ANNO XXXVI -N. 1 GENNAIO -FEBBRAIO 1984 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Pubblicazione bimestrale di servizio ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO ROMA 1984 ABBONAMENTI. ANNO 1984 ANNO L. 29.000 UN NUMERO SEPARATO � 5.300 Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma e/e postale n. 387001 Stampato in Italia -Printed in ltal:! Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 (5219187) Roma, 1984 -Is�tuto Poligrafico e Zecca dello Stato -P.V. INDICE Parte prima: GIURISPRUDENZA Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE {a cura de//' avv. Franco Favara) pag. Sezione seconda: GIURISPRUDENZA ZIONALE {a cura COMUNITARIA del/'avv. Oscar E INTERNA- Fiumara) � 65 Sezione terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE {a cura degli avvocati Carlo Carbone, Carlo Sica e Antonio Cingolo) � 83 Sezione quarta: GIURISPRUDENZA CIVILE {a cura degli avvocati Antonio Catrica/� e Paolo Cosentino) � 89 Sezione quinta� GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA {a cura gli avv. Raffaele Tamiozzo e G. P. Palizzi) de � 11 O Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA vocato Carlo Bafile) {a cura dell'av � 132 Sezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI {a cura degli avvocati Sergio Laporta, Piergiorgio Ferri e Paolo Vittoria) � 182 Sezione ottava: GIURISPRUDENZA PENALE {a cura degli avvocati Paolo di Tarsia di Be/monte e Nicola Bruni) � 195 Parte seconda: QUESTIONI -LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO NOTIZIARIO QUESTIONI pag. LEGISLAZIONE pag. 19 La pubblicazione � diretta dall'avvocato: UGO GARGIULC r-r�111111mr�1111111�11111111111i1r1111111r11111111 CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AVVOCATURE Avvocati Glauco NoRI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Giovanni CONTU, Cagliari; Francesco GuICCIARDI, Genova; Marcello DELLA VALLE, Milano; Carlo BAFILE, L'Aquila; Giuseppe Orazio Russo, Lecce; Nicasio MANcuso, Palermo; Rocco BERARDI, Potenza; Maurizio DE FRANCHIS, Trento; Paolo SCOTTI, Trieste; Giancarlo MANo�, Venezia. ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI F. FAVARA, Le royalties (classificazione, trattamento ed accertamento) ed i soggetti privi di stabile organizzazione in Italia ....... . II, 1 G. P. PoLIZZI, Su una singolare ipotesi di discutibile interruzione ed ancora pi� discutibile riassunzione del processo amministrativo I, 114 lllllfillll�llllPllllllllllllllPl/llllalJllll�ll�ll1�At PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA ASSISTENZA E BENEFICENZA PUB� BLICA -Invalido civile -Assegno o pensione � Diritto -Decorrenza � Dall'accerta� mento dello stato di bisogno e non da quello della invalidit� -Fatti� specie, 90. ATTO AMMINISTRATIVO -Incompetenza -Convalida con efficacia � ex tunc � � Ammissibilit� per atto impugnato, 125. COMMERCIO -Camera di commercio � Esercizio di funzioni amministrative � Potest� legislativa delle regioni � Sussistenza, 2. COMUNI -Comunit� montane � Non sono enti dipendenti dalle regioni, 2 � Uffici e funzioni di stato civile -Sono funzioni statali, 2. COMUNIT� EUROPEE -Armonizzazione delle legislazioni � Nozione di � medicinali � -Preparati farmaceutici, 72. -Lavoro -Parit� di trattamento fra uomini e donne � Congedo obbligatorio in caso di ingresso di bambino in famiglia adottiva, 65. -Lavoro � Parit� di trattamento fra uomini e donne -Direttiva comunitaria -Norme nazionali di attuazione, 65. '"-Lavoro -Parit� di trattamento fra uomini e donne -Violazioni del principio -Rimedi giurisdizionali, 65. -Libera circolazione delle merci -Misure restrittive all'importazione - Tutela della salute -Limiti -Vitamine, 72. CORTE COSTITUZIONALE -Ricorso in via principale di una regione -Avverso decreto legge -Di� fetto dei presupposti prescritti � Non deducibilit�, 2. CORTE DEI CONTI -Funzioni giurisdizionali � Pensioni degli impiegati del Banco di Napoli - Non attinenza alle materie di contabilit� pubblica, 60. CREDITO -Cassa depositi e prestiti -Assolve a funzione statale e non regionale, 2. -Depositi degli enti pubblici presso banche -Determinazione di un tetto � � competenza statale, 1. ESPROPRIAZIONE UTILIT� PER PUBBLICA -Occupazione d'urgenza -Immobile di propriet� dell'Amministrazione espropriante locato a terzi � Possibilit� -Illegittimit� per sviamento di potere, 110. -Occupazioni d'urgenza -Occupazioni per esecuzione di ope.re militari � Protrazione a tempo indeterminato � Risarcimento del danno -Spettan� za, 190. -Terreni destinati alla seconda Universit� degli studi di Roma -Indennit� -Controversia sulla sussistenza del titolo all'indennit� aggiuntiva � Giudice competente � � quello dell'opposizione a stima, 184. -Terreni destinati alla seconda Universit� degli studi di Roma -Indennit� � Deducibilit� del valore d'uso del fondo utilizzato da impresa diretto- coltivatrice -Esclusione, 184. -Terreni destinati alla seconda Universit� degli studi di Roma -Indennit� -Stato delle colture agricole � Epoca di riferimento della sti� ma, 184. INDICB. DBLLA GI~ISPRUDBNZA GIURISDIZIONE CIVILE -Regolamento -Convenzione di sfalcio d'erba su terreno aeroportuale -Fine primario pubblicistico -Concessione amministrativa -Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, 87. GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA -Atto impugnabile -Usi civici -Provvedimento del Commissario di reintegra a favore del Comune -Improponibilit�, 120. -Avviso d'udienza -Mancata notifica ad Avvocatura Stato -Nullit� sentenza -Rimessione al primo giudice, 127. -Avvocatura dello Stato -Costituzione in giudizio -Comparizione in camera di consiglio -Atto formale di costituzione -Non necessariet�, 127. -Avvocatura dello Stato -Notifica della sentenza -Notifica all'Amministrazione -Inidoneit� a far decorrere termine impugnativa, 127. -Esecuzione del giudicato -Domande nuove -Rivalutazione ed interessi Inammissibilit�, 123. -Interruzione del processo -Morte del difensore -Conoscenza effettiva e conoscenza legale dell'evento -Fattispecie, 114. -Interruzione del processo -Riassunzione -Prosecuzione volontaria -Deposito della procura al nuovo difensore -Istanza di fissazione di udienza, 114. -Ricorso -Notificazione -Persona convivente -Non veridicit� della circostanza -Irritualit�, 122. IMPIEGO PUBBLICO -Blocco delle assunzioni -Estesi anche al personale delle U.S.L. Legittimit� costituzionale -Potere di derogare al blocco -Per le U.S.L. spetta alle regioni, 3. -Concorso per segretario principale Titolo di studio -Diploma di geometra -Inidoneit�, 121. -Disciplina requisiti accesso -Deroghe a divieto discriminazione donne. Ammissibilit� -Necessit� norme regolamentari -Illegittimit� bando concorso implicitamente discriminatorio, 126. -Donne -Atti discriminatori -Associazioni sindacali -Legittimazione a ricorrere per delega, 125. -Donne -Provvedimenti discriminatori � Giurisdizione amministrativa anche per azioni cautelari, 125. -Passaggio di carriera -Qualifica acquisita in altre amministrazioni Inidoneit�, 121. -Rapporto a tempo determinato Trasformazione in rapporto a tempo indeterminato -Esclusione, 122. -Requisiti necessari -Natura pubblicistica dell'Ente datore di lavoro Inserimento reale nell'apparato organizzativo dell'Ente -Obbligo atto formale di nomina -Non sussiste, 83. IMPRESA -Brevetti -Invenzioni industriali Brevetti e modelli di utilit� -Alternativit� -Protezione cumulativa Esclusione, 95. LAVORO -Rapporto -Comando e distacco Temporaneit� -� requisito -Persistenza dell'interesse del distaccante � sufficiente, 89. -Rapporto -Trasferimento di azienda � Mancato trasferimento di organizzazione aziendale -Prosecuzione del rapporto di lavoro -Esclusione Fattispecie, 89. LOCAZIONE -Immobili adibiti ad attivit� commerciali -Indennit� per la perdita dell'avviamento � Commisurazione Al canone corrente di mercato � Legittimit� costituzionale -Limite, 46. OBBLIGAZIONI -Prestazione d'opera intellettuale Compenso -Liquidazione -Criteri, 92. Vlll RASSEGNA DEU..'AVVOCATURA DBLLO STATO OPERE PUBBLICHE -Esecuzione -Concessionario di opera pubblica -Obbligazioni preordinate alla esecuzione dell'opera -Responsabilit� nei confronti dei terzi, 182. -Esecuzione -Delegazione amministrativa -Soggetti -Delegatario soggetto privato -Esclusione, 182. -Impianti sportivi -Trasferimento alle Regioni di funzioni amministrative per lavori pubblici di interesse regionale -Parere del CONI per progetti e impianti sportivi -Permanente necessit�, 124. PROCEDIMENTO CIVILE -Doppio grado di merito -Tutela costituzionale -Esclusione, 98. -Notificazione -Incertezza assoluta sulla data -Errore materiale riconoscibile -Nullit� -Non sussiste, 92. - Rappresentanza in giudizio della P.A. -Funzionari incaricati -Onorari di avvocato e competenze procuratorie -Spettanza -Esclusione, 98. -Ricorso principale nel merito -Ricorso incidentale condizionato -Questioni pregiudiziali di rito o di merito -Ammissibilit�, 83. - Spese processuali -Compensazione Questione di merito -Insindacabilit� in cassazione,� 92. REATO -Reati finanziari -In materia di imposte sui redditi e di IVA -Oblazione -Inapplicabilit� dell'art. 162 bis cod. pen., 197. -Reati valutari -Documenti acquisiti in perquisizione domiciliare effettuata dalla magistratura elvetica su rogatoria di quella italiana ai sensi Convenzione Europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959, in relazione a procedimento per reato di bancarotta Utilizzazione in altro procedimento per reato valutario -Legittimit�, 195. -Reati valutari -Non sono reati fiscali -Convenzione Europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959 -Applicabilit�, 195. REGIONI -Agricoltura -Forestazione e rimboschimento -� compresa nella materia agricoltura, 3. -Depositi delle regioni presso banche -Determinazione di tetti -Potere del Ministro del Tesoro -Deve essere circoscritto dalla legge, 1. -Finanza regionale -Conti correnti delle regioni presso la tesoreria dello Stato -Carattere infruttifero -Legittimit� costituzionale, 2. -Finanza regionale -Fondi per il servizio sanitario Accreditamento presso la tesoreria dello Stato -Legittimit� costituzionale, 1. -Finanza regionale -Tetto alla spesa regionale complessiva -Contrasta con autonomia finanziaria delle regioni, 2. -Finanza regionale e locale -Imposizione del parametro � tetto programmato di inflazione � -Legittimit� costituzionale, 2. -Potest� legislativa regionale -Nei settori trasferiti a comuni e proviincie -Sussiste, 2. -Regioni a statuto speciale e Provincie di Trento e di Bolzano -Funzione statale .di indirizzo e coordinamento Presupposti, 52. -Trasporti pubblici di interesse regionale -Spese relative -Non possono essere poste a carico della regione se � di interesse nazio nale '" 2. SANZIONI AMMINISTRATIVE -Depenalizzazione -Giudizi di opposizione ad ingiunzione -Pendenza prima della legge n. 689 del 1981 -Normativa anteriore -Applicabilit�, 98. -Depenalizzazione -Giudizio di opposizione ad ingiunzione -Natura -Poteri del giudice -Limiti generali della legge abolitiva del contenzioso -Applicabilit�, 98. TRIBUTI ERARIALI DIRETTI -Accertamento -Redditi fondiari Catasto -Avviso di classamento Motivazione -Requisiti, 161. INDICE DELLA GIURISPRUDENZA -ILOR -Assegnazione del gettito allo Stato -Non contrasta con autonomia finanziaria delle regioni, 2. -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Plusvalenze -Intento di speculazione -Accertamento -Deducibilit� nel giudizio c;li terzo grado, 136. -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Plusvalenza -Intento di speculazione -Criteri di determinazione, 136. -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Redditi prodotti in Italia -Confezionamento in Italia di materie provenienti dall'estero -Sono tali Successiva vendita all'estero dei prodotti finiti -Irrilevanza, 153. -Imposta sulle societ� -Condono Riferimento all'ultimo imponibile definito -Agevolazione prevista in legge successiva -Irrilevanza ai fini del condono, 159. -Royalties corrisposte a soggetto estero -Classif�cazione tra i redditi di impresa -Quando il soggetto estero � impresa, 163. TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI -Imposta di registro -Agevolazione per costruzione di case di abitazione non di lusso -Area edificabile Nozione, 132. -Imposta di registro -Permuta -Convenzione di reciproca deroga alle distanze legali -� tale, 132. -Imposte doganali -Prescrizione Costituzione di parte civile contro pi� imputati -Passaggio in giudicato della sentenza per alcuni e impugnazione di altri -Estensione dell'effetto interruttivo a tutti gli imputati -Esclusione, 155. -Imposte doganali -Prescrizione Procedimento penale contro pi� imputati -Impugnazione di sentenza di condanna di alcuni soltanto -Possibile effetto estensivo -Influenza sul corso della prescrizione verso l'imputato non impugnante -Esclusione, 155. TRIBUTI IN GENERE -Contenzioso tributario -Giudizio di terzo grado -Alternativit� -Identit� di oggetto -Diversit� dei procedimenti -Illegittimit� costituzionale Manifesta infondatezza, 136. -Contenzioso tributario -Giudizio di terzo grado -Valutazione estimativa -Questioni relative all'esistenza del cespite, 135. -Contenzioso tributario -Soggetto rimasto estraneo al processo tributario -Decisione della commissione tributaria -Non � vincolante agli effetti penali, 43. URBANISTICA -� Jus aedificandi � -Limiti -Concessioni edilizie -Doverosit�, 40. -Opere abusive -Provvedimento del Sindaco applicativo di sanzione pecuniaria -Identit� sanzione rispetto ad altra annullata in sede giurisdizionale -Legittimit�, 123. -Opere abusive -Provvedimento del Sindaco applicativo di sanzione pecuniaria -Valutazione dell'U.T.E. del valore delle opere -Necessit� notifica precedente o contestuale, 123. -Opere abusive -Valutazione dell'U. T.E. -Determinazione del valore in base al costo -Legittimit� per manufatti particolari, 123. -Piano Regolatore -Vincoli preordinati all'espropriazione -Limite quinquennale, 121. USI CIVICI -Procedir;nento di legittimazione Provvedimento del Commissario di reintegra a favore del Comune Legittimit� Immediata esecutivit�, 120. -Provvedimento del Commissario di reintegra a favore del Comune -Forma di sentenza -Giudizio inesistente -Illegittimit� per travisamento dei fatti, 120. INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA GIURISDIZIONI CIVILI CORTE COSTITUZIONALE 22 ottobre 1982, n. 162 . 5 maggio 1983, n. 127 . 28 luglio 1983, n. 247 . . 6 ottobre 1983, n. 300 . 11 ottobre 1983, n. 307 . 15 dicembre 1983, n. 340 . 19 gennaio 1984, n. 1 . CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE 26 ottobre 1983, nella causa 163/82 . 30 novembre 1983, nella causa 227/82 . CORTE DI CASSAZIONE Sez. I, 9 agosto 1983, n. 5318 . Sez. Un. 13 ottobre 1983, n. 5960 . Sez. Un., 15 ottobre 1983, n. 6051 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sez. I, 18 ottobre 1983, n. 6115 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sez. Un., 21 ottobre 1983, n. 6175 .. Sez. I, 24 ottobre 1983, n. 6252 .... Sez. I, 3 novembre 1983, n. Sez. Lav., 5 novembre 1983, Sez. Un., 10 novembre 1983, Sez. I, 12 novembre 1983, n. Sez. I, 17 novembre 1983, n. Sez. I, 24 novembre 1983, n. Sez. Un., 30 novembre 1983, Sez. Lav., 2 dicembre 1983, n. Sez. Lav., 14 dice.mbre 1983, n. Sez. I civ., 15 dicembre 1983, Sez. I civ., 15 dicembre 1983, 6474 . n. 6544 . n. 6671 . 6740 . . 6854 . . 7027 . . n. 7187 . 7220 . 7374 . n. 7398 . n. 7409 . I I ! ~= i: pag. 1 � 40 � 43 � 46 � 2 � 52 � 60 pag. 65 )) 72 pag. 132 )) 135 )) 83 � 153 )) 87 )) 155 )) 182 )) 89 )) 184 � 159 � 161 � 190 � 163 � 90 )) 92 � 95 � 98 INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA Xl GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE CONSIGLIO DI STATO Ad. Plen., 19 luglio 1983, n. 21 . pag. 110 Ad. Plen., 10 ottobre 1983, n. 24 � 114 Sez. IV, 13 ottobre 1983, n. 710 . � 120 Sez. IV, 27 ottobre 1983, n. 742 . . � 121 Sez. IV, 27 ottobre 1983, n. 744 . . � 121 Sez. V, 30 settembre 1983, n. 405 . � 122 Sez. V, 30 settembre 1983, n. 412. � 122 Sez. V, 10 ottobre 1983, n. 430 . � 123 Sez. V, 19 ottobre 1983, n. 456 . . )) 123 Sez. V, 28 ottobre 1983, n. 506 . . � 124 Sez. VI, 24 settembre 1983, n. 683 . � 125 Sez. VI, 24 settembre 1983, n. 686 . )) 125 Sez. VI, 31 gennaio 1984, n. 37/84 . � 127 GIURTSDIZIONI PENALI CORTE DI CASSAZIONE Sez. III penale, 24 novembre 1983, n. 1911 . . . . . . . . . . . . . . . pag. 195 TRIBUNALE DI ALESSANDRIA Sez. I pen., 16 dicembre 1983 (ord.) . . .. pag. 197 PARTE SECONDA INDICE DELLA LEGISLAZIONE Questioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. LEGISLAZIONE QUESTIONI DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE I. -Norme dichiarate incostituzionali . II. -Questioni dichiarate non fondate . III. -Questioni proposte . . . pag. � � 18 18 18 PARTE PRIMA ! I I GIURISPRUDENZA SEZIONE PRIMA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE I. CORTE COSTITUZIONALE, 22 ottobre 1982, n. 162 -Pres. Elia -Rel. Bucciarelli Ducci -Regione Liguria (avv. Romanelli e Acquarone), Provincia di Trento (avv. Guarino), Provincia di Bolzano (avv. Guarino), Regione Sardegna (avv. Guarino), Regione Sicilia (avv. Fazio), Regione Veneto (avv. Berti e Viola), Regione Trentino-Alto Adige (avv. Pace), Regione Toscana (avv. Predieri), Regione Emilia-Romagna (avv. Predieri), Regione Piemonte (avv. Predieri) c. Pres. Cons. Ministri (avv. Stato Vittoria). Regioni -Finanza regionale -Fondi per il servizio sanitario -Accreditamento presso la tesoreria dello Stato -Legittimit� costituzionale. (Cost .. artt. 117, 118 e 119; statuto Trentino-Alto Adige, art. 4; legge 30 marzo 1981, n. 119, art. 35). Credito -Depositi degli enti pubblici presso banche -Determinazione di un tetto � � competenza statale. (Cost., art. 119; legge 30 marzo 1981, n. 119, art. 40). Regioni -Depositi delle regioni presso banche -Determinazione di tetti � Potere del Ministro del Tesoro -Deve essere circoscritto dalla legge. (Cost., art. 119; legge 30 marzo 1981, n. 119, art. 40). Non contrastano con gli artt. 117, 118 e 119 Cost., n� con lo Statuto per il Trentino-Alto Adig?, disposizioni che prevedano l'accreditamento su conti correnti fruttiferi presso la tesoreria centrale dello Stato, intestati alle regioni (o alle province di Trento e Bolzano), dei fondi per il servizio sanitario nazionale. Attiene alla disciplina del credito, materia di competenza statale, la determinazione dell'ammontare massimo delle giacenze che taluni enti pubblici possono mantenere presso aziende di credito. Contrasta con l'art. 119 Cost. la disposizione che, senza prestabilire limiti o criteri, attribuisce al Ministro del Tesoro il potere di determinare con proprio decr-eto la percentuale o il livello massimo delle disponibilit� delle regioni (o delle province di Trento e Bolzano) presso le aziende di credito incaricate del servizio di tesoreria. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO II. CORTE COSTITUZIONALE, 11 ottobre 1983, n. 307 -Pres. Elia -Rel. De Stefano e Paladin -Regione Lombardia e Regione Emilia-Romagna (avv. Onida), Regione Liguria (avv. Pericu) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Vittoria). Regioni -Finanza regionale -Tetto alla spesa regionale complessiva � Contrasta con autonomia finanziaria delle regioni. (Cost., art. 119; d.!. 22 novembre 1981, n. 786, art. 26; I. 26 aprile 1983, n. 130, art. 4). Regioni -Finanza regionale -Conti correnti delle regioni presso la tesoreria dello Stato -Carattere infruttifero � Legittimit� costituzionale. (Cost., art. 119; I. 26 aprile 1983, n. 130, art. 10). Tributi erariali diretti -ILOR -Assegnazione del gettito allo Stato -Non contrasta con autonomia finanziaria delle regioni. (Cost., art. 119; d.!. 22 dicembre 1981, n. 786, artt. 28 e 29; d.!. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 28). Commercio -Camera di commercio -Esercizio di funzioni amministrative -Potest� legislativa delle regioni -Sussistenza. (Cost., artt. 117 e 119; d.!. 22 dicembre 1981, n. 786, art. 34; d.!. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 29). Corte Costituzionale -Ricorso in via principale di una regione -Avverso decreto legge -Difetto dei presupposti prescritti -Non deducibilit�. (Cost., art. 77; d.!. 28 febbraio 1983, n. 55). Regioni -Potest� legislativa regionale -Nei settori trasferiti a comuni e pi:ovince � Sussiste. (Cost., art. 117; d.!. 28 febbraio 1983, n. 55, artt. 8 e 8 bis). Regioni -Finanza regionale e locale � Imposizione del parametro � tetto programmato di inflazione � -Legittimit� costituzionale. (Cost., art. 119; d.!. 28 febbraio 1983, n. 55, artt. 8 e 8 bis). Credito -Cassa depositi e prestiti -Assolve a funzione statale e non regionale. (Cost., artt. 119 e 128; d.!. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 5). Comuni -Comunit� montane � Non sono enti dipendenti dalle regioni. (Cost., artt. 117 e 119; d.!. 28 febbraio 1983, n. 55, artt. 11 e 16). Comuni -Uffici e funzioni di stato civile -Sono funzioni statali. (Cost., art. 117; d.!. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 27). Regioni -Trasporti pubblici di interesse regionale -Spese relative � Non possono essere poste a carico della regione se � di interesse nazionale �. (Cost., artt. 81, 117 e 119; d.!. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 31). li I ~ ~ . PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Impiego pubblico -Blocco delle assunzioni .-Estesi anche al personale delle U.S.L. -Legittimit� costituzionale -Potere di derogare al blocco Per le U.S.L. spetta alle regioni. (Cost., artt. 97 e 117; I. 26 aprile 1983, n. 130, art. 9). Regioni � Agricoltura � Forestazione e rimboschimento � n compresa nella materia agricoltura. (Cost., art. 117; I. 26 aprile 1983, n. 130, art. 20). Contrasta con l'autonomia finanziaria delle regioni (artt. 117, 118 e 119 Cost.) la disposizione la quale -anzich� limitarsi a regolare l'afflusso dei mezzi finanziari verso le tesorerie delle regioni in funzione dell'effettivo ed immediato fabbisogno di cassa -ponga un ulteriore diverso vincolo globale, consistente nella indisponibilit� -al raggiungimento di un � tetto � annuale fissato per il complesso dei prelevamenti -di somme di pertinenza regionale (anche se depositate presso la tesoreria centrale dello Stato) necessarie per l'effettuazione di spese in precedenza regolarmente deliberate ed impegnate, nonch� inserite nei prescritti preventivi trimestrali di cassa. Non contrasta con l'autonomia finanziaria delle regioni la disposizione che stabilisce il carattere infruttifero dei conti correnti, liberi o vincolati, aperti a favo re delle regioni presso la tesoreria centrale dello Stato. L'art. 119, secondo comma, Cost. delinea un modello dal quale non derivano vincoli di carattere specifico, che impongano al legislatore statale di attribuire alle regioni determinati tributi o quote di tributi erariali, o che rendano irreversibili le scelte in precedenza operate. Il rispetto dell'autonomia finanziaria regionale non impedisce che il legislatore statale modifichi, in base alla comparativa valutazione delle esigenze generali, l'entit� delle assegnazioni alle regioni, a condizione che non venga gravemente alterato il necessario rapporto di complessiva corrispondenza fra bisogni regionali e mezzi finanziar.i per farvi fronte, impedendo cos� alle regioni il normale espletamento delle loro funzioni. Non contrastano con l'art. 119 Cost. le disposizioni che �sostituiscono� un tributo proprio (nella specie, proprio pro-quota) delle regioni (la ILOR) con uno strumento di finanza derivata. Se ed in quanto difetti un'apposita legislazione locale (come si ve rifica tutt'ora in varie regioni), le camere di commercio possono effet tuare i loro interventi in ogni campo gi� rientrante nella competenza camerale; ci� non ostacola l'esercizio della potest� legislativa regionale sia per indirizzare gli interventi delle camere, sia per incidere sulle premesse dalle quali dipende la stessa spettanza o la sfera di applicazione dei � diritti annuali �. Le regioni non possono impugnare un decreto legge adducendo un preteso difetto dei presupposti giustificativi costituzionalmente prescritti, 4 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO tale difetto di per s� non concretando una invasione delle attribuzioni loro garantite. Le regioni conservano la loro potest� legislativa nei settori relativi a funzioni gi� regionali trasferite a comuni e province mediante il d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, in quanto � funzioni amministrative... di interesse esclusivamente locale� (art. 118 Cast.). Non � irragionevole agganciare la percentuale di incremento dei trasferimenti alla finanza regionale e/o locale al tasso programmato di inflazione. E comunque, nel valutare se i limiti alla spesa regionale siano tali da compromettere l'autonomia finanziaria delle regioni, va tenuta presente la complessiva sufficienza delle entrate di queste. La Cassa depositi e prestiti � un apparato strumentale destinato ad assolvere una funzione -l'esercizio del credito ai comuni e alle province -statale e non regionale: ci� peraltro non significa che debbano essere trascurati i programmi regionali di sviluppo, l� dove essi siano entrati in vigore e nella misura in cui possano incidere sulla concessione dei mutui in questione. Le comunit� montane sono enti locali autonomi assimilabili agli enti territoriali minori, e non enti dipendenti dalle regioni; pertanto, il legislatore statale pu�, anche senza coinvolgere le regioni, emanare norme in tema di � spese di gestione � di dette comunit� ed assegnare ad esse, a tal titolo, contributi o finanziamenti. Lo Stato � l'effettivo titolare degli interessi pubblici in materia di (ordinamento e buon andamento dello) �stato civile�; connessa ed accessoria a tale materia � la formazione professionale degli ufficiali di stato civile. Il divieto di intervento statale contenuto nell'art. 41, comma secondo del d.P.R. n. 616 del 1977, subisce per ci� deroghe e limiti aggiuntivi a qu�;lli, da detto articolo, esplicitamente previsti. Lo Stato non pu� disporre del gettito dei tributi �propri� delle regioni per fronteggiare spese di interesse nazionale; esso pu� invece autorizzare le regioni a contribuire con risorse proprie a delle spese. Contrasta pertanto con gli artt. 117 e 119 Cast. (nonch� contro l'art. 81 Cast.)., l'art. 31, primo comma, del d.l. 28 febbraio 1983, n. 55 (provvedimenti urgenti per il settore della finanza locale per l'anno 1983), convertito con modificazioni, in legge 26 aprile 1983, n. 131, nella parte in cui prevede che, per il definitivo equilibrio delle gestioni delle aziende locali di trasporto, le regioni sono tenute -anzich� facoltizzate -a provvedere mediante l'integrazione della eventuale differenza tra la quota regionale derivante dalla ripartizione del Fondo nazionale trasporti per l'anno 1983 e la somma delle erogazioni effettuate allo stesso titolo alle aziende nel 1982, nonch� nella parte in cui prevede che a questa integraziane le regioni devono necessariamente fare fronte con il maggior gettito dei tributi propri. ~ f: ti: .. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Lo Stato pu� disporre il blocco -purche circoscritto entro limiti temporali ragionevoli -delle assunzioni nelle unit� sanitarie locali, ma non anche avocare a s� il potere di derogare a tale blocco, in particolari casi di necessit�; tale potere pu� peraltro essere disciplinato da atti governativi di indirizzo e coordinamento. Lo Stato non pu� curare direttamente la realizzazione di progetti di "forestazione �, posto che le attivit� di produzione forestale e di rimboschimento sono comprese nella materia � agricoltura e foreste � attribuita alle regioni. I. (omissis) Con otto ricorsi le Regioni Piemonte, Toscana, EmiliaRomagna, Veneto, Liguria, Trentino-Alto Adige e le Province autonome di Trento e di Bolzano impugnano l'art. 35 della legge 30 marzo 1981, n. 119, che contiene una serie di prescrizioni con le quali si disciplinano i modi con cui vengono finanziate le unit� sanitarie locali, le modalit� attraverso le quali esse potranno usufruire del finanziamento loro accordato e l'organizzazione del relativo servizio di tesoreria. (omissis) (omissis) Il nuovo sistema viene ora impugnato per illegittimit� costituzionale dalle Regioni Piemonte, Toscana, Emilia-Romagna, Veneto e Liguria, che, richiamandosi alla sentenza di questa Corte n. 155/1977, denunciano la menomazione della loro autonomia finanziaria che tale sistema comporterebbe, giacch� le priverebbe dell'autonomia decisio nale sui flussi di cassa, onerandole di un compito di ripartizione dei fondi tra le unit� sanitarie locali, senza alcuna possibilit� di controllo della loro gestione. Sostengono le cinque Regioni a statuto ordinario che l'art. 35 viole rebbe in particolare: l'art. 117 Cost., per cui spetta alle Regioni la com petenza di emanare norme legislative in materia di assistenza sanitaria � nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato�; l'art. 118, che conferisce alle Regioni le funzioni amministrative in materia sanitaria; l'art. 119, che riconosce alle Regioni l'autonomia finanziaria. Nessuna delle questioni proposte dalle cinque Regioni a statuto ordi nario � fondata. Invero il sistema di accreditamento delle risorse per il funzionamento del servizio sanitario nazionale, disciplinato dall'art. 35, prevede che tale accreditamento avvenga mediante conti correnti fruttiferi aperti in favore delle Regioni presso la Tesoreria centrale anzich� mediante versamento diretto alle Regioni stesse. A tale sistema, diretto a coordinare la finanza regionale con quella statale, il legislatore ha gi� fatto ricorso in altre occasioni, quando ha stabilito specifici programmi di sviluppo. Ad esempio nei dd.ll. 13 agosto 1975, nn. 376 e 377, convertiti nelle leggi 16 ottobre 1975, nn. 492 e 493 (rispettivamente artt. 20 e 21), si � previsto RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 6 che i contributi assegnati alle Regioni venissero versati in conti correnti aperti presso la Tesoreria centrale dello Stato e che i prelievi venissero attuati a richiesta delle Regioni sulla base di relazioni indicative dei fabbisogni. Le stesse modalit� sono state previste in tema di coordinamento degli interventi pubblici in vari settori dell'economia agricola (lt:;gge 27 dicembre 1977, n. 984, art. 17). Tale meccanismo non viola l'autonomia costituzionale garantita alle Regioni, in quanto resta integro il potere di ripartire le risorse finanziarie disponibili tra le diverse destinazioni. La legge istitutiva del servizio sanitario nazionale (legge 23 dicembre 1978, n. 833) prevede all'art. 51 il relativo finanziamento attraverso l'apposito fondo, determinato �annualmente con la legge di approvazione del bilancio dello Stato. Tale fondo viene ripartito tra tutte le Regioni con delibera del CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione economica), su proposta del Ministro della sanit� e sentito il Consiglio sanitario nazionale. All'inizio di ogni trimestre le quote cos� ripartite vengono trasferite alle Regioni con provvedimenti dei Ministri del tesoro e del bilancio. Spetta poi alla Regione il compito di ripartire tra le unit� sanitarie locali la quota ad essa assegnata per le spese correnti, sulla base di parametri numerici che devono essere determinati con legge regionale,. sentiti i Comuni; mentre per la quota destinata alle spese in conto capitale, la Regione provvede sulla base delle indicazioni formulate dal piano sanitario nazionale. Alla luce di tale normativa l'intervento della Regione si esplica all'atto della ripartizione delle risorse tra le unit� sanitarie locali, effettivi organi di erogazione dei servizi e perci� della spesa e destinatarie necessarie delle quote assegnate alle Regioni. Tale intervento decisionale non � minimamente intaccato dal meccanismo previsto dall'impugnato art. 35, il quale rispetta pienamente il potere che le Regioni hanno di ripartire le risorse del fondo loro assegnate fra le varie unit� sanitarie locali, a seconda delle loro esigenze finanziarie, che a loro volta vengono valutate discrezionalmente dalle Regioni con autonomo provvedimento, senza alcun controllo o interferenza da parte dello Stato che ne possa condizionare l'autonomia. La norma impugnata, pertanto, non viola la sostanziale sfera di competenza che spetta alle Regioni quanto alle occorrenze locali ed alla distribuzione territoriale delle risorse. Certamente l'art. 35 ha l'effetto di limitare la redditivit� delle somme corrispondenti assegnate alle Regioni per il funzionamento del servizio sanitario, ma si tratta di un effetto privo di implicazioni costituzionali, non riguardando l'autonomia finanziaria, in quanto potest� di gestione autonoma delle risorse, che � oggetto del� principio costituzionale sancito dall'art. 119. Nel caso in esame tale potest� di gestione, riferita alle risorse assegnate alle Regioni per il servizio sanitario, � pienamente PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE rispettata quando ne viene assicurata loro la piena disponibilit�, nel senso di poterne effettuare l'autonoma utilizzazione quali che siano le modalit� del relativo deposito. D'altra parte l'aver il legislatore creato un pi� stretto coordinamento temporale fra il momento del prelievo dalla Tesoreria centrale e il momento della spesa effettuata dagli organi erogatori del servizio sanitario risponde alla esigen:lla obiettiva, nell'interesse dell'intera comunit� nazionale, di un opportuno coordinamento del flusso della spesa sanitaria con quello delle entrate destinate a fronteggiarla. Tale coordinamento infatti si risolve in definitiva in un minor costo per la finanza statale senza per altro apportare alcun danno al funzio~amento del servizio sanitario nazionale. N� vi � violazione dell'art. 118 Cost. nella parte in cui vengono riconosciute alle Regioni le funzioni amministrative in materia sanitaria giacch� l'aver regolamentato il modo di accredit�mento delle risorse alle unit� sanitarie locali nei limiti indicati dalle stesse Regioni non impedisce a queste ultime di esercitare il loro potere di controllo sul funzionamento delle U.S.L., sia sotto il profilo dell'attivit� che sotto quello dei risultati, gi� previsto dagli artt. 11 e 51 della legge n. 833/1978. Non � vioiato nemmeno l'art. 117 Cost. perch�, avendo l'art. 35 prescritto alle U.S.L. che il loro servizio di tesoreria venga affidato ad aziende di credito aventi determinati requisiti, non ha invaso la sfera di competenza delle Regioni ad emanare norme legislative in materia di assistenZ1a sanitaria, giacch� tale potest� trova un limite nei princ�pi stabiliti dalle leggi dello Stato; limite che proprio l'art. 35 ha inteso fissare anche per uniformare sul piano nazionale il servizio di tesoreria delle unit� sanitarie locali. Neppure sono fondate le questioni proposte dalla Regione TrentinoAlto Adige e dalle Province autonome di Trento e Bolzano in riferimento all'art. 35. La Regione, in particolare, impugna la norma sostenendo che essa, l� dove disciplina l'organizzazione delle U.S.L. sul piano contabile, violerebbe la competenza primaria della Regione ad emanare leggi in materia di enti sanitari ed ospedalieri (con le relative autonome funzioni amministrative), riconosciuta dall'art. 4 n. 7 dello Statuto speciale. Per contro, l'Avvocatura dello Stato replica che le U.S.L. vanno considerate quali strutture operative dei Comuni (in base all'art. 15 della legge n. 833/1978), rientrando pertanto nella competenza legislativa concorrente prevista dall'art. 5 n. 1 del detto Statuto. Ma l'impugnativa regionale va respinta, comunque si qualifichi la competenza spettante alla Regione, quanto all'organizzazione delle U.S.L. Le disposizioni dell'art. 35 trovano infatti fondamento, sia nella gi� rilevata esigenza di soddisfare B RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO interessi di portata nazionale in tema di spese da sostenere per le prestazioni sanitarie, sia nell'interferenza fra le attribuzioni regionali e l'indiscussa competenza spettante allo Stato in materia di credito. Quanto alle Province di Trento e Bolzano, esse sostengono in via preliminare che l'art. 35 impugnato non � loro applicabile. Esso, infatti, riproduce -con modifiche -l'art. 8 del d.I. 30 dicembre 1979, n. 663 (convertito nella legge 29 febbraio 1980, n. 33) che viene nel contempo dichiarato espressamente abrogato (comma 10 dell'art. 35). Secondo la tesi sostenuta nei ricorsi, l'art. 8 non avrebbe trovato applicazione per le Province autonome di Trento e Bolzano, per le quali valeva invece l'art. 6 bis, aggiunto in sede di conversione, in virt� del quale le Province autonome erano autorizzate a � trattenere � -e non a prelevare -le somme occorrenti per il finanziamento dei servizi sanitari gestiti direttamente. Poich� il citato ar.t. 6 bis sarebbe ancora in vigore, per non essere stato abrogato, ne deriverebbe che le quote accreditate alle Province autonome diverrebbero integralmente e immediatamente disponibili per essere poi trasfevite alle unit� sanitarie secondo le procedure fissate con legge dalle stesse Province. L'assunto non � fondato, in quanto la nuova normativa sull'accreditamento delle quote assegnate alle U.S.L. non contrasta con la precedente disciplina in tema di riparto delle quote del fondo sanitario nazionale assegnate alle Province autonome (art. 6 bis d.I. n. 663/1979). Rimane salva, infatti, la facolt� delle Province di �trattenere� sulle quote di riparto le somme occorrenti per il finanziamento di servizi e presidi sanitari che esse gestiscono direttamente, ma ci� non impedisce che sia il Ministero del tesoro ad accreditare alle Province stesse, in un conto corrente aperto presso la Tesoreria centrale, le somme loro attribuite per il funzionamento del servizio sanitario. Sar� poi su questo conto corrente che la Provincia effettuer� il prelevamento delle quote ad essa dovute, � trattenendo � le somme da impiegare per i servizi gestiti direttamente dall'amministrazione provinciale e trasferendo su un conto corrente aperto presso la sezione provinciale di tesoreria le somme residue, da destinare alle U.S.L. esistenti nel territorio della Provincia. Alla luce di tale interpretazione, appare infondata la questione solle vata dalle Province autonome, non essendovi alcuna violazione del l'art. 9, n. 10 dello Statuto delle Province stesse, da parte della norma impugnata. In tema di assistenza sanitaria e ospedaliera le Province autonome hanno, infatti, soltanto una competenza legislativa secondaria, riguardando quella primaria soltanto l'ordinamento degli uffici provin ciali. Valgono quindi le stesse considerazioni gi� svolte a proposito delle questioni sollevate dalle Regioni a Statuto ordinario. j,, I!: PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE L'altra norma che viene impugnata, con nove dei ricorsi indicati in epigrafe, � l'art. 40 della legge 30 marzo 1981, n. 119, che detta una serie di prescrizioni sulla contabilit� degli enti pubblici. (omissis) Sia le Regioni a Statuto ordinario (Piemonte, Veneto, Toscana ed Emilia-Romagna) sia quelle a Statuto speciale (Sicilia, Sardegna, Trentino- Alto Ad�ge) impugnano il primo e il quarto comma dell'art. 40 in quanto violerebbero la sfera della loro autonomia� finanziaria, sottraendo alle Regioni la possibilit� di utilizzare direttamente e immediatamente le somme disponibili presso i rispettivi tesorieri eccedenti il 12 % delle entrate. Inoltre, imponendo di versare alle tesorerie dello Stato le disponibilit� eccedenti tale percentuale, la norma denunciata inciderebbe non solo sulle somme provenienti dal bilancio dello Stato, ma anche su quelle provenienti da altre fonti, fra le qualj gli stessi proventi propri delle Regioni. Ancora pi� lesiva della loro autonomia sarebbe per le stesse Regioni la disposizione dell'ottavo comma, che attribuisce al Ministro la facolt� di determinare la percentuale delle entrate regionali che devono essere fatte affluire alle tesorerie dello Stato in aperto contrasto con il primo conuna dello stesso articolo, che determina nel 12 % la soglia oltre la quale si concreta la considerata eccedenza. La Regione Sardegna impugna anche il quinto comma dell'articolo citato per lo stesso ordine di ragioni, mentre la Regione Trentino-Alto Adige lamenta anche la violazione dell'art. 5 n. 1 dello Statuto speciale dal momento che l'art. 40, obbligando anche i Comuni a limitare le giacenze, invaderebbe la sfera di competenza legislativa -sia pure secondaria -della Regione in tema di ordinamento dei Comuni. Sotto gli stessi profili impugnano i commi 1, 2 e 5 dell'art. 40 le Province autonome di Trento e Bolzano. Tutte le questioni sollevate relative all'art. 40 della legge n. 119/1981 sono infondate, ad eccezione di quella riguardante l'ottavo comma (facolt� del Ministro del tesoro di variare con proprio decreto la percentuale massima delle disponibilit� di cui � consentito il deposito presso le tesorerie delle Regioni). Il precetto essenziale, contenuto nell'art. 40, da cui tutti gli altri discendono, � quello che obbliga le aziende di credito a versare nei conti aperti presso le Tesorerie dello Stato le somme depositate presso le aziende stesse dagli enti pubblici (territoriali o meno) con bilanci di una certa importanza, quando tali depositi superino un determinato livello, che viene indicato nel 12 % delle entrate previste dal bilancio di competenza. La � ratio � della norma -che si inserisce in una precisa direttiva seguita dal legislatore (legge 6 agosto 1966, n. 629; artt. 31 e 32 legge 5 agosto 1978, n. 468; artt. 52 e 55 d.l. 9 luglio 1980, n. 301 e 83-86 d.l. RASSEGNA DEU.'AWOCATURA DELLO STATO 30 agosto 1980, n. 503) -� di consentire allo Stato il controllo e la regolamentazione della liquidit� monetaria e quindi dei flussi della spesa pubblica, che su tale liquidit� incidono -com'� noto -in misura determinante. Destinatari del precetto sono, quindi, non solo e non tanto gli enti pubblici, quanto piuttosto le aziende di credito che gestiscono i servizi di tesoreria degli enti stessi. Si tratta pertanto di stabilire se, nel quadro della ripartizione delle funzioni fra Stato e Regioni delineato dalla Costituzione, competa allo Stato questo potere di controllo e di regolamentazione. La risposta al quesito non pu� essere che positiva, rientrando certamente tra i poteri di pertinenza statale -come questa Corte ha pi� volte dichiarato (sentt. 58/1958; 221/1975) -quello della disciplina del credito, strettamente connessa alla stabilit� del potere d'acquisto della moneta e quindi ad un interesse che travalica l'ambito regionale coinvolgendo la comunit� nazionale. Poich� parte rilevante della spesa pubblica avviene per il tramite degli enti locali ed istituzionali, non � pensabile che la regolamentazione e il controllo dei relativi flussi possa avvenire senza incidere sulle disponibilit� contabili di tali enti. Per mantenere il necessario equilibrio tra il flusso delle risorse prelevate e quello delle spese erogate non si pu�, infatti, ignorare che l'assegnazione alle diverse persone giuridiche pubbliche di una quota di risorse, congiunta alla inevitabile gradualit� delle erogazioni, produce un ristagno di disponibilit�, con conseguenze gravemente negative nell'attuale situazione delle pubbliche finanze. � noto in linea generale che mentre lo Stato, attraverso il cui bilancio passano prevalentemente i flussi finanziari, non riesce a sostenere le erogazioni cui � tenuto ed � costretto a ricorrere all'indebitamento a tassi sempre pi� elevati, taluni enti pubblici possono avere eccedenze di disponibilit� di cassa rispetto alle necessit� immediate, disponibilit� che resterebbero depositate presso le aziende di credito. Diventa, pertanto, un'esigenza fondamentale per lo Stato limitare l'onere derivante dalla provvista anticipata di fondi rispetto all'effettiva capacit� di spesa degli enti. Del tutto funzionale rispetto a tali finalit� e rispondente ai princ�pi generali di solidariet� economica e sociale risulta la soluzione adottata dal legislatore di prescrivere alle aziende di credito di trasferire alle Tesorerie dello Stato le eccedenze di cassa degli enti pubblici rispetto alle loro occorrenze immediate. Alla luce di tali princ�pi la normativa adottata non � lesiva dell'autonomia finanziaria delle Regioni, che va intesa in termini sostanziali, come ha statuito questa Corte con le sentenze 22 dicembre 1977, n. 155 e 9 aprile 1981, nn. 94 e 95. Per la prima di tali decisioni una reale menomazione dell'autonomia finanziaria delle Regioni si avrebbe sol'~ f ~ ff �-!: I PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE tanto se il meccanismo della giacenza obbligatoria dei fondi presso le Tesorerie dello Stato si prestasse � a venire manovrato in modo da precludere od ostacolare la disponibilit� delle somme occorrenti alle Regioni stesse per l'adempimento dei loro compiti istituzionali, nelle forme, nelle misure e nei tempi variamente indicati dalla legislazione statale sulla finanza regionale, in attuazione dell'art. 119 Cost. �. Ora la normativa impugnata non preclude alle Regioni la facolt� di disporre delle proprie risorse, nel senso di valutarne discrezionalmente la congruit� rispetto alle necessit� concrete e di indirizzarle verso gli obiettivi rispondenti alle finalit� istituzionali, ma si limita a consentire il controllo del flusso delle disponibilit� di cassa, coordinandolo alle esigenze generali dell'economia nazionale, nel quadro di quella regolamentazione del credito che � dovere peculiare dello Stato. Come si � osservato a proposito dell'art. 35, anche le disposizioni dell'art. 40 possono certamente comportare una minore redditivit� delle somme depositate nelle Tesorerie dello Stato rispetto a quella che si avrebbe presso le aziende di credito, ma si tratta di una conseguenza di fatto che non investe aspetti costituzionalmente tutelati, non incidendo sulla autonomia finanziaria delle Regioni. Se.tale � la ratio della normativa in esame, del tutto ininfluente ai fini della disciplina contenuta nei primi tre commi dell'art. 40, � la distinzione tra risorse provenienti dal bilancio dello Stato e risorse proprie delle Regioni, non essendo possibile sul piano tecnico di discriminare la provenienza delle giacenze di cassa eccedenti la percentuale consentita. N� ha rilievo, alla luce delle finalit� perseguite, distinguere tra Regioni a Statuto speciale e Regioni a Statuto ordinario, tutte ugualmente tenute in materia di credito a uniformarsi alla legislazione dello Stato. Per quanto poi riguarda la denuncia da parte delle Regioni Veneto, Toscana, Piemonte ed Emilia-Romagna -le quali lamentano che il quarto comma dell'art. 40 dispone l'affluenza diretta alle Tesorerie dello Stato delle risorse destinate alle Regioni e provenienti dal bilancio dello Stato stesso -essa non � fondata, essendo del tutto simile a quella gi� decisa in tal senso da questa Corte con la citata sentenza n. 94 del 1981, che aveva ad oggetto l'analoga disposizione contenuta nell'art. 31 della legge n~ 468/1978. N� risulta fondata la questione sollevata dalla Regione TrentinoAlto Adige nel senso che le somme provenienti dal bilancio dello Stato dovrebbero ritenersi sottratte alla disciplina statale una volta entrate nella disponibilit� della Regione. La stessa norma impugnata dispone, infatti, espressamente che essa non si applica alle entrate provenienti dal bilancio dello Stato percepite dalle Regioni a Statuto speciale in base alle rispettive norme statutarie. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 12 Ugualmente infondata � la questione proposta al riguardo dalla Regione Sicilia, in quanto lo stesso quarto comma eccettua espressamente i fondi di cui all'art. 38 dello Statuto regionale, mentre per le altre entrate indicate nel ricorso valgono le stesse considerazioni gi� svolte da questa Corte nella sentenza n~ 95 del 1981, a sostegno del rigetto dell'analoga impugnativa proposta dalla stessa Regione contro il citato art. 31 della legge n. 468/1978. Ma altrettanto infondata � l'impugnativa dello stesso art. 40, quarto comma, proposta dalla Regione Sardegna, poich� -a differenza di quanto disponeva l'art. 31 della legge 468/1978, dichiarato illegittimo nei confronti della Regione sarda con la sentenza di questa Corte n. 95 del 1981 -la norma impugnata esclude esplicitamente dal suo ambito di applicazione -come si � visto -i fondi destinati alle Regioni a Statuto speciale in base ai rispettivi Statuti. N� ha fondamento l'argomentazione, ripetuta in alcuni ricorsi, che farebbe discendere l'incostituzionalit� del primo, secondo e quarto comma dell'art. 40 da una presunta contraddittoriet� dell'intera disciplina, che lascerebbe alle Regioni a Statuto speciale maggiore autonomia di gestione per i fondi provenienti dallo Stato che non per le entrate proprie delle Regioni. Infatti anche le somme provenienti dallo Stato, una volta che siano depositate dalle Regioni presso le aziende di credito (che esercitano per esse il servizio di tesoreria), entrano a far parte di quelle disponibilit� complessive di cassa, all'interno delle quali non � pi� possibile tecnicamente distinguere la provenienza e che sono pertanto complessivamente e indistintamente soggette al limite del 12 %. Non sussiste, perci�, la lamentata contraddizione, avendo comunque il legislatore riservato alle Regioni a Statuto speciale un sistema di accreditamento delle risorse provenienti dal bilancio statale meno vincolante di quello previsto per le Regioni a Statuto ordinario, proprio in considerazione della diversa estensione delle rispettive sfere di autonomia. A diversa conclusione si perviene invece per quanto riguarda la denuncia dell'ottavo comma dell'art. 40. Va riconosciuta, infatti, alla competenza legislativa dello Stato la regolamentazione della materia del credito, con il conseguente obbligo delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano di adeguarsi a tale regolamentazione -in nome del coordinamento finanziario previsto dal primo comma dell'art. 119 Cost. -anche in quanto essa si riflette sulla competenza regionale riguardante la disciplina dei servizi di tesoreria delle Regioni e delle Province autonome, nonch� la stipula delle relative convenzioni con le aziende. di credito. Ma � contradditto� rio, rispetto alla logica che presiede alle rimanenti disposizioni dello stesso art. 40, la facolt� accordata al Ministro del tesoro di variare con PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE suo semplice decreto -senza che il legislatore abbia prestabilito in proposito alcun limite ed alcun criterio -la percentuale o il livello massimo delle disponibilit� delle Regioni (e delle predette Province) che le aziende di credito possono tenere presso di s�. Una volta che il legislatore ha fissato tale percentuale nella misura del 12 % e nulla ha precisato circa il livello massimo, soltanto per legge o nell'ambito dei limiti e dei criteri indicati dalla legge possono essere variate le scelte legislative in questione, senza violare la riserva di legge della Repubblica, di cui al primo comma dell'art. 119 Cost. (sul punto la sentenza di questa Corte n. 149 del 1981). La questione relativa al comma 8 dell'articolo impugnato �, pertanto, fondata. II. (omissis) Con i ricorsi notificati ... la Regione Lombardia impugna l'art. 26, commi secondo e terzo, del d.l. 22 dicembre 1981, n. 786, e l'art. 4, commi quinto e sesto, della legge 26 aprile 1983, n. 130. L'art. 26 del d.l. n. 786 del 1981, al comma secondo (divenuto comma primo per effetto della soppressione del precedente comma, operata in sede di conversione, con modificazioni, in legge 28 febbraio 1982, n. 51), dispone che, per l'anno 1982, � i prelevamenti che le regioni a statuto ordinario possono effettuare dai conti correnti a loro intestati presso la tesoreria centrale dello Stato non possono registrare un aumento superiore al 16 per cento rispetto ai prelevamenti complessivamente effettuati da ciascuna regione nel periodo 1� ottobre 1980-30 settembre 1981, fatte salve le disposizioni di cui al primo comma dell'art. 40 della legge 30 marzo 1981, n. 119 �. Il comma terzo (secondo, per effetto, come innanzi precisato, della conversione con modificazioni in legge) dello stesso art. 26 prevede che " per comprovate indilazionabili esigenze di singole regioni, il Ministro del tesoro, su proposta del Ministro per gli affari regionali, pu� elevare, con propri decreti, il predetto limite del 16 per cento �. Per il 1983 il comma quinto dell'art. 4 della legge n. 130 del 1983 rinnova il � tetto � ai prelevamenti che le Regioni a statuto ordinario possono effettuare dai conti correnti anzidetti, disponendo che i prelevamenti medesimi �fatte salve le disposizioni di cui al primo comma dell'art. 40 della legge 30 marzo 1981, n. 119... non possono registrare un aumento superiore al 13 per cento rispetto ai prelevamenti complessivamente effettuati da ciascuna regione nell'anno 1982, al netto delle maggiorazioni concesse ai sensi dell'art. 26, secondo comma, del d.l. 22 dicembre 1981, n. 786, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1982, n. 51, maggiorate del 13 per cento �. Ed anche per il 1983 � previsto, dal comma sesto dello stesso art. 4, che 14 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO il Ministro del tesoro, su proposta del Ministro per gli affari regionali, possa con propri decreti, � per comprovate indilazionabili esigenze di singole regioni �, elevare il predetto limite. Secondo la ricorrente Regione, tali disposizioni � appaiono illegittime e lesive dell'autonomia finanziaria, di spesa e di bilancio, nonch� dell'autonomia programmatoria, legislativa ed amministrativa della Regione �. La questione � fondata. Giova ricordare che questa Corte, a proposito dei conti correnti intestati alle regioni a statuto ordinario presso la tesoreria centrale dello Stato, ha gi� avuto occasione di avvertire, nella sentenza n. 155 del 1977, che essi non possono legittimamente � trasformarsi in un anomalo strumento di controllo sulla gestione finanziaria regionale: che si presti a venire manovrato in modo da precludere od ostacolare la disponibiHt� delle somme occorrenti alle Regioni stesse per l'adempimento dei loro compiti istituzionali, nelle forme, nelle misure e nei tempi variamente indicati dalla legislazione statale sulla finanza regionale, in attuazione dell'art. 119 della Costituzione �. Successivamente la Corte, investita della questione di legittimit� costituzionale dell'art. 31 della legge 5 agosto 1978, n. 468, inteso a disciplinare le giacenze di tesoreria delle Regioni, ha nuovamente considerato, nella sentenza n. 94 del 1981, � essenziale... che i conti correnti istituiti presso la tesoreria centrale non si trasformino in un anomalo strumento di controllo sulla gestione finanziaria regionale �; ed ha ritenuto che tale non sia il caso del denunciato art. 31, in quanto esso � non ha di mira le singole misure regionali di spesa, limitandosi a regolare i ritmi di accreditamento dei fondi... dalla tesoreria dello Stato alle tesorerie delle Regioni: per di pi� precisando che ci� deve svolgersi sulla base ed in conformit� alle previste esigenze ed alle accertate disponibilit� di cassa delle Regioni, quali desunte appunto dai periodici documenti, indicati nel secondo e terzo comma, provenienti dagli organi responsabili delle Regioni medesime �. Con la legge 30 marzo 1981, n. 119, si sono accentuati. i vincoli rela tivi alle disponibilit� di tesoreria delle regioni a statuto ordinario. L'art. 40, infatti, non soltanto ha confermato, ai commi quarto e quinto, che tutti i fondi provenienti dal bilancio dello Stato e destinati alle regioni devono affluire nei conti ad esse intestati presso la tesoreria dello Stato, subordinando i prelevamenti alla presentazione dei preven tivi trimestrali di cassa; ma ha anche introdotto, con il primo comma (esplicitamente fatto salvo dalle disposizioni adesso impugnate), il di vieto di mantenere presso aziende di credito disponibilit� depositate a qualunque titolo � per un importo superiore al 12 per cento dell'am montare delle entrate previste dal bilancio di competenza� delle re gioni medesime, mentre le somme in eccesso vanno versate nei conti PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE correnti presso la tesoreria dello Stato. Anche su tale normativa questa Corte si � pronunciata, riconoscendo, con la sentenza n. 162 del 1982, che essa � non preclude alle Regioni la facolt� di disporre delle proprie risorse, nel senso di valutarne discrezionalmente la congruit� rispetto alle necessit� concrete e di indirizzarle verso gli obiettivi rispondenti alle finalit� istituzionali, ma si limita a consentire il controllo del flusso delle disponibilit� .di cassa �. Occorre, infatti, � mantenere il necessario equilibrio tra il flusso delle risorse prelevate e quello delle spese erogate � ed impedire il formarsi di � un ristagno di disponibilit�, con conseguenze gravemente negative nell'attuale situazione delle pubbliche finanze�. � stata, peraltro, con la stessa sentenza, dichiarata l'Hlegittimit� costituzionale dell'ottavo comma dello stesso art. 40, nella parte in cui attribuiva al Ministro per il tesoro la facolt� di variare con proprio decreto la percentuale o il livello massimo delle disponibilit� delle regioni, che le aziende di credito, incaricate del servizio di tesoreria, possono tenere presso di s�. La Corte ha rilevato, infatti, che tale facolt� di variare le scelte legislative, � stata accordata � senza che il legislatore abbia prestabilito in proposito alcun limite ed alcun criterio, violando cos� la riserva di legge di cui al primo comma dell'art. 119 della Costituzione�. Dal confronto con la previgente normativa, ed alla stregua della richiamata giurisprudenza di questa Corte, si evince appunto la fondatezza della promossa questione. Le disposizioni impugnate, infatti, non si limitano, come le precedenti, a regolare l'afflusso dei mezzi finanziari verso le tesorerie delle regioni in funzione dell'effettivo ed immediato fabbisogno di cassa, al fine di evitare cos�, da un lato dannosi ristagni di liquidit� presso le aziende di credito e dall'altro pi� gravosi oneri di interessi a carico dello Stato, costretto ad una �provvista anticipata di fondi rispetto all'effettiva capacit� di spesa degli enti� (sentenza n. 162 del 1982). Con esse, invece, � stato introdotto -come deduce la difesa della ricorrente -un ulteriore, diverso vincolo, con il quale s'impedisce alla Regione, una volta che essa abbia raggiunto il � tetto � annuale fissato per il complesso dei prelevamenti, di disporre delle somme neces�sarie per l'effettuazione di spese a suo tempo regolarmente deliberate ed impegnate nei limiti degli stanziamenti del bilancio regionale di previsione, sebbene il loro tempestivo fabbisogno sia stato gi� dimostrato dai prescritti preventivi trimestrali di cassa (art. 31, comma secondo, della legge n. 468 del 1978; art. 40, comma quinto, della legge n. 119 del 1981). E ci�, malgrado si tratti di somme che, pur se depositate presso la tesoreria dello Stato, sono ormai di pertinenza regionale. Per di pi�, il � tetto � imposto ai prelevamenti fa riferimento a parametri (per il 1982, il totale dei prelevamenti effettuati da ciascuna Regione nel periodo 1� ottobre 1980-30 settembre 1981, aumentato del 16 per RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO cento; per il 1983, il totale dei prelevamenti effettuati da ciascuna Regione nell'anno 1982, aumentato del 13 per cento), che prescindono da qualsiasi concreto rapporto con la struttura e con la gestione del bilancio regionale di competenza per l'anno in corso, con la dimensione delle entrate e delle spese ivi previste, con l'entit� dei residui attivi e passivi. Le denunciate norme vulnerano, pertanto, come lamentato dalla Regione, il principio stesso di autonomia, quale configurata e garantita dagli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione. N� a temperare la lesione pu� soccorrere la facolt� accordata al Ministro del tesoro, di elevare con propri decreti, su proposta del Ministro per gli affari regionali., i limiti in parola �per comprovate indilazionabili esigenze di singole regioni �. Anche in questa occasione -come gi� per l'ottavo comma dell'art. 40 della legge n. 119 del 1981, la cui illegittimit� costituzionale, come innanzi ricordato, � stata dichiarata dalla sentenza di questa Corte n. 162 del 1982 -il legislatore ha configurato una potest� ministeriale di variare le scelte legislative, senza prestabilire alcun limite ed alcun criterio. Non pu�, invero, considerarsi all'uopo idoneo il solo generico riferimento ad esigenze di spese, la cui �indilazionabilit��, riferita che sia alla fase dell'impegno o a quella del pagamento, soggiace pur sempre alla eventualit� di una valutazione diversa, rispetto a quella degli organi regionali istituzionalmente competenti, da parte dell'organo che, nell'�mbito di una innegabile discrezionalit�, di volta in volta �pu�� consen� tire (e quindi anche non consentire) il prelievo in eccedenza rispetto al raggiunto limite. Ne risulta, pertanto, violata, �sotto questo profilo, la riserva di legge di cui all'art. 119, comma primo, della Costituzione. L'Avvocatura dello Stato obietta che le impugnate norme �si inseriscono in un complesso quadro normativo, inteso a contenere, sia nel 1982 che nel 1983, l'espansione della spes� pubblica e, quindi, del disavanzo e del conseguente ricorso al mercato finanziario�. Ma il richiamo ad una finalit� d'interesse generale, pur di cos� precipuo e stringente rilievo, non pu� di per s� legittimare il ricorso, per il suo perseguimento, a misura di contenimento della spesa pubblica che incidano e vulnerino competenze ed interessi costituzionalmente garantiti. In particolare, per quanto concerne la spesa delle regioni, altre possibilit� si offrono al legislatore statale nell'�mbito di quel compito, che gli attribuisce l'art. 119 della Costituzione, di coordinamento dell'autonomia finanziaria delle regioni con la finanza dello Stato, delle province, dei comuni; e la stessa difesa della Regione ricorrente prospetta all'uopo ipotesi diverse di incidenza sulla spesa regionale � per la via maestra della disciplina delle entrate regionali�, e cio� nella �fase della determinazione dei proventi tributari e delle assegnazioni statali, nonch� dei limiti in cui le regioni possono ricorrere al credito. I ! I I PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Per le su esposte consid�razioni va, dunque, dichiarata la .illegittimit� costituzionale dell'art. 26, commi secondo e terzo (divenuti primo e secondo per effetto della soppressione del primo comma, operata in sede di conversione in legge), del d.l. n. 786 del 1981, convertito con modificazioni in legge n. 51 del 1982, e dell'art. 4, commi quinto e sesto, della legge n. 130 del 1983. Resta, pertanto, assorbito il profilo di illegittimit� costituzionale, dedotto dalla Regione ricorrente, per l'asserita disparit� di trattamento tra regioni a statuto ordinario e regioni a statuto speciale. L'art. 10, primo comma, della legge n. 130 del 1983 dispone che sono infruttiferi i conti correnti, liberi o vincolati, aperti presso la tesoreria centrale dello Stato. La Regione Lombardia, con il ricorso notificato il 28 maggio 1983, ha promosso questione di legittimit� costituzionale di tale norma, nella parte che concerne i conti correnti intestati alle regioni a statuto ordinario, �specie se considerata in correlazione con la disciplina dei prelevamenti da detti conti contenuta nell'art. 4, commi quinto e sesto� della stessa legge. Il carattere infruttifero dei conti comporterebbe, secondo la ricorrente Regione, una diminuzione, in termini reali, dell'entit� delle somme di pertinenza regionale depositate nei conti medesimi, e si tradurrebbe perci� in una illegittima compressione dell'autonomia finanziaria e di spesa della Regione, nonch� in una violazi? ne dell'obbligo di copertura delle maggiori spese cui la Regione pu� andare incontro per effetto del divieto di prelevare somme dai conti anzidetti oltre il limite fissato. La questione non � fondata. Dichiarata con la presente sentenza la illegittimit� costituzionale dell'art. 4, commi quinto e sesto, della legge n. 130 del 1983, resta assorbito il dedotto profilo relativo all'asserita violazione dell'obbligo di copertura di maggiori spese. N� sussiste la denunciata lesione dell'autonomia finanziaria e di spesa della Regione. Invero, una volta garantita alle regioni l'effettiva possibilit� di disporre, per le proprie spese, delle somme accreditate, in base alla vigente disciplina, che ne regola il tempestivo flusso dai conti correnti ai tesorieri regionali, secondo il periodico fabbisogno, dimostrato dai preventivi trimestrali di cassa, evitandosi dannosi ristagni di liquidit�, la minore o nulla redditivit� delle somme depositate nelle tesorerie dello Stato, rispetto a quella che si avrebbe presso le aziende di credito, concreta �una conseguenza di fatto che non investe aspetti costituzionalmente tutelati, non incidendo sull'autonomia finanziaria delle Regioni �, come gi� affermato nella richiamata sentenza di questa Corte n. 162 del 1982. L'art. 28, primo comma, del d.l. n. 786 del 1981, convertito in legge n. 51 del 1982, dispone che � fino al 31 dicembre 1982 l'imposta locale sui redditi continua ad essere applicata con l'aliquota del 15 per cento. Il relativo gettito rimane. acquisito al bilancio dello Stato �. Per il sue 18 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO cessivo art. 29 �alle Regioni a statuto ordinario ed alle aziende auto. nome di soggiorno, cura e turismo istituite nel periodo 1974-80, sono attribuite dall'amministrazione finanziaria, per l'anno 1982, somme di importo pari a quelle spettanti per l'anno 1981 ai sensi dell'art. 33 del d.l. 28 febbraio 1981, n. 38, convertito, con modificazioni, in legge 23 aprile 1981, n. 153 �. Per l'anno 1983, l'art. 28, ultimo comma, del d.l. n. 55 del 1983, convertito in legge n. 131 del 1983, dispone che agli stessi enti destinatari siano attribuite � somme di importo pari a quelle spettanti per l'anno 1982 ai sensi dell'art. 29 del d.l. 22 dicembre 1981, n. 786, convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 1982, n. 51 �. La Regione Lombardia, con il ricorso notificato H 29 gennaio 1982, promuove questioni di legittimit� costituzionale degli artt. 28, primo comma, e 29 del d.l. n. 786 del 1981, perch� lesivi dell'autonomia finan ziaria regionale. Secondo la ricorrente, la commutazione di un tributo proprio (pro-quota) delle regioni in trasferimento statale, violerebbe l'art. 119 della Costituzione; inoltre, la reiterazione della somma di anno in anno avrebbe finito con il trasformare quella che doveva essere una misura transitoria ed eccezionale in una modificazione permanente del sistema finanziario regionale, accentuandone il contrasto con l'invocato parametro costituzionale. Per di pi�, la conferma per il 1982 dell'im porto delle somme sostitutive dell'ILOR nella stessa misura di quelle corrisposte nel 1981, senza alcuna maggiorazione, avrebbe accentuato il divario tra l'entit� dei trasferimenti e il gettito reale dell'ILOR acqui sito al bilancio dello Stato. Analoghe considerazioni svolge la Regione Liguria, impugnando, con i ricorsi noticati il 31 marzo ed il 30 mag gio 1983, l'art. 28, ultimo comma, del d.l. n. 55 del 1983, per violazion� degli artt. 117 e 119 della Costituzione. La questione non � fondata. Ben vero che l'art. 1 della legge 16 maggio 1970, n. 281, recante provvedimenti finanziari per l'attuazione delle regioni a statuto ordinario, attribuiva loro, con il secondo comma, il gettito delle imposte erariali sul reddito domh.cale e agrario dei terreni e sul reddito dei fabbricati, prevedendone la sostituzione -all'entrata in vigore dei provvedimenti di attuazione della riforma tributaria -con una quota del gettito derivante da una imposta corrispondente di importo non inferiore al gettito dell'ultimo anno di applicazione delle imposte fondiarie. La legge 9 ottobre 1971, n. 825, di delega legislativa per la riforma tributaria, nel prevedere la istituzione dell'imposta locale sui redditi (ILOR), fissava poi all'art. 4, tra i princ�pi e criteri direttivi cui doveva essere informata la disciplina della nuova imposta, la determinazione dell'aliquota da parte rispettivamente dei comuni, delle province, delle regioni, delle camere di commercio e delle aziende autonome di cura, soggiorno e turismo, l'accertamento a cura dell'amministrazione finanziaria dello l ti f; f; ........,.,~~~ PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Stato e l'attribuzione diretta del gettito pro-quota agli enti suddetti. A tali princ�pi e criteri si uniformava la legge delegata (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599), istitutiva dell'imposta, con decorrenza dal 1� gennaio 1974. Peraltro, l'art. 19 bis del d.l. 29 dicembre 1977, n. 946, aggiunto dalla legge di conversione 27 febbraio 1978, n. 43, disponeva che "sino all'emanazione di nuove norme che regolino la partecipazione delle regioni all'imposta locale sui redditi, per l'anno 1978 sono attribuite dall'amministrazione finanziaria alle regioni a statuto ordinario ... somme sostitutive di importo pari alla quota di loro spettanza, calcolata sulla base delle iscrizioni a ruolo effettuate nell'anno 1977, con una maggiorazione del 10 per cento �. Da allora la " sostituzione � si � ripetuta di anno in anno, con formule pressoch� identiche, ma non pi� precedute dal riferimento alla prevista emanazione di nuove norme. Cos�, l'art. 11 del d.l. 10 novembre 1978, n. 702, convertito con modificazioni nella legge 8 gennaio 1979, n. 3, ha disposto per il 1979. l'attribuzione di una somma pari a quella del 1978, maggiorata del 10 per cento; l'art. 31 del dJ. 7 maggio 1980, n. 153, convertito con modificazioni nella legge 7 luglio 1980, n. 299, una somma pari a quella del 1979, maggiorata del 20 per cento; l'art. 33 del d.l. 28 febbraio 1981, n. 38, convertito con modificazioni nella legge 23 aprile 1981, n. 153, una somma pari a quella del 1980, maggiorata del 20 per cento. Con le norme di cui � stata ora denunciata la illegittimit� costituzionale, l'ammontare delle somme sostitutive � rimasto, invece, fissato, per il 1982 e il 1983, nel quantum stabilito per il 1981. Non v'ha dubbio che il susseguirsi, di anno in anno, di provvedimenti a carattere contingente, in deroga alla disciplina ordinaria, renda quantomai disorganico e provvisorio il quadro attuale della finanza regionale: sicch� non pu� non auspicarsi che si ponga finalmente mano a quella "disciplina delle entrate tributarie delle regioni a statuto ordinario, coordinata con la regolamentazione delle funzioni e con l'ordinamento finanziario delle regioni stesse, ed imperniata sull'attribuzione diretta e indiretta di tributi e di quote di tributi�, la cui esigenza, gi� avvertita in sede di delega per la riforma tributaria (art. 12, comma secondo, n. 5 della legge n. 825 del 1971), non � stata poi soddisfatta dal legislatore delegato. Ma non per questo pu� ritenersi che le denunciate norme abbiano vulnerato l'autonomia regionale. Come osserva l'Avvocatura dello Stato, il �comma secondo dell'art. 119 della Costituzione delinea un modello, al quale la disciplina della finanza regionale si deve uniformare nel suo complesso; ma da ci� non derivano vincoli di carattere specifico, che impongano al legislatore statale di attribuire alle regioni determinati tributi o quote di tributi erariali, o che rendano irreversibili le scelte in precedenza operate. In altri termini, quelle stesse "leggi della Repub RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 20 blica �, che sono chiamate a prestabilire i tipi dei tributi regionali, possono sostituire le figure inizialmente previste, con altre che meglio si conformino all'ordinamento finanziario generale. N� l'attribuzione alle regioni dei mezzi finanziari necessari per il perseguimento delle loro finalit� � definita dal precetto costituzionale in termini quantitativi; essa va, nel tempo, costantemente adeguata alle concrete esigenze di espletamento delle funzioni regionali, nei limiti della compatibilit� con i vincoli generali nascenti dalle preminenti esigenze della finanza pubblica nel suo insieme. Il dovuto rispetto dell'autonomia finanziaria regionale non impedisce, pertanto, che il legislatore statale modifichi o mantenga ferma, in base alla comparativa valutazione delle esig~nze generali, l'entit� delle assegnazioni alle regioni, a condizione, ovviamente, che non venga gravemente alterato il necessario rapporto di complessiva corrispondenza, nei limiti anzidetti, fra bisogni regionali e mezzi finanziari per farvi fronte, impedendo cos� alle regioni il normale espletamento delle loro funzioni. Il che non � dedotto nel caso in esame. Conclusivamente, non appaiono violati dalle denunciate norme gli invocati parametri costituzionali. L'art. 34, primo comma, del d.l. n. 786 del 1981 prevede, in via permanente, che �a decorrere dall'anno 1982 ed al fine di accrescere gli interventi promozionali in favore delle piccole e medie imprese, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, percepiscono un diritto annuale a carico di tutte le ditte che svolgono attivit� economica iscritte agli albi e ai registri tenuti dalle predette camere �; mentre i commi successivi disciplinano le misure e le forme di riscossione del diritto stesso. A questa prima serie di disposizioni si ricollega l'art. 29, terzo comma, del d.l. n. 55 del 1983 (integrato dal quarto e dal quinto comma del medesimo articolo) che prescrive l'aumento del �diritto annuale �, con deliberazione delle giunte camerali, � da un minimo del 10 per cento ad un massimo del 100 per cento, in relazione all'attivit� istituzionale ed al programma di intervento promozionale che ciascuna camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura intende effettuare �. L'intera disciplina in questione � stata per altro impugnata dalla Regione Lombardia. Sui pi� recenti disposti s'� invece concentrata l'impugnativa promossa dalla Regione Emilia-Romagna, mediante i ricorsi notificati nelle stesse date dei due ultimi ricorsi lombardi. Entrambe le ricorrenti prospettano, comunque, un'unica denuncia di illegittimit� costituzionale, affermando che con l'istituzione del �diritto annuale� si sarebbe sostanzialmente ritrasferita alle Camere -in congiunta violazione degli artt. 117, 118 e 119 Cost. -una competenza spettante alle amministrazioni regio.ali, secondo� l'art. 64 del d.P.R. n. 616 del 1977. �L'attribuzione del gettito del diritto annuale alle Camere, e PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE l'esclusione totale e permanente di ogni ingerenza delle Regioni a riguardo del suo impiego �, precluderebbero infatti a questi eriti -come si legge nei ricorsi concernenti il d.l. n. 55 e la legge n. 131 del 1983 -l'esercizio delle loro funzioni, � anche sostituendo eventualmente in tutto o in parte alle Camere di Commercio altri strumenti �, e la disponibilit� delle risorse di cui si discute. Ma la denuncia � infondata, poich� le norme in esame non riconducono alcuna funzione regionale alla competenza delle camere, n� valgono a compromettere la realizzazione delle potest� riservate in materia alle regioni. Per prima cosa, va ricordato che il d.P.R. n. 616 dichiara bens� di competenza regionale -nell'art. 64, primo comma -� le funzioni amministrative attualmente esercitate dalle camere di commercio nelle materie trasferite o delegate dal presente decreto�, ma non coinvolge affatto � le funzioni istituzionali e le restanti funzioni amministrative �, chiarendo invece -nel secondo comma dello stesso articolo che esse � saranno esercitate dalle camere di commercio sulla base della legge di riforma dell'ordinamento camerale e del relativo finanziamento�; il che fa escludere -come in sostanza riconoscono anche i ricorsi regionali -che per questa patte si possa ipotizzare una lesione dell'autonomia garantita alle due ricorrenti. Secondariamente, � vero che il �diritto annuale � grava, senza eccezioni, sulle � ditte � svolgenti qualunque tipo di attivit� economica, che siano iscritte negli albi o nei registri camerali; sicch� sembra corretto ritenere -come assumono le difese regionali -che i rispettivi � interventi promozionali � non riguardino solo i settori dell'industria e del commercio, ma alcuni fra gli stessi �mbiti di competenza regionale, quali l'agricoltura, l'artigianato, il turismo. Anche in tal senso, per�, le norme impugnate vanno coordinate con l'art. 64 del d.P.R. n. 616, il cui terzo comma precisa che le relative funzioni � continuano ad essere esercitate dalle camere di commercio... finch� le leggi regionali non disciplineranno la materia�. Se ed in quanto difetti un'apposita legislazione locale (come si verifica tuttora in varie regioni), le camere di commercio possono effettuare i loro interventi in ogni campo gi� rientrante nella competenza camerale. Ma ci� non ostacola per nulla l'esercizio della potest� legislativa regionale (di cui l'Einilia-Romagna, del resto, ha gi� fatto un ripetuto uso): sia per indirizzare gli interventi delle camere, sia per incidere sulle premesse dalle quali dipende la stessa spettanza o la sfera di applicazione dei diritti annuali. In altri termini, il riparto delle competenze, fissato dall'art. 64 del d.P.R. n. 616, non � stato alterato in alcun modo dalle norme impugnate. Esse invece si limitano a finanziare l'attivit� istituzionale e gli interventi promozionali delle camere di commercio, alla condizione che gli enti medesimi siano ancora competenti nei settori dei quali si tratti, e senza 22 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO affatto ampliare le funzioni camerali, al di l� di quanto � stato impli citamente previsto nell'art. 117 della Costituzione. Quanto ai � provvedimenti urgenti per il settore della finanza locale per l'anno 1983 �, il sindacato della Corte deve concentrarsi sulle impugnazioni riguardanti il decreto-legge 28 febbraio 1983, n. 55, come convertito dalla legge 26 aprile 1983, n. 131. Per contro, non possono esser prese in considerazione le singole questioni sollevate dal ricorso della Regione Lombardia, notificato il 31 gennaio 1983, con riferimento al decreto- legge 30 dicembre 1982, n. 952. Tale atto non � stato infatti convertito in legge ed ha pertanto perduto efficacia �sin dall'inizio�, come prevede espressamente l'art. 77, terzo comma, della Costituzione. In .accoglimento della richiesta avanzata dall'Avvocatura dello Stato e secondo la pi� recente giurisprudenza della Corte, che a questi specifici effetti non ha operato alcuna distinzione fra i giudizi instaurati in via principale e quelli instaurati in via incidentale, va dunque pronunciata la manifesta inammissibilit� di tutte le impugnative promosse mediante il predetto ricorso. Il fatto che il decreto in esame avesse � forza di legge� non toglie, in verit�, che l'intero atto in ordine al quale il ricorso era stato ritualmente proposto debba ormai considerarsi -per necessaria ed automatica conseguenza dell'inerzia del Parlamento -come j non mai esistito quale fonte di diritto a livello legislativo: il che deter mina una situazione del tutto peculiare e non inquadrabile negli schemi j della cessazione della materia del contendere, di cui la Corte si avvale ~ i in diverse fattispecie. ! I i N� osta la circostanza che il comma finale dell'articolo unico della legge n. 131 (sulla medesima linea del soppresso art. 37 del decreto-legge n. 55) stabilisca che � restano validi gli atti e i provvedimenti adottati ed hanno efficacia i rapporti giuridici sorti in applicazione � di tutte le i impugnate disposizioni del decreto-legge n. 952. Da un lato, una norma di convalida ex art. 77, terzo comma, Cost. non forma un �idoneo equipollente � della legge di conversione (come la Corte ha chiarito nella sentenza n. 59 del 1982). D'altro lato, la previsione conclusiva della legge n. 131 (come gi� il soppresso art. 37) � stata a sua volta impugnata dalla Regione Lombardia, nonch� dall'Emilia-Romagna, mediante i ricorsi notificati il 28 maggio 1983. Ed � unicamente in questi termini che la problematica inerente al decac::luto decreto-legge sulla finanza locale pu� essere dunque affrontata dalla Corte. Va inoltre dichiarata inammissibile la prima delle questioni di legittimit� costituzionale sollevate dalla Lombardia e dall'Emilia-Romagna, sin dai ricorsi notificati il 30 marzo 1983, circa il decreto-legge n. 55. Entrambe le ricorrenti denunciano, preliminarmente, la violazione dell'art. 77 Cost., in cui sarebbe incorso il decreto medesimo, l� dove esso risulta �sostanzialmente riproduttivo� del decaduto decreto n. 952. Ma la PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE giurisprudenza della Corte � costante (si veda fra le altre, per un caso analogo a quello in esame, la sent. n. 151/1974) nell'affermare -in applicazione dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale n. 1 del 1948 -che le regioni non possono prospettare in via principale vizi insuscettibili di concretare invasioni delle competenze loro garantite. Ed a questa stregua non � dato alle regioni stesse di impugnare un decretolegge, per il preteso difetto dei presupposti giustificativi costituzionalmente prescritti (anche a tacere del fatto che il decreto medesimo � stato comunque convertito in legge). Fra le varie questioni relative a determinati provvedimenti per la finanza locale, va considerato anzitutto -nell'ordine testuale -il complesso delle censure rivolte dall'Emilia-Romagna e dalla Lombardia all'art. 8, primo e secondo comma, del decreto-legge n. 55, nonch� al comma 2.1 del medesimo articolo ed all'art. 8 bis, inseriti all'atto della conversione: tutti vertenti. sulla determinazione degli importi che spettano a comuni e province per l'esercizio delle funzioni trasferite dalle regioni agli enti locali, in forza del d.P.R. n. 616 del 1977. Come giustamente osserva l'Avvocatura dello Stato, il comma 2.1 dell'art. 8 presenta per� un contenuto ben diverso da quello proprio dei primi due commi dello stesso articolo, nonch� dei due commi dell'articolo 8 bis. Infatti, il comma 2.1 impone senz'altro alle regioni di � cor� rispondere� ai comuni e alle province, entro il 30 giugno 1983, la somma della quale si tratta. Viceversa, i primi due commi dell'art. 8 prescri� vono che, entro il 30 aprile 1983, le regioni comunichino agli enti locali interessati l'importo loro spettante; senza di che gli enti stessi � sono autorizzati a prevedere (nei loro bilanci) importi corrispondenti a quelli ricevuti in assegnazione per il 1982, maggiorati del 13 per cento�. Ed analogamente dispongono, circa il 1984 ed il 1985, i due commi dell'art. 8 bis. Ora, la Corte non � chiamata a pronunciarsi sull'intrinseca correttezza di siffatte previsioni dal punto di vista dei princ�pi cui si informa la contabilit� pubblica; e, meno ancora, deve valutare gli inconvenienti della finanza regionale e locale, in quanto fondata su trasferimenti dallo Stato o dalle regioni, piuttosto che su proventi propri. Unico oggetto dell'attuale giudizio -nella parte concernente l'art. 8, primo e secondo comma, nonch� l'art. 8 bis del decreto-legge n. 55 -sono invece i due ordini di motivi esposti nei ricorsi regionali: cio� che tali disposti trascurerebbero, da un lato, la legislazione regionale vigente in materia e, d'altro lato, obbligherebbero le regioni a trasferire le somme in esame, senza ricevere dallo Stato importi adeguati allo scopo. Ma entrambe le censure si dimostrano infondate. (omissis) N� va condiviso l'assunto che le norme impugnate precludano l'even� tualit� di una difforme legislazione locale. Sebbene il riferimento all'ipo� 24 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO tesi che le regioni � abbiano regolato la materia con loro provvedimenti di legge � non sia testualmente contenuto se non nel comma 2.1 dell'art. 8, esso rimane implicito nell'intero complesso delle disposizioni in esame. Le funzioni gi� regionali e quindi trasferite a comuni e province mediante il d.P.R. n. 616 del 1977 sono state infatti attribuite agli enti territoriali minori -come viene in pi� punti precisato dal decreto stesso -in quanto �funzioni amministrative... di interesse esclusivamente locale�, ai sensi dell'art. 118, primo comma, della Costituzione. In tali settori, pertanto, le regioni conservano la loro potest� legislativa; ci� che, del resto, risulta confermato dall'art. 133, primo comma, del d.P.R. n. 616, appunto in tema di � assegnazione di quote aggiuntive � dalle regioni agli enti locali, per assicurare �l'integrale copertura dei �nuovi oneri� imposti agli enti medesimi nello svolgimento delle nuove funzioni loro conferite. Ed anche i termini degli obblighi di comunicazione, rispettivamente previsti dal primo comma dell'art. 8 e dal primo comma dell'art. 8 bis, presuppongono quindi che faccia difetto una legislazione regionale, dalla quale derivi l'esigenza che le comunicazioni stesse vengano effettuate in tempi diversi. Le considerazioni or ora svolte valgono pure ad escludere la fondatezza della prima censura concernente il comma 2.1 dell'art. 8: per cui il termine del 30 giugno 1983, previsto da una legge promulgata il 26 e pubblicata il 30 aprile del medesimo anno, sarebbe cos� breve da porre le regioni nella materiale impossibilit� di legiferare in proposito, prima di essere tenute a corrispondere l'importo determinato in modo autoritativo dal legislatore statale. In realt�, non � dal momento dell'entrata in vigore della legge n. 131 del 1983, ma gi� sulla base del decreto presidenziale n. 616 del 1977, che le regioni avrebbero potuto risolvere per legge il problema in questione. Ed � precisamente la protratta inerzia dei legislatori locali (o di alcuni tra essi) che ha legittimato il Governo e il Parlamento ad intervenire di nuovo sul punto, aggiungendo un altro anello alla catena di provvedimenti con �forza di legge, che inizia a partire dalla conversione del decreto-legge 29 dicembre 1977, n. 946, operata dalla legge 27 febbraio 1978, n. 43. � � ben vero che, in una prima fase, la legislazione statale sulla finanza locale aveva disposto che gli importi spettanti ai comuni, quanto alle funzioni gi� esercitate dalle regioni e ad essi attribuite, fossero s� incrementati annualmente, ma �della stessa percentuale prevista dalle Leggi vigenti per l'incremento del fondo comune di cui all'art. 8 della legge 16 maggio 1970, n. 281 � (si veda l'art. 7 del citato d.l. n. 946 del 1977, come modificato dalla legge n. 43 del 1978; e similmente l'art. 16, secondo comma, del decreto-legge 28 febbraio 1981, n. 38, convertito nella legge 23 aprile 1981, n. 153). Soltanto in virt� dell'art. 4 cpv. del decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 786 (convertito nella legge 26 febbraio 1982, n. 51), PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 25 si � stabilito che in mancanza della comunicazione regionale dell'importo loro spettante i com�ni e le province fossero comunque � autorizzati a prevedere importi corrispondenti a quelli ricevuti in assegnazione per il 1981, maggiorati del 16 per cento�. E da questo precedente ha preso lo spunto la disposizione dell'art. 8, comma 2.1, del d.l. n. 55, nel prescri� vere alle regioni la corresponsione di �un importo pari a quello dovuto per il 1982, aumentato del 13 per cento�: cos� aggravando senza corrispettivi -secondo i ricorsi dell'Emilia-Romagna e della Lombardia -� le gi� serie condizioni della finanza regionale �, in violazione dell'autonomia finanziaria costituzionalmente garantita alle regioni stesse. Ma la maggiorazione del 13 per cento non � censurabile da questa Corte, nei termini in cui l'hanno denunciata le due ricorrenti. Di per se stessa, quella percentuale d'incremento non � affatto irragionevole, tenuto conto del tasso di inflazione programmato per il 1983 e della gi� ricordata esigenza di assicurare -sull'intero territorio nazionale, in assenza di un'apposit~ disciplina legislativa locale -l'� integrale coper� tura � degli oneri venuti a gravare sui comuni e sulle province per effetto del decreto n. 616. N� si pu� dire che l'entit� della corrispondente spesa da prevedere e da fronteggiare nei bilanci delle regioni ordinarie sia tale da compromettere l'autonomia finanziaria regionale, intesa come disponibilit� di somme adeguate all'adempimento delle �funzioni normali � spettanti alle regioni stesse (art. 119, secondo comma, Cost.) ed all'effettuazione delle scelte politiche di loro competenza. Su quest'ultimo punto, i ricorsi non contengono neppur.e l'inizio di una dimostrazione. E fermo comunque rimane che altro � la copertura di un onere ben determinato, come quello derivante dal comma 2.1 dell'art. 8, altro la �complessiva sufficienza dei proventi regionali; tanto pi� che la spesa in questione non va fronteggiata mediante un certo tipo di entrata, appositamente trasferita dallo Stato alla regione, e non va neppure riferita alle sole quote del fondo comune, ma grava sull'intero insieme delle entrate disponibili per l'assolvimento di obblighi del genere (entrate che si sono dilatate a loro volta, come anche le Regioni interessate riconoscono, pur limitandosi a valutare il globale incremento del fondo comune per il 1983 in una percentuale del 9,47 rispetto al fondo 1982). (omissis) L'art. 9 del decreto-legge n. 55 � stato impugnato da tutte le Regioni ricorrenti, sebbene in termini formalmente diversi. Sostanzialmente, per�, tutte queste denunce s'imperniano sul primo comma, l� dove si fissano i criteri sulla base dei quali va suddiviso � l'importo di lire 5.000 miliardi, relativo a mutui da concedersi dalla Cassa depositi e prestiti per l'esercizio 1983, previsto dall'art. 11 del decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 786 � (come sostituito dalla legge� di conversione 26 febbraio 1982, n. 51). Quarto, sesto, nono e decimo comma dell'art. 9 presuppongono ed integrano, infatti, la generale previsione di cui al primo comma. 26 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Appunto con riferimento al primo comma, tutte le ricorrenti lamentano, cio�, d'essere state escluse dalla definizione e dall'applicazione dei criteri stabiliti per il riparto e l'assegnazione dell'importo in esame, � omettendo il tramite della regione � -come si legge nel ricorso ligure �nel procedimento di scelta del modo di utilizzazione delle risorse economiche �. Inoltre, le Regioni Lombardia ed Emilia-Romagna rilevano che l'art. 9, primo comma, del d.l. n. 55 non fa pi� richiamo ai � programmi regionali di sviluppo�, diversamente da quanto chiariva in proposito l'art. 9, quinto comma, del d.l. n. 38 del 1981 (come sostituito dalla legge n. 153 del 1981), riguardante anch'esso i criteri di attribuzione dei finanziamenti agli enti locali da parte della Cassa depositi e prestiti; ed in questa omissione ravvisano un ulteriore motivo per dedurre -nel senso illustrato dai ricorsi notificati il 30 marzo 1983 -la congiunta violazione della �competenza legislativa e programmatoria della Regione � e del � principio del necessario coordinamento fra finanza statale, regionale e locale, di cui all'art. 119, primo comma, della �Costituzione�. Senonch�, la prima censura non si presta ad essere accolta dalla Corte, in quanto il problema di un'eventuale �regionalizzazione� della Cassa depositi e prestiti non pu� essere affrontato che in sede politica, non gi� per la via d'un giudizio di legittimit� costituzionale. Per contro, in base alla vigente disciplina della Cassa (ivi compresa la recentissima legge di �ristrutturazione� 13 maggio 1983, n. 197, che si limita ad inserire nel consiglio di amministrazione, fra gli � esperti � di cui alla lettera f dell'art. 7, un solo rappresentante delle regioni, nominato dal Ministro del tesoro entro una terna presentata dalla Conferenza dei _presidenti delle giunte regionali), � fondamentalmente esatto quanto rileva l'avvocatura erariale: ossia che si tratta di un � organo dello Stato �. Per meglio dire, qualunque sia la natura giuridica di tale istituto, non vi � dubbio che la Cassa costituisca un apparato strumentale, destinato ad assolvere -anche nel presente caso -una funzione statale e non regionale: ossia l'esercizio del credito, con specifico riguardo alla concessione di mutui mediante i quali comuni e province possano concretare alcune loro autonome scelte. Ed � pacifico che l'autonomia comunale e provinciale sia garantita dall'art. 128 Cost., pur quando le scelte in questione attengano ad una materia compresa nell'elenco dell'art. 117, sul tipo dei lavori pubblici. A comprovare l'infondatezza del primo e comune motivo di ricorso, va inoltre ricordato che i criteri di suddivisione dell'importo previsto dall'art. 9, primo comma, eccedono gli ambiti spaziali di ciascuna singola regione, per interessare l'intero territorio nazionale. Con quella disposizione, in altre parole, Governo e Parlamento hanno operato una globale valutazione perequativa degli enti locali e delle loro esigenze, per poi demandare alla Cassa il compito di puntualizzare la valutazione stessa, PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE effettuando un confronto fra istanze comunali e provinciali che il pi� delle volte dovrebbe concernere amministrazioni appartenenti a regioni diverse. Ci� assume una particolare evidenza per i primi due criteri, fissati dalle lettere a e b dell'art. 9, primo comma, i quali contrappongono senz'altro gli �enti locali dei territori del Mezzogiorno� agli �enti locali degli altri territori�; ma il medesimo genere di considerazioni vale anche per la lettera e, che riguarda il �finanziamento di opere pubbliche di particolare rilevanza o di interesse sovracomunale eseguite dai co� muni, dalle province e dai loro consorzi�, senza introdurre alcuna sottodistinzione interessante particolari regioni. E, d'altra parte, pur se la Corte annullasse l'art. 9, primo comma, non cadrebbe certo la generale competenza della. Cassa depositi e prestiti, bens� ridiverrebbero applicabili ai mutui in questione i generici criteri gi� fissati dal legislatore statale circa i finanziamenti da attribuire in tal senso agli enti locali; sicch� risulterebbe soddisfatta in minor grado l'esigenza di legalit� della pubblica amministrazione, senza che la competenza rivendicata dalle Regioni ricorrenti ne fosse rafforzata od allargata in alcun modo. Nondimeno, tutto questo non significa che vengano cos� trascurati i �programmi regionali di sviluppo�, l� dove essi siano entrati in vigore e nella misura in cui possano incidere sulla concessione dei mutui in esame; e che dunque non valgano, in questo stesso campo, i princ�pi stabiliti dall'art. 11, terzo e quarto comma, del d.P.R. n. 616 del 1977 (�Nei programmi regionali di sviluppo gli interventi di competenza regionale sono coordinati con quello dello Stato e con quelli di competenza degli enti locali territoriali. La programmazione costituisce riferimento per il coordinamento della finanza pubblica�). Non va infatti condiviso l'assunto delle Regioni..., per cui l'art. 9, primo comma, del d.l. n. 55 del 1983 avrebbe implicitamente abrogato (od obliterato) l'art. 9, quinto comma, del d.l. n. 38 del 1981. Al contrario, va tenuto presente che l'art. 9, primo comma, del d.l. n. 38 concerne il finanziamento degli enti locali da parte della Cassa, per tutto �il triennio 1981-83 �; ed � in questo arco temporale che va rispettata la previsione del quinto comma, in base alla quale -di norma -� nelle regioni in cui siano stati approvati programmi regionali di sviluppo, gli enti locali, nella individuazione delle opere per le quali richiedere il finanziamento alla Cassa depositi e prestiti, devono riferirsi agli indirizzi programmatici contenuti nei programmi stessi... �. N� tale previsione � stata comunque alterata, per effetto del citato art. 11 del d.l. n. 786 del 1981, che si � limitato ad elevare gli importi disponibili nel 1982 e nel 1983, ovvero per effetto della norma impugnata, che anzi fa espresso richiamo all'art. 11 e dunque si collega alla legislazione precedente. Anche sotto questo aspetto i ricorsi regionali vanno perci� rigettati. E l'infondatezza delle censure mosse al primo comma dell'art. 9 coinvolge RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 28 le corrispondenti impugnative del quarto comma (riguardante gli iden� tici criteri di concessione dei mutui per gli esercizi 1984 e 1985), del sesto comma (sui poteri spettanti al Ministro del tesoro quanto ai fondi previsti dal primo comma, lett. b), del nono e del decimo comma (nelle parti concernenti le modalit� di finanziamento della ferrovia metropoli� tana di Milano). Ragioni in parte analoghe a quelle esposte nei riguardi dell'art. 9 inducono la Corte a ritenere non fondate le questioni di legittimit� costi� tuzionale dell'art. 11 del d.l. n. 55, rispettivamente sollevate da Lombardia e Liguria. La prima di tali Regioni, infatti, impugna il terzo comma dell'articolo stesso, per cui � le province, d'intesa con i relativi comuni e le comunit� montane, sono autorizzate ad assumere mutui per il finanziamento di investimenti di carattere sovracomunale per la tutela dell'ambiente e la difesa del territorio, per il rifornimento idrico, per lo smalti� mento dei rifiuti e per le infrastrutture a sostegno dei settori produttivi �: lamentando ancora una volta che ne verrebbe lesa la �competenza programmatoria, legislativa e amministrativa della Regione�, in ulteriore violazione del coordinamento prescritto dal primo comma dell'art. 119 Cost. La seconda Regione ricorrente chiede invece l'annullamento dell'intero art. 11, ivi comprese -a quanto sembra -le disposizioni iniziali per cui � i comuni singoli od associati e le comunit� montane possono deliberare convenzioni dirette ad affidare alla provincia la progettazione e l'esecuzione di opere pubbliche di interesse comunale�; mentre � le province, attraverso i propri uffici, possono prestare assistenza tecnica, a favore dei comuni, delle comunit� montane e delle unit� sanitarie locali situati nel territorio della circoscrizione provinciale che ne facciano richiesta�. Ma anche la Liguria, nel motivare il ricorso, si limita a ribadire che tali disposti non riservano alla Regione alcuna �partecipazione ai relativi procedimenti di programmazione�. Per respingere siffatte denunce, basta ora aggiungere che tanto la facolt� di deliberare le convenzioni di cui al primo comma e di prestare l'assistenza tecnica prevista nel comma successivo, quanto l'autorizza. zione ad assumere mutui, ai sensi e nei limiti di cui al terzo comma, concorrono a potenziare l'autonomia amministrativa e finanziaria delle province, nonch� dei comuni e delle comunit� montane che agiscano d'in� tesa con le amministrazioni provinciali; sicch� l'annullamento delle previsioni in esame non farebbe che comprimere l'autonomia medesima, senza affatto arricchire le potest� attribuite alle regioni dagli artt. 117 e 119 Cost. E non si pu� confondere il problema della legittimit� costituzionale dell'art. 11 con il problema dell'efficacia spettante ai programmi regionali di sviluppo: poich� la seconda questione va distintamente affrontata e risolta, considerando in modo puntuale -regione per regione i singoli indirizzi programmatici dei quali si tratti e la loro eventuale PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE incidenza sull'esecuzione di opere pubbliche da parte dei rispettivi enti autonomi territoriali. La sola Regione Liguria impugna altres� l'art. 16 del d.l. n. 55, con particolare riguardo al capoverso, per cui la somma di lire 120 miliardi, determinata dal comma precedente, � parzialmente destinata � alle spese di gestione delle comunit� montane da parte del Ministero del bilancio e della programmazione economica mediante assegnazione a. ciascuna comuni� montana dell'importo di lire trenta milioni, oltre a lire 1.000 per abitante residente nel territorio montano della comunit� �. Sul medesimo piano degli artt. 9 ed 11, anche l'art. 16 incorrerebbe, infatti, nel vizio di prevedere �l'assegnazione diretta di finanziamenti alle comunit� montane �, ignorando del tutto il livello regionale; e la violazione del � ruolo programmatorio della regione �, implicitamente garantito dagli artt. 117 e 119 Cost., risulterebbe tanto pi� evidente, dal momento che la legge 23 marzo 1981, n. 93, dispone invece che i fondi destinati allo sviluppo della montagna (in base agli artt. 1, 2 e 5 della legge 3 dicembre 1971, n. 1102) vengano assegnati alle regioni ed alle province autonome di Trento e Bolzano, affinch� siano esse a ripartirli fra le varie comunit� dei rispettivi territori. Posta in questi termini, per�, l'impugnativa non appare correttamente impostata, poich� non sussiste il preteso contrasto fra la norma in esame e la legge n. 93 del 1981. Altro, in realt�, � lo sviluppo della montagna cui si riferisce l'art. l, primo comma, della legge n. 93, relativamente al quale l'art. 16 del d.l. n. 55 non introduce alcun elemento di sostanziale novit� (ch� anzi il primo comma. dell'articolo stesso rimanda appunto alla legge predetta, per quanto attiene alle �finalit�� da essa indicate e soddisfatte nella sua parte iniziale); ed altro sono � le spese di gestione delle comunit� montane �, che evidentemente non concernono l'attuazione dei � piani di sviluppo economico-sociale � approntati da ciascuna comunit� ed approvati dalle competenti amministrazioni regionali o provinciali, ma si risolvono in una serie di spese correnti, puramente strumentali rispetto al momento della programma, zione. Non a caso, le indennit� spettanti agli amministratori ed il trattamento del personale tecnico ed amministrativo assunto dalle comunit� montane sono gi� stati distintamente considerati dagli artt. 6 e 7 della legge n. 93, con una disciplina sostanzialmente identica per tutti gli enti in questione. Ed � significativoche lo stesso art. 2 della legge n. 93, nel disciplinare la � ripartizione di fondi tra le comunit� montane �, precisi espressamente che i finanziamenti regionali si devono integrare e coordinare -fra l'altro -�con quelli determinati ad altro titolo da leggi statali�. Ma, al di l� di questo, la denuncia proposta dalla Regione Liguria non raggiunge comunque un livello costituzionale, dato che la norma 30 � RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO impugnata non incide affatto sul ruolo riconosciuto alle regioni dagli artt. 117 e 119 Cost. Come la Corte ha gi� chiarito con la sentenza n. 212 del 1976, svolgendo considerazioni che si attagliano in particolar modo al caso delle �spese di gestione delle comunit� montane�, la legge n. 1102 del 1971 ha attribuito alle regioni �una competenza che non va ricon~ dotta a quella radicata nelle materie indicate nel comma 1 dell'art. 117 Cost., ma rientra, invece, nell'�mbito del comma 2 dello stesso articolo, a tenore del quale le leggi della Repubblica possono demandare alla Regione il potere di emanare norme per la loro attuazione �. Coerentemente, dottrina e giurisprudenza della Corte di cassazione concordano nell'assumere che le comunit� montane hanno la natura di enti locali autonomi, istituiti per il perseguimento di finalit� potenzialmente generali, non gi� di enti funzionali o dipendenti dalle regioni. Ed anche la legislazione statale ordinaria � costante nell'assimilare le comunit� montane agli enti territoriali minori, come gi� risulta dall'art. 1, primo comma lett. e, della legge n. 382 del 1975 (nonch� dall'art. 2 del d.P.R. n. 616 del 1977) e poi dall'art. 15, primo e terzo comma, della legge n. 833 del 1978, per non dire del citato art. 11 dello stesso decreto-legge in esame. Perci�, la circostanza che il Ministero del bilancio e della programmazione economica assegni direttamente alle singole comunit� gli importi occorrenti per il normale funzionamento dei loro apparati, in misure parte identiche e parte proporzionali al numero degli abitanti nei loro territori montani, non implica alcuna lesione dell'autonomia regionale costituzionalmente garantita. A loro volta, le Regioni Lombardia ed Emilia-Romagna hanno sollevato questione di legittimit� costituzionale dell'art. 27, quarto comma,. del d.l. n. 55, nella parte in cui si dispone che il dieci per cento dei �diritti di stato civile� sia �destinato alla costituzione di un fondo per la formazione professionale degli ufficiali di stato civile, gestito secondo le modalit� di cui all'art. 42 della legge 8 giugno 1962, n. 604 �. Entrambe le ricorrenti, con identiche motivazioni, deducono che l'istituzione del � fondo � predetto, in quanto erogabile a cura del Ministro per l'interno, violerebbe la competenza che il primo comma dell'art. 117 Cost. riserva alle regioni in materia d'istruzione professionale; tanto pi� che le sole funzioni amministrative tuttora rimaste in tal campo allo Stato -secondo l'art. 40 n. 2 del d.P.R. n. 616 del 1977 -concernono �l'attivit� di formazione ed addestramento professionale svolta dalle Forze armate e dai Corpi assimilati e, in genere, dall'amministrazione dello Stato, ivi comprese le aziende autonome, per i propri dipendenti �. Ora, la Corte � dell'avviso che la norma in questione comporti effettivamente una deroga alle regole fissate in via generale dal d.P.R. n. 616. Da un lato, le funzioni di ufficiale di stato civile sono ordinariamente affidate ad amministratori e dipendenti comunali; ed � ciascun comune PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE che �ha un ufficio di stato civile�, in base all'art. 1, primo comma, del r.d. 9 luglio 1939, n. 1238. D'altro lato, non pu� esser condiviso l'iniziale assunto dell'Avvocatura dello Stato, per cui la configurazione del �fondo � in esame troverebbe fondamento nella facolt� spettante agli enti pubblici di svolgere � attivit� di perfezionamento del proprio personale � (in base all'art. 41, terzo comma, del citato decreto presidenziale) e nella conseguente potest� statale di finanziare gli enti medesimi; al contrario, � lo stesso art. 41 del d.P.R. n. 616, che nel secondo comma fa divieto allo Stato di stanziare � somme a favore di soggetti pubblici e privati per finalit� inerenti all'attivit� di istruzione professionale ..., salvo che per attivit� di studio, ricerca e sperimentazione �. Ma la presente questione di legittimit� costituzionale non si presta ad essere risolta -come l'Avvocatura dello Stato ha avvertito nella memoria depositata in vista della pubblica udienza -senza tener conto dell'estrema peculiarit� dell'ordinamento dello stato civile. Qualunque sia la discussa natura dei rapporti che si instaurano in tal campo fra i comuni e lo Stato (e valgano o meno, in proposito, le definizioni proposte dalla sentenza n. 104 del 1973, relativamente alla delimitazione degli spazi affissionali per la propaganda elettorale), certo � che servizi o fun� zioni del genere non sostanziano l'autonomia comunale, ma vanno esercitati dai comuni stessi alla stregua di apparati dipendenti, in quanto obbligati nei confronti dello Stato, che deve considerarsi -quanto meno -l'effettivo titolare degli interessi da curare in materia. Per averne la dimostrazione, giova anzitutto ricordare come gi� nell'art. 152 n. 2 della legge comunale e provinciale del 1915 si precisi che il Sindaco �quale ufficiale del Governo � incaricato sotto la direzione delle autorit� superiori... di tenere i registri dello stato civile a norma delle leggi �. Ma, principalmente, � nell'� or.dinamento dello stato civile �, cio� nelle disposizioni del citato r.d. n. 1238 del 1939, che risalta la singolarit� delle funzioni in esame. Vero � che -in base all'art. 3 di tale �ordinamento� ogni delegazione delle funzioni medesime dal Sindaco alle altre persone indicate nell'art. l, terzo e quarto comma, �deve essere approvata dal procuratore della Repubblica�; che �gli ufficiali dello stato civile� -in base all'art. 13, primo comma -�si devono conformare alle istruzioni che loro vengono date dal Ministero di grazia e giustizia� e sono inoltre -in base al capoverso del medesimo articolo -�sotto l'immediata e diretta vigilanza dei procuratori della Repubblica�; che i procuratori stessi dispongono degli ampi poteri di rettificazione degli atti, di cui agli artt. 165 e seguenti; che ogni pretore � tenuto a sua volta -in base agli artt. 179 e seguenti -alla verificazione dei registri dello stato civile ed al controllo sull'osservanza delle vigenti norme di legge. In breve, ci� offre la rjprova che la formazione degli ufficiali dello stato civile non pu� considerarsi riservata alle regioni. Al contrario, essa RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO 32 � tanto connessa al buon andamento dei servizi in questione ed alla soddisfazione di interessi che sicuramente� fanno capo allo Stato, da determinare un caso per s� stante; sicch� l'impugnato art. 27, quarto comma, si � legittimamente discostato dai criteri generali di riparto delle competenze in, tema d'istruzione professionale. (omissis) La disciplina dettata dal d.l. n. 55, nei riguardi delle �aziende locali di trasporto�, forma l'oggetto di una serie di impugnative regionali: fra cui vanno previamente esaminate quelle che tutte le Regioni ricorrenti rivolgono all'art. 31, primo comma... Pi� precisamente, il primo comma dell'art. .31 (integralmente convertito dalla legge n. 131 del 1983) viene denunciato nella parte che impone alle regioni di provvedere al � definitivo equilibrio delle gestioni delle aziende locali di trasporto, ... mediante: a) l'integrazione della eventuale differenza tra la quota regionale derivante dalla ripartizione del Fondo nazionale trasporti per l'anno 1983 e la somma delle erogazioni effettuate allo stesso titolo alle aziende nel 1982 � (anzich� limitarsi a quanto prescritto dalla lettera b) del comma stesso, concernente �i necessari adeguamenti tariffari stabiliti (dalle Regioni) con il concorso degli enti locali interessati�). Tutte le ricorrenti assumono, cio�, la conseguente violazione dell'art. 117, dal momento che verrebbe lesa l'autonomia legislativa regionale in materia di servizi di trasporto, e principalmente dell'art. 119 nonch� del quarto comma dell'art. 81 Cost. (interpretato alla stregua dell'art. 27 della legge n. 468 del 1978), dal momento che la norma impugnata non assegnerebbe alle regioni le risorse occorrenti per fronteggiare la spesa, ma conterrebbe solo la generica indicazione di riso11se liberamente destinabili (e gi� destinate) da parte regionale, come quelle derivanti dal �maggior gettit� dei tributi propri�, di cui si tratta nella parte finale dell'art. 31, primo comma, lett. a. (omissis) In ogni caso, le difese regionali e l'Avvocatura dello Stato concordano nel ritenere che la norma impugnata addossi alle regioni un onere del tutto nuovo, obbligandole ad imputare ai loro bilanci di previsione, mediante un corrispondente utilizzo dei � tributi propri �, la spesa occorrente perch� le aziende locali di trasporto beneficino, nel 1983, dello stesso volume di erogazioni comunque ricevute da parte regionale nel 1982 (poco importa se a titolo di necessario �ripiano dei disavanzi di esercizio � o. di � contributi di esercizio � liberamente disposti dalla Regione, in base all'art. 9 oppure all'art. 6 della legge-quadro 10 aprile 1981, n. 151). L'unica alternativa, prevista dalla gi� ricordata lettera b dello stesso art. 31, primo comma, � infatti rappresentata dai �necessari adeguamenti tariffari�; ma le parti sono di nuovo concordi, nel riconoscere che il legi� slatore statale ha voluto evitare un eccessivo aumento delle tariffe e, appunto per questo, ha fatto gravare in prima linea sui bilanci regionali l'onere in esame. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 33 Definita in tal senso, la questione � fondata, poich� l'art. 31, primo comma lett. a, collide con gli artt. 117 e 119 Cost. e, di riflesso, viola anche il quarto comma dell'art. 81. Imporre alle regioni obblighi del genere contrasta anzitutto con ci� che la Costituzione prescrive nel secondo comma dell'art. 119: ossia che le regioni dispongano di �tributi propri� (oltre che di �quote di tributi erariali�), per fronteggiare autonomamente � le spese necessarie ad adempiere le loro funzioni normali �, in chiara contrapposizione ai �contributi speciali� previsti dal terzo comma, in ordine ai quali lo Stato pu� invece vincolare l'esercizio della legislazione e dell'amministrazione regionale. Se dunque si ammettesse che, in nome di qualsivoglia esigenza di coordinamento finanziario, lo Stato possa ricorrere ai tributi regionali � propri �, individuando nel loro gettito il mezzo per fronteggiare spese di interesse nazionale, l'autonomia legislativa locale verrebbe irrimediabilmente vulnerata, assieme all'autonomia finanziaria considerata sul versante delle uscite. N� si pu� dire che il provvedimento in esame trovi alcun sostegno nei � princ�pi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato�, cui la legislazione delle regioni ordinarie si deve pur sempre attenere, nelle materie indicate dall'art. 117 Cost. Da una parte, in base alla generalissima norma di principio dettata dall'art. 21, primo comma, della legge 19 maggio 1976, n. 335, � tutte le somme assegnate, a qualsiasi titolo dallo Stato alla regione, confluiscono nel bilancio regionale, senza vincolo a specifiche destinazioni, salvo il caso di assegnazioni in corrispondenza di deleghe di funzioni amministrative... (e) salvo il caso di assegnazioni per il finan� ziamento dei programmi ulteriori di sviluppo ... �. D'altra parte, � vero che nel campo del quale si tratta la citata legge-quadro ha istituito, oltre al �fondo per gli investimenti�, l'apposito �Fondo nazionale per il ripiano dei disavanzi di esercizio delle aziende di trasporto pubbliche e private � (cfr. ancora l'art. 9 della legge n. 151 del 1981). Ma tale � Fondo � -anche perch� finanziato mediante la corrispondente ridu� zione delle erogazioni spettanti a ciascuna regione ai sensi degli artt. 8 e 9 della legge n. 281 del 1970 -viene assegnato dalle amministrazioni regionali sulla base di autonome scelte, sia pure nel rispetto dei criteri fissati dall'art. 6 della legge n. 151. E, parallelamente, l'art. 5 cpv. si limita a stabilire che le regioni non possono stanziare in materia somme inferiori alla rispettiva quota del �Fondo�, con ci� stesso ammettendo che gli ulteriori �contributi di esercizio�, siano il frutto di libere determinazioni legislative locali; mentre l'art. 6, terzo comma, aggiunge che �le eventuali perdite o disavanzi non coperti dai contributi regionali come sopra determinati restano a carico delle singole imprese od esercizi di trasporto �. Ora, la norma impugnata non si pone certo sul medesimo piano di queste disposizioni, espressamente qualificate � princ�pi fondamentali � RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 34 dall'art. 1 della legge-quadro; ma si risolve in un provvedimento derogatorio, destinato a vigere per il solo anno in corso, e tanto pi� singo� lare in quanto oneri siffatti sono stati in precedenza sostenuti dallo Stato stesso (si veda l'art. 18, �quarto comma, del d.l. n. 38 del 1981, �ome sostituito dalla legge di conversione n. 153 del 1981). Per poter porre a carico delle regioni la spesa in questione, sarebbe dunque occorso -quanto meno -che l'art. 31, primo comma lett. a, determinasse una apposita copertura finanziaria, ai sensi dell'art. 27 della legge n. 468 del 1978, anzich� valersi di risorse indisponibili allo scopo. Ed � appunto in quest'ultimo senso -come gi� si accennava -che dalla violazione degli artt. 117 e 119 discende un ulteriore vizio di legittimit� costituzionale, per <:ontrasto con l'art. 81, quarto comma della Costituzione. Vanno invece respinte le analoghe censure, mosse dalle Regioni Emilia-Romagna e Lombardia ai commi 5.1, 5.2 e 5.3 dell'art. 31 (ovvero ai commi sesto, settimo ed ottavo dell'articolo stesso, secondo la termi� nologia dei due ricorsi). Ben diversamente dalla lettera a del primo comma, le disposizioni aggiunte in sede di conversione precisano che, alle con� dizioni ivi indicate, �le regioni sono autorizzate a corrispondere un contributo integrativo in misura comunque non superiore al 13 per cento della quota attribuita nel 1982 a ciascuna azienda�, per poi chiarire che tali erogazioni, liberamente disposte dalle amministrazioni regionali, � vengono riconosciute in aumento alla quota del Fondo nazionale trasporti loro spettante per l'anno 1984, ai sensi della legge 10 aprile 1981, n. 151 �. Impropriamente, perci�, le due ricorrenti deducono una conseguente � lesione della competenza legislativa, programmatoria, amministrativa e fi. nanziaria delle Regioni�; ed aggiungono che, in sostanza, verrebbe cos� imposto un nuovo onere alle regioni medesime, a fronte di una generica � promessa � di rimborso delle somme da esse erogate, che non costi� tuirebbe �valida indicazione di copertura�. In realt�, gli ulteriori contributi, previsti dal comma 5.2 dell'art. 31, sono pur sempre -giuridicamente -il frutto di un'autonoma determinazione regionale effettuata sulla base del citato art. 5 cpv. della legge-quadro in tema di trasporti pubblici locali; sicch� non ne deriva nessun onere che sia stato posto a <:arico dei bilanci regionali, senza l'indicazione dei mezzi per farvi fronte. E del comma 5.2 deve darsi comunque una lettura combinata con quella del comma 5.3: nel senso che le condizioni indicate dal primo di tali disposti vanno rispettate -come appunto osserva l'Avvocatura dello Stato -al solo scopo di consentire che le erogazioni in esame possano �trovare finanziamento a carico dello Stato�. Cos� ricostruiti, i commi aggiunti all'art. 31 del d.l. n. 55 non contrastano, dunque, con alcuno dei parametri costituzionali richiamati dalle ricorrenti. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Sempre in tema di trasporti pubblici locali, la sola Regione EmiliaRomagna impugna ancora l'art. 31 del d.l. n. 55, relativamente ai commi secondo, terzo, quarto e quinto. Incidendo sulla determinazione delle �tariffe minime�, fissando i criteri da seguire nella previsione di � abbonamenti speciali per lavoratori� e nella definizione delle relative tariffe, condizionando l'applicazione delle � concessioni di viaggio gratuite e ridotte � al corrispondente rimborso del � prezzo di ogni documento di viaggio � da parte degli enti locali o delle regioni che abbiano deliberato le concessioni stesse, l'art. 31 avrebbe infatti dettato disposizioni di ultimo dettaglio, invasive della competenza regionale garantita dall'art. 117, primo comma, della Costituzione (anche in relazione all'art. 84 del d.P:R. n. 616 del 1977 ed all'art. 6 della legge-quadro n. 151 del 1981). Ma la questione � infondata in tutti i suoi aspetti. Le disposizioni in esame, sebbene contenute in una legge recante � provvedimenti urgenti per il settore della finanza. locale per l'anno 1983 �, hanno un'efficacia permanente nel tempo e valgono ad integrare la disciplina statale di principio in materia di trasporti: perseguendo l'obiettivo, gi� messo in evidenza dalla parte iniziale dell'art. 6 della stessa legge-quadro, dell'autosufficienza economica delle aziende; ed impedendo, pertanto, che gli utenti dei singoli servizi siano privilegiati, senza adeguate ragioni giustificative da valutare con metri fondamentalmente uniformi su tutto il territorio nazionale. � a queste esigenze che rispondono, in particolar modo, i rimborsi correlati alle � concessioni di viaggio gratuite o ridotte � e le indicazioni miranti a garantire che gli � abbonamenti speciali per lavoratori � siano oggettivamente tali, cio� si riferiscano -come precisa il terzo comma dell'art. 31 -� a mezzi di linea indispensabili a collegare l'abitazione con il luogo di lavoro �, nei giorni e negli orari interessati dall'attivit� lavorativa. Ma anche la fissazione degli inderogabili minimi di 300 e 400 lire per i biglietti di �corsa semplice� (o di 400 e 500 lire per i biglietti �con validit� oraria sull'intera rete urbana�), secondo il nu� mero degli abitanti le citt� in questione, non fa che sviluppare il principio gi� stabilito dall'art. 6, primo comma lett. b, della ricordata leggequadro, per cui � i ricavi del traffico ... debbono coprire il costo effettivo del servizio�, nelle misure minime fissate sul piano nazionale. (omissis) La Regione Lombardia, con il ricorso notificato il 28 maggio 1983, promuove altre due questioni di legittimit� costituzionale, aventi en� trambe ad oggetto l'art. 9 della legge n. 130 del 1983, che reca disposizioni in materia di personale. La prima concerne i commi terzo e quarto del predetto articolo, nella parte relativa al �blocco� delle assunzioni nelle unit� sanitarie locali. Il divieto fatto dal comma terzo, con carattere di generalit� nell'ambito del pubblico impiego, � di procedere ad assunzioni anche temporanee a qualsiasi livello, comprese quelle relative a vacanze organiche RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 36 o comunque gia progammate �, si rivolge, infatti, esplicitamente anche � al servizio sanitario nazionale �, Ed il successivo quarto comma, nel disporre che spetta al Presidente del Consiglio dei ministri, valutate le eventuali necessit�, determinare con proprio decreto, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Ministro del tesoro, � i casi in cui sia indispensabile procedere ad assunzioni di personale nelle amministrazioni e negli enti di cui al precedente comma�, si applica evidentemente anche alle assunzioni di personale nelle unit� sanitarie locali, nelle quali appunto si articola il servizio sanitario nazionale. La Regione ricorrente a~sume che tali disposizioni sono lesive, in parte qua, della competenza, che le � riconosciuta dalla legge 23 dicembre 1978, n. 833, istitutiva del servizio sanitario nazionale, di programmare sul proprio territorio l'organizzazione e la gestione del servizio sanitario sotto l'essenziale profilo della provvista del personale necessario, previsto nelle piante organiche, che spetta ad essa disciplinare (art. 15, undicesimo comma, n. 4, della legge n. 833 del 1978, come modificato dall'art. 13 della legge 26 aprile 1982, n. 181); e di ripartire tra le unit� sanitarie locali la quota ad esse assegnata del fondo sanitario nazionale (art. 51, quarto comma, della legge n. 833 del 1978). Ulteriore violazione della competenza regionale in subiecta materia sarebbe costituita dall'attribuzione al �Presidente del Consiglio dei ministri e al Consiglio dei ministri dell'esclusivo potere di valutare le necessit� delle U.S.L. e di determinare � i casi in cui sia indispensabile procedere ad assunzioni di personale�: in tal guisa sarebbe stato, infatti, attribuito ad organi statali un _Potere estraneo alle funzioni di indirizzo e coordinamento riservate allo Stato dalla legge n. 833 del 1978, e per di pi� non vincolato all'osservanza di criteri o princ�pi prestabiliti dal legislatore, s� che ne risulterebbe violata anche la riserva di legge sancita dalla Costituzione, tanto nell'art. 97, in materia di organizzazione dei pubblici uffici, quanto nell'art. 119, in materia di coordinamento tra la finanza statale, regionale e locale. L'Avvocatura dello Stato obietta che l'impugnato divieto di assunzione di personale nelle unit� sanitarie locali si pone come misura di carattere �transitorio�, adottata per una finalit� di interesse generale, � in rapporto ad una esigenza di freno alla dilatazione della spesa pubblica �. Al riguardo la Corte deve richiamare quanto gi� innanzi osservato, a proposito della eventuale incidenza di misure di carattere eccezionale ed urgente, quali � blocchi �, � tetti �, � congelamenti � e cos� via, su aree di competenze ed interessi costituzionalmente garantiti, che vanno, quindi, in ogni caso rispettati. Non di meno, per quanto tocca il divieto di assunzione di personale nelle unit� sanitarie locali per il 1983, sancito dal denunciato terzo comma dell'art. 9 della legge n. 130 del 1983, va riconosciuto che esso, circoscritto com'� in limiti temporali PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE non irragionevoli, e temperato dalla possibilit� di deroga in caso di necessit�, cui non sia dato sopperire in altro modo, resiste alle mosse censure di illegittimit� costituzionale. Sono, invece, le modalit� della deroga al blocco, come strutturata nel comma quarto, anch'esso impugnato, dello stesso art. 9, che incidono sulla competenza regionale in materia di organizzazione del personale delle unit� sanitarie locali, e del correlativo finanziamento. Giova in proposito considerare che la materia in cui trattasi attiene all'� assistenza sanitaria ed ospedaliera�, attribuita alle regioni dall'art. 117 della Costituzione. Alle regioni medesime � perci� costituzionalmente riservata la generalit� delle correlative funzioni amministrative, salve -da un lato -la funzione statale di indirizzo e coordinamento e -dall'altro -le funzioni �di interesse esclusivamente locale�, identificate dalle leggi della Repubblica in base al primo comma dell'art. 118 della Costituzione. Appunto in quest'ultimo senso, con esplicito riferimento a tale norma della Costituzione, l'art. 32, primo comma, del d.P.R. n. 616 del 1977 attribuiva ai comuni, singoli ed associati, tutte le funzioni amministrative relative alla materia dell'assistenza sanitaria ed ospedaliera, che non fossero �espressamente riservate allo Stato, alle Regioni e alle Province �. Ma il secondo comma dello stesso art. 32 dichiarava di spettanza regionale �stabilire i criteri di programmazione e di organizzazione dei servizi � in questione; ed il successivo terzo comma affidava -tra l'altro -alle leggi regionali la disciplina dell'� utilizzo del personale da parte degli enti gestori �. Per contro, nessuna funzione amministrativa incidente sul punto veniva riservata allo Stato dall'art. 30 dello stesso d.P.R. n. 616. Anche la legge n. 833 del 1978 riserva allo Stato ampi poteri in materia, ma sotto forma di programmazione economica e sanitaria nazionale (art. 3), di legislazione ordinaria e delegata (artt. 4 e 47, terzo comma), di indirizzo e coordinamento delle attivit� amininistrative regionali (art. 5); non gi� sotto forma di provvedimenti amministrativi puntuali, relativi 1alle singole unit� sanitarie locali, come quello (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1� agosto 1983 in Gazzetta Ufficiale n. 215 del 1983) emanato dal Governo in applicazione della norma impugnata. In tema di struttura e funzionamento delle singole unit� sanitarie locali, come pure in tema di organizzazione e gestione dei singoli servizi previsti dalla legge di riforma (artt. 15 segg.), competente �, infatti, la regione, sia pure in applicazione delle leggi e delle direttive statali. E, prima ancora, � alla regione che spetta, in base all'art. 11, secondo comma, lett. e), della citata legge n. 833 del 1978, �assicurare la corrispondenza tra i costi dei servizi e relativi benefici �, I princ�pi anzidetti hanno trovato applicazione nella stessa Jegge delegata (d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761) che ha disciplinato lo stato giuridico 38 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO del personale delle unit�. sanitarie locali. Tra le numerose norme che fanno Iiferimento alla regione si possono rico11dare:. l'art. l, che prevede l'inquadramento di tale personale � in ruoli nominativi regionali, istituiti e gestiti dalla regione �; gli artt. 9 e 12, secondo cui i pubblici concorsi per le assunzioni in servizio sono banditi ed espletati dalla regione; l'~t. 43, p:..r cm il dipendente, per esigenze di servizio di carattere temporaneo, pu� essere inviato dalla regione in missione presso localit� diversa da quella in cui presta servizio; l'art. 44, per cui il personale pu� essere comandato, con provvedimento regionale, a prestare servizio presso l'altra unit� sanitaria locale. Sulla base dei ricordati princ�pi appare chiaro che l'ente deputato alla supervisione delle esigenze rappresentate dalle unit� sanitarie locali per l'assunzione di personale in deroga al blocco vigente per l'anno 1983, ed alla conseguente emanazione, ricorrendone i presupposti, di puntuali provvedimenti autorizzativi, non pu� essere altri che la regione territorialmente c..ompetente; ferma restando allo Stato, ovviamente, nell'esercizio delle !unzioni di indirizzo e coordinamento, la determinazione dei criteri eventualmente occorrenti per soddisfare -tra l'altro -:le � esigenze di rigo1 e e di efficacia della spesa sanitaria�, di cui all'art. 5, primo comma, della citata legge n. 833 del 1978. Per le suesposte considerazioni l'art. 9, comma quarto, della legge n. 130 del 1983 appare lesivo dell'autonomia regionale e, pertanto ne va dichiarata lc1 illegittimit� costituzionale nella parte in cui non prevede che siano le regioni (anzich� il Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Ministro del tesoro) a determi:aare, valutate '1e eventuali necessit�, i singoli casi in cui sia indispensabile procedere ad assunzione di personale nelle unit� sanitarie locali esistenti nell'ambito territoriale di rispettiva competenza. L'altra questione avente ad oggetto l'art. 9 della fogge n. 130 del 1983, egualmente promossa dalla Regione Lombardia con il ricorso notificato il 28 maggio 1983, si riferisce, invece, al quinto comma di detto articolo. Con esso si dispone che � per le esigenze del coordinamento della finanza pubblica di cui alla presente legge il Consiglio dei ministri emana atti di indirizzo e coordinamento per le amministrazioni regionali al fine di delimitare l'incidenza di nuove assunzioni di foro competenza sulla spesa delle regioni, in armonia con le disposizioni di cui ai due commi precedenti � dello stesso articolo. Secondo la Regione ricorrente, l'impugnata disposizione non pu� giustificarsi in nome della funzione di indirizzo e coordinamento, poich� mancherebbe in essa ogni indicazione di criteri per l'emanazione ed il contenuto degli atti di indirizzo, dandosi cos� vita ad un potere discrezionale del Governo, in violazione dei princ�pi di legalit� e di riserva di legge, di cui agli artt. 97, 117 e 119 della Costituzione. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE La questione non � fondata. Non v'ha dubbio che anche nell'emana� zione di atti amministrativi di indirizzo e coordinamento il Governo sia vincolato dal principio di !legalit�. Per il legittimo esercizio della funzione in forma amministrativa si richiede, come affermato da questa Corte nella sentenza n. 150 del 1982, l'esistenza di una specifica disposizione legislativa la quale, in apposita considerazione della materia che di volta in volta esige fintervento degli organi centrali, vincoli e diriga la scelta del Governo, prima che questo possa, dal suo canto, indirizzare e coordinare lo svolgimento di poteri di autonomia. Ma nel caso in esame la denunciata norma non appare priva dei cennati requisiti. Infatti, come rileva l'Avvocatura dello Stato, essa prevede il possibile contenuto degli atti di indirizzo e coordinamento, rappresentato non da pure e semplici prescrizioni di blocco delle assunzioni, derogabile solo in casi stabiliti da organi governativi, ma dall'individuazione di limiti entro i quali debba risultare contenuta la spesa delle regioni derivante da nuove assunzioni, limiti superabili solo in presenza di valutazioni di indispensabilit�, da compiersi, ad opera dei competenti organi regionali, con procedure non ripro� duttive di quella configurata dal comma quarto dello stesso articolo, ma su di questa esemplate. Pertanto l'impugnata norma resiste alle mosse censure. Altra questione di legittimit� costituzionale promossa dalla Regione Lombardia con il ricorso notificato il 28 maggio 1983, � quella relativa all'art. 20, comma terzo, della Iegge n. 130 del 1983. Con detta norma � stata autorizzata la spesa di lire 30 miliardi, da iscrivere nello stato di previsione della spesa del Ministero dell'agricoltura e delle foreste per l'anno 1983, per la realizzazione, a cura del Ministero medesimo, �di progetti di forestazione industriale produttiva allo scopo di aumentare a breve termine la produzione legnosa forestale nazionale, promuovere una stabile e qualificata occupazione di mano d'opera forestale e favorire una pi� utile destinazione produttiva di terreni agricoli e forestali marginali �. Secondo la ricorrente Regione la norma � viziata da illegittimit� costituzionale, iu quanto autorizza e finanzia una attivit� di organi centrali dello Stato, che rientra, invece, nell'�mbito della competenza spettante alle regioni in materia di agricoltura e foreste, in base all'art. 117 della Costituzione ed agli artt. 66, primo e secondo comma, e 69, primo, secondo e quarto comma, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616. Inoltre, prevedendo la istituzione nel bilancio dello Stato di uno stanziamento relativo a spesa concernente funzioni trasferite alle regioni, la denunciata norma violerebbe il divieto fatto in proposito dall'art. 126, comma terzo, dello stesso d.P.R. n. 616 del 1977. La questione � fondata. Le funzioni amministrative trasferite alle regioni in attuazione dell'art. 117 della Costituzione, nella materia �agri� coltura e foreste�, concernono, tra l'altro, �i boschi, le foreste e le 40 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO attivit� di produzione forestale � e � le attivit� di preparazione professionale degli operatori agricoli e forestali�, secondo quanto dispone l'art. 66 del d.P.R. n. 616 del 1977, prendendo in considerazione il settore forestale appunto sotto il profilo produttivistico. Nello stesso decreto l'art. 69, preordinato alla protezione del settore medesimo in vista del fine pubblico che esso � destinato a perseguire, precisa che sono trasferite alle regioni tutte le funzioni esercitate dallo Stato concernente, tra l'altro, � le foreste, la propriet� forestale privata, i rimboschimenti �. Non v'� dubbio, dunque, che la � realizzazione di progetti di forestazione industriale produttiva � ricada nella competenza delle regioni e non del Ministero dell'agricoltura e delle foreste. N� appare adeguatamente suffragata la tesi dell'Avvocatura dello Stato, che si tratterebbe, cio�, di interventi che � trascendono l'interesse e quindi la competenza delle singole regioni �. La denunciata norma non prevede, invero, alcun collegamento programmatico od operativo a livello nazionale. D'altronde, ove si fosse trattato di un �intervento di competenza nazionale�, esso sarebbe rientrato nell'�mbito del successivo comma sesto dello stesso art. 20, che ha autorizzato per l'anno 1983 l'ulteriore spesa di lire 70 miliardi da iscrivere nello stato di previsione della spesa del Ministero dell'agricoltura e delle foreste, proprio �per gli interventi di competenza nazionale di cui all'art. 3 lett. c), della legge 27 dicembre 1977, n. 984 �. Legge, quest'ultima, che nel disciplinare il coordinamento degli interventi pubblici nei vari settori dell'economia agricola nazionale, prevede, fra l'altro, anche nel settore della forestazione, un piano nazionale e programmi regionali, nonch� 1a ripartizione dei finanziamenti fra gli interventi di competenza nazionale ed i programmi regionali. Per le esposte considerazioni va, dunque, dichiarata la illegittimit� costituzionale dell'art. 20, comma terzo, della legge n. 130 del 1983. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 5 maggio 1983, n. 127 -Pres. Elia -Rel. Ferrari -Presidente Consiglio dei Ministri e Regione Sicilia (vice avv. gen. Stato Carafa). Urbanistica -� Jus aedificandi � -Limiti -Concessioni edilizie -Doverosit�. (Cost., artt. 42 e 43; I. 28 gennaio 1977, n. 10, art. 17; I. reg. Sicilia, 27 dicembre 1978, n. 71, art. 36). Se la trasformazione edilizia-urbanistica progettata risulta rispettosa degli strumenti urbanistici, la concessione edilizia � atto dovuto (1). (1) Le ordinanze del giudice a quo meritavano una risposta breve. Forse meno opportuno � stato coinvolgere, tin una siffatta risposta, un argomento delicato e tuttora dtiscusso, quale !il oariattere � dovuto � o meno della conces� I ~ f I PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 41 (omissis) In seguito ad accertamenti disposti su opere edilizie in corso, taluni Sindaci di Comuni compresi nel mandamento di Trecastagni, dopo avere inutilmente ordinato la sospensione dei lavori, prima, e la demolizione delle opere, poi, denunziavano i fatti al Pretore per i provvedimenti di sua competenza. Questi, a sua volta, pur formulando variamente i capi d'imputazione, contestava a tutte le persone denunziate la contravvenzione di cui all'art. 17, lettera b), della menzionata legge n. 10 del 1977 in relazione, sia pure in un solo caso, agli artt. 1 stessa 1. n. 10 del 1977 e 36 della suddetta legge regionale n. 71 del 1978, e ne denunciava il loro contrasto con gli artt. 42 e 43 Cost. L'art. 17, lettera b), della legge n. 10 del 1977 prevede �l'arresto fino a sei mesi e l'ammenda fino a lire cinque milioni nei casi di esecuzione dei lavori in totale difformit� o in assenza della concessione o di prosecuzione di essi nonostante l'ordine di sospensione o di inosservanza del disposto dell'art. 28 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 e successive modificazioni�. (omissis) La legge 28 gennaio 1977, n. 10, recante norme �per l'edificabilit� dei suoli�, dopo aver enunciato in via di principio che �ogni attivit� comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale partecipa agli oneri ad essa relativi e l'esecuzione delle opere � subordinata a concessione da parte del Sindaco�, (art. 1), prescrive che � la concessione comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza delle spese di urbanizzazione nonch� al costo di costruzione � (art. 2); che Ǐ data dal Sindaco al proprietario dell'area o a chi abbia titolo per richiederla ... in conformit� alle previsioni degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi� (art. 4, primo comma); che Ǐ trasferibile ai successori o aventi causa�, �non incide sulla titolarit� della propriet� o di altri diritti reali ... ed � irrevocabile, fatti salvi i casi di decadenza� (art. 4, sesto comma); che �i proventi delle concessioni e delle sanzioni ... sono destinati alla realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, al risanamento di complessi edilizi compresi nei centri storici �, oltre che � all'acquisizione delle aree da espropriare per la realizzazione dei programmi pluriennali � (art. 12). sione ediliziia (la massima � un po' pi� circostanziata della motivazione). Un pizmco di contraddizione (politica pi� che tecniccrgiiuridica) pu� scorgersi tra le pronunce dn tema di determina:ll�one della dndennit� di esproprimone, che sembrano non riconoscere ag:li strumenti urbanistici una piena rilevanza (anche quanto 'ad efficaC�la �costitutiva� della edificabilit�) e la pronuncia dn rassegna che invece attribudsce a detti strumentd l'efficacia costitutiva delLa doverosit� de1la concessione: ma forse ll:a �disarmonia � conseguenm dell'essere il processo costituzionale troppo spesso un prolungamento della � tutela� giur�sdimonale del � privato �. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 42 Appare con tutta chiarezza che alla base della normativa de qua, di cui le disposizioni sopra trascritte sono quelle essenziali e qualificanti, permangono pur sempre gli strumenti urbanistici ed i regolamenti I edilizi, cio� gli atti che l'autorit� competente ha il potere-dovere di adot 't: tare nell'interesse pubblico, qual � quello di assicurare un ordinato i: assetto territoriale ed un armonico sviluppo urbanistico, evitando uno i sfruttamento disordinato, che non tenga in alcun conto soprattutto l'igiene e le caratteristiche degli abitati. Appare con altrettanta chiarezza I che � il proprietario dell'area o chi abbia titolo � in suo luogo, come testualmente si esprime la legge, ha �diritto � di edificare, se la costruzione risulta rispettosa della disciplina urbanistica, e che il provvedimento dell'autorit� che facoltizza l'esercizio del �diritto� in parola 1 -prescindendo per ora dal nomen juris datogli dal legislatore � un atto dovuto ed irrevocabile. (omissis) Ora, poich� la concessione che il proprietario ha l'onere di chiedere prima di dare inizio alla costruzione � prevista dalla legge, sicch� risulta rispettata la relativa riserva, e poich� ancora non v'� motivo -n� il giudice a quo l'ha prospettato -di ritenere che essa sia stata stabilita per uno scopo diverso da quello di assicurare nella specie la funzione sociale della propriet�, sicch� risulta avverata pure la seconda condizione posta dalla Carta costituzionale, � congruente dedurre la legittimit� del limite allo jus aedificandi, costituito dalla concessione in f: I discorso. N� varrebbe osservare in contrario che la test� affermata legittimit� del prescritto provvedimento risulterebbe inquinata dalle Il norme a sensi delle quali il proprietario, in tanto pu� ottenere la concessione, in quanto corrisponda al Comune, � all'atto del rilascio della I concessione�, un � contributo commisurato all'incidenza delle spese di urbanizzazione nonch� al costo di costruzione� (artt. 3, 5, 6, 11). � L'adempimento dei doveri inderogabili di solidariet� ... economica e sociale�, oltre che politica, � compreso tra i princ�pi della Costituzione, e per ! tanto una partecipazione agli oneri che� comporta una moderna urbaniz~ zazione (art. 1), ed i cui proventi sono espressamente destinati alla realizzazione delle relative opere (art. 12), non pu� di per s� ritenersi contra Constitutionem, salvo che non oltrepassi la soglia della ragionevolezza. In definitiva, allo stato della legislazione non si ravvisano elementi che inducano a negare la legittimit� costituzionale della �concessione� prevista dalla legge n. 10 del 1977. (omissis) Le ordinanze in esame poggiano sul duplice presupposto che � la concessione confe1isce al privato nuovi poteri o diritti ampliando la sua sfera giuridica� e che, pertanto, �attraverso la (apparentemente) innocua sostituzione della figura giuridica della concessione a quella della Iicenza �, si sarebbe verificata �la riserva originaria ai Comuni dello jus aedificandi �, cio� l'introduzione, nel nostro ordinamento, del � princi PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE pio rivoluzionario che lo jus aedificandi si appartiene ai Comuni e n�n ' ai privati �. La prospettazione, oltre che meramente assertoria, � palesemente unilaterale ed angusta, come unilaterale ed angusto � il quadro di riferimento, nel senso che tutte le ordinanze conoscono solo la prima parte della proposizione di cui all'art. 42, secondo comma, Cast., ignorando completamente la seconda parte. Come si � pi� sopra gi� rilevato la concessione dell'autorit� � dovuta, oltre che trasferibile ed irrevocabile, escludendosi, quindi, ogni valutazione discrezionale: se l'opera edilizia per la quale si chiede la concessione corrisponde alle previsioni degli' strumenti urbanistici, l'autorit� � tenuta a rilasciare la concessione. A fronte di questa disciplina � argomento manualistico lamentare che essa non corrisponda alla tradizionale concezione dell'istituto in parola. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 28 luglio 1983, n. 247 -Pres. Elia -Rel. Paladin -Tucci (n.p.). Tributi erariali in genere -Contenzioso tributario -Soggetto rimasto estraneo al processo tributario � Decisione della commissione tributaria -Non � vincolante agli effetti penali. (Cost., art. 24; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 56). Contrasta con l'art. 24 Cost., l'art. 56, ultimo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nella parte in cui comporta che l'accertamento dell'imposta divenuto definitivo in conse~uenza della decisione di una commissione tributaria vincoli il giudice penale, nella cognizione dei reati previsti in materia di imposte sui redditi, contestati a chi sia rimasto estraneo al giudizio tributario, perch� non posto in condizioni di intervenirvi o di parteciparvi . .(omissis) Questa Corte, con la sentenza n. 88 del 1982, ha dichiarato l'illegittimit� costituzionale degli artt. 60 e 21, terzo comma, della legge RASSEGNA DELL'AVVOCATURA. DELLO STATO 7 gennaio 1929, .n. 4, 1< nella parte in cui prevedono che l'accertamento dell'imposta �e della relativa sovrhnposta, divenuto definitivo in via amministrativa, faccia stato .nei procedimenti penali per la cognizione de.i reati preveduti dalle leggi tributarie .in materia di imposte dirette.�. Ma tale decisione non cons.ente� di. considerare gi� risolto, neppure in modo implicito, il caso che ora � in questione1 nel senso che le norme denunziate non si �prestino pi� a determinare le conseguenze ipotizzate e censurate dal giudice. a quo (secon�o la motivazione dell'ordinanza n. 95 di quest'anno), Effettivamente, la Corte ha avuto cura di precisare pi� volte, non solo, nel dispositivo ma nella motivazione della citata sentenza, che la pronuncia aveva esclusivo riguardo agli atti amministrativi dotati di efficacia vincolante per il giudice penale, impregiudicato restando il diverso problema dell'autorit� spettante agli accertamenti divenuti definitivi per effetto di un provvedimento giurisdizionale. Ora, nel giudizio pendente dinanzi al Tribunale di Ravenna, il giudice penale risulta vincolato dalla decisione di una Commissione tributaria; sicch� la presente questione non pu� essere confusa con quella esaminata dalla sentenza n. 88 del �1982, ma richiede di venire affrontata nel merito. A tal� fine, l'indagine va concentrata sull'art. 56, ultimo comma, del d.P,R. 29 settembre 1973, n. 600 (�Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi�), nella parte in cui si stabilisce che � l'azione penale per i reati di oui ai commi precedenti non pu� essere inizi.ata o proseguita prima che l'accertamento dell'imposta sia �livenuto definitivo �. � questa, infatti, fra le molte norme impugnate dal Tribunale di Raven.a, la sola che abbia tuttora una diretta rilevanza nel giudizio a qua -pur dopo l'abrogazione disposta, ma con effetto .dal 1� gennai<;> 19,83, mediante l'art. 13 del d.l. n. 429 del 1982, convertito nella legge n. 516 del medesimo anno -i. quanto interpretata ed applicata nel senso che l'accertamento divenuto definitivo per effetto della pronuncia di una Commissione tributaria abbia autorit� di cosa giudicata e d.nque faccia .stato nel conseguente giudizi<;> penale. Ed � su tale PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 45 norma che in sostanza si appuntano le censure dell'ordinanza di rimessione, � l� dove essa coinvolge anche casi in cui l'imputato sia rimasto estraneo, perch� impossibilitato a parteciparvi, al giudizio tributario in seguito al quale l'imposta dovuta sia stata definitivamente accertata: come appunto si � verificato nella specie, dal momento che l'art. 43 della legge fallimentare, privando il fallito della legittimazione processuale nelle controversie relative a rapporti di diritto patrimoniale, determina per esso l'impossibilit� giuridica di agire e difendersi dinanzi alle Commissioni tributarie, pur quando vengano in considerazione illeciti penali inerenti all'evasione delle imposte sui redditi. Cos� circoscritta, la questione � fondata. Ad esigere l'annullamento della norma denunciata, valgono ragioni analoghe a quelle che hanno gi� indotto la Corte a temperare -per mezzo di varie decisioni -il rigore della cosiddetta unit� della giurisdizione o del necessario coordinamento fra giurisdizioni diverse: nel cui nome si rendevano vincolanti vari tipi di accertamenti giurisdizionali, nei confronti di terzi che pur s'erano trovati nell'impossibilit� di intervenire o di assumere veste di parte nei relativi giudizi. Effettivamente, con la sentenza n. 55 del 1971, la Corte ha ritenuto che sotto questo aspetto l'art. 28 cod. proc. pen. (sull'autorit� del giudicato penale in altri giudizi civili o amministrativi) fosse incompatibile con la garanzia costituzionale del diritto di difesa. Nel medesimo senso ed entro analoghi limiti, la sentenza n. 99 del 1973 ha poi dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 27 cod. proc. pen. (sull'autorit� del giudicato penale nel giudizio di danno). Pi� di recente, la sentenza n. 102 del 1981 ha nuovamente affermato �che la subordinazione, anche per i terzi rimasti estranei, dell'esercizio dei diritti civilistici all'accertamento che ne sia risultato in sede penale, viene a violare non soltanto il diritto di difesa ma anche il diritto di azione, inibendo la possibilit� di dare la prova dei fatti posti a fondamento del propro diritto�; e quindi ha annullato una serie di norme del d.P.R. n. 1124 del 1965, in tema di diritto di regresso dell'INAIL e di giudizio civile di danno a carico del datore di lavoro. Dato il principio del libero convincimento del giudice penale, conclusioni del genere si impongono a fortiori quando si tratti di decisioni di altri tipi di giudici, destinate a far comunque stato in procedimenti come quello pendente dinanzi al Tribunale di Ravenna. Deve, pertanto, considerarsi in contrasto con l'art. 24 cpv. Cost. la previsione per cui l'accertamento dell'imposta, divenuto definitivo in conseguenza della decisione di una Commissione tributaria, vincola agli stessi effetti penali chi sia rimasto estraneo a quel giudizio, perch� non posto in condizione di intervenirvi o di parteciparvi. E resta dunque assorbita l'ulteriore censura, proposta dal giudice a quo in riferimento all'art. 27 della Costituzione. (omissis) RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 46 CORTE COSTITUZIONALE, 6 ottobre 1983, n. 300 -Pres. Elia -Rel. Con so -Lunardo e altri (avv. Magno e Tanteri), Tripepi (avv. Panuccio), e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Carafa). Locazione -Immobili adibiti ad attivit� commerciali -Indennit� per la perdita dell'avviamento -Commisurazione -Al canone corrente di mercato -Legittimit� costituzionale -Limite. (Cost., artt. 3, 41 e 42; I. 27 luglio 1978, n. 392, come modificato con I. 31 marzo 1979 n. 93, artt. 34, 69 e 73). Non pu� ravvisarsi una esplicazione irragionevole della discrezionalit� del legislatore ordinario nella commisurazione al canone corrente di mercato, anzich� all'ultimo canone corrisposto, della indennit� per la perdita dell'avviamento commerciale del conduttore. Peraltro, contrasta con gli artt. 3 e 42 Cast. il combinato disposto dell'art. 69, settimo comma, legge 27 luglio 1978, n. 392, e dello art. 73 stessa legge 27 luglio 1978, n. 392 (quale modificato dall'art. 1 bis decreto legge 30 gennaio 1979, n. 21, convertito con modificazioni nella legge 31 marzo 1979, n. 93), nella parte in cui -relativamente alle ipotesi di recesso del lo~atore dai contratti disciplinati dall'art. 67 stessa legge 27 luglio 1978, n. 392, motivate con la sopravvenuta necessit� di adibire l'immobile ad abitazione propria o del coniuge o dei parenti in linea retta entro il secondo grado -pre� vede che l'indennit� per l'avviamento commerciale dovuta al conduttore sia determinata sulla base del canone corrente di mercato per i locali aventi le stesse caratteristiche, anzich� con riferimento all'ultimo canone corrisposto (1). (omissis) Ad un discorso pi� complesso danno luogo le questioni concernenti la legittimit� costituzionale del combinato disposto degli artt. 69, settimo comma, e 73 della legge n. 392 del 1978, nella parte in cui prevede che al conduttore sia dovuta un'indennit� determinata sulla base del canone corrente di mercato per i locali aventi le stesse caratteristiche. E ci� non solo e non tanto perch�, mentre alcune ordinanze non forniscono precisazioni sull'indice da adottare in via sostitutiva, (1) Forse, non pu� essere esclusa una qualche contraddizione -s'intende, logico-giuridica e non po1itica -dn una disciplina legis1ativa che fa, nel suo seno, convivere un criterio liberistico (nella soelta del parametro dii commisurazione della inden:n!it�) con le frequenti regole vincolistiche (per fa determinazione dei canoni). Vii sarebbe anche da domandarsi se non v'� contraddi7lione tra l'intendimento di semplificare 1a determ!inazione dell'indennit� (per� seguono tal fine la presunzione di esistenza di un avviamento e l'adozione del parametro del canone) e la poSiizione dii una norma che impone di accertare caso per caso il � canone corrente di mercato �. La sentenza in rassegna si � mossa tra queste difficolt�. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE altre fanno riferimento in proposito all'ultimo canone corrisposto, richiamandosi all'indice che l'art. 34, primo comma, della stessa legge utilizza per determinare l'indennit� di avviamento commerciale in ordine alla cessazione dei nuovi rapporti di locazione, aventi ad oggetto un immobile adibito ad uso non abitativo, sorti a partire dal 30 luglio 1978. Quanto e soprattutto perch�, pur essendo le questioni prospettate ogni volta in termini generali, cio� con dispositivi che non distinguono a seconda del motivo addotto ai fini del recesso, per due dei procedimenti a quibus il recesso preso in considerazione risulta motivato con l'esigenza di adibire l'immobile �ad abitazione propria o del coniuge o dei parenti entro il secondo grado in linea retta�, mentre per le altre ordinanze il rispettivo procedimento a quo concerne un recesso motivato con l'esigenza di adibire l'immobile �all'esercizio, in proprio o da parte del coniuge o dei parenti entro il secondo grado in linea retta, di una delle attivit� indicate nell'art. 27 � della legge n. 392 del 1978: a proposito delle quali attivit� si potrebbe ulteriormente distinguere, a seconda che si sia o no in presenza �della stessa attivit� o di attivit� incluse nella medesima tabella merceologica che siano affini a quella gi� esercitata dal conduttore uscente ed ove il nuovo esercizio venga iniziato entro un anno dalla cessazione della precedente� (art. 34, secondo comma, espressamente richiamato, quanto � ai casi � in esso previsti, dall'ultimo periodo dell'art. 69, settimo comma). D'altronde, ad evidenziare queste, e consimili, distinzioni provvede la stessa strutturazione dell'art. 29 della legge n. 392 del 1978, con le lettere a), b), e) e d) in cui � suddiviso il primo comma e con i vari periodi di cUJi consta il secondo comma, il tutto oggetto di espresso rinvio da parte dell'art. 73, primo periodo, anche se -come gi� si � accennato sotto altra prospettiva, con riguardo al profilo della rilevanza -l'inserimento nel medesimo art. 73 dell'attuale secondo periodo, avvenuto in sede di conversione del decreto legge n. 21 del 1979, ha portato ad isolare da quel tutto i motivi �previsti dalle lettere a), b) e dall'ultimo periodo del secondo comma dell'art. 29 �. Prova ne sia che proprio l'aver ristretto, per questi motivi, l'ambito d'eser�izio della facolt� di recesso, riconoscendola �soltanto ove ricorra la necessit�... verificatasi dopo la costituzione del rapporto locatizio�, ha dato adito alla particolare problematica di costituzionalit� ora in esame, chiaramente collegata al richiesto requisiito della � necessit��, nell'intento di sottoporre a verifica da parte di questa Corte la congruenza del tratta� mento che le varie � esigenze � considerate ricevono sul piano dei rapporti fra diritto di recesso e misura dell'indennit� dovuta al conduttore per la perdita dell'avviamento commerciale, quali risultano attraverso il rinvio che in via generale l'art. 73 fa all'art. 69, settimo comma, della legge n. 392 del 1978, comma dettato per la determinazione dell'inden RASSEGNA DELL'AWOCftTURA DELLO STATO nit� di avviamento �qualora il locatore non intenda procedere al rinnovo della locazione �, Poich�, ad avviso dei giudici a quibus, la determinazione dell'indennit� di avviamento �sulla base del canone corrente di mercato per i locali aventi le stesse caratteristiche� (art. 69, settimo comma, della legge n. 392 del 1978), anzich� sulla base dell'� ultimo canone corrisposto �, porterebbe, nei casi in questione, a risultati troppo pesanti per il locatore -sia nel senso di sottoporre ad un'eccessiva compressione il suo diritto di propriet� (nonch�, per qualche giudice a quo, la sua libert� di iniriativa economica ed il suo impegno al risparmio), sia nel senso di rendere la sua situazione assai pi� onerosa di quella del locatore che, non rinnovando un contratto di locazione stipulato per uso non abitativo in data successiva al 29 luglio 1978, � tenuto al pagamento di un'indennit� commisurata all'ultimo canone corrispostogli dal conduttore (art. 34, primo comma, della legge n. 392 del 1978) -occorre precisare quali rapporti intercorrano fra l'indice rappresentato dall'ultimo canone corrisposto e l'indice rappresentato dal canone corrente di mercato per i locali aventi le stesse caratteristiche. Ci� ai fini dell'esatta individuazione del trattamento conseguente all'applicazione dell'uno piuttosto che dell'altro indice: un trattamento che si incentra sull'ammontare, pi� o meno elevato, dell'indenndt� dovuta dal locatore al conduttore. Dato che, quando si parla di ultimo canone corrisposto, si utilizza un indice suscettibile di essere detenninato automaticamente, mentre, quando si parla di canone corrente di mercato, ci sii. riferisce ad un indice determinabile unicamente in via indiretta, il che si riflette non solo �e non tanto sulle metodologie da seguire per la rispettiva iindividuazione (semplicissima l'una, desumibile dal contratto; bisognosa di accertamento sul territorio l'altra), quanto e soprattutto sulla relativit� e, quindi, sulla non univocit� del secondo dei due indici, � evidente che i rapporti tra essi, per quel che riguarda la rispettiva incidenza sull'ammontare dell'indennit�, si profilano in modo ben diverso a seconda del tipo di contratto, � nuovo � o � prorogato �, cui si riferisce l'ultimo canone corrisposto. Muovendo dalla considerazione che 1'� ultimo canone corrisposto dal conduttore� nella situazione cui fa riferimento l'art. 34 della legge n. 392 del 1978 tende sostanzialmente a coincidere con il �canone corrente di mercato per i locali avent!i. le stesse caratteristiche�, sul quale -a somiglianza dell'art. 4 della legge 27 gennaio 1963, n. 19, ove, sia pur in un diverso contesto, il riferimento � al �canone di affitto che l'immobile pu� rendere secondo i prezzi correnti di mercato per i locali aventJi le stesse caratteristiche� -si basa l'art. 69 della legge n. 392 del 1978, la dedotta violazione dell'art. 3 Cost. discenderebbe dall'adozione di � un eguale trattamento in situazioni different!i. �. J, PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Effettivamente, da un lato (art. 34), sono in discussione contratti di locazione stipulati in regime di libera determinazione del canone mr� ziale e, dall'altro (art. 69, per quanto qui interessa), contratti soggetti a proroga secondo la legislazione precedente ed ulteriormente prorogati dalle nuove norme. Il che significa che, quando l'art. 34, primo comma, e l'art. 69, settimo comma, parlano di un'indennit� commisurata a di� dotto mensilit� (ovvero a ventuno per le locazioni con destinazione alberghiera) � dell'ultimo canone corrisposto � o, rispettivamente, � sulla base del canone corrente dd. mercato�, ci� porta s� ad indennit� dal simile ammontare, con la differenza, per�, che l'art. 34 ragguaglia il computo delle mensilit� ad un canone che � stato, pi� o meno a lungo, materialmente corrisposto dal conduttore (e, quindi, percepito dal locatore), mentre l'art. 69 ragguaglia il computo delle mensilit� ad un canone mai percepito in concreto. In altri. termini, il riferimento, nel primo caso, all'ultimo canone corrisposto e, nel secondo caso, al canone corrente di mercato parifica sostanzialmente l'indice per la misura dell'indennit�, ma partendo da situazioni nelle quali ben diversamente calcolato era il canone corrisposto .in concreto al momento della cessazione del rapporto di locazione. Tanto � vero che, se l'art. 69 parlasse di � ultimo canone corrisposto dal conduttore>>, tale canone, sottoposto ai vincoli delle proroghe vecchie e nuove, sarebbe tutt'altra cosa dal canone corrente di mercato. (omissis) Tutto ci� premesso, si tratta di verificare se la determinazione della misura dell'indennit� per l'avviamento commerciale nelle ipotesi di recesso �necessitano� ex art. 73 della legge n. 392 del 1978 sia o no in contrasto con i parametri costituzionali variamente indicati dalle nove ordinanze di rimessione che si stanno esaminando. (omissis) La ques1Jione non � fondata. Nel sostanziale coincidere, quanto ad ammontare dell'indennit�, dei criteri indicati negli artt. 34, primo comma, e 69, settimo comma, della legge n. 392 del 1978, non pu� ravvisarsi un'esplicazione irragionevole della discrezionalit� legis1ativa, come non pu� dirsi privo di qualsiasi razionalit� il trattamento particolarmente privilegiato di cui nel secondo caso, il conduttore viene conseguentemente a fruire rispetto al locatore. Alla base della scelta operata dal legislatore con le norme in esame vi � �la conservazione, anche nel pubblico interesse, delle imprese� il cui avviamento sia strettamente collegato all'ubicazione dell'immobile: un interesse che -qualora un'impresa cos� localizzata venga a trovarsi esposta al rischio del rilascio dell'immobile a vantaggio di un'altra impresa non affine che il locatore intenda trapiantare od avviare in quello stesso luogo -il legislatore ha ritenuto di dover tutelare con l'imporre al locatore il pagamento di un'indennit� iidonea a porre riparo al danno attuale del conduttore, anche a costo di risultare particolarmente gra 50 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO vosa per il locatore. Ci�, anzi, verificandosi soprattutto nei confronti dei contratti soggetti a proroga, ha trovato un'ulteriore, e pi� specifica, spiegazione, quanto alle ipotesi di recesso, nel pericolo -s�bito affac� datosi e s�bito contrastato con le modificazioni apportate, in sede di conversione del decreto legge n. 21 del 1979, all'art. 73 della legge n. 392 del 1978, il cui testo originario nulla prescriveva in ordine all'indennit� per l'avviamento -che la possibilit� di recedere in qualunque momento, largamente prevista dall'art. 73, desse l'avvio ad un massiccio numero di richieste di rilascio per gli immobili adibiti ad uso non abitativo... Tale non irragionevole bilanciamento dei contrapposti interessi esclu� de pure che si possano considerare vi�lati gli artt. 41 e 42 Cost. Quanto al primo, � il Pretore di Roma a parlare di � grave ed ingiustificata limitazione della libert� di iniziativa privata�: in realt�, mentre l'attivit� economica del conduttore viene protetta, potendo l'indennit�, nel caso di non evitabile rilascio, facilitarne la ripresa in altra sede, l'iniziativa economica del locatore, se non velleitaria, non risulta bloccata, ma soltanto sottoposta ad un onere, non impossibile, inteso a conseguire fini di utilit� sociale, nel necessario coordinamento con le esigenze del� l'attivit� economica altrui. Quanto all'art. 42 Cost., le ordinanze del Pretore di Pescara, del Tribunale di Parma e del Tribunale di Gorizia sostengono che il diritto di propriet� sarebbe �vanificato� dall'esborso di una somma che svuoterepbe il diritto al corrispettivo della precedente locazione e, quindi, al godimento dell'immobile: ma, a parte la necessit� di dimostrare che ogni corrispettivo rimarrebbe di regola totalmente assorbito dall'indennit� ex art. 69, settimo comma, della legge n. 392 del 1978, e a parte la �maggior valutazione che l'immobile riceve sul mer� cato, una volta riottenutane la disponibilit�� (argomento con cui l'Avvo� catura dello Stato, negli atti di intervento per la Presidenza del Consiglio dei ministri, rimarca l'esistenza di una parziale �compensazione�), � punto fermo che, riconosciuto il diritto di propriet� privata, la Costi� tuzione � ha affidato al legislatore ordinario il compito di introdurre, a s�guito delle opportune valutazioni e dei necessari bilanciamenti dei diversi interessi, quei limiti che ne assicurano la funzione sociale � (sent. n. 252 del 1982), e ci� anche per quanto attiene al suo godimento. Restano le ipotesi di recesso dovute alla necessit� di �adibire l'im� mobile ad abitazione propria o del coniuge o dei parenti entro il se� condo grado in linea retta�: rispetto ad esse � da ritenersi fondata la� questione che il Tribunale di Reggio Calabria ha sollevato in via subor� dinata, con riferimento agli artt. 3 e 42 Cost., affermando, da un lato, che l'� identico trattamento� previsto dall'art. 69 della legge n. 392 del 1978, �sia per colui che ha necessit� di adibire l'immobile di cui � proprietario per abitazione ... sia per colui che ha necessit� di adibirlo ad esercizio di attivit� commerciale�, �non sembra conforme al prin� PARTE. I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE c1p10 di uguaglianza � e, dall'altro, che il sistema di determinazione dell'indennit� � sulla base del canone corrente di mercato per i locali aventi le stesse caratteristiche, senza che il giudice abbia la possibilit� di temperarne il criterio tenendo conto della durata del rapporto locativo e dell'entit� del canone locativo pu� portare ad un'irragionevole compressione del diritto di propriet�, potendo accadere che il conduttore riceva a titolo 1di indennit� pi� di quanto egli abbia corrisposto per canoni dovuti al locatore�. Anche a prescindere dal carattere meramente eventuale, e peraltro indimostrato, di un tale supero, la � compressione del diritto di propriet� del locator~ �, conseguente all'elevato livello cui giunge comunque l'indennit� per l'avviamento in forza del combinato disposto degli artt. 69, settimo comma, e 73 della legge n. 392 del 1978, si appalesa qui, di fronte ad un recesso per esigenze abitative, priva di razionale giustificazione: e ci� sia se la si consideri in relazione all'identica misura di indennit� prevista per i casi di recesso finalizzati all'esercizio di un'attivit� economica, sia se la si consideri in rapporto agli analoghi risultati quantitativi cui conduce l'art. 34, primo comma, in caso di cessazione, su iniziativa del locatore, di un rapporto di locazione a regime normale. Infatti, non � certamente razionale � bilanciare � gli interessi che vengono in contrasto quando all'attivit� econoinica svolta dal conduttore si contrappone un'esigenza abitativa del locatore o di un suo stretto congiunto, utilizzando lo stesso modulo adottato per � bilanciare � gli interessi che vengono in contrasto quando alla attivit� economica svolta dal conduttore si contrappone un'esigenza economica perseguita dal locatore o da un suo stretto congiunto. E non meno irrazionale � l'imporre al locatore, per il quale sopravvenga la necessit� di abitare il proprio immobile locato per uso i;ion abitativo sulla base di un contratto da tempo a canone vincolato, il pagamento di un'indennit� altrettanto onerosa di quella dovtita dal� lOcatore, il quale promuova la cessazione del rapporto di locazione relativo �ad un immoQile locato per uso non abitativo sU:lli:t base di un contratto il cui canone � stato liberamente concordato. Poich� gli immobili urbani, quando la strutturazione dei locali sia adeguata, hanno come destinazione primaria quella di venire adibiti ad uso di abitazione e poich�, d'altra parte, l'adibire tali immobili ad abitazione del proprietario o del coniuge o di parenti entro il secondo grado in linea retta rappres,enta il modo di godimento della propriet� privata immobiliare da privilegiare (e ci� anche in cori;elazione al principio rivolto a � promuovere e favorire la propriet� privata dell'abitazione � su cui si � appena' soffertnata la sentenza n. 252 del 1983), la tutela costituzionale del diritto di propriet� comporta un'ovvia conseguenza: le necessit� abitative dei proprietario dell'immobile non possono RASSEGNA DELL'AVVOCAntRA DELLO STATO 52 non essere tenute in particolare conto dal legislatore, evitando di condizionarne il soddisfacimento ad oneri eccessivi o comunque sproporzio~ nati, allorch� per esse si imponga un contemperamento con altri int�tessi, pur meritevoli di tutela. Cos�, di fronte alla perdita dell'avviamento commerciale per il conduttore dell'immobile che il locatore, rece� dendo da un contratto a canone vincolato, intende recuperare, per necessit� sua o di uno stretto familiare, all'uso abitativo, non si giustifica una misura dell'indennit� in base al canone reale di mercato, giustificabile, invece, in altri casi. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 15 dicembre 1983, n. 340 -Pres. Elia -Rel. La Pergola -Regione .Friuli-Venezia Giulia (avv. Pacia), Province di Trento e di Bolzano (avv. Guarino) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Azzariti). Regioni -Regioni a statqto speciale e Province di Trento e di Bolzano Funzione statale di indirizzo e coordinamento -Presupposti. (Statuto Friuli-Venezia Giulia, art. 4; Statuto Trentino-Alto Adige, artt. 8, 9, 14, 16 e 78; . l. 27 dicembre 1977, n. 984). � La funzione statale di indirizzo e coordinamento pu� essere previs~(l anche nei confronti di regioni a statuto speciale e delle Province dl Trento e di Bolzano non soltanto. da Statuti speciali (e connesse disposizio~ i di attuazione) e nell'ambito di. materi� �a competenza ripartita~'� ma anche da legge ordinaria dello Stato e nell'ambito di materie �a competenza regionale esclusiva"� Peraltro, in difetto. di espliciia previsione statutaria, l'anzidetta i'itnzione st~t�ie ~� ess�re eser�itat(l sotq in presenza di un interesse nazionale non suscettibil� di localizzazi<me t�rritoriale, mancando il quale v� fatta salva la coinpetenza regionalft (o. provinciale) (1). � (omissis) Oggetto del presente giudizio � la legge 27 dicembre 1977, n.. 984 (�Coordinamento degli interventi pubblici nei settori della zootecnia, della produzione ortoflorofrutticola; della forestazione, dell'irtjgazione, delle grandi colture mediterranee, della .vitivinicoltura e del~ l'utilizzazione e valorizzazione dei terreni collinari e montani�). Qui importa ricordare, prima di tutto~ che detta legge individua gli organi competenti a fissare gli indirizzi generali e gli obiettivi concernenti lo (1) Palese l'importanza cli questa pronuncia, che va bene al di l� del" l'ambito pur vasto della legge �quadrifoglio� n. 984 del 19n; la sentenza riconosce l'ampiezza della funzione statale cli dnclinizzo e coordinamento, al tempc stesso definendone i limdti. PARTE I, SEZ. I, GIURIS'PRUDENZA COSTITUZlONALE sviluppo dell'economia agricola nazionale, nonch� a Coordinare gli interventi pubblici nei diversi settori da essa contemplati (art. 1). A questo riguardo, essa istituisce, nell'ambito del C.I.P.E., il Comitato intennin�� steriale per la politca agricola ed alimentare (C.I.P.A.A.), e ne regola la composizione e le attribuzioni (artt. 2 e 3). � infatti previsto che al C.I.P.A.A. competa: a) predisporre lo schema di un piano nazionale, che in relazione ai settori anzidetti deve occuparsi delle materie elencate all'art. 3, ed � assoggettato alla procedura di approvazione, appositamente dettata negli artt. 3 e 4; nella quale sono a vario titolo coinvolte, in una prima fase le singole Regioni (art. 3, secondo comma), e successivamente una commissione composta da un rappresentante di ciascuna Regione e delle Province autonome di Trento e Bolzano (art. 4, primo comma); dopo l'approvazione del piano nazionale le Regioni vengono dal canto loro chiamate ad approvare propri programmi di settore e a coordinarli con gli altri eventuali programmi generali regionali e di assetto territoriale (art. 5); b) coordinare gli interventi di competenza nazionale; e) valutare annualmente lo stato di attuazione del piano nazionale e dei progmmmi regionali e proporne eventuali variazioni ed aggiorna menti, che richiedono la stessa procedura prescritta, nell'art. 4, per l'approvazione del piano nazionale; d) presentare annualmente al Parlamento una relazione dettagliata sullo stato di attuazione del piano nazionale e dei programmi regionali (art. 6). Altre disposizioni riguardano le provvidenze finanziarie ed ,indicano i soggetti che ne possono beneficiare, secondo le priorit� stabilite dagli Statuti e dalle leggi regionali (art. 7); altre ancora specifi. cano, con riguardo a ciascun settore, l'oggetto degli indirizzi generali e degli interventi da attuare in conformit� del piano nazionale.. Infine, la legge detta il regime dei finanziamenti, degli stanziamenti e delle autorizmzioni delle relative spese, distintamente previste per l'esercizio 1978 e per ciascuno degli esercizi inclusi in due successivi stadi t~mporali (1979-1982; 1983-1987); spese suddivise, a nonna dell'art. 17, in importi di diverse entit�, secondo il settore dell'intervento pubblico. La disciplina test� richiamata � impugnata dalla Regione Friuli-Venezia Giulia, nonch� dalle Province autonome di Trento e Bolzano: La Regione Friuli-Venezia Giulia censura l'intera legge in esame come lesiva della sfera di competenza primaria ad essa costituzionalmente garantita dal l'art. 4, n. 2, dello Statuto speciale (l.c. 31 gennaio 1963, n. 1) e dalle rela tive norme di attuazione (d.P.R. 26 agosto 1965, n. 1116). L'impugnativa � proposta sull'assunto che lo Stato abbi� nella spe cie inteso esplicare -in materia di agricoltura e foreste e a livello legislativo, secondo la previsione dell'art. 3 della legge n. 382 del 1975 -la RASSEGNA� DBLL'AWOCATURA DELLO STATO 54 funzione di indirizzo e coordinamento delle attivit� amministrative regionali. Tale funzione si concreterebbe, tuttavia, in un limite per la potest� amministrativa della Regione, correlativo, secondo la giurisprudenza di questa Corte, a quello che, per la potest� legislativa regionale, discende dai principi �Stabiliti dalle leggi dello Stato; esso non potrebbe dunque riferirsi che alle attivit� amministrative regionali nelle materie di competenza ripartita e sarebbe stato configurato precisamente in questo senso nell'art. 43 del d.P.R. 25 novembre 1975, n. 902. Posto ci�, la ricorrente asserisce di essere secondo Statuto investita di competenza primaria per la materia che lo Stato ha nel presente caso regolato e deduce in con� seguenza 1a incostituzionalit� di tutte le disposizioni della legge in esame sotto un duplice riflesso: per la parte in cui in esse non si attribuisce alla Regione Friuli-Venezia Giulia il ruolo che costituzionalmente le spetta nella determinazione degli indirizzi, degli obiettivi e degli interventi contemplati dalla legge stessa; per la parte in cui la funzione statale d'indipzzo e coordinamento viene con esse implicitamente estesa anche alle attivit� amministrative della Regione in materia di agricoltura e foreste. Altre censure sono poi mosse, sempre in relazione agli invocati para� metri, nei confronti di puntuali statuizioni, le quali offenderebbero in particolare l'autonomia della ricorrente. T�ali, si assume, sono le norme ch�, nell'estendere alla sfera delle ricorrenti la funzione statale di indirizzo e coordinamento, attribuiscono per di pi� questa funzione ad un organo diverso da quello indicato nell'art. 43 del citato d.P.R. 902/1975 (art. 2); non prescrivono l'intesa della Regione Friuli-Venezia Giulia n� in sede di predisposizione dello schema di piano nazionale, per quanto concerne la ricorrente, n� in sede di previsione degli interventi di competenza nazionale. da attuarsi nel suo territorio (art. 3). L'impugnativa investe ad egual ragione l� disposizioni che mancano di subordinare all'intesa � necessaria e differenziata � della Regione: l'adozione del testo definitivo del piano nazional�, da sottoporre al Consiglio dei ministri (art. 4), la valutazione dello stato di attuazione del programma regionale e l'elabo� razione delle relative pro~oste di variazione e di aggiornamento (art. 6), l'operativit� nell'ambito. territoriale del Friuli-Venezia Giulia dei previsti indirizzi obiettivi ed interventi (artt. da 8 a 15), la determinazione, per quanto d'interesse della Regione, delle variazioni annuali dei finanzia: fil.enti (art. 17). Sono altres� censurati l'art. 7, nella parte in cui predetermina, in via tassativa, i beneficiari delle provvidenze anche per il Friuli- Venezia Giuli~ e l'art. 17, gi� impugnato sotto altro riguardo, per l'ulteric;> re motivo che ess,o estende alla ricorrente la settorializzazione del sistema dei finanziamenti.� . Le Province autonome di Trento e Bolzano impugnano esse pure, prima ancora che singole statuizioni, la legge n. 984/77 nella sua interezza, per preteso contrasto .con l'art.� 8 n. 21 dello Statuto del Tren PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COS1'ITUZI�NALE tino-Alto Adige, e con i relativi decreti di attuazione (d.P.R. nn. 279/74 e 381/74). L'invocata norma statutaria stabilisce la competenza pr�vinciale in tema di �agricoltura, foreste e corpo forestale, patrimonio zootecnico ed ittico, istituti fitopatologici, consorzi agrari e stazioni agrarie sperimentali, bonifica �. La sfera assegnata alle Province sarebbe stata ampliata e meglio garantita, grazie alla legge costituzionale n. 1/71 e alle norme di attuazione successivamente emanate proprio nella materia di cui si occupa la legge impugnata. A parte la specifica previsione, in Statuto, della competenza, peraltro primaria, che si assume violata, ve ne sarebbero altre, dalle quali risulta che le Provinc� di Trento e Bolzano godono di un grado di autonomia diverso e pi� intenso rispetto a quello delle altre Regioni: cos�, l'art. 78 dello Statuto speciale riserva alle Province una quota parte delle somme stanziate �per interventi generali dello Stato � disposti negli stessi settori di competenza delle province � allo scopo di adeguare le finanze delle Province autonome al raggiungimento delle finalit� e all'esercizio delle funzioni stabilite dalla legge�. Questo criterio del collegamento fra competenza e finanziamento, si soggiunge, sta a significare che esclusivamente le Province sono respons�bili della gestione delle materie di loro competenza e costituisce un'ulteriore e specifica conseguenza del vincolo che, posto nei confronti della legge statale a tutela delle ricorrenti, non potrebbe, poi, non operare anche per quanto concerne le esigenze del coordinamento. La fonte statutaria e la normativa di attuazione avrebbero infatti soddisfatto queste esigenze, in coerenza con 1a dedotta guarentigia dell'autonomia provinciale, solo limitatamente a determinate materie e rimettendone in ogni caso la disciplina a dirette intese fra Stato e Regione. Deporrebbero in questo senso l'art. 14, secondo comma, dello Statuto (opere idrauliche), 15 (industria ed edilizia scolastica) e fra le norme di attuazione 1adottate dopo l'entrata in vigore della legge costituzionale n. 1 del 1971, gli artt. 3, 4, 5 e 8 d.P.R. 22 marzo 1974, n. 279 (agricolture e foreste), 7-10 (acque pubbliche), 20 e 21 (urbanistica e opere pubbliche di interesse e competenze dello Stato) del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381. Nessun cenno della funzione di indirizzo e coordinamento, si afferma, figura del resto nello Statuto della Provincia o nella normativa di attuazione, nemmeno nelle specifiche disposizioni attuative che, in materia di agricoltura e foreste, definiscono le residue competenze dello Stato. Diversa soluzione, si osserva poi, � accolta negli ordinamenti di altre Regioni a Statuto speciale, nei quali la funzione in discorso � espressa� mente assegnata allo Stato (art. 2, secondo comma, d.P:R. 19 giugno 1979, n. 348, norme di attuazione dello Statuto per la Sardegna; 43 d.P.R. 25 novembre 1975, n. 902, norme di attuazione dello Statuto Friuli-Venezia Giulia); e si soggiunge che a tal fine si � dovuto comunque ricorrere a RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO decreti presidenziali di att11azione dei rispettivi Statuti, adottati con il previo intervento delle apposite commissioni paritetiche. Tutto questo confermerebbe che i poteri di indirizzo e coordinamento non potevano, nei riguardi della ricorrente, essere istituiti ed esercitati mediante legge ordinaria, com'� invece accaduto nella specie. La legge impugnata vulnererebbe dunque la sfera dell'autonomia provinciale per aver prodotto la disciplina riservata alla fonte sopraordinata (Statuto o normativa di attuazione). In via subordinata, le ricorrenti deducono che, se pure la funzione di indirizzo e coordinamento dovesse essere riconosciuta agli organi statali, essa risulterebbe, ai fini del presente giudizio, comunque illegittimamente configurata: sia perch� ne � attributario un comitato interministeriale, il C.I.P.A.A., in luogo degli organi, Parlamento e Consiglio dei ministri, istituzionalmente preposti a questa funzione nelle massime sedi rappresentative, e perch� questa deroga al normale regime delle competenze avrebbe indebitamente attenuato una garanzia procedimentale gi� assicurata dalla test� citata previsione della legge n. 382 del 1975 alle Regioni comuni, della quale dovevano a maggior ragione godere le ricorrenti e le Regioni a Statuto speciale; sia per il rilievo che l'indirizzo ed il coordinamento, da attuarsi, com'� previsto nella legge, soprattutto con il piano nazionale, avrebbe carattere talmente analitico, puntuale e vincolante da non lasciare a Regioni o Province margini di effettiva -'!-Utonomia. (omissis) Delle impugnative proposte vanno anzitutto considerate quelle che investono la legge n. 984 del 1977 nella sua interezza. Le ricorrenti avanzano a questo riguardo due ordini di rilievi: le Province di Trento e Bolzano deducono che la funzione in discorso non � nei loro confronti contemplata, n� dallo Statuto, n� dalle connesse disposizioni attuative, e lamentano quindi che essa sia stata introdotta nella specie unilateralmente dallo Stato, mediante legge ordinaria; la Regione Friuli-Venezia Giulia contesta, invece, che la funzione di ind~rizzo e coordinamento, pur prevista dal d.P.R. i;i. 381/74 in attuazione del suo Statuto, possa essere legittimamente estesa, come qui accade, alla materia dell'agricoltura e foreste. Si tratta di due autonomi profili della specie. La Corte ritiene di doverli esaminal;'e distintamente. Il motivo di ricorso dedotto dalle Province di Trento e Bolzano non merita accoglimento. La funzione statale di indirizzo e coordinamento va, come la Corte ha precisato in pi� pronunzie, ordinata ed esplicata in armonia con il sis.tema del decentramento. Se cos�. �, essa costituisce .attuazione e sviluppo di un nu�leo di fondamentali princ�pi dell'ordinamento costituzionale, che valgono indistintamente per tutta la cerchia degli enti autonomi. Appunto per questo, l'indirizzo e il coordinamento possono esse.re previsti, anche nei confronti delle Regioni a statuto diffe PARTE I, SEZ. 1,-GIURISPRUQENZA COSTITUZIONALE r.enziato e delle Province di Trento e Bolzano, dalla legge ordinaria dello ~tato, oltre che dagli Statuti speciali e dalle connesse disposizioni attuative, L'assunto della Regione Friuli-Venezia Giulia �, per quel che ora importa precisare, il seguente: l'indirizzo ed il coordinamento esercitato dagli organi centrali grava l'attivit� amministrativa regionale di un limite che, secondo la giurisprudenza della Corte, deve corrispondere a quello stabilito, per la sfera dell'autonomia legislativa, dalla legislazione statale di principio. Questo limite, si soggiunge, vale per� solo nei confronti della competenza ripartita, laddove la legge impugnata concerne materia di compete~a primaria della Regione. L',Avvocatura dello Stato replica che la previsione dell'indirizzo e del coordinamento trova piena e puntuale giustificazione nell'interesse nazionale, sottostante alla normativa censurata e al suo carattere di legge-programma; ci�, precisamente, in quanto il limite dell'interesse nazionale � consacrato in Statuto fra quelli che circondano la stessa competenza primaria delle ricorrenti (cfr. art. 4 d�llo Statuto speciale del Friuli-Venezia Giulia e art. 4 dello Statuto speciale del Trentino-Alto Adige). Il titolo della contestata ingerenza dello Stato -di fronte alla sfera g�rantita alle ricorrenti -risiede, allora, nella funzione di indirizzo e coordinamento. In effetti, tutto il corpo della normativa, che la legge impugnata contiene, � preordinato all'esercizio di detta funzione: la definizione analitica degli indirizzi che individuano gli obiettivi di ciascun s�ttore, la previsione dei criteri di massima per le esigenze da soddisfare, il conseguente sistema dei finanziamenti sono strumentalmente CO!J.nessi con il coordinamento degli interventi pubblici, effettuato in sede di programmazione con le procedure e dagli organi appositamente previsti. Non � poi controverso che la varia materia di cui si occupa la legge ricada nell'ambito della competenza primaria delle ricorrenti, cos� come risulta configurata, in relazione all'agricoltura e foreste, sia nelle previsioni statutarie, sia nelle norme di attuazione invocate in giudizio. Poste queste. premesse, va subito aggiunta un'avvertenza: la funzione dj indirizzo e coordinamento, qual � contemplata nelle norme di attuazione dello Statuto del Friuli-Venezia Giulia (art. 43 d.P.R. 25 novembre 1975, n. 902), non pu� essere intesa, come detta Regione ha sostenuto nel presente giudizio, nel senso che essa si riferisce necessariamente. ~olo alle materie di competenza ripartita. Alla stregua delle precedenti pronunzie di questo Collegio, si deve ~~eludere che la funzione in discorso serva ad introdurre nuovi. limiti :r;ispetto a quelli gi� stabiliti, nel vigente sistema costituzionale, in ordine alla sfera dell'autonomia regionale. Resta fermo, per�, che l'indirizzo e coordinamento ,posti in essere dallo Stato abbracciano tutto l'alll;bitQ; dei poteri costituzionalmente garantiti alle Regioni e alle Province di Trento RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO .STATO 58 e Bolmno. Il corretto esercizio di questa funzione implica, infatti, che le attivit� regionali restino assoggettate al vincolo scaturente dalla legge o dal provvedimento degli organi centrali. Tale vincolo (cfr. sentenza n. 150 1982) �, poi, pienamente giustificato dalla necessit� di soddisfare le istanze unitarie: esso deve quindi poter operare, come esige 1a giurisprudenza della Corte, senza che rilevi la distinzione fra Statuto speciale e Statuto ordinario, o tra tipi e gradi di competenza degli enti autonomi. Quanto si � sopra detto non toglie, bens� presuppone, che nella specie vadano soddisfatte le condizioni perch� il vincolo costituito dall'indirizzo e coordinamento dispieghi effetti pur nei confronti della competenza primaria delle ricorrenti, e anche se questa competenza discende da uno Statuto di autonomia differenziata. � qui, anzi, il punto sul quale va fermata l'attenzione. Il richiamo dell'interesse nazionale che ha ispirato il legislatore statale nel regolare il coordinamento e la stessa programmazione degli interventi pubblici nel settore in considerazione non vale, come vorrebbe l'Avvocatura, a fugare il dubbio di un'indebita compressione della speciale autonomia garantita alle ricorrenti. Il perseguimento delle esigenze unitarie, e cos� degli interessi che trascendono l'ambito dell'ente auto l nomo, resta certo il necessario presupposto giustificativo della funzione di indirizzo e coordinamento. Ma si tratta pur sempre di una funzione istituzionalmente destinata a comporre le esigenze unitarie e le istanze dell'autonomia in conformit� dei fondamentali criteri che presiedono alla distribuzione delle competenze fra Stato e Regioni. Dove opera la guarentigia dello Statuto speciale, le esigenze unitarie legittimano, s�, l'esercizio dell'indirizzo e del coordinamento, ma in presenza di un interesse, che deve nettamente configurarsi come insuscettibile di frazionamento o localizzazione territoriale. Gli organi centrali possono in proposito intervenire fin dove l'interesse da soddisfare sfugge necessariamente, per na J tura o dimensione, all'apprezzamento dei legislatori e delle amministrazioni locali. Altrimenti, va fatta salva la competenza dell'ente autonomo: il quale gode in questo caso, proprio in considerazione delle forme e condizioni particolari del suo status, di maggiori possibilit� di valutazione e di scelta, rispetto alla Regione di diritto comune. Nella presente controversia, ci troviamo di fronte a un diffuso e dettagliato complesso di prescrizioni, che investono la materia dell'agricoltura e foreste sotto i molteplici aspetti sopra richiamati. Si � cos� delineata una capillare e penetrante interferenza della normazione statale nella sfera che si assume lesa. Ora, la legge in esame ha come suo titolo giustificativo esclusivamente q�ello di organizzare l'indirizzo ed il coordinamento delle attivit� regionali nei settori ivi previsti. Essa eccede, tuttavia, dai confini �ntro cui l'accentramento e l'uniformit� della disciplina consentiti dall'interesse nazionale sarebbero risultati compatibili PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE con il rispetto dell'invocato Statuto speciale. L'assetto normativo sottoposto al sindacato della Corte potrebbe, quindi, uscire indenne da censura solo se le esigenze unitarie, che qui si connettono con l'indirizzo ed il coordinamento, fossero perseguite anche in forza, e con il supporto, di un qualche altro limite dei poteri di autonomia: limite, s'intende, sempre sancito in una fonte di rango costituzionale. Cos� non �, per�, nel caso attuale; e d'altra parte non � nemmeno dedotto dall'Avvocatura che la legge dello Stato abbia per via delle sue previsioni programmatorie posto princ�pi dell'ordinamento giuridico, o prodotto norme fondamentali delle riforme economico-sociali, o comunque configurato altre idonee limitazioni delle competenze delle Regioni o delle Province, ai sensi dei rispettivi Statuti speciali. Difettano insomma i requisiti sopra enucleati, indispensabili perch� la previsione dell'indirizzo e del coordinamento, com'� congegnata nella specie, possa operare nei confronti delle ricorrenti: e dunque sussiste la dedotta violazione della competenza loro costituzionalmente garantita in materia di agricoltura e foreste. Questa conclusione vale evidentemente allo stesso titolo per la Regione Friuli-Venezia Giulia e per le Province di Trento e Bolzano. Un'ultima precisazione va fatta a proposito del risultato cui la Corte giunge con l'attuale decisione. L'illegittimit� costituzionale della legge n. 984 del 1977 viene dichiarata per la parte in cui le disposizioni in essa contenute si riferiscono alle Regioni e alle Province ricorrenti: invero, per le ragioni gi� spiegate, manca il titolo che avrebbe giustificato la estensione nei loro confronti dell'intera legge censurata. Con ci�, resta per� escluso l'accoglimento dell'altra istanza della Regione Friuli-Venezia Giulia; la quale, com'� sopra riferito, chiede alla Corte una distinta declaratoria di incostituzionalit� per la parte in cui la legge, oggetto del presente giudizio, non riconosce � il ruolo � che ad essa ricorrente costituzionalmente spetterebbe nella � determinazione degli indirizzi obiettivi ed interventi ivi previsti �. L'autonomia differenz~ata della Regione � vulnerata dall'intero corpo delle disposizioni che il legislatore statale ha dettata per il regolamento della specie. Dopo la presente pronunzia, non residua, quindi, alcuna previsione della normativa caducata, la quale possa concernere il ruolo che si assume competere alla Regione Friuli-Venezia Giulia; ma � appena il caso di aggiungere che il legislatore statale pu� sempre ridisciplinare la materia, nei limiti e secondo i criteri sopra indicati. I rilievi svolti assorbono, va infine detto, ogni ulteriore profilo della questione. P.Q.M. dichiara l'illegittimit� costituzionale della legge n. 984 del 27 dicempre 1977 (� Coardin�:).mento degli interventi pubblici nei settori della zootecnia, della produzione ortoflorofrutticola, della forestazione,. dell'ir 60 RASSBGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO rigazione, e delle grandi colture mediterranee, della vitivinicoltura e dell'utilizzazione e valorizzazione dei terreni collinari e montani�) per la parte in cui la disciplina in essa prevista concerne la Regione Friuli-Venezia Giulia e le Province autonome di Trento e Bolzano. CORTE COSTITUZIONALE, 19 gennaio 1984, n. 1 -Pres. Elia -Rel. hladin -Banco di Napoli (avv. Rizzo e Scognamiglio), Porreca (avv. Satta) Guidotti ed altri (avv. Capobianco). Corte dei Conti -Funzioni giurisdizionali � Pensioni degli impiegati del Banco di Napoli -Non attinenza alle materie di contabilit� pubblica. (Cost., art. 3; !. 8 agosto 1895, n. 486, art. 39). L'art. 103 Cast. non ha inteso conservare alla Corte dei Conti l'intera giurisdizione che le spettava al momento dell'entrata in vigore della Costituzione (e ci� vale anche per la giurisdizione � domestica � che non pu� ritenersi � costituzionalizzata �). Non essendo pi�, nei fatti, ravvisabile omogeneit� sostanziale tra pensioni statali e pensioni degli impiegati del Banco di Napoli, � ormai irrazionale la deroga per queste ulime alla regola della giurisdizione ordinaria (1). (omissis) Le quattro ordinanze in esame propongono alla Corte, con motivazioni identiche od analoghe, una sola e comune impugnativa. Nei dispositivi di tutte le ordinanze si legge, cio�, che la Corte di cassazione, a sezioni unite civili, �ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimit� costituzionale della norma contenuta nell'art. 11 all. T all'art. 39 della legge 8 agosto 1895, n. 486, in relazione all'art. 3 della Costituzione della Repubblica, secondo cui le controversie in materia di pensioni degli impiegati del Banco di Napoli, nonch� di quelli del Banco di Sicilia, sono escluse dalla giurisdizione dell'autorit� ordinaria ed attribuite alla giurisdizione della Corte dei conti�: con implicito ma univoco riguardo al sesto comma dell'art. 11 dell'allegato T. Va per� immediatamente precisato che, in realt�, della norma impugnata non rileva nei giudizi a quibus. altro che la parte concernente �le controversie in materia di pensioni degli impiegati del Banco di Na (1) Merita segnalare l'dnoiso -significativo proprio perch� non indispensabile -alla non � costitumonalizzazione � della giurisdizione � domestica � della Corte dei Conti, e l'affermazione (implioita) di un principio secondo cui ogni 1 attribuzione di giurisdizione ad �un giudice amministrativo (con conseguente � deroga � �lla � regola:,, della giurisdizione ordinaria) deve essere sorretta �da � adeguata rasione giustificativa�. !I .. . 1� ---I PARTE .I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 61 poli � (mentre nessuno dei giudizi stessi coinvolge le corrispondenti controversie relative al Banco di Sicilia). (omissis) Secondo la costante giurisprudenza della Corte (nell'ambito della quale la sentenza n. 20 del 1982 funge da eccezione che conferma la regola), non possono costituirsi nel giudizio incidentale di legittimit� costituzionale soggetti che non avessero la qualit� di parte nel giudizio a quo. Pertanto, va dichiarata inammissibile la costituzione dell'Unione nazionale fra i pensionati del Banco di Napoli. (omissis) Nel merito, va escluso anzitutto che la presente questione, sollevata in riferimento al principio generale d'eguaglianza, possa considerarsi gi� risolta dall'art. 103, secondo comma, della Costituzione: come invece vorrebbero -ma con prospettive opposte -sia la difesa del Banco di Napoli sia quella dei controricorrenti nel giudizio instaurato dall'ordinanza n. 825 del 1982. Per un primo verso, non � sostenibile che l'art. 103,. secondo comma, abbia inteso conservare incondizionatamente alla Corte dei conti l'intera giurisdizione che le spettava nel momento dell'entrata in vigore della Carta costituzionale: al contrario, � significativo che quella disposizione faccia puntuale riferimento alle sole �materie di contabilit� pubblica�, limitandosi a menzionare genericamente le altre materie �specificate dalla legge�. N� giova appellarsi alla sentenza n. 135 del 1975, con cui questa Corte ha bens� dichiarato non fondata un'impugnativa concernente la cosiddetta giurisdizione domestica della Corte dei conti, ma ha in pari tempo avvertito come la giurisdizione stessa non � sia -di per s� -in contrasto con la Costituzione �, pur non potendo ritenersi � costituzionalizzata >>. Per il secondo verso, le considerazioni gi� svolte tolgono fondamento alla tesi che la norma istitutiva della giurisdizione in esame risulti illegittima, solo perch� estranea al �controllo della finanza pubblica �, cui la Costituzione avrebbe collegato tutte le funzioni giurisdizionali suscettibili di essere assegnate alla Corte dei conti. Il problema va invece posto su tutt'altro piano, cio� domandandosi se la giurisdizione attinente al regime pensionistico dei dipendenti del Banco di Napoli faccia parte integrante di una pi� ampia � materia �, ovvero si risolva in una attribuzione isolata e per se stante, avulsa dagli altri compiti della Corte stessa. Ma � chiaro che, sotto quest'ultimo �aspetto, il quesito finisce .per confondersi con quello prospettato dalla Corte di cassazione: ossia comporta appunto che si verifichi se la norma impugnata sia tuttora sorretta da un'adeguata ragione giustificativa, tale da renderla conforme al principio generale d'eguaglianza, riferito al riparto fra le varie giurisdizioni. E$senzialmente,. che l'originario fondamento della norma in questione. sia venuto meno da gran tempo, � stato affermato dalla Cassa RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 62 zione mediante due distinti ordini di argomentazioni. Anzitutto, la norma stessa avrebbe perduto la propria giustificazione, riducendosi ad un � dogma tralaticio �, sin dal momento nel quale al Banco di Napoli � stata sottratta la potest� di emettere i �biglietti a vista e al portatore �, di cui all'art. 3 n. 1 dell'allegato T (art. 1 del r.d.l. 6 maggio 1926, n. 812). Secondariamente, nel medesimo senso varrebbe la circostanza che il Banco di Napoli deve comunque venire inquadrato -al pari delle altre aziende di credito -fra gli enti pubblici economici considerati dall'art. 2093 cod. civ.; per cui sarebbe incongrua la persistenza d'una giurisdizione pensionistica come quella propria della Corte dei conti, l� dove il rapporto di lavoro dei dipendenti del Banco s'� ormai privatizzato del tutto. Ma la Corte � dell'avviso che la proposta questione debba essere affrontata assumendo la seconda anzich� la prima delle due prospettive indicate. Fra la potest� di emettere biglietti di banca e la giurisdizione in esame non pu� infatti stabilirsi quel rapporto causale che le ordinanze di rimessione ipotizzano: sia perch� l'emissione di � biglietti di Banco, od altri titoli equivalenti, pagabili al portatore ed a vista �, veniva gi� regolata -in particolar modo -dall'art. 1 della legge 30 aprile 1874, n. 1920, ben prima che fosse attribuita alla Corte dei conti la funzione di cui si discute; sia perch� la funzione medesima non � stata mai estesa alle corrispondenti controversie fra gli impiegati e l'amministrazione della Banca d'Italia (gi� istituita dalla legge 10 agosto 1893, n. 449, cui fa espresso richiamo l'art. 39 della legge n. 486 del 1895); sia, soprattutto, perch� le speciali attribuzioni allora spettanti al Banco di Napoli :avrebbero se mai dovuto incidere sul rapporto di lavoro piuttosto che sul solo regime pensionistico, mentre invece nel primo di tali settori la giurisdizione ordinaria non ha sub�to limitazioni di sorta. Giustamente la difesa del Banco di Napoli osserva che, in origine, la vera giustificazione della norma in esame andava ricercata all'interno dell'art. 11 dell'allegato T: cio� ricollegando al sesto comma, concernente la particolare giurisdizione attribuita alla Corte dei conti, il primo comma dello stesso articolo, per cui� a cominciare dal 1� gennaio 1896, le pensioni, gli assegni di disponibilit� e di aspettativa e le indennit� di missione e di trasferta degli impiegati dei due Banchi di Napoli e di Sicilia saranno regolati dalle disposizioni vigenti per gl'impiegati dello Stato�. Entrambe le previsioni, in combinato disposto, formavano e formano -come verr� subito chiarito -un vero e proprio diritto singolare dei pensionati del Banco di Napoli, al confronto con la disciplina degli analoghi rapporti pertinenti agli altri istituti di credito, non soltanto privati ma anche pubblici; sicch� risulta palese che fu appunto l'aggancio fra il regime pensionistico presso il Banco di Napoli ed il trattamento di quiescenza dei dipendenti statali a far considerare la Corte dei conti come il giudice PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE pi� idoneo ad affrontare controversie che si presentavano omogenee rispetto a quelle ricadenti nella fondamentale giurisdizione gi� esercitata dalla Corte stessa in tema di pensioni. Ma tali precisazioni consentono solo d'impostare e non di risolvere il presente problema. Resta infatti da chiarire se quell'iniziale fondamento continui a sussistere. E la Corte ritiene che al quesito occorra dare una risposta negativa. Circa la natura giuridica del Banco di -Napoli la Cassazione si � ripetutamente pronunciata negli ultimi decenni, affermando che tale istituto assume appunto la veste di ente pubblico economico, sicch� i suoi rapporti con i rispettivi dipendenti in servizio esorbitano dall'area del pubblico impiego e sfuggono alla cognizione dei T.A.R. e del Consiglio di Stato: donde la singolarit� della giurisdizione esercitata dalla Corte dei conti, quanto ai pensionati del Banco medesimo, cui non fa riscontro -come avviene di regola -La giurisdizione amministrativa bens� quella ordinaria. Ne segue, d'altronde, che il trattamento economico dei dipendenti del Banco viene integralmente definito dai regolamenti aziendali per il personale, che in larga misura recepiscono gli accordi sindacali relativi agli istituti di credito: il che determina una serie di ripercussioni inevitabili sullo stesso regime pensionistico, malgrado il ,richiamo delle � norme generali che disciplinano la materia per il personale civile dello Stato�, tuttora contenuto nell'art. 102 del citato regolamento del 1975. In effetti, il punto di riferimento gi� fissato dall'art. 11, primo comma, dell'allegato T � stato ridimensionato in un modo radicale. Presentemente, quel disposto continua a trovare applicazione, sia nel senso di precludere il cumulo dei benefici previsti per i dipendenti dello Stato con certi benefici equipollenti, propri dei dipendenti dalla generalit� degli istituti di credito, sia nel senso di dare sostegno a determinate pretese dei dipendenti del Banco che non potrebbero venire soddisfatte in base al diritto comune (come nel caso delle rendite pensionistiche privilegiate, in questione nel primo dei giudizi a quibus), sia ancora nel senso di offrire lo spunto per l'approvazione di ulteriori previsioni legislative, a favore dei dipendenti medesimi (si pensi all'l.i:. 116, primo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, per cui �i servizi statali... sono ricongiungibili, ai fini del trattamento di quiescenza, con il servizio reso in qualit� di impiegato del Banco di Napoli o del Banco di Sicilia�). Ma la Corte dei conti ha avvertito che le norme sul trattamento di quiescenza degli statali non si estendono al personale del Banco di Napoli, altro che per integrare l'apposita disciplina regolamentare interna: sicch�, non soltanto l'entit� delle pensioni pu� ben risultare pi� elevata di quella spettante ai dipendenti dello Stato, ma la stessa base pensionabile ne viene modificata, comprendendo voci che non trovano corrispondenti nelle disposizioni cui rimanda l'art. 11, primo comma, dell'allegato T. Non a ~ ~ I lI 64 RASSBGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO caso, l'art. 102 � del regolamento del 1975 fa incondizionatamente salve � le disposizioni particolari dettate da successivi articoli di questo Capo ,. f o contenute in altri Capi del presente Regolamento)> (il che spiega che f nell'allegato F si �faccia rientrare nella � base di liquidazione della pen-1 sione � il � premio di rendimento �, accanto ad un vasto ed eterogeneo f complesso di speciali indennit�). (omissis) i Ai particolari fini dell'attuale giudizio, ci� basta comunque a far concludere che nell'ordinamento vigente non � pi� ravvisabile quel grado di omogeneit� fra le pensioni in esame e le pensioni statali, che rappresentava il presupposto della giurisdizione attribuita alla Cort.e dei conti dalla norma impugnata. Pertanto, l'aver derogato alla regola della giurisdizione ordinaria si rivela ormai primo di un'adeguata ragione giustificativa e risulta in contrasto con l'art. 3 della Costituzione .. I I ! ; ~� SEZIONE SECONDA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 26 ottobre 1983, nella causa 163/82 -Pres. Mertens de Wilmars -Avv. Gen. Roz�s � Commissione delle C.E. (ag. Toledano Laredo) c. Repubblica italiana (avv. Stato Ferri). Comunit� europee -Lavoro -Parit� di trattamento fra uomini e donne Direttiva comunitaria -Nonne nazionali di attuazione. (Direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, n. 76/207/CEE, artt. 5 e 6; I. 9 dicembre 1977, n. 903; I. 20 maggio 1970, n. 300, art. 15). Comunit� europee -Lavoro -Parit� di trattamento fra uomini e donne � Congedo� obbligatorio in caso� di ingresso di bambino in famiglia adottiva. (Direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, n. 76/207/CEE, art. 5; I. 9 dicembre 1977, n. 903, artt. 6 e 7; I. 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 4). Comunit� europee -Lavoro -Parit� di trattamento fra uomini e donne Violazioni �del principio -Rimedi giurisdizionali. (Direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, n. 76/207/CEE, art. 6; Cast., art. 24; cod. proc. civ., art. 700; I. 9 dicembre 1977, n. 903, art. 15)� .La direttiva, .comunitaria vincola lo Stato membro cui � rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salvo restando la competenza degli otgani nazionali. in merito alla forma e ai mezzi. Non si pu�, quindi, censurare il legislatore italiano per aver adottato, -in sede di attuazione della direttiva 76/207/CEE, relativa alla parit� di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, la formazione la� promozione professionale e le condizioni di lavoro ~, un certo numero �di disposiZioni specifiche riguardanti le condizioni di l~1Joro pi� signifi�<;l.t~i:e, )�mitandosi, per quanto riguarda le altre condi �Zioni di lavoro,. a .prevedere .una disnosizione generale, -quale. l~~rt. 15 della .legge 20 maggio 1970 n. 300, modificata dall'art. 13 della legge 9 dicembre 1977, n. 903 -; che comprende qualsiasi altra condizione di 'l�voro non menzionata espressamente (1). (1) Non di rado le leggii di recepimento di direttive assolvono alrobbligo dell'art. 1189 del Trattato CEE con una letterail.e trascrizione del testo comuni� tarlo (come nel caso della legge 8 agosto 1977, n. 584, relativamente alla diret� tiva �sulle procedure di aggiudicazione degli appalti di opere pubbliche). Ci� no:iJ. � accaduto per la direttiva sulla parit� uomo-donna !in materia di lavoro; e la ragione � comprensibile se si considera che la nostra legislamone, prima 66 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Non costituisce una discriminazione nelle condizioni di lavoro fra uomo e donna vietata dalla direttiva 76/207/CEE la possibilit� concessa alla sola madre adottiva, e non anche al padre adottivo, di avvalersi dell'astensione obbligatoria dal lavoro di cui all'art. 4, lett. c), della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, e del trattamento economico relativo, durante i primi tre mesi successivi all'effettivo ingresso del bambino nella famiglia adottiva, in quanto questa disparit� � giustificata dalla legittima preoccupazione di equiparare per quanto possibile le condizioni di ingresso del bambino nella famiglia adottiva a quelle dell'arrivo di un neonato nella famiglia (2). Non costituisce parziale omissione di attuazione della direttiva 72/ 207/CEE, la previsione, nella normativa italiana diretta all'attuazione della direttiva stessa, di uno specifico ricorso giurisdizionale solo in relazione ad alcune delle violazioni al principio della parit� di trattamento fra uomo e donna nel campo del lavoro, considerato che, cionondimeno, contro Ze altre violazioni lo stesso ordinamento giuridico nazionale consente una efficace tutela giurisdizionale (3). (omissis) 1. -Con atto depositato nella cancelleria della Corte il 1� giugn.o 1982, la Commissione delle Comunit� Europee ha proposto, ai sensi dell'art. 169 del Trattato CEE, un ricorso inteso a far dichiarare che la Repubblica italiana, nell'omettere di adottare entro il termine prescritto le disposizioni per ottemperare alla direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, n. 76/207, relativa all'attuazione del principio della parit� di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, la formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (G. U. n. L 39, pag. 40). � venuta meno agli obblighi impostile dal Trattato CEE. ancora dell'intervento comuniitario; disponeva di una disciplina .generale di garanzia dei lavoratori che aveva gi� affrontato il tema delle dtiscri�minazioni, di modo che bastava precisare e integrare la normativa preesistente. La contestazione di inadempimento avanzata dalla Commissione, troppo formalisticamente ancorata �ad un sindacato tecnico-giuridico stilla formulazione delle norme interne, giudicate a torto insufficienti ad assicurare� la portata assoluta ed incondizionata del principio di pardt�, ha ricevuto una giusta risposta da:11.a Corte di Giustizia che ha ritenuto un tale ordine di censure invasive della competenza esclusiva dello Stato membro circa i mezz� di attua2lione, una volta che non erano dimostrate delle vere e proprie lacune della legislazione dtaliana rispetto agli obbiettivi enunciati dalla direttiva. (2) Tra fo deroghe ammesse ial principio di parit�, da direttiva include le disposizoni riguardanti le donne lavoratrici che tutelano la peculiare condi2ione femminile dn rapporto alla materndt�. A questa clausola si � implicita� ment~ richiamata la Corte giudicando della norma che accorda alla madre adottiva, e non. anche al padre adottivo, il diritto di assentarsi dal .lavoro nei PARTE I, Sl!Z �. II,� GIURIS. COMUNITARIA E INTERNA,ZIONALE 67 ' ' 2. -Gli� 'artt. 5 e 6 della direttiva --che la Commissione ritiene �non siano� stati recepiti nell'ordinamento giuridico italiano in misura e iD. modo conforme -, recitano quanto� segue: Articolo 5: � 1) L'applicazione del princ1p10 della parit� di trattamento per quanto riguarda le condizioni di lavoro, comprese le condizioni inerenti 'al licenziamento, -implica che siano garantite agli uomini e alle donne ie medesime condizioni, senza discriminazioni fondate sul sesso. 2) A tal fine, gli Stati membri prendono le misure necessarie affl.nch�: a) siano soppresse le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative contrarie al principio della parit� di trattamento; b) siano nulle, possano essere dichiarate nulle o possano essere modificate le disp0sizioni contrarie al principio della parit� di trattamento c�ntenute nei �ontratti collettivi o nei contratti individuali di lavoro, nei regolamenti interni delle imprese nonch� negli statuti 'delle professioni indipendenti; � e) siano riesaminate quelle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative contrarie al principio della parit� di trattamento, originariamente ispirate da motivi di protezione non pi� giustificati; che per le disposizioni contrattuali di anal�ga natura, le parti sociali siano sollecitate a procedere alle opportune revisioni � � . L'art. 6 dispone peraltro che: � Gli Sta.ti membri introducono nei rispettivi ordinamenti . giuridici interni le misure necessarie per permettere a tutti coloro che si ritengano lesi dalla mancata applicazione nei loro confronti del prin~ ipio della parit� di trattamento, ai sensi degli artt. 3, 4 e 5, di far va}ere i propri diritti per via giudiziaria; eventualmente dopo aver fatto ricorso ad .altre ~stanze competenti �. ptjmi tre mest dall'ingresso del bambino nella famiglia, m viia di estensione di quanto � previsto, per ii tre mesi dalla nascita, a favore della madre naturale. � (3) Merita di essere segnalato il rlfel"�mento espresso, nella motivazione della sentenza, al!l'a.rt. 24 della CostituE.one: La Corte, accogliendo piienamente la tesi difensiva del Governo dtaliano, ha preso atto della esistenza, nel nostro ordinamento, dii una clausola generale che garantisce in ogni caso la tutela giurisdizionale dei diritti. Di conseguenza ha ritenuto irrilevante una specifica trasposizione dell'art. 6 della direttiva che esige il riconoscimento di una facolt� di ricorso per tutte le violazionii del principio di parit�. L'importanza della statuizione della Corte va oltre i confinii della materia controversa, essendo frequente, nelle direttive comuniital'ie che prendono. in considerazione interessi incLividuali, la previsione di un obbligo dello Stato di accordare loro tutela giudiziaria. 6 68 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 3. -La Repubblica italiana ha emanato la legge 9 dicembre 1977,. n. 903 sulla parit� di trattamento fra uomini e donne in materia di lavoro. All'art. 1, la suddetta legge dispone che � vietata qualsiasi discriminazione fondat� sul sesso per quanto riguarda l'accesso al lavoro, indipendentemente dalle modalit� di assunzione e qualunque sia il settore o il ramo d'attivit�, a tutti i livelli della gerarchi� professionale. La discriminazione in questione � vietata anche se attuata attraverso i1 riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza, o in modo indiretto, attraverso meccanismi di preselezione ovvero a mezzo . . stampa o con qualsiasi altra forma pubblicitaria che indichi come requisito professionale l'appartenenza all'uno o all'altro sesso. Il divieto si applica anche alle iniziative in materia di orientamento, formazione, perfezionamento e aggiornamento professionale, per quanto concerne sia l'accesso sia i contenuti. 4. -L'art. 2 stabilisce che �a lavoratrice ha diritto alla stessa retrib�zior�e del lavoratore quando le prestazioni richieste siano uguali o di pari valore. I sistemi di classificazione professionale ai fui.i della �determinazione delle retribuzioni debbono adottare criteri comuni per uomini e donne. � 5. -L'art. 3 vieta qualsiasi discriminazione fra uomini e donne per quanto riguarda l'attribuzione delle qualifiche, delle mansioni e la progressione nella carriera. Le assenze dal lavoro, previste dagli artt. 4 e 5 <;I.ella legge 30 dicembre 1971, n. 1204, sono considerate, ai fini della progre~ sione nella carriera, come attivit� lavorativa, quando i contratti collettivi non richiedano a tale scopo particolari requisiti. 6. -L'art. 4, 1� comma, stabilisce che anche se le lavoratrici sono in possesso dei requisiti per aver diritto a~la pensione di vecchiaia, esse possono optare di continuare a prestare 1a loro opera sino .agli stessi limjt.i di et� previsti per gli uomini. Gli altri commi del suddetto articolo recano altre disposizioni che non � ne�essario richiamare ai fini della presente sentenza. 7. -La Commissione � del parere, anzitutto, che la legge n. 903 recepisca nell'ordinamento giuridico italiano le disposizioni di cui ail'a. rt. 5 della direttiva in modo e in misura non conformi allo spirito ed alla lettera della direttiva. La legge considera talune condizioni di t lavoro, quali la retribuzione, l'et� di pensionamento e il diritto di assen 1: tarsi dal lavoro in caso di adozione, ma non tutte le condizioni di lavoro, 1: i: (. malgrado il carattere molto pi� ampio delle disposizioni di cui all'art. 5 i della direttiva. � f ~ i 1 i t f PARTE I, SllZ. II, GIURIS. COMUNITARiA E INTERNAZIONALE 69 8. -Il Governo della Repubblica italiana replica, che esaminando le disposizioni della legge n. 903 summenzionata, risulta che � vietata qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda l'accesso al lavoro, l'orientamento, la formazione, il perfezionamento e l'aggiornamento professionale (art. 1), la retribuzione e i sistemi di classificazione professionale ai fini della determinazione delle refribuzioni (art. 2), l'attribuzione delle qualifiche, delle mansioni e la progressione della carriera (art. 3), l'et� del pensionamento (art. 4) e il diritto di astenersi dal lavoro in determinati casi (art. 6). Il Governo della Repubblica ita� liana aggiunge che l'art. 15 della legge 20 maggio 1970, n. 300, � stato modificato dall'art. 13 della legge n. 903 del 1977 in modo da stabilire la nullit� dei patti o atti diretti a fini di discriminazione di sesso in materia di licenziamento di un lavoratore o tali da recargli altrimenti pregiudizio. 9. -Occorre ricordare che ai sensi dell'art. 189 del Trattato CEE, la direttiva vincola lo Stato membro cui � rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salvo restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi. Non si pu� quindi censurare il legislatore italiano per aver adottato un certo numero di disposizioni specifiche riguardanti le condizioni di lavoro pi� significative, limitan�"' dosi, per quanto riguarda le altre condizioni di lavoro, a prevedere una disposizione generale, l'art. 15 della legge 1970, modificata dall'art. 13 della legge 1977, che comprende qualsiasi altra condizione di lavoro non menzionata espressamente, salvo dimostrare che l'obiettivo voluto dalla direttiva non � stato effettivamente raggiunto. 10. -Poich� la Commissione non ha dimostrato che il combinato disposto di queste norme specifiche, completato da una norma generale, lascia persistere lacune .per quanto riguarda il campo d'applicazione della direttiva, il primo mezzo della Commissione non pu�. essere accolto. 11. -La Commissione, in secondo luogo, sostiene che la legge de] 1977 prevede per la madre che ha adottato un bambino di et� inferiore ai 6 anni al momento dell'adozione, il diritto di beneficiare del congedo ol;>bligatorio di 3 mesi e del relativo trattamento economico, a decorrere dall'ingresso effettivo del bambino nella famiglia adottiva, e del diritto di assentarsi dal lavoro per un determinato periodo, senza per� concedere gli stessi diritti al padre adottivo. Questa disparit� di trattamento costituisce una discriminazione nelle condizioni di lavoro ai sensi della direttiva. 12. -L'art. 6 della legge n. 903 del 1977 stabilisce che le lavoratrid che abbiano adottato bambini, o che li abbiano ottenuti in affidamento 70 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO preadottivo possono� avvalersi, semprech� in ogni caso il bambino non abbia'. superato al momento dell'adozione o dell'affidamento i 6 aruii di et�, dell'astensione obbligatoria dal lavoro di cui all'art. 4, lett. c), della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 e del trattamento economico relativo durante i primi 3 mesi successivi all'effettivo ingresso del bambino nella famiglia adottiva o affidataria. Il 2� comma del suddetto articolo aggiunge che le stesse lavoratrici possono altres� avvalersi del diritto di assentarsi dal lavoro di cui all'art. 7, 1� comma, della legge di cui sopra, entro un anno dall'effettivo ingresso del bambino nella famiglia e semprech� il bambino non abbia superato i 3 anni di et�, nonch� del diritto di assentarsi dal lavoro previsto dal 2� comma dello stesso art. 7. 13. - La,. legge 30 dicembre 1971, n. 1204 stabilisce, all'art. 4, il divieto di adibire le donne al lavoro: a) durante i 2 mesi precedenti la data presunta del parto; b) se� il parto avviene dopo quest� data, durante il periodo tra la data presunta e la data effettiva del parto; e) durante i tre mesi successivi al parto. 14. -L'art. 7 della stessa legge prevede, dopo il congedo di m�� ternit� summenzionato, il diritto della lavoratrice di assentarsi dal lavoro, . per un ulteriore periodo di 6 mesi entro il primo anno di vita del bambino, durante il quale le � � conservato il suo posto di lavoro .(1� comma). Essa ha anche il diritto di assentarsi dal lavoro durante le malattie del bambino di et� inferiore a 3 anni, su presentazione di UI] c~rtificato medico (2� comma). 15. .....: L'art. 7 della legge n. 903 del 1977 stabilisce che il diritt�> di assentarsi dal lavoro previsto dall'art. 7 della legge n. 1204 del 1971 ~ ,riconc;>&ciuto anche al padre lavoratore, anche se adottivo o affidatario ai sensi dell'art. 314/20 del Codice civile, in alternativa alla madre lavoratrice ovvero quando i figli siano affidati al solo padre. , . 16. -Il padre adottivo non fruisce invece del diritto concesso alla madre adottiva di beneficiare del congedo di maternit� durante i primi 3 ... t.e&i successivi all'effettivo ingresso del bambino nella famiglia adottiva.. Come afferma con ragione la Repubblica italiana, questa disparit� � giustificata dalla legittima preoccupazione di equiparare per quanto possibile le condizioni d'ingresso del bambino nella famiglia adottiva a quelle dell'arrivo di un neonato nella famiglia, durante questo periodo tanto delicato. Per quanto riguarda l'astensione dal lavoro dopo il pe� PARm I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA B INTBRNAZIONALB 71 riodo iniziale di 3 mesi, il padre adottivo gode degli stessi diritti della madre adottiva. 17. -Ci� premesso, la disparit� di trattamento censurata dalla Commissione non pu� essere considerata una discriminazione ai sensi della direttiva. 18. -L'ultimo addebito della Commissione riguarda la presunta omissione da parte della Repubblica italiana di attuare l'art. 6 della direttiva. La Commissione precisa che l'art. 15 della legge n. 903 del 1977 limita il sistema di ricorsi ivi previsto alle sole discriminazioni che violano le disposizioni � di cui agli artt. 1 e 5 della stessa legge, non prevedendo la possibilit� di ricorso giurisdizionale per il lavoratore che si ritenga leso dall'inosservanza di altre disposizioni della direttiva. 19. -Il Governo della Repubblica italiana replica che la procedura di cui all'art. 15 della legge n. 903 � una procedura d'urgenza, ma sottolinea che nella direttiva nessuna disposizione prevede la necessit� di una siffatta procedura per tutti i casi di discriminazione. L'art. 700 del Codice di procedura civile, norma a portata assolutamente generale, consente di ottenere d'urgenza, prima di iniziare la causa di merito, i provvedimenti necessari per evitare un pregiudizio irreparabile. Questa norma pu� essere fatta valere in tutti i campi d'applicazione della direttiva non contemplati dall'art. 15 della legge n. 903. 20. -Inoltre l'art. 24 della Costituzione italiana stabilisce che tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi. Questo dettato costituzionale ha una diretta applicazione, costante e consolidata, nel senso che, constatata l'esistenza di una norma sostanziale che protegge un interesse individuale, non occorre alcuna altra speciale statuizione normativa che munisca detto interesse di tutela giudiziaria, derivando essa, in modo generale ed assoluto, dall'art. 24 della Costituzione. I lavoratori discriminati possono quindi invocare il suddetto dettato costituzionale per esigere il rispetto delle prescrizioni della legge n. 903 mediante ricorso al giudice. 21. -La Commissione non � ha contraddetto le spiegazioni fornite dal Governo della Repubblica italiana. Ci� premesso, questo mezzo non pu� essere accolto. 22. -Poich� nessuno degli addebiti mossi dalla Commissione � stato accolto, il ricorso dev'essere respinto. (omissis) RASSEGNA. DELL'AVVOCATURA DELLO STATO �ORTE PI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 30 novembre 1983, nella causa 227/82 -Pres. Galmont -Avv. Gen. Roz�s -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall'Arrondissementsrechtbank di Amsterdam nella causa penale c. Leendert van Bennekom (avv.ti Bouman e Barbas) -Interv.: Governi dei Paesi bassi (ag. Italianer), della Rep. fed. di Germania (ag. Seidel e Roder), italiano (avv. Stato Braguglia) e danese (ag. Mikaelsen) e Commissione della C.E. (ag. Haagsma). Comunt� europee -Armonizzazione delle legislazioni -Nozione di � medicinali � -Preparati farmaceutici. (Direttiva CEE del Consiglio 26 gennaio 1965, n. 65/65). Comunit� europee -Libera circolazione delle merci -Misure restrittive all'importazione -Tutela della salute -Limiti -Vitamine. (Trattato CEE, artt. 30 e 36; direttiva CEE del Consiglio 26 gennaio 1965, n. 65/65). Sostanze come i preparati a base di vitamine di cui � causa, che non siano espressamente �indicate o raccomandate� come atte a guarire, curare o prevenire affezioni, possono cionondimeno essere sostanze � presentate come aventi propriet� curative o profilattiche delle malattie umane o animali?> ai sensi della d,efinizione comunitaria di medicinale di cui alla direttiva n. 65/65. Se il prodotto non rientra n� nella prima n� nella seconda parte della definizione comunitaria di medicinale, esso non pu� essere considerato un medicinale ai sensi della direttiva n. 65/65. La classificazione di una vitamina fra i medicinali ai sensi della seconda definizione data della direttiva n. 65/65 va effettuata caso per caso, in base alle propriet� farmacologiche di ciascuna di esse, secondo quanto appurato allo stadio attuale delle conoscenze scientifiche (1). Qualora taluni preparati a base di una o pi� vitamine: a) si possano considerare medicinali ai sensi della direttiva n. 65/65, ma non (l) Ag1i occhi del consumatore � equivalente che una propriet� curativa o profilattdoa venga espressamente indicata o dichiarat,a, ovvero che essa oggettivamente Disulti dal modo di presentazione, e quindi di somministrazione, di una sostanza. Se una sostanza viene presentata sotto forma, ad esempio, di fiale da iniettare, di supposta, di capsula, questo modo di preserva:itlone, oggettivamente considerato insieme alle indicazioni di composiziione e di dosaggio, porta necessariamente a ritenere che a queUa sostanza � stata attr�.buita una propriet� terapeutica. � naturale, quindi, che debba rientmre nena nozione di medicinale (con tutte le conseguenze di cui alla direttiva CEE del Consiglio 26 gennaio 1%5, n. 65/65) non soltanto La sostlanza dichiarata o indicata come avente propriet� curative o profilattiche, ma anche la sostanza la quale, per il modo !in cui viene presentata oggettivamente e, quindi, per il modo in cui deve essere somministrata, induca. necessariamente a ritenere che abbia propriet� curative o profilatmche. PARTE I, SBZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 73 siano compresi nella normativa sui medicinali di uno o pi� Stati membri, oppure b) non rientrino nella definizione comunitaria di medicinale, la legge di uno Stato membro pu� vietare la vendita o la detenzione in deposito ai fini della vendita di pnparati del genere importati da un altro Stato membro, in particolare se essi sono in presentazione farmaceutica ed hanno forte concentrazione. Tuttavia, siffatta disciplina � giustificata solo se vengono concesse autorizzazioni di vendita ogni volta che siano compatibili con le esigenze della tutela della salute (2). (omissis) 1. -Con sentenza 12 maggio 1982, pervenuta alla Corte il 1� settembre 1982, l'Arrondissementsrechtbank di Amsterdam ha sollevato, a norma dell'art. 177 del Trattato CEE, varie questioni pregiudiziali vertenti sull'interpretazione della direttiva del Consiglio 26 gennaio 1965, n. 65, per il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative relative alle specialit� medicinali (G.U. 9 febbraio 1965, pag. 369), e degli artt. 30-36 del Trattato CEE, al fine di decidere sulla compatibilit� col diritto comunitario della � Wet op de geneesmiddelenvoorziening � (legge olandese sull'approvvigionamento dei medicinali). 2. -Le questioni venivano sollevate nell'ambito di un procedimento penale a carico del sig. van Bennekom, imputato. nei Paesi Bassi di aver detenuto per la vendita, in trasgressione della suddetta legge olandese, grandi quantit� di preparati a base di una o pi� vitamine. (2) Gi� in numerose sentenze (cfr. da ultimo la sentenza, citata in motivazione, 114 luglio 11983, nclla causa 174/82, SANOOZ, pubblicata in questa Rassegna, 1983, I, 840, con nota, e, prima, quelle indicate nella notla stessa) fa Corte ha precisato che, se � vero che gli articoli 30 e 34 del trattato vietano qualsiasi restrizione quantitativa o misura df effetto equivalente nel commercio fra Stati membri, non � men vero che gli ostacoli per la circolazione intracomunitaria derivanti dalle disparit� del:le norme nazionali relative a!llo smercio dei prodotti 1 sono consentite dall'art. 36 del trattato, qualora le norme sottese agli ostacoli stessi si!ano giustificate da motivi, tra l'altro, di tutela della salute delle persone: sempre che, naturalmente, !� divieti o le restrizioni di cui trattasi non costituiscano un mezzo di discriminazione arbitraria, n� una restrdzione dissimulata al commercio fra gli Stati membri. In mancanza di nonne di armoniz2iazione, spetta agli Stati membri stabilire il grado di tutela della salute e della vita delle persone che essi iintendono garantire. La difficolt� �e Je incertezze inerenti alla valutazione del livello necessario nei singoli oasi per garantire la salute e le diver,sit� delle situazioni di fatto esistenti nei diversi paesi possono spiegare la ma.ncanza di uniformit� delle leggi nazionali degli Stati membri e l'esistenm in alcuni di mdsure pi� rigorose che in altri. L'art. 36 del trattato riconosce agli Stati membri il potere di fissare discre 1 zionalmente le misure che essi ritengono necessarie per la protezione della salute delle persone: anche ricorrendo, per raggiungere lo scopo, a mezzi impe 74 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO � 3. -� pacifico che si trattava essenzialmente di preparati in pre� sentazione farmaceutica (compresse, pillole e capsule) fortemente con� centrati. 4. -A norma dell'art. 3, n. 5, lett. b), della Wet op geneesmiddelenvoorziening i medicinali possono essere messi in commercio solo previa registrazione da parte dell'autorit� competente. I produttori, importatori o grossisti devono inoltre avere l'autorizzazione per produrre, i~portare o commerciare all'�ngosso i medicinali. 5. -L'obbligo di registrazione e l'autorizzazione sono del pari contemplati dalle norme comunitarie relative al ravvicinamento delle disposizioni legislative sulle specialit� medicinali. 6. -Il van Bennekom, imputato di aver trasgredito i due suddetti obblighi, si difendeva dinanzi al giudice olandese sostenendo che i preparati di cui trattasi non sono medicinali, bens� alimenti ai sensi tanto della legge olandese, quanto della summenzionata direttiva n. 65/65'. 7. -La � Wet op geneesmiddelenvoorziening � intende per medicinale: �qualsiasi sostanza o composto di sostanze, che � destinato ad essere� usato per o in qualche modo viene indicato o raccomandato come atto a: 1) curare, alleviare o prevenire determinate affezioni, malattie, sintomi, dolori, lesioni o deficienze dell'uomo; ditivi degli soambi comunitari; purch� essi siano necessari alla tutela perseguita e non costituiscano una restrizione dissimulata agld scambi stessi. Di conseguenza deve ritenersi che un siffatto potere discreziona!le esercitato da uno Stato non possa avere effetto che nelllo Stato stesso e non possa vincolare, viceversa, gli altri Stati, che altrimenti sarebbero corrispondentemente spogldati del potere attribuito loro dalla norma del trattato e tenuti a uniformare le loro normative in materia sanitaria a quelle dello Stato che ha adottato sul punto la disposizione meno restdttliva. Si avrebbe, in pratica, una vera e propria deviazione della finalit� perseguita dalla norma comunitaria che, anzich� consentire una diversit� di disciplina in fun2Ji.one delle diverse esigenze dei singoli Stati {si pensi alle diverse condizioni ambientali e climatiche e alle diverse abitudini alimentari), verrebbe a porsi come lo strumento per pervenire ad una �armonizzai.ione al livello della normativa nazionale meno restrittiva. Quel che ia normativa comunitaria certamente non consente � una discri� minazione palese o dissimulata o �lna misura che comunque voglia impedire lo scambio dntercomunitario; ma non impedisce certamente che ciascuno Stato imponga determinati requisiti allo smercio dei prodotti senza alcuna distinzione fra quelli na2Ji.onali e quelli importati, per esigenze di tutela della salute ragdonevolmente valutate. Ammettere che il prodotto importato sia esonerato dagli obblighd imposti dalla normativa .sanitaria interna, che continuerebbero a gr�vare invece �Sul prodotto nazionale, significherebbe creare un privilegio per il prodotto importato, che non trova alcuna logica nello spirito del trattato. I ! ! ! I PARm I, SEZ. II, GI1;1RIS. ~MUNlT.\JUA B INJ:BRNAZIONALB 2) ripristinare, stimolare o modificare il. funzionamento dell'organismo umano; 3) elaborare una diagnosi clinica mediante somministrazione o applicazione all'uomo �. 8. -La direttiva del Consiglio n. 65/65 intende per medicinale anzi tutto � ogni sostanza o composizione presentata come avente propriet� curative o profilattiche delle malattie umane o animali �. � Ogni sostanza o composizione da somministrare all'uomo o all'animale allo scopo di stabilire una diagnosi medica o di ripristinare, correggere o modificare funzioni organiche dell'uomo o dell'animale � altres� considerata medicinale �. 9. -Adito in grado d'appello, l'Arrondissementsrechtbank di Amsterdam, ritenendo necessaria l'interpretazione delle norme comunitarie, sospendeva il procedimento e sottoponeva alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: � 1) Se le sostanze semplici o composte come i preparati di vitamine in concentrazioni e dosi determinate e nella forma (compresse, pillole e capsule) di cui trattasi nella presente causa, che non siano state indicate o raccomandate come atte a curare o prevenire affezioni, malattie o sintomi di malattia, dolori ferite o deficienze dell'uomo, siano sostanze semplici o composte presentate come aventi propriet� curative o profilattiche delle malattie umane o animali. 2) Se una sostanza semplice o composta, quale i preparati a base di una o pi� vitamine su cui verte la presente causa, che possa avere propriet� curative o profilattiche delle malattie umane o animali, ma che non sia presentata come tale e non possa venir somministrata a persone o ad animali allo scopo di effettuare una diagnosi medica o di ripristinare, correggere o modificare funzioni organiche dell'uomo o dell'animale, possa essere un " medicinale " ai sensi della direttiva. 3a) Una volta ammesso che vitamine, in una determinata bassa concentrazione, sono destinate a servire come alimento e non come medicinale, anche se sono messe in commercio sotto forma di compresse, pillole o capsule, se una alta (o maggiore) concentrazione delle stesse vitamine, pur se non nella stessa forma, sia sufficiente a far definire la sostanza come medicinale ai sensi della direttiva. 3b) In caso affermativo, in base a quali criteri si possa accertare questo fatto. 4) Se il diritto olandese possa vietare la -o possa venir applicato mediante sanzioni penali alla -vendita o detenzione in deposito per la vendita �di vitamine e di preparati di vitamine tramite una definizione tanto ampia di "medicinale" (come quella che figura nella legge olan RAsi;EGNA DELL�11,vvoc~TURA DELLO STATO 76 dese sull'approvvigionamento dei medicinali) che vi rientrano i preparati pur se non sono medicinali -in quanto sostanze semplici o com7 poste -:-ai sensi della direttiva. 5) Qualora la direttiv� consenta di considerare i preparati a base di una o pi� vitamine come medicinali, ma la direttiva o la normativa nazionale di uno o pi� Stati membri che su di essa si fonda sia redatta, interpretata o applicata in modo che questi preparati esulano ivi dalla sfera d'applicazione della legislazione sui medicinali, se il diritto olandese possa opporsi alla vendita o alla detenzione in deposito per la vendita di prodotti di questo tipo, importati da altri Stati membri, in forza della legge olandese sull'approvvigionamento dei medicinali o delle norme adottate per la sua attuazione, oppure ci� sia incompatibile con il Trattato, in ispecie con l'art. 30 e con il divieto di limitare gli scambi tra Stati membri. 6) Qualora la soluzione d~lle precedenti questioni faccia concludere che la. definizione di medicinale figurante nella legge olandese comprende -in contrasto con la definizione della direttiva comunitaria i preparati a base di vitamine di cui trattasi, con il che essi sono soggetti all'obbligo di registrazione di cui sopra, al pari delle specialit� farmaceutiche e dei preparati farmaceutici, se la normativa olandese si debba per questo considerare una misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa ai sensi dell'art. 30 e segg. del Trattato CEE, tenuto conto del fatto che la direttiva comunitaria disciplina solo le specialit� farmaceutiche�. 10. -� bene anzitutto osservare che non spetta alla Corte, nell'ambito dell'art. 177 del Trattato, pronunciarsi sulla compatibilit� col Trattato di una legge interna; essa pu�, tuttavia, indicare al giudice nazionale tutti i criteri d'interpretazione del diritto comunitario che possano consentirgli di decidere in proposito. 11. -Nel merito va sottolineato che la direttiva n. 65/65 costituisce solo la prima fase nell'armonizzazione delle normative nazionali relative alla produzione ed alla distribuzione dei prodotti medicinali. 12. -La direttiva ha un ambito d'applicazione limitato alle � spe� cialit� medicinali�, definite come medicinali precedentemente preparati, immessi in commercio con un�a denominazione speciale ed in una confezione particolare. D'altra parte, i � medicinali � vengono definiti come � sostanze �, oggetto a loro volta di definizioni pi� precise. Infine l'art. 2 limita l'ambito d'applicazione della direttiva alle specialit� medicinali per uso umano e destinate ad essere messe in commercio negli Stati PARIB I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 13. -A proposito degli elementi tecnici della definizione di medi<:inale di cui alla direttiva n. 65/65, la Corte pu� solo fornire alcune indicazioni generali che permettano di stabilire la linea di demarcazione fra medicinali ed alimenti. 14. -La direttiva n. 65/65 ha lo scopo di eliminare -almeno in parte -gli ostacoli negli scambi delle specialit� medicinali all'interno della Comunit�, pur perseguendo il fine essenziale di salvaguardare la salute pubblica. T1ale armonizzazione deve altres� consentire di rendere gradualmente inutile il ricorso all'art. 36 del Trattato CEE. 15. -Alla luce di queste considerazioni vanno risolte anzitutto le prime tre questioni sollevate dall'Arrondissementsrechtbank di Amsterdam, le quali vertono sull'interpretazione della direttiva, e� in un secondo tempo -in via subordinata -qualora i preparati a base di vitamine di cui � causa non rientrino nella direttiva, le questioni relative agli artt. 30 e segg. del Trattato. La prima questione. 16. -Con la prima questione si chiede sostanzialmente alla Corte se prodotti del tipo dei preparati a base di vitamine di cui � causa, che non siano espressamente �indicati o raccomandati� come atti a guarire, curare o prevenire affezioni, possano ugualmente essere sostanze �presentate come aventi propriet� curative o profilattiche delle malattie umane o animali� ai sensi della definizione comunitaria di medicinali contenuta nella direttiva n. 65/65. 17. -Onde risolvere tale questione, va osservato che, basandosi nella prima definizione comunitaria di medicinale sul criterio della �presentazione� del prodotto, la direttiva tende ad includere non solo i medicinali che hanno veri e propri effetti terapeutici e medicinali, ma anche i prodotti non abbastanza efficaci o che non sortirebbero gli effetti che i consumatori hanno il diritto di aspettarsi data la loro presentazione. La direttiva � volta quindi a preservare i consumatori non solo dai medicinali dannosi o tossici come tali, ma �nche dai vari prodotti usati in luogo dei rimedi adeguati. Pertanto la nozione di � presentazione� di un prodotto va interpretata in senso estensivo. 18. -Si deve quindi ritenere che un prodotto � �presentato come avente propriet� curative o profilattiche� ai sensi della direttiva n. 65/65 non solo quando � espressamente � indicato � o � raccomandato � come tale, eventualmente mediante etichette, note o la presentazione orale, ma anche ogniqualvolta appare, anche implicitamente, ma con certezza, 78 :l.SSBGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO agli occhi del consumatore medio che tale prodoto -stando alla sua presentazione -dovrebbe avere gli .effetti descritti dalla prima definizione comunitaria. 19. -In particolare, la forma esterna del prodotto di cui � causa compresse, pillole o capsule -pu� costituire sotto questo aspetto un indizio attendibile dell'intenzione del venditore o del fabbricante di metterlo� in commercio come medicinale. Tale indizio non pu� per� essere esclusivo e determinante, se non si vogliono comprendere taluni prodotti alimentari tradizionalmente presentati in forme analoghe a quelle di prodotti medicinali. 20. -La prima questione va quindi risolta nel senso che sost�nze come i preparati a base di vitamine di cui � causa, che non siano espressamente � indicate o raccomandate � come atte a guarire, curare o prevenire affezioni possono cionondimeno essere sostanze � presentate come aventi propriet� curative o profilattiche delle malattie umane o animali � ai sensi della definizione comunitaria di medicinale di cui alla direttiva n. 65/65. La seconda questione. 21. -La seconda questione tende ad accertare se una sostanza che possa avere propriet� curative o profilattiche delle malattie umane o animali, ma che non sia presentata come tale e non possa venir somministrata a persone o ad animali allo scopo di effettuare una diagnosi medica o di ripristinare, correggere o modificare funzioni organiche dell'uomo o dell'animale, rientri comunque nella definizione di medicinale ai sensi della direttiva n. 65/65. 22. -Va ritenuto in proposito che una sostanza con �propriet� curative o profilattiche delle malattie umane o animali�, ai sensi della prima definizione comunitaria, non �presentata� per� come tale, rientra in linea di massima nell'ambito d'applicazione della seconda definizione comunitaria di medicinale. 23. -Viceversa, il prodotto� che non rientri n� nella prima, n� nella seconda parte della definizione comunitaria di medicinale non pu� essere considerato un medicinale ai sensi della direttiva n. 65/65. La terza questione. 24. -Con la terza questione il giudice proponente, partendo dal- l'ipotesi che le vitamine poco concentrate possono essere considerate alimenti, chiede essenzialmente se una maggiore concentrazione debba PARTE I, SEZ, II, G�URIS~ cOMUNITARIA � INTERmzlONALB T9 farle ritenere medicinali �ai sensi della� direttiva ed. iri' base a quali criteri. 25. -La soluzione della questione deve consentire al giudice nazionale di valutare il peso del criterio della concentrazione nello stabilire se una vitamina rientri nella se�onda definizione comunitaria di medicinale. 26. -Le vitamine, poich� vengono definite di solito come sostanze indispensabili in minime quantit� all'alimentazione quotidiana ed al buon funzionamento dell'organismo, non possono -come regola generale -essere considerate medicinali quando sono prese in piccola quantit�. 21. -� del pari pacifico che i preparati a base di una o pi� vitamine vengono talyolta usati, di solito in forti dosi, a scopi terapeutici contro talune malattie nelle quali la carenza vitaminica non � la c;msa morbosa. In casi del genere � incontestabile che tali preparati a base di vitamine costituiscono. dei medicinali. 28. -Dal fascicolo e dal complesso delle osservazioni presentate alla Corte si desume tuttavia che � impossibile, nello stato attuale della scienza, stabilire se il criterio della concentrazione possa, da solo, essere sempre sufficiente a far ritenere che un preparato a base di vitamine costituisce un medicinale e, a maggior ragione, precisare da quale grado di concentrazione un preparato del genere rientri nella d�finizione comu� nitaria di medicinale. 29. -� pertanto opportuno risolvere la questione nel senso .�he la classificazione di una vitamina fra. i medicinali ai sensi della seconda definizione data dalla direttiva n. 65/65 va effettuata caso per caso, in base alle propriet� farmacologiche di ciascuna di esse, quali sono state accertate nello stato attuale delle conoscenze scientifiche. La quarta, la quinta e la sesta questione. 30. -Con la quarta, la quinta e la sesta questione si chiede, essen� 2ialmente, se qualora certi preparati a base di una o pi� vitamine a) si possano considerare medicinali ai sensi della direttiva n. 65/65, ma non siano compresi nella normativa sui medicinali di . uno o .pi� Stati membri, oppure b) non rientrino nella definizione comunitaria di medicinale, la legge di uno degli Stati membri possa ancora vietare la vendita o la .detenzione in deposito ai fini della vendita, di preparati del genere importati da un altro Stato membro. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 80 31. -Si desume in proposito dall'ultimo considerando della direttiva n. 65/65 che questa mira solo a realizzare il progressivo ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in materia. Pertanto, pur cercando di ridurre al minimo gli ostacoli per gli scambi nell'ambito della Comunit� per i prodotti considerati, essa non esclude per questo che i prodotti che non ricadono sotto le sue disposizioni siano sottoposti dagli Stati membri ad un regime restrittivo Cli vendita o di messa in commercio purch� siano osservate le altre disposizioni di diritto comunitario. 32. -A norma dell'art. 30 del Trattato, sono vietate nel commercio fra gli Stati membri le restrizioni quantitative all'importazione nonch� qualsiasi misura d'effetto equivalente. Secondo la giurisprudenza della Corte; vanno considerate misure d'effetto �equivalente a restrizioni quantitative tutte le normative commerciali degli Stati membri atte ad ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, il commercio nell'ambito della Comunit�. 33. -In tale prospettiva, � evidente che costituisce una misura d'effetto equivalente ad una restrizione quantitativa all'importazione, ai sensi dell'art. 30 del Trattato CEE, la normativa che vieti, salvo la previa registrazione amministrativa, la vendita di vitamine e di preparati a base di vitamine, in quanto disposizioni del genere sono atte ad ostacolare il commercio fra Stati membri. 34. -Tuttavia, a norma dell'art. 36 del Trattato, �le disposizioni degli artt. 30-34... lasciano impregiudicati i divieti o . restrizioni all'importazione... giustificati da motivi... di tutela della salute e della vita delle persone � che non costituiscano un � mezzo di discriminazione arbitraria, n� una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri�. 35. -Solo allorch�, in applicazione dell'art. 100 del Trattato, direttive comunitarie dispongono. la armonizzazione dei provvedimenti neces� sari per garantire la tutela della salute animale ed umana e approntano procedure comunitarie di controllo della loro osservanza, il ricorso all'art; 36 perde la sua ��giustificazione. Ora; � pacifico che ci� hon avviene nel caso delle direttive sui medicinali. Occorre quindi esaminare se provvedimenti che limitano la vendita di vitamine possano essere giustificati dall'art. 36 del Trattato. 36. -Come la Corte ha avuto occasione di dichiarare nella sentenza 14 luglio 1983 (Sandoz, 174/82, non ancora pubblicata) il consumo ecc�ssivo di vitamine per un pei-iodo prolungato pu� avere effetti nocivi la cui gravit� dipende dal tipo: le vitamine liposolubili rischian� PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE in via generale di essere pi� nocive cii quelle idrosofobili. Risulta inoltre che le vitamine costituiscono un rischio reale per la salute soprattutt� in forte concentrazione. Tuttavia, dalle osservazioni presentate alla Corte si desume che la ricerca scientifica non � ancora abbastanza avanzata per poter determinare con certezza le quantit� e le concentrazioni critiche nonch� gli effetti precisi. 37. -Ora, secondo la costante giurisprudenza della Corte, poich� nello stato attuale della ricerca scientifica rimangono delle incertezze, spetta agli Stati membri, in mancanza d'armonizzazione, decidere in quale misura intendano garantire la tutela della salute e della vita delle persone, pur tenendo conto delle esigenze della libera circolazione delle merci nell'ambito della Comunit�. 38. -Questi principi valgono pure per le sostanze del genere delle vitamine le quali non sono in via generale nocive di per s�, ma possono produrre effetti nocivi particolari in caso di consumo eccessivo. Date le incertezze inerenti�; alla valutazione scientifica, la disciplina nazionale che ai preparati a base di una o pi� vita_IIline in presentazione farmaceutica � in �forte �concentrazione applichi le procedure di cui alla direttiva n. 65/65 � pertanto, nel suo principio ispiratore, giustificata, ai sensi dell'art. 36 del Trattato, da motivi di tutela della salute umana, anche se gli Stati membri hanno adottato in proposito soluzioni diverse. 39. -Tuttavia il principio di proporzionalit� che costituisce il �fondamento dell'ultimo inciso dell'art. 36 del Trattato esige che la facolt� degli Stati membri di vietare le importazioni dei prodotti di cui trattasi da altri Stati membri sia limitata a ci� che � necessario per conseguire gli scopi di tutela della salute legittimamente perseguiti. La normativa nazionale che contempli un divieto del genere � quindi giustificata solo se le autorizzazioni di vendita sono ���concesse ogni volta che siano compatibili con le 'esigenze della tutela della salute. 40. -Spetta in proposito alle autorit� nazionali dimostrare, in ciascun caso, che la loro normativa � necessaria per proteggere effettiva� mente gli interessi consider.ati dall'art. 36 del Trattato e soprattutto che la vendita del prodotto di cui trattasi crea un rischio effettivo per la salute pubblica. 41. -Le questioni sollevate dal giudice nazionale vanno pertanto risolte nel senso che, qualora taluni preparati a base di una o pi� vitamine: a) si possano considerare medicinali ai sensi della direttiva n. 65/65 ma non siano compresi nella normativa sui medicinali di uno o pi� Stati membri, oppure; 8� � RASSEGNA DELt'AVVocATURA DELW STATO b) non rientrino nell� definizione comunitaria di medicinale, la legge di uno Stato membro pu� vietare la vendita o la detenzione in deposito ai fini della vendita di preparati del genere importati da un altro Stato membro, in particolare se essi �sono in presentazione farmaceutica ed hanno forte concentrazione. Tuttavia, siffatta disciplina � giustificata solo se vengono concesse autorizzazioni di vendita ogni volta che siano compatibili con le esigenze della tutela della salute. (omissis) SEZIONE TERZA GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 15 ottobre 1983, n. 6051 -Pres. Gambogi -Rel. Chiavelli -P. M. Sgroi -Pezzilli (avv. Pennacchio) c. Ente di Sviluppo in Puglia e Lucania (avv. Stato Zotta). Procedimento civile -Ricorso principale nel merito -Ricorso incidentale condizionato -Questioni pregiudiziali di rito o di merito -Ammissibilit�. Impiego pubblico -Requisiti pecessari -Natura pubblicistica dell'Ente datore di lavoro -Inserimento reale nell'apparato organizzativo del l'Ente -Obbligo atto formale di nomina -Non sussiste. � ammissibile il ricorso incidentale condizionato allo accoglimento di ricorso principale concernente il merito della causa, ancorch� con tale impugnazione condizionata venga riproposta una questione di carattere pregiudiziale di rito o di merito (1). Ai fini della identificazione di un rapporto di pubblico impiego, requisiti necessari e sufficienti sono la natura pubblicistica dell'Ente datore di lavoro ed il concreto inserimento del lavoratore nell'apparato organizzativo dell'Ente, inserimento non necessariamente risultante da un atto formale di nomina o da uno scritto equipollente, bens� da una qualsivoglia manifestazione di univoca volont� dell'Ente di attuare l'in� serimento stesso, ivi compresi anche meri comportamenti concludenti a ci� idonei (2). (omissis) Il ricorso � ammissibile. Anzitutto, il ricorso stesso risulta proposto tempestivamente in data 28 dicembre 1976, nel termine lungo, avverso la sentenza suindicata non notificata; ed � inoltre ammissibile sotto il profilo dell'interesse, verificandosi la condizione cui esso � stato sottoposto e, cio�, la fondatezza del ricorso principale. (1) Giurisprudenza ronsolidata (cfr. Sez. Un. U aprile 1960 n. 826). (2) Trova conferma, in specie, l'orientamento malllifostato negli ultimi anni dalle Sezioni Unite, caratterizzato da un minor rigor.e circa Ja necessit� del� l'atto formale di nomina ai fini deHa qualif�oa:l'J�one del vapporto di pubblico impiego. V. al riguardo Cass. 12 giugno 1979 n. 3298; Cass. 26 maggio 1979 n. 3070; Cass. 22 ottobre 1980 n. 5680; Cass. 2 marzo 19811 n. 1203 (richiamata in sentenza). 7 - I .. .. l 84 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La parte, infatti, pu� ben condizionare il ricorso incidentale all'accoglimento del ricorso principale, concernente il merito della causa, ancorch�, con la sua impugnazione cos� condizionata, riproponga una questione di carattere pregiudiziale o preliminare (di rito o di merito) (SS.UU 11 aprile 1960, n. 826). Inoltre; la subordinazione dell'esame delle questioni pregiudiziali o preliminari proposte con il ricorso incidentale alla condizione dell'accoglimento del ricorso principale, se non pu� ammettersi quando, con il ricorso incidentale, si propongono questioni rilevabili d'ufficio (perch� in tal caso la condizione non pu� spiegare nessuna efficacia) �, invece, consentita quando le questioni stess� rientrano nel potere dispositivo delle parti: in questa ipotesi la volont� delle parti stesse limita i poteri del Giudice, onde vanno esaminate prima, anche se unicamente al fine di delibarne l'attendibilit�, le questioni sollevate con il ricorso princi� pale e, solo in caso di accoglimento di questo, devono essere esaminate le questioni proposte con il ricorso incidentale (cfr. Cass. 24 marzo 1964, n. 664). Ora, nel caso di specie, per quanto la questione riproposta con il ricorso incidentale condizionato sia una questione di giurisdizione, rilevabile, perci�, in ogni stato e grado del giudizio anche d'ufficio, essa tuttavia non potrebbe pi� essere esaminata, per la preclusione costituita dal giudicato interno, ove non fosse stata impugnata la sentenza 29 gennaio 1976 del Tribunale di Bari, dichiarativa della giurisdizione del giudice ordinario in ordine al rapporto per cui � causa. Ci� premesso, si rileva che il ricorso principale merita di essere accolto in relazione ai motivi secondo e quarto, con i quali il ricorrente sempre previa denuncia di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, lamenta: che il Tribunale non abbia considerato che dalla premessa circa l'affermata natura di ente pubblico non economico dell'Ente di sviluppo avrebbe dovuto scaturire il difetto di giurisdizione dell'A.G.O.; che il Tribunale stesso abbia insufficientemente motivato circa la ritenuta �viscosit�� del rapporto; che, infine, ritenendo il rapporto di pubblico impiego, sia caduto in contraddizione con la sentenza di esso medesimo Tribunale di Bari in data 9 gennaio 1976, che confermando la sentenza del Pretore, dichiarativa de�la giurisdizione ordinaria, aveva ritenuto il rapporto in oggetto di stretto diritto privato (secondo motivo); e denuncia (quarto motivo) vizio logico e giuridico della motivazione (art. 360 n. 5 c.p.c.) in relazione all'art. 2697 C.C., lamentando, infine, che il Tribunale abbia ritenuto che nel rapporto de quo non sussistesse la possibilit� di un licenziamento di ritorsione o di rappresaglia, dando per scontati elementi di fatto mai provati. Sussistono, infatti, i vizi denunciati. Il Tribunale, decidendo nel merito, dopo che aveva gi� giudicato nello stesso processo sulla questione pregiudiziale, inerente alla giuri- J ~ l 1 I: ~ ~ PARm I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE sdizione sul rapporto dedotto in giudizio, ritenendo questo un rapporto di lavoro privato, non poteva pi�, sia pure ai soli effetti del merito, ritenere lo stesso rapporto di natura pubblica, per la natura di ente pubblico non economico dell'Ente convenuto. E ci� non tanto per un vizio di contraddittoriet� della sentenza di merito impugnata (vizio che, come esattamente rileva la difesa dell'Ente, non pu� che essere interno alla sentenza medesima; e, cio�, desunto da elementi ili essa contenuti, non gi� in rapporto ad elementi contenuti in altra sentenza anche se dello stesso giudice) ma bens� per il principio della preclusione delle questioni gi� decise all'interno dello stesso processo e in ordine allo stesso rapporto. E comunque, la sentenza impugnata non � motivata in merito alla ritenuta stabilit� del rapporto. Come gi� altre volte queste SS.UU. hanno avuto modo di precisare, un rapporto di lavoro, indipendentemente dal carattere pubblico o privato del datore di lavoro, pu� ritenersi assistito da garanzia di stabilit�, e, quindi, comportare in costanza del rapporto medesimo, la decorrenza della prescrizione dei diritti del dipendente, solo qualora quest'ultimo abbia possibilit� di insorgere avverso un licenziamento illegittimo e di rimuovere gli effetti, ai sensi dell'art. 18 della legge 20 maggio 1970 n. 300, ovvero in forza di leggi speciali o specifiche pattuizioni, idonee ad assicurare una tutela di intensit� pari a quella prevista dalla citata norma (SS.UU. 9 gennaio 1978 n. 54). Nella specie, invece, il Tribunale ha desunto la stabilit� del rap porto da questi soli fatti: che l'Ente di sviluppo � ente pubblico non economico; che il regolamento del personale ha previsto � il manteni mento del posto di lavoro� per tutto il personale stesso; che, di fatto, nessuno mai, tra le centinaia di dipendenti, sarebbe stato licenziato. Ora, in proposito, � agevole rilevare che dal fatto che nessuno mai sia stato licenziato non pu� ovviamente desumersi la stabilit� giuridica del rapporto, questa potendo derivare solo da una giuridica limitazione del potere di licenziamento da parte dell'ente datore di lavoro; e che poi manca qualsiasi specificazione del contenuto delle norme regola mentari che garantirebbero �il mantenimento del posto di lavoro per tutto il personale�, apoditticamente affermato dal Tribunale. E se � vero che, come rileva la difesa dell'Ente, la questione della stabilit� giuridica del rapporto di lavoro � questio iuris, in relazione alla quale non � deducibile il vizio di difetto di motivazione che pu� attenere solo ad una questione di fatto, � altres� innegabile che la prima �, pur sempre, condizionata dalla seconda, quando la stabilit� giuridica non derivi da norme di legge ma, bens�, da norme regolamen tari o collettive, delle quali non risultino allegati e dimostrati la esi stenza ed il contenuto. 86 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Delibata cos� la questione della fondatezza del ricorso principale ai fini dell'ammissibilit� del ricorso incidentale condizionato, deve allora decidersi sulla fondatezza o meno di quest'ultimo. L'Ente di sviluppo lamenta che il Tribunale di Bari, dopo aver accertato che l'ente datore di lavoro � un ente pubblico non economico, abbia poi ritenuto la giurisdizione dello A.G.O. in base alla considerazione che la lettera 13 aprile 1963 non avrebbe costituito un rapporto di impiego pubblico; e, comunque, che detta lettera sarebbe sopravvenuta in costanza di un rapporto sostanzialmente unitario. In proposito, deduce che, per i connotati oggettivi, il rapporto si configur� come rapporto di diritto pubblico fin dal momento della sua costituzione; che ove si ritenga essenziale la presenza di un atto di nomina -tale atto pu� essere ravvisato nella lettera 13 aprile 1963; che, peraltro, � ben possibile pervenire alla configurazione di due distinti rapporti, il primo (cronologicamente) di diritto privato e il secondo (successivamente) di diritto pubblico. Il ricorso � fondato. Infatti, ai fini della identificazione di un rapporto di pubblico impiego, come tale devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, requisiti necessari e sufficienti sono la natura pubblicistica dell'ente datore di lavoro ed il concreto inserimento del lavoratore nell'apparato organizzativo dell'ente. Quest'ultimo elemento poi non deve risultare necessariamente da un formale atto di nomina o da uno scritto equipollente, bastando che la volont� di attuare l'inserimento sia dall'ente pubblico manifestata in qualsiasi modo, purch� univocamente; e, perci�, anche con atti e comportamenti concludenti che rivelino che l'ente medesimo ha voluto e fatto propria la prestazione lavorativa per utilizzarla nell'ambito della sua organizzazione e per i fini pubblicistici da essa perseguiti (SS.UU. 2 marzo 1981 n. 1203). Ora, per quanto riguarda l'Ente convenuto, non si pu�, anzitutto, dubitare .della sua natura di ente pubblico non economico, trattandosi di ente che, in base alla legge istitutiva (d.l.C.P.S. 18 marzo 1947, n. 281), esplica attivit� non diretta alla produzione di beni o servizi che lo ponga sullo stesso piano, in regime di concorrenza, effettiva o potenziale, con gli imprenditori privati esercenti attivit� analoghe e, quindi, al conseguimento di lucri; ma diretta esclusivamente all'attuazione della riforma fondiaria che, ai sensi dell'art. 44 della Costituzione, rappresenta uno dei pi� importanti fini sociali dello Stato. (SS.UU. 21 ottobre 1971 n. 2956). Parimenti non pu� dubitarsi dell'inserimento del Pezzilli nell'organiz� zazione pubblicistica dell'Ente, sin dalla costituzione del rapporto, svoltosi ininterrottamente e con le stesse modalit� fino alla sua conclusione; PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 87 � il Pezzilli aveva infatti svolto attivit� di conducente di automezzi nei centri agricoli di Laconia, Moschella, Speranza e Gaudiano. Il formale atto di nomina, intervenuto il 13 aprile 1963, si limit� solo a dare veste formale all'unitario ed identico rapporto di presta zione di lavoro subordinato. N�, infine, tale attivit� era estranea ai fini istituzionali dell'Ente, perch�, per quanto di natura esecutiva, si poneva in rapporto di stretta e necessaria strumentalit� per il raggiungimento di detti fini, come � desumibile dalla stessa lettera di nomina che nulla innovava in ordine alla natura della prestazione e della sua utilizzazione. Concludendo, quindi, in accoglimento del ricorso incidentale con dizionato, deve essere dichiarata la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 21 ottobre 1983, n. 6175 -Pres. Greco � Rel. Parisi � P. M. Sgroi � Aeroporto Cuneo-Levaldigi S.p.A. (avv. Cochetti) c. Ministero dei Trasporti �e Ministero della Difesa (avv. Stato Santoro) e c. Cravero. Giurisdizione civile -Regolamento -Convenzione di sfalcio d'erba su terreno aeroportuale -Fine primario pubblicistico -Concessione amministrativa -Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. La convenzione avente per oggetto lo sfalcio d'erba su zone di terreno aeroportuali, formalmente riconosciuta dalle parti quale concessione amministrativa revocabile a giudizio insindacabile della P. A., essendo volta ad assicurare primariamente esigenze pubblicistiche correlate alla sicurezza e alla particolare natura dell'area in questione, ha, anche sostanzialmente, carattere di concesstone amministrativa, come tale devoluta alla cognizione esclusiva del giudice amministrativo a norma degli artt. 5, 7 e 28 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034 (1). Il regolamento, oltre che ammissibile, � anche fondato. Al riguardo va in primo luogo osservato che alla convenzione inter corsa tra l'amministrazione della Difesa e Giuseppe Cravero -con cui fu concesso al Cravero lo sfalcio erba con l'onere della manutenzione ordinaria sulle zone di terreno comprese nel sedime dell'Aeroporto di Levaldigi, dietro pagamento di un canone di concessione e secondo le .(1) Decisione che recepisce tutti g1i argomenti sia formalii che sostanziali addotti dall'Amministrazione al fine della qualificazione del rapporto in que stione come rapporto di natura tipicamente concesso:ria. 88 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO modalit� stabilite nel medesimo contratto, fu espressamente riconosciuta in base alla clausola contenuta nell'art. 2 � natura e scopo di concessione amministrativa �; e che la medesima fu, inoltre, formalmente dichiarata � essenzialmente revocabile in tutto o in parte a giudizio insindacabile dell'amministrazione della Difesa concedente e non soggetta quindi alla legislazione dei contratti agrari � con la intesa che l'anticipata revoca, rispetto alla pattuita durata della concessione, avrebbe dato diritto al solo rimborso della quota parte del canone annuo anticipatamente corrisposto. Inoltre, il rapporto per cui si controverte, oltre a essere caratterizzato dalla rilevata posizione non paritetica che � stata in esso riservata. ai titolari del medesimo rapporto, appare chiaramente preordinato ad assecondare in via primaria ed essenziale le esigenze connesse alla manutenzione ordinaria delle zone di terreno comprese nel sedime dell'aeroporto di Levaldigi; esigenze avvertite e da assolvere, a mezzo del concessionario, dall'Amministrazione concedente della Difesa, per finalit� di n�tura pubblicistica correlate alla sicurezza e alla particolare natura dell'area su indicata e alle connesse limitazioni imposte, pur esse nell'interesse pubblico a carico delle propriet� contigue (V. artt. 822 cod. civ. 692 e 714 e segg. cod. della navigazione), inequivocabilmente risultanti dal contenuto della convenzione e idonee quindi -in quanto con la stessa esteriorizzate ed accettate dalla controparte -a connotare la causa e la natura del relativo rapporto. Le accennate finalit� appaiono evidentemente del tutto trascendenti e distinte rispetto a quelle privatistiche eventualmente anche realizzabili che secondo la citata prospettazione di Giovanni e Pietro Cravero nel ricorso da essi presentato il 30 ottobre 1980 al Presidente del Tribunale di Cuneo Sezione Specializzata per le controversie agrarie, configurerebbero un rapporto agrario. Invece in base ai rilievi che precedono sussistono sicuri elementi per escludere la natura privatistica della convenzione -e per fare rite� nere che la controversia inerisce a un rapporto di carattere pubblicistico, riconducibile per la sua struttura, per il suo contenuto e per le sue finalit�, nella categoria delle concessioni amministrative, da devolvere alla giurisdizione esdusiva del giudice amministrativo a norma degli artt. 5, comma primo, 7 comma secondo e 28 comma secondo e terzo della legge 6 dicembre 1971 n. 1034. In accoglimento del regolamento deve essere conseguentemente di� chiarata la giurisdizione del giudice amministrativo. SEZIONE QUARTA GIURISPRUDENZA CIVILE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lav., 5 novembre 1983, n. 6544 -Pres. Fran� ceschelli -Rel. D'Alberto -P. M. Gazzara -Corradi Corrado ed altri (avv. Nappi e Cerrai) c. Tesoro (avv. Stato Stipo). Lavoro . Rapporto . Comando e distacco . Temporaneit� � 1!: requisito � Persistenza dell'interesse del distaccante � 1!: sufficiente. Lavoro -Rapporto . Trasferimento di azienda � Mancato trasferimento di organizzazione aziendale � Prosecuzione del rapporto di lavoro � Esclusione � Fattispecie. Anche nel rapporto di lavoro privato, come nell'impiego pubblico, per configurarsi il comando o distacco non � necessario che la durata di esso sia predeterminata, ancorch� caratteristica di detto istituto sia la temporaneit�, bens� � sufficiente la sussistenza di un concreto e persistente interesse da parte del datore di lavoro distaccante a che non si instauri un rapporto diretto tra il lavoratore ed il soggetto che ne utilizzi le prestazioni (1). Il mancato trasferimento all'Ufficio per l'accertamento e la notifica degli sconti farmaceutici (U.A.N.S.F.) della organizzazione aziendale della Federazione degli Ordini dei Farmacisti Italiani osta alla configurabilit� di una prosecuzione di rapporto di lavoro ai sensi dell'art. 2112 cod. civ., ed implica inveoe semplice successione di rapporti diversi a seguito della estinzione del primo rapporto per novazione soggettiva (2). (omissis) Il ricorso non merita l'accoglimento. I primi tre mezzi surriferiti, i quali, involgendo questioni con� nesse e/o interdipendenti, possono essere esaminati congiuntamente, sono privi di fondamento nei termini di cui si dir�. In ordine agli errori di diritto lamentati nel primo e nel secondo mezzo, deve rilevarsi, infatti, che il Giudice a quo, giusta le precisazionL anticipate nella premessa narrativa, risulta essersi sostanzialmente uniformato, nella decisione della causa, all'orientamento giurisprudenziale che questa Corte ha espresso in numerose pronunzie e dal quale non sussiste valida ragione di discostarsi. Nel rapporto di lavoro �privato, come nel pubblico impiego, cio�, non � necess�ria la predeterminazione della durata del comando o di (1-2) Giurisprudenza costante: cfr. Cass., 6 luglio 1982, n. 4017, in questa Rassegna, 1982, 940; e .inoltre Cass. SS.UU. 22 novembre 11980, n. 6202; Cass. 13 maggio 1981, nn. 3150 e 3151; Cass. U agosto 1981, n. 4904; Cass. 7 agosto 1982, n. 44315, in Foro lt., 1983, I, 399. 90 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO stacco, ancorch� requisito proprio di tale istituto sia la temporaneit�, potendo l'applicazione del dipendente presso altro imprenditore durare finch� duri il corrispondente interesse del datore di lavoro distaccante; di guisa che, ai fini della configurabilit� di una situazione di comando o distacco � determinante l'esistenza -nel caso di specie, accertata dal Giudice a quo e non contestata dai ricorrenti -dell'anzidetto concreto e persistente interesse (la cui mancanza o il cui venir meno determina l'instaurazione di un rapporto diretto fra il lavoratore distaccato ed il terzo che ne utilizza le prestazioni), senza che sia rilevante, di per se stessa, la durata, pi� o meno lunga, dell'applicazione del dipendente presso il terzo (cfr., fra le altre, le sentenze, 13 maggio 1981, n. 3150; 6 luglio 1982, n. 4017). D'altra parte, ha pi� volte statuito questa Suprema Corte, e va ribadito, che, qualora l'Ufficio per l'accertamento e la notifica degli sconti farmaceutici assuma direttamente il personale prima alle dipendenze della Federazione degli ordini dei farmacisti italiani (F.O.F.I.), ma gi� distaccato presso di esso (precedentemente denominato Ufficio fiduciario), la circostanza che all'Ufficio pre l'accertamento e la notifica degli sconti (U.A.N.S.F.) non sia stata trasferita alcuna organizzazione aziendale dell'anzidetta Federazione osta alla configurabilit� di una prosecuzione del rapporto di lavoro secondo la disciplina prevista dall'art. 2112, codice civile, ed implica, invece, una semplice successione cronologica di rapporti di lavoro diversi, a seguito dell'estinzione del primo rapporto per novazione soggettiva (cfr. le sentenze 22 novembre 1980, n. 6202; 13 maggio 1981, n. 3151; 7 agosto 1982, n. 4435). Alla luce di tali principi appaiono, dunque, inesistenti gli errori di diritto denunciati dai ricorrenti, onde la motivazione della sentenza del Tribunale -integrata, per quanto occorra, a norma dell'art. 384, secondo comma, c.p.c., con l'esplicito richiamo ai principi medesimi deve ritenersi ovviamente immune dall'errore di attivit� ascritto al predetto Giudice di appello con il terzo mezzo dell'impugnazione. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lav., 2 dicembre 1983, n. 7220 -Pres. Bonelli -Est. Farinaro -P. M. Valente (concl. conf.) . Amm.ne dell'Interno (avv. Stato Salimei) c. Borri Luciana (avv. F. Agostini). Assistenza e beneficenza pubblica -Invalido civile -Assegno o pensione Diritto � Decorrenza � Dall'accertamento dello stato di bisogno e non da quello della invalidit� � Fattispecie. (art. 11 I. 6 agosto 1966, n. 625; art. 5 1. 13 ottobre 1969, n. 743). Il diritto dell'invalido civile all'assegno o pensione dipende tanto dall'accertamento della invalidit� che da quello della sussistenza dello stato i. ~ ~1 ---~ ! PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 91 di bisogno e tali elementi, essendo entrambi necessari, hanno natura costitutiva; pertanto, sorgendo detto diritto solo con il compimento dell'ultimo atto del procedimento, esso non viene ad esistenza ove nel corso dell'iter l'avente diritto sia deceduto, a nulla rilevando che gli effetti economici retroagiscano, per espressa disposizione di legge, al primo giorno del mese successivo all'accertamento della invalidit�, per cui il detto diritto, non essendo entrato nel patrimonio del de cuius, non � trasmissibile agli eredi (1). (omissis) Si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 11, ultimo comma della legge 6 agosto 1966 n. 625, come modificato dall'art. 5 legge 13 ottobre 1969, n. 743 e del terzo comma di quest'ultimo articolo e si lamenta che la Corte abbia erroneamente ritenuto costitutivo l'ac certamento dell'invalidit� lavorativa, anzich� la decisione del Comitato Provinciale di beneficenza ed assistenza che coll'accertamento anche dello stato di bisogno delibera la concessione dell'assegno (sia pure con effetto dal primo accertamento), al quale deve collegarsi il diritto dell'erede del beneficiario a percepire le quote maturate. Il motivo � fondato. Invero, 1a fattispecie produttiva del diritto de quo, ricavabile dalla disciplina concreta (legge 6 agosto 1966, n. 625, art. 8), evidenzia come essenziali, oltre gli elementi ovvi della presentazione della domanda e della documentazione relativa, l'accertamento sia della invalidit� da parte della Commissione Prov. (art. 8) che dello stato di bisogno, entrambi di natura costitutiva, in rapporto di assoluta interdipendenza, in modo che mancando l'uno non sarebbe producente la presenza dell'altro, e l'autorizzazione della concessione dell'assegno di assistenza previa valutazione dello stato di bisogno ad opera del Comitato Prov. (art. 5). Soltanto tale atto principale, conclusivo del procedimento, attribuisce palesemente il diritto all'assegno, anche se gli effetti retroagiscono per espressa disposizione dell'art. 11, terzo comma della legge suddetta, dal primo giorno del mese successivo all'accertamento del-l'invalidit� lavorativa permanente. Nella specie la procedura si era conclusa negativamente, in quanto nelle more era deceduta l'assistibile Verpelli. (1) Non constano precedenti dn termini; la sentenza della Corte App. Roma 7 dicembre 1978, cassata con la presente decisione, pu� leggersi in Riv. Giur. Lav., 1978, III, 492. Con parere della I Sez., 25 gennaio 1974 n. 3797 (in Cons. St., 11975, I, 58), il Consiglio dd Stato ebbe !invece a ritenere la natura meramente dichiarativa della delibera sulla sussistenza deUo stato di bisogno, con conseguente diritto degli eredi all'assegno in caso di morte del dante causa anteriore a detta delibera ma successiva al riconoscimento della inabilit�. 92 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO In tale situazione un diritto degli eredi sulla procedura non sussiste, essendo escluso testualmente dall'art. 11, ultimo comma della legge che recita � In caso di decesso dell'interessato, successivo al riconoscimento dell'invalidit�, l'assegno non pu� essere corrisposto agli eredi �. E la disposizione � palesemente legata alla natura strettamente assistenziale dell'assegno, la cui disciplina � interamente disponibile per il Legislatore. Sotto tali presupposti la � novella � di cui all'art. 5 della legge n. 743/69, che aggiunge al suddetto ultimo comma dell'art. 11 l'espressione �salvo il diritto di questi a percepire le quote gi� maturate�, non ha inteso incidere sulla struttura del diritto personale all'assistenza dell'interessato, come sopra disegnato e delimitato. L'espressione disciplina, invece, soltanto la sorte prima dubbia delle � quote gi� maturate � dell'assegno, ove riconosciuto con l'atto definitivo del Comitato di assistenza e beneficenza, al quale � devoluto il compito non solo di autorizzare la concessione dell'assegno, ma anche la valutazione dello stato di bisogno, quaie elemento costitutivo (art. 5). (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lav., 14 dicembre 1983, n. 7374 -Pres. Dondona -Rel. Bianchi -P. M. Dettori (conci. conf.) -Ministero della Sanit� (avv. Stato Azzariti) c. Paone Raffaele (avv. A. Sandulli). Procedimento civile -Notificazione -Incertezza assoluta sulla data Errore materiale riconoscibile � Nullit� � Non sussiste. (art. 160 e.p.e.). Obbligazioni -Prestazione d'opera intellettuale � Compenso -Liquidazione � Criteri. . (artt. 2233 e.e.; art. 30 d.m. 4 giugno 1968). Procedimento civile � Spese processuali � Compensazione � Questione di merito � � Insindacabilit� in cassazione. (art. 92 e.p.e.). Non sussiste nullit� della notificazione ex art. 160 cod. proc. civ. qualora l'incertezza sulla data della stessa non sia assoluta, ma la data sia altrimenti individuabile dal contenuto dell'atto, come nel caso dt mero errore materiale riconoscibile (1). L'art. 2233 cod. civ. pone una gerarchia di carattere preferenziale riguardo ai criteri di liquidazione del compenso per prestazione d'opera (,1) Giurisprudenza pacifica: cfr. da ultimo Cass. 22 lugilio 1976 n. 2893 (>in Giust. civ., Rep. 01976, voce �notificazione civile�, n. 58). PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA 'c1vILE 93 intellettuale, indicando, in primo luogo, la pattuizione delle parti, in difetto, le tariffe o gli usi e, in estremo subordine, rimettendone la de� terminazione al giudice, previo parere non vincolante dell'associazione professionale (2). La compensazione totale o parziale delle ~pese di giudizio � rimessa all'apprezzamento del giudice del merito insindacabile in cassazione (3). (omissis) Con il secondo motivo il Ministero ricorrente -denunziando omessa o, quanto meno, insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, nonch� violazione e falsa applicazione degli artt. 4 del t.u. 27 luglio 1934, n. 1265, 1 lett. b) del d.P.R. 11 febbraio 1961, n. 264 e 12 della legge 21 febbraio 1963, n. 244 -sostiene che la Corte napoletana non ha sufficientemente chiarito le ragioni in base alle quali dovevano essere applicate le tariffe professionali approvate dal veterinario provinciale, n� considerato che, dal punto di vista soggettivo, gli onorari previsti da tali tariffe possono essere pretesi soltanto dai � possessori di bestiame � che, essendo abbienti, non sono inclusi negli elenchi degli aventi diritto all'assistenza zooiatrica gratuita (mentre lo Stato, quando imposta e realizza i piani nazionali e provinciali di profilassi e risanamento degli allevamenti, non � un �possessore di bestiame �) e che, dal punto di vista soggettivo, le prestazioni cui si riferiscono le tariffe professionali rese dal veterinario in adempimento di individuati ed occasionali rapporti stabiliti di volta in volta con i pri� vati, su richiesta di questi ultimi ed in relazione a singoli capi di bestiame, sono certamente ben diverse, sotto il profilo del tempo e dell'impegno professionale, da quelle previste dai piani di risanamento (2) L'art. 2233, 1� comma, e.e. � stato riconosciuto non contrastante con gli :artt. 3, 1� comma, 24, 2� comma, .e >101, 2� comma, Cost. con sentenza 13 feb� braio 1974 n. 32 della Corte Costituzionale. Con sentenza 4 gennaio 1977 n. 11 (in Giust. civ., !Mass. 1977, n. 6) la :S.C. ha affermato che ben possono le parti derogare al minimo tariff�ario, essendo le tariffe professionali fonte sussidiaria e suppletiva; tale principio pu� essere posto nel nulla solo da altra norma avente forza di legge e non da norma regolamentare, che � priva di identico valore normativo (conf. Cass. 29 ottobre 1975 n. 3660). In base ai principi con� tenuti nell'art. 2233 e.e. Cass. 14 gennaio 1977, n. 180 ha altres� rilevato come, ove il compenso possa essere determinato secondo tariffa, esattamente il giiu� dice ignora l'eventuale parere difforme reso dall'ordine professionale; conf. ,altres� Cass. 27 genenaio 1982 n. 530. (3) Il principio, affermato da giurisprudenza costante, secondo il quale solo 1a parte totalmente vittoriosa non pu� essere condannata al pagamento delle spese, mentre la compensazione totale o parziale di esse rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito, insindacabili in sede di legittimit� se l'uso di essi non si fondi su affermazioni erronee o illogiche, � stato di recente riba� dito da Cass. U gennaio 1198.2 n. 115; Cass. 6 febbraio 1982 n. 716; Oass. 16 feb� braio 1982 n. 964. 94 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO consistenti in interventi c.d. � a tappeto � su interi allevamenti di bestiame. Il motivo non merita di essere accolto. Invero, sul preteso vizio di motivazione, � da rilevare che la tesi di cui sopra � stata dedotta per la prima volta in questa sede, onde non poteva essere presa in considerazione della Corte del merito. D'altronde, � ormai ius receptum che, per adempiere all'obbligo della motivazione, il giudice non deve necessariamente enunciare e sottoporre a critica ogni argomento difensivo, essendo sufficiente che siano esposte le ragioni sulle quali la decisione si fonda. Circa l'altro aspetto della censura, va ricordato che, ai sensi dell'art. 2233, cod. civ., il compenso del libero professionista, � se non � convenuto dalle parti e non pu� essere determinato secondo le tariffe e gli usi, � determinato dal giudice, sentito il parere dell'associazione professionale �. La disposizione pone chiaramente una gerarchia di carattere preferenziale tra i vari criteri di liquidazione del compenso per le prestazioni di opera intellettuale: a) in primo luogo, la convenzione che sia intervenuta in proposito tra le parti; b) in mancanza di convenzione, le tariffe o gli usi; e) ove manchino anche le tariffe e gli usi, la determinazione del giudice, il quale deve sentire il parere dell'associazione professionale che peraltro, non � vincolante (v. Cass. n. 1903 del 1979). Ora, alla stregua di tale norma, essendosi escluso che l'attivit� in questione rientri tra i compiti di istituto del veterinario condotto o fra quelli di ufficiale governativo, non v'� dubbio che il compenso spettante al Paone doveva essere stabilito sulla base delle tariffe professionali, indipendentemente dalla circostanza che il rapporto di clientela intercorresse con lo Stato, come pure � certo che il compenso medesimo non poteva essere determinat@ direttamente dal giudice, con riferimento ai criteri oggettivo e soggettivo indicati nel secondo comma dell'art. 2233 codice civile. Con il terzo ed il quarto motivo, che conviene esaminare congiun� tamente, il Ministero ricorrente, deducendo l'omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia e la violazione di norme di diritto, sostiene: a) che, avendo il Paone eseguito le operazioni in oggetto, in tale esecuzione doveva ravvisarsi l'accettazione del compenso fissato con l'art. 30 del decreto ministeriale n. 1039 del 1968; b) e che, contrariamente a quanto si afferma nella sentenza impugnata, le tariffe dei veterinari non sono inderogabili. Entrambi i motivi sono privi di consistenza. La Corte di appello ha osservato che il Paone non avrebbe potuto sottrarsi ad libitum alle prestazioni di cui si discute, � dato il carattere autoritario dell'imposizione� ed ha ritenuto che �l'ottemperanza ad un !, I ~: �~ ~ i' ~~ PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE atto obbligatorio non poteva servire di per s� a significare accettazione -0 rinuncia a far valere nelle sedi competenti i propri diritti �. Orbene, tale motivazione, relativa ad una quaestio facti, che si risolve in una interpretazione della volont� delle parti, � incensurabile in questa sede di legittimit�, in quanto, pur nella sua concisione, appare congrua ed immune da vizi logici e giuridici. Quanto all'inderogabilit� delle tariffe professionali per i sanitari, va poi osservato che la relativa affermazione, contenuta nella sentenza im pugnata, � servita ai giudici di appello per ribadire che non vi era stata accettazione, da parte del Paone, dei compensi stabiliti nell'art. 30 del ripetuto decreto ministeriale e non pu� quindi considerarsi, dato il suo �carattere marginale, come un vizio della decisione. Del resto, � da rile vare che pu� farsi questione di inderogabilit� o meno delle tariffe solo nell'ipotesi di onorari pattuiti dalle parti e di nullit� dell'accordo per contrasto con norme imperative, come quelle che stabiliscono minimi di tariffa inderogabili; ipotesi che nella specie non ricorre. Il ricorso principale dev'essere perci� rigettato. Con l'unico motivo del ricorso incidentale il Paone si duole della disposta compensazione delle spese processuali, adducendo che l'osti nata contestazione dei suoi diritti anche dopo il regolamento preven tivo di giurisdizione (che aveva rimosso i dubbi fino allora possibili drca l'inerenza delle prestazioni al rapporto di impiego di esso Paone e drca la sussistenza di un potere ministeriale di tariffazione) non poteva non comportare la condanna del Ministero a rifondergli le spese del lungo e costoso giudizio. La doglianza � infondata, poich�, come questa Corte ha ripetutamente precisato, la compensazione totale e parziale � rimessa al pru� dente apprezzamento del giudice di merito e la relativa statuizione � incensurabile in cassazione alla sola condizione che la condanna non venga addossata alla parte completamente vittoriosa (cfr. Cass. n. 1339 del 1981). Anche il ricorso incidentale va quindi rigettato. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I civ., 15 dicembre 1983, n. 7398 -Pres. Falcone -Est. Bologna -P. M. Ferraiuolo (conci. conf.) -Bellco S.p.A. (avv. D'Ottavi e Vanzetti) c. Ministero Industria, Commercio e artigianato (avv. Stato Fienga). Impresa -Brevetti -Invenzioni industriali -Brevetti e modelli di utilit� Alternativit� -Protezione cumulativa -Esclusione. (artt. 4 e 14 r.d. 25 agosto 1940, n. 1411). La qualificazione di un ritrovato come invenzione industriale esclude che lo stesso possa essere qualificato come modello di utilit� e vice RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 96 versa; onde una domanda di brevetto o due domande di identico contenuto non possono realizzare una duplice e cumulativa protezione sotto i profili sia dell'invenzione che del modello, ma solo una brevettazione alternativa (1). (omissis) Con il ricorso la Soc. Bellco deduce che: a) nell'ordina� mento positivo non esiste il principio che per il medesimo ritrovato non sia legittimo chiedere la duplice brevettazione delle invenzioni e dei modelli di utilit�; b) nella specie, tuttavia, si trattava non di unico ritrovato, ma di due ritrovati che si esprimevano in un oggetto unico, e la questione non � stata nemmeno esaminata dalla Commissione dei ricorsi; c) la prevista possibilit� di richiedere un modello eventuale in presenza di una parziale brevettabilit� come invenzione del medesimo ritrovato consente di ammettere una protezione cumulativa; d) la doppia tutela deve ammettersi quando la formulazione delle domande e la descrizione dei ritrovati sia tale da consentire la individuazione di due ritrovati; e) in tal senso � la convenzione europea sui brevetti di invenzione ratificata in Italia con legge del 28 maggio 1978, n. 260, cui si � ispirata la nuova legge italiana introdotta con d.P.R. 22 giugno 1979. n. 338. La censura � infondata in tutti i suoi elementi e connessioni. Si deve premettere che costituisce presupposto di fatto dell'intera controversia, ed in particolare dell'impugnata decisione della commissione dei Brevetti, il punto che le due domande di brevetto (per invenzione industriale e per modello di utilit�) presentate dalla Soc. Bellco riguardavano il medesimo ritrovato e si sorreggevano sulla medesima descrizione, elemento quest'ultimo essenziale al fine di individuare l'oggetto del ritrovato (art. 28 r.d. 29 giugno 1939, n. 1127; art. S r.d. S febbraio 1940, n. 244; art. 1 r.d. 25 agosto 1940, n, 1411). Sub a) e e) la decisione impugnata ha correttamente ritenuto che le invenzioni industriali ed i modelli di utilit� sono fattispecie normative distinte, che la qualificazione di un ritrovato come invenzione industriale esclude che lo stesso possa essere qualificato come modello di utilit�, che una domanda di brevetto o due domande, con identico contenuto non possono realizzare una duplice e pertanto cumulativa protezione sotto i profili dell'invenzione e del modello. (1) Sulla questione che ha formato oggetto della deciS1ione in ras�segna e pi� in generale sulla problematica dell'�alternati.vit� tra �invell7Jione e modello di utilit� s,j veda SPOLIDORO, Domanda alternativa di brevetto per invenzione e per modello di utilit�, dn Riv. trim. dir. proc. civ., 1981, :1081 ss. (ed ivi ulteriori ampi riagguagli di dottrina e giU!risprudenza). PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE In tal senso dispongono gli artt. 4 e 14 del r.d. 25 agosto 1940, n. 1411. Ai sensi del citato art. 4 � consentito presentare contemporanea mente due domande di brevetto, una per invenzione industriale, l'altra per modello di utilit�, quest'ultima �da valere sul caso che la prima non sia accolta o sia accolta solo in parte � nei limiti del mancato accoglimento; � chiaro pertanto che la norma sancisce soltanto una brevettazione alternativa (invenzione o modello) per il medesimo ritro vato, ed allo scopo consente all'Ufficio l'esame congiunto della domanda e l'individuazione del brevetto concedibile in presenza delle condizioni legali relative all'ambito complessivo delle invenzioni e dei modelli. Il successivo art. 14 (disposizione transitoria) prevede una alterna tivit� ex officio nella ipotesi in cui la domanda di brevetto per inven zione industriale non sia stata accolta e che il ritrovato descritto abbia i caratteri del modello di utilit�; in detta ipotesi pu� essere concesso il brevetto per modello .con decorrenza dalla data di deposito della domanda per invenzione. L'ipotesi di modello eventuale in presenza di una parziale brevetta bilit� come invenzione (ipotesi sollevata dalla ricorrente) conferma che la protezione brevettuale �non � mai consentita a titolo congiunto (inven zione e modello), riguardando l'eventualit� quella parte del ritrovato rimasto scoperto da tutela; nella specie, invece, la domanda di brevetto per invenzione era stata integralmente accolta. Sub b) e d), si osserva che la tesi della ricorrente circa la coesistenza di due diversi ritrovati nel medesimo oggetto, che ha fo:rmato oggetto di descrizione in sede di presentazione della domanda di brevetto, propone una situazione di fatto ed una valutazione della medesima, diverse da quelle prospettate in sede amministrativa e tenute presenti dalla Commissione. Quest'ultima, come risulta dai rilievi sopra pre. cisati, ha individuato un unico ritrovato, che aveva formato oggetto di due distinte domande, aventi identico contenuto e descrizione (deflussore per soluzioni iniettabili da somministrare particolarmente per uso endovenosa, emodialisi e simili) ma dirette ad ottenere una duplice protezione del medesimo ritrovato. Pertanto la tesi suddetta resta estranea al tema del dibattito nel presente giudizio. Sub e) si rileva che il riferimento di diritto comparato alla legge tedesca in tema di brevetti per invenzioni e modelli e di duplice tutela per gli aspetti distinti del medesimo ritrovato, alla quale legge si sarebbe ispirato il d.P.R. 22 giugno 1979, n. 338, si presenta irrilevante sotto un duplice profilo. In primo luogo la tutela duplice, secondo la tesi stessa della ricor rente, presuppone l'esistenza di profili diversi nel medesimo ritrovato e la loro riconducibilit� alle diverse fattispecie delle invenzioni e dei RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 98 modelli; situazione questa estranea (per le ragioni esposte) alla presente controversia. In secondo luogo il citato d.P.R. non trova applicazione retroattiva ai brevetti gi� concessi (art. 81 e segg.). (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I civ., 15 dicembre 1983, n. 7409 -Pres. Mazzacane -Est. Lipari -P. M. Cantagalli (concl. parz. diff.) -Novello Antonio (avv. Scazzocchio e Serrentino) c. Ministero dell'Industria e Commercio (avv. Stato Fienga). Sanzioni amministrative -Depenalizzazione -Giudizi di opposizione ad ingiunzione -Pendenza prima della legge n. 689 del 1981 -Normativa anteriore � Applicabilit�. (artt. 12, 40 e 43 I. 24 novembre 1981, n. 689). Procedimento civile -Doppio grado di merito -Tutela costituzionale Esclusione. (artt. 111, 113 e 125 Cost.; art. 9 I. 3 maggio 1967, n. 317; art. 23 I. 24 novembre 1981, n. 689). Sanzioni amministrative -Depenalizzazione -Giudizio di opposizione ad ingiunzione � Natura -Poteri del giudice -Limiti generali della legge abolitiva del contenzioso � Applicabilit�. (art. 9 I. 3 maggio 1967, n. 317; art. 4 I. 20 marzo 1865, n. 2248, al!. E). Procedimento civile -Rappresentanza in giudizio della P.A. -Funzionari incaricati -Onorari di avvocato e competenze procuratorie -Spettanza � Esclusione. (art. 91 cod. proc. civ.; art. 3 r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611). In tema di giudizi di opposizione ad ordinanze-ingiunzioni di pagamento per infrazioni amministrative gi� depenalizzate, pend.enti alla data di entrata in vigore della legge 24 novembre 1981, n. 689, che ha rielaborato funditus l'intera materia, deve ritenersi vigente il principio tempus regit actum, per cui il potere processuale gi� esercitato resta disciplinato dalla legge vigente all'epoca dell'esercizio e deve essere valutato, per giudicarne la validit� originaria, alla stregua delle norme allora vigenti (1). L'istituto del doppio grado della cognizione di merito non ha rilevanza e non gode di tutela costituzionale fatta eccezione per la giurisdizione amministrativa (2). (1) Cfr. Cass. 4 novembre 1982, n. 5785 (in Giust. civ., '1983, I, 76); Cass. 28 gennaio 1983 n. 773 (in Foro It. 1983, c. 1149). (2) Giurisprudenza pacifica; cfr. Corte Costituzdonale, 1� febbraio 1982, n. 8 {in Foro lt., 1982, I, 329); idem 15 1aprile 1981, n. 62 (ibidem, 1981, I, 1497); idem, 10 luglio 11973 n. 117 (ibidem, 1973, I, 2682). PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 99 L'azione di opposizione all'ordinanza-ingiunzione di pagamento esperibile dall'autore dell'illecito amministrativo depenalizzato va qualificata come azione di accertamento negativo della legittimit� del provvedimento impugnato, alla quale trova applicazione la regola generale dettata dall'art. 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248 all. E, onde spetta al Pretore il potere di dichiarare illegittimo l'atto amministrativo e di disapplicarlo, ma non pure il potere di annullarlo, revocarlo o modificarlo (3). Ai funzionari delle Amministrazioni dello Stato incaricati, d'intesa con l'Avvoca.tura dello Stato ai sensi dell'art. 3 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, della rappresentanza delle rispettive Amministrazioni innanzi alle Preture e agli Uffici di conciliazione non spettano onorari di avvocato n� competenze di procuratore per le prestazioni giudiziali in materia civile od equiparata n� a carico della parte soccombente n� a carico dell'Amministrazione rappresentata 14). (omissis) Si tratta di opposizione ad ordinanza ingiunzione con la quale � stata determinata la sanzione per illecito amministrativo addebitato al ricorrente che avrebbe violato le prescrizioni sul commercio di cui alla legge 11 giugno 1971, n. 426 (art. 24) esponendo in vendita opere di pittura senza autorizzazione amministrativa (comportamento originariamente sanzionato penalmente, e quindi depenalizzato, ai sensi della 1. n. 706 del 1975). Come � noto la materia delle sanzioni amministrative � stata rielaborata funditus dalla I. 24 novembre 1981, n. 689, che al Capo 1� ne detta sistematicamente la ~isdplina. Il primo problema che si pone, consiste, pertanto, nello stabilire quale sia il dato normativo di riscontro per la valutazione della pre� sente impugnazione (proposta anteriormente all'entrata in vigore della suddetta I. n. 689). Al riguavdo la giurisprudenza di questa Corte ha gi� espresso un orientamento univoco (per la cui ricognizione e puntualizzazione cfr. da ultimo Cass. 6319/1983) che muove dalla distinzione della sfera d'applicabilit� dello ius superveniens per quanto riguarda i profili proces: suali, in �relazione ai giudizi gi� pendenti, in sede civile, al momento della (3) Gilll'isprudenza prevalente: cfr., da ultimo, Cass. 18 maggio �1983,' n. 3434 (in Foro It., Mass. �1983, c. 713). ( 4) Non si rinvengono precedenti. dn termini; sulla non necessariet� . di un formale atto di designazione da parte dell'Avvocatura del fumfonario amministrativo, che rappresenta ['Ammdnistrazione nei giudi:li� pretorili e dri conciliazione ai sensd dell"art. 3 del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, cfr. Cass. 22 gennaio 1980 n. 485 (in Rass. Avv. Stato, 1980, I, 334, con nota di S. LAPORTA). 8 100 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO entrata in vigore della 1. n. 689 cit. (operando in proposito i princ�pi generali, senza necessit� di disposizioni transitorie ad hoc) dal proprium delle disposizioni transitorie espressamente dettate in relazione alla circostanza che la generalizzata depenalizzazione non si risolve ed esaurisce nella abolitio criminis pura e semplice (che avrebbe posto problemi risolvibili ai sensi dell'art. 2 cod. pen.); n� comporta, per volont� del legislatore la traslatio iudicii davanti al giudice civile dei processi penali pendenti. Ne consegue che il potere processuale, gi� esercitato nelle precedenti fasi del giudizio, alla stregua del principio t.empus regit actum, resta disciplinato dalla legge vigente all'epoca -dell'esercizio, e deve essere valutato, per giudicarne la validit� originaria, alla stregua delle norme allora vigenti (cfr. Cass. 5785/82, 5945/82, 6824/82, 773/83). La portata della norma transitoria dell'art..40 della 1. n. 689, resta, quindi, circoscritta alle sole ipotesi della trasformazione, per effetto della suddetta legge, e quindi per la prima volta, degli illeciti penali in illeciti amministrativi; mentre l'art. 12 della medesima 1. n. 689, nel discipli narne l'ambito di applicazione generalizzato, non ne prevede, in prin cipio, l'efficacia retroattiva, ma consente che il processo di opposizione si svolga, a partire dalla sua entrata in vigore (regolata dall'art. 43 con vacatio legis di 180 giorni), giusta la nuova -disciplina. Per stabilire la ritualit� degli atti compiuti prima che la legge n. 689 del 1981 entrasse in vigore occorre, dunque, avere �riguardo alle leggi del tempo del loro compimento e cio�, per quel che attiene all'illecito in esame, alla 1. n. 706 del 1975, che, a sua volta, richiama la 1. n. 317 del 1967. La disciplina sostantiva dell'accertamento dell'illecito, qualificato dalla legge come amministrativo, in forza della cit. 1. n. 706 del 1975, al momento dell'accadimento dei fatti che lo integravano, e quella processuale della relativa ordinanza ingiunzione, trovano nella legge n. 317 del 1967, ed in quella n. 706 del 1975, la esclusiva fonte normativa. Notazione questa che porta a riconoscere la ricorribilit� per cassazione contro la sentenza del Pretore non gi� in forza della statuizione espressa dell'ultimo comma dell'art. 23 della legge n. 689 (�La sentenza � inappellabile, ma ricorribile per cassazione�), sibbene alla stregua dei principi generali che disciplinano la ricorribilit� ex art. 111 Cost. in relazione alla statuizione dell'art. 9 della 1. n. 317 che parla di �inappellabilit��, ma non anche di ricorribilit�, in tal senso essendosi espressa univocamente la giurisprudenza di questa Suprema Corte, come emerge da tutte le sentenze che hanno conosciuto di ricorsi proposti avverso le decisioni pretorili in tema di opposizioni contro le ordinanze ingiunzione (per il riconoscimento espresso della ricorribilit� in cassazione, ex art. 111 Cost. cfr., comunque, Cass. 2088/72, 2747/73, 3884/75, 1217/77, 6385/80, 4408/83). PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 3. -In effetti della ammissibilit� del ricorso per cassazione non si dubita, n� da parte del ricorrente, n� da parte dell'Avvocatura dello Stato; anzi tale ricorribilit�, quale esclusivo rimedio esperibile contro la sentenza pretorile emessa in sede di opposizione all'esecuzione, trovando il suo fondamento giuridico nel riconoscimento della inappellabilit� della sentenza, offre rii destro al ricorrente, per lamentare la insufficienza della tutela giurisdizionale apprestata dall'ordinamento allo autore dell'illecito amministrativo, privato deWappello, espressamente escluso dall'art. 9 della I. 3 maggio 1967, n. 317 (norma applicabile alla specie), nonch� dallo stesso art. 23 ultimo comma della 1. n. 689 del 1981. Da ci� la prospettazione della questione di legittimit� costituzionale, contenuta nel primo mezzo, relativa all'art. 9, ultimo comma della 1. n. 317 del 1967, in relazione all'art. 113 Cost. Si osserva al riguardo che la privazione della possibilit� della revisio prioris istantiae, circoscrive la tutela che, per quanto attiene al riesame del merito, non potrebbe svolgersi con pienezza, mentre l'art. 113 Cost. assicurerebbe a tutti, e sempre, la tutela giurisdizionale che non potrebbe essere, pertanto, limitata a particolari mezzi di' impugnazione. La questione � proponibile e rilevante, ma risulta ictu oculi manife� stamente fondata. Sussiste il requisito della ,incidentalit� dal momento che il presente ricorso per cassazione non si esaurisce nella astratta ed ipotetica censura della incompatibilit� delle norme che disciplinano il sistema delle impu� gnazioni avverso l'ordinanza ingiunzione, negando l'appellabilit�, ma � diretto ad assicurare all'autore dell'illecito, assoggettato alla sanzione amministrativa, oltre al controllo di legittimit�, la garanzia del riesame del merito, che potrebbe essere esercitato solo mediante l'appello, donde la evidente strumentalit� della prospettazione diretta a rimuovere la statuizione di �inappellabilit�� sancita dalla norma impugnata. N� varrebbe obiettare che la pi� conveniente strada da percorrere sarebbe stata, per l'ingiunto, quella di investire il giudice di appello della questione, per ottenere, a seguito dell'eventuale pronuncia di incostituzionalit� della norma preclusiva di detta impugnazione, lo svolgimento del processo davanti al predetto giudice di secondo grado. Non dubita il Collegio che una esatta e producente impostazione de] problema avrebbe dovuto suggerire all'opponente, rimasto soccombente ,in primo grado, di presentare appello contestualmente alla proposizione della questione di costituzionalit�, strumentalmente diretta alla rimozione dell'ostacolo rappresentato dalla norma, asseritamente incostituzionale, che lo vieta, in funzione dell'interesse al riesame delle ragioni disattese in primo grado. Ma poich� l'incidente di costituzionalit� non � governato solo dall'interesse della parte, ma pu� essere sollevato anche d'ufficio dal giudice, il profilo oggettivo dell'incompatibilit� della norma che questi RASSEGNA DEIJ..'AVVOCATURA DELLO STATO 102 deve applicare con princ�pi costituzionali viene necessariamente ad assumere posizione di preminenza nonostante la inavveduta prospettazione della parte la quale non si � accorta che se effettivamente la sua proposta di investire la Corte costituzionale della qu_estione fosse stata accolta, e la Corte stessa avesse riconosciuto l'incostituzionalit� della norma che san� cisce l'inappellabilit�, l'effetto di tale pronuncia nel giudizio a quo non sarebbe stato il trasferimento del processo con correlativa riapertura dei termini davanti al giudice di secondo grado, ma la privazione di competenza funzionale di questa Corte, che non potrebbe pi� giudicare ex art. 111 Cost. sul ricorso, e dovrebbe dichiarare inammissibile il gravame non intermediato dalla pronuncia di secondo grado (divenuto esperibile) profilo questo che giustifica, in punto di rilevanza, l'esame ex officio della questione nonostante la carenza di interesse del ricorrente a far dichiarare, strumentalmente alla pronuncia della Corte cost., l'inammissibilit� del proposto ricorso, restando coperta tale carenza di interesse dall'officium iudicis. Della costituzionalit� della norma che, statuendo l'inappellabilit� le ha consentito di adire la Cassazionee ex art. 111 Cost. (trattandosi di provvedimento definitivo, che sicuramente incide su diritti soggettivi) dubita la parte, la quale, se avesse adito il giudice d'appello, contestando la inappellabilit� della sentenza emessa ex art. 9 della 1. n. 317 del 1967, avrebbe corso il rischio della consumazione del potere processuale in caso di riconosciuta infondatezza della questione. Adottando la soluzione del ricorso per Cassazione il Novello si assicura, invece, un minimum di tutela, sia pure nei limiti consentiti dal giudizio di legittimit�; ma si preclude ogni possibilit� di usufruire deilo appello 'ammesso, e non concesso, che il dubbio dovesse' risultare fondato: comportando, addirittura, una pronuncia siffatta la impraticabilit� del rimedio prescelto; sicch� la sua richiesta risulta paradossalmente �suicida �; e in definitiva la pronuncia di manifesta infondatezza gli giova, nella misura in cui, alla pari della eventuale pronuncia di infondatezza della stessa Corte cost. ratifica (quantomeno) la ricorribilit� in Cassazione. Indubbiamente la norma sulla inappellabilit� � rilevante in sede di ricorso per cassazione ex art. 111, Cost., la cui ammissibilit� verrebbe meno (come si � gi� osservato) se il divieto di appello dovesse cadere, il che basta per ritenere ex art. 23, legge� n. 87 del 1953, la sussistenza della rilevanza del sollevato dubbio. Per buona sorte del ricorrente, peraltro, poich� la prospettazione della questione di legittimit� costituzionale davanti a questa Corte � svincolata dai condizionamenti tipici del motivo in senso tecnico, non potendosi invocare in proposito la categoria dell'� interesse� al motivo di ricorso, la questione, esaminata alla stregua dei poteri d'ufficio del PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE Collegio, risulta priva della bench� minima plausibilit�, essendo il sistema del doppio grado di giurisdizione nel campo processuale (civile e penale) privo di copertura costituzionale. 4. -Passando alla delibazione della � non manifesta infondatezza � della questione, osserva il Collegio che non sussistono con sicurezza gli estremi di sia pur limitata controvertibilit�, richiesti dal sistema per investire la Corte, e che al contrario, il doppio grado di giurisdizione, nel processo civile non gode di tutela costituzionale. Per giurisprudenza costante della Corte costituzionale (cfr. da ultimo le sentenze nn. 8 del 1982 e 62 del 1981), l'istituto del doppio grado della cognizione di merito non ha rilevanza costituzionale, fatta eccezione (giusta la recente precisazione di cui alla cit. sentenza n. 8/82) per la giurisdizione amministrativa. Questo consolidato orientamento della Corte costituzionale affonda le sue radici sulle ,acquisizioni della pi� aut�revole dottrina, ratificate da questa Corte di cassazione, circa la portata ed il significato del principio del doppio gra~lo di giurisdizione che consiste nella sottoponibilit� del medesimo thema decidendum al libero e successivo esame di due giudici di grado diverso, dei quali il secondo ricopre, di norma, un � grado superiore � al primo. Ci� non significa, innanzitutto, s;upporre di necessit� l'obbligo di un compiuto riesame di ogni punto della con� troversia, essendo sufficiente il potenziale venir in essere di due successivi rapporti di cognizione, di cui il secondo deve svolgersi in una sede giurisdizionale �superiore�, a seguito dell'impugnazione di una �sentenza emessa in primo grado. Il doppio esame viene privilegiato alla stregua del convincimento empirico che due . giudici vedono meglio di uno solo, pur non essendo affatto vero che la soluzione trovata per ultima sia, per ci� solo, pi� giusta di quella elaborata in primo grado. L'istituto dell'appello non comporta, n� logicamente, n� in base al diritto positivo (cfr. art. 101 comma 2 Cost.), una organizzazione gerarchica di giudici (che ben potrebbero alternarsi nel compito di riesame: si pensi all'ordinamento canonico). Va dato atto che di recente dubbi da pi� parti sono stati avanzati contro l'istituto, e che, nella polemica contro il doppio grado, si � tenuto conto degli eventuali ostacoli di ordine costituzionale, riconoscendone, pressoch� unanimemente l'insussistenza, non essendo dato rinvenire nell'ordinamento precetti imperativi in tal senso che abbiano fatto assurgere detto principio a valore costituzionale. Il legislatore, pertanto, resta libero, nella sua discrezionalit�, limitata solo dalla ragionevolezza del �riterio prescelto, di consentire o meno per un certo tipo di giudizio l'appello, abbracciando peraltro �tutte� le situazioni omogenee rientranti nel tipo. Viene in rilievo, sotto questo profilo, il principio di eguaglianza, in forza del quale sono state dichia 104 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO rate incostituzionali norme che nel disciplinare l'appello penale lo circoscrivevano, ingiustificatamente, a talune situazioni, ovvero a talune dell~ parti (cfr. ad esempio la sentenza n. 5 del 1975 in cui i giudici della Consulta, ebbero perspicuamente a sottolineare che l'oggetto del giudizio era rappresentato non gi� dalla esclusione dell'appello in s� e per s�, rispetto ad un certo tipo di sentenze, ma dalla circostanza che 1'� imputato �, a differenza del P.M. non potesse impugnare quella sentenza, donde l'incostituzionalit� dichiarata per violazione dell'art. 3 Cost. (cfr. sulla stessa linea argomentativa di accoglimento le sentenze nn. 73/78, 72/79, 53/81). Il legislatore, cio�, una volta adottata liberamente la soluzione dell'appellabilit�, od inappellabilit�, � tenuto a disciplinare l'istituto senza discriminazioni di sorta, poich� le parti del processo, o di processi sostanzialmente analoghi, devono essere trattate in maniera identica nel rispetto del principio di eguaglianza. La obbligatoriet� del doppio grado di giurisdizione non trova agganci nella Costituzione, n� espressi n� espliciti, fatta eccezione, per quanto concerne la giurisdizione amministrativa (rispetto alla quale l'art. 125 comma 2, Cost. prevedendo giudici di primo grado, postula, corrispondentemente, che ve ne siano anche di �secondo�). Risulta dai lavori preparatori che l'Assemblea costituente respinse un emendamento volto a conseguire l'auspicata costituzionalizzazione del principio del doppio grado; e si ricava a contrario, dall'art. 111 comma 2 Cost. che quando si volle imporre, inderogabilmente, la praticabilit� di un dato mezzo di impugnazione, lo si disse con chiarezza. Dalla vigente Costituzione si ricava, pertanto, in positivo che � garantito il ricorso in Cassazione per violazione di legge; ed in negativo che il sistema non contempla il riconoscimento del doppio grado di giurisdizione nel merito. Solo attribuendo al ricorso per cassazione natura di secondo grado di giurisdizione potrebbe parlarsi di costituzionalizzazione del principio del doppio grado (con risultati, peraltro, puramente norminalistici e con un chiaro sconvolgimento dell'impostazione del problema giacch� il riconoscimento della ricorribilit� ex art. 111 Cost. nulla ha a che vedere con le diverse esigenze di un riesame �di merito�). 5. -La Corte costituzionale gi� con sentenza n. 110 del 1963 ebbe ad osservare che il negare alla parte la garanzia del doppio grado di giurisdizione �certo non contraddice a norme costituzionali�, �pur dando indubbiamente la misura della gravit� delle conseguenze che possono derivarne � (il che, come emerge dalla successiva evoluzione giurisprudenziale, porta a v,alutare con estremo rigore il rispetto del principio di eguaglianza per quanto attiene all'accesso all'impugnazione in situazioni sostanzialmente omogenee). f' ! !, ~ ~ �!: PARm I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE Nella successiva sentenza n. 41 del 1965, la Corte, recepisce dalla giurisprudenza ordinaria la nozione del doppio grado (che non va inteso nel senso che tutte le questioni di un processo debbano essere decise da due giudici di diversa istanza, ma in quello che deve essere data la possibilit� di sottoporre tali questioni a due giudici di istanza diversa, anche se il primo non le abbia tutte decise); ed opera significativamente il distacco dell'istituto del �doppio grado� dall'ambito della tutela apprestata dall'art. 24 Cost., rilevando espressamente che � non � tanto la doppia istanza che garantisce la completa difesa, ma piuttosto la possibilit� di prospettare al giudice ogni domanda ed ogni ragione che non siano legittimamente precluse �. Tuttavia manca in quella pronuncia una presa di posizione sullo specifico problema della garanzia costituzionale del doppio grado (�A prescindere dal discutere se il principio del doppio grado di giurisdizione trovi una sua garanzia costituzionale, osserva la Corte che detto principio nell'interpretazione giurisprudenziale ha una limitata portata�. Cos� precisano testualmente i giudici della consulta, sottolineando, altres�, che tale principio � non trova una formulazione recisa ed assoluta�). � solo con la successiva sentenza n. 117 del 1973 che la Corte si pronuncia, per la prima volta, recisamente nel senso della esclusione del doppio grado della cognizione di merito che non ha rilevanza costituzionale, non essendo essenziale alla garanzia della difesa, presentandosi, peraltro, vantaggioso per il miglior risultato delle decisioni. Ma � alla sentenza n. 62 del 1981 che occorre far capo per la definitiva, ed incis�va, ratifica della mancanza, nel nostro ordinamento, di una garanzia costituzionale del doppio grado di giurisdizione. In essa, portando ad ulteriori conseguenze l'impostazione della precedente decisione del 1973 (non riducibile ad un mero � obiter dictum � come la stessa Corte ha cura di sottolineare), si individua il fondamento della mancata copertura costituzionale nella assenza, nel testo della Costituzione, di una proposizione analoga a quella contenuta nell'art. 111 comma 2 per il ricorso in Cassazione, e si ribadisce che non pu� venire in considerazione al riguardo l'art. 24 Cost. considerando il doppio grado medesimo come proiezione diretta del diritto di difesa, perch� tale norma assjcura la tutela in ogni stato e grado del procedimento, ma non garantisce la parte contro la soppressione di un grado del processo. In altre parole, quella garanzia, opera solo in quanto vi sia una fase processuale alla quale farne applicazione. La Corte si � dato carico, inoltre, dell'art. 14 paragrafo 65 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, secondo cui � Toute personne declar�e 1coupable a le droit de faire examiner par une giurisdiction sup�rieure la d�claration de culpabilit� et de condamnation, conform�ment � la loi �, riconoscendo la compatibilit� di tale prescrizione con un sistema come il nostro in cui il riesame � 106 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ipotizzabile solo, in sede di rinvio; ed in tanto risulta possibile, in quanto, a seguito della pronuncia di cassazione, sia stato riconosciuto che la sentenza precedentemente emessa era inficiata da vizi nella formazione del convincimento del giudice, o nello svolgimento del processo. 6. -Di fronte a questa netta presa di posizione della Corte costituzionale secondo cui (tranne che nel processo amministrativo, per la copertura rappresentata dall'art. 125 comma 2 Cost.), l'istituto del doppio grado di giurisdizione non ha rilevanza costituzionale (non dovendo il Collegio in questa sede approfondire la ratio della eccezione, irrilevante ai fini del decidere), e poich� � fuori discussione che rispetto alla situazione di specie, non resta coinvolto il principio di eguaglianza, dal momento che la inappellabilit� concerne tutti coloro nei cui confronti sia stata emessa la ordinanza ingiunzione e che abbiano reagito, proponendo il giudizio di opposizione davanti al Pretore, la ricognizione della giurisprudenza della Corte costituzionale basta per escludere che un orientamento cos� saldo, e di recente ribadito, possa essere sovvertito, anche perch�, a sostegno dell'eventuale riesame, non sono stati addotti nel ricorso (n� il Collegio � in grado di formularne in via autonoma) ulteriori ragioni apprezzabili, diverse da quelle gi� esaminate. In effetti il ricorrente si limita a sottolineare, sotto l'influenza della fattispecie, che non presentava profili giuridici, ma problemi di valuta� zione di prova (a proposito della concreta sussistenza dell'illecito ascritto) che la privazione dell'appello gli impedisce di giovarsi del completo �riesame�, dovendo restare circoscritto il sindacato della Cassazione al riscontro degli eventuali vizi estrinseci della motivazione. L'evidenziazione dell'inconveniente, che nel successivo mezzo si cerca di superare indebitamente allargando l'ambito del giudizio di cassazione, (l'opponente pretenderebbe addirittura che la Corte si desse carico di � leggere � le carte processuali, per il riscontro funditus degli elementi probatori), non rappresenta un quid novi, poich� la questione � stata dibattuta muovendo proprio dalla consapevolezza della maggior garanzia del ��riesame, problema che presenta margini di opinabilit� sul piano dello ius condendum, trattandosi, a monte, di stabilire se la soluzione del doppio grado sia costituzionalmente necessitata, ovvero rimessa alla discrezionalit� del legislatore. Non giova al ricorrente la prospettazione incentrata sull'art. 113 Cost., su una norma, cio�, che non risulta essere stata presa in esam.e dalla Corte costituzionale nelle decisioni richiamate. In effetti tale norma non � invocata a proposito in relazione alla pretesa alla tutela giurisdizionale dei diritti davanti alla autorit� giudiziaria ordinaria nelle forme del processo civile, poich� riguarda esclusivamente la tutela contro gli atti della pubblica amministrazione che PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 107 non pu� essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione e per determinate categorie di atti. Orbene, anche muovendo dalla qualificazione dell'ordinanza ingiunzione come atto amministrativo, il regime tipico predisposto dalla legge al riguardo con l'art. 9 della 1. n. 317 (ed ora con l'art. 23 della 1. n. 689) viene in considerazione in quanto sfocia in un processo civile e per ci� stesso resta al di fuori della sfera di applicabilit� dell'art. 113 e dell'art. 125 comma 2 Costituzione. e Nell'elaborazione giurisprudenziale che ha avuto ad oggetto gli ultimi cinque commi dell'art. 9 della 1. n. 137 si � posto in chiaro che l'azione esperibile dall'autore dell'illecito amministrativo va qualificata come azione di accertamento negativo della legittimit� del provvedimento impugnato, riaffermandosi la applicabilit� al riguardo della regola generale dettata dall'art. 4 della legge 2248 all. E del 1865, spettando al Pretore il potere di dichiarare illegittimo l'atto amministrativo, e di disapplicarlo, negando la possibilit� di annullamento, di revoca o di modifica del provvedimento (cfr. da ultimo Cass. 3434/83, 5141/81, 4427/81, 3094/81, 623/81, 4217/80); soltanto un indirizzo di minoranza sostiene che nel giudizio di opposizione medesimo non sarebbero applicabili le limitazioni di cui alla legge ablativa del contenzioso amministrativo (cfr. Cass. 3528/80 e 2614/81). Ma poich� tale giudizio, che si svolge davanti al giudice ordinario, per la tutela del diritto del cittadino a non essere inciso dalla sanzione, non � un giudizio amministrativo, il regime delle impugnazioni, e pi� specificamente la pretesa all'appellabilit�, non trova copertura costituzionale, non valendo invocare in proposito l'art. 113 Cost. a giustificazione di una soluzione normativamente radicata sull'art. 125 e che comporta la necessit� dell'appello solo ;rispetto alla decisione dei TAR (impugnabili davanti al Consiglio di Stato). 1! appena il caso di osservare, del resto, che l'art. 9 della 1. n. 317 � gi� stato sottoposto all'esame della Corte, la quale, con sentenza n. 32 del 1970, ha escluso che l'ingranaggio della opposizione, che si appunta contro un atto amministrativo mirando alla relativa declaratoria di illegittimit�, si ponga in contrasto con l'.art. 102 Cost. (per indebita istituzione di un giudice speciale) o con gli artt. 24 e 113 Cost. (per avere attribuito al giudice ordinario la cognizione di interessi legittimi, con possibilit� di sindacato dell'atto amministrativo), negando che si tratti di una giurisdizione speciale, poich� il giudice conosce di diritti soggettivi ed il sindacato esercitato risponde ai princ�pi. N� potrebbe suggerire ripensamenti la pendenza davanti alla Corte di una questione che detto art. 9 investe per quanto riguarda i poteri del giudice (ridimensionati dal sopravvenuto art. 23 della 1. n. 689) in quanto, a parte altri possibili rilievi, non si lamenta nella specie che il giudice sia stato limitato nell'esplicazione dei propri poteri di valutazione delle prove ma si censura la valutazione delle prove da esso compiuta, restando circoscritta la 108 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO controversia al solo profilo della privazione dell'appello e del possibile riesame del merito. 8. -Parzialmente fondato risulta il terzo motivo per quanto attiene all'onere delle spese, come in definitiva riconosce la stessa Avvocatura dello Stato, la quale limita la difesa della pronuncia del Pretore alla attribuzione delle sole � spese vive �. � fuori discussione che davanti al Pretore di San Don� di Piave l'UPICA di Venezia � stata in giudizio a mezzo di un proprio funzionario (il dr. Poli). Si tratta di comportamento pienamente legittimo. Ai sensi dell'art. 3 del r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611, �innanzi alla Pretura ed agli uffici di conciliazione, le amministrazioni dello Stato possono, intesa l'Avvocatura dello Stato, essere rappresentate da propri funzionari, che siano per tali riconosciuti �, Ma poich� detti funzionari, non sono avvocati n� procuratori legali ai medesimi non spettano gli onorari per le prestazioni giudiziali in materia civile od equipamta (cfr. a contrario l'art. 1 della 1. 13 giugno 1942 n. 794, modificata dalla 1. 19 dicembre 1949 n. 957) n� a carico della parte soccombente, n� a carico del cliente (l'amministrazione cio� dalla quale il funzionario dipende e che lo retribuisce per tutte le incombenze demandategli, ivi compresa quella particolare della rappresentanza dell'amministrazione medesima in giudizio). Anzi il rapporto di immedesimazione organica tra funzionario ed amministrazione comporta che il carico della difesa va imputato alla amministrazione come tale che, per lo svolgimento del relativo compito, va incontro a spese specifiche, mentre l'utilizzazione del funzionario, distogliendolo da altri incarichi non si presenta come una spesa enucleabile rispetto agli oneri di gestione del servizio cui tale funzionario attende. Lo stesso ragionamento, fondata a contrario sull'art. 15 della cit. 1. n. 794, va fatto rispetto agli onorari e diritti stabiliti dalla legge e dalla tabella annessa per le prestazioni giudiziali in materia civile. Sia l'art. 1 che l'art. 15 contemplano onorari e competenze come un quid pluris oltre al rimborso delle spese giustificate. Si tratta di stabilire se la richiesta di rimborso di tali spese sia consentita con esposizione in apposita nota per la liquidazione da parte del giudice anche da parte dell'amministrazione che si sia fatta rappresentare da un proprio funzionario, e non di un avvocato. La risposta da darsi al riguardo � senz'altro positiva. N� varrebbe obiettare che non risulta agli atti un formale atto di designazione prece duto dal parere dell'Avvocatura dello Stato. In proposito questa Corte ha avuto occasione di precisare, infatti, che ai sensi dell'art. 3 del r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611 non si richiede ~ w �.� PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE che il funzionario, costituendosi in giudizio per rappresentare l'amministrazione di cui fa parte, debba esser munito di un formale atto di designazione, preceduto dal parere della Avvocatura dello Stato, essendo sufficiente, a tal fine, che si faccia � riconoscere � per tale dal giudice e dalla controparte, in quanto la facolt� di rappresentare in giudizio la amministrazione appartiene al funzionario per la sua qualifica derivante dal rapporto organico, e non in virt� di delega e di mandato, mentre il parere dell'Avvocatura dello Stato attiene alla attivit� interna dell'amministrazione, e non va sottoposto al sindacato del giudice, garante di interessi diversi da quelli della amministrazione attiva. (cfr. Cass. 485/80). Ci� posto, poich� l'amministrazione nell'affrontare la difesa, sia pure a mezzo di un suo funzionario, va incontro oltre alle spese generali (insuscettibili di essere imputate pro parte al singolo rapporto processuale), anche a spese specifiche ad hoc, determinate ulteriormente, ed esclusivamente, dallo svolgimento della difesa, nella causa specificamente considerata, non par dubbio che del costo cos� sopportato debba essere resa indenne, indipendentemente dalla operata scelta che l'ha portata ad avvalersi nel caso concreto del funzionario anzich� dell'Avvocatura dello Stato, dovendosi ritenere che al funzionario le spese medesime vengano anticipate, o rimborsate, dalla amministrazione di appartenenza. Ne consegue che il giudice, in sede di rinvio, e sulla base di apposita nota spese, accompagnata dalle pezze giustificative, dovr� provvedere alla liquidazione ex novo, non essendo possibile in questa sede valutare la congruit� dell'importo di L. 165.000 che �residuerebbe una volta riconosciuta la non debenza degli onorari di avvocato, anche perch� non risulta se, ed in che misura, siano state in ipotesi attribuite anche competenze di procuratore. L'accoglimento in questi limiti del motivo, assorbe, evidentemente, il profilo attinente alla mancata presentazione delle �note spese�, (omissis) ���: ���: SEZIONE QUINTA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen. 19 luglio 1983, n. 21 � Pres. Pescatore, Est. Vacirca -Comune di Pavia (avv. Maurici) c. Generale (avv.ti Bonfante e Paradiso). Espropriazione per pubblica utilit� -Occupazione d'urgenza � Immobile di propriet� dell'Amministrazione espropriante locato a terzi � Possibilit� � Illegittimit� per sviamento di potere. � consentita l'espropriazione per pubblica utilit� e quindi anche l'occupazione d'urgenza di un bene dato in locazione a terzi da parte dell'Amm.ne proprietaria dello stesso, a meno che il provvedimento ablatorio non sia utilizzato al solo scopo di eludere le obbligazioni nascenti dal contratto (1). (omissis) 4. -Vanno congiuntamente esaminati il secondo motivo di appello, col quale l'Amministrazione sostiene il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alle censure di carenza di potere, e il quinto motivo di appello, con cui l'Amministrazione deduce l'erroneit� della sentenza impugnata, nella parte in cui esclude che diritti diversi da quelli reali possano essere oggetto di espropriazione. (1) La Adunanza Plenaria, cui la questione era stata rimessa dalla Sez. VI con ordinanza 8 marzo 1983, n. 106 (in Cons. St. 1983, I, .122) traendo spunto da un antico contrasto tra la ISez. V 2 febbraio 1950 n. 133 (in Cons. St. .1950, I, 380 e la Sez. IV '17 marzo 11965 n. 293 �(in Cons. St. 1965, I, 429), risolve in modo soddisfacente con motiva:ifilone completa ed appagante un vecchio problema. Essa richiama quale precedente favorevole anche Sez. Un. 3 febbraio 1982 n. 645 (in Foro it. �1983, I, 421) che, pronunciata in materia dii espropriarione di comparto edificatorio dcl territorio urbano del Comune di Messina ex t.u. 1399/1917, aveva ritenuto dmproponibile l'azione di reintegraz1one proposta dal conduttore nei confronti dell'espropriante che era anche proprietario e locatore dell'dmmobile espropriato, ritenendo che in tale particolare situazione la espropriazione ha l'effetto di estinguere tutti i &ritti dei terzi gravanti sui beni, consentendo all'espropriante di immettersi nel possesso anche dii quelli gi� concessi dn locazione. Sia il ConsigLio di Stato sia la Cassazione non affrontano <la questione che si � fatta in passato soprattutto in dottrina circa l'espropriabilit� del diritto personale di godimento i.n relazione alla locuzione contenuta nell'art. 1 1. 2359/1865 � diritti relativi ad Immobili>>, dando per scontato che il ddritto del conduttore possa essere oggetto del provvedimento ablatorio (sulla questione cfr. l'ampia nota di PIETROSANTI in oalce a Sez. Un. cit. in Foro it. 1983, I, 421). PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA La questione, del cui esame la Sezione quarta ha ritenuto di investire l'Adunanza plenaria, � stata risolta in modo difforme in giurisprudenza: una prima decisione della Sezione quinta (3 febbraio 1950 n. 133) � nel senso che il procedimento espropriativo non possa avere ad oggetto diritti personali relativi a beni immobili; una decisione della Sezione quarta (17 marzo 1965 n. 293) e una recente sentenza della Corte di cassazione a sezioni unite (3 febbraio 1982 n. 645) giungono a opposta conclusione. � certo che in generale il provvedimento di espropriazione incida su tutti i diritti relativi al bene, siano essi di natura reale o personale, come si ricava dall'art. 27 L. 25 giugno 1865 n. 2359 che include �i �conduttori � fra i soggetti aventi diritto a una quota dell'indennit� di espropriazione. Altre leggi in materia espropriativa, successive a quella fondamentale, hanno confermato tale principio o introducendo una deroga in materia di indennizzabilit� del conduttore per la risoluzione del contratto di locazione (art. 12 L. 15 gennaio 1885 � n. 2892) o al contrario prevedendo un regime di favore per fittavoli, mezzadri, coloni e compartecipanti (art. 17 L. 22 ottobre 1971 n. 865). Ci� non viene posto in dubbio nella sentenza impugnata, in cui si riconosce che la risoluzione del vincolo contrattuale possa essere conseguenza della espropriazione, ma si esclude che all'espropriazione possa ricorrersi in favore di chi sia gi� proprietario del bene, al solo scopo di rimuovere il diritto personale di godimento che si frapponga alla realizzazione dell'opera di pubblica utilit�. Una simile conclusione non pu� essere condivisa. Ove si ammetta che la disponibilit� di un bene sia necessaria per la realizzazione di un'opera di pubblica utilit� e che ci� implichi il sacrificio (prevo indennizzo) dei diritti privati reali o personali relativi a quel bene, non pu� pervenirsi a diversa conclusione secondo che proprietario del bene sia lo stesso soggetto che deve realizzare l'opera oppure un terzo. Sarebbe, infatti, irrazionale far discendere dalla titolarit� del diritto di propriet� una limitazione a danno del soggetto espropriante e un ostacolo alla realizzazione di un interesse pubblico, che la legge e i principi generali configurano come prevalente rispetto a quelli privati. N� pu� condividersi il convincimento -espresso dal Tribunale che un simile inconveniente derivi inevitabilmente dalla configurazione dell'espropriazione come trasferimento coattivo della propriet� o di altri diritti reali da un soggetto ad un altro, vicenda che non potrebbe verificarsi nel caso di coincidenza di soggetto espropriante e di proprietario del bene oggetto del provvedimento. Tale configurazione non si desume n� dalla legge fondamentale n. 2359 del 1865 n� dalla Costituzione. 112 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La prima, oltre a prescindere da un nesso di derivazione fra il nuovo diritto e quello preesistente (art. 52 legge n. 2359 del 1865 e art. 14 legge n. 865 del 1971), indica come oggetto dell'espropriazione �beni immobili o diritti relativi ad immobili� (art. 1 legge citata), omettendo di far espresso riferimento, nella norma generale, al diritto di propriet�.. N� pu� ritenersi che l'attribuzione di questo diritto a un soggetto diverso dal precedente titolare risulti presupposto indispensabile del provvedimento in virt� del significato del termine espropriazione, giacch� sia nel linguaggio comune (tenuto conto dell'origine del vocabolo tardo-latino expropriare, composto di proprius e del prefisso ex) sia nel linguaggio tecnico-giuridico tale termine esprime l'atto di privare un soggetto di un proprio diritto (indipendentemente dalla 1acquisizione di quello stesso diritto da parte di altri) o anche l'atto di imporre un peso su di un bene altrui (art. 46 legge cit.). Il significato dell'espressione �diritti relativi ad immobili � contenuta nell'art. 1 legge n. 2359 del 1865 �, d'altronde, spiegato con chiarezza nella Relazione ministeriale al relativo progetto di legge (in Atti pari. Cam., sess. 1863-1864, voi. IV, pag. 2710), in cui si osserva: � Lo stesso crediamo non si debba affermare delle cose incorporali, ossia dei diritti, relativi a cose immobili. Il pi� frequentemente accade che compiendosi un'opera pubblica ed occupandosi uno stabile vengano per forza maggiore a cessare i diritti che circa di essi si esercitano dagli usufruttuari, dai locatari, dagli enfiteuti e da altri che non hanno il dominio della cosa occupata. In questi casi la forzata cessazione 1di tali diritti avviene per mancanza della cosa che ne formava l'oggetto. Ma pu� pure accadere che il diritto solo sia argomento di espropriazione. Pongasi che lo Stato eseguendo-pubblici lavori debba occupare un fondo che gi� gli appartiene, ma sul quale altri abbia un diritto di usufrutto oppure sia da un privato tenuto in affitto. Non pu� ammettersi che lo stabile cada in espropriazione, poich� non pu� ragionalmente concepirsi che si acquisti una cosa di cui gi� si ha il dominio; tuttavia come potrebbe espropriare l'intero stabile ove ad altri spettasse, cosi deve aversi facolt� di far dichiarare l'opera di pubblica utilit� per far cessare i diritti che altri esercita sullo stabile medesimo. In tal caso pare che i diritti soltanto di usufrutto, di locazione sono colpiti da espropriazione, epper� nel presente progetto, seguendo in tal parte la legge federale elvetica del 10 maggio 1850, fra le cose che possono formar oggetto di espropriazione s'indicano non solo i beni immobili necessari all'esecuzione di opere di pubblica utilit�, ma anche i diritti agli stessi immobili relativi �. La stessa norma costituzionale, che a differenza dell'art. 1 cit. sembra j�= collegare l'istituto della espropriazione con quello della propriet� (art. 42, 1: terzo comma, Cost.), � stata interpretata come riferentesi anche ad atti autoritativi che, indipendentemente dalla loro forma, conducano tanto liif: f:! i:: ffi t~ <;<;�.�z�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.-.-.:.�.�...�.�.�r.�.�.�.�.:.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�r.�.�.�.�.�.�.-.�.�.�.�.�.-.�.�.�.�.t'r.�.�.�.-.�.�.�.�.-.-.�.�.-.�.�.-.�.�.�.�.�r.�.�.�rrr.�.�.�.�rr.�.�.�,-.�� -.-.-.-.-.-.-r.�.�.--i--rr.�.-.-.-.-.�.�.-r.--r.�.-.�.-.-.�.-.-,-.-,-,..� .-......................................... , ����������� ,...,..,.,...,.,./... 11i111111111111111r111a11111111r111111,1r1,111;;t11~1l~l~r111111�111111111111111 PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA� 113 ad una traslazione totale o parziale del diritto, quanto ad uno svuotamento di rilevante entit� ed incisivit� del suo contenuto, �pur rimanendo intatta l'appartenenza del diritto� (Corte cast. 29 maggio 1968 n. 55). Deve quindi ritenersi che le norme sull'espropriazione, quando fanno riferimento, nel disciplinare il procedimento, al diritto del proprietario, intendano soltanto indicare la posizione giuridica soggettiva che, nell'or� clinamento, implica il pi� ampio potere di godimento di un bene. Non �, per�, in alcun modo escluso dalla legge che il provvedimento ablatorio possa colpire, sia congiuntamente alla propriet� sia in modo autonomo, altri diritti di godimento del bene, ed � certo che, quando il conduttore sia l'unico soggetto !interessato, debba riconoscersi a lui la posizione che generalmente spetta al proprietario, in applicazione analogica delle norme sul procedimento. 5. -Deve, infine, negarsi che un limite all'utilizzabilit� dell'istituto espropriativo possa desumersi dalla qualit� di parte del rapporto di locazione assunta dal soggetto che intenda ricorrervi. Il locatore assume invero un obbligo di far godere il proprio bene al conduttore, e in ci� la sua situazione potrebbe distinguersi da quella di qualunque soggetto estraneo al rapporto di locazione, che si avvalga dell'espropriazione per acquisire la disponibilit� del bene, sottraendolo rin pari tempo al proprietario e al conduttore. Ma le obbligazioni privatistiche assunte negozialmente si collocano su cli un piano distinto da quello dei poteri pubblicistici, per loro natura indisponibili, n� possono con questi interferire, se non di fatto nel caso (patologico) di utlizzazione degli istituti espropriativi al solo scopo di eludere le obbligazioni nascenti dal contratto. Per tali evenienze, per�, l'ordinamento appresta idonei rimedi giurisdizionali, essendo possibile sia impugnare l'atto amministrativo, da cui derivi la dicharazione cli pubblica utilit� dell'opera, per la cui realizzazione si affermi necessario il sacrificio del conduttore, e far valere l'eventuale sviamento, sia chiedere la retrocessione ai sensi dell'art. 63 legge n. 2359 del 1865, in caso di mancata realizzazione dell'opera. Le considerazioni svolte in ordine al provvedimento di espropriazione valgono, a maggior ragione, per l'occupazione d'urgenza, che in nessun caso potrebbe configurarsi come provvedimento necessariamente incidente sul diritto di propriet�. Riconosciuto all'amministrazione il potere di privare il conduttore del suo diritto e di occupare d'urgenza il bene dato in locazione, deve dichiararsi infondato il secondo motivo di appello, mentre deve accogliersi il quinto e riformarsi la sentenza di primo grado che un simile potere aveva negato. (omissis) 114 RASSEGNA DEU.'AvVOCATURA DELLO STATO CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen. 10 ottobre 1983, n. 24 -Pres. Pescatore, Est. Cossu -Comune di Modena (avv. Giuffr� e Palmieri) e Regione Emilia Romagna (Avv.ti Zavattaro Ardizzi e Bergonzoni) c. Testoni Cavallo (Avv. Amorth e Sala). Giustizia Amministrativa � Interruzione del processo -Morte del difen� sore � Conoscenza effettiva e conoscenza legale dell'evento � Fatti� specie. Giustizia Amministrativa � Interruzione del processo � Riassunzione � Prosecuzione volontaria � � Deposito della procura al nuovo difensore � Istanza di fissazione d'udienza. Deceduto l'unico difensore di un Comune, costituisce evento idoneo a far decorrere il termine semestrale entro il quale il processo deve essere riassunto a pena di estinzione la delibera consiliare (versata in atti) con la quale il Comune stesso preso atto della morte del precedente legale statuisce di nominarne altro in sostituzione (1). Integra la fattispecie della prosecuzione volont�ria, equivalente alla riassunzione del processo interrotto, il deposito della procura rilasciata dal Comune (il cui precedente unico legale sia deceduto) ad un nuovo difensore, quando risulti gi� fissata un'udienza futura di discussione del ricorso, altrimenti � necessario oltre al suddetto deposito la richiesta di fissazione d'udienza (2). (1-2) Su una singolare ipotesi di discutibile iuterruzione ed ancora pi� discutibile riassunzione del processo amministrativo. La decisione dell'Adunanza Plenaria, pur essendo condivisibile per la soluzione sostanziale data al caso di specie, suscita nofevoli perplessit� in ordine alla strada percorsa per arrivarvi. Cominciando dalla �statuizione .riassunta nella prima massima, appare piuttosto opinabile il collegare la decovrenza del termine semestrale per la riassunzione ad un evento che, secondo l'art. 24 I. 1034/1971, non solo non rientra tra quelli ddonei a determinare la certezza legale ma per di pi� � rivelatore di una conoscenza che non deriva da un atto proveniente dall'esterno ma dalla stessa parte interessata, ovvero da quella rimasta orfana del difensore. Sulla ;insufficienza della conoscenza di fatto come surrogato delfa conoscenza legale la tesi del Consiglio di Stato contrasta con quella della Cassazione (cfr. .10 giugno ,1982 n. 3512), la quale peraltro concerne l'art. 305 c.p.c. cos� come risulta modificato dalla sentenza .12 dicembre '1%7 n. 139 della Corte Costituzionale, che lo dichiar� dncosflituzionale nella parte in cui consente che di termine per la riassunzione o la prosecuzione decorra � dalla data di un evento di cui il soggetto non � messo in condi2lione di conoscere l'avverarsi �. Nella sua riformulazione costituzionalmente legitflima dunque l'art. 305 c.p.c. non richiede espressamente la certezza legale .riico11egandola a specifiche forme di informazione, ma solo che il soggetto sia messo in condizione di avere conoscenza dell'evento PARm I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 115 DIRITTO ...,.. Preliminarmente va affrontato il problema della possibile estinzione dell'appello proposto dal Comune di Modena: problema posto dalla eccezione sollevata dalla appellata Testoni e che ha determinato la rimessione della controversia all'Adunanza plenaria. L'eccezione si fonda sul fatto, non controverso, del decesso dell'avv. Barillaro, in origine unico difensore del Comune di Modena abilitato al patrocinio presso le giurisdizioni superiori, della conseguente interruzione del processo e della mancata riassunzione nel termine previsto dall'art. 24 della L. 6 dicembre 1971 n. 1034. Al fine di decidere sulla eccezione in discorso si deve stabilire: a) se si sia verificato un evento tale da far decorrere il termine semestrale entro il quale il processo doveva essere riassunto; b) se, risolto positivamente il quesito sub a), un atto di riassunzione, cos� come configurato dal menzionato art. 24 secondo comma si sia verificato; e) se, infine, possa ammettersi un atto equivalente alla riassunzione, costituito, in concreto, dall'avvenuto deposito in causa di procura rilasciata dal Comune di Modena in favore di nuovo difensore, in sostituzione di quello deceduto. Sul primo punto deve osservarsi che il termine di riassunzione prende a decorrere �dalla conoscenza legale dell'evento interruttivo acquisito mediante dichiarazione, notificazione o certificazione�: ma deve escludersi che evento di tale fatta siasi verificato. In particolare, deve escludersi che nel corso della pubblica udienza del 15 dicembre 1981 avanti la interruttivo e ci� nonostante, come si diceva, la Cassazione richiede la certezza legale. Nell'art. 24 della 1. 1034/1971 (che per la sua data successiva alla sentenza della Corte Costituzionale ha tenuto conto del principio livi affermato) si dice espressamente che il processo deve essere niassunto � nel termine perentorio di sei mesi dalla conoscenza legale dell'evento interruttivo, acquisita mediante dichiarazione, notificazione o citazione� e non di meno l'Adunanza Plenaria ritiene di poter equiparare alla certezza legale cos� codificata la certezza effettiva. A giustificazione di questa conclusione il Consiglio di Stato sottolinea la scarsa chlarezza della formula legislativa, che pone sullo stesso piano misure di conoscenza tra loro molto diverse a livello strutturale e funzionale. E su questa affermazione si pu� anche convenire; ci� che non sembra da condividere � invece la concludenza di essa rispetto alla conseguenza che se ne vuole trarre, poich� per quanto ambigua sia la formulazione della norma, non vi � dubbio che essa faccia riferimento a degli strumenti che una parte o terzi possono utilizzare per far acquisire all'altra parte la conoscenza legale, mentre non � prospettabile dn base a questa norma l'ipotesi che sia la parte stessa ad autocertif�carrsi la propria conoscenza legale. 9 - 116 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO IV Sezione si sia reso noto l'evento interruttivo: risulta infatti dal verbale di udienza che l'appello del Comune di Modena fu chiamato congiuntamente a quello della Regione Emilia Romagna; che fu presente soltanto il difensore della Regione il quale chiese rinvio, ed entrambi i ricorsi furono rinviati a udienza da destinare, poi fissata al 19 ottobre 1982. N� risultano altri atti suscettibili di determinare la ricordata cono� scenza legale: dell'evento interruttivo infatti si parla, per la prima volta, nella memoria depositata il 19 ottobre 1982, ma tale atto non era idoneo a determinare nell'appellante la conoscenza legale dell'evento. La parte infatti sta in giudizio a mezzo del difensore e, anche ad ammettere un onere di conoscenza delle dichiarazioni fatte o degli atti prodotti in pubblica udienza, la conoscenza stessa va esclusa perch� l'evento da conoscere (morte del difensore) dovrebbe essere appreso dalla parte proprio attraverso quel difensore del quale � rimasta priva (si veda, in termini, Cass., 10 giugno 1982, n. 3512). La difesa dell'appellata, nel corso della pubblica udienza, ha richiamato l'attenzione del Collegio su un ulteriore aspetto del problema, e cio� se la formula di cui �all'art. 24 possa essere intesa nel senso che la conoscenza legale sia quella comunque acquisita anche indipendentemente dai �mezzi indicati dalla legge e cio� mediante � dichiarazione, notificazione o certificazione �. Ma pi� che indagare circa la tassativit� o non dei mezzi, occorre chiedersi se alla conoscenza legale possa equipararsi una conoscenza piena ed effettiva che possa inequivocabilmente desu� mersi da atti provenienti dalla parte colpita dall'evento interruttivo e dai quali risulti che alla stessa � noto l'avvenuto decesso del difensore. E nel caso presente la questione � tutt'altro che teorica, poich� � versata Sicch� non si vede proprio come la delibera con la quale H Comune prende atto della morte del difensore e ne nomina un altro possa considerarsi pariti.� cabile alla conoscenza legale imposta dalla legge. Ma la decisione non appare convincente neppure sotto l'altro profilo, rias� sunto nella seconda massima, e che sarebbe stato vano esaminare se il prece� dente fosse stato valutato dn modo� contrario. Qui si tltdene atto di prosecuzione o comunque atto equivalente alla rias� sunzione U deposito della procura conferito al nuovo difensore (quando per� risulti gi� fissata l'udienza di discussione). Afferma l'Adunanza Plenaria, richiamandosi alla sentenza 26 giugno 19&1 n. 285 della V Sez. che � nulla impedisce sul pi.ano Siistemat[vo di applicare al processo amministrativo la prosecuzione volontaria prevista dal c.p.c. >>, ag� giungendo che � alla assenza di ostacoli di ordine generale si riaccompagna, un testuale richiamo agli artt. 299 e seguentd che preveda appunto la prosecuzione volontaria... �. Senonch� l'art. 24 1. 1034/197il ll1invfa s� agli articoli del codice di procedura civile ma solo � in quanto applicabili � e non si vede come possa ritenersi com� PARm I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 117 in atti, prodotta dallo stesso Comune di Modena, una delibera nella quale si prende espressamente atto del decesso dell'avv. Barillaro e� si stabilisce di affidare il patrocinio ad altro difensore. Ritiene l'Adunanza plenaria che al quesito possa darsi risposta affermativa. Le norme sulla interruzione del processo sono poste a garanzia della parte rimasta priva del difensore ed incolpevolmente ignara di tale evento. E si deve ricordare che, proprio in base a tale esigenza di conoscenza (o, almeno, di conoscibilit�) dell'evento interruttivo, la Corte costituzionale, con sentenza 12 ,dicembre 1967 n. 139 (in questa Rassegna 1967, Il, 840), ha dichiarato l'illegittimit� costituzionale dell'art. 305 Cod. proc. civ., nella parte in cui dispone che il termine per la prosecuzione o riassunzione decorra dalla data di interruzione del processo per morte del difensore e cio� � dalla data di un evento di cui il soggetto non � messo in condizione di conoscere l'avverarsi�. L'art. 24 della L. 6 dicembre 1971 n. 1034 ha avuto presente questa esigenza ed ha stabilito che il termine decorre dal giorno della conoscenza �legale�, acquisita attraverso i mezzi della �dichiarazione, notificazione o certificazione �. La scarsa chiarezza di tale ultima formula, non � sfuggita alla IV Sezione di questo Consiglio: nella decisione 10 giugno 1980 n. 651, infatti si osserva che sono state poste sullo stesso piano misure di conoscenza tra loro molto diverse a livello strutturale e funzionale. Sembra per� incontestabile che il legislatore, parlando di conoscenza legale, da un lato, e specificando gli strumenti atti a determinarla, dall'altro, abbia ritenuto sufficiente che la parte colpita dall'evento interruttivo, sia posta in grado di conoscerlo attraverso procedimenti formali, pato:'bile con l'istituto della prosecll2l�one (che peraltro � ,radicato in un procedimento la cui articolazione dn varie udienze successive � di ,regola !�ndipendente dall'impulso della singola parte, essendo sufficiente quella dell'altra parte e 1Jalora del giudice) la previsione nell'art. 24 comma 2� della sola riassll11Uone a cura della parte pi� diligente '(e non de1Ia sola controparte come nel 303 c.p.c.). Nel che sembra dimostrato come nel processo ammin:i:strallivo sia sempre necessaria la riassunzione anche ad opera della pa:rte nei cui confronti. s,i sia verificato l'atto intel1I1lttivo, necessit� coerente d'altra parte con i1:a struttura di questo procedimento che rende difffoilmente realdzzabile una fattispecie come quella iipotizzata nell'art. 303 c.p.c. Ma vii � di pi�: l'art. i24 comma 2� , soggiunge che la riassunzione deve avvenire � con atto notificato a tutte le altre parti � e questo pare sufficiente a confutare dn modo pieno la tesd deUa possibUit� cli dare ulteriore impulso al processo interrotto con dl semplice deposito della procura, perch� appare indefettibile fesdgenza che la parte !interessata a continuare il .giudizio notifichi un ricorso dn :niassll11Uone a tutte le altre partd del giudizio. G.P. POLIZZI RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 118 senza che sia necessaria una conoscenza effettiva, la prova della quale � sempre assai ardua: dal momento in cui l'evento � reso conoscibile cessa ogni ragione di tutela del soggetto rimasto privo di difensore e pu� prendere a decorrere il termine per riassumere il processo, pena la sua estinzione. Ma se al prodursi di tale effetto � sufficiente la � conoscenza legale �, e cio� una mera conoscibilit� determinata dal compimento di atti a ci� ritenuti idonei, deve ammettersi che l'effetto si produca anche ove risulti in modo certo ed inequivocabile che la parte, ad una certa data e per sua stessa ammissione, era a conoscenza del decesso del suo difensore: diversamente opinando si consentirebbe il proseguire dell'effetto interruttivo senza che ci� sia necessario a tutelare una parte ormai in grado di provvedere alla difesa nominando altro patrono, e gravando le altre parti, che possano aver interesse ad una sollecita conclusione del processo, dell'inutile incombenza di determinare in quella privata di difensore la ""conoscenza legale� (ad es. mediante notificazione) di un evento che la stessa ha per altra via effettivamente conseguita. Nel caso di specie, come si accennava, l'appellante Comune di Modena ha prodotto in giudizio una delibera consiliare in data 16 settembre 1982 con la quale, preso atto della morte del precedente difensore, si stabilisce di nominarne un altro in sua sostituzione. Tale atto, sia per l'organo deliberativo da cui promana, sia per il suo inequivocabile contenuto, sia per la data certa di riferimento, consente di ritenere che il 16 settembre 1982 fosse raggiunta la conoscenza effettiva dell'evento interruttivo. Da tale data dunque prende a decorrere il termine semestrale che porta all'estinzione del processo, ove non intervenga un atto di parte: la cui portata si tratta ora di individuare. Nella specie, infatti, entro sei mesi dal 16 settembre 1982 si � avuto non un � atto di riassunzione� come configurato dall'art. 24 terzo comma della L. 6 dicembre 1971 n. 1034 vale a dire un atto notificato a cura della parte pi� diligente a tutte le altre, ma il deposito, prima della pubblica udienza del 19 ottobre 1982 (fissata quando ancora nulla risultava in atti circa il decesso del difensore del Comune), di procura rilasciata dal Sindaco di Modena in favore del nuovo difensore. Di conseguenza, se tale atto equivale a riassunzione o comunque � idoneo a sostituirla, pu� giungersi alfa pronuncia di merito; mentre� in caso contrario, alla data della presente decisione, il processo sarebbe estinto. Al riguardo ritiene l'Adunanza plenaria che la prima soluzione, gi� affermata dalla IV Sezione con decisione 28 luglio 1981 n. 663 e dalla V Sezione con decisione 26 giugno 1981 n. 285, (in questa Rassegna 1981, I, 685 e 700), sia da condividere. Come pone in evidenza la seconda delle citate decisioni, nulla impedisce sul piano sistemativo di applicare al processo amministrativo la PARm I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA prosecuzione volontaria prevista dal C.p.c. da parte del soggetto colpito dall'evento interruttivo e che tale prosecuzione avvenga con atto non notificato ma mediante costituzione del nuovo difensore con procura rilasciata prima dell'udienza gi� fissata, e della quale dunque le altre parti ebbero rituale notizia. Ed all'assenza di ostacoli di ordine generale si accompagna un testuale richiamo agli artt. 299 e segg. Cod. proc. civ., tra i quali l'art. 302 che prevede appunto la prosecuzione volontaria e la legge n. 1034 del 1971 all'art. 24, parlando di riassunzione a cura della parte pi� diligente, mostra di ritenere idoneo un atto proveniente da una qualsiasi delle parti, ivi compresa quindi quella colpita dall'evento iilterruttivo. Si pu� solo aggiungere, a quanto affermato dalla V Sezione, che la prosecuzione con deposito di procura rilasciata al nuovo difensore sia sufficiente quando risulti fissata una udienza di discussione del ricorso. Ove, invece, l'udienza non sia fissata (ad es., perch� sia intervenuto un provvedimento dichiarativo dell'interruzione), il soggetto che intende proseguire il processo, oltre a costituirsi nel modo indicato, dovr� richiedere la fissazione dell'udienza (arg. ex art. 302, secondo periodo, C.p.c.) e le altre parti ne avranno notizia a mezzo dell'avviso eseguito a cura della segreteria dell'organo giurisdizionale. Concludendo sul punto, l'eccezione di estinzione sollevata dalla appellata Testoni Cavallo va disattesa avendo il Comune di Modena tempestivamente proseguito il processo entro il semestre dalla conseguita conoscenza dell'evento interruttivo. Ci� consente di passare all'esame del merito: esame che pu� essere svolto congiuntamente sull'appello del Comune di Modena e su quello della Regione Emilia-Romagna, entrambi diretti contro la medesima sentenza, fondati su censure analoghe e gi� riuniti dall'ordinanza di rimessione. L'appello della Regione, in verit�, � oggetto di una eccezione di difetto di interesse: posto che la oggi appellata Testoni Cavallo articol� una serie di censure avverso l'atto comunale di adozione di variante al P.R.G. e quello di approvazione e che il T.A.R. ebbe a respingerle tutte ad eccezione di due dirette contro l'atto del Comune, si assume che, in difetto di appello incidentale sui motivi respinti, la materia del contendere sarebbe ormai limitata agli eventuali vizi della delibera comunale, e dunque, a profili sui quali la Regione non avrebbe titolo ad interloquire. L'eccezione � infondata. Infatti i vizi della delibera comunale -ritenuti esistenti dal T.A.R. -non possono che ripercuotersi sull'atto regionale di approvazione e, di conseguenza, la Regione ha interesse a chiedere la riforma della sentenza e a dimostrare al giudice d'appello che i motivi accolti in primo grado sono infondati. (omissis) RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 13 ottobre 1983, n. 710 -Pres. De Roberto -Est. Fabbri -Capua (avv.ti Mazzei e Castagna) c. Commissario liquidazione usi civici di Catanzaro, Cosenza e Reggio Calabria (Avv. Stato Siconolfi) e Comune di Oppido Mamertina (Avv.ti Falzea e Giannini). Giustizia amministrativa -Atto impugnabile -Usi civici -Provvedimento del Commissario di reintegra a favore del Comune -Improponibilit�. Usi civici -Procedimento di legittimazione -Provvedimento del Commissario di reintegra a favore del Comune -Legittimit� -Immediata esecutivit�. Usi civici -Provvedimento del Commissario di reintegra a favore del Comune � Forma di sentenza -Giudizio inesistente -Illegittimit� per travisamento dei fatti. E suscettibile di impugnazione dinanzi al giudice amministrativo, non avendo natura giurisdizionale, il provvedimento del Commissario per la liquidazione degli usi civici che non risolve una controversia sulla attribuzione o sulla qualit� demaniale del suolo, ma, sul presupposto incontroverso della demanialit�, d� corso al procedimento di reintegra in favore dell'Ente locale (1). Dopo l'esito negativo della domanda di legittimazione ed in pendenza del procedimento di legittimazione delle terre oggetto di occupazione, legittimamente il Commissario liquidatore degli usi civici ne ordina, con provvedimento immediatamente esecutivo, la reintegra a favore dell'Ente locale (2). E viziato per travisamente di fatti, conseguente ad erroneit� di presupposto, il provvedimento del Commissario liquidatore degli usi civici (1-3) Sui poteri dei Commissari agli usi civioi cfr. Cons. St., Sez. VI, 15 gennaio 11974 n. ,1 secondo la quale fe attribuzioni demandate ai Commissari non sono ristrette alla sola classe di questii.oni giurisdizionali, ma comprendono anche i poteri amministratii.v.i relativi alla concreta futtispecie nella procedura esperibile al fine di ottenere una concreta sistemazione degli usi civici locali, e Cons St., Sez. IV 30 luglio .1974 n. 553 per la quale l'esame che il Commissario per la liquidaziione degLi usi civici, rispetto alla chiesta legittimazione di un fondo, fa per quanto attiene al requisito delle �sostanziali e permanenti migliorie, ai sensi dell'art. 9 1ett. a) I. 16 giugno 1927 n. 1766, non si concreta in una indagine meramente tecnica, ma si risolve in una vera e propria valutazione di carattere tecnico-discrezionale. Oass. 21 aprile 1982 n. 247.1 distingue tra il potere giurisdizionale esercitato nell'accertamento dei presupposti della legittimazione delle occupazioni delle terre del demanio civico ed il potere di determinazione delle condizioni di legittimazione tra cui il canone da imporre sul fondo, sindacabile quest'ultimo dal G.A. in sede di impugnazione degLi atti finali del procedimento di legittimazione. Si rammenta infine Cass. 10 giugno 1982 n. 3527 che ha riconosciuto la qualit� di necessario contraddittore allo Stato nella controversia davanti al Com .. I i I m ,,I! il & & e r PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA. 121 che si presenti formalmente come sentenza emessa su un ipotetico ed in realt� inesistente ricorso del Comune interessato (3). missarlo regionale vertente tra un Comune che agiva per il riconoscimento ai suoi cittadini del dirotto di uso civico di pesca sulle acque demaniali di un fiume ed il titolare del diritto esclusivo di pesca sulle stesse che si opponeva a tale riconoscimento. CONSIGLI DI STATO, Sez. IV, 27 ottobre 1983, n. 742 -Pres. Mezzanotte, Est. Lignani -Tota (avv. Brusca S.A.) c. Ministero dele Finanze (Avv. Stato Carbone) ed altri. Impiego pubblico -Concorso per segretario principale � Titolo di studio Diploma di geometra � Inidoneit�. Impiego pubblico � Passaggio di carriera � Qualifica acquisita in altre Amministrazioni � Inidoneit�. Dal concorso riservato per il conseguimento della qualifica di segreta� rio principale legittimamente viene escluso il candidato interno in possesso del diploma di geometra, in quanto si richiede il titolo di studio ordinariamente previsto per i candidati esterni e ad esso non � applicabile la norma eccezionale che ammette il titolo di geometra nel concorso pubblico per conseguire lo status di ruolo cui partecipino anche candidati esterni in condizioni di parit� (1). Per la norma che consente l'accesso ai concorsi riservati per passaggio di carriera ai dipendenti in possesso di una determinata qualifica non rileva la posizione acquisita in una Amministrazione div.ersa (2). (1-2) La decisione decide una questione piuttosto particolare concernente l'ammissione al concorso per il conseguimento della qualifica di segreta.rio prin cipale ex art. 111. 118 marzo 1968 n. 248 in base alle disposizioni del d.P.R. 28 di� cembre 1970 n. ,1077 ed esamina poi il significato dell'art. !J.29 del R.D. 23 mar� zo 11933 n. 1185 e dell'art. 1148 d.P.R . .tf177/1977. OOINSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 27 ottobre 1983, n. 744 -Pres. De Roberto -Est. Lignani -Soc. Immobiliare Patrizia (Avv. Montuori e Bonetti) c. Regione Lombardia (Avv. Stato Ferri) e Comune di Pavia (Avv.ti Pagano e Lorenzoni). Edilizia ed urbanistica � Piano Regolatore � Vincoli preordinati all'espropriazione � Limite quinquennale. Deve essere riimesso all'Adunanza Plenaria il giudizio nel quale si discute se sia tuttora in vigore la norma che limita a cinque anni la validit� RASSEGNA DEU..'AVVOCATURA Dm.J..O STATO 122 dei vincoli preordinati all'espropriazione posti con gZi strumenti urbanistici (1). (11) La norma della cui vigenza si dubita � quella contenuta nella I. 29 novembre '1967 n. l187 ed il dubbio era gi� stato prospettato dalla stessa Sez. con l'ordinanza 26 luglio 1983 n. 584, dopo che le sentenze di molti T.A.R. l'avevano ritenuta dnapplicabile a segU!�to dell'entrata dn vigore della I. 28 gennaio 1977 n. 10. CONSIGLIO DI STATO, Sez. V; 30 settembre 1983, n. 405 � Pres. Piga, Est. Cossu -Prodromi (Avv.ti Ierimonte, Giacomini e Castellano) c. ComUllle di Verona (Avv.ti Picotti e Fermarelli). Giustizia amministrativa � Ricorso � Notificazione � Persona convivente Non veridicit� della circostanza -Irritualit�. Non pu� ritenersi rituale la notizia effettuata a mani di persona indicata come convivente dall'Ufficio giudiziario qualora venga dimostrato con certificazione anagrafica che tale persona non era effettivamente convivente con il destinatario dell'atto (1). (l) Comunque secondo Ad. Plen. 10 giugno 1980 n. 23 �eventuali errori di rito nella notificazione del ricorso che siano imputabili agli organi pubblici dei quald la parte � tenuta ad avvalersi non possono dnoidere sul diritto alla tutela giurisdi2lionale, per cui in casi del genere il giudice, riconosciuto l'errore scusabile, deve rimettere dn termini di ricorrente per la notdf�ca del ricorso. CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, 30 settembre 1983, n. 412 � Pres. Piga, Est. Insinna -Tirone (Avv. De Mairtini) c. Comune di Macomer (Avv.ti Aru e Ghisu). Impiego pubblico � Rapporto a tempo determinato � Trasformazione in rapporto a tempo indeterminato -Esclusione. Non pu� trasformarsi in rapporto di lavoro a tempo indeterminato quello instaurato con l'assunzione di dipendenti da parte di un Comune per lo svolgimento di funzioni provvisorie ed eccezionali (1). (1) Nello ,stesso senso ofr. Cons. Stato, Sez. VI, 29 maggio 1981 n. 234, che per� ha ritenuto illegittimo lii provvedimento di nomina a tempo determinato di insegnante dell'E.N.A.L.C. al quale venga affidato l'iinsegnamento di una materia stabilmente compresa nei corsi con pieno orario settimanale e per l'intera durata dei corsi; e Sez. V, 11 gennaio 1970 n. 6 che ha negato il carattere di rapporto a tempo indeterminato a quello instaurato da un Comune per molti anni sempre con lo stesso personale per provvedere ad esigenze stabdli e ricor renti, ma stagionali dei bagni di mare e del riscaldamento. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA>' 123 CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, 10 ottobre 1983, n. 430 -Pres. Crisci, Est. Cossu -Amitrano ed altri (Avv. Kldtsche de la Grange) c. Comune di Roma (Avv. CamovaJe). Giustizia amministrativa -Esecuzione del giudicato -Domande nuove �Rivalutazione ed interessi -Inammissibilit�. Non � ammissibile la richiesta di corresponsione della rivalutazione manetaria e degli interessi legali formulata per la prima volta in sede di giudizio di ottemperanza relativo ad una decisione contenente la condanna dell'ente pubblico al pagamento di somme dovute per retribuzioni (1). ~1) La decisione conferma, in relazione alla particolare fattispecie, la precisa volont� del Consiglio di Stato di non ammettere ingresso nel giudizio di inottemperanza a questioni non decise nel giudicato �di cui trattasi. Ln tal senso possono rioordarsi IV, 7 dicembre 11979 n. 1'130 per la quale in tale sede non sono ammissibili censure non concernenti i proyvedimenti impugnati; VI, 3 febbraio :1976, n. 36; VI 7 dicembre 1973 n. 571 e VI 4 luglio 1972 rn. 411 secondo la quale la procedura suddetta trova un limite dnvalicabile nel contenuto formale e sostanziale del giudicato, essendo l'obbligo dell'Amministrazione solo quello di attuare la decisiorne in relazione alla situazione definita in sede giurisdd:ziionale. CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, 19 ottobre 1983, n. 456 -Pres. Crisci, Est. Cossu -Soc. Funivie Seggiovie S. Martino (Avv.ti Giovannintl e Romanelli) c. Comune di Sivar (Avv. Cacciavillani) e U.T.E. di Trento (Avv. Stato Ferri). Urbanistica -Opere abusive -Provvedimento del Sindaco applicativo di sanzione pecuniaria � Valutazione dell'U.T.E. del valore delle opere Necessit� notifica precedente o contestuale. Urbanistica -Opere abusive -Provvedimento del Sindaco applicativo di sanzione pecuniaria -Identit� sanzione rispetto ad altra annullata in sede giurisdizionale -Legittimit�. Urbanistica � Opere abusive � Valutazione dell'U.T.E. -Determinazione del valore in base al costo -Legittimit� per manufatti particolari. E' illegittimo il provvedimento del Sindaco che applica la sanzione pecunaria per le costruzioni abusive di cui non sia possibile la riduzione in pristino, quando non sia stata precedentemente o contestualmente RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 124 notificata la valutazione dell'ufficio tecnico erariale concernente il valore venale delle opere stesse (1). Non � illegittimo il provvedimento del Sindaco che applichi la medesima sanzione pecunaria gi� annullata dal G.A. per mancata determinazione dei criteri di calcolo del valore delle opere abusive, quando la nuova ingiunzione contenga un riferimento specifico ai criteri stessi (2). Non � illegittimo il provvedimento del Sindaco che nell'applicare la sanzione pecuniaria per la costruzione di opere abusive faccia riferimento alla valutazione dell'U.T.E. che determina il valore delle opere in base al loro costo, quando la particolare natura dell'edificio non consenta la comparizione con edifici analoghi, (nella specie trattavasi di immobile sito in alta montagna al servizio di impianto di funivia (3). (1-3) � da sottolineare preliminarmente che :il Consiglio di Stato, pur annullando il provvedimento impugnato dn relazione al motivo di cui alla prima massima, si � tuttavia pronunciato anche sugli altri motivi, onde confutarne la fondatezza nel ddchiarato intento di <agevolare il compito del Comune nella rinnovazione della sanzione pecundaria. Sulla necessit� della notifica della valutazione dell'U.T.E. cfr. la sentenza B novembre 1981, n. 548 richiamata in motivazione, mentre i precedenti contrari (V 26 giugno 1981 n. 301, V 28 marzo 1980 n. 327) riguardavano sanmoni drrogate prima dell'entrata in vdgore della 1. 10/,1977 quando vdgeva invece l"airt. '13 1. 765/1967 che non imponeva tale adempimento preliminare. Sulla necessit� che il provveddmento che stabilisce il quantum della sanzione contenga l'esplicazdone analitica dei criteri assunti e dei parametri di valutazione cfr. V 27 novembre 11981 n. 606. Circa la determinazione del valore delle opere abusive non in base al costo, ma al valore inteso nel ,suo significato tradizionale di prezzo di mercato in sede di libera contrattazione cfr. V 18 novembre 1977 n. 1035 e V 1� febbvaio 1977 n. 78 CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, 28 ottobre 1983, n. 506 � Pres. pjga, Est. Adobbati � Comune di Roocetlla Ionica (Avv.ti Lombardi, Comite e Torchia) c. Fii.locarno (Avv.ti ScawJ.ione e Salerno) ed altri (n.c.) Opere pubbliche � Impianti sportivi � Trasferimento alle Regioni di fun. zioni amministrative per lavori pubblici di interesse regonale � Parere del CONI per progetti e impianti sportivi � Permanente necessit�. Anche dopo il trasferimento alle regioni delle funzioni amministrative in materia di lavori pubblici di interesse regionale, tra i quali sono comprese le attrezzature sportive, ed anche se la legislazione regionale della Calabria esclude la necessit� dei pareri di organi regionali sulle PARm I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 125 opere di competenza dei comuni di valore inferiore ai 300 miliardi, � tuttavia pur sempre necessario il parere del CONI sul progetto per la realizzazione di un impianto sportivo sicch� � illegittima l'approvazione di tale progetto da parte del Comune quando non sia stato previamente sentito il suddetto Comitato Olimpico Nazionale Italiano (1). (1) Sulla natura del Coni cfr. Cons. St., Sez. VI, 26. settembre 1~5 n. 394, che lo definisce persona giuridica di diritto pubblico sottoposta alla vigilanza del Ministero del Turismo che, con D.M. 5 dicembre 1968 di concerto con il Ministero del Tesoro, ha approvato dl regolamento organico del personale. CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 24 settembre 1983, n. 683 -Pres. Daniele, Est. Berruti -E.N.P.A.I.A. (Avv. Pace) c. Baldassarre (Aw. Ielpo) e Villani (n.c.). Atto amministrativo -Incompetenza -Convalida con efficacia � ex tunc � Ammissibilit� per atto impugnato. Alla convalida dell'atto viziato per incompetenza pu� procedersi da parte della P.A. con efficacia ex tunc, anche dopo l'impugnazione dell'atto stesso in sede giuri.sdizionale (1). (1) Sulla possibilit� di convalidare ai sensi dell'art. 6 1. !1.8 marzo 1968 n. 249 il provvedimento viziato per incompetenza con e:fiietto retrodatato cfr. anche Cons. Stato, Sez. IV, 20 dicembre 1977 n. J.455, la quale ha affermato che in tal caso il giudice adito deve dichiarare cessata la materia del contendere P.er l'applicabilit� della medesima norma anche agli atti ammdnistrativi regio� nali cfr. Cons. Stato, Sez. IV 21 aprile '1978 n. 351. Non � invece ammessa la convalida dell'atto amministrativo definitivamente ,annullato in sede giurisdizionale, cos� Cons. Stato, Sez. V 14 marzo lm, n. 168. CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 24 settembre 1983, n. 686 � Pres. Daniele, Est. Bermti -Banca d'Italia (avv. Scognamiglio e Sangiorgio) c. Fa� vocoia ed altni ('avv. D'Amati e Paprunti PeHetJier). Impiego pubblico -Donne -Provvedimenti discriminatori -Giurisdizione amministrativa anche per azioni cautelari. Impiego pubblico � Donne � Atti discriminatori � Associazioni sindacali � Legittimazione a ricorrere per delega. 126 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO Impiego pubblico � Disciplina requisiti accesso � Deroghe a divieto discri� minazione donne � Ammissibilit� � Necessit� nonne regolamentari � Illegittimit� bando concorso implicitamente discriminatorio. In materia di pubblico impiego sono devolute al g.a. le controversie relative all'applicazione della legge sulla parit� di trattamento e sulla soppressione delle discriminazioni fra uomini e donne per l'accesso al lavoro, anche per quanto concerne l'esercizio dell'azione cautelare delle organizzazioni sindacali dei lavoratori (1). Nell'ipotesi di atti discriminatori compiuti dalla p.a. in violazione della legge sulla parit� tra uomini e donne nell'accesso al lavoro, le associazioni sindacali sono legittimate a ricorrere solo per delega del lavoratore e non anche in nome proprio (2). L'ente pubblico pu� disciplinare discrezionalmente i requisiti di accesso all'impiego ed in vista di peculiari esigenze dei propri servizi pu� introdurre deroghe al divieto di discriminazione dei lavoratori per ragioni di sesso, quando si tratti di mansioni di lavoro particolarmente pesanti, ma, in difetto di norme regolamentari in tal senso, � illegittimo il bando di concorso che ponga requisiti di ammissione tali da precludere l'accesso alle donne (nella specie � stato ritenuto tale il requisito richiesto dalla pregressa appartenenza dei candidati ai corpi armati di polizia) (3). (:1-3) Sull'accesso a pubblici uffici delle donne cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 30 novembre 1976 n. 424, per la quale l'art. 51 della Costituzione, nel prevedere la eliminazione di ogni discriminazione per ragioni di sesso, si limita a porre un principio di ordine pubblico, che non interferisce col regime giuridico del pubblico impiego, ed inoltre il principio di eguaglianza vieta ogni arbitraria discriminazione ma non impone un assoluto livellamento fra gli appartenenti all'uno o all'altro sesso tale da escludere la possibilit� di considerare le evidenti differenze fisiologiche atte a produrre una diversit� di situazioni obiettive anche nel lavoro, con conseguenti differenze di disciplina giuridica. In quel caso tratta� vasi di personale adibito a mansioni che richiedono fatiche :fisiche e si ritenne non contrastante con d principi costituzionali la norma dell'Ente pubblico che prevedeva il pensionamento a 55 anni per la donna e 60 per l'uomo sul presupposto dell'anticipato venir meno dell'attitudine fisica al lavoro della prima rispetto al secondo. Cons. Stato, Sez. IV, 17 dicembre 1974 n. 1046, invece, sul presupposto che il principio di eguaglianza per non essere ridotto ad astratto ed impraticabile egualitarismo implica la sussistenza di eguali riferimenti oggettdvi e soggettivi, ha ritenuto che, tenuto conto delle differenze esistenti tra dipendente pubblico e privato e tra impresa privata e P.A., fosse manifestamente infondata la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 3 ultimo comma, l. 1204/71 che estende solo alle lavoratrici dipendenti della P.A. i benefici di inquadramento di cui all'art. 13 l. 300/11970. Ancora per riferimenti si ricorda Cons. Stato, Sez. IV, 28 luglio 1982, n. 526 che, annullando T.A.R. Toscana 15 ottobre 19&1 n . .wl2, ha ritenuto legittimo il provvedimento dell'Accademia ;:: Navale di Livorno che escludeva una donna dalla partecipazione al concorso ~j per il reclutamento di allievi ufficiali nella Marina militare, e la nota a tale ~:: sentenza di E. Rossi pubblicata in Foro it. 83, III, 386. II PARTB I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 127 CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 31 gennaio 1984, n. 37/84 -Pres. Caia nello, Est. Tanzi -Ministero della Pubblica Istruzione (avv. Stato Bruno) contro Comune di Lav:i>a1D.o (avv. Iaccarino). Giustizia amministrativa � Avvocatura dello Stato � Notifica della sen� tenza � Notifica all'Amministrazione -Inidoneit� a far decorrere terInine impugnativa. Giustizia amministrativa � Avvocatura dello Stato � Costituzione in giu� dizio � Comparizione in camera di consiglio � Atto formale di costituzione � Non necessarlet�. Giustizia amministrativa � Avviso d'udienza -Mancata notifica ad Avvocatura Stato -Nullit� sentenza -Rimessione al primo giudice. Quando l'Avvocatura dello Stato si sia costituita nel giudizio di primo grado in rappresentanza dell'Amministrazione resistente, la notifica della sentenza effettuata presso l'Amministrazione stessa e non presso l'Avvocatura, non � idonea a far decorrere il termine breve per l'impugnazione (1). Deve ritenersi ritualmente costituita in giudizio l'Avvocatura dello Stato in rappresentanza e difesa dell'Amministrazione resistente, quando essa sia comparsa in Camera di Consiglio per la discussione della sospensiva, pur se non abbia depositato alcun atto formale di costituzione (2). La sentenza del T.A.R. che sia stata pronunciata senza la preventiva notifica all'Avvocatura dello Stato, gi� costituita, del decreto presidenziale di fissazione d'udienza deve essere annullata con rimessione della causa al Tribunale per una nuova pronuncia sul merito del ricorso (3). (,1) Il Consigli.o di Stato non affronta una volta per tutte la questione dell'applicabilit� del principio dell'onere di notificazione della sentenza presso l'Avvocatura dello Stato a prescindere dalla sua pregressa costituzione in giudizio in materia di giustizia amministrativa, limitandosi a porre i termini del problema e cio� se la necessit� della notifica discenda dal combinato disposto degli artt. 170 e 285 c.p.c. o pi� generalmente degli artt. 110 e 12 I. 103/1979, per poi aggirarlo in quanto nel caso di specie l'Avvocatura era costituita in primo grado. La sentenza tuttavia non manca di sottolineare come tutte le volte che la questione � stata affrontata anche recentemente dall'Adunanza Plenaria e dalle Sezioni Unite essa sia stata trattata in modo marginale e tutt'altro che appagante. Occorrer� dunque attendere un'altra occasione per l'auspicato chiarimento giu risprudenziale sulla portata innovativa della legge 103/1979, che appare difficil mente contestabile sul punto. (2) Questa massima riassume l'aspetto pi� interessante della decisione che, per la sua novit�, non trova precedenti nella giurisprudenza del Consiglio di Stato. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 128 (omis'sis) Prelhninarmente via esaminata l'eccezione sollevaita dal comune di Laviano, attuale appellato, riguardo ailil'aisserit:a tardivit� della notJifica dell'atto di appello, che sarebbe stata effettuata oltre i sessanta giorni dopo la notifica della sentenza di 1� grado ai due organi, centlrale e peri.ferii.co, dell'Amminist:mzione scolastica, ora appeHainte con il patrocinio dehl'Avviocatura generale dello Stato. L'eooeziOille va disattesa in base al costaintie orientamento di ques�to Consiglio, determinrato dalle due note decisioni dell'Adunanza Plooari:a 7 dicembre 1979 n. 32 e 6 maggio 1980 n. 12, secondo cui fil tierrnine breve per appellare deconre, per l'Amministrazione �statale soccombente, dalla notifica della sentenza effettuata presso l'Avvocatura domiciliataria ex lege e non presso la sede reale dell'Amminristrazione medesima. Vero � che il �surriiferito iinsegnamento girurisdiziionaile, nel quale tralaticiamente si riflettono le sommarie consiiderazionri dell'AdUD!anza Plenaria sU!l comples�so problema, non chiarisce adeguatamente se la necessit� della notifica della sentenza presso l'Avvocatura siia dJa porre in relazione con ml combinato rdisposto dewli 1artt. 170, primo e terzo comma, e 285 cod. proc. civ. (dal che potrebbe trarsi argomento per sostenere che il principio valga nel �solo caiso di regolare costituzione della difesa erariale nel 1� grado del giudizio) o non piiutitosto con le disposizioni degli a:rtt. 10, terzo comma, e 12 della legge 3 aprile 1979 n. 103, le quali, nichiamaindo in vita l'art. 1 delJla legge 25 marzo 1958 n. 260, da un lato, e daill'altro lato conferendo carattere di organicit� alla rappresentanza in guidtizio delle Amministra.7Ji.oni statali (o altre �assimilate�) da parte dei1l'Avvooatw:a dello St:ato, sembrano violer imporre in ogni ooso �la notifica di qualunque atto giudi:ciariio (quindi anche delle sentenze, ancorch� non comprese nell'ambito precettivo della norma espressamente ri- Il ragionamento seguito � ineccepibile, esso muove dal principio della libert� di forma per fa costitumone in giudizio e rileva che l'unico documento indispensabile per i difensori diversi dall'Avvocatura dello Stato � fil mandato, che tale mandato non � per� necessario nel caso di specie dato il oarattere organico del rapporto di rappresentanza processuale, per concludere nel senso dell'irrilevanza della <.ostituzione documentale e la sufficienza a tal fine della compari2lione dell'avvocato dello Stato alla discussione della sospensiva. La �sentenza si sofferma anche a sottolineare il carattere dnterno dell'incidente � oautelare rispetto al giudizio cli merito, per confutare agni possibile obiezione in ordine alla limitatezza dell'intervento dell'avvocato dello Stato al giudizio caute1are. Si potrebbe forse solo aggiungere a quanto perspicuamente dedotto in sentenza che se lo scopo della' costituzione in giuwio � quello cli consentire alla parte resistente di avere notizia della vicenda del processo per poter partecipare al contraddittorio una volta che tale contraddittorio si sia gi� instau� rato nell'udienza di sospensione, ia presenza della parte nel processo si � ormai definitivamente realizzata assorbendo ogni questione sulla costitu:rione che � un prius rispetto alla comparizione. PARm I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 129 cmamata dall'art. 10 legge n. 101/79) presso gli uffici della difesa erariale indipendentemente dalla posizione processuale da questa assunta nel primo grado del processo. Il problema (cui nessun contributo risolutivo hanno appontato neppure le recenti sentenze della Cassazione a Sezioni unite n. 5687 del 2 novembre 1979 e n. 2113 deLl'll 1aprile 1981) non deve tuttavia essere necessariamente affrontate ~n questa ,sede, poich� l'Avvocatura dello Stato si era costituita per a:J. Mirnistero della P.I., nella pregressa fase del giudi2Jio, comparendo :in camem cli consigliio dinanzi al T.A.R. al fine di resistere alla domanda incidentale di sospensione degli atti impugnati che il ricorrente Comune di Laviano aveva avanzata con il ricorso introduttivo. Non va:le opporre in contrario, come argomenta l'appellato, anche sulla base �!� copiosa documentazione rilasciata alla segreteria del T.A.R., che l'Avvocaitura non risulta presente in ~udi:llio I�n primo gmdo per mancanza di �atti formali di costiituzione � o di altra �produzione � documentale all'uopo idonea; oi� in quanto, da un lato, l'art. 37 del rid. 26 giugno 1924 n. 1054 e l'art. 22 dehla legge 6 dioembre 1971 n. 1034 non nichiedono forme partico1ani per la costitUZJione I�lil giudizio delle parti diverse dal ricorrente, e dall'altro lato il carattere organico del parporto di rappresentanza processuale che intercorre tra Amministrazione attiva e Avvocatura dello Stato esclude la necessit� del deposito dell'unico documento la cui prodUZJione appare in casi si.milli. veramente indispensabile (cio� 1ia procura: arg. ex art. l, secondo comma, del rd. 30 ottobre 1933 n. 1611). La circostanza, poi, che il rappresentante della difesa erarialie sia compai11So soltanto in camera di consigl.iio per d:i.scutlere le questioni attinenti all'istanza di sospensiva non � di per s� idonea a togliere rilevanza aM'intervento processuale in reJazione alle successive fasi del (3) Il difetto di procedura ed i vi:ci di forma che ex art. 35 I. 1034/197:1 comportano il rinVii.o della causa al giudice �di primo grado devono essere intesi in senso restrittivo comprendendovi essen:ciahnente i casi in cui il T A.R. abbia omesso di decidere la controversia ovvero l'abpia dce�isa in viiolazione delle norme sul contraddittorio ed i casi di nullit� della 'Sentenza (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 12 febbraio 1978 n. 239); Cons. Stato, Sez. V, 24 febbraio 1978 n. 373 ha rimesso all'Adunanza Plenaria di chiarire se nell'espressione �difetto di procedura � rientri anche l'ipotesi di tardivit� ad inammissibilit�. La ipotes�i pi� frequente di rinvio al giudice di primo grado ex art. 35 sono quelle in cui ii.I Consiglio di Stato ritiene che durante il procedimento di I grado non sia stato rispettato dl contraddittorio (cfr. IV 24 giugno 1980 n. 696 e V 15 febbraio 1980 n. 1711), la quale ultima ha qualche punto di contatto con la decisione qui massimata, in quanto ravvisa tl difetto di contraddittorio nel mancato invio dell'avvdso di udienza alla parte agente con ricorso incidentale, gi� dichiarato inammissibile, ma senza estramissione del ricorrente stesso. 130 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO processo in pr.imo grado lin quanto l'dnoidente cautelare, pur sorretto da taluni autonomi presupposti, costituisoe pur sempre una fase interna, per cos� dire, del giudizio principale, essendo preordinato a creare situazioni strumentaili in vista della pronuncia conclusiva eventualmente favorevole (talch� non avrebbe senso per l'Amministrazione resistente spiegare mtervento nel procedimenrtlo cautelare Senul opporsi anche, e principaliter, ailda pretesa sostami.are del ricorrente al fine di impedire la realizLJazione degli effetti f�naili che 'la domanda di pa:11te tende a perseguire); dii conseguenza, l'intervento del rappresentante dell'Avvocatura erar.iale, che appaia crnwamente f�n0illizzato a costiruire il contraddittorio in ordine alle questioni sollevate con l'istanza di sospensiva, non pu� intendersi limitato a tale particolare false del processo senza con ci� stesso postulare la completa autonomia del procedimento oaut:elare rispetto al wudiizio dii memrto, autonomia che deve essere invece esclusa per l'impossibHit� Iogico-gtiuridica di sV!i:ncolare la pronuncia, chlesta dalle parti e resa dail giudice, sulla iistanm cauteliare, dal successivo accertamento sul merito della pretesa che le parti medesiime, oontendendo in ordine ai! presupposti dehla �sospensiva�, conrtestualmete e necessariamente, ancorch� non sempre espressamente; devono chdedre allo stesso organo giudicante. � appena dl caJSO di aggiungere, poi, che nel caso specifico non risulta che il ricorso introduttivo sia stato notificato agli organi dell'Ammd.ndstrazione scolastica presso l'Avvocart:um distrettuale (come tassativamente dispone, iinvece, d'art. 1 della legge n. 260/58, richiamato dall'art. 1 della legge n. 103/79), 'sicch� 1a mancata costituzione della stessa �Avvocatura, qualora dovesse aderirsi a!Lla tesi qui sostenuta daili'appellato, avrebbe comportato l'impossibilit� di sanatoria della nulUt� deHa notifica del ricorso (art. 11, terzo comma, del r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611, � emandato � dahla pronuncia della Corte Cost. 8 luglio n. 97); e questa ultima conseguenza nella specie risulterebbe aberrante, cons~derando che la prova dell'essersi in effetti :realizzato il fine precipuo dell'atto partecipativo � data proprio dall'intervento spiegato dalla dii.fesa erariale dn sede di discussione d:e1la sospensiva, ond'� che, anche per tale via, resta confermata la conclusione test� raggiunta circa ili valore di formai1e atto d� costituzione da riconoscersi aMa � presenza � del competente organo della difesa erariale nella fase cautelare del pro. cesso dri primo grado. Dalle suesposte considerazioni emerge altres� la fondatezza del primo motiivo di appeiLlo, atteso che m>n solo al:l'Avvocaitura non fu notifi. cato, � ailmeno quaranta giorni pPima �, iii decreto presidenziia:le di fissazione dell'udiienza di discussione del ricoI'So (art. 75, terzo comma, legge n. 1034/71), ma neppure fu data, come emerge dalla documentazione in atti, �comunicazione� di tale data al Ministero della P.I., che pure :figurava tra glH organi intimati fil giudizio per essere l'Autorit� da cui PARm I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA. emanava uno dei provvedimenti impugnati (cfr. peraltro, l'art. 54 del regolamento 17 agosto 1907 n. 642 che tale comunicazione impone pur qu!ando !itl Mrinisllero non sia l'organo emanante l'atto i:impugnato). Il rilevato difletto di procedura, che appare in questo grado msanabile in quanto integra una vfomione del contraddittorio nella pr�ma fa!Se processuaie (cfr. Sez. V, 15 febbraiio 1980 n. 121), dmpone l'annUil:lamento delila sentenza e la r�messiorre della causa al Tribunalie per una nuova pronuncia sul merito del ricorso, ai 1sensi deH'airt. 35 della legge numero 1034/71. SllzIONE SESTA GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 9 agosto 1983, n. 5318 -Pres. Brancaccio Est. Sgroi -P. M. Zema (diff.) Soc. Papigliano c. Minli.stero delle Fi nanze (Avv. Stato Mari). Tributi erariali indiretti -Imposta di registro � Agevolazione per costruzione di case di abitazione non di lusso -Area edificabile -Nozione. (I. 2 luglio 1949, n. 408, art. 14). Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Permuta -Convenzione di reciproca deroga alle distanze legali -:I!: tale. (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 51). Ai fini dell'art. 14 della legge 2 luglio 1949, n. 408, l'acquisto di area edificabile deve essere inteso estensivamente per comprendere ogni diritto immobiliare, anche diverso dalla propriet�, che concorre alla costruzione di case di abitazione, anche incrementando la possibilit� di sfruttamento dell'area (applicazione all'ipotesi di costituzione di reciproche servit� di costruire sul confine in deroga alle distanze legati) (1). La convenzione di costituzione di reciproche servit� di costruzione sul confine in deroga alle distanze legali � equiparabile ai fini dell'imposta di registro a un contratto di permuta (2). (omissis) Con il pnimo motivo �le societ� :rii.correnti deducono fa v.io� 1Jazione e fa:1sa applicazione dell'art. 14 legge 2 !ruglio 1949 n. 408 nonch� omessa, insufficiente e oontmddittoria motiivazione, ai iselllSi dcl.l'art. 360 n. 3 e n. 5 cod. proc. oiv., osservando che anche la Corte d'appeHo ha premesso che l'espressione � acquisti di aree edificabili � di cui all'art. 14 della -legge Tupini non deve essere tintesa in senso rest:niittivo, ma raippresenta un ampio concetro; ma ha poi negato che i diritti nascenti (�1-2) La prima mass1ma fa applicazione di un principio affermato riguardo alle � oessiorni. di cubatura� previste nel piano regolatore cli Torino. (Cass. 22 gennaio 11915 n. 250, in questa Rassegna, 1975, I, 419) e successivamente esteso alle concessioni ad aedificandum (v. Relazione Avv. Stato, �1976, -80, II, 639). La seconda massima si rif� ad una sentenza che, con riferimento all'ipotesi opposta, qualificava la costituz'.ione di servit� reciproca come permuta per escludere la configurabilit� di due rinunce gratuite (29 luglio 1974, n. 2286 in questa Rassegna, 1974, I, :1252); non si riscontra invero una !identit� di problematica, giacch� nella creazione di due servit� reciproche non si attua un duplice trasferimento. ! ! f I I II i PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA dal contratto rappresentassero un effettivo incremento di area edificabile e fossero 1in rapporto di complementarit� funzlionale con la progettlata edificazione, dimenticando che sii deve aver riguardo all'lincremento dell'ediificabiiliit�. Nel �caso concrieto: 1) li concessi diritti dli �edifiicare sino sul confine avevano comportato un �effettivo incremento di edif�cabiiliit� neJ paitximomio dei soggetti contraenti che senza tale concessione di d�ritti sarebbero stati tenuti alla costruzione di oase dii minor cubaltura per l'imposslibilit� di costruzione sui clistacchi; 2) le costituite servit� di passaggio pedonale e carrabile appru�vano in rapporto di complementariet� funzionale con le oostru2lion� quali progettate; 3) le stesse servit� di costruire baiCO! lli e loggette aggettanti sul fondo confinante o di aprire su esso fondo finestre ed accessi, in quanto collegate con Je servit� di cui ai punti preced.entJi, sii presentavano funzionalmente complementari alle costru2!: �.oni progettate, considerato che la lllalllcanza di tali servit� avrebbe reso inutili le due precedenti servit�, in quanto s�arebbe stato linutile poter avanzare la facciata o H piano dei fondi di un fabbricato slin su:l confine, se poi si fossero dovuti costruire 1a facciata cieca e !�. fondi senza aooessi. Con il secondo mezzo, le societ� ricorren.ti deducooo 1a v.iolazi.one e falsa applicazione deIJ'art. 1552 cod. civ., nonch� degfil artt. 8 e 51 del rid. 30 dicembre 1923 n. 3269, ed omessa, insufficiente, contraddittoria motiva2lione su punti dec~siv.i della controversia, osservando che la Corte d'appello ha :ritenuto che essen2liale elemento del contratto di permuta sarebbe !il trasferimento di propriet�, mentre l'airt. 1552 cod. civ. lo defi nisce come H contratto che ha per oggetto :iJl reciproco trasferimento de.Ha propriet� d!i. cose o di ailtri diritti; ed inolrtre che 1a Coilte d'appello ha escluso il slinal1agma nel caso di specie, mentre i contraetnlti avevano espressamente dichiarato di permutare l.e servdt�, che si manifestavano le une costituite quali U!llico corrispettivo della eo&llitu:zJ.ione de1Ie altre. Invero, ove si fosse negato l'unitariet� del contratrt:o in questione, si sarebbe dovuto concludere che i due ,autonomi negozi fossero stati sti pulati a titolo di liberailit�, il che era assurdo. D'altra parte, secondo i ricorrenti, anche a non poter quailificare come permuta !il contratto, ai fini dell'imposta di registro esso avrebbe dovuto essere assimiil:ato al contratto .rappresentante :hl tipo negoziia:le ad esso pi� v:ioino, per cui la tJassazJi.one avrebbe dovuto avven�re -ai sensi degli artt. 8 e 51 della legge di registro allora vigente -con riguardo ad entrambe 1e prestazioni. IJ 111�corso � fondato, per quanto di ragione. Le questioni sollevate con il primo motivo coinvolgono l'interpreta zione deIJ'art. 14 della legge del 1949 n. 408 che secondo ila giurisprudenza di questa Corte, deve essere inteso estensivamente comprendendosi nella 134 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO norma anche l'acquisto d:i un diritto di superficie o di altI1i diritti immobiliari (diversi dal diritto di propriet� sull'area) che si:ano diretti a permettere sull'area la costruz�one idi case di abitazione; fine che si :raggiunge anche oon la costruzione di un edificio di maggiori dimens:ioill�., ' con pi� ampio sfruttamento dell'-area (cfr. Cass. 10 marzo 1970 n. 608; Cass. 7 ottobre 1970 n. 1845; Cass. 23 ottobre 1973 n. 2707; Cass. 5 febbraio 1982 n. 656; con la precisazione che la conces1sione ad aedificandum pu� godere delle agevolazioill�. fiscali purch� non Sii verifichi una duplicazione delle agevolazioni medesime: Cass. 6 luglio 1972 n. 2235; Cass. 9 mar� zo 1973 n. 641; Cass. 30 aprile 1974 n. 1231). Le ultime tre isentenze cibate riguardano fattispecie diverse da quelle che formano oggetto delle sentenze precedentli, le qUJali riguardano una concezione di edificare sul fondo altrui; infatti esse prendono in consi� derazione la �cessione di cubatura� prevista dal P.R. di Torino, considerata come trasfeI1imento d:i 1diritto reale, in quanto iil proprietaI1io cui inerisce la cubatura distacca in rutto o in parte la facolt� merente al suo ~ritto dominicale di costruire nci il:imitli deHa cubatura concessagli dal Piano regolatore, formando un diritto a s� stante che trasferisce definitivamente all'acqui!rente a benef�oio del fondo di quest'ultimo, i:l 1 quale in tal modo amplia il contenuto del suo diritto dominicale. � stato obiettato da parte della dottrina che in questJa lipotesii (a differenza che nella precedente) l'acquirenite della cubatura amplia la possibilit� edif�ca1Joria del proprio fondo,� ma tale obiezione, se pu� valere nell'ambito della costruzione civilistica dell'istituto (che qui non interessa direttamentJe), non � decisiva nella mterpretazione della ratio della agevolazione tl'ibutaria, che � queHa di agevolare le costruzioni edilizie. Gli stessi principi possono pertanto applicarsi nella presente fatti� specie, per quel che riguarda la oonvienziione costitutiva delle reciproche servit� con le quali, derogando alle distanze legJa!li, [e parti si sono concesse il dini:tto d:i costruire fino al confine de.i rispettivi fondi. La giurisprudenza ha pi� volte qualificato come costitutiva di una servit� la convenzione fra vi:oini confinanti con cui si deroghi al rispetto delle distanze legalli (fra le altre cfr. Cass. 9 maggio 1974 n. 1318; Oass. 12 novembre 1978 n. 5894). In forza delil'acquisizione di tlale dil'itto, pur se cos1litutlivo di una � qualit� � del proprio fondo, questo diventa interamente edrificabile e l"ampi<iamento deH'area di edificabiihlt� ben pu� qualificarsi �acquisto� ai sensi dell'art. 14 legge n. 408 del 1949. (omissis) Il secondo motlivo del ricorso non � assorbito dai parziale accoglimento del primo, sia perch� sulle convenzioni non agevolate si deve applicare l'imposta normale isul valore, sia perch� anche sulla conven2J�one agevolata l'imposta 1ipotecaria � ridotta al quarto e quindi si deve stabilire il valore imponibile. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA H motli.vo � fondato. � stato gi� affermato da questa Corte che di contratto di estinzione di servit�, con c'UI� ciascuna parte rinuncia alla servit� costituita a favore del proprio fondo, in corrispettivo di reciproche analoghe rinuncie delle altre partii, non espressamente previsto dalla legge di registro, � as,similabile ai fini fiscali alla permuta, che rappresenta il contratto ad esso pi� vicino; e che la base imponibile di tale contratto � determinata ai f�illi dell'imposta di registro da:1la regola dell'art. 51 legge del 1923 n. 3269 (secondo cui 1a base imponibile � costituita dalla prestazione pi� onerosa oppure, se trattasti. di prestazioni di uguale onerosti.t�, da una sola di queste) (cfr. Cass. 29 luglio 1974 n. 2286, allia cui motivaziione si rti.nW.a). I medesimi principi �sti. devono applicare alla presente fattispecie, che � speculare rispetto alla precedente, in quanto attiene alla costituzione di servit� e non alla loro estinzione. � tinfatti agevole nilevare l'errore del gii.udtioe d'appello il quale non ba tenuto conto della ci,rcostanza che, isolando ciascuna delle due costituzioni di servit� rispettivamente a favore ed a oarico di ciascun fondo, non e:m dato niscontrare il nesso di corrispettivit� tra di esse, che costituiva Ja ragione economica del nego:llio tipticamente oneroso, posto in essere, per il reciproco vantaggio dei contraenti. Anche su tale punto la 'Sentenza ,impugnata va cassata e la causa deve essere rinviata, per nuovo esame, ad altra sezione della Corte d'appello �di Genova (anche per le spese del giudizlio dti. cassazione), la quale si adeguer� ai seguenti pri.ncipi di dinitto: � La ,convenzione fra vti.cini confinanti con cui si deroghti. al rispetto delle distanze � costtitutti.vta di un di:riitto di servit� che permette l'edificabilit� deWarea corrispondente alla dti.stanza legale derogata e pertanto gode dell'agevola7l1�one fiscale prevista da1l'art. 14 legge 2 luglio 1949 n. 408 �. � La convenzione fra vicini confinanti con cui si deroga al rispetto delle distanze costtituisce diritti di servti.t� :rtlspettivamente a carico ed a favore di ciascuno dei fondi; ed ai fini dell'imposta di registro, sotto il vigore del r.<l. 30 dicembre 1923 n. 3269, deve essere tassata -giusta ghl artt. 8 e 51 -secondo :i criteri che presiedono al1a tassazione del cont: mtto dti. permuta�. (Omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un. 13 ottobre 1983, n. 5960 -Pres. Mirabelli -Est. Sensale -P. M. Tamburriino (conf.). Roesler Franz (avv. Greco) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato D'Amico). Tributi in genere -Contenzioso tributario -Giudizio di terzo grado Valutazione estimativa -Questioni relative all'esistenza del cespite. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 26 e 40). 136 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA Dm.LO STAn> Tributi in genere � Contenzioso tributario -Giudizio di terzo grado - Alternativit� � Identit� di oggetto -Diversit� dei procedimenti . Ille~ ttimit� costituzionale -Manifesta infondatezza. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 25, 26 e 40). Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile � Plusva� lenze -Intento di speculazione -Accertamento -Deducibilit� nel giudizio di terzo grado. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 81; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 26). Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Plusva� lenza -Intento di speculazione -Criteri di determinazione. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 81). I poteri del giudice di terzo grado, corrispondenti a quelli che prima della riforma erano attribuiti alla Commissione centrale e al giudice ordinario non si estendono alle questioni di fatto relative alla valutazione estimativa nella quale si includono anche le questioni relative alla esistenza del reddito o del cespite e del presupposto materiale o oggettivo del tributo (1). I due giudizi alternativi di terzo grado innanzi alla Commissione centrale e alla corte di appello sono di identico contenuto; ma n� l'alternativit�, n� la diversit� dei procedimenti danno luogo a seri dubbi di legittimit� costituzionale (2). L'accertamento dell'intento di speculazione nella realizzazione di una plusvalenza, anche se attinente al mero fatto, costituendo la condizione in presenza della quale il reddito � soggetto al tributo, � ricompreso nella competenza del giudice di terzo grado (3). L'intento di speculazione, che rende tassabile la plusvalenza realizzata da soggetto che non sia imprenditore commerciale, deve sussistere oltre che al momento del realizzo anche in un momento anteriore, ma da ci� non consegue che l'intento di speculazione deve sussistere sempre fin dal momento dell'acquisto e che esso � inverificabile nelle ipotesi di acquisto per un titolo diverso dalla compravendita, giacch� un proposito di speculazione pu� attuarsi anche dopo l'acquisto, a qualsiasi titolo, con il fine di agevolare o potenziare l'incidenza di fattori incrementativi; solo in mancanza di un'attivit� rivolta ad incrementare i valori l'intento va accertato rigorosamente con riferimento ai due momenti dell'acquisto e della rivendita (4). (1-4) Sull'argomento della prima massima la giurisprudenza si pu� dire ormai consolidata nel senso che la valutazione estimativa (o estimazione semplice)., che costituisce il limite negativo al potere del giudice di terzo grado, ricomprende non solo le questioni sulla quantit� della base imponibile ma anche quelle sulla sua esistenza e imputa21ione soggettiva. Dopo la sentenza, ricordata nel testo, 22 novembre 1977 n. 5086, in questa Rassegna, 1977, I, 874, si erano �: .. I 1: PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 137 (omissis) 2) Nel sistema anteriore a1la revisione del contemiioso tributario, operata con decreto n. 636 del 1972, le norme allora in vigore, in base aJ loro contenuto meramente letterale, sembrtavano circosari:viere i poteri di cogndzione della Commissione centrarle alle sole questiOl.11.i di legittimit�. Infatti, d.n materia dii: imposte dirette contro le decisi.ioni della Commissione provinciale era ammesso il ricorso aHa Commissione oontrale per motivi riguaIXlanti l'applii.oazione della legge (art. 48 del t.u. 24 agosto 1877 n. 4021, suhl'imposta di rfochezza mobile, e la stessa disciplina era prevista per quasi tutte le imposte dirette), mentre ii:l giudizio della cornmisisione provinciiale concernente le imposte indirette era definitivo nelJ.e controverisie sulla determiinallione del valore e la Commissione centrale era giudice d'appello nelle controversie � relative all'applicazione della legge�, decise '�Ol prima istanza dalla Commissione proviinciale, sezione di dirtltto (art. 29 del r.d.l. 7 1agosto 1936 n. 1639). Infine, neLle lim in materia di tributi loca1i, contro le prolllUl1Z�e della gtiunta priovinciale ammirriistriativa era ammesso gravame alla Commrissione cent11ale (con una speoiaJe composizione) �per sclii momvi di legittimit�,. (art. 284 bis del t.u. sulla finanza locale, aggtiunto con r.d.l. 26 dicembre 1936 n. 2394). Peraltro, dottrina e giurisprudenza erano unanimemente pervenute alla conclusione, giustificata da ragioni di indole testu:a:le, storiica e sistematica (che non � necessario qui ricordare), che la competenza della Commissione centvale si estendes>se 1a1Me questioni dli fiatto che non fossero di estimazione semplice. E .l'orientamento di questa Come si era consolidato nel ,senso che i poteri della Commissione centrale non coinoi.desooro con quelli che, neLl'esercizio della giurisdizione ol'.ldinaria, spettano alla Corte di cassazione, ma si estendessero all'acoertiamento dei fatti ooslli.tuenti la premessa necessaria per l'appliCazione deUa Iegge, cos� che, gi� avute altre conferme anche delle Sezioni unite; Zl giugno 11981 n. 4185, ivi, 11982, I, 152; 11 agosto 1982 n. 45119, ivi, ,1983, I, 1711. Nel dare tuttavia pratica attuazione a questo principio si riscontrano delle discordanze come appunto nella questione dell'accertamento dell'intento di speculazione. Recentemente le stesse Sezioni unite (15 marzo 1982, n. :1674, ivi, 1982, I, 819) erano giunte alla conclusione che l'accertamento dell'intento di speculazione si sottrae alla cognizione del giudice di terzo grado appwito perch� attinente all'esistenza del reddito ovvero alla iidentiLl�cazione dei caratteri del fatto. Ora si arriva alla conclusione opposta, ma in sostanza �sulla sola considerazione che �l'accertamento dell'dntento speculativo non riguarda la valuta� ziione estimativa; ma � per l'appunto la nozione di valutazione estimativa, estesa all'esistenza del reddito, che deve essere verificata per risolvere Ja questione dell'intento di speculazione; sul punto invece la pronunzia risulta piuttosto sbrigativa. Era gi� stato affermato che l'intento di speculazione pu� insorgere dopo che il bene sia stato acquistato, a qualsiasi titolo, precisandosi che la specifica 138 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA. DELLO STATO in definitiva, appantenevano alla competenza della Commissione centrale le questioni di diritto (compreSI� gli errores in procedendo) e le questiond cli fatto realiizzanti ipotesi di es1iimazione complessa (v., fra le altre, "le sent. n. 4098/74 e 3228/76), secondo una nozione elaborata per disoriminaire la giurisdizione del giudice ordinaci.o sul fatto, riispetto a quella riservata alla Comm~sSlione distrettuale e a quella provinciale in materia estimativa, e volta ad individuare una oategoma di questioni di fatto, miste e connesse a questioni diritto, in quanto il concetto di estimazione semplice e'.t'a stato tendenzialmente esteso a comprendere tutte le ques1J: iorni. di fatto, tranne, appunto, quelle di estimazione complessa. In tal modo 1a competenza della Commis,sione centr.ale veniva ad essere in tutto conforme a queHa del giudice ordinario (tranne che per i vizi in procedendo delle deoisioni delle commissioni, sottratte alla giurisdizione ordinaria). Come esattamente fu posto in rilievo dalla prima 1sezione di questa Corte, con la ,sentenza n. 5086 del 1977, e com'� stato confermato da1la Corte Costli.tuzionale nella sentenza n. 57 del 25 marzo 1982 (che ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 26 del decreto n. 636/72, in relazione all'art. 76 Cost., questione che era stata proposta anche dal ricorrente con 1H quinto motivo e che deve ritenersi ormai superata), � nella prospettiva indicata dai suesposti princ�pi che devono essere lette nell'art. 10 n. 14 della legge di delega della rfforma tributaria (9 ottobre 1971 n. 825) la formula � es1limazione semplice � e quella � sofil mo1livi di legittimit� �, testualmente riprese dia:Lla precedente normativa, che rivelano l'intento legislativo di conservare, in via di principio, alla Commissione centrale e . al giudice oOOinario (Corte d'appello) la medesima sfera di competenza che ad essi veniva attribuita nella disdplina allora in vigore. norma dell'art. 76 del d.PR. n. 597/1973, che ha previsto le operazioni di lottiz� zazione, ha carattere innovativo solo sul punto della presunzione (30 marzo 1983, n. 2301, in questa Rassegna, 1983, I, 545). Quando tuttavia manchino manifestazioni sintomatiche come le lottizzazioni, le convenzioni urbanistiche ecc. l'intento di speculazione viene definito dalla sentenza con eccessivo rigore, si da diventare pressoch� indimostrabile. Si ha l'impressione che al di fuori delle operazioni sulle aree edificabili, l'intento di speculazione si consideri difficilmente realizzabile. :B dnfatti eccessiva e non pertinente l'importanza data a11a destinazione del provento della vendita alla copertura di esposizioni, giacch� � perfettamente normale che si concluda una operazJ.one di speculazione anteriormente impostata per realizzare una somma eventualmente necessaria per coprire l'esposizione creata da al.tra speculazione meno fortunata. Importanti sono anche le affermazioni deUa seconda massima. Si tratta di questioni non nuove di legittimit� costituzionale autorevolmente accantonate. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 139 Nella sentenza della Corte Costituzionale si �, in proposiito, precisato che l'espressti:one �per soH motivii <li '1egittimit� � non equivale a motivi attinenti esclusivamente a questioni di diritto e non corrisponde al disposto dell'art. 360 n. 3 c.p.c., relativo a1l'ambito del giudizio di cassamone, ma riproduce una formula tradizionalmente propriia del procedimento amministratJivo, nel quaile il giudice, anche quando � investito del isolo 1sindaoato di legittimit� dell'atto amministrativo, ha il potere di conoscere le questioni di fatto, la cui soluzione � necessaria per vierificare l'esistenza dei vi21i dell'atto impugnato, cio� di ricostruire la realt� materiale presupposta dall'atto amministrativo o sulla quale questo devie esplicare i suoi effetti. Ci� consente, da un lato, dii escludere che gli artt. 26 (relativo ai motivi di ri.corso alla Commissione t:riibutaria oentrale) e 40 (che disciplina l'impugnazione dinanzi alla Corte d'appello) del decreto n. 636 del 1972 si siano discostati dalla norma delegante e, da1tl'altro, di intendere l'esatto signifioato delle due norme, le quali, I1iproducendo con pi� appropriata terminologiia la precedente diistinzione fondata sulla discriminazione tra quesmonii di estima21ione semplice e questioni di estimazione �complesisa, indicano pi� chiaramente l'ambito della cognizione de1la Commissione centrale e della Corte d'appello, precisando che essa comprende le denunde di violazione di legge e le questioni di fatto, escluse 1soltanto quelile relative a valutazione estimativa, e ponendo una discriminazione delle questioni di fatto, secondo che esse iDJeriscano, oppur no, a v.alutaZJione estimativa. Nella gi� richiamata decisione n. 5086 del 1977, le cui argomenta21ioni �risultano poi condivise da queste sezioni unite con le sentenze n. 2349 e 2350 del 31 marzo 1983, si �, quindi, osservato che la nuova dlisaiplina, pUT esplicitando una rea'lt� gi� presente nel precedente ordinamento, ha eliminato �1e ragioni d'incertezza che vi erano insite, consentendo, in virt� di un pi� razionale criterio di discriminazione, il superamento della nozione di estimazione complessa, la quale non ha pi� ragione d'essere, poich� ormai tutte le ques1J:ionii di fatto estranee al1a valutazione estimativa (e tutte le questioni di diritto) sono ind1scutib: ilmente sottratte nena cogniZ'ione piena della Commissione tributaria centrale e della Corte d'appello. E si � ulteriormente precisato che l'ambito della valutazione estimativa, come attivit� di giudizio, comprende non solo la mera quaintificaZJione, ma anche le quesmoni di fatto relative alla esistenza del reddito o del cespi:tle 1e, in generale, della base imponibile e del presupposto materiale ed oggettiv.o del tributo, restandone escluse -in quanto non relativie a vialutazione estimativa 1 le questioni concernenti 1a individuazione dei soggetti passivi del rapporto tributario e la iloro qualit� e modo d'essere, nonch� la tassabilit�, o meno, del Teddito o del cespite, in rela21ione, ad esempio, al con RASSEGNA DBLL'AVVOCATURA DBLLO STATO CW'SO cli ulteriori condizioni richieste dalla fogge per la !integrazione della fattispecie impositiva o aJta spettanza di esenzioni, agevolazioni o detraziolli�, al cui fine non � precluso aHa Commissione centrale e alla Corte d'appeHo l"accertamenito degli elementi di fatto che quelle condizioni realizzino o che diano diritto a queHe esenzioni, agevolazioni o detrazioni, appunto perch� integranti. questloni di fatto non relative a valutazione estimativa e non strettamente implicate da questa. Tali conclusioni, le cui ragioni giustJificative sono diffusamente svolte nella citata decisdone n. 5086 del 1977 (in particolare, nel paragrafo 5 della motivazione) e che sono implioitamente alla base deUe recenti sentenze di queste Sezioni unite sopra richiamate vanno ribadite anche in relazione alla presente controversia, precisandosii che dI problema relativo alla sfera di 1cognizione della Commissiione tributaria centrale si pone in quanto sulla indivtl.duazione dei reddito o del cespite (e in genere dei presupposti materiali ed oggettivi del tributo) ovvero sulla loro quantificazione vi sia contestazione (non a caso l'art. 26 parla dii � quest.ioni relative a valu1:azlione estimati.va�), come � reso palese dall' 1art. 39 del decreto n. 636/72, iii quale rprevede il rinvio dalla Commissione centrale ad �altra sezione della Commissione d!i secondo grado se, in conseguenza dell'accoglimento del ricorso, 1si renda necessario �rinnovare H l?J�iudizio su questlom di valutazione estimativa, e che ques1ione di fatto relativa a valutJazione estimativa �, con la indiv�iduazione e la quiantificazdone del cesrpite o del reddito, ogni questione d:i fatto necessama a11a determinazione del presupposto materiaile del tributo, cio� ogni questione di fatto strettamente implicata dalla valutazione estimativa, qual �, ad esempio, per le imposte dirette, l'accertamento della esistenza del negoziio che costlituisoe il presupposto della �imposizione, esclusa la qual:ificazione di esso che postula il compimento di un'operazione giuridica, non interessata alfa bipartizione tra questliom di fatto e questiolli� di f�atto relative a valutazione estimativa. 3. -I poteri, attcibuiti dall'art. 26 alla Commissione centrale coincidono con quelli che <l'art. 40 riconosce alla Corte d'appello. In base a quest'ultima norma, il ricorso a detta Corte non d� luogo ad un'autonoma azione giudi2)iaria ordinaria (oggi ammessa solo per talune imposte diverse da quelle elencate nell'art. 1 del decreto n. 636/72), ma configura un normale mezzo d'Jmpugnazione, previsto nell'ambito dell'll1llico processo tributario come rimedio alternativo di contenuto uguale al ricorso deHa Commis1sione centrale (iin proposito, v., diffusamente, la sentenza n. 2350/83 di queste Sezioni unite, anche sul:la istituzionale inserzione della Corte d'appello nell'ambiito della giurisdiziione speci�ale tributaria, sfa pure con talune regole procedimentali proprie di questo tipo di organo). Ik. i f: Il ~~ >:= ' ' I I I I ~ Ii~ i !:: ~ I: fil PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Ci�, peraltro, non giustifica i sospetti. di illegittrimit� costtituzionali manifestati dal ricorrente con il quinto motivo (con il quale sono state sollevate numerose questioni di costituzionalit� che saranno esaminate nel c011so deHa motivazione) sugli artt. 25 e 26 del decreto n. 636/72 circa le differenze procedimentali esiistenti tra il giudizio che si svolge dinanzi ail:la Commis'Slione centrale e quello dinanzi alla Corte d'appello, per pretesa violaziione degli artt. 3 e 24 Cost. Osserva in proposito il :ni.corrente che all'identit� dei motivi per i quali si pu� ricorrere alla Commissfone centrale e alla Corte d'appello non corriJ81ponide una -identit� degld strumenti e del modus procedendi e che la facolt� di scelta dell'organo dinanzi al quale pu� proporsi l'impugnazione non ha lo stesso SI�gnificato per una parte e per l'altra, dando foogo a situazioni diverse quanto alfa possibilit� della discussione orale, consentita dinanri alla Corte d'appello e negata dinanri alla Commissione centrale, alle regole di acquilS!izione delle prove, al diverso costo dei due giudizi, all'applicaoolit�, da parte della Corte di appello e non anche della Commissione centrale, delle norme contenute negli artt. 90-97 c.p.c. La sollevata questione, bench� 'l1�levante tiin quanto il suo eventuale accoglimento da parte della Corte Costituzionale incider�bbe necessariamente sul processo ancora in corso ed anche, nel caso di accoglimento del ricorso, in sede di rinvio, � manifestamente infondata. Con la precedente sentenza di queste Sezioni unite n. 2350/83 si � precisato che la istituzionale drnseraone della Corte di appello, organo della giurisdizione ordinaria, nell'ambito deLla giurisdi2lione speciale tri� butaria, an quanto collegata alle commissioni :in virt� del rapporto d'.impugnazione, non esclude che la diversa colloca:filone degli uff,ici (Commissioni tributarie e Corte d'appello), conservi wlore sul piano della disciplina del procedimento, che nei vari gradi sar� regolato, se non sia altrimenti stabilito, dalle norme proprie del giudice innanzi al quale si svolge. Ma ci� non si traduce in un vizio di costlituz:ionalit�. Che nell'alternativa di pi� mezzi di impugna2lione consentiti dalla legge, la scelta sia rimessa all'impugnante, non d� luogo a disparit� di trattamento sia perch� impugnante pu� essere tanto l'Amministrazione delle finanze quanto il contI'ibuente, sia perch� nell'ambito del procedimento cui l'impugnazione d� adito, entrambe le parti sono ugualmente tenute ad osservare le regole propI'ie di esso. N� la circostanza che nei due possibili procedimenti il dfilitto di difesa debba esercitarsi con modalit� diverse implica la violazione dell'art. 24 Cost., non essendo vietato al tegi.1Slatore ordinario aSSI�curare il cdiritto di difesa, purch� esso sia sufficientemente gartantito, secondo schemi diversi, propri ciascuno del tipo di procedimento nel quale quel diritto dovr� esercitarsi; e nel proce RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 142 dimento dinanzi alla Commissione centrale tale diritto � garantito dalla possibilit�, per le parti, di for valere le proprie ragioni mediante la proposizione del ricorso e del oontroricorso, c1i memome e di repliche e mediante il deposito di documenti. Per le stesse lt'agioni, manifestamente infondate sono le questioni di legittimit� costituzionale dell'art. 27 ultimo comma che non ammette la discussione orale, in rela2lione agli artt. 3 e 24 Cost., e delle norme che escludono la pubblfoit� delle udienze, in quanto :il diniego della discussione orale e la esclusione della pubblicit� delle udienze riguarda ugualmente entrambe le parti e non impedisce l'esercizio del diritto di difesa mediante attivit� diverse, ma anch'esse idonee a garantire quel diritto (gi� in questo senso, v. le sentenze 3248/79 e 1929/81). L'essere, poi, legittimamente regolati il procedimento dinail11i alla Commissione centrale e quello ddnanz;i �alla Corte d'appello, secondo la disciplina propria di .ciascun organo, anche per quanto riguarda la composizione di esso e l'et� dei suoi componenti, rivela la manifesta infondatezza della questione di costituzionalit� delle norme che consentono l'accesso alla Commissione centraJle di persone ultrasettantenni scelte fra appartenenti a determinate categorie, mentre i magistrati che compongono la corte d'appello sono collocati a riposo all'et� di settant'anni; e delle norme che per il periodo fra il 1� gennaio 1973 e !il 31 dicembre 1981 consentivano, in viJa transitoria, che continuassero a far parte delle Commissioni tributarne fino aill'et� d� settantotto anni, coloro che ne facessero parte gi� all'entrata in vigore del decreto del 1972 (art. 45, secondo comma, di tale decreto). Inoltre, priva di rilevanza � l'ulteriore questione di legittimit� costituzionale, formulata con H quinto motivo, relativamente all'art. 9, primo comma lettera f, per contrasto con l'art. 108, secondo comma, 97 e 103 Cost., sul presupposto che della Commissione centrale avesse fatto parte, nel caso concreto, un avvocato dello Stato, sia perch� ne era stata disposta l:a sosfil.tuZ'ione prima della decisione, sia perch�, anche se la deduzione del ricorrente fosse in punto di fatto vera, il problema rimane superato dalla cassaz;ione della decis<ione impugnata che, come si vedr�, dovr� disporsi in accoglimento del secondo motivo del ricorso. Infine, quanto si � detto circa l'ambito dei poteri attribuiti alla Commissione centrale dall'art. 26 del decreto n. 636/72 e la sostanZ'iale !�!dentit� del regime con esso instaurato rispetto a queHo precedentemente in vigore, rivela la manifesta infondatezza della questione di legittimit� costlituzionale deWart. 26 per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., in quanto consentirebbe �alla Commissione centrale di giudicare in terzo grado le controversie peT questioni di fatto rifeTite ad annualit� d'imposta riguardanti dl vecchio regime fiscale. ~ i PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBQTARIA 143 4. -In base ai princ�pi enunciati in ordine ai poteri di cognizione attribuitJi all'art. 26 del decreto n. 636/72 alla Commissione t:rdbutaria centrale, lil dubbio se l'accertamento dell'intento speculativo costituisca questione di fatto re1ativa a valutazione estimativa pu� agevolmente visolversi in �senso negativo. Gi� in passato, nella giurisprudenza di questa Corte si manifest� un contrasto fra le sentenze nn. 1926/75 (S.U.), 2553/79 e 496/63 (S.U.), che as�segnarono aH'area dell'estimazione semplice l'accertamento delfintento speculativo sul rilievo che si tvattasse di una questione di mero fatto, e le sentenze nn. 2899/67, 565/69 e 1074/79, le quali ravviisarono lin tale accertamento una questione di estimazione complessa, in quanto involgente un problema di qualificazione giuridica del fatto. Sul contrasto intervennero queste Sezioni Unite, con la sentenza n. 6022 del 19 novembre 1979, precisando -con riguairdo aHa cfilsaiplina anteriore all'ientrata :illl. vigore del decreto n. 636/72 e in una iipotesi nella quale la questione riguavdava, prima che l'esistenza in fatto dell'intento speculativo, la sua necessiit� in diritto secondo i:1 paradigma normativo de1la fattispecie limpositiva, e comunque, la sua nozione esatta alla stregua di questa -che nel caso preso in esame� indubbia era la configurabilit� di una questione di estimazJi.one complessa, irn base al principio, secondo il quale si � fuori dell'area della estlimazione semplice, fra l'altro, quando si controverta non 1soltanto sulla sussistenza in fatto degli elementi che sa assumono costitutivi -nell'an e nel quantum dell'iimposiizione tributaria (nel caso di specie: intento speculativo), ma anche sia 1in discussione, per esplicito o per �implicito, fa identificazione del diritto del1a fattispecie legale impositiva, dii guisa che occorra risolvere quest'ultima questione per individuare quali siano ii fatti giuridicamente :nilevainti al cui accertamento si deve procedere. Anche dopo l'intervento delle Sezioni Unite '1e mcertezre rum sono venute meno e si sono manifestate nella sentenza n. 1240/81, che ha ind.UJSO l'accertamento dell'intento speculativo nell'area della � valuta2ione complessa�, in quanto comportante un'operazione giuridica d'mterpretazio. ne e d'applicazione di norme, e nella sentenza delle Sezioni Unite n. 1674/82, la quale ha escluso che l'accertamento dell'intentio speculativo fuoriesca dall'ambito della valutazione estimativa, quando di fatto non sii.ano prospettate dalle parti questioni di �diritto 1sulla qualificazJi. one e sugli effetti degli elementi di fatto nei quali quello intento risulti manifestato. L'impostaz�.one data al problema della individuazione delle questioni di fatto relative a va:lutazJi.one estimativa, ,secondo il citato art. 26, consente di superare le perduranti incertezze in materia di intento speculativo. Oi� che occorre ribadire al Tiguardo � che l'area dli tali questioni non coincide con quella di questioni di fatto non censurabili in ca:ssa ��.,,,����,,,;,,,~,11r(illlllil1t~-11111~1lllflllf&llli RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Ziione, ma �, rispetto ad essa, pi� ristretta, nel senso che non, tutte le questioni dli fatto sono sottratte alla cognizione della Commissione cen . trale, ma soltanto quelle relative all'acoortamento del presupposto materiale del tributo, cio� quelle strettamente implicate dalla valutazione estimativa. Ed � evidente che, sotto il vigure dell'art. 81 cpv. del t.u. 645 del 1958, dovendOSli accertare 1l'dntento speculativo nella realizzazione di plusvalenze da parte dli soggetti non imprenditori commerdald o tassabili in base �a bilancio, le questioni di fatto rdative aHa valutazione estimativa sono limitate a quelle nelle quali vengano in discussione l'esistenza della plusvalenza e l'ammontare di essa (cosmtuente il reddito che pu� essere assoggettato a.M'imposta dd ricchezza mobile ai sensi della p.orrna citata), mentre l'accertamento della �dipendenza, o meno, di essa da operazioni speculatiive (l'aocertarnento, appll[lio, dell'iintento speculativo) ha per oggetto la condizione dn presenza deHa quale quel reddito � soggetto a tributo e fa sorgere un problema di tassabilit2 del reddito e non gi� di accertamento -nell'an e nel quantum -di esso. In tale prospettiva non occorre chiedersi se, iin conoreto, siano sorte, oppur no, questioni dti diritto sull'ambito di applicazione della norma, di sussunzione della fattispecie concreta nel modello legale, di qualificaZiione ~uridica di atti: questioni, tutte, di dirtitto in ordine alle quali I un dubbio sui poteri. cognitivi delila Cornrrrissione centrale non avrebbe modo di sorgere. La questione �relativa all'intento speculatJivo, cio�, pu� m non suscitare in concreto nessuno di questi problemi e rimanere nel- l'ambito dlel:l'acoortamento di fatti, di comportamenti personali, di disegni psicologici di preordinaZiione; ma, in ogni caso, � attratta nell'area I di cognizione della Commissione centrale, perch� questione di fatto non relativa a va!lutla2lione estimativa. ! Ne consegue che ia Commissione trtibutaria centrale aveva H potere di accertare, nel caiso in esame, se nella situazione denundata fosse rav- I visabile, oppur no, l'intento speculativo del contribuente nella opera- I ~ zione di acquisto e di successiva vendita d'immobiill� e fosse, quindi, tassabile la ricchezza ricavata da tale operaZiione, e che, pertanto, il primo motivo del ricorso deve essere rigettato. ~ ~ 5. -Con n secondo motivo il ricorrente, ai senSI� dell'art. 360 n. 3 I e 5 c.p.c., denunzia la violiazione e falsa applQcazione degli artt. 81, 82 ~ e 85 del t.u. 29 gennaio 1958 n. 645, in relazione all'art. 53 Cost., agli ri artt. 88 e 91 dello stesso t.u., all'art. 36 �del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, f r ag271li4. art281t8. 91588-72960, :64, %5, 974,28174483, 21848825, 1489, 21_700, 2750525, 2708, 2712, !:.�'.�. , , , pnmo comma, e e.e., ag 1 artt. e ss. c.p.c. , e agli artt. 107-109 del r.d. 16 m=o 1942 n. 2b7; nonch� il v;,;o di omessa, I PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA insufficiente e contraddittoria motivazione su pi� punt�i decisivi della controvevsia. Piremesso che l'intento spooulatiivo nella rea1izz~one di plusvalemie da parte dli soggetti non imprenditori commerciali e non tassabili in base a bilancio, si attua da chi cerca non gi� un impiego del propmo denaro nell'acquisto di beni, ma il ricavo di un sovraprofitto nell'osaiUazione del loro valore, �e che nelle isolate operazioni dii compravendita di immobili l'intento speculativo (che in capo ai suddetti soggetti non si presume, ma deve essere di volta in volta dimostrato) deve sussistere sia nel momento de1l'acq1llisto sia in quello, successivo, deH'alienazione, ricollegati ad un unico processo ideativo volto a speculare sulle variazioni dei prezzi, il ricoNente censura la decisione impugnata per avere ravvisato l'esistenza dell'intento speculativo in ciascuna delle tre vendite di immobilti con un ri.cavo lordo di complessive lire 206.010.000 effettuate nel 1967, senza indagare se detto intento sussistesse al momento dell'acquisto e se l'intera operazione fosse stata preordinata ru fine di speculare sulla variazione, nel tempo, dei prezzi degli immobiilii., e trascurando e travisando le prove fornite dal ricorrente, dalle quaii risultava: a) che l'intento speculativo non esisteva n� al momento dell'acquisto dei tre cespiti n� al momento della loro vendita, resasi necessaria per fronteggiare la gravissima crisi finanziaria della S.p.A. Coral, industria conserviera in stato prefaRimentare dal 1967, amministrata e controllata dall.'�attuale ricorrente e �in favore della quale egli aveva rilasciato fideiussioni ed avalli personali ad istituti di credito e a fornitori, i quali avevano iJsoritto ipoteche giudi2liali sui suoi beni; b) che le somme dea.vate daMe tre vendite erano state interamente utilizzate nella opevazione di � salvataggio � della Coral, riuscita solo tre anni dopo con la vendita deHo 1stabiliimento aH'En<te Maremma per :il prezzo di li.re 275.000.000, diretto a fronteggiare i residui debiti dell'impresa, non coperti dalle anticipazioni effettuate nel 1967 dal ricorrente. La Commissione centrale, irn proposito, non solo sarebbe incorsa in contraddizione, prima affermando che non risultava alcun versamento e, contrariamente al vero, che nessuna prova documentale era �stata prodotta; e, poi, riconoscendo che il ricorrente si era disfatto del suo patrimonio � per immettere denaro contante nelle sue aziende �. In particolare, il ricorrente deduce: 1) che l'appartamento di vfa S. Prisca lin Roma era a lui pervenuto a seguito di una complessa operazione di permuta con un immobi:le, sito a V:ia del Corso, che da oltre un secolo apparteneva <li.la sua famiglia; che il prezzo di acquisto, accertato dall'U:ffiiaio (che � quello da tener presente ai fini di eventuali plusvalenze) era risultato superiore al prezzo di vendita 'e che questo era stato utilizzato interamente per la ca:ncel 146 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO lazione della iporeca iscrittavi, contemporaneamente alla trasc:rizdone del passaggio di propriet�; 2) che l'immobd:le di via del Babuino, venduto nel 1967 per lire 167 milioni (prezzo ri.tenuto sostanzialmente congruo dall'Ufficio), appartenente alla famiglia Roesler Franz sin dal 1860, a seguito di eredit� era passato :in testa ad Agnese Massimini (madre del :ricorrente) per nove dodicesimi, �a due germani dello stesso per un dodicesimo ciascuno e per �l residuo al ricorrente, cui, con atto di divisione, fu assegnato in enfiteuSi perpetua nel 1964, sioch� non poteva essere sussistito l'animus lucrandi al momento del possesso demimmobii.ile n� al momento della vendita, per la quale era necessario il consenso del direttario (la s.r.l. Sefir); che del prezzo della vendita, la somma di lke 70 mHioni com� spandeva all'importo del mutuo gravante suH'immobile, che la Societ� acquirente si accollava, mentre la reslidua somma di lire 97 mlilioni era stata assorbita dalla capitalizzazione del canone enfiteutico dovuto al direttario e, per la differenza, dalle fideiussiO!Oi�. prestate a diversi istitutii. di credito; 3) che del piiccolo appairtamento sito in Cortina d'Ampezzo, venduto nel 1967 per il prezzo ritenuto congruo dall'ufficio di lire 9 milioni, una met� era stata acqu:i'stata per lire 3 milioni nel 1963 e l'altra met� (venduta dalla moglie del ricorrente) per altri 3 milioni nel 1966, sicch�, considerate le spese notarili e di registro, di mediazione e di manutenzione, nonch� i!1 tempo intercorso tra l'acquisto e la vendita, particolarmente interessato dalla svalutazione monetari.a, n:es�sun lucro aveva conseguito il ricorrente, che, d'altra parte, non avrebbe svenduto Jlappartamento se non per destinare tutto il ricavato al pagamento dei debiti dell'azienda conserviera. Come si � anticipato esaminando le questioni di costituzionalit� sollevate dal ricorrente, il . secondo motivo del ricorso � fondato. 6. � Secondo la disciplina dettata dal t.u. 29 gennaio 1958 n. 645, applicabile nel caso concreto, sono tassate le plusvalenze, compreso l'avviamento, derivanti dal �rea1izzo di beni relativi all'impresa ad un prezzo superiore al costo non ammortizzato o, se diverso, all'ultimo valore riconosciuto ali fini della determinazione del reddito (art. lO�, che si riferisce ai redditi delle ri.mpresie commerciali) e quelle di tutti i beni appartenenti ai soggetti tassabi'li in base a bilancio (art. 106, peraltro dichiarato iHegittimo, dalla Corte Costittmiorrale, con �sentenza n. 32 del 25 febbraio 1975, nella parte in cui prevede la tassabilit� anche per gli enti non esercenti attivit� commerciale). Un esplicito richiamo a:ll'lintento speculativo manca nelle norme citate e ci� 1sii spiega con la considerazione che esse riguardano, specialmente con la Hmitazione introdotta daHa sentenza della Corte costi PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA tuzionale, soggetti esercenti un'attivit� che �, per se stessa, speculativa, s� che l'unica condizione che deve ricorrere � la sussistenza di un vincolo di stretto collegamento ~afferenza) tm i�l cespite, cui � �attribuita la plusvalenza, e l'esercizio dell'impresa (v. sent. n. 2166 del 1979). L'art. 81, che inclica, in via generale, il presupposto dell'imposta di ricchezza mobile, stabilisce, nel capoverso, che costituiscono �inoltre (cio�, oltre a quelli menziionati nel primo comma) presupposto dell'imposta (a) le plusvalenze e le sopravvenienre indicate negli artt. 100 e 106, (b) le plusvialenze da chiunque realizzate (s'intende fuori. dalle ipotesi diJsdplinate nei citati ar�1Jicoli) in dipendenza di operazioni speculative e (e) i premi su presti1Ji e le vincite di lotterie, concorsi a premio, giuochi e scommesse. Tralasciando l'ipotesi (a), che qui non interessa, � evidente che la fattispecie ~mposilitiva sub (b) si distingue, per divers>it� di presupposti, da quella contemplata negli artt. 100 e 106, essendo richiesta, nella prima, la ulteriore condizione che la .produzione del reddito dipenda da opera~ ioni speculative (.in airg. v. la sent. n. 2554/81), cio� la presenza di un intento �speculativo (sent. n. 2450/82), con la conseguenza del necessario riscontro, caso per roso, �di un'attivit� del venditore, logicamente e cronologicamente precedente l'atto di cessione del bene plusvalente, la quale abbia carattere strumentale rispetto al conseguimento dell'incremento di valore (sent. n. 2469 del 1979). L'intento specu1'ativo, che � insito nelle iipotes1i previste dagli artt. 100 e 106, quando la plusvalenro sia realizzata da un soggetto non imprenditore, �, quindi, elemento costitutivo della fattispecie impositiva, come condizione della tassabilit� del reddito, e deve essere conc11etamente accertato, sia pure per mezzo di presunziiol11�, con esauriente esame di ogni modalit� e circostanza inerenti alle operazioni produttive di redclito (sent. n. 1074/79 e 2450/82). Nel caso di acquisto di beni e di sucoos1S!�va rivendita, non �, dunque, sufficiente, ai fini deH'applicamone dell'imposta di ricchezza mobile, il conseguimento di una plusvalenza, costituita dalla differenza in pi� del prezzo di vendita rispetto a quello di acquisto, poich� la conversione in denaro, attraverso la vendita, di un bene esistente in natura non integra, di per s�, gli estremi della operaziione speculativa. � necessario che l'operazione sia preordinata al fine di conseguire ila pfosva>lenza, che sia, cio�, preparata e realizzata con quello scopo; e ci� implica che l'intento speculativo non solo debba esistere al momento della rivendita, ma debba poterSI� collegare ad una attivit� anteriore, compiuta con quel fine. In tal senso si � detto che l'intento specu!latJivo deve �sussistere sia al momento dell'acquisto sia a quello, successivo, dell'alienamone del bene (sent. n. 2450/82). Ma al riguardo, si rende necessaria una precisazione. L'intento speculativo si concreta in un disegno unitario e il ricercarlo con riferimento a momenti cronologicamente diversi ha soltanto 148 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO lo scopo di accertarne la persistenza nell'arco di �tempo che va dal pnmo atto che. lo rivela fino alla vendita. Esso pu�, quindi, manifestarsi attraverso qualsiasi attiv-it� che abbia carattere strumentale rispetto al conseguimento dell'incremento di valore e che pu� consistere nello stesso acquisto dell'immobile, accompagnato dal de!Jiberato proposito di alienarlo successivamente a prezzo superiore (cfr. sent. n. 6022/79), ove appunto, per caratteristiche ed elementi obiettivi, risulti. preordinato alla successiva alienazione, ovvero in un'attiv�:t� posteriore �all'acquisto, rivol� ta ad agevolare o potenziare l'incidenza di fattori inorementatdvi, come nel caso di lottizzazione e sistemazione dei suolii in zona di espansione urban�stica (sent. n. 2469/79 e 2128/83). Su questa direttiva, si � ritenuta astrattamente configurabile la plusvalenza frutto di operazione speculativa nel caso di tel'.'reno, pervenuto in eredit� o frazionato fra gli eredi in comunione, quando costoro pongano in essere una concreta attivit� di preparazione e predisposi� zione del terreno al fine della sua �trasformaziooe ed util~zzazione edilizia (sent. n. 2880/77 e 2301/82); o 'Del caso di fondo pervenuto in enfiteusii ai soci di una societ� e venduto, contemporaneamente alla vendita dei diritti della concedente societ�, ad un unico acqukente in dipendenza di una operazione speculativa, che sia posta in essere in collegamento tra societ� e soci, costituenti una organizzazione di persone (l'una giuridica e le altre fisiche), al fine di realizzare in modo unitario e autonomo un maggior profitto, realizzato attraverso la vendita in pi� frazioni di un unico terreno, se, in relazione ad ogni elemento evincibile dalle modalit� e circostanze del caso concreto, il frazionamento risulti inserito in un'attivit� diretta alia sua trasformazione ediil:izia (sent. n. 5166, 5509 e 5510 del 1980). Non pu�, quindi, affermarsi, in via di principio, che la provenienza del bene attraverso atti diversi della compravendita (ad esempio, per successione ereditaria o per costituzione del diritto di enfiteusi) basti da sola ad escludere l'intento speculativo, in quanto non compatibile con quel modo di acquisto del bene; poich� l'intento speculativo, non ricollegabile a tale modo di acquisto, pu� essere rivelato da una attivit�, del tipo di quelle !indicate nei richiamati precedenti, successiva all'acquisto e logicamente e oronologicamente anteriore alla vendita. Ma, in mancanza di tale attivit�, dovendosi trarre fa prova dcll'intento speculativo da altri elementi, anche presuntiv.i, non pu� oogars�i un rilevante valore indiziario al modo e 1al titolo di acquisto del bene, se, procedendosi a ritroso dal momento della vendita alla ricerca di quel1a preordinazion� che la legge richiede, non si rinvenga nessun altro elemento che fa riveli t nel periodo di tempo fra l'acquisto e la vendita. In altri termiini, se f soltanto quest� due elementi siano iassunti come momento iniziale e finale della preordinazione, n primo di ta:1i elementi rimane privo di valore t, . f ,, ~ ! f: PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA indiziario se il titolo di acquisto del bene (ad esempio per eredit�) non sia compatibile con la esistenza, in quel momento, di un intento speculativo. Analogamente se, in prfocipio, la destinazione che il soggetto dia al denaro, ricavato dalla vendita � elemento indifferente, inidoneo, di per s�, a far escludere l'!intento speculativo, � certo che in concreto essa (in particolare se la vendita sia dovuta alla necessit� di realizzare il denaro occorrente a sanare delle passivJt�) pu� costituire -special� mente se, procedendo a ritroso, non si rinvenga alcuna attivit� rivelatrice delfintento speculativo -un sintomo per escludere il carattere speculativo della vendita. Quanto si � fin qu� detto pu� riassumersi nelle seguenti proposizioni: a) sotto il vigore del testo unico n. 645 del 1958, l'mtento specu� lativo cos-tituisce una condizione per la tassablilit� della plusvalenza, realizzata da un �soggetto rton imprenditore e rappresentata dall'au� mento del valore di scambio che assume nel tempo uno stesso cespite patriimoniafo cispetto al costo iniziale, e pertanto non pu� essere genericamente supposto, ma va CO!IlCretamente accertato, sia pure per mezzo di presunzi.ioni, con esauriente esame di ogni modalit� e circostanza inerenti alle relative operazioni; b) l'accertamento dell'intento specU� lativo postula il riscontro di un'attivit� dal venditore, logicamente e cronologicamente precedente l'atto di cessione del bene e strumentale rispetto all'mcremento di valore; essa pu� consistere nello stesso acquisto dell'immobile, purch� iaccompagnato dalla sua preordinazione aJ conseguimento del!.la plusvalenza, o anche da un'attivit� posteriore all'acquisto medesimo, rivolta ad agevolare o potenziare l'incidenza di fattovi incrementatiVli; e) quando un'attivit� di questo tipo manchi e, ne1'J.a rioeroa dell'intento speculativo, debba risalirsi a ritroso dal momento deHa vendita a quello dell'acquisto, questo pu� assumere un rilevante valore indizi.iario per escludere l'intento speculativo, 1se le modaltit� o di titolo di tale acquisto siano, per loro natura, incompatibili con la esistenza, in quel momento, di un intento speculativo; cos� come analogo valore sintomatico pu� assumere la destinazione del ricavato della vendita a coprire passivit�, che non possono essere in altro modo convenientemente sanate, per escludere che il disegno speculativo sia stato portato a ultiimazione e che la vendita sia stata effettuata in esecuzione di tale disegno. 7. � Facendo applicazione di tali princ�pi al caso concreto, la decisione impugnata non si sottrae alle censure formulate dal ricorrente. Negato l'intento speculativo nelle decisioni di primo e secondo grado l'Uffkio propose ricorso alfa Commissione tributaria centrale, sostenendo che il presupposto dell'imposta era costituito dall'operazione RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO speculativa realizzata med~ante l'acquisto e la successiva vendita di tre immobili, a nulla rilevando le ragioni circa gli impegni assunti dal contribuente per impedire il fallimento della Coral, della quale questi era l'amministratore e .il principale azionista. In questo modo, l'Uffioio introdusse due que_stioni: a) se la compravendita sia, di per s�, opera� zrione speculativ:a; b) se la destinazione data al denaro abbia rilevanza per escludere l'Jntento speculativo, pur se lo stesso Ufficio sostenne che il detto intento sussisteva nella � complessa � operazione di vendita e che non .risultavano provate le ragioni che av.rebbero indotto a ven� dere, sembrando cos� riconoscere che queste ragioni poss�ano far escludere l'intento speculativo. La Commissione tributaria centrale -dopo aver negato che, in concreto, le ragioni suddette fossero state dimostrate (e che fosse stato dimostrato che effettivamente il ricavato era stato impiegato per estinguere i debiti della Coral) --ha compendiato la sua motivazione nell'affermazione che nel giro di pochi anni il contribuente aveva acqua� stato immobili e quote condominiali, cost1tuendosi un patrimonio im� mobiliare consistente, del quale, poi, in pochi mesi sJ era disfatto per immettere denaro contmte nelle sue aziende. Pertanto, tenuto conto del breve periodo di tempo intercorso fra tali operazioni, del sensibile guadagno, del costo originario e del prezzo ricavato, doveva ritenersi esistente il preordinato intento speculativo, che, pertanto, si presumeva, senza che contro tale presunzione il contribuente avesse offerto alcuna prova concreta attendibile. La questione se la vendita sia di per s� operazione speculativa � stata esattamente risolta per implicito in senso negativo dalla Commi~ sione centrale, avendo essa tratto il convincimento del carattere specu} lativo de1l'operazione non dalLa mera vendita, ma dagli altri ricordati ,f elementi, e avendo fatto esplicito richiamo al requisito della preordinazione ed a1la necessit� del concorso dell'intento speculativo, che ha affermato -�era esisti.to � (cio� al momento dell'acquisto) ed � esisteva � (al momento della vendita); ci� in linea col pr.incipio che l'in� tento speculativo, il quale condiziona la tassabilit� delle plusvalenze, si risolve nel proposito di acquistare un bene, per poi rivenderlo ad un prezzo superiore, e deve sussistere sia prima che al momento della vendita. La Commissione centrale, poi, non ha negato la possibile riLevanza �~ . in concreto della destinazione del denaro, tanto che l'ha esclusa sotto il profilo 1che non fosse stata fornita la prova di tale destinazione. . . Tuttavia, la Commissione centrale suddetti o non ha dato, �in relazione zione della sua decisione. o ha male applicato i principi l ad essi, un'appagante giustifica-~~~ '_'. 1: [ i ' : I JI PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Poich� nessuna attivit� rivelatrice dell'intento speculativo, il contribuente aveva posto in essere dopo l'acquisto e prima della vendita dei beni, una indagine particolarmente attenta la Commissione centrale avrebbe dovuto compiere in relazione ai due unici elementi utilizzabi1i al fine dell'accertamento dell'intento speculativo, costituiti dal!l'acquisto e dalla vendita, e che sarebbero dovuti essere -il primo -preordinato alla realizzazione della plusvalenza e -il secondo -attuativo del preo11dinato disegno specul1ativo. Nello svolgimento di tali indagini, la Commissione centrale avrebbe dovuto considerare che, mancando un'attivit� intermedia rivelatrice del!l'intento speculativo, il titolo dell'acquisto dei beni e le ragioni che avevano determinato iil contribuente a vendere in una alla destin~ione data al danaro ricavato, assumevano fondamentale importanza al fine dell'�ccertamento dell'intento speculativo con riferimento al momento dell'acquisto ed a quello successivo della vendita dei beni. Traendo presunzioni dalle circostJanze (costo iniziale e prezzo ricavato; guadagno reaUzzato) idonee a fornire la dimostrazione pi� della plusvalenza (la oui esistenza, peraltro, non era contestata) che dell'intento speculativo (per il quale l'unico elemento di qualche ri'lievo poteva essere costituito dal tempo intercorso fra l'acquisto e la vendita), la Commilssione centrale ha finito con l'attribuire esclusivo rilievo a quest'ultimo elemento (forse incosciamente anticipando l'applicazione della disciplina dettata dall'art. 76 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597 sull'irpef, peraltro non ancora aipplicabi:le al caso in esame), senza preoccuparsi di valutarne il valore indiziario con una pi� esauriente indagine sul titolo di acquisto dei beni e sulle ragioni della vendita, e si � limitata a giustifkare la propria decisione con l'affermazione, quanto al momento ini:Male, che il contribuente aveva acquistato dei beni, costituendosi un patrimonio, e, quanto al momento finale, che se ne era disfatto per immettere denaro contante nelle sue aziende, non avvedendosi della scarsa conci1i:abilit� di quest'ultima affermazione con la negazione, contenuta in altra parte della motlvazione, che il denaro riscosso fosse effettivamente stato impiegato per estinguere i debiti della Coral. In realt�, un'indagine sull'intento speculatvo al momento dell'acquisto dei beni � del tutto mancata. Basta considerare, al riguardo, che la Commissione centrale, pur dimostrando di non ignorare la provenienza ereditaria dell'immobile di via del Babbuino e la successdva costituzione di un diritto di enfiteusi a favore del contribuente nella distribuzione fra gli eredi del pat:riimonio avuto in successione, non ne ha tratto alcun argomento per affermare o negare la esistenza dell'intento �speculativo nel momento in cui il bene pervenne al contribuente. In conseguenza l'indagine sull'intento speculativo nell'intera operazione pu� esserne risultata condizionata, essendo -quello di via del Bah� 152 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO buino -il cespite di maggior valore patrimoniale, sicch� Sii impone, sul punto, un pi� approfondito riesame in sede di rinvio, tanto pi� che neppure in relazione all'acquisto dell'immobile di via di S. Prisca; che pure la Commissione centrale ha fatto oggetto in esame, risulta svolta alcuna indagine di:retta ad accertare se davvero fosse stato ottenuto dal contribuente, come egli sostiene, per effetto di una permuta con altro immobile, da molto tempo appartenente alla sua famiglia (circostanza, questa, che poteva non essere priva di rilievo nell'accertamento dell'intento speculativo realizzato, secondo la decisione impugnata, me� diante la precostituzione di un patr�nonio, fin dall'origine destinato alla vendita); e tanto pi� che l'acquisto dell'dmmobile di Cortina d'Ampezzo � fatto oggetto da parte della Commissione centrale di sommarie considerazioni. Maggior attenzione esige anche l'accertamento dell'intento specu� lativo al momento delle vendite. La Commissione centrale, pur avendo riconosciuto che queste erano state effettuate per immettere denaro contante nelle aziende del contribuente (cio� nella Coral) -e che quindi. erano state determinate dalla necessit� di estinguerne la passivit� -non ha compiuto alcuna valu I tazione circa H signdficato da attribuire a tali necessit� al :l�ine dell'accertamento, positivo o negativo, del carattere speculativo dell'operazione. Ha dato, invece, esclusivo rilievo alla vendita dello stabilimento I a1'l'Ente Maremma, senza peraltro chiedersi se, essendo questa avvenu I ta tre armi dopo l'alienazione degli immobili, non fosse servita allo sco I ! po di sistemare una situazione debitoria che il ricavato di tali aliena zioni poteva non avere interamente sanato; ed ha affermato che non era �stata fornita la prova che il denaro vicavato dalla vendita degli im mobili fosse stato effettivamente impiegato neH'adempimento degli im pegni che il contribuente aveva assunto a favore della Coral e dell'estinII zione degli oneri che suddetti hnmobili gravavano, deHa qual cosa, peralltro, il contribuente aveva fornito diversi indizi. I Se, infatti, il denaro ricavato dalla vendita fosse stato assorbito dal�� I l'adempimento delle obbligazioni assunte dal contribuente a favore della Coral e dalle ipoteche che, a garanzia di essa, erano state iscritte sugli I immobili medesimi (e tali circostanze dovranno formare oggetto di I riesame in 1sede di rinvio), ci� potrebbe influiire in modo rilevante nello accertamento dall'intento speculativo, pur se non pu� essere seguita I la tesi, sostenuta dal ricorrente della illegittimit� costituzionale degli artt. 81 del t. u. n. 645/58, ;in relazione :agli 1artt. 88 e 91 deMo stesso t.u. ! ~ f all'art. 555 c.p.c. e 107 della legge fall., per preteso contrasto con gli ! ! artt. 3 e 53 Cost., in quanto tali norme non assoggettano all'imposta di i f ricchezza mobile ile vendite di immohlli, gravati da <ipoteche, aHe aste I f<a!lilimentari o in sede di. esecuzione immohlliiare e 1assoggettano invece ( i i I' f t �~ i PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 153 a1fimposta le vendite degli stes�si 1mmobi1i, se effettuate fuori dai suddetti procedimenti esecutivi: trattasi, invero, di questioni manifestamente infondate, attesa fa diversa natura giudiziale ~ispetto a quella nego: zi~ale, della vendita e coosiderato che � rimes�so ailla scelta del titolare del bene anticipare, oppure no, la vendita giudiziale mediante Ia alienazione negoziale di esso. Pezitanto, il secondo motivo del �ricorso deve eS1Sere accolto e la decisione impugnata va oassa1Ja, sul punto, con r:inviio alla stessa Commissione tributaria centrale, che, tenuto conto dei principi sopra enunciati e delle osservazioni svolte in oI1dine a:lla congruit� della motiwW.one, proceder� al riesame delfa controversia neHa parte contempLata nelle censure accolte. (Omiss.is) CORTE DI CASSAZIONE, .Sez. I, 18 ottobre 1973, n. 6115 -Pres. Mazza. cane -Est. Caruram -P. M. .Aontooi (conf.). Militi c. Ministero delle Finanze (Avv. Stato Zotta). Tributi erariali diretti � Imposta sui redditi di ricchezza mobile . Redditi prodotti in Italia � Confezionamento in Italia di materie provenienti dall'estero � Sono tali � Successiva vendita all'estero dei prodotti finiti � Irrilevanza. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 81). Sono da considerare redditi prodotti in Italia quelli inerenti al confez; ionamento di materie provenienti dall'estero, in temporanea importazione, calcolati sulla differenza del prodotto finito .rispetto al val.ore della materia prima,-ai fini della tassabilit� di tale reddito � irrilevante la circostanza che i prodotti finiti siano venduti all'estero (1). (Omissis) Con unico motivo, denunziando vidlazione e fulsa applicazione dell'art. 82 comma 2 del T.U. 29 gennaio 1958, n. 645, il ricorrente sostiene che fimpugnata sentenza ha errato quando ha ritenuto che egil.i avesse prodotto io:i ltlalia �un ireddito tassabile, in quanto avendo utiiliz~ zato mate11ia prima estera egli si � 1imitato a sostenere .in 11Jalia i costi (11) Identiche sono altre due sentenze in pari data n. 6116 e 61'17. Questione interessante sul frequente fenomeno della elaborazione manufat~ turiera in Italia di materie prime estere seguite da riesportazione dei prodotti finiti. Certamente il fenomeno non pu� essere neutro per l'imposizione in Italia. Si tratta infatti di una attivit� di impresa che produce reddito indipen~ dentemente dalla vendita del prodotto. La massima � rilevante anche ai fini della legislazione attuale (art. 9 n. 5 d.P.R. n. 5'17/.1973; art. 3 d.P.R. n. 599/.1'173). RASSEGNA Dm:L'AVVOCATURA DEU.O STATO 154 per la confezione dei pantaloni, mentre il reddito � stato percepito negli Stati Uniti d'America dove Ja merce veniva venduta, e dove� aveva versato le imposte dovute allo Stato estero. La censu11a � infondata. Ai �sensi dell'art. 82 comma 2 del T.U. 29 gennaio 1958 n. 645, i redditi delle imprese commerciaili operanti in Italia e 0il!l'estero si considerano prodotti nel .territorio dehlo Stato per Ja parte derivante dai.la attivit� esercitata nel te11ritordo stesso per mezzo de1la sede centrale di SOOC'llll'sali o di altre stabili organizmzioni. 'La Col1te d'appeNo, nel!l'arpplicazione deNa norma al 'caso concreto, ha ritenuto che ne rioorLressero d presupposti, avendo accertato che H rJcorrentte � titolare in Italia di una fabbrica che confoziODJa pantaloni, e non ha 'riconosciuto alOUIIla .rilevanza al fo:tto che il prodotto venisse realizzato con materie prime provenienti dagli Stati Uniti d'America e quindi esportato per eSlsere venduto all'estero. Le considemzJoni che sorreggono il decisum -che ha sottoposto il maggior valore del prodotto rispetto alile materie prime impiegate in Italia a'.1l'imposta di .ricchezza mobile -si �sottraggono alle oritiche for� mulate da11a difesa del rJcorrente dJn questa sede. A parte i ori1ievi attinenti al presunto comodato dell'azienda che si spuntano contro �l'�aooertamento di fatto contenuto nell'impugnata sentenza, non pu� condividersi la tesi secondo cui rullorch� J'art. 82 comma 2 del T.U. sJ rJferisce alle imprese commerciali operianti in Italia, comprenderebbe nella locuzione normativa soltanto le imprese che svolgono operazioni di vendita. Al contrarfo, risulta dall'art. 85 che i redditi di ricchezza mobile di cat. B sono J redditJ alla produzione per i quali concorrono insieme il capitale ed iil ilavoro, come queHi deri\nanti dall'esercizio di imprese commerciali ovvero da attivit� commerciali, ai sensi dell'art. 2195 cod. civ. Orbene, l'art. 2195 cit. �comprende fra gli imprenditori che sono soggetti a1l'obbligo dclla iscrizione nel registro delle Jmprese -e oui si estendono anche per quanto statuisce il secondo comma, le disposizioni dii legge che fonno riferimento alle attivit� e aLle imprese commerciali gli imprenditori che esercitano una attivit� industriale diretta alla pro duzione di beni o dJ servJzi. Ne consegue che qurundo 'l'a�rt. 91 del T.U. dispone che :il reddito netto so~getto all'imposta di ricchezza mobile � costituito dalla differenza tra l'ammontare dei !I'ioovi '1ordi che compongono il reddito soggetto all'im posta e ['ammontare delile spese e passivit� .inerenti alla produzione di tale reddito, la norma ove sia COOiidinata �con quanto prewde l'art. 82 comma 2 dello stesso testo unico per i 1redditi de1le imprese commerciali operanti �in Italia e all'estero, non pu� condurre ad un risultato diverso da quello cui � pervenuta l'impugnata sentenza. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 155 Infatti, la corte d'appelio ha tenuto presente che nel oa:so di specie il ricorrente svolge fa propria attiv.it� commerciaile (nel senso innanzi precisato) sia in Italia 'Che negli Stati Uniti d'America ed ha sottoposto aH'imposta di ricchezza mobile, ailila stregua di quanto 'statuisce l'art. 82 comma 2 del T. U., soltanto quella parte del reddito derivante dall'atti� vit� esercitata nel ,territorio dello Stato. E poich� nel oaso de quo, � pacifico che aa parte ~del reddito) derivan: te diaiH'attiv.it� esercitata in Italia consisiteva nella produzione dei pan:tailoni attraverso Ja elaborazione dellfa materia prima proveniente dagli USA, ne ha correttamente dedotto che il reddito tassabile agli effetti del!l'imposta di ricchezzia mobHe, consisteva nel maggior valore (conseguito .in Italia) dai pantiafom r.ispeHo ail vailore della materia prima (estera) impiegata neMa foro lavorazione, a nwlla rilevando che poi la vendita del prodotto finito avvenis1se negli USA. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 24 ottobre 1983, n. 6252. Pres. Santosuosso -Est. Battimehli -P. M. Grimaldi (conf.). Ministero de11e Finanre (Avv. Stato BragugHa) c. Bertozzi (avv. Romanelli). Tributi erariali indiretti -Imposte doganali -Prescrizione -Procedimento penale contro pi� imputati -Impugnazione di sentenza di condanna di alcuni soltanto -Possibile effetto estensivo -Influenza sul corso della prescrizione verso l'imputato non impugnante -Esclusione. (e.p.p. artt. 203, 204 e 205; I. 25 settembre 1940, n. 1424, art. 27). Tributi erariali indiretti -Imposte doganali -Prescrizione -Costituzione di parte civile contro pi� imputati � Passaggio in giudicato della sentenza per alcuni e impugnazione di altri -Estensione dell'effetto interruttivo a tutti gli imputati -Esclusione. (I. 25 settembre 1940, n. 1424, art. 27; e.e. art. 1310). Qualora in un procedimento penale per contrabbando interviene sentenza di condanna contro pi� imputati che sia impugnata da alcuni soltanto, la prescrizione dell'imposta doganale comincia a decorrere per i non impugnanti dal momento del passaggio in giudicato della sentenza nei loro confronti, indipendentemente dalla eventualit� che l'impugnazione degli altri imputati possa produrre un effetto estensivo favorevole (1). (1-2) La difficile questione � impostata e risolta senza affatto considerare gli effetti che l'estensione del giudicato penale favorevole pu� produrre sull'obbligazione di imposta. Se cio� si afferma che il passaggio in giudicato nei confronti di uno dei condannati non � influenzato dal possibile effetto estensivo dell'impugna:1'lione di altri, con la conseguenza che '1'Amministrazione pu� pre� RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Nel caso in cui intervenga sentenza penale di condanna di ptu per� sone per il reato di contrabbando e questa sia impugnata da alcuni soltanto, il corso della prescrizione dell'imposta doganale ha inizio per i diversi soggetti in tempi diversi, n� pu� ritenersi che l'effetto interruttivo che si prolunga riguardo al soggetto impugnante si estenda al non impugnante a norma dell'art. 1310 cod. civ. (2). (omissis) Ll primo motivo di ricorso va riconosciruto infondato. Ed invero, rispondendo ai vari argomenti con cui si censura Ja sen� tenza :impugnata, va osservato: a) Una volta ammesso, come ammette l'Amministrazione ricor� rente, che hl coimputato non impugnante non assume ila veste di parte. il problema � gi� per s� 1risolto, posto che non � conciliabile Jia afferma� zione del mancato passaggio in giudicato delrla sentenza da lui non impugnata (per la parte che fo riguarda) col riconoscimento che il processo non prosegue nei 'suoi confronti (la mancata assunzione della veste di parte significa la cessazione del rapporto processuale nei confronti del non impugnante). Quanto poi alla distinzione tra effetto estensivo dell'impugnazione ed effetto estensivo della sentenza di accoglimento dell'impugnazione stessa, va riconosciuto che non sussiste la differenza sostanziale affermata dal rkorso. � pi� corretto, iLtJ.vero, parlare di estensione degM effetti dell'impugnazione anzich� di � effetto estensivo � e va riconosciuto che J'unico � effetto � della normativa degli artt. 203 e 204 c.p.p. � l'eventuale reformatio in mel�is deHa sentenza dmpugnata, in caso di accoglimento del motivo comune. Solo in tal caso, invero, 1:a sentenm del giudioe di impu� ~one produce effetti nei conkonti del coimputato non impugnante, mentre, rin caso di rigetto, l'effetto estensivo non pu� verJficru.isi. Ci� impedisce di ritenere che il processo continui nei confronti di non impugnante, non potendosi ipotizzare un rapporto processuale la cui esi tendere l'imposta e deve osservare il termine di prescnzmne che comincia a decorrere, e cos� pure che (seconda massima) il passaggio tin giudicato della sentenza in tempi diversi per i diversi soggetti comporta anche la decorrenza della prescrizione in momenti diversi, occorrerebbe contemporaneamente affer� mare che la eventuale pronunzia di una sentenza in grado di impugnazione (che potrebbe anche intervenire dopo la decisione della lite tributaria) � !irrile� vante sw rapporto di imposta anche se produce ai fini penali un effetto favorevole per i non impugnanti. Se per� ci� non �, come parrebbe, sostenibile, occorre riflettere maggiormente sul problema della prescrizione. In sostanza non sembra coerente l'affermazione che l'Amministrazione creditrice debba per non subire la prescrizione azionare il suo credito, quando il debitore potrebbe fondatamente chiedere che n giudizio tributario sia sospeso fino all'esito del giudizio penale; o la controversia di imposta pu� essere decisa (e potrebbe intervenire anche un giudicato anteriormente alla conclusione del PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 157 stenza sfa condizionata al meI1ito della futU'.ra pronuncia del giudice, essendo J'esistenza del rapporto stesso (con conseguente impossibi!lit� del passaggio in giudicato della sentenza non .impugnata dal destinatario degli effetti eventuali futuri) ipotizzabile solo in funzione della neces� sit� di una rutura pronuncia, in ogni 1oaso, da parte del giudice di impU� gnazione, anche nei confronti del non impugnante. In mancanza, non pu� rriconoscersi all'istituto in esame il carattere 1di rhnedio eventuale stvaor.dinar.io, come causa di eventua�.e possibiltt� di l'isoluzione del giudicato gi� formatosi nei confronti del non impugnante, cos� come questa Corte ha gi� tlconosduto cort fa sentenza n. 2306 del 30 marzo 1983, emessa, proprio in �relazione a:l caso di specie, a seguito di ricorso proposto da Giuseppe Bertozzi contiro altra sentenza della Corte di Appel� lo di Mfilano, identica a quella qui impugoota. Inoltre, va riconosciuta l'esattezza di quanto ,affermato dalla sentenza impugnata cil1Ca il rHievo che asoome, per ia soluzione del proMema, la normativa dell'art. 570 c.p.p., che consente l'esecuzione della sentenza qualora questa non venga impugnata, senza alcun richiamo alla normativa deg1i artt. 203 e 204; conferma, questa, dell'affermazione del passaggio in giudicato della 1sentenza nei confronti del coimputato non impugnante, come, d'altronde, � riconosciuto dalla consolidata giurispriudenza di questa Corte in mater.ia penale; b) quanto all'�affermazione della ricorrente, secondo cui fa nor� mativa dell'art. 204 c.p.p. (laddove dispone che, in caso di dichiarazione di inammissibilit� dell'impugnazione proposta dal coimputato e di rinuncia ad essa, cessano gli effetti previisti dall'art. 203) dimostrerebbe che il passaggio in giudicato della ,sentenza non si verificherebbe nei confronti del coimputato non impugnante fino al verificarsi degli eventi preVlisti nena norma, va osservato che la norma va �intesa in senso di� verso; nel isenso, cio�, che in tanto pu� prodursi nei confronti del non impugnante �l'effetto favorevole dehl'impugnazione da altri proposta in giudizio penale da ritenersi comunque irrilevante), oppure se J.l processo tribil� tario deve essere sospeso non vi � ragione perch� debba essere introdotto. Le conclusioni raggiunte nella prima e nella seconda massima calzano perfettamente in relazione ad un giudizio civile, tributario o amministrativo perch� nell'obbligazione solidale � perfettamente normale una diversit� di giudicati; ed � ben noto che, una volta ricondotta l'obbligazione tributaria ai criteri della solidariet� ordinaria, la decisione che diventa definitiva per un solo soggetto (ad esempio suWaccertamento di valore) fa cominciare a decorrere il termine di prescrizione (o di decadenza) per la riscossione dell'imposta verso quel soggetto, perch� l'impugnazione di altro soggetto eventualmente accolta non potr� avere influenza a vantaggio del coobbMgato. Ma non era cos� quando in ossequio al principio della speciale solidariet� tributaria si riteneva che l'1impugnazione di uno degli obbligati giovava a tutti ma allo stesso tempo impediva per tutti il compimento della prescrizione. 158 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO quanto l'impugnazione sia portata a compimento e pervenga ad un concreto risultato positivo); che, cio�, il non impugnante non pu� coltivare, ai fini propri, J'impugnazione da '1ui non proposta, ossl�!a � privo di poteri dispositiVli in campo processuale, il che conferma finesistenza di un �rapporto p.rooessuale nei suoi confronti e, di conseguenza, :l'avvenuto paJSsaggio in giiudicato, sempre nei suoi confronti, della sostanza da lui non impugnata; e) nessun rilievo determinante ha il richiamo fatto dalla dcorrente ail dispos�to degli artt. 203, 213, 315, 517 e 544 c.p.p.: quanto al fatto che il non impugnante sia definito �coimputato �, ci� � attribuibile ahla neoessti.t� di qualificare H destinatario dei futuri eventuali effetti della sentenza del giudice di impugnazione, necessit� soddisfatta dai richiamo fatto alla posizione che nel p['ocesso suddetto destinatario aveva rneLle fosi precedenti; qUlru:Jito, poi aHa partecipazione del suddetto gi.U!dizio di impugnazione, va osservato che essa non � assoluta e gehe� raile, ma � prevista solo per le fasi di merito (giudizio di appeill.o ed eventuale giudizio di rinvio), non anche per H giudizio di cassazione -che � iJl oaso ili specie -, mentre invece, se il processo in ogni caso dovesse intendersi, nei confronti del non impugnante, come proseouz. ione di un giudizio ancora in corso anche nei suoi confronti, la partec~ pazion:e 1sarebbe stata sempre e comunque prevista. Quanto sopra consente di disattendere anche le osservazioni formulate dalla �I�.corrente nel capo d) del pri.mo motivo di ricorso, che costituisce ruernte altro che una sintesi degli stessi argomenti gi� esposti sub a) e sub b), argomenti innanzi disattesi. Passando ad esaminare il secondo motivo di ricorso, si osserva anzitutto -come ~i� ha futto �la precedente sentenza di questa Corte n. 2306/83, ;gi� citata -che esso si fonda sul pxiesupposto, mai ev.iden� ziato n� tanto �meno provato neMe precedenti fasi di giudizio, delila esistenza di Ulll!a obbligazione di pagamento dei medesimi tributi doganali, obbligazione comune al Bertozzi e ai coimputati impugnanti. Ma, a parte ila mancata dimostrazione dell'esistenza dti. una obbligazione solidale (con conseguente pos�sibilit� di applicazione della normativ�a degli artt. 2945 e 1310 e.e.) e dell'impossibilit� di considerare decisti.vo, sotto tale profilo, ,iJl punto su cui ilia sentenza impugnata oon si sarebbe pronunciata, va riconosciuto �che Ia tesi della �ricorrente si bas,a di un presupposto erroneo. Come gi� ha riconosciuto questa Corte nella citata sentenza n. 2306/83, infutti, seppuve la costituzione di parte clviii.e avesse interrotto (iin ipotesi di sussistente solidariet�) il corso della prescrizione nei confronti di tutti i coimputati, d� non comporterebbe che gli effetti deLl'interruzione, idi cui a1l'art 1310 e.e., avessero continuato a decorrere nei confronti di tutti i 'coimputati. Nel caso di specie, invero, � apptli� I I ! i: ~= i: .~ PARTE I, SEZ.� VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 159 cabile una norma di oarattere speciale (il'art. 27 de11a legge do~n.ale n. 1424 del 1940, secondo cui in caso di procedimento penale per contrabbando iJl diritto della Finanza a11a percezione dei tributi evasi si prescrive in cinque anni dal passaggio in g,iudicato deHa sentenza) che disciplina autonomamente il decorso della prescrizione e che non pu� rimanere elusa per effetto della normativa generale del codiice oiv.i>le; e, in conseguenza di quanto gi� osservato a proposito del primo motivo posto che H passaggio in giudicato si verif�oa in momenti diversi per rnmputJato non dmpugnante e per quello impugnante, la prescrizione verificatasi nei confrontd del primo non pu� ritenersi ancora decorrente in forza della normativa generale del codice civile. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 12 novembre 1983, n. 6740 -Pres. Santosuosso -Est. Scanzano -P. M. Minetti (conf.). Minis.tero delle Finanze (Avv. Stato Pa:latieHo) c. Coop. MUJratori e Cementisti S. Alberto. Tributi erariali diretti -Imposta sulle societ� � Condono -Riferimento all'ultimo imponibile definito -Agevolazione prevista in legge succes� siva -Irrilevanza ai fini del condono. (d.!. 5 novembre 1973, n. 660, art. 3). Agli effetti del condono previsto dall'art. 3 del d.l. 5 novembre 1973, n. 600, la definizio.ne sulla base dell'ultimo imponibile definito non deve tener conto di eventuali nuove o maggiori agevolazioni disposte con legge successiva alla definizione dell'ultimo imponibile, anche se anteriore alla legge sul condono (1). (omissis) L'Amministrazione ricorrente denuncia violazione degli artt. 1 e 3 d.I. 5 novembre 1973 n. 660 conv. in I. 19 dicembre 1973 n. 823, e, premesso, che tiale normativa si applica anche alle imposte per le quali il contribuente abbia omesso di presentare la prescritta dichiarazione in ragione di una pretesa esenzione tri.butaria e che la domanda di condono coinvolge tutti i periodi d'dmposta per i quali sussista il potere di accer,tamento deH'uffico, sostiene che ii:I l'iferimento del citato art. 3 alla � nuova e maggiore agevolazione ed esenzione � della quale �non si tiene conto� va inteso rispetto all'ultJimo imponibiJle definito (e non rispetto all'entrata in vigore della legge di condono). La conseguenza � -soggiunge -che, siccome l'ultimo imponibile definito � quello del 1969 e l'esenzione invocata dalla cooperativa � stata disposta � (1) Decisione da condivideve pienamente. Non constano precedenti. 160 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO con 1. 18 dicembre 1970 n. 1034, questa esenzione non impediva che l'ufficio coinvolgesse nel condono, con ,l'applicazione della percentuale all'uopo prevista, le tre annualit� dell'imposta sulle societ� success:ive ail 1969. Il ricorso � fondato. � controversa la legittimit� dell'operato dell'ufficio delle imposte di Ravenna che, ritenendo coinvolta nella domanda di condono l'imposta sulle societ� dovuta da11a cooperativa muratori e ceme.ntisti di S. Alberto per gli anni 1970-1972, ha definito l'imposta stessa appunto secondo la legge di condono, cio� applicando all'ultimo imponibile accertato (quello del 1969) la peTcentua!le prevista dall'art. 3 del d.l. 1973 n~ 660. Le cooperative, in base aff.art. 151 del t.u. 29 gennaio 1958 n. 665, erano esenti dall'imposta sulle societ� se avevano un capitale non superiore a L. 4.000.000 e un patrimono imponibile non superiore a L. 8.000.000. I limiti di capitale e di patrimonio furono elevati, ai fini di tale esenzione. rispettivamente a L. 40.000.000 e L. 80.000.000 con l'art. 61 dii. n. 745/70 convertito in 1. 18 �dicembre 1970 n. 1034, e furono eliminati con l'art. 8 I. 17 febbraio 1971 n. 127. La cooperativa oggi resi,stente pretendeva di godere dell'esenzione in forza della legge del 1970; e di questa esenzione, secondo la sua tesi (accolta dalla commissione tributaria centrale), si doveva tener conto in quanto derivante da una legge anteriore alla legge di condono. La conseguenza sarebbe che, operando l'esenzione, mancava -I1ispetto alla imposta de qua -la materia di una pendenza tributaria da definire in via di condono. Secondo la tesi dell'Ufficio, riproposta con l'odierno ricorso, non se ne doveva invece tener conto, disponendo il quarto comma dell'art. 3 del d.l. 1973 n. 660 che, una volta intervenuta la domanda di condono, comportante :la definizione pTevista dal primo comma di tale articolo (cio� la maggiorazione dell'ultimo imponibile accertato) non si doveva appunto tenere conto delle esenzioni previste da norme nuove (cio� successive) nispetto alla data di tale ultimo accertamento. Si tratta dunque di stabilire se la data di riferimento, rispetto alla quale -secondo il citato quarto comma -l'esenzione debba ritenersi nuova (e quindi priva di rilevanza ai fini dell'applicazione del condono) S1ia quella dell'ultimo accertamento tributario o quella dell'entrata in vigore della legge di condono. Blementi letterali, logici e sistematici impongono di sciogliere l'al ternativa nel primo senso. Il citato quarto comma, dopo avere precisato che �l'ultimo impolllibile definito� si assume al lordo delle detrazioni previste dall'art. 8 d.I. 918/68, d1spone che non si tiene conto di ogni altra nuova o maggiore agevolazione o nuova esenzione eventualmente spettante PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA nei periodi d'imposta da definire (in via di condono) col sistema della maggiorazione dell'ultimo imponibile definito. Gi� sul piano dell'interpretazione letterale � chiaro che il legislatore fa riferimento ad esenZJioni ed agevolazioni che siano nuove rispetto a tale ultima definizione, e che siano state gi� concesse alla data della legge di condono, solo cos� potendosi ipotizzare la loro astratta applicabilit� ai periodi d'imposta da definire. :� del re~~o normale, nel sistema, che agevolazion!i. ed esenzioni non siano concesse, con effetto retroat1livo, riguardo a periodi d'im� posta pregressi. La tesi contraria postula invece che il legislatore, nel dettare la disposizione di che trattasi, pensasse ad eventual!i esenzioni od agevolazioni da �concedersi in futuro con effetto retroattivo, e, per di pi�, facesse una simHe previsione proprio mentre dettava una disciplina (quella del condono) fatta per agevolare nel modo pi� \l'apido e definitivo la solu~one delle pendenze in atto. Il che � palesemente inaccettabile. Non � cio� pensabile che il legislatore, nell'ambito di una disposizione che assume a parametro l'ultimo imponibile definito e che ha la funzione di risolvere nel modo pi� semplice situazioni che -rispetto ailla data di tale disposizione -sono situazioni pregresse, volesse fare rifevimento ad esenzioni od agevolazioni future e retroattive, tali da potersi applicare a periodi d'imposta rispetto ai quali la domanda di condono costituiva un diaframma non pi� superabile. :� chiaro aHora che agevolazio11i ed �esenzioni di cui fosse possibile tenere conto (o non tenere conto, come il 'legislatore ha ritenuto di disporre) sono quelle contemplate da norme emanate tra iJ.a definizione dell'ultimo imponibile e la data del d.l. 1973 n. 660. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 17 novembre 1983, n. 6854 -Pres. Battime11i -Est. Cantfil.lo -P. M. Benanti (conf.). Soc. La Maison des Troglodytes (avv. Radicchi) c. Ministero delle Finanze (Avv. Stato Palatiello). Tributi erariali diretti � Accertamento � Redditi fondiari � Catasto � Avviso di classamento � Motivazione � Requisiti. (d.l. 13 aprile 1939, n. 652, art. 12). L'avviso di classamento di immobili � un atto del procedimento catastale che, sebbene ad esso non sia riferibile l'art. 42 del d.P.R. n. 600/1973, deve essere motivato; tuttavia, poich� l'attivit� dell'ufficio consiste nell'acclaramento della consistenza, destinazione e caratteristiche, dal che discende l'inquadramento nella categoria e nella classe, 162 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO � sufficiente la motivazione che faccia conoscere i dati oggettivi acclarati e la classe attribuita (1). (omissis) Il secondo motivo � dh,etto a criticare la conolusione cuJ � pervenuta al trigua:rdo la Commissione oentrale, sostenendosii che questa, pur avendo distinto il procedimento formativo del catasto da quello relativo all'accatastamento di singole unit� immobiliari, abbia erroneamente ritenuto inapplicabile in tale ipotesi il disposto dell'art. 42 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, che impone La moti\nazione degli accertamenti e si riferisce, quindi, anche all'avviso di classamento, il quale deve indicare le Tagioni che giustificano l'dnquadramento del fabbricato in una categoria diversa da que11a proposta dal contribuente. Anche questa critica � 'infondata. La nomna suddetta regola l'avv,iso di accertamento quail.e atto finale tipico del procedimento di determinazione degli imponibili delle im poste sui redditi, stabilendo iil cont�nuto e i requi!s~ti dell'atto mede� simo con riferimento alla duplice ipotesi deWaccertamento in ret1Jifica e di quello di ufficio; e perci� correttamente la disposiizione � stata ri1Jenuta estranea all'avV1iso di classamento, che concerne un'operaziione diversa e preliminare rispetto all'accertamento dei redditi fondiari tas� sabili, consistendo nella determinazione deHa categoria e classe della singola unit� immobi1iaire e, in conseguenza, della rendita catastale, la quale, per�, non ,si identifica con il reddito imponibHe, anche se ne costituisce la nonnale base di calcolo. Tuttavia l'impossibilit� di for rioovso all'art. 42 oit. ha scarso rilievo per la specifica questione in esame, giacch� � ormai principio pacifico che l'obbligo delta motivazione sussiste per tutti g1i 'atti di un procedi� mento amministrativo tributario, finali o strumentali, che siano oggettivamente idonei ad incidere in modo immediato e diretto su pos1z10ni giuridiche soggettive del contribuente; e non � dubbio che l'atto cli classamento sia fra questi, sicch� si tratta di stabilire, con Tiguardo al procedimento iin cui esso � inserito, quando la motivia7lione possa d1rni sufficiente, cio� tale da consentire al destmatario di verificare il processo logico formativo deHa determinazione adottata dall'ufficio e di esercitare in modo adeguato il proprio diritto di difesa. Al riguaroo occorre considerare, da un lato, che il classamento avviene in baise a dichiarazione del proprietario o di altro legit1Jimato ~1) Decisione esatta. � sicuramente da condividere la considerazione del classamento come un accertamento, in senso ampio, e la conseguente necessit� di una motivazione. Ma � ancor pi� da apprezzare la affermazione realistia,i che la motivazione possibile dell'avviso di classamento non pu� andare al di l� della dndicazione dei dati oggettivi di constatazione. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 163 che deve contenere la descnizione dell'unit� immobiliare (ubicazione, consistenza, genere di costruzione, ecc.) ed essere corredata da planimetria redatta da un tecnico; dall'altro, che ila succesSli.va attivit� dell'UTE consiste niell'acclaramento della consistenza, della normaile destina. 2J�one e delle altre caratteristiche fiscalmente rillevanti dell'immobile e nella conseguenziale qualificazione del medesimo con l'inquadramento nella categoria e nella clasise -fra que1le pres�tabi~!ite per la zona censuaria -che presenta destina.rione e caratteristiche conformi o analoghe. L'avv,iso dri classamento, quindi, come atto di esternazione del procedimento classificatorio, non pu� che indicare i dati oggettivi acclarati dall'ufficio tecnico in ordine agli elementi 1suddetti e la classe attribuita all'immobile; e, d'altra parte, il raffronto fra questi dati e quehli I�.ncli;cati neMa sua dichi�arazione consente al contribuente di intendere le ragioni dehl'assegnazione :fui una anzich� in un'altra delle categorie e classi prev1iiste, sicch� � posto nella condizione di potersi tutelare mediante �ricorso alle commissioni tributarie (ex art. 1 d.P.R. n. 636 del 1972). (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 30 novembre 1983, n. 7187 -Pres. Ga:mbogi -Est. Corda -P. M. Miccio (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Conti) c. Michelin Recherche et Technique SA. (avv. Fantozzi). Tributi erariali diretti -Royalties corrisposte a soggetto estero -Classificazione tra i redditi di impresa -Quando il soggetto estero � impresa. (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 6, 19, 49, 77 e 80; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, art. 3). Prima dell'entrata in vigore del d.P.R. 30 dicembre 1980 n. 897, le royalties corrisposte ad un soggetto estero privo di stabile organizzazione in Italia dovevano essere classificate � reddito di impresa � ed in esso incluse, se detto soggetto �, nell'ordinamento cui appartiene (nella specie, quello svizzero), qualificabile impresa (1). Con l'unico motivo (denunciando la violazione dii legge) la ricorrente Amminist11a:2lione finanziaria censura ila decisione impugnata per avere escluso la tassabilit� delle royalties corrisposte in Italia a una (1) Sull'argomento, cfr. lo scritto di FAVARA, Le � royalties" percepite da soggetti societari privi di stabile organizzazione in Italia, nella parte II di questa Rassegna. Inoltre, affinch� il lettore possa valutare appieno la materia trattata, si riporta il testo della memoria redatta nel grado di cassazione dall'avv. dello Stato MARCELLO CoNTI. 12 164 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO impresa commerciale straniera non avente stabile organizzaziione nel territorio dello Stato, sul ri[ievo che le stesse dovevano essere classificate fra i � redditi di impresa �. Sostiene che, invece, le predette royalties percepite da un tale tipo di societ� commeraiafo dovrebbero essere classificate fra i �redditi divel'lSi � (art. 19, n. 6, e 77 secondo comma del d.P.R. n. 597 del 1973), in relazione ai quali la tassabilit� non resta esclusa dalla mancanza del requisito del.fa � stabille ~ganizza: llione � in Italia. Sostiene che il predetto art. 77, nel secondo comma, prevedendo la tassabilit� delle � concessioni di beni mobili �, prevede, proprio, la tassabiliit� dei redditi conseguiti dall.a concessione di beni mobi1i immateriali, quali sono appunto, i 'CorriispeM:ivi per la concessione di permessi di sfruttamento �di invenzioni fa1dustriali. Conclude che, se non dovesse ritenersi applicabile l'art. 77 citato, i redditi in par�la dovrebbero pur se.ipre rientrare nella previsione della norma �di chiusura�, di cui aill'art. 80 dello stesso d.P.R., sempre compreso nel Titolo VI cio� nella disciplina dei � redditi dive:risi �. Il ricorso � infondato. Questa Corte si � pronunciata una sola volta sulla questione che oggi viene all'esame delle Sezioni Unite. Con la sentenza 17 giugno 1981, n. 3931, � stato !ritenuto che le royalties cords,poste a una societ� straniera (impresa commerciale) priva dii una stabile organizzazione in Itailia sono soggette a imposta (anche in quel caso si tmttava dell'ILOR), in quanto, dovendo ola:ssifioarSI�. fra i � Tedditi diversi� di cui al Titolo VI del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 (legge IRPEF), e precisamente fra [ redditi contemplati dal secondo comma di cui all'art. 77. devono considerarsi redditi prodotti in Italda, a norma dell'art. 19, n. 6, del citato decreto. Prima di tale pronunda, la giurisprudenza delle commissioni tributarie, posta di fronte a un preciso dettato le~islativo (n. 5 del citato art. 19) che prevede la tassabilit� dei �redditi d'impresa� solo se derivanti da attiVlit� esercitate nel territori.o defilo Stato mediante stabile organizzazione, sti. era posto iil queSlito se le royalties potessero tuttavia essere sottoposte a tassazione (pur 'se corrisposte a un'impresa straniera non avente stabile organizzazione !in Italia), qualora fosse stato possib!i.le inquadrarle, con riferimento a quella fattispecie, non ~� fra. i � redditi d'impresa �, bens� fra i redditi deri.vant:i da � lavoiro autonomo �. Quesito al quale, come � noto, ha finito per dare risposta prevalentemente positiiva, argomentando nel seguente modo: a) sono soggette a imposta (IRPEG, ILOR) le societ� che noo. hanno in Italia la sede legale o amministrativa o l'oggetto principale dell'attivit� (art. 2 del d.P.R. n. 598 del 1973); b) il reddito complessivo dmponibile � formato dai redditi prodotti in Italia (art. 22 del citato d.P.R.), tali considerandosi quelli i111dicatii nell'art. 19 del d.P.R. n. 597 del 1973; e) que- I I t I I I I PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 165 st'ultima norma menziona (secondo comma, lettera b) d redditi di lavoro autonomo di cui al terzo comma lettera b) dell'art. 49 dello stesso decreto; d) tale ultima norma considera come redditi di lav()ll'."o autonomo (tassabili) �i redditi dooivanti dalla utilizzazione economica di marchi di fabbrica e di commerciio e dalla utilizzazione economica di opere di ingegno, invenzioni industriali e simili, quando non siano conseguiti nell'esercizio di imprese commerciali o da societ� in nome collettivo o 1in accomandita semplice�. La conclusiione cli siffatto ragionamento (che, peraltro ebbe anche il conforto di qualche opinione dottrinale) era che i �redditi d'impresa� conseguiti dalle societ� straniere erano bens� tassabili, se le stesse avevano quivi una istabile organizza2Jione; nel caso, per�, che tale organizzazione mancasse, quei redditi non venivano pi� consid~rati come � redditi d'impresa�, bens� come redditi der�:vanti da � lavoro autonomo �, in relazione ,aJ quale la manOOD2Ja di quella condizione diventava irrilevante ai fini deilfa tassabilit�. A tale tesi rion mancarono, per�, pertinenti e penetranti critiche di gran parte deHa dottrina, la quale faceva rilevare da un lato, che se il percettore del reddito �ra un'impresa, aveva soarso fondamento la pretesa di escludere che le royalties dovessero essere considerate � reddito d'impresa� e, dall'altro, che si poneva addirittura fuori della realt� giuridica il ritenere che una impresa commerciale potesse svolgere un � Lavoro autonomo �. Tale era lo stato della giurisprudenza e della dottruna al momento in cui intervenne la citata pronuncia di questa Corte (era, peraltro, gi� intervenuto il d.P.R. 30 dicembre 1980 n. 897, che modificando con fort. 19 del d.P.R. n. 597 del 1973 ha definitivamente risolto il problema nel senso del1a tassaM1it�: ma il oaso in quella sede esaminato -come, del resto, l'attuale che � sottoposto all'esame di queste Seziioni Unite concerneva un rapporto che, ratione temporum ricadeva sotto la di sciplina delrla precedente normativa). Orbene, con la detta pronuncia, questa Corte accoglieva le critiche che la dot�'rma aveva mosiso alla giurisprudenza delle commissioni tri buta:r1ie circa la riconducibilit� delle royalties (corrisposte a un'impresa commerciale straniera priva di stabirle organizzaz.i.one in Ita1ia) alla ca tegoria del reddito derivante da � lavoro autonomo �; cli modo che, escludendosi che alla tes1i della tassabilit� potesse giungersli per tale vi1a, pareva ovvia la conclusione della intassabilit�. Senonch�, mossa daHa preoccupazione che la norma in tal modo interpretata potesse ,essere sospettata cli incostituzionaliit� (per �eccesso di delega � e per irragiicmevolezza � poich� prevedeva la tassabilit� delle royalties quando fossero corrisposte a uno strandero � persona fisica� e non invece a uno S'traniero �impresa commerciale�, ha cer cato di battere la via dell'interpretazione � adeguatrice �, pervenendo 166 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO alla conclusione che alla tassabilit� poteva tuttavia giungers~ mquadrando le predette royalties (corrisposte a una impresa commerciale straniera non avente stabile organizzazione in Italia) neUa categoria dei �redditi diversi�, di cui al Titolo VI del d.P.R. n. 597 del 1973 (menzionati nell'art. 19, n. 6 dello stesso decreto). Tale fogge, com'� noto, classifica, ai fini della determinazione della base imponibile (1art. 6) i redditi nelle seguenti categorie: fondiar�, di capitale, di lavoro, d'impresa e �dive11si � (dettando poi, la rispettiva disciplina nei Titoli da II a VI): e poich� la limitazione della tassabilit� (esistenza di una stabile organizzazione in 11Ja1ia) sussiste solo in ordine ai �redditi d'impresa�, la tassabilit� veniva ritenuta possibile qualora il reddito in parola potesse essere fatto ,rientrare nella categoria dei �redditi dii.versi� (cos� come lo sarebbe stato se quegli stessi redditi si fossero potuti foquadrare nella categoria dei redditi di 'lavoro autonomo). Siffatta possibilit� questa Corte ha ritenuto sussistente quando ha ricondotto ila fattispecie (passando attraverso il disposto dell'art. 19 n. 6 del decreto n. 597 del 1973) alla previsione dell'art. 77 (sempre del d.P.R. n. 597 del 1973), relativo ai � redlditi cl.eri.vanti da altre attivit� occasionali �. Tale norma, dopo avere disposto (nel primo comma) che concor110I10 'a formare � til reddito complessivo� i redditi deriv,anti da attli.vit� commerciali o di lavoro non esercitati abitualmente, prescrive (secondo comma) che � la disposizione del precedente comma si applica anche per i redditi costJituitJi dai corr�spettli.vi per la concessione in uso di veicoLi macchine o altri beni mobili�; e questa Corte, sempre nella scia di quella interpretazione � adeguatrice � della quale si � detto, ha ritenuto che la fattispecie esaminata potesse essere ricondotta a quella previsione normativa, in quanto: a) la � occasionalit� � della produzione del reddito, menzionata nella � rubriJCa �, ha riferimento solo alle ipotJesi formulate nel primo comma, non a quelle (che inte� ressano) contemplate nel secondo comma; b) la �concessione di beni mobili � comprende anche la concessione per lo sfruttamento dei beni immateriaiLi (e, quindi, anche i redditi derivanti dalla utitlizzazione economica d�. marchi di fabbrica, invenzioni industriali e simiLi.). Anche a tale impostazione non sono manoate le critiche, incen� trate principalmente sul rilievo della inapplicabilit� dell'art. 77, allorch� il problema della tassabilit�, o meno, concerne 1a corresponsione di somme che, tenuto conto della qualit� del soggetto che le ricevie devono necessariamente essere considerate come � reddito d'impresa �; e se sono � reddito d'impresa � gi� disciplinato come ta1e dalla tlegge impositiva (art. 19 n. 5 del d.P.R. n. 597 del 1973), non pu� ritenersi a nessun fine, che le stesse siano anche considero.te come � redditi diversi �. I., I I ' PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 167 Tale essendo lo stato attuale della giunilsprudenm e della dottrina, l'odierno mcorso � stato rimes�so all'esame di queste Sezioni Unite, data la �particolare importanza� della questione (art. 374, secondo comma, cod. proc. civ.); importanza che non viene meno, sicuramente, per il fatto che la nuova legge (il citato d.P.R. 30 dicembre 1980 n. 897) ha espressamente regolato la materia, poich� si presume che sia ben consistente il numero delle controvel1Sie ancoria pendenti, disciplinate dalla precedente normativa, e che sono certamente rilevanti g1i interessi economico-finarnziari ricadent�i nella dlisciplina di quel regime transitorio che dovranno, d'ora in poi, essere giudizialmente regolati in armonia con gli enunciati del1a presente pronuncia. Orbene, ad avviso del Collegio, la precedente giurisprudenza di questa Corte non pu� essere riconfermata, perch� fondata su un ragionamento che non pu� essere condiviso. Non v'� dubbio, intanto, che le royalties corrisposte a imprese commerciali (italiane o straniere, aventi o non aventi stabile organizzazione in Italia) siano, per definizione legislativa, � reddito d'impresa �. Ci� infatti stabilisce l'art. 51 del d.P.R. n. 597 del 1973 che, definendo il �reddito d'impresa �, prescrive che si considera esercizio cli attivit� commerciale, quando siano svolte in forma imprenditoriale, le � prestazioni di servizi a terzi�: quelle prestazioni, cio�, che -se pure nell'ambito di un differente sistema -l'art. 3 del d.PR n. 633 del 1972 (legge IVA) aveva gi� definito mediante elencazione, facendovi rientrare anche le � cessioni, concessioni, licenze e simili relative a diritti d'autore, a iitnvenzioni industriali, modelli, disegni, processi, formule e simili e quelle relative a marchi e insegne �. Del resto, lo stesso art. 49 (sempre del dPR n. 597 del 1973), inquadrando nella categoria del reddito di lavoro autonomo � i redditi derivanti dalla utilizzazione economica di marchi ,di fabbrica e di commercio e dalla utilizzazione economica di opere di ~ingegno, invenzioni industriali e simili �, esclude l'inquadrabilit� degli stessi redditi in quella categoria, quando siano �conseguiti nell'esercizio di 1imprese commerciahl �: il che, ovviamente, significa come i redditi in questione prodotti in modo abituale sono stati considerati, con riferimento alla diversa � professionalit� � o come � redditi di lavoro autonomo� (quando siano staiti conseguiti da un soggetto non organizzato Jn forma inprendtltori:ale), ovvero come � redditi d'impresa � (se conseguiti da un soggetto imprenditorialmente organizzato). E non si vede, prop1fo la necessit� di una interpretazione �adeguatrice � essendosi la legge delegante 1imitata a esprimere la regola che i � redditi d'impresa�, conseguiti da una impresa commerciale straniera non avente in Italia una stabile organizzazione, dovessero considerarsi prodotti fuori dal territorio dello Stato (legge 9 ottobre 1971 n. 825, articoli: 2, n. 21; 3, n. 9; 4 n. 2). Interpretazione che, d'altra parte, � per venuta a un risultato sicuramente erroneo (anche se la conclusione era 'i 168 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO obb1iga11a, una volta che si era partiti da quella premessa), allorch� ha ritenuto di individuare nella disposizione contenuta nel secondo com� ma dell'art. 77 del DPR n. 597 del 1973 la norma che .il legislatore avreb� be dettato per sottoporre a taissazione le royalties corrisposte a un'im� presa. commerciale straniera non 'avente in halfa una stabile organiz� zazione. Tale norma (compresa nel Titolo VI, che disciplina i �redditi diversi�), correlata al disposto dell'art. 19 dello stesso decreto, stabi� lis~ (per quanto interessa) che si considerano prodotti in Italia i redditi derivanti da �concessione 'in uso di ben:i mobili�; e la citata sen� tenza di questa Corte, dopo �avere rilevato che � beni mobili � sono anche i �beni immateriali� (di modo che in tale previsione era ricompresa anche la fat1lispecie del reddito denivante dalla concessione in uso di brevetti, invenzioni industriali e simiili), ha ritenuto �che proprio questa era la diisposiz_ione che consentiva la tassabilit� delle royalties, anche se corrisposte a una impresa commerciale (straniera, non avente sta� bile organizzazione in Italia) poich� la previsione non aveva affatto riferimento a quella � occasiona1it� � di produzione del reddito che, dnveoe, era menzionata neHa � rubrica � e sicuramente, presupposta dal priimo comma. In definitiva quindi, la sentenza in esame -che oggi viene invocata dall'Amministrazione finanzia11ia -ha affermato che il legislatore del 1973 aveva espressamente previsto, nel secondo comma dell'art. 77 predetto, la fattispecie delle royalties corrisposte a una impresa commerciale straniera non avente in Itailia una stabHe organizzazione. Una �siffatta conclusiOille, per�, non ha tenuto conto, fra l'altro, che la legge del 1980 (che, peraltro, era gi� stata pubbliicata quando fa detta sentenza fu pronunciata), allorch�, ha aggiunto all'art. 19 del d.P.R. n. 597 del 1973 l'espressa disposizione che considera prodotti in Italia (ai fini dell'applioazione dell'imposta nei confronti dei non residenti) i compensi corrisposti a soggetti non residen1Ji, per l'utilizzazione di marchi dd fabbvica e di commercio di opere dell'ingegno e simili, ha ritenuto -evidentemente non a caso -di comprendere nella (muova) previsione anche i compensi � per l'uso dei veicoli, macchine e altri beni immobili �. Ha ritenuto, cio�, che quei compensi dli analoga na� tura erano stati, dal legislatore del 1973, considerati solo in quanto prodotti �occasionalmente�, cos� come, del resto, chiaramente la:scia� va intendere 1a � rubrica �. Ora � vero che la � precedente � legge non deve essere interpre tata in base al dii.sposto di una legge succes�siva non avente un dichia� rato carattere interpretativo. Ma non pu�, certo, essere trascurato il rilievo che, dopo l'innovazione (che semplicemente sottrae al regime stabilito per i redditi d'impresa le royalties corrisposte a imprese stra-,:= ~i f�: t : j PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA niere non aventi in Italia una stabile organizzazione e, altres�, i redditli. derivanti da uso di beni mobili), la disposizione contenuta nel secondo comma del citato art. 77 deve sicuramente essere let1la in conformit� alla � rubrica �, cio� come norma disciplinante il regime dei � reddlitli. dive:risi � derivanti da un'attivit� (�concessione di beni mobili �) esercitata in modo occasionale. E poich� la �nuova� legge ha semphioemente, modificato in parte iil regi.me dei � redditi d'impresa �, ma non ha, affatto, innovato in relazione a quei particolarii redditi �diversa�, rnon si vede proprio perch� la detta norma non dovrebbe essere letta in conformit� aHa rubrica anche nell'ambito del � precedente � sistema. In sostanza, se oggi la norma predetta va sicuramente intesa come disciplinante i redditi occasionalmente prodotti, non si vede perch� in tal modo non dovrebbe essere intesa anche per iii passato, se la stessa non ha mai subito modificazione alcuna. Meno ancora, poi, potrebbe ritenersi che il legislatore del 1973 avesse previsto la tassabilit� delle royalties iin questione, (cio� quelle corrisposte a un'impresa commerciale straniera non avente stabile organizzazione in Italia) nehl'art. 80 del d.P.R. n. 597 del 1973. Tale norma, com� presa sempre nel Titolo VI, concernente sempre i � redditi diversii � e rubnicata come �altri redditi� dispone che �alla formazione del reddito complessivo, per il periodo d'imposta e nella misura in cui � stato percepito, concorre ogni altro reddito diverso da quelli espressamente conside:mti daHe disposizioni del presente decreto �. E poich�, lin tale decreto, i redditi � deI1ivati dalla utilizzazione economica di marchi dii fabbrica e di commercio e dalla utilizzazione economica di opere dell'ingegno, invenziioni industriali e simili � erano gi� espressamente considerati, sia (con quella stessa denominazione) come redditi di lavoro autonomo, sia (con la denominazione di �prestazioni di servizi a terzi�) come 'redditi d'impresa, non si vede, proprio, come gli stessi potrebbero ancora, ritenersi contemplati in quella previsione di chiusura che ha riguardo, unicamente, ai redditi � non espressamente considerati �. L'Amministrazione finanziaria non si acquieta, per�, a una tale interpretazione del complesso normativo e propooo di con~derare che, anche ritenendo le royalties in questione come una componente del � reddito d'impresa �, non sussisterebbero os1Jacoli a ritenere che per le stesse sia stato previsto un regime diverso da quello previsto per il � redwto d'impresa� (hel suo complesso). Propone cio�, d:i accertare se, in reliazione ai redditi predetti, quando sono consegu[ti da un'impresa commeroiale 1straniera non avente una stabHe organiz2'Jazione in Italia, sia possibile scorgere una volont� del legislatore di derogare in parte alla regola generale della intas,sabilit�. Il problema giuridico quindi, � quello di stabilire se il reddito d'impresa, che normalmente viene considerato ,in modo unitmo, ad fini del� 170 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO la imponibilit�, possa essere 1scisso nelle sue component-i, perch� possa essere considerata tassabile quella di esse che � sicuramente prodotta in Italia. In linea di principio, detto problema postula certamente una rispo sta affermativa. Tale �11.isposta, nel campo della norma positiva viene proprio ctisposto da1la �nuova legge� (iil citato d.P.R. n. 897 del 1980), lil quale, non rinnegarndo affatto la regola che anche nel caso di una impresa commerciale straniera non avente �n Ita1ia una stabile organizzazione, le royalties costituiscono una componente del � reddito di impresa �, ne stabilisce tuttavia, la tassabilit�. La nuova legge, cio�, non ha affatto innovato n� 1in ordine alle regole che definiscono il � reddito d'impresa � n� in ordine al principio della intassabilit� del predetto � reddito d'impresa � quando lo stesso sia conseguito da una impresa commerciale straniera non avente in Italia una stabile organizzazione; ma ha tuttavia, stabilito~che quella particolare componente del reddito (appunto le royalties) in quanto prodotta in Italia, sia tributariamente considerata in modo diverso e, quindi, sottoposta a tassazione. Ma la soluzione .in positivo del detto problema non giova, in concreto, ailla tesi di fondo dell'Amministrazione, poich� nessuna norma, nel sisrema del 1973, lascia presumere che quel legisilatore avesse inteso operare la detta scissione delle componenti del �reddito d'impresa�; certo, non le norme contenute negli articoli 77 e 80 del d.P.R. n. 597 del 1973, come si � V�isto, n� tantomeno la disposizione contenuta nell'art. 25 dello stesso decreto che, essendo una norma procedurale � non pu� trovare 1applicazione iliaddove manchi la norma sostanziale impositiva. La conclusione � che la legge del 1973 ha considerato le royalties corrisposte a una dmpiresa commerciale puramente e semplicemente come �reddito d'impresa�, e �se non ha espressamente disposto fa tassazione delle stesse royalties c�rrisposte a una impresa commerciale straniera non avente una stabile organizzazione in Italia, ci� ha fatto perch� non ha ritenuto di operare nell'ambito del� reddito d'impresa� quella �scissione� che ha, invece, informato la successiva legge del 1980. (omissis) Memoria dell'avv. dello Stato MARCELLO CONTI I cinque 11icorsi ripropongono tutti una stessa questione: quella della tassabiilit� -alla stregua delle �disposiri.oni vigenti prima dell'emanazione del d.P.R. 30 dicembre 1980, n. 897 (artt. 31 e 43) -delle c.d. royalties (e cio� dei cornispetti'Vi per la concessione di permessi di sfruttamento di marchi, opere dell'ingegno, invenzioni industriali e simili) pagate da residenti a non residenti. Com'� noto, ~a questione di cui si tratta � gia stata affrontata e liisolta dalla sentenza 17 giugno 1981, n. 3931 della 1a Seri.one di codesta Ecc;ma Corte. Le ampie, approfondite ed esaurienti argomentazioni che il� -. . f~j PARm I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA sorreggono tale decisione resistono validamente a tutte le critiche che �le sono state mosse da alcune successive pronunce della Commisione T.ributaria Centrale e che vengono riecheggiate nelle difese delle controparti. Non niteniamo neces1sario, perci�, ripercorrere tutto l'iter logico che, con meccepibile coerenza, ha portato la 1a Se2lione a riconoscere il pieno fondamento delre pretese fiscali relative alle royalties di cui si tratta, apparendo pref�eribile limitare n discorso ad alcuni punti di mag gior rilievo e r.inviare, per il resto, ai precedenti scritti difensivi. T.re dei ricorsi in discussione si riferiscono all'ILOR. Due si riferi scono, invece, all'IRPEG. Per i primi, valgono integralmente le consi derazioni svolte nella motivazione della sentenza n. 3931/81. I principi ricavabili da tale sentenza valgono, poi, a ri:solvere anche i problemi posti dal secondo gruppo di ricorsi. Pnima, per�, di affrontare ti temi specificamente riferibilti alla tas sazione ILOR o a quella IRPEG, appare opportuno richiamare l'atten zione su due punti di decisiva rilevanza rispetto ad ambedue le imposte. Si trotta, da un lato, degli incontestabili arrgomenti interpretativi dii carattere sistema1Jico che si desumono dall'art. 25 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (nella sua formulazione originaria), e, dall'altro, degLi ulteriori argomenti desumibili dal nuovo intervento effettuato in materia dai le~slatore con gli artt. 31 e 43 del d.P.R. 30 dicembre 1980, Ii. 897: inter vento idoneo a gettare piena luce sul vero significato e sul contenuto della normativa previgente. Cominciando da questo secondo punto, va dissipato, anzitutto, un equivoco che emerge da alcum passaggi delle difese avversarie. Non abbiamo mai sostenuto e non intendiamo sostenere che gli artt. 31 e 43 dcl d.P.R. 897/80 dettino norme di interpretazione autentica. � evtidente, infutti, che essi introducono, al contrario, dtisposizioni cli carattere in novativo rispetto alla normativa previgente. Si tratta, per�, di intedersi sulla portata di questa �1nnovazione. Il d.P.R. 897/80 � stato emanato in virt� dell'art. 17, secondo comma, della legge di delega per la riforma tributaria (�Disposizioni integrative e correttive, nel rispetto dei principi e criteri direttivi determinati dalla presente legge e previo parere della commissione di cui al comma prece dente, potranno essere emanate, con uno o pi� decreti aventi valore di legge orwnaria �, entro un termine pi� volte prorogato). Sia nell'ema nazione del testo orginar�.o dell'art. 19 del d.P.R. 597/73 e dell'art. 25 del d.P.R. 600/73, che nell'emanazione del testo emendato degli stessi articoli, il legislatore delegato era, perci�, vincolato al rispetto degli stessi principi e criterJ direttivJ. EgLi disponeva, cio�, di un ma11gine di scelta quanto all'articolazione della disoiphlna delle varie imposte, alla precisazione dei particolari, alla defini:l'lione dei singoli elementi delle varie fattispecie tributarie, ma era, invece, tenuto a rispettare le linee di fondo della rifor 172 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ma, come fissate nelle varie disposizioni della legge 825/71. E poich� fra tali disposzODJi figurano -anche quelle che delimitano l'area dei redditi imponibili nei confronti dei soggetti non residenti (art. 2, n. 21; art. 3, n. 9; art. 4, n. 2), � chiaro che il legislatore delegato non poteva allargare o restringere, a suo piacimento, quest'area. Ben poteva, per�, scegliere fra vari procedimenti o strumenti di tecnica fiscale per realizzare la giusta tassazione dei redditi compresi nell'ambito indicato dalla legge di delega. Ed � appunto ci� che � accaduto per la tassmone delle royalties corrisposte a non residenti: ad un sistema originario che, a parte dl caso particolare dei compens-i pagate a persone fiisiche non esercenti attivit� imprenditoriale, non dettava alcuna norma specifiica (includendo anche le royalties ~ra i redditi da classificare nelle varie categorie generali contemplate dall'art. 19 del d.P.R. 597/73, e prevedeva, aH'art. 25 del d.P.R. 600/73, una 'semplice ritenuta d'acconto), � stato sostituito un diverso sistema che comprende, da un lato, una specifica disposizione di localizzazione dn Italia dei redditi da royalties cor11i:sposte a non res�identi e prevede, dall'altro, in armonia con l'espressa disposizione dell'art. 10, n. 5, della legge di delega (�potranno essere previste particolari ritenute per i redditi cordsposti a non reSlidenti �), una nuova forma di riitenuta a titolo di imposta sui redditi stess'i. Ci� significa che le disposizioni integrative e correttiive dettate dal d.P.R. 897/80 potevano innovare, e certamente hanno innovato, quanto agli strumenti di tecnica normativa utilizzati per realizzare la tassazione delle royalties corrisposte ai non residenti (introduzione di un nuovo e unitario criteriio di Jocalizzazione in Italia di tutti i redditi di questo tipo; introduzione di una nuova forma di ritenuta a titolo di imposta). Non potevano innovare, invece, quanto al risultato pratico finale dell'assoggettamento ad imposta di questi redditi. Tale assoggettamento deve ritenersi gi� previsto, a livello di principi e criteri direttivi, dalla legge di delega e gi� attuato, anche se �attraverso diversi strumenti, dalle :prime leggi delegate. In ta!l senso, nel dubbio, deve necessariamente orientarsi l'interprete, in ossequio al canone che impone, fra pi� possibli.1i interpreta� Izioni di un complesso normativo, di adottare quella che assicuri la conformit� dell'intero sistema a:i principi cosmtuzioD!alii (nella specie, al prin� oipio di oui all'art. 77 Cost. Tutto ci� � stato chiaramente avvertito dalla sentenza 17 giugno 1981, I n. 3931 della prima Sezione, che acutamente osserva come non possa negarsi Iili � l'attitudine di tali norme (scil., del d.P.R. 897/80), come espressione della linea di tendenza del legislatore, ad offrire argoment� esegetioi per fa so ,., luzione del problema dn esame� (par. 1), in particolare evidenziando come f le norme stesse si collochino 1in una prospettiva carattenizzata, nell'intento 1:del legislatore, dail � pasisaggio dall'iniziale convincimento della super� j_�� fluit� di una dispoSlizione ad hoc alla constatazione dell'inadeguatezza dei .. I I llllllll�llrli,lllllllillt�itltllla&illl�llllrlt%Jllll:W~lll� RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DBl.J..O STATO 184 Ne derivia, avuto rigoordo a!Na complessit� e aili1a natura dei comp~td attribuiti all'enrte, che, in punto di esatta qualliid�CMione dei fatti accertati nelile fiasi di, merito, il 11appo1:1to instaurato oon l'ammini:stmzione staitale non pu� essere altrnmenm definito che come concessione, ai sensi del:l'art. 5 n. 2 d;l. c.p.s. 10 aprifo 1947 n. 261, e, qudncli, che u:nioaimente il concessionario devesi ritenere obbl!igato al pagamento deli'mdenllJJiJt� per l'occupazione biennale, decretaita a ISUO favore, e al ~isarclmento dei danni, stante anche il ca:riarttere personale delila responsabilit� extracontrattuale (Cass. 13 dkembre 1980 n. 6452), per il successivo peri.odo di occupazione abusiva. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 10 novembre 1983, n. 6671 � Pres. Greco -Est. Maresca -P. M. Mriocio (conf.). -Seconda Universit� statale di Roma (avv. Stato Vittoria) c. Spalletta (�vv. Cochetti.). Espropriazione per p.u. -Terreni destinati alla seconda Universit� degli studi di Roma � Indennit� -Deducibilit� del valore d'uso del fondo utilizzato da impresa diretto-coltivatrice � Esclusione. (I. 22 novembre 1972, n. 771, art. 2). Espropriazione per p.u. � Terreni destinati alla seconda Universit� degli studi di Roma -Indennit� -Stato delle colture agricole -Epoca di riferimento della stima. (1. 22 novembre 1972, n. 771, art. 2). �Espropriazione per p.u. -Terreni destinati alla seconda Universit� degli studi di Roma � Indennit� � Controversia stilla sussistenza del titolo all'indennit� aggiuntiva � Giudice competente � � quello dell'opposi� zione a stima. (1. 22 novembre 1972, n. 771, art. 2). L'indennit� di espropriazione dovuta al proprietario di un fondo destinato a sede della seconda Universit� statale di Roma va determinata in mi$ura pari all'intero valore agricolo di mercato del terreno, anche quando a favore dello stesso proprietario o di altro coltivatore diretto del fondo debba provvedersi alla corresponsione della indennit� aggiuntiva (1). (11-2) Il caso deciso dalla sentenza in rassegna riguardava un terreno coltivato direttamente dallo stesso proprietario e la circostanza pu� aver avuto peso determinante nella soluzione adottata dalla Corte, risultando per vero arduo, in concreto, discernere un valore d'uso del terreno nella azienda diretto-coltivatrice condotta dallo stesso proprietario del fondo. Va osservato, per�, che analoghe difficolt� pratiche non sembrerebbero rav� visabili nel diverso caso in cui si tratti di �determinare, come per legge, il � valore agricolo di mercato � di un terreno condotto iin fitto, a mezzadria, ecc. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 18J blici e l'INCEP, avendo Ja Corte d'appello ritenuta corretta la qualificazione di delegazione amministrativa attribuita al rapporto dal giudice di primo grado, mentre � noto che la delegazione di questo tipo, essendo istituto peculiare del diritto pubblico (Cass. 22 maggio 1980, n. 3364), non pu� configurarsi che tria enti. pubblici diversi o tra organi diversd de]llo stesso ente pubblico (delegazione, rispettivamente, intersoggettiva o iinterorganica) e deve quindi, escludersi nell'ipotesi in cui il preteso delegato sia un privato ~persona fisica o giuridica). In quest'ultimo caso, le figure pi� ricorrenti di cooperazione tra privato e amministrazione pubblica, per la reaJl.izzazione di opere programmate nell'interesse della collettivit�, sono l'appalto e la concessione (traslativa): il primo strettamente limitato all'esecuzione dei lavori, l'altra (espressamente prevista dall'art. 1 l. 24 giugno 1929 n. 1137, come modificata daJJ.a legge 15 germatio 1951 n. 34 e mtegmta, di receme, dahla legge 8 agosto 1977, non applicabile, pe11ailtro, nel caso specifico), normailmente adottata dall'Amministrazione per la pi� sollecita e conveniente esecuzione di opere pubbliche complesse e caratterizzata, anche se non accompagnata dalla concessione di gestione, dal trasferimento aJ concessionall'io, irn tutto o :in parte, defile (o deH'eseroizio delle) funzioni oggettivamente pubMiche (progettazione di massima ed esecutiva, direzione dei lavori, acquisizione delle airee mediante provvedimenti ablialtori, ecc.) proprie del concedente e necessarie per la realizzazione delle opere (Cass. 1964 n. 1129). Nelil'espletarnento dci compiti affidatigli, il concessionario agisce, qU!�ndi, in nome proprio: di qui, Ia rilevanza esterna del provvedimento amminmstm1livo di concessione e delilla relativa converuiione, con la conseguenza che egli � diretta~ente responsabile nei confronti dei terzi per le obbligazioni assunte strumentalmente preordinate all'esecuzione delle opere oggetto defila concessione, la qua:le, proprio per questo, viene comuneinente assimHa1la, sul piano effettUa!le, ailila delegazione amministrativa e questa, reciprocamente, identificata con la concessione a favore di enti pubblici (Cas. 14 genna:io 1976 n. 111; 14 marzo 1973 n. 720). Nel caso di �specie, la Corte di merito ha accertato, con insindacabile appreZ2lamento di fatto, logicamente motivato e dmmune da errori giuri dici (v., irn futtispecie analoga, Cass. 22 maggio 1980 n. 3364), che aill'INCEP vennero devoluti compiti non limitati al~ mera esecuzione ma estesi alla progettazdone, direzione, contabildzmzione e gestione dei lavori, nonch� (con specifico riferimento al d.m. n. 2501 del 4 maggio 1960, modificativo della precedente lettera ministeriale n. 1246, ripetutamente evocata da:i ricorrenti) alla diretta acquisizione dei suoli destinati all'insediamento dei costruendi alloggi, con l'obbligo espresso di provvedere anche al paga mento, salvo nimborso, delle indeil!llit� �Spettanti �ai proprietari, e che, in conseguenza di ci�, '1'I1stdtuto (non altri) fu autorizzato ad occU1pare tem poraneamente le aree. - - SEZIONE SETTIMA GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 3 novembre 1983, n. 6474 -Pres. San dulli -Rel. Senofonte -P. M. Zema (conci. diff.) -Forte Fildppo ed altri (avv. Abbamonte) c. Ministero Lavori Pubblici (avv. Stato Bruno). Opere pubbliche � Esecuzione � Delegazione amministrativa . Soggetti . Delegatario soggetto privato � Esclusione. Opere pubbliche � Esecuzione � Concessionario di opera pubblica -Obbli� gazioni preordinate alla esecuzione dell'opera � Responsabilit� nei confronti dei terzi. La delegazione amministrativa, istituto peculiare diel diritto pubblico, non pu� intercorrere che tra enti pubblici diversi o tra organi diversi dello stesso ente pubblico (delegazione, rispettivamente, intersoggettiva o interorganica) e deve quindi escludersi che ricorra tale figura nell'ipotesi in cui il preteso delegato sia un sogg,etto privato (1). Il concessionario di opera pubblica agisce, nell'espletamento dei compiti affidatigli dal concedente e necessari per la realizzazione delle opere (progettazione di massima ed esecutiva, direzione dei lavori, acquisizione delle aree mediante provvedimenti ablatori, e quant'altro), sempre in nome proprio ed � perci� direttamente responsabile nei confronti dei terzi per le obbligazioni assunte, strumentalmente preordinate all'esecuzione delle opere oggetto della concessione (2). (omissis). Il ricorso � infondato, anche se, con riferimento ail primo motivo, si deve correggere, a norma dell'art. 384, cpv., cod. proc. civ. la motivazione della sentenza impugnata nella parte relativa alla identificazione della esatta natura del rapporto intercorso tra l'Amminitsarzionne dei lavori pub (1-2) In senso conforme: Oass. 22 maggio 1980 n. 3364 (in Foro It., 1981, I, 1083), citata in motivazione; sulla delegazione amministrativa intersoggettiva come equivalente a concessione a favore di ente pubblico cfr. Cass. 14 marzo 1973 n. 720 (in Giust. civ., Mass. 1973, 378) anch'essa .I1i.chiamata in motivazione; sulla diretta ed esclusiva responsabilit� del concessionario di opera pubblica nei confronti dei terzi si veda anche Cass. l3 dicembre 1980 n. 6452 (in Foro It., 1981, I, 1082, ed ivi ulteriiori richiami); per un'ampia trattazione dell'argomento dr. CARUSI F., Rapporto organico e sostituzione nella costruzione delle opere pubbliche, in questa Rassegna, 1965, I, 1152. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 181 escludere, del resto, che la concessione dello sfruttamento di beni iimmateriali possa considerarsi, per s�, come attivit� di produzione o di intermediazione nella circolazione dei beni. Basti pensare ,ahl'autore che cede i di:nitti di riproduzione della sua opera per conviincel1SI� dellia inammissibile forzatura che comporta 1a tesii qui criticata. � via.no, d'ailtra parte, cercare conferme della tesi avvevsairia nel disposto del secondo comma dell'art. 22 del d.P.R. 598/73. Disponendo che, ai fini dell'IRPEG a carico delle societ� e degli enti non residenti, si tiene oonto, per i redditi. di impresa, �anche delle plusvalenze e delle minusvalenze dei beni destinati o comunque relativi ahle attivit� commeroiiaili esercitate nel terr�tor�o dieNo Stato, ancorch� non conseguirte attraverso le stabili organizzazioni �, tale norma si riferisce, evidentemente, all'ipotesi mcui esista una stabile org&li�zzazione e ddspone che, in 1JaJl caso, al reddito (di impresa) dell'organizzazione si devono aggiungere o sottrarre le plusvalenze o le minusvalenze, anche se realizzate al di fuori dell'ambito operativo dell'organizzazione stessa. Non si riconosce, perci�, alcuna rilevanza a ipotetici redditi d'ampresa prodotti in Italia senza stabfile organizzazione. Al contrario, anzi, si riconosce una rilevanza ancor pi� ampia della stabile organizzazione esistente in Italia, conferma1ndo, cos�, il. carattere essenziale e imprescindibile di questo presupposto perch� si possa, comunque, parlare di ireddito d'impresa. Del resto, la stessa difesa avversaria riconosce che, in mancanza di una stabile organizzazione iin Italia di un'impresa non residente, non pos� sono sfuggire all'imposizione le componenti di reddito conseguite nel ter ritorio dello Stato se queste, autonomamente considerate, presentino le oarratteristiche per essere inquadrate in categorie reddituaili diverse da quella del reddito di impresa e se sussistano i requisiti di territorialit� di cui all'art. 19. Orbene, il .reddito da royalties possiiedle, appUDlto, queste caxatteri 1Jiche. Esso, infatti, autonomamente considemto, 1si iinquadm perfettiamente in categorie reddituoo diverse da quie11ia del reddito idi impresa (reddito di Javroro autonomo, per le persone fisiche; � redditi ddversi �, per iJ.e per. sone giuridiche). In presenza dei requisiti di tem.toria:liirt� di OU!i all'art. 19, non ne pu� essere oogaitia, perci�, ,l'timponibllit�, anche dn base ai principi affermati dailla difesa avverarla. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO G1d argomenti che suffragano questa conclusione sono ~� stati da noi espos1Ji. nei precedeillt1i scritti dilensivi. Oi li.mi1li.amo a ribadire, in questa sede, due considereziond, che appaiono dii particolare rillievo: a) anzitutto, sembra eooente che l'escluisi:one di um tassazione autonoma dei singoli ricavi dell'impresa si pu� giusticare solitanto iin fun2Jione della tassa.7iione, m sua vece, de1l'utiile netto complessivo. Non avrebbe senso, invece, Uala esolusione dellJla tassazdone autonoma d�e rt1stasse fine a se stessa, esulando. del tutto l'utile netto complessivo dalla sfera di appllicazione del nostro 01dinamenrto tributaroi�. L'impresa, cio�, se assume rilevanza fiscale, la deve assumere in ambedue le direzioni: dell'esclusione della qualifica di redditi tassabili dei singoli ricavi e dell'assoggettamento effettivo ailla esazione dehl'utile netto comples,sivo. Non � concepibile invece una rilevanm fiscale dell'dmpresa a senso unico, e cio� solitainto all fine dii eso1udere la tassazdone dei �ricavii, senza sostituire ad eS1Sa quella de1l'utile netto; b) ii.n secondo luogo, � chiaramente inconcepibilie una attiW.t� di acoerta.mento deli1a Finanza volta a s1Ja00lire se un reddito conseguito in litai1ia da un non res~dente sd ricolleghi, m qUJaJ:che modo, ad un'attivit� imprenditoriale totalmente svolita atll'estero. La manoam:ia di ogni stnimento di obiettiva vetiifica conferma fa totale irrilevanza del nesso fu'a reddito ccmsegwt� in Italia e a1l1liviit� imprenidd.rtooi:alle svolta aill'estero. La legge, cio�, non appres�ta procedimenti di aocert:amen.to (che sono, invece, rigorosamente previsti dalle convenzioni particolari stipulate con determ�!Ilatd. Stati per evdtare doppie imposizioni) perch� ci� che dovrebbe ~non ha, in reallt�, aile�na tinfluenm sulla itassazdone. E che questo principio, sia chiaramente espresso dall'art. 44 del d.P.R. 597/73 a proposito dei redditi dd oapiitale non significa certo, come vorrebbe la difesa della Textron, che per li. �redditi appartenenti ad altre categorie possa valere il principio opposto, trattandosi, al contrario, dell'espressione di una regola generale, la cui ratio si estende mcontestabiil.mente all'li.ntero campo ded redditi mssabli.li . .A!llche le altre obiezdoni mosse dail!lie difese avversarie alle conclusioni raggiunte non colgono nel segno. In particolare, appare infondato il tentativo della difesa della Michelin di qualificare come � oggettivamente commerciare � (e quindi idonea a dar luogo sempre ad un reddito d'dmpresa) l'a:ttd.vli.t� consistente nehla concesione di :permessi idi sfu'uttamenro di brevetti, m!archi, ecc. In reailt�, di reddito d'impresa si pu� parlare soltanto ove esista un'eserc:i2'Jio per professione abituale di �attivit� commerciali (art. 51 d.P.R. 597/73), ed � appunto questo eleme.nJto uniif�.canite della professionalit� che, nel caso dei non residenti, non pu� assumere rilevanz� (e non pu� neanche essere accertato), a meno che non sii. traduca nella crea2lione, in Italia, di una stabile orgamz~one :imprenditoriale. ~ da PARm I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 179 � senz'al~ da escludere, perci�, che !in tema di IRPEG possa gius11ifi: carsi UJOO soluziOOJe dii.versa da quella gi� raggi.1.lillta peir l'ILOR. Come abbiamo detto, il punto decisivo � rappresentato, dalla determinazione dei presuppostl:i necessari perch� poSiSa configurarsi un reddito d':impresa. L'art. 51 die1 d.P.R. 597 /73, dopo aver definillto il reddito d'[mpresa come qucllo che deriva drul.'eserai2lio d�. imprese commerciailii, precisa che � per eseroizio di imprese commerciailii si mOOnlde l'esercizio per professione abituale, ancorch� non esclusiva, deHe attivit� commeroiailii dii cui al1'ar1li. colo 2195 del codice oivdile anche se non 011ganrizmte in forma di impresa. Le attivit� di prestazione dii servtlzi a ,1:ierni, che 111on 1�ien1lmno nell'art. 2195 001 codice oivfile, si conSliderano commeroiailJi se organizza1te .in forma di !impresa�. L'art. 19, n. 6, dispone, poi, che � SI� comidemno prodotti nel territorio dello Stato, ai fini dell'applicazione dell'iimpos�ta 111eii confronti dei non residenti: ... i redditi di impresa d.erlivantli da attivit� esercitate nei! territorio dello Stato mediante stabili organizzazioni �. Dal combinato disposto di queste due norme risulta chiaramente che i non residenti possono conSiidemrsi ti�toLaini. dii un reddito d'impresa soltanto se svolgano tin Italia un'attivit� commeraiale medWante stabile organizzaziione. In manoanm di questo presupposto, un'eventuale attivit� li.mprenditoria:le svolta esclu&ivamente alil'esooro non potrebbe mai assumere alcuna riJevanm fiscale. Non pu� venifioaa:isi, cio�, :iil tipico effetto della configurazione di un reddito d'impresa, ossia la perdita di ogni autonomia dei singo1i ricav�. inerenti all'impresa stessa e ila confluenza dii ogni elemento attivo (profitti) e di ogni elemento passivo (perdite) in un tutt'unico fiscalmente rilevante soltanto per l'utile netto che ne risulti (art. 52 del d.P.R. 597/73). Questo � anche !il senso del!le norme contenute negli. artit. 2, 111. 21, e 3, n. 9, della legge 9 ottobre 1971, n. 825. Stabilendo, infatti, che, nei confronti dei non residenti, si possono prendere in considerazione redditi di dmpresa (da tassare come tailii) solmnto se Sii itrattJ:i di ooddfutl:i prodotti mediante una stabile organizzaziione nel territorio delilo Stato, queste di� sposizioni intendono, 1infatti, limiitare alla sola li.potesi in culi esista la stabile organizzazione la possibilit� che i vari ricavi conseguiti in Italia dal non residente perdano la loro autonomia fiscale �e vengano in considerazione soltanto per determinare un eventuale utile netto complessivo. Nell'ipotesi opposta, invece, deve esoludersi che quegli sftessi rioavi, in assenza di m1a stabile organizzazione :imprenclitoniiale in Ita1ia, possano ugualmente scomparire come cespiti 1autonomi e oonflufu:'e :in Ulll unico reddito d'impresa estera, totalmente sottratto all'impero del nos~ ordinamento tributario. 13 178 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO l'IRPEG. Al paragrafo 6 si afferma soltanto che, mentre per l'ILOR � sufficiente far leva su:Ll'art. 4,�n. 2, della legge di delega per giungere alla conclusione della tassabi1it� deli1e royalties corrisposte a societ� non residenti, per �l'IRPEG si pu� giungere 1alla .stessa oonoluSI�()[le soltanto attrave11so un passaggio obbligato, e cio� attraverso la dimostraztione che la configurazione di un � reddito di impresa � presuppone l'effettivo eseromo dii un'attliVlit� imprenditoI'iiaLe nel territorio dello Stato. � questa, dunque, l'dinidagine che Sii deve affrontare in questa sede. E non v'� dubbio che essa risulta estiremamente facilitata dalla rigorosa puntualizmzione dei prindpi generalii operata da11a stessa sentenza numero 3931/81. Innanzitutto va IliOOl'dato che, come chiaramente �Si dice nella citata pronunoila (par. 2), i!1 problema si pooe in terminli estremamente preais[: o si giiunge, in vJra di interpretaziO!tle adeguatrioe, aH'affermaziione dehla tassabilit� delle royalties nelle ii.potesi in considerazione, ovvero sorgono msoI'montabili questioni di legittimit� costituzionale. E ci� non soltanto con r.iguaiido all'eccesso di delega ~che, per :l'IRPEG, potrebbe apparire meno eVlidente, manoando una norma cMam e tass�amva come l'art. 4, n. 2, della legge dii delega, dettato per :l'ILOR), ma anche con riguardo ail fondamentale principio dell'art. 3 Cost., posto che :t:a soluziione interpretativa de1l'rintassabihlt� presterebbe inevdtabiilmente il fianco a censure di il'J:1agiicmevolezza, � non trovando giustificazione qi sorta la iliscmminazicme fu-a il trattamento 11iservato �al percettore ili royalties che sfa persona fisica residente all'estero e quello di cui si pu� giovare il percettore che sia dm.presa commerciale non avente sede n� stabiile oI'gamzmzione in ltahla Non vmrebbe obiettare che adeguato elemento differenziale sarebbe aippunto :t:a qualit� del soggetto, poich� nel quadro della relativa dtisciplina appare prevalente �1a considerazione oggettiva del reddito piuttosto che quelila soggiemtiva �del destinatwio della solutio. N� la giustificazione potrebbe mnveni.I'SI� iDle1l':intento di evitare lia doppia tassazione, che ha una sua ragiion d'essere quando si abbia di mira !'.intero reddito d'impresa, ma non quml!do viiene in oonsiderazione 1a singola componente prodotta in Ita1ia; e che � problema in pI1incipio da affrOilltare e Ilisolvere -come :iJil effetti accade -mediante la smpulazione di convenzioni internazionali bilateraLi o multi!la1tera:1d � (sent. n. 3931/81, par. 8). Non pu� revocarsi in dubbio, perci�, che anche in tema di IRPEG la soluzione defila tass:abiilirt� � imposta �dall fondamentale canone interpretamvo dehl'.adeguamento :ai principi costiituziionailii. D'altra parte, come iabb!iarrno gii� detto, La s1Jes1sa so1~one � univocamente e necessariamente impos�tta anche dal slist!ema, e, rin particolare, dailila clisposi:llion:e sulle ritenute di OUi� al secondo "comma dell'art. 25 del d.P.R. n. 600/73 (che non avrebbe, altrimenti, ailcun senso). PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 177 comprensivo. Per re royalties, .in partJi.colaire, � palese che 1a iloro origine va mvviisata in un atto negoziale, 1n un contratto concernente lo sfruttamento di un determinato bene immateriale. Se ed li.in quanto 1Jale sfrut1lamento debba avvenire i111 Itali.a, e presupponga, quindli, la protezione che l'ordinamento illaJ.iano offre al bene immatelI1iale d~ cui si trattla, deve necessa:niamente niconoscel1SJi che le royalties de:nivaino da un'attJi.Vlit� (il contratto) concernente beni che si trovano nel territorio dello Stato. Ad esse, perci�, nrm pu� non apphloal1SJi l'art. 19, n. 6. N�, oerto, pu� valere, li!n contmairio, lla11gomenrto che si vorrebbe trarre dalJ':art. 31 del d.P.R. 30 dicembre 1980, n. 897 (se ml 'legislatore -si dice -ha introdotto un nuovo cr�terio di locaLizzazione, applicabile alle royalties, accanto a quello dl� cui al n. 6 dell'ant. 19, ci� significa che quest'ultimo criterio non riguardava prima, -come non riguarda oggi, le royalties). t?. chiaro, infot1li, che il nuovo n. 9 dell'art. 19, introdotto dal d.P.R. 897/80, non ha fotto altro che enucleaTe un'!Lpotesi (quella delle royalties e dei cor:nispettiV'i per l'uso di cose materiali.) prima compresa ne11a oategoJ:1iia pi� lamp~a del n. 6. NU!lla di 'strano, perci�, che le royalties, prima del d.P.R. 897/80, fossero comprese nre1l'ambito di �applicaZlione del n. 6 e che oggi, J111vece, non Vii siano comprese pi�, per esser stata introdotta un'apposita categoria ad es'se speoificamelllte riferita. N0111 ha ri.1evan21a, irnfine, l'osservazione secondo rui le royalties si rife: nisoono, n0111 solo allo sfruttamento di brevetti., marchi e dinit1li d'autore, ma anche ,aJJ'u1Jiliz2Ja2'J�one del c.d. � Know-how �, e cio� deLle informazioni :rie1aitiVe a processi, formtl!le ed esperiienre acquisite nel campo .industriale, commerciale o scientifico. Non v'� dubbio, infatti, che nell'ampia categoria dei beni dmmateriali possano rientrare anche queste uti1it�, che, se non ricevono la tutela specifica dei diritti di brevetto o di marchio, formano ugualmente oggetto di protezione da parte dell'ordinamento attraverso le &sposiZliom giene:riailii suJJ.a concorrenza, nonch� at1Jraverso ila piena garanzia del oam1J1Jere Viincolante degli accordi contirattuaJ.i ad esse 1relatiVii. E ci� � tanto vero che l'art. 69 del d.P.R. 597/73, accanto aii di.JI111Jti. dli brevetto, ai di:r�tt� di utilizzazione di opere delJI'mgegno e al� diritti. 'di uti1iZ2lazione dei marchi, fa espressa menzione anche dei � diritti di utilizzazione di processi, formuJe e simili �, nOOlCh� dei � diritti di utilizzaztlone di informaztloni relati.ve ad esperienze acquisite nel campo 1iindustriale, commeraia: 1e o scientifico �. Si desume chiaramente da questa norma che, aglt effet1li 1lribmari, 1anche in queS1to caso si deve correuamente parlare di booi fanmaterfa!li. Con tutte fo conseguenze, in tema di applii.cazione degli artt. 77 e 19, n. 6, che esattamente ne ha gi� tratto la senten:zJa n. 3931/81. Passando, oria, aWIRPEG, va subito avvertl~1Jo che non � affatto vero� che la senllen2Ja n. 3931/81 abbia affermato la �non conciliabilit�� delle a:rigomen1laziontl accolte in tema di ILOR con la diversa normativa del- lim\ Lt:: t.: RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO avendo esolusivo riguairido .alle obiet1live caratteristiche della fonte produttiva del rnddi�to in considerazione. Cos�, tmttandosli di royalties pagate rper lo sfruttamento in Italia di beni imma:teria:li, JJa localizza21ione dcl :reddlito nel tenrl�tolrio deililo Stato non pu� essere negata, dato che Ja sua fonte produttiva consiste iia:J. runia attivit� (conoessione dii �sfruttamento) concernente un bene ivi situato (a!llt. 19, n. 6, d.P.R. 597/73). Non cos�, invece, per i compensi :pagati all'estero per l'importazione di cose. In tal caso, infatti, si tratta di reddito dia attiivit� (commerciale) svolta aM'estero e non corroernente lo sfruttamento di beni siti in Italia. La tentata dimostrazione � per absurdum � deM'�insostentlbilit� delila resi aocolta da11a sentenza 3931/81 viene, perci�, a manoare di OgITT!i base. Quanto, poi, �a1l'ti.TIJquadiramento dehle royalties fira i �redditi diversi� (categoria E de1l"art. 6 del d.P.R. 597/1973) e, in ;p81111Jioolare, fira i redditi costituiti dai corrispettiMi. per �1a concesstione in uso di beni �diversi dagli immobili (art. 77, secondo comma), la debolezza delle obiezioni mosse dalla decisione 20 novembre 1981, n. 8782, delle Sezioni Unite dellla Commissione Th'ibutlaJr~a Centra.le appare di tutta evidenza. L'interpretazione :restrittivia dell'1art. 77 (che sii vor.rebbe riferire ai solti beni ma:terialti) non pu�, infatti, assolutamente reggere. In manoan:z.a di univoche mdioazioni testuali, l'espres�sione �beni�, in confoI1IIll�t� con La ratfo della norma, deve necessariamente aisSIUIIl1erSi� nella �sua ma:ssilma Jatiltudine di s.ignif�oato, come gi� ha esaurientemente dlimostrato la senrte:rraa n. 3931/81. Ma, prima ancO'I"a, ci� �che va �sotto!lineato � ila totlaJle �n.oondudenm dell'argomento. Anche a voler ammettere, infatti, che i redditi derivanti daRa ronoessione d~hlo sf.rut1taimento iin Halia di beni immaiteriail.i non ruentrino fra que1lti oontemp1ati daJ:l'rurt. 77 dcl d.P.R. 597/73, essi r.ientrerebbero ugualmente neMa categoria dei �.:redditi dive11si � in vwt� dell'art. 80, che va comprende �OgITT!i altro reddito �dliverso dia quel.Ii espressamente considerati daille dtisposizioni del presente dooreto �. In ogni caso, perci�, dovrebbe IWoVlall1e appt!:ioozione il criterio di 1ooailizzarione �di cui ahl'art. 19, n. 6, che si ;rii.ferisce, appunto, a tutf,i i � redditi diversi di cuti al titolo VI �. Tenta di negarlo [a difesa iavvensafl�la, secondo !la quale l'art. 19, n. 6, prenderebbe in cons�iderazione, non tutti i .redditi 1diversi, ma solo quel�ld che derivano da WJ.'attivit� (o 1svolta nel territorio del.ilo Stato o re1attiva a beni che si trovino nel tem'�rtocio stesso). Le royaJties non trainrebbero la loro origine da � at1Jivit� � di sorta: ad esse, perci�, l'art. 19, n. 6, noo potrebbe mai applticarsi. � evidente, al contrario, che !l'art. 19, n. 6, sii rJfecisce proprio a tutte 'lie fattispecie di redditi divensi contemplate nel tiitolo VI. In ogni caso, infatti, � mvvisabile, 'all'origine dei reddim di questo tipo, un'attivit�, intesa questa espressione, come dev'essere intesa, nel senso pi� lato e PARm I, SEZ, VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 175 ragione che, agli effetti. del!l'aipplioaZJione dell'art. 19 del d.P.R. 597/73, il reddito da royalties conseguito da societ� straniere senza stabile organizzazione in I1lal1a non ipu� considerarsi come � reddito di. impresa �. Ad esso, quinidi, non pu� applicami lil oniterio di Iocailizmzlione tevritoriaile dettato dail n. S dell'art. 19. II oriterio applioabile deve, linvece, essere un ailtiro e, precisamente, oome ha rampiamenite dimostrato fa sentenza numero 3931/81, que.hlo dettato daJ, n. 6 de.hl'art. 19 per i � redditi �diversi d:i cuii ral titolo VI �. Bassral1.1do, ora, agli rairgomenti che rigura:ridano pi� specificamente i ricorsi iin tema di ILOR, aippare evidente come �le numerose oritiiohe mosse dalle aggl.le!I'rite difese avversarie alla .sentenza n. 3931/81 non ne scalfiscano affatto il solido fondamento. Non centrano il bersaglio, in particolare, le obiezioni mosse all'interpretazione accolta da codesta Corte dell'art. 4, n. 2, della legge di delega (�Nei confronti dei soggetti di cui al n. 9 dell'art. 3 l'imposta (ILOR) � applicata al reddito complessivo ivi indicato o ai singoli redditi prodotti nel territorio dello Stato secondo che detti soggetti abbiano o non abbiano una stabile organizmzJone nel territorio stesso�). Secondo l'esatta rkostruzlione della sentenza 3931/81, questa nocma vdene in ro111Slideraziione ad fini d�bl'in<lrivffidU02lione dell'oggetto della rtassa2lione ILOR. Ove sii tratti di enti costituiti all'estero e sforniti dli �stabile origanizzazione in Italia, tale oggetto va identificato, non nel reddito complessivo netto, ma 111ei singo1i redditi isolatamente consliderati. Non � consentito, perci�, istituire alcun parallelismo fra questa tassazione dei singoli r.eddiN isolati ai fifil deLl'ILOR e ila delimitazione che ia legge opera delle componenti dcl reddito complessivo impolllibile dei c;d. enti non commeroiailii aii fini dei1I'IRPEG. Anche per gli enti non commerciaH, infatti, l'IRPEG Sii. applica sempre aJ reddito complessivo (art. 19 d.P.R. 598/73), anche sre a compor.re �tiale reddlito conool1I'Ono sOiltanrto alcunre componenti. L'ILOR, !invece, nedl'irpotesi conrs:idera1Ja, si applioa ai singoli redditi isolatiameDJbe conSli.derati. e non runifioati in un unico ireddito complessivo. Oadono, peroi�, tutte le iillazion!i che idail preteso .pamlleilismo sii. vorrebbero tliamre e, �IIl particolare, oade Ja p11etesa di �~imitare aii soli enti non oommeroiiaH fa 'tassazione ILOR rifurirta ari Sli.ngol� redditi. L'art. 4, n. 2, non consente disrtinzioni ,di sorta: s~a per le societ� che per gJii en1Ji non commereiaili, in assenza di stabile orgallliz~azlione in Irtra/Lia, deve trovarre attuazione Ia tassrazione sepa:mta di tutti d singoli �redditi prodotti :in Italia. Ci� .significa ohe non pu� assumere a1cUlilia rrHevanza l'eventUJale inerenza della fonte produttiva di un determinato reddito ad una pi� �complessa attivit� d'impresa svolta 1all'estero. Occorre, invece, per ogni singolo reddito, isolatamente considerato e sganciato da ogni riferimento a eventuali imprese estere, stabilire se si verifichino i presupposti dettati dalla legge perch� esso possa considerarsi prodotto nel ternitorio deMo Stato. E tale verifica, ovviamente, non pu� che operars�i RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEU.O STATO trale neiI:la decisione del 6 marz.o 1980, n. 2190, secondo la quale la ritenuta a carico de1le societ� e delle imprese /Straniere dovrebbe operai'sii soltanto nel caso in cui sussista una stabile organizzazione in Italia. La chlairia lettere dehla disposizione dimostTa che, proprio all contrario, la ritenuta � esclusa nel caso in cui sussista la stabile organizzazione, mentre � dovuta nel caso in cui la stabile organizzazione :non vi sia, anche se si tratti di �prestazioni effettuate nell'esercizio di imprese�. Sgomberato, dunque, il campo da questi equivoci, emerge chiaramente dal oapoverso dell'art. 25 che, per quanto quri interessa, devono essere sempre assoggettate 0111Ja ;ritenuta fo royalties corrisposte a societ� �sitraniiere prive dii stabile organizzaz;ione in Ital!ia. A questo pUIIlto, � ohiaro che non vale 1Jrinoem1rsi dietro l'ovvia constata7lione che l'�art. 25 � norma di �riscossione e non 1di ta:ssa:zfone. Non vi pu� esser dubbio, inllait1Ji, che la coereruJa del sistema esclude in maniera aissoluroa rl'!ipotesi 1che possa sussistere una norma dii riscossione del rutto svincolata dalle diisposiziODI� che :precisano e delimitano iil debito d'eposta che 1si tmtta d!i. risoootere. Sarebbe assuriclo, cio�, supporre che, nell'ambito di uno stesso sistema f�:soaile, possano coesistere una norma sostanziale che esenti dalla tassazione un certo reddito ed una norma procedura1e che aissoggettJi queJ.!lo stesso 1reddito ad una ritenuroa ~che dovrebbe immancabiilmenite essere ognd volta o:-estJituita per difetto di maiteria Ntss�abile). Se, dunque, lie royalties corrisposte a societ� estere :senm stabiile orgaIl! �Zzazione in Italiia sono sempre a&soggeittate a ritenuta, ci� significa neoessamiamente ohe le royalties stesse non posSO!llo sfuggire ahl'iimposizione agli effettJi deJrl'IRPEG e dell'ILOR. Non v'� 0!Ssolutamente altra possibilit� di ga:I1a.llltke la necesiSarua coerenza e completezza del sistema. Ma non basta. L'art. 25, secondo comma, non si ilimirta a vincolare �!'<interprete a�11a conclus.ione obbligata del:l:a tassabiJdit� in IRPEG e in ILOR delle royalties pagate a �societ� estere senza �stabille orgalill�zzazione in Italia, ma inditoa anche chiaramente quale sia la strada per giungere a tafo conc1usione. La norma, infottii, sanziona chiarammrte fil principio deill'�assoluta irrilevanza, per il nostro ordinamento tribultmo, defilo �svolgimento di attivit� di impresa all'estero. Soltanto se l'impresa viene esercitata mediante una stabile organizzazione lin ltahla, ile royalties pagate per prestazioni ad essa inerenti vengono a configurarsi come semplici componenti aittive da tenersi a calcolo per 11a determdnazione de1l'utiile netto tassabiJe, e, naturalmente, viene meno ila loro assoggettabiilii.t� a ritenute (esclJU.se per tutti i profitti Jordi d'iimprea). Ma se, invece, non ricorre questa essenziale condizione, il reddito isolato da royalties resta del tutto aurtonomo e deve esser preso in considera:ziione come tale, e non come parte di un reddito comp�les~ivo d'impresa conseguito alI'estero. � appunto perci� che la ritenuta, in questo caso, trova appl!ica:ziione; ed � per La stessa PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 173., testi a sorreggere una piana conolusione nel senso auspicato dall'amministrazione finanziaria� (par. 2). Il d.P.R. 897/80 ha, dunque, contenuto certamente innovativo, ma mira pur sempre a realizmre, per altra Vlia, quegli stessi principi, fissati dalla legge di delega, ai quali si era doverosamente ispirata anche la normativa preesistente. Va perci�, senz'altro esclusa, in assenza di qualunque indicazione in senso contrario, l'ipotesi che fra la nuova e la vecchia disci: pil!i:na srus�siis<tano dii'V'elrgenze di fondo quanto aHa delimitazione dell'area della tassabilit� delle royalties. Al contrario, dalla nuova, pi� chiara disciplina devono desumersii decisivi argomenti i.nterpretamvi per supera(['e anche le oscu:cit� deHa vecchia disoiiplina. L'U[lJa e l'a1tra, in definitiva, deve ritenersi che assoggettino a 1Jassa2'lione �tutte le royalties percepite dai non residenti. Ci� che cambia, nei due casi, sono soltanto le modalit� tecniche 1attu1averiso ile qualli �tale tassaz.jone vieine :realizzata. AJJtiret1Janto decisiVli sono, a nostro avviso, gli argomenti di 001I1attere si:stematioo desrnrnbiJ1 dall'art. 25, secondo comma, deil d.P.R. 600/73 nella sua formullazione odginaria. l.Ja sentenza n. 3931/81 'della priima Sezione ha, per '1a verit�, 011quanto sottovalutato tai1i argomenti, evidentemeDJte ritenendo pi� ohe sufficienti gli altri elementi interipretativi da essa stessa sviluppati. Sembra opportuno, tuttavia, tornare brevemente sul punto, non potendosi assolutamente diisoonoscere lJa forza probante degli elementi che emergono da:lla consi!deriazione compliessiva del sistema. m;secondo comma (originamio) dell'�art. 25 contiene due precetti: a) il primo dispone una ritenuta sulle royalties (oltre che su altri compensi) pagate ra soggetti �reskLenti �all'estero, anche se esse rappre� sentino il corrispettivo di prestazioni effettuate nell'esercizio di imprese; b) :iJl secondo d!ntroduce un'.ecoezione, �esdudeo:ldo dall'obbHgo della ritenuta le royalties corriisposte a stabili organizzazioni in Italia di enti e societ� non residenti. � ben chiaro, 1anzitu1lto, che la ritenuta contempJam da questo secondo comma, nonostante g1i equivoci che possono n0!8cere dia1la rubrica de11.'art. 25 (� Rit�enuta sui redditi di lavoro autonomo�) e dal testo del primo comma, sii. appliioa anche a!lle royalties coc-risposte a persone griu11idiiche non residenti. � �testuale, infattii, iJl riferimento a �enti e societ� non residenti�, che, se hanno una stabi[e organizziamone iin Italiia, non subiscono la ritenuta, mentre la subiscono se non dispongono di un'organizzazione dii questo tlipo. E ci� .significa, �eviidentemenite, che :La ritenuta del secondo comma non si riferisce soJtanto aU'IRPEF, ma anche alJ'IRPEG e a1l'ILOR. In secondo luogo, � ancor pi� e\'idente che non pu� assolu1Ja1Illente reggere �la .lettura del.la no11ma tentata da1Ma Commissione T:ributairia Cen PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 185 Ai fini dell'indennit� di espropriazione dei terreni destinati a sede della seconda Universit� di Roma il valore agricolo di mercato va deter� minato con riguardo al tipo e alle condizioni vegetative delle colture esistenti al momento dell'entr<::ta in vigore della legge 22 novembre 1972, n. 771, contenente dichiarazione di p.u. (2) La controversia sul diritto al raddoppio dell'indennit� d,i esproprio spettante al proprietario del quale l'espropriante contesti la qualit� di diretto coltivatore del fondo appartiene allo stesso giudice competente a .conoscere dell'opposizione a stima (nella specie, al collegio arbitrale, presso la Corte d'appello, per la determinazione dell'indennit� di esproprio in esecuzione del piano regolatore di Roma) (3). (omiss,is) Con il primo mezzo l'Universit� l1icol1l'ente, denunciando Vtiolazione e fulsa appllicamone del!fart. 2, commi 6 e 7, de!IJ.a legge 22 novembre 1972, n. 771, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., censura l'dmpugnal1la sentenm ml:la parte relativa ai criteri di determinazione deN'iltldena:rit� dii espropri.o. In par1licolare, sostiene che qu:ando ricorrono i presupposti per l'applicazione del comma 7 del:fart. 2 de11a legge n. 771 del 1972, quando cio� si debba riconoscere ai proprietamo diiretto col; tivatore o al terzo coltivatore (fittavolo, mezzadro, colono o compart�oipante) un'indennit� aggiuntiva, l'immobile espropriato, ai fini dehl'inden� nizzo ex comma 6 del citato art. 2 della legge n. 771 del 1972, non debba venir in consddemziione per il suo mtero vailore dii mercato, ma da questo debba esser det:ra.tto 11 valore corri1spondente ai!Jl'uso del fondo come ele� mento dell.'azienda. La censura � infondata. . Giova premettere che, per l'art. 12 dehle cosiddette preleggi, nell'ap plicare la legge non si pu� ad essa attribuire altro senso che quello fatto da coltivatori diretti. Per vero, proprio la presenza del colono, fittavolo, mez� zadro o di altra figura di coltivatore diretto cui spetti un diritto personale di, godimento sul fondo, utilizzato come elemento dell'impresa diretto-coltiva� trice, induce a ritenere che iin una libera contrattazione di compravendita del terreno il proprietario riuscirebbe a spuntare un prezzo inferiore, e non di poco, al prezzo che l'immobile avrebbe avuto sul mercato se libero da contratti agrari. In altri termini, fa necessit� di parificare l'indennit� di espropriazione al valore di mercato -e non, si badi, �al valore agl'icolo �medio�, com'� per la legge 22 ottobre 1971, n. 865 -comporta che non possa prescindersi in via logica dall'apprezzamento di tutti ti fattori capaci di dnfluire, per solito nega� tivamente, sulle quotazioni del bene, certo essendo, come fa comune esperienza testimonia, che un eventuale acquirente non sarebbe disposto a pagare lo stesso prezzo per il terreno quando questo, anzich� libero, sia condotto in fitto da un colono. (3) La massima � volutamente formulata in termini generali giacch�, in effetti, til principio di diritto affermato sembrerebbe trascendere il caso con RASSEGNA DELL'AWOCA1'URA DELLO STATO 186 palese dal signilioato proprio delle parole secondo J:a loro connessione (elemento letterale). e dalla intenzione del legislatore (elemento logico), ossia dalla ragion d'essere de1Jia norma. La quaile �si sostanzia, pi� che nel motli.vo conoogente che possa averla ocoasionata (occasio legis), nello scopo, cio� nella considerazione del bisogno sociale al cui soddisfacimento la norma 1stessa � volta. Ora, � ben vero che ogni interpretazione deve fondarsi, necessariamente e sempre, sul!le regole che governano la parola e su queMe del pensiero, gi:acch� la legge non � una lettera morta, ma ha un contenuto spirituale; e che, pel1lanto, l'interipretazione deve essere a un tempo lettleraile e }()gica. Ci� non toglie, tuttavia, che essa debba procedere dal criterio letterale; e solo quando il significato proprio delle parole secondo la loro connessione non sia gi� tanto chiaro e univoco da rifiutare una diversa e contrastante interpretazione, ricorrere al criterio logico: ci� al fine di individuare, ailltraverso ULlla congirua va!luitlazione del fondamento delila norma, la precisa � intenzione del legilslatore �, n:on trasparendo essa della iettera delila legge. Nel caso m esame, come gi� rilevato dalla sentenza dmpugnata, iii dato normativo � 1i!llidli.scutibiilmente chiaro, nel senso di stabifue che l'indennit� agghmtli.va ex comma 7 ddl'art. 2, quando dovuta, sia pari all'Jindemrlit� dli espropriazione cos� come determinata ai sensi del precedente oomma 6, ossia � !in base al valore agricolo di mercato corrispondente a!lla coltll!ra praticata nel terreno da espropriare (omissis)�. Nessuna detrazione dall'indennit� di esproprio cos� come calcolata a tenore del comma 6 � previistia quando debbasi far luogo all'applioazione del successivo comma 7. Onde la necessit� di una detrazione siffatta (che, come si pretende dalila ricorrente, dovrebbe avere per oggetto il valore corrispondente creto per estendersi, in generale, alle ipotesi di sistemi indennitari ispirati al criterio della � doppia indennit�" (com'� nella legge 22 ottobre 197.1, il. 865, le cui disposizioni in tema d~indennit� aggiuntiva non sono rimaste coinvolte nella recente dichiarazione d'incostituzionalit� di cui alla sentenza 19 luglio ,1983, n. 223). Pare, tuttavia, di poter esprimere qualche riserva sulla soluone adottata, e proprio con riguardo alla rilevata portata generale da attribuirsi al principio affermato nella sentenza, della quale va condivjso certamente il rilievo concernente la natura non impugnatorfa del giudizio d'opposirione a stima (secondo quanto gi� osservato in altre occasioni: v. in questa Rassegna, 1982, I, 96, in nota a Cass., S.U., 3 novembre 1981, n. 5793), ma non la conseguenza trattane nel senso che il giudice dell'opposizione all'indennit� sia necessariamente com� petente a conoscere anche delle questioni non riguardanti il quantum dell'indennit�. E le maggiori perplessit� derivano dalla considera2fone che nei casi, come quelli regolati dalla legge 22 ottobre 1971, n. 865, in cui l'opposizione alla indennit� sia devoluta alla cognizione della Corte d'appeHo, le questioni, non sempre lineari, sulla qualit� richiesta per la corresponsione dell'indennit� aggiuntiva PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 187 a1!I'uso dal fondo quale elemento dell'a2lienda) non potrebbe essere ritenuta dall'interprete senza che egli stesso si faccia legislatore e ne travalichi l'intenzione; che � chiarissima, dovendo essere ravvisata nell'esigenza di offrire a:ll'linterprete medesimo un criterio di stima dJi agevole e sictml app.hicazione, qua.ile quello che l'indennit� aggiuntiva, quando dovuta, sia pari all'indennit� di esproprio, e che, pertanto, questa debba essere determinata nehla sua misura indlipendentemente dall'eventuale diritto a quella. Con :il secondo mezzo l'Universit� ricorrente, denunciando violazione dell'art. 2, comma 6, della legge 22 novembre 1972, n. 771, in relazione all.'ant. 360, n. 3, cod. proc. oiv., censura '!.'impugnata sentenza anche qui nclla parte relativa ai criteri di determina2lione del!l'indennit� di esproprio; in particolare, con riguardo al momento di riferimento per accertare lo stato deHa coltura, se, cio�, sia in fase di produttivit� costante o di produttli.vit� decrescente, nel quale ultiimo caso, come vitenuto dall:la sentenm medesima, il valore di 2.500 Lire a. mq. dovrebbe essere ridotto del quindici per cento. Sostiene che il Collegio Arbitmle, dopo essersi correttamente posto itl problema se si dovesse tener conto dehlo stato vegetativo :in atto al momento deltl'entrn.ta in v1igore della legge ovvero dell.o stato vegetativo che la colitura esistente aJ:la data cli entrata in vigore della legge avesse presentato al momento dell'espropriazione, lo avrebbe erroneamente risolto nel primo senso, trascurando in 1Jall modo di distli.nguere tra valore connesso ailla destinazione a un certo tipo di coltura e valore derivante dal suo stato cli produttivit�, da rilevare -il primo -in base alla coltura in atto all'entlrata in vigore dclla legge, e il secondo in rela2lione allo verrebbero a perdere un grado di giudizio, in base al princ1p10 affermato dalla sentenza in rassegna: conclusione -certo -perfettamente ammdssibile, ma bisognevole di pi� adeguato supporto nelle norme positive, quale non sembrerebbe ravvisabile nelle disposizioni (come l'art. 19 della citata legge 22 ottobre J.9&1, n. 865) attributive di speciale competenza, in deroga alle regole comuni, per la rii.soluzione delle sole questioni relative alla determinazione {della misura) dell'indennit�. In ultima analisi, le norme (come il citato art. 19) che devolvono le controversie sull'indennit� a un giudice diverso da quello che sarebbe competente secondo le ordinarie regole processuali sono chiaramente eccezionali. e da inteJ:1)retare, peroi�, in maniera restrittiva. Epper�, sempre che sia esatta la premessa relativa alla portata generale del principio affermato, sembra che nei casi di liquidazione dell'indennit� in base alle norme della legge n. 865/197�1 pi� specifici motivi di riserva, circa l'estensione della competenza della Corte d'appello alle controversie non strettamente concernenti il quantum dell'indennit�, possano desumersi dalla formulazione dell'art. 20 della legge medesima (che, in tema di indennit� di occupazione temporanea,� inequivoca11= 11�1111111t111111111111111r11r~r11;r1111111111111:1r1111r1111111111 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 188 stato vegetativo esi:sitente nel. momento dello espropr.io, ci� in conformit� del principio secondo cui l'iindei:mit� va rapportata al valore del ben~ alla data dell'esproprio. Anche tale censura � infondata. Come ha esattamente osservato il Collegio Arbitrale, l'assUJlto dell'attuale ricorrente trova un ostacolo linisuperabile nella stessa nonna (art.�2, comma 6, della legge), del seguente tenore: �La indennit� di espropriazione � determ'�illata in base al valore agricolo di mercato corrispon� dente :all.!la coltura praticata nel tevreno da espropriare all'entrata in vigore della presente legge �. Nelila quale proposizJi.one, per � va1lore delila colitura praticata � devesi Ml.tendere quello rappresentativo non solo del tipo di destinazione agraria (vigneto, seminativo et coetera) e della specie e delle modalit� di coltivazione (tipo di vigneto, impianto a :tendone, a filare et coetera), ma altres� del grado di conservazione e dello stadio del ciclo vegetativo delle piante, anche questi elementi incidendo, e sensibilmente, assieme agli altri �suli'indice dd redditivit�, 1presente e futura, del <terreno e, qmndi, del suo vailore di mercato. Non meno esatta � l'ulteriore osservazione svolta dalla sentenza impugnata, secondo la quale il sistema normativo pre\nisto dailil.a !Legge n. 771 del 1972 (e, per quanto messa non specifioamente disciplinato, dalla legge generale 1sUille espropriazioni 25 giugno 1865, n. 2539, �aH'epoea vigente) imponeva dd tener presente quale fosse lo stato di consistenza del bene in esproprio alila data di entrata �in vigore dclla legge specia!le, nelil.a quale era insita fa ddchla002J�one della pubblica utilit� dell'opera. Ci� al:l'evidente fine -diversamente non raggiungibile -di escludere dal calcolo delfindennit�, o1tre agli aurrien<tli. di valore derivanti dalla esecuzione dell'opera �stessa e dalle modificazioni dntrodotte dia!I piano regolatore che 1a prevedeva, anche le migliorie, le tresfovmMioni e g1i dnvestimentd intesi al mente limita la competenza della Corte d'appello alle domande proposte � con tro la determinazione dell'indennit��), nonch� da una riflessione sui compiti rimessi alla Corte d'appello nel sistema originariamente delineato dalla legge 22 ottobre 19711 n. 865 (e poi alteratosi per effetto delle modifiche apportate all'art. :15 con la legge n. 10/1977). Invero, fino alla novella del 1!J77, non v'era modo di pervenire, neppure in sede giudiziale, ad una determinazione dell'in� dennit� aderente al concreto valore agricolo del terreno (com'� ora consentito), s� che il compito della Corte d'appe11o si i!'iduceva, in sostanza, ad una sorta di sindacato di legittimit� sui criteri di stima e sulla applicazione, nel caso concreto, di predeterminati valori agricoli medi. Tale rilievo, illuminando la ratio della disposizione, conferma a quel che sembra il carattere ecceriona.le della competenza attribuita alla Corte d'ap pello e consente, al tempo stesso, di dubitare che il. legislatore abbia iinteso derogare al prmcipio del doppio grado anche per le controversie non riguardanti la sola misura dell'indennit�. PARTE I, SF..Z. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 189 conseguimento� d.i un'indennit� maggiore (art. 43 della legge n. 2359 del 1865). Ma anche al fine -che al pari del primo, cui � correlativo, si deve essere posto all'attenzione del legislatore come bisogno sociale da soddisfare -di non lasciare a carico dei soggetti espropriati il detrimento derivante dal degrado dei loro impianti viticoli nel periodo compreso tra l'entrata in vigore della legge e la pronuncia dell'espropriazione, dato che. ogni spesa mirante a porre rimedio, eventualmente mediante rinnovazione dei vitigni, all'invecchiamento delle piante saTebbe caduta nell'ambito della presunzione di cui al gi� citato art. 43 della legge n. 2359 del 1865. Con il terzo mezzo l'Universit� ricorrente, denunciando violazione dell'art. 2, comma 12, della Jegge 22 novembre 1972, n. 771, e difetto di giurisdizione, in relat'lione all'art. 360, n. 1 e 3, cod. proc. civ., censura !'.impugnata sentenza per avere il Collegio Arbitrale ritenuto la propria competenza giurisdiziona:le a conoscere del diritto della aittuale resistente al raddoppio dell'indenniit�, nonostante avesse escluso che, per effetto del riconoscimento deH'~dennit� aggiuntiva, quella di esproprio dovesse subire alcWl.a d�trazione. Sostiene che, a seguito di tale esclUSii.one, ove fosse stata contestata -come in effetti era avvenuto -la quaJlit� di ooetto odltivatore degli espropriati, l'applicazione del sistema indennitario previsto dai commi 6 e 7 dell'art. 2 della legge n. 771 del 1972 avrebbe dato luogo a due distinti tipi di controverisie: �l'uno, relativo alla misura dehl'd.ndennit�, attribuito al Collegio Arbitrale competente a conoscere delle azioni di opposit'lione alla stima dell'Ufficio Tecniico Erariale, e l'altro conce: mente l'accertamento delle condizioni che giustificano il raddoppio, appartenente �alla cognit'lione del giudice 011dinario. Anche tiaile censura � infondat�. Devesi, I.invero, consentire con l'impugnata sentenza sul vilievo essere pi� conforme alla ratio �[egis che il giudizi.o denominato di opposizione alla stima deJJ.'mdennita non si configu!�:ii come una impugnarione in senso tecnico, ma .rappresenti un ordinario pTOCedimento di cognizione, nel quale sono destinate a confluire tutte fo controversie relative ai riconoscimento e a!lla determiniaztlone della giusta indennit� (diretta e aggiuntiva). Ci� non foss'altro che per ragioni di economia� di giudizio, anche se la waduzione dell'intento legislativo nel da:to normativo � staita attuata mediante �rinvio alla legge n. 355 del 1932. D'a:ltra parte, il Collegio Arbitrale previsto dalla oitata legge n. 355 del 1932, pur nella sua particolare composimone, che riflett<? La natura teclllica delle questioni in definitiva devolutegli, � pur sempre presieduto da un magistirato, fornito dalla necessaria prepaxazione giuridica, onde devesi ritenere idoneo a risOlvere anche le questioni di diritto sottese e strumentaLi alla determinazione deMa giusta indenlllit� dovuta all'espro priato. (omissis) RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 190 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 24 novembre 1983, n. 7027 -Pres. Sandulli -Rel. Sensale -P. M. Zema (cond. diff.) -Scimeni Anna ed altro (avv. Sangiorgi Paratore) c. Amm:ims.tra7li.one Difesa (avv. Stato Vittoria). Espropriazione per p.u. -OcCupazioni d'urgenza � Occupazioni per esecuzione di opere militari � Protrazione a tempo indeterminato Risarcimento del danno -Spettanza. (artt. 73 e 76 I. 25 giugno 1865, n. 2359). Anche le occupazioni d'urgenza disposte per l'esecuzione di opere militari, alle quali ex art. 76 della legge fondamentale 25 giugno 1865 n. 2359 non si applica il termine di durata massima, possono tuttavia, se non seguite, entro ragionevole lasso di tempo, dal decreto di espropriazione o di a5servimento, divenire illegittime; n� l'esecuzione dell'opera pubblica ha l'effetto di legittimare l'operato dell'Amministrazione escludendo il diritto del proprietario al risarcimento dei danni per l'indefinito protrarsi dell'occupazione (1). (omissis). Con il primo motivo le ricorrenti denunciano il vizio d'insufl�aienm e di contraddittoriet� della motivazione in cui sairebbe incorsa la Corte d'Appello di Palermo, ritenendo, da un lato, che l'occupazione militare, di carattere temporaneo, non pu� durare indefintitamente e non autorizza a sopprimere di fatto, senza indenn!izzo, :il diritto di propriet�, e, dall'altro, che nel caso concreto 1l'occupazione temporanea (ma durata oltre venticinque anni) non fosse diven.Uilla definiti.va, senza peraltro inda� gare se non si fosse determinata una situazione di irreversibilit� dello stato di occupazione, tale da far sorgere, a favore delle ricorrenti, il diritto al risarcimento del danno, costituito dal vaJore venale del bene, occupato e non pi� restituibile. La Corte d'appello, .inoltre, non avrebbe considerato che, nella specie, la potenzi01le tutela del privato ipotizziata nella decisione rimpugnata (con sistente nel provocare un provvedimento del['Ammimstrazione mi!litare che constati il venir meno delle condizioni legittimanti l'occupazione e per chiedere poi il risarcimento del danno) non poteva ricevere alcuna realiz (1) Cfr. Cass: 30 luglio 1964 n. 2187, in Foro amm., 11964, I, 1, 574; Cass., 17 aprile 1976 n. 1345, !in Giust. civ., Rep. 11976, v. espropriazione per p.i., n. 148; Cass. 30 aprile 1981 n. 2644, in Giust. civ., 1981, I, 1979; la sentenza che si pubblica trae dichiaratamente spunto anche dai principi generali in tema di occupazione illegittima di recente fissati da Cass. SS.UU. 16 febbraio 1983 n. 1464 (in questa Rassegna, 1983, I, 124). PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI zazione, ventendosii nelila ipotesi inversa, nella quale le necessit� ori.ginairi. e delJ.'occupazione iperimanevano e avevano determinato la irreversibilit� dello stato di fatto, crune si desumeva dalla circostanza che era stato richiesto ed emesso (sia pure illegittimamente) il decreto di espropriazione. Se avesse fatto ta1i considerazioni, ila Corte del merito sarebbe dovuta pervenire ailila conclusione che l'occupazione era divenuta definitivia e avrebbe dovuto accogliere la domarnda di integrale risaroimento del danno, comprensivo del valore venarle dell'immobile occuparo. Con il secondo motivo le ricorrentii ripropongono, mvia suborclinata, la questione di legitt!i.mit� costitU1Jionale dell'art. 76 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, nella parte in cui non stabilisce alcun limite di tempo alla occupazione, per contrasto con l'art. 42 Cost., che tutela fa propriet�, sancendo che il titolare non pu� esserne privato senza un corrispondente indennizzo. Se, infatti, il. comportamento dehla p.A. � legititimo, perch� perdurano [e esigenze poste a base dell'occupazione, l'art. 76 Cost., consentendo di occupare il bene di un privato per un tempo indeterminato (che potrebbe protrarsi. all'infinito) senza la corresponsione cli una indennit�, sarebbe i11egittimo, vienendo a legaLizzare la sostanziale sottrazione del bene. Ll ricoiiso -i cui motiivi, manifestamente connessi tra loro, vanno esaminati congiuntamente -� fondato nei t�rmini che saranno di seguito precisati. Deve, innWJZi tutto, rilevars�. che le attuaili ricorrenti, dopo l'emanazione del decreto di espropriazione, con l'atto di citazione dinanzi al Tribunale di Palermo, ne dedussero il.a tardivit� ed, iin conseguenza, affermarono il iloro diritto ad essere risarcite dehl'integrale danno derivante dalla occupazione (sull'implicito presupposto della definit!i.Vlit� ed irreverisibilit� della stessa) e che, nell'atto d'appello contro la sentenza del Tribunale ~11a quale avevia riconosciuto la tardivit� dcl decreto di espropriazione, in quianto emanato oltre il :termine stamlito nella dichiarazione di pubblica utilit�, e, sul presupposto della legittimit� dell'occupazione ai sensi dell'art. 76 della legge n. 2359 del 1865, che non stabilisce alcun termine per le occupazioni miilitari., aveva affermato il diritto delle istanti a un indennizzo corrispondente soltanto al mancato. godimento del bene), dedussero, con specifico motivo di gravame, che la pronunzia del Tri.bunale non poteva essere limitata ad un aggiornamento delrindenn1t� tempoI1anea, liqUJidata nel precedente giudizio dalla Corte d'Appello, ma doveva comprendere l'intero riisarcimento per il valore capitale del terreno occupato. Va, poi, precisato che, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa dell'Amministrazione nel corso de1La discussione orale, la Corte d'appello, nella sentenza impugnata, non ha rilevato il giudicato esterno sulla legittimit� de1l'occupaZJione, che si 'Sarebbe formato con la sentenza della stessa 192 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Corte, resa -in data 16 dicembre 1972 nella diversa causa tra le stesse parti, instatll'ata prima deN'emanazione del decreto di espropriazione � e avente ad oggetto l'occupazione del fondo per il periodo fino al 1972. Dalla lettum delia motiva7Jione delil.a decisione impugnata risulta evidente, infatti, che 1a sentenza della stess�a Corte, resa 1H 16 dicembre 1972, viene richiamata (mSI�eme aiLla sentenza, confermativa, di questa Corte ed alla sentenza delle Semoni Undte n. 7 del 4 gennaio 1975 riguardante altra controversia ed altre parti) come precedente al quale la Corte d'appello ha inteso informarsi, facendone propria la motivazione, ma non gi� come giudicato esterno preclusivo dehl'esame dehla controversiia che la Corte d'appello ha, invece, autonomamente esaminato. Dii ci� l'Amministrazione avrebbe potuto dolersi, ove lo avesse ritenuto, proponendo ricorso incidentale (salvo accertare la fondatezza della doglianza) ma non pu� in questa 1sede eccepire 1a formazione del giudicato estero.o che, come � noto, � res facti �sottratta all'moogine del giudice cli legittimit�. Dai ri1iiev[ che precedono si delinea con sufficiente chiarezza l'oggetto della controvemia. Come esattamenrte rilevano nella memoria '1e ricorrenti, qui non � afl�art:to lin discussione se l'occupazione di cui a:lil.'airt. 76 della legge n. 2359 del 1865 debba essere sottoposta, oppure no, al termine biennale, essendo pacifico che questo 1imite non sussiste e che l'occupazione l i: .~ quielle eSI�genze -aven1li necessariamente carattere temporaneo -peri.: per esigenze militari pu� protrarsi anche oltre il biennio, fino a quando ~ sistono. Ma nulla osta a che Ullla occupazione mi2li e perduri legittima I 1: meilite (con il. diritto del proprietario del fondo ad esisere indennizzato per il mancato godimento di esso) e diventii poli lMegittima, per il vernirr meno delle esigenze che l'avevano deterrm.inata, oppure si consoli!di come definitiva ed irreversib1le, perch� wene meno la temporaneit� delle esi I!: genre che avevano reso neoessaria l'occupazione stessa o perch� il bene occupato sia trasfo:n:nato in un'opera militare che ne impedisca la restliili tuzione: ipotesi, quest'ultima, in costanza della quale il proprietario del I I fondo ha diritto a conseguire il valore venale del bene del qua'l.e abbia per duto la disponibilit�. Non � privo di validit�, in proposito, il rilievo delle ricoa:irentii che la tutela del proprietario del fondo occupato, -se � in astratto configuirabile quando SI�ano venute meno le esigenre dell'occupazione (nel quail caso egli pu� provocare l1lll provvedimento dell'Amministrazione millitare che Iconstati ilJ. V'enir meno delle condizioni ilegittimanti l'occupazione o un riconoscimento in tal senso derivante da comportamento i!Ilequlivoco dell'Amministrazione o, infine, l'aiccertamento ad opera. del giudice amministrativo della illegit1fu:nit� del diniego deY'Amministrazione ~ssia di provfo I vedere in propoSI�to), non ha possibilit� di realizzazione, per questa via, nell'ipo1Jesi inversa, in culi le esigenze suddette, a seguito della definitiva i e irreversibile utilizzazione del bene occupato, siano tali da rendere im i I w,�,,�,w,,,-Maacu.�,,,�.�.. , .. ,,,.,, ,,,.,,,, ���� ��� .� , ......... � � ......... ................ .......................... ~: PARTE I, SEZ. vrr, GIURI$. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI possibile non solo la restituzione attuale del bene, ma la sua stessa astratta restdtwbilit�. In questo caso, se davvero non sii vuole lasciare ~l proprietario del fondo privo di tutela ed esposto ad espropriazioni di fatto mascherate da occupazioni che si protraggono md~tamente nel tempo m contrasto con la temporaneit� delle esigenze che la determinarono, � necessario !indagare -nell'ottica imposta da precisi precetti costituzionali -se una occupazione che si protragga per un tempo non compatihlle ragionevolmente con iil carattere itempomneo di essa non sia divenuta definitiva ed JvreveI1sibiile, in modo che il proprietario possa ottenere, in luogo della non pi� possibile res1liftuzione del bene fa natura, l'equivalente peounriari. o di esso. A parte la nota giuri'spruden:ro di questa Corte sulle conseguenze di una occupazione � temporanea � che sia divenuta irreversibile per la trasformazione in opera pubblica del bene oocupato ~per un generale riesame dclla relativa problematioa, v. 1a sen<tenza dehle Seziioni Unite n. 1464 del 16 febbraio 1983), non sono mancati, da parte di questa Corte, segnali nel senso suddetto, quando, in tema di occupaziom di urgenza disposite per l'esecuzione �di opere mil�tari (alle qual!i non � app1icabile il termine biennale), non si � escluso che esse possano diventare illegittime se si protraggono per molti armi senza che 1sia pronunciato il decreto di espropri. azione (sent. n. 2187/64); oppure quando 1sii � .r.iJtienuto che, anche nel caso di occupazione di urgenza disposta per esigenze militari e non seguita, entro un ragionevole limite di tempo, dal decreto di espropriazione o di asservd:mento, l'esecu2lione dell'opera pubblica ha ['effetto di rendere def�niti\na 'l'occupazione medesima ma non quello di legittimare l'opera dell'Amministrazione escludendo dl diritto al risarcimento dei danni per l'indefinito protrarsi dell'occupazione (sent. n. 1345/76); o, infine, quando, nell'ipotesi di rea1izza2'Jione, sul suolo occupato, di una :stlriada militare con finalit� strategico-logistiche, se n'� ritenuta l'automatica ed inderogabile inclusione nel demanio mBiitare, con la conseguenza che, se ci� sia avvenuto in difetto di un provvedimento tra~ativo della propriet� del suolo, deve riconoscel'si a[ privato il diritto ad ottenere il risarcimento del d:anno (sent. n. 2644/81). � evidente, perci�, che la Corte di appello, cui era stato specifi camente dedotto che l'occupazione era �div:enuta definitiva ed iirreversi� bile, non poteva limitatisi a riprodurre il principio, secondo il quale la oocupazione di cui alfart. 76 dei11a legge n. 2359 del 1865 non � sottoposta al ,tJermine di durata biennale, ma doveva conduvre la sua indagine sulla eventuale ivreversibdlit� delJ'oocupazione, che il lu.,.,c-hissimo tempo tra� scorso, m una alla circostanza dell'emanazione, sia pure Hlegi�ttima, del decreto di espropriazione rendeva verosimile, tenuto conto che, come si era precisato nella sentenza n. 1213/77, l'art. 76 della legge n. 2359 del 1865, 194 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STA'l'O pur non fissando alcun termine per le occupazioni militari, non autorizza tuttav.ia a sopprimere di failtto il diritto di propriet� senza fa corresponsione di ailcun 1ndennizzo. Entro questi l�ll.lliti il ricorso deve, quindi, essere accolto e la sentenza impugnata dev'essere cassata con rinVlio alla Corte d'appello di Messina, perch� rieSialillini la collltroversda .ffi aderenza alla domanda di r1sarcim.ento, come effettivamente proposta, e tenendo conto dei rilievi che precedono. (omissis) I I I fil ~ SEZIONE OTTAVA GIURISPRUDENZA PENALE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III penale, 24 novembre 1983, n. 19.11 - Pres. 1.Javosi -Rel. Damasco -Rie. Bon -Parte civile Amminl�!srtrazione del Tesoro (Avv. Stato Bruni). R.eato -Reati valutari -Non sono reati fiscali -Convenzione Europea di Assistenza Giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959 -Appli. cabilit�. Reato � Reati valutari � Documenti acquisiti in perquisizione domiciliare effettuata dalla magistratura elvetica su rog�toria di quella italiana ai sensi Convenzione Europea di Assistenza Giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959, in relazione a procedimento per reato di bancarotta � Utilizzazione in altro procedimento per reato valutario � Legittimit�. . I reati valutari non spno reati fiscali. Pertanto, � ad essi applicabile la Convenzione Europea di Assistenza Giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959 (1). I documenti acquisiti a seguito di perquisizione domiciliare effettuata datla magistratura elvetica su rogatoria di quella italiana ai sensi della CC?nvenzione Europea di Assistenza Giudiziaria in materia penale firmata a S{rasburgo il 20 aprile 1959 e in relazione a procedimento per reato di b.q.ncarotta, sono utilizzabili in altro processo per reato valutario. (omissis) Ritenurto in fotto: � � -che, con sentel12Ja del 15 marzo 1979, iill Tribunale d� Venezia d�chia11av: a Bon Achille colpevole di omessa denuncia d� depositi valutari costituiti .ailJ.'estero 18111Jeriormente al 6 marzo 1976, nonch� di successiva costi� tulJione dii �di!sponibiiliit� valutarie all'estero e, con H vincolo della continuazione, lo condannava alfa pena di anni 1 mesi 1 di reclusione e lire 400 milioni di multa, nonch� al risarcimento dei danni in :l�avore dclla P.C.; -che, con senten:m del 21 gennaio 1983, la Corte d'Appello di Veneria, in parziale riforma di queihla del Tribunal�, concedeva all'imputato (1) La giurisprudenza del Supremo Collegio � costante nel ritenere che i reati valutari non possono qualificarsi reati fiscali: v. Cass. III pen., 29 maggio 11981; n. 5214, rie. Grebner in Riv. pen. 1982, pag. 85; Cass. ]jI! pen., 2 febbraio il.981, n. 998, ci.e. Roversi, ivi, 1982, 561; Cass. III pen., H marzo 1982 _ri.. 27W rie. Dottor, ivi, 1982, 1024. 14 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELJ..0 STATO 196 le attenuanti generiche ritenute preva1en1li rispetto a.1Jl'aggravante e, con seguentemente, escludeva la pena detentiva e riduceva la multa a }jre 126 milioni; -che il Bon ricorre per Cassazione muovendo due distinte censure avverso 'l'impugnata sentenza; Osserva: Con il pruno motivo ,di ricoi:iso si denuncia violazione dell'art. 475 n. 3 c.p.p. iin reliazi.one agli arrtt. 3, 185 n. 3, 439, 524 n. 3 e 656 stesso codice, nonch� all'art. 2 della Conven:z�one Ewupea di Assistenm Giudiziaria :in materia penale ,siglata a Strasburgo il 24 aprile 1959, sotto il profilo che nella specie sarebbero state acquisite al processo prove documentali. otte� nute atwaverso una perquisi:z�one disposta iliW1a magistratUII'a elvetica su roglttoria di queJi1a italiiana; e ci� in viola:z�one della citaita Convenzione che specificamente nega l'assistenza giudli.:z�aria in caso di reati fiscali, nonch� del principio generale della specificit� dell'estradizione. Il motivo non pu� essere accolto; 1e ci� per un triplice ordine di considerazioni: a) ,jn primo luogo, perch� nella specie non si verte in materia di est:radii7lione, ma di semplice rogatoria; per cui le particolari cautele e restrizioni imposte relativamente a1 primo istituto, non valgono, n� pos� sono valere, anche per .fil secondo; b) in secondo 11uogo, perch� non 'considera che -�come risulta dalla sentenza e dagLi atti processuald -la rogatoria de qua venne chiesta ed espletata in relazione ad una formale (e non temeraria) limputaxione di bancarotta; e, cio�, per un reato certamente non escluso dall'�mbilto di applicazione defila Convenzione. Ne deriva, quindi, che non potendosi nella specie dubitare della legiit� timit� della eseguita perquisizione, nonch� della conseguente '1egi.rtitima acquisizione da parte dello Stato richiedente delle prove documentali in tal modo ottenute, le prove medesime (ove, come nella specie, idonee a dimostrar l'esistenza di altro e diverso reato) ben potevano essere utiliz� zate aii fini di a:J.tro e diverso processo; e) in terzo �luogo, ed infine, perch� non considera che -come � stato pi� volte precisato da questa Suprema Corte -i reati oggetto del presente giudizio non appaTtJengono alla categoria dei reati fisca1i, ma a quella ben diversa dei reati finanziari; per cui -anche sotto tale profilo particolare -non � posisihllie ipotizzare una qualsiasi violazione della Convenzione di Strasburgo. Egualmente non pu� essere accolto il secondo (ed ultimo) motivo di ricorso, sia perch� con esso si censura il concreto esercizio di un potere disore:z�onale attribuito dMla legge al giudice di merito in ordine alla PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE soprattutto, vigendo ancora !iJ. principio cLi � fissiJt� � stabilito dall'art. 1 cpv. legge n. 4 del 1929 (abrogato poi con dl decreto-legge 10 luglio 1982, n. 429, convertito, con modii�icazioni, nella legge 7 agosto 1982, n. 516), ed in mancanza di espressa loro abrogazione o modificazione, sono l1�rnaste immutate le di�!sposizioni deg1i artt. 13 e 14, legge n. 4 del 1929, che da un lato limitavano l'ammissibilit� aM'oblazdone aJ.1e contravvenzioni punite con la sola pena dell'ammenda, e dall'altro lato. attribuivano la relativa competenza a!ll'auto:nit� amministratdva, in rapporto aJ. successivo art. 46; me:ntre, per converso, la legge n. 689 del 1981 non reca alcuna norma che preveda l'applicabilit� dell'art. 162 bis del codice penale anche alle contravvenziond finanziarie; e a nulla �rileva che tutte le contravvenzioni puruite con la sola pena de1l'�ammenida siano state depenalizzate, rimanendo infatti integra la possrihilit� cli nuove previsiioni contravvenzionali punibili con la sola ammenda, e quindi dell'operativit� di tali drusposdzioni, come del resto era gi� avvenuto con la precedente depenalizzazione ex art. 10, Legge 24 dicembre 1975, n. 706, e precipuamente implicando le cLisposi:z�oni stesse -come si � ora rilevato -il fondamentale principio dell'esclusione dall'ablazione delle contravvenzioni punite con la pena detentiva; deve constata:risi, a'.l!lora, che l'oblazione druscreziona1e cLi cui trattasi � venuta a porsi in un contesto normativo caratterizzato dalla perdurante coesistenza, accanto al rsdstema san:z�onatorio comune, de1la precedente discip1ina speoia:le dettata in tema cLi reati finanziari, in tutta la sua pienezza (naturalmente, sotto il profilo che ne occupa), compresa l'esclusione test� indicata; non pu�, di conseguenza, essere condiviso l'assunto -sostenuto in dottrina a confronto delfa tesd dell'ammissibilit� dell'oblazione ex articolo 162 bis del codice penale -che dal s1istema delle norme tributarie non sarebbe ricavabiil:e iii principdo dell'esclusione dell'oblazdone stessa, o, in altre parole, che mancherebbe nella materia una disposizione speciale, che comunque stabHisca a1t!r1�menti rispetto al codice penale (e ci� anche a voler prescindere dal fatto -che per� non sembra privo di �sdgnificato che manca una disposdzione parallela a quella dell"art. 114 succitato, con la quale si estenda l'appHcazione dell'art. 162 bis del codice penale ai reati finanziari); n� sembra corretta la tesi che nella situa:zione di specie nO!ll sarebbe ravvisabile un coni�litto apparente di norme, poich� del tutto diverse sarebbero le entit� giuridiche rispettivamente disciplinate dagli artt. 13 e 14 della legge del 1929 e dall'art. 162 bis del codice penale, costituendo l'oblazione da quest'ultima norma introdotta un i!stituto del tutto peculiare, sia per la novdt� dell'oggetto, sia per le modalit� e le ddscrezionalit� della concessione, donde r.inapplicabiilit� del principio di specialit� 200 RASSEGNA DFLL'AVVOCATURA DELLO STATO alla stregua del quale � stata sostenuta la tesi dell'esclusione della oblazione; necessita considerare, infatti, che gli artt. 13 e 14, legge n. 4 d:el 1929 non si limitano a regolare la forma dell'oblazione �speciale per le contravvenzioni filnanziarie punite con ~a sola pena deH'ammenda, ma enunciano prima di �tutto il principio che l'oblazione � ammessa soltanto per siffatte contravvenziorui. e di conseguenza �escludono da:Ha possibilit� dell'oblazione gli altri illeciti, e non v'� dubbio che tafo pcincipio si pone m conflitto con quellJ.o di cui alil'art. 162 bis del codice penale, riguaridando lo stesso oggetto, e cio� le contravvenziorui. punibili con pene alternative; non pare, poi, che le notevoli e articolate modificazioni alla legge n. 4 del 1929, introdotte con il suindicato decreto-legge, abbiano in qualche modo influito sUilla disciplina sopi.ia de1i:neata, in qua:rnto esse concernono &sposizion[ del tutto diverse; oltretutto � sintomatico che il legislatore, nel porre mano a innovazioni di grande portata, quali quelle dell'abolizione del pri!I1oipio di f�issit� e della pregiudiziail.e tributaria, e nel procedere qumdi all'attenta valutazione, da un lato, delle progettate modifiche sul sistema preesistente, e -d'altro lato -della necessit� di cooi.idinare le modifiche stesse oon il sistema pena:le sia generale che speciale, in rapporto anche alla !introduzione di nuove norme incri:rnitnatrici, abbia omesso di abrogare o, quanto meno, di modificare i citati artt. 13 e 14; e da questo silenzio � assai pi� coi.iretto desumere l'interurlone di mantenere ferma ed opemnte la predetta limitazione, piuttosto che �ipotizzare sempMoisticamente una �svista� del legislatore stesso; peraltro, l'ammissione dell'oblazione ex art. 162 bis in materia di reati finanziari verrebbe a costituire una netta anomalia nel sistema sanzionatorio speciale, cai.iatter.izzato mprecedenza dal pr�noipio della riserva alla pubbllica Amministrazione della discrezionailit� in materia di ammissione all'obla:zione; l'oblazione ex art. 162 bis del codice penaie, infatti, non � ammessa � quando permangono conseguenze dannose o pe:nicolose del reato elimi nabili da parte del contravventore �; ora, non � certamente sostenibile che H ,giudice non possa procedere alle �relative valutazioni relativameillte a contravvenzioni finanziarie (ana logo potere ghl � espressamente attribwto dia:hl'art. 165 del codice penale). nondimeno, � evidente che, in tema di reati finanziari, l'individuazione di conseguenze darulose o pel1�JColose pu� implicare apprezzamenti pi� consoni ailile funzioni proprie della pubblioa Ammini,strazione la quale, in matenia finanzi.airna, agisce secondo complesse linee 'di politica econo- Ill�lca, che non a quelle del giudice, non vincolato a criter~ metagiur.idici di opportuniit�; I I ~i I I ~ji I ~�: f:: PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDBNZA PENALE l'attribuzione a quest'ultimo della discrezionalit� circa l'ammissione aLl'oblazione verrebbe a contrastare mdicalmente con il principio, precedentemente seguito, del mantenimento ali'Amministra:cione di ampi spalli di competenza esclusiva, come ad esempio in tema di ammissione alla 1 oblazdone ex artt. 13 e 14, legge n. 4 del 1929, e tuttora esiSltente per taluni delitti puniti con la sola pena deMa multa; a spiegare detta anomaiia non sembra sufficiente l'osservazione -per vero 1assai generica -che H legislatore ha voluto avvicinare il pi� possibile il trattamento penale degli :Hlecim finanziari a queLJ.o degli aiwi reati; sembra, anzi, che ii legislartore, pur abolendo la pregiudiZ�Jaile tributaria, abbia voluto pres1ervare al massimo grado la >Sfera di autonomia d'el!la pubblica Ami:n:i1l:l�strazione, giacch� ha dispos1to, iin deroga all'art. 3 del codice di procedura penale, che iii processo tnibutario non pu� essere sospeso .in pendenza del procedimento penale, ha limitato l'efficacia del giudicato penale nel processo tributario a �quanto concerne i fatti materiali che sono srta1li oggetto del giudiizio penale �, ed ha riaffermato, in materia di imposte sui redditi e dii imposta sul va:lore aggiunto, :1'4naipplioabilit� del1'art. 22, legge n. 4 del 1929 (gi� prevista dall'art. 60 di questa legge relativamente ai redditi soggetti a tributi diretti), che aittribudsce al giudice penale il potere di decidere della controversia relativa aA tributo (cfr. artt. 12 e 13 del d.l. n. 429 del 1982): il che testimonia della persistenza sostanzialmente �immutaita del precedente St'�istema, e conmbuisce a .rafforzare la tesi, siccome con esso coerente, de1la esclusione delle contravvenzioni :filnanziarie dell'oblazione prevista dall'art. 162 bis del codice penale; l'istanza in esame, pertanto, non pu� essere accolta. . 1 I I r f r ! PARTE SECONDA I I I I I I li f~ QUESTIONI LE ROYALTIES (CLASSIFICAZIONE, TRATTAMENTO ED ACCERTA� MENTO) ED I SOGGETTI PRIVI DI STABILE ORGANIZZAZIONE IN ITALIA SOMMARIO: 1 � Inadeguatezza della vigente normativa in tema di imposi� zione diretta sulle "royalties �. 2 � Le sentenze n. 3931/81 e n. 7187/83 della Corte di cassazione. 3 � Le societ� estere prive di stabile orga� nizzazione in Italia. 4 � Ipotesi di classificazione e trattamento dei redditi da "royalties "� 5 � L'accertamento dei redditi predetti. 1. � L'art 49 del d.P.ll. n. 597 del 1973 raggruppa insieme -senza distinguerli tra loro -i 'redditi derivanti dalrta utilizzazione economica di: a) J.na11Chl di fabbrica e di commercio (stranamente non si fa parola dei marchi di servizio pl'evisti dall'art. 3 della legge 24 dicembre 1959 n. 1178); b) opere dell'ingegno (cfir. l'art. 2575 cod. civ. nonch� la legislaZJione speciale); c) �invenzioni indus1llia1i �e simili� (cfr. gli artt. 2585, 2586, 2592 e 2593 cod. dv., nonch� la ,legislazione \Speci<ale). H successivo art. 50 dispone che 'i redditi anzidetti, quando non con� fluiscono nel ,reddito d'impresa, sono imponibili dopo riduzione -anche questa indifferenziata -del 30 % � a titolo di deduzione forfettaria delle spese�, esdudendo solo il caso di � dir.itti acquisiti per successione o donazione�. L'ultimo comma dell'art. 25 del d.P.R. n. 600 del 1973, come �cor� retto � con il d.P.R. n. 897 del 1980, prevede -ancora indistintamente per i � compensi � in questione, quando " co~isposti a non residentii �, una imposizione� reale� sostitutiva delle imposte personali (�ritenuta del 30 % a titolo d'iimposta commisurata al 70 % del loro ammontare lordo�). Per inciso, va osservato che appare censurabile dal punto di vista sistema� ti.co prevedere rngim~ sostitutivi nel corpo di una normativa concernente l'accertamerno (1). (1) L'esigenza di una disciplina specifica del trattamento tributario dei � compensi � di � brevetti, disegni, processi, formule, marchi di fabbrica e simili� � stata avvertita inizialmente (art. 18 della legge Tremelloni 5 gennaio 1956 n. l, e poi art. 128 del t.u. II.DD. del 11958) in relazione alla convenienza di operare � ritenute � -s'� dunque sul terreno della riscossione �pi� che 2 RASSEGNA D1!LL'AWOCATURA DELLO STATO I L'iairt. 19 punto 9 del citato d.P.R. n. 597, come � i111tegrato � dal ,. I f d.P.R. n. 897 del 1980, considera prodotti nel temtorio dello Stato, ai fini dell'applicazione dell'IRPEF, i � compeIJJSi � (s!i. noti il termine, di� verso da quello �redditi� usato pi� volte nello stesso articolo) corrispostJi da resa.denti o equipairati a non residenti (paTiI'ebbe anche non im!: prese) per l'utilizzazione dei beni immateriali dei quali sin qui si � detto. In sostanza, il criterio seguito � identico a quello indicato al punto 2 per i redditi di capitale ed � divevso da quello indicato nei punti 3, 4 e 5 (luogo di esercizio delle attivit� imprenditoriali o �autonome� e di prestazione del lavoro dipendenrtJe), ed anche da quelli indicati -con formula passe-partout -nel punto 6 (2). Le nuove disposizioni del 1980 solo .in parte contribuiscono a risolvere le questioni insorte in ordine all'imponi:bHit� con ILOR dei � compensi � in questione; ovviamente il discorso concerne le ipotesi nelle quali essi non confluiscono nel reddito di impresa (o nel reddito imponibile con IRPEG). La sentenza n. 42 del 1980 della Corte costituzionale ha I lasciato impregiudicata ed � ape111Ja � tale problematica. Dopo di essa si ~ � avuta la sentenza ~della quale tra b11eve si dir�) 17 giugno 1981 n. 3931 I della Corte di cassazione, ove � stato affermata l'applicabilit� della ILOR I fil sul1a base di una classificazione dei redditi in questione tra quell!i. �diversi � di cui aiH'arrt. 77, comma secondo, del d.P.R. n. 597 del 1973. Comunque -ripetesi -la � novella � del 1980 solo in parte ha risolto i problemi dell'imposizione con ILOR. I m Anzitutto, poich� sono esclusi da ILOR �ii redditi. assoggettati (si noti "'assoggettati" e non "assoggettabili") a 'ritenuta alla fonte a titolo d'impoS1ta � (art. 1 comma secondo lett. e del d.P.R. n. 599 del 1973), si perv,iene al risiultato -non previsrto. dal Iegislatore � coNettivo � e non su quello dell'accertamento -nei confronti di percettori � non residenti "� Tant'� che rimane tuttora l'abitudine di denominare tali compensi redevances o royalties e che anche in uno scritto recente pu� leggersi: � la tassabilit� delle redevances non presenta problemi di rilievo se a percepirle � una pe11sona fisica o giu11idica residente �. (2) Questa disposizione � novella� (il punto 9) fa dunque ricorso ad un cI'iterio soggettivo -la condizione di residente del soggetto che corrisponde il � compenso � -che peraltro � diverso dal criterio, pure soggettivo -impom sizione nello Stato del percipiente il � compenso � -indicato dallo schema OCSE di convenzione per evitare fo doppie imposizioni (cfr. art. 12 di detto i~ i:: schema) e, in pratica, da tutte le convenzioni in essere (cfr., ad esempio, art. 12 della Convenzione con la Svizzera, art. IX della Convenzione con 1: f:'. l'Olanda). Sicch�, sul piano del diritto internazionale tributario, i Paesi espor,,, f tatori di brevetti, marchi, etc. sono in passato risultati pi� forti dei paesi i importatori. i:: ~a 1:! I f:'. PARTE .II, QUESTIONI poco assurdo (ma iinevitabile, come riconosciuto dalla circolare ministeriale n. 42 del 12 dicembre 1981) -di sottoporre i compens�i in questione ad un carico ft:scale eventualmente pi� lieve quando percepiti dal �non residente�: questi rimane sottoposto solo al regime sostitutivo di cui all'uJtimo comma dell'art 25 del d.P .R. n. 600 del 1973. Un incentivo .in pi� per � intestare � beni immateriali a soggetti esteri. In secondo luogo, poco chlaro � ,iJ raccovdo tl'a legislazione � interna � e normative convenzionali di diritto iintemazionale tributario. La men: zli.onatla circolare n. 42 ha delineato 1e seguenti ipotesi: a) .in mancanza di qua:lsiasi convenzione con il paese iri cui ha �sede il destinatario delle royalties (od in presenza di una convenzione gi� stipulata, ma non ancora ratificata e resa esecutiva in Italia) si applicherebbe soltlanto la ritenuta alla fonte, a titolo d'Jmposta, del 30%, prevista dall'art. 25 del d.P.R. n. 600 del 1973, restando esclusa l'ILOR, in conformit� con quanto previsto dall'art. l, lett. e, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599; b) in pres~ di una convenzione che, pur riservando l'assoggettamooto delle royalties al paese di destinazione, attenga soltanto ai tributi erariali (quali l'IRPEF e l'IRPEG), dovrebbe procedersi aill'applicazione dell'ILOR, �in base a dtichia� razione annuale (cosa questa che comporta accert�amenti complessi e rende problematica l'attivit� di riscossione); e) .in presenza di una conven~ ione che escluda l'app1ioabilit� di qua:lsias.i imposta da parte dello stato di residenza del soggetto erogante, non dovrebbe procedersi ad alcun prelievo. I principi contenuti nella circolare citata e nell'art. l, lett. e), del d.P.R. n. 599 del 1973, postulano, quale corollario, l'esclusione dell'ILOR ogniqualvolta l'acooroo intemazion:ale contro le doppie :imposizioni assoggetti le royalties �ad una, sia pur min:ima, ritenuta. In terzo luogo, � stato deliberatamente accantonato (come testimo� niato dalla formulazione dell'art. 9 del d.P.R. n. 597 del 1973) il problema della classificazione dei redditi in questione, e quindi, di riflesso, � rimasto privo di punti di riferimento il� problema del loro trattamento ILOR anche nei riguardi dei �residenti�; ed in effetti proprio la pro� blematica della classificazione dei redditi de quibus costituisce, come si dir�, una delle ragioni di inadeguatezza della normativa in vigore. Questa elargisce indiscriminatamente (ancorch� non sempre) un 30 % di riduzione dell'imponibile IRPEF ed ILOR senza considerare: I) che l'acquisto a �titolo oneroso di un booe immateriale � vicenda economica molto diversa dalla produzione di un'opera del:l'Jngegno e dalla � invenzione � industriale; II) che H marchio non esprime una �creazione � per 1a cui produ2ione 1siano richleste �spese di produzione�; neppure gli �investimenti� in pubblicit� occorrenti diffondere la conoscenza di un marchlo attengono � RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 4 specificatamente ad esso; questi � ivestimenti � concretano una vera e propria accumulazione patrimoniale (ancorch� per solito non evidenziata come tale nei bilanci) e -a ben vedere -non sono una �spesa� (come li denomina il d.P.R. n. 597) per la produzione dei beni interessati dal marchio e, a nigore, neppure dovrebbero essere integralmente inclusi tra gli �acquisti� detraibili ex art. 19 del d.P.R. n. 633 del 1972. In effetti, la differenza tra � iinvenzione � e � opera dell'ingegno �, da una parte, e � mairchi �, dall'altra, va sempre pi� accrescendosi con il diffondersi di pratiche commerciali che tendono a distaccare il marchio della funzione originaria di � distinguere merci od altri prodotti � provenienti da una specifica impresa (�dalla propria impresa� recita il codice civMe), e ad operare concretamente trasferimenti del solo marchio (senza l'impresa o ramo di essa) anche in violazione -in pratica, non sanzionata -delil'.art. 2573 cod. civ. La tendenza al distacco del marchio dall'impresa si mall!i.festa, ad esempio: a) attraverso la molteplicit� di emblemi non si~fioativi della provenienza della merce ad opera di uno stesso produttore (si pensi ai detersivi prodotti da poche multinazionali e commeroia1izzati con marchi �di fantasia�, che pi� esatto sarebbe denominare �mutui�); b) attraverso la concessione, della fucolt� di iutilizz,are un nome rilasciata ,da soggetti che non partecipano alle attivit� di produzione e/o distribuzione delle merci; e) attrave11So l'utilizza71ione del marchio di produzione concessa, anzi pi� spesso contrattualmente imposta, a soggetti opeirao:iti nel settore della distribuzione (si pensi alle catene di esercizi commercia1li. che vendono prodotti di un unico produttore, esercizi a questo legati mediante contratti detti di franchising). Ovviamente, nei casi test� indicatii. sub b) e sub e) e nei possibili altri oosi di utii.lizzazione del marrchio da parte di soggetti diveI1Si da quello che -di diritto o di fatto -ne � per cos� dire il titolare,� compensi� (secondo il linguaggio usato) vengono corrisposti dall'utente non per� congiunta mente al prezzo deHe meroi, ma per separati, paralleli (e molto meno controllabili) oamli. Dovrebbe inoltre considerarsi che, accanto al marchio, si vanno configurando nella pratica commerciale altre �entit� � che non sono riconosciute dalla legge extratributaria come � beni immateriali � e cio� come possibili � oggetti � di diritti as1Soluti ma che cionondimeno sono create dalla pratica contrattuale, come diritti relativi che per� tendono ad essere � oggettivizmti �. A ben vedere, mentre il � bene materiale � trova un fondamento ed un riscol11tro anche, per cos� dire, tattile nella PARTE II, QUESTIONI f realt� extmgi.uriidica, il� bene immateriale� � frurtto arbitmrio di decisioni umane (del legislatore): � quindi comprensibile che l'autonomia contrattuale riconosciuta ai pnivat� pervenga essa pure -con decisioni umane per ai� stesso omogenee a quelle del legislatore -aiil.a � oreaz.ione � di �entit�� che solo un dato formale ( i connotati specifici della legge) distingue dai � beil!i. immateriali �. Vanno cos� oggetrtivaindosi entit� quali il know-how (reale, o fittizio ma imposto da maggior forza contrattuale), la �assistenza in esclusiva�, la �immagine commerciale� (ad esempio, arredamenti. tipizmti dci punti di vendita al pubblico), la �pubblicit� commerciale ~n esclusiva�, etc. Formalmente, per quanto attliene all'IVA, queste �entit� � sono riguardate come � servizi �, sono per� � servizi � sovente sui generis perch� non a s� stanti ma collegati con movimenti di merci. Per quanto invece attiene a1l'imposi2lione suri. redditi, le � entit� � m questione sono menzionate ed equiparate ai �beni immaterial~ � -nell'art. 69, comma secondo, del d.P.R. n. 597 de'l 1973. Tale equipaI"allone � stata estesa -ma con evidente forzatura del testo normativo (per il che � probabile che i contribuenti reagiscano in sede giurisdizionale per quanto tale forzatura li danneggia ed acqWsisoano defirutr.iviamente i vantaggi che da essa loro derivano) con la circolare n. 42 del 12 dicembre 1981 pi� volte citata, di commento all'art. 19 punto 9 del d.P.R. n. 597 del 1973. Ed � stato osservato (TABELLINI, Gli aspetti fiscali nei trasferimenti di tecnologie e marchi, in Dir. prat. trib., 1982, I, 1513) che �nonostante l'interpretazione test� riferita dia l'impressione d�. risolvere ogni possibile dubbio, pure non mancheranno di porsi problemi applicativi; le prestazioni che possono rien1Jrare nell'accezione di know-how, infatti, sono talmente varie ed eterogenee da far dubitare che esse possano sempre ricondursi allo sfruttamento di un bene immateriale �. Il �compenso � o � comspettivo � di tali �entit� o � servizi � per solito molto elevato, dal momento che essi possono essere prestati (rectius, impostii) solo da soggetti contrattualmente fonti pu� assumere fornie molteplici, quali, ad esempio: 1) royalties, determinate .in proporzione percentuale ai giro di affari (o al venduto), formula -questa -usata comUlllemente all'estero meno in Italia essendo iliftiicile il contro11o da parte del cedente sulJ:a contabilit� dell'ut~lizzallione; 2) forf aits annuaili, formula -questa -usata fargamente in Italia; 3) � dfoitti di entrata� o di isc:cizione, a simigliarnza di quanto accade per ,1e associaziond; 4) rimborsi di spese di campagna pubblicitaria o di sfilate di moda o di altre iniziative similari, gestite per� dal prestatore di tali �servizi�; 6 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 5} canoni dii affitto di insegne. o anche di locali (se questi ultimi appartengono al �� prestatore dei servizi �); 6) corrispettivi pi� o meno regolarmente fatturati per specifici servizi peraltro contrattualmente imposti; �7) persino sottoscriziOOJe, a prezzo superiore a quello che sarebbe il prezzo di meroato, di titoli azionari emessi dal prestatore dei � servlizi �, til quale trova cosi il modo di farisi tmanziare dagli utilizzatori dei servizi. Ricorrente nei contratti relativi a tali � servizi � � la clausola di � segre-� tezza �, apparentemente giustificata da11'eSligenza di non far conosoere iJl know-how e le strategie aziendai1i. Il fenomeno sommariamerute descritto -che contribuisce non poco a quella che appare come � terziarizzazione � dell'apparato produttivo �, come ovvio, conseguenza della sempre maggiore ampiezza dei mercati e della sempre maggiore importanza della pubblicit�. Sicch� ti soggetti che -per dimensioni o per cohlooaziioni -riescono a gestire ii momenti � spettacolari � del commercio conseguono � compensi �, che tendono a non essere inglobati nei comspettivJ. delle meroi, ed �ad essere invieoe collocati al � bene immateriale � marchio o aid altre �entit� �. In tema di IVA, per l'art. 3, comma secondo n. 2 del d.P.R. n. 633 del 1972 (peraltro in parte derogato dal successivo comma terzo, lettera a) sono sottoposte ad IVA .te cessioni (ossia ml triasfevimento della titolarit�), concessioni, licenze e simil.!i relative a diritti d'autore, ifilvenU.oni mdustriali, modelli, disegni, .processi, formule e simili, ed a. m~chi e insegne. La formulazione della norma � pi� ampia di quella dell'art. 49 dinanzi esaminato. Non solo si prescinde dal requisito della brevettabilit� ~a anche dalla .configurabilit� giuridica di un �bene immateriale�: �la norma si estende a tutti gli accordi di collaborazione industriale, includenti l'uso di disegni e progetti nonch� di fc:mnuil:e, proces�si, tecniche e SlimHi quali quelli che I vano sotto il nome di know-how (da circ. Assonime n. 101/73). Quanto ai criteri di temtooialit�, essi sono stati com'� noto deiiiiniti I fil in conformit� con la sesrta direttiva CEE -nel nuovo testo. dell'art. 7 comma quarto lett. e) e g). La ratio deHa normativa si 'legge nel 1settimo �considerando � della predetta direttiva: �occorre fissare tale luogo nel paese del destinatario ... per talune prestam�nii di servizi, il cui costo � compreso nel prezzo della merce �, La dliscipliina IVA, peraltro, tratta im modo indiff:erenzia:to ti � servizi � immateriali che sono uttiiizzati nehl'attliv.it� idi produzlione delle merci ed incidono sui relativi costi (servizi-strumento) ed i � servim � (ad esempio, i ma:rchi) che invece accompagnano 1e merci prodotte, anzi accedono ad esse, ed .incidono (non niecessariiamente ma per solito) sui prezzi al consumo (servizi-oggetto). La mancata differenziamone di quesiti �servizi� pu� non PARTE II, QUESTIONI turbare la meccan�ca dell'IVA, ma finisce per determinare difficolt� di accertamento degli :i.mponibil!i di altri tributi. Ed in effetti, il corrispettivo per l'utilizzazione del bene immateriale o simile � entit� � � c011.1sideraito separato dal corrispettivo della merce cui pur venga ad accedere; sicch� pu� aversi -e, ad esempio, nel settore dell'abbigliamento � frequente si abbia -una circolazione di merci doppiata da una separata circolazione dei particolari � servizi � di cui trattasi. Cosi, alle dogane vengono presentate per l'esportazione solo :le merci; i � servtlzi � marchi dii f�abbrioa e di commercio non appaiiono, possono agevolmente circolare � da estero ad estero � (anche quando �sia il � destinatario � del servizio Stia 1il ctitolare del marchio sono, in realt�, consociate estere del soggetto litaiMano). In tai modo una parte di quelli in realta so.no corrispettivi .di merci, e -quel che pi� rileva -una parte dei � ricavi � pu� agevolmente sparire dalla contabilit� dell'impresa italiana. Del resto, v'� anche un fenomeno di 1segno opposto, fenomeno di oui la legge tributarna irn pi� occasioni s'� occupata: e cio� !hl fenomeno della innovazione tecnologica incorporata nel bene strumentale, che viene dato in affitto o noleggJo. In tal caso, il � compenso � per l'utilizzazione economica del bene iimmateriale non � separato dail omone di affitto, e quindi non appare. 2. -Nella �sentenza del 17 giugno 1981, n. 3931 (in Dir. prat. trib., 1982, Il, 17), la Corte di cassazione aveva constatato l'impossibilit� logico-giuridica di r.acchiudere !i � compensi � in questione solo nelle due categorie reddito d'impresa e reddito di lavoro autonomo. Si legge in quella motivazione: � � stato esattamente osservato in dottrina che nei redditi di lavoro autonomo l'elemento soggettivo � dominante rispetto a quello oggettivo della fattispecie, e quindi, relativamente ai redditi imputabili soltanto ad una persona fisica perch� riconducibili immediatamente allo spiegamento di energie psichiche o fisiche, v!iene addirittura meno il presupposto cli tassazione quando il 1soggetto non � pe11sona fisdca �. Sicch�, � una societ� di capitali residente non consegue redditi di lavoro autonomo, non sono perch� � soggetto imprenditore (e qUJindi titolare di redditi che, per testuale previsione dell'art. 49, secondo comma, d.P .R. n. 597 IRPEF non possono essere co.nsiderat!i redditi di lavoco dn senso oggettivo), ma anche per mancanza di quel requiis�lto di personalit� della presta2lione che inerisce necessariamente alla stessa qualifi.ioazione; correlativamente, una societ� di capii.tali non residente non pu� essere tiitolare in Italia di redditi di lavoro autonomo, e, pertanto, i proventi di royalties ad essa affluenti, e che mantengono la loro autonomia, non concorrono a formare un reddito di 1impresa, la oui esti.srtenza va esclusa, in mancanza di una organizzazione ad hoc nel nostro Paese, e nemmeno possono essere recuperati all'imposta come redditi di lavoro autonomo �. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO 8 Poste queste premesse quella sentenza affermava: � la circostanza che il reddito da redevances sfugge all'ILOR solo perch� percepito da un',impresa non avente stabile orgainiz2lazione iin Italia appare, invero, palesemente in contrasto con l'art. 4, n. 2 defila legge di delegazione, che non � stato consideraito espressamente dal legislatore delegato, fra:stomato dal gioco dii richiiami e dalla conseguente equiparazione, ne!lla disciplina dettata per i singoli tributi, di situazioni che erano state distinte (ed a ragione veduta) dal legislatore delegante�. In tal modo, la Corte di cas,sazione andava aiUa sostanza del problema, rifiutando l'appiattimento dei � compensi � in ques1:Jione tra i redditi assimilati a quellii dii lavoro autonomo ed aprendo il problema di una loro classificazione aderente alla realt� economica. Ed invero risulta artificioso ed erroneo negare 11 carattere � patrimoniaile � dei � compensi � di che trattasi ogni qualvolta si esca dalle ipotesi � cirx:oscritte � del diritto d'autore corrisposto proprio allo scrittore o dell'utilizzazione economica del brevetto da parte dello stesso !inventore: � il reddito da redevances qui considerato -si legge in ailtro passo della 'sentenza -� sicuramente caratterizzato da una evidente componente patrimoniale �. Subito dopo la vicoroata sentenza della Co11te dii cassazione (accolta da vivaci critiche forse non sempre disinteressate), un organo sottor dinato -la Commissione tributaria centrale -si � affrettata a rendere �a sezioni unite � (dee. 12 ottobre 1981, n. 8782, in Dir. prat. trib., 1982, II, 46) una pronuncia contraria -anzi esplicitamente dissenziente -rispetto a quella della Corte di cassazione, senza avvertire (e quasi a negare) che il compito ili � nomofi1achia � spetta in materia, e per Costituzione, a detta Corte. � gi� singolare che un organo sottordinato pronunci � a se zoni unite � (collegio -oltre tutto � imperfetto � -la cui ragion d'essere e funzionalit� non sarebbe male 11."iconsideriare); ancor pi� singolare � che tali �sez!ioni unite � non avvertano la doverosit� ili un self restraint e si contrappongano alla Corte di cassazione. Con 1a sentenza Cass. S.U. 30 novembre 1983, n. 7187 (in queSlto nu mero della Rassegna, parte I) e con 'altire dieci sentenze in pari data e di !identico contenuto, � 'Stato, �se non totailmente contraddetto, m parte svuotato il principio enunciato nella anZJidetta sentenza del 1981 tin punto di classificazione dei redditi. da royalties, essendosi ritenuto che tali redditi sono da classif�.oars1i tra quelli � di impresa � (ai fiini dell'app1ica :ziione dell'art. 19 del d.P.R. n. 597 del 1973 nel testo anteriore alle modi fiche introdotto con il d.P.R. n. 897 del 1980) quando il soggetto estero, pur privo di stabhle organizzazfone in Italia, � un imprenditore. Tutta la motivazione, per vero non soddisfacente (specie se la si con fronta con l'ampio dibattito avutosi nell'ultimo decennio sull'argomento. PARTE II, QUESTIONI e con le difese svolte dall'Avvocatura dello Stato), si regge solo. sul seguente assunto: � non v'� dubbio che le royalties corrisposte a imprese commeroiiali (italiane o straniere, aventi o non aventi. stabil.e organizzazione �in Halia) siano, per defilniZlione legislativa, reddito d'timpresa � <nella specie si � trattato di societ� anonima di diritto svizzero priva dii stabile organizzazione dn Ital.ia). In questa pi� recente sentenza non si menmona affatto -e la cosa non pu� non sorprendere -<l'art. 25 del d.P.R. n. 600 (ove, nel secondo comma, prima della � noveHa � del 1980, si leggeva �anche per prestazioni effettuate nell'esercizio d'impresa�), e al tempo stesso si utilizza fuori dai confini nazionali lo strumento del reddito d'impresa (e la presunzione assolut!a di imprenditorialit� delle attivit� deHe ,societ�) a mo' di �carta assorbente� delle royalties. Risultato -questo -contmdddttorio ed inaccetitabtile. Ed 'invero, anzdtutto non pare stabilito da alcuna norma (neppure �pattizfa �) che l'ordinamento itialiano debba recepire l'eventuale quali cafizione -ad opera di un ordinamento estero -di un soggetto come imprenditore. J diverisi ordinamenti possono attribuire tale qtJ.alificazio ne secondo regole loro proprie e, al ldmite, possono non prevedere af fatto uno status di timprenditore commerciale. Inoltre, secondo fogioa propria� del �diritto fotemazionale privato � (da seguirsti in tali controversie), H punto della classificazione di un red dito secondo il nostro diritto dntemo -posto che la classificazione deter mina se esso (reddii.to) � o meno �prodotto nel territorio dello Stato� deve essere distinto e risulta preliminare ed assorbente rispetto al punto se operi o meno il richiamo al titolo II contenuto nell'art. 23 del d.P.R. n. 598. Ed infine limane tutto da dimostrare che le � regole proprie � !italiane relative al recklito d'impresa operino anche per attivit� asseritamente imprenditoriali svolte aH'estero da soggetto estero privo di stabile organizzazione in Italia. Invero non pare corretto �assegnare dimensione � mondiale � alla noZlione di impresa ed alla relativa ddsciplina tributaria, quaLi poste dal diritto ital1iano (sembra invece postulare il contl'ario 11a circolare n. 50550 del 15 dicembre 1973). Inutile appare -nel 1984 -soffermarsi sull'asserito limite addotto nel 1972 per espungere dall'originario testo di quello che � divenuto il d.P.R. n. 597 la disposdz,ione che vii figurava alla lettera f) dell'art. 19, e sulla mancata tempestiva modifica <o � correZlione �) dell'art. 25 del d.P.R. n. 600 (e/o del-l'art. 19 del d.P.R. n. 597), malgrado non poche modifiche legis1ative siano state apportate a det/tJi decreti tra dl 1974 ed il 1980 e malgmdo fin dal 1973 (tira gli altri, CROXATTO, Aspetti internazionali della tassazione del reddito, in � Incontri � a cura del Banco di Roma, 1973, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 10 II, 115; DE ANGELIS G., Quantificazione del reddito d'impresa: t cost� e ricavi della disciplina della riforma, :ivi, 1973, I, 137; GRANELLI, La tassazione delle redevances passive d'impresa, in Dir. prat. trib., 1974, I, 354) fosse stata evidenziata l'inadeguatezza della disciplina. 3. -Interessa ancora invece evidenziare in primo luogo come la duplice fictio juris, che conduce alla �determinazione� unitaria dei redditi societari, fictio tutt'altro che indispensabile, mette a nudo la sua artificiosit� logica e p11artica quando � portata alle estreme conseguenze (cos�, ad esempio, quand'� applicata a soggetti esteri). Per vero, una � determinazione � unitaria non � stata prevista dalla legge delega n. 825 del 1971 neppure le societ� nazionali, dal momento che l'art. 2, n. 17 di tale legge parla unicamente di � accertamento � e non di � determinazione �. Sicch�, a ben vedere, l'art. 6, comma secondo, del d.P.R. n. 597, che serve a consentire azzeramento dei redditi ad esempio fondiari, solo per fictio juris inclusi nel reddito di impresa, mediante componenti negativi dii redditi effettivamente di impresa, potrebbe forse essere ritenuto contrastante con un 1criterio della legge delega; e prop11io l'applrl.cazione del citato art. 6, comma secondo, e dell'art. 5 del d.P.R. n. 598 (per quanto �ail primo rinvia) ail1e �societ�� estere conferma tutta la contrariet� alle esigenze fiscali di UI11a generalizzata � .determinazione � unitaria. Del resto, la convenzione italo-svizzera resa esecutiva con legge 23 dicembre 1978, n. 943 (come altre parallele convenzioni scritte sul �modello OCSE�) clispone (a:rit. 6) che i redditi fondiari (ed anche quelli per plusvalenre [mmobiliani.: art. 12) non devono confluire nel reddito d'impresa, e quindi contrasta frontalmente con quella �determinazione� unitaria di esso che il leg[slatore delegato ha voluto introdurre nel nostro Paese (tra l'altro, con il 11isultato non evidenziato nella relazione miJnisteriale al d.P.R. n. 597, di consentire anche alle societ� cosiddette immobiliiari e similari di beneficiare dii una dlisposizione -l'attuale art. 58 di detto (3) Duplice perch� si presume che il reddito di impresa assorba gli altri redditi (e quindi che le perdite di impresa prosciughino �i redditi che sarebbero per loro natura altra categoria) e si presume che tutti i redditi delle societ� (anche di persone) siano di impresa. In realt�, il sistema cli presunzioni assolute costituito nel 1972-73 a vantaggio delle societ� (e che si vorrebbe estendere alla intera �internazionale della societ��) � ancora pi� �ricco�: bisogna aggiungere infatti fa presunzione che, ai� fini della detrazione del- 1'1.V.A. �a monte�, tutti gli 'acquisti delle societ� si considerano effettuati -a detta degli � esperti � privati -� nell'esercizio dell'impresa>>, e la presunzione che tutti gli interessi passivi siano spese per la produzione del reddito (nei limiti in cui questo non � esente). Un vero e propro �quadrilatero di presunzioni �, PARTE II, QUESTIONI 1.1 d.P.R. -che la fogge Tremelloni n. 7 del 1956 aveva scritto per i soli redditi mobiliari) (4). In secondo luogo, interessa evidenziare come, per i soggetti esteri privi di stabile orgiainiz2!~ione, risulm assurda quella enfaS!i della rilevanza delle scritture contabili che costituisce il nocciolo (ed una delle ragioni d'essere) della disciplina �speciale� sul reddito di impresa. La deduzione -in sede d[ determinazione di tale 1reddlito -di costi ed oneri � suboridinata a:lla � registrazione lin aipposite :scritture� (art. 74 del d.P.R. 597) ed � sottoposta ai � control1i � (per quanto posS!ibile �incrociati �) dell'amministrazione finanziaria. Cos� ad esempio, a fronte della deducibilit� degli interessi passivi sono i poteri istruttori di cui all'art. 34 (per le sole passivit� bancarie) ed agli artt. 33 e 39 comma primo (quest'ultimo .Jaddove parla di � .ispe:zioni eseguite nei confrontli. di a:ltri contribuenti�). N� scritture n� controllii possono essere umhlzzati per i soggetti dn questione. Le scritture, anche se tenute o redatte secondo le normative e le procedure proprie deg1i Stati di !appartenenza possono non offrire neppure quel (limitato e formale) grado dd affidabildt� che l'ordinamento italiano mesce, nel complesso, ad assticuraire; per di pi�, esse sono �conservate� all'estero, in luoghi i:nraggiungibilii daglii uffici e dalla polizia tributama. E quando manca l'tistituzione dii una sede secondaria (che -si noti -� parecchio di pi� della stabile organizzazione) (5) la societ� estera non � tenuta, per svolgere fa sua attivit� (anche se non saltua11ia), neppure ad esegu.i(l"e le formalit� di cui all'art. 2506 cod. civ. Quanto ad controMi fiscali, essi sono pressocch� del tutto impossiblili. In tale situa:zione, l'espos,izione dd costi e p�ssiv�t� da parte dei soggetti di che trattasi div�ene arbitraria aUJto-ridu:zione dei ricavi; n� pu� (4) Pu� forse interessare per il 1981 le sole persone giuridiche hanno esposto � interessi passivi � fiscalmente deducibili per circa L. 70.000 miliardi. Tenuto conto del tasso di svalutazione monetaria, pu� stimarsi che, di detto importo, almeno lire 40.000 miliardi siano stati, nella sostanza, non veri intereSs! Passivi (posta reddituale) ma anticipata restituzione del capitale (ossia accumulazione .patrimoniale). A fronte di tale accumulazione, stanno plusvalenze tassate per importo trascurabile, grazie alla normativa in tema di � valutazioni � ed alle ricorrenti leggi che consentono rivalutazioni delle attivit� (non anche della posta .interessi passivi) senza costo fiscale. Considerato che circa un terzo dei soggetti IRPEG non opera attivamente per la produzione e/o il commercio, ma gestisce patrimoni, potrebbe pervenirsi ad una stima del � contributo fiscale� dato all'accumulazione patrimoniale non direttamente coinvolta nei processi produttivi (il discorso dovrebbe essere allargato ai rimborsi IVA). Come si vede, � operante in Italia dal '1973 una sorta di �patrimoniale negativa �. (5) Peraltro, la nozione di stabile organizzazione � parecchio empirica ed incerta (oltre che non raccordata con la normativa valutaria). In realt�, neppure alle societ� estere con stabile organizzazione in Italia dovrebbe applicarsi la normativa sul reddito di impresa. 12 RASSEGNA DELl..'AVVOCATURA DELLO STATO riconoscersi valore legale ad prospetti o documenti. contabili alleigati alle dichiarazioni (e per di pi� spesso �scritti �in lingue non conosciute dad DO� stri uffici), come del resto implicitamente riconosciuto dall'art. 5, quarto comma, del d.P.R. n. 600 (sostituito dal d.P.R. n. 60 del 1975). Va aggiunto che, mentre v'� una disposizione (l'art. 19 del d.P.R. n. 597) che �s1labildsce quando redditi, �ricavii e compensi � si considerano prodotti nel territorio dello Stato�, non v'� una para1le1a disposizione che tracci i!l confine tra costi ed oneri valonizzabili in Italia e costi ed oneri destinati a rimanere 1�iniinfluen1li nel nostro Paese. LimHata appare ia por� tata del comma aggiunto, all'art. 75 del d.P.R. n. 597, dal d.P.R. n. 897 del 1980 (come :limitata era pure la portlata dell'aillteriormente vigente secondo comma dell'art. 56): detto comma aggiuruto mira a contrastare dl transfer pricing tm imprese dom�illante e dom�illate o comunque facenti parte dello stesso gruppo, e non a tmooiare, in via generale, il confine del quale si � detto test�. Quanto detto per costi ed oneri vale conseguenzialmente per le perdite; del resto, riesce diffioile immaginare una deducibilit� di per� dite quando -per le societ� estere prive di stabiJe organizzazione -manca persino l'obbligo di assicurare la continuit� delle dichiarazioni in man� oanza di reddito. Comunque, per le minusV'alenze che non attengano a beni localizzati in Italiia opera esplicitamente iJ limite posto da1l'al'.1t. 22 del d.P.R. n. 958 del 1973. Del resto, detto wt. 22 contiene diisposrizioni nel complesso forse non chiare e non coordililate con altre disposizioni dello stesso d.P.R. n. 598 e dei d.P.R. n. 597 e n. 600. Anzitutto, nel primo comma di tale articolo ai si riferisce alle societ� ed enti � indicati alla lettera d) dell'art. 2 �, e cio� ad una platea di soggetti diversa e pi� ampia di quella prevista dall'art. 19 n. 5 del d.P.R. n. 597 ed in precedenza dall'art. 145 del t.u. dLdd. del 1958 (soggetti aventi stia.bile organizzazinne in Italia), -e quel che pi� rileva al suo .interno non omogenea (si pensi, ad esempio, che le societ� estere prive dd stabile organizzazdone non sono -come logico -neppur tenute a presentare dichiarazione in as�senza di un reddiito iimponil�1e m Italia, a differenza di quanto aooade allorquando v'� 'Sillabile organizzamone): per H che un contributo alla chiarezza potrebbe venire da un intervento correttivo che comiinciaisse proprio dall'art. 2 del d.P.R. n. 598. Riesce comunque poco agevole comprendere come per le societ� estere (e a for� tiori per quehle tm esse che son prive di s.tabile organizzazione in Italiia) possa prodursi quella trasformazione dei redditi di tutte le categorie in redddto d'impresa che � .imposta -come �SI� � detto, con qualche forza� tura -dag1i artt. 6, comma secondo, 44 e 49, terzo comma, lett. b, del d.P.R. n. 597. Il tutto � ulteriormente compliooto dal1a drcostanza che i'l confine della nozione di soggetto � indicato ailla lettera d) dell'art. 2 � pu� nisul� tare tracciato sulla base di un dato di fatto (la effettiva localizzazione del� I�: ....................................................... : PARTE II, QUESTIONI H l'oggetto "pmnoipale � dell'attiwt�) di diff�icMe accertamento, dal �momento che non si dispone di strumenti idonei a confrontare l'importanza delle attivit� in Italia con queUa delle (non conoscibili in modo sicuro) attivit� all'estero. L'art. 22 del d.P.R. n. 958 continua -nel secondo comma -con una di:sposi2Jione che promiscuamente �stabilisce quando redditi si conSI�derano prodotti nel territomo dello Stato (quelli indicati nell'a1r~t. 19 .del d.P.R. n. 597) e come i redditi di una specifica categoria -i redditi d'impresa sono sottoposti ad !imposizione (� itenendo conto... anche delle plusvalenze e delle minusvalenze dei beni... relativi alle attivit� commerciali esercitate nel territorio dello Stato�). In tal modo, per vero non poco criptico, sembra si sia voluto affermare: a) che ~a normativa relativa al reddito d'impresa pu� continuare ad operare ancorch� !I'ifedta ad un segmento soltanto (quello � itaLiano �) del- 1'1attivit� (e del patrimonio) di UIIla � sooiet� o ente� non residente. b) che detta normativa pu� applicarsi ad una societ� (od ente commeroiaJe) non residente ancorch� priva di stabile organizzazione in Italia; e) che alJ'appliica2lione della medesima normativa � collegata anche la imposi2lione sulle plusvalenze; d) che per i soggetti in questione non opera -e oi� � pi� che logico -~l world wide system. Quanto al successivo terzo comma dello stesso articolo 22, esso si limita ad equiparare agli enti non commerciati i soggetti non residenti � diversi dalle societ� � -i quali � non hanno per oggetto esclusivo o princip~e l'esercizio (non � precisato se solo in Italia od ovunque) di attivit� commerciali�, Solo apparentemente Jliineare l'art. 23 dello 1srtesso d.P.R. n. 598: anzitutto, su di esso si rliflette la limitata chiairezm del precedente art. 22, al quale � collegato (anche dall'iinoiso � con riferimento aii redditi prodotti nello Stato); inoltre, come gi� osservato, non pare che la norma� tiva relativa ai componenti negativi dettata per le societ� e gli enti di cui alle lettere a} e b) dell'art. 2 possa essere richiamata ed apphlcata per i soggetti estera. In terzo luogo, la questione risolta dal d.P.R. n. 897 del 1980, con la correzione apportata: dall'art. 19 del d.P.R. n. 597 (purtroppo la no:vma correttiva � stata scritta �senza tener conto delle controversie in corso), pu� 11ipresenta:vsi per redditi. diversi da quelli da royalties. Fino al 1980, la quasi totalit� dei soggetti esteri privi di stabile organizzazione in Italia risultava percettore unicamente di� redditi fondialI1i, per beni immobili da essi qui posseduti; in pratica, solo il n. 1 dell'art. 19 del d.P.E. n. 597 trovava -per ovvde ragioni -effetti.va aipplicazione (del 14 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO resto i numeri 3 e 4 dell'articolo 19 concernono solo le persone fisiche). La situazione dovrebbe essere mutata dopo la �novella� del 1980 (operante dal primo gennaio 1982). 4. -Le oscillazioni e, in qualche� misura, il disorientamento della giurisprudenza -ancorch� circoscritti (non per� eliminati) dalla � novella � del 1980 -dovrebbero indurre ad un esame approfondito del problema della classificazione dei redc:Mti di cui aU'arrt. "49, terzo comma, lett. b), del d.P.R. n. 597 del 1973. Questi dovrebbero essere suddivisi in tre specie: a) quelli perisonalmente conseguiti daLl'autore o inventore persona fisica non imprenc: Mtore, per a. quali ragionevoli sono l'assimilazione ai redditi di lavoro autonomo, a.I regime della detra21ione forfettaria delle spese e l'esclusione dalla ILOR (e cio� -in sintesi -l'attuale normativa); b) quelli conseguiti da persone giuridiche o nell'esercizio di impresa avente in Italia almeno una stabile organizz2lazione per i quali � coerente al sistema l'incLusione nei redditi d'impresa (pur con le ambiguit� dd. tale no2lione e con le �indulgenze � di cui essa � veicolo); c) i rimanenti, per i quali sembrano I possibili e razionali due classificazioni, e cio� o come redditi di capitale, in coerenza con l'impostazione de1le convenzioni internazionali per evitare la doppia imposizione, o come .redditii �diversi�, secondo :l'indicazione I {: proveniente dalla Corte di cassazione nella ricordata sentenza del 1981. ~= Restringendo il discorso ai redditi di cui al punto c), la loro classi �: �: ficazione tra i �diversi� suscita qualche riserva dovuta proprio alla mera residualit� della relativa nozione; residualit� che rende ardua la cicerca di un qualsiasi collegamento con categorje economa.che. In particolare, l'art. 77 del d.P.R. n. 597 del 1973 -valorizzato nella ricordata sentenza -�, all'interno della categoria residuale dei � c:MversJ. �, un vero e proprio � residuato �. Esso prevede nei suoi due commi due ipotesi tra loro diverse (e mal unificate nel corpo �c:M un uruco articolo); due ipotesi che tuttav:fa possono essere ciguiardate come � quanto residua dei �redditi oggettivamente misti. di oapirtale e lavoro dopo la sottrazione dci redditi soggettivamente clasS1ificati dii iimp... e ;a�. N� pare ostativo che, malgrado l'impropniet� della 'rubrica, solo il primo comma �si riferisce ad �titivit� � occasionalii �. La via percorsa nel 1981 dalla Corte di cassazione appare comunque non irrazionale: essa in sostanza si traduce in una qualificazione come oggettivamente commerciali dei redditi �costituiti dai corrispettivi per la iI cessione in uso di veicoli, macchine ed altr.i bend mobili� (cio�, non im mobili). Sul piano degli effetti, la dassificazione fra i �diversi� dei redditii dn questione � -ma solo in parte (non per d compensi relativi a beni immateI�Ja1i local�zzati. all'estero) -equivalente ad urna loro classific~ione fra r:: I i redditii di capitale. Quest'ultima appare, per certi viersi pi� razionale (co-I ii ii r I,. � .cm ccc. -'��� ���e����.......... �� � ��� � � ���-.-.�.�.-.w.�.�.�.w.�.�.�m.�a.-.�.-.-.-.�.-.�.-.�.-.-c.-c.-.�.�ccc.�.-.� ~! PARTE II, QUESTIONI 1J me confermato dia:l mritto .internazionale tributario), e potrebbe essere consentita anche mediante una interpretarione estensiva dell'art. 41 lett. t) del d.P.R. n. 597 del 1973. A questo proposito appare utile rammentare brevemente come e perch� si � formata la nozione di �reddito di capitale�. Di questo reddito si parla nelle leggi del secolo scorso suH'imrpos1Ja di ricchezza mobile nel quaidTo di ll!Il sistema che differenziava iJ trattamento applicato ai vari tipi di reddito mobil�are (i redditi !immobiliari erano sottoposti alle separate imposte fondiarie). All'epoca SI� riteneva che la relativa brevit� della vita umana e quindi anche del pe:riiodo di utilizzabilit� deglii investimenti fatti direttamente sul fattore della produzione � lavoro � rendesse doveroos applicare su tale fattore un carico fiscale ridotto. Tale indirizzo, risalente al BrogLio ed �al Cavour � recepito nella legge 1864 sulla imposizione mobilfare, si traduceva nel cosidetto � metodo della diversii�ioazione � ed era attuato mediante �.la traduzione di ciascun reddito effettivo itn reddito imponibile� secondo percentuali differenziate. Con il r.d. 16 ottobre 1924, n. 1613, in luogo deMe differenziazioni in termini di imponibile, erano introdotte differenzliazioni in termini di aliquote, pervenute -con modifiche che non � il caso 1di rammentaTe -attraveriso il. �t.u. ii. dd. del 1958, fino alla vigilia del�a riforma tributaria degli anni 1971-1973. Questa riforma ha, com'� noto, affidato alla sola ILOR lil compito di differen:zFare il trattamento dei redditi provenienti da fattori � patrimoniali � da quelli provenienti dall'opera lavorativa (prtlma subordinata, poi -con la sentenza citata -anche autonoma) dell'uomo. Attualmente, l'art. 41 del d.P.R. n. 597 del 1973, dopo una elencazione dettagliata (ma -tutto considerato -solo esemplificativa) dei redditi di capitale, contiene una � nonna di chiusura � che qualifica tale � ogni altra rendita o provento in misura definitiva derivante dall'impiego di capitale '" Con il che �si finisce per l'inviare ad un concetto economico, non limitato da oggettivazioni o altrtlmenti (non si parla di � capitale finanziario � o � capitale espresso in moneta�). � per� indubbio che la nozione economica di capitale -sia esso inteso come fatitore della produzione distinto e contrapposto aJ. �Lavoro ed all'iniziativa imprenditoriale -non � integralmente recepita dalla legge tributaria. Ad esempio, ne l'irnane escluso il capitale immobiliare, tradizionalmente sottoposto a separata imposizione (la riforma del 1971 ha aJquanto sommariamente dnseriito l'iimposi:zfone fondiaria nelle strutture di imposte -l'IRPEF e la IRPE;G -che sono :riimaste essenzialmente � mobiliari �). Ne rimane escluso pure il capitale investito nella �impresa�, che � r.imasto nella sostanza entro l'anteriore schema dell'imposizione sui redditii � misti � di capitale e Lavoro; e ci� vale -si noti -anche per il capitale �finanziario� (cfr. art. 44 del d.P.R. n. 597 del 1973). 16 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La nozione di capiitale utilizmta dall'art. 41 citato continua pertanto ad av�re contenuti �residuali�: non � pi� ola nozione ristretto di �capitali dati a mutuo o altrimenti redimibili� (iartt. 21 e 54 del t. u. del 1877); ma neppure � .ia nozione omnicomprensiva che potrebbe trarsi da una lettura non storicizzata dell'art. 41 del d.P.R. n. 597 del 1973. � evklenite, a questo punto, che fa determiazione dei contenuti concreti della noZJione rimane dn qualche misura rimess1a aM'interprete; cos�, ad esempio, per la questione di che trattasi, � � ape11ta � la risposta da dare al quesito se siano reddliti di capitalle quelli conseguiti da somme di danaro i:impiegat� nell'acqu~sto a titolo oneroso di beni immateriali, o -pi� correttamente -i �frutti� conseguiti da beni immateriali. Comunque nello stabilire la classificazione di un reddito tra que'lli di capitale, l'interprete dovrebbe considerare, tra il'ailtro, che per l'art. 42 del d.P.R. n. 597 aitato va seguito il criiteri.o di oa1Ssa e non il criterio di com: petenza: per il che il contribuente ha facolt� di scegliere il periodo d'imposta cui imputare il r�ddito, operando sul momento di percezione (5). � appena il caso di aggiUl!lgere che tutto ii1 discorso iin tema dJi classiificazione dei redditii potrebbe avere svHuppi diversi ove si abbandonasse dil quadro di 11iferiimento offerto dalla legislazione vigente, quadro che si presenta disomogeneo: a categorie -qU1ali quelle di lavoro dipendente e autonomo, �di capitale e del capitale fondiario -individuate da fattori della produzione, si affianca una categoria -quella del reddito di impresa -qualificata nella apparenza dal modo di organizzare e di esercitare attivit� economiche e nella sostanza dal rilievo riconosciuto a scritture contabili (peraltro, oltre il 90 % dei percettori di reddito di impresa non � tenuto a presentare il mitizzato -nell'art. 52 del d.P.R. n. 597 -co~to profitti e perdite, e la maggioranza del residuo scarso 10 % presenta una facciatina di cifre poco espressive), ed una quinta categoria come si � detto � residuale �. 5. -H dii.scorso fatto in termini di classificazione dei redditi (e quindi solo per 1l'.imposizione sui reddiiti) lascia irrisolto il problema della individuazione di misure idonee a:d assicurare l'emersione -a fini fiscali - dei compensi in questione. (5)' :S stato osservato (LIZZUL, Appunti per uno studio in materia di tassazione dei canoni per royalties e know how, in Tributi, 1983, n. 7-8) che � i compensi vanno assunti secondo il principio della cassa e non defila compe� tenza e che come data di incasso dovrebbe essere considerata quella della effettiva messa a disposizione del percettore. Tale f.atto rende ancor pi� problematica la determinazione del reddito imponibile; infatti, abbiamo da una parte ricavi che seguono la cassa e dall'altro costi che dovrebbero seguire le competenze. Come si vede un pasticcio folle e sul quale non vogliamo neanche maggiormente dilungarci mancando alla base ogni ragionevolezza � ! f.~~ (:; @ ~;~ r� ~~ ~:: i~~ �:�:�Z�:�:�Z�Z�ZC.:�z"""'''�''������������.-.".".".'.".'.'.'.".'.".".".".�.�.�.-.�.�.-.�.�.�.-.�.-.�.�.�.".-.".".�.�.�.�.-.�.-.�.�.-.-.-.�.�.�.-.�.�.�.�.�.�.�.�.�.� �ᥥ��� ��������u.�.�,�.-u.�.�.�c...-.-u�.�������"�.,..�������������������������������������ᥥ�����������w !! 1r1111111111r1i1r1,1ar11fr111111l11111ililr1:r11111;:111:11111111111111111r1111111r1�1 , PARTE II,. QUESTIONI A tal fine certamente utile � il meccanismo della � ritenuta a titolo di acconto�, meccanismo che gi� opera in larga misura e che si estenderebbe (art. 26, ult. comma, d.P.R. n. 600) ai redditi de quibus se e per quanto classificati tra quelli di capitale; ovviamente, ove e per quanto si optasse per una loro classificazione tra i redditi � diversi � occorrerebbe una disposizione ad hoc. A questo proposito, si aggiunge che non vi sono ragioni ostative alla estensione, se e per quanto opportuno, a taluni componenti positivi del reddito d'impresa il meccanismo della ritenuta d'acconto (del resto, esso gi� opera per le � provvigioni � di rappresentanti ad agenti di commercio e categorie similari). Le royalties appai�no particolarmente idonee ad una generalizzata sottoposizione a ritenuta d'acconto: esse per solito rimangono nettamente distinte dalla corrente gestione aziendale, hanno limitati collegamenti con i componenti negativi del reddito d'impresa, ed hanno consistenza tale ,da giustificare l'imposizione di obblghi strumentali (e di versamento) specifici ed aggiuntivi. Sempre pi� palese appare l'esigenza di porre al centro dell'ordinamento tributario la tematica dell'accertamento, anzich� quella della individuazione della materia imponibile: neJilo strutturare i tnibuti -tutti i tvibuti -pveoccupazione primaria dovrebbe essere non solo il �gettito di danaro � da dascuno di essi ottenibile ma anche, per cos� dire, il �gettito di informazioni� utilizzabili. FRANCO FAVARA LEGISLAZIONE I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI Legge 8 agosto 1895, n. 486, art. 39, allegato T, nella parte concernente la giurisdizione della Corte dei conti in ordine alla liquidazione delle pensioni spettanti ai dipendenti del Banco di Napoli. Sentenza 19 gennaio 1984, n. 1, G. U. 25 gennaio 1984, n. 25. II -QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE Codice civile,. combinato disposto artt. 2751-bis n. 2, 2758 e 2778, n. 7 (art. 53 della Costituzione). Sentenza 15 febbraio 1984, n. 25, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. r,dJ. 4 ottobre 1935, n. 1827, art. 73, primo comma (art. 38 della Costituzione). Sentenza 15 febbraio 1984, n. 28, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. legge 18 marzo 1958, n. 311, art. 22, primo e terzo comma e 13, terzo e quarto comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 22 febbraio 1984, n. 38, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 13 (artt. 3, 35, 36 e 38 della Costituzione). Sentenza 15 febbraio 1984, n. 27, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 13, quinto comma (artt. 3, 24, 36, secondo I I ~ comma, e 38 della Costituzione). I ~ Sentenza 15 febbraio 1984, n. 26, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. � [ legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 48, terzo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 15 febbraio 1984, n. 29, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 27, primo e secondo comma, 29, 67 e 73 (artt. 3, 35 e 41 della Costituzione). Sentenza 22 febbraio 1984, n. 40, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. I w I i::: III -QUESTIONI PROPOSTE Codice di procedura civile artt. 415 e 416 (art. 24 della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 25 febbraio 1983, n. 555, G. U. 4 gen� naio 1984, n. 4. PARTE II, LEGISLAZIONE codice di procedura civile, art. 416, primo comma (art. 24 della Costituzione). Pretore di Siracusa, ordinanza 17 giugno 1983, n. 676, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. codice. di procedura civile, art. 429, terzo comma (artt. 1, 3, 4, 34, 36 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 7 novembre 1980, n. 659/83, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. codice di procedura civile, artt. 431, terzo e quarto comma, e 423, quarto comma [come modificato dall'art. 1 legge 11 agosto 1973, n. 533] (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Bari, ordinanza 9 giugno 1983, n. 780, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. codice di procedura civile, art. 657 (artt. 2, 3, 41, 42 e 47 della Costituzione). Pretore di Gallarate, ordinanza 23 febbraio 1983, n. 759, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. codice di procedura civile, art. 657 (artt. 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Gallarate, ordinanze (sei) 15 gennaio 1983, nn. 753-758, G. U. 10 febbraio 1984, n. 32. codice di procedura civile, art. 709 (art. 24 della Costituzione). Tribunale di Lecce, ordinanza 30 luglio 1983, n. 765, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. codice penale, art. 2, ultimo comma (art. 77 della Costituzione). Pretore di Cervignano del Friuli, ordinanza 11 maggio 1983, n. 854, G. U. 4 gennaio 1984, n. 4. codice penale, art. 102 (art. 27 della Costituzione). Magistrato di sorveglianza presso il tribunale di Roma, ordinanza 24 gennaio 1983, n. 702, G. U. 1� febbraio 1984, n. 32. Magistrato di sorveglianza presso il tribunale di Roma, ordinanza 24 gennaio 1983, n. 720, G.U. 8 febbraio 1984, n. 39. codice penale, art. 341 (artt. 3 e 27 della Costituzione). Tribunale di Udine, ordinanza 3 maggio 1983, n. 594, G. U. 4 gennaio 1984, n. 4. codice penale, art. 341 (artt. 3 e 27 della Costituzione). Pretore di Verona, ordinanza 31 maggio 1983, n. 735, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA ,DELLO STATO codice penale, art. 556, ultimo comma .(art. 3 della Costituzione). Tribunale di Cagliari, ordinanza 7 gennaio 1983, n. 570, G. U. 4 gennaio 1984, n. 4. codice penale, art. 570, terzo comma [aggiunto dall'art. 90 della legge 24 novembre 1981, n. 689) (art. 29 della Costituzione). Pretore di Orvieto, ordinanza 31 maggio 1983, n. 760, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. codice penale, art. 684 (art. 21 della Costituzione). Tribunale di Genova, ordinanza 9 giugno 1983, n. 768, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. codice penale, art. 699 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Ales, ordinanze (due) 29 giugno 1983, nn. 905 e 906, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. codice penale, art. 724 (artt. 3, 8, 19 e 21 della Costituzione). Pretore di Montorio al Vomano, ordinanza 22 luglio 1983, n. 868, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. codice di procedura penale, art. 26 (artt. 3, 25 e 103 della Costituzione). Corte dei conti, ordinanza 2 aprile 1982, n. 874/83, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. codice di procedura penale, art. 164, primo comma, n. 1 (art. 21 della Costituzione). Tribunale di Genova, ordinanza 9 giugno 1983, n. 768, G. U. 8 febbraio 1984, n. '39. codice di procedura penale, artt. 263-bis e 263-ter (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale militare di Bari, ordinanza 23 febbraio 1983, n. 689, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. codice di procedura penale, art. 647, secondo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Corte di Cassazione, ordinanza 13 maggio 1983, n. 704, G. U. 1� febbraio 1984, n. 32. codice penale militare di pace, art. 58 (art. 3 della Costituzione). Tribunale militare di Padova, ordinanza 9 giugno 1983, n. 733, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. codice penale militare di pace, art. 191 (art. 3 della Costituzione). Tribunale militare di Verona, ordinanza 27 maggio 1983, n. 660, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. PARTE II, LEGISLAZI!)NE r.d. 8 gennaio 1931, n. 148, art. 18 reg. ali. A (artt. 3 e 35 della Costituzione). Pretore di Pisa, ordinanza 3� luglio 1983, n. 796, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. r.d. 27 luglio 1934, n. 1340, art. 12, lett. a) [convertito nella legge 16 maggio 1935, n. 834] (art. 3 della Costituzione). Corte dei conti, ordinanza 21 ottobre 1982, n. 682/83, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. legge 23 novembre 1939, n. 1815 (artt. 3, 4 e 41 della Costituzione). Tribunale di L'Aquila, ordinanze (tre) 9 giugno 1983, nn. 743-745, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. Tribunale di L'Aquila, _ordinanza 9 giugno 1983, n. 746, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. d.IJgt. 23 novembre 1944, n. 382, art. 14, secondo comma (art. 108 della Costituzione). Corte costituzionale, ordinanza 30 settembre 1983, n. 907, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. legge 2 marzo 1949, n. 144, art. 15 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Sondrio, ordinanza 28 aprile 1983, n. 620, G.U. 11 gennaio 1984, n. 11. Tribunale di Sondrio, ordinanza 19 maggio 1983, n. 769, G.U. 15 febbraio 1984, n. 46. legge 23 maggio 1950, n. 253, art. 35 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Orvieto, ordinanza 24 maggio 1983, n. 729, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. legge 19 marzo 1955, n. �160, artt. 9, 10 e 15 (artt. 3, 32 e 38 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 28 aprile 1983, n. 709, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. legge 19 marzo 1955, n. 160, art. 24 (art. 3 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 11 gennaio 1982, n. 657/83, G. U. 25 gennaio 1984, n. 25. legge 12 novembre 1955, n. 1137, art. 61, secondo comma [come modificato dall'art. 9 legge 16 novembre 1962, n. 1622, dall'art. 6 legge 18 novembre 1964, n. 1249, e dall'art. 2 legge 2 dicembre 1975, n. 626] (artt. 3 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 10 febbraio 1982, n. 708/83, G. U. 25 gennaio 1984, n. 25. 22 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.P.R. 11 gennaio 1956, n. 19, art. 1, secondo comma (artt. 3 e 36 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 19 maggio 1980, n. 658/83, G. V. 8 febbraio 1984, n. 39. legge 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 4, secondo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 31 marzo 1983, n. 601, G. V. 11 gennaio 1984, n. 11. legge 26 ottobre 1957, n. 1047, art. 18 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Firenze, ordinanza 25 marzo 1983, n. 795, G. V. 29 febbraio 1984, n. 60. d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 87 e 89 (artt. 3, 38, 53 e 76 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Palermo, ordinanza 24 gennaio 1983, n. 848, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 89, ultimo comma, e 140, ultimo comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Como, ordinanza 16 aprile 1983, n. 740, G. V. 15 febbraio 1984, n. 46. t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 127, terzo comma, lett. d) (art. 53 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 6 aprile 1983, n. 690, G. V. 25 gennaio 1984, n. 25. d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, art. 53, secondo comma (art. 3 dela Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Campania, ordinanza 14 aprile 1983, n. 879, G.. V. 29 febbraio 1984, n. 60. legge 30 gennaio 1962, n. 283, art. 17 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Salerno, ordinanza 22 giugno 1983, n. 701, G. V. l� febbraio 1984, n. 32. legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Messina, ordinanza 29 aprile 1983, n. 781, G. V. 15 febbraio 1984, n. 46. legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2 cpv., lett. a) (art. 3 della Costituzione). Pretore di Siena, ordinanza 28 marzo 1983, n. 718, G. V. 8 febbraio 1984, n. 39. PARTE II, LEGISLAZIONE legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, secondo comma, lett. a) (art. 3 della Costituzione). Pretore di Siena, ordinanza 26 maggio 1983, n. 627, G. U. 11 gennaio 1984, n. 11. Pretore di Sassari, ordinanza 9 giugno 1983, n. 698, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, secondo comma, lett. a) (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Palermo, ordinanza 17 maggio 1983, n. 639, G. U. 18 gennaio 1984, Il. 18. legge 22 novembre 1962, n. 1646, art. 24 (art. 3 della Costituzione). Corte dei conti, ordinanza 16 luglio 1982, n. 737/83, G. U. 8 febbraio 1984, Il. 39. legge 9 gennaio 1963, n. 9, art. 1, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Palermo, ordinanza 10 maggio 1983, n. 640, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. legge reg. Trentino-Alto Adige 7 settembre 1964, n. 30, artt. 2 e 3 (art. 18 della Costituzione e 4, 8, 16, 18 e 105 dello statuto della regione Trentino-Alto Adige). Pretore di Mezzolombardo, ordinanze (sei) 11 luglio 1983, nn. 711-716, G. U. 25 gennaio 1984, n. 25. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 11 [come modificato dalla legge 24 novembre 1981, n. 689] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Siena, ordinanza 19 maggio 1983, n. 565, G. U. 4 gennaio 1984, Il. 4. legge 15 luglio 1966, n. 604, art. 11, primo comma, seconda ipotesi (artt. 3 e 37 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 3 febbraio 1983, n. 644, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 3, lett. a) (art. 3 della Costituzione). Pretore di Mantova, ordinanza 7 giugno 1983, n. 700, G. U. 1� febbraio 1984, n. 32. legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 3, secondo comma, lettera b) (art. 3 della Costituzione). Pretore di Verona, ordinanza 21 giugno 1983, n. 776, G. U. 29 febbraio 1984, Il. 60. 24 RASSEGNA DBLL1AWOCA'IURA DELLO STATO legge reg. Friuli-Venezia Giulia 27 marzo 1968, n. 20, art. 49 (artt. 3, 5, 25 e 117 della Costituzione). Tribunale di Udine, ordinanza 9 giugno 1983, n. 673, G. V. 18 gennaio 1984, n. 18. legge 2 aprile 1968, n. 482, art. 11 (artt. 38 e 41 della Costituzione). Pretore di Grumello del Monte, ordinanza 18 aprile 1983, n. 772, G. V. 15 febbraio 1984, n. 46. legge 2 aprile 1968, n. 482, art. 16, quarto comma (artt. 3, 38 e 41 della Costituzione). Pretore di Ivrea, ordinanza 16 maggio 1983, n. 612, G. V. 11 gennaio 1984, n. 11. legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 23 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Siena, ordinanza 26 maggio 1983, n. n. 11. Pretore di Messina, ordinanza 29 aprile 1983, n. n. 46. legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 23 (artt. 3 e 38 ~=: Pretore di Palermo, ordinanza 17 maggio 1983, n. 639, G. V. 18 gennaio 1984, i~ n. 18. i~ ' legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 23 cpv. (art. 3 della Costituzione). Pretore di Siena, ordinanza 28 marzo 1983, n. 718, G. V. 8 febbraio 1984, n. 39. Il. . legge reg. Sicilia 30 luglio 1969, n. 29, art. 5 (art. 36 statuto speciale regione Sicilia). Corte di cassazione, ordinanza 12 marzo 1982, n. 580/83, G. V. naio 1984, n. 4. legge 24 dicembre 1969, n. 990, artt. 6 e 18 (art. 11 della Costituzione). Pretore di Modena, ordinanza 29 marzo 1983, n. 830, G. V. 29 febbraio 1984, n. 60. legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 7, secondo e terzo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Catania, ordinanza 17 maggio 1983, n. 827, G. V. 29 febbraio 1984, n. 60. legge 24 maggio 1970, n. 336, artt. 1, 2 e 3, primo, secondo e 4 (art. 81 della Costituzione). Pretore di Fiesole, ordinanza 11 febbraio 1983, n. 691, G. V. n. 25. 627, G. V. 11 gennaio 1984, 781, G. V. 15 febbraio 1984, della Costituzione). l I,_, 4 gen ' I fil w e terzo comma, ~:: �:: ~~i 25 gennaio 1984, >:= i ~'.~ , . . l ll!1t�; ' : iiP'=iitiiliillilirar�iiiiiilr0r�t7!1$Fi�W�tltl�t�liifll PARTE II, LEGISLAZIQNE 2J legge 9 ottobre 1971, n. 824, art. 6 (art. 81 della Costituzione). Pretore di Ancona, ordinanza 28 gennaio 1983, n. 635, G. U. 11 gennaio 1984, n. 11. Pretore di Firenze, ordinanza 11 febbraio 1983, n. 691, G. U. 25 gennaio 1984, n. 25. TribwJale di Napoli, ordinanza 27 aprile 1983, n. 721, G. U. 25 gennaio 1984, n. 25. Pretore di Ancona, ordinanza 3 maggio 1983, n. 778, G. U. 25 gennaio 1984, n. 25. Pretore di Ancona, ordinanza 11 maggio 1983, n. 779, G. U. 25 gennaio 1984, n. 25. Pretore di Venezia, ordinanze (due) 23 marzo 1983, nn. 859 e 860, G. U. 25 gennaio 1984, n. 25. legge 29 ottobre 1971, n. 889, artt. 5 e 17 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Benevento, ordinanze (tre) 28 settembre 1983, nn. 961-963, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. legge 29 ottobre 1971, n. 889, artt. 5 e 17 (artt. 3, 36, 38, 42 e 53 della Costituzione). Pretore di Bari, ordinanza 21 maggio 1983, n. 784, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. d.I. 25 maggio 1972, n. 202 (art. 76 della Costituzione). Commissione comunale per i tributi locali di Roma, ordinanza 9 novero� bre 1981, n. 685/83, G. U. 25 gennaio 1984, n. 25. d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, art. 68, quarto comma (artt. 3 e 77 della Costituzione). Corte dei conti, ordinanza 3 novembre -1982, n. 647/83, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, artt. 12, primo e terzo comma e 24, primo comma, primo e secondo periodo (artt. 3 e 42 della Costituzione). Corte d'appello di Trento, ordinanza 26 aprile 1983, n. 600, G. U. 4 gen� naio 1984, n. 4. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (art. 76 della Costituzione). Commissione comunale per i tributi locali di Roma, ordinanza 9 novembre 1981, n. 685/83, G. U. 25 gennaio 1984, n. 25. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 16 (art. 24 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Udine, ordinanza 11 maggio 1983, n. 741, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 16 e 19 (artt. 24 e 27 dt;!lla Costituzione). Tribunale di Trani, ordinanza 16 giugno 1983, n. 789, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. 26 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 17, secondo comma (artt. 24, 53 e 97 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Ascoli Piceno, ordinanza 26 aprile 1983, n. 814, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 35, quinto comma [come modificato dall'art. 23 d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739) (art. 24 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Milano, ordinanza 7 maggio 1982, n. 686/83, G. U. 1� febbraio 1984, n. 32. d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art..332 (artt. 3 e 27 della Costituzione). Tribunale di Napoli, ordinanza 9 giugno 1983, n. 677, G. U. 18 gennaio 1984. n. 18. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 334, primo comma, n. 3 [modificato dall'art. 45 legge 14 aprile 1975, n. 103] (artt. 3 e 27 della Costituzione). I Pretore di Borgomanero, ordinanza 23 marzo 1983, n. 564, G. U. 4 gen naio 1984, n. 4. I I f, d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 322 (artt. 3 e 21 della Costituzione). ' i= l f. Pretore di Roma, ordinanza 16 maggio 1983, n. 869, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 334, 335, 336, 183, primo comma e 195, primo comma, n. 2 [come modificati dall'art. 45 legge 14 aprile 1975, n. 103) (artt. 3 e 21 della Costituzione). I ~ Pretore di Trieste, ordinanza 30 marzo 1983, n. 634, G. U. 11 gennaio 1984, n. 11. legge reg. Basillcata 4 maggio 1973, n. 10, art. 2, secondo e quarto comma (artt. 117 e 130 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Basilicata, ordinanza 22 feb l braio 1983, n. 603, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. ~ dl. 24 luglio 1973, n. 426, art. 1, quarto comma [convertito in legge 4 agosto 1973, n. 495) (art. 3 della Costituzione). Pretore di Padova, ordinanza 3 febbraio 1983, n. 656, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 10, lettera g) [come modificato dall'art. 5, primo comma, legge 13 aprile 1m, n. 114) (artt. 3, 29, 30 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Milano, ordinanza 20 gennaio 1983, n. 844, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. PARm II, LEGISLAZIONE 27 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 12, Iett. e), 14 e 46, secondo comma (artt. 3, 38 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Roma, ordinanza 20 aprile 1983, n. 674, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 12, lettera e) e 46 (artt. 3, 38, 53 e 76 della Costituzione). � Commissione tributaria di secondo grado di Ascoli Piceno, ordinanza 31 maggio 1983, n. 813, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 46, secondo comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Como, ordinanza 16 aprile 1983, n. 740, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 46, 56, primo comma, e 57, secondo comma (artt. 24 e 27 della Costituzione). Tribunale di Trani, ordinanza 16 giugno 1983, n. 789, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 43 (art. 23 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Taranto, ordinanza 26 marzo 1983, n. 642, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, artt. 85, secondo comma, 86, primo comma, e 87, secondo comma (artt. 3 e 38 della Costituzione). Corte dei conti, ordinanza 31 gennaio 1983, n. 648, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. legge 6 giugno 1974, n. 298, art. 46 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Mondov�, ordinanza 10 maggio 1983, n. 722, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. dJ. 8 luglio 1974, n. 264, art. 7, sesto comma [come convertito nella legge 17 agosto 1974, n. 386] (art. 39 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria, ordinanze (due) 6 luglio 1979, nn. 621 e 622/83, G. U. 11 gennaio 1984, n. 11. legge 14 ottobre 1974, n. 497, art. 12 (art. 3 della Costituzione). Tribwiale di Velletri, ordinanza 12 agosto 1983, n. 876, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. d.P.R. 31 marzo 1975, n. 136, art. 8, n. 5 (art. 3 della Costituzione). Consiglio di Stato, sezione sesta giurisdizionale, ordinanza 25 marzo 1983, n. 861, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. 17 28 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 14 aprile 1975, n. 103, artt. 40, primo e secondo comma, e 44, secondo comma (artt. 3, 21 e 41 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale delle Marche, ordinanza 23 febbraio 1983, n. 645, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. legge 14 aprile 1975, n. 103, art. 45 (artt. 3 e 21 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 16 maggio 1983, n. 869, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 5, quarto e sesto comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Sondrio, ordinanze (due) 3 maggio 1983, nn. 785 e 786, G. U. 1� febbraio 1984, n. 32. Pretore di Lucca, ordinanza 22 marzo 1982, n. 747/83, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 23, terzo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Bassano del Grappa, ordinanza 21 aprile 1983, n. 636, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 22, primo comma, e 23, primo comma (artt. 3, 27 e 36 della Costituzione). Magistrato di Sorveglianza presso il tribunale di Padova, ordinanza 9 maggio 1983, n. 672, G. U. 25 gennaio 1984, n. 25. legge 26 luglio 1975, n. 354, artt. 47 cpv. e 48, ultimo comma (artt. 3, 25 e 27 della Costituzione). Corte d'appello di Messina, ordinanza 17 novembre 1976, n. 625/83, G. U. 11 gennaio 1984, n. 11. legge 26 luglio 1975, n. 354, artt. 47 cpv., 48, ultimo comma e 54 ultimo comma (artt. 3, 25 e 27 della Costituzione). Corte d'appello di Messina, ordinanza 17 novembre 1976, n. 626/83, G. U. 11 gennaio 1984, n. 11. legge 26 luglio 1975, n. 354, artt. 47 cpv. e 54, ultimo comma (artt. 3, 25 e 27 della Costituzione). Corte d'appello di Messina, ordinanze (due) 17 novembre 1976, nn. 623 e 624/83, G. U. 11 gennaio 1984, n. 11. legge 22 novembre 1975, n. 685, artt. 26 e 28 (art. 3 della Costituzione). I !~ Tribunale di Pisa, ordinanza 2 febbraio 1983, n. 687, G. U. 1� febbraio 1984, 11. 32. ~ legge 22 novembre 1975, n. 685, artt. 26, 28, 71, .72 e 80 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Padova, ordinanza 12 aprile 1983, n. 790, G. U. 29 febbraio 1:: 1984, n. 60. ~ ' 1 rj1~ .. -: ~ ;, ~ ... =~ �:: ;, PARTE II, LEGISLAZIONE legge 23 dicembre 1975, n. 698, art. 9, ultimo comma, seconda parte [nel testo modificato dalla legge 1� agosto 1977, n. 563] (artt. 3, 36, 38 e 42 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 14 giugno 1982, n. 596/83, G. U. 11 gennaio 1984, n. 11. d.l. 4 marzo 1976, n. 31, art. l, sesto comma [convertito in legge 30 aprile 1976, n. 159] (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanze (due) 6 luglio 1983, nn. 763 e 764, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. legge 29 aprile 1976, n. 177, art. 27, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale, ordinanza 28 settembre 1982, n. 736/83, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. legge 10 maggio 1976, n. 319, artt. 9 e 15, sesto e settimo comma, e nota in calce alla tabella C (art. 24, della Costituzione). Pretore di Asola, ordinanza 28 ottobre 1982, n. 742/83, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. legge 28 gennaio 1977, n. 10, art. 17, lett. b) (art. 3 della Costituzione). Pretore di Poggibonsi, ordinanza 16 maggio 1983, n. 561, G. U. 4 gennaio 1984, n. 4. legge 13 aprile 1977, n. 114, art. 5 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Enna, ordinanza 16 dicembre 1981, n. 752/83, G. U. 11 gennaio 1984, n. 11. d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, artt. 51 e 53 (artt. 97 e 117 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 5 luglio 1982, n. 826/83, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. legge reg. Piemonte 5 dicembre 1977, n. 56, art. 18, primo comma e 55, diociottesimo comma (artt. 41, 42, 117 e 123 della Costituzione e 4 e 5 dello statuto reg. Piemonte). Pretore di Dogliani, ordinanza 9 giugno 1983, n. 782, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. legge 3 gennaio 1978, n. 1, art. 1, primo comma (art. 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 27 aprile 1983, n. 646, G. V. 25 gennaio 1984, n. 25. legge 1 febbraio 1978, n. 30, art. 9 (artt. 3 e 35 della Costituzione). Pretore di Pisa, ordinanza 30 luglio 1983, n. 796, G. V. 29 febbraio 1984, n. 60. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 1 e 3 (artt. 2, 3, 41, 42 e 47 della Costituzione). Pretore di Gallarate, ordinanza 23 febbraio 1983, n. 759, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 1 e 58 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Gallarate, ordinanze (sei) � 15 gennaio 1983, nn. 753-758, G. U. 1� febbraio 1984, n. 32. l�gge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 1, 3, 58 e 65 (artt. 2, 3, 10, 30, 31, 32, 41, 42 e 47 della Costituzione). Pretore di Torre Annunziata, ordinanza 26 aprile 1983, n. 692, G. U. 25 gennaio 1984, n. 25. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 3 (artt. 2, 3, 30, 31, 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Camerino, ordinanza 22 giugno 1983, n. 777, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (artt. 2, 3, 30, 31 e 41 della Costituzione). Pretore di Menaggio, ordinanza 18 maggio 1983, n. 697, G. U. 8 feb� braio 1984, n. 39. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (artt. 2, 3, 30, 31, 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Menaggio, ordinanza 18 luglio 1983, n. 770, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (artt. 2, 3, 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Ruvo di Puglia, ordinanze (quindici) 15 luglio 1983, nn. 798-812, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (artt. 2, 3, 41, 42 e 47 della Costituzione). Pretore di Gallarate, ordinanze (sei) 15 gennaio 1983, nn. 753-758. G. U. 1� febbraio 1984, n. 32. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (artt. 3 e 42 della Costituzione). Pretore di Bari, ordinanza 21 giugno 1983, n. 693, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. Pretore di Bari, ordinanza 5 luglio 1983, n. 734, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. PARTE II, LEGISLAZIONE legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (art. 42 della Costituzione). Pretore di Napoli, ordinanza 1" giugno 1983, n. 694, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 29, secondo comma, primo periodo (artt. 3 e 41 della Costituzione). Pretore di Chiavari, ordinanza 30 giugno 1983, n. 903, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 58 e 65 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 8 giugno 1983, n. 825, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 60, primo comma (artt. 3 e 24 della Costi� tuzione). Pretore di Monza, ordinanza 29 aprile 1983, n. 793, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69, settimo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Orvieto, ordinanza 24 maggio 1983, n. 727, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69, settimo comma (artt. 3 e 42 della Costituzione). Tribunale di Arezzo, ordinanza 17 giugno 1983, n. 775, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. Tribunale di Sciacca, ordinanza 25 marzo 1983, n. 773, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. d.P.R. 4 agosto 1978, n. 413, art. 6, terzo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 4 marzo 1983, n. 696, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. legge 9 agosto 1978, n. 463, art. 8 (artt. 3 e 36 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 16 novembre 1981, n. 641/83, G. U. 25 gennaio 1984, n. 25. legge prov. di Trento 9 dicembre 1978, n. 56, artt. 1, 2 e 3 (art. 18 della Costituzione e 4, 8, 16, 18 e 105 dello statuto regionale Trentino-Alto Adige). Pretore di Mezzolombardo, ordinanze (sei) 11 luglio 1983, nn. 711-716, G. U. 25 gennaio 1984, n. 25. legge 23 dicembre 1978, n. 833, art. 57 (artt. 3 della Costituzione). Pretore di Piacenza, ordinan1.a 20 maggio 1983, n. 751, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. 32 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO legge 8 gennaio 1979, n. 3, art. 1 [di conversione dell'art. 5, quindicesimo comma, d.I. 10 novembre 1978, n. 702] (artt. 3, 4, 35 e 97 della Costituzione). Pretore di Ancona, ordinanza 17 giugno 1983, n. 719, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. legge 7 febbraio 1979, n. 29, art. 9 (artt. 3 e 36 della Costituzione). Pretore di Pistoia, ordinanza 22 aprile 1983, n. 655, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. legge 3 aprile 1979, n. 101, art. 41 (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). Tribunale ,amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 28 giugno 1982, n. 843/83, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. d.P.R. 27 settembre 1979, n. 506, art. 2 (artt. 76 e 77 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Monza, ordinanza 19 aprile 1983, n. 792, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. d.l. 30 dicembre 1979, n. 663, art. 3, lettera b) [convertito in legge 29 feb� braio 1980, n. 33] (artt. 3 e 53 della Costituzione). Pretore di Latina, ordinanza 6 dicembre 1982, n. 739/83, G. U. 15 feb� braio 1984, n. 46. Pretore di Latina, ordinanza 20 dicembre 1982, n. 738/83, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. legge 21 febbraio 1980, n. 28, art. 4 lett. d) (artt. 3, 4 e 76 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 12 maggio 1983, n. 748, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. d.P.R. 26 marzo 1980, n. 327, art. 41 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Salerno, ordinanza 22 giugno 1983, n. 701, G. U. 1� febbraio 1984, n. 32. d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 13, primo comma, n. 7 (artt. 3, 4 e 76 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 12 maggio 1983, n. 748, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. d.l. 28 maggio 1981, n. 255, art. 8 [come modificato dalla legge 24 luglio 1981, n. 391] (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 28 marzo 1983, n. 845, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. d.P.R. 2 luglio 1981, n. 271, artt. 1, 3 e 8 (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 28 marzo 1983, n. 845, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. PARTE II, LEGISLAZIONE d.l. 29 luglio 1981, n. 402, art. 12, sesto comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Piacenza, ordinanza 20 maggio 1983, n. 751, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 20, quinto comma (artt. 2, 30 e 47 della Costituzione). Pretore di Modena, ordinanza 25 maggio 1983, n. 695, G. U: 25 gennaio 1984, n. 25. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 21, terzo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Lucca, ordinanza 30 marzo 1983, n. 613, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53 e 77 (artt. 3 e 101 della Costituzione). Pretore di Legnano, ordinanza 23 maggio 1983, n. 705, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53, primo comma, e 77, primo e secondo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Dolo, ordinanza 19 maggio 1983, n. 699, G. U. 1� febbraio 1984, n. 32. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 60, ultimo comma (artt. 3 e 27 della Costituzione). Pretore di Orvieto, ordinanza 5 maggio 1983, n. 761, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. Pretore di Orvieto, ordinanza 24 maggio 1983, n. 762, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (art. 3 della Costituzione). Pretore di La Spezia, ordinanze (due) 6 maggio 1983, nn. 562 e 563, G. U. 4 gennaio 1984, n. 4. Pretore di Milano, ordinanza 31 gennaio 1983, n. 571, G.U. 4 gennaio 1984, n. 4. Pretore di Oristano, ordinanza 16 maggio 1983, n. 614, G.U. 11 gennaio 1984, n. 11. Pretore di Padova, ordinanza 22 aprile 1983, n. 675, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. Pretore di Empoli, ordinanza 20 maggio 1983, n. 703, G. U. 1� febbraio 1984, n. 32. Pretore di Padova, ordinanza 23 maggio 1983, n. 791, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (artt. 3, 24 e 101 della Costituzione). Pretore di Catania, ordinanza 20 luglio 1983, n. 815, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (artt. 3 e 27 della Costituzione). Pretore di Pistoia, ordinanza 9 marzo 1983, n. 558, G. U. 4 gennaio 1984, n. 4. Pretore di Oristano, ordinanza 5 maggio 1983, n. 615, G. U. 11 gennaio 1984, n. 11. Pretore di Oristano, ordinanza 16 maggio 1983, n. 616, G. U. 11 gennaio 1984, n. 11. Pretore di Tione, ordinanza 24 marzo 1983, n. 617, G. U. 11 gennaio 1984, n. 11. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (artt. 25 e 101 della Costituzione). Pretore di Savona, ordinanza 11 maggio 1983, n. 681, G. U. 1� febbraio 1984, n. 32. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77, primo e secondo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Sassari, ordinanza 19 aprile 1983, n. 717, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 80 (art. 3 della Costituzione). I Pretore di Lecce, ordinanza 8 giugno 1983, n. 850, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. I I ffi i&t d.P.R. 18 dicembre 1981, n. 744, art. 2 (artt. 3 e 9 della Costituzione). ~ Pretore di Venezia, ordinanza 25 novembre 1982, n. 829/83, G. U. 29 feb-~ braio 1984, n. 60. ~: ti d.P.R. 18 dicembre 1981, n. 744, art. 6, terzo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 4 marzo 1983, n. 696, G. U. 8 febbraio 1984, I!! n. 39. I legge 14 gennaio 1982, n. 164, artt. 1 e 5 (artt. 2, 3, 29, 30 e 32 della Costi-:=; . tuzione). Corte di cassazione, ordinanza 15 aprile 1983, n. 783, G. U. 29 febbraio 1984, I '~I n. 60. . I d.I. 23 gennaio 1982, n. 9, art. 14, quinto comma, lett. b) [convertito in legge 25 marzo 1982, n. 94] (artt. 3, 24, 31 e 36 della Costituzione). [, I t~ Pretore di Milano, ordinanze (quindici) 31 luglio 1982, nn. 923-937/83, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. w i ~ d.l. 23 gennaio 1982, n. 9, art. 15-bis [introdotto dalla legge di conversione 25 marzo 1982, n. 94] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Varese, ordinanza 16 novembre 1982, n. 598/83, G. U. 4 gen~; naio 1984, n. 4. Pretore di Biella, ordinanza 17 maggio 1983, n. 649, G. U. 11 gennaio 1984, r n. 11. r !l: Pretore di Milano, ordinanza 30 marzo 1983, n. 650, G. U. 11 gennaio 1984, Ir n. 11. Pretore di Ravenna, ordinanze (due) 2 luglio 1983, nn. 787 e 788, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. .- rI:~ . . lil!lil�ilittifrli~Pi�iiiliiifitifilJi#Mi�f~fitii#&llfl�.fliMllllArtlll.ir PARTE II, LEGISLAZIONE legge 25 marzo 1982, n. 94, art. 15-bis (art. 3 della Costituzione). Pretore di Busto Arsizio, ordinanza 21 giugno 1983, n. 724, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. Pretore di Roma, ordinanza 10 maggio 1983, n. 817, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. Pretore di Roma, ordinanza 5 luglio 1983, n. 818, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. Pretore di Roma, ordinanza 18 giugno 1983, n. 819, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. Pretore di Roma, ordinanza 2 giugno 1983, n. 820, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. Pretore di Roma, ordinanza 14 giugno 1983, n. 821, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. Pretore di Roma, ordinanza 20 maggio 1983, n. 822, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. Pretore di Roma, ordinanza 9 giugno 1983, n. 823, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. Pretore di Roma, ordinanza 11 giugno 1983, n. 824, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. Pretore di Busto Arsizio, ordinanza 21 giugno 1983, n. 828, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. legge 25 marzo 1982, n. 94, art. 15-bis (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 24 maggio 1983, n. 816, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. legge 26 aprile 1982, n. 181, art. 14, quarto comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Piacenza, ordinanza 20 maggio 1983, n. 751, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. legge 3 maggio 1982, n. 203, art. 9 (artt. 42 e 44 della Costituzione). Tribtmale di Padova, ordinanza 19 aprile 1983, n. 873, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 9, 10, 13, 25, 26, 30 e 31 (artt. 3, 4, 41, 42, 43 e 44 della Costituzione).� Tribunale di Forl�, ordinanza 7 giugno 1983, n. 840, G. U. 11 gennaio 1984, n. 11. Tribunale di Forl�, ordinanze (due) 7 giugno 1983, nn. 841 e 842, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 9 e 15 (artt. 3, 42 e 44 della Costituzione). Tribunale di Nicosia, ordinanza 11 ottobre 1983, n. 996, G. U. 1� febbraio 1984, n. 32. legge 3 maggio 1982, n. 203, art. 25 (artt. 3 e 41 della Costituzione). Tribunale di Fermo, ordinanza 23 settembre 1983, n. 992, G. U. 1� febbraio 1984, n. 32. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 36 legge 3 maggio 1982, n. 203, art. 25 (art. 41 della Costituzione). Tribunale di Pesaro, ordinanza 28 maggio 1983, n. 994, G. U. 1� febbraio 1984, n. 32. legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26 e 28 (artt. 3, 41 e 44 della Costituzione). Tribunale di Mantova, ordinanze (due) 27 settembre 1983, nn. 950 e 951, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 28 e 30 (artt. 3, 4, 41, 42 e 44 della Costituzione). Tribunale di Modena, ordinanza 10 ottobre 1983, n. 993, G. U. 1� febbraio 1984, n. 32. legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 28 e 31 (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). Tribunale di Macerata, ordinanze (tre) 13 ottobre 1983, nn. 954, 955 e 956, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26 e 31 (artt. 3 e 41 della Costituzione). Tribunale di Ancona, ordinanze (due) 5 luglio 1983, nn. 831 . e 832, G.U. 4 gennaio 1984, n; 4. Tribunale di Ancona, ordinanze (due) 16 luglio 1983, nn. 833 e 834, G.U. 4 gennaio 1984, n. 4. Tribunale di Ancona, ordinanza 16 luglio 1983, n. 835, G. U. 11 gennaio 1984, n. 11. Tribunale di Ancona, ordinanze (due) 28 giugno 1983, nn. 836 e 837, G. U. 11 gennaio 1984, n. 11. Tribunale di Ancona, ordinanze (due) 11 giugno 1983, nn. 838 e 839, G. U. 11 gennaio 1984, n. 11. Tribunale di Ancona, ordinanza 8 ottobre 1983, n. 968, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. Tribunale di Ancona, ordinanze (sei) 8 ottobre 1983, nn. 969-974, G. U. 25 gennaio 1984, n. 25. legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 34 e 37 (artt. 3, 4, 41 e 44 della Costituzione). Tribunale di Mantova, ordinanza 12 luglio 1983, n. 902, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 28, 29 e 30 (artt. 3, 4, 41, 42, 43 e 44 della Costituzione). Tribunale di Vasto, ordinanze (tre) 1� luglio 1983, nn 1013-1015, G. U. 1� febbraio 1984, n. 32. PARTE Il, LEGISLAZIONE legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 28, 29, 30 e 31 (artt. 3, 4, 41, 42, 43 e 44 della Costituzione). Tribunale di Vasto, ordinanza 21 ottobre 1983, n. 1016, G. U. 1� febbraio 1984, n. 32. legge 29 maggio 1982, n. 297, art. 5, secondo e terzo comma (artt. 3 e 36 della Costituzione). Pretore di Biella, ordinanza 29 marzo 1983, n. 683, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. Pretore di Biella, ordinanza 29 marzo 1983, n. 684, G. U. 25 gennaio 1984, n. 25. legge 29 maggio 1982, n. 297, art. 5, terzo comma (artt. 3 e 36 della Costituzione). Pretore di Novara, ordinanza 10 giugno 1983, n. 797, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. d.P.R. 9 agosto 1982, n. 525, art. 1 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Varese, ordinanza 14 giugno 1983, n. 794, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. legge 12 agosto 1982, n. 532, art. 25 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale militare di Bari, ordinanza 23 febbraio 1983, n. 689, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. d.l. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19 [convertito in legge 27 novembre 1982, n. 873] (artt. 3, 11 e 24 della Costituzione). Corte d'appello di Milano, ordinanza 21 gennaio 1983, n. 723, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. d.l. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19, primo comma [convertito in legge 27 novembre 1982, n. 873] (artt. 3, 11 e 24 della Costituzione). Tribunale di Genova, ordinanza 26 maggio 1983, n. 710, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. d.P.R. 22 febbraio 1983, n. 43, artt. 1 e 2 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Varese, ordinanza 14 giugno 1983, n. 794, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. d.l. 12 settembre 1983, n. 463, art. 11, decimo comma [convertito in legge 11 novembre 1983, n. 638] (artt. 5, 9, 10, 16 e 54 dello statuto della regione Trentino-Alto Adige). Provincia autonoma di Trento, ricorso 16 dicembre 1983, n. 40, G.U. 4 gennaio 1984, n. 4. Provincia autonoma di Bolzano, ricorso 16 dicembre 1983, n. 41, G.U. 4 gennaio 1984, n. 4. JS RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.l. 18 ottobre 1983, n. 568, art. 1 [convertito con legge 9 dicembre 1983, n. 681] (art. 5, n. 1, statuto Trentino-Alto Adige). Regione Trentino-Alto Adige, ricorso 16 gennaio 1984, n. 1, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. legge 19 dicembre 1983, n. 696, art. 1 ed in particolare terzultimo, quarto e sesto comma (artt. 8, n. 9; 9, n. 8; 15, 16, 78 e 79 dello statuto speciale regione Trentino-Alto Adige). Provincia autonoma di Bolzano, ricorso 26 gennaio 1984, n. 2, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. legge 27 dicembre 1983, n. � 730, artt. 7, undicesimo, dodicesimo e tredicesimo comma, 29 e 31 (artt. 5, 117, 118, 119 e 81, quarto comma, della Costituzione). Regione Piemonte, ricorso 6 febbraio 1984, n. 10, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. Regione Emilia-Romagna, ricorso 6 febbraio 1984, n. 11, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. Regione Lombardia, ricorso 6 febbraio 1984, n. 12, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 7, tredicesimo comma (artt. 117, 119 e 81, quarto comma, della Costituzione). Regione Campania, ricorso 6 febbraio 1984, n. 8, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. legge 27 dicembre 1983, n. 730, artt. 7, tredicesimo comma; 24, primo comma; 29, 31, 32, quinto comma (artt. 81, 117 e 130 della Costituzione). Regione Toscana, ricorso 6 febbraio 1984, n. 9, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. legge 27 dicembre 1983, n. 730, artt. 7, ultimo comma, 19, 28, 29, 31, secondo comma, 35, quattordicesimo comma (artt. 5, 81, 115, 117, 119, 118, 123, 130 e 136 della Costituzione). Regione Veneto, ricorso 1� febbraio 1984, n. 3, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. legge 27 dicembre 1983, n. 730, artt. 7, ultimo comma; 25, ultimo comma; 27; 29, secondo comma, e 31 (artt. 15, 17, 19 e 20 dello statuto regione siciliana e 32 e 119 della Costituzione). Presidente regione siciliana, ricorso 3 febbraio 1984. n. 7, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 25, secondo e terzo comma (artt. 4, n. 7 e 16 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige}. Regione Trentino-Alto Adige, ricorso l� febbraio 1984, n. 4, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. PARTE II, LEGISLAZIONE legge 27 dicembre 1983, n. 730, artt. 25, secondo comma e terzultimo periodo, e 27, primo e ultimo comma (artt. 8, n. 1; 9, n. 10; 16 e 78 dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige). Provincia autonoma di Trento, ricorso 1� febbraio f984, n. 5, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. legge 27 dicembre 1983, n. 730, artt. 25, secondo � terzo comma, ultimo periodo; 27, primo e ultimo comma; e 29 (artt. 8, n. 1; 9, n. 10; 16; 54, n. 5; 78 e 80 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige). Provincia autonoma di Bolzano, ricorso 1� febbraio 1984, n. 6, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46.