che l'indagine sulla natura agricola od edificatoria di un terreno, 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

174 

allo scopo di determinare il valore agli effetti dell'imposta di registro 

o dell'INVIM, esula dall'ambito degli accertamenti di fatto inerenti a 
valutazioni estimative solo quando tale qualificazione imponga di delibare 
profili di diritto in contestazione tra le parti, s� da rendere necessario 
l'interpretare atti normativi, amministrativi o negoziali, ovvero 
l� stabilirne la rilevanza e l'applicabilit� in relazione al bene oggetto della 
stima, mentre in ogni altro caso si configura un accertamento demandato 
esclusivamente alle commissioni tributarie di primo o di secondo 
grado. Ne consegue che il giudizio espresso da queste sulla base di elementi 
materiali relativi alle caratteristiche del terreno, alla sua ubicazione, 
all'esistenza di infrastrutture ecc., cos� come ad atti amministrativi 
o negoziali dei quali non siano contestati il contenuto, l'interpretazione 
e la concreta efficacia, pu� essere impugnato nelle sedi di cui ai citati 
artt. 26 e 40 solo per eventuale inadeguatezza della motivazione. 
Nell'ambito dello stesso principio � stato pure affermato che rimangono 
esclusi dal sindacato di quel giudice di terzo grado le questioni 
che comportano, per una valutazione quantitativa, una indagine specifica 
su elementi puramente tecnici o di esperienza locale (Cass. 14 aprile 1980 

n. 2417; 4 marzo 1981 n. 1240). 
Ci� significa che una pronunzia di estimazione, fondata sulla qualificazione 
agraria o edificatoria di un suolo, pu� essere impugnata sotto 
questo aspetto in quelle sedi solo se siano controversi i presupposti 
giuridici della qualificazione, per modo che sussista una questione di 
diritto in relazione alla quale si possa configurare un vizio della statuizione 
deducibile a quei giudici di terzo grado. Invece, non ha alcun rilievo 
che l'accertamento della qualifica sia stato compiuto dalla commissione 
di secondo grado tenendo conto di norme e di atti amministrativi 
relativi all'utilizzazione del fondo quando questi, come nella specie, 
siano stati ritenuti pacificamente applicabili e costituenti meri antecedenti 
logici e storici. 

Per quanto concerne l'attuale controversia, in base a queste premesse 
� facile osservare che con l'impugnazione alla Corte d'appello di Bari 
non era stata contestata, come si rilevava dalla sentenza e dall'atto di 
impugnazione, la destinazione della zona secondo il piano regolatore 
n� ne era stata indicata altra diversa, n� era stata prospettata alcuna questione 
di interpretazione o di applicazione di norme o atti giuridici, 
avendo sostenuto la La Coppala solo la � irrilevanza della � destinazione 
suddetta innanzi il mero dato di fatto della mancata utilizzazione industriale 
del fondo acquistato. 

Essa, come si rileva dalla sentenza, aveva proposto unicamente la 
questione della � congruit� del valore venale in comune commercio del 
bene '" deducendo la � manifesta ingiustizia ed erroneit� � di quella 
valutazione per avere considerato determinante quella destinazione secondo 
il piano regolatore e non la mancata utilizzazione del suolo, secondo 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 175 

la stessa, escludendo l'esistenza di una mera plusvalenza. Pertanto, era 
stato. negato l'aumento di valore commerciale, e cio� un dato di fatto 
economico, privo di aspetti giuridici, attribuendosi alla commissione di 
secondo grado un mero errore di valutazione. 

Giova precisare che la insufficienza di motivazione � stata dedotta 
dalla ricorrente nel ricorso per cassazione con riferimento alla sentenza 
della Corte d'appello, e non nella impugnazione innanzi quel giudice 
di merito nei confronti della decisione della commissione di secondo 
grado, onde neanche sotto questo profilo pu� ritenersi l'ammissibilit� 
di quel gravame. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 23 novembre 1984, n. 6071 -Pres. Santosuosso 
-Est. Bologna -P. M. Morozzo della Rocca (diff.) -Lasagni 
(Avv. Turchi) c. Ministero delle Finanze (Avv. Stato Vittoria). 

Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Consolidazione di usufrutto 
-Costituzione di usufrutto in epoca anteriore alla riforma e 
riunione in epoca successiva -� dovuta l'imposta di consolidazione secondo 
le norme abrogate. 

(R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 20 e 21; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 77). 
Poich� in base agli artt. 20 e 21 dell'abrogata legge di registro 
l'imposta sulla consolidazione dell'usufrutto era considerata una ritardata 
esazione sull'unico negozio con cui si era operata la costituzione tanto 
che l'imposta sulla consolidazione andava riferita alle norme vigenti e 
al valore al tempo della separazione, deve ancora assoggettarsi all'imposta 
secondo le norme abrogate la consolidazione verificatasi dopo 
l'entrata in vigore del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 che ha radicalmente 
modificato il regime tributario della nuda propriet� e dell'usufrutto, e 
ci� indipendentemente dalla norma transitoria dell'art. 77. (1) 

(omissis) Con il primo motivo (violazione dell'art. 77, 2� comma, 

d.P.R. n. 636 del 1972) si denunzia l'errore in cui sarebbe incorsa la 
sentenza impugnata per non aver rilevato che in tema di compravendita 
con riserva di usufrutto, stipulato prima del 1� gennaio 1973 e regolarmente 
registmta, la consolidazione successiva all'entrata in vigore 
del d.P.R. n. 636 del 1972 � soggetta alla nuova disciplina, che non 
prevede alcuna tassazione di detto evento. 
Con il secondo motivo si afferma che la tesi giuridica, applicata 
nella sentenza impugnata e relativa alla natura residuale dell'imposta 

(1) Decisione esattissima, coerente con la consolidata giurisprudenza formatasi 
sulla normativa abrogata. 

176 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

di consolidazione cos� come disciplinata nella abrogata legge di registro 
del 1923, sebbene corrispondente all'orientamento della Corte Suprema, 
dovrebbe essere modificata perch� erronea. 

Con il terzo motivo si deduce l'illegittimit� costituzionale della disciplina 
abrogata per contrasto con gli artt. 3 (disparit� di trattamento 
del fenomeno della consolidazione prima e dopo il 1� gennaio 1973) 
e 53 Cost. (violazione del principio� della capacit� contributiva, poich� 
il valore dell'usufrutto al momento della consolidazione sarebbe tassato 
in misura superiore a quella reale). 

I primi due motivi debbono essere congiuntamente esaminati, in 

ragione della stretta connesione dei contenuti, e rigettati. 

Dal testo degli artt. 20 e 21 dell'abrogata legge di registro si ricava 
la definizione dell'imposta di consolidazione come quella incidente sulla 
differenza di valore tra la piena propriet� e la nuda propriet� (in tempi 
diversi) sul medesimo bene con riferimento al volare imponibile nel 
momento della separazione tra propriet� ed usufrutto. 

E precisamente, l'accertamento del volare della piena propriet� viene 
fatto sulla base di tale riferim�nto temporale, e, mentre si procede 
all'esazione immediata del tributo riguardante il trasferimento della 
nuda propriet�, soltanto al cessare dell'usufrutto si deve procedere 
all'esazione del tributo sulla consolidazione, corrispondente alla �tassa 
sul valore per cui l'usufrutto fu detratto allorch� venne tassata la nuda 
propriet�� (art. 20 cit.). 

Cio�, l'imposta de quo � considerata dalla legge unitariamente, 
come la risultante di una tassazione in itinere sul trasferimento della 
piena propriet� (senza possibili evasioni derivanti dall'atomizzazione delle 
facolt� costituenti la propriet� stessa) e di un frazionamento della 
tassa stessa in coerenza con la volont� negoziale manifestata dalle parti 
mediante la separazione tra propriet� ed usufrutto. Per effetto di tale 
frazionamento il diritto di esigere l'imposta . sul trasferimento -costituzione 
della nuda propriet� sorge al momento del relativo negozio, 
mentre l'esazione della parte riguardante la riunione dell'usufrutto alla 
propriet� � rimessa ad un tempo successivo, e precisamente a quello 
delle cessazioni dell'usufrutto stesso. 

Da ci� si desume il c.d. carattere residuale dell'imposta di consolidazione 
in relazione ad una obbligazione tributaria, unica se riferita al 
tni.~ferimento globale della propriet� (necessario in prospettiva), ma 
frazionata in due momenti con il differimento -per quanto concerne 
la consolidazione -di una parte dell'imposta al giorno della riunione 
tra propriet� nuda ed usufrutto (Cass. 1982 n. 4327, 1982 n. 2927, 1980 

n. 4007, 1979 n. 3031 ed altre). 
Avendo riguardo alla definizione dell'imposta di consolidazione nei 
sensi suddetti poich� l'imposta stessa sorge al momento in cui si attua 

I 

I 

11111111111111111111=1~r111!1111r111r11111111r1111r111111111r1�1�~ 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

la separazione tra propriet� ed usufrutto e. colpisce -come residuo 
del tributo dovuto per il trasferimento della piena propriet� -gli 
effetti potenziali dell'atto originario, � stato ritenuto da questa Corte 
che l'aliquota applicabile per l'imposta di consolidazione sia quella fissata 
dalle norme in vigore al momento della separazione tr~ propriet� ed 
usufrutto e non quella vigente all'epoca dalla riunione tra propriet� 
nuda ed usufrutto (Cass. 1982 n. 4327), con puntuale riferimento al reale 
momento genetico dell'imposta di consolidazione. 

Conseguentemente il tributo di consolidazione nato per effetto della 
separazione tra propriet� ed usufrutto nella vigenza della legge di registro 
del 1923 n. 3269 (oggi abrogata) non pu� venir meno per il fatto 
che la riunione tra propriet� ed usufrutto (cio� la consolidazione) abbia 
avuto luogo dopo l'entrata in vigore del d.P.R. n. 636 del 1972, e precisamente 
degli artt. 45 e 43 che hanno radicalmente modificato il regime 
tributario della nuda propriet� e dell'usufrutto. 

L'esattezza di siffatta conclusione prescinde dal riferimento alla 
norma transitoria di cui all'art. 77 (richiamato nella sentenza impu� 
gnata soltanto ad abundantiam), ma trova invece conferma nel rilievo 
(formulato nella medesima sentenza) secondo cui, nella presente fattispecie, 
se la consolidazione dovesse ritenersi disciplinata dal vigente d.P.R. 

n. 636 del 1972, essa, non essendo stata tassata in origine (poich� 
la normativa allora in vigore rinviava la percezione dell'imposta di consolidazione 
al momento della riunione tra propriet� ed usufrutto), rimarrebbe 
definitivamente sottratta all'imposta di registro, in contrasto 
sia con la normativa anteriore sia con quella attualmente in vigore. 
La questione di legittimit� costituzionale della norma anteriore in tema 
di imposta di consolidazione (secondo l'interpretazione sostenuta da 
da questa Corte anche nella presente circostanza), sollevata con il terzo 
motivo di ricorso in relazione agli artt. 3 e 53 Cost., � manifestan;iente 
infondata nei medesimi sensi gi� formulati da questa Corte con le sentenze 
n. 3440 del 1980 (con riferimento agli artt. 3 e 53) e n. 3031 del 1979 
(con riferimento all'art. 53 Cost.). 

Invero l'art. 21 della legge abrogata di registro, in tema di consolidazione, 
nella interpretazione di questa Corte, non si pone in contrasto 
con i citati artt. 3 e 53 Cost., in quanto il diverso trattamento 
tributario dei soggetti interessati dal fenomeno della consolidazione secondo 
la successione delle norme in materia trova giustificazione nella 
obbiettiva diversit� delle situazioni rispettive anche in considerazione 
del diverso trattamento della separazione tra propriet� ed usufrutto, 
ed in quanto il principio della capacit� contributiva risulta rispettato 
dal legislatore, nella discrezionalit� delle sue scelte, con il collegamento 
della fattispecie impositiva alla situazione di espansione del diritto 
di propriet�. (omissis) 


SEZIONE SETTIMA 

GIURISPRUDENZA IN MATERIA 
DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI. 


I 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 22 settembre 1984, n. 4819 -Pres. 
Mirabelli -Est. Albanese -P. M. Caristo (conf.) -Verolla (avv. Minieri 
e Lallo di Nola) c. Cassa per Je opere straordinarie di pubblico . 
interesse nell'Italia meridionale -Cassa per il Mezzogiorno (Avv. Stato 
Del Greco). 

Competenza civile -Giurisdizione ordinaria e amministrativa -Contratti 
della P. A. -Appalto di opere pubbliche -Controversie -Giurisdizione 
dell'A.G.O. 

(L. 20 marzo 1865, n. 2248, ali. E, art. 2; r.d. 25 maggio 1895, n. 350). 
Appalto -Appalto di opere pubbliche -Risoluzione -Per grave colpa 
dell'appaltatore -Provvedimento di risoluzione -Annullabilit� o 
revocabilit� da parte dell'A.G.O. -Esclusione -Illegittimit� del provvedimento 
-Risarcimento del danno. 

(L. 20 marzo 1865, n. 2248, ali. F, art. 340; r.d. 25 maggio 1895, n. 350). 
Il contratto di appalto di opere pubbliche d� vita ad un rapporto 
essenzialmente di diritto privato, anche se caratterizzato da una disciplina 
differenziata dipendente dalla qualit� di ente pubblico del committente 
e dalle finalit� di interesse generale perseguite. Esso � fonte di reciproche 
obbligazioni e diritti soggettivi la cui tutela �. affidata agli organi 
della giurisdizione ordinaria, in base al criterio del � petitum � sostanziale, 
in virt� del quale deve aversi riguardo alla qualificazione, secondo 
l'ordinamento, della situazione giuridica nella quale le parti agiscono 
in giudizio. (1). 

(1) Per quanto riguarda l'attribuzione della giurisdizione in base al 
�petitum� sostanziale esiste una giurisprudenza costante: cfr., tra le altre, 
Cons. Stato, sez. VI, 19 maggio 1978, n. 651, in Cons. Stato 1978, I, 900; Cass., 
sez. un., 4 gennaio 1978, n. 11, in questa Rassegna 1978, I, 426; Cass., Sez. Un., 
26 aprile :1977, n. 1545, ivi, 11977, I, 532; Cons. St., sez. VI, 25 ottobre 1977, n. 828, in 
Cons. Stato �1977, I, 1519; Cass., Sez. Un., 8 iaprile 1976, n..1224, .in Giust., civ., 
1976, I, 1062 e in questa Rassegna 1976, I, 426; Cass., Sez. Un., 5 novembre 1973, 
n. 2856, in Cons. Stato, 1974, II, 115. In dottrina, cfr. SANDUU.I, Manuale di 
diritto amministrativo, 1982, pagg. 1137 ss. 
Per la qualificazione di diritto privato del contratto di appalto di opere 
pubbliche, con la conseguente affermazione della giurisdizione in materia 
dell'A.G.O., cfr. Cass. 29 novembre 1983, n. 7151, in Foro it. Rep. 1983, Opere 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 179 

L'esercizio da parte della P. A. della facolt� di rescindere il contratto 
per rilevanti colpe dell'appaltatore, regolato dall'art. 340 legge 
20 marzo 1865, n. 2248, all. F e dal r.d. 25 maggio 1895, n. 350, costituisce 
un atto di esercizio del potere decisionale di autotutela, che per la 
fonte, esterna al contratto, e le finalit� non � suscettibile di censura 
davanti al giudice ordinario, al quale non � dato, nel sistema, di pronunciare 
statuizione che si risolvano praticamente nell'annullamento o nella 
revoca dell'atto di esercizio del suddetto potere. Tuttavia, compete al giudice 
ordinario il potere di verificare la legittimit� o liceit� del provvedimento 
per ci� che attiene alla rilevanza e sussistenza del presupposto di 
colpa e alle modalit� di emanazione, al fine di ricondurre, a fini risarcitori, 
la risoluzione del contratto, per s� non sindacabile, a inadempimento 
dell'ente pubblico (2). 

II 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 17 novembre 1984, n. 5841 -Pres. 
Mirabelli -Est. Onnis -P. M. Ca:cisto (conf.). -Assessorato ai lavori 
pubblici della regione siciliana (Avv. Stato Palatiello) c. Alessi (Avv. 
Fornario, Crispi, Maniscalco-Basile). 

Appalto � Appalto di opere pubbliche � Risoluzione � Per grave inadempimento 
dell'appaltatore � Rescissione ex art. 340 legge 2248/1865, ali. F � 
Risoluzione ex artt. 1454 e 1662, 2� c., e.e. � Alternativit�. 

(L. 20 marzo 1865, n. 2248, ali. F, art. 340; e.e., artt. 1454 e 1662). 
Appalto � Appalto di opere pubbliche � Risoluzione � Per grave colpa dell'appaltatore 
� Rescissione ex art. 340 legge 2248/1865, all. F � Giurisdi� 
zione ordinaria o amministrativa � Giurisdizione ordinaria � Mancata 
proposizione di azione risarcitoria � Irrilevanza. 

(L. 20 marzo 1865, n. 2248, ali. F, art. 340). 
L'Amministrazione committen~e pu� conseguire la risoluzione del 
contratto di appalto per inadempimento dell'appaltatore non solo avvalendosi 
dell'azione di risoluzione propria di ogni contratto a prestazioni 
corrispettive, ma anche esercitando il potere di autotutela dichiarativa 
attribuitole dall'art. 340 della legge 2248/1865, all. F. (3) 

pubbliche, n. 85; Cass., Sez. Un., 8 aprile 1976, n. 1224, cit.; Cass. 13 maggio 1963, 

n. 1178, in Giust. civ. 1963, I, 1533 (in cui si afferma la natura privatistica del 
contratto di appalto di oo.pp. concluso tra un privato e l'Amministrazione 
militare americana e si statuisce la giurisdizione dell'A.G.O. italiana). In dottrina, 
cfr., per tutti, CIANFLONE, Appalto di opere pubbliche, Milano 1976, 889 ss. 
(2) Conformi Cass., sez., un., 8 aprile 1976, n� 1224, cit.; Cass. 19 maggio 1972. 
n. 1531, in Giust. civ. Mass. 1972, 838 e Giur. it. 1973, I, 1, 424. 
(3) Cfr. Cass., 19 settembre 1975, n. 3063, in Giust. civ. Mass. 1975, 1439, per 
la quale la risoluzione per inadempimento pu� essere utilizzata dalla P. A. 
13 



180 

RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DEU.O STATO 

Il privato appaltatore che si ritenga leso nella sua posizione di diritto 
soggettivo dal provvedimento di rescissione illegittimamente emesso dalla 

P. A., pu� adire il giudice civile anche quando non invoca la condanna 
al risarcimento del danno. Il giudice, il cui compito � rivolto all'auto.
nomo accertamento circa l'esistenza dell'inadempimento attribuito all'appaltatore, 
ove riconosca che la risoluzione � stata dichiarata dalla 
Amministrazione senza che ne ricorrano i presupposti o non siano state 
osservate le formalit� prescritte, conosce in via principale del rapporto 
obbligatorio di appalto e in via incidentale dell'illegittimit� del provvedimento 
di autotutela e pur non potendo annullare il provvedimento 
ne pu� dichiarare l'inefficacia in relazione all'oggetto della controversia 
(4); 

I 

(omissis) Con Ja sentenza dmpugnata la Corte del merito ha dichia


rato improponibile la domanda dell'appaltatore ricorrente diretta alla 

risoluzione per colpa del contronicorrente ente pubblico committente di 

stipulato contratto di appalto relativo alla esecuzione di un'opera pub


blica, gi� dall'ente rescisso con proprio atto in danno di lui per conte


statogli inadempimento, giudicando che tale domanda � postula, sia pure 

indirettamente, l'accertamento della inesistenza o della invalidit� del


l'atto di rescissione, e mira, per di pi�, a far cessare tutti g;li effetti 

dell'atto stesso; e come true esula dailla giurisdizione dell'autorit� giu


diziaria ordinaria�. 

Ha poi giudicato la corte del merito che, avendo il ricorrente chiesto 

risarcimeDJto di danni quale conseguenza della risoluzfone del contratto 

come rimedio all'eventuale dichiarazione di illegittimit� dell'atto di esercizio del 
potere di autotutela. Cfr., inoltre, per l'utilizzazione dello strumento della risoluzione 
per inadempimento ad opera dell'appaltatore, Cass. 29 maggio 1976, 

n. 1945; in Foro it. Rep. 1976, Opere pubbliche, n. 103 e Cass. 9 luglio 1973, n. 1967, 
in Giust. civ. Mass, 1973, 1049. 
(4) La massima sembra introdurre una apparente novit� rispetto all'orientamento 
costante di dottrina e giurisprudenza confermato, del resto, da Cass. 
4819/1984. Si ammette, infatti, la possibilit� di chiedere al giudice ordinario 
la dichiarazione di illegittimit� del provvedimento di rescissione senza doman� 
dare la condanna dell'Amministrazione al risarcimento del danno, sulla base 
del corretto assunto che la controversia, anche in questo caso, investe direttamente 
un rapporto privatistico in cui l'appaltatore � titolare di diritti soggettivi. 
Per tale motivo la decisione conferma il filone giurisprudenziale iniziato da 
Cons. St., sez. VI, 21 aprile 1952, n. 237, in Raccolta completa della giur. del 
Cons. di Stato 1952, 613 e Cons. St., sez. VI, 17 ottobre 1956, n. 696, in Cons. St. 
1956, 1261, che fonda la giurisdizione in materia del giudice ordinario sulla 
posizione di diritto soggettivo attribuita al privato appaltatore. 
Infine, per l'autonomia dell'accertamento del giudice ordinario circa i presupposti 
della risoluzione operata dalla P.A. cfr. Cass., Sez. Un., 8 aprile 1976, 

n. 1224, cit. e Cass. 17 maggio 1974, n. 1470, in Giust. civ. Mass. 1974, 666. 

PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

di appalto per colpa dell'ente pubblico committente (risoluzione che il 
giudice ordinario non pu� statll!ire dopo il provvedimento di rescissione) 
e non ~� quale conseguenza della dedotta illegittimit� della rescissione, 
anche tale domanda di risarcimento �, sotto il profilo del petitum, improponibile 
in sede ~urisdizionale ordinaria. 

Contro questi giudizi il nicorrel11te muove censure che si appalesano 
sostanzialmente fondate. 

Invero, per ricevuto principio, il contratto di appalto per la esecu:
ziione di un'opera pubblica d� vita a un rapporto che essenzialmente 
gravita nell'ambito del diritto privato, e da norme di diritto privato 
� regolato, se pure con differenziata disciplina posta in funzione della 
cos� detta sua evidenza pubblica, per niguardo alla qualit� di ente pubblico 
del committente e alle finaLit� di interesse generale che, direttamente 
o iindirettamente, l'opera appaltata � destinata a realizzare. 

Anche il contratto di appalto pubblico � quindi, per le sue parti, 
fonte tipica di reciproche obbligazioni e di correlati diritti soggettivi 
perfetti; e per esso le sue partii sono costituite in una posizione, di 
diritto soggettivo appunto, fa cui tutela � istituzionalmente perseguibile 
e attuabile in giudizio davanti agli organi della giurisdizione ordinaria, 
in base ai!. critenio del cos� detto petitum sostanziale, per cULi deve aversi 
riguardo alla qualifica:ziione, secondo l'ordinamento, della situazione giuridica 
nella quale le parti agiscono nel giudizio. 

Sul fondamento an:ziidetto radicata, fa competenza giunisdizionaile 
del giudice ordinario sussiste in ordine a ogni controversia inerente al 
contratto di appalto pubblico, per cui � in ogni caso questione di diritti 
soggettivi e per la cui definizione deve soltanto verificarsi se la pretesa 
dedotta in giudizio costituisca oggetto di un diritto che effettivamente 
spetta a colui che se ne assume titolare e ne chiede tutela. N� quella 
competenza pu� essere esclusa dal fatto che il privato appaltatore, al 
fine della perseguita tutela, chieda in confronto dell'ente pubblico committente 
statuizioni al giudice non consentite nei riguardi di una pubblica 
amministrazione, perch� iin tal caso il divieto della pronuncia si risolve 
nell'obbligo del giudice di astenersi dalla sua emanazione e costituisce 
limite (iinterno) del potere giurisdizionale attribuito, e non dipende 
invece da difetto di giurisdizione, questa dovendo verificarsi con rifenimento 
al presupposto controfilo, in relazione comunque necessariamente 
chiesto, anche se soltanto per hnplioito della legittimit�, o liceit�, 
del comportamento �rif.enito al contratto o propriamente contrattuale 
dell'ente, e al conseguente accertamento, e alla eventuale riparazione, 
nei modi consentiti, della denunciata lesione del diritto dell'appaltatore~ 

Ci� posto, deve riconoscersi che rientra nell'ambito della competenza 
~urisdizionale del giudice ordinario anche la controversia insorta, 
come � nel oaso, in dipendenza dell'esercizio, da parte dell'ente pubblico 


182 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

committente, della facolt� di rescindere il contratto in base ad addebito 
di rilevanti colpe all'appaltatore,� secondo le previsioni dell'art. 340 della 
fondamentale legge sui lavori pubblici 20 marzo 1865, n. 2248 aJJ. F e con 
le modalJ�Jt� fissate dal regoLamento approvato con r.d. 25 maggio 1895 

n. 350. 
Vero � infatti che l'esercizio di questa facolt� -che per i� presupposti 
e gli effetti non � riconducibile a una ipotesi di recesso unilaterale 
e in tui invece si ravvisa un atto di potere decisionale di autotutela 
che non deriva d�l contratto e dalla legge del contratto non � regolato, 
ma � originariamente in modo autonomo attribuito all'ente pubblico, e 
sul contratto e sul rapporto che ne deriva iinfluisce (per cos� dire) dal


l'esterno -comporta, irreversibilmente, la risoluzione del contratto stesso, 
e per la fonte e le finalit�, certamente non �, in ordine a tale effetto, 
suscettibile di censura davanti al giudice ordinario -al quaile nel sistema 
non � dato di pronunciare statuizioni che presuppongono o rea� 
lizzino il mantenimento o il ripristino del contratto autoritativamente 
risolto e ne impongano, diirettam~nte o indirettamente, l'esecuzione da 
parte dell'ente pubblico committente, risolvendosi praticamente nell'an;
nullamento e nella revoca dell'atto di e_sercizio del potere. 

Ma, diversamente, i.I provvedimento di rescissione � invece soggetto 
al controllo del giudice ordinario in quanto e per quanto a ogni altro 
effetto incide sulla siituazione di diritto soggettivo, non fievole n� affievolito, 
derivante dal contratto, in particolare per la tutela dell'interesse, 
che � diritto, dell'appaltatore di conseguire attraverso il regolare 
svolgimento del rapporto e l'esatto adempimento delle corrispettive inerenti 
obbligazioni e delle prestazioni che ne sono oggetto le utilit� economiche 
avute di mira nella contrattazione: ch� nel sistema compete al 
giudice ordinario il potere di verificare la legittimit�, o liceit�, del provvedimento 
per ci� che attiiene alla sussistenza .e rilevanza del presupposto 
di colpa datovi o alle modalit� di emanazione, e parimenti compe~e il 
potere, al caso in etti riconosca il provvedimento stesso privo di sostanziale 
giustifica:llione o comunque vi:lliato, di ricondurre con propria pronuncia 
la intervenuta risoluzione del contratt�, per s� non sindacabile, 
a inadempimento dell'ente pubblico che ha indebitamente rifiutato la 
prestazione dell'appaltatore, e di sanzionare tale inadempimento mediante 
le opportune statuizioni risarcitorie. 

Agli esposti principi la corte del merito non ha adeguato i.I proprio 
giudi:llio; e pertanto, in accog:filmento del ricorso, la sentenza impugnata 
deve essere cassata con dichiarazione della giiurisdizione del giudice ordinario 
sulla causa, e questa, per l'esame nel merito dell'appello, va restituita 
alla stessa corte, alla quale si rimette anche la pronuncia in ordine 
alle spese del giudizio di cassazione. (omissis) 



PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 183 

II 

(omissis) Con l'unico motivo de~ ricorso, nel denunziare violazione 
degLi articoli 4 e 5 legge 20 marzo 1865 n. 2248, ali. E (art. 360 n. 1 cod. 
proc. civ.), l'Assessorato regionale deduce che, nel caso di risoluzione 
unilaterale del contratto di appalto di opere pubbliche da parte dell'amministrazione, 
a norma dell'art. 340 legge 20 marzo 1865, n. 2248, ali. F, 
l'appaltatore, siccome titolare di una situazione giuridica di diritto soggettivo 
nascente dal contratto di appalto, ben pu� adire l'autorit� giudiziaria 
ordinaria per sentir condannare l'amm�illistrazione al risarcimento 
dei danni, chiedendo, quale mezzo al fine, la disapplicazione (incidentale) 
dell'atto di autotutela che assume illegittimo, ma non pu� chiedere, 
come nella specie, soltanto la dichiarazione di illegittimit� ed inefficacia 
di tale atto. Sostiene che una siffatta domanda, poich� verrebbe ad :incidere 
in via diretta ed immediata sugli effetti del provvedimento autoritativo, 
si traduce in realt� Jn un'istanza di rimozione del provvedimento 
_stesso, improponibile, per difetto di giurisdizione, davanti al giudice 
ordinario. 

Il ricorso � infondato. 

Nell'ambito del rapporto dii appalto di opere pubbliche le parti, amministrazione 
committente e privato appaltatore, agiscono in posizione 
paritaria, secondo i diritti e gli obblighi che sorgono dal contratto, avente 
natura essenzli.almente privatistica, e solo in determinati casi all'amministrazione 
pubblica � riservato da1la legge un potere di autotutela che 
incide sUJI. rapporto di diritto privato in corso tra le parti. 

In particolare, l'amministrazione committente pu� conseguire la risoluzione 
del contratto di appalto per !inadempimento dell'appaltatore, non 
solo avvalendosi dell'azione di risoluzione propria di ogni contratto a 
pres~one corrispettive (cfr.: Cass. 19 settembre 1975 n. 6603), ma anche 
esercitando il potere di autotutela dichiarativa che le � attribuito I�n materia 
dall'art. 340 della fogge n. 2248, alJ. F, del 1865 sud lavori pubblici, 
mediante un atto unilaterale della propria volont�, il quale corrisponde 
al potere del privato di dichiarare risolto il contratto di diritto comune 
per grave inadempimen,to dell'altra parte (cfr.: art. 1454 e art. 1662, 
secondo comma, cod. civ.) e si attua, pur nell'ambito di un rapporto 
privatistico, secondo l'opinione dominante in dottrina ed in giurispmdenza, 
sotto forma di provvedimento amministrativo (cfr.: Cass. 19 maggio 
1972 n. 1531; 8 aprille 1976 n. 1224). 

Il citato art. 340 della legge sui lavori pubblici conferisce infatti

1

all'amministrazione committente la facolt� di risolvere d'autol'lit� il contratto 
di appalto dn presenza dii determinati presupposti sostanziali, cio� 
quando l'appaltatore si renda colpevole di frode oppure di grave negligenza, 
o di contravvenzione ag1i obblighi ed aille condizioni stipulate, 
e il.'art. 27 del regolamento approvato con r.d. 25 maggio 1895 n. 350 
detta la disciplina procedurale da seguire al riguardo. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

L'eserci2lio di siffatto potere di autotutela importa, dunque, che il 
controllo giurisdizionale circa i presuppos1li sostanziali e formali i quali 
giustificano, nell'ambito del rapporto di appalto, fa risoluzione del contratto 
per volont� unilaterale dell'amministrazione si esplica �a posterioij. 
�, dovendo a tJa1 fiine il privato appaltatore, che si ritenga leso nella 
sua posizione di diritto soggettivo, adire il giudice civile, a norma dell'art. 
2 delila legge 20 marzo 1865 n. 2248, all. E. 

Il giudice, il cui compito � in questo caso rivolto ~hl'autonomo accertamento 
circa l'esistenza detl'inadempimento attribuito all'appaltatore 
(cfr.: Cass. 17 maggio 1974 n. 1470), ove riconosca che la risoluzione � 
stata dichiarata dall'amministrazione fuori dei casi previsti dalla legge, 
ovvero senza che ne ricorrano d presupposti o quelili addotti siano insufficienti, 
oppure non siano sta:te osservate le formalit� essenziali, conosce 
in via principale del rapporto obbligatorio di appalto nella sua concre.ta 
attuazione e, in via incidentale, dell'illegittimit� del provvedimento di 
autotutela, che si pone come fonte dell'effetto risolutivo, e pur non 
potendo annullare il provvedimento medesimo, ne pu� ben dichiarare 
l'inefficacia in relazione all'oggetto della controversia (articoli 4 e 5 legge 

n. 2248, ahl. E, del 1865). 
Non incide, peraltro, sulla questione di giurisdizione la circostanza 
che il privato appaltatore non abbia chiesto, nella specie, anche la condanna 
dell'amministrazione al risarcimento del danno per l'illegittimo 
esercizio del mezzo dii autotutela, giacch�, concernendo la controversia 
posizioni di diritto soggettivo, la cui cognizione spetta al giudice. ordinario, 
la maggiore o minore ampiezza del � petitum � si riflette iin tal 
caso soltanto sui limiti dei poteri decisori dello stesso giudice, tenuto 
all'osservanza del principio dellia corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato 
(art. 112 cod. proc. civile). 

N� pu� dirsi che, nell~ipotesi considerata, l'oggetto defila controversia 
si �rnduca alla sola legittimit� del provvedimento amministrativo, 
il quale verrebbe ad essere conosciuto dal giudice in via principale, giacch� 
la controversia, come gi� rilevato, investe direttamente il rapporto 
privatistlico di appalto, e, in particolare, concerne la conformit� del 
comportamento dell'appaltatore al contenuto delle obbligazioni a suo 
carico, con la verifica, sia pure �ex post�, delle condizioni di Jegge per 
la risoluzione del contratto, sicch�, ove sia accertata l'insussistenza di 
tali condizioni, il provvedimento di autotutela, rivelatosi illegittimo, siccome 
emesso dall'amministrazione in carenza nel caso concreto del relativo 
potere, sar� perci�, dn via incidentale, disapplicato. 

In conclusione, il ricorso deve �essere rigettato, ravvisandosi giusti 
motivi per la totale compensazione tra ~e parti delle spese di questo 
giudizio. (omissis) 

i 

. I l 

. I 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 185 

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO, Sez. III, 
31 dicembre 1984, n. 1187 -Pres. Felici -Est. Minioone � I.A.C.P. di 
Torino (Avv. Carusi e Grippa) c. Ministero dei lavori pubblici (n.c.) 
e Impresa Zacogen S.p.A. (Avv. Navarra). 

Appalto -Appalto di opere pubbliche � Revisione dei prezzi � Rapporti con 
l'anticipazione � Art. 3, u.c., legge 10 dicembre 1981, n. 741 � ~ norma 
di interpretazione autentica. 

(L. 3 gennaio 1978, n. 1, art. 14, primo comma; l. 10 dicembre 1981, n. 741, art. 3, 
ultimo comma). 
La disposizione contenuta nella prima parte del terzo comma dell'art. 
3 della legge 10 dicembre 1981, n. 741 (�L'importo per il quale, ai 
fini dell'art. 14, primo comma, della legge 3 gennaio 1978, n. 1, la revisione 
dei prezzi non � accordata, � costituito da quello contabilizzato a 

�partire dall'inizio dei lavori fino ad un ammontare pari a quello anticipato 
o da anticipare... �) � norma di interpretazione autentica della disposizione 
contenuta nel citato art. 14 (� ...la revisione dei prezzi contrattuali 
sar� applicata per l'importo eccedente quello anticipato�). La 
disposizione s'applica perci� anche ai contratti stipulati anteriormente 
alla sua entrata in vigore, che non abbiano dato luogo a rapporti gi� 
regolati in via definitiva, e comporta che non sia soggetta a revisione 
la parte di prezzo corrispondente a lavori contabilizzati sino a somma 
pari a quella anticipata (1). 

(omissis) 4. -Va, quindi, esaminato il terzo motivo di gravame, con 
il quale !il ricorrente, attraverso la dedotta violazione di un complesso 
di norme di legge, sottopone a questo Collegio la questione di fondo 
circa la natura interpretativa o innovativa dell'art. 3 della legge n. 741 
del 1981 e circa, quindi, la sua idoneit� a disciplinare o meno, retroattivamente, 
glli appalti stipulati prima dehla data della sua promulgazione. 

(1) La disposizione contenuta nel primo comma dell'art. 14 della legge 
3 gennaio 1978, n. 1 era stata interpretata nel senso ora fissato dall'art. 3, 
ultimo comma, della legge 10 dicembre 1981, n. 741, gi� prima dell'emanazione 
di questa seconda legge: cfr. Comm. rev. prezzi, 30 giugno 1981, n. 2561 in Arch. 
giur. op. pubbl 1982, III, 441. Con il successivo parere 8 giugno 1982, n. 2643 
(in Arch. giur. op. pubbl. 1983, Ili, 398) Ja oommdssione aveva tratto argomento 
in favore di tale interpretazione dal sopravvenuto disposto dell'art. 3 della 
legge 741 del 1981. 
Il caratt�re interpretativo dell'art. 3 � stato affermato poi dalla circolare 
5 aprile 1982, n. 629 del Ministero dei lavori pubblici (in Arch. giur. op. pubbl.� 
1981, IV, 64 e 67), nonch� dalla circolare 11 gennaio 1983, n. 207 della Cassa per 
il Mezzogiorno (in Arch. giur. op. pubbl. 1983, IV, 81 e 83). 

In dottrina, nello stesso senso della decisione in rassegna, cfr. DE LISE, 
La revisione dei prezzi nella legge n. 741 del 1981, in Arch. giur. op. pubbl. 1981, 
I, 41 e 46. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

4.1. -Sostiene, al riguardo, l'I.A.C.P. di Torino che la norma di cui 
trattasi -con lo stabilire che l'importo, per il quale la revisione dei 
prezzi non � accordata, � costituito da quello contabilizzato a partire 
daill'in!izio dei lavori fino al raggiungimento di un ammontare pari a 
quelilo anticipato o da anticipare e comunque non superiore al venti per 
cento dell'importo totale dei lavori -ha introdotto, in realt�, un principio 
in materia revisionale del tutto diverso da quello che aveva ispirato 
l'art. 1, p:r�mo comma, della legge 3 gennaio 1978, n. l, secondo il 
quale, specie in relazione al carattere graduale del recupero delJ'anticipazione 
(in ragione del 20% per ogni stato di avanzamento), questi ultimi 
dovevano essere logicamente, assoggettati a revisione nel limite del 
solo 80 % per ciascuno di essi, fino a concorrenza dell'integrale restituzione. 
L'art. 3 deJla fogge n. 741 del 1981, avrebbe, invece, innovato tale criterio, 
ancorando l'esclusione della revisione per gli importi anticipati, 
non gi� alla realt� del godimento deH'anticipa7lione stessa da parte dell'appaltatore 
(godimento protraentesi nel tempo fino alla completa restituzione) 
bensl alla mera contabilizzazione del prezzo dell'appalto, concedendo 
la revisione stessa sugli in,teri importi maturati successivamente 
a quefil contabilizzati fino a concorrenza dell'ammontare dell'anticipazione, 
indipendentemente dalla circostanza che tali importi siano, 
nella realt�, corrisposti all'appaltatore in ragione dell'80 per cento e 
senza tener conto dunque del beneficio della restituzione non immediata, 
ma rateale, dell'anticipazione medesima. 

Di qui la impossibilit� di considerare meramente interpretativa e, 
quindi, retroattiva la norma di cUJi trattasi, la quale, oltre tutto, sarebbe 
inserita in un contesto diretto esplicitamente a disciplinare i lavori 
da aggiudicarsi dopo ['entrata in vigore della legge n. 741/1981. 

4.2. � Per meglio chiarire i termini della questione occorre puntualizzare 
che l'art. 14 della legge n. 1 del 1978, a differenza dell'art. 3 della 
legge n. 741 del 1981 del quale si controverte, non reca una analitica 
esplicaziione delle modailit� di effettuazione della revisione prezzi nel 
caso di corresponsione. di anticipazione in favore delle imprese appaltat:
r�ci di opere pubbliche, limitandosi ad affermare che � la revisione dei 
prezzi contrattuali sar� accordata per l'importo eccedente quello anticipato
�. 
E dunque, allorch� l'Istituto ricorrente sviluppa il suo assunto 
circa la innovativit� dell'art. 3 della legge n. 741/1981, rispetto all'art. 14 
della legge n. 1/1978, opera un raffronto tra due criteri di limitazione 
della revisione, dei quafil il secondo � esplicitato dal testo legislativo, 
mentre il primo risulta adottato nella prassi amministrativa, sia pure 
sulla base di una interpretazione ritenuta logica del dettato normativo 
dell'art. 14 della legge n. 1/1978. 


PARIB I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

Tale necessaria premessa consente, qUJi.ndi, di rilevare, innanzi tutto, 
che la questione delJa natura interpretativa o no dell'art. 3 della legge 

n. 741/1981 rispetto all'art. 14 della ~egge n. 1/1978, non implica il superamento 
di alcun ostacolo di carattere testuale che pongi;t in evidenza 
la incompatibilit� fra iil dettato normativo dell'una e dell'altra norma e 
che iimponga, di conseguenza, di risolvere il problema della loro armonizzazione 
nella successione temporale. 
La questione stessa si risolve, quindi nella verifica, da condursi alla 
stregua degli ordinari canoni ermeneutici, se la volont� del legislatore, 
quale risulta oggettJivata nella norma dell'art. 3 de1la legge n. 741/1981, 
sia stata quella di fomdre un criterio di applicazione dell'art. 14 della 
legge n. 1/1978 (esplicitando il precetto contenuto in quest'ultimo e dettando, 
quindi, una norma interpretativa autentica, avente per ci� stesso 
valore retroattivo), ovvero quella di introdurre, con l'efficacia propria 
ex nunc delle norme giuridiche, un nuovo precetto in tema di revisione 
prezzi, disancorato da quello precedentemente dettato e modificativo di 
quest'ultimo. 

4.3 -Ora, cos� impostato il thema decidendum, appare evidente, alla 
semplice lettura del terzo comma dell'art. 3 della legge n. 741/1981, la 
sua natura di norma !interpretativa e non innovativa. 
� sufficiente, al riguardo, osservare che taile comma non enuncia 
alcun nuovo criterio in materia dii limitazione della revisione prezzi, ma 
si raccorda �ex professo� all'art. 14, primo comma, della legge n. 1/1978, 
come � dimostrato dall'inciso � ai fini dell'art. 14, primo comma, della 
legge 3 gennaiio 1978, n. 1 �, la cui collocazione, nel contesto della propo� 
sizione normativa, da un lato, d� ragione della finalit� della norma di 
!inserirsi, a scopo esplicativo nel sistema previgente, dall'altro, anche 
sotto il profilo sistematico, rende impossibile una autonoma lettura del 
comma stesso, aa cui intelLigenza e la cui operativit� sono subordinate 
al contestuale apprezzamento valutativo di entrambi i dettati normativi 
succedutisi nel tempo.. 

4.4 -N� deve trarre in inganno, ai fini di una diversa conclusione, 
la circostanza che il comma di cui sii discute si collochi, come ultimo 
capoverso, in un articolo, il c~ primo comma fa riferimenti ai lavori 
da aggiudicarsii dopo l'entrata in vigore della presente legge. 
In realt�, tra i primii due commi dell'art. 3 della legge n. 741/1981 
-che disciplinano l'accreditamento dell'anticipazione in favore dell'appaltatore, 
indipendentemente dalla sua richiesta, entro un termine di sei 
mesii, trascorso inutilmente il quale, l'!impresa pu� rinunciare all'anticipazione 
stessa -e il terzo comma, in materia di revisione prezzi, non 
vi � alcun nesso di subordinazione logica o di concatenazione sistematica, 
ri.sultando il terzo comma chiaramente inserito in un contesto ad esso 
estraneo, come pu� evincersi oltretutto dalla stessa �rubrica legjs �, 
che, nell'epigrafe, si ri.ferisce esclusivamente all'accredito dell'anticipa



188 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

zione, pretermeUendo ogni accenno alla materia revisionale d:i cui trattasi. 


Tutto ci�, poi, � confermato dagli stessi lavori preliminari i quali, 
contrariamente a quel che afferma iil ricorrente, fanno esplicito niferimento 
alla natura interpretativa del comma de quo. 

Ed infatti, la relazione del 2 marzo 1981 alla proposta di ilegge n. 2417 
d'iniziativa dei deputati Sullo ed altri, nell'affrontare l'art. 3 della proposta, 
afferma espressamente che �ii.I terzo comma vuole chiarire la portata 
dell'art. 13, primo comma, della legge 3 gennaio 1978, n. l, nel senso 
cli precisare che I'ii.mporto contrattuale insuscettibile di revisione (nel oaso 
di corresponsione dell'anticipazione) � quello corrispondente al primo 
venti per cento dell'ammontare di lavoro eseguito �. 

A sua volta, la Relamone de1la 8" Commisstione permanente del Senato 

n. 1559-A del 19 novembre 1981 sulila medesima proposta di legge, riferendosi 
allo stesso comma, enuncia espressamente che esso ha � carattere 
interpretativo e innovativo � e che � � interpretativo nei confronti dell'art. 
14, secondo comma (recte, primo comma), della legge n. 1 del 1978, 
laddove precisa che l'impegno contrattuale insuscettibile di revisione, 
nel caso di. corresponsdone dell'anticipazione, � quello corrispondente al 
primo venti per cento, dell'ammontare totale del lavoro eseguito e non 
quello corrispondente al 20 per cento su ogni stato di avanzamento dei 
lavori; mentre � innovativo per la parte (che non rileva nel presente 
giudizio) �in cui la disposizione fissa fil pnincipio che l'ammontare insuscettibile 
di revisione prezzi non pu�, in nessun caso, superare il 20 
per cento dell'ammontare di aggiuclicamone o di affidamento �. 
�Il carattere interpretativo della nonna reca, quindi, con s� � naturaliter 
� anche la sua efficacia retroattiva su �tutti i rapporti non ancora 
regolati in via definitiva, alla stregua dei principi generali che presiedono 
alla emanazione delle' norme di interpretazione autentica da parte del 
legislatore. 

4.5. -N� tale retroattivit�, incontra, come si � osservato, ostacoli 
di carattere logico-testuale nel sistema revisionafo previgente al pi� volte 
citato art. 3 .della legge n. 741/1981. 
Invero, la contraria tesi dell'Istituto ricorrente -che vuole la norma 
de qua estranea ai principi generali in materia -muove da una non 
corretta correlazione tra anticipazione sull'importo contrattuale, acconti 
sUJi lavori eseguiti e revisione prez~i sugli dmporti contrattuali stessi; in 
questa ottica, il [imite alla revisione prez2'J� di cui all'art. 14 legge 

n. 1/1978 � riguardato alla stregua di un corrispettivo al godimento dell'an� 
ticipazione che ne segue le sorti; s� che, restituendosi gradualmente 
questa, nella stessa misura e perioddcit� verrebbe a determinarsi l'esclusione 
defila revisione degli amporti spettanti. 
Senonch�, va osservato che funzione dell'anmcipazione, che ne ha determinato 
l'introduzione nel sistema degli �appalti, � stata quella� di con


!.�.�.�.�r.�.�.�.�.-.-.�.-.�.�.�:.�.-.�.�r.�.�.�.�.-.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�:.�:.�.�.�.�.�.�.-.�.�.�.�.�.�.�.�.-.�:.�.�.�.�.�:.�:.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.rr.-.�.-.�.�.�.�.�r.�.�.�.�.-.-.�.�.�.-.�.� .,..,.,....�,.,.,...,.,..,,..,...�.,.,,. ...,.,. ........,.,.,. ..�,. ....-.-------------,.------,.--------------.-----.--.-:�--.-�----.---�-�.---��---.--��----



PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

sentire, in un periodo di difficile congiuntura economica e di oneroso 
ricorso al credito, di far fronte pi� agevolmente all'assunzione degli 
oneri di apprestamento dei lavori, che, altrimenti, avrebbero . dovuto 

� interamente far carico all'appaltatore, secondo il principio del rischio 
contrattuale, salvo il ristoro finale, all'atto dell'adempimento del contratto. 


Tale funzione anticongiunturale risulta chiaramente dalla contestuale 
previsione delil.a continuit� deglii acconti in corso d'opera, per lavori 
gi� eseguiti; acconti che, infatti, consentono all'impresa (sia pure attraverso 
la graduale restituzione dell'anticipazione), di mantenere, nel corso 
di lavori, il vantaggio dniziale attribuitole, di disporre in anticipo delle 
somme occorrenti a mano a mano per iil proseguimento dell'opera. 

In questa ottica, la limitazione della revisdone prezzi agli importi 
contrattuali eccedenti l'anticipamone non ha lo scopo di compensare 
il godimento del denaro (scopo che sarebbe improprio rispetto all'istituto 
e contrastante con la funzione dell'anticipazione), bensl que11o, aderente 
alla logica della revisione stessa, di non riconoscere all'appaltatore 
que~i aumenti di costo che egli � stato posto in grado di evitare, 
disponendo dn tempo utile delle somme necessarie ad approvvigionarsd 
del materiale e a condurre celermente la fase iniziale di installazione del 
cantiere. 

Trattasi, a ben guardare, della stessa logica che presiede al non 
riconoscimento della revdsione per d lavori che l'appaltatore avrebbe 
dovuto eseguire, secondo un'ordinata conduzione del programma contrattuale, 
e che, colposamente, non abbia svolto, venendo ad_ incorrere in 
un aumento dei prezzi (cfr. art. l, quarto comma, d.l. C.P.S. n. 1501/1947; 
art. 1 legge 741/1981). 

Se tale, dunque, � la ratio de1la limitazione della revisione ex art. 14 
legge n1 1/1978, � evidente che essa viene meno non appena l'appaltatore 
abbia compiuto lavori pari all'ammontare dell'anticipazione, perch� da 
questo momento in poi deve considerarsi esaurita la funzione iniziale 
dell'anticipazione stessa, di consentire la tempestiva predisposizione de~ 
apprestamenti necessari alla esecuzione dell'opera, e resta esclusivamente 
quehla di carattere finanzrario, di permettere all'appaltatore di far fronte 
agli oneri derivanti dall'adempimento contrattuale (in concorso con l'ero


, 
gazione degli acconti), senza eccessivo aggravio di interessi per ottenere 
la disponibilit� d:i denaro Jiquido. 

5. -Sulla base, quindi, dell'interpretazione letterale, logiioa e sistema� 
tica dell'art. 3, ultimo comma, della legge n. 741/1981, ritiene il Collegio 
che possa concludersi circa la natura esplicativa della norma de qua e 
circa la conseguente sua applicabilit� anche alla fattispecie contrattuale, 
oggetto del presente ricorso, dnstauratasi in data anteriore alla promulgazione 
del testo legislativo. (omissis) 

SEZIONE OTTAVA 

GIURISPRUDENZA PENALE 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, Sez. I, 19 dicembre 1984, n. 1074 -
Pres. Vessiia -P. G. Guasco -Rie. Abati ed altri -Parti civili Miillistero 
dell'Interno e Ministero della Difesa (avv. dello Stato Nicola Bruni). 

Reato � Concorso di persone nel reato � Concorso previsto dall'art. 116 

c.p. � Presupposti. 
Perch� possa configurarsi il concorso �atipico� di cui all'art. 116 

c.p. si richiede: 
a) l'adesione di tutti i compartecipi ad un reato concorsualmente 
voluto; 

b) la realizzazione di un reato diverso da quello voluto, da parte 
di taluno dei concorrenti; 

e) un rapporto di causalit� materiale tra i due reati (quello voluto 
da tutti e l'altro -o gli altri -voluto soltanto da taluno); 

d) un rapporto di causalit� psichica tra la condotta del compartecipe 
che ha voluto solo il reato concordato e l'evento -o gli eventi voluto 
e cagionato da altro concorrente. 

(omissis) Il ricorso del Procuratore Generale deve essere dichiarato 
inammissibile perch� il ricorrente, con dichiarazione in data 5 aprile 1982, 
ha rinunciato a:1l'impugnazione. 

Egualmente inammissibile deve essere dichiarato il ricorso di Mazzan1Ii 
Patrizio, non essendo stati presentati i motivd a sostegno de1la sua 
impugnazione. 

Per la sua infondatezza, invece, va rigettato il ricorso proposto dall'Abati 
Augusto Valerio. 

Con l'unico articolato motivo dedotto a sostegno del ricorso, le cui argomentazioni 
sono state ulteriormente illustrate a mezzo di note aggiunte, 
la difesa del ricorrente denunzia la inesatta applicazione dell'art. 116 c.p. 
e vizi di motivazione sulla ritenuta sua responsabiilit� a titolo di concorso 
anomalo, anche in ordine alla uccisione volontaria dell'appuntato ~mani 
ed al tentato omicidio del brigadiere dei carabinieri Del Rosso. In particolare, 
si � sostenuto che, poich� le condotte realizzatrici dei due reati 
erano state poste :in essere dal Mazzanti quando si era di gi� esaurita la 


PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

consumazione dcl reato concordato, non poteva trovare applicazione la 
norma dettata dall'art. 116 c.p., difettando un qualsiasi nesso di causalit� 
mater�ale e, conseguenzialmente, di causalit� psichica tra i reati pi� gravi 
e diversi commessi dal Mazzanti e l'azione voluta in compartecipazione; 
in ogni caso, nel discorso giustificativo riguardante la ritenuta sussistenza 
di tale nesso di causaliit� materiale, erano da individuarsi vizi di 
motivazione attinenti ad omessa considerazione di circostanze decisive ed 
a travisamento di fatti accertati. 

La censura � priva di fondamento in ogni sua articolazione. 

Come � noto, il fondamento della ipotesii. particolare di concorso che 
va sotto il nome di � concorso anomalo � risiede nel fatto che colui che 
esegue di persona il reato ha, in ogni momento, il controllo diretto 
dell'accadimento causale; colui che, invece, si aggrega ad altri per com


piere una azione criminosa, deve necessariamente affidarsi anche alla 
condotta ed alla volont� degli altri concorrenti, per l'esecuzione parziale 

o totale dell'azione stessa. Quest't�timo, nel fare ci�, non pu� prescindere 
dal considerare il pericolo-che altri devii dall'azione concordata, assuma 
iniziative per fronteggiare improvvise difficolt�, per vincere ostacoli che 
si frappongano alla realizzazione del piano previsto ed ecceda quindi dai 
limiti, cos� realizzando anche uno o pi� reati diversi o pi� gravi da quello 
voluto. 
Naturalmente, perch� il compartecipe risponda dei reati diversi, oc� 
corre che il comportamento, � deviante � dal piano concordato, del concorrente 
rientri nell'ambito di una normale prevedibilit�, come logico 
sviluppo del reato concordato e che sia astretto a questo da un rapporto 
di casualit� materiale, perch� altrimenti viene a difettare quel dato psicologico 
rappresentante il fondamento della colpevolezza che, anche nella 
ipotesi di specie, deve sussistere, in ossequio alla componente personalistica 
della responsabilit� penale sancita anche dall'art. 27, primo comma, 
della Costituzione. Da tanto consegue che, perch� possa configurarsi il 
concorso �atipico� di cui all'art. 116 c.p. si richiede: 

a) l'adesione di tutti i compartecipi ad un reato concorsualmente 
voluto; 
b) la realizzazione di un reato diverso da quello voluto, da parte 
di taluno dei concorrenti; 
e) un rapport� di causaliit� materiale tra i due reati (quello voluto 
da tutti e l'altro -o gli altri -voluto soltanto da taluno); 

d) un rapporto di causalit� psichica tra la condotta del compartecipe 
che ha voluto solo il reato concordato e l'evento -o gli eventi voluto 
e cagionato da altro concorrente. 

Secondo la corrente e consolidata interpretazione giurisprudenziale, 
il rapporto di causalit� tra l'azione concordata e l'evento diverso 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

e pm grave verificatosi ad opera di uno solo dei concorrenti, deve ritenersi 
sussistente, quando tra l'una e l'altro emerga un rapporto di causa 
ad effetto e non gi� di una mera occasionalit�, e l'evento diverso si presenti 
come un normale svli.luppo dell'azione, secondo l'ordinario svolgersi 
e concaitenarsi de:i fatti umani, sulla base di una normale e logica 
prevedibilit� dell'evolversi delle situazioni umane. 

La responsabilit� del compartecipe ex art. 116 c.p., pu�, dunque, 
escludersi soltanto quando il reato diverso sia ontologicamente diverso1 
per sua natura, da quello voluto da tutti, ovvero quando risulti dimostrato 
che il primo consista in un evento insorto per circostanze eccezionali 
e del tutto imprevedibili o, comunque, per circostanze non collegabild, in 
alcun modo, al fatto criminoso concordato. 

Ch!iarito, in tal modo, l'ambito nel quale deve operare la norma dell'art. 
116 c.p., deve affermarsi che esattamente i giudici di appello 
hanno ritenuto la sua applicabilit� nei confronti dell'attuale ricorrente, 
in ordine ai fatti delittuosi materialmente concretizzati dal solo Mazzanti. 

Infatti, � da escludersi che l'uccisione dell'app. Milani ed il tentativo 
di uccisione del brig. Del Rosso costituiscano eventi non rapportabili 
-nei sensi prima precisati -al reato di rapina concordato tra i due 
correi, giacch� la condotta che li ha determinati -al contrario di quanto 
assunto dal ricorrente -non si � affatto realizzata in modo autonomo 
ed ind4pendentemente, rispetto al programma criminoso, sul quale i due 
erano concordi. 

Al riguardo, va rilevato che, di norma, l'attuazione di rapine -come 
quella compiuta dai due imputati -contempla varie fasi, che vanno 
dalla ricerca de:i mezzi necessari per raggiungere il luogo dove perpretare 
dl reato e per la realizzazione di questo, alla :individuazione di manovre 
di fronteggiamento e di superamento delle forze che avessero ad 
oppol'Si all'azione criminosa e che, altrettanto di norma, l'accordo fra 
gli associatd nell'impresa delittuosa, copre tutte le fasi essenziali alla 
riuscita dell'impresa stessa, apparendo conforme a logica dl ritenere che 
l'accordo resta sull'intero piano predisposto e non si limita a'd una o ad 
alcuna delle fasi che lo compongono. Ci�, stante, poich� -come si � 
visto -la previsione affidata all'art. 116 c.p., pur non postulando 
espressamente limitazioni di carattere temporale, richiede, pur sempre, 
che il reato diverso costituisca uno sviluppo prevedibile dell'azione concordata, 
� conseguenziale ammettere che tale sviluppo debba riguardarsi 
anche in re1a2Jione all'ultima delle fasi delil'impresa delittuosa concordata 
e�. quindi, pure lin relazione alla ricerca ed individuazione di manovre 
e modalit� idonee a superare eventuali forze, che tentassero di ostacolare 
la fuga attraverso la quale assicurarsi l'impunit�. 

In tale contesto, sembra ovvio dedurre che il ri.ferimento al criterio 
temporale per escludere il nesso di casualit� tra l'azione concordata e 


PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

gli eventli diversi cagionati non possa avere rilevanm determinante da 
s� solo, risultando tale criterio, ovviamente condizionato dalla natura 
e dal significato degli atti che, in quel determinato lasso ,di tempo, ven� 
gono a concretarsi, dato che tale nesso � da escludersi soltanto quando 
sia da ammettersi -in base alle circostanze fattualii. risultanti dagli atti 
-che l'impresa criminosa concordata si era definitivamente esaurita 
in tutte Je faSli che la compongono, onde il reato diverso sia del tutto 
avulso e distaccato da essa. Ne11a fattispecie concreta, ii. giudici di appello, 
attraverso una valutazione obiettiva e serena degli elementi probatori 
acquisiti agli atti del procedimento, hanno ritenuto che, allorquando 
i:l Mazzanti ebbe a cagionare i due eventi. diversi e pi� gravi, 
l'impresa criminosa concordata tra lui e l'attuale ricorrente non si fosse 
ancora esaurita -nonostante il decorso di circa otto ore dal momento 
della consumazione materiale della rapina -, perch� i due erano ancora 
intenti a sottrarSli alla cattura delle forze dell'ordine, che, dall'immediatezza 
de11a rapina, avevano predisposto un ampio servizio teso alla ri


cerca dei malviventi. 

Da tanto, quei giudici hanno tratta la certezza della sussistenza non 
soltanto di un evidente rapporto di causalit�, materiale tra l'azione concordata 
e la verificazione degli eventi diversi, ma anche di un rapporto 
di causail.it� psichica, dovendosi riconoscere una piena prevedibilit�, in 
astratto, del verificarsi di tali eventi e, quindi, di una loro rappresentabilit� 
in un quadro di normaldt� causale, p~sto che, secondo l'ordinario 
svolgersi e concatenarsi dei fatti umani, non pu� considerarsi atipico 
ed imprevedibile il'uso della violenza per assicurarsi l'impunit� e la disponibilit� 
del provento del reato di gi� commesso. 

, Ci� posto, va rilevato che nessuna censura pu� elevarsi nei confronti 

I 

del discorso g;iustifilcativo posto a fondamento della decisione impugnata, 
giacch�, mentre la parte conclusiva � da riconoscersi giuridicamente 
esatta, perch� improntata ad una puntuale utilizzazione dei criteri interpretativi 
dell'art. 116 c.p. pi� innanzi esposti, la ricostruzione dell'episodio 
� perfettamente aderente a1le risultanze processuali ed in essa si 
� tenuto conto di tutte le circostanze di' fatto emergenti dagli atti del 
proce~mento, senza incorrere in travisamento od omii.ssioni di sorta. 

Difatti -contr�riamente a quanto denunciato dal ricorrente -i 
giudici di appello non hanno affatto omesso di , considerare ed apprezzare 
il valore probatorio delle circostanze, che -per quanto assunto dalla 
difesa dell'Abati -avrebbero dovuto condurre ad escludere una connessione 
immediata tra gli eventi pi� gravi e l'azione criminosa concordata, 
e riguardanti, rispettivamente: l'avvenuta spartizione del bottino 
tra ii due correi; la restituzione dell'arma al Mazzanti, da part�e dell'Abati, 
appena dopo compiuta la rapina; l'atteggiamento tenuto dal.



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

194 

l'Abati in occasione dell'invito rivolto a lui ed al Mazzanti dal povero 
appuntato Milano di esibizione dei documenti di identificazione. 

Tali circostanze sono state attentamente valutate e ne � stato negato 
il significato che si intendeva loro attribuire, con considerazioni logiche, 
coerenti _ed ineccepibili e, perci�, incensurabili in questa sede di legittimit�. 


Benvero, quei giudici, quanto alila prima circostanza, precisato che 
-come risultava ev.idenziato dal rinvenimento nella trattoria del sacchetto 
contenente banconote per oltre sette milioni di lire -non era 
stata attuata un vera e definitiva spartizione del bottino, ma l'attribuzione 
a ciascuno dei due di una parte del danaro sottratto, al fine 
evidente di salvare, in caso di cattura di uno soltanto dei due, la parte 
posseduta dall'altro, hanno esattamente escluso che tafo comportamento 
potesse significare esteriorizza7lione dell'intenzione dei due complici di 
considerare esaurito il programma delittuoso concordato, soprattutto se 
posto in relazione con l'accertato successivo comportamento dell'Abati 
di persistere nell'unione con iJ. correo durante le ulteriori fasi della 
fuga. 

Oirca Ja restituzione dell'arma ail complice, hanno osservato ,..-e 
l'osservazione appare logica e coerente -che tale atto, lungi dal significare 
ripudio di future azioni di violenza e manifestazione esteriore 
dell'intenzione dell'Abati di volersi dissociare da quanto l'altro avesse 
potuto fare in prosieguo di tempo, se posto in relazione con la circostanza 
che i due avevano continuato a rimanere assieme ed assieme 
avevano escogitato sistemi e modalit� attraverso i quali sfuggire alla 
morsa de1le forze dell'ordine, dimostrava unicamente che l'Abati, per 
la eventualit� che si fossero rese necessarie azioni di violenza, aveva 
inteso affidarsi completamente al complice, del quale, per�, ben conosceva 
l'indole violenta e la fredda determi:p.azione che lo animava. 

Inf.ine, della terza circostanza, quei giudici hanno negata la rilevanza 
probatoria, soprattutto per il suo carattere equivoco, non idoneo 
a dimostrare una dissociazione �dell'un complice nei confronti delle 
azioni che l'altro andava a compiere, non senza rilevare che, in ogni 
caso, anche una effettiva volont� di dissociazione non avrebbe potuto 
avere efficacia discriminatoria per la tardivit� con la quale sarebbe 
stata manifestata in relazione al comportamento criminoso di gi� iniziato 
dal correo. 

Non pu�, dunque, concludersi s�e non riconoscendo che la Cbrte di 
Assise di Appello ha dato una ampia, logica e corretta giustificazione 
del suo convincimento circa lo svolgimento dei fatti e si � strettamente 
attenuta ad ineccepibili criteri giuridici nella individuazione della responsabilit� 
del ricorrente. (omissis) 



PARTE I, SBZ. VIII, GIURISPRUDENZA PBNALE 195 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, Sez. III, 10 dicembre 1984, n. 1650. 
Pres. Bottini -Rel. Iannaccone -Rie. Salvi Bianca ed altri -Parte 
Civile Ministero del Tesoro (Avv. dello Stato Bruni) (1). 

Esecuzione penale � Incidente di esecuzione � Questioni di efficacia soggettiva 
del giudicato e di misure di sicurezza patrimoniali -Art. 28 c.p.p. Applicabilit� 
� Distinzione tra soggetti che hanno partecipato al giudizio 
di cognizione e soggetti che non vi hanno partecipato � Necessit�. 

Misure di sicurezza � Misure di sicurezza patrimoniali -Confisca � Confisca 
obbligatoria � Applicabilit� indipendentemente da pronunzia di 
condanna e dalla estinzione del rapporto processuale per morte dell'imputato. 


Misure di sicurezza � Misure di sicurezza patrimoniali -Confisca � Confisca 
facoltativa � Inapplicabilit� in sede di giudizio di rinvio dalla 
Cassazione, nei confronti di imputato deceduto successivamente alla 
sentenza della S.C. 

Misure di sicurezza � Misure di sicurezza patrimoniali � Confisca � Confisca 
facoltativa � Sequestro di compendio indiviso o indivisibile in 
parte di propriet� del condannato e in parte di propriet� di terzi 
estranei al reato � Confiscabilit� parziale. 

L'art. 28 c.p.p. � applicabile anche nel procedimento incidentale 
esecutivo nel quale si faccia questione di efficacia soggettiva del giudicato 
penale e di misure di sicurezza patrimoniali. In tale procedimento 
detto giudicato � vincolante solo per il soggetto che abbia partecipato al 
giudizio di cognizione rispetto a tutte le situazioni soggettive che egli 
avrebbe potuto in esso tutelare, e non per i terzi estranei al reato quali 
sono gli eredi dell'imputato prosciolto da esso per morte. 

La confisca obbligatoria trova applicazione indipendentemente dal presupposto 
di una sentenza di condanna dell'autore del reato e dalla estinzione 
del rapporto processuale per morte dell'imputato. 

La confisca facoltativa non pu� trovare applicazione in sede di giudizio 
di rinvio dalla Cassazione nei confronti di imputato deceduto successivamente 
alla sentenza della S.C. 

Nell'ipotesi di compendio sequestrato indiviso o indivisibile di propriet� 
in parte del condannato ed in parte di terzi estranei al reato quali 
gli eredi dell'imputato prosciolto da esso per morte, la confisca facoltativa 
pu� essere solo parziale e cio� solo per la parte di propriet� del 
condannato. 

(1) Le sentenze menzionate in questa decisione sono state tutte pubblicate 
nella Rassegna dell'Avvocatura dello Stato; Cass., 27 settembre 1982, in Rass. 
1982, I, 997; Corte App. Genova 15 marzo 1983, in Rass. 1983, I, 975; Cass. 18 novembre 
1983, in Rass. 1983, I, 575. 
14 



196 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

(omissis) Va innanzi tutto disattesa fa richiesta del P.G. di dichiarare 
l'inammissibilit� dei ricorsi per difetto di interesse, e ci� perch� 
l'interesse a ricorrere, in via di principio, va commisurato al pregiudizio 
che il provvedimento impugnato � idoneo a determinare nella sfera giuridica 
della� parte, non all'esito sfavorevole del giudizio che essa invoca 
sulla legittimita del provvedimento stesso, ed inoltre perch� nella specie 
oggetto del giudizio � proprio quello di stabilire se ed in quaile misura 
debba avere esecuzione la controversa statuizione di confisca dei beni di 
cui trattasi, che il P.G. prospetta come obbligatoria, mentre le parti ricorrenti. 
prospettano, peraltro in aderenza alle motivazioni delle sentenze 
attraverso le quali � venuto a formarsi il tlitolo da eseguire, come 
confisca facoltativa. 

Al fine di una conveniente impostazione di . tale giuddzio e di una 
corretta soluzione delle questioni sollevate dai ricorrentii appare neces


I

sario ripercorrere in sintesi le vicende processuali che hanno determinato 
l'insorgere della controversia nella fase esecutiva del processo, attraverso 
esperimento, nella forma consentita dagli artt. 628 e segg. c.p.p., 

I 

della opposi:ziione di terzo (o che si qualifica come tale) aU'esecuzione 

I

del giudicato relativo alfa misura di sicurezza destinata ad incidere nella 
sua sfera patrimoniale. 

I 

Un primo punto da porre in rilievo � che il reato valutario in or


l 

dine al quale � stata applicata la confisca e si � costituito il giudicato 
di condanna nei confronti della Salvi e del Pongiglione Vincenzo e di 
proscioglimento per morte del Pongiglione Alberto fu attribuito ai medesimi, 
sia pure con imputa:ziione collettiva, come reato proprio di ciascuno 
di essi, avente ad oggetto la quota rispettiva di contitolarit� dei 
beni esteri o esterovestiti sottratti all'obbligo di nazionalizzazione valutaria 
che personalmente incombeva a ciascuno dei contitolari. I giudizi 
di cognizione e le motivazioni delle sentenze con cui essi sono stati decisi 
hanno avuto riguardo alla posizione valutaria �pro quota� degl'im 
putati e su tali posizioni individuali si � formata la cosa giudicata penale, 
essendo stata respinta la. tesi, processualmente dibattuta, che unico titolare 
effettivo della ricchezza non nazionalizzata fosse l'imputato defunto 
nel corso del processo. Nella stessa sentenza 27 settembre .1982 
di questa Suprema Corte con la quale divenne irrevocabile la condanna 
della Salvi e del Pongiglione Vincenzo e fu dichiarata l'estinzione del 
reato attribuito al Pongiglione Alberto il punto controverso della titolarit� 
ripartita � trattato (f. 22 e segg.) e deciso in conformit� alle sentenze 
di merito. 

Quanto invece alla misura di sicurezza, le statuizioni ad essa relativa. 
hanno avuto ad oggetto costantemente il compendio dei beni da 
naziionalizzare, sia quella positiva del primo giudice, (sentenza 9 gennaio 
1980 del Tribunale di Genova), che ritenne aplicabile la confisca 
(delle azioni esterovestite e del patrimonio deHe societ� del cui capitale 



PARTE I, SEZ. VIII; GIURISPRUDENZA .PENALE 

i titoli erano rappresentativi) in base all'art. l, d.I. n. 31 del 1976, ma 
anche subordinatamente in base all'art. 240 c.p.; sia quella negativa del 
giudice di appello (sentenza 5 marzo 1981 delJa Corte d'appello di Genova, 
seconda sezione) che revoc� la misura avendola ritenuta inapplicabile 
� in toto � nemmeno facoltatiivament!'!; sia quella adottata da 
questa Corte Suprema con la sentenza citata, con c�i, in parziale accoglimento 
del ricorso del P.M., fu escluso che la misura fosse applicabile 
ai sensi della Jegge speciale, ma fu ritenuta applicabile ai sensi della 
pr�ma parte dell'art. 240 c.p. e dunque facoltativamente in caso di condanna, 
tanto che, a tal riguardo, fu evidenziata l'opportunit� della sua 
applicazione per evitare che i responsabili della violazione. continuassero 
a possedere i beni esterovestiti, sottraendoli all'economia nazionale, e fu 
disposto il rinvio ad altra sezione della Corte genovese �perch� valuti 
l'opportunit� cli sottoporre a confisca i beni suindicati�; sia infine la 
statuizione (della cui esecuzione si tratta) della Corte genovese di rinvio 
che, con sentenza del 15 marzo 1983, ritenne applicabile (ed applic�) 
la misura limitatamente alle azioni delle societ� San Gallo, Vernazza e 
Immobiliare Corte in possesso delle societ� estere Aihl, Ilmar, Privest, 
Fortema e Anstalt Sponsor, nonch� dell'immobile denominato �Abbadia 
Benedettina di S. Giuliano� intestato alla societ� estera Halwil A.G. 

Su quest'ultima sentenza, divenuta irrevocabile ed esecutiva, per essere 
stato dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione avverso di 
essa proposto dal Pongiglione Viincenzo e dalla Salvi (con pronunzia di 
questa Corte del 18 novembre 1983), occorre soffermare l'attenzione per 
notare: 

1) che essa fu pronunziata nei confronti dei soli imputati rimasti 
in causa per effetto dell'annullamento s�enza rinvio della sentenza di 
condanna riguardante il coimputato Pongigltione Alberto, in ordine �l 
reato ascrittogli, perch� estinto per la di lui morte, reato sulla cui sussistenza 
peraltro questa Corte aveva ritenuto di doversi, pronunziare 
(esaminando le censure prospettate dal ricorrente defunto) �sia per 
l'eventuale applicazione dell'art. .152 c.p.p. e sda per i conseguenti riflessi 
nei confronti degli altri due ricorrenti�; 

2) che neLla sentenza stessa l'esercizio in senso positivo della facolt� 
di disporre la confisca (in adesione al � suggerimento � contenuto 
neIJa sentenza di questa Corte) ancorch� oggettivamente riferito ai ce� 
spiti nell'attuale condizione di estero-vestizione (che avrebbe potuto con� 
sentire agJi attuali apparenti proprietari esteri cli disporne liberamente) 
trova costante riferimento soggettivo agi'� imputati � dei quali viene sottolineata 
la possibilit� di compiere ulteriore attivit� criminosa mediante 
quei cespiti ( � atti di altienazione o disposizione fittizia a favore di altri 
soggetti e diretti ad ulteriormente mascherare la reale situazione di titolarit� 
dei beni stessi o atti di alienaziione effettiva con nuova creazione 


198 RASSEGNA Dm.L'AVVOCATURA DEIJ..O STATO 

all'estero d:i disponibilit� valutarie occulte�) e nei quali (imputati) ancora 
� rimarrebbe viva l'idea e l'attrattiva alla commissione di altri 
reati di natura analoga a quello represso con la sentenza di condanna 
divenuta irrevocabile�; 

3) che in fine nella sentenza stessa si fa parola anche inciden� 
talmente degli eredi del defunto Pongiglione Alberto ma solo per rilevare 
che la tardiva denuncia da loro effettuata deUe quote di eredit� su:i 
cespiti esterovestiti � senza specifico riconoscimento da parte degli 
odierni imputati della compropriet� delle azioni stesse e dell'immobile � 
non era idonea a sanare e vallidamente eliminare la situazione di mascheramento 
dei reali ed effettivi proprietari, da sanzionare con la 
confisca; ed ancora verosimilmente anche a tali eredi si richiama 
la sentenza stessa allorch� respinge ogni ulteriore provvedimento, sollecitato 
dalle parti civili, � per il coinvolgimento di eventuali diritti di terzi 
estranei al processo � e per l'attinenza � a modalit� di esecuzione della 
sentenza, che eventualmente, occorrendo potranno essere oggetto di valutazione 
in diversa pi� adeguata sede �. ..! 

Tanto premesso circa l'esatta portata della statuizione di confisca 
swl.la cui esecuzione gli eredi del Pongigllione Alberto hanno proposto op.. 
posizione e chiesto che essa venisse sospesa fino alla definizione di un 
giudizio civile avente ad oggetto l'accertamento della titolarit� esclusiva 
delle cose confiscate da parte del de cuius, occorre dire che esat


I tamente con l'ordinanza impugnata � stata respinta la pretesa della 
~ 
Salvi a sottrarsi all'autorit� della cosa giudicata attraverso la procedura 
incidentale esecutiva, la cui funzione istituzionale � di apprestare 
tutela giurisdizionale all'interesse del soggeto che sia stato parte nel 
giudizio di cognizione, ad una corretta esecuzione dei provvedimenti 
irrevocabilmente lin esso adottati ed incidenti definitivamente nella di 
lui sfera giuridica personale e patrimoniale; ed altresl, secondo il costante 
orientamento giurisprudenziale di questa Corte (menzionato nell'ordinanza 
impugnata), all'interesse del soggetto rimasto estraneo a detto giudizio, 
a far valere situazioni giuridiche soggettive pregiudicate dall'eSlito del medesimo 
senza che egli abbia potuto tutelarsene mediante ila partecipazione 
al procedimento di formazione del tlitolo esecutivo. 

Orbene la Salvi ben pot� far valere all'interno del giudizio nel quale 
era stata parte il suo :interesse non solo ad essere riconosciuta estranea 
al reato valutario a lei ascritto ed ailla contitolarit� dei beni non nazionalizzati 
nella quota ad essa attribuita (del 45%) che ne costituiva il 
compendio confiscato, ma anche l'dnteresse a contestare l'applicazione della 
misura sulla quota riconosciuta di spettanza del coniuge defunto, 
a tutela del suo diritto ereditario su tale quota, eccependone quell'illegittimit� 
che, nella qualit� di erede, ora in sede civile e in sede incidentale 
esecutiva tende a far dichiarare, in contrasto col giudicato penale 



PARTB I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALB 

e di sicurezza, il quale esplica invece nei suoi confronti piena ed iirriducibile 
efficacia oggettiva e soggettiva. 

Ne deriva che correttamente � stata respinta la opposizione all'esecuzione 
della confisca da lei proposta, la quale � eseguibile sia per la 
quota dei beni riconosciuta di sua spettanza iure proprio sia per la 
quota rivendicata iure successionis su quella riconosciuta di spettanza 
del coniuge defunto. 

N� vale richiamare in contrario il disposto dell'art. 28 c.p.p. nel testo 
fissato dalla sentenza de1la Corte Costituzionale n. 55 n. 71, che limita 
bens� la efficacia soggettiva del giudicato penale in altri giudizi, quanto 
ai fatti materiali accertati nel giudizio penale dn diretta relazione (come 
nelJla specie) con fa decisione di esso, ma solo �sul presuposto (nella 
specie non sussistente) della estraneit� del soggetto a detto giudizio perch� 
non posto nella condizione di intervenirvi. 

Da tale norma, applicabdle anche nel procedimento incidentale esecutivo 
nel quaJe si faccia questione di efficacia soggettiva del giudicato 
penale e di sicurezza patrimondale, si ricava il principio secondo cui il 
giudicato � vincolante, per il soggetto che abbia partecipato al giudizio, 
rispetto a tutte le situazioni soggettive che egli avrebbe potuto in esso 
tutelare, compresa quella derivante dalla successione mortis causa verificatasi 
nel corso del giudizio stesso, nei diritti di altro soggetto 
ed in particolare di un coimputato defunto formanti oggetto della cognizione 
e decisione giudiziale. 

Di tale tutela infatti la Salvi avrebbe potuto avvalersi mediante 
l'impugnativa della sentenza con la quale fu disposta la confisca anche 
dei beni del coniuge defunto ove tale impugnativa fosse stata ammissibilmente 
proposta. � 

Diversa � la posizione degli altri eredi dell'imputato defunto, come la 
stessa ordinanza impugnata riconosce. Il loro dante causa non era pi� 
parte nel giudizio in cui la confisca fu disposta, n� l'ordinamento offriva 
loro un mezzo giuridico per intervenirvi ed dn particolare per impugnare 
il provvedimento nella parte afferente i beni di spettanza del 
genitore pure confiscati nonostante la declaratoria di estinzione del reato 
a lud ascritto e la non riferibilit� al medesimo delle ragioni (sopra menzionate) 
che avevano determ�nato per i coimputati condannati l'adozione 
della misura di sicurezza patrimoniale. 

Peraltro l'ordinanza impugnata ha escluso la obbligatoriet� della 
confisca (come del resto risultava dal titolo sulJ'esecuzione del quale 
era iinsorta la controversia incidentale) e, secondo la quasi costante 
giurisprudenza di questa Corte, anche l'applicabilit� dell'art. 236 cpv. 
(nella parte in cui per la confisca deroga all'art. 210 primo comma c.p. 
secondo cui l'estinzdone del reato impedisce l'applicazione delle misure di 
sicurezza) stante d�l necessario coordinamento di tale norma con quella 


zoo RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

dell'art. 240 che regola i casi -cli applicabilit� della misura, ponendo 
la condanna come condizione della confisca facoltativa. 

Ne deriva che l'ambito del giiudizio devoluto a questa Corte � di 
verificare se sussista contraddizione tra le enunciate premesse (che la 
stessa ordinanza considera � :in fatto e in diritto sino ad ora favorevoli 
alla possibilit� di un ci.esame dehla questione della confisca ai fini d:i 
una revoca parziale della misura�) e le ragioni che sono state poste 
a fondamento giuridico della decisione reiett:iva dell'opposizione spiegata 
dai figli.i dell'imputato deceduto. 

Ed indubbiamente contraddizione sussiste, mediandosi peraltro in 
errori giuridici come sostengono ii ricorrenti con il terzo ed il quarto motivo 
del ricorso. La Corte genovese ha escluso infatti la revocabilit� della 
misura sul riflesso della sua infrazionabile incidenza sull'intero compen


dio del reato valutario ritenuto sussistente nei confronti di tutti e tre 
gli imputati, compreso il concorrente non �condannato, anche nella sentenza 
di questa Corte 27 settembre 1982, e sul riflesso che il proscioglimento 
di questo ultimo non poteva esplicare � alcun effetto limitativo 
della confiscabilit� integrale dei beni stessi �. Cos� argomentando la Corte 
da un lato ha finito per considerare obbligatoria la confisca della quota 
di compropmet� di quel compendio, di spettanza dell'imputato prosciolto, 
giacch� solo come tale �(ossia come obbiligatoria) � per questa parte fa 
misura avrebbe potuto trovare applicazione per cos� dire in rem, indi� 
pendentemente dal presupposto di una sentenza di condanna dell'autore 
del reato e nonostante che questi, essendo deceduto (dopo la revoca 
della misura adottata nel primo giud:izio d'appello) ed essendosi estinto 
il rapporto processuale per effetto del decesso, non fosse stato pi� 
parte nel giudizio di rinvio nei quaile la misura era stata ripristinata 
obiettivamente anche nei di lui confronti, ma ope iudicis e cio� neld'esercizio 
della potest� discrezionale di cui al primo comma dell'art. 240 
c.p.; dall'altro lato, la Corte, decidendo di aderire �alle ragioni qui da 
intendersi riportate svolte nelila sentenza del 15 marzo .1983 (con cui la 
misura era stata �ripristinata) anch'essa divenuta irrevocabile�, ha 
mostrato di confermare la facqltativit� della misura, .omettendo di considerare 
che le motivazioni (a suo luogo qui riportate) in detta sentenza 
poste a fondamento dehl'esercizio positivo della facolt�, concernevano il 
rapporto dei beni con gl'imputat:i pres�enti nel giudizio di rinvio e d'altro 
canto oggetto dehl'opposizione degli eredi era proprio la :irrevocabilit� 
della sentenza da eseguire nella parte riferibile al de cuius rimasto 
estraneo a quel giudizio. 

Quanto po:i al principio di infrazionabilit� dei beni esterovestiti 
confiscati nel loro compend:io perch� sottratto a tempestiva nazionailizzazione 
dai contitolari per quota determinata, allorch� uno dei medesimi 
s:ia stato prosciolto dal relativo reato per morte, questa Corte deve riIevare 
che esso non ha alcuna base normativa al di fuori. del caso di 

! 



PARTB I, SBZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

obbligatoriet� della confisca (che nella specie per� � stata esclusa ancorch� 
un recente nuovo orientamento giurisprudenziale si � profilato nel 
senso , dell'obbligatoriet�, data l'intrinseca criminosit� che acquisterebbe 
il bene non nazionalizzato) e d'altra parte questa Corte ha gi� affermato 
al contrario il principio generale de11a confiscabiilit� parziale di un compendio 
sequestrato allorch� una sola parte di esso sia di propriet� del 
condannato e la confisca dell'intero verrebbe a sacrificare i diritti di terzi 
estranei al reato quali sono gli eredi dehl.'imputato prosciolto da esso 
per morte (Cass. Sez. I, 17 ottobre 1961, rie. Pollecito, in Giust. Pen. 1962, 
II, 405). 

Ail riguardo non va confusa 1l'app1icabilit� della misura di sicurezza 
che trova la sua disciplina nell'art. 240 c.p. (o in altre norme speciali che 
ad essa deroghino, il che, occorre ricordare, neHa specie � stato escluso) 
con le modalit� di esecuzione di essa quando un compendio di beni sia 
indivisibile o indiviso e possa comportare una incidentale comunione tra 
lo Stato ed altri soggetti rispettivamente nella parte (o nella quota) soggetta 
ailla misura ed altra cui essa non � estenSiibile. 

L'ordinanza impugnata dev'essere alla stregua delle suesposte considerazioni 
annullata per violazione di legge ma solo nella parte concernente 
le quote ereditarie dei ricorrenti Pongiglione (Paola, Francesco, 
Stefano e Pietro) sulla parte del compendio (45%) riconosciuto c1i spettanza 
del loro dante causa, tin ordine alila quale deve riconoscersi l'illegittimit� 
della ordinanza stessa. 

L'ordinanza non � annullabile in toto come i ricorrenti postulano 
col secondo motivo del ricorso, giacch� quanto alle quote riconosciute 
irrevocabilmente di spettanza dei due imputati condannati, essa � immune 
da ogni vizio di legittimit� o di motivazione e ti suddetti eredi essendo 
succeduti al loro genitore nella parte dei beni riconosciuti di sua 
appartenenza, nel presente processo esecutivo sono legitttimati a far valere 
solo le ragioni relative a tale parte, n� ha rilievo til fatto che in altro 
giudizio civile essi contestino ['efficacia del giudicato penale anche nella 
parte relattiva ai beni legittimamente confiscati agli altri imputati, in 
ordine alla quale lin sede incidentale detto giudicato � intangibile e l'esecuzione 
di esso non � soggetta a pregiudiziali che ne :impongano la sospensione. 


L'annullamento va effettuato con rinvio allo stesso ~udice che dovr� 

riesaminare ~'incidente di esecuzione alla luce dei principi e nei limiti 

sopra indicati. L'ultimo motivo del ricorso resta assorbito dall'accogli


mento del terzo e del quarto entro tali limiti. (omissis) 


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PARTE SECONDA 



RASSEGNA DI DOTTRINA 


DIRITTO INTERNAZIONALE E COMUNITARIO 

LUIGI DANIELE, Indebito Comunitario e ordinamento italiano, (Nota a 

Corte giust. L. 9 novembre 1983 Causa 199/82) in Foro it. 1984, 

ottobre, IV, 298. 

In relazione alla problematica del rimborso dea tributi nazionali 
riscossi in violazione del diritto comunitario, l'autore condivide le conclusioni 
a cui � giunta la sentenza annotata che statuendo che il suddetto 
rimborso non possa essere subordinato a criteri di prova che rendono 
impossibili l'esercizio del diritto, riduce notevolmente fa portata 
del principio della traslazione drell'li.mposta, limitandone l'operativit� 
a casi eccezionali. 

E. FIGLIOLIA 
RICCARDO SCARPA, Diritto e giurisprudenza comunitari disordinatamente 
invocati, in Giust. Civ. 1984, Giugno,. I, p. 1981-4. 

Traendo spunto da un'articolata pronuncia resa dal Pretore di Torino, 
ci si sofferma brevemente su1le fonti comunitarie e sulla loro efficacia 
diretta neltl'ordinamento degli Stati membri, con riferimento particolare 
alle direttive; si svolgono quindi alcune annotazioni in tema di �nesecuzione 
di giudicati della Corte di Giustizia. 

M. SALVATORELLI 
SIMONETTA SoRGIU, L'applicabilit� diretta del diritto comunitario, in 
Giust. Civ., 1984, Settembre, I, p. 2359-61. 

Con la sentenza 5 giugno 1984, n. 170 la Corte Costituzionale, aderendo 
alla costante giurisprudenza della Corte di Giusti.zia delle Comunit� sulla 
immediata operativit� dei regolamenti comunitari, ha riconosciuto che 
ogni giudice nazionale pu� disapplicare la norma interna -Stia essa 
precedente o successiva a quella comunitaria con la quale � in contrasto. 

Sulla base di questo principio, nella nota in esame si ripercorre 
brevemente il cammino compiuto in subiecta materia dalla giurisprudenza, 
e si formulano alcune rifilessioni critiche sulla impostazione 
-accolta daHa Corte -degli ordinamenti (statuale e comunitario) 
�distinti ancorch� coordinati�, auspicando un orientamento (dogmaticamente 
pi� corretto) che porti ad inquadrare il. diritto comunitario 
fra le fonti direttamente operanti nell'ordinameno dei singoli Stati 
membri. 

M. SALVATORELLI 

2 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEI.LO STATO 

DIRITTO COSTITUZIONALE 

I

ii 

UMBERTO ALLEGRETTI, Pubblica Amministrazione e ordinamento democra


tico, in Foro lt. 1984 luglio-agosto V, 205. 

I

L'autore dell'articolo espone alcune riflessiom sui nessi .tra pubblica 
Amministrazione e democrazia, partendo dal presupposto che perch� 
l'Amministra7lione possa ritenersi democratica necessita la sussistenza 
della democraticit� dell'Amministrazione. Ci� passa attraverso la desoggettivazione 
deH' Amministrazione stessa, da concepirsi non pi� come persona 
centro di imputazione di diritti ed obblighi, bensl essenzialmente 
come funzione costituita da pi� fasci di funzioni amministrative cui 
potranno far capo patrimoni separati. Viene poi auspicata una riforma 
del processo amministrativo con un giudice arricchito di maggiori poteri 
cognitivi in ordine al rapporto ammil1listrativo, e con la possibilit� della 
adozione di pronunce finalmente esaustive delle pretese vantate dall'amministrato. 


E. FIGLIOLIA 
! 

VINCENZO CAIANIELLO, Profili costituzionali della responsabilit� dei magistrati, 
in Foro lt. 1984 ottobre, V, 353. 

I

f. 
L'autore dell'articolo, premessa una breve esposizione circa gili strui
� 
menti giuridici adottati dall'ordinamento per obiettivare la funzione i 
giurisdizionale svincolandola da eccessive personaliizzazioni, opera una 
esauriente ricognizione deLle pronunce della Corte Costituzionale in 

I 

ordine alla posizione assunta da tale organo nei riguardi della respon~ 
sabilit� dei magistrati per gli atti compiuti nell'espletamento dei propri 
Uffici. In relazione poi alla diversit� tra la funzione giurisdizionale 

I 

esercitata dal giudice e quella inquisitoria svolta dal pubblico ministero, 
si auspica una riconsiderazione del problema in ordine a quest'udtimo i 
magistrato nei cui confronti non sembrano ricorrere quelle stesse esigenze 
di deroga alle regole comuni dii responsabilit�. 


I 

E. FIGLIOLIA 
Ii! 

ADELMO MANNA, Diritto di cronaca: realt� e prospettive nel delitto di I 
diffamazione a mezzo stampa, in Giurisprudenza Costituzionale 1984, ! 
fase. n. 4/84, pagg. 770-787. 

L'Autore, affermata l'esistenza di un diritto di cronaca costitUZJi.onalmente 
garantito (ex art. 21 Cost.), ed operante nel diritto penale 
quale causa di giustificazione (ex art. 51 c.p.), rileva come, invece, non 
sia esattamente definito il contenuto ed i limiti del diritto di cronaca 
soprattutto in relazione al diritto all'onore. Passa poi ad esaminare le 
tre maggiori tesi sviluppandosi al riguardo ed in particolare si sofferma 
sulla teoria della continenza e della verit�. 

Posto in evidenza come i~ criterio della continenza sia sostanzial


mente indeterminato, essendo difficile stabilire quando un avvenimento 


PARTE II, RASSEGNA DI DOTTRINA J 

interessi o meno la generalit� dei consociati e come sia difficile in concreto 
distinguere tra offesa al bene dell'onore e les:ione del bene della 
riservatezza, esamina quale influenza abbia avuto il riconoscimento del 
diritto di cronaca sull'istituto dell'exceptio veritatis, ed in particolare 
sulla disciplina dell'errore sulla verit� dell'addebito, notando come, attraverso 
una applicazione rigorosa dell'art. 59, ultimo comma c.p. alla fattispecie 
in questione, si rischi di ampliare eccessivamente i margini di 
impunit�, non essendo prevista nel nostro ordinamento la diffamazione 
colposa. Analizzata la posi:llione della giurisprudenza, restia a dare rilievo 
all'errore determinato da colpa, la critica, proponendo invece la riforma 
deM'art. 596 c.p. e la restaurazione della competenza del pretore penale 
almeno per la diffamazione a mezzo stampa, come era prima delle 
novelle n. 416 del 5 settembre 1981 e n. 689 del 24 novembre 1981. 

N. PALMIERI 
CLAUDIO CHIOLA, Rettifica �pulita� jussi judicis in Giurisprudenza Costituzionale, 
fase. n. 4/84, pagg. 692-702. 

L'Autore trae spunto dalla pronun7Jia del Pretore di Roma del 7 gennaio 
1984 nella causa tra Ia S.p.A. Acqua Pia Antica Marcia contro la 
Soc. Editrice la Repubblica-Scalfari, per passare ad esaminare l'esistenza 

o meno dell'ammissibilit� dell'alternativa giudiziale tra pubblicazione della 
rettifica e � provvedimento innominato ex art. 700 c.p.c., alla luce dell'art. 
8 1. n. 47 del 1948 sulla stampa, oggi novellato dall'art. 42 1. 5 settembre 
1981, n. 416 sull'editoria. 
Rilevato come il Pretore di Roma abbia ridotto l'originaria domanda 
r.iparatoria introdotta con il ricorso ex art. 700 c.p.c., -cio� la declaratoria 
di illiceit� dell'art. incriminato da pubblicarsi non soltanto nel foglio 
� colpevole � ma anche su altri quotidiani -, in azione cautelare a difesa 
del diritto di rettifica, critica tale reductio ad unum, ponendo in evidenza 
la diversdt� dei presupposti e di petitum. Critica altres� un altro punto 
della pronuncia l� ove il Pretore configura la domanda di rettifica come 
condizione all'azione che pu� sopravvenire in corso cli. causa. Passa poi 
ad esaminare in particolare l'ordine di pubblicare la rettifica � pulita � 
considerandolo un appesantimento del diritto di rettifica, non suffragato 
peraltro, da un autonomo supporto legislativo. Ritiene comunque, che fa 
rettifica � pulita � possa inquadrars[ tra i provvedimenti innominati che 
:fil Giudice pu� adottare in virt� dei poteri attribuitigld dall'art. 700 c.p.c. 
per circoscrivere i danni irreparabili. che derivano da comportamenti 
rientranti nella sfera dell'Hlecito. 

N. PALMIERI 
ENRICO MARCADURI, Un auspicato � overruling � in tema di libert� personale 
nei procedimenti per reati doganali, in Giurisprudenza Costituzionale 
1984 fase. 2/84, pagg. 207-218. 

L'Autore, criticato l'art. 332 d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 per �l'estremo 
ed ingiustificato rigore, prevedendo l'obbligatoriet� dell'arresto ed n divieto 
della liberazione dell'amputato di reati doganali anche se punibili 


4 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

con la sola pena pecuniaria, quando e sino a che non ne fosse nota 
l'identit�, nonch� trattandosi di straniero, quando e sino a che questi 
non avesse prestato idonea cauzione o malleveria per il pagamento delle 
multe e delle ammende, passa ad anailizzare l'attuale e diversa posizione 
assunta dalla Corte Cos�ituzionaile con la sent. 18 luglio 1983, n. 215, in 
cui viene dichiarata la illegittimit� delle norme sullo status lebertatis dello 
straniero imputato di contrabbando. Rileva come in precedenza la stessa 
Corte Costituzionaile avesse disatteso le censure prospettate, nonostante 
la declaratoria di incostituzdonalit� dell'art. 136 c.p. contenuta nella sentenza 
n. 131 del 1979 con cui era stato dichiarato illegittimo l'istituto 
della conversione in pene detentive delle pene pecuniarie non eseguite 
per insolvibilit� del condannato. 

Infatti la Corte Costituzionale si era rifiutata di riconoscere l'automatica 
caducazione dell'art. 332 d.P.R. cit. pur ammettendo che il. venir 
meno dell'art. 136 c.p., cos� come era formulato, non fosse privo di ripercussioni 
sulle valutazioni di incostituzionalit� dell'articolo in materia doganale. 


Esamina da ultima la sentenza n. 215/83 C.C. notando come da questa, 
comunque, non si possa ricavare un'affermazione generale circa l'inammissibilit� 
della carcerazione preventiva per ~i reati punibili con la sola 
pena pecuniaria, mentre l'altra deroga al regime codicistico della libert� 
personale, risultante dai primi due commi dell'art. 332 d.P.R. cit., concernente 
la carcerazione dell'imputato di contrabbando del quale non sia 
nota l'identit�, rimane del tutto impregiudicata. Conclude auspicando la 
sollecita revisione delle sanzioni tutte, stabilite per i reati doganali. 

N. PALMIERI 
QUESTIONE DI GIURISDIZIONE 

MARIO FINOCCHIARIO, Sulla mancata sospensione del processo in caso di 
proposizione del regolamento di giurisdizione, in Giust. Civ., I, 1739-41. 

L'Autore torna sulla ben nota questione della violazione, da parte del 
giudice di merito, del disposto deLl'art. 367, 1� co., c.p.c., ripercorrendo 
i vari orientamenti seguiti della giurisprudenza della Corte di Cassazione 
e del Consiglio di Stato. 

M. SALVATORELLI 
FABIO MERUSI, Diritti dei sindacati e riparto di giurisdizione, ovvero sul 
come raddrizzare le gambe ai cani, in Giust. Civ., 1984, ottobre, I, 
pagg. 2714-2718. � 

Prendendo spunto d~lle note, recenti statuizioni del Supremo Collegio 
a Sezioni Unite in tema di giurisdizioni in materia di diritti sindacali 
connessi a rapporti di pubblico impego, l'Autore si sofferma particolarmente 
a criticare l'iter logico che ha indotto ila Cassazione ad escludere 
che anche i diritti sindacali cd. � assoluti � -e non soltanto quelli 



PARm II, RASSEGNA DI DOTTRINA J 

connessi con posizioni soggettive del pubblico dipendente -siano soggatti 
alla giurisdizione esclusiva del Giudice Amministra1livo. 

Esamina, poi, il problema della diversa legittimazione vantata dal 
sindacato e dall'impiegato in caso di diritti connessi. Individua, infine, 
nelle sentenze annotate indizi di un presumibile orientamento, anche da 
parte della Corte, ad allargare la sfera di tutela degli interessi diffusi. 

M. SALVATORELLI 
DIRITTO AMMINISTRATIVO 

RENATO BARBAGALLO, Questioni sull'estensione della potest� regolamentare 
delle regioni, da il Foro Amministrativo, n. 5 mag. 84, p. 1076. 

Breve nota in cui si esamina Ja ripartizione della potest� regolamentare 
fra consiglio e giunta regionale, in relazione ai due tipi di regolamento 
(indipendenti e dii esecilzione), con specifica analisi di una norma 
degli statuti della Sardegna e del Veneto. 

A. D'ELIA 
MARCELLO BERLUCCHI, Sanzioni disciplinari sportive. Aspetti del procedimento, 
in T.A.R. luglio-agosto 1984, parte II pagg. 251-255. 

Prendendo spunto dalla sentenza del T.A.R. Lazio, II) sez., in data 
3 febbraio 1984, relativa all'impugnazione di un provvedimento disciplinare 
adottato dal Jockey Club Italiano, preposto alla disciplina delle 
corse ,di Galoppo, l'Autore, dopo aver trattato taluni aspetti dell'attivit� 
di detto Ente, esamina alcune problematiche relative ai provvedimenti 
discip1inari in genere, condividendo il giudizio, espresso in sentenza, sulla 
inapplicabilit� dell'istituto della sospensione necessaria del giudizio nell'ipotesi 
di procedimento disciplinare sportivo in cui una questione pre� 
giudiziale abbia formato oggetto di ricorso al giudice amministrativo; 
infatti, giacch� la detta sospensione obbligatoria sii applica solo nel campo 
contenzioso al fine di evitare contrasti tra giudicati, l'inconveniente non 
pu� verificarsi rispetto ad un procedimento disciplinare che importa 
l'esercizio di un potere amministrativo, per di pi� ampiamente discrezionale, 
e non giurisdizionale. 

E. DE GIOVANNI 
ALBERTO BRUNI -ROBERTO RIGHI, Di taluni aspetti problematici del procedimento 
di produzione normativa ex art. 5, l. 29 marza 1983, n. 93 
e delle prospettive di tutela giurisdizionale, da fil Foro Amministrativo, 
n. 4, apr. 84, p. 800. 

L'articolo analizza la disciplina dettata dalla 11. 29 marzo 1983, n. 93, 
sugli accordii. sindacali del pubblico impiego, ed in partii.colare quella del 
procedimento di cui all'art. 6. Rilevata la diversa natura (di diritto pri




6 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

vato e di diritto pubblico) delle norme che regolano le due distinte fasi 
di detto procedimento, gli autori esaminano il problema della tutela 
giurisdizionale offerta alle organ�zzazioni sindacali ~scluse dalla trattativa, 
il rapporto fra !l'accordo e �l'atto nomrinativo (decreto presidenziale) 
in cui esso viiene recepito, la natura di questo (regolamentare e non legislativa) 
ed i problemi processuali (legittimazione attiva e passiva, ter


mini) connessi alla sua impugnazione. 

A. D'ELIA 
ALDo BuoNCRISTIANO, Territorio e autonomie, da il Foro Amministrativo, 

n. 3, marzo 84, p. 545. 
Partendo da un quadro generale dello stato dei rapporti fra l'Amministrazione 
centrale e quelle periferiche cos� come si � venuto a creare 
in seguito all'attuazione dclile autonomie locali negli anni '60 e '70, l'autore 
ne rileva la disorganicit� ed i problemi che si.i determinano a causa 

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dell'indipendente -e spesso confliggente -operare degli enti locali 
rispetto allo Stato. Accenna poi ad alcune possibili riforme finalizzate al 
coordinamento, dn cui dovrebbe assumere un ruolo preminente il Ministero 
delll'Intemo attraverso !i. �suoi organi periferici, i Prefetti. 

A. D'ELIA 
IVONE CACCIAVILLANI, Annullamento dell'atto negativo di controllo e limiti 
alle reviviscenze dell'atto controllato: verso nuove frontiere della giustizia 
amministrativa, in Giust. Civ. 1984, settembre, I, p. 2684-6. 

A commento di una nota pronunzia del T.A.R. del Veneto, che ha ritenuto 
che il giudice aministrativo possa scindere il dispositivo del provvedimento 
negativo di controllo della sua motivazione, integrando quest'ultima 
senza modificare la prima e privilegiando la � tutela del risultato �, 
si richiamano alcuni precedenti giurisprudenziali e s!i. propone un raffronto 
con l'art. 384 c.p.c. 

Si formulano quindi alcuni rilievi critici sulla pretesa � tutela del 
risultato� da parte dell'ordinameneto, nel quale dovrebbe dnvece ritenersi 
viigente iii principio del �rispetto delle competenze�, che pure viene 
criticato in linea equitativa. 

M. SALVATORELLI 
IVONE CACCIAVILLANI, Occupazione d'urgenza, occupazione acquisitiva e 
tutela del possesso nei confronti della p. A., in Giust. Civile, 1984, 
ottobre, I, p. 2829-30. 

Nella nota ci si sofferma brevemente sulle problematiche afferenti la 
tutela del privato di fronte alle attivit� di apprensione e disposizione di 
beni da parte delle P. A. per il perseguimento di fini pubblici, facendo 
un rap!i.do quadro dei pi� recenti orientamenti giurisprudenziali. 

M. SALVATORELLI 

PARTE II, RASSEGNA DI DOTTRINA 7 

MARCELLO CLARICH, La nozione di direttiva, problemi ricostruttivi e tendenze 
recenti, da il Foro Amministrativo, n. 3, marzo 1984, p. 551. 

L'articolo s:i sviluppa in una attenta analisi della individuazione della 
natura e delle caratteristiche essenziaJi della nozione di � direttiva � nel 
nostro ordinamento giuridico. Si passano in rassegna -con riferimenti 
dottrinali -le varie figure dehla direttiva politica, deilla direttiva amministrativa 
(quest'ultima sia nei rapporti. interorganici che in quelli dnter,
Soggettivi), della direttiva impartita dallo Stato alle Regioni, delle c.d. 
direttive popolari e di quelle parlamentari (con riguardo agli dst�.tuti 
deilla mozione e della risoluzione). Un breve esame viene dedicato anche 
ad ist�.tuti di ordinamenti stranieri (dnglese e tedesco) ed alla loro influenza 
sul nostro, ed in �particolare gli atti dd moral suasion ed alle 
Ermessensrichtlinien. 

A. d'ELIA 
GIULIO CORREALE, Il referto della Corte dei Conti sui risultati dell'esame 
della gestione finanziaria e dell'attivit� degli Enti Locali, da il Foro 
Amministrativo, n. 5, mag.. 84, p. 1085. 

Viene sunteggiato nei suoi punti salienti il primo referto che la Corte 
dei Conti ha reso al Parlamento, ai sens:i dell'art. 13 D.L. 22 dicembre 
1981, n. 786, convertito nella legge 26 febbraio 1982, n. 51, sui risultati 
delil'esame della gestione finanziaria �e dell'attivit� degli enti locali. 

A. d'ELIA 
I. DE Musso, Disciplina normativa e realt� sostanziale della posizione del 
P. G. della Corte dei Conti nel giudizio pensionistico (brevi considerazioni 
sulla sentenza Corte Cast. n. 91 del 5 aprile 1984, da Rivista 
della Corte dei Conti, settembre-dicembre 1983, I, 1061. 
Viene criticata la sentenza della Corte� Cost. annotata che, succintamente 
motivando, non ha condiviso le argoiv.entazioni svolte dal giudice 
a quo circa l'ing[ustificato pi� favorevole trattamento riservato dalla legge 
alla posizione sostanziale e processuale della parte privata, rispetto a 
quella pubblica del Proc. Genera�le. 

E. FIGL�OLIA 
I. DE Musso, La ritrattabilit� della domanda di riscatto, iin Rivista della 
Corte dei Conti, maggio-agosto 1983, I, 515. 
In relazione alla questione della ritrattabilit� della domanda di riscatto 
di servizi presentata dal dipendente pubblico, l'autore della nota 
cri1lica l'orientamento giurisprudenziale della Corte dei Conti che ritiene, 
sufficiente che la revoc� della rinuncia al riscatto avvenga anteriormente 
alla emissione. del decreto di liquidazione della pensione, anzich� entro 
il termine di decadenza previsto per [a presentazione domanda di mscatto. 

E. FIGLIOLIA 
15 


8 

RASSEGi-<A DELL'�VVOCATURA DELLO STATO 

I. DE Musso, Abbandono, estinzione e riassunzione del giudizio pensionistico 
da parte degli eredi, in Rivista della Corte dei Conti, settembredicembre 
1983, I, 983. 
L'Autore prende spunto dalla sentenza della Corte dei Conti n. 53874 
del 9 giugno 1983, per svolgere alcune considerazioni in merito ai problemi 
della operativit� del combinato disposto degld artt. 305 cod. proc. 

civ. e 75 r.d. 12 luglio 1934, n. 1214 e dell'accertamento della decorrenza 
del termine per la riassunzione del processo pensionistico da parte degli 
eredi del ricorrente costituitosi personailemnte. 
E. FIGLIOLIA 
I. 
DE Musso, La misu1�a dell'equo indennizzo erogabile ai congiunti del 
dipendente pubblico nell'ipotesi di cumulo con pensione privilegiata, 
in Rivista della Corte dei Conti,. maggio-agosto 1983, I, 530. 
L'autore della nota, previa una puntua1'e ese~i della normativa in 
materia di trattamento di quiescenza del pubbl�ico dipendente, �critica 
l'indirizzo giurisprudenziale del giudice amministrativo ordinario, ed ora 
con la sentenza n. 53374 dell'll marzo 1983 condiviso anche dalla Corte 
dei Conti, secondo cui nell'ipotesi di cumulo dii pensione privilegiata con 
equo indennizzo, quest'ultimo deve essere erogato per l'intero ai congiunti 
del dipendente pubblico. 

E. FIGLIOLIA 
MARIO fINOCCHIARO, Giurisdizione sulle controversie in ordine ai contributi 
per� oneri di urbanizzazione, in Giust. Civile, 1984, settembre, 
I, p. 2481-2. 

Tracciato brevemente Jo stato della giurisprudenza in tema di giurisdizione 
in materia edilizia, alla luce dell'art. 16 della 1. n. 10/77, l'Autore�� 
formula alcuni rilievi critici ,nei confronti di quelle pronunzie che appaiono 
orientate nel senso di una competeriza giurisdizionale esclusiva del Giudice 
Aministrativo in materia di oneri di urbanizzazione. 

' 

M. 
SALVATORELLI 
LUIGI GIAMPAOLINO -A. RozERA, Competenza della Corte dei Conti in materia 
pensionistica e sua cognizione incidentale in tema di status, in 
Rivista della Cort'e dei Conti, settembre-dicembre 1983, III, 1064. 

. In relazione al problema dei l!imiti esterni delle attribuzioni giuriscMzionali 
della Corte dei Conti in materia pensioDlistica, operata una 
puntuale esposizione circa l'orientamento giurisprudenziale della Corte di 
Cassazione fino alla sentenza n. 6084 del 15 novembre 1982, gli autori criticano 
la stessa per aver esoluso che il giudice delle pensioni possa conoscere, 
sia pure incidenter tantum, degli atti amministrativi relativi al rapporto 
d'impiego pubblico. 

E. FIGLIOLIA 

PARTB II, RASSEGNA DI DOTIRINA 

RINO GRACILI -SUSANNA CAPONI, Sull'impugnabilit� del piano regolatore 
generale comunale � in itinere � e sulla decorrenza del termine per 
l'impugnazione, da il Foro Amministrativo, n. 6, giugno 84, p. 1362. 

L'articolo prende spunto dalla decisione dell'Adunanza Plenaria del 
Consiglio di Stato 9 marzo 1983, n. l, per fare una panoramica dell'evo


, luzione giiul1isprudenziale in merito a:l problema delil'impugnabilit� del 
piano regolatore generale soltanto adottato, e rileva che, mel'!tre in passato 
tale impugnabilit� velli.va ammessa solo incidentalmente in sede di impugnazione 
delle misure di salvaguardia, l'orientamento ormai consolidato 
� per l'ammissibilit� della impugnazione autonoma. 
Esamina poi ii problemi. connessi all'indivdduazione del dies a quo per 
<la proposizione dell'impugnazione, anche in relazione all'eventualit� della 
presentazione di osservazioni al piano, e svolge infine alcune considerazioni 
critiche sulla solumone data a taile ultimo problema dal Consiglio di ~tato. 

A. D'ELIA 
GIUSEPPE MANzARI, La Giustizia Amministrativa oggi, osservazioni e constatazioni 
dell'Avvocato Generale dello Stato svolte nella relazione 
al Convegno tenuto il 12 maggio 1984 presso il Consiglio di Stato, in 
Consiglio di Stato, giugno-lugliio 1984, II, pagg. 963 ss. 

Muovendo dalla considerazione che la riforma del 1971 ha rappresentato 
tin indubbio passo avanti nel processo di svecchiameneto del giudizio 
amministrativo, l'Autore compie una sintetica disamina dei risultati cui 
� pervenuta la giustizia amministrativa nel primo decennio di vita del 
T.A.R, ponendone in vilievo luci ed ombre, :innovazioni e carenze. 

Interessante il profilo comparatistico che, attraverso il riferimento ai 
sistemi di giustizia amministrativi stranieri indicati dalla dottrina a m� 
di esempio, tende a dimostrare come le istituzioni amministrative italiane 
siano molto meno �n ritardo sui tempi di quanto comune~ente si crede. 

Le Qsservazioni si concludono con �l'auspicio dell'Autore che il giudizio 
ammini'strativo segua anzich� la strada delle r~dica'li trasformazioni dal1'
esito difficilmente prevedibile, una 1inea di sviluppo graduale e progressivo, 
accompagnato dalle opportune integrazioni legislative, specie sotto il 

�profilo della disciplina processuailistica, nonch� dai necessari ritocchi giurisprudenziali. 


D: CAIRO 
LIBORIO MrnNozzr, Il silenzio-accoglimento ed il regime di pubblicit� degli 
atti amministrativi (profili costit.zionali), in Riv. giur. ed., 1984, fase. 3,, 
I, pp. 502-508. 

L'Autbre prende lo spunto dalla norma di cui all'art. 305 I. n. 94/82 
per affrontare il problema relativo al regime di pubblicit� del silenzio-accoglimen~
o in particolare a degli atti amniinistrativ<i in generale. 

Si soffer.ma, poi, ad esaminare la rilevanza costituzionale sotto il duplice 
aspetto del diritto all'informazione ed alla conoscib<ilit� dell'attivit� 
amministrativa, da un lato, e del segreto nell'attivit� amministrativa dalJ'altro. 


G. PALMIERI 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

MARIO� NIGRO, Tribunali amministrativi regionali: dieci anni dopo, in Foro 
It., 1984, ottobre, V, 317. 

Premessa una puntuale espos1z1one circa l'esperienza dei Tribunali 
Amministrativi Regionali dopo dieci anni di funzionamento, l'Autore dell'articolo 
si sofferma sulle numerose problematiche che attualmente attanagliano 
lil processo amministrativo e :i relativi organi giudicanti, auspicando 
l'emanazione di una legge processuale amministrativa che da una 
parte risolva i problemi pi� propriamente tecnici del processo (tutela cautelare, 
intervento dei terzi, ecc.) e dall'altra disciplini diversamente le 
azioni ammissibili nel giudizio amministrativo. 

E. FIGLIOLIA 
MICHELE PALLOTTINO, Problemi ed aspetti del piano regolatore generale, in 

T.A.R luglio-agosto 1984, parte II, prot. 229. 
Partendo dalla premessa che I�l piano regolatore generale non presenta 
pi� connotazioni omogenee ed unitarie, ma va scomponendosi in una 
serie di aspetti autonomi, !l'autore esamina la diverse problematiche dell'oggetto 
e dei contenuti del piano regolatore, dell'ambito del potere di 
pianificazione, della discrezionalit� delle scelte e della natura giuridica del 
piano stesso, della sua efficacia e della sua impugnabilit�. Vengono 
esaminati, infine, i due problemi dei vincoli l,lrbanistici e .deUe opere pubbliche. 
Lo studio � corredato da un'ampia bibliografia. 

E. DE G!OVANNI 
MARCO PAPALEONI, Sui regolamenti degli enti pubblici economici, in Giust. 
Civile; 1984, giugno, I, p. 1917-1921. 

Premessi ailcun~ cenni sugli enti pubblici economici ed il regime degli 
stessi, l'Autore si sofferma sul problema della natura degli atti regolamentari 
che recepiscono le tesi sUJ�l� quali si fonda l'orientamento giurisprudenziale 
che a det1li atti assegna natura negoziale, negandone pertanto 
la modificabilit� in via unilaterale ed affermandone la suscettibilit� di 
interpretazione secondo i noti canoni ermeneutici privatistici. 

M. SALVATORELLI 
FRANCO PIGA, Ente pubblico -impresa pubblica -partecipazioni statali e imprese 
da il Foro Amministrativo n. 6, giu. 84, p. 1346. � 

L'articolo illustra a grandi linee l'evoluzione delle concezioni e della 

normativa in materia di impr<~sa pubblica, dall'� aziendalismo � basato 

sul criterio della propriet� dei beni destinati a!ll'attivit� economici;i,, al


l'imP,resa gestita e controllata da un ente pubblico, e la creazione del


l'I.R.I. e dell'I.M.I. 

Si ricordano anche gli autori che hanno dato i pi� importanti contri


buti allo studio teorico del problema. 

(A. d'ELIA) 

PARTE II, RASSEGNA DI DOTTRINA 

FRANCO PIGA, L'ordinamento giudiziario fra Costituzione e riforme da il 
Foro Amministrativo n. 6, giu. 84, p. 1353. 

Considerazioni di carattere storico e prospettive di riforma dell'ordinamento 
giudiziario. 

A. d'ELIA 
ANDREA PROTO PISANI, La tutela dei diritti sindacali, nel pubblico impiego 
.�avanti le sezioni unite (osservaz. a Cass. 26. 7. 84. nn. 4411, 4393, 4387, 
4390, 4389, 4386) in Foro It. 1984 settembre I, 2105. 

L'autore della nota dopo aver esposto i punti salienti delle soluzioni 
date dalle sentenze annotate al problema della tutela giurisdizionale dei 
diritti sindacali nel settore del pubblico impiego, pone all'attenzione del 
lettore alcune problematiche strettamente connesse e conseguenziali rispetto
� a que1le affrontate dai giudici de1la Corte di Cassazione, ma da 
questi ultimi non esaminate, e che presto� richiederanno nuovii interventi 
della Corte regolatrice. 

(E. FIGLIOLIA) 
ENZO REGGIO D'Acr, La mora della Pubblica Amministrazione, nota a Cass. 
8 nov. 1983 n. 6597, da il Foro Amminis'trativo n. 4, cfr. 84, p. 59. 

Breve sintesi dei recenti orientamenti della giurisprudenza civile e 
amministrativa in merito al problema del diritto del creditore della P. A. 
ad. ottenere la rivalutazione monetaria e gli interessi. 

A. d'ELIA 
DOMENICO RESTA, Lineamenti e presupposti giuridici del diritto ammtnt� 
strativo degli anni ottanta, in T.A.R. luglio-agosto 1984, parte II 
pag. 235-242. 

Il nucleo dell'articolo in rass�gna � costituito dalla com�nioazione 
presentata dall'autore al Convegno svoltosi a Varenna (Como). dal 20 al 
22 settembre 1984 sul tema �il dirittq amministrativo degli anni 80 �: in 
esso l'Autore traccia in rapida sintesi, un quadro dell'evoluzione del di� 
ritto amministrativo e dei relativi Studi in Italia d�l 1860 ad oggi. 

Vi si segnala dapprima l'immobil<ismo delle strutture amministrative 
verso la fine del secolo scorso ed il concentrarsi dell'attenzione degli studiosi 
esclusivamente sui problemi concettuali. Vi si sottolinea poi la 
grande utilit� degli studi svolti, sempre nell'ambito del concettualismo, 
nei primi anni del '900. L'avvento della Costituzione segn� da uria parte 
l'affermarsi del superamento della concezione dell'Amministrazione apparato 
chiuso e capace di autoregolarsi (e cio�, col porre la legge, e non la 
potest� autoorganizzativa, a fondamento della organizzazione amministra



12 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

tiva); sanc� dall'altro, il principio del pluralismo istituzionale basato sulle 
autonomie locali. L'Autore sotto,inea, poi, i� riflessi delle innovazioni costituzionali 
sulla scienza amministrativa che affront� nei decenni successivi 
nuove tematiche quam le munidpaldzzazioni e nazionalizzazioni di imprese 
ed aziende, le concessioni, gili interventi pubblici nell'economia e la programma:
llione, mentre si assisteva al fiorire degili studi sulla scienza 
dell'amministra:llione. 

Degli anni '70 si pone in evidenza l'attenzione degli studiosi per fa 
storiografia, ,per i contratti de1la P. A. e per l'emergere di nuovi tipi 
di dnteressi giuridicamente rilevanti, in parallelo con l'attenuazione sul 
piano dal diritto positivo della supremazia della P. A. rispetto ai privati, 
con conseguente ricorso della P. A. stessa agli istituti _di diritto privato. 
L'Autore termina elencando le tematiche pi� trattate negli anni '80. 

A. d'ELIA 
ROLANDO RICCI Il Prefetto nello Stato delle autonomie in T.A.R. luglioagosto 
1984, parte seconda pag. 243-250. 

L'autore, analizzando � � che cosa � il Prefetto nella teoria e nella 

, prassi � introduce il proprio discorso esaminando le radici storiche dell'istituto 
ed il sistema prefettizio come delineato dalla Costituzione del 
1948: definisce poi con la formula �Stato delle autonomie� il nostro 
assetto istituzionale, in contrapposto allo � Stato regionale � proprio in 
qu�lnto presso gli enti locald esistono poli dJi. decentramento burocratico 
dell'Amministrazione centrale, quald appunto i prefutti; denuncia quindi 
lo scivolamento graduale verso lo � Stato regionale � dovuto alla 'liforma 
strisciante del!lo Stato deLJ.e a~tonomie, il cui assetito ancora non avrebbe 
� raggiunto quella, compiutezza che consentirebbe di trovare il necessarioequiliQrio 
tra spinte centrifughe e centripete. 
Conclude l'autore delineando l'iidentit� del Prefetto nello Stato delle 
autonomie. 

E. DE GIOVANNI 
.ANDREINA ScoGNAMIGLIO, Sulla revoca dell'amministratore nominato dallo 
Stato e da enti pubblici ex art. 2458, da il Foro Amministrativo n. 3 
marzo 84, n. 565. 

L'autrice prende spunto da una recente pronuncia della Cassazione 
(15 lugliio 1982, n. 4139), che ha affrontato, dandovi soluzione negativa, 
il problema della :r�sarcibilit� del danno a favore dell'ammdnistrator� di 
una societ� per azioni nominato dallo Stafo fa virt� dell'art. 2458 e.e�. 
e revocato senza giusta causa. 

La trattazione viene allargata aJ!la natura (che la S.C. ha ritenuto 
provvedimentale) dall'atto di revoca e del rapporto che corre fra l'amministratore 
e l'ente pubblico nominante, e si conclude per la natura 
negoziale di entrambi. 

A. d'ELIA 

PARTE II, RASSEGNA DI DOTI'RINA 1J 

ALDO SCOLA, Brevi riflessioni in tema di silenzio-ass�nso, da il Foro Amministrativo 
n. 4, cfr. 84, p. 830. 

L'articolo sintetizza l'attuale disciplina del silenzio-assenso e le ipotesi 
della Stia applicabilit�, alla luce della pi� rec�nte normativa (1. 5 agosto 
1978, n. 457 e d. 1. 23 gennaio 1982, n. 9, convertito con modificazioni 
nella 1. 25 marzo 1982, n. 94). 

A. d'ELIA 
ROBERTO TOMBI, Il segreto statistico, in T.A.R. maggio-giugno 1984, Il, 
pp. 179-187. 

Premessi brevi cenni sul segreto nell'ordinamento giuridico italiano, 
l'autore si diffonde in una approfondita ana1isi dell'attivit� statistica 
pubblica e della disciplina relativa al segreto. statistico alla luce dei principi 
costituzionali e della normati.va vigente in materia: 1. 21 dicembre 
1929, n. 2238, r.d.l. 27 maggio 1929 n. 1285. Quest'ultima, a giudizio 
dell'autore, se da ima parte � stata resa spesso dnope:rante da altre disposizioni 
poste in sua deroga, dall'altra si � rivelata eccessivamente 
rigorosa, avendo !imposto un ambito di segretezza pi� vasto dri quello 
strettamente indispensabile alla tutela degli interessi cui era finalizzata. 
Viene pel1tanto sottolineata,� sotto quest'ultimo profilo, la non conformit� 
dell'attuale normativa sul segreto statistico ail dettaito costituzionale, 
e se ne auspica il. superamento attraverso una nuova drisQiplina meno 
limitatrice della fondamentale libert� di informazione. In parti.colare 
viene suggerita una ruonnulazione dell. segreto startistico in senso meno 
restrittivo ed iin:determinaito, in modo da consentrire 1a driffusione anche 
di notizie a carattere riservato, avendo ricevuto la preventiva autorizzaziione 
dai .soggetti mteressati. 

M. LETIZIA GUIDA 
GRAZIELLA TOSCANO, Diritto di sciopero e competenza _amministrativa, da 
.il Foro Amministrativo n. 3, marzo 84, p. 475. 

La nota prende a spunto la sentenza con la quale 11 T.A.R. del Lazio 
ha ritenuto emesso in carenza di potere il provvedimento prefettizio 
di precettazione ad un servizio pubblico essenziale, in base alla consi!leraiione 
che lo sciopero � un diritto soggettivo costituzionalmente garantilto 
e che mancano attuailmente leggii che ne disciplinano l'esercizio nell'ambito 
della riserva [egislativa di CUii aill'art. 40 cost. (con la,conseguenza 
che la relativa controversia rientra nella giurisdizione ordinaria). Vengono 
analizzate la bas,e normativa, la natura e la portata delle ordinanze 
di necessit�, e si cerca di individuare i limiti dei poteri ,prefettizi in 
relazione al principio di legalit�, anche alla luce delle due fondamentali 
pronunce (n. 8/1956 e n. 26/~961) della Corte Costituzionale: si conclude 
nel �senso de1la necessit� di un esame caso per caso delle situazioni. 
di fatto nelle qualji !il potere prefettizio viene ad incidere. 

A. d'ELIA 
; 


14 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CARLO ZoLI, Rapporto di pubblico impiego del medico convenzionato, in 
Giust. Civile 1984, ottobre, I, p. 2870-2. 

Traendo spunto da una recente pronunzia con la quaile la Pretura 
di Firenze ha affermaito la. sussistenza del rapporto di pubblico impiego 
per li medici amenti iin regime dli convenzione (attualmente, con 1e U.S.L.), 
sulla premessa della negazione della necessit� dli un formale atto dli nomina 
(prtlncipio ormai ripetutamente affermato dalla g�urisprudenza) e 
sulla base delle caraitteristi.che del rapporto (trattamento economiconormativo, 
inserimento nell'organizzazione), l'autore compie una rapida 
rassegna della giurisprudenza civile ed amministrativa, in prevalenza 
orientata verso la tesi della c.d. � parasubordinazione �. 

M. SALVATORELLI 
DIRITTO CIVILE 

GIUSEPPE AMATO, Ancora sul patto commissorio e sulla vendita a scopo 
di garanZia, in Giust. Civ., 1984, giugno, I, 1899-1904. 

Con la sentenza n. 3800/83 la Cassazione, superando una precedente, 
consolidata giurisprudenza che fondava la diistinziione tra vendita con 
patto di I1isoal1lto (lecita) e (alienazfone in garanzia) dis�simulante mutuo 
con patto commrussorio (illecito) nel momento in culi si verificano gilii 
�ffetti traslativi della compravendita, ha ritenuto sussistente in ogni ca,so 
la nullit� del negozio per illiceit� della causa. Nella nota in esame si 
ricostruisce il fenomeno a11a base di pi� receDJti osservazioni sulila motivazione 
delia sentenza. 

M.-SALVATORELLI 

MICHELE ANNUNZIATA, Casi pratici in materia locatizia (secondo la giuri� 
sprudenza) iin Riv. giur. edilizia; 1984,. fase. 2, Il, pp. 47-98. 

Ricognizione estremamente completa ed e~auriente, con hrevi flashes' 
sui pi� recenti orientamenti dottrinali, dei principi affermati dalla 
giurisprudenza in maiteria locaiti:ziia. Particolarmente interessante il paragrafo 
n. 23 che affronta hl. problema della applicabilti� della proroga 
leg;:tle ai contratti �di locazi�ne stipulati dalla P.A. :in qualit� di Jocataria. 

G. ,PALMIERI 
CARLO MARIO BARONE, Contratto della P.A., clausole onerose e specifica 
approvazione scritta (osservazioni a Cass. 29 settembre 1984 n. 4832) 
in Foro lt., 1984, ottoHre, I, 2442. 

L'Autore opera un esame analitico delle varie argomentazioni svolte 
nella sentenza annotata che, riconosc<mdo l'applicab!�ll�t� delle msposizioni 
di cui agli artt. 1341 e 1342 cod. civ. ai contratti stipulati dalla P.A. 



PARTE. II1 RASSEGNA� DI DOTTRINA 

coSJtituisce un abbandono del diverso orientamento giurispru:dernziale dominante 
da ben ventici!llque armi, ed espressione Uilteriore della attuale 
tendenza del Supremo Collegio ad estendere la dis�ipilina del codice civile 
alla attivit� amministrativa, superando cos� quelle concessioni tecIlliche 
propugnanti. la non operativit� della normativa di diritto privato 
ai rapporti in cui sia parte la P.A. 

E. FIGLIOLIA 
CIPRIANO Cossu, Diffusione televisiva su scala ultra locale, in Giust. ~iv., 
1984, I, 1996-7. 

Ancora osservazioni sulla vexata quaestio della diffusione su scala 
namonale 'di programmi, da parte dii emittenti private, mediante fa c.d. 
� cassettazione �: in particolare, sulla nozione di �ambito locale�, con 
riferime.ti di dottrina e giurisprudenza. 

M. SALVATOR�LLI 
MARIA COSTANZA, Pagamento parziale di ob,bligazione solidale e azione di 
regresso, in Giust. Civile, 1984,. giugno, I, 1814-5. 

A commento di U!Ila recente giurisprudenza della Cassazione che lelegittima 
il condebitore solidale a:ll'aZJione di regresso, in caso di adempimento 
parziale, solo ove la parte .del debito pagato sia superiore alla 
quota interna -e solo per la eccedenza -, l'Autore, partendo da una 
corretta ricostruzione dogmatica dell'istituto della solidariet� passiva, e 
con riferimento di diritto comparato, formula brevi note. critiche all'orientamento 
della Suprema Corte. 

M. SALVATORELLI 
MASSIMO DoGLIOTTI, Luci ed ombre nella nuova disciplina della rettifica, 
in Giust. Civile, 1984,' settembre, 1, p. 2664-71. 

Nella nota si affronta dl problema della tutela della identit� perso


nale, anche delle persone giuridiche, come si � andato svil.uppando nei 

p!i� recenti apportd dottrinali e giurisprudenziali. In tale contesto si 

situa il cd. diritto alla rettifica, espressione del menzionato, fondamen


tale diritto della personalit�, il cui contenuto viene sviluppato tenendo 

ben presente il concorrente aspetto della tutela della libera manifesta


ZJione del pensiero. S!i. affronta quindi, pi� specificamente, il. problema 

deJ. ddritto al �commento � o � replica � alla � rettifica � da parte di chi 

tale rettifica pubblica. 

Si svHuppano quindi brevi cenni sull'uso !in subiecta materia dello 
strumento fornito da11'art. 700 c.p., e sulJle differenti possibi.J.i utilizzazioni 
di 1tale rimedio, ora come ~avvedimento d'urgenza avverso la 
les!ione di U1I1 diritto assoluto, ora quale elemento de11'.iter che condu,
ce alla pubb1icaZJione della rettifica. 

M. SALVATORELLI 

RA~SEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

FABRIZIO MARINELLI, Sulla differenza tra verifica e �ollaudo nel contratto 
d'appalto, in Giust. Civile, 1984, ottobre, I, pag. 2848-2850. 


Traendo spunto dft una recente pronunzia del Supremo Collegio, l'Autore 
si intraittiene brevemente sulle differenze intercorrenti tra corttrollo, 
verifiiche in corso d'opera e finale, collaudo -moment~ nei quali. 
si realiz2la l'accertamento da parte del committente dell'esatto adempimento. 


Porta, quindi, argomenti a sosrt:egno della tesi che nel collaudo vede 
non un negozio bilaterale d'accertamento bens� una mera dichiarazione 
di scienza.. 


M. SALVATORELLI 
MASSIMO PARADISO, Tutela delle immissioni, ente pubbl.ico economico 
. e perseguimento dei fini istituzionali, in Giust. Civile, 1984, otto 
bre, I, pp. 2857-2862. 


Nella nota si traccia un quadro dehla progressiva estensione della 
disciplina dei �rapporti di vicinato� anche ai rapporti con la P.A., con 
particolare riferimento alla attivit� materiale, costituente perse~mento 
del fine pubblico, che sia fonte di molestia o ~mmissione. 

' Concentrando l'analisi suglii enti pubblici economici, ribadita la ge-� 
rterale applicabilit� del diritto. comune nei rapporti con lil privato proprietario, 
si verifica tale conclusione a1la luce di particolari previsioni 
normative, che concretamente disciplinano profili di �prenso � e � condizioni 
di luoghi�: cos�. per la tutela ambientale e le attivit� inquinanti, 

'per attivit� oggetto di provvedimenti autorizzativi, per la localizzazione di 
centrali termiche, ecc. 

M. SALVATORELLI 
ENRICO PEREGO, Simulazione, Terzi acquirenti e Terzi aventi causa, in 
Giust. Civ. 1984, settembre, I, p. 2527-29. 

Chiarito il noto orientamento �giurisprudenziale secondo lil quale la 
simulazione non pu� essere opposta solo ai terai che vedrebbero leso 
un loro [egittimo affidamento, e ila cui situazione trova fondamento 
non nel negozio simulato, ma dri un successivo negozio realmente voJuto, 
l'.AU11lore si sofferma sulla tutela accordata -alla luce di detti 
prin�ipi -al retraente nel retratto successorio. 

M. SALVATORELLI 
GIANCARLO PEZZANO, Procedimenti camerali e tutela di diritti soggettivi � � 
sul fallimento (osservazioni a Cass. 9. 4. 1984 n. 2255) in Foro It. 
1984 settembre, I, 2240. 

. L'Autore della nota critica la' sentenza annotata che ha riteriuto 
ammissibile il ricorso per Cassazione ex art. 111 Cost. nei confronti 


' 

PARTB II, RASSl!GNA DI DOTl'RINA 

del decreto emesso dal Tribunale, adito con redamo avverso il decreto 
del giudice delegato con cui � sitato reso esecutivo dl piano di riparto, 
in quanto dovrebbe ritenersi estranea al sistem~ degli artt. 23-25 1. 
fa11., !l.'dmpugnativa dei provvedimenti decisori emessi dal giudice delegato, 
tra cl,lli senz'altro vi rientrano que!1li afferenti ali piani di riparto. 

E. 
FIGLIOLIA, 
ONOFRIO TROIANO, Edificio parzialmente 'costruito su suolo altrui, e � ius 
tollendi � del proprietario (nota a Cass. 2 giugno 1984 n. 3351) Foro 
It. 1984 ottobre, I, 2483. 

Con la :sentenza annotata, la Cassazione condiviiqe quell'orientamento 
giurisprudenziale secondo cui alla fattispecie di cui all'art. 938 cc., 
nella ipotesi in cui non si dia luogo alla annessione invertita, non � 
app!Licabile lo art. 936 e.e. regolante l'altra ipotesi di costnraione eretta 
completamente sull'altrui suolo.. L'autore della nota solleva perplessit� 

. 
su taile indirrizzo che garantendo ,al propnietario del suolo lo ius tolJ.endi 
della costruzione senza sottoporre !1.'eserci:mo al limite temporale di cui 
all'ult..comma dell'art. 936 e.e. (sei mesi) pu� in concreto pregiudicare 

' 
la certezza de11e situazioni giurridiche per un lungo periodo di tempo 
(anche dieci anni). 

E. 
fIGLIOLIA 
PROCEDURA CIVILE 

CLAUDIO CECCHELLA, Cauzione �e concessione della provvisoria esecutivit� 
del decreto ingiuntivo opposto: incostituzianalit� dell'art. 648, 

e.e. 2, c.p.c. in Giust. Civ., 1984, luglio-agosto, I, p. 2032-2035. 
Traendo spunto dalla s�ntenza n. 137/84 della Corte Costituzionale, 
l'Autore ripercorre brevemente i principali filoni interpretativi patrocinati 
dalJa dottrina pi� autorevofo e accolti dalla giurisprudenza in materia 
di provvisoria esecutivit� _di decreto ingiuntivo apposto. 

Si sofferma, in particolare, sulla restituita funzione cautelare dell'istituto 
delle cauzioni a seguito della pronuncia interpretativa di accoglimento 
commentata. 

M. 
SALVATORELLI 
V. 
DENTI, Valori costituzionali e cultura processuale, in Riv. Trim. di dir. 
processuale 1984, I, 443 ss. 
L'Autore esamina l'influenza dei principi costituzion~ sull'interpretazione 
delle norme processuali, sia attraverso la nozione giusnaturalistica 
di �giusto processo�, sia attraverso Ja giurisprudenza costitmionale 
sull'art. 24 Cost. � 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Viene altres� tj.iffusamente analizzata la problematica inerente la c.d. 
�tutela differenziata�, in particolare degli interessi diffusi, alla luce 
dell'art. 3, II c., Cost. Interessanti riferimenti anche alla procedura di cui 
all'art. 700 c.p.c. nonch� alfa questione d�i limiti soggetti.vi del giudicato 
ed agli effetti delle note sentenze (n. 5/1965 e n. 55/1971 della Corte 
Costituzionale in merito all'art. 28 c.p.c. 

V. NUNZIATA 
RuBENS ESPOSITO, Revocabilit� del provvedimento d'urgenza emesso � ante 
causam � in Giust. Civ. 1984, luglio-agosto, I, pp. 2248-2255. 

Con ampi riferimenti dri giurisprudenza e dottrina, s� affronta l'attuale 
problema della pos1sib~lit� di reV10ca o modifica, da parte del Pretore 
e/o del G.I., di provvedimenti ex artt. 700 c.p.c. prima della decisione 
del menito defila causa. 

Nel caso che hl provvedimento d'urgenza siia stato adottato dallo 
stesso G.I., ,SJi propende pe.r la ammis:sibilit� di una ta:le statuizione 
richiamandosi all'art.. 177 c.p.c.; neil caso di provv~ilimento pretorile 
sii nega :tale potere; si fa menzl�one, in tale ultimo caso, anche degli 
orientamenti che ammettono la revoca o la modifica incondizfonatamente, 
ovvero solo ove siano venute meno [e condD.zioni iniziali, �vvero che 
ancora ritengono posstibile l'adozione ili autonomo provverumento innominato 
idoneo a contrastare il precedente. Si svolgono quindi considerazioni 
di carattere pi� generale sulla natura e la funzione dei provvedi~ 
menrti d'urgenza, � neil foro. assii.milarni ad una decisione di I grado si 
pongono le basi logiche ;alla ricerca" di rimedi :impugnato11i. Si suggeriscono 
infine due altre ricostruzioni argomentative roonee a fondare la legittimit� 
dehla revoca o morufica, da parte deil G.I., del provved:imento 
d'urgenza em�)s,so ante causam, sul rilievo del potere cautelare anche 
ad esso spettiam.te. 

M. 
SALVATORELLI 
C. 
MANDRIOLI, Riflessioni in tema di �petitum e di causa petendi � in Riv. 
Trim. dir. process. 1984, I, 465 ss. 
L'Autore torna sulla dibattuta questione inerente fa distizione tra 
� petitum � e causa petendi, nel processo civile, avendo come punto di 
partenza l'insegn1amento chioveniliano ii.n tema di condizione deJl'.azione. 
Viene altres� ripresa e precisata la distinzioni}: tra �petitum� mediato 
ed immediato, anche alla Juce deilla controversia, sor~a nella dottrina 
tedesca, tra i sostenitori della teoria e della sostanziazione e della individuazione. 


L'Autore conclude, concordando sul punto con altra autorevole dottrina 
(Carino Canova), nel senso di una progressiva riduzione delle differenze 
tra i concetti di petitum e causa petendi. 

V. 
NUNZIATA i 
I 

l

I 


PARTE II, RASSEGNA DI DOTTRINA 

GIUSEPPINA POLI, In tema di art. 86 c.p.c. e di giudizi devoluti alla 
giurisdizione del giudice amministrativo. Osservazioni a Cass. 5 febbraio 
1984 n. 874 in Foro It. 1984 [uglio-agosto I, 1892. 

L'Autore prende spunto dalla sentenza annotata che ha. statuito 
che ~�art. 96 c.p.c. esaurisce ogni ipotesi di responsabilit� da attivit� 
processuale e che la competenza a decidere in suddetta materia spetta 
funzionalmente 1al gli.udice del merito della causa principale, per� esaminare 
le varie posizioni che sul punto sono �state assunte da parte 
della dottrina e delila gli.urisprudenza. 

E. FI<;JLIOLIA 
' \ 

BRUNO SASSANI, Mancata integrazione del contraddittorio in sede di rinvio 
e applicabilit� dell'art. 393 c.p.c.:� una sentenza nuova ed una tesi 
antica, in Giust. Civ. luglio.agosto 1984, . I, pp. 2202-4. 

Con sentenza n. 690/84 a sezione semphlce la Cassarione, derogando 
�d un recente, consolidato orientamento, ha ravvisato che, in caso di 
cassazione con rinvio ai .sensi dell'art. 360 n. 4 c.p.c., si abbia �na ipotesi 
di rinv.io restitutomo; non � applicabifo pertanto in alcun caso l'art. 393 
c.p.c., ma il.a disciplina propria del grado di giudizio rinnovato. L'Autore, 
con riferimenti dottrimfri, esamina -criticandolo -detto orientamento. 

M. SALVATORELLI 
MARIA TERESA SPADAFORA -GIUSEPPE RUFFINI: Sugli effetti della riforma 
della .sentenza pretorile che abbia dichiarato illegittimo il licenziamento 
e ordinato la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro 
ex art. 18 St. Lav., in Giust~ Civ.,_ 1984, ottobre I, pp. 2863-2877. 

Con ricchezza di argomentazioni �e riferimenti, gli Autori ripercorrono 
la strada tracciata dalla giurisprudenza con riferimento al dibattuto 
problema dei rapporti fra gli artt. 336 e 337 c.p.c.; sottopongono 
quindi ad una acuta critica la applicazione dell'art. 336 c.p.c. ai rapporti 
giuridici continuativi, ed al rapporto di lavoro in particolare, postulata dal 
S.C., concludendo per la esperibilit� di -azione ex art. 18 2, St. Lav. da 
pa:rite del lavoratore anche successivamente alla-sentenza di riforma 
che abbia .dichiarato iil licenziamento fogittimo, limitatamente al periodo 
intercorren~e tra la senteilZa pretorile e quella .del Tribunale. 

M. SALVATORELLI 
DIRITTO .E PROCEDURA PENALE 

RAIMONDO CERANI, Legge� antimafia e controlli tributari in Foro It. 
1984, settembre, V, 271. 

L'Autore dell'articolo espone una serie di riflessioni in online ad 
alcune e specifiche disposizioni della '1egge antimafia del 13 s-ettem



20 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELL.0 STATO 

br~ 1982 n. 646, quali quelle concernenti l'obbligatoriet� della verifica 
fiscale (art. 25) l'abrogazione de1la pregiuddziaie tributaria (art. 27) 
l'obbligo del mandato di cattura per i delitti di carattere finanziario 
(art. 28), il divieto di riunione di tali reati con altri connessi (art. 29) 
che suscitano problemi di interpretazione e dubbi di legittimit� costituzionale. 
� � 

E. FIGLIOLIA 
GIACOMO CONTE, Poteri di accertamento, misure patrimoniali e sanzioni 
amministrative antimafia, in' Foro Italiano 1984, settembre, V. 261. 

Nell'articolo vengono esaminate le caratt�ristiche salienti della legge 
13 settembre 1982, n. 646, che costituisce U!lla delle pi� signiificative 
espressioni della risposta del Paese al dilagare del fenomeno mafioso, 
e vii.' sono messi in cisailto il ruolo centrale a'tmbuito al �omplesso di 
accertar.enti e misure patrimoniali e le difficolt� che taile legge incOilltra 
nell'inserirrisi nel tess-yto normativo dd un ordinamento che rimane quello 
di una economia di mercato. . , 

E. FIGLIOLIA 
GIOVANNI FIANCADA, Le nuove norme incriminatorie dirette a responsabilizzare 
i pubblici amministratori in Foro It., 1984, settembre, V, 277. 

L'Articolo costituisce un commento alle nuove norme mcriminatrici 
(di cui alla legge 575/65 cos� come novellata da successivi provvedimenti 
legislativi) dirette a punire i pubblici amministratori inosservanti 
dei divieti e delle preclusioni stab'iliti dalla legge Rognoni-La Torre con-. 
cementi il ritiro della licenza, o concessioni o cancellazioni dagli albi. 

L'Autore pone il'accento sulla ratio di tale normativa che, consapevo1'
e delle collusioni esistenti tra mafila e attivit� poldtico-ammll!-istrativa, 
intende conseguire una maggiore responsabilizzazione del personale 
politico. 

(E. 
FIGLIOLIA) 
S. 
TRANCHINO, Il tribunale della libert� tra garantismo e demagogia in 
Riv. Q.ir. process. 1984, '!il7 ss. 
I 

AnnotJa!lldo la 'semenza n. 24/84 dela Corte di Cassazione, che ha 
ritenuto non sussistere inc~mpatibilit� nella ipotesi in cui venga chiamato 
a far parte del Tribunale de1la IJibert� lo stesso giudice istruttore 
che abbia emesso iil provvedimento ,sottoposto a riesame, l'Autore si 
sofferma su alcune questioni poste dalla r~nte legge numero 532/82, 
ed in pf1.rtico1are su1la difficolt� di inquadramento sistematico del nuovo 
istituto da ess,a introdotto. Ci� dn qualllto, secondo l'indirizzo prevalente 
della S.C., e d�l quale anche la sentenza annotata c,ostituisce espressione, 
il Tribunaile della ilibert� esJ?licherebbe soltanto funzioni di controllo 
e di riesame �e dunque ad esso non si applicherebbero le . caute[e 
prevti.ste, per i proceddmenti cli impugnazione. � ' 

V. 
NUNZIATA 

PARTB II, RASSEGNA DI DOTTRINA 21 
VARIE 

GIUSEPPE F1c1, Aspetti e problematiche particolari del procedimento 

disciplinare a carico dei magistrati, in Giust. Civ. }984, luglio-ago


sto, I, :p. 2149-2158. 

A commento della nota e complessa sentenza delle Sezioni Ulllite 
dehla Cassazione resa fo materia di procedimento disciplinare a carico 
di magistrati (2 aprile 1984 n. 2144), l'Autore svdluppa diffusamente i 
temi concernenti: (A) Le ingerenze del giudice di legittimit� nel merito, 
in particolare nelle materie disciplinari; ' (B) La composizione de1la sezione 
disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, con alcune 
rflessioni �de iure condendo�; (C) La interpretazione del termine � sentenza
� di cui all'art. 19, co., 9, D.P.R. 16 settembre 1958 n. 916 ai fini 
de1la estinzione del procedimento; (D) l'istituto dehla sospensione cautelare 
delle funzioni e dello stipendio; (E) il divieto della ref ormatio in 
peius nel procedimento disciplinare; il tutto con numerosi riferimenti 
critici e problematici alla pronuncia de quo. ' 


M. SALVATORELLI 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

22 

SEGNALAZIONI DI NUOVE PUBBLICAZIONI 
RECENSITE DALLE RIVISTE ESAMINATE (*) 


DIRITTO COSTITUZIONALE 

G.F. CIAURRO, Le istituzioni parlamentari, Milano, 1982, Giuffr�. 
L'opera � costituita da una serie di scritti dell'Autore, nei quali si 
analizza in .modo critico la prassi che si � andata instaurando nella 
attivit� delle assemblee legislative. 

E.. FIGLIOLIA 

ENRICO SPAGNA Musso, Corso di diritto regionale, CEDAM Padova, 1983, 
pagg. 283. 

n libro rielabora alla luce degli intervenuti mutamenti 'legislativi e 
dei nuovi appo.l'ti dottrinali, tUJtta una serie di precedenti lavori. di diritto 
regionale dando cos� vita ad un quadro unitario della materia. 

E. FIGLIOLIA 
DIRITTO AMMINISTRATIVO 

AA. VV., Atti del Convegno su � l'ufficio di direzione dell'Unit� sanitaria 
locale� Casa ed. La dirigenza, Roma, 1983, pagg. 194. 

Il volume raccoglie gli atti ufficiali (relamoni, interventi e comunicazioni) 
del convegno tenutosi a Roma dal 1.8 al 20 febbraio 1981. 

M. LETIZIA GUIDI\ 
(*) Le riviste consultate sono le seguenti: Consiglio di Stato, Diritto e giurisprudenza, 
Foro amministrativo, Il foro italiano, Foro padano, Giurisprudenza 
costituzionale, Giustizia civile, Impresa ambiente e pubblica amministrazione, 
Jus, Rivista della Corte dei Conti, Rivista di diritto civile, Rivista diritto internazionale, 
Riv. dir. process. civ. poi Riv. dir. processuale, Rivista giuridica edilizia, 
Rivista trim. diritto e procedura civile, Rivista trim. dir. pubblico, I tribunali 
amministrativi regionali. 



PARTB �, RASSEGNA DI DOTl'ltINA 

A.A.VV. Il pubblico impiego in Italia, Vita e pensione, 1983. 
' 

Il voll.�me affronta il problema del pubblico impiego nei suoi tre 
as?etti oocupazional~ retributivo e della produttivit� osservando che, 
a fronte di un aumento quantitativo dei dipendenti pubblici, si assiste 
ad una contI1azione ed un appiarttimento Tetributivo; con gravi conseguenze 
sul piano della qualit� del 'personale e produttivit� del favoro. 

E. DE GIOVANNI 
AA. VV. I.V.A. 1984, Casa ed. Buffetti, Roma 1984, pag. 202. 

Il volumetto contiene il testo d~l D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 integrato 
con le pi� recenti modifiche. 

F. 
CARPI V. CoLASANTI, V.M. TARUFFO, Commentario ,breve al codice di 
procedura civile, Casa ed. Cedam, Padova, 1984. 
Nel volume gli autori riportano un breve ma completo commento 
giurisprudenziale e dottrinario di tutti gli articoli del Codice di procedura 
civile e. delle norme di attuazione. 

M. 
LETIZIA GUIDA 
SABINO CASSESE, Il sistema amministrativo Italiano, Il Mulino, Bologna 
1983. 

Partendo dalla consjderazione che ormai il sistema amministrativo 
� al centro dei poteri pubblici, l'Autore esamina le vicende .st�riche 
dell'Amministrazione, i rapporti tm politica e burocrazia ed i singoli 
elementi che compongono il-sistema amministrativo, sintetizza per i 
caratteri dei sistemi amministrativi di italuni Stati esteri e cOn.clude 
con una ricca bibliografia. ' 

E. DE GIOVANNI 
G. 
CASTIGUONE, La concessione edilizia. Vigilanza e sanzioni, Centro 
editoriale giuridico, Verona, 1984. 
Il volume tratta i vari problemi contenuti nel tema in chiave squisitamente 
operativa. 

E. DE GIOVANNI 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

A. 
CENCI Codice delle sanzioni e della depenalizzazione in materia tributaria 
e del lavoro,, Finanza e Lavoro, Torino, 1984. 
Il volume risulita ag~ornato con le. ultime disposizioni di legge in 
ma,teria. 

E. DE GIOVANNI 
(A cura del) C.E.R.I.S.O.P. CENTRO RICERCHE INFORMAZIONI E STUDI PER LE 
OPERE PUBBLICHE, Sistemi di affidamento delle concessioni e degli 
appalti ed acclaramento delle procedure nella esecuzione dei lavori 
pubblici, Atti del Convegno organizzato a Roma nel giugno 1982, 
Roma, 1983, pp. 289. � 

Si tmtta della pubblicamone degli .. atti del convegno organizzato dal 
.C.E.R.I.S.O.P. sul tema della concessi�ne di esecuzione di opere� pubbliche 
in base alila legge 10 dicembre 1981, n. 741. 

G. PALMIERI 
M. 
CICALA, Le trasformazioni urbanistiche e edilizie, Casa ed Cedam, 
Padova, 1983, pagg. 263. 
L'Autore, con impostazione a aarattere monograf�ico, approfondisce 
alcuni profili di diritto penale in materia urbanistica. In particolare, 
le norme oggetto de1lo Studio sono state, individuate e scelte 
dal Cicala, non in funzione di una loro omogeneit� di natura tecnicogiuridica, 
ma per ila loro comune caratteristica di conoscere o disciplinare 
le trasforma2Jioni uxbanistiche ed edilizie del territorfo. 

M. 
LETIZIA GUIDA 
GIOVANNI LEONE, Opere pubbliche tra � appalto e concessione Cedam, 
Padova, 1983. 

L'opera reca t�1 notevole contributo di chiarificazione alla distinzione 
degli istituti dell'appalto di opere pubbliche e concessione di sola 
costruzione. 

E. DE GIOVANNI 
F. 
PAISIO, Responsabilit� giuridica del personale delle Unit� sanitarie 
locali, casa ed. Casanuova, Parma 1982, pagg. 223. 
Trattasi di una pubblicazione a caratten'l 111onografico sul tema 
della responsahllii.t� giuridica del personale delle Unit� sanitarie focali. 

M. 
LETIZIA GUIDA 

PARm II, RASSEGNA DI DOTIRINA 2J 

VINCENZO SPAGNOLO VIGORITA -LUCIO MAROTTA, La concessione di costru


zione di alloggi ed opere di urbanizzazione secondo la legge 14 mag


gio 1981 n. 219, Padova" CEDAM, 1983, pp. 192. 

Gli autori analizzano compiutamente il.o speciale regime dei modelli 
di esecuzione delle opere pubbliche di cui alla 1. n. 219/81. 

G. PALMIERI 
DIRITTO CIVILE 

LUIGI MARUOTTI, Piccolo dizionario per la prnva scritta� di diritto cfoile, 
Simone, Napoli, 1984. 

Il volume, redatto a fini eminentemente pratici, contiene una se11ie 
di voci � pronunciative � in cui viene puntualizzato Jo stato della 
dottrina e della giurisprudenza, nei numerosi istituti del diritto civile. 

E. DE GIOVANNI 
DIRITTO PENALE 

PIETRO NuvoLONE, La legge di depenalizzazione; l.J.T.E.T. Torino, 1984. 

Il volume, appendice al .terzo volume della quinta edizione del 
� Trattato d:i ,diritto penale >r, del Manzini, tratta in particolare di modifiche 
apportate al sistema penale dalla I. 24' novembre 1981 n. 689. 

E. DE GIOVANNI 
~n ilJ 
"\'I -~ 


RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 


LEGGI E DECRETI ("') 


-D.P .R. 18 agosto 1984, n. 538 -Modificazioni alle norme sullo svolgi~ 

mento dei concorsi di avvocato e procuratore dello Stato, in G. U. n. 243 

del 4 settembre 1984; 

-D.L. 18 settembre 1984, n. 382 -Misure amministrative finanziarie in 
favore dei comuni ad alta tensione abitativa, su G. U; n. 258 del 19 settembre 
1984; 

-D.P.R. 19 luglio 1984, n. 598 -Autorizzazione all'Avvocatura dello 

Stato ad assumere la rappresentanza e la difesa in giudizio d�;l Centro 

sperimentale di cinematografia, in G. U. n. 263 del 24 settembre 1984; 

-L. 8' ottobre 1984, n. 660 -Interpretazione autentica dell'art. 14 sep, 
ties del D.L. 30 dicembre 1979, n. 663, convertito con modificazioni nella 

L. 
29 febbraio 1980, n. 33 in G. U. 11 ottobre 1984, n. 281; 
.:__ Rendiconto generale dello Stato per l'anno 1983, in Suppl. Straord. 
G. U. 293 del 24 ottobre 1984; 
-L. 29 ottobre 1984, n. 720 -Istituzione del sistema di Tesoreria unica 
per enti e organismi pubblici, su G. U. 2_98 del 29 ottobre 1984; 

-D.L. 15 novembre 1984, n. 77 -Ulte~iore proroga della gestione esattoriale 
delle ricevitorie provinciali e delle imposte dirette nonch� delle 
tesorerie comunali e provinciali in G. U. n. 315 del 15 novembre 1984; 

-D.L. 28 novemore 1984, n. 790 -Ripiano dei. disavanzi di amministrazione 
delle unit� sanitarie locali al 31 dicembre 1983 e norme in materia 
di conversioni sanitarie in G. U. n. 327 del 28 novembre 1984; 

-28 novembre 1984, n. 741 -Indeducibilit� degli interessi passivi derivanti 
da debiti contratti per l'acquisto di obbligazioni pubbliche esenti 
da imposta da parte di persone giuridiche e imprese, in G. U. n. 327 del 
28 novembre 1984; 

-D. 20 novembre 1984 -Perequazione automatica delle pensioni in 
applicazione dell'art. 21 della L. 27 dicembre 1983, n. 730, in G. U. n. 327 
del 28 novembre 1984; 

-D.L. 6 dicembre 1984, n. 807 -Disposizioni urgenti in materia di trasmissioni 
radiotelevisive, in G. U. n. 336 del 6 dicembre 1984; 

'i

l 

! 

:

I 

(*) Si segnalano alcuni tra i provvedimenti normativi pubblicati nella Gaz, I 
zetta Ufficiale nei mesi di settembre� ottobre -novembre� dicembre 1984 e gen� I 
I 
naio 1985. 

. : 


PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

-L. 11 dicembre 1984, n. 839 � Norme sulla Raccolta Ufficiale degli 
atti normativi della Repubblica Italiana e sulla G. U. della Repubblic� 
Italiana, in G. U. n. 345 del 17 dicembre 1984; 

-D.P.R. 16 ottobre 1984, n. 882 -Esecuzione dell'accordo collettivo 
nazionale per la disciplina dei rapporti con i'medici di medicina generale; 

-D.P.R. 16 ottobre 1984, n. 883 -Esecuzione dell'a�cordo collettivo 
�nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici specialisti pediatri 
di libera scelta; 

-D.P.R. 16 ottobre 1984, n. 884 -Esecuzione dell'accordo collettivo nazionale 
per la disciplina dei rapporti con i medici specialisti ambulatoriali 
in Suppl. Ord. n. 2 a G. U. n. 355 del 28 dicembre 1984; 

, 

-L. 19 novembre 1984, n. 950 -Ratifica ed esecuzione della convenzione 
relativa al rilascio �di un certificato matrimoniale e della convenzione 
sulla legge applicabile ai cognomi e ai nomi, adottate a Monaco 
il 5 settembre 1980, in Suppi. Ord. a G. U. n. 18 del ii g�nnaio 1985; 

. -L. 25 gennaio 1985, n. 6 � Conversione in legge con modificazioni del 

D.L. 28 novembre 1984, n. 791, in G. U. n. 22 del 26 gennaio 1985; 
-D. 27 dicembre 19'4 -Determinazione per l'anno 1985 del limite di 
valore di cui all'art. l, secondo comma della legge 113/1981 e successiVe 
modificazioni, ai fini, dell'applicazione delle procedure stabilite dalla 
stessa legge e dall'accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio 
(G.A.T.T.) in materia di aggiudicazione delle pubbliche forniture, in G. U. 

n. 22 del 26 gennaio 1985; 
-L. 25 gennaio 1985, n. 7 � Proroga �del termine previsto dal primo 
comma dell'art. 30 della legge 28 luglio 1984, n. 398, in G. U. del 28 gennaio 
1985; 

-:-DJ.. 25 gennaio 1985, n. 8 -Ripiano dei disavanzi di amministrazione 
delle U.S.L. al 31 dicembre 1983 e norme in materia di convenzioni sanitarie, 
in G. �. n. 23 del 28 gennaio 1985. 


I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI 

codice penale, art. 2, quinto comma; neila parte in cui rende applicabili 
alle ipotesi da esso previste le disposizioni contenute nel secondo e terzo comma 
dello stesso art. 2 del codice penale. 

Sentenza 22 febbraio 1985, n. 51, G. U. 27 febbraio 1985, n. 50-bis. 

legge 7 ottobre 1969, n. 742, art. 1, nella parte in cui non dispone che la sospensione 
ivi prevista si applica anche al termine di cui all'art. 5, primo e secondo 
comma, della legge 25 giugno 1865, n. 2359. 

Sentenza 13 febbraio 1985, n. 40, G. �. 20 febbraio 1985, n. 44-bis. 

legge 20 dicembre 1973, n. 831, art. 21, sesto comma, nella parte in cui dispone 
che i magistrati che per qualsiasi motivo non abbiano partecipato ad 
alcun scru,tinio per la nomina a magistrato di Cassazione, pure avendo l'anzianit� 
necessaria, conseguono agli effetti giuridici i benefici previsti nel precedente 
articolo -in caso di valutazione favorevole -dal momento dell'entrata 
in vigore della medesima legge, anzich� con l'anteriore decorrenza spettante 
al pi� anziano fra i magistrati di cui al quinto comma, mantenendo rispetto 
ai magistrati stessi il precedente collocamento in ruolo. 

Sentenza 14 gennaio 1985, n. 1, G. U. 23 gennaio 1985, n. 19-bis. 

legge 3 aprile 1979, n. 95, art. 5, secondo comma, di conversione del cl.I. 
30 gennaio 1979, n, 26, nella parte in cui non prevede che la dichiarazion� dello 
stato d'insolvenza possa-essere pronunciata, oltre che su domanda della societ� 
consortile, anche di ufficio o ad iniziativa dei soggetti indicati nell'art. 6 
del r.d. 16 marzo 1942, n. 267. 

Sentenza 13 febbraio 1985, n. 41, G. U. 20. febbraio 1985, n. 44-bis. 

legge 21 febbraio 1980, n. 28, art. 7, lett. h) e d.P.R. Il luglio 19Su, n. 382, 
art. 58, lett. i), in riferimento all'art. 3 della Cm;tituzione, nella parte in cui 
non prevedono l'inclusione -ai fini dell'ammissione al giudizio di idoneit� per 
l'inquadramento nel ruolo dei ricercatori universitari confermati -anche dei 
medici interni universitari assunti con delibera nominativa del consiglio di facolt� 
per motivate esigenze delle cliniche o degli istituti,di cura universitari. 

Sentenza 22 febbraio 1985, n. 46, G. U. 27 febbraio 1985, n. 50-bis. 

d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 58, lett. i); e legge 21 febbraio 1980, n. 28, 
art. 7, lett. h), in riferimento all'art 3 della Costituzione, nella parte in cui non 
prevedono l'inclusione -ai fini della ammissione al giudizio di idoneit� per 
l'inquadramento nel ruolo dei ricercatori universitari confermati -anche dei 
medici interni universitari assunti con delibera nominativa del consiglio di facolt� 
per motivate esigenze delle cliniche o degli istituti di cura universitari. 
Sentenza 22 febbraio� 1985, n. 46, G. u.' 27 febbraio 1985, n. 50-bis. 

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PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

Ib -AMMISSIBILIT� DELLA RICHIESTA DI REFERENDUM ABROGATIVO 

Legge 12 giugno 1984, n. 219 (conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 
17 aprile 1984, n. 70, concernente misure urgenti in materia di tariffe, di prezzi 
amministtati e di indennit� di contingenza), richiesta. dichiarata legittima con 
ordinanza 7-12 dicembre 1984 dell'ufficio centrale per il referendum costituito 
presso la Corte di cassazione. 

SenteRza 7 febbraio 1985, n. 35, G. V. 13 febbraio 1985, n. 38-bis. 

II. -QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE 
d.a.c.p.c. art. 149 (art'. 3 della Costituzione). 
Sentenza 13 febbraio 1985, n. 39, G. V. 20 f,ebbraio 1985, n. 44-bis. 
legge 25 giugno 1865, n. 2359, art. 51, primo e secondo comma (artt. 3 e 24 
della Costituzione). 

Sentenza 13 febbraio 1985, n. 40, G. V. 20 febbraio 1985, n. 44-bis. 

d.P.R. 5 gennaio 
1950, n. 180, art. 2, n. 1 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Sentenza 13 febbraio 1985, n, 37, G. U. 20 febbraio 1985, n. 44-bis. 
legge reg. siciliana 20 marzo 1951, n. 29, art. 7 [modif. dall'art. 2 della legge 
reg. 29 dicembre' 1975, n. 87] (artt. 3 e 51 della� Costituzione). 

Sentenza 30 gennaio 1985, n. 20, G. V. 6 febbraio 1985, n.. 32-bis. 

legge 3 maggio 1966, n. 437 (artt. 2, 3, 68, 112 e 138 della Costituzione). 

Sentenza 28 dicembre 1984, n. 300, G. U. 16 gennaio 1985, n. 13-bis. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 68 (art. 25 della Costituzione). 
Sen,tenza 28 dicembre 1984, n. 298, G: V. 16 gennaio 1985, n. 13-bis. 
d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, artt. 51 e 53 (art. 117 della Costituzione). 
Sentenza 23 gennaio 1985, 'n. 8, G. U. 30 gennaio 1985, n. 25-bis. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 58 e 65 (art. 3 della Costituzione). 

Sentenza 6 febbraio 1985, n. 33, G. V. 13 febbraio 1985, n. 38-bis. 

iegge 8 gennaio 1979, n. 2, articolo unico (artt. 3, 4, 25, 41 e 42�della Costituzione). 


Sentenza 13 febbraio 1985, n. 36, G. U. 20 febbraio 1985, n. 44-bis. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.I. 15 dicembre 1979, n. 625, art. 1, terzo comma [cos� come convertito nell'art. 
1 della legge 6 febbraio 1980, n. 15] (art. 3 'della Costituzione). 
Sentenza 13 febbraio 1985, n. 38, G.' U. 20 febbraio 1985, n. 44-bis. 

d.P.R. 11 luglio 1980, n. 3112, art. 58, secondo comma (artt. 3, 51, 76 e 97 della 
Costituzione). 
Sentenza 22 febbraio 1985, n. 46, G. U. 27 febbraio 1985, n. 50-bis. 

d.I. 12 settembre 1983, n. 463, art. 21, secondo comma (artt. 117 e 119 della 
Costituzione). 
Sentenza 28 -dicembre 1984, n. 299, G. U. 16 gennaio 1985, n. 13-bis. 

d.I. 17 aprile 1984, n. 70, art. 3 (artt. 3, 36, 39, 70 e 77 della Costituzione). 
Sentenza 7 febbraio 1985, n. 34, G. U. 13 febbraio 1985, n. 38-bis. 
legge 12 giugno 1984, n. 219, articolo unico, ultimo comma (artt. 3, 36, 39, 
70 e 77 della Costituzione). 

Sentenza 7 febbraio 1985, n. 34, G, U. 13 febbraio 1985, n. 38-bis. 

III -QUESTIONI PROPOSTE 

cOdice civile, art. 244, secondo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Tribunale di Napoli, ordinanza 30 novembre 1983, n. 870/84, G. U. 9 gennaio 
1985, n. 7-bis. 

codice �lvlle, art. 2109 (artt. 3 e 36 della Costituzione). 
Corte di cassazione, ordinanza 6 aprile 1984, n. 1149, G. U. 23 febbraio 1985, 


n. 47-bis. 
. 

codice civile, art. 2118, primo comma (artt. 3, 4, 35 e 41 della Costituzione). 

Pretore di Gualdo Tadina, �rdinanza 28 maggio 1984, n. 1136, G. U. 27 feb� 
braio 1985, n. 50-bis. 

codice di procedura civile, art. 621 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Pretore di Caltagirone, ordinanza 24 luglio 1984, n. 1109, G. U. 18 febbraio 

1985, n. 42-bis. 

codice di procedura civile, art. 655 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Pretore di Busto Arsizio, ordinanza 31 maggio 1984, n. 1133, G. U. 
braio 1985, n. 42-bis. 

18 feb� 

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PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

codice di procedura civile, art. 668 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Pretore di Firenze, ordinanza 26 gennaio 1984, n. 878, G. U. 9 gennaio 1985, 

n. 7-bis. 
codice penale, art. 2, ultimo comma (art. 77 della Costituzione). 

Tribunale di Udine,1 ordinanza 20 marzo 1984, n. 897, G.U. 9 gennaio 1985, 

n. 
1-bis. 
Tribunale di Udine, ordinanza 23 marzo 1984, .. 958, G. U. 16 �gennaio 1985, 
n. 
13-bis. 
codice penale, art. 81 cpv. (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Sondrio, ordinanza 13 gennaio 1984, n.. 1019, G. U. 8 febbraio 
1985, n. 34-t>is. 

I 

codice penale, art. 114, secondo comma (artt. 3 e 27 della Costituzione). 

Tribunale di Pavia, ordinanza 21 novembre 1983, n. 881/84, G. U. 9 gennaio 
1985, n. 1-bis. 

codice \)edale, art. 175, primo e secondo comma (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Milano, ordinanza 11 febbraio 1984, n. 846, G. U. 9 gennaio 1985, 

n. ,7-bis. 
codice penale, art. 204, ultimo comma (artt. '2, 3, 13, 24, 27 e 111 della Costituzione). 


Magistrato di sorveglianza presso il Tribunale di Napoli, ordinanza 17 maggio 
1984, n. 1108, G. U. 13 febbraio 1985, l/l. 38-bis.. 

codice penale, art. 273 (artt. 2, 11 e 18 della Costituzione). 

Corte d'assise di Palermo, ordinanza 27 giugno 1984, n. 1023, G. U. 23 gennaio 
1985, n. 19-bis. 

codice penale, art. 280, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). 

Corte d'assise di Genova, ordinanza 24 febbraio 1984, n. 1010, G. U. 8 febbraio 
1985, n. 34-bis. 

codice penale, art. 341 (artt. 3 e 27 della Costituzione). 

Pretore di Thiene, ordinanza 17 aprile 1984, n. 844, G. U. 9 gennaio 1985, 

n. 1-bis. 
codice penale, art. 590 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Bassano del Grappa, ordinanza 11 maggio 1984, n. 1017, G. U. 
8 febbraio 1985, n. 34-bis. 

codice penale, art. 668 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Firenze, ordin1mza 22 marzo 1984, n. 873, G. U. 9 gennaio 1985, 

n. 
7-bis. 

32 

RASSEGNA DELL'AYyOCATURA DELLO STATO 

codice di procedura penale, art. 168 (art. 24 della Costituzione). 

Tribuna!~ di Genova, ordinanza 29 maggio 1984, n. 1018, G. U. 8 febbraio 
1985, n. 34-bis. 

codice di procedura penale, art. 202, secondo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). 


Corte di cassazione, ordinanza 24 marzo 1984, n. 1144, G. U. 18 febbraio 
1985, n. 42-bi-?. 

codice di procedura penale, art. 263, secondo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). 


Tribunale della libert� di Milano, ordinanza 5 giugno 1984, n. 984, G. U: 8 febbraio 
1985,, n. 34-bis. ' ' 

codice penale militare di pace, art. 58, �secondo comma (artt. 3, 4, 25, 27, 35 

e .36 della Costituzione). 
Tribunale militare di Verona, ordinanza 18 aprile 1984, n. 1013, G. U. 8 febbraio 
1985, n. 34-bis. 

codice penale militare di pace, art. 195, primo comma (art. 3 della Costituzione). 


Corte di cassazione, ordinanza 10 gennaio 1984, n. 1054, G. U. 13 febbraio 
1985, n. 38-bis. 

d.I. 20 maggio 1917, n. 876, art. 3 (art. 3 della Costituzione). 
Corte dei conti, sezione quarta, ordinanza 8 novembre 1982, n. 1140/84, G. U. 
23 febbraio 1985, n � 47-bis. 

' 

r.d. 8 gennaio 1931, 11. 148, regolamento ali. A, art. 9, terzo comma, lett. e) 
(art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Modena, �ordinanza B giugno 1984, n. 1105, G. U. 18 febbraio 1985, 

n. 42-bis. 
r.d. 31 agosto 1933, n. 1592, art. 180 (art. 33 della Costituzione). 
Consiglio nazionale degli ingegneri, ordinanza 29 marzo_ 1984, n. 1046, G. U. 
30 gennaio 1985, n. 25-bis. 

r.d.l. 28 febbraio 1939, n. 334, art. 23 [conv. in legge 2 giugno 1939, n. 739] 
(art. 53 della Costituzione). 
Tribunale di Torino, ordinanza 13 marzo 1984, n. 949, G. U. 23 gennaio 1985, 

n. 19-bjs. 
Tribunale di Torino, ordinanza 22 maggio 1984, n. 1044, G. U. 6 febbr�io 
1985, n. 32-bis. � 

Tribunale di Torino, ordinanza 8 maggio 1984, n. 1062, G. U. 8 febbraio 1985, 

n. 34-bis. 

PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

Tribunale di Torino, ordinanza 25 ottobre� 1983, n. 1095/84, G. U. 18 febbraio 
1985, n. 42-bis. 

Tribunale di Torino, ordinan?a 17 gennaio 1984, n. 1096, G. U. 18 febbraio 
1985, n. 42-bis. 

d.l. 28 febbraio 1939, n. 334, art. 23, primo comma [conv. in legge 2 giugno 
1939, n. 739] (art. 53 della Costituzione). 
Tribunale di Torino, ordinanza 3 aprile 1984, n. 896, G. U. 9 gennaio 1985, 

n. 7-bis. 
r.d.l. 28 febbraio 1939, 'Il, 334, artt. 23 e 23-ter [conv. in legge� 2 giugno 1939, 
n. 739] (art. 53 della Costituzione). 
Tribunale di Torino, ordinanza 8 maggio 1984, n. 893, G. U. 3 gennaio 1985, 

n. 2-bis. 
r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, artt. 30 e segg. (artt. 97 e 101 della Costituzione). 
Pretore di Verbania, ordinanza 5 giugno 1984, rL 1022, G. U. 23 gennaio 1985, 

n. 19-bis. 
r.d. 30 ge1maio 1941, n. 12, art. 34 (artt. 3 e 36 della Costituzione). 
Pretore di Pisciotta, ordinanza 6 luglio 1984, n. 1195, G. U. 27 febbraio 
1985, n. 50-bis. 

legge 22 aprile 1941, n. 633, artt. 171 e 180 (artt. 3, 23, 43, 53 e 97 della Costi� 
tuzione). 

Pretore di Ovada, ordinanza 30 giugno 1984, n. 1178, G. U. 23 febbraio 1985, 

n. 
47-bis. Pretore 
di Ovada, ordinanza 30 giugno 1984, n. 1177, G. U. 27 febbraio 1985, 
n. 50..bis. 
r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 26, primo, secondo e terzo comma (art. 24 
della Costituzione). 
Corte di cassazione, ordinanz:;i 15 dicembre 1983, n. 895/84, G. U. 3 gennaio 
1985, n. 2-bis. 

legge 17 agosto 1942, 11. 1150, art. 28 (art. 25 della Costituzione). 

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, I 

. Pretore di Licata, ordinanza l3 ottobre 1983, n.� 1014/84, G. U. 8 febbraio 
1985, .n. 34-bis. 

Pretore di Licata, ordinanza 15 dicembre 1983, n. 1118/84, G. U, 23 febbraio 
1985, n. 47-bis. � 

d.l.C.p.S. 15 settembr~ 1947, 11�. 896, art. 14 (artt. 25 e 41 della Costituzione). 
Pretore di Sestri Ponente, ordinanza 20 aprile 1984, n. 1020, G. U. 23 gennaio 
1985, n. 19-bis. 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

legge 2 marzo 1949, n. 143, art. 18 (art. 3 della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 22 dicembre 1983, n. 921/84, G. U. 16 gennaio 
1985, n. 13-bis. 

d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, art. 1 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale cli Bologna, ordinanza 14 febbraio 1984, n. 936, G. U. 16 gennaio 
1985, n. 13-bis. 

legge 27 dicembre 1956, ,n. 1423, art. 1 (artt. 2, 3 e 24 della Costituzione). 

Pretore di Prato, ordinanza 12 aprile 1984, n. 1015, G. U. 8 febbrajo 1985, 

n. 34-bis. 
d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 85, lett. a), seconda parte (art. 3 della Costituzion�). 
� 
Consiglio di Stato, adunanza plenaria, ordinanza 7 maggio 1984, n. 1162, 

G. U. 18 febbraio 1985, n. 42�bis. 
d.l. 5 maggio 1957, n. 271, art. 15 [conv. in legge 2 luglio 1957, n. 474] (art. 53 
della Costituzione). 
Tribunale di Torino, ordinanza 5 giugno 1984, n. 1097, G. U. 18 febbraio 1985, 

n. 42-bis. 
d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 87, 89 e 140, �.!timo comma (artt. 3, 38, 
53 e 76 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Termini Imerese, ordinanze (tre) 
16 dicembre 1983, nn. 1074-1076/84, G. U. 16 gennaio 1985, n. 13-bis. 

. 

. 

d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 91 (art. 3 delia Costituzione). 
Pretore di Bassano del Grappa, ordinanza 11 maggio 1984, n. 1017, G. U. 
8 febbraio 1985, n. 34-bis. 

d.p. reg. Sicilia 20 agosto 1960, n. 3, art. 5, nn. 3, 5 e 7 (artt. 3 e 51 della 
Costituzione). 
Tribunale di Agrigento, ordinanza 1l ottobre 1983, n. 913/84, G. U. 16 gennaio 
1985, n. 13-bis. 

legge 30 aprile 1962, n. 283, art. 17 (art; 3 della Costituzione). 

Pretore di Piombino, ordinanze (sei) 12 aprile �1984, nn. 1165-1170, G. U. 
13 febbraio 1985, n. 38-bis. 

legge 12 agosto 1962, n. 1338, a1�t. 2, cpv., lett. a) (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Siena, ordinanza 14 giugno 1984, n. 979, G. U. 8 febbraio 1985, 
� n. 34-bis. 



PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

legge 12-agosto 1962, n. 1338, art. 2, secondo comma (art. 3 della Costitu� 
zione). 

Pretore di Pistoia, ordinanza 2 giugno 1984, n. 931, G. fJ. 16 gennaio 1985, 

n. 
13-bis. 
legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, secondo comma, lett. a) (art. 3 della 
Costituzione). 

Pretore d� Ancona, ordinanza 31 gennaio 1984, n. 923, G. V. 16 gennaio 1985, 

n. 
13-bis, 
Pretore di �Genova, ordinanza 28 maggio 1984, n. 954, G. V. 23 gennaio 1985, 
n. 19-bis: 
i 

Pretore d� Palermo, ordinanza 3 maggio 1984, n. 964, G. V. 23 gennaio _1985, 

n. 
19-bis. , 
Pretore d� Palermo, ordinanza 8 giugno 1984, n. 994, G. V. 30 gennaio 1985, 
n. 
25-bis. 
Pretore di Palermo, ordinanza 18 aprile 1984, n. 1013, G. V. 8 febbraio 1985�. 
n. 34-bis. 
legge 9 gennaio 1963, n. 9, art. 1, secondo comma (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Palermo, ordinanza 9 maggio 1984, n. 876, G. V. 9 gennaio 1985, 

n. 7-bis. 
Ordinamento amministrativo degli enti locali nella regione siciliana approvato 
con legge reg. Sicilia 15 marzo 1963, n. 16 (artt: 3 e 133 della Costituzione). 

Pretore di Noto, ordinanza 31 maggio 1984, n. 1069, G. V. 27 febbraio 1985, 

n. 50-bis. 
leggl" 10 maggio 1964, n. 336, artt. e 6 (art. 3, della Costituzione). 

Consiglio di Stato, sezione quinta, ordinanza 27 aprile 1984, n. 1182, G. V. 
23 febbraio 1985, n. 47-bis. 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 10 e 11 (artt. 3 e 35 della Costituzione). 
Tribunale di Genova, ordinanza 27 febbraio 1984, 1?� 900, G.U. 9 gennaio 1985, 

n. 1-bis. 
d.P.R. 30 gi.gno 1965, n. 1124, art. 85 (artt. 3, 37 e 38 della Costituzione). 
Pretore di Macerata, ordinanza 12 luglio 1984, n. 1078, G. V. 8 febbraio 1985, 

n. 34-bis. 
. 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 85; terzo comma (artt. 3 e 29 della Costitu' 
zione). 
Pretore di Milano, ordinanza 7 marzo 1984, n. 857, G. V. 3 gennaio 1985, n. 2-bis. 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 112, quinto comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Pretore di Trapani, ordinanza 6 aprile 1984, n. 1027, G. V. 27 febbraio 1985, 

n. 50-bis. 

!16 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.P.R 30 giugno 1965, n. 1124, art. 213 (artt. 3 e 38 della Costituzione). 
Pretore di Chiavari, ordinanza 5 luglio 1984, n. 1077, G. U. 13 febbraio 1985, 

n. 38-bis. 
legge 14 luglio 1965, n. 963, artt. 15, lett. a), 24 e 26 (artt. 3, 35 e 41 della Costituzione). 


Pretore di Ancona, ordinanza 28 febbraio 1984, ri. 498, G. U. 16 gennaio 1985, 

n. 13-bis. 
legge 15 luglio 1966, n. 604, art. 11 (artt. :X, 4, 35 e 41 .della Costituzione). 

Pretore di Gualdo Tadino, ordinanza 28 maggio 1984, n. 1136, G. U. 27 febbraio 
1985, n. 50-bis. 

legge 22 luglio 1966, n. 613, art. 19, secondo comma (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Ancona, ordinanza 23 marzo 1984, n. 952, G. U. 16 gennaio 1985, 

n. 13-bis. 
legge 14 agosto 1967, n. 800, art. 25 (artt. 70, 76, 77, 97 e 113 della Costituzione). 

Consiglio di Stato, sezione sesta, ordinanza 6 aprile 1984, n. 1189, G. U. 18 febbraio 
1985, n. 42-bis. 

legge 12 febbraio 1968, 11. 132, art. 66 (art. 3 della Costituzione). 

Consiglio di Stato, sezione quinta, ordinanza 27 aprile 1984, n. 1182, G. U. 
23 febbraio 1985, n. 47-bis. 

legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 3, secondo comma, Iett. a) (artt. 3, 29 e 38 della 
Costituzione). 

Pretore di Vallo della Lucania, ordinanza' 8 giugno 1984, n. 1004, G. U. 8 febbraio 
1985, n. 34-bis. 
Pretore di Pavia, ordinanza 23 giugno 1984, n. 985, G. U. 8 febbraio 1985, 

n. 34-bis. 
legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 3, secondo comma, lett. b) (artt. 3, 36 e 38 della 
Costituzione). 

Pretore di Ancona, ordinanza 10 maggio 1984, n. 1093, G. U. 30 gennaio 1985, 

n. 25-bis. 
legge 2 aprile 1968, n. 482, art. 5 (artt. 3, 4, 35, 38 e 41 della Costituzione). 

Pretore di Asti, ordinanza 8 maggio 1984, n. 991, G. U. 8 febbraio 1985, n. 34-bis. 

d.P.R. 2 ottobre 1968, n. 1639, art. 111 (art. 3, 35 e 41 della Costituzione). 
Pretore di Ancona, ordinanza 28 febbraio 1984, n. 498, G. U. 16 gennaio 1985, 

n. 13-bis. 

PARTE Il, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

legge 7 _ottobre 1969, n. 742, art. 1 (art. 3 della Costituzione). 
�orte di cassazione, or�linanza 6 marzo 1984, n. 1053, G. U. ]8 febbraio 1985, 


n. 42-bis. 
Corte di cassazione, ordinanze (due) 8 maggio 1984, nn. 1051 e 1052, G. U. 
18 febbraio 1985, n. 42-bis. 

legge 23 ottobre 1969, n. 789, art. 5, secondo comma (art. 3 della Costituzione). 

Consiglio di Stato, sezione quarta, ordinanza 14 giugno 1983, n. 978/84, G. U. 
23 gennaio 1985, n. 19-bis. 

legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 28 (artt. 3 e 39 della Costituzione). 
Pretore di Legnano, ordinanza 7 luglio 1984, n. 1063, G. U. 8 febbraio 1985, 


n. 34-bis. 
legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 35 (artt. 3, 4, 35 e 41 della Costituzione). 

Pretore di Gualdo Tadina, ordinanza 28 maggio 1984, n. 1136, G. U. 27 febbraio 
1985, n. 50"bis. 

legge ,24 maggio 1970, n. 336, art. 2 (art. 3 della Costituzione). 
Corte dei conti, ordinanza 12 dicembre 1983, n. 976/84, G. U. 23 gennaio 1985, 


n. 19-bis. 
legge 9_ ottobre 1971, n. 824, art. 6, primo comma (artt. 52 e 81 della C.ostituzione). 


Pretore di Venezia,� ordinanza 18 maggio 1977, n. 1Cle4/84, G. U. 6 febbraio 
1985, n. 32-bis. 

legge 9 ottobre 1971, 11. 825, art. 4, n~ 1 (art. 3 della Costituziione). 
Commissione tributaria di primo grado di Trento, ordinanza 22 maggio 1984, 

n. 
927, G. U. 16 gennaio 1985, n. 13-bis. 
Commissione tributaria di primo grado di Trento, ordinanza 19 giugno 1984, 
n. 1016, G. U. 8 -febbraio 1985, n. 34-bis. 
legge 9 ottobre 1971, n. 825, art. 10, n. 11 (artt. 23 e 76 della Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Bassano del Grappa, ordinanza 
19 marzo 1984, n. 850, G. U. 9 gennaio 1985, n. 7-bis. 

legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 19, primo connna (artt. 3 e 24 della Costi� 
tuzione). 

Corte d'appello di Trieste, ordinanza 2 maggio '1984, n. 865, G. U. 9 gennaio 
1985, n. 7-bis. 

legge prov. di Bol:zano 20 agosto 1972, n. 15, art. 12, primo comma, primo� periodo 
(artt. 3 e 42 della Costituzione). 

Corte d'appello di Trento, ordinanza 12 giugno 1984, n. 1057, G. U. 8 febbraio 
1985, n. 34-bis. � 


/ 

38 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO, STATO 

legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 12, primo e terzo comma 
(artt. 3 e 42 della Costituzione). 

Corte d'appello di Trento, ordinanza 26 giugno 1984, n. 1056, G. U. 8 febbraio 
1985, n. 34-bis. 

legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 12, primo comma, primo periodo, 
e terzo comma (artt. 3 e 42 della Costituzione). 

Corte d'appello di Trento, ordinanza 15 maggiQ 1984, n. 996, G. U. ,6. febbraio 
1985, n. 32-bis. 

legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, artt. 12, primo comma, primo 
periodo e terzo comma, e 24, primo comma, primo e secondo periodo (artt. 3 e 42 
della Costituzione). 

Corte d'appello di Trento, ordinanza 17 aprile 1984, n. 851, G. U. 9 gennaio 
198~. n. 7-bis. � 
Corte d'appello di Trmto, ordinanza 17 aprile 1984, n. 1Q59, G. U. 13 febbraio 

I ~ 

�985, n. 38-bis. 
Corte d'appello di Trento, ordinanza 3 luglio 1984, n. 1061, G. U. 13 febbraio 
1985, n. 38-bis. 

legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 12, primo comma, secondo 

l

periodo , e terzo comma, e art. 24, primo comma, primo e secondo periodo (artt. f. 

r:
3 e 42 della Costituzione). i:

i: 
Corte d'appello di Trento, ordinanza 17 aprile 1984, n. 1058, G. U. 8 febbraio 

~ 

1985, n. 34-bis. 
Corte d'appello di T~ento, ordinanz~ 19 giugno 1984, n. 1060, G. U. 23 febbraio 

li

1985, n. 47-bis. � �~ 

t 

legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, artt. 12, primo e terzo comma, e 
24, primo e secondo comma (artt. 3 e 42 della Costituzione). f

f 

Corte d'appello di Trento, ordinanza 13 ~arzo 1984, n. 871, G. U. 9 gennaio i 
1985, n. 7-bis. f

I 

legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 24 (artt. 3 e 42 della Costituzione). 


Corte d'appello di Trento, ordinanza 15 maggio 1984, n. 996, G. U. 6 febbraio 

I

1985, n. 32-bis. 

I 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 12, primo e secondo comma (art. 108 della 
Costituzione). 
l

Commissione tributaria di primo grado di Verbania, ordinanza 11 giugno 1984, 

i

�n. 1103, G. U. 18 febbraio 1985, n. 42-bis. I 

j 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. '636, artt. 13, primo, secondo, terzo e quarto comma, 
e 13-bis [modif. dal d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739) (~rtt. 168 e 110 della Costituti~~. 
' 
Commissione tributaria di primo grado di Pinerolo, ordinanze (tre) 10 gennaio 
1984, nn. 1128-1130, G. U. 6 febbraio 1985, n. 32-bis. 




PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE � J9 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, artt. 3, 6, 14 e 15 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Roma, ordinanze (due) 12 di� 
cembre 1983, nn. 989 e 990/84, G. U. 16 gennaio 1985, n. 13-bis. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 6, sesto comma. 
Commissione tributaria di primo grado di Modena, ordinanza 23 giugno 1983, 

n. 992/84, G. U. 8 febbraio 1985, n. 34-bis. 
d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183 e 185 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Mantova, ordinanze (due) 15 giugno 1984, nn. 1209 e 1210, G. V. 
13 febbraio 1985, n. 38-bis. 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183 e 195 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Castiglione delle Stiviere, ordinanza 7 ottobre 1983, �Il. 901/84, G. U. 
16 gennaio 1985, n. 13-bis. 
Tribunale di Mantova, ordinanza 27 aprile 1984, n. 963, G. U. 16 gennaio 1985, 

n. 13-bis. 
Pretore di Novara, ordinanza 19 novembre 1983, n. 975/84, G. U. 8 febbraio 
1985, n. 34-bis. 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 334 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Rimini, ordinanza 9 maggio 1984, n. 1986, G. U. 30 gennaio 1985, 

n. 25-bis. 
Pretore di Trento, ordinan:ze (cinque) 4 ottobre 1984, nn. 1258-1262, G. U. 
27 febbraio 1985, n. 50�bi,,.. 

d.P.R .29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, primo comma, 195, primo comma, n. 2, 
e 334 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Gorizia, ordinanza 12 giugno 1984, n. 951, G. V. 16 gennaio 1985, 

n. 13-bis. 
d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 195 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Vcne:zia, ordinanza 18 maggio 1984, n. 889, G. U. 9 gennaio 1985, 

n. 7-bis. 
d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 322, 323 e 334 (artt. 3 e 21 della Costituzione). 
Pretore di Udine, ordinanza 5 giugno 1984, n. 1001, G. U. 6 febbraio 1985, 

n. 32-bis. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 12 (art. 76 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Palermo, ordinanza 20 febbraio 
1984, n. 1009, G. V. 8 febbraio 1985, n. 34-bis. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 12, lett. e) (artt. 3, 38, 53 e 76 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Ascoli Piceno, ordinanza 28 febbraio 
1984, n. 883, G. V. 9 gennaio 1985, n. 7-bis. 

17 



40 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

c;I.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 12, lett. e), 14 e 46, secondo comma (artt. 
3, 38, 53 e 76 della Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Termini Imerese, ordinanze (tre) 
16 dicembre 1983, nn. 1074-1076/84, G. U. 16 gennaio 1985, n. 13-bis. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 12, lett. e), e 46 (artt. 3, 38, 53 e 76 della 
Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Paiermo, ordinanza 9 giugno 
1984, n. 1100, G.U. 18 febbraio 1985, n. 42-bis. 

d.P.R�. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 12, lett. e) e 46, secondo comma (artt. 38, 
53 e 76 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Gorizia, ordinanza 15 novembre 
1983, n. 906/84, G. V. 16 gennaio 1985, n. 13-bis. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 51 (art. 3 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Trento, ordinanza 22 maggio 1984, 

n. 
927, G. U. 16 gennaio 1985, n. 13-bis. 
Commissione tributaria di primo grado di Trento, ordinanza 19 giugno 1984, 
n. 1016, G. U. 8 febbraio 1985, n. 34-bis. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 52, secondo comma (art. 3 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Pescara, ordinanza 1� marzo 
1984, n. 988, G. U. 30 gennaio 1985, n. 25-bis. 
Commissione tributaria di secondo grado di Pescara, ordinanza 1� marzo� 1984, 

n. 987, G. U. 6 febbraio 1985, n. 32-bis. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, artt. 1, primo comma, lett. a), e 7, primo, se� 
condo e quarto comma (artt. 3, 35 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Treviso, ordinanza 2 febbraio 1979, 

n. 1026/84, G. U. 6 febbraio 1985, n. 32-bis. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, art. 1, secondo comma (art. 3 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Trento, ordinanza 22 maggio 1984, 

n. 
927, G. U. 16 gennaio 1985, n. 13-bis. 
Commissione tributaria di primo grado di Trento, ordinanza 19 giugno 1984, 
n. 1016, G. V. 8 febbraio 1985, n. 34-bis. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, quarto comma (artt. 2, 3 e 53 della 
Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Milano, ordinanza 7 giugno 1984, 

n. 1110, G. V. 18 febbraio 1985, n. 42-bis. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 47 (artt. 23 e 76 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Bassano del Grappa, ordinanza 
19 marzo 1984, n. 850, G. U. 9 gennaio 1985, n. 7-bis. 

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PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 47 (art. 76 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Belluno, ordinanza 15 marzo 1984, 

n. 859, G. U. 9 gennaio 1985, n. 7-bis. 
d.P.R. 29 settembre 1973, 11. 601, art. 34 (art. 3 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Forl�, ordinanze (tre) 12 gennaio 
1984, nn. 1028-1030, G. U. 18 febbraio 1985, n. 42-bis. 
Commissione tributaria di secondo grado di Forl�, ordinanze (quattro) 26 gennaio 
1984, nn. 1031, 1032, 1033 e 1037, G. U. 18 febbraio 1985, n. 42-bis. 
Commissione tributaria di secondo grado di Forl�, ordinanza 10 febbraio 
1984, n. 1042, G, U. 18 febbraio 1985, n. 42-bis. 
Commissione tributaria di secondo grado di Forl�, ordinanza 1� marzo 1984, 

n. 
1043, G. U. 18 febbraio 1985, n. 42-bis. 
Commissione tributaria di secondo grado di Forl�, ordinanze (quattro) 26 
gennaio 1984, nn. 1034-1036 e 1038, G. U. 23 febbraio 1985, n. 47-bis. 
Commissione tributaria di secondo grado di Forl�, ordinanze (tre) 10 febbraio 
1984, nn. 1039-1041, G. U. 23 febbraio 1985, n. 47-bis. 

d.P.R. 29 settembre 1973, 11. 601, art. 34 (artt. 3, 38, 53 e 76 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Palermo, ordinanza 9 giugno 
1984, n. 1100, G. U. 18 febbraio 1985, n. 42-bis. 

d.P.R. 29 settembre 1973, 11. 601, art. 42 (art. 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanze (tre) 8 giugno 
1984, nn. 1125-1127, G. U. 6 febbraio 1985, n. 32-bis. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 15 (artt. 25, 53 e 113 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Venezia, ordinanza 6 maggio 1982, 

n. 1005/84, G. U. 6 febbraio 1985, n. 32-bis. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 15, 39, 53 e 54 (artt. 24 e 113 della 
Costituzione). 
Pretore di Caltanissetta, ordinanze (due) 7 luglio 1984, n. 1079 e 1080, G. U. 
16 gennaio 1985, n. 13-bis. 
Pretore di Caltanissetta, ordinanza 16 maggio 1984, n. 1007, G. U. 8 febbraio 
1985, n. 34-bis. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 84 (artt. 3, 25, 42 e 113 della Costituzione). 
Pretore di Orvieto, ordinanza 23 giugno 1984, n. 1065, G. U. 8 febbraio 1985, 

n. 34-bis. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 92 e 95 (artt. 23 e 76 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Bassano del Grappa, ordinanza 
19 marzo 1984, n. 850, G. U. 9 gennaio 1985, n. 7-bis. 


42 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 5 (artt. 3 e 76 della Costituzione). 
Corte dei conti, ordinanza 3 giugno 1982, n. 1067/84, G. U. 30 gennaio 1985, 

n. 25-bis. 
legge 14 giugno 1974, n. 270, art. 1 (art. 42 della Costituzione). 

Tribunale di Catania, ordinanza 18 aprile 1984, n. 940, G. U. 23 gennaio 1985, 

n. 19-bis. 
legge 14 ottobre 1974, n. 497, art. 12 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Brindisi, ordinanza 3 febbraio 1984, n. 869, G. U. 9 gennaio 1985, 

n. 7-bis, 
legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 5, quarto e sesto comma (art. 3 della Costi� 
tuzione). 

Pretore di Genova, ordinanza 15 febbraio 1984, n. 1006, G. U. 8 febbraio 1985, 

n. 34-bis. 
I

legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 23, quarto comma (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Brindisi, ordinanza 3 febbraio 1984, n. 869, G. U. 9 gennaio 1985, 

I

n. 7-bis. 
legge 3 giugno 1975, n. 160, art. 10, quinto comma (artt. 3 e 38 della Costi� 

I

tuzione). 

Pretore di Modena, ordinanza 26 marzo 1984, n. 886, G. U. 9 gennaio 1985, 

n. 7-bis. 
I 

legge 22 luglio 1975, n. 319, art. 2, terzo comma (artt. 1, 3, 36 e 38 della 
Costituzione). 

I

Tribunale di Trapani, ordinanza 5 luglio 1984, n. 1064, G. U. 8 febbraio 1985, ! 

n. 34-bis. 
I 

legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 47, terzo comma (artt. 3 e 27 della Costituzione). 


Sezione di sorveglianza presso il tribunale di Brescia, ordinanza 10 aprile 
1984, n. 1025, G. U. 30 gennaio 1985, n. 25-bis. 

legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 56 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Magistrato di sorveglianza presso il Tribunale dei minorenni di Torino, 
ordinanza 4 aprile 1984, n. 1084, G. U. 30 gennaio 1985, n. 25-bis. 

legge 22 novembre 1975, n. 685, artt. 26, 28, 71 e 80 (art. 3 della Costituzione). 


Tribunale di Venezia, ordinanza 4 aprile 1984, n. 899, G. U. 9 gennaio 1985, 

n. 7-bis. 

PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 41 

legge 2 dicembre 1975, n. 576, art. 9 (artt. 3, 29, 31, 35 e 53 della Costituzione). 


Commissione tributaria di primo grado di Biella, ordinanza 2 aprile 198'\, 

n. 884, G. U. 9 gennaio 1985, n. 7-bis. 
legge 22 dicembre 1975, n. 685, artt. 26, 28, 71, 72 e 80 (art. 3 della Costituzione). 


Tribunale di Venezia, ordinanza 4 aprile 1984, n. 898, G. U. 16 gennaio 1985, 

n. 13-bis. 
legge 23 dicembre 1975, n. 698, a1�t. 9, ultimo comma, prima parte (artt. 3 
e 36 della Costituzione). 

Pretore di Milano, ordinanza 29 febbraio 1984, n. 912, G. U. 16 gennaio 1985, 

n. 13-bis. 
d.l. 4 marzo 1976, n. 31, art. 4, primo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Tribunale di Rovereto, ordinanza 6 giugno 1984, n. 974, G. U. 23 gennaio 1985, 

n. 19-bis. 
legge 30 aprile 1976, n. 159, art. 2, quinto comma (art. 24 della Costituzione). 


Corte di cassazione, ordinanza 6 dicembre 1983, n. 945/84, G. U. 23 gennaio 
1985, n. 19-bis. 

legge 30 aprile 1976, n. 159, art. 2, quinto comma, seconda parte (art. 24 
della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 6 dicembre 1983, n. 946/84, G. U. 16 gennaio 
1985, n. 13-bis. 

legge prov. di Trento 8 luglio 1976, n. 18, art. 4 (art. 42 della Costituzione). 

Tribunale superiore delle acque pubbliche, ordinanza 14 gennaio 1984, 

n. 1107, G. U. 30 gennaio 1985, n. 25-bis. 
legge 13 aprile 1977, n. 114, art. 17, ultimo comma (artt. 3 e 53 della Costi� 
tuzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Roma, ordinanza 2 aprile 1984, 

n. 1114, G. U. 18 febbraio 1985, n. 42-bis. 
legge 13 aprile 1977, n. 114, art. 22 (artt. 53 e 76 della Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Cosenza, ordinanza 27 marzo 1984, 

n. 882, G. U. 9 gennaio 1985, n. 7-bis. 
legge 22 luglio 1977, n. 426, art. 2, secondo comma (artt. 70, 76, 77, 97 e 113 
della Costituzione). 

Consiglio di Stato, sezione sesta, ordinanza 6 aprile 1984, n. 1189, G. U. 
18 febbraio 1985, n. 42-bis. 


44 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 12 (artt. 3 e 29 della Costituzione). 

Pretore di Milano, ordinanza 7 marzo 1984, n. 857, G. U. 3 gennaio 1985, 

n. 2-bis. 
legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 12 (artt. 3, 37 e 38 della Costituzione). 

Pretore di Macerata, ordinanza 12 luglio 1984, n. 1078, G. U. 8 febbraio 1985, 

n. 34-bis. 
legge 1� febbraio 1978, n. 30, art. 9 (artt. 3 e 35 della Costituzione). 

Pretore di Pisa, ordinanza 2 maggio 1984, n. 938,, G. V. 23 gennaio 1985, 

n. 19-bis. 
legge prov. di Trento 13 marzo 1978, n. 13 (artt. 8 e 9 d.P.R. 31 agosto 1972, 

n. 670 -statuto speciale regione Trentino-Alto Adige). 
Pretore di Trento, ordinanza 10 luglio 1984, n. 1045, G. U. 8 febbraio 1985, 

n. 34-bis. 
legge 13 maggio 1978, n. 180, art. 11 (artt. 2, 48 e 49 della Costituzione). 

Consiglio di giustizia amministrativa per la regione Sicilia, ordinanza 
10 aprile 1984, n. 1163, G. U. 23 febbraio 1985, n. 47-bis. 

legge 22 maggio 1978, n. 194, art. 12, secondo comma (art. 3 della Costituzione). 


Giudice tutelare di Torino, ordinanza 12 settembre 1984, n. 1199, G. U. 
20 febbraio 1985, n. 44-bis. 

legge reg. Veneto 14 luglio 1978, n. 30, art. 7, penultimo comma (art. 117 
della Costituzione). 

Pretore di Lonigo, ordinanza 26 giugno 1984, n. 1161, G. V. 13 febbraio 1985, 

n. 38-bis. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 3 (artt. 2, 41 e 42 della Costituzione). 

Pretore di Foligno, ordinanza 15 maggio 1984, n. 872, G. U. 9 gennaio 1985, 

n. 7-bis. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3, 58 e 65 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Recco, ordinanza 17 maggio 1984, n. 866, G. U. 9 gennaio 1985, 

n. 7-bis. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 26, lett. c) (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Bologna, ordinanza 24 luglio 1984, n. 1106, G. U. 30 gennaio 1985, 

n. 25-bis. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 27, terzo comma (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Imperia, ordinanza 5 marzo 1984, n. 860, G. U. 3 gennaio 1985, 

n. 2-bis. 

PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 
4J 

legge 27 luglio 1978, u. 392, artt. 29, secondo comma, e 73 (art. 3 della Costituzione). 


Tribunale di Napoli, ordinanza 25 maggio 1984, n. 1011, G. U. 8 febbraio 1985, 

u. 
34-bis. 
legge 27 luglio 1978, u. 392, art. 58 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Potenza, ordinanza 17 aprile 1984, 11. 852, G. U. 9 gennaio 1985, 

n. 
7-bis. 
Pretore di Potenza, ordinanza 26 aprile 1984, n. 853, G. U. 9 gennaio 1985, 
n. 
7-bis. 
Pretore di Milano, ordinanza 10 aprile 1984, n. 922, G.U. 16 gennaio 1985, 
11. 
13-bis. 
Pretore di Potenza, ordinanza 21 maggio 1984, n. 935, G. U. 16 gennaio 1985, 

n. 
13-bis. 
Pretore di Potenza, ordinanza 22 maggio 1984, n. 934, G. U. 16 gennaio 1985, 
n. 
13-bis. 
legge 27 luglio 1978, u. 392, artt. 58 e 65 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di La Spezia, ordinanza 29 marzo 1984, n. 887, G. U. 9 gennaio 
1985, n. 7-bis. 
Pretore di Brindisi, ordinanza 30 aprile 1984, n. 1090, G. U. 30 gennaio 1985, 

n. 
25-bis. 
Pretore di Termini Imerese, ordinanza 14 marzo 1984, n. 1002, G. U. 6 febbraio 
1985, n. 32-bis. 

legge 27 luglio 1978, u. 392, artt. 58 e 65, primo comma (art. 3 della Costi� 
tuzione). 

Pretore di Ravanusa, ordinanza 5 marzo 1984, n. 848, G. U. 9 gennaio 1985, 

n. 
7-bis. 
legge 23 dicembre 1978, u. 833, art. 57 (artt. 3 e 23 della Costituzione). 

Pretore di Milano, ordinanza 21 dicembre 1983, n. 1081/84, G. U. 30 gennaio 
1985, n. 25-bis. 
Pretore di Milano, ordinanza 16 febbraio 1984, n. 977, G. U. 8 febbraio 1985, 

n. 
34-bis. 
legge reg. Piemonte 20 febbraio 1979, u. 6, art. 16 (art. 117 della Costituzione). 


Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 27 aprile 1983, 

n. 
1085/84, G. U. 8 febbraio 1985, n. 34-bis. 
legge 2 aprile 1979, n. 97, art. 15, primo e secondo comma (artt. 3, 36 e 53 
della Costituzione). 

Tribunale di Roma, ordinanza 6 aprile 1984, n. 1055, G. U. 8 febbraio 1985, 

n. 
34-bis. 

46 
RASSEGNA DEU!AVVOCATURA DELLO STATO 

legge reg. Veneto 24 agosto 1979, n. 64, art. 4 (art. 24 della Costituzione). 

Pretore di Venezia, ordinanze (due) 20 giugno 1984, nn. 997 e 998, G. U. 16 gennaio 
1985, n. 13-bis. 

d.P.R. 27 settembre 1979, n. 506, art. 2 (artt. 53 e 76 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Cosenza, ordinanza 27 marzo 1984, 

n. 882, G. U. 9 gennaio 1985, n. 1-bis. � 
d.-1. 15 dicembre 1979, n. 625, art. 1, terzo comma [conv. nell'art. 1 della 
legge 6 febbraio 1980, n. 15] (art. 3 della Costituzione). 

Corte d'assise di Genova, ordinanza 24 febbraio 1984, n. 1010, G. U. 8 febbraio 
1985, n. 34-bis. 

d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, art. 57, lett. a) (artt. 3 e 35 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 8 marzo 1984, 

n. 1156, G. U. 23 febbraio 1985, n. 47-bis. 
legge 24 dicembre 1979, n. 650, artt. 6 e 17, ultimo periodo (artt. 25 e 77 
della Costituzione). ., 

I 
I 
i' 

Pretore di Saluzzo, ordinanza 5 maggio 1984, n. 1087, G. U. 13 febbraio 1985, 

n. 38-bis. 
d.l. 30 dicembre 1979, n. 663, art. 3 [conv. in legge 29 febbraio 1980, n. 33] 
(artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Pretore di Brescia, ordinanza 17 gennaio 1984, n. 902, G. U. 9 gennaio 1985, 

n. 
1-bis. ' 
' 
Pretore di Milano, ordinanza 23 febbraio 1984, n. 911, G. U. 16 gennaio 1985, 
,

I

n. 
13-bis. 
Pretore di Acqui Terme, ordinanza 23 maggio 1984, n. 959, G. U. 23 gen


r~

naio 1985, n. 19-bis. 

~ 

Pretore di Milano, ordinanza 21 dicembre 1983, n. 1081/84, G. U. 30 gen-

I ~ 

naio 1985, n. 25-bis. 
Pretore di Sanremo, ordinanza 7 giugno 1984, n. 1000, G. U. 6 febbraio 1985, 

n. 
32-bis. 
Pretore di Milano, ordinanza 16 febbraio 1984, n. 977, G. U. 8 febbraio 1985, 
n. 
34-bis. 
d.P.R. 8 luglio 1980, n. 285, artt. 1 e 2 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
I

Pretore di Brescia, ordinanza 17 gennaio 1984, n. 902, G. U. 9 gennaio 1985, ~ 

e 

n. 1-bis. 
i: 
j: 
1:
d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 58 (artt. 3 e 97 della Costituzione). 
i: 
Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 28 marif, 
zo 1984, n. 941, G. U. 23 gennaio 1985, n. 19-bis. 

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PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

legge 20 settembre 1980, n. 576, artt. 2, secondo e quinto comma, e 10, 
lett. b) (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Firenze, ordinanza 15 novembre 1982, n. 854/84, G. U. 3 gennaio 
1985, n. 2-bis. 

legge �20 settembre 1980, n. 576, artt. 2, ottavo comma, e 10, �terzo comma 
(artt. 3 e 38 della Costituzione). 

Pretore di Firenze, ordinanza 15 novembre� 1982, n. 854/84, G. U. 3 gennaio 
1985, n. 2-bis. 

legge 20 settembre 1980, n. 576, art. 22 (artt. 3 e 38 della Costituzione). 
Tribunale di Milano, ordinanza 1� dicembre 1983, n. 849/84, G. U. 9 gennaio 
1985, n. 7-bis. 
Tribunale di Milano, ordinanza 27 gennaio 1984, n. 863, G. U. 9 gennaio 1985, 

n. 7-bis. 
legge 20 settembre 1980, n. 576, art. 26 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Firenze, ordinanza 15 novembre 1982, n. 854/84, G. U. 3 gennaio 
1985, n. 2-bis. 

legge 19 febbraio 1981, n. 27, art. 3 (artt. 97 e 101 della Costituzione). 
Pretore di Verbania, ordinanza 5 giugno 1984, n. 1022, G. U. 23 gennaio 1985, 

n. 19-bis. 
legge reg. Sicilia 30 marzo 1981, n. 43 (artt. 3 e 133 della Co5.tituzione). 
Pretore di Noto, ordinanza 31 maggio 1984, n. 1069, G. U. 27 febbraio 1985, 

n. 50-bis. 
legge .7 maggio 1981, n. 180, art. 15, primo comma (art. 108 della Costituzione). 
Tribunale militare di Bari, ordinanza 4 giugno 1984, n. 953, G. U. 23 gennaio 
1985, n. 19-bis. 

legge 14 maggio 1981, n. 219, art. 80, sesto comma (artt. 3 e 42 della Costituzione). 
Corte d'appello di Napoli, ordinanza 29 giugno 1984, n. 1088, G. U. 8 febbraio 
1985, n. 34-bis. 

d.l. 29 luglio 1981, n. 402, art. 12 [conv. in legge 26 settembre 1981, n. 537]. 
(artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Pretore di Brescia, ordinanza 17 gennaio 1984, n. 902, G. U. 9 gennaio 1985, 

n. 
7-bis. 
Pretore di Milano, ordinanza 23 febbraio 1984, n. 911, G. U. 16 gennaio 1985, 
n. 13-bis. 
Pretore di Acqui Terme, ordinanza 23 maggio 1984, n. 959, G. U. 23 gennaio 
1985, n. 19-bis. 


48 

RASSEGNA DBLL'AVVOCATURA DBLW STATO 

Pretore di Milano, ordinanza 21 dicembre 1983, n. 1081/84, G. U. 30 gennaio 
1985, n. 25-bis. 

Pretore di Sanremo, ordinanza 7 giugno 1984, n. 1000, G. U. 6 febbraio 1985, 

n. 32-bis. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 9, primo comma (art. 3 della Costituzione). 


Tribunale di Cuneo, ordinanza 27 giugno 1984, n. 983, G. U. 23 gennaio 1985, 

n. 
19-bis. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 53 e 77 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di La Spezia, ordinanza 22 maggio 1984, n. 1008, G. U. 6 febbraio 
1985, n. 32-bis. 

legge 24 novembre 1981/ n. 689, artt. 53, primo comma, e 77 (artt. 3 e 27 
della Costituzione). 

Pretore di Frattamaggiore, ordinanza 14 maggio 1984, n. 892, G. U. 3 gennaio 
1985, n. 2-bis. 
Pretore di Frattamaggiore, ordinanza 28 maggio 198-:i, n. 960, G. U. 23 gennaio 
1985, n. 19-bis. 

legge 24 novembre 1981; n. 689, artt. 53 primo comma e 77 primo e secondo 
cQDUlla (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Mortara, ordinanza 6 giugno 1984, n. 993, G. u: 30 gennaio 1985, 

n. 25-bis. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Camposampiero, ordinanze (due) 10 aprile 1984, n. 855-856, G. U. 
9 gennaio 1985, n. 1-bis. 
Pretore di Padova, ordinanza 13 aprile 1984, n. 877, G. U. 9 gennaio 1985, 

n. 
1-bis. 
Pretore di La Spezia, ordinanza 25 maggio 1984, n. 894, G. U. 9 gennaio 1985, 
n. 
1-bi.s. 
Pretore di Rimini, ordinanza 28 aprile 1984, n. 930, G. U. 16 gennaio 1985, 
n. 
13-bis. 
Pretore di Adria, ordinanza lO aprile 1984, n. 961, G. U. 16 gennaio 1985, 
n. 
13-bis. 
Pretore di Ortona, ordinanza 31 gennaio 1984, n. 962, G. U. 23 gennaio 1985, 
n. 
19-bis. 
Pretore di Castelfranco V~neto, ordinanza 15 giugno 1984, n. 1089, G. U. 
30 gennaio 1985, n. 25-bis. 
Pretore di Can1posampiero, ordinanza 22 maggio 1984, n. 1021, G. U. 6 febbraio 
1985, n. 32-bis. 
Pretore di Camposampiero, ordinanza 12 giugno 1984, n. 972, G. U. 8 febbraio 
1985, n. 34-bis. 



PARTE II, RASSJlGNA DI LEGISLAZIONE 
49 

Pretore di Camposampiero, ordinanza 5 giugno 1984, n. 973, G. U. 8 febbraio 
1985, n. 34-bis. 

Pretore di Adria, ordinanza 25 ottobre 1983, n. 995/84, G. U. 8 febbraio 1985, 

n. 
34-bis. 
legge 24 novembre 1981, n. 6891 art. 77 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Pretore di Narni, ordinanze (due) 10 maggio 1984, nn. 890 e 891, G. U. 
9 gennaio 1985, n. 1-~is. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (artt. 3 e 27 della Costituzione). 

Pretore di Acqui Terme, ordinanza 31 maggio 1984, n. 948, G. U. 16 gennaio 
1985, n. 13-bis. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (art. 24 della Costituzione). 

Pretore di Castelfranco Veneto, ordinanza 29 giugno 1984, n. 1068, G. U. 
27 febbraio 1985, n. 50-bis. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77, primo e secondo comma (artt. 3 e 
24 della Costituzione). 

Pretore di Poggibonsi, ordinanza 7 maggio 1984, n. 867, G. U. 9 gennaio 1985, 

n. 
1-bis. 
Pretore di Poggibonsi, ordinanza 21 maggio 1984, n. 944, G. U. 16 gennaio 1985, 
n. 
13-bis. 
d.l. 23 gennaio 1982, n. 9, art. 14, quinto comma, lett. b) [conv. in legge 
25 marzo 1982, n. 94] (artt. 3, 24, 31 e 36 della Costituzione). 
Pretore di Milano, ordinanze (due) 17 aprile 1984, nn. 1171 e 1172, G. U. 
13 febbraio 1985, n. 38-bis. 

d.l. 23 gennaio 1982, n. 9, art. 15-bis [conv. con modif. in legge 25 marzo 1982, 
n. 92] (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Firenze, ordinanza 23 marzo 1984, n. 879, G. U. 9 gennaio 1985, 

n. 
1-bis. 
legge 26 febbraio 1982, n. 54, art. 6, primo comma, ultimo paragrafo (artt. 3 
e 38 della Costituzione). 

Pretore di Frosinone, ordinanza 16 luglio 1984, n. 1101, G. U. 18 febbraio 1985, 

n. 42-bis. 
legge 25 marzo 1982, n. 94, art. 15-bis (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 20 febbraio 1984, n. 874, G. U. 9 gennaio 1985, 

n. 
1-bis. 
Pretore di Roma, ordinanza 20 gennaio 1984, n. 875, G. U. 9 gennaio 1985, 
n. 1-bis. 
Pretore di Agrigento, ordinanza 6 dicembre 19~3, n. 1091/84, G. U. 30 gennaio 
1985, n. 25-bis. 


RASSEGNA DELL!AWOCATURA DELLO STATO

50 

legge 22 aprile 1982, n. 168, art. 3, secondo comma (art. 3 della Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Forl�, ordinanza 2 giugno 1984, 

n. 
1102, G. U. 30 gennaio 1985, n. 25-bis. 
legge 26 aprile 1982, n. 181, art. 14 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Brescia, ordinanza 17 gennaio 1984, n. 902, G. U. 9 gennaio 1985, 

n. 
7-bis. 
Pretore di Milano, ordinanza 23 febbraio 1984, n. 911, G. U. 16 gennaio 1985; 
n. 
13-bis. 
legge 26 aprile 1982, n. 181, art. 14, primo e quarto comma (artt. 3 e 53 
della 'Costituzione). 

Pretore di Milano, ordinanza 16 febbraio 1984, n. 977, G. U. 8 febbraio 1985, 

n. 
34-bis. 
legge 26 aprile 1982, n. 181, art. 14, quarto comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
' 

Pretore di Acqui Terme, ordinanza 23 maggio 1984, n. 959, G. U. 23 gennaio 
1985, n. 19-bis. 
Pretore di Milano, ordinanza 21 dicembre 1983, n. 1081/84, G. U. 30 gennaio 
1985, n. 25-bis. 
Pretore di Sanremo, ordinanza 7 giugno 1984, n. 1000, G. U. 6 febbraio 1985, 

n. 
32-bis. 
legge 3 maggio 1982, n. 203, art. 25 (artt. 3 e 41 della Costituzione). 

Tribunale di Fermo, ordinanza 9 marzo 1984, n. 924, G. V. 16 gennaio 1985, 

n. 
13-bis. 
Tribunale di Fermo, ordinanza 17 febbraio 1984, n. 925, G. U. 16 gennaio 1985, 
n. 
13-bis. 
Tribunale di Fermo, ordinanza 24 febbraio 1984, n. 926, G. U. 16 gennaio 1985, 
n. 
13-bis. 
Tribunale di Fermo, ordinanza 17 febbraio 1984, n. 956, G. U. 23 gennaio 1985, 
n. 
19-bis. 
legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26 e 31 (artt. 3 e 41 della Costituzione). 

Tribunale di Ancona, ordinanze (due) 5 luglio 1983, nn. 907 e 908/84, G. U. 
16 gennaio 1985, n. 13-bis. 
Tribunale di Ancona, ordinanza 5 luglio 1983, n. 1003/84, G. ll. 8 febbraio 1985, 

n. 
34-bis. 
legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26 e 31, terzo comma (artt. 4, 24 e 41 
della Costituzione). 

Tribunale di Catania, 01;dinanza 14 marzo 1984, n. 939, G. U. 23 gennaio 1985, 

n. 
19-bis. 

PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 51 

legge 10 maggio 1982, n. 251, art. 21 (artt. 3 e 38 della Costituzione). 

Pretore di Chiavari, ordinanza 5 luglio 1984, n. 1077, G. U. 13 febbraio 1985, 

n. 38-bis. 
legge 20 maggio 1982, n. 270, artt. 35, 37 e 57 (artt. 3 e 97 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale del Friuli-Venezia Giulia, ordinanza 23 giugno 
1983, n. 933/84, G. U. 9 gennaio 1985, n. 7-bis. 

legge 20 maggio 1982, n. 270, art. 57 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanze 27 e 
18 giugno 1984, nn. 1098 e 1099 G. U. 30 gennaio 1985, .n. 25-bis. 

legge 29 maggio 1982, n. 297, art. 5, terzo comma (artt. 3-e 36 della Costi� 
tuzione). 
Tribunale di Novara, ordinanze (due) 22 marzo 1984, nn. 1082 e 1083, G. U. 
18 febbraio 1985, n. 42-bis e G. U. 27 febbraio 1985, n. SO.bis. 

legge 29 maggio 1982, n. 304, art. 3, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). 
Corte d'assise di Genova, ordinanza 24 febbraio 1984, n. 1010, G. U. 8 febbraio 
1985, n. 34-bis. 

d.l. 2 luglio 1982, n. 402, art. 5 [come conv. in legge 3 settembre 1982, ri. 62) 
(art. 3 della Costituzione). 
Consiglio di Stato, sezione quinta, ordinanza 27 aprile 1984, n. 1182, G. U. 
23 febbraio 1985, n. 41-bis. 

d.l. 10 luglio 1982, n. 429, art. 16 [conv. in legge 7 agosto 1982, n. 516) (artt. 3, 
53 e 97 della Costituzione). � 
Commissione tributaria di primo grado di Catanzaro, ordinanza 22 marzo 
1984, n. 1094, G. U. 18 febbraio 1985, n. 42-bis. 

legge 7 agosto 1982, n. 516, artt. 26 e 30 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Siena, ordinanza 6 luglio 1984, 

n. 1066, G. U. 3-0 gennaio 1985, n. 25-bis. 
legge 25 agosto 1982, 11. 604, art. 19 (artt. 3 e 97 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 28 marzo 
1984, n. 941, G. U. 23 gennaio 1985, n. 19-bis. 

d.l. 30 settembre 1982, 11. 688, art. 9 (art. 79 della Costituzione, e, in subordine, 
artt. 3 e 77 della Costituzione). 
Pretore di San Don� di Piave, ordinanze (tre) 31 maggio 1984, n. 980-982, 

G. U. 16 gennaio 1985, n. 13-bis. 

f2 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STAYO 

legge 28 febbraio 1983, n. 53, art. 1, terzo comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). 


Commissione tributaria di primo grado di Varese, ordinanza 4 maggio 1984, 

n. 1092, G. U. 30 gennaio 1985, n. 25-bis. 
d.l. 28 febbraio 1983, n. 55, artt. 19, primo e secondo comma, 20, terzo, quinto 
e settimo comma e 22, quinto sesto e settimo comma [conv. in legge 26 apri� 
le 1983, n. 131] (art. 53 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale del Veneto ordinanze (tre) 8 marzo 1984, 
nn. 1241 e 1306-1307, G. U. 30 gennaio 1985, n. 25-bis. 

d.l. 12 settembre 1983, n. 463, art. 14 [conv. in legge 11 novembre 1983, n. 638] 
(artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Pretore di Sanremo, ordinanza 7 giugno 1984, n. 1000, G. U. 6 febbraio 1985, 

n. 32-bis. 
d.I. 12 settembre 1983, n. 463, art. 14, primo e secondo comma {conv. in legge 
11 novembre 1983, n. 638) (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Pretore di Modena, ordinanza 30 maggio 1984, n. 1047, G. U. 18 febbraio 1985, 

n. 42-bis. 
! 

d.l. 12 settembre 1983, n. 463, art. 14, p~imo e secondo comma (artt. 3 e 53 ~ 
della Costituzione). 
Pretore di Modena, ordinanza 30 maggio 1984, n. 1047, G. U. 18 febbraio 1985, 

n. 42-bis. 
I

legge 11 novembre 1983, n. 638, art. 4, comma 17-bis (artt. 3, 41, 42 e 104 
della Costituzione). 

Pretore di San Pietro Vernotico, ordinanza 5 luglio 1984, n. 1012, G. U. 

I23 gennaio 1985, n. 19-bis. 

I 

legge 11 novembre 1983, n. 638, art. 9, ultimo comma (artt. 4, 35, 38 e 41 
della Costituzione). 

i

!

Pretore di Asti, ordinanza 8 maggio 1984, n. 991, G. V. 8 febbraio 1985, 

' 

n. 34-bis. 
legge 11 novembre 1983, n. 638, art. 14 (artt. 3, 53 e 101 della Costituzione). 

Pretore di Bari, ordinanza 23 marzo 1984, n. 986, G. U. 9 gennaio 1985, 

n. 7-bis. 
legge '1:1 dicembre 1983, n. 730, art. 33 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Sanremo, ordinanza 7 giugno 1984, n. 1000, G. U. 6 febbraio 1985, 

n. 32-bis. 
ti.I. 15 febbraio 1984, n. 10, art. 3 (artt. 3, 36 e 39 della Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 5 aprile 1984, n. 920, G. U. 16 gennaio 1985, 

n. 13-bis. 

PARTI! II, RASSEC& DX LEGISLAZIONE 

legge 9 maggio 1984, n. 118, articolo unico (artt. 101 e 104 della Costituzione). 


Pretore di Pisa, ordinanze (cinque) 2 ottobre 1984, nn. 1263-1267, G. U. 
20 febbraio 1985, n. 44-bis. 

legge 25 luglio 1984, n. 377, art. 2 (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). 

Pretore di Bettola, ordinanza 10 agosto 1984, n. 1141, G. U. 18 febbraio 1985, 

n. 42-bis. 
legge 29 ottobre 1984, n. 720, artt. 1, 2 e 3 (artt. 14, 15, 19, 20 e 43 dello 
statuto reg. siciliana). 

Presidente regione siciliana, ricorso 6 dicembre 1984, n. 42, G. U. 3 � gennaio 
1985, n. 2-bis. 

legge 29 ottobre 1984, n. 720, artt. 1, 2, 3 e 4 (artt. 4, nn. 1, 2, 7, 8 e 5 n. 1 dello 
statuto regione Trentino-AltoAdige). 

Regione Trentino-Alto Adige, ricorso 6 dicembre 1984, n. 43, G. U. 3 gennaio 
1985, n. 2-bis. 

legge 29 ottobre 1984, n. 720, artt. 2 e 3 e tab. B (artt. 1 segg., 7, 8 e 56 
dello statuto reg. sarda). 

Regione Sardegna, ricorso 6 dicembre 1984, n. 44, G. U. 3 gennaio 1985, 

n. 2-bis. 
d.l. 30 ottobre 1984, n. 726 (artt. 117 e 118 della Costituzione). 
Regione Emilia-Romagna, ricorso 17 dicembre 1984, n. 47, G. U. 16 gennaio 
1985, n. 13-bis. 

d.l. 30 ottobre 1984, n. 726, art. 3 (artt. 117, 118 e 119 della Costituzione). 
Regione Lombardia, ricorso 5 dicembre 1984, n. 41, G. U. 3 gennaio 1985, 

n. 2-bis. 
d.l. 30 ottobre 1984, n. 726, art. 3 [cos� come sost. dalla legge 19 dicem� 
bre 1984, n. 863] (artt. 117, 118 e 119 della Costituzione). 
Regione Lombardia, ricorso 25 gennaio 1985, n. 4, G. U. 13 febbraio 1985, 

n. 38-bis. 
d.l. 30 ottobre 1984, n. 726, art. 3 (artt. 2 e 4 dello statuto della reg. Valle 
d'Aosta). 
Regione autonoma Valle d'Aosta, ricorso 7 dicembre 1984, n. 46, G. U. 3 gen� 
naio 1985, n. 2-bis. 

di. 30 ottobre 1984, n. 726, artt. 3 e 4 (artt. 117, 118 e 119 della Costituzione). 
Regione Liguria, ricorso 6 dicembre 1984, n. 45, G. {J. 3 gennaio 1985, 

n. 2-bis. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.P.R. 1� dicembre 1984, n. 795, artt. 4, 8, 11 e 18 (artt. 3, 81, 117, 118 e 119 
della Costituzione). 
Regione Liguria, ricorso 8 gennaio 1985, n. 1, G. V. 23 gennaio 1985, n. 19-bis. 

d.l. 6 dicembre 1984, 11. 807, in toto e, in particolare, artt. 1, primo comma, 
2, primo e secondo comma, e 4 (artt. 3, terzo comma, 8, n. 4, 18 e 19 dello 
statuto speciale per il Trentino-Alto Adige). 
Provincia autonoma di Bolzano, ricorso 11 gennaio 1985, n. 2, G. V. 30 gennaio 
1985, n. 25-bis. 

legge 19 dicembre 1984, n. 863, art. 3 (artt. 2 e 4 dello statuto speciale per 
la Valle d'Aosta). 

Regione autonoma della Valle d'Aosta, ricorso 25 gennaio 1985, n. 3, G. U. 
13 febbraio 1985, n. 38-bis. 

legge 21 dicembre 1984, n. 867, artt. 1, primo comma, lett. b), e 2, primo 
comma (art. 5, n. 1, dello statuto del Trentino-Alto Adige). 

Regione Trentino-Alto Adige, ricorso 28 gennaio 1985, n. 5, G. U. 13 febbraio 
1985, n. 38-bis. 

legge . 22 dicembre 1984, n. 887, artt. 8, decimo e undicesimo comma, e 17, 
primo comma, lett. b) (artt. 97, 117 e 118 della Costituzione). 

Regione Toscana, ricorso 4 febbraio 1985, n. 11, G. V. 20 febbraio 1985, 

n. 44-bis. 
legge 22 dicembre 1984, n. 887, artt: 8, decimo e undicesimo comma, 17, 
primo comma, Iett. a), terzo e quarto comma, lett. d), e 18, terzo comma 
(artt. 117, 118 e 119 della Costituzione). 

Regione Lombardia, ricorso 5 febbraio 1985, n. 12, G. U. 27 febbraio 1985, 

n. 50-bis. 
legge 22 dicembre 1984, n. 887, art. 17, prin10 comma, lett. a), secondo e 
terzo comma, lett. c) (artt. 3, terzo comma, 9, n. 10 e 16 dello statuto della 
regione Trentino-Alto Adige). 

Provincia aut. di Bolzano, ricorso 31 gennaio 1985, n. 6, G. V. 20 febbraio 
1985, n. 44-bis. 
Provincia aut: di Trento, ricorso 31 gennaio 1985, n. 7, G. V. 20 febbraio 1985, 

n. 44-bis. 
legge 22 dicembre 1984, n. 892 in toto e, in particolare, artt. 1, 2, 3, 4, 5 e 6 
(artt. 9, n. 10; 16, primo comma, 87 e 100 dello st~tuto �lella regione TrentinoAlto 
Adige). 

Provincia aut. di Bolzano, ricorso 31 gennaio 1985, n. 8, G. V. 20 febbraio 
1985, n. 44-bis. 



PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

legge 22 dicembre 1984, n. 892, artt. 3 e 5 (artt. 117, 118, 124 e 125 della 
Costituzione). 

Regione Toscana, ricorso 4 febbraio 1985, n. 10, G. V. 20 febbraio 1985, 

n. 44-bis. 
legge 22 dicembre 1984, n. 892, art. 5 (artt. 9, n. 10; 16, primo comma e 87 
dello statuto della regione Trentino-Alto Adige). 

Provincia aut. di Trento, ricorso 31 gennaio 1985, n. 9, G. V. 20 febbraio 1985, 

n. 44-bis. 
legge 22 dicembre 1984, n. 892, art. 5 (artt. 118 e 125 della Costituzione). 

Regione Lombardia, ricorso 5 febbraio 1985, n. 13, G. V. 27 febbraio 1985, 

n. 50-bis. 

INDICE BIBLIOGRAFICO INDICE BIBLIOGRAFICO 
:~ 

NUOVE ACQUISIZIONI DELLA BIBLIOTECA 
DELL'AVVOCATURA GENERALE 


DIRITTO INTERNAZIONALE 

CASTANGIA ISABELLA, Il criterio della cittadinanza nel diritto internazionale 
privato, Napoli, Jovene, 1983. 

DONNARUMA MARIA ROSARIA,. Il decentramento regionale in Italia e il diritto 
internazionale, Milano, Giuffr�, 1983. 

GIULIANO MARIO; LEOVAFFI TULLIO; TREVES TULLIO, Diritto Internazionale -II, 
gli aspetti giuridici della coesistenza degli stati, Milano, Giuffr�, 1983. 

INDICA GIOVANNI, La responsabilit� contrattuale degli appaltatori in joint 
venture, Milano, Giuffr~, 1984. 

MARI LUIGI, Le imprese internazionali, Milano, Giuffr�, 1983. 

SICA LUIGI, Gli effetti del mutamento delle circostanze nei trattati internazionali, 
Padova, C.E.D.A.M., 1983. 

I

f.: 

�: 

DIRITTO COMPARATO 

MENY IVES, Profili di amministrazione locale. La riforma francese, Padova, 
. C.E.D.A.M., ~983. 

ORR� GIOVANNI; RICHTERRECHT, Il problema della libert� e autorit� giudiziale 
nella dottrina tedesca contemporanea, Milano, Giuffr�, 1983. 

VANA MICHELE, Il diritto di sciopero e le sue limitazioni nelle organizzazioni 
e nei paesi europei, Milano, Giuffr�, 1983. 

DIRITTO CIVILE 

AA.VV., Risarcimento del danno contrattuale ed extra contrattuale, Milano, 
Giuffr�, 1984. 

AA.VV., Tipicit� e atipicit� nei contratti, Milano, Giuffr�, 1983. 

BIANCA MASSIMO, Diritto. civile. Il contratto, Milano, Giuffr�, 1984. 

BIGLI~ZZI, GERI, LINA, Oneri reali e obbligazioni propter rem, Milano, 

Giuffr�, 1984. 
Le locazioni degli immobili urbani. A cura di Antonello Bono e Raffaele 
lnvrea, Milano, Giuffr�, 1983. 


i 

I 


INDICE BmLIOGIW'ICO f7 

CONFORTINI MASSIMO, La multipropriet�, Padova, C.E.D.A.M. 1983. 

FILANTI GIANCARLO, Inesistenza e nullit� del negozio giuridico, Napoli, 
Iovene, 1983. 

FORDIELLI PAOLO, Responsabilit� civile, Padova, C.E.D.A.M., 1983. 

GIANNINI GENNARO, La responsabilit� per i danni dalla circolazione dei 
veicoli, Milano, Giuffr�, 1983. 

LUMINOSO ANGELO, Mandato, commissione e spedizione, Milano, Giuffr�, 
1984. 

MANERO GIOVANNI, L'adozione e l'affidamento familiare, Napoli, Iovene, 1983. 

PATTI GIOVANNI BATTISTA, La simulazione e l'invalidit� del contratto, Articoli 
1414-1469, Roma, Pen., 1984. 

TAMPONI MICHELE, Una propriet� speciale, Padova, C.E.D.A.M., 1983 

DIRITTO 'COMUNITARIO 

CATALANO NICOLA; ScARPA RICCARDO, I principi di diritto comunitario, Milano, 
Giuffr�, 1984. 

DIRITTO COSTITUZIONALE 

BOGNETTI GIOVANNI, Costituzione economica e corte costituzionale, Milano, 
Giuffr�, 1983. 

CRISAFULLI VEZIO, Lezioni di diritto costituzionale Il. v. -Ordinamento costituzionale 
italiano. 

DoNNARUMA MARIA ROSARIA, Il decentramento regionale e il diritto internazionale, 
Milano, Giuffr�, 1983. 

LUCIANI MASSIMO, La produzione economica privata nel sistema costituzionale, 
Padova, C.E.D.A.M., 1983. 

MARTINES TEMISTOCLE, Diritto costituzionale, Milano, Giuffr�, 1984. 

MONTELEONE GIROLAMO, Giudizio incidentale sulle leggi a giurisdizione, 

Padova, C.E.D.A.M., 1984. 

Repertorio delle decisioni della Corte costituzionale 1982, Ricerca di 

Nicola Lipari, Milano, Giuffr�, 1983. 

Riflessioni sulle regioni, Atti del convegno in memoria di Franco 

Levi, 15 maggio 1981, Milano, Giuffr�, 1983. 

SPAGNA Musso ENRICO, Corso di diritto regionale, Padova, C.E.D.A.M., 1983. 


58 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

DIRITTO AMMINISTRATIVO 

ARMA GREGORIO, Il segreto amministrativo, Padova, C.E.D.A.M., 1983. 

AA.VV., Accordi sindacali e legge quadro sul pubblico impiego, Milano, 
Giuffr�, 1984. 

AA.VV., L'ordinamento universitario italiano, Milano, Giuffr�, 1983. 

BuscEMA SALVATORE, Trattato di contabilit� p.bblica -La contabilit� delle 
regioni, Milano, Giuffr�, 1984. 

CANTINI MARIO, La revisione dei prezzi per lavori pubblici e pubbliche for


niture, Roma, il Fisco, 1984. 

Cento anni del codice di commercio 1882-1982 -Atti del convegno inter


nazionale di studi, Taormina, 4-6 novembre 1982, Milano, Giuffr�, 1984. 

CARULLI IRELLI VINCENZO, Propriet� pubblica e diritti collettivi, Padova, 
C.E.D.A.M., 1983. 

CONSIGLIO VINCENzo: Le assenze del personale della scuola, Roma, N.I.S., 
1984. 

CONSOLO GIUSEPPE, Diritto valutario, Padova, C.E.D.A.M., 1983. 
Consorzi e associazioni di imprese e la gestione dell'appalto e della 
concessione di opere pubbliche, Atti del convegno, Roma 8-9 giugno 
1983, Milano, Giuffr�, 1984. 

CUOCOLO FAUSTO, Istituzioni di diritto pubblico, Milano, Giuffr�, 1983. 

D'AMICO CERVETTI ANNAMARIA, Demanio marittimo assetto del territorio, 
Milano, Giuffr�, 1983. 

FAZIO GIUSEPPE, Attivit� contrattuale della pubblica amministrazione, Milano, 
Giuffr�, 1984. 

GIAMPIETRO PASQUALE, Scarichi idrici e rifiuti solidi e regime dei liquami e 

dei fanghi tra legge edili e D.P.R. 915/1982, Milano, Giuffr�, 1984. 

Il segreto della realt� giuridica italiana, Atti del convegno nazionale, 

Roma 26-28 ottobre 1981, Padova, C.E.D.A.M., 1983. 

LORASCHI GIANCARLO, L'impresa pubblica �il caso delle Ferrovie dello Stato, 
Milano, Giuffr�, 1984. 

MENY JvEs, Profili di amministrazione locale -La riforma francese, Padova, 
C.E.D.A.M., 1983. 

PICOFFA EUGENIO, Il piano regolatore generale urbanistico, Padova, C.E.D.
A.M., 1983. 

Punnu LUIGI, Il bilancio degli enti locali, Milano, Giuffr�, 1984. 
Rassegna di giurisprudenza sull'urbanistica, A cura di Renza Poggi, 
Agg. al 31 dicembre 1982, Milano, Giuffr�, 1983. 

SALVIA FILIPPO, L'inquinamento 1984. 


Profili pubblici civili, Padova, C.E.D.A.M., 

I 

I 

I 

I 

I 

I

I 

I 

1r1111~1rjfit11111r1=r111flJ1fmtJ11111r111111111i111111111r111111111111111111111~ 



INDICE BIBLIOGRAFICO 

SCIULLO GIROLAMO, Pianificazione amministrativa e pianificazione, I procedimenti, 
Milano, Giuffr�, 1984. 
SPAGNA Musso ENRICO, Corso di diritto regionale, Padova, C.E.D.A.M., 1984. 
TABARRINI AGOSTINO, I contratti dei comuni, Milano, Giuffr�, .1983. 
TRAVI ALDO, Sanzioni amministrative e pubblica amministrazione, Padova, 
C.E.D.A.M., 1983. 
ZACCAGNINI MARIO; PALATIELLO ANTONIO, Gli usi civili, Napoli, Jovene, 1984. 
TRIMARCHI MARIO, Svalutazione monetaria e ritardo nell'adempimento di 
obbligazioni pecuniarie, Milano, Giuffr�, 1983. 
VIOLANTE ANDREA, I rapporti di filiazione e le azioni di Stato, Napoli, Jovene, 
1983. 

DIRITTO COMMERCIALE 

CAGNAZZO ORESTE, La concezione d� vendita, Milano, Giuffr�, 1983. 

COLETTA GIUSEPPE, La responsabilit� sociale. Ex ord. 2331 e.e. (secondo comma), 
Padova, C.E.D.A.M., 1983. 

COMOLO GIUSEPPE, Diritto valutario, Padova, C.E.D.A.M., 1983. 
Problemi attuali dell'impresa in crisi, Studi in onore di Giuseppe Ferri, 

Padova, C.E.D.A.M., 1983. 
GALGANO FRANCESCO, La societ� per azioni, Padova, C.E.D.A.M., 1984. 
INDICA GIOVANNI, La responsabilit� contrattuale degli appaltatori in Joint 
Venture, Milano, Giuffr�, 1984. 
JOACHINI BONEL MICHEL, Partecipazione operaia al diritto dell'impresa, 
Milano, Gh1ffr�, 1983. 
MARAZ� GIORGIO, Le societ� senza scopo di lucro, Milano, Giuffr�, 1984. 
MARI LUIGI, Le imprese internazionali, Milano, Giuffr�, 1983. 
PALMIERI GIOVANNI MICHELE, La corte dei conti delle Comunit� Europee, 
Padova, C.E.D.A.M., 1983. 
RACUGNO GABRIELE, La responsabilit� dei soci nelle cooperative, Milano, 
Giuffr�, 1983. 

SANTINI GERARDO, Societ� a responsabilit� limitata, Bologna, Zanichelli, 
1984. 

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