ANNO XXXVI -N. 1 GENNAIO -FEBBRAIO 1984 


RASSEGNA 


DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 



Pubblicazione bimestrale di servizio 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 

ROMA 1984 



ABBONAMENTI. ANNO 1984 

ANNO L. 29.000 
UN NUMERO SEPARATO � 5.300 


Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 
Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma 
e/e postale n. 387001 

Stampato in Italia -Printed in ltal:! 
Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 


(5219187) Roma, 1984 -Is�tuto Poligrafico e Zecca dello Stato -P.V. 



INDICE 

Parte prima: GIURISPRUDENZA 

Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE {a cura de//'
avv. Franco Favara) pag. 
Sezione seconda: GIURISPRUDENZA 
ZIONALE {a cura 
COMUNITARIA 
del/'avv. Oscar 
E INTERNA-
Fiumara) � 65 
Sezione terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 
{a cura degli avvocati Carlo Carbone, Carlo 
Sica e Antonio Cingolo) � 83 
Sezione quarta: GIURISPRUDENZA CIVILE {a cura degli avvocati 
Antonio Catrica/� e Paolo Cosentino) � 89 
Sezione quinta� GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA {a cura 
gli avv. Raffaele Tamiozzo e G. P. Palizzi) 
de
� 11 O 
Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 
vocato Carlo Bafile) 
{a cura dell'av
� 132 
Sezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED 
APPALTI PUBBLICI {a cura degli avvocati Sergio 
Laporta, Piergiorgio Ferri e Paolo Vittoria) � 182 
Sezione ottava: GIURISPRUDENZA PENALE {a cura degli avvocati 
Paolo di Tarsia di Be/monte e Nicola Bruni) � 195 

Parte seconda: QUESTIONI -LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO 
NOTIZIARIO 

QUESTIONI 

pag. 
LEGISLAZIONE pag. 19 

La pubblicazione � diretta dall'avvocato: 
UGO GARGIULC 

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CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA 
DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AVVOCATURE 


Avvocati 


Glauco NoRI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Giovanni CONTU, Cagliari; 
Francesco GuICCIARDI, Genova; Marcello DELLA VALLE, Milano; Carlo BAFILE, 
L'Aquila; Giuseppe Orazio Russo, Lecce; Nicasio MANcuso, Palermo; Rocco 
BERARDI, Potenza; Maurizio DE FRANCHIS, Trento; Paolo SCOTTI, Trieste; 
Giancarlo MANo�, Venezia. 



ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI 


F. 
FAVARA, Le royalties (classificazione, trattamento ed accertamento) 
ed i soggetti privi di stabile organizzazione in Italia ....... . II, 
1 

G. 
P. PoLIZZI, Su una singolare ipotesi di discutibile interruzione 
ed ancora pi� discutibile riassunzione del processo amministrativo 
I, 
114 

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PARTE PRIMA 
INDICE ANALITICO -ALFABETICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 
PARTE PRIMA 
INDICE ANALITICO -ALFABETICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 
ASSISTENZA E BENEFICENZA PUB� 
BLICA 
-Invalido civile -Assegno o pensione � 
Diritto -Decorrenza � Dall'accerta� 
mento dello stato di bisogno e non 
da quello della invalidit� -Fatti� 
specie, 90. 
ATTO AMMINISTRATIVO 
-Incompetenza -Convalida con efficacia 
� ex tunc � � Ammissibilit� per 
atto impugnato, 125. 
COMMERCIO 
-Camera di commercio � Esercizio di 
funzioni amministrative � Potest� legislativa 
delle regioni � Sussistenza, 2. 
COMUNI 
-Comunit� montane � Non sono enti 
dipendenti dalle regioni, 2 � Uffici e 
funzioni di stato civile -Sono funzioni 
statali, 2. 
COMUNIT� EUROPEE 
-Armonizzazione delle legislazioni � 
Nozione di � medicinali � -Preparati 
farmaceutici, 72. 
-Lavoro -Parit� di trattamento fra 
uomini e donne � Congedo obbligatorio 
in caso di ingresso di bambino 
in famiglia adottiva, 65. 
-Lavoro � Parit� di trattamento fra 
uomini e donne -Direttiva comunitaria 
-Norme nazionali di attuazione, 
65. 
'"-Lavoro -Parit� di trattamento fra 
uomini e donne -Violazioni del principio 
-Rimedi giurisdizionali, 65. 
-Libera circolazione delle merci -Misure 
restrittive all'importazione -
Tutela della salute -Limiti -Vitamine, 
72. 
CORTE COSTITUZIONALE 
-Ricorso in via principale di una regione 
-Avverso decreto legge -Di� 
fetto dei presupposti prescritti � 
Non deducibilit�, 2. 
CORTE DEI CONTI 
-Funzioni giurisdizionali � Pensioni 
degli impiegati del Banco di Napoli -
Non attinenza alle materie di contabilit� 
pubblica, 60. 
CREDITO 
-Cassa depositi e prestiti -Assolve a 
funzione statale e non regionale, 2. 
-Depositi degli enti pubblici presso 
banche -Determinazione di un tetto � 
� competenza statale, 1. 
ESPROPRIAZIONE 
UTILIT� 
PER PUBBLICA 
-Occupazione d'urgenza -Immobile 
di propriet� dell'Amministrazione 
espropriante locato a terzi � Possibilit� 
-Illegittimit� per sviamento 
di potere, 110. 
-Occupazioni d'urgenza -Occupazioni 
per esecuzione di ope.re militari � 
Protrazione a tempo indeterminato � 
Risarcimento del danno -Spettan� 
za, 190. 
-Terreni destinati alla seconda Universit� 
degli studi di Roma -Indennit� 
-Controversia sulla sussistenza 
del titolo all'indennit� aggiuntiva � 
Giudice competente � � quello dell'opposizione 
a stima, 184. 
-Terreni destinati alla seconda Universit� 
degli studi di Roma -Indennit� 
� Deducibilit� del valore d'uso 
del fondo utilizzato da impresa diretto-
coltivatrice -Esclusione, 184. 
-Terreni destinati alla seconda Universit� 
degli studi di Roma -Indennit� 
-Stato delle colture agricole � 
Epoca di riferimento della sti� 
ma, 184. 

INDICB. DBLLA GI~ISPRUDBNZA 

GIURISDIZIONE CIVILE 

-Regolamento -Convenzione di sfalcio 
d'erba su terreno aeroportuale -Fine 
primario pubblicistico -Concessione 
amministrativa -Giurisdizione esclusiva 
del giudice amministrativo, 87. 

GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA 

-Atto impugnabile -Usi civici -Provvedimento 
del Commissario di reintegra 
a favore del Comune -Improponibilit�, 
120. 

-Avviso d'udienza -Mancata notifica 
ad Avvocatura Stato -Nullit� sentenza 
-Rimessione al primo giudice, 
127. 

-Avvocatura dello Stato -Costituzione 
in giudizio -Comparizione in camera 
di consiglio -Atto formale di 
costituzione -Non necessariet�, 127. 

-Avvocatura dello Stato -Notifica 
della sentenza -Notifica all'Amministrazione 
-Inidoneit� a far decorrere 
termine impugnativa, 127. 

-Esecuzione del giudicato -Domande 
nuove -Rivalutazione ed interessi Inammissibilit�, 
123. 

-Interruzione del processo -Morte 
del difensore -Conoscenza effettiva 
e conoscenza legale dell'evento -Fattispecie, 
114. 

-Interruzione del processo -Riassunzione 
-Prosecuzione volontaria -Deposito 
della procura al nuovo difensore 
-Istanza di fissazione di 
udienza, 114. 

-Ricorso -Notificazione -Persona 
convivente -Non veridicit� della circostanza 
-Irritualit�, 122. 

IMPIEGO PUBBLICO 

-Blocco delle assunzioni -Estesi 
anche al personale delle U.S.L. Legittimit� 
costituzionale -Potere 
di derogare al blocco -Per le U.S.L. 
spetta alle regioni, 3. 

-Concorso per segretario principale Titolo 
di studio -Diploma di geometra 
-Inidoneit�, 121. 

-Disciplina requisiti accesso -Deroghe 
a divieto discriminazione donne. 
Ammissibilit� -Necessit� norme regolamentari 
-Illegittimit� bando 
concorso implicitamente discriminatorio, 
126. 

-Donne -Atti discriminatori -Associazioni 
sindacali -Legittimazione a 
ricorrere per delega, 125. 

-Donne -Provvedimenti discriminatori 
� Giurisdizione amministrativa 
anche per azioni cautelari, 125. 

-Passaggio di carriera -Qualifica 
acquisita in altre amministrazioni 
Inidoneit�, 121. 

-Rapporto a tempo determinato Trasformazione 
in rapporto a tempo 
indeterminato -Esclusione, 122. 

-Requisiti necessari -Natura pubblicistica 
dell'Ente datore di lavoro Inserimento 
reale nell'apparato organizzativo 
dell'Ente -Obbligo atto 
formale di nomina -Non sussiste, 83. 

IMPRESA 

-Brevetti -Invenzioni industriali Brevetti 
e modelli di utilit� -Alternativit� 
-Protezione cumulativa Esclusione, 
95. 

LAVORO 

-Rapporto -Comando e distacco Temporaneit� 
-� requisito -Persistenza 
dell'interesse del distaccante � 
sufficiente, 89. 

-Rapporto -Trasferimento di azienda 
� Mancato trasferimento di organizzazione 
aziendale -Prosecuzione 
del rapporto di lavoro -Esclusione Fattispecie, 
89. 

LOCAZIONE 

-Immobili adibiti ad attivit� commerciali 
-Indennit� per la perdita 
dell'avviamento � Commisurazione Al 
canone corrente di mercato � Legittimit� 
costituzionale -Limite, 46. 

OBBLIGAZIONI 

-Prestazione d'opera intellettuale Compenso 
-Liquidazione -Criteri, 92. 


Vlll 
RASSEGNA DEU..'AVVOCATURA DBLLO STATO 

OPERE PUBBLICHE 

-Esecuzione -Concessionario di opera 
pubblica -Obbligazioni preordinate 
alla esecuzione dell'opera -Responsabilit� 
nei confronti dei terzi, 182. 

-Esecuzione -Delegazione amministrativa 
-Soggetti -Delegatario soggetto 
privato -Esclusione, 182. 

-Impianti sportivi -Trasferimento 
alle Regioni di funzioni amministrative 
per lavori pubblici di interesse 
regionale -Parere del CONI per progetti 
e impianti sportivi -Permanente 
necessit�, 124. 

PROCEDIMENTO CIVILE 

-Doppio grado di merito -Tutela 
costituzionale -Esclusione, 98. 

-Notificazione -Incertezza assoluta 
sulla data -Errore materiale riconoscibile 
-Nullit� -Non sussiste, 92. 

- 
Rappresentanza in giudizio della 

P.A. -Funzionari incaricati -Onorari 
di avvocato e competenze procuratorie 
-Spettanza -Esclusione, 98. 
-Ricorso principale nel merito -Ricorso 
incidentale condizionato -Questioni 
pregiudiziali di rito o di 
merito -Ammissibilit�, 83. 

- 
Spese processuali -Compensazione Questione 
di merito -Insindacabilit� 
in cassazione,� 92. 

REATO 

-Reati finanziari -In materia di imposte 
sui redditi e di IVA -Oblazione 
-Inapplicabilit� dell'art. 162 bis 
cod. pen., 197. 

-Reati valutari -Documenti acquisiti 
in perquisizione domiciliare effettuata 
dalla magistratura elvetica su 
rogatoria di quella italiana ai sensi 
Convenzione Europea di assistenza 
giudiziaria in materia penale del 
20 aprile 1959, in relazione a procedimento 
per reato di bancarotta Utilizzazione 
in altro procedimento 

per reato valutario -Legittimit�, 195. 

-Reati valutari -Non sono reati fiscali 
-Convenzione Europea di assistenza 
giudiziaria in materia penale 
del 20 aprile 1959 -Applicabilit�, 195. 

REGIONI 

-Agricoltura -Forestazione e rimboschimento 
-� compresa nella materia 
agricoltura, 3. 

-Depositi delle regioni presso banche 
-Determinazione di tetti -Potere 
del Ministro del Tesoro -Deve 
essere circoscritto dalla legge, 1. 

-Finanza regionale -Conti correnti 
delle regioni presso la tesoreria dello 
Stato -Carattere infruttifero -Legittimit� 
costituzionale, 2. 

-Finanza regionale -Fondi per il servizio 
sanitario Accreditamento 
presso la tesoreria dello Stato -Legittimit� 
costituzionale, 1. 

-Finanza regionale -Tetto alla spesa 
regionale complessiva -Contrasta 
con autonomia finanziaria delle regioni, 
2. 

-Finanza regionale e locale -Imposizione 
del parametro � tetto programmato 
di inflazione � -Legittimit� 
costituzionale, 2. 

-Potest� legislativa regionale -Nei 
settori trasferiti a comuni e proviincie 
-Sussiste, 2. 

-Regioni a statuto speciale e Provincie 
di Trento e di Bolzano -Funzione 
statale .di indirizzo e coordinamento Presupposti, 
52. 

-Trasporti pubblici di interesse regionale 
-Spese relative -Non possono 
essere poste a carico della 
regione se � di interesse nazio


nale '" 2. 

SANZIONI AMMINISTRATIVE 

-Depenalizzazione -Giudizi di opposizione 
ad ingiunzione -Pendenza prima 
della legge n. 689 del 1981 -Normativa 
anteriore -Applicabilit�, 98. 

-Depenalizzazione -Giudizio di opposizione 
ad ingiunzione -Natura -Poteri 
del giudice -Limiti generali della 
legge abolitiva del contenzioso -Applicabilit�, 
98. 

TRIBUTI ERARIALI DIRETTI 

-Accertamento -Redditi fondiari 
Catasto -Avviso di classamento Motivazione 
-Requisiti, 161. 


INDICE DELLA GIURISPRUDENZA 

-ILOR -Assegnazione del gettito allo 
Stato -Non contrasta con autonomia 
finanziaria delle regioni, 2. 

-Imposta sui redditi di ricchezza 
mobile -Plusvalenze -Intento di 
speculazione -Accertamento -Deducibilit� 
nel giudizio c;li terzo grado, 
136. 

-Imposta sui redditi di ricchezza mobile 
-Plusvalenza -Intento di speculazione 
-Criteri di determinazione, 
136. 

-Imposta sui redditi di ricchezza mobile 
-Redditi prodotti in Italia -Confezionamento 
in Italia di materie 
provenienti dall'estero -Sono tali Successiva 
vendita all'estero dei prodotti 
finiti -Irrilevanza, 153. 

-Imposta sulle societ� -Condono Riferimento 
all'ultimo imponibile 
definito -Agevolazione prevista in 
legge successiva -Irrilevanza ai fini 
del condono, 159. 

-Royalties corrisposte a soggetto 
estero -Classif�cazione tra i redditi 
di impresa -Quando il soggetto 
estero � impresa, 163. 

TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI 

-Imposta di registro -Agevolazione 
per costruzione di case di abitazione 
non di lusso -Area edificabile Nozione, 
132. 

-Imposta di registro -Permuta -Convenzione 
di reciproca deroga alle 
distanze legali -� tale, 132. 

-Imposte doganali -Prescrizione Costituzione 
di parte civile contro 
pi� imputati -Passaggio in giudicato 
della sentenza per alcuni e 
impugnazione di altri -Estensione 
dell'effetto interruttivo a tutti gli 
imputati -Esclusione, 155. 

-Imposte doganali -Prescrizione Procedimento 
penale contro pi� imputati 
-Impugnazione di sentenza di 
condanna di alcuni soltanto -Possibile 
effetto estensivo -Influenza sul 
corso della prescrizione verso l'imputato 
non impugnante -Esclusione, 
155. 

TRIBUTI IN GENERE 

-Contenzioso tributario -Giudizio di 
terzo grado -Alternativit� -Identit� 
di oggetto -Diversit� dei procedimenti 
-Illegittimit� costituzionale Manifesta 
infondatezza, 136. 

-Contenzioso tributario -Giudizio di 
terzo grado -Valutazione estimativa 
-Questioni relative all'esistenza 
del cespite, 135. 

-Contenzioso tributario -Soggetto 
rimasto estraneo al processo tributario 
-Decisione della commissione 
tributaria -Non � vincolante 
agli effetti penali, 43. 

URBANISTICA 

-� Jus aedificandi � -Limiti -Concessioni 
edilizie -Doverosit�, 40. 

-Opere abusive -Provvedimento del 
Sindaco applicativo di sanzione pecuniaria 
-Identit� sanzione rispetto 
ad altra annullata in sede giurisdizionale 
-Legittimit�, 123. 

-Opere abusive -Provvedimento del 
Sindaco applicativo di sanzione pecuniaria 
-Valutazione dell'U.T.E. del 
valore delle opere -Necessit� notifica 
precedente o contestuale, 123. 

-Opere abusive -Valutazione dell'U.
T.E. -Determinazione del valore 
in base al costo -Legittimit� per 
manufatti particolari, 123. 

-Piano Regolatore -Vincoli preordinati 
all'espropriazione -Limite quinquennale, 
121. 

USI CIVICI 

-Procedir;nento di legittimazione 
Provvedimento del Commissario di 
reintegra a favore del Comune Legittimit� 
Immediata esecutivit�, 
120. 

-Provvedimento del Commissario di 
reintegra a favore del Comune -Forma 
di sentenza -Giudizio inesistente 
-Illegittimit� per travisamento 
dei fatti, 120. 


INDICE CRONOLOGICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 

GIURISDIZIONI CIVILI 

CORTE COSTITUZIONALE 

22 ottobre 1982, n. 162 . 
5 maggio 1983, n. 127 . 
28 luglio 1983, n. 247 . . 

6 ottobre 1983, n. 300 . 
11 ottobre 1983, n. 307 . 
15 dicembre 1983, n. 340 . 
19 gennaio 1984, n. 1 . 


CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE 


26 ottobre 1983, nella causa 163/82 . 
30 novembre 1983, nella causa 227/82 . 


CORTE DI CASSAZIONE 


Sez. I, 9 agosto 1983, n. 5318 . 
Sez. Un. 13 ottobre 1983, n. 5960 . 
Sez. Un., 15 ottobre 1983, n. 6051 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Sez. I, 18 ottobre 1983, n. 6115 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Sez. Un., 21 ottobre 1983, n. 6175 .. 
Sez. I, 24 ottobre 1983, n. 6252 .... 


Sez. I, 3 novembre 1983, n. 
Sez. Lav., 5 novembre 1983, 
Sez. Un., 10 novembre 1983, 
Sez. I, 12 novembre 1983, n. 
Sez. I, 17 novembre 1983, n. 
Sez. I, 24 novembre 1983, n. 
Sez. Un., 30 novembre 1983, 


Sez. Lav., 2 dicembre 1983, n. 
Sez. Lav., 14 dice.mbre 1983, n. 
Sez. I civ., 15 dicembre 1983, 
Sez. I civ., 15 dicembre 1983, 


6474 . 

n. 6544 . 
n. 
6671 . 
6740 . . 
6854 . . 
7027 . . 
n. 
7187 . 
7220 . 
7374 . 

n. 7398 . 
n. 7409 . 
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pag. 1 
� 40 
� 43 
� 46 
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� 60 

pag. 65 
)) 72 

pag. 132 

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)) 182 

)) 89 

)) 184 

� 159 

� 161 

� 190 

� 163 

� 90 

)) 92 

� 95 

� 98 


INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA Xl 

GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE 

CONSIGLIO DI STATO 

Ad. Plen., 19 luglio 1983, n. 21 . pag. 110 
Ad. Plen., 10 ottobre 1983, n. 24 � 114 
Sez. IV, 13 ottobre 1983, n. 710 . � 120 
Sez. IV, 27 ottobre 1983, n. 742 . . � 121 
Sez. IV, 27 ottobre 1983, n. 744 . . � 121 
Sez. V, 30 settembre 1983, n. 405 . � 122 
Sez. V, 30 settembre 1983, n. 412. � 122 
Sez. V, 10 ottobre 1983, n. 430 . � 123 
Sez. V, 19 ottobre 1983, n. 456 . . )) 123 
Sez. V, 28 ottobre 1983, n. 506 . . � 124 
Sez. VI, 24 settembre 1983, n. 683 . � 125 
Sez. VI, 24 settembre 1983, n. 686 . )) 125 
Sez. VI, 31 gennaio 1984, n. 37/84 . � 127 

GIURTSDIZIONI PENALI 

CORTE DI CASSAZIONE 

Sez. III penale, 24 novembre 1983, n. 1911 . . . . . . . . . . . . . . . pag. 195 

TRIBUNALE DI ALESSANDRIA 

Sez. I pen., 16 dicembre 1983 (ord.) . . .. pag. 197 


PARTE SECONDA 
INDICE DELLA LEGISLAZIONE 
Questioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 
LEGISLAZIONE 
QUESTIONI DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE 
I. -Norme dichiarate incostituzionali . 
II. -Questioni dichiarate non fondate . 
III. -Questioni proposte . . . 
pag. 
� 
� 
18 
18 
18 



PARTE PRIMA 



! 


I 
I 



GIURISPRUDENZA 


SEZIONE PRIMA 

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

I. 
CORTE COSTITUZIONALE, 22 ottobre 1982, n. 162 -Pres. Elia -Rel. 
Bucciarelli Ducci -Regione Liguria (avv. Romanelli e Acquarone), 
Provincia di Trento (avv. Guarino), Provincia di Bolzano (avv. Guarino), 
Regione Sardegna (avv. Guarino), Regione Sicilia (avv. Fazio), 
Regione Veneto (avv. Berti e Viola), Regione Trentino-Alto Adige 
(avv. Pace), Regione Toscana (avv. Predieri), Regione Emilia-Romagna 
(avv. Predieri), Regione Piemonte (avv. Predieri) c. Pres. Cons. 
Ministri (avv. Stato Vittoria). 

Regioni -Finanza regionale -Fondi per il servizio sanitario -Accreditamento 
presso la tesoreria dello Stato -Legittimit� costituzionale. 
(Cost .. artt. 117, 118 e 119; statuto Trentino-Alto Adige, art. 4; legge 30 marzo 1981, 

n. 119, art. 35). 
Credito -Depositi degli enti pubblici presso banche -Determinazione di 
un tetto � � competenza statale. 
(Cost., art. 119; legge 30 marzo 1981, n. 119, art. 40). 

Regioni -Depositi delle regioni presso banche -Determinazione di tetti � 
Potere del Ministro del Tesoro -Deve essere circoscritto dalla legge. 
(Cost., art. 119; legge 30 marzo 1981, n. 119, art. 40). 

Non contrastano con gli artt. 117, 118 e 119 Cost., n� con lo Statuto 
per il Trentino-Alto Adig?, disposizioni che prevedano l'accreditamento 
su conti correnti fruttiferi presso la tesoreria centrale dello Stato, intestati 
alle regioni (o alle province di Trento e Bolzano), dei fondi per 
il servizio sanitario nazionale. 

Attiene alla disciplina del credito, materia di competenza statale, 
la determinazione dell'ammontare massimo delle giacenze che taluni 
enti pubblici possono mantenere presso aziende di credito. 

Contrasta con l'art. 119 Cost. la disposizione che, senza prestabilire 
limiti o criteri, attribuisce al Ministro del Tesoro il potere di determinare 
con proprio decr-eto la percentuale o il livello massimo delle disponibilit� 
delle regioni (o delle province di Trento e Bolzano) presso le aziende 
di credito incaricate del servizio di tesoreria. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

II. 
CORTE COSTITUZIONALE, 11 ottobre 1983, n. 307 -Pres. Elia -Rel. 
De Stefano e Paladin -Regione Lombardia e Regione Emilia-Romagna 
(avv. Onida), Regione Liguria (avv. Pericu) e Presidente Consiglio 
dei Ministri (avv. Stato Vittoria). 

Regioni -Finanza regionale -Tetto alla spesa regionale complessiva � 
Contrasta con autonomia finanziaria delle regioni. 
(Cost., art. 119; d.!. 22 novembre 1981, n. 786, art. 26; I. 26 aprile 1983, n. 130, art. 4). 

Regioni -Finanza regionale -Conti correnti delle regioni presso la tesoreria 
dello Stato -Carattere infruttifero � Legittimit� costituzionale. 
(Cost., art. 119; I. 26 aprile 1983, n. 130, art. 10). 

Tributi erariali diretti -ILOR -Assegnazione del gettito allo Stato -Non 
contrasta con autonomia finanziaria delle regioni. 
(Cost., art. 119; d.!. 22 dicembre 1981, n. 786, artt. 28 e 29; d.!. 28 febbraio 1983, n. 55, 

art. 28). 

Commercio -Camera di commercio -Esercizio di funzioni amministrative 
-Potest� legislativa delle regioni -Sussistenza. 
(Cost., artt. 117 e 119; d.!. 22 dicembre 1981, n. 786, art. 34; d.!. 28 febbraio 1983, n. 55, 

art. 29). 

Corte Costituzionale -Ricorso in via principale di una regione -Avverso 
decreto legge -Difetto dei presupposti prescritti -Non deducibilit�. 
(Cost., art. 77; d.!. 28 febbraio 1983, n. 55). 

Regioni -Potest� legislativa regionale -Nei settori trasferiti a comuni 
e pi:ovince � Sussiste. 
(Cost., art. 117; d.!. 28 febbraio 1983, n. 55, artt. 8 e 8 bis). 

Regioni -Finanza regionale e locale � Imposizione del parametro � tetto 
programmato di inflazione � -Legittimit� costituzionale. 
(Cost., art. 119; d.!. 28 febbraio 1983, n. 55, artt. 8 e 8 bis). 

Credito -Cassa depositi e prestiti -Assolve a funzione statale e non 
regionale. 
(Cost., artt. 119 e 128; d.!. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 5). 

Comuni -Comunit� montane � Non sono enti dipendenti dalle regioni. 
(Cost., artt. 117 e 119; d.!. 28 febbraio 1983, n. 55, artt. 11 e 16). 

Comuni -Uffici e funzioni di stato civile -Sono funzioni statali. 
(Cost., art. 117; d.!. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 27). 

Regioni -Trasporti pubblici di interesse regionale -Spese relative � Non 
possono essere poste a carico della regione se � di interesse nazionale 
�. 
(Cost., artt. 81, 117 e 119; d.!. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 31). 

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. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Impiego pubblico -Blocco delle assunzioni .-Estesi anche al personale 

delle U.S.L. -Legittimit� costituzionale -Potere di derogare al blocco 


Per le U.S.L. spetta alle regioni. 

(Cost., artt. 97 e 117; I. 26 aprile 1983, n. 130, art. 9). 

Regioni � Agricoltura � Forestazione e rimboschimento � n compresa nella 
materia agricoltura. 

(Cost., art. 117; I. 26 aprile 1983, n. 130, art. 20). 

Contrasta con l'autonomia finanziaria delle regioni (artt. 117, 118 e 
119 Cost.) la disposizione la quale -anzich� limitarsi a regolare l'afflusso 
dei mezzi finanziari verso le tesorerie delle regioni in funzione dell'effettivo 
ed immediato fabbisogno di cassa -ponga un ulteriore diverso 
vincolo globale, consistente nella indisponibilit� -al raggiungimento 
di un � tetto � annuale fissato per il complesso dei prelevamenti -di 
somme di pertinenza regionale (anche se depositate presso la tesoreria 
centrale dello Stato) necessarie per l'effettuazione di spese in precedenza 
regolarmente deliberate ed impegnate, nonch� inserite nei prescritti 
preventivi trimestrali di cassa. 

Non contrasta con l'autonomia finanziaria delle regioni la disposizione 
che stabilisce il carattere infruttifero dei conti correnti, liberi o 
vincolati, aperti a favo re delle regioni presso la tesoreria centrale dello 
Stato. 

L'art. 119, secondo comma, Cost. delinea un modello dal quale non 
derivano vincoli di carattere specifico, che impongano al legislatore 
statale di attribuire alle regioni determinati tributi o quote di tributi 
erariali, o che rendano irreversibili le scelte in precedenza operate. Il 
rispetto dell'autonomia finanziaria regionale non impedisce che il legislatore 
statale modifichi, in base alla comparativa valutazione delle esigenze 
generali, l'entit� delle assegnazioni alle regioni, a condizione che 
non venga gravemente alterato il necessario rapporto di complessiva 
corrispondenza fra bisogni regionali e mezzi finanziar.i per farvi fronte, 
impedendo cos� alle regioni il normale espletamento delle loro funzioni. 
Non contrastano con l'art. 119 Cost. le disposizioni che �sostituiscono� 
un tributo proprio (nella specie, proprio pro-quota) delle regioni (la 
ILOR) con uno strumento di finanza derivata. 

Se ed in quanto difetti un'apposita legislazione locale (come si ve


rifica tutt'ora in varie regioni), le camere di commercio possono effet


tuare i loro interventi in ogni campo gi� rientrante nella competenza 

camerale; ci� non ostacola l'esercizio della potest� legislativa regionale 

sia per indirizzare gli interventi delle camere, sia per incidere sulle 

premesse dalle quali dipende la stessa spettanza o la sfera di applicazione 

dei � diritti annuali �. 

Le regioni non possono impugnare un decreto legge adducendo un 

preteso difetto dei presupposti giustificativi costituzionalmente prescritti, 


4 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

tale difetto di per s� non concretando una invasione delle attribuzioni 
loro garantite. 
Le regioni conservano la loro potest� legislativa nei settori relativi 
a funzioni gi� regionali trasferite a comuni e province mediante il 

d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, in quanto � funzioni amministrative... di 
interesse esclusivamente locale� (art. 118 Cast.). 
Non � irragionevole agganciare la percentuale di incremento dei 
trasferimenti alla finanza regionale e/o locale al tasso programmato di 
inflazione. E comunque, nel valutare se i limiti alla spesa regionale 
siano tali da compromettere l'autonomia finanziaria delle regioni, va 
tenuta presente la complessiva sufficienza delle entrate di queste. 

La Cassa depositi e prestiti � un apparato strumentale destinato ad 
assolvere una funzione -l'esercizio del credito ai comuni e alle province 
-statale e non regionale: ci� peraltro non significa che debbano 
essere trascurati i programmi regionali di sviluppo, l� dove essi siano 
entrati in vigore e nella misura in cui possano incidere sulla concessione 
dei mutui in questione. 

Le comunit� montane sono enti locali autonomi assimilabili agli 
enti territoriali minori, e non enti dipendenti dalle regioni; pertanto, il 
legislatore statale pu�, anche senza coinvolgere le regioni, emanare norme 
in tema di � spese di gestione � di dette comunit� ed assegnare ad esse, 
a tal titolo, contributi o finanziamenti. 

Lo Stato � l'effettivo titolare degli interessi pubblici in materia di 
(ordinamento e buon andamento dello) �stato civile�; connessa ed accessoria 
a tale materia � la formazione professionale degli ufficiali di stato 
civile. Il divieto di intervento statale contenuto nell'art. 41, comma 
secondo del d.P.R. n. 616 del 1977, subisce per ci� deroghe e limiti aggiuntivi 
a qu�;lli, da detto articolo, esplicitamente previsti. 

Lo Stato non pu� disporre del gettito dei tributi �propri� delle 
regioni per fronteggiare spese di interesse nazionale; esso pu� invece 
autorizzare le regioni a contribuire con risorse proprie a delle spese. 
Contrasta pertanto con gli artt. 117 e 119 Cast. (nonch� contro l'art. 81 
Cast.)., l'art. 31, primo comma, del d.l. 28 febbraio 1983, n. 55 (provvedimenti 
urgenti per il settore della finanza locale per l'anno 1983), convertito 
con modificazioni, in legge 26 aprile 1983, n. 131, nella parte in 
cui prevede che, per il definitivo equilibrio delle gestioni delle aziende 
locali di trasporto, le regioni sono tenute -anzich� facoltizzate -a 
provvedere mediante l'integrazione della eventuale differenza tra la quota 
regionale derivante dalla ripartizione del Fondo nazionale trasporti per 
l'anno 1983 e la somma delle erogazioni effettuate allo stesso titolo alle 
aziende nel 1982, nonch� nella parte in cui prevede che a questa integraziane 
le regioni devono necessariamente fare fronte con il maggior 
gettito dei tributi propri. 

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Lo Stato pu� disporre il blocco -purche circoscritto entro limiti 
temporali ragionevoli -delle assunzioni nelle unit� sanitarie locali, ma 
non anche avocare a s� il potere di derogare a tale blocco, in particolari 
casi di necessit�; tale potere pu� peraltro essere disciplinato da atti 
governativi di indirizzo e coordinamento. 

Lo Stato non pu� curare direttamente la realizzazione di progetti 
di "forestazione �, posto che le attivit� di produzione forestale e di rimboschimento 
sono comprese nella materia � agricoltura e foreste � attribuita 
alle regioni. 

I. 
(omissis) Con otto ricorsi le Regioni Piemonte, Toscana, EmiliaRomagna, 
Veneto, Liguria, Trentino-Alto Adige e le Province autonome 
di Trento e di Bolzano impugnano l'art. 35 della legge 30 marzo 1981, 

n. 119, che contiene una serie di prescrizioni con le quali si disciplinano 
i modi con cui vengono finanziate le unit� sanitarie locali, le modalit� 
attraverso le quali esse potranno usufruire del finanziamento loro accordato 
e l'organizzazione del relativo servizio di tesoreria. (omissis) 
(omissis) Il nuovo sistema viene ora impugnato per illegittimit� 

costituzionale dalle Regioni Piemonte, Toscana, Emilia-Romagna, Veneto 

e Liguria, che, richiamandosi alla sentenza di questa Corte n. 155/1977, 

denunciano la menomazione della loro autonomia finanziaria che tale 

sistema comporterebbe, giacch� le priverebbe dell'autonomia decisio


nale sui flussi di cassa, onerandole di un compito di ripartizione dei 

fondi tra le unit� sanitarie locali, senza alcuna possibilit� di controllo 

della loro gestione. 

Sostengono le cinque Regioni a statuto ordinario che l'art. 35 viole


rebbe in particolare: l'art. 117 Cost., per cui spetta alle Regioni la com


petenza di emanare norme legislative in materia di assistenza sanitaria 

� nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato�; l'art. 118, che conferisce 

alle Regioni le funzioni amministrative in materia sanitaria; l'art. 119, 

che riconosce alle Regioni l'autonomia finanziaria. 

Nessuna delle questioni proposte dalle cinque Regioni a statuto ordi


nario � fondata. 

Invero il sistema di accreditamento delle risorse per il funzionamento 
del servizio sanitario nazionale, disciplinato dall'art. 35, prevede che 
tale accreditamento avvenga mediante conti correnti fruttiferi aperti in 
favore delle Regioni presso la Tesoreria centrale anzich� mediante versamento 
diretto alle Regioni stesse. A tale sistema, diretto a coordinare 
la finanza regionale con quella statale, il legislatore ha gi� fatto ricorso 
in altre occasioni, quando ha stabilito specifici programmi di sviluppo. 
Ad esempio nei dd.ll. 13 agosto 1975, nn. 376 e 377, convertiti nelle leggi 
16 ottobre 1975, nn. 492 e 493 (rispettivamente artt. 20 e 21), si � previsto 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

6 

che i contributi assegnati alle Regioni venissero versati in conti correnti 
aperti presso la Tesoreria centrale dello Stato e che i prelievi venissero 
attuati a richiesta delle Regioni sulla base di relazioni indicative dei 
fabbisogni. Le stesse modalit� sono state previste in tema di coordinamento 
degli interventi pubblici in vari settori dell'economia agricola 
(lt:;gge 27 dicembre 1977, n. 984, art. 17). 

Tale meccanismo non viola l'autonomia costituzionale garantita alle 
Regioni, in quanto resta integro il potere di ripartire le risorse finanziarie 
disponibili tra le diverse destinazioni. 

La legge istitutiva del servizio sanitario nazionale (legge 23 dicembre 
1978, n. 833) prevede all'art. 51 il relativo finanziamento attraverso 
l'apposito fondo, determinato �annualmente con la legge di approvazione 
del bilancio dello Stato. Tale fondo viene ripartito tra tutte le Regioni 
con delibera del CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione 
economica), su proposta del Ministro della sanit� e sentito il Consiglio 
sanitario nazionale. All'inizio di ogni trimestre le quote cos� ripartite 
vengono trasferite alle Regioni con provvedimenti dei Ministri del 
tesoro e del bilancio. Spetta poi alla Regione il compito di ripartire tra 
le unit� sanitarie locali la quota ad essa assegnata per le spese correnti, 
sulla base di parametri numerici che devono essere determinati con 
legge regionale,. sentiti i Comuni; mentre per la quota destinata alle 
spese in conto capitale, la Regione provvede sulla base delle indicazioni 
formulate dal piano sanitario nazionale. 

Alla luce di tale normativa l'intervento della Regione si esplica 
all'atto della ripartizione delle risorse tra le unit� sanitarie locali, effettivi 
organi di erogazione dei servizi e perci� della spesa e destinatarie 
necessarie delle quote assegnate alle Regioni. Tale intervento decisionale 
non � minimamente intaccato dal meccanismo previsto dall'impugnato 
art. 35, il quale rispetta pienamente il potere che le Regioni hanno di 
ripartire le risorse del fondo loro assegnate fra le varie unit� sanitarie 
locali, a seconda delle loro esigenze finanziarie, che a loro volta vengono 
valutate discrezionalmente dalle Regioni con autonomo provvedimento, 
senza alcun controllo o interferenza da parte dello Stato che ne 
possa condizionare l'autonomia. La norma impugnata, pertanto, non 
viola la sostanziale sfera di competenza che spetta alle Regioni quanto 
alle occorrenze locali ed alla distribuzione territoriale delle risorse. 

Certamente l'art. 35 ha l'effetto di limitare la redditivit� delle somme 
corrispondenti assegnate alle Regioni per il funzionamento del servizio 
sanitario, ma si tratta di un effetto privo di implicazioni costituzionali, 
non riguardando l'autonomia finanziaria, in quanto potest� di gestione 
autonoma delle risorse, che � oggetto del� principio costituzionale sancito 
dall'art. 119. Nel caso in esame tale potest� di gestione, riferita alle 
risorse assegnate alle Regioni per il servizio sanitario, � pienamente 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

rispettata quando ne viene assicurata loro la piena disponibilit�, nel 
senso di poterne effettuare l'autonoma utilizzazione quali che siano le 
modalit� del relativo deposito. 

D'altra parte l'aver il legislatore creato un pi� stretto coordinamento 
temporale fra il momento del prelievo dalla Tesoreria centrale e il 
momento della spesa effettuata dagli organi erogatori del servizio sanitario 
risponde alla esigen:lla obiettiva, nell'interesse dell'intera comunit� 
nazionale, di un opportuno coordinamento del flusso della spesa sanitaria 
con quello delle entrate destinate a fronteggiarla. Tale coordinamento 
infatti si risolve in definitiva in un minor costo per la finanza 
statale senza per altro apportare alcun danno al funzio~amento del 
servizio sanitario nazionale. 

N� vi � violazione dell'art. 118 Cost. nella parte in cui vengono 
riconosciute alle Regioni le funzioni amministrative in materia sanitaria 
giacch� l'aver regolamentato il modo di accredit�mento delle risorse alle 
unit� sanitarie locali nei limiti indicati dalle stesse Regioni non impedisce 
a queste ultime di esercitare il loro potere di controllo sul funzionamento 
delle U.S.L., sia sotto il profilo dell'attivit� che sotto quello 
dei risultati, gi� previsto dagli artt. 11 e 51 della legge n. 833/1978. 

Non � vioiato nemmeno l'art. 117 Cost. perch�, avendo l'art. 35 prescritto 
alle U.S.L. che il loro servizio di tesoreria venga affidato ad 
aziende di credito aventi determinati requisiti, non ha invaso la sfera 
di competenza delle Regioni ad emanare norme legislative in materia di 
assistenZ1a sanitaria, giacch� tale potest� trova un limite nei princ�pi 
stabiliti dalle leggi dello Stato; limite che proprio l'art. 35 ha inteso 
fissare anche per uniformare sul piano nazionale il servizio di tesoreria 
delle unit� sanitarie locali. 

Neppure sono fondate le questioni proposte dalla Regione TrentinoAlto 
Adige e dalle Province autonome di Trento e Bolzano in riferimento 
all'art. 35. 

La Regione, in particolare, impugna la norma sostenendo che essa, 
l� dove disciplina l'organizzazione delle U.S.L. sul piano contabile, violerebbe 
la competenza primaria della Regione ad emanare leggi in materia 
di enti sanitari ed ospedalieri (con le relative autonome funzioni 
amministrative), riconosciuta dall'art. 4 n. 7 dello Statuto speciale. Per 
contro, l'Avvocatura dello Stato replica che le U.S.L. vanno considerate 
quali strutture operative dei Comuni (in base all'art. 15 della legge 

n. 833/1978), rientrando pertanto nella competenza legislativa concorrente 
prevista dall'art. 5 n. 1 del detto Statuto. Ma l'impugnativa regionale 
va respinta, comunque si qualifichi la competenza spettante alla 
Regione, quanto all'organizzazione delle U.S.L. Le disposizioni dell'art. 35 
trovano infatti fondamento, sia nella gi� rilevata esigenza di soddisfare 

B RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

interessi di portata nazionale in tema di spese da sostenere per le prestazioni 
sanitarie, sia nell'interferenza fra le attribuzioni regionali e 
l'indiscussa competenza spettante allo Stato in materia di credito. 

Quanto alle Province di Trento e Bolzano, esse sostengono in via 
preliminare che l'art. 35 impugnato non � loro applicabile. Esso, infatti, 
riproduce -con modifiche -l'art. 8 del d.I. 30 dicembre 1979, n. 663 
(convertito nella legge 29 febbraio 1980, n. 33) che viene nel contempo 
dichiarato espressamente abrogato (comma 10 dell'art. 35). Secondo la 
tesi sostenuta nei ricorsi, l'art. 8 non avrebbe trovato applicazione per 
le Province autonome di Trento e Bolzano, per le quali valeva invece 
l'art. 6 bis, aggiunto in sede di conversione, in virt� del quale le Province 
autonome erano autorizzate a � trattenere � -e non a prelevare -le 
somme occorrenti per il finanziamento dei servizi sanitari gestiti direttamente. 
Poich� il citato ar.t. 6 bis sarebbe ancora in vigore, per non 
essere stato abrogato, ne deriverebbe che le quote accreditate alle Province 
autonome diverrebbero integralmente e immediatamente disponibili 
per essere poi trasfevite alle unit� sanitarie secondo le procedure 
fissate con legge dalle stesse Province. 

L'assunto non � fondato, in quanto la nuova normativa sull'accreditamento 
delle quote assegnate alle U.S.L. non contrasta con la precedente 
disciplina in tema di riparto delle quote del fondo sanitario nazionale 
assegnate alle Province autonome (art. 6 bis d.I. n. 663/1979). Rimane 
salva, infatti, la facolt� delle Province di �trattenere� sulle quote di 
riparto le somme occorrenti per il finanziamento di servizi e presidi 
sanitari che esse gestiscono direttamente, ma ci� non impedisce che 
sia il Ministero del tesoro ad accreditare alle Province stesse, in un 
conto corrente aperto presso la Tesoreria centrale, le somme loro attribuite 
per il funzionamento del servizio sanitario. Sar� poi su questo 
conto corrente che la Provincia effettuer� il prelevamento delle quote 
ad essa dovute, � trattenendo � le somme da impiegare per i servizi 
gestiti direttamente dall'amministrazione provinciale e trasferendo su 
un conto corrente aperto presso la sezione provinciale di tesoreria le 
somme residue, da destinare alle U.S.L. esistenti nel territorio della 
Provincia. 

Alla luce di tale interpretazione, appare infondata la questione solle


vata dalle Province autonome, non essendovi alcuna violazione del


l'art. 9, n. 10 dello Statuto delle Province stesse, da parte della norma 

impugnata. In tema di assistenza sanitaria e ospedaliera le Province 

autonome hanno, infatti, soltanto una competenza legislativa secondaria, 

riguardando quella primaria soltanto l'ordinamento degli uffici provin


ciali. Valgono quindi le stesse considerazioni gi� svolte a proposito delle 

questioni sollevate dalle Regioni a Statuto ordinario. 

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

L'altra norma che viene impugnata, con nove dei ricorsi indicati in 
epigrafe, � l'art. 40 della legge 30 marzo 1981, n. 119, che detta una serie 
di prescrizioni sulla contabilit� degli enti pubblici. (omissis) 

Sia le Regioni a Statuto ordinario (Piemonte, Veneto, Toscana ed 
Emilia-Romagna) sia quelle a Statuto speciale (Sicilia, Sardegna, Trentino-
Alto Ad�ge) impugnano il primo e il quarto comma dell'art. 40 in 
quanto violerebbero la sfera della loro autonomia� finanziaria, sottraendo 
alle Regioni la possibilit� di utilizzare direttamente e immediatamente 
le somme disponibili presso i rispettivi tesorieri eccedenti il 12 % delle 
entrate. Inoltre, imponendo di versare alle tesorerie dello Stato le disponibilit� 
eccedenti tale percentuale, la norma denunciata inciderebbe non 
solo sulle somme provenienti dal bilancio dello Stato, ma anche su 
quelle provenienti da altre fonti, fra le qualj gli stessi proventi propri 
delle Regioni. 

Ancora pi� lesiva della loro autonomia sarebbe per le stesse Regioni 
la disposizione dell'ottavo comma, che attribuisce al Ministro la facolt� 
di determinare la percentuale delle entrate regionali che devono essere 
fatte affluire alle tesorerie dello Stato in aperto contrasto con il primo 
conuna dello stesso articolo, che determina nel 12 % la soglia oltre la 
quale si concreta la considerata eccedenza. 

La Regione Sardegna impugna anche il quinto comma dell'articolo 
citato per lo stesso ordine di ragioni, mentre la Regione Trentino-Alto 
Adige lamenta anche la violazione dell'art. 5 n. 1 dello Statuto speciale 
dal momento che l'art. 40, obbligando anche i Comuni a limitare le 
giacenze, invaderebbe la sfera di competenza legislativa -sia pure 
secondaria -della Regione in tema di ordinamento dei Comuni. 

Sotto gli stessi profili impugnano i commi 1, 2 e 5 dell'art. 40 le 
Province autonome di Trento e Bolzano. 

Tutte le questioni sollevate relative all'art. 40 della legge n. 119/1981 
sono infondate, ad eccezione di quella riguardante l'ottavo comma (facolt� 
del Ministro del tesoro di variare con proprio decreto la percentuale 
massima delle disponibilit� di cui � consentito il deposito presso 
le tesorerie delle Regioni). 

Il precetto essenziale, contenuto nell'art. 40, da cui tutti gli altri 
discendono, � quello che obbliga le aziende di credito a versare nei conti 
aperti presso le Tesorerie dello Stato le somme depositate presso le 
aziende stesse dagli enti pubblici (territoriali o meno) con bilanci di 
una certa importanza, quando tali depositi superino un determinato 
livello, che viene indicato nel 12 % delle entrate previste dal bilancio 
di competenza. 

La � ratio � della norma -che si inserisce in una precisa direttiva 
seguita dal legislatore (legge 6 agosto 1966, n. 629; artt. 31 e 32 legge 
5 agosto 1978, n. 468; artt. 52 e 55 d.l. 9 luglio 1980, n. 301 e 83-86 d.l. 


RASSEGNA DEU.'AWOCATURA DELLO STATO 

30 agosto 1980, n. 503) -� di consentire allo Stato il controllo e la 
regolamentazione della liquidit� monetaria e quindi dei flussi della 
spesa pubblica, che su tale liquidit� incidono -com'� noto -in misura 
determinante. Destinatari del precetto sono, quindi, non solo e non 
tanto gli enti pubblici, quanto piuttosto le aziende di credito che gestiscono 
i servizi di tesoreria degli enti stessi. 
Si tratta pertanto di stabilire se, nel quadro della ripartizione delle 
funzioni fra Stato e Regioni delineato dalla Costituzione, competa allo 
Stato questo potere di controllo e di regolamentazione. La risposta al 
quesito non pu� essere che positiva, rientrando certamente tra i poteri 
di pertinenza statale -come questa Corte ha pi� volte dichiarato 
(sentt. 58/1958; 221/1975) -quello della disciplina del credito, strettamente 
connessa alla stabilit� del potere d'acquisto della moneta e quindi 
ad un interesse che travalica l'ambito regionale coinvolgendo la comunit� 
nazionale. 
Poich� parte rilevante della spesa pubblica avviene per il tramite 
degli enti locali ed istituzionali, non � pensabile che la regolamentazione 
e il controllo dei relativi flussi possa avvenire senza incidere sulle 
disponibilit� contabili di tali enti. Per mantenere il necessario equilibrio 
tra il flusso delle risorse prelevate e quello delle spese erogate non si 
pu�, infatti, ignorare che l'assegnazione alle diverse persone giuridiche 
pubbliche di una quota di risorse, congiunta alla inevitabile gradualit� 
delle erogazioni, produce un ristagno di disponibilit�, con conseguenze 
gravemente negative nell'attuale situazione delle pubbliche finanze. � 
noto in linea generale che mentre lo Stato, attraverso il cui bilancio 
passano prevalentemente i flussi finanziari, non riesce a sostenere le 
erogazioni cui � tenuto ed � costretto a ricorrere all'indebitamento a 
tassi sempre pi� elevati, taluni enti pubblici possono avere eccedenze 
di disponibilit� di cassa rispetto alle necessit� immediate, disponibilit� 
che resterebbero depositate presso le aziende di credito. Diventa, pertanto, 
un'esigenza fondamentale per lo Stato limitare l'onere derivante dalla provvista 
anticipata di fondi rispetto all'effettiva capacit� di spesa degli enti. 
Del tutto funzionale rispetto a tali finalit� e rispondente ai princ�pi 
generali di solidariet� economica e sociale risulta la soluzione adottata 
dal legislatore di prescrivere alle aziende di credito di trasferire alle 
Tesorerie dello Stato le eccedenze di cassa degli enti pubblici rispetto 
alle loro occorrenze immediate. 
Alla luce di tali princ�pi la normativa adottata non � lesiva dell'autonomia 
finanziaria delle Regioni, che va intesa in termini sostanziali, 
come ha statuito questa Corte con le sentenze 22 dicembre 1977, n. 155 
e 9 aprile 1981, nn. 94 e 95. Per la prima di tali decisioni una reale 
menomazione dell'autonomia finanziaria delle Regioni si avrebbe sol'~ 
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I 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

tanto se il meccanismo della giacenza obbligatoria dei fondi presso 
le Tesorerie dello Stato si prestasse � a venire manovrato in modo da 
precludere od ostacolare la disponibilit� delle somme occorrenti alle 
Regioni stesse per l'adempimento dei loro compiti istituzionali, nelle 
forme, nelle misure e nei tempi variamente indicati dalla legislazione 
statale sulla finanza regionale, in attuazione dell'art. 119 Cost. �. 

Ora la normativa impugnata non preclude alle Regioni la facolt� di 
disporre delle proprie risorse, nel senso di valutarne discrezionalmente 
la congruit� rispetto alle necessit� concrete e di indirizzarle verso gli 
obiettivi rispondenti alle finalit� istituzionali, ma si limita a consentire 
il controllo del flusso delle disponibilit� di cassa, coordinandolo alle 
esigenze generali dell'economia nazionale, nel quadro di quella regolamentazione 
del credito che � dovere peculiare dello Stato. 

Come si � osservato a proposito dell'art. 35, anche le disposizioni 
dell'art. 40 possono certamente comportare una minore redditivit� delle 
somme depositate nelle Tesorerie dello Stato rispetto a quella che si 
avrebbe presso le aziende di credito, ma si tratta di una conseguenza di 
fatto che non investe aspetti costituzionalmente tutelati, non incidendo 
sulla autonomia finanziaria delle Regioni. 

Se.tale � la ratio della normativa in esame, del tutto ininfluente ai 
fini della disciplina contenuta nei primi tre commi dell'art. 40, � la 
distinzione tra risorse provenienti dal bilancio dello Stato e risorse 
proprie delle Regioni, non essendo possibile sul piano tecnico di discriminare 
la provenienza delle giacenze di cassa eccedenti la percentuale 
consentita. 

N� ha rilievo, alla luce delle finalit� perseguite, distinguere tra Regioni 
a Statuto speciale e Regioni a Statuto ordinario, tutte ugualmente 
tenute in materia di credito a uniformarsi alla legislazione dello Stato. 

Per quanto poi riguarda la denuncia da parte delle Regioni Veneto, 
Toscana, Piemonte ed Emilia-Romagna -le quali lamentano che il 
quarto comma dell'art. 40 dispone l'affluenza diretta alle Tesorerie dello 
Stato delle risorse destinate alle Regioni e provenienti dal bilancio dello 
Stato stesso -essa non � fondata, essendo del tutto simile a quella 
gi� decisa in tal senso da questa Corte con la citata sentenza n. 94 del 
1981, che aveva ad oggetto l'analoga disposizione contenuta nell'art. 31 
della legge n~ 468/1978. 

N� risulta fondata la questione sollevata dalla Regione TrentinoAlto 
Adige nel senso che le somme provenienti dal bilancio dello Stato 
dovrebbero ritenersi sottratte alla disciplina statale una volta entrate 
nella disponibilit� della Regione. La stessa norma impugnata dispone, 
infatti, espressamente che essa non si applica alle entrate provenienti 
dal bilancio dello Stato percepite dalle Regioni a Statuto speciale in 
base alle rispettive norme statutarie. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

12 

Ugualmente infondata � la questione proposta al riguardo dalla Regione 
Sicilia, in quanto lo stesso quarto comma eccettua espressamente 
i fondi di cui all'art. 38 dello Statuto regionale, mentre per le altre 
entrate indicate nel ricorso valgono le stesse considerazioni gi� svolte 
da questa Corte nella sentenza n~ 95 del 1981, a sostegno del rigetto 
dell'analoga impugnativa proposta dalla stessa Regione contro il citato 
art. 31 della legge n. 468/1978. 

Ma altrettanto infondata � l'impugnativa dello stesso art. 40, quarto 
comma, proposta dalla Regione Sardegna, poich� -a differenza di 
quanto disponeva l'art. 31 della legge 468/1978, dichiarato illegittimo 
nei confronti della Regione sarda con la sentenza di questa Corte n. 95 
del 1981 -la norma impugnata esclude esplicitamente dal suo ambito 
di applicazione -come si � visto -i fondi destinati alle Regioni a 
Statuto speciale in base ai rispettivi Statuti. 

N� ha fondamento l'argomentazione, ripetuta in alcuni ricorsi, che 
farebbe discendere l'incostituzionalit� del primo, secondo e quarto comma 
dell'art. 40 da una presunta contraddittoriet� dell'intera disciplina, 
che lascerebbe alle Regioni a Statuto speciale maggiore autonomia di 
gestione per i fondi provenienti dallo Stato che non per le entrate 
proprie delle Regioni. Infatti anche le somme provenienti dallo Stato, 
una volta che siano depositate dalle Regioni presso le aziende di credito 
(che esercitano per esse il servizio di tesoreria), entrano a far parte di 
quelle disponibilit� complessive di cassa, all'interno delle quali non � 
pi� possibile tecnicamente distinguere la provenienza e che sono pertanto 
complessivamente e indistintamente soggette al limite del 12 %. 
Non sussiste, perci�, la lamentata contraddizione, avendo comunque il 
legislatore riservato alle Regioni a Statuto speciale un sistema di accreditamento 
delle risorse provenienti dal bilancio statale meno vincolante 
di quello previsto per le Regioni a Statuto ordinario, proprio in considerazione 
della diversa estensione delle rispettive sfere di autonomia. 

A diversa conclusione si perviene invece per quanto riguarda la 
denuncia dell'ottavo comma dell'art. 40. 

Va riconosciuta, infatti, alla competenza legislativa dello Stato la 
regolamentazione della materia del credito, con il conseguente obbligo 
delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano di adeguarsi 
a tale regolamentazione -in nome del coordinamento finanziario 
previsto dal primo comma dell'art. 119 Cost. -anche in quanto essa si 
riflette sulla competenza regionale riguardante la disciplina dei servizi 
di tesoreria delle Regioni e delle Province autonome, nonch� la stipula 
delle relative convenzioni con le aziende. di credito. Ma � contradditto� 
rio, rispetto alla logica che presiede alle rimanenti disposizioni dello 
stesso art. 40, la facolt� accordata al Ministro del tesoro di variare con 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

suo semplice decreto -senza che il legislatore abbia prestabilito in 
proposito alcun limite ed alcun criterio -la percentuale o il livello 
massimo delle disponibilit� delle Regioni (e delle predette Province) 
che le aziende di credito possono tenere presso di s�. Una volta che il 
legislatore ha fissato tale percentuale nella misura del 12 % e nulla ha 
precisato circa il livello massimo, soltanto per legge o nell'ambito dei 
limiti e dei criteri indicati dalla legge possono essere variate le scelte 
legislative in questione, senza violare la riserva di legge della Repubblica, 
di cui al primo comma dell'art. 119 Cost. (sul punto la sentenza 
di questa Corte n. 149 del 1981). La questione relativa al comma 8 dell'articolo 
impugnato �, pertanto, fondata. 

II. 
(omissis) Con i ricorsi notificati ... la Regione Lombardia impugna 
l'art. 26, commi secondo e terzo, del d.l. 22 dicembre 1981, n. 786, e 
l'art. 4, commi quinto e sesto, della legge 26 aprile 1983, n. 130. 

L'art. 26 del d.l. n. 786 del 1981, al comma secondo (divenuto comma 
primo per effetto della soppressione del precedente comma, operata in 
sede di conversione, con modificazioni, in legge 28 febbraio 1982, n. 51), 
dispone che, per l'anno 1982, � i prelevamenti che le regioni a statuto 
ordinario possono effettuare dai conti correnti a loro intestati presso 
la tesoreria centrale dello Stato non possono registrare un aumento 
superiore al 16 per cento rispetto ai prelevamenti complessivamente 
effettuati da ciascuna regione nel periodo 1� ottobre 1980-30 settembre 
1981, fatte salve le disposizioni di cui al primo comma dell'art. 40 della 
legge 30 marzo 1981, n. 119 �. Il comma terzo (secondo, per effetto, 
come innanzi precisato, della conversione con modificazioni in legge) 
dello stesso art. 26 prevede che " per comprovate indilazionabili esigenze 
di singole regioni, il Ministro del tesoro, su proposta del Ministro per 
gli affari regionali, pu� elevare, con propri decreti, il predetto limite 
del 16 per cento �. 

Per il 1983 il comma quinto dell'art. 4 della legge n. 130 del 1983 
rinnova il � tetto � ai prelevamenti che le Regioni a statuto ordinario 
possono effettuare dai conti correnti anzidetti, disponendo che i prelevamenti 
medesimi �fatte salve le disposizioni di cui al primo comma 
dell'art. 40 della legge 30 marzo 1981, n. 119... non possono registrare 
un aumento superiore al 13 per cento rispetto ai prelevamenti complessivamente 
effettuati da ciascuna regione nell'anno 1982, al netto 
delle maggiorazioni concesse ai sensi dell'art. 26, secondo comma, del 

d.l. 22 dicembre 1981, n. 786, convertito in legge, con modificazioni, 
dalla legge 26 febbraio 1982, n. 51, maggiorate del 13 per cento �. Ed 
anche per il 1983 � previsto, dal comma sesto dello stesso art. 4, che 

14 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

il Ministro del tesoro, su proposta del Ministro per gli affari regionali, 
possa con propri decreti, � per comprovate indilazionabili esigenze di 
singole regioni �, elevare il predetto limite. 

Secondo la ricorrente Regione, tali disposizioni � appaiono illegittime 
e lesive dell'autonomia finanziaria, di spesa e di bilancio, nonch� 
dell'autonomia programmatoria, legislativa ed amministrativa della Regione
�. 

La questione � fondata. Giova ricordare che questa Corte, a proposito 
dei conti correnti intestati alle regioni a statuto ordinario presso 
la tesoreria centrale dello Stato, ha gi� avuto occasione di avvertire, 
nella sentenza n. 155 del 1977, che essi non possono legittimamente 
� trasformarsi in un anomalo strumento di controllo sulla gestione 
finanziaria regionale: che si presti a venire manovrato in modo da precludere 
od ostacolare la disponibiHt� delle somme occorrenti alle Regioni 
stesse per l'adempimento dei loro compiti istituzionali, nelle forme, 
nelle misure e nei tempi variamente indicati dalla legislazione statale 
sulla finanza regionale, in attuazione dell'art. 119 della Costituzione �. 

Successivamente la Corte, investita della questione di legittimit� 
costituzionale dell'art. 31 della legge 5 agosto 1978, n. 468, inteso a disciplinare 
le giacenze di tesoreria delle Regioni, ha nuovamente considerato, 
nella sentenza n. 94 del 1981, � essenziale... che i conti correnti 
istituiti presso la tesoreria centrale non si trasformino in un anomalo 
strumento di controllo sulla gestione finanziaria regionale �; ed ha ritenuto 
che tale non sia il caso del denunciato art. 31, in quanto esso 
� non ha di mira le singole misure regionali di spesa, limitandosi a regolare 
i ritmi di accreditamento dei fondi... dalla tesoreria dello Stato 
alle tesorerie delle Regioni: per di pi� precisando che ci� deve svolgersi 
sulla base ed in conformit� alle previste esigenze ed alle accertate 
disponibilit� di cassa delle Regioni, quali desunte appunto dai periodici 
documenti, indicati nel secondo e terzo comma, provenienti dagli organi 
responsabili delle Regioni medesime �. 

Con la legge 30 marzo 1981, n. 119, si sono accentuati. i vincoli rela


tivi alle disponibilit� di tesoreria delle regioni a statuto ordinario. 

L'art. 40, infatti, non soltanto ha confermato, ai commi quarto e quinto, 

che tutti i fondi provenienti dal bilancio dello Stato e destinati alle 

regioni devono affluire nei conti ad esse intestati presso la tesoreria 

dello Stato, subordinando i prelevamenti alla presentazione dei preven


tivi trimestrali di cassa; ma ha anche introdotto, con il primo comma 

(esplicitamente fatto salvo dalle disposizioni adesso impugnate), il di


vieto di mantenere presso aziende di credito disponibilit� depositate 

a qualunque titolo � per un importo superiore al 12 per cento dell'am


montare delle entrate previste dal bilancio di competenza� delle re


gioni medesime, mentre le somme in eccesso vanno versate nei conti 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

correnti presso la tesoreria dello Stato. Anche su tale normativa questa 
Corte si � pronunciata, riconoscendo, con la sentenza n. 162 del 1982, 
che essa � non preclude alle Regioni la facolt� di disporre delle proprie 
risorse, nel senso di valutarne discrezionalmente la congruit� rispetto 
alle necessit� concrete e di indirizzarle verso gli obiettivi rispondenti 
alle finalit� istituzionali, ma si limita a consentire il controllo del flusso 
delle disponibilit� .di cassa �. Occorre, infatti, � mantenere il necessario 
equilibrio tra il flusso delle risorse prelevate e quello delle spese erogate 
� ed impedire il formarsi di � un ristagno di disponibilit�, con 
conseguenze gravemente negative nell'attuale situazione delle pubbliche 
finanze�. � stata, peraltro, con la stessa sentenza, dichiarata l'Hlegittimit� 
costituzionale dell'ottavo comma dello stesso art. 40, nella parte 
in cui attribuiva al Ministro per il tesoro la facolt� di variare con 
proprio decreto la percentuale o il livello massimo delle disponibilit� 
delle regioni, che le aziende di credito, incaricate del servizio di tesoreria, 
possono tenere presso di s�. La Corte ha rilevato, infatti, che 
tale facolt� di variare le scelte legislative, � stata accordata � senza 
che il legislatore abbia prestabilito in proposito alcun limite ed alcun 
criterio, violando cos� la riserva di legge di cui al primo comma dell'art. 
119 della Costituzione�. 

Dal confronto con la previgente normativa, ed alla stregua della 
richiamata giurisprudenza di questa Corte, si evince appunto la fondatezza 
della promossa questione. Le disposizioni impugnate, infatti, non 
si limitano, come le precedenti, a regolare l'afflusso dei mezzi finanziari 
verso le tesorerie delle regioni in funzione dell'effettivo ed immediato 
fabbisogno di cassa, al fine di evitare cos�, da un lato dannosi ristagni 
di liquidit� presso le aziende di credito e dall'altro pi� gravosi oneri 
di interessi a carico dello Stato, costretto ad una �provvista anticipata 
di fondi rispetto all'effettiva capacit� di spesa degli enti� (sentenza 

n. 162 del 1982). Con esse, invece, � stato introdotto -come deduce 
la difesa della ricorrente -un ulteriore, diverso vincolo, con il quale 
s'impedisce alla Regione, una volta che essa abbia raggiunto il � tetto � 
annuale fissato per il complesso dei prelevamenti, di disporre delle 
somme neces�sarie per l'effettuazione di spese a suo tempo regolarmente 
deliberate ed impegnate nei limiti degli stanziamenti del bilancio regionale 
di previsione, sebbene il loro tempestivo fabbisogno sia stato gi� 
dimostrato dai prescritti preventivi trimestrali di cassa (art. 31, comma 
secondo, della legge n. 468 del 1978; art. 40, comma quinto, della legge 
n. 119 del 1981). E ci�, malgrado si tratti di somme che, pur se depositate 
presso la tesoreria dello Stato, sono ormai di pertinenza regionale. 
Per di pi�, il � tetto � imposto ai prelevamenti fa riferimento a parametri 
(per il 1982, il totale dei prelevamenti effettuati da ciascuna Regione 
nel periodo 1� ottobre 1980-30 settembre 1981, aumentato del 16 per 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

cento; per il 1983, il totale dei prelevamenti effettuati da ciascuna Regione 
nell'anno 1982, aumentato del 13 per cento), che prescindono da 
qualsiasi concreto rapporto con la struttura e con la gestione del bilancio 
regionale di competenza per l'anno in corso, con la dimensione 
delle entrate e delle spese ivi previste, con l'entit� dei residui attivi 
e passivi. 

Le denunciate norme vulnerano, pertanto, come lamentato dalla Regione, 
il principio stesso di autonomia, quale configurata e garantita 
dagli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione. N� a temperare la lesione 
pu� soccorrere la facolt� accordata al Ministro del tesoro, di elevare 
con propri decreti, su proposta del Ministro per gli affari regionali., i 
limiti in parola �per comprovate indilazionabili esigenze di singole regioni 
�. Anche in questa occasione -come gi� per l'ottavo comma dell'art. 
40 della legge n. 119 del 1981, la cui illegittimit� costituzionale, 
come innanzi ricordato, � stata dichiarata dalla sentenza di questa Corte 

n. 162 del 1982 -il legislatore ha configurato una potest� ministeriale 
di variare le scelte legislative, senza prestabilire alcun limite ed alcun 
criterio. Non pu�, invero, considerarsi all'uopo idoneo il solo generico 
riferimento ad esigenze di spese, la cui �indilazionabilit��, riferita che 
sia alla fase dell'impegno o a quella del pagamento, soggiace pur sempre 
alla eventualit� di una valutazione diversa, rispetto a quella degli organi 
regionali istituzionalmente competenti, da parte dell'organo che, nell'�mbito 
di una innegabile discrezionalit�, di volta in volta �pu�� consen� 
tire (e quindi anche non consentire) il prelievo in eccedenza rispetto 
al raggiunto limite. Ne risulta, pertanto, violata, �sotto questo profilo, 
la riserva di legge di cui all'art. 119, comma primo, della Costituzione. 
L'Avvocatura dello Stato obietta che le impugnate norme �si inseriscono 
in un complesso quadro normativo, inteso a contenere, sia nel 
1982 che nel 1983, l'espansione della spes� pubblica e, quindi, del disavanzo 
e del conseguente ricorso al mercato finanziario�. Ma il richiamo 
ad una finalit� d'interesse generale, pur di cos� precipuo e stringente 
rilievo, non pu� di per s� legittimare il ricorso, per il suo perseguimento, 
a misura di contenimento della spesa pubblica che incidano e vulnerino 
competenze ed interessi costituzionalmente garantiti. In particolare, per 
quanto concerne la spesa delle regioni, altre possibilit� si offrono al 
legislatore statale nell'�mbito di quel compito, che gli attribuisce l'art. 119 

della Costituzione, di coordinamento dell'autonomia finanziaria delle 
regioni con la finanza dello Stato, delle province, dei comuni; e la stessa 
difesa della Regione ricorrente prospetta all'uopo ipotesi diverse di 
incidenza sulla spesa regionale � per la via maestra della disciplina 
delle entrate regionali�, e cio� nella �fase della determinazione dei proventi 
tributari e delle assegnazioni statali, nonch� dei limiti in cui le 
regioni possono ricorrere al credito. 


I 

! 

I I 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Per le su esposte consid�razioni va, dunque, dichiarata la .illegittimit� 
costituzionale dell'art. 26, commi secondo e terzo (divenuti primo 
e secondo per effetto della soppressione del primo comma, operata in 
sede di conversione in legge), del d.l. n. 786 del 1981, convertito con 
modificazioni in legge n. 51 del 1982, e dell'art. 4, commi quinto e sesto, 
della legge n. 130 del 1983. Resta, pertanto, assorbito il profilo di illegittimit� 
costituzionale, dedotto dalla Regione ricorrente, per l'asserita 
disparit� di trattamento tra regioni a statuto ordinario e regioni a 
statuto speciale. 

L'art. 10, primo comma, della legge n. 130 del 1983 dispone che sono 
infruttiferi i conti correnti, liberi o vincolati, aperti presso la tesoreria 
centrale dello Stato. La Regione Lombardia, con il ricorso notificato il 
28 maggio 1983, ha promosso questione di legittimit� costituzionale di 
tale norma, nella parte che concerne i conti correnti intestati alle regioni 
a statuto ordinario, �specie se considerata in correlazione con la 
disciplina dei prelevamenti da detti conti contenuta nell'art. 4, commi 
quinto e sesto� della stessa legge. Il carattere infruttifero dei conti 
comporterebbe, secondo la ricorrente Regione, una diminuzione, in termini 
reali, dell'entit� delle somme di pertinenza regionale depositate nei 
conti medesimi, e si tradurrebbe perci� in una illegittima compressione 
dell'autonomia finanziaria e di spesa della Regione, nonch� in una violazi?
ne dell'obbligo di copertura delle maggiori spese cui la Regione pu� 
andare incontro per effetto del divieto di prelevare somme dai conti 
anzidetti oltre il limite fissato. 

La questione non � fondata. Dichiarata con la presente sentenza 
la illegittimit� costituzionale dell'art. 4, commi quinto e sesto, della 
legge n. 130 del 1983, resta assorbito il dedotto profilo relativo all'asserita 
violazione dell'obbligo di copertura di maggiori spese. N� sussiste 
la denunciata lesione dell'autonomia finanziaria e di spesa della Regione. 
Invero, una volta garantita alle regioni l'effettiva possibilit� di disporre, 
per le proprie spese, delle somme accreditate, in base alla vigente disciplina, 
che ne regola il tempestivo flusso dai conti correnti ai tesorieri 
regionali, secondo il periodico fabbisogno, dimostrato dai preventivi 
trimestrali di cassa, evitandosi dannosi ristagni di liquidit�, la minore 

o nulla redditivit� delle somme depositate nelle tesorerie dello Stato, 
rispetto a quella che si avrebbe presso le aziende di credito, concreta 
�una conseguenza di fatto che non investe aspetti costituzionalmente 
tutelati, non incidendo sull'autonomia finanziaria delle Regioni �, come 
gi� affermato nella richiamata sentenza di questa Corte n. 162 del 1982. 
L'art. 28, primo comma, del d.l. n. 786 del 1981, convertito in legge 

n. 51 del 1982, dispone che � fino al 31 dicembre 1982 l'imposta locale 
sui redditi continua ad essere applicata con l'aliquota del 15 per cento. 
Il relativo gettito rimane. acquisito al bilancio dello Stato �. Per il sue

18 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

cessivo art. 29 �alle Regioni a statuto ordinario ed alle aziende auto. 
nome di soggiorno, cura e turismo istituite nel periodo 1974-80, sono 
attribuite dall'amministrazione finanziaria, per l'anno 1982, somme di 
importo pari a quelle spettanti per l'anno 1981 ai sensi dell'art. 33 del 


d.l. 28 febbraio 1981, n. 38, convertito, con modificazioni, in legge 23 aprile 
1981, n. 153 �. Per l'anno 1983, l'art. 28, ultimo comma, del d.l. n. 55 
del 1983, convertito in legge n. 131 del 1983, dispone che agli stessi enti 
destinatari siano attribuite � somme di importo pari a quelle spettanti 
per l'anno 1982 ai sensi dell'art. 29 del d.l. 22 dicembre 1981, n. 786, 
convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 1982, n. 51 �. 
La Regione Lombardia, con il ricorso notificato H 29 gennaio 1982, 

promuove questioni di legittimit� costituzionale degli artt. 28, primo 

comma, e 29 del d.l. n. 786 del 1981, perch� lesivi dell'autonomia finan


ziaria regionale. Secondo la ricorrente, la commutazione di un tributo 

proprio (pro-quota) delle regioni in trasferimento statale, violerebbe 

l'art. 119 della Costituzione; inoltre, la reiterazione della somma di anno 

in anno avrebbe finito con il trasformare quella che doveva essere una 

misura transitoria ed eccezionale in una modificazione permanente del 

sistema finanziario regionale, accentuandone il contrasto con l'invocato 

parametro costituzionale. Per di pi�, la conferma per il 1982 dell'im


porto delle somme sostitutive dell'ILOR nella stessa misura di quelle 

corrisposte nel 1981, senza alcuna maggiorazione, avrebbe accentuato 

il divario tra l'entit� dei trasferimenti e il gettito reale dell'ILOR acqui


sito al bilancio dello Stato. Analoghe considerazioni svolge la Regione 

Liguria, impugnando, con i ricorsi noticati il 31 marzo ed il 30 mag


gio 1983, l'art. 28, ultimo comma, del d.l. n. 55 del 1983, per violazion� 

degli artt. 117 e 119 della Costituzione. 

La questione non � fondata. 

Ben vero che l'art. 1 della legge 16 maggio 1970, n. 281, recante 
provvedimenti finanziari per l'attuazione delle regioni a statuto ordinario, 
attribuiva loro, con il secondo comma, il gettito delle imposte 
erariali sul reddito domh.cale e agrario dei terreni e sul reddito dei 
fabbricati, prevedendone la sostituzione -all'entrata in vigore dei provvedimenti 
di attuazione della riforma tributaria -con una quota del 
gettito derivante da una imposta corrispondente di importo non inferiore 
al gettito dell'ultimo anno di applicazione delle imposte fondiarie. 
La legge 9 ottobre 1971, n. 825, di delega legislativa per la riforma tributaria, 
nel prevedere la istituzione dell'imposta locale sui redditi (ILOR), 
fissava poi all'art. 4, tra i princ�pi e criteri direttivi cui doveva essere 
informata la disciplina della nuova imposta, la determinazione dell'aliquota 
da parte rispettivamente dei comuni, delle province, delle regioni, 
delle camere di commercio e delle aziende autonome di cura, soggiorno 
e turismo, l'accertamento a cura dell'amministrazione finanziaria dello 

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........,.,~~~ 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Stato e l'attribuzione diretta del gettito pro-quota agli enti suddetti. 
A tali princ�pi e criteri si uniformava la legge delegata (d.P.R. 29 settembre 
1973, n. 599), istitutiva dell'imposta, con decorrenza dal 1� gennaio 
1974. Peraltro, l'art. 19 bis del d.l. 29 dicembre 1977, n. 946, aggiunto 
dalla legge di conversione 27 febbraio 1978, n. 43, disponeva che "sino 
all'emanazione di nuove norme che regolino la partecipazione delle regioni 
all'imposta locale sui redditi, per l'anno 1978 sono attribuite dall'amministrazione 
finanziaria alle regioni a statuto ordinario ... somme 
sostitutive di importo pari alla quota di loro spettanza, calcolata sulla 
base delle iscrizioni a ruolo effettuate nell'anno 1977, con una maggiorazione 
del 10 per cento �. Da allora la " sostituzione � si � ripetuta di 
anno in anno, con formule pressoch� identiche, ma non pi� precedute 
dal riferimento alla prevista emanazione di nuove norme. Cos�, l'art. 11 
del d.l. 10 novembre 1978, n. 702, convertito con modificazioni nella legge 
8 gennaio 1979, n. 3, ha disposto per il 1979. l'attribuzione di una somma 
pari a quella del 1978, maggiorata del 10 per cento; l'art. 31 del dJ. 
7 maggio 1980, n. 153, convertito con modificazioni nella legge 7 luglio 
1980, n. 299, una somma pari a quella del 1979, maggiorata del 
20 per cento; l'art. 33 del d.l. 28 febbraio 1981, n. 38, convertito con 
modificazioni nella legge 23 aprile 1981, n. 153, una somma pari a quella 
del 1980, maggiorata del 20 per cento. Con le norme di cui � stata ora 
denunciata la illegittimit� costituzionale, l'ammontare delle somme sostitutive 
� rimasto, invece, fissato, per il 1982 e il 1983, nel quantum 
stabilito per il 1981. 

Non v'ha dubbio che il susseguirsi, di anno in anno, di provvedimenti 
a carattere contingente, in deroga alla disciplina ordinaria, renda 
quantomai disorganico e provvisorio il quadro attuale della finanza 
regionale: sicch� non pu� non auspicarsi che si ponga finalmente mano 
a quella "disciplina delle entrate tributarie delle regioni a statuto ordinario, 
coordinata con la regolamentazione delle funzioni e con l'ordinamento 
finanziario delle regioni stesse, ed imperniata sull'attribuzione 
diretta e indiretta di tributi e di quote di tributi�, la cui esigenza, gi� 
avvertita in sede di delega per la riforma tributaria (art. 12, comma 
secondo, n. 5 della legge n. 825 del 1971), non � stata poi soddisfatta 
dal legislatore delegato. 

Ma non per questo pu� ritenersi che le denunciate norme abbiano 
vulnerato l'autonomia regionale. Come osserva l'Avvocatura dello Stato, il 
�comma secondo dell'art. 119 della Costituzione delinea un modello, al 
quale la disciplina della finanza regionale si deve uniformare nel suo 
complesso; ma da ci� non derivano vincoli di carattere specifico, che 
impongano al legislatore statale di attribuire alle regioni determinati 
tributi o quote di tributi erariali, o che rendano irreversibili le scelte 
in precedenza operate. In altri termini, quelle stesse "leggi della Repub



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

20 

blica �, che sono chiamate a prestabilire i tipi dei tributi regionali, possono 
sostituire le figure inizialmente previste, con altre che meglio si 
conformino all'ordinamento finanziario generale. 

N� l'attribuzione alle regioni dei mezzi finanziari necessari per il perseguimento 
delle loro finalit� � definita dal precetto costituzionale in 
termini quantitativi; essa va, nel tempo, costantemente adeguata alle concrete 
esigenze di espletamento delle funzioni regionali, nei limiti della 
compatibilit� con i vincoli generali nascenti dalle preminenti esigenze 
della finanza pubblica nel suo insieme. Il dovuto rispetto dell'autonomia 
finanziaria regionale non impedisce, pertanto, che il legislatore statale 
modifichi o mantenga ferma, in base alla comparativa valutazione delle 
esig~nze generali, l'entit� delle assegnazioni alle regioni, a condizione, 
ovviamente, che non venga gravemente alterato il necessario rapporto 
di complessiva corrispondenza, nei limiti anzidetti, fra bisogni regionali 
e mezzi finanziari per farvi fronte, impedendo cos� alle regioni il normale 
espletamento delle loro funzioni. Il che non � dedotto nel caso 
in esame. 

Conclusivamente, non appaiono violati dalle denunciate norme gli 
invocati parametri costituzionali. 

L'art. 34, primo comma, del d.l. n. 786 del 1981 prevede, in via 
permanente, che �a decorrere dall'anno 1982 ed al fine di accrescere gli 
interventi promozionali in favore delle piccole e medie imprese, le camere 
di commercio, industria, artigianato e agricoltura, percepiscono un 
diritto annuale a carico di tutte le ditte che svolgono attivit� economica 
iscritte agli albi e ai registri tenuti dalle predette camere �; mentre i 
commi successivi disciplinano le misure e le forme di riscossione del 
diritto stesso. A questa prima serie di disposizioni si ricollega l'art. 29, 
terzo comma, del d.l. n. 55 del 1983 (integrato dal quarto e dal quinto 
comma del medesimo articolo) che prescrive l'aumento del �diritto 
annuale �, con deliberazione delle giunte camerali, � da un minimo del 
10 per cento ad un massimo del 100 per cento, in relazione all'attivit� 
istituzionale ed al programma di intervento promozionale che ciascuna 
camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura intende effettuare
�. L'intera disciplina in questione � stata per altro impugnata dalla 
Regione Lombardia. Sui pi� recenti disposti s'� invece concentrata l'impugnativa 
promossa dalla Regione Emilia-Romagna, mediante i ricorsi 
notificati nelle stesse date dei due ultimi ricorsi lombardi. 

Entrambe le ricorrenti prospettano, comunque, un'unica denuncia di 
illegittimit� costituzionale, affermando che con l'istituzione del �diritto 
annuale� si sarebbe sostanzialmente ritrasferita alle Camere -in congiunta 
violazione degli artt. 117, 118 e 119 Cost. -una competenza spettante 
alle amministrazioni regio.ali, secondo� l'art. 64 del d.P.R. n. 616 
del 1977. �L'attribuzione del gettito del diritto annuale alle Camere, e 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

l'esclusione totale e permanente di ogni ingerenza delle Regioni a riguardo 
del suo impiego �, precluderebbero infatti a questi eriti -come si legge 
nei ricorsi concernenti il d.l. n. 55 e la legge n. 131 del 1983 -l'esercizio 
delle loro funzioni, � anche sostituendo eventualmente in tutto o in parte 
alle Camere di Commercio altri strumenti �, e la disponibilit� delle risorse 
di cui si discute. 

Ma la denuncia � infondata, poich� le norme in esame non riconducono 
alcuna funzione regionale alla competenza delle camere, n� valgono 
a compromettere la realizzazione delle potest� riservate in materia 
alle regioni. Per prima cosa, va ricordato che il d.P.R. n. 616 dichiara 
bens� di competenza regionale -nell'art. 64, primo comma -� le funzioni 
amministrative attualmente esercitate dalle camere di commercio 
nelle materie trasferite o delegate dal presente decreto�, ma non coinvolge 
affatto � le funzioni istituzionali e le restanti funzioni amministrative 
�, chiarendo invece -nel secondo comma dello stesso articolo che 
esse � saranno esercitate dalle camere di commercio sulla base della 
legge di riforma dell'ordinamento camerale e del relativo finanziamento�; 
il che fa escludere -come in sostanza riconoscono anche i ricorsi regionali 
-che per questa patte si possa ipotizzare una lesione dell'autonomia 
garantita alle due ricorrenti. Secondariamente, � vero che il �diritto 
annuale � grava, senza eccezioni, sulle � ditte � svolgenti qualunque 
tipo di attivit� economica, che siano iscritte negli albi o nei registri 
camerali; sicch� sembra corretto ritenere -come assumono le difese 
regionali -che i rispettivi � interventi promozionali � non riguardino 
solo i settori dell'industria e del commercio, ma alcuni fra gli stessi 
�mbiti di competenza regionale, quali l'agricoltura, l'artigianato, il turismo. 
Anche in tal senso, per�, le norme impugnate vanno coordinate 
con l'art. 64 del d.P.R. n. 616, il cui terzo comma precisa che le relative 
funzioni � continuano ad essere esercitate dalle camere di commercio... 
finch� le leggi regionali non disciplineranno la materia�. Se ed in quanto 
difetti un'apposita legislazione locale (come si verifica tuttora in varie 
regioni), le camere di commercio possono effettuare i loro interventi 
in ogni campo gi� rientrante nella competenza camerale. Ma ci� non 
ostacola per nulla l'esercizio della potest� legislativa regionale (di cui 
l'Einilia-Romagna, del resto, ha gi� fatto un ripetuto uso): sia per indirizzare 
gli interventi delle camere, sia per incidere sulle premesse dalle 
quali dipende la stessa spettanza o la sfera di applicazione dei diritti 
annuali. 

In altri termini, il riparto delle competenze, fissato dall'art. 64 del 

d.P.R. n. 616, non � stato alterato in alcun modo dalle norme impugnate. 
Esse invece si limitano a finanziare l'attivit� istituzionale e gli interventi 
promozionali delle camere di commercio, alla condizione che gli enti 
medesimi siano ancora competenti nei settori dei quali si tratti, e senza 

22 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

affatto ampliare le funzioni camerali, al di l� di quanto � stato impli


citamente previsto nell'art. 117 della Costituzione. 
Quanto ai � provvedimenti urgenti per il settore della finanza locale 

per l'anno 1983 �, il sindacato della Corte deve concentrarsi sulle impugnazioni 
riguardanti il decreto-legge 28 febbraio 1983, n. 55, come convertito 
dalla legge 26 aprile 1983, n. 131. Per contro, non possono esser 
prese in considerazione le singole questioni sollevate dal ricorso della 
Regione Lombardia, notificato il 31 gennaio 1983, con riferimento al decreto-
legge 30 dicembre 1982, n. 952. Tale atto non � stato infatti convertito 
in legge ed ha pertanto perduto efficacia �sin dall'inizio�, come 
prevede espressamente l'art. 77, terzo comma, della Costituzione. In 
.accoglimento della richiesta avanzata dall'Avvocatura dello Stato e secondo 
la pi� recente giurisprudenza della Corte, che a questi specifici 
effetti non ha operato alcuna distinzione fra i giudizi instaurati in via 
principale e quelli instaurati in via incidentale, va dunque pronunciata 
la manifesta inammissibilit� di tutte le impugnative promosse mediante 
il predetto ricorso. Il fatto che il decreto in esame avesse � forza di 

legge� non toglie, in verit�, che l'intero atto in ordine al quale il 

ricorso era stato ritualmente proposto debba ormai considerarsi -per 

necessaria ed automatica conseguenza dell'inerzia del Parlamento -come j 

non mai esistito quale fonte di diritto a livello legislativo: il che deter


mina una situazione del tutto peculiare e non inquadrabile negli schemi 

j 

della cessazione della materia del contendere, di cui la Corte si avvale ~ 

i

in diverse fattispecie. ! 

I i

N� osta la circostanza che il comma finale dell'articolo unico della 
legge n. 131 (sulla medesima linea del soppresso art. 37 del decreto-legge 

n. 55) stabilisca che � restano validi gli atti e i provvedimenti adottati 
ed hanno efficacia i rapporti giuridici sorti in applicazione � di tutte le 
i 

impugnate disposizioni del decreto-legge n. 952. Da un lato, una norma 
di convalida ex art. 77, terzo comma, Cost. non forma un �idoneo equipollente
� della legge di conversione (come la Corte ha chiarito nella 
sentenza n. 59 del 1982). D'altro lato, la previsione conclusiva della legge 

n. 131 (come gi� il soppresso art. 37) � stata a sua volta impugnata dalla 
Regione Lombardia, nonch� dall'Emilia-Romagna, mediante i ricorsi notificati 
il 28 maggio 1983. Ed � unicamente in questi termini che la problematica 
inerente al decac::luto decreto-legge sulla finanza locale pu� essere 
dunque affrontata dalla Corte. 
Va inoltre dichiarata inammissibile la prima delle questioni di legittimit� 
costituzionale sollevate dalla Lombardia e dall'Emilia-Romagna, sin 
dai ricorsi notificati il 30 marzo 1983, circa il decreto-legge n. 55. Entrambe 
le ricorrenti denunciano, preliminarmente, la violazione dell'art. 
77 Cost., in cui sarebbe incorso il decreto medesimo, l� dove esso 
risulta �sostanzialmente riproduttivo� del decaduto decreto n. 952. Ma la 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

giurisprudenza della Corte � costante (si veda fra le altre, per un caso 
analogo a quello in esame, la sent. n. 151/1974) nell'affermare -in applicazione 
dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale n. 1 del 
1948 -che le regioni non possono prospettare in via principale vizi insuscettibili 
di concretare invasioni delle competenze loro garantite. Ed a 
questa stregua non � dato alle regioni stesse di impugnare un decretolegge, 
per il preteso difetto dei presupposti giustificativi costituzionalmente 
prescritti (anche a tacere del fatto che il decreto medesimo � 
stato comunque convertito in legge). 

Fra le varie questioni relative a determinati provvedimenti per la 
finanza locale, va considerato anzitutto -nell'ordine testuale -il complesso 
delle censure rivolte dall'Emilia-Romagna e dalla Lombardia all'art. 
8, primo e secondo comma, del decreto-legge n. 55, nonch� al 
comma 2.1 del medesimo articolo ed all'art. 8 bis, inseriti all'atto della 
conversione: tutti vertenti. sulla determinazione degli importi che spettano 
a comuni e province per l'esercizio delle funzioni trasferite dalle 
regioni agli enti locali, in forza del d.P.R. n. 616 del 1977. 

Come giustamente osserva l'Avvocatura dello Stato, il comma 2.1 dell'art. 
8 presenta per� un contenuto ben diverso da quello proprio dei 
primi due commi dello stesso articolo, nonch� dei due commi dell'articolo 
8 bis. Infatti, il comma 2.1 impone senz'altro alle regioni di � cor� 
rispondere� ai comuni e alle province, entro il 30 giugno 1983, la somma 
della quale si tratta. Viceversa, i primi due commi dell'art. 8 prescri� 
vono che, entro il 30 aprile 1983, le regioni comunichino agli enti 
locali interessati l'importo loro spettante; senza di che gli enti stessi 
� sono autorizzati a prevedere (nei loro bilanci) importi corrispondenti 
a quelli ricevuti in assegnazione per il 1982, maggiorati del 13 per cento�. 
Ed analogamente dispongono, circa il 1984 ed il 1985, i due commi dell'art. 
8 bis. 

Ora, la Corte non � chiamata a pronunciarsi sull'intrinseca correttezza 
di siffatte previsioni dal punto di vista dei princ�pi cui si informa 
la contabilit� pubblica; e, meno ancora, deve valutare gli inconvenienti 
della finanza regionale e locale, in quanto fondata su trasferimenti dallo 
Stato o dalle regioni, piuttosto che su proventi propri. Unico oggetto 
dell'attuale giudizio -nella parte concernente l'art. 8, primo e secondo 
comma, nonch� l'art. 8 bis del decreto-legge n. 55 -sono invece i due 
ordini di motivi esposti nei ricorsi regionali: cio� che tali disposti trascurerebbero, 
da un lato, la legislazione regionale vigente in materia e, 
d'altro lato, obbligherebbero le regioni a trasferire le somme in esame, 
senza ricevere dallo Stato importi adeguati allo scopo. 

Ma entrambe le censure si dimostrano infondate. (omissis) 
N� va condiviso l'assunto che le norme impugnate precludano l'even� 
tualit� di una difforme legislazione locale. Sebbene il riferimento all'ipo� 


24 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

tesi che le regioni � abbiano regolato la materia con loro provvedimenti 
di legge � non sia testualmente contenuto se non nel comma 2.1 dell'art. 
8, esso rimane implicito nell'intero complesso delle disposizioni 
in esame. Le funzioni gi� regionali e quindi trasferite a comuni e province 
mediante il d.P.R. n. 616 del 1977 sono state infatti attribuite agli 
enti territoriali minori -come viene in pi� punti precisato dal decreto 
stesso -in quanto �funzioni amministrative... di interesse esclusivamente 
locale�, ai sensi dell'art. 118, primo comma, della Costituzione. In tali 
settori, pertanto, le regioni conservano la loro potest� legislativa; ci� che, 
del resto, risulta confermato dall'art. 133, primo comma, del d.P.R. n. 616, 
appunto in tema di � assegnazione di quote aggiuntive � dalle regioni 
agli enti locali, per assicurare �l'integrale copertura dei �nuovi oneri� 
imposti agli enti medesimi nello svolgimento delle nuove funzioni loro 
conferite. Ed anche i termini degli obblighi di comunicazione, rispettivamente 
previsti dal primo comma dell'art. 8 e dal primo comma dell'art. 
8 bis, presuppongono quindi che faccia difetto una legislazione regionale, 
dalla quale derivi l'esigenza che le comunicazioni stesse vengano 
effettuate in tempi diversi. 

Le considerazioni or ora svolte valgono pure ad escludere la fondatezza 
della prima censura concernente il comma 2.1 dell'art. 8: per cui 
il termine del 30 giugno 1983, previsto da una legge promulgata il 26 e 
pubblicata il 30 aprile del medesimo anno, sarebbe cos� breve da porre 
le regioni nella materiale impossibilit� di legiferare in proposito, prima 
di essere tenute a corrispondere l'importo determinato in modo autoritativo 
dal legislatore statale. In realt�, non � dal momento dell'entrata 
in vigore della legge n. 131 del 1983, ma gi� sulla base del decreto presidenziale 
n. 616 del 1977, che le regioni avrebbero potuto risolvere per 
legge il problema in questione. Ed � precisamente la protratta inerzia 
dei legislatori locali (o di alcuni tra essi) che ha legittimato il Governo 
e il Parlamento ad intervenire di nuovo sul punto, aggiungendo un altro 
anello alla catena di provvedimenti con �forza di legge, che inizia a partire 
dalla conversione del decreto-legge 29 dicembre 1977, n. 946, operata 
dalla legge 27 febbraio 1978, n. 43. � 

� ben vero che, in una prima fase, la legislazione statale sulla finanza 
locale aveva disposto che gli importi spettanti ai comuni, quanto alle 
funzioni gi� esercitate dalle regioni e ad essi attribuite, fossero s� incrementati 
annualmente, ma �della stessa percentuale prevista dalle Leggi 
vigenti per l'incremento del fondo comune di cui all'art. 8 della legge 
16 maggio 1970, n. 281 � (si veda l'art. 7 del citato d.l. n. 946 del 1977, 
come modificato dalla legge n. 43 del 1978; e similmente l'art. 16, secondo 
comma, del decreto-legge 28 febbraio 1981, n. 38, convertito nella legge 
23 aprile 1981, n. 153). Soltanto in virt� dell'art. 4 cpv. del decreto-legge 
22 dicembre 1981, n. 786 (convertito nella legge 26 febbraio 1982, n. 51), 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 25 

si � stabilito che in mancanza della comunicazione regionale dell'importo 
loro spettante i com�ni e le province fossero comunque � autorizzati a 
prevedere importi corrispondenti a quelli ricevuti in assegnazione per 
il 1981, maggiorati del 16 per cento�. E da questo precedente ha preso 
lo spunto la disposizione dell'art. 8, comma 2.1, del d.l. n. 55, nel prescri� 
vere alle regioni la corresponsione di �un importo pari a quello dovuto 
per il 1982, aumentato del 13 per cento�: cos� aggravando senza corrispettivi 
-secondo i ricorsi dell'Emilia-Romagna e della Lombardia -� le 
gi� serie condizioni della finanza regionale �, in violazione dell'autonomia 
finanziaria costituzionalmente garantita alle regioni stesse. 

Ma la maggiorazione del 13 per cento non � censurabile da questa 
Corte, nei termini in cui l'hanno denunciata le due ricorrenti. Di per 
se stessa, quella percentuale d'incremento non � affatto irragionevole, 
tenuto conto del tasso di inflazione programmato per il 1983 e della gi� 
ricordata esigenza di assicurare -sull'intero territorio nazionale, in assenza 
di un'apposit~ disciplina legislativa locale -l'� integrale coper� 
tura � degli oneri venuti a gravare sui comuni e sulle province per effetto 
del decreto n. 616. N� si pu� dire che l'entit� della corrispondente spesa 
da prevedere e da fronteggiare nei bilanci delle regioni ordinarie sia 
tale da compromettere l'autonomia finanziaria regionale, intesa come 
disponibilit� di somme adeguate all'adempimento delle �funzioni normali 
� spettanti alle regioni stesse (art. 119, secondo comma, Cost.) ed 
all'effettuazione delle scelte politiche di loro competenza. Su quest'ultimo 
punto, i ricorsi non contengono neppur.e l'inizio di una dimostrazione. 
E fermo comunque rimane che altro � la copertura di un onere 
ben determinato, come quello derivante dal comma 2.1 dell'art. 8, altro 
la �complessiva sufficienza dei proventi regionali; tanto pi� che la spesa 
in questione non va fronteggiata mediante un certo tipo di entrata, 
appositamente trasferita dallo Stato alla regione, e non va neppure riferita 
alle sole quote del fondo comune, ma grava sull'intero insieme delle 
entrate disponibili per l'assolvimento di obblighi del genere (entrate che 
si sono dilatate a loro volta, come anche le Regioni interessate riconoscono, 
pur limitandosi a valutare il globale incremento del fondo comune 
per il 1983 in una percentuale del 9,47 rispetto al fondo 1982). (omissis) 

L'art. 9 del decreto-legge n. 55 � stato impugnato da tutte le Regioni 
ricorrenti, sebbene in termini formalmente diversi. Sostanzialmente, per�, 
tutte queste denunce s'imperniano sul primo comma, l� dove si fissano 
i criteri sulla base dei quali va suddiviso � l'importo di lire 5.000 
miliardi, relativo a mutui da concedersi dalla Cassa depositi e prestiti 
per l'esercizio 1983, previsto dall'art. 11 del decreto-legge 22 dicembre 1981, 

n. 786 � (come sostituito dalla legge� di conversione 26 febbraio 1982, n. 51). 
Quarto, sesto, nono e decimo comma dell'art. 9 presuppongono ed integrano, 
infatti, la generale previsione di cui al primo comma. 

26 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Appunto con riferimento al primo comma, tutte le ricorrenti lamentano, 
cio�, d'essere state escluse dalla definizione e dall'applicazione dei 
criteri stabiliti per il riparto e l'assegnazione dell'importo in esame, 
� omettendo il tramite della regione � -come si legge nel ricorso ligure 
�nel procedimento di scelta del modo di utilizzazione delle risorse economiche 
�. Inoltre, le Regioni Lombardia ed Emilia-Romagna rilevano 
che l'art. 9, primo comma, del d.l. n. 55 non fa pi� richiamo ai � programmi 
regionali di sviluppo�, diversamente da quanto chiariva in proposito 
l'art. 9, quinto comma, del d.l. n. 38 del 1981 (come sostituito 
dalla legge n. 153 del 1981), riguardante anch'esso i criteri di attribuzione 
dei finanziamenti agli enti locali da parte della Cassa depositi e prestiti; 
ed in questa omissione ravvisano un ulteriore motivo per dedurre -nel 
senso illustrato dai ricorsi notificati il 30 marzo 1983 -la congiunta 
violazione della �competenza legislativa e programmatoria della Regione 
� e del � principio del necessario coordinamento fra finanza statale, 
regionale e locale, di cui all'art. 119, primo comma, della �Costituzione�. 

Senonch�, la prima censura non si presta ad essere accolta dalla 
Corte, in quanto il problema di un'eventuale �regionalizzazione� della 
Cassa depositi e prestiti non pu� essere affrontato che in sede politica, 
non gi� per la via d'un giudizio di legittimit� costituzionale. Per contro, 
in base alla vigente disciplina della Cassa (ivi compresa la recentissima 
legge di �ristrutturazione� 13 maggio 1983, n. 197, che si limita ad inserire 
nel consiglio di amministrazione, fra gli � esperti � di cui alla lettera f 
dell'art. 7, un solo rappresentante delle regioni, nominato dal Ministro del 
tesoro entro una terna presentata dalla Conferenza dei _presidenti delle 
giunte regionali), � fondamentalmente esatto quanto rileva l'avvocatura 
erariale: ossia che si tratta di un � organo dello Stato �. Per meglio dire, 
qualunque sia la natura giuridica di tale istituto, non vi � dubbio che 
la Cassa costituisca un apparato strumentale, destinato ad assolvere -anche 
nel presente caso -una funzione statale e non regionale: ossia 
l'esercizio del credito, con specifico riguardo alla concessione di mutui 
mediante i quali comuni e province possano concretare alcune loro 
autonome scelte. Ed � pacifico che l'autonomia comunale e provinciale 
sia garantita dall'art. 128 Cost., pur quando le scelte in questione attengano 
ad una materia compresa nell'elenco dell'art. 117, sul tipo dei lavori 
pubblici. 

A comprovare l'infondatezza del primo e comune motivo di ricorso, va 
inoltre ricordato che i criteri di suddivisione dell'importo previsto dall'art. 
9, primo comma, eccedono gli ambiti spaziali di ciascuna singola 
regione, per interessare l'intero territorio nazionale. Con quella disposizione, 
in altre parole, Governo e Parlamento hanno operato una globale 
valutazione perequativa degli enti locali e delle loro esigenze, per poi 
demandare alla Cassa il compito di puntualizzare la valutazione stessa, 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

effettuando un confronto fra istanze comunali e provinciali che il pi� delle 
volte dovrebbe concernere amministrazioni appartenenti a regioni diverse. 
Ci� assume una particolare evidenza per i primi due criteri, fissati dalle 
lettere a e b dell'art. 9, primo comma, i quali contrappongono senz'altro 
gli �enti locali dei territori del Mezzogiorno� agli �enti locali 
degli altri territori�; ma il medesimo genere di considerazioni vale anche 
per la lettera e, che riguarda il �finanziamento di opere pubbliche 
di particolare rilevanza o di interesse sovracomunale eseguite dai co� 
muni, dalle province e dai loro consorzi�, senza introdurre alcuna sottodistinzione 
interessante particolari regioni. E, d'altra parte, pur se la 
Corte annullasse l'art. 9, primo comma, non cadrebbe certo la generale 
competenza della. Cassa depositi e prestiti, bens� ridiverrebbero applicabili 
ai mutui in questione i generici criteri gi� fissati dal legislatore 
statale circa i finanziamenti da attribuire in tal senso agli enti locali; 
sicch� risulterebbe soddisfatta in minor grado l'esigenza di legalit� della 
pubblica amministrazione, senza che la competenza rivendicata dalle Regioni 
ricorrenti ne fosse rafforzata od allargata in alcun modo. 

Nondimeno, tutto questo non significa che vengano cos� trascurati 
i �programmi regionali di sviluppo�, l� dove essi siano entrati in vigore 
e nella misura in cui possano incidere sulla concessione dei mutui in 
esame; e che dunque non valgano, in questo stesso campo, i princ�pi 
stabiliti dall'art. 11, terzo e quarto comma, del d.P.R. n. 616 del 1977 
(�Nei programmi regionali di sviluppo gli interventi di competenza regionale 
sono coordinati con quello dello Stato e con quelli di competenza 
degli enti locali territoriali. La programmazione costituisce riferimento 
per il coordinamento della finanza pubblica�). Non va infatti condiviso 
l'assunto delle Regioni..., per cui l'art. 9, primo comma, del d.l. 

n. 55 del 1983 avrebbe implicitamente abrogato (od obliterato) l'art. 9, 
quinto comma, del d.l. n. 38 del 1981. Al contrario, va tenuto presente 
che l'art. 9, primo comma, del d.l. n. 38 concerne il finanziamento degli 
enti locali da parte della Cassa, per tutto �il triennio 1981-83 �; ed � in 
questo arco temporale che va rispettata la previsione del quinto comma, 
in base alla quale -di norma -� nelle regioni in cui siano stati approvati 
programmi regionali di sviluppo, gli enti locali, nella individuazione 
delle opere per le quali richiedere il finanziamento alla Cassa depositi e 
prestiti, devono riferirsi agli indirizzi programmatici contenuti nei programmi 
stessi... �. N� tale previsione � stata comunque alterata, per 
effetto del citato art. 11 del d.l. n. 786 del 1981, che si � limitato ad elevare 
gli importi disponibili nel 1982 e nel 1983, ovvero per effetto della norma 
impugnata, che anzi fa espresso richiamo all'art. 11 e dunque si collega 
alla legislazione precedente. 
Anche sotto questo aspetto i ricorsi regionali vanno perci� rigettati. 
E l'infondatezza delle censure mosse al primo comma dell'art. 9 coinvolge 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

28 

le corrispondenti impugnative del quarto comma (riguardante gli iden� 
tici criteri di concessione dei mutui per gli esercizi 1984 e 1985), del sesto 
comma (sui poteri spettanti al Ministro del tesoro quanto ai fondi previsti 
dal primo comma, lett. b), del nono e del decimo comma (nelle 
parti concernenti le modalit� di finanziamento della ferrovia metropoli� 
tana di Milano). 

Ragioni in parte analoghe a quelle esposte nei riguardi dell'art. 9 
inducono la Corte a ritenere non fondate le questioni di legittimit� costi� 
tuzionale dell'art. 11 del d.l. n. 55, rispettivamente sollevate da Lombardia 
e Liguria. La prima di tali Regioni, infatti, impugna il terzo comma dell'articolo 
stesso, per cui � le province, d'intesa con i relativi comuni e le 
comunit� montane, sono autorizzate ad assumere mutui per il finanziamento 
di investimenti di carattere sovracomunale per la tutela dell'ambiente 
e la difesa del territorio, per il rifornimento idrico, per lo smalti� 
mento dei rifiuti e per le infrastrutture a sostegno dei settori produttivi �: 
lamentando ancora una volta che ne verrebbe lesa la �competenza programmatoria, 
legislativa e amministrativa della Regione�, in ulteriore 
violazione del coordinamento prescritto dal primo comma dell'art. 119 
Cost. La seconda Regione ricorrente chiede invece l'annullamento dell'intero 
art. 11, ivi comprese -a quanto sembra -le disposizioni iniziali 
per cui � i comuni singoli od associati e le comunit� montane possono 
deliberare convenzioni dirette ad affidare alla provincia la progettazione 
e l'esecuzione di opere pubbliche di interesse comunale�; 
mentre � le province, attraverso i propri uffici, possono prestare assistenza 
tecnica, a favore dei comuni, delle comunit� montane e delle 
unit� sanitarie locali situati nel territorio della circoscrizione provinciale 
che ne facciano richiesta�. Ma anche la Liguria, nel motivare il 
ricorso, si limita a ribadire che tali disposti non riservano alla Regione 
alcuna �partecipazione ai relativi procedimenti di programmazione�. 

Per respingere siffatte denunce, basta ora aggiungere che tanto la 
facolt� di deliberare le convenzioni di cui al primo comma e di prestare 
l'assistenza tecnica prevista nel comma successivo, quanto l'autorizza. 
zione ad assumere mutui, ai sensi e nei limiti di cui al terzo comma, 
concorrono a potenziare l'autonomia amministrativa e finanziaria delle 
province, nonch� dei comuni e delle comunit� montane che agiscano d'in� 
tesa con le amministrazioni provinciali; sicch� l'annullamento delle previsioni 
in esame non farebbe che comprimere l'autonomia medesima, 
senza affatto arricchire le potest� attribuite alle regioni dagli artt. 117 
e 119 Cost. E non si pu� confondere il problema della legittimit� costituzionale 
dell'art. 11 con il problema dell'efficacia spettante ai programmi 
regionali di sviluppo: poich� la seconda questione va distintamente affrontata 
e risolta, considerando in modo puntuale -regione per regione i 
singoli indirizzi programmatici dei quali si tratti e la loro eventuale 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

incidenza sull'esecuzione di opere pubbliche da parte dei rispettivi enti 
autonomi territoriali. 

La sola Regione Liguria impugna altres� l'art. 16 del d.l. n. 55, con 
particolare riguardo al capoverso, per cui la somma di lire 120 miliardi, 
determinata dal comma precedente, � parzialmente destinata � alle spese 
di gestione delle comunit� montane da parte del Ministero del bilancio 
e della programmazione economica mediante assegnazione a. ciascuna 
comuni� montana dell'importo di lire trenta milioni, oltre a lire 1.000 
per abitante residente nel territorio montano della comunit� �. Sul medesimo 
piano degli artt. 9 ed 11, anche l'art. 16 incorrerebbe, infatti, nel 
vizio di prevedere �l'assegnazione diretta di finanziamenti alle comunit� 
montane �, ignorando del tutto il livello regionale; e la violazione del 
� ruolo programmatorio della regione �, implicitamente garantito dagli 
artt. 117 e 119 Cost., risulterebbe tanto pi� evidente, dal momento che 
la legge 23 marzo 1981, n. 93, dispone invece che i fondi destinati allo 
sviluppo della montagna (in base agli artt. 1, 2 e 5 della legge 3 dicembre 
1971, n. 1102) vengano assegnati alle regioni ed alle province autonome 
di Trento e Bolzano, affinch� siano esse a ripartirli fra le varie 
comunit� dei rispettivi territori. 

Posta in questi termini, per�, l'impugnativa non appare correttamente 
impostata, poich� non sussiste il preteso contrasto fra la norma 
in esame e la legge n. 93 del 1981. Altro, in realt�, � lo sviluppo della 
montagna cui si riferisce l'art. l, primo comma, della legge n. 93, relativamente 
al quale l'art. 16 del d.l. n. 55 non introduce alcun elemento 
di sostanziale novit� (ch� anzi il primo comma. dell'articolo stesso rimanda 
appunto alla legge predetta, per quanto attiene alle �finalit�� 
da essa indicate e soddisfatte nella sua parte iniziale); ed altro sono 
� le spese di gestione delle comunit� montane �, che evidentemente non 
concernono l'attuazione dei � piani di sviluppo economico-sociale � approntati 
da ciascuna comunit� ed approvati dalle competenti amministrazioni 
regionali o provinciali, ma si risolvono in una serie di spese 
correnti, puramente strumentali rispetto al momento della programma,
zione. Non a caso, le indennit� spettanti agli amministratori ed il trattamento 
del personale tecnico ed amministrativo assunto dalle comunit� 
montane sono gi� stati distintamente considerati dagli artt. 6 e 7 della 
legge n. 93, con una disciplina sostanzialmente identica per tutti gli enti 
in questione. Ed � significativoche lo stesso art. 2 della legge n. 93, nel 
disciplinare la � ripartizione di fondi tra le comunit� montane �, precisi 
espressamente che i finanziamenti regionali si devono integrare e coordinare 
-fra l'altro -�con quelli determinati ad altro titolo da leggi 
statali�. 

Ma, al di l� di questo, la denuncia proposta dalla Regione Liguria 
non raggiunge comunque un livello costituzionale, dato che la norma 


30 � RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

impugnata non incide affatto sul ruolo riconosciuto alle regioni dagli 
artt. 117 e 119 Cost. Come la Corte ha gi� chiarito con la sentenza n. 212 
del 1976, svolgendo considerazioni che si attagliano in particolar modo 
al caso delle �spese di gestione delle comunit� montane�, la legge n. 1102 
del 1971 ha attribuito alle regioni �una competenza che non va ricon~ 
dotta a quella radicata nelle materie indicate nel comma 1 dell'art. 117 
Cost., ma rientra, invece, nell'�mbito del comma 2 dello stesso articolo, 
a tenore del quale le leggi della Repubblica possono demandare alla 
Regione il potere di emanare norme per la loro attuazione �. Coerentemente, 
dottrina e giurisprudenza della Corte di cassazione concordano 
nell'assumere che le comunit� montane hanno la natura di enti locali 
autonomi, istituiti per il perseguimento di finalit� potenzialmente generali, 
non gi� di enti funzionali o dipendenti dalle regioni. Ed anche la 
legislazione statale ordinaria � costante nell'assimilare le comunit� montane 
agli enti territoriali minori, come gi� risulta dall'art. 1, primo 
comma lett. e, della legge n. 382 del 1975 (nonch� dall'art. 2 del d.P.R. 

n. 616 del 1977) e poi dall'art. 15, primo e terzo comma, della legge n. 833 
del 1978, per non dire del citato art. 11 dello stesso decreto-legge in esame. 
Perci�, la circostanza che il Ministero del bilancio e della programmazione 
economica assegni direttamente alle singole comunit� gli importi 
occorrenti per il normale funzionamento dei loro apparati, in misure 
parte identiche e parte proporzionali al numero degli abitanti nei loro 
territori montani, non implica alcuna lesione dell'autonomia regionale 
costituzionalmente garantita. 

A loro volta, le Regioni Lombardia ed Emilia-Romagna hanno sollevato 
questione di legittimit� costituzionale dell'art. 27, quarto comma,. 
del d.l. n. 55, nella parte in cui si dispone che il dieci per cento dei 
�diritti di stato civile� sia �destinato alla costituzione di un fondo per 
la formazione professionale degli ufficiali di stato civile, gestito secondo 
le modalit� di cui all'art. 42 della legge 8 giugno 1962, n. 604 �. Entrambe 
le ricorrenti, con identiche motivazioni, deducono che l'istituzione del 
� fondo � predetto, in quanto erogabile a cura del Ministro per l'interno, 
violerebbe la competenza che il primo comma dell'art. 117 Cost. riserva 
alle regioni in materia d'istruzione professionale; tanto pi� che le sole 
funzioni amministrative tuttora rimaste in tal campo allo Stato -secondo 
l'art. 40 n. 2 del d.P.R. n. 616 del 1977 -concernono �l'attivit� 
di formazione ed addestramento professionale svolta dalle Forze armate 
e dai Corpi assimilati e, in genere, dall'amministrazione dello Stato, ivi 
comprese le aziende autonome, per i propri dipendenti �. 

Ora, la Corte � dell'avviso che la norma in questione comporti effettivamente 
una deroga alle regole fissate in via generale dal d.P.R. n. 616. 
Da un lato, le funzioni di ufficiale di stato civile sono ordinariamente 
affidate ad amministratori e dipendenti comunali; ed � ciascun comune 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

che �ha un ufficio di stato civile�, in base all'art. 1, primo comma, del 

r.d. 9 luglio 1939, n. 1238. D'altro lato, non pu� esser condiviso l'iniziale 
assunto dell'Avvocatura dello Stato, per cui la configurazione del �fondo
� in esame troverebbe fondamento nella facolt� spettante agli enti 
pubblici di svolgere � attivit� di perfezionamento del proprio personale � 
(in base all'art. 41, terzo comma, del citato decreto presidenziale) e nella 
conseguente potest� statale di finanziare gli enti medesimi; al contrario, 
� lo stesso art. 41 del d.P.R. n. 616, che nel secondo comma fa divieto 
allo Stato di stanziare � somme a favore di soggetti pubblici e privati 
per finalit� inerenti all'attivit� di istruzione professionale ..., salvo che per 
attivit� di studio, ricerca e sperimentazione �. 
Ma la presente questione di legittimit� costituzionale non si presta 
ad essere risolta -come l'Avvocatura dello Stato ha avvertito nella memoria 
depositata in vista della pubblica udienza -senza tener conto 
dell'estrema peculiarit� dell'ordinamento dello stato civile. Qualunque sia 
la discussa natura dei rapporti che si instaurano in tal campo fra i 
comuni e lo Stato (e valgano o meno, in proposito, le definizioni proposte 
dalla sentenza n. 104 del 1973, relativamente alla delimitazione degli 
spazi affissionali per la propaganda elettorale), certo � che servizi o fun� 
zioni del genere non sostanziano l'autonomia comunale, ma vanno esercitati 
dai comuni stessi alla stregua di apparati dipendenti, in quanto 
obbligati nei confronti dello Stato, che deve considerarsi -quanto 
meno -l'effettivo titolare degli interessi da curare in materia. Per averne 
la dimostrazione, giova anzitutto ricordare come gi� nell'art. 152 n. 2 
della legge comunale e provinciale del 1915 si precisi che il Sindaco �quale 
ufficiale del Governo � incaricato sotto la direzione delle autorit� superiori... 
di tenere i registri dello stato civile a norma delle leggi �. Ma, principalmente, 
� nell'� or.dinamento dello stato civile �, cio� nelle disposizioni 
del citato r.d. n. 1238 del 1939, che risalta la singolarit� delle funzioni 
in esame. Vero � che -in base all'art. 3 di tale �ordinamento� ogni 
delegazione delle funzioni medesime dal Sindaco alle altre persone 
indicate nell'art. l, terzo e quarto comma, �deve essere approvata dal 
procuratore della Repubblica�; che �gli ufficiali dello stato civile� -in 
base all'art. 13, primo comma -�si devono conformare alle istruzioni 
che loro vengono date dal Ministero di grazia e giustizia� e sono inoltre 
-in base al capoverso del medesimo articolo -�sotto l'immediata e 
diretta vigilanza dei procuratori della Repubblica�; che i procuratori 
stessi dispongono degli ampi poteri di rettificazione degli atti, di cui 
agli artt. 165 e seguenti; che ogni pretore � tenuto a sua volta -in base 
agli artt. 179 e seguenti -alla verificazione dei registri dello stato civile 
ed al controllo sull'osservanza delle vigenti norme di legge. 

In breve, ci� offre la rjprova che la formazione degli ufficiali dello 
stato civile non pu� considerarsi riservata alle regioni. Al contrario, essa 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO

32 

� tanto connessa al buon andamento dei servizi in questione ed alla 
soddisfazione di interessi che sicuramente� fanno capo allo Stato, da determinare 
un caso per s� stante; sicch� l'impugnato art. 27, quarto comma, 
si � legittimamente discostato dai criteri generali di riparto delle competenze 
in, tema d'istruzione professionale. (omissis) 

La disciplina dettata dal d.l. n. 55, nei riguardi delle �aziende locali 
di trasporto�, forma l'oggetto di una serie di impugnative regionali: fra 
cui vanno previamente esaminate quelle che tutte le Regioni ricorrenti 
rivolgono all'art. 31, primo comma... Pi� precisamente, il primo comma 
dell'art. .31 (integralmente convertito dalla legge n. 131 del 1983) viene 
denunciato nella parte che impone alle regioni di provvedere al � definitivo 
equilibrio delle gestioni delle aziende locali di trasporto, ... mediante: 
a) l'integrazione della eventuale differenza tra la quota regionale derivante 
dalla ripartizione del Fondo nazionale trasporti per l'anno 1983 
e la somma delle erogazioni effettuate allo stesso titolo alle aziende 
nel 1982 � (anzich� limitarsi a quanto prescritto dalla lettera b) del comma 
stesso, concernente �i necessari adeguamenti tariffari stabiliti (dalle Regioni) 
con il concorso degli enti locali interessati�). Tutte le ricorrenti 
assumono, cio�, la conseguente violazione dell'art. 117, dal momento che 
verrebbe lesa l'autonomia legislativa regionale in materia di servizi di 
trasporto, e principalmente dell'art. 119 nonch� del quarto comma dell'art. 
81 Cost. (interpretato alla stregua dell'art. 27 della legge n. 468 del 
1978), dal momento che la norma impugnata non assegnerebbe alle regioni 
le risorse occorrenti per fronteggiare la spesa, ma conterrebbe solo 
la generica indicazione di riso11se liberamente destinabili (e gi� destinate) 
da parte regionale, come quelle derivanti dal �maggior gettit� dei 
tributi propri�, di cui si tratta nella parte finale dell'art. 31, primo 
comma, lett. a. 

(omissis) In ogni caso, le difese regionali e l'Avvocatura dello Stato 
concordano nel ritenere che la norma impugnata addossi alle regioni un 
onere del tutto nuovo, obbligandole ad imputare ai loro bilanci di previsione, 
mediante un corrispondente utilizzo dei � tributi propri �, la spesa 
occorrente perch� le aziende locali di trasporto beneficino, nel 1983, dello 
stesso volume di erogazioni comunque ricevute da parte regionale nel 1982 
(poco importa se a titolo di necessario �ripiano dei disavanzi di esercizio 
� o. di � contributi di esercizio � liberamente disposti dalla Regione, 
in base all'art. 9 oppure all'art. 6 della legge-quadro 10 aprile 1981, n. 151). 
L'unica alternativa, prevista dalla gi� ricordata lettera b dello stesso 
art. 31, primo comma, � infatti rappresentata dai �necessari adeguamenti 
tariffari�; ma le parti sono di nuovo concordi, nel riconoscere che il legi� 
slatore statale ha voluto evitare un eccessivo aumento delle tariffe e, 
appunto per questo, ha fatto gravare in prima linea sui bilanci regionali 

l'onere in esame. 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 33 

Definita in tal senso, la questione � fondata, poich� l'art. 31, primo 
comma lett. a, collide con gli artt. 117 e 119 Cost. e, di riflesso, viola 
anche il quarto comma dell'art. 81. Imporre alle regioni obblighi del 
genere contrasta anzitutto con ci� che la Costituzione prescrive nel secondo 
comma dell'art. 119: ossia che le regioni dispongano di �tributi 
propri� (oltre che di �quote di tributi erariali�), per fronteggiare autonomamente 
� le spese necessarie ad adempiere le loro funzioni normali �, 
in chiara contrapposizione ai �contributi speciali� previsti dal terzo comma, 
in ordine ai quali lo Stato pu� invece vincolare l'esercizio della legislazione 
e dell'amministrazione regionale. Se dunque si ammettesse che, 
in nome di qualsivoglia esigenza di coordinamento finanziario, lo Stato 
possa ricorrere ai tributi regionali � propri �, individuando nel loro gettito 
il mezzo per fronteggiare spese di interesse nazionale, l'autonomia 
legislativa locale verrebbe irrimediabilmente vulnerata, assieme all'autonomia 
finanziaria considerata sul versante delle uscite. 

N� si pu� dire che il provvedimento in esame trovi alcun sostegno 
nei � princ�pi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato�, cui la legislazione 
delle regioni ordinarie si deve pur sempre attenere, nelle materie 
indicate dall'art. 117 Cost. Da una parte, in base alla generalissima 
norma di principio dettata dall'art. 21, primo comma, della legge 19 maggio 
1976, n. 335, � tutte le somme assegnate, a qualsiasi titolo dallo Stato 
alla regione, confluiscono nel bilancio regionale, senza vincolo a specifiche 
destinazioni, salvo il caso di assegnazioni in corrispondenza di deleghe 
di funzioni amministrative... (e) salvo il caso di assegnazioni per il finan� 
ziamento dei programmi ulteriori di sviluppo ... �. D'altra parte, � vero che 
nel campo del quale si tratta la citata legge-quadro ha istituito, oltre 
al �fondo per gli investimenti�, l'apposito �Fondo nazionale per il ripiano 
dei disavanzi di esercizio delle aziende di trasporto pubbliche e 
private � (cfr. ancora l'art. 9 della legge n. 151 del 1981). Ma tale 
� Fondo � -anche perch� finanziato mediante la corrispondente ridu� 
zione delle erogazioni spettanti a ciascuna regione ai sensi degli artt. 8 
e 9 della legge n. 281 del 1970 -viene assegnato dalle amministrazioni 
regionali sulla base di autonome scelte, sia pure nel rispetto dei criteri 
fissati dall'art. 6 della legge n. 151. E, parallelamente, l'art. 5 cpv. si limita 
a stabilire che le regioni non possono stanziare in materia somme inferiori 
alla rispettiva quota del �Fondo�, con ci� stesso ammettendo che 
gli ulteriori �contributi di esercizio�, siano il frutto di libere determinazioni 
legislative locali; mentre l'art. 6, terzo comma, aggiunge che �le 
eventuali perdite o disavanzi non coperti dai contributi regionali come 
sopra determinati restano a carico delle singole imprese od esercizi di 
trasporto �. 

Ora, la norma impugnata non si pone certo sul medesimo piano di 

queste disposizioni, espressamente qualificate � princ�pi fondamentali � 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

34 

dall'art. 1 della legge-quadro; ma si risolve in un provvedimento derogatorio, 
destinato a vigere per il solo anno in corso, e tanto pi� singo� 
lare in quanto oneri siffatti sono stati in precedenza sostenuti dallo 
Stato stesso (si veda l'art. 18, �quarto comma, del d.l. n. 38 del 1981, 

�ome sostituito dalla legge di conversione n. 153 del 1981). Per poter porre 
a carico delle regioni la spesa in questione, sarebbe dunque occorso 
-quanto meno -che l'art. 31, primo comma lett. a, determinasse una 
apposita copertura finanziaria, ai sensi dell'art. 27 della legge n. 468 del 
1978, anzich� valersi di risorse indisponibili allo scopo. Ed � appunto in 
quest'ultimo senso -come gi� si accennava -che dalla violazione degli 
artt. 117 e 119 discende un ulteriore vizio di legittimit� costituzionale, per 
<:ontrasto con l'art. 81, quarto comma della Costituzione. 

Vanno invece respinte le analoghe censure, mosse dalle Regioni 
Emilia-Romagna e Lombardia ai commi 5.1, 5.2 e 5.3 dell'art. 31 (ovvero 
ai commi sesto, settimo ed ottavo dell'articolo stesso, secondo la termi� 
nologia dei due ricorsi). Ben diversamente dalla lettera a del primo comma, 
le disposizioni aggiunte in sede di conversione precisano che, alle con� 
dizioni ivi indicate, �le regioni sono autorizzate a corrispondere un contributo 
integrativo in misura comunque non superiore al 13 per cento 
della quota attribuita nel 1982 a ciascuna azienda�, per poi chiarire che 
tali erogazioni, liberamente disposte dalle amministrazioni regionali, � vengono 
riconosciute in aumento alla quota del Fondo nazionale trasporti 
loro spettante per l'anno 1984, ai sensi della legge 10 aprile 1981, n. 151 �. 
Impropriamente, perci�, le due ricorrenti deducono una conseguente � lesione 
della competenza legislativa, programmatoria, amministrativa e fi. 
nanziaria delle Regioni�; ed aggiungono che, in sostanza, verrebbe cos� 
imposto un nuovo onere alle regioni medesime, a fronte di una generica 
� promessa � di rimborso delle somme da esse erogate, che non costi� 
tuirebbe �valida indicazione di copertura�. In realt�, gli ulteriori contributi, 
previsti dal comma 5.2 dell'art. 31, sono pur sempre -giuridicamente 
-il frutto di un'autonoma determinazione regionale effettuata 
sulla base del citato art. 5 cpv. della legge-quadro in tema di trasporti 
pubblici locali; sicch� non ne deriva nessun onere che sia stato posto a 
<:arico dei bilanci regionali, senza l'indicazione dei mezzi per farvi fronte. 
E del comma 5.2 deve darsi comunque una lettura combinata con quella 
del comma 5.3: nel senso che le condizioni indicate dal primo di tali 
disposti vanno rispettate -come appunto osserva l'Avvocatura dello 
Stato -al solo scopo di consentire che le erogazioni in esame possano 

�trovare finanziamento a carico dello Stato�. 

Cos� ricostruiti, i commi aggiunti all'art. 31 del d.l. n. 55 non contrastano, 
dunque, con alcuno dei parametri costituzionali richiamati dalle 
ricorrenti. 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Sempre in tema di trasporti pubblici locali, la sola Regione EmiliaRomagna 
impugna ancora l'art. 31 del d.l. n. 55, relativamente ai commi 
secondo, terzo, quarto e quinto. Incidendo sulla determinazione delle 
�tariffe minime�, fissando i criteri da seguire nella previsione di � abbonamenti 
speciali per lavoratori� e nella definizione delle relative tariffe, 
condizionando l'applicazione delle � concessioni di viaggio gratuite e ridotte 
� al corrispondente rimborso del � prezzo di ogni documento di 
viaggio � da parte degli enti locali o delle regioni che abbiano deliberato 
le concessioni stesse, l'art. 31 avrebbe infatti dettato disposizioni 
di ultimo dettaglio, invasive della competenza regionale garantita dall'art. 
117, primo comma, della Costituzione (anche in relazione all'art. 84 
del d.P:R. n. 616 del 1977 ed all'art. 6 della legge-quadro n. 151 del 1981). 

Ma la questione � infondata in tutti i suoi aspetti. Le disposizioni 
in esame, sebbene contenute in una legge recante � provvedimenti urgenti 
per il settore della finanza. locale per l'anno 1983 �, hanno un'efficacia 
permanente nel tempo e valgono ad integrare la disciplina statale di 
principio in materia di trasporti: perseguendo l'obiettivo, gi� messo in 
evidenza dalla parte iniziale dell'art. 6 della stessa legge-quadro, dell'autosufficienza 
economica delle aziende; ed impedendo, pertanto, che gli 
utenti dei singoli servizi siano privilegiati, senza adeguate ragioni giustificative 
da valutare con metri fondamentalmente uniformi su tutto il 
territorio nazionale. � a queste esigenze che rispondono, in particolar 
modo, i rimborsi correlati alle � concessioni di viaggio gratuite o ridotte � 
e le indicazioni miranti a garantire che gli � abbonamenti speciali per 
lavoratori � siano oggettivamente tali, cio� si riferiscano -come precisa 
il terzo comma dell'art. 31 -� a mezzi di linea indispensabili a collegare 
l'abitazione con il luogo di lavoro �, nei giorni e negli orari interessati 
dall'attivit� lavorativa. Ma anche la fissazione degli inderogabili minimi di 
300 e 400 lire per i biglietti di �corsa semplice� (o di 400 e 500 lire per i 
biglietti �con validit� oraria sull'intera rete urbana�), secondo il nu� 
mero degli abitanti le citt� in questione, non fa che sviluppare il principio 
gi� stabilito dall'art. 6, primo comma lett. b, della ricordata leggequadro, 
per cui � i ricavi del traffico ... debbono coprire il costo effettivo 
del servizio�, nelle misure minime fissate sul piano nazionale. (omissis) 

La Regione Lombardia, con il ricorso notificato il 28 maggio 1983, 
promuove altre due questioni di legittimit� costituzionale, aventi en� 
trambe ad oggetto l'art. 9 della legge n. 130 del 1983, che reca disposizioni 
in materia di personale. 

La prima concerne i commi terzo e quarto del predetto articolo, 
nella parte relativa al �blocco� delle assunzioni nelle unit� sanitarie locali. 
Il divieto fatto dal comma terzo, con carattere di generalit� nell'ambito 
del pubblico impiego, � di procedere ad assunzioni anche temporanee 
a qualsiasi livello, comprese quelle relative a vacanze organiche 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

36 

o comunque gia progammate �, si rivolge, infatti, esplicitamente anche 
� al servizio sanitario nazionale �, Ed il successivo quarto comma, nel 
disporre che spetta al Presidente del Consiglio dei ministri, valutate 
le eventuali necessit�, determinare con proprio decreto, previa deliberazione 
del Consiglio dei ministri, sentito il Ministro del tesoro, � i casi 
in cui sia indispensabile procedere ad assunzioni di personale nelle amministrazioni 
e negli enti di cui al precedente comma�, si applica evidentemente 
anche alle assunzioni di personale nelle unit� sanitarie locali, 
nelle quali appunto si articola il servizio sanitario nazionale. 
La Regione ricorrente a~sume che tali disposizioni sono lesive, in 
parte qua, della competenza, che le � riconosciuta dalla legge 23 dicembre 
1978, n. 833, istitutiva del servizio sanitario nazionale, di programmare 
sul proprio territorio l'organizzazione e la gestione del servizio sanitario 
sotto l'essenziale profilo della provvista del personale necessario, 
previsto nelle piante organiche, che spetta ad essa disciplinare (art. 15, 
undicesimo comma, n. 4, della legge n. 833 del 1978, come modificato dall'art. 
13 della legge 26 aprile 1982, n. 181); e di ripartire tra le unit� 
sanitarie locali la quota ad esse assegnata del fondo sanitario nazionale 
(art. 51, quarto comma, della legge n. 833 del 1978). Ulteriore violazione 
della competenza regionale in subiecta materia sarebbe costituita dall'attribuzione 
al �Presidente del Consiglio dei ministri e al Consiglio dei 
ministri dell'esclusivo potere di valutare le necessit� delle U.S.L. e di 
determinare � i casi in cui sia indispensabile procedere ad assunzioni di 
personale�: in tal guisa sarebbe stato, infatti, attribuito ad organi statali 
un _Potere estraneo alle funzioni di indirizzo e coordinamento riservate 
allo Stato dalla legge n. 833 del 1978, e per di pi� non vincolato all'osservanza 
di criteri o princ�pi prestabiliti dal legislatore, s� che ne risulterebbe 
violata anche la riserva di legge sancita dalla Costituzione, 
tanto nell'art. 97, in materia di organizzazione dei pubblici uffici, quanto 
nell'art. 119, in materia di coordinamento tra la finanza statale, regionale 
e locale. 

L'Avvocatura dello Stato obietta che l'impugnato divieto di assunzione 
di personale nelle unit� sanitarie locali si pone come misura di 
carattere �transitorio�, adottata per una finalit� di interesse generale, 
� in rapporto ad una esigenza di freno alla dilatazione della spesa pubblica 
�. Al riguardo la Corte deve richiamare quanto gi� innanzi osservato, 
a proposito della eventuale incidenza di misure di carattere eccezionale 
ed urgente, quali � blocchi �, � tetti �, � congelamenti � e cos� 
via, su aree di competenze ed interessi costituzionalmente garantiti, che 
vanno, quindi, in ogni caso rispettati. Non di meno, per quanto tocca 
il divieto di assunzione di personale nelle unit� sanitarie locali per il 
1983, sancito dal denunciato terzo comma dell'art. 9 della legge n. 130 
del 1983, va riconosciuto che esso, circoscritto com'� in limiti temporali 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

non irragionevoli, e temperato dalla possibilit� di deroga in caso di 
necessit�, cui non sia dato sopperire in altro modo, resiste alle mosse 
censure di illegittimit� costituzionale. 

Sono, invece, le modalit� della deroga al blocco, come strutturata 
nel comma quarto, anch'esso impugnato, dello stesso art. 9, che incidono 
sulla competenza regionale in materia di organizzazione del personale 
delle unit� sanitarie locali, e del correlativo finanziamento. 

Giova in proposito considerare che la materia in cui trattasi attiene 
all'� assistenza sanitaria ed ospedaliera�, attribuita alle regioni dall'art. 117 
della Costituzione. Alle regioni medesime � perci� costituzionalmente 
riservata la generalit� delle correlative funzioni amministrative, salve 
-da un lato -la funzione statale di indirizzo e coordinamento e 
-dall'altro -le funzioni �di interesse esclusivamente locale�, identificate 
dalle leggi della Repubblica in base al primo comma dell'art. 118 
della Costituzione. Appunto in quest'ultimo senso, con esplicito riferimento 
a tale norma della Costituzione, l'art. 32, primo comma, del d.P.R. 

n. 616 del 1977 attribuiva ai comuni, singoli ed associati, tutte le funzioni 
amministrative relative alla materia dell'assistenza sanitaria ed ospedaliera, 
che non fossero �espressamente riservate allo Stato, alle Regioni 
e alle Province �. Ma il secondo comma dello stesso art. 32 dichiarava 
di spettanza regionale �stabilire i criteri di programmazione e di organizzazione 
dei servizi � in questione; ed il successivo terzo comma affidava 
-tra l'altro -alle leggi regionali la disciplina dell'� utilizzo del 
personale da parte degli enti gestori �. Per contro, nessuna funzione 
amministrativa incidente sul punto veniva riservata allo Stato dall'art. 30 
dello stesso d.P.R. n. 616. 
Anche la legge n. 833 del 1978 riserva allo Stato ampi poteri in materia, 
ma sotto forma di programmazione economica e sanitaria nazionale 
(art. 3), di legislazione ordinaria e delegata (artt. 4 e 47, terzo comma), 
di indirizzo e coordinamento delle attivit� amininistrative regionali 
(art. 5); non gi� sotto forma di provvedimenti amministrativi puntuali, 
relativi 1alle singole unit� sanitarie locali, come quello (decreto del Presidente 
del Consiglio dei ministri 1� agosto 1983 in Gazzetta Ufficiale n. 215 
del 1983) emanato dal Governo in applicazione della norma impugnata. 
In tema di struttura e funzionamento delle singole unit� sanitarie locali, 
come pure in tema di organizzazione e gestione dei singoli servizi previsti 
dalla legge di riforma (artt. 15 segg.), competente �, infatti, la regione, 
sia pure in applicazione delle leggi e delle direttive statali. E, prima 
ancora, � alla regione che spetta, in base all'art. 11, secondo comma, 
lett. e), della citata legge n. 833 del 1978, �assicurare la corrispondenza 
tra i costi dei servizi e relativi benefici �, 

I princ�pi anzidetti hanno trovato applicazione nella stessa Jegge delegata 
(d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761) che ha disciplinato lo stato giuridico 


38 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

del personale delle unit�. sanitarie locali. Tra le numerose norme che fanno 
Iiferimento alla regione si possono rico11dare:. l'art. l, che prevede l'inquadramento 
di tale personale � in ruoli nominativi regionali, istituiti e 
gestiti dalla regione �; gli artt. 9 e 12, secondo cui i pubblici concorsi per 

le assunzioni in servizio sono banditi ed espletati dalla regione; l'~t. 43, 
p:..r cm il dipendente, per esigenze di servizio di carattere temporaneo, pu� 
essere inviato dalla regione in missione presso localit� diversa da quella in 
cui presta servizio; l'art. 44, per cui il personale pu� essere comandato, 
con provvedimento regionale, a prestare servizio presso l'altra unit� sanitaria 
locale. 

Sulla base dei ricordati princ�pi appare chiaro che l'ente deputato alla 
supervisione delle esigenze rappresentate dalle unit� sanitarie locali per 
l'assunzione di personale in deroga al blocco vigente per l'anno 1983, ed alla 
conseguente emanazione, ricorrendone i presupposti, di puntuali provvedimenti 
autorizzativi, non pu� essere altri che la regione territorialmente 
c..ompetente; ferma restando allo Stato, ovviamente, nell'esercizio delle 
!unzioni di indirizzo e coordinamento, la determinazione dei criteri eventualmente 
occorrenti per soddisfare -tra l'altro -:le � esigenze di rigo1 
e e di efficacia della spesa sanitaria�, di cui all'art. 5, primo comma, 
della citata legge n. 833 del 1978. 

Per le suesposte considerazioni l'art. 9, comma quarto, della legge 

n. 130 del 1983 appare lesivo dell'autonomia regionale e, pertanto ne va 
dichiarata lc1 illegittimit� costituzionale nella parte in cui non prevede che 
siano le regioni (anzich� il Presidente del Consiglio dei ministri, previa 
deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Ministro del tesoro) 
a determi:aare, valutate '1e eventuali necessit�, i singoli casi in cui sia indispensabile 
procedere ad assunzione di personale nelle unit� sanitarie 
locali esistenti nell'ambito territoriale di rispettiva competenza. 
L'altra questione avente ad oggetto l'art. 9 della fogge n. 130 del 1983, 
egualmente promossa dalla Regione Lombardia con il ricorso notificato 
il 28 maggio 1983, si riferisce, invece, al quinto comma di detto articolo. 
Con esso si dispone che � per le esigenze del coordinamento della finanza 
pubblica di cui alla presente legge il Consiglio dei ministri emana atti 
di indirizzo e coordinamento per le amministrazioni regionali al fine di 
delimitare l'incidenza di nuove assunzioni di foro competenza sulla spesa 
delle regioni, in armonia con le disposizioni di cui ai due commi precedenti 
� dello stesso articolo. 

Secondo la Regione ricorrente, l'impugnata disposizione non pu� 
giustificarsi in nome della funzione di indirizzo e coordinamento, poich� 
mancherebbe in essa ogni indicazione di criteri per l'emanazione ed il 
contenuto degli atti di indirizzo, dandosi cos� vita ad un potere discrezionale 
del Governo, in violazione dei princ�pi di legalit� e di riserva di legge, 
di cui agli artt. 97, 117 e 119 della Costituzione. 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

La questione non � fondata. Non v'ha dubbio che anche nell'emana� 
zione di atti amministrativi di indirizzo e coordinamento il Governo sia 
vincolato dal principio di !legalit�. Per il legittimo esercizio della funzione 
in forma amministrativa si richiede, come affermato da questa Corte 
nella sentenza n. 150 del 1982, l'esistenza di una specifica disposizione 
legislativa la quale, in apposita considerazione della materia che di volta 
in volta esige fintervento degli organi centrali, vincoli e diriga la scelta 
del Governo, prima che questo possa, dal suo canto, indirizzare e coordinare 
lo svolgimento di poteri di autonomia. Ma nel caso in esame la denunciata 
norma non appare priva dei cennati requisiti. Infatti, come rileva 
l'Avvocatura dello Stato, essa prevede il possibile contenuto degli atti di 
indirizzo e coordinamento, rappresentato non da pure e semplici prescrizioni 
di blocco delle assunzioni, derogabile solo in casi stabiliti da organi 
governativi, ma dall'individuazione di limiti entro i quali debba risultare 
contenuta la spesa delle regioni derivante da nuove assunzioni, limiti 
superabili solo in presenza di valutazioni di indispensabilit�, da compiersi, 
ad opera dei competenti organi regionali, con procedure non ripro� 
duttive di quella configurata dal comma quarto dello stesso articolo, ma 
su di questa esemplate. Pertanto l'impugnata norma resiste alle mosse 
censure. 

Altra questione di legittimit� costituzionale promossa dalla Regione 
Lombardia con il ricorso notificato il 28 maggio 1983, � quella relativa 
all'art. 20, comma terzo, della Iegge n. 130 del 1983. Con detta norma � 
stata autorizzata la spesa di lire 30 miliardi, da iscrivere nello stato di 
previsione della spesa del Ministero dell'agricoltura e delle foreste per 
l'anno 1983, per la realizzazione, a cura del Ministero medesimo, �di progetti 
di forestazione industriale produttiva allo scopo di aumentare a 
breve termine la produzione legnosa forestale nazionale, promuovere una 
stabile e qualificata occupazione di mano d'opera forestale e favorire 
una pi� utile destinazione produttiva di terreni agricoli e forestali marginali
�. 

Secondo la ricorrente Regione la norma � viziata da illegittimit� costituzionale, 
iu quanto autorizza e finanzia una attivit� di organi centrali 
dello Stato, che rientra, invece, nell'�mbito della competenza spettante 
alle regioni in materia di agricoltura e foreste, in base all'art. 117 della 
Costituzione ed agli artt. 66, primo e secondo comma, e 69, primo, secondo 
e quarto comma, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616. Inoltre, prevedendo la 
istituzione nel bilancio dello Stato di uno stanziamento relativo a spesa 
concernente funzioni trasferite alle regioni, la denunciata norma violerebbe 
il divieto fatto in proposito dall'art. 126, comma terzo, dello stesso 

d.P.R. n. 616 del 1977. 
La questione � fondata. Le funzioni amministrative trasferite alle 
regioni in attuazione dell'art. 117 della Costituzione, nella materia �agri� 
coltura e foreste�, concernono, tra l'altro, �i boschi, le foreste e le 


40 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

attivit� di produzione forestale � e � le attivit� di preparazione professionale 
degli operatori agricoli e forestali�, secondo quanto dispone 
l'art. 66 del d.P.R. n. 616 del 1977, prendendo in considerazione il settore 
forestale appunto sotto il profilo produttivistico. Nello stesso decreto 
l'art. 69, preordinato alla protezione del settore medesimo in vista del 
fine pubblico che esso � destinato a perseguire, precisa che sono trasferite 
alle regioni tutte le funzioni esercitate dallo Stato concernente, tra 
l'altro, � le foreste, la propriet� forestale privata, i rimboschimenti �. 
Non v'� dubbio, dunque, che la � realizzazione di progetti di forestazione 
industriale produttiva � ricada nella competenza delle regioni e 
non del Ministero dell'agricoltura e delle foreste. N� appare adeguatamente 
suffragata la tesi dell'Avvocatura dello Stato, che si tratterebbe, 
cio�, di interventi che � trascendono l'interesse e quindi la competenza 
delle singole regioni �. La denunciata norma non prevede, invero, alcun 
collegamento programmatico od operativo a livello nazionale. D'altronde, 
ove si fosse trattato di un �intervento di competenza nazionale�, esso 
sarebbe rientrato nell'�mbito del successivo comma sesto dello stesso 
art. 20, che ha autorizzato per l'anno 1983 l'ulteriore spesa di lire 70 miliardi 
da iscrivere nello stato di previsione della spesa del Ministero 
dell'agricoltura e delle foreste, proprio �per gli interventi di competenza 
nazionale di cui all'art. 3 lett. c), della legge 27 dicembre 1977, 

n. 984 �. Legge, quest'ultima, che nel disciplinare il coordinamento degli 
interventi pubblici nei vari settori dell'economia agricola nazionale, prevede, 
fra l'altro, anche nel settore della forestazione, un piano nazionale 
e programmi regionali, nonch� 1a ripartizione dei finanziamenti fra gli 
interventi di competenza nazionale ed i programmi regionali. 
Per le esposte considerazioni va, dunque, dichiarata la illegittimit� 
costituzionale dell'art. 20, comma terzo, della legge n. 130 del 1983. 

(omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 5 maggio 1983, n. 127 -Pres. Elia -Rel. Ferrari 
-Presidente Consiglio dei Ministri e Regione Sicilia (vice avv. 
gen. Stato Carafa). 

Urbanistica -� Jus aedificandi � -Limiti -Concessioni edilizie -Doverosit�. 
(Cost., artt. 42 e 43; I. 28 gennaio 1977, n. 10, art. 17; I. reg. Sicilia, 27 dicembre 1978, 

n. 71, art. 36). 
Se la trasformazione edilizia-urbanistica progettata risulta rispettosa 
degli strumenti urbanistici, la concessione edilizia � atto dovuto (1). 

(1) Le ordinanze del giudice a quo meritavano una risposta breve. Forse 
meno opportuno � stato coinvolgere, tin una siffatta risposta, un argomento 
delicato e tuttora dtiscusso, quale !il oariattere � dovuto � o meno della conces� 
I 
~ 

f 

I 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

41 

(omissis) In seguito ad accertamenti disposti su opere edilizie in 
corso, taluni Sindaci di Comuni compresi nel mandamento di Trecastagni, 
dopo avere inutilmente ordinato la sospensione dei lavori, prima, 
e la demolizione delle opere, poi, denunziavano i fatti al Pretore per i 
provvedimenti di sua competenza. Questi, a sua volta, pur formulando 
variamente i capi d'imputazione, contestava a tutte le persone denunziate 
la contravvenzione di cui all'art. 17, lettera b), della menzionata 
legge n. 10 del 1977 in relazione, sia pure in un solo caso, agli artt. 1 
stessa 1. n. 10 del 1977 e 36 della suddetta legge regionale n. 71 del 1978, 
e ne denunciava il loro contrasto con gli artt. 42 e 43 Cost. 

L'art. 17, lettera b), della legge n. 10 del 1977 prevede �l'arresto fino 
a sei mesi e l'ammenda fino a lire cinque milioni nei casi di esecuzione 
dei lavori in totale difformit� o in assenza della concessione o di prosecuzione 
di essi nonostante l'ordine di sospensione o di inosservanza 
del disposto dell'art. 28 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 e successive 
modificazioni�. (omissis) 

La legge 28 gennaio 1977, n. 10, recante norme �per l'edificabilit� 
dei suoli�, dopo aver enunciato in via di principio che �ogni attivit� 
comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale 
partecipa agli oneri ad essa relativi e l'esecuzione delle opere � 
subordinata a concessione da parte del Sindaco�, (art. 1), prescrive che 
� la concessione comporta la corresponsione di un contributo commisurato 
all'incidenza delle spese di urbanizzazione nonch� al costo di costruzione 
� (art. 2); che Ǐ data dal Sindaco al proprietario dell'area o 
a chi abbia titolo per richiederla ... in conformit� alle previsioni degli 
strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi� (art. 4, primo comma); 
che Ǐ trasferibile ai successori o aventi causa�, �non incide sulla titolarit� 
della propriet� o di altri diritti reali ... ed � irrevocabile, fatti 
salvi i casi di decadenza� (art. 4, sesto comma); che �i proventi delle 
concessioni e delle sanzioni ... sono destinati alla realizzazione delle 
opere di urbanizzazione primaria e secondaria, al risanamento di complessi 
edilizi compresi nei centri storici �, oltre che � all'acquisizione 
delle aree da espropriare per la realizzazione dei programmi pluriennali � 
(art. 12). 

sione ediliziia (la massima � un po' pi� circostanziata della motivazione). Un 
pizmco di contraddizione (politica pi� che tecniccrgiiuridica) pu� scorgersi tra 
le pronunce dn tema di determina:ll�one della dndennit� di esproprimone, che 
sembrano non riconoscere ag:li strumenti urbanistici una piena rilevanza (anche 
quanto 'ad efficaC�la �costitutiva� della edificabilit�) e la pronuncia dn rassegna 
che invece attribudsce a detti strumentd l'efficacia costitutiva delLa doverosit� 
de1la concessione: ma forse ll:a �disarmonia � conseguenm dell'essere il processo 
costituzionale troppo spesso un prolungamento della � tutela� giur�sdimonale 
del � privato �. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

42 

Appare con tutta chiarezza che alla base della normativa de qua, 
di cui le disposizioni sopra trascritte sono quelle essenziali e qualificanti, 
permangono pur sempre gli strumenti urbanistici ed i regolamenti 

I

edilizi, cio� gli atti che l'autorit� competente ha il potere-dovere di adot


't: 

tare nell'interesse pubblico, qual � quello di assicurare un ordinato i: 
assetto territoriale ed un armonico sviluppo urbanistico, evitando uno i 
sfruttamento disordinato, che non tenga in alcun conto soprattutto l'igiene 
e le caratteristiche degli abitati. Appare con altrettanta chiarezza 

I 

che � il proprietario dell'area o chi abbia titolo � in suo luogo, come 
testualmente si esprime la legge, ha �diritto � di edificare, se la costruzione 
risulta rispettosa della disciplina urbanistica, e che il provvedimento 
dell'autorit� che facoltizza l'esercizio del �diritto� in parola 1 
-prescindendo per ora dal nomen juris datogli dal legislatore � un 
atto dovuto ed irrevocabile. (omissis) 


Ora, poich� la concessione che il proprietario ha l'onere di chiedere 
prima di dare inizio alla costruzione � prevista dalla legge, sicch� 
risulta rispettata la relativa riserva, e poich� ancora non v'� motivo 
-n� il giudice a quo l'ha prospettato -di ritenere che essa sia stata 
stabilita per uno scopo diverso da quello di assicurare nella specie la 
funzione sociale della propriet�, sicch� risulta avverata pure la seconda 
condizione posta dalla Carta costituzionale, � congruente dedurre la legittimit� 
del limite allo jus aedificandi, costituito dalla concessione in f:

I 

discorso. N� varrebbe osservare in contrario che la test� affermata 
legittimit� del prescritto provvedimento risulterebbe inquinata dalle Il 
norme a sensi delle quali il proprietario, in tanto pu� ottenere la 
concessione, in quanto corrisponda al Comune, � all'atto del rilascio della 

I

concessione�, un � contributo commisurato all'incidenza delle spese di 
urbanizzazione nonch� al costo di costruzione� (artt. 3, 5, 6, 11). � L'adempimento 
dei doveri inderogabili di solidariet� ... economica e sociale�, 
oltre che politica, � compreso tra i princ�pi della Costituzione, e per


! 

tanto una partecipazione agli oneri che� comporta una moderna urbaniz~ 
zazione (art. 1), ed i cui proventi sono espressamente destinati alla realizzazione 
delle relative opere (art. 12), non pu� di per s� ritenersi contra 
Constitutionem, salvo che non oltrepassi la soglia della ragionevolezza. 


In definitiva, allo stato della legislazione non si ravvisano elementi 
che inducano a negare la legittimit� costituzionale della �concessione� 
prevista dalla legge n. 10 del 1977. (omissis) 

Le ordinanze in esame poggiano sul duplice presupposto che � la 
concessione confe1isce al privato nuovi poteri o diritti ampliando la sua 
sfera giuridica� e che, pertanto, �attraverso la (apparentemente) innocua 
sostituzione della figura giuridica della concessione a quella della Iicenza 
�, si sarebbe verificata �la riserva originaria ai Comuni dello jus 
aedificandi �, cio� l'introduzione, nel nostro ordinamento, del � princi



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

pio rivoluzionario che lo jus aedificandi si appartiene ai Comuni e n�n

' 

ai privati �. La prospettazione, oltre che meramente assertoria, � palesemente 
unilaterale ed angusta, come unilaterale ed angusto � il quadro 
di riferimento, nel senso che tutte le ordinanze conoscono solo la prima 
parte della proposizione di cui all'art. 42, secondo comma, Cast., ignorando 
completamente la seconda parte. Come si � pi� sopra gi� rilevato 
la concessione dell'autorit� � dovuta, oltre che trasferibile ed irrevocabile, 
escludendosi, quindi, ogni valutazione discrezionale: se l'opera 
edilizia per la quale si chiede la concessione corrisponde alle previsioni 
degli' strumenti urbanistici, l'autorit� � tenuta a rilasciare la concessione. 
A fronte di questa disciplina � argomento manualistico lamentare 
che essa non corrisponda alla tradizionale concezione dell'istituto in 
parola. (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 28 luglio 1983, n. 247 -Pres. Elia -Rel. Paladin 
-Tucci (n.p.). 

Tributi erariali in genere -Contenzioso tributario -Soggetto rimasto 
estraneo al processo tributario � Decisione della commissione tributaria 
-Non � vincolante agli effetti penali. 

(Cost., art. 24; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 56). 

Contrasta con l'art. 24 Cost., l'art. 56, ultimo comma, del d.P.R. 29 settembre 
1973, n. 600, nella parte in cui comporta che l'accertamento 
dell'imposta divenuto definitivo in conse~uenza della decisione di una 
commissione tributaria vincoli il giudice penale, nella cognizione dei 
reati previsti in materia di imposte sui redditi, contestati a chi sia rimasto 
estraneo al giudizio tributario, perch� non posto in condizioni di 
intervenirvi o di parteciparvi . 

.(omissis) Questa Corte, con la sentenza n. 88 del 1982, ha dichiarato 
l'illegittimit� costituzionale degli artt. 60 e 21, terzo comma, della legge 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA. DELLO STATO 

7 gennaio 1929, .n. 4, 1< nella parte in cui prevedono che l'accertamento 
dell'imposta �e della relativa sovrhnposta, divenuto definitivo in via amministrativa, 
faccia stato .nei procedimenti penali per la cognizione de.i 
reati preveduti dalle leggi tributarie .in materia di imposte dirette.�. Ma 
tale decisione non cons.ente� di. considerare gi� risolto, neppure in modo 
implicito, il caso che ora � in questione1 nel senso che le norme denunziate 
non si �prestino pi� a determinare le conseguenze ipotizzate e censurate 
dal giudice. a quo (secon�o la motivazione dell'ordinanza n. 95 di 
quest'anno), 

Effettivamente, la Corte ha avuto cura di precisare pi� volte, non 
solo, nel dispositivo ma nella motivazione della citata sentenza, che la 
pronuncia aveva esclusivo riguardo agli atti amministrativi dotati di 
efficacia vincolante per il giudice penale, impregiudicato restando il diverso 
problema dell'autorit� spettante agli accertamenti divenuti definitivi 
per effetto di un provvedimento giurisdizionale. Ora, nel giudizio 
pendente dinanzi al Tribunale di Ravenna, il giudice penale risulta vincolato 
dalla decisione di una Commissione tributaria; sicch� la presente 
questione non pu� essere confusa con quella esaminata dalla sentenza 

n. 
88 del �1982, ma richiede di venire affrontata nel merito. 
A tal� fine, l'indagine va concentrata sull'art. 56, ultimo comma, del 
d.P,R. 29 settembre 1973, n. 600 (�Disposizioni comuni in materia di 
accertamento delle imposte sui redditi�), nella parte in cui si stabilisce 
che � l'azione penale per i reati di oui ai commi precedenti non pu� 
essere inizi.ata o proseguita prima che l'accertamento dell'imposta sia 
�livenuto definitivo �. � questa, infatti, fra le molte norme impugnate 
dal Tribunale di Raven.a, la sola che abbia tuttora una diretta rilevanza 
nel giudizio a qua -pur dopo l'abrogazione disposta, ma con effetto 
.dal 1� gennai<;> 19,83, mediante l'art. 13 del d.l. n. 429 del 1982, convertito 
nella legge n. 516 del medesimo anno -i. quanto interpretata ed applicata 
nel senso che l'accertamento divenuto definitivo per effetto della 
pronuncia di una Commissione tributaria abbia autorit� di cosa giudicata 
e d.nque faccia .stato nel conseguente giudizi<;> penale. Ed � su tale 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 45 

norma che in sostanza si appuntano le censure dell'ordinanza di rimessione,
� l� dove essa coinvolge anche casi in cui l'imputato sia rimasto 
estraneo, perch� impossibilitato a parteciparvi, al giudizio tributario in 
seguito al quale l'imposta dovuta sia stata definitivamente accertata: 
come appunto si � verificato nella specie, dal momento che l'art. 43 
della legge fallimentare, privando il fallito della legittimazione processuale 
nelle controversie relative a rapporti di diritto patrimoniale, determina 
per esso l'impossibilit� giuridica di agire e difendersi dinanzi 
alle Commissioni tributarie, pur quando vengano in considerazione illeciti 
penali inerenti all'evasione delle imposte sui redditi. 

Cos� circoscritta, la questione � fondata. Ad esigere l'annullamento 
della norma denunciata, valgono ragioni analoghe a quelle che hanno 
gi� indotto la Corte a temperare -per mezzo di varie decisioni -il 
rigore della cosiddetta unit� della giurisdizione o del necessario coordinamento 
fra giurisdizioni diverse: nel cui nome si rendevano vincolanti 
vari tipi di accertamenti giurisdizionali, nei confronti di terzi che pur 
s'erano trovati nell'impossibilit� di intervenire o di assumere veste di 
parte nei relativi giudizi. Effettivamente, con la sentenza n. 55 del 1971, 
la Corte ha ritenuto che sotto questo aspetto l'art. 28 cod. proc. pen. 
(sull'autorit� del giudicato penale in altri giudizi civili o amministrativi) 
fosse incompatibile con la garanzia costituzionale del diritto di 
difesa. Nel medesimo senso ed entro analoghi limiti, la sentenza n. 99 
del 1973 ha poi dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 27 cod. 
proc. pen. (sull'autorit� del giudicato penale nel giudizio di danno). Pi� 
di recente, la sentenza n. 102 del 1981 ha nuovamente affermato �che 
la subordinazione, anche per i terzi rimasti estranei, dell'esercizio dei 
diritti civilistici all'accertamento che ne sia risultato in sede penale, 
viene a violare non soltanto il diritto di difesa ma anche il diritto di 
azione, inibendo la possibilit� di dare la prova dei fatti posti a fondamento 
del propro diritto�; e quindi ha annullato una serie di norme 
del d.P.R. n. 1124 del 1965, in tema di diritto di regresso dell'INAIL e 
di giudizio civile di danno a carico del datore di lavoro. 

Dato il principio del libero convincimento del giudice penale, conclusioni 
del genere si impongono a fortiori quando si tratti di decisioni 
di altri tipi di giudici, destinate a far comunque stato in procedimenti 
come quello pendente dinanzi al Tribunale di Ravenna. Deve, pertanto, 
considerarsi in contrasto con l'art. 24 cpv. Cost. la previsione per cui 
l'accertamento dell'imposta, divenuto definitivo in conseguenza della 
decisione di una Commissione tributaria, vincola agli stessi effetti penali 
chi sia rimasto estraneo a quel giudizio, perch� non posto in condizione 
di intervenirvi o di parteciparvi. E resta dunque assorbita l'ulteriore 
censura, proposta dal giudice a quo in riferimento all'art. 27 
della Costituzione. (omissis) 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

46 

CORTE COSTITUZIONALE, 6 ottobre 1983, n. 300 -Pres. Elia -Rel. Con


so -Lunardo e altri (avv. Magno e Tanteri), Tripepi (avv. Panuccio), 

e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Carafa). 

Locazione -Immobili adibiti ad attivit� commerciali -Indennit� per la 
perdita dell'avviamento -Commisurazione -Al canone corrente di 
mercato -Legittimit� costituzionale -Limite. 

(Cost., artt. 3, 41 e 42; I. 27 luglio 1978, n. 392, come modificato con I. 31 marzo 1979 

n. 93, artt. 34, 69 e 73). 
Non pu� ravvisarsi una esplicazione irragionevole della discrezionalit� 
del legislatore ordinario nella commisurazione al canone corrente 
di mercato, anzich� all'ultimo canone corrisposto, della indennit� per la 
perdita dell'avviamento commerciale del conduttore. Peraltro, contrasta 
con gli artt. 3 e 42 Cast. il combinato disposto dell'art. 69, settimo comma, 
legge 27 luglio 1978, n. 392, e dello art. 73 stessa legge 27 luglio 1978, 

n. 392 (quale modificato dall'art. 1 bis decreto legge 30 gennaio 1979, 
n. 21, convertito con modificazioni nella legge 31 marzo 1979, n. 93), nella 
parte in cui -relativamente alle ipotesi di recesso del lo~atore dai contratti 
disciplinati dall'art. 67 stessa legge 27 luglio 1978, n. 392, motivate 
con la sopravvenuta necessit� di adibire l'immobile ad abitazione propria 
o del coniuge o dei parenti in linea retta entro il secondo grado -pre� 
vede che l'indennit� per l'avviamento commerciale dovuta al conduttore 
sia determinata sulla base del canone corrente di mercato per i locali 
aventi le stesse caratteristiche, anzich� con riferimento all'ultimo canone 
corrisposto (1). 
(omissis) Ad un discorso pi� complesso danno luogo le questioni 
concernenti la legittimit� costituzionale del combinato disposto degli 
artt. 69, settimo comma, e 73 della legge n. 392 del 1978, nella parte in 
cui prevede che al conduttore sia dovuta un'indennit� determinata sulla 
base del canone corrente di mercato per i locali aventi le stesse caratteristiche. 
E ci� non solo e non tanto perch�, mentre alcune ordinanze 
non forniscono precisazioni sull'indice da adottare in via sostitutiva, 

(1) Forse, non pu� essere esclusa una qualche contraddizione -s'intende, 
logico-giuridica e non po1itica -dn una disciplina legis1ativa che fa, nel suo 
seno, convivere un criterio liberistico (nella soelta del parametro dii commisurazione 
della inden:n!it�) con le frequenti regole vincolistiche (per fa determinazione 
dei canoni). Vii sarebbe anche da domandarsi se non v'� contraddi7lione 
tra l'intendimento di semplificare 1a determ!inazione dell'indennit� (per� 
seguono tal fine la presunzione di esistenza di un avviamento e l'adozione 
del parametro del canone) e la poSiizione dii una norma che impone di accertare 
caso per caso il � canone corrente di mercato �. La sentenza in rassegna 
si � mossa tra queste difficolt�. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

altre fanno riferimento in proposito all'ultimo canone corrisposto, richiamandosi 
all'indice che l'art. 34, primo comma, della stessa legge 
utilizza per determinare l'indennit� di avviamento commerciale in ordine 
alla cessazione dei nuovi rapporti di locazione, aventi ad oggetto un 
immobile adibito ad uso non abitativo, sorti a partire dal 30 luglio 1978. 
Quanto e soprattutto perch�, pur essendo le questioni prospettate ogni 
volta in termini generali, cio� con dispositivi che non distinguono a 
seconda del motivo addotto ai fini del recesso, per due dei procedimenti 
a quibus il recesso preso in considerazione risulta motivato con l'esigenza 
di adibire l'immobile �ad abitazione propria o del coniuge o dei 
parenti entro il secondo grado in linea retta�, mentre per le altre ordinanze 
il rispettivo procedimento a quo concerne un recesso motivato 
con l'esigenza di adibire l'immobile �all'esercizio, in proprio o da parte 
del coniuge o dei parenti entro il secondo grado in linea retta, di una 
delle attivit� indicate nell'art. 27 � della legge n. 392 del 1978: a proposito 
delle quali attivit� si potrebbe ulteriormente distinguere, a seconda 
che si sia o no in presenza �della stessa attivit� o di attivit� incluse 
nella medesima tabella merceologica che siano affini a quella gi� esercitata 
dal conduttore uscente ed ove il nuovo esercizio venga iniziato 
entro un anno dalla cessazione della precedente� (art. 34, secondo comma, 
espressamente richiamato, quanto � ai casi � in esso previsti, dall'ultimo 
periodo dell'art. 69, settimo comma). 

D'altronde, ad evidenziare queste, e consimili, distinzioni provvede 
la stessa strutturazione dell'art. 29 della legge n. 392 del 1978, con le 
lettere a), b), e) e d) in cui � suddiviso il primo comma e con i vari 
periodi di cUJi consta il secondo comma, il tutto oggetto di espresso 
rinvio da parte dell'art. 73, primo periodo, anche se -come gi� si � 
accennato sotto altra prospettiva, con riguardo al profilo della rilevanza 
-l'inserimento nel medesimo art. 73 dell'attuale secondo periodo, 
avvenuto in sede di conversione del decreto legge n. 21 del 1979, ha 
portato ad isolare da quel tutto i motivi �previsti dalle lettere a), b) e 
dall'ultimo periodo del secondo comma dell'art. 29 �. Prova ne sia che 
proprio l'aver ristretto, per questi motivi, l'ambito d'eser�izio della facolt� 
di recesso, riconoscendola �soltanto ove ricorra la necessit�... verificatasi 
dopo la costituzione del rapporto locatizio�, ha dato adito 
alla particolare problematica di costituzionalit� ora in esame, chiaramente 
collegata al richiesto requisiito della � necessit��, nell'intento di 
sottoporre a verifica da parte di questa Corte la congruenza del tratta� 
mento che le varie � esigenze � considerate ricevono sul piano dei rapporti 
fra diritto di recesso e misura dell'indennit� dovuta al conduttore 
per la perdita dell'avviamento commerciale, quali risultano attraverso 
il rinvio che in via generale l'art. 73 fa all'art. 69, settimo comma, della 
legge n. 392 del 1978, comma dettato per la determinazione dell'inden



RASSEGNA DELL'AWOCftTURA DELLO STATO 

nit� di avviamento �qualora il locatore non intenda procedere al rinnovo 
della locazione �, 

Poich�, ad avviso dei giudici a quibus, la determinazione dell'indennit� 
di avviamento �sulla base del canone corrente di mercato per i 
locali aventi le stesse caratteristiche� (art. 69, settimo comma, della 
legge n. 392 del 1978), anzich� sulla base dell'� ultimo canone corrisposto
�, porterebbe, nei casi in questione, a risultati troppo pesanti per il 
locatore -sia nel senso di sottoporre ad un'eccessiva compressione 
il suo diritto di propriet� (nonch�, per qualche giudice a quo, la sua 
libert� di iniriativa economica ed il suo impegno al risparmio), sia nel 
senso di rendere la sua situazione assai pi� onerosa di quella del locatore 
che, non rinnovando un contratto di locazione stipulato per uso 
non abitativo in data successiva al 29 luglio 1978, � tenuto al pagamento 
di un'indennit� commisurata all'ultimo canone corrispostogli dal conduttore 
(art. 34, primo comma, della legge n. 392 del 1978) -occorre precisare 
quali rapporti intercorrano fra l'indice rappresentato dall'ultimo 
canone corrisposto e l'indice rappresentato dal canone corrente di mercato 
per i locali aventi le stesse caratteristiche. Ci� ai fini dell'esatta 
individuazione del trattamento conseguente all'applicazione dell'uno piuttosto 
che dell'altro indice: un trattamento che si incentra sull'ammontare, 
pi� o meno elevato, dell'indenndt� dovuta dal locatore al conduttore. 

Dato che, quando si parla di ultimo canone corrisposto, si utilizza 
un indice suscettibile di essere detenninato automaticamente, mentre, 
quando si parla di canone corrente di mercato, ci sii. riferisce ad un 
indice determinabile unicamente in via indiretta, il che si riflette non 
solo �e non tanto sulle metodologie da seguire per la rispettiva iindividuazione 
(semplicissima l'una, desumibile dal contratto; bisognosa di 
accertamento sul territorio l'altra), quanto e soprattutto sulla relativit� 
e, quindi, sulla non univocit� del secondo dei due indici, � evidente che 
i rapporti tra essi, per quel che riguarda la rispettiva incidenza sull'ammontare 
dell'indennit�, si profilano in modo ben diverso a seconda 
del tipo di contratto, � nuovo � o � prorogato �, cui si riferisce l'ultimo 
canone corrisposto. 

Muovendo dalla considerazione che 1'� ultimo canone corrisposto dal 
conduttore� nella situazione cui fa riferimento l'art. 34 della legge n. 392 
del 1978 tende sostanzialmente a coincidere con il �canone corrente di 
mercato per i locali avent!i. le stesse caratteristiche�, sul quale -a 
somiglianza dell'art. 4 della legge 27 gennaio 1963, n. 19, ove, sia pur 
in un diverso contesto, il riferimento � al �canone di affitto che l'immobile 
pu� rendere secondo i prezzi correnti di mercato per i locali aventJi 
le stesse caratteristiche� -si basa l'art. 69 della legge n. 392 del 1978, 
la dedotta violazione dell'art. 3 Cost. discenderebbe dall'adozione di � un 
eguale trattamento in situazioni different!i. �. J, 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Effettivamente, da un lato (art. 34), sono in discussione contratti di 
locazione stipulati in regime di libera determinazione del canone mr� 
ziale e, dall'altro (art. 69, per quanto qui interessa), contratti soggetti a 
proroga secondo la legislazione precedente ed ulteriormente prorogati 
dalle nuove norme. Il che significa che, quando l'art. 34, primo comma, 
e l'art. 69, settimo comma, parlano di un'indennit� commisurata a di� 
dotto mensilit� (ovvero a ventuno per le locazioni con destinazione 
alberghiera) � dell'ultimo canone corrisposto � o, rispettivamente, � sulla 
base del canone corrente dd. mercato�, ci� porta s� ad indennit� dal 
simile ammontare, con la differenza, per�, che l'art. 34 ragguaglia il 
computo delle mensilit� ad un canone che � stato, pi� o meno a lungo, 
materialmente corrisposto dal conduttore (e, quindi, percepito dal locatore), 
mentre l'art. 69 ragguaglia il computo delle mensilit� ad un canone 
mai percepito in concreto. In altri. termini, il riferimento, nel primo 
caso, all'ultimo canone corrisposto e, nel secondo caso, al canone corrente 
di mercato parifica sostanzialmente l'indice per la misura dell'indennit�, 
ma partendo da situazioni nelle quali ben diversamente calcolato 
era il canone corrisposto .in concreto al momento della cessazione 
del rapporto di locazione. Tanto � vero che, se l'art. 69 parlasse di � ultimo 
canone corrisposto dal conduttore>>, tale canone, sottoposto ai vincoli 
delle proroghe vecchie e nuove, sarebbe tutt'altra cosa dal canone 
corrente di mercato. (omissis) 

Tutto ci� premesso, si tratta di verificare se la determinazione della 
misura dell'indennit� per l'avviamento commerciale nelle ipotesi di recesso 
�necessitano� ex art. 73 della legge n. 392 del 1978 sia o no in 
contrasto con i parametri costituzionali variamente indicati dalle nove 
ordinanze di rimessione che si stanno esaminando. (omissis) 

La ques1Jione non � fondata. 

Nel sostanziale coincidere, quanto ad ammontare dell'indennit�, dei 
criteri indicati negli artt. 34, primo comma, e 69, settimo comma, della 
legge n. 392 del 1978, non pu� ravvisarsi un'esplicazione irragionevole 
della discrezionalit� legis1ativa, come non pu� dirsi privo di qualsiasi 
razionalit� il trattamento particolarmente privilegiato di cui nel secondo 
caso, il conduttore viene conseguentemente a fruire rispetto al locatore. 
Alla base della scelta operata dal legislatore con le norme in esame vi 
� �la conservazione, anche nel pubblico interesse, delle imprese� il cui 
avviamento sia strettamente collegato all'ubicazione dell'immobile: un 
interesse che -qualora un'impresa cos� localizzata venga a trovarsi 
esposta al rischio del rilascio dell'immobile a vantaggio di un'altra impresa 
non affine che il locatore intenda trapiantare od avviare in quello 
stesso luogo -il legislatore ha ritenuto di dover tutelare con l'imporre 
al locatore il pagamento di un'indennit� iidonea a porre riparo al danno 
attuale del conduttore, anche a costo di risultare particolarmente gra



50 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

vosa per il locatore. Ci�, anzi, verificandosi soprattutto nei confronti 
dei contratti soggetti a proroga, ha trovato un'ulteriore, e pi� specifica, 
spiegazione, quanto alle ipotesi di recesso, nel pericolo -s�bito affac� 
datosi e s�bito contrastato con le modificazioni apportate, in sede di 
conversione del decreto legge n. 21 del 1979, all'art. 73 della legge n. 392 
del 1978, il cui testo originario nulla prescriveva in ordine all'indennit� 
per l'avviamento -che la possibilit� di recedere in qualunque momento, 
largamente prevista dall'art. 73, desse l'avvio ad un massiccio numero 
di richieste di rilascio per gli immobili adibiti ad uso non abitativo... 

Tale non irragionevole bilanciamento dei contrapposti interessi esclu� 
de pure che si possano considerare vi�lati gli artt. 41 e 42 Cost. Quanto 
al primo, � il Pretore di Roma a parlare di � grave ed ingiustificata 
limitazione della libert� di iniziativa privata�: in realt�, mentre l'attivit� 
economica del conduttore viene protetta, potendo l'indennit�, nel 
caso di non evitabile rilascio, facilitarne la ripresa in altra sede, l'iniziativa 
economica del locatore, se non velleitaria, non risulta bloccata, ma 
soltanto sottoposta ad un onere, non impossibile, inteso a conseguire 
fini di utilit� sociale, nel necessario coordinamento con le esigenze del� 
l'attivit� economica altrui. Quanto all'art. 42 Cost., le ordinanze del Pretore 
di Pescara, del Tribunale di Parma e del Tribunale di Gorizia 
sostengono che il diritto di propriet� sarebbe �vanificato� dall'esborso 
di una somma che svuoterepbe il diritto al corrispettivo della precedente 
locazione e, quindi, al godimento dell'immobile: ma, a parte la necessit� 
di dimostrare che ogni corrispettivo rimarrebbe di regola totalmente 
assorbito dall'indennit� ex art. 69, settimo comma, della legge n. 392 del 
1978, e a parte la �maggior valutazione che l'immobile riceve sul mer� 
cato, una volta riottenutane la disponibilit�� (argomento con cui l'Avvo� 
catura dello Stato, negli atti di intervento per la Presidenza del Consiglio 
dei ministri, rimarca l'esistenza di una parziale �compensazione�), � 
punto fermo che, riconosciuto il diritto di propriet� privata, la Costi� 
tuzione � ha affidato al legislatore ordinario il compito di introdurre, 
a s�guito delle opportune valutazioni e dei necessari bilanciamenti dei 
diversi interessi, quei limiti che ne assicurano la funzione sociale � (sent. 

n. 252 del 1982), e ci� anche per quanto attiene al suo godimento. 
Restano le ipotesi di recesso dovute alla necessit� di �adibire l'im� 
mobile ad abitazione propria o del coniuge o dei parenti entro il se� 
condo grado in linea retta�: rispetto ad esse � da ritenersi fondata la� 
questione che il Tribunale di Reggio Calabria ha sollevato in via subor� 
dinata, con riferimento agli artt. 3 e 42 Cost., affermando, da un lato, 
che l'� identico trattamento� previsto dall'art. 69 della legge n. 392 del 
1978, �sia per colui che ha necessit� di adibire l'immobile di cui � 
proprietario per abitazione ... sia per colui che ha necessit� di adibirlo 
ad esercizio di attivit� commerciale�, �non sembra conforme al prin� 


PARTE. I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

c1p10 di uguaglianza � e, dall'altro, che il sistema di determinazione 
dell'indennit� � sulla base del canone corrente di mercato per i locali 
aventi le stesse caratteristiche, senza che il giudice abbia la possibilit� 
di temperarne il criterio tenendo conto della durata del rapporto locativo 
e dell'entit� del canone locativo pu� portare ad un'irragionevole 
compressione del diritto di propriet�, potendo accadere che il conduttore 
riceva a titolo 1di indennit� pi� di quanto egli abbia corrisposto per 
canoni dovuti al locatore�. 

Anche a prescindere dal carattere meramente eventuale, e peraltro 
indimostrato, di un tale supero, la � compressione del diritto di propriet� 
del locator~ �, conseguente all'elevato livello cui giunge comunque 
l'indennit� per l'avviamento in forza del combinato disposto degli artt. 69, 
settimo comma, e 73 della legge n. 392 del 1978, si appalesa qui, di fronte 
ad un recesso per esigenze abitative, priva di razionale giustificazione: 
e ci� sia se la si consideri in relazione all'identica misura di indennit� 
prevista per i casi di recesso finalizzati all'esercizio di un'attivit� economica, 
sia se la si consideri in rapporto agli analoghi risultati quantitativi 
cui conduce l'art. 34, primo comma, in caso di cessazione, su 
iniziativa del locatore, di un rapporto di locazione a regime normale. 
Infatti, non � certamente razionale � bilanciare � gli interessi che vengono 
in contrasto quando all'attivit� econoinica svolta dal conduttore si 
contrappone un'esigenza abitativa del locatore o di un suo stretto congiunto, 
utilizzando lo stesso modulo adottato per � bilanciare � gli interessi 
che vengono in contrasto quando alla attivit� economica svolta dal 
conduttore si contrappone un'esigenza economica perseguita dal locatore 

o da un suo stretto congiunto. E non meno irrazionale � l'imporre al 
locatore, per il quale sopravvenga la necessit� di abitare il proprio 
immobile locato per uso i;ion abitativo sulla base di un contratto da 
tempo a canone vincolato, il pagamento di un'indennit� altrettanto onerosa 
di quella dovtita dal� lOcatore, il quale promuova la cessazione del 
rapporto di locazione relativo �ad un immoQile locato per uso non abitativo 
sU:lli:t base di un contratto il cui canone � stato liberamente concordato. 
Poich� gli immobili urbani, quando la strutturazione dei locali sia 
adeguata, hanno come destinazione primaria quella di venire adibiti ad 
uso di abitazione e poich�, d'altra parte, l'adibire tali immobili ad abitazione 
del proprietario o del coniuge o di parenti entro il secondo 
grado in linea retta rappres,enta il modo di godimento della propriet� 
privata immobiliare da privilegiare (e ci� anche in cori;elazione al principio 
rivolto a � promuovere e favorire la propriet� privata dell'abitazione
� su cui si � appena' soffertnata la sentenza n. 252 del 1983), la 
tutela costituzionale del diritto di propriet� comporta un'ovvia conseguenza: 
le necessit� abitative dei proprietario dell'immobile non possono 


RASSEGNA DELL'AVVOCAntRA DELLO STATO

52 

non essere tenute in particolare conto dal legislatore, evitando di condizionarne 
il soddisfacimento ad oneri eccessivi o comunque sproporzio~ 
nati, allorch� per esse si imponga un contemperamento con altri int�tessi, 
pur meritevoli di tutela. Cos�, di fronte alla perdita dell'avviamento 
commerciale per il conduttore dell'immobile che il locatore, rece� 
dendo da un contratto a canone vincolato, intende recuperare, per necessit� 
sua o di uno stretto familiare, all'uso abitativo, non si giustifica 
una misura dell'indennit� in base al canone reale di mercato, giustificabile, 
invece, in altri casi. (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 15 dicembre 1983, n. 340 -Pres. Elia -Rel. 
La Pergola -Regione .Friuli-Venezia Giulia (avv. Pacia), Province 
di Trento e di Bolzano (avv. Guarino) e Presidente Consiglio dei 
Ministri (vice avv. gen. Stato Azzariti). 

Regioni -Regioni a statqto speciale e Province di Trento e di Bolzano Funzione 
statale di indirizzo e coordinamento -Presupposti. 

(Statuto Friuli-Venezia Giulia, art. 4; Statuto Trentino-Alto Adige, artt. 8, 9, 14, 16 e 78; 
. l. 27 dicembre 1977, n. 984). � 

La funzione statale di indirizzo e coordinamento pu� essere previs~(l 
anche nei confronti di regioni a statuto speciale e delle Province dl 
Trento e di Bolzano non soltanto. da Statuti speciali (e connesse disposizio~
i di attuazione) e nell'ambito di. materi� �a competenza ripartita~'� 
ma anche da legge ordinaria dello Stato e nell'ambito di materie �a 
competenza regionale esclusiva"� Peraltro, in difetto. di espliciia previsione 
statutaria, l'anzidetta i'itnzione st~t�ie ~� ess�re eser�itat(l sotq 
in presenza di un interesse nazionale non suscettibil� di localizzazi<me 
t�rritoriale, mancando il quale v� fatta salva la coinpetenza regionalft 

(o. provinciale) (1). � 
(omissis) Oggetto del presente giudizio � la legge 27 dicembre 1977, 
n.. 984 (�Coordinamento degli interventi pubblici nei settori della zootecnia, 
della produzione ortoflorofrutticola; della forestazione, dell'irtjgazione, 
delle grandi colture mediterranee, della .vitivinicoltura e del~ 
l'utilizzazione e valorizzazione dei terreni collinari e montani�). Qui 
importa ricordare, prima di tutto~ che detta legge individua gli organi 
competenti a fissare gli indirizzi generali e gli obiettivi concernenti lo 

(1) Palese l'importanza cli questa pronuncia, che va bene al di l� del" 
l'ambito pur vasto della legge �quadrifoglio� n. 984 del 19n; la sentenza riconosce 
l'ampiezza della funzione statale cli dnclinizzo e coordinamento, al tempc 
stesso definendone i limdti. 

PARTE I, SEZ. I, GIURIS'PRUDENZA COSTITUZlONALE 

sviluppo dell'economia agricola nazionale, nonch� a Coordinare gli interventi 
pubblici nei diversi settori da essa contemplati (art. 1). A questo 
riguardo, essa istituisce, nell'ambito del C.I.P.E., il Comitato intennin�� 
steriale per la politca agricola ed alimentare (C.I.P.A.A.), e ne regola 
la composizione e le attribuzioni (artt. 2 e 3). � infatti previsto che al 

C.I.P.A.A. competa: 
a) predisporre lo schema di un piano nazionale, che in relazione 
ai settori anzidetti deve occuparsi delle materie elencate all'art. 3, ed 
� assoggettato alla procedura di approvazione, appositamente dettata negli 
artt. 3 e 4; nella quale sono a vario titolo coinvolte, in una prima fase le 
singole Regioni (art. 3, secondo comma), e successivamente una commissione 
composta da un rappresentante di ciascuna Regione e delle Province 
autonome di Trento e Bolzano (art. 4, primo comma); dopo l'approvazione 
del piano nazionale le Regioni vengono dal canto loro chiamate 
ad approvare propri programmi di settore e a coordinarli con gli altri 
eventuali programmi generali regionali e di assetto territoriale (art. 5); 

b) coordinare gli interventi di competenza nazionale; 

e) valutare annualmente lo stato di attuazione del piano nazionale 

e dei progmmmi regionali e proporne eventuali variazioni ed aggiorna 
menti, che richiedono la stessa procedura prescritta, nell'art. 4, per l'approvazione 
del piano nazionale; 

d) presentare annualmente al Parlamento una relazione dettagliata 
sullo stato di attuazione del piano nazionale e dei programmi regionali 
(art. 6). Altre disposizioni riguardano le provvidenze finanziarie ed 
,indicano i soggetti che ne possono beneficiare, secondo le priorit� stabilite 
dagli Statuti e dalle leggi regionali (art. 7); altre ancora specifi. 
cano, con riguardo a ciascun settore, l'oggetto degli indirizzi generali 
e degli interventi da attuare in conformit� del piano nazionale.. Infine, 
la legge detta il regime dei finanziamenti, degli stanziamenti e delle autorizmzioni 
delle relative spese, distintamente previste per l'esercizio 1978 
e per ciascuno degli esercizi inclusi in due successivi stadi t~mporali 
(1979-1982; 1983-1987); spese suddivise, a nonna dell'art. 17, in importi 
di diverse entit�, secondo il settore dell'intervento pubblico. 

La disciplina test� richiamata � impugnata dalla Regione Friuli-Venezia 

Giulia, nonch� dalle Province autonome di Trento e Bolzano: La Regione 

Friuli-Venezia Giulia censura l'intera legge in esame come lesiva della 

sfera di competenza primaria ad essa costituzionalmente garantita dal


l'art. 4, n. 2, dello Statuto speciale (l.c. 31 gennaio 1963, n. 1) e dalle rela


tive norme di attuazione (d.P.R. 26 agosto 1965, n. 1116). 

L'impugnativa � proposta sull'assunto che lo Stato abbi� nella spe


cie inteso esplicare -in materia di agricoltura e foreste e a livello 

legislativo, secondo la previsione dell'art. 3 della legge n. 382 del 1975 -la 


RASSEGNA� DBLL'AWOCATURA DELLO STATO

54 

funzione di indirizzo e coordinamento delle attivit� amministrative regionali. 
Tale funzione si concreterebbe, tuttavia, in un limite per la potest� 
amministrativa della Regione, correlativo, secondo la giurisprudenza di 
questa Corte, a quello che, per la potest� legislativa regionale, discende 
dai principi �Stabiliti dalle leggi dello Stato; esso non potrebbe dunque 
riferirsi che alle attivit� amministrative regionali nelle materie di competenza 
ripartita e sarebbe stato configurato precisamente in questo senso 
nell'art. 43 del d.P.R. 25 novembre 1975, n. 902. Posto ci�, la ricorrente 
asserisce di essere secondo Statuto investita di competenza primaria per 
la materia che lo Stato ha nel presente caso regolato e deduce in con� 
seguenza 1a incostituzionalit� di tutte le disposizioni della legge in esame 
sotto un duplice riflesso: per la parte in cui in esse non si attribuisce 
alla Regione Friuli-Venezia Giulia il ruolo che costituzionalmente le spetta 
nella determinazione degli indirizzi, degli obiettivi e degli interventi contemplati 
dalla legge stessa; per la parte in cui la funzione statale d'indipzzo 
e coordinamento viene con esse implicitamente estesa anche alle 
attivit� amministrative della Regione in materia di agricoltura e foreste. 

Altre censure sono poi mosse, sempre in relazione agli invocati para� 
metri, nei confronti di puntuali statuizioni, le quali offenderebbero in 
particolare l'autonomia della ricorrente. T�ali, si assume, sono le norme 
ch�, nell'estendere alla sfera delle ricorrenti la funzione statale di indirizzo 
e coordinamento, attribuiscono per di pi� questa funzione ad un 
organo diverso da quello indicato nell'art. 43 del citato d.P.R. 902/1975 
(art. 2); non prescrivono l'intesa della Regione Friuli-Venezia Giulia n� 
in sede di predisposizione dello schema di piano nazionale, per quanto 
concerne la ricorrente, n� in sede di previsione degli interventi di competenza 
nazionale. da attuarsi nel suo territorio (art. 3). L'impugnativa 
investe ad egual ragione l� disposizioni che mancano di subordinare all'intesa 
� necessaria e differenziata � della Regione: l'adozione del testo definitivo 
del piano nazional�, da sottoporre al Consiglio dei ministri (art. 4), 
la valutazione dello stato di attuazione del programma regionale e l'elabo� 
razione delle relative pro~oste di variazione e di aggiornamento (art. 6), 
l'operativit� nell'ambito. territoriale del Friuli-Venezia Giulia dei previsti 
indirizzi obiettivi ed interventi (artt. da 8 a 15), la determinazione, per 
quanto d'interesse della Regione, delle variazioni annuali dei finanzia:
fil.enti (art. 17). Sono altres� censurati l'art. 7, nella parte in cui predetermina, 
in via tassativa, i beneficiari delle provvidenze anche per il Friuli-
Venezia Giuli~ e l'art. 17, gi� impugnato sotto altro riguardo, per l'ulteric;>
re motivo che ess,o estende alla ricorrente la settorializzazione del 
sistema dei finanziamenti.� 

. Le Province autonome di Trento e Bolzano impugnano esse pure, 
prima ancora che singole statuizioni, la legge n. 984/77 nella sua interezza, 
per preteso contrasto .con l'art.� 8 n. 21 dello Statuto del Tren



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COS1'ITUZI�NALE 

tino-Alto Adige, e con i relativi decreti di attuazione (d.P.R. nn. 279/74 
e 381/74). L'invocata norma statutaria stabilisce la competenza pr�vinciale 
in tema di �agricoltura, foreste e corpo forestale, patrimonio 
zootecnico ed ittico, istituti fitopatologici, consorzi agrari e stazioni 
agrarie sperimentali, bonifica �. 

La sfera assegnata alle Province sarebbe stata ampliata e meglio 
garantita, grazie alla legge costituzionale n. 1/71 e alle norme di attuazione 
successivamente emanate proprio nella materia di cui si occupa 
la legge impugnata. A parte la specifica previsione, in Statuto, della 
competenza, peraltro primaria, che si assume violata, ve ne sarebbero 
altre, dalle quali risulta che le Provinc� di Trento e Bolzano godono 
di un grado di autonomia diverso e pi� intenso rispetto a quello delle 
altre Regioni: cos�, l'art. 78 dello Statuto speciale riserva alle Province 
una quota parte delle somme stanziate �per interventi generali dello 
Stato � disposti negli stessi settori di competenza delle province � allo 
scopo di adeguare le finanze delle Province autonome al raggiungimento 
delle finalit� e all'esercizio delle funzioni stabilite dalla legge�. Questo 
criterio del collegamento fra competenza e finanziamento, si soggiunge, sta 
a significare che esclusivamente le Province sono respons�bili della gestione 
delle materie di loro competenza e costituisce un'ulteriore e specifica 
conseguenza del vincolo che, posto nei confronti della legge statale 
a tutela delle ricorrenti, non potrebbe, poi, non operare anche per quanto 
concerne le esigenze del coordinamento. La fonte statutaria e la normativa 
di attuazione avrebbero infatti soddisfatto queste esigenze, in coerenza 
con 1a dedotta guarentigia dell'autonomia provinciale, solo limitatamente 
a determinate materie e rimettendone in ogni caso la disciplina a dirette 
intese fra Stato e Regione. Deporrebbero in questo senso l'art. 14, secondo 
comma, dello Statuto (opere idrauliche), 15 (industria ed edilizia scolastica) 
e fra le norme di attuazione 1adottate dopo l'entrata in vigore della 
legge costituzionale n. 1 del 1971, gli artt. 3, 4, 5 e 8 d.P.R. 22 marzo 1974, 

n. 279 (agricolture e foreste), 7-10 (acque pubbliche), 20 e 21 (urbanistica 
e opere pubbliche di interesse e competenze dello Stato) del d.P.R. 22 marzo 
1974, n. 381. 
Nessun cenno della funzione di indirizzo e coordinamento, si afferma, 
figura del resto nello Statuto della Provincia o nella normativa di attuazione, 
nemmeno nelle specifiche disposizioni attuative che, in materia 
di agricoltura e foreste, definiscono le residue competenze dello Stato. 

Diversa soluzione, si osserva poi, � accolta negli ordinamenti di altre 
Regioni a Statuto speciale, nei quali la funzione in discorso � espressa� 
mente assegnata allo Stato (art. 2, secondo comma, d.P:R. 19 giugno 1979, 

n. 348, norme di attuazione dello Statuto per la Sardegna; 43 d.P.R. 
25 novembre 1975, n. 902, norme di attuazione dello Statuto Friuli-Venezia 
Giulia); e si soggiunge che a tal fine si � dovuto comunque ricorrere a 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

decreti presidenziali di att11azione dei rispettivi Statuti, adottati con il 
previo intervento delle apposite commissioni paritetiche. Tutto questo 
confermerebbe che i poteri di indirizzo e coordinamento non potevano, 
nei riguardi della ricorrente, essere istituiti ed esercitati mediante legge 

ordinaria, com'� invece accaduto nella specie. La legge impugnata vulnererebbe 
dunque la sfera dell'autonomia provinciale per aver prodotto la 
disciplina riservata alla fonte sopraordinata (Statuto o normativa di attuazione). 


In via subordinata, le ricorrenti deducono che, se pure la funzione 
di indirizzo e coordinamento dovesse essere riconosciuta agli organi statali, 
essa risulterebbe, ai fini del presente giudizio, comunque illegittimamente 
configurata: sia perch� ne � attributario un comitato interministeriale, 
il C.I.P.A.A., in luogo degli organi, Parlamento e Consiglio dei 
ministri, istituzionalmente preposti a questa funzione nelle massime sedi 
rappresentative, e perch� questa deroga al normale regime delle competenze 
avrebbe indebitamente attenuato una garanzia procedimentale 
gi� assicurata dalla test� citata previsione della legge n. 382 del 1975 
alle Regioni comuni, della quale dovevano a maggior ragione godere le 
ricorrenti e le Regioni a Statuto speciale; sia per il rilievo che l'indirizzo 
ed il coordinamento, da attuarsi, com'� previsto nella legge, soprattutto 
con il piano nazionale, avrebbe carattere talmente analitico, puntuale e 
vincolante da non lasciare a Regioni o Province margini di effettiva 
-'!-Utonomia. (omissis) 

Delle impugnative proposte vanno anzitutto considerate quelle che 
investono la legge n. 984 del 1977 nella sua interezza. Le ricorrenti avanzano 
a questo riguardo due ordini di rilievi: le Province di Trento e 
Bolzano deducono che la funzione in discorso non � nei loro confronti 
contemplata, n� dallo Statuto, n� dalle connesse disposizioni attuative, e 
lamentano quindi che essa sia stata introdotta nella specie unilateralmente 
dallo Stato, mediante legge ordinaria; la Regione Friuli-Venezia 
Giulia contesta, invece, che la funzione di ind~rizzo e coordinamento, pur 
prevista dal d.P.R. i;i. 381/74 in attuazione del suo Statuto, possa essere 
legittimamente estesa, come qui accade, alla materia dell'agricoltura e 
foreste. Si tratta di due autonomi profili della specie. La Corte ritiene 
di doverli esaminal;'e distintamente. 

Il motivo di ricorso dedotto dalle Province di Trento e Bolzano non 
merita accoglimento. La funzione statale di indirizzo e coordinamento va, 
come la Corte ha precisato in pi� pronunzie, ordinata ed esplicata in 
armonia con il sis.tema del decentramento. Se cos�. �, essa costituisce 
.attuazione e sviluppo di un nu�leo di fondamentali princ�pi dell'ordinamento 
costituzionale, che valgono indistintamente per tutta la cerchia 
degli enti autonomi. Appunto per questo, l'indirizzo e il coordinamento 
possono esse.re previsti, anche nei confronti delle Regioni a statuto diffe



PARTE I, SEZ. 1,-GIURISPRUQENZA COSTITUZIONALE 

r.enziato e delle Province di Trento e Bolzano, dalla legge ordinaria dello 
~tato, oltre che dagli Statuti speciali e dalle connesse disposizioni attuative, 

L'assunto della Regione Friuli-Venezia Giulia �, per quel che ora 
importa precisare, il seguente: l'indirizzo ed il coordinamento esercitato 
dagli organi centrali grava l'attivit� amministrativa regionale di un limite 
che, secondo la giurisprudenza della Corte, deve corrispondere a quello 
stabilito, per la sfera dell'autonomia legislativa, dalla legislazione statale 
di principio. Questo limite, si soggiunge, vale per� solo nei confronti 
della competenza ripartita, laddove la legge impugnata concerne materia 
di compete~a primaria della Regione. L',Avvocatura dello Stato replica 
che la previsione dell'indirizzo e del coordinamento trova piena e puntuale 
giustificazione nell'interesse nazionale, sottostante alla normativa 
censurata e al suo carattere di legge-programma; ci�, precisamente, in 
quanto il limite dell'interesse nazionale � consacrato in Statuto fra quelli 
che circondano la stessa competenza primaria delle ricorrenti (cfr. art. 4 
d�llo Statuto speciale del Friuli-Venezia Giulia e art. 4 dello Statuto 
speciale del Trentino-Alto Adige). 

Il titolo della contestata ingerenza dello Stato -di fronte alla sfera 
g�rantita alle ricorrenti -risiede, allora, nella funzione di indirizzo 
e coordinamento. In effetti, tutto il corpo della normativa, che la legge 
impugnata contiene, � preordinato all'esercizio di detta funzione: la definizione 
analitica degli indirizzi che individuano gli obiettivi di ciascun 
s�ttore, la previsione dei criteri di massima per le esigenze da soddisfare, 
il conseguente sistema dei finanziamenti sono strumentalmente 
CO!J.nessi con il coordinamento degli interventi pubblici, effettuato in sede 
di programmazione con le procedure e dagli organi appositamente previsti. 
Non � poi controverso che la varia materia di cui si occupa la legge 
ricada nell'ambito della competenza primaria delle ricorrenti, cos� come 
risulta configurata, in relazione all'agricoltura e foreste, sia nelle previsioni 
statutarie, sia nelle norme di attuazione invocate in giudizio. 

Poste queste. premesse, va subito aggiunta un'avvertenza: la funzione 
dj indirizzo e coordinamento, qual � contemplata nelle norme di attuazione 
dello Statuto del Friuli-Venezia Giulia (art. 43 d.P.R. 25 novembre 
1975, n. 902), non pu� essere intesa, come detta Regione ha sostenuto 
nel presente giudizio, nel senso che essa si riferisce necessariamente. ~olo 
alle materie di competenza ripartita. 

Alla stregua delle precedenti pronunzie di questo Collegio, si deve 
~~eludere che la funzione in discorso serva ad introdurre nuovi. limiti 
:r;ispetto a quelli gi� stabiliti, nel vigente sistema costituzionale, in ordine 
alla sfera dell'autonomia regionale. Resta fermo, per�, che l'indirizzo e 
coordinamento ,posti in essere dallo Stato abbracciano tutto l'alll;bitQ; dei 
poteri costituzionalmente garantiti alle Regioni e alle Province di Trento 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO .STATO

58 

e Bolmno. Il corretto esercizio di questa funzione implica, infatti, che le 
attivit� regionali restino assoggettate al vincolo scaturente dalla legge o 
dal provvedimento degli organi centrali. Tale vincolo (cfr. sentenza n. 150 
1982) �, poi, pienamente giustificato dalla necessit� di soddisfare le istanze 

unitarie: esso deve quindi poter operare, come esige 1a giurisprudenza 
della Corte, senza che rilevi la distinzione fra Statuto speciale e Statuto 
ordinario, o tra tipi e gradi di competenza degli enti autonomi. 

Quanto si � sopra detto non toglie, bens� presuppone, che nella specie 
vadano soddisfatte le condizioni perch� il vincolo costituito dall'indirizzo 
e coordinamento dispieghi effetti pur nei confronti della competenza 
primaria delle ricorrenti, e anche se questa competenza discende da uno 
Statuto di autonomia differenziata. � qui, anzi, il punto sul quale va 
fermata l'attenzione. 

Il richiamo dell'interesse nazionale che ha ispirato il legislatore statale 
nel regolare il coordinamento e la stessa programmazione degli 
interventi pubblici nel settore in considerazione non vale, come vorrebbe 
l'Avvocatura, a fugare il dubbio di un'indebita compressione della speciale 
autonomia garantita alle ricorrenti. Il perseguimento delle esigenze 
unitarie, e cos� degli interessi che trascendono l'ambito dell'ente auto


l 

nomo, resta certo il necessario presupposto giustificativo della funzione 
di indirizzo e coordinamento. Ma si tratta pur sempre di una funzione 
istituzionalmente destinata a comporre le esigenze unitarie e le istanze 
dell'autonomia in conformit� dei fondamentali criteri che presiedono alla 
distribuzione delle competenze fra Stato e Regioni. Dove opera la guarentigia 
dello Statuto speciale, le esigenze unitarie legittimano, s�, l'esercizio 
dell'indirizzo e del coordinamento, ma in presenza di un interesse, 
che deve nettamente configurarsi come insuscettibile di frazionamento o 
localizzazione territoriale. Gli organi centrali possono in proposito intervenire 
fin dove l'interesse da soddisfare sfugge necessariamente, per na


J 


tura o dimensione, all'apprezzamento dei legislatori e delle amministrazioni 
locali. Altrimenti, va fatta salva la competenza dell'ente autonomo: 
il quale gode in questo caso, proprio in considerazione delle forme e condizioni 
particolari del suo status, di maggiori possibilit� di valutazione 
e di scelta, rispetto alla Regione di diritto comune. 

Nella presente controversia, ci troviamo di fronte a un diffuso e 
dettagliato complesso di prescrizioni, che investono la materia dell'agricoltura 
e foreste sotto i molteplici aspetti sopra richiamati. Si � cos� 
delineata una capillare e penetrante interferenza della normazione statale 
nella sfera che si assume lesa. Ora, la legge in esame ha come suo 
titolo giustificativo esclusivamente q�ello di organizzare l'indirizzo ed il 
coordinamento delle attivit� regionali nei settori ivi previsti. Essa eccede, 
tuttavia, dai confini �ntro cui l'accentramento e l'uniformit� della disciplina 
consentiti dall'interesse nazionale sarebbero risultati compatibili 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

con il rispetto dell'invocato Statuto speciale. L'assetto normativo sottoposto 
al sindacato della Corte potrebbe, quindi, uscire indenne da censura 
solo se le esigenze unitarie, che qui si connettono con l'indirizzo ed 
il coordinamento, fossero perseguite anche in forza, e con il supporto, di 
un qualche altro limite dei poteri di autonomia: limite, s'intende, sempre 
sancito in una fonte di rango costituzionale. Cos� non �, per�, nel caso 
attuale; e d'altra parte non � nemmeno dedotto dall'Avvocatura che la 
legge dello Stato abbia per via delle sue previsioni programmatorie posto 
princ�pi dell'ordinamento giuridico, o prodotto norme fondamentali delle 
riforme economico-sociali, o comunque configurato altre idonee limitazioni 
delle competenze delle Regioni o delle Province, ai sensi dei rispettivi 
Statuti speciali. Difettano insomma i requisiti sopra enucleati, indispensabili 
perch� la previsione dell'indirizzo e del coordinamento, com'� 
congegnata nella specie, possa operare nei confronti delle ricorrenti: e 
dunque sussiste la dedotta violazione della competenza loro costituzionalmente 
garantita in materia di agricoltura e foreste. Questa conclusione 
vale evidentemente allo stesso titolo per la Regione Friuli-Venezia Giulia 
e per le Province di Trento e Bolzano. 

Un'ultima precisazione va fatta a proposito del risultato cui la Corte 
giunge con l'attuale decisione. L'illegittimit� costituzionale della legge 

n. 984 del 1977 viene dichiarata per la parte in cui le disposizioni in essa 
contenute si riferiscono alle Regioni e alle Province ricorrenti: invero, 
per le ragioni gi� spiegate, manca il titolo che avrebbe giustificato la 
estensione nei loro confronti dell'intera legge censurata. Con ci�, resta 
per� escluso l'accoglimento dell'altra istanza della Regione Friuli-Venezia 
Giulia; la quale, com'� sopra riferito, chiede alla Corte una distinta declaratoria 
di incostituzionalit� per la parte in cui la legge, oggetto del presente 
giudizio, non riconosce � il ruolo � che ad essa ricorrente costituzionalmente 
spetterebbe nella � determinazione degli indirizzi obiettivi 
ed interventi ivi previsti �. L'autonomia differenz~ata della Regione � vulnerata 
dall'intero corpo delle disposizioni che il legislatore statale ha 
dettata per il regolamento della specie. Dopo la presente pronunzia, non 
residua, quindi, alcuna previsione della normativa caducata, la quale possa 
concernere il ruolo che si assume competere alla Regione Friuli-Venezia 
Giulia; ma � appena il caso di aggiungere che il legislatore statale pu� 
sempre ridisciplinare la materia, nei limiti e secondo i criteri sopra 
indicati. I rilievi svolti assorbono, va infine detto, ogni ulteriore profilo 
della questione. 
P.Q.M. 
dichiara l'illegittimit� costituzionale della legge n. 984 del 27 dicempre 
1977 (� Coardin�:).mento degli interventi pubblici nei settori della 
zootecnia, della produzione ortoflorofrutticola, della forestazione,. dell'ir



60 

RASSBGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

rigazione, e delle grandi colture mediterranee, della vitivinicoltura e dell'utilizzazione 
e valorizzazione dei terreni collinari e montani�) per la 
parte in cui la disciplina in essa prevista concerne la Regione Friuli-Venezia 
Giulia e le Province autonome di Trento e Bolzano. 

CORTE COSTITUZIONALE, 19 gennaio 1984, n. 1 -Pres. Elia -Rel. hladin 
-Banco di Napoli (avv. Rizzo e Scognamiglio), Porreca (avv. 
Satta) Guidotti ed altri (avv. Capobianco). 

Corte dei Conti -Funzioni giurisdizionali � Pensioni degli impiegati del 
Banco di Napoli -Non attinenza alle materie di contabilit� pubblica. 

(Cost., art. 3; !. 8 agosto 1895, n. 486, art. 39). 

L'art. 103 Cast. non ha inteso conservare alla Corte dei Conti l'intera 
giurisdizione che le spettava al momento dell'entrata in vigore della Costituzione 
(e ci� vale anche per la giurisdizione � domestica � che non 
pu� ritenersi � costituzionalizzata �). Non essendo pi�, nei fatti, ravvisabile 
omogeneit� sostanziale tra pensioni statali e pensioni degli impiegati 
del Banco di Napoli, � ormai irrazionale la deroga per queste ulime 

alla regola della giurisdizione ordinaria (1). 

(omissis) Le quattro ordinanze in esame propongono alla Corte, con 
motivazioni identiche od analoghe, una sola e comune impugnativa. Nei dispositivi 
di tutte le ordinanze si legge, cio�, che la Corte di cassazione, 
a sezioni unite civili, �ritiene rilevante e non manifestamente infondata 
la questione di legittimit� costituzionale della norma contenuta nell'art. 11 
all. T all'art. 39 della legge 8 agosto 1895, n. 486, in relazione all'art. 3 della 

Costituzione della Repubblica, secondo cui le controversie in materia di 
pensioni degli impiegati del Banco di Napoli, nonch� di quelli del Banco 
di Sicilia, sono escluse dalla giurisdizione dell'autorit� ordinaria ed attribuite 
alla giurisdizione della Corte dei conti�: con implicito ma univoco 
riguardo al sesto comma dell'art. 11 dell'allegato T. 

Va per� immediatamente precisato che, in realt�, della norma impugnata 
non rileva nei giudizi a quibus. altro che la parte concernente 
�le controversie in materia di pensioni degli impiegati del Banco di Na


(1) Merita segnalare l'dnoiso -significativo proprio perch� non indispensabile 
-alla non � costitumonalizzazione � della giurisdizione � domestica � della 
Corte dei Conti, e l'affermazione (implioita) di un principio secondo cui ogni 
1

attribuzione di giurisdizione ad �un giudice amministrativo (con conseguente 
� deroga � �lla � regola:,, della giurisdizione ordinaria) deve essere sorretta �da 
� adeguata rasione giustificativa�. 

!I 

.. . 1�

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PARTE .I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 61 

poli � (mentre nessuno dei giudizi stessi coinvolge le corrispondenti controversie 
relative al Banco di Sicilia). (omissis) 

Secondo la costante giurisprudenza della Corte (nell'ambito della quale 
la sentenza n. 20 del 1982 funge da eccezione che conferma la regola), 
non possono costituirsi nel giudizio incidentale di legittimit� costituzionale 
soggetti che non avessero la qualit� di parte nel giudizio a quo. Pertanto, 
va dichiarata inammissibile la costituzione dell'Unione nazionale fra i 
pensionati del Banco di Napoli. (omissis) 

Nel merito, va escluso anzitutto che la presente questione, sollevata 
in riferimento al principio generale d'eguaglianza, possa considerarsi gi� 
risolta dall'art. 103, secondo comma, della Costituzione: come invece vorrebbero 
-ma con prospettive opposte -sia la difesa del Banco di Napoli 
sia quella dei controricorrenti nel giudizio instaurato dall'ordinanza 

n. 825 del 1982. 
Per un primo verso, non � sostenibile che l'art. 103,. secondo comma, 
abbia inteso conservare incondizionatamente alla Corte dei conti l'intera 
giurisdizione che le spettava nel momento dell'entrata in vigore della 
Carta costituzionale: al contrario, � significativo che quella disposizione 
faccia puntuale riferimento alle sole �materie di contabilit� pubblica�, 
limitandosi a menzionare genericamente le altre materie �specificate dalla 
legge�. N� giova appellarsi alla sentenza n. 135 del 1975, con cui questa 
Corte ha bens� dichiarato non fondata un'impugnativa concernente la 
cosiddetta giurisdizione domestica della Corte dei conti, ma ha in pari 
tempo avvertito come la giurisdizione stessa non � sia -di per s� -in 
contrasto con la Costituzione �, pur non potendo ritenersi � costituzionalizzata 
>>. 

Per il secondo verso, le considerazioni gi� svolte tolgono fondamento 
alla tesi che la norma istitutiva della giurisdizione in esame 
risulti illegittima, solo perch� estranea al �controllo della finanza pubblica 
�, cui la Costituzione avrebbe collegato tutte le funzioni giurisdizionali 
suscettibili di essere assegnate alla Corte dei conti. Il problema 
va invece posto su tutt'altro piano, cio� domandandosi se la giurisdizione 
attinente al regime pensionistico dei dipendenti del Banco di Napoli 
faccia parte integrante di una pi� ampia � materia �, ovvero si risolva 
in una attribuzione isolata e per se stante, avulsa dagli altri compiti 
della Corte stessa. Ma � chiaro che, sotto quest'ultimo �aspetto, il quesito 
finisce .per confondersi con quello prospettato dalla Corte di cassazione: 
ossia comporta appunto che si verifichi se la norma impugnata sia tuttora 
sorretta da un'adeguata ragione giustificativa, tale da renderla conforme 
al principio generale d'eguaglianza, riferito al riparto fra le varie 
giurisdizioni. 

E$senzialmente,. che l'originario fondamento della norma in questione. 
sia venuto meno da gran tempo, � stato affermato dalla Cassa



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

62 

zione mediante due distinti ordini di argomentazioni. Anzitutto, la norma 
stessa avrebbe perduto la propria giustificazione, riducendosi ad un 
� dogma tralaticio �, sin dal momento nel quale al Banco di Napoli � stata 
sottratta la potest� di emettere i �biglietti a vista e al portatore �, di 
cui all'art. 3 n. 1 dell'allegato T (art. 1 del r.d.l. 6 maggio 1926, n. 812). 
Secondariamente, nel medesimo senso varrebbe la circostanza che il 
Banco di Napoli deve comunque venire inquadrato -al pari delle altre 
aziende di credito -fra gli enti pubblici economici considerati dall'art. 
2093 cod. civ.; per cui sarebbe incongrua la persistenza d'una giurisdizione 
pensionistica come quella propria della Corte dei conti, l� dove 
il rapporto di lavoro dei dipendenti del Banco s'� ormai privatizzato del 
tutto. 

Ma la Corte � dell'avviso che la proposta questione debba essere 
affrontata assumendo la seconda anzich� la prima delle due prospettive 
indicate. Fra la potest� di emettere biglietti di banca e la giurisdizione in 
esame non pu� infatti stabilirsi quel rapporto causale che le ordinanze di 
rimessione ipotizzano: sia perch� l'emissione di � biglietti di Banco, od altri 
titoli equivalenti, pagabili al portatore ed a vista �, veniva gi� regolata 
-in particolar modo -dall'art. 1 della legge 30 aprile 1874, n. 1920, ben 
prima che fosse attribuita alla Corte dei conti la funzione di cui si discute; 
sia perch� la funzione medesima non � stata mai estesa alle corrispondenti 
controversie fra gli impiegati e l'amministrazione della Banca 
d'Italia (gi� istituita dalla legge 10 agosto 1893, n. 449, cui fa espresso 
richiamo l'art. 39 della legge n. 486 del 1895); sia, soprattutto, perch� le 
speciali attribuzioni allora spettanti al Banco di Napoli :avrebbero se mai 
dovuto incidere sul rapporto di lavoro piuttosto che sul solo regime 
pensionistico, mentre invece nel primo di tali settori la giurisdizione ordinaria 
non ha sub�to limitazioni di sorta. 

Giustamente la difesa del Banco di Napoli osserva che, in origine, la 
vera giustificazione della norma in esame andava ricercata all'interno 
dell'art. 11 dell'allegato T: cio� ricollegando al sesto comma, concernente 
la particolare giurisdizione attribuita alla Corte dei conti, il primo comma 
dello stesso articolo, per cui� a cominciare dal 1� gennaio 1896, le pensioni, 
gli assegni di disponibilit� e di aspettativa e le indennit� di missione 
e di trasferta degli impiegati dei due Banchi di Napoli e di Sicilia saranno 
regolati dalle disposizioni vigenti per gl'impiegati dello Stato�. Entrambe 
le previsioni, in combinato disposto, formavano e formano -come verr� 
subito chiarito -un vero e proprio diritto singolare dei pensionati del 
Banco di Napoli, al confronto con la disciplina degli analoghi rapporti 
pertinenti agli altri istituti di credito, non soltanto privati ma anche 
pubblici; sicch� risulta palese che fu appunto l'aggancio fra il regime pensionistico 
presso il Banco di Napoli ed il trattamento di quiescenza dei 
dipendenti statali a far considerare la Corte dei conti come il giudice 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

pi� idoneo ad affrontare controversie che si presentavano omogenee rispetto 
a quelle ricadenti nella fondamentale giurisdizione gi� esercitata 
dalla Corte stessa in tema di pensioni. 

Ma tali precisazioni consentono solo d'impostare e non di risolvere 
il presente problema. Resta infatti da chiarire se quell'iniziale fondamento 
continui a sussistere. E la Corte ritiene che al quesito occorra 
dare una risposta negativa. 

Circa la natura giuridica del Banco di -Napoli la Cassazione si � 
ripetutamente pronunciata negli ultimi decenni, affermando che tale istituto 
assume appunto la veste di ente pubblico economico, sicch� i suoi 
rapporti con i rispettivi dipendenti in servizio esorbitano dall'area del 
pubblico impiego e sfuggono alla cognizione dei T.A.R. e del Consiglio 
di Stato: donde la singolarit� della giurisdizione esercitata dalla Corte 
dei conti, quanto ai pensionati del Banco medesimo, cui non fa riscontro 
-come avviene di regola -La giurisdizione amministrativa bens� quella 
ordinaria. Ne segue, d'altronde, che il trattamento economico dei dipendenti 
del Banco viene integralmente definito dai regolamenti aziendali 
per il personale, che in larga misura recepiscono gli accordi sindacali 
relativi agli istituti di credito: il che determina una serie di ripercussioni 
inevitabili sullo stesso regime pensionistico, malgrado il ,richiamo delle 
� norme generali che disciplinano la materia per il personale civile dello 
Stato�, tuttora contenuto nell'art. 102 del citato regolamento del 1975. 

In effetti, il punto di riferimento gi� fissato dall'art. 11, primo 
comma, dell'allegato T � stato ridimensionato in un modo radicale. Presentemente, 
quel disposto continua a trovare applicazione, sia nel senso 
di precludere il cumulo dei benefici previsti per i dipendenti dello Stato 
con certi benefici equipollenti, propri dei dipendenti dalla generalit� degli 
istituti di credito, sia nel senso di dare sostegno a determinate pretese 
dei dipendenti del Banco che non potrebbero venire soddisfatte in base 
al diritto comune (come nel caso delle rendite pensionistiche privilegiate, 
in questione nel primo dei giudizi a quibus), sia ancora nel senso di 
offrire lo spunto per l'approvazione di ulteriori previsioni legislative, a 
favore dei dipendenti medesimi (si pensi all'l.i:. 116, primo comma, del 

d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, per cui �i servizi statali... sono ricongiungibili, 
ai fini del trattamento di quiescenza, con il servizio reso in 
qualit� di impiegato del Banco di Napoli o del Banco di Sicilia�). Ma la 
Corte dei conti ha avvertito che le norme sul trattamento di quiescenza 
degli statali non si estendono al personale del Banco di Napoli, altro che 
per integrare l'apposita disciplina regolamentare interna: sicch�, non soltanto 
l'entit� delle pensioni pu� ben risultare pi� elevata di quella spettante 
ai dipendenti dello Stato, ma la stessa base pensionabile ne viene 
modificata, comprendendo voci che non trovano corrispondenti nelle disposizioni 
cui rimanda l'art. 11, primo comma, dell'allegato T. Non a 

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lI

64 RASSBGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

caso, l'art. 102 � del regolamento del 1975 fa incondizionatamente salve 
� le disposizioni particolari dettate da successivi articoli di questo Capo ,. 

f 

o contenute in altri Capi del presente Regolamento)> (il che spiega che f 
nell'allegato F si �faccia rientrare nella � base di liquidazione della pen-1 
sione � il � premio di rendimento �, accanto ad un vasto ed eterogeneo f 
complesso di speciali indennit�). (omissis) 
i

Ai particolari fini dell'attuale giudizio, ci� basta comunque a far 
concludere che nell'ordinamento vigente non � pi� ravvisabile quel grado 
di omogeneit� fra le pensioni in esame e le pensioni statali, che rappresentava 
il presupposto della giurisdizione attribuita alla Cort.e dei conti 
dalla norma impugnata. Pertanto, l'aver derogato alla regola della giurisdizione 
ordinaria si rivela ormai primo di un'adeguata ragione giustificativa 
e risulta in contrasto con l'art. 3 della Costituzione .. 

I 


I ! 

; 

~� 


SEZIONE SECONDA 

GIURISPRUDENZA COMUNITARIA 
E INTERNAZIONALE 


CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 26 ottobre 1983, 
nella causa 163/82 -Pres. Mertens de Wilmars -Avv. Gen. Roz�s � 
Commissione delle C.E. (ag. Toledano Laredo) c. Repubblica italiana 
(avv. Stato Ferri). 

Comunit� europee -Lavoro -Parit� di trattamento fra uomini e donne Direttiva 
comunitaria -Nonne nazionali di attuazione. 
(Direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, n. 76/207/CEE, artt. 5 e 6; I. 9 dicembre 1977, 

n. 903; I. 20 maggio 1970, n. 300, art. 15). 
Comunit� europee -Lavoro -Parit� di trattamento fra uomini e donne � 
Congedo� obbligatorio in caso� di ingresso di bambino in famiglia 
adottiva. 

(Direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, n. 76/207/CEE, art. 5; I. 9 dicembre 1977, n. 903, 
artt. 6 e 7; I. 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 4). 

Comunit� europee -Lavoro -Parit� di trattamento fra uomini e donne Violazioni 
�del principio -Rimedi giurisdizionali. 
(Direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, n. 76/207/CEE, art. 6; Cast., art. 24; cod. proc. 

civ., art. 700; I. 9 dicembre 1977, n. 903, art. 15)� 

.La direttiva, .comunitaria vincola lo Stato membro cui � rivolta per 
quanto riguarda il risultato da raggiungere, salvo restando la competenza 
degli otgani nazionali. in merito alla forma e ai mezzi. Non si pu�, 
quindi, censurare il legislatore italiano per aver adottato, -in sede di 
attuazione della direttiva 76/207/CEE, relativa alla parit� di trattamento 
fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, la 
formazione la� promozione professionale e le condizioni di lavoro ~, 
un certo numero �di disposiZioni specifiche riguardanti le condizioni di 
l~1Joro pi� signifi�<;l.t~i:e, )�mitandosi, per quanto riguarda le altre condi
�Zioni di lavoro,. a .prevedere .una disnosizione generale, -quale. l~~rt. 15 
della .legge 20 maggio 1970 n. 300, modificata dall'art. 13 della legge 9 dicembre 
1977, n. 903 -; che comprende qualsiasi altra condizione di 
'l�voro non menzionata espressamente (1). 

(1) Non di rado le leggii di recepimento di direttive assolvono alrobbligo 
dell'art. 1189 del Trattato CEE con una letterail.e trascrizione del testo comuni� 
tarlo (come nel caso della legge 8 agosto 1977, n. 584, relativamente alla diret� 
tiva �sulle procedure di aggiudicazione degli appalti di opere pubbliche). Ci� 
no:iJ. � accaduto per la direttiva sulla parit� uomo-donna !in materia di lavoro; 
e la ragione � comprensibile se si considera che la nostra legislamone, prima 

66 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Non costituisce una discriminazione nelle condizioni di lavoro fra 
uomo e donna vietata dalla direttiva 76/207/CEE la possibilit� concessa 
alla sola madre adottiva, e non anche al padre adottivo, di avvalersi 
dell'astensione obbligatoria dal lavoro di cui all'art. 4, lett. c), della 
legge 30 dicembre 1971, n. 1204, e del trattamento economico relativo, 
durante i primi tre mesi successivi all'effettivo ingresso del bambino 
nella famiglia adottiva, in quanto questa disparit� � giustificata dalla 
legittima preoccupazione di equiparare per quanto possibile le condizioni 
di ingresso del bambino nella famiglia adottiva a quelle dell'arrivo 
di un neonato nella famiglia (2). 

Non costituisce parziale omissione di attuazione della direttiva 72/ 
207/CEE, la previsione, nella normativa italiana diretta all'attuazione 
della direttiva stessa, di uno specifico ricorso giurisdizionale solo in 
relazione ad alcune delle violazioni al principio della parit� di trattamento 
fra uomo e donna nel campo del lavoro, considerato che, cionondimeno, 
contro Ze altre violazioni lo stesso ordinamento giuridico nazionale 
consente una efficace tutela giurisdizionale (3). 

(omissis) 1. -Con atto depositato nella cancelleria della Corte il 
1� giugn.o 1982, la Commissione delle Comunit� Europee ha proposto, 
ai sensi dell'art. 169 del Trattato CEE, un ricorso inteso a far dichiarare 
che la Repubblica italiana, nell'omettere di adottare entro il termine 
prescritto le disposizioni per ottemperare alla direttiva del Consiglio 
9 febbraio 1976, n. 76/207, relativa all'attuazione del principio della parit� 
di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso 
al lavoro, la formazione e alla promozione professionali e le condizioni 
di lavoro (G. U. n. L 39, pag. 40). � venuta meno agli obblighi impostile 
dal Trattato CEE. 

ancora dell'intervento comuniitario; disponeva di una disciplina .generale di 
garanzia dei lavoratori che aveva gi� affrontato il tema delle dtiscri�minazioni, 
di modo che bastava precisare e integrare la normativa preesistente. 

La contestazione di inadempimento avanzata dalla Commissione, troppo 
formalisticamente ancorata �ad un sindacato tecnico-giuridico stilla formulazione 
delle norme interne, giudicate a torto insufficienti ad assicurare� la portata 
assoluta ed incondizionata del principio di pardt�, ha ricevuto una giusta 
risposta da:11.a Corte di Giustizia che ha ritenuto un tale ordine di censure 
invasive della competenza esclusiva dello Stato membro circa i mezz� di attua2lione, 
una volta che non erano dimostrate delle vere e proprie lacune della 
legislazione dtaliana rispetto agli obbiettivi enunciati dalla direttiva. 

(2) Tra fo deroghe ammesse ial principio di parit�, da direttiva include le 
disposizoni riguardanti le donne lavoratrici che tutelano la peculiare condi2ione 
femminile dn rapporto alla materndt�. A questa clausola si � implicita� 
ment~ richiamata la Corte giudicando della norma che accorda alla madre 
adottiva, e non. anche al padre adottivo, il diritto di assentarsi dal .lavoro nei 

PARTE I, Sl!Z �. II,� GIURIS. COMUNITARIA E INTERNA,ZIONALE 67 

' ' 2. -Gli� 'artt. 5 e 6 della direttiva --che la Commissione ritiene 
�non siano� stati recepiti nell'ordinamento giuridico italiano in misura e 
iD. modo conforme -, recitano quanto� segue: 

Articolo 5: 

� 1) L'applicazione del princ1p10 della parit� di trattamento per 
quanto riguarda le condizioni di lavoro, comprese le condizioni inerenti 
'al licenziamento, -implica che siano garantite agli uomini e alle donne 
ie medesime condizioni, senza discriminazioni fondate sul sesso. 

2) A tal fine, gli Stati membri prendono le misure necessarie 
affl.nch�: 
a) siano soppresse le disposizioni legislative, regolamentari ed 
amministrative contrarie al principio della parit� di trattamento; 

b) siano nulle, possano essere dichiarate nulle o possano essere 
modificate le disp0sizioni contrarie al principio della parit� di trattamento 
c�ntenute nei �ontratti collettivi o nei contratti individuali di 
lavoro, nei regolamenti interni delle imprese nonch� negli statuti 'delle 
professioni indipendenti; � 

e) siano riesaminate quelle disposizioni legislative, regolamentari 
ed amministrative contrarie al principio della parit� di trattamento, 
originariamente ispirate da motivi di protezione non pi� giustificati; 
che per le disposizioni contrattuali di anal�ga natura, le parti sociali 
siano sollecitate a procedere alle opportune revisioni � � 

. L'art. 6 dispone peraltro che: 
� Gli Sta.ti membri introducono nei rispettivi ordinamenti . giuridici 
interni le misure necessarie per permettere a tutti coloro che si 
ritengano lesi dalla mancata applicazione nei loro confronti del prin~
ipio della parit� di trattamento, ai sensi degli artt. 3, 4 e 5, di far 
va}ere i propri diritti per via giudiziaria; eventualmente dopo aver fatto 
ricorso ad .altre ~stanze competenti �. 

ptjmi tre mest dall'ingresso del bambino nella famiglia, m viia di estensione 
di quanto � previsto, per ii tre mesi dalla nascita, a favore della madre 
naturale. � 

(3) Merita di essere segnalato il rlfel"�mento espresso, nella motivazione 
della sentenza, al!l'a.rt. 24 della CostituE.one: La Corte, accogliendo piienamente 
la tesi difensiva del Governo dtaliano, ha preso atto della esistenza, nel nostro 
ordinamento, dii una clausola generale che garantisce in ogni caso la tutela 
giurisdizionale dei diritti. Di conseguenza ha ritenuto irrilevante una specifica 
trasposizione dell'art. 6 della direttiva che esige il riconoscimento di una facolt� 
di ricorso per tutte le violazionii del principio di parit�. 
L'importanza della statuizione della Corte va oltre i confinii della materia 
controversa, essendo frequente, nelle direttive comuniital'ie che prendono. in 
considerazione interessi incLividuali, la previsione di un obbligo dello Stato di 
accordare loro tutela giudiziaria. 

6 



68 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

3. -La Repubblica italiana ha emanato la legge 9 dicembre 1977,. 
n. 903 sulla parit� di trattamento fra uomini e donne in materia di 
lavoro. All'art. 1, la suddetta legge dispone che � vietata qualsiasi discriminazione 
fondat� sul sesso per quanto riguarda l'accesso al lavoro, 
indipendentemente dalle modalit� di assunzione e qualunque sia il settore 
o il ramo d'attivit�, a tutti i livelli della gerarchi� professionale. 
La discriminazione in questione � vietata anche se attuata attraverso i1 
riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza, o in 
modo indiretto, attraverso meccanismi di preselezione ovvero a mezzo 
. . 

stampa o con qualsiasi altra forma pubblicitaria che indichi come requisito 
professionale l'appartenenza all'uno o all'altro sesso. Il divieto 
si applica anche alle iniziative in materia di orientamento, formazione, 
perfezionamento e aggiornamento professionale, per quanto concerne 
sia l'accesso sia i contenuti. 

4. -L'art. 2 stabilisce che �a lavoratrice ha diritto alla stessa retrib�zior�e 
del lavoratore quando le prestazioni richieste siano uguali o 
di pari valore. I sistemi di classificazione professionale ai fui.i della 
�determinazione delle retribuzioni debbono adottare criteri comuni per 
uomini e donne. 
� 5. -L'art. 3 vieta qualsiasi discriminazione fra uomini e donne per 
quanto riguarda l'attribuzione delle qualifiche, delle mansioni e la progressione 
nella carriera. Le assenze dal lavoro, previste dagli artt. 4 e 5 
<;I.ella legge 30 dicembre 1971, n. 1204, sono considerate, ai fini della progre~
sione nella carriera, come attivit� lavorativa, quando i contratti 
collettivi non richiedano a tale scopo particolari requisiti. 

6. -L'art. 4, 1� comma, stabilisce che anche se le lavoratrici sono 
in possesso dei requisiti per aver diritto a~la pensione di vecchiaia, esse 
possono optare di continuare a prestare 1a loro opera sino .agli stessi 
limjt.i di et� previsti per gli uomini. Gli altri commi del suddetto articolo 
recano altre disposizioni che non � ne�essario richiamare ai fini 
della presente sentenza. 
7. -La Commissione � del parere, anzitutto, che la legge n. 903 
recepisca nell'ordinamento giuridico italiano le disposizioni di cui ail'a.
rt. 5 della direttiva in modo e in misura non conformi allo spirito 
ed alla lettera della direttiva. La legge considera talune condizioni di 
t 
lavoro, quali la retribuzione, l'et� di pensionamento e il diritto di assen


1: 
tarsi dal lavoro in caso di adozione, ma non tutte le condizioni di lavoro, 1: 
i: 
(. 
malgrado il carattere molto pi� ampio delle disposizioni di cui all'art. 5 i 
della direttiva. �

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PARTE I, SllZ. II, GIURIS. COMUNITARiA E INTERNAZIONALE 69 

8. -Il Governo della Repubblica italiana replica, che esaminando 
le disposizioni della legge n. 903 summenzionata, risulta che � vietata 
qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda l'accesso 
al lavoro, l'orientamento, la formazione, il perfezionamento e l'aggiornamento 
professionale (art. 1), la retribuzione e i sistemi di classificazione 
professionale ai fini della determinazione delle refribuzioni (art. 2), 
l'attribuzione delle qualifiche, delle mansioni e la progressione della 
carriera (art. 3), l'et� del pensionamento (art. 4) e il diritto di astenersi 
dal lavoro in determinati casi (art. 6). Il Governo della Repubblica ita� 
liana aggiunge che l'art. 15 della legge 20 maggio 1970, n. 300, � stato 
modificato dall'art. 13 della legge n. 903 del 1977 in modo da stabilire 
la nullit� dei patti o atti diretti a fini di discriminazione di sesso in 
materia di licenziamento di un lavoratore o tali da recargli altrimenti 
pregiudizio. 
9. -Occorre ricordare che ai sensi dell'art. 189 del Trattato CEE, 
la direttiva vincola lo Stato membro cui � rivolta per quanto riguarda 
il risultato da raggiungere, salvo restando la competenza degli organi 
nazionali in merito alla forma e ai mezzi. Non si pu� quindi censurare 
il legislatore italiano per aver adottato un certo numero di disposizioni 
specifiche riguardanti le condizioni di lavoro pi� significative, limitan�"' 
dosi, per quanto riguarda le altre condizioni di lavoro, a prevedere una 
disposizione generale, l'art. 15 della legge 1970, modificata dall'art. 13 
della legge 1977, che comprende qualsiasi altra condizione di lavoro 
non menzionata espressamente, salvo dimostrare che l'obiettivo voluto 
dalla direttiva non � stato effettivamente raggiunto. 
10. -Poich� la Commissione non ha dimostrato che il combinato 
disposto di queste norme specifiche, completato da una norma generale, 
lascia persistere lacune .per quanto riguarda il campo d'applicazione 
della direttiva, il primo mezzo della Commissione non pu�. essere accolto. 
11. -La Commissione, in secondo luogo, sostiene che la legge de] 
1977 prevede per la madre che ha adottato un bambino di et� inferiore 
ai 6 anni al momento dell'adozione, il diritto di beneficiare del congedo 
ol;>bligatorio di 3 mesi e del relativo trattamento economico, a decorrere 
dall'ingresso effettivo del bambino nella famiglia adottiva, e del 
diritto di assentarsi dal lavoro per un determinato periodo, senza per� 
concedere gli stessi diritti al padre adottivo. Questa disparit� di trattamento 
costituisce una discriminazione nelle condizioni di lavoro ai sensi 
della direttiva. 
12. -L'art. 6 della legge n. 903 del 1977 stabilisce che le lavoratrid 
che abbiano adottato bambini, o che li abbiano ottenuti in affidamento 

70 
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

preadottivo possono� avvalersi, semprech� in ogni caso il bambino non 
abbia'. superato al momento dell'adozione o dell'affidamento i 6 aruii 
di et�, dell'astensione obbligatoria dal lavoro di cui all'art. 4, lett. c), 
della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 e del trattamento economico relativo 
durante i primi 3 mesi successivi all'effettivo ingresso del bambino 
nella famiglia adottiva o affidataria. Il 2� comma del suddetto articolo 
aggiunge che le stesse lavoratrici possono altres� avvalersi del diritto 
di assentarsi dal lavoro di cui all'art. 7, 1� comma, della legge di cui 
sopra, entro un anno dall'effettivo ingresso del bambino nella famiglia 
e semprech� il bambino non abbia superato i 3 anni di et�, nonch� 
del diritto di assentarsi dal lavoro previsto dal 2� comma dello stesso 
art. 7. 

13. - 
La,. legge 30 dicembre 1971, n. 1204 stabilisce, all'art. 4, il divieto 
di adibire le donne al lavoro: 
a) durante i 2 mesi precedenti la data presunta del parto; 
b) se� il parto avviene dopo quest� data, durante il periodo tra 

la 
data presunta e la data effettiva del parto; 
e) durante i tre mesi successivi al parto. 

14. -L'art. 7 della stessa legge prevede, dopo il congedo di m�� 
ternit� summenzionato, il diritto della lavoratrice di assentarsi dal lavoro, 
. per un ulteriore periodo di 6 mesi entro il primo anno di vita 
del bambino, durante il quale le � � conservato il suo posto di lavoro 
.(1� comma). Essa ha anche il diritto di assentarsi dal lavoro durante 
le malattie del bambino di et� inferiore a 3 anni, su presentazione di 
UI] c~rtificato medico (2� comma). 
15. .....: L'art. 7 della legge n. 903 del 1977 stabilisce che il diritt�> 
di assentarsi dal lavoro previsto dall'art. 7 della legge n. 1204 del 1971 
~ ,riconc;>&ciuto anche al padre lavoratore, anche se adottivo o affidatario 
ai sensi dell'art. 314/20 del Codice civile, in alternativa alla madre lavoratrice 
ovvero quando i figli siano affidati al solo padre. 
, . 16. -Il padre adottivo non fruisce invece del diritto concesso alla 
madre adottiva di beneficiare del congedo di maternit� durante i primi 
3 ... t.e&i successivi all'effettivo ingresso del bambino nella famiglia adottiva.. 
Come afferma con ragione la Repubblica italiana, questa disparit� 
� giustificata dalla legittima preoccupazione di equiparare per quanto 
possibile le condizioni d'ingresso del bambino nella famiglia adottiva 
a quelle dell'arrivo di un neonato nella famiglia, durante questo periodo 
tanto delicato. Per quanto riguarda l'astensione dal lavoro dopo il pe� 


PARm I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA B INTBRNAZIONALB 71 

riodo iniziale di 3 mesi, il padre adottivo gode degli stessi diritti della 
madre adottiva. 

17. -Ci� premesso, la disparit� di trattamento censurata dalla 
Commissione non pu� essere considerata una discriminazione ai sensi 
della direttiva. 
18. -L'ultimo addebito della Commissione riguarda la presunta 
omissione da parte della Repubblica italiana di attuare l'art. 6 della 
direttiva. La Commissione precisa che l'art. 15 della legge n. 903 del 
1977 limita il sistema di ricorsi ivi previsto alle sole discriminazioni 
che violano le disposizioni � di cui agli artt. 1 e 5 della stessa legge, non 
prevedendo la possibilit� di ricorso giurisdizionale per il lavoratore 
che si ritenga leso dall'inosservanza di altre disposizioni della direttiva. 
19. -Il Governo della Repubblica italiana replica che la procedura 
di cui all'art. 15 della legge n. 903 � una procedura d'urgenza, ma sottolinea 
che nella direttiva nessuna disposizione prevede la necessit� di 
una siffatta procedura per tutti i casi di discriminazione. L'art. 700 
del Codice di procedura civile, norma a portata assolutamente generale, 
consente di ottenere d'urgenza, prima di iniziare la causa di merito, 
i provvedimenti necessari per evitare un pregiudizio irreparabile. Questa 
norma pu� essere fatta valere in tutti i campi d'applicazione della direttiva 
non contemplati dall'art. 15 della legge n. 903. 
20. -Inoltre l'art. 24 della Costituzione italiana stabilisce che tutti 
possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi 
legittimi. Questo dettato costituzionale ha una diretta applicazione, costante 
e consolidata, nel senso che, constatata l'esistenza di una norma 
sostanziale che protegge un interesse individuale, non occorre alcuna 
altra speciale statuizione normativa che munisca detto interesse di 
tutela giudiziaria, derivando essa, in modo generale ed assoluto, dall'art. 
24 della Costituzione. I lavoratori discriminati possono quindi 
invocare il suddetto dettato costituzionale per esigere il rispetto delle 
prescrizioni della legge n. 903 mediante ricorso al giudice. 
21. -La Commissione non � ha contraddetto le spiegazioni fornite 
dal Governo della Repubblica italiana. Ci� premesso, questo mezzo non 
pu� essere accolto. 
22. -Poich� nessuno degli addebiti mossi dalla Commissione � 
stato accolto, il ricorso dev'essere respinto. (omissis) 

RASSEGNA. DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

�ORTE PI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 30 novembre 
1983, nella causa 227/82 -Pres. Galmont -Avv. Gen. Roz�s -Domanda 
di pronuncia pregiudiziale proposta dall'Arrondissementsrechtbank di 
Amsterdam nella causa penale c. Leendert van Bennekom (avv.ti 
Bouman e Barbas) -Interv.: Governi dei Paesi bassi (ag. Italianer), 
della Rep. fed. di Germania (ag. Seidel e Roder), italiano (avv. Stato 
Braguglia) e danese (ag. Mikaelsen) e Commissione della C.E. (ag. 
Haagsma). 

Comunt� europee -Armonizzazione delle legislazioni -Nozione di � medicinali 
� -Preparati farmaceutici. 
(Direttiva CEE del Consiglio 26 gennaio 1965, n. 65/65). 

Comunit� europee -Libera circolazione delle merci -Misure restrittive 
all'importazione -Tutela della salute -Limiti -Vitamine. 
(Trattato CEE, artt. 30 e 36; direttiva CEE del Consiglio 26 gennaio 1965, n. 65/65). 

Sostanze come i preparati a base di vitamine di cui � causa, che 
non siano espressamente �indicate o raccomandate� come atte a guarire, 
curare o prevenire affezioni, possono cionondimeno essere sostanze 
� presentate come aventi propriet� curative o profilattiche delle malattie 
umane o animali?> ai sensi della d,efinizione comunitaria di medicinale 
di cui alla direttiva n. 65/65. Se il prodotto non rientra n� nella prima 
n� nella seconda parte della definizione comunitaria di medicinale, esso 
non pu� essere considerato un medicinale ai sensi della direttiva n. 65/65. 
La classificazione di una vitamina fra i medicinali ai sensi della seconda 
definizione data della direttiva n. 65/65 va effettuata caso per caso, in 
base alle propriet� farmacologiche di ciascuna di esse, secondo quanto 
appurato allo stadio attuale delle conoscenze scientifiche (1). 

Qualora taluni preparati a base di una o pi� vitamine: a) si possano 
considerare medicinali ai sensi della direttiva n. 65/65, ma non 

(l) Ag1i occhi del consumatore � equivalente che una propriet� curativa 
o profilattdoa venga espressamente indicata o dichiarat,a, ovvero che essa oggettivamente 
Disulti dal modo di presentazione, e quindi di somministrazione, di 
una sostanza. Se una sostanza viene presentata sotto forma, ad esempio, di 
fiale da iniettare, di supposta, di capsula, questo modo di preserva:itlone, oggettivamente 
considerato insieme alle indicazioni di composiziione e di dosaggio, 
porta necessariamente a ritenere che a queUa sostanza � stata attr�.buita una 
propriet� terapeutica. 
� naturale, quindi, che debba rientmre nena nozione di medicinale (con 
tutte le conseguenze di cui alla direttiva CEE del Consiglio 26 gennaio 1%5, 

n. 65/65) non soltanto La sostlanza dichiarata o indicata come avente propriet� 
curative o profilattiche, ma anche la sostanza la quale, per il modo !in cui 
viene presentata oggettivamente e, quindi, per il modo in cui deve essere 
somministrata, induca. necessariamente a ritenere che abbia propriet� curative o 
profilatmche. 

PARTE I, SBZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

73 

siano compresi nella normativa sui medicinali di uno o pi� Stati membri, 
oppure b) non rientrino nella definizione comunitaria di medicinale, 
la legge di uno Stato membro pu� vietare la vendita o la detenzione 
in deposito ai fini della vendita di pnparati del genere importati da 
un altro Stato membro, in particolare se essi sono in presentazione 
farmaceutica ed hanno forte concentrazione. Tuttavia, siffatta disciplina 
� giustificata solo se vengono concesse autorizzazioni di vendita ogni 
volta che siano compatibili con le esigenze della tutela della salute (2). 

(omissis) 1. -Con sentenza 12 maggio 1982, pervenuta alla Corte 
il 1� settembre 1982, l'Arrondissementsrechtbank di Amsterdam ha sollevato, 
a norma dell'art. 177 del Trattato CEE, varie questioni pregiudiziali 
vertenti sull'interpretazione della direttiva del Consiglio 26 gennaio 
1965, n. 65, per il ravvicinamento delle disposizioni legislative, 
regolamentari ed amministrative relative alle specialit� medicinali (G.U. 
9 febbraio 1965, pag. 369), e degli artt. 30-36 del Trattato CEE, al fine 
di decidere sulla compatibilit� col diritto comunitario della � Wet op 
de geneesmiddelenvoorziening � (legge olandese sull'approvvigionamento 
dei medicinali). 

2. -Le questioni venivano sollevate nell'ambito di un procedimento 
penale a carico del sig. van Bennekom, imputato. nei Paesi Bassi di aver 
detenuto per la vendita, in trasgressione della suddetta legge olandese, 
grandi quantit� di preparati a base di una o pi� vitamine. 
(2) Gi� in numerose sentenze (cfr. da ultimo la sentenza, citata in motivazione, 
114 luglio 11983, nclla causa 174/82, SANOOZ, pubblicata in questa Rassegna, 
1983, I, 840, con nota, e, prima, quelle indicate nella notla stessa) fa Corte 
ha precisato che, se � vero che gli articoli 30 e 34 del trattato vietano qualsiasi 
restrizione quantitativa o misura df effetto equivalente nel commercio fra Stati 
membri, non � men vero che gli ostacoli per la circolazione intracomunitaria derivanti 
dalle disparit� del:le norme nazionali relative a!llo smercio dei prodotti
1

sono consentite dall'art. 36 del trattato, qualora le norme sottese agli ostacoli 
stessi si!ano giustificate da motivi, tra l'altro, di tutela della salute delle persone: 
sempre che, naturalmente, !� divieti o le restrizioni di cui trattasi non 
costituiscano un mezzo di discriminazione arbitraria, n� una restrdzione dissimulata 
al commercio fra gli Stati membri. In mancanza di nonne di armoniz2iazione, 
spetta agli Stati membri stabilire il grado di tutela della salute e 
della vita delle persone che essi iintendono garantire. La difficolt� �e Je incertezze 
inerenti alla valutazione del livello necessario nei singoli oasi per garantire 
la salute e le diver,sit� delle situazioni di fatto esistenti nei diversi paesi possono 
spiegare la ma.ncanza di uniformit� delle leggi nazionali degli Stati membri e 
l'esistenm in alcuni di mdsure pi� rigorose che in altri. 

L'art. 36 del trattato riconosce agli Stati membri il potere di fissare discre


1

zionalmente le misure che essi ritengono necessarie per la protezione della 
salute delle persone: anche ricorrendo, per raggiungere lo scopo, a mezzi impe




74 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

� 3. -� pacifico che si trattava essenzialmente di preparati in pre� 
sentazione farmaceutica (compresse, pillole e capsule) fortemente con� 
centrati. 

4. -A norma dell'art. 3, n. 5, lett. b), della Wet op geneesmiddelenvoorziening 
i medicinali possono essere messi in commercio solo previa 
registrazione da parte dell'autorit� competente. I produttori, importatori 
o grossisti devono inoltre avere l'autorizzazione per produrre, i~portare 
o commerciare all'�ngosso i medicinali. 
5. -L'obbligo di registrazione e l'autorizzazione sono del pari contemplati 
dalle norme comunitarie relative al ravvicinamento delle disposizioni 
legislative sulle specialit� medicinali. 
6. -Il van Bennekom, imputato di aver trasgredito i due suddetti 
obblighi, si difendeva dinanzi al giudice olandese sostenendo che i 
preparati di cui trattasi non sono medicinali, bens� alimenti ai sensi 
tanto della legge olandese, quanto della summenzionata direttiva n. 65/65'. 
7. -La � Wet op geneesmiddelenvoorziening � intende per medicinale: 
�qualsiasi sostanza o composto di sostanze, che � destinato ad 
essere� usato per o in qualche modo viene indicato o raccomandato 
come atto a: 

1) curare, alleviare o prevenire determinate affezioni, malattie, 
sintomi, dolori, lesioni o deficienze dell'uomo; 

ditivi degli soambi comunitari; purch� essi siano necessari alla tutela perseguita 
e non costituiscano una restrizione dissimulata agld scambi stessi. 

Di conseguenza deve ritenersi che un siffatto potere discreziona!le esercitato 
da uno Stato non possa avere effetto che nelllo Stato stesso e non possa vincolare, 
viceversa, gli altri Stati, che altrimenti sarebbero corrispondentemente 
spogldati del potere attribuito loro dalla norma del trattato e tenuti a uniformare 
le loro normative in materia sanitaria a quelle dello Stato che ha adottato 
sul punto la disposizione meno restdttliva. Si avrebbe, in pratica, una vera e 
propria deviazione della finalit� perseguita dalla norma comunitaria che, anzich� 
consentire una diversit� di disciplina in fun2Ji.one delle diverse esigenze dei 
singoli Stati {si pensi alle diverse condizioni ambientali e climatiche e alle 
diverse abitudini alimentari), verrebbe a porsi come lo strumento per pervenire 
ad una �armonizzai.ione al livello della normativa nazionale meno restrittiva. 

Quel che ia normativa comunitaria certamente non consente � una discri� 
minazione palese o dissimulata o �lna misura che comunque voglia impedire 
lo scambio dntercomunitario; ma non impedisce certamente che ciascuno Stato 
imponga determinati requisiti allo smercio dei prodotti senza alcuna distinzione 
fra quelli na2Ji.onali e quelli importati, per esigenze di tutela della salute 
ragdonevolmente valutate. Ammettere che il prodotto importato sia esonerato 
dagli obblighd imposti dalla normativa .sanitaria interna, che continuerebbero 
a gr�vare invece �Sul prodotto nazionale, significherebbe creare un privilegio per 
il prodotto importato, che non trova alcuna logica nello spirito del trattato. 

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PARm I, SEZ. II, GI1;1RIS. ~MUNlT.\JUA B INJ:BRNAZIONALB 

2) ripristinare, stimolare o modificare il. funzionamento dell'organismo 
umano; 

3) elaborare una diagnosi clinica mediante somministrazione o 
applicazione all'uomo �. 

8. -La direttiva del Consiglio n. 65/65 intende per medicinale anzi 
tutto � ogni sostanza o composizione presentata come avente propriet� 
curative o profilattiche delle malattie umane o animali �. � Ogni sostanza 
o composizione da somministrare all'uomo o all'animale allo scopo di 
stabilire una diagnosi medica o di ripristinare, correggere o modificare 
funzioni organiche dell'uomo o dell'animale � altres� considerata medicinale
�. 
9. -Adito in grado d'appello, l'Arrondissementsrechtbank di Amsterdam, 
ritenendo necessaria l'interpretazione delle norme comunitarie, 
sospendeva il procedimento e sottoponeva alla Corte le seguenti questioni 
pregiudiziali: 
� 1) Se le sostanze semplici o composte come i preparati di vitamine 
in concentrazioni e dosi determinate e nella forma (compresse, 
pillole e capsule) di cui trattasi nella presente causa, che non siano 
state indicate o raccomandate come atte a curare o prevenire affezioni, 
malattie o sintomi di malattia, dolori ferite o deficienze dell'uomo, siano 
sostanze semplici o composte presentate come aventi propriet� curative 

o profilattiche delle 
malattie umane o animali. 
2) Se una sostanza semplice o composta, quale i preparati a base 
di una o pi� vitamine su cui verte la presente causa, che possa avere 
propriet� curative o profilattiche delle malattie umane o animali, ma 
che non sia presentata come tale e non possa venir somministrata a 
persone o ad animali allo scopo di effettuare una diagnosi medica o 
di ripristinare, correggere o modificare funzioni organiche dell'uomo 

o 
dell'animale, possa essere un " medicinale " ai sensi della direttiva. 
3a) Una volta ammesso che vitamine, in una determinata bassa 
concentrazione, sono destinate a servire come alimento e non come 
medicinale, anche se sono messe in commercio sotto forma di compresse, 
pillole o capsule, se una alta (o maggiore) concentrazione delle 
stesse vitamine, pur se non nella stessa forma, sia sufficiente a far definire 
la sostanza come medicinale ai sensi della direttiva. 
3b) In caso affermativo, in base a quali criteri si possa accertare 
questo fatto. 
4) Se il diritto olandese possa vietare la -o possa venir applicato 
mediante sanzioni penali alla -vendita o detenzione in deposito per 
la vendita �di vitamine e di preparati di vitamine tramite una definizione 
tanto ampia di "medicinale" (come quella che figura nella legge olan



RAsi;EGNA DELL�11,vvoc~TURA DELLO STATO

76 

dese sull'approvvigionamento dei medicinali) che vi rientrano i preparati 
pur se non sono medicinali -in quanto sostanze semplici o com7 
poste -:-ai sensi della direttiva. 

5) Qualora la direttiv� consenta di considerare i preparati a base 
di una o pi� vitamine come medicinali, ma la direttiva o la normativa 
nazionale di uno o pi� Stati membri che su di essa si fonda sia redatta, 
interpretata o applicata in modo che questi preparati esulano ivi dalla 
sfera d'applicazione della legislazione sui medicinali, se il diritto olandese 
possa opporsi alla vendita o alla detenzione in deposito per la 
vendita di prodotti di questo tipo, importati da altri Stati membri, 
in forza della legge olandese sull'approvvigionamento dei medicinali o 
delle norme adottate per la sua attuazione, oppure ci� sia incompatibile 
con il Trattato, in ispecie con l'art. 30 e con il divieto di limitare gli 
scambi tra Stati membri. 

6) Qualora la soluzione d~lle precedenti questioni faccia concludere 
che la. definizione di medicinale figurante nella legge olandese 
comprende -in contrasto con la definizione della direttiva comunitaria i 
preparati a base di vitamine di cui trattasi, con il che essi sono 
soggetti all'obbligo di registrazione di cui sopra, al pari delle specialit� 
farmaceutiche e dei preparati farmaceutici, se la normativa olandese si 
debba per questo considerare una misura di effetto equivalente ad una 
restrizione quantitativa ai sensi dell'art. 30 e segg. del Trattato CEE, 
tenuto conto del fatto che la direttiva comunitaria disciplina solo le 
specialit� farmaceutiche�. 

10. -� bene anzitutto osservare che non spetta alla Corte, nell'ambito 
dell'art. 177 del Trattato, pronunciarsi sulla compatibilit� col Trattato 
di una legge interna; essa pu�, tuttavia, indicare al giudice nazionale 
tutti i criteri d'interpretazione del diritto comunitario che possano 
consentirgli di decidere in proposito. 
11. -Nel merito va sottolineato che la direttiva n. 65/65 costituisce 
solo la prima fase nell'armonizzazione delle normative nazionali relative 
alla produzione ed alla distribuzione dei prodotti medicinali. 
12. -La direttiva ha un ambito d'applicazione limitato alle � spe� 
cialit� medicinali�, definite come medicinali precedentemente preparati, 
immessi in commercio con un�a denominazione speciale ed in una confezione 
particolare. D'altra parte, i � medicinali � vengono definiti come 
� sostanze �, oggetto a loro volta di definizioni pi� precise. Infine l'art. 2 
limita l'ambito d'applicazione della direttiva alle specialit� medicinali 
per uso umano e destinate ad essere messe in commercio negli Stati 

PARIB I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

13. -A proposito degli elementi tecnici della definizione di medi<:inale 
di cui alla direttiva n. 65/65, la Corte pu� solo fornire alcune 
indicazioni generali che permettano di stabilire la linea di demarcazione 
fra medicinali ed alimenti. 
14. -La direttiva n. 65/65 ha lo scopo di eliminare -almeno in 
parte -gli ostacoli negli scambi delle specialit� medicinali all'interno 
della Comunit�, pur perseguendo il fine essenziale di salvaguardare la 
salute pubblica. T1ale armonizzazione deve altres� consentire di rendere 
gradualmente inutile il ricorso all'art. 36 del Trattato CEE. 
15. -Alla luce di queste considerazioni vanno risolte anzitutto le 
prime tre questioni sollevate dall'Arrondissementsrechtbank di Amsterdam, 
le quali vertono sull'interpretazione della direttiva, e� in un secondo 
tempo -in via subordinata -qualora i preparati a base di 
vitamine di cui � causa non rientrino nella direttiva, le questioni relative 
agli artt. 30 e segg. del Trattato. 
La prima questione. 

16. -Con la prima questione si chiede sostanzialmente alla Corte 
se prodotti del tipo dei preparati a base di vitamine di cui � causa, 
che non siano espressamente �indicati o raccomandati� come atti a 
guarire, curare o prevenire affezioni, possano ugualmente essere sostanze 
�presentate come aventi propriet� curative o profilattiche delle 
malattie umane o animali� ai sensi della definizione comunitaria di 
medicinali contenuta nella direttiva n. 65/65. 
17. -Onde risolvere tale questione, va osservato che, basandosi 
nella prima definizione comunitaria di medicinale sul criterio della 
�presentazione� del prodotto, la direttiva tende ad includere non solo 
i medicinali che hanno veri e propri effetti terapeutici e medicinali, 
ma anche i prodotti non abbastanza efficaci o che non sortirebbero gli 
effetti che i consumatori hanno il diritto di aspettarsi data la loro 
presentazione. La direttiva � volta quindi a preservare i consumatori 
non solo dai medicinali dannosi o tossici come tali, ma �nche dai vari 
prodotti usati in luogo dei rimedi adeguati. Pertanto la nozione di 
� presentazione� di un prodotto va interpretata in senso estensivo. 
18. -Si deve quindi ritenere che un prodotto � �presentato come 
avente propriet� curative o profilattiche� ai sensi della direttiva n. 65/65 
non solo quando � espressamente � indicato � o � raccomandato � come 
tale, eventualmente mediante etichette, note o la presentazione orale, 
ma anche ogniqualvolta appare, anche implicitamente, ma con certezza, 

78 :l.SSBGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

agli occhi del consumatore medio che tale prodoto -stando alla sua 
presentazione -dovrebbe avere gli .effetti descritti dalla prima definizione 
comunitaria. 

19. -In particolare, la forma esterna del prodotto di cui � causa 
compresse, pillole o capsule -pu� costituire sotto questo aspetto 
un indizio attendibile dell'intenzione del venditore o del fabbricante di 
metterlo� in commercio come medicinale. Tale indizio non pu� per� 
essere esclusivo e determinante, se non si vogliono comprendere taluni 
prodotti alimentari tradizionalmente presentati in forme analoghe a 
quelle di prodotti medicinali. 

20. -La prima questione va quindi risolta nel senso che sost�nze 
come i preparati a base di vitamine di cui � causa, che non siano 
espressamente � indicate o raccomandate � come atte a guarire, curare 
o prevenire affezioni possono cionondimeno essere sostanze � presentate 
come aventi propriet� curative o profilattiche delle malattie umane 
o animali � ai sensi della definizione comunitaria di medicinale di cui 
alla direttiva n. 65/65. 
La seconda questione. 

21. -La seconda questione tende ad accertare se una sostanza che 
possa avere propriet� curative o profilattiche delle malattie umane o 
animali, ma che non sia presentata come tale e non possa venir somministrata 
a persone o ad animali allo scopo di effettuare una diagnosi 
medica o di ripristinare, correggere o modificare funzioni organiche 
dell'uomo o dell'animale, rientri comunque nella definizione di medicinale 
ai sensi della direttiva n. 65/65. 
22. -Va ritenuto in proposito che una sostanza con �propriet� 
curative o profilattiche delle malattie umane o animali�, ai sensi della 
prima definizione comunitaria, non �presentata� per� come tale, rientra 
in linea di massima nell'ambito d'applicazione della seconda definizione 
comunitaria di medicinale. 
23. -Viceversa, il prodotto� che non rientri n� nella prima, n� nella 
seconda parte della definizione comunitaria di medicinale non pu� 
essere considerato un medicinale ai sensi della direttiva n. 65/65. 
La terza questione. 

24. -Con la terza questione il giudice proponente, partendo dal-
l'ipotesi che le vitamine poco concentrate possono essere considerate 
alimenti, chiede essenzialmente se una maggiore concentrazione debba 

PARTE I, SEZ, II, G�URIS~ cOMUNITARIA � INTERmzlONALB T9 

farle ritenere medicinali �ai sensi della� direttiva ed. iri' base a quali 
criteri. 

25. -La soluzione della questione deve consentire al giudice nazionale 
di valutare il peso del criterio della concentrazione nello stabilire 
se una vitamina rientri nella se�onda definizione comunitaria di 
medicinale. 
26. -Le vitamine, poich� vengono definite di solito come sostanze 
indispensabili in minime quantit� all'alimentazione quotidiana ed al 
buon funzionamento dell'organismo, non possono -come regola generale 
-essere considerate medicinali quando sono prese in piccola 
quantit�. 
21. -� del pari pacifico che i preparati a base di una o pi� vitamine 
vengono talyolta usati, di solito in forti dosi, a scopi terapeutici 
contro talune malattie nelle quali la carenza vitaminica non � la c;msa 
morbosa. In casi del genere � incontestabile che tali preparati a base 
di vitamine costituiscono. dei medicinali. 
28. -Dal fascicolo e dal complesso delle osservazioni presentate 
alla Corte si desume tuttavia che � impossibile, nello stato attuale della 
scienza, stabilire se il criterio della concentrazione possa, da solo, essere 
sempre sufficiente a far ritenere che un preparato a base di vitamine 
costituisce un medicinale e, a maggior ragione, precisare da quale grado 
di concentrazione un preparato del genere rientri nella d�finizione comu� 
nitaria di medicinale. 
29. -� pertanto opportuno risolvere la questione nel senso .�he la 
classificazione di una vitamina fra. i medicinali ai sensi della seconda 
definizione data dalla direttiva n. 65/65 va effettuata caso per caso, in 
base alle propriet� farmacologiche di ciascuna di esse, quali sono state 
accertate nello stato attuale delle conoscenze scientifiche. 
La quarta, la quinta e la sesta questione. 

30. -Con la quarta, la quinta e la sesta questione si chiede, essen� 
2ialmente, se qualora certi preparati a base di una o pi� vitamine 
a) si possano considerare medicinali ai sensi della direttiva n. 65/65, 
ma non siano compresi nella normativa sui medicinali di . uno o .pi� 
Stati membri, oppure 

b) non rientrino nella definizione comunitaria di medicinale, la 
legge di uno degli Stati membri possa ancora vietare la vendita o la 
.detenzione in deposito ai fini della vendita, di preparati del genere 
importati da un altro Stato membro. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

80 

31. -Si desume in proposito dall'ultimo considerando della direttiva 
n. 65/65 che questa mira solo a realizzare il progressivo ravvicinamento 
delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative 
degli Stati membri in materia. Pertanto, pur cercando di ridurre al 
minimo gli ostacoli per gli scambi nell'ambito della Comunit� per i 
prodotti considerati, essa non esclude per questo che i prodotti che 
non ricadono sotto le sue disposizioni siano sottoposti dagli Stati membri 
ad un regime restrittivo Cli vendita o di messa in commercio purch� 
siano osservate le altre disposizioni di diritto comunitario. 
32. -A norma dell'art. 30 del Trattato, sono vietate nel commercio 
fra gli Stati membri le restrizioni quantitative all'importazione nonch� 
qualsiasi misura d'effetto equivalente. Secondo la giurisprudenza della 
Corte; vanno considerate misure d'effetto �equivalente a restrizioni quantitative 
tutte le normative commerciali degli Stati membri atte ad ostacolare 
direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, il commercio 
nell'ambito della Comunit�. 
33. -In tale prospettiva, � evidente che costituisce una misura 
d'effetto equivalente ad una restrizione quantitativa all'importazione, ai 
sensi dell'art. 30 del Trattato CEE, la normativa che vieti, salvo la 
previa registrazione amministrativa, la vendita di vitamine e di preparati 
a base di vitamine, in quanto disposizioni del genere sono atte 
ad ostacolare il commercio fra Stati membri. 
34. -Tuttavia, a norma dell'art. 36 del Trattato, �le disposizioni 
degli artt. 30-34... lasciano impregiudicati i divieti o . restrizioni all'importazione... 
giustificati da motivi... di tutela della salute e della vita 
delle persone � che non costituiscano un � mezzo di discriminazione 
arbitraria, n� una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati 
membri�. 
35. -Solo allorch�, in applicazione dell'art. 100 del Trattato, direttive 
comunitarie dispongono. la armonizzazione dei provvedimenti neces� 
sari per garantire la tutela della salute animale ed umana e approntano 
procedure comunitarie di controllo della loro osservanza, il ricorso 
all'art; 36 perde la sua ��giustificazione. Ora; � pacifico che ci� hon 
avviene nel caso delle direttive sui medicinali. Occorre quindi esaminare 
se provvedimenti che limitano la vendita di vitamine possano 
essere giustificati dall'art. 36 del Trattato. 
36. -Come la Corte ha avuto occasione di dichiarare nella sentenza 
14 luglio 1983 (Sandoz, 174/82, non ancora pubblicata) il consumo 
ecc�ssivo di vitamine per un pei-iodo prolungato pu� avere effetti 
nocivi la cui gravit� dipende dal tipo: le vitamine liposolubili rischian� 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

in via generale di essere pi� nocive cii quelle idrosofobili. Risulta inoltre 
che le vitamine costituiscono un rischio reale per la salute soprattutt� 
in forte concentrazione. Tuttavia, dalle osservazioni presentate alla Corte 
si desume che la ricerca scientifica non � ancora abbastanza avanzata 
per poter determinare con certezza le quantit� e le concentrazioni critiche 
nonch� gli effetti precisi. 

37. -Ora, secondo la costante giurisprudenza della Corte, poich� 
nello stato attuale della ricerca scientifica rimangono delle incertezze, 
spetta agli Stati membri, in mancanza d'armonizzazione, decidere in 
quale misura intendano garantire la tutela della salute e della vita 
delle persone, pur tenendo conto delle esigenze della libera circolazione 
delle merci nell'ambito della Comunit�. 
38. -Questi principi valgono pure per le sostanze del genere delle 
vitamine le quali non sono in via generale nocive di per s�, ma possono 
produrre effetti nocivi particolari in caso di consumo eccessivo. Date 
le incertezze inerenti�; alla valutazione scientifica, la disciplina nazionale 
che ai preparati a base di una o pi� vita_IIline in presentazione farmaceutica 
� in �forte �concentrazione applichi le procedure di cui alla direttiva 
n. 65/65 � pertanto, nel suo principio ispiratore, giustificata, ai 
sensi dell'art. 36 del Trattato, da motivi di tutela della salute umana, 
anche se gli Stati membri hanno adottato in proposito soluzioni diverse. 
39. -Tuttavia il principio di proporzionalit� che costituisce il �fondamento 
dell'ultimo inciso dell'art. 36 del Trattato esige che la facolt� 
degli Stati membri di vietare le importazioni dei prodotti di cui trattasi 
da altri Stati membri sia limitata a ci� che � necessario per conseguire 
gli scopi di tutela della salute legittimamente perseguiti. La normativa 
nazionale che contempli un divieto del genere � quindi giustificata solo 
se le autorizzazioni di vendita sono ���concesse ogni volta che siano 
compatibili con le 'esigenze della tutela della salute. 
40. -Spetta in proposito alle autorit� nazionali dimostrare, in ciascun 
caso, che la loro normativa � necessaria per proteggere effettiva� 
mente gli interessi consider.ati dall'art. 36 del Trattato e soprattutto 
che la vendita del prodotto di cui trattasi crea un rischio effettivo per 
la salute pubblica. 
41. -Le questioni sollevate dal giudice nazionale vanno pertanto 
risolte nel senso che, qualora taluni preparati a base di una o pi� 
vitamine: 
a) si possano considerare medicinali ai sensi della direttiva n. 65/65 
ma non siano compresi nella normativa sui medicinali di uno o pi� 
Stati membri, oppure; 


8� � RASSEGNA DELt'AVVocATURA DELW STATO 

b) non rientrino nell� definizione comunitaria di medicinale, la 
legge di uno Stato membro pu� vietare la vendita o la detenzione in 
deposito ai fini della vendita di preparati del genere importati da un 
altro Stato membro, in particolare se essi �sono in presentazione farmaceutica 
ed hanno forte concentrazione. Tuttavia, siffatta disciplina � 
giustificata solo se vengono concesse autorizzazioni di vendita ogni volta 
che siano compatibili con le esigenze della tutela della salute. (omissis) 


SEZIONE TERZA 

GIURISPRUDENZA 
SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 15 ottobre 1983, n. 6051 -Pres. Gambogi 
-Rel. Chiavelli -P. M. Sgroi -Pezzilli (avv. Pennacchio) c. Ente 
di Sviluppo in Puglia e Lucania (avv. Stato Zotta). 

Procedimento civile -Ricorso principale nel merito -Ricorso incidentale 
condizionato -Questioni pregiudiziali di rito o di merito -Ammissibilit�. 


Impiego pubblico -Requisiti pecessari -Natura pubblicistica dell'Ente 
datore di lavoro -Inserimento reale nell'apparato organizzativo del 
l'Ente -Obbligo atto formale di nomina -Non sussiste. 

� ammissibile il ricorso incidentale condizionato allo accoglimento 
di ricorso principale concernente il merito della causa, ancorch� con 
tale impugnazione condizionata venga riproposta una questione di carattere 
pregiudiziale di rito o di merito (1). 

Ai fini della identificazione di un rapporto di pubblico impiego, 
requisiti necessari e sufficienti sono la natura pubblicistica dell'Ente 
datore di lavoro ed il concreto inserimento del lavoratore nell'apparato 
organizzativo dell'Ente, inserimento non necessariamente risultante da 
un atto formale di nomina o da uno scritto equipollente, bens� da una 
qualsivoglia manifestazione di univoca volont� dell'Ente di attuare l'in� 
serimento stesso, ivi compresi anche meri comportamenti concludenti 
a ci� idonei (2). 

(omissis) Il ricorso � ammissibile. 

Anzitutto, il ricorso stesso risulta proposto tempestivamente in 
data 28 dicembre 1976, nel termine lungo, avverso la sentenza suindicata 
non notificata; ed � inoltre ammissibile sotto il profilo dell'interesse, verificandosi 
la condizione cui esso � stato sottoposto e, cio�, la fondatezza 
del ricorso principale. 

(1) Giurisprudenza ronsolidata (cfr. Sez. Un. U aprile 1960 n. 826). 
(2) Trova conferma, in specie, l'orientamento malllifostato negli ultimi anni 
dalle Sezioni Unite, caratterizzato da un minor rigor.e circa Ja necessit� del� 
l'atto formale di nomina ai fini deHa qualif�oa:l'J�one del vapporto di pubblico 
impiego. V. al riguardo Cass. 12 giugno 1979 n. 3298; Cass. 26 maggio 1979 
n. 3070; Cass. 22 ottobre 1980 n. 5680; Cass. 2 marzo 19811 n. 1203 (richiamata in 
sentenza). 
7 



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84 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

La parte, infatti, pu� ben condizionare il ricorso incidentale all'accoglimento 
del ricorso principale, concernente il merito della causa, ancorch�, 
con la sua impugnazione cos� condizionata, riproponga una questione 
di carattere pregiudiziale o preliminare (di rito o di merito) 
(SS.UU 11 aprile 1960, n. 826). 

Inoltre; la subordinazione dell'esame delle questioni pregiudiziali o 
preliminari proposte con il ricorso incidentale alla condizione dell'accoglimento 
del ricorso principale, se non pu� ammettersi quando, con il 
ricorso incidentale, si propongono questioni rilevabili d'ufficio (perch� 
in tal caso la condizione non pu� spiegare nessuna efficacia) �, invece, 
consentita quando le questioni stess� rientrano nel potere dispositivo 
delle parti: in questa ipotesi la volont� delle parti stesse limita i poteri 
del Giudice, onde vanno esaminate prima, anche se unicamente al fine 
di delibarne l'attendibilit�, le questioni sollevate con il ricorso princi� 
pale e, solo in caso di accoglimento di questo, devono essere esaminate 
le questioni proposte con il ricorso incidentale (cfr. Cass. 24 marzo 1964, 

n. 664). 
Ora, nel caso di specie, per quanto la questione riproposta con il 
ricorso incidentale condizionato sia una questione di giurisdizione, rilevabile, 
perci�, in ogni stato e grado del giudizio anche d'ufficio, essa 
tuttavia non potrebbe pi� essere esaminata, per la preclusione costituita 
dal giudicato interno, ove non fosse stata impugnata la sentenza 
29 gennaio 1976 del Tribunale di Bari, dichiarativa della giurisdizione 
del giudice ordinario in ordine al rapporto per cui � causa. 

Ci� premesso, si rileva che il ricorso principale merita di essere 
accolto in relazione ai motivi secondo e quarto, con i quali il ricorrente 
sempre previa denuncia di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, 
lamenta: che il Tribunale non abbia considerato che dalla 
premessa circa l'affermata natura di ente pubblico non economico dell'Ente 
di sviluppo avrebbe dovuto scaturire il difetto di giurisdizione 
dell'A.G.O.; che il Tribunale stesso abbia insufficientemente motivato 
circa la ritenuta �viscosit�� del rapporto; che, infine, ritenendo il rapporto 
di pubblico impiego, sia caduto in contraddizione con la sentenza 
di esso medesimo Tribunale di Bari in data 9 gennaio 1976, che confermando 
la sentenza del Pretore, dichiarativa de�la giurisdizione ordinaria, aveva 
ritenuto il rapporto in oggetto di stretto diritto privato (secondo motivo); 
e denuncia (quarto motivo) vizio logico e giuridico della motivazione 
(art. 360 n. 5 c.p.c.) in relazione all'art. 2697 C.C., lamentando, 
infine, che il Tribunale abbia ritenuto che nel rapporto de quo non 
sussistesse la possibilit� di un licenziamento di ritorsione o di rappresaglia, 
dando per scontati elementi di fatto mai provati. 

Sussistono, infatti, i vizi denunciati. 
Il Tribunale, decidendo nel merito, dopo che aveva gi� giudicato 
nello stesso processo sulla questione pregiudiziale, inerente alla giuri-

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1 

I: 
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PARm I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

sdizione sul rapporto dedotto in giudizio, ritenendo questo un rapporto 
di lavoro privato, non poteva pi�, sia pure ai soli effetti del merito, 
ritenere lo stesso rapporto di natura pubblica, per la natura di ente 
pubblico non economico dell'Ente convenuto. 

E ci� non tanto per un vizio di contraddittoriet� della sentenza di 
merito impugnata (vizio che, come esattamente rileva la difesa dell'Ente, 
non pu� che essere interno alla sentenza medesima; e, cio�, 
desunto da elementi ili essa contenuti, non gi� in rapporto ad elementi 
contenuti in altra sentenza anche se dello stesso giudice) ma bens� per 
il principio della preclusione delle questioni gi� decise all'interno dello 
stesso processo e in ordine allo stesso rapporto. 

E comunque, la sentenza impugnata non � motivata in merito alla 
ritenuta stabilit� del rapporto. 

Come gi� altre volte queste SS.UU. hanno avuto modo di precisare, 
un rapporto di lavoro, indipendentemente dal carattere pubblico o privato 
del datore di lavoro, pu� ritenersi assistito da garanzia di stabilit�, 
e, quindi, comportare in costanza del rapporto medesimo, la decorrenza 
della prescrizione dei diritti del dipendente, solo qualora 
quest'ultimo abbia possibilit� di insorgere avverso un licenziamento 
illegittimo e di rimuovere gli effetti, ai sensi dell'art. 18 della legge 
20 maggio 1970 n. 300, ovvero in forza di leggi speciali o specifiche 
pattuizioni, idonee ad assicurare una tutela di intensit� pari a quella 
prevista dalla citata norma (SS.UU. 9 gennaio 1978 n. 54). 

Nella specie, invece, il Tribunale ha desunto la stabilit� del rap


porto da questi soli fatti: che l'Ente di sviluppo � ente pubblico non 

economico; che il regolamento del personale ha previsto � il manteni


mento del posto di lavoro� per tutto il personale stesso; che, di fatto, 

nessuno mai, tra le centinaia di dipendenti, sarebbe stato licenziato. 

Ora, in proposito, � agevole rilevare che dal fatto che nessuno mai 

sia stato licenziato non pu� ovviamente desumersi la stabilit� giuridica 

del rapporto, questa potendo derivare solo da una giuridica limitazione 

del potere di licenziamento da parte dell'ente datore di lavoro; e che 

poi manca qualsiasi specificazione del contenuto delle norme regola


mentari che garantirebbero �il mantenimento del posto di lavoro per 

tutto il personale�, apoditticamente affermato dal Tribunale. 

E se � vero che, come rileva la difesa dell'Ente, la questione della 

stabilit� giuridica del rapporto di lavoro � questio iuris, in relazione 

alla quale non � deducibile il vizio di difetto di motivazione che pu� 

attenere solo ad una questione di fatto, � altres� innegabile che la 

prima �, pur sempre, condizionata dalla seconda, quando la stabilit� 

giuridica non derivi da norme di legge ma, bens�, da norme regolamen


tari o collettive, delle quali non risultino allegati e dimostrati la esi


stenza ed il contenuto. 


86 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

Delibata cos� la questione della fondatezza del ricorso principale 
ai fini dell'ammissibilit� del ricorso incidentale condizionato, deve allora 
decidersi sulla fondatezza o meno di quest'ultimo. 

L'Ente di sviluppo lamenta che il Tribunale di Bari, dopo aver 
accertato che l'ente datore di lavoro � un ente pubblico non economico, 
abbia poi ritenuto la giurisdizione dello A.G.O. in base alla considerazione 
che la lettera 13 aprile 1963 non avrebbe costituito un rapporto di 
impiego pubblico; e, comunque, che detta lettera sarebbe sopravvenuta 
in costanza di un rapporto sostanzialmente unitario. 

In proposito, deduce che, per i connotati oggettivi, il rapporto si 
configur� come rapporto di diritto pubblico fin dal momento della sua 
costituzione; che ove si ritenga essenziale la presenza di un atto di nomina 
-tale atto pu� essere ravvisato nella lettera 13 aprile 1963; che, 
peraltro, � ben possibile pervenire alla configurazione di due distinti 
rapporti, il primo (cronologicamente) di diritto privato e il secondo 
(successivamente) di diritto pubblico. 

Il ricorso � fondato. 

Infatti, ai fini della identificazione di un rapporto di pubblico impiego, 
come tale devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, 
requisiti necessari e sufficienti sono la natura pubblicistica 
dell'ente datore di lavoro ed il concreto inserimento del lavoratore 
nell'apparato organizzativo dell'ente. Quest'ultimo elemento poi non deve 
risultare necessariamente da un formale atto di nomina o da uno scritto 
equipollente, bastando che la volont� di attuare l'inserimento sia dall'ente 
pubblico manifestata in qualsiasi modo, purch� univocamente; e, perci�, 
anche con atti e comportamenti concludenti che rivelino che l'ente 
medesimo ha voluto e fatto propria la prestazione lavorativa per utilizzarla 
nell'ambito della sua organizzazione e per i fini pubblicistici 
da essa perseguiti (SS.UU. 2 marzo 1981 n. 1203). 

Ora, per quanto riguarda l'Ente convenuto, non si pu�, anzitutto, 
dubitare .della sua natura di ente pubblico non economico, trattandosi 
di ente che, in base alla legge istitutiva (d.l.C.P.S. 18 marzo 1947, n. 281), 
esplica attivit� non diretta alla produzione di beni o servizi che lo ponga 
sullo stesso piano, in regime di concorrenza, effettiva o potenziale, con gli 
imprenditori privati esercenti attivit� analoghe e, quindi, al conseguimento 
di lucri; ma diretta esclusivamente all'attuazione della riforma 
fondiaria che, ai sensi dell'art. 44 della Costituzione, rappresenta uno 
dei pi� importanti fini sociali dello Stato. (SS.UU. 21 ottobre 1971 

n. 2956). 
Parimenti non pu� dubitarsi dell'inserimento del Pezzilli nell'organiz� 
zazione pubblicistica dell'Ente, sin dalla costituzione del rapporto, svoltosi 
ininterrottamente e con le stesse modalit� fino alla sua conclusione; 


PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

87 

� il Pezzilli aveva infatti svolto attivit� di conducente di automezzi nei 

centri agricoli di Laconia, Moschella, Speranza e Gaudiano. 

Il formale atto di nomina, intervenuto il 13 aprile 1963, si limit� 

solo a dare veste formale all'unitario ed identico rapporto di presta


zione di lavoro subordinato. 

N�, infine, tale attivit� era estranea ai fini istituzionali dell'Ente, 

perch�, per quanto di natura esecutiva, si poneva in rapporto di stretta 

e necessaria strumentalit� per il raggiungimento di detti fini, come � 

desumibile dalla stessa lettera di nomina che nulla innovava in ordine 

alla natura della prestazione e della sua utilizzazione. 

Concludendo, quindi, in accoglimento del ricorso incidentale con


dizionato, deve essere dichiarata la giurisdizione esclusiva del giudice 

amministrativo. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 21 ottobre 1983, n. 6175 -Pres. Greco � 
Rel. Parisi � P. M. Sgroi � Aeroporto Cuneo-Levaldigi S.p.A. (avv. Cochetti) 
c. Ministero dei Trasporti �e Ministero della Difesa (avv. Stato 
Santoro) e c. Cravero. 

Giurisdizione civile -Regolamento -Convenzione di sfalcio d'erba su 
terreno aeroportuale -Fine primario pubblicistico -Concessione amministrativa 
-Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. 

La convenzione avente per oggetto lo sfalcio d'erba su zone di terreno 
aeroportuali, formalmente riconosciuta dalle parti quale concessione 
amministrativa revocabile a giudizio insindacabile della P. A., essendo 
volta ad assicurare primariamente esigenze pubblicistiche correlate 
alla sicurezza e alla particolare natura dell'area in questione, 
ha, anche sostanzialmente, carattere di concesstone amministrativa, come 
tale devoluta alla cognizione esclusiva del giudice amministrativo a 
norma degli artt. 5, 7 e 28 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034 (1). 

Il regolamento, oltre che ammissibile, � anche fondato. 

Al riguardo va in primo luogo osservato che alla convenzione inter


corsa tra l'amministrazione della Difesa e Giuseppe Cravero -con cui 

fu concesso al Cravero lo sfalcio erba con l'onere della manutenzione 

ordinaria sulle zone di terreno comprese nel sedime dell'Aeroporto di 

Levaldigi, dietro pagamento di un canone di concessione e secondo le 

.(1) Decisione che recepisce tutti g1i argomenti sia formalii che sostanziali 
addotti dall'Amministrazione al fine della qualificazione del rapporto in que 
stione come rapporto di natura tipicamente concesso:ria. 



88 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

modalit� stabilite nel medesimo contratto, fu espressamente riconosciuta 
in base alla clausola contenuta nell'art. 2 � natura e scopo di 
concessione amministrativa �; e che la medesima fu, inoltre, formalmente 
dichiarata � essenzialmente revocabile in tutto o in parte a 
giudizio insindacabile dell'amministrazione della Difesa concedente e 
non soggetta quindi alla legislazione dei contratti agrari � con la intesa 
che l'anticipata revoca, rispetto alla pattuita durata della concessione, 
avrebbe dato diritto al solo rimborso della quota parte del canone annuo 
anticipatamente corrisposto. 

Inoltre, il rapporto per cui si controverte, oltre a essere caratterizzato 
dalla rilevata posizione non paritetica che � stata in esso riservata. 
ai titolari del medesimo rapporto, appare chiaramente preordinato 
ad assecondare in via primaria ed essenziale le esigenze connesse 
alla manutenzione ordinaria delle zone di terreno comprese nel sedime 
dell'aeroporto di Levaldigi; esigenze avvertite e da assolvere, a mezzo 
del concessionario, dall'Amministrazione concedente della Difesa, per 
finalit� di n�tura pubblicistica correlate alla sicurezza e alla particolare 
natura dell'area su indicata e alle connesse limitazioni imposte, pur 
esse nell'interesse pubblico a carico delle propriet� contigue (V. artt. 822 
cod. civ. 692 e 714 e segg. cod. della navigazione), inequivocabilmente 
risultanti dal contenuto della convenzione e idonee quindi -in quanto 
con la stessa esteriorizzate ed accettate dalla controparte -a connotare 
la causa e la natura del relativo rapporto. 

Le accennate finalit� appaiono evidentemente del tutto trascendenti 
e distinte rispetto a quelle privatistiche eventualmente anche realizzabili 
che secondo la citata prospettazione di Giovanni e Pietro Cravero 
nel ricorso da essi presentato il 30 ottobre 1980 al Presidente del Tribunale 
di Cuneo Sezione Specializzata per le controversie agrarie, configurerebbero 
un rapporto agrario. 

Invece in base ai rilievi che precedono sussistono sicuri elementi 
per escludere la natura privatistica della convenzione -e per fare rite� 
nere che la controversia inerisce a un rapporto di carattere pubblicistico, 
riconducibile per la sua struttura, per il suo contenuto e per le sue 
finalit�, nella categoria delle concessioni amministrative, da devolvere 
alla giurisdizione esdusiva del giudice amministrativo a norma degli 
artt. 5, comma primo, 7 comma secondo e 28 comma secondo e terzo 
della legge 6 dicembre 1971 n. 1034. 

In accoglimento del regolamento deve essere conseguentemente di� 
chiarata la giurisdizione del giudice amministrativo. 


SEZIONE QUARTA 

GIURISPRUDENZA CIVILE 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lav., 5 novembre 1983, n. 6544 -Pres. Fran� 
ceschelli -Rel. D'Alberto -P. M. Gazzara -Corradi Corrado ed altri 
(avv. Nappi e Cerrai) c. Tesoro (avv. Stato Stipo). 

Lavoro . Rapporto . Comando e distacco . Temporaneit� � 1!: requisito � 
Persistenza dell'interesse del distaccante � 1!: sufficiente. 

Lavoro -Rapporto . Trasferimento di azienda � Mancato trasferimento 
di organizzazione aziendale � Prosecuzione del rapporto di lavoro � 
Esclusione � Fattispecie. 

Anche nel rapporto di lavoro privato, come nell'impiego pubblico, 
per configurarsi il comando o distacco non � necessario che la durata 
di esso sia predeterminata, ancorch� caratteristica di detto istituto sia 
la temporaneit�, bens� � sufficiente la sussistenza di un concreto e persistente 
interesse da parte del datore di lavoro distaccante a che non 
si instauri un rapporto diretto tra il lavoratore ed il soggetto che ne 
utilizzi le prestazioni (1). 

Il mancato trasferimento all'Ufficio per l'accertamento e la notifica 
degli sconti farmaceutici (U.A.N.S.F.) della organizzazione aziendale della 
Federazione degli Ordini dei Farmacisti Italiani osta alla configurabilit� 
di una prosecuzione di rapporto di lavoro ai sensi dell'art. 2112 cod. civ., 
ed implica inveoe semplice successione di rapporti diversi a seguito della 
estinzione del primo rapporto per novazione soggettiva (2). 

(omissis) Il ricorso non merita l'accoglimento. 

I primi tre mezzi surriferiti, i quali, involgendo questioni con� 
nesse e/o interdipendenti, possono essere esaminati congiuntamente, sono 
privi di fondamento nei termini di cui si dir�. 

In ordine agli errori di diritto lamentati nel primo e nel secondo 
mezzo, deve rilevarsi, infatti, che il Giudice a quo, giusta le precisazionL 
anticipate nella premessa narrativa, risulta essersi sostanzialmente uniformato, 
nella decisione della causa, all'orientamento giurisprudenziale 
che questa Corte ha espresso in numerose pronunzie e dal quale non 
sussiste valida ragione di discostarsi. 

Nel rapporto di lavoro �privato, come nel pubblico impiego, cio�, 
non � necess�ria la predeterminazione della durata del comando o di


(1-2) Giurisprudenza costante: cfr. Cass., 6 luglio 1982, n. 4017, in questa 
Rassegna, 1982, 940; e .inoltre Cass. SS.UU. 22 novembre 11980, n. 6202; Cass. 
13 maggio 1981, nn. 3150 e 3151; Cass. U agosto 1981, n. 4904; Cass. 7 agosto 1982, 

n. 44315, in Foro lt., 1983, I, 399. 

90 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

stacco, ancorch� requisito proprio di tale istituto sia la temporaneit�, 
potendo l'applicazione del dipendente presso altro imprenditore durare 
finch� duri il corrispondente interesse del datore di lavoro distaccante; 
di guisa che, ai fini della configurabilit� di una situazione di comando 

o distacco � determinante l'esistenza -nel caso di specie, accertata dal 
Giudice a quo e non contestata dai ricorrenti -dell'anzidetto concreto 
e persistente interesse (la cui mancanza o il cui venir meno determina 
l'instaurazione di un rapporto diretto fra il lavoratore distaccato ed il 
terzo che ne utilizza le prestazioni), senza che sia rilevante, di per se 
stessa, la durata, pi� o meno lunga, dell'applicazione del dipendente 
presso il terzo (cfr., fra le altre, le sentenze, 13 maggio 1981, n. 3150; 
6 luglio 1982, n. 4017). 

D'altra parte, ha pi� volte statuito questa Suprema Corte, e va 
ribadito, che, qualora l'Ufficio per l'accertamento e la notifica degli 
sconti farmaceutici assuma direttamente il personale prima alle dipendenze 
della Federazione degli ordini dei farmacisti italiani (F.O.F.I.), ma 
gi� distaccato presso di esso (precedentemente denominato Ufficio fiduciario), 
la circostanza che all'Ufficio pre l'accertamento e la notifica degli 
sconti (U.A.N.S.F.) non sia stata trasferita alcuna organizzazione 

aziendale dell'anzidetta Federazione osta alla configurabilit� di una prosecuzione 
del rapporto di lavoro secondo la disciplina prevista dall'art. 
2112, codice civile, ed implica, invece, una semplice successione 
cronologica di rapporti di lavoro diversi, a seguito dell'estinzione del 
primo rapporto per novazione soggettiva (cfr. le sentenze 22 novembre 
1980, n. 6202; 13 maggio 1981, n. 3151; 7 agosto 1982, n. 4435). 

Alla luce di tali principi appaiono, dunque, inesistenti gli errori di 
diritto denunciati dai ricorrenti, onde la motivazione della sentenza del 
Tribunale -integrata, per quanto occorra, a norma dell'art. 384, secondo 
comma, c.p.c., con l'esplicito richiamo ai principi medesimi deve 
ritenersi ovviamente immune dall'errore di attivit� ascritto al predetto 
Giudice di appello con il terzo mezzo dell'impugnazione. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lav., 2 dicembre 1983, n. 7220 -Pres. Bonelli 
-Est. Farinaro -P. M. Valente (concl. conf.) . Amm.ne dell'Interno 
(avv. Stato Salimei) c. Borri Luciana (avv. F. Agostini). 

Assistenza e beneficenza pubblica -Invalido civile -Assegno o pensione Diritto 
� Decorrenza � Dall'accertamento dello stato di bisogno e non 
da quello della invalidit� � Fattispecie. 
(art. 11 I. 6 agosto 1966, n. 625; art. 5 1. 13 ottobre 1969, n. 743). 

Il diritto dell'invalido civile all'assegno o pensione dipende tanto dall'accertamento 
della invalidit� che da quello della sussistenza dello stato 

i. 
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PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 91 

di bisogno e tali elementi, essendo entrambi necessari, hanno natura 
costitutiva; pertanto, sorgendo detto diritto solo con il compimento dell'ultimo 
atto del procedimento, esso non viene ad esistenza ove nel corso 
dell'iter l'avente diritto sia deceduto, a nulla rilevando che gli effetti 
economici retroagiscano, per espressa disposizione di legge, al primo 
giorno del mese successivo all'accertamento della invalidit�, per cui il 
detto diritto, non essendo entrato nel patrimonio del de cuius, non � 
trasmissibile agli eredi (1). 

(omissis) Si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 11, ultimo 
comma della legge 6 agosto 1966 n. 625, come modificato dall'art. 5 
legge 13 ottobre 1969, n. 743 e del terzo comma di quest'ultimo articolo 
e si lamenta che la Corte abbia erroneamente ritenuto costitutivo l'ac 
certamento dell'invalidit� lavorativa, anzich� la decisione del Comitato 
Provinciale di beneficenza ed assistenza che coll'accertamento anche dello 
stato di bisogno delibera la concessione dell'assegno (sia pure con effetto 
dal primo accertamento), al quale deve collegarsi il diritto dell'erede 
del beneficiario a percepire le quote maturate. 

Il motivo � fondato. 

Invero, 1a fattispecie produttiva del diritto de quo, ricavabile dalla 
disciplina concreta (legge 6 agosto 1966, n. 625, art. 8), evidenzia come 
essenziali, oltre gli elementi ovvi della presentazione della domanda e 
della documentazione relativa, l'accertamento sia della invalidit� da 
parte della Commissione Prov. (art. 8) che dello stato di bisogno, entrambi 
di natura costitutiva, in rapporto di assoluta interdipendenza, 
in modo che mancando l'uno non sarebbe producente la presenza dell'altro, 
e l'autorizzazione della concessione dell'assegno di assistenza previa 
valutazione dello stato di bisogno ad opera del Comitato Prov. (art. 5). 
Soltanto tale atto principale, conclusivo del procedimento, attribuisce 
palesemente il diritto all'assegno, anche se gli effetti retroagiscono per 
espressa disposizione dell'art. 11, terzo comma della legge suddetta, dal 
primo giorno del mese successivo all'accertamento del-l'invalidit� lavorativa 
permanente. 

Nella specie la procedura si era conclusa negativamente, in quanto 
nelle more era deceduta l'assistibile Verpelli. 

(1) Non constano precedenti dn termini; la sentenza della Corte App. Roma 
7 dicembre 1978, cassata con la presente decisione, pu� leggersi in Riv. Giur. 
Lav., 1978, III, 492. 
Con parere della I Sez., 25 gennaio 1974 n. 3797 (in Cons. St., 11975, I, 58), il 
Consiglio dd Stato ebbe !invece a ritenere la natura meramente dichiarativa della 
delibera sulla sussistenza deUo stato di bisogno, con conseguente diritto degli 
eredi all'assegno in caso di morte del dante causa anteriore a detta delibera 
ma successiva al riconoscimento della inabilit�. 



92 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

In tale situazione un diritto degli eredi sulla procedura non sussiste, 
essendo escluso testualmente dall'art. 11, ultimo comma della 
legge che recita � In caso di decesso dell'interessato, successivo al riconoscimento 
dell'invalidit�, l'assegno non pu� essere corrisposto agli 
eredi �. E la disposizione � palesemente legata alla natura strettamente 
assistenziale dell'assegno, la cui disciplina � interamente disponibile per 
il Legislatore. 

Sotto tali presupposti la � novella � di cui all'art. 5 della legge 

n. 743/69, che aggiunge al suddetto ultimo comma dell'art. 11 l'espressione 
�salvo il diritto di questi a percepire le quote gi� maturate�, 
non ha inteso incidere sulla struttura del diritto personale all'assistenza 
dell'interessato, come sopra disegnato e delimitato. 
L'espressione disciplina, invece, soltanto la sorte prima dubbia delle 
� quote gi� maturate � dell'assegno, ove riconosciuto con l'atto definitivo 
del Comitato di assistenza e beneficenza, al quale � devoluto il compito 
non solo di autorizzare la concessione dell'assegno, ma anche la valutazione 
dello stato di bisogno, quaie elemento costitutivo (art. 5). 

(omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lav., 14 dicembre 1983, n. 7374 -Pres. 
Dondona -Rel. Bianchi -P. M. Dettori (conci. conf.) -Ministero della 
Sanit� (avv. Stato Azzariti) c. Paone Raffaele (avv. A. Sandulli). 

Procedimento civile -Notificazione -Incertezza assoluta sulla data Errore 
materiale riconoscibile � Nullit� � Non sussiste. 
(art. 160 e.p.e.). 

Obbligazioni -Prestazione d'opera intellettuale � Compenso -Liquidazione � 
Criteri. . 
(artt. 2233 e.e.; art. 30 d.m. 4 giugno 1968). 

Procedimento civile � Spese processuali � Compensazione � Questione di 
merito � � Insindacabilit� in cassazione. 
(art. 92 e.p.e.). 

Non sussiste nullit� della notificazione ex art. 160 cod. proc. civ. 

qualora l'incertezza sulla data della stessa non sia assoluta, ma la data 

sia altrimenti individuabile dal contenuto dell'atto, come nel caso dt 

mero errore materiale riconoscibile (1). 

L'art. 2233 cod. civ. pone una gerarchia di carattere preferenziale 

riguardo ai criteri di liquidazione del compenso per prestazione d'opera 

(,1) Giurisprudenza pacifica: cfr. da ultimo Cass. 22 lugilio 1976 n. 2893 (>in 
Giust. civ., Rep. 01976, voce �notificazione civile�, n. 58). 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA 'c1vILE 93 

intellettuale, indicando, in primo luogo, la pattuizione delle parti, in 
difetto, le tariffe o gli usi e, in estremo subordine, rimettendone la de� 
terminazione al giudice, previo parere non vincolante dell'associazione 
professionale (2). 

La compensazione totale o parziale delle ~pese di giudizio � rimessa 
all'apprezzamento del giudice del merito insindacabile in cassazione (3). 

(omissis) Con il secondo motivo il Ministero ricorrente -denunziando 
omessa o, quanto meno, insufficiente motivazione su un punto 
decisivo della controversia, nonch� violazione e falsa applicazione degli 
artt. 4 del t.u. 27 luglio 1934, n. 1265, 1 lett. b) del d.P.R. 11 febbraio 1961, 

n. 264 e 12 della legge 21 febbraio 1963, n. 244 -sostiene che la Corte 
napoletana non ha sufficientemente chiarito le ragioni in base alle quali 
dovevano essere applicate le tariffe professionali approvate dal veterinario 
provinciale, n� considerato che, dal punto di vista soggettivo, 
gli onorari previsti da tali tariffe possono essere pretesi soltanto dai 
� possessori di bestiame � che, essendo abbienti, non sono inclusi negli 
elenchi degli aventi diritto all'assistenza zooiatrica gratuita (mentre 
lo Stato, quando imposta e realizza i piani nazionali e provinciali di 
profilassi e risanamento degli allevamenti, non � un �possessore di bestiame
�) e che, dal punto di vista soggettivo, le prestazioni cui si riferiscono 
le tariffe professionali rese dal veterinario in adempimento di 
individuati ed occasionali rapporti stabiliti di volta in volta con i pri� 
vati, su richiesta di questi ultimi ed in relazione a singoli capi di bestiame, 
sono certamente ben diverse, sotto il profilo del tempo e dell'impegno 
professionale, da quelle previste dai piani di risanamento 
(2) L'art. 2233, 1� comma, e.e. � stato riconosciuto non contrastante con gli 
:artt. 3, 1� comma, 24, 2� comma, .e >101, 2� comma, Cost. con sentenza 13 feb� 
braio 1974 n. 32 della Corte Costituzionale. Con sentenza 4 gennaio 1977 n. 11 
(in Giust. civ., !Mass. 1977, n. 6) la :S.C. ha affermato che ben possono le parti 
derogare al minimo tariff�ario, essendo le tariffe professionali fonte sussidiaria 
e suppletiva; tale principio pu� essere posto nel nulla solo da altra norma 
avente forza di legge e non da norma regolamentare, che � priva di identico 
valore normativo (conf. Cass. 29 ottobre 1975 n. 3660). In base ai principi con� 
tenuti nell'art. 2233 e.e. Cass. 14 gennaio 1977, n. 180 ha altres� rilevato come, 
ove il compenso possa essere determinato secondo tariffa, esattamente il giiu� 
dice ignora l'eventuale parere difforme reso dall'ordine professionale; conf. ,altres� 
Cass. 27 genenaio 1982 n. 530. 
(3) Il principio, affermato da giurisprudenza costante, secondo il quale 
solo 1a parte totalmente vittoriosa non pu� essere condannata al pagamento 
delle spese, mentre la compensazione totale o parziale di esse rientra nei poteri 
discrezionali del giudice di merito, insindacabili in sede di legittimit� se l'uso 
di essi non si fondi su affermazioni erronee o illogiche, � stato di recente riba� 
dito da Cass. U gennaio 1198.2 n. 115; Cass. 6 febbraio 1982 n. 716; Oass. 16 feb� 
braio 1982 n. 964. 

94 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

consistenti in interventi c.d. � a tappeto � su interi allevamenti di bestiame. 


Il motivo non merita di essere accolto. 

Invero, sul preteso vizio di motivazione, � da rilevare che la tesi 
di cui sopra � stata dedotta per la prima volta in questa sede, onde 
non poteva essere presa in considerazione della Corte del merito. D'altronde, 
� ormai ius receptum che, per adempiere all'obbligo della motivazione, 
il giudice non deve necessariamente enunciare e sottoporre 
a critica ogni argomento difensivo, essendo sufficiente che siano esposte 
le ragioni sulle quali la decisione si fonda. 

Circa l'altro aspetto della censura, va ricordato che, ai sensi dell'art. 
2233, cod. civ., il compenso del libero professionista, � se non � convenuto 
dalle parti e non pu� essere determinato secondo le tariffe e gli 
usi, � determinato dal giudice, sentito il parere dell'associazione professionale 
�. 

La disposizione pone chiaramente una gerarchia di carattere preferenziale 
tra i vari criteri di liquidazione del compenso per le prestazioni 
di opera intellettuale: a) in primo luogo, la convenzione che sia 
intervenuta in proposito tra le parti; b) in mancanza di convenzione, 
le tariffe o gli usi; e) ove manchino anche le tariffe e gli usi, la determinazione 
del giudice, il quale deve sentire il parere dell'associazione 
professionale che peraltro, non � vincolante (v. Cass. n. 1903 del 1979). 

Ora, alla stregua di tale norma, essendosi escluso che l'attivit� in 
questione rientri tra i compiti di istituto del veterinario condotto o 
fra quelli di ufficiale governativo, non v'� dubbio che il compenso spettante 
al Paone doveva essere stabilito sulla base delle tariffe professionali, 
indipendentemente dalla circostanza che il rapporto di clientela intercorresse 
con lo Stato, come pure � certo che il compenso medesimo non 
poteva essere determinat@ direttamente dal giudice, con riferimento ai 
criteri oggettivo e soggettivo indicati nel secondo comma dell'art. 2233 
codice civile. 

Con il terzo ed il quarto motivo, che conviene esaminare congiun� 
tamente, il Ministero ricorrente, deducendo l'omessa motivazione circa 
un punto decisivo della controversia e la violazione di norme di diritto, 
sostiene: a) che, avendo il Paone eseguito le operazioni in oggetto, in 
tale esecuzione doveva ravvisarsi l'accettazione del compenso fissato con 
l'art. 30 del decreto ministeriale n. 1039 del 1968; b) e che, contrariamente 
a quanto si afferma nella sentenza impugnata, le tariffe dei veterinari 
non sono inderogabili. 

Entrambi i motivi sono privi di consistenza. 

La Corte di appello ha osservato che il Paone non avrebbe potuto 
sottrarsi ad libitum alle prestazioni di cui si discute, � dato il carattere 
autoritario dell'imposizione� ed ha ritenuto che �l'ottemperanza ad un !, 

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PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

atto obbligatorio non poteva servire di per s� a significare accettazione 

-0 rinuncia a far valere nelle sedi competenti i propri diritti �. 

Orbene, tale motivazione, relativa ad una quaestio facti, che si 

risolve in una interpretazione della volont� delle parti, � incensurabile 

in questa sede di legittimit�, in quanto, pur nella sua concisione, appare 

congrua ed immune da vizi logici e giuridici. 

Quanto all'inderogabilit� delle tariffe professionali per i sanitari, va 

poi osservato che la relativa affermazione, contenuta nella sentenza im


pugnata, � servita ai giudici di appello per ribadire che non vi era stata 

accettazione, da parte del Paone, dei compensi stabiliti nell'art. 30 del 

ripetuto decreto ministeriale e non pu� quindi considerarsi, dato il suo 

�carattere marginale, come un vizio della decisione. Del resto, � da rile


vare che pu� farsi questione di inderogabilit� o meno delle tariffe solo 

nell'ipotesi di onorari pattuiti dalle parti e di nullit� dell'accordo per 

contrasto con norme imperative, come quelle che stabiliscono minimi 

di tariffa inderogabili; ipotesi che nella specie non ricorre. 

Il ricorso principale dev'essere perci� rigettato. 

Con l'unico motivo del ricorso incidentale il Paone si duole della 

disposta compensazione delle spese processuali, adducendo che l'osti


nata contestazione dei suoi diritti anche dopo il regolamento preven


tivo di giurisdizione (che aveva rimosso i dubbi fino allora possibili 

drca l'inerenza delle prestazioni al rapporto di impiego di esso Paone e 

drca la sussistenza di un potere ministeriale di tariffazione) non poteva 

non comportare la condanna del Ministero a rifondergli le spese del 

lungo e costoso giudizio. 

La doglianza � infondata, poich�, come questa Corte ha ripetutamente 
precisato, la compensazione totale e parziale � rimessa al pru� 
dente apprezzamento del giudice di merito e la relativa statuizione � 
incensurabile in cassazione alla sola condizione che la condanna non 
venga addossata alla parte completamente vittoriosa (cfr. Cass. n. 1339 
del 1981). 

Anche il ricorso incidentale va quindi rigettato. 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I civ., 15 dicembre 1983, n. 7398 -Pres. Falcone 
-Est. Bologna -P. M. Ferraiuolo (conci. conf.) -Bellco S.p.A. 
(avv. D'Ottavi e Vanzetti) c. Ministero Industria, Commercio e artigianato 
(avv. Stato Fienga). 

Impresa -Brevetti -Invenzioni industriali -Brevetti e modelli di utilit� 
Alternativit� -Protezione cumulativa -Esclusione. 

(artt. 4 e 14 r.d. 25 agosto 1940, n. 1411). 

La qualificazione di un ritrovato come invenzione industriale esclude 
che lo stesso possa essere qualificato come modello di utilit� e vice



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

96 

versa; onde una domanda di brevetto o due domande di identico contenuto 
non possono realizzare una duplice e cumulativa protezione sotto 
i profili sia dell'invenzione che del modello, ma solo una brevettazione 
alternativa (1). 

(omissis) Con il ricorso la Soc. Bellco deduce che: a) nell'ordina� 
mento positivo non esiste il principio che per il medesimo ritrovato non 
sia legittimo chiedere la duplice brevettazione delle invenzioni e dei 
modelli di utilit�; b) nella specie, tuttavia, si trattava non di unico 
ritrovato, ma di due ritrovati che si esprimevano in un oggetto unico, 
e la questione non � stata nemmeno esaminata dalla Commissione dei 
ricorsi; c) la prevista possibilit� di richiedere un modello eventuale 
in presenza di una parziale brevettabilit� come invenzione del medesimo 
ritrovato consente di ammettere una protezione cumulativa; d) la 
doppia tutela deve ammettersi quando la formulazione delle domande e 
la descrizione dei ritrovati sia tale da consentire la individuazione di 
due ritrovati; e) in tal senso � la convenzione europea sui brevetti di 
invenzione ratificata in Italia con legge del 28 maggio 1978, n. 260, cui 
si � ispirata la nuova legge italiana introdotta con d.P.R. 22 giugno 1979. 

n. 338. 
La censura � infondata in tutti i suoi elementi e connessioni. Si 
deve premettere che costituisce presupposto di fatto dell'intera controversia, 
ed in particolare dell'impugnata decisione della commissione dei 
Brevetti, il punto che le due domande di brevetto (per invenzione industriale 
e per modello di utilit�) presentate dalla Soc. Bellco riguardavano 
il medesimo ritrovato e si sorreggevano sulla medesima descrizione, 
elemento quest'ultimo essenziale al fine di individuare l'oggetto 
del ritrovato (art. 28 r.d. 29 giugno 1939, n. 1127; art. S r.d. S febbraio 
1940, n. 244; art. 1 r.d. 25 agosto 1940, n, 1411). 

Sub a) e e) la decisione impugnata ha correttamente ritenuto che 
le invenzioni industriali ed i modelli di utilit� sono fattispecie normative 
distinte, che la qualificazione di un ritrovato come invenzione industriale 
esclude che lo stesso possa essere qualificato come modello di 
utilit�, che una domanda di brevetto o due domande, con identico contenuto 
non possono realizzare una duplice e pertanto cumulativa protezione 
sotto i profili dell'invenzione e del modello. 

(1) Sulla questione che ha formato oggetto della deciS1ione in ras�segna e 
pi� in generale sulla problematica dell'�alternati.vit� tra �invell7Jione e modello di 
utilit� s,j veda SPOLIDORO, Domanda alternativa di brevetto per invenzione e per 
modello di utilit�, dn Riv. trim. dir. proc. civ., 1981, :1081 ss. (ed ivi ulteriori ampi 
riagguagli di dottrina e giU!risprudenza). 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

In tal senso dispongono gli artt. 4 e 14 del r.d. 25 agosto 1940, n. 1411. 

Ai sensi del citato art. 4 � consentito presentare contemporanea


mente due domande di brevetto, una per invenzione industriale, l'altra 

per modello di utilit�, quest'ultima �da valere sul caso che la prima 

non sia accolta o sia accolta solo in parte � nei limiti del mancato 

accoglimento; � chiaro pertanto che la norma sancisce soltanto una 

brevettazione alternativa (invenzione o modello) per il medesimo ritro


vato, ed allo scopo consente all'Ufficio l'esame congiunto della domanda 

e l'individuazione del brevetto concedibile in presenza delle condizioni 

legali relative all'ambito complessivo delle invenzioni e dei modelli. 

Il successivo art. 14 (disposizione transitoria) prevede una alterna


tivit� ex officio nella ipotesi in cui la domanda di brevetto per inven


zione industriale non sia stata accolta e che il ritrovato descritto abbia 

i caratteri del modello di utilit�; in detta ipotesi pu� essere concesso 

il brevetto per modello .con decorrenza dalla data di deposito della 

domanda per invenzione. 

L'ipotesi di modello eventuale in presenza di una parziale brevetta


bilit� come invenzione (ipotesi sollevata dalla ricorrente) conferma che 

la protezione brevettuale �non � mai consentita a titolo congiunto (inven


zione e modello), riguardando l'eventualit� quella parte del ritrovato 

rimasto scoperto da tutela; nella specie, invece, la domanda di brevetto 

per invenzione era stata integralmente accolta. 

Sub b) e d), si osserva che la tesi della ricorrente circa la coesistenza 
di due diversi ritrovati nel medesimo oggetto, che ha fo:rmato 
oggetto di descrizione in sede di presentazione della domanda di brevetto, 
propone una situazione di fatto ed una valutazione della medesima, 
diverse da quelle prospettate in sede amministrativa e tenute presenti 
dalla Commissione. Quest'ultima, come risulta dai rilievi sopra pre. 
cisati, ha individuato un unico ritrovato, che aveva formato oggetto 
di due distinte domande, aventi identico contenuto e descrizione (deflussore 
per soluzioni iniettabili da somministrare particolarmente per 
uso endovenosa, emodialisi e simili) ma dirette ad ottenere una duplice 

protezione del medesimo ritrovato. 

Pertanto la tesi suddetta resta estranea al tema del dibattito nel 

presente giudizio. 

Sub e) si rileva che il riferimento di diritto comparato alla legge 

tedesca in tema di brevetti per invenzioni e modelli e di duplice tutela 

per gli aspetti distinti del medesimo ritrovato, alla quale legge si 

sarebbe ispirato il d.P.R. 22 giugno 1979, n. 338, si presenta irrilevante 

sotto un duplice profilo. 

In primo luogo la tutela duplice, secondo la tesi stessa della ricor


rente, presuppone l'esistenza di profili diversi nel medesimo ritrovato 

e la loro riconducibilit� alle diverse fattispecie delle invenzioni e dei 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

98 

modelli; situazione questa estranea (per le ragioni esposte) alla presente 
controversia. In secondo luogo il citato d.P.R. non trova applicazione 
retroattiva ai brevetti gi� concessi (art. 81 e segg.). (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I civ., 15 dicembre 1983, n. 7409 -Pres. 
Mazzacane -Est. Lipari -P. M. Cantagalli (concl. parz. diff.) -Novello 
Antonio (avv. Scazzocchio e Serrentino) c. Ministero dell'Industria 
e Commercio (avv. Stato Fienga). 

Sanzioni amministrative -Depenalizzazione -Giudizi di opposizione ad 
ingiunzione -Pendenza prima della legge n. 689 del 1981 -Normativa 
anteriore � Applicabilit�. 

(artt. 12, 40 e 43 I. 24 novembre 1981, n. 689). 

Procedimento civile -Doppio grado di merito -Tutela costituzionale Esclusione. 


(artt. 111, 113 e 125 Cost.; art. 9 I. 3 maggio 1967, n. 317; art. 23 I. 24 novembre 1981, 

n. 689). 
Sanzioni amministrative -Depenalizzazione -Giudizio di opposizione ad 
ingiunzione � Natura -Poteri del giudice -Limiti generali della legge 
abolitiva del contenzioso � Applicabilit�. 

(art. 9 I. 3 maggio 1967, n. 317; art. 4 I. 20 marzo 1865, n. 2248, al!. E). 

Procedimento civile -Rappresentanza in giudizio della P.A. -Funzionari 
incaricati -Onorari di avvocato e competenze procuratorie -Spettanza 
� Esclusione. 

(art. 91 cod. proc. civ.; art. 3 r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611). 

In tema di giudizi di opposizione ad ordinanze-ingiunzioni di pagamento 
per infrazioni amministrative gi� depenalizzate, pend.enti alla 
data di entrata in vigore della legge 24 novembre 1981, n. 689, che ha 
rielaborato funditus l'intera materia, deve ritenersi vigente il principio 
tempus regit actum, per cui il potere processuale gi� esercitato resta 
disciplinato dalla legge vigente all'epoca dell'esercizio e deve essere valutato, 
per giudicarne la validit� originaria, alla stregua delle norme 
allora vigenti (1). 

L'istituto del doppio grado della cognizione di merito non ha rilevanza 
e non gode di tutela costituzionale fatta eccezione per la giurisdizione 
amministrativa (2). 

(1) Cfr. Cass. 4 novembre 1982, n. 5785 (in Giust. civ., '1983, I, 76); Cass. 28 gennaio 
1983 n. 773 (in Foro It. 1983, c. 1149). 
(2) Giurisprudenza pacifica; cfr. Corte Costituzdonale, 1� febbraio 1982, n. 8 
{in Foro lt., 1982, I, 329); idem 15 1aprile 1981, n. 62 (ibidem, 1981, I, 1497); idem, 
10 luglio 11973 n. 117 (ibidem, 1973, I, 2682). 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 99 

L'azione di opposizione all'ordinanza-ingiunzione di pagamento esperibile 
dall'autore dell'illecito amministrativo depenalizzato va qualificata 
come azione di accertamento negativo della legittimit� del provvedimento 
impugnato, alla quale trova applicazione la regola generale dettata 
dall'art. 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248 all. E, onde spetta 
al Pretore il potere di dichiarare illegittimo l'atto amministrativo e di 
disapplicarlo, ma non pure il potere di annullarlo, revocarlo o modificarlo 
(3). 

Ai funzionari delle Amministrazioni dello Stato incaricati, d'intesa 
con l'Avvoca.tura dello Stato ai sensi dell'art. 3 del r.d. 30 ottobre 1933, 

n. 1611, della rappresentanza delle rispettive Amministrazioni innanzi 
alle Preture e agli Uffici di conciliazione non spettano onorari di avvocato 
n� competenze di procuratore per le prestazioni giudiziali in materia 
civile od equiparata n� a carico della parte soccombente n� a carico 
dell'Amministrazione rappresentata 14). 
(omissis) Si tratta di opposizione ad ordinanza ingiunzione con la 
quale � stata determinata la sanzione per illecito amministrativo addebitato 
al ricorrente che avrebbe violato le prescrizioni sul commercio 
di cui alla legge 11 giugno 1971, n. 426 (art. 24) esponendo in vendita 
opere di pittura senza autorizzazione amministrativa (comportamento 
originariamente sanzionato penalmente, e quindi depenalizzato, ai sensi 
della 1. n. 706 del 1975). 

Come � noto la materia delle sanzioni amministrative � stata rielaborata 
funditus dalla I. 24 novembre 1981, n. 689, che al Capo 1� ne detta 
sistematicamente la ~isdplina. 

Il primo problema che si pone, consiste, pertanto, nello stabilire 
quale sia il dato normativo di riscontro per la valutazione della pre� 
sente impugnazione (proposta anteriormente all'entrata in vigore della 
suddetta I. n. 689). 

Al riguavdo la giurisprudenza di questa Corte ha gi� espresso un 
orientamento univoco (per la cui ricognizione e puntualizzazione cfr. 
da ultimo Cass. 6319/1983) che muove dalla distinzione della sfera d'applicabilit� 
dello ius superveniens per quanto riguarda i profili proces: 
suali, in �relazione ai giudizi gi� pendenti, in sede civile, al momento della 

(3) Gilll'isprudenza prevalente: cfr., da ultimo, Cass. 18 maggio �1983,' n. 3434 
(in Foro It., Mass. �1983, c. 713). 
( 4) Non si rinvengono precedenti. dn termini; sulla non necessariet� . di 
un formale atto di designazione da parte dell'Avvocatura del fumfonario amministrativo, 
che rappresenta ['Ammdnistrazione nei giudi:li� pretorili e dri conciliazione 
ai sensd dell"art. 3 del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, cfr. Cass. 22 gennaio 
1980 n. 485 (in Rass. Avv. Stato, 1980, I, 334, con nota di S. LAPORTA). 
8 



100 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

entrata in vigore della 1. n. 689 cit. (operando in proposito i princ�pi 
generali, senza necessit� di disposizioni transitorie ad hoc) dal proprium 
delle disposizioni transitorie espressamente dettate in relazione alla circostanza 
che la generalizzata depenalizzazione non si risolve ed esaurisce 
nella abolitio criminis pura e semplice (che avrebbe posto problemi risolvibili 
ai sensi dell'art. 2 cod. pen.); n� comporta, per volont� del 
legislatore la traslatio iudicii davanti al giudice civile dei processi penali 
pendenti. Ne consegue che il potere processuale, gi� esercitato nelle precedenti 
fasi del giudizio, alla stregua del principio t.empus regit actum, 

resta disciplinato dalla legge vigente all'epoca -dell'esercizio, e deve 
essere valutato, per giudicarne la validit� originaria, alla stregua delle 
norme allora vigenti (cfr. Cass. 5785/82, 5945/82, 6824/82, 773/83). La portata 
della norma transitoria dell'art..40 della 1. n. 689, resta, quindi, 
circoscritta alle sole ipotesi della trasformazione, per effetto della suddetta 
legge, e quindi per la prima volta, degli illeciti penali in illeciti 
amministrativi; mentre l'art. 12 della medesima 1. n. 689, nel discipli


narne l'ambito di applicazione generalizzato, non ne prevede, in prin


cipio, l'efficacia retroattiva, ma consente che il processo di opposizione 

si svolga, a partire dalla sua entrata in vigore (regolata dall'art. 43 con 

vacatio legis di 180 giorni), giusta la nuova -disciplina. 

Per stabilire la ritualit� degli atti compiuti prima che la legge n. 689 
del 1981 entrasse in vigore occorre, dunque, avere �riguardo alle leggi 
del tempo del loro compimento e cio�, per quel che attiene all'illecito in 
esame, alla 1. n. 706 del 1975, che, a sua volta, richiama la 1. n. 317 
del 1967. 

La disciplina sostantiva dell'accertamento dell'illecito, qualificato 
dalla legge come amministrativo, in forza della cit. 1. n. 706 del 1975, al 
momento dell'accadimento dei fatti che lo integravano, e quella processuale 
della relativa ordinanza ingiunzione, trovano nella legge n. 317 del 
1967, ed in quella n. 706 del 1975, la esclusiva fonte normativa. Notazione 
questa che porta a riconoscere la ricorribilit� per cassazione contro la 
sentenza del Pretore non gi� in forza della statuizione espressa dell'ultimo 
comma dell'art. 23 della legge n. 689 (�La sentenza � inappellabile, 
ma ricorribile per cassazione�), sibbene alla stregua dei principi generali 
che disciplinano la ricorribilit� ex art. 111 Cost. in relazione alla statuizione 
dell'art. 9 della 1. n. 317 che parla di �inappellabilit��, ma non 
anche di ricorribilit�, in tal senso essendosi espressa univocamente la 
giurisprudenza di questa Suprema Corte, come emerge da tutte le sentenze 
che hanno conosciuto di ricorsi proposti avverso le decisioni pretorili 
in tema di opposizioni contro le ordinanze ingiunzione (per il 
riconoscimento espresso della ricorribilit� in cassazione, ex art. 111 Cost. 
cfr., comunque, Cass. 2088/72, 2747/73, 3884/75, 1217/77, 6385/80, 4408/83). 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

3. -In effetti della ammissibilit� del ricorso per cassazione non 
si dubita, n� da parte del ricorrente, n� da parte dell'Avvocatura dello 
Stato; anzi tale ricorribilit�, quale esclusivo rimedio esperibile contro 
la sentenza pretorile emessa in sede di opposizione all'esecuzione, trovando 
il suo fondamento giuridico nel riconoscimento della inappellabilit� 
della sentenza, offre rii destro al ricorrente, per lamentare la 
insufficienza della tutela giurisdizionale apprestata dall'ordinamento allo 
autore dell'illecito amministrativo, privato deWappello, espressamente 
escluso dall'art. 9 della I. 3 maggio 1967, n. 317 (norma applicabile alla 
specie), nonch� dallo stesso art. 23 ultimo comma della 1. n. 689 del 1981. 
Da ci� la prospettazione della questione di legittimit� costituzionale, 
contenuta nel primo mezzo, relativa all'art. 9, ultimo comma della 

1. n. 317 del 1967, in relazione all'art. 113 Cost. Si osserva al riguardo 
che la privazione della possibilit� della revisio prioris istantiae, circoscrive 
la tutela che, per quanto attiene al riesame del merito, non potrebbe 
svolgersi con pienezza, mentre l'art. 113 Cost. assicurerebbe a tutti, e 
sempre, la tutela giurisdizionale che non potrebbe essere, pertanto, 
limitata a particolari mezzi di' impugnazione. 
La questione � proponibile e rilevante, ma risulta ictu oculi manife� 
stamente fondata. 

Sussiste il requisito della ,incidentalit� dal momento che il presente 
ricorso per cassazione non si esaurisce nella astratta ed ipotetica censura 
della incompatibilit� delle norme che disciplinano il sistema delle impu� 
gnazioni avverso l'ordinanza ingiunzione, negando l'appellabilit�, ma � 
diretto ad assicurare all'autore dell'illecito, assoggettato alla sanzione 
amministrativa, oltre al controllo di legittimit�, la garanzia del riesame 
del merito, che potrebbe essere esercitato solo mediante l'appello, donde 
la evidente strumentalit� della prospettazione diretta a rimuovere la 
statuizione di �inappellabilit�� sancita dalla norma impugnata. 

N� varrebbe obiettare che la pi� conveniente strada da percorrere 
sarebbe stata, per l'ingiunto, quella di investire il giudice di appello della 
questione, per ottenere, a seguito dell'eventuale pronuncia di incostituzionalit� 
della norma preclusiva di detta impugnazione, lo svolgimento 
del processo davanti al predetto giudice di secondo grado. 

Non dubita il Collegio che una esatta e producente impostazione de] 
problema avrebbe dovuto suggerire all'opponente, rimasto soccombente 
,in primo grado, di presentare appello contestualmente alla proposizione 
della questione di costituzionalit�, strumentalmente diretta alla rimozione 
dell'ostacolo rappresentato dalla norma, asseritamente incostituzionale, 
che lo vieta, in funzione dell'interesse al riesame delle ragioni disattese 
in primo grado. Ma poich� l'incidente di costituzionalit� non � governato 
solo dall'interesse della parte, ma pu� essere sollevato anche d'ufficio 
dal giudice, il profilo oggettivo dell'incompatibilit� della norma che questi 


RASSEGNA DEIJ..'AVVOCATURA DELLO STATO

102 

deve applicare con princ�pi costituzionali viene necessariamente ad assumere 
posizione di preminenza nonostante la inavveduta prospettazione 
della parte la quale non si � accorta che se effettivamente la sua proposta 
di investire la Corte costituzionale della qu_estione fosse stata accolta, e la 
Corte stessa avesse riconosciuto l'incostituzionalit� della norma che san� 
cisce l'inappellabilit�, l'effetto di tale pronuncia nel giudizio a quo non 
sarebbe stato il trasferimento del processo con correlativa riapertura 
dei termini davanti al giudice di secondo grado, ma la privazione di 
competenza funzionale di questa Corte, che non potrebbe pi� giudicare ex 
art. 111 Cost. sul ricorso, e dovrebbe dichiarare inammissibile il gravame 
non intermediato dalla pronuncia di secondo grado (divenuto esperibile) 
profilo questo che giustifica, in punto di rilevanza, l'esame ex officio 
della questione nonostante la carenza di interesse del ricorrente a far 
dichiarare, strumentalmente alla pronuncia della Corte cost., l'inammissibilit� 
del proposto ricorso, restando coperta tale carenza di interesse 

dall'officium iudicis. 

Della costituzionalit� della norma che, statuendo l'inappellabilit� le 
ha consentito di adire la Cassazionee ex art. 111 Cost. (trattandosi di 
provvedimento definitivo, che sicuramente incide su diritti soggettivi) 
dubita la parte, la quale, se avesse adito il giudice d'appello, contestando 
la inappellabilit� della sentenza emessa ex art. 9 della 1. n. 317 del 1967, 
avrebbe corso il rischio della consumazione del potere processuale in caso 
di riconosciuta infondatezza della questione. 

Adottando la soluzione del ricorso per Cassazione il Novello si assicura, 
invece, un minimum di tutela, sia pure nei limiti consentiti dal 
giudizio di legittimit�; ma si preclude ogni possibilit� di usufruire deilo 
appello 'ammesso, e non concesso, che il dubbio dovesse' risultare fondato: 
comportando, addirittura, una pronuncia siffatta la impraticabilit� del 
rimedio prescelto; sicch� la sua richiesta risulta paradossalmente �suicida 
�; e in definitiva la pronuncia di manifesta infondatezza gli giova, 
nella misura in cui, alla pari della eventuale pronuncia di infondatezza 
della stessa Corte cost. ratifica (quantomeno) la ricorribilit� in Cassazione. 

Indubbiamente la norma sulla inappellabilit� � rilevante in sede di 

ricorso per cassazione ex art. 111, Cost., la cui ammissibilit� verrebbe meno 

(come si � gi� osservato) se il divieto di appello dovesse cadere, il che 

basta per ritenere ex art. 23, legge� n. 87 del 1953, la sussistenza della 

rilevanza del sollevato dubbio. 

Per buona sorte del ricorrente, peraltro, poich� la prospettazione 

della questione di legittimit� costituzionale davanti a questa Corte � 

svincolata dai condizionamenti tipici del motivo in senso tecnico, non 

potendosi invocare in proposito la categoria dell'� interesse� al motivo 

di ricorso, la questione, esaminata alla stregua dei poteri d'ufficio del 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

Collegio, risulta priva della bench� minima plausibilit�, essendo il sistema 
del doppio grado di giurisdizione nel campo processuale (civile e penale) 
privo di copertura costituzionale. 

4. -Passando alla delibazione della � non manifesta infondatezza � 
della questione, osserva il Collegio che non sussistono con sicurezza gli 
estremi di sia pur limitata controvertibilit�, richiesti dal sistema per 
investire la Corte, e che al contrario, il doppio grado di giurisdizione, 
nel processo civile non gode di tutela costituzionale. 
Per giurisprudenza costante della Corte costituzionale (cfr. da ultimo 
le sentenze nn. 8 del 1982 e 62 del 1981), l'istituto del doppio grado della 
cognizione di merito non ha rilevanza costituzionale, fatta eccezione 
(giusta la recente precisazione di cui alla cit. sentenza n. 8/82) per la 
giurisdizione amministrativa. 

Questo consolidato orientamento della Corte costituzionale affonda 
le sue radici sulle ,acquisizioni della pi� aut�revole dottrina, ratificate 
da questa Corte di cassazione, circa la portata ed il significato del 
principio del doppio gra~lo di giurisdizione che consiste nella sottoponibilit� 
del medesimo thema decidendum al libero e successivo esame 
di due giudici di grado diverso, dei quali il secondo ricopre, di norma, 
un � grado superiore � al primo. Ci� non significa, innanzitutto, s;upporre 
di necessit� l'obbligo di un compiuto riesame di ogni punto della con� 
troversia, essendo sufficiente il potenziale venir in essere di due successivi 
rapporti di cognizione, di cui il secondo deve svolgersi in una sede 
giurisdizionale �superiore�, a seguito dell'impugnazione di una �sentenza 
emessa in primo grado. Il doppio esame viene privilegiato alla stregua 
del convincimento empirico che due . giudici vedono meglio di uno solo, 
pur non essendo affatto vero che la soluzione trovata per ultima sia, 
per ci� solo, pi� giusta di quella elaborata in primo grado. L'istituto 
dell'appello non comporta, n� logicamente, n� in base al diritto positivo 
(cfr. art. 101 comma 2 Cost.), una organizzazione gerarchica di giudici 
(che ben potrebbero alternarsi nel compito di riesame: si pensi all'ordinamento 
canonico). Va dato atto che di recente dubbi da pi� parti 
sono stati avanzati contro l'istituto, e che, nella polemica contro il 
doppio grado, si � tenuto conto degli eventuali ostacoli di ordine costituzionale, 
riconoscendone, pressoch� unanimemente l'insussistenza, non 
essendo dato rinvenire nell'ordinamento precetti imperativi in tal senso 
che abbiano fatto assurgere detto principio a valore costituzionale. 

Il legislatore, pertanto, resta libero, nella sua discrezionalit�, limitata 
solo dalla ragionevolezza del �riterio prescelto, di consentire o meno 
per un certo tipo di giudizio l'appello, abbracciando peraltro �tutte� 
le situazioni omogenee rientranti nel tipo. Viene in rilievo, sotto questo 
profilo, il principio di eguaglianza, in forza del quale sono state dichia



104 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

rate incostituzionali norme che nel disciplinare l'appello penale lo circoscrivevano, 
ingiustificatamente, a talune situazioni, ovvero a talune dell~ 
parti (cfr. ad esempio la sentenza n. 5 del 1975 in cui i giudici della 
Consulta, ebbero perspicuamente a sottolineare che l'oggetto del giudizio 
era rappresentato non gi� dalla esclusione dell'appello in s� e per s�, 
rispetto ad un certo tipo di sentenze, ma dalla circostanza che 1'� imputato
�, a differenza del P.M. non potesse impugnare quella sentenza, 
donde l'incostituzionalit� dichiarata per violazione dell'art. 3 Cost. (cfr. 
sulla stessa linea argomentativa di accoglimento le sentenze nn. 73/78, 
72/79, 53/81). 

Il legislatore, cio�, una volta adottata liberamente la soluzione dell'appellabilit�, 
od inappellabilit�, � tenuto a disciplinare l'istituto senza 
discriminazioni di sorta, poich� le parti del processo, o di processi sostanzialmente 
analoghi, devono essere trattate in maniera identica nel 
rispetto del principio di eguaglianza. 

La obbligatoriet� del doppio grado di giurisdizione non trova agganci 
nella Costituzione, n� espressi n� espliciti, fatta eccezione, per quanto 
concerne la giurisdizione amministrativa (rispetto alla quale l'art. 125 
comma 2, Cost. prevedendo giudici di primo grado, postula, corrispondentemente, 
che ve ne siano anche di �secondo�). 

Risulta dai lavori preparatori che l'Assemblea costituente respinse 
un emendamento volto a conseguire l'auspicata costituzionalizzazione del 
principio del doppio grado; e si ricava a contrario, dall'art. 111 comma 2 
Cost. che quando si volle imporre, inderogabilmente, la praticabilit� di 
un dato mezzo di impugnazione, lo si disse con chiarezza. 

Dalla vigente Costituzione si ricava, pertanto, in positivo che � garantito 
il ricorso in Cassazione per violazione di legge; ed in negativo 
che il sistema non contempla il riconoscimento del doppio grado di giurisdizione 
nel merito. Solo attribuendo al ricorso per cassazione natura 
di secondo grado di giurisdizione potrebbe parlarsi di costituzionalizzazione 
del principio del doppio grado (con risultati, peraltro, puramente 
norminalistici e con un chiaro sconvolgimento dell'impostazione del problema 
giacch� il riconoscimento della ricorribilit� ex art. 111 Cost. nulla 
ha a che vedere con le diverse esigenze di un riesame �di merito�). 

5. -La Corte costituzionale gi� con sentenza n. 110 del 1963 ebbe 
ad osservare che il negare alla parte la garanzia del doppio grado di 
giurisdizione �certo non contraddice a norme costituzionali�, �pur dando 
indubbiamente la misura della gravit� delle conseguenze che possono 
derivarne � (il che, come emerge dalla successiva evoluzione giurisprudenziale, 
porta a v,alutare con estremo rigore il rispetto del principio di 
eguaglianza per quanto attiene all'accesso all'impugnazione in situazioni 
sostanzialmente omogenee). 
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PARm I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

Nella successiva sentenza n. 41 del 1965, la Corte, recepisce dalla 
giurisprudenza ordinaria la nozione del doppio grado (che non va inteso 
nel senso che tutte le questioni di un processo debbano essere decise 
da due giudici di diversa istanza, ma in quello che deve essere data la 
possibilit� di sottoporre tali questioni a due giudici di istanza diversa, 
anche se il primo non le abbia tutte decise); ed opera significativamente 
il distacco dell'istituto del �doppio grado� dall'ambito della tutela apprestata 
dall'art. 24 Cost., rilevando espressamente che � non � tanto la 
doppia istanza che garantisce la completa difesa, ma piuttosto la possibilit� 
di prospettare al giudice ogni domanda ed ogni ragione che non 
siano legittimamente precluse �. Tuttavia manca in quella pronuncia una 
presa di posizione sullo specifico problema della garanzia costituzionale 
del doppio grado (�A prescindere dal discutere se il principio del doppio 
grado di giurisdizione trovi una sua garanzia costituzionale, osserva la 
Corte che detto principio nell'interpretazione giurisprudenziale ha una 
limitata portata�. Cos� precisano testualmente i giudici della consulta, 
sottolineando, altres�, che tale principio � non trova una formulazione 
recisa ed assoluta�). 

� solo con la successiva sentenza n. 117 del 1973 che la Corte si 
pronuncia, per la prima volta, recisamente nel senso della esclusione 
del doppio grado della cognizione di merito che non ha rilevanza costituzionale, 
non essendo essenziale alla garanzia della difesa, presentandosi, 
peraltro, vantaggioso per il miglior risultato delle decisioni. 

Ma � alla sentenza n. 62 del 1981 che occorre far capo per la definitiva, 
ed incis�va, ratifica della mancanza, nel nostro ordinamento, di 
una garanzia costituzionale del doppio grado di giurisdizione. In essa, 
portando ad ulteriori conseguenze l'impostazione della precedente decisione 
del 1973 (non riducibile ad un mero � obiter dictum � come la 
stessa Corte ha cura di sottolineare), si individua il fondamento della 
mancata copertura costituzionale nella assenza, nel testo della Costituzione, 
di una proposizione analoga a quella contenuta nell'art. 111 comma 
2 per il ricorso in Cassazione, e si ribadisce che non pu� venire in 
considerazione al riguardo l'art. 24 Cost. considerando il doppio grado 
medesimo come proiezione diretta del diritto di difesa, perch� tale norma 
assjcura la tutela in ogni stato e grado del procedimento, ma non garantisce 
la parte contro la soppressione di un grado del processo. In altre 
parole, quella garanzia, opera solo in quanto vi sia una fase processuale 
alla quale farne applicazione. La Corte si � dato carico, inoltre, dell'art. 14 
paragrafo 65 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, 
secondo cui � Toute personne declar�e 1coupable a le droit de faire examiner 
par une giurisdiction sup�rieure la d�claration de culpabilit� et 
de condamnation, conform�ment � la loi �, riconoscendo la compatibilit� 
di tale prescrizione con un sistema come il nostro in cui il riesame � 


106 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

ipotizzabile solo, in sede di rinvio; ed in tanto risulta possibile, in quanto, 
a seguito della pronuncia di cassazione, sia stato riconosciuto che la 
sentenza precedentemente emessa era inficiata da vizi nella formazione 
del convincimento del giudice, o nello svolgimento del processo. 

6. -Di fronte a questa netta presa di posizione della Corte costituzionale 
secondo cui (tranne che nel processo amministrativo, per la 
copertura rappresentata dall'art. 125 comma 2 Cost.), l'istituto del doppio 
grado di giurisdizione non ha rilevanza costituzionale (non dovendo il 
Collegio in questa sede approfondire la ratio della eccezione, irrilevante 
ai fini del decidere), e poich� � fuori discussione che rispetto alla situazione 
di specie, non resta coinvolto il principio di eguaglianza, dal 
momento che la inappellabilit� concerne tutti coloro nei cui confronti 
sia stata emessa la ordinanza ingiunzione e che abbiano reagito, proponendo 
il giudizio di opposizione davanti al Pretore, la ricognizione della 
giurisprudenza della Corte costituzionale basta per escludere che un 
orientamento cos� saldo, e di recente ribadito, possa essere sovvertito, 
anche perch�, a sostegno dell'eventuale riesame, non sono stati addotti 
nel ricorso (n� il Collegio � in grado di formularne in via autonoma) 
ulteriori ragioni apprezzabili, diverse da quelle gi� esaminate. 
In effetti il ricorrente si limita a sottolineare, sotto l'influenza della 
fattispecie, che non presentava profili giuridici, ma problemi di valuta� 
zione di prova (a proposito della concreta sussistenza dell'illecito ascritto) 
che la privazione dell'appello gli impedisce di giovarsi del completo 
�riesame�, dovendo restare circoscritto il sindacato della Cassazione al 
riscontro degli eventuali vizi estrinseci della motivazione. 

L'evidenziazione dell'inconveniente, che nel successivo mezzo si cerca 
di superare indebitamente allargando l'ambito del giudizio di cassazione, 
(l'opponente pretenderebbe addirittura che la Corte si desse carico di 
� leggere � le carte processuali, per il riscontro funditus degli elementi 
probatori), non rappresenta un quid novi, poich� la questione � stata 
dibattuta muovendo proprio dalla consapevolezza della maggior garanzia 
del ��riesame, problema che presenta margini di opinabilit� sul piano dello 
ius condendum, trattandosi, a monte, di stabilire se la soluzione del 
doppio grado sia costituzionalmente necessitata, ovvero rimessa alla discrezionalit� 
del legislatore. 

Non giova al ricorrente la prospettazione incentrata sull'art. 113 
Cost., su una norma, cio�, che non risulta essere stata presa in esam.e 
dalla Corte costituzionale nelle decisioni richiamate. 

In effetti tale norma non � invocata a proposito in relazione alla 
pretesa alla tutela giurisdizionale dei diritti davanti alla autorit� giudiziaria 
ordinaria nelle forme del processo civile, poich� riguarda esclusivamente 
la tutela contro gli atti della pubblica amministrazione che 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 107 

non pu� essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione 
e per determinate categorie di atti. Orbene, anche muovendo dalla qualificazione 
dell'ordinanza ingiunzione come atto amministrativo, il regime 
tipico predisposto dalla legge al riguardo con l'art. 9 della 1. n. 317 (ed 
ora con l'art. 23 della 1. n. 689) viene in considerazione in quanto sfocia 
in un processo civile e per ci� stesso resta al di fuori della sfera di 
applicabilit� dell'art. 113 e dell'art. 125 comma 2 Costituzione. 

e 

Nell'elaborazione giurisprudenziale che ha avuto ad oggetto gli ultimi 
cinque commi dell'art. 9 della 1. n. 137 si � posto in chiaro che l'azione 
esperibile dall'autore dell'illecito amministrativo va qualificata come azione 
di accertamento negativo della legittimit� del provvedimento impugnato, 
riaffermandosi la applicabilit� al riguardo della regola generale dettata 
dall'art. 4 della legge 2248 all. E del 1865, spettando al Pretore il potere di 
dichiarare illegittimo l'atto amministrativo, e di disapplicarlo, negando 
la possibilit� di annullamento, di revoca o di modifica del provvedimento 
(cfr. da ultimo Cass. 3434/83, 5141/81, 4427/81, 3094/81, 623/81, 4217/80); 
soltanto un indirizzo di minoranza sostiene che nel giudizio di opposizione 
medesimo non sarebbero applicabili le limitazioni di cui alla legge 
ablativa del contenzioso amministrativo (cfr. Cass. 3528/80 e 2614/81). 

Ma poich� tale giudizio, che si svolge davanti al giudice ordinario, 
per la tutela del diritto del cittadino a non essere inciso dalla sanzione, 
non � un giudizio amministrativo, il regime delle impugnazioni, e pi� 
specificamente la pretesa all'appellabilit�, non trova copertura costituzionale, 
non valendo invocare in proposito l'art. 113 Cost. a giustificazione 
di una soluzione normativamente radicata sull'art. 125 e che comporta 
la necessit� dell'appello solo ;rispetto alla decisione dei TAR (impugnabili 
davanti al Consiglio di Stato). 

1! appena il caso di osservare, del resto, che l'art. 9 della 1. n. 317 
� gi� stato sottoposto all'esame della Corte, la quale, con sentenza n. 32 
del 1970, ha escluso che l'ingranaggio della opposizione, che si appunta 
contro un atto amministrativo mirando alla relativa declaratoria di illegittimit�, 
si ponga in contrasto con l'.art. 102 Cost. (per indebita istituzione 
di un giudice speciale) o con gli artt. 24 e 113 Cost. (per avere 
attribuito al giudice ordinario la cognizione di interessi legittimi, con 
possibilit� di sindacato dell'atto amministrativo), negando che si tratti 
di una giurisdizione speciale, poich� il giudice conosce di diritti soggettivi 
ed il sindacato esercitato risponde ai princ�pi. N� potrebbe suggerire 
ripensamenti la pendenza davanti alla Corte di una questione che detto 
art. 9 investe per quanto riguarda i poteri del giudice (ridimensionati 
dal sopravvenuto art. 23 della 1. n. 689) in quanto, a parte altri possibili 
rilievi, non si lamenta nella specie che il giudice sia stato limitato nell'esplicazione 
dei propri poteri di valutazione delle prove ma si censura 
la valutazione delle prove da esso compiuta, restando circoscritta la 


108 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

controversia al solo profilo della privazione dell'appello e del possibile 
riesame del merito. 

8. -Parzialmente fondato risulta il terzo motivo per quanto attiene 
all'onere delle spese, come in definitiva riconosce la stessa Avvocatura 
dello Stato, la quale limita la difesa della pronuncia del Pretore alla 
attribuzione delle sole � spese vive �. 
� fuori discussione che davanti al Pretore di San Don� di Piave 
l'UPICA di Venezia � stata in giudizio a mezzo di un proprio funzionario 
(il dr. Poli). 

Si tratta di comportamento pienamente legittimo. Ai sensi dell'art. 3 
del r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611, �innanzi alla Pretura ed agli uffici di 
conciliazione, le amministrazioni dello Stato possono, intesa l'Avvocatura 
dello Stato, essere rappresentate da propri funzionari, che siano per tali 
riconosciuti �, 

Ma poich� detti funzionari, non sono avvocati n� procuratori legali 
ai medesimi non spettano gli onorari per le prestazioni giudiziali in materia 
civile od equipamta (cfr. a contrario l'art. 1 della 1. 13 giugno 1942 

n. 794, modificata dalla 1. 19 dicembre 1949 n. 957) n� a carico della parte 
soccombente, n� a carico del cliente (l'amministrazione cio� dalla quale 
il funzionario dipende e che lo retribuisce per tutte le incombenze demandategli, 
ivi compresa quella particolare della rappresentanza dell'amministrazione 
medesima in giudizio). 
Anzi il rapporto di immedesimazione organica tra funzionario ed 
amministrazione comporta che il carico della difesa va imputato alla 
amministrazione come tale che, per lo svolgimento del relativo compito, 
va incontro a spese specifiche, mentre l'utilizzazione del funzionario, distogliendolo 
da altri incarichi non si presenta come una spesa enucleabile 
rispetto agli oneri di gestione del servizio cui tale funzionario attende. 

Lo stesso ragionamento, fondata a contrario sull'art. 15 della cit. 1. 

n. 794, va fatto rispetto agli onorari e diritti stabiliti dalla legge e dalla 
tabella annessa per le prestazioni giudiziali in materia civile. 
Sia l'art. 1 che l'art. 15 contemplano onorari e competenze come un 
quid pluris oltre al rimborso delle spese giustificate. Si tratta di stabilire 
se la richiesta di rimborso di tali spese sia consentita con esposizione 
in apposita nota per la liquidazione da parte del giudice anche da parte 
dell'amministrazione che si sia fatta rappresentare da un proprio funzionario, 
e non di un avvocato. 

La risposta da darsi al riguardo � senz'altro positiva. N� varrebbe 

obiettare che non risulta agli atti un formale atto di designazione prece


duto dal parere dell'Avvocatura dello Stato. 

In proposito questa Corte ha avuto occasione di precisare, infatti, 
che ai sensi dell'art. 3 del r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611 non si richiede 

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PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

che il funzionario, costituendosi in giudizio per rappresentare l'amministrazione 
di cui fa parte, debba esser munito di un formale atto di 
designazione, preceduto dal parere della Avvocatura dello Stato, essendo 
sufficiente, a tal fine, che si faccia � riconoscere � per tale dal giudice e 
dalla controparte, in quanto la facolt� di rappresentare in giudizio la 
amministrazione appartiene al funzionario per la sua qualifica derivante 
dal rapporto organico, e non in virt� di delega e di mandato, mentre 
il parere dell'Avvocatura dello Stato attiene alla attivit� interna dell'amministrazione, 
e non va sottoposto al sindacato del giudice, garante di 
interessi diversi da quelli della amministrazione attiva. (cfr. Cass. 485/80). 

Ci� posto, poich� l'amministrazione nell'affrontare la difesa, sia pure 
a mezzo di un suo funzionario, va incontro oltre alle spese generali 
(insuscettibili di essere imputate pro parte al singolo rapporto processuale), 
anche a spese specifiche ad hoc, determinate ulteriormente, ed 
esclusivamente, dallo svolgimento della difesa, nella causa specificamente 
considerata, non par dubbio che del costo cos� sopportato debba essere 
resa indenne, indipendentemente dalla operata scelta che l'ha portata 
ad avvalersi nel caso concreto del funzionario anzich� dell'Avvocatura 
dello Stato, dovendosi ritenere che al funzionario le spese medesime 
vengano anticipate, o rimborsate, dalla amministrazione di appartenenza. 

Ne consegue che il giudice, in sede di rinvio, e sulla base di apposita 
nota spese, accompagnata dalle pezze giustificative, dovr� provvedere alla 
liquidazione ex novo, non essendo possibile in questa sede valutare la 
congruit� dell'importo di L. 165.000 che �residuerebbe una volta riconosciuta 
la non debenza degli onorari di avvocato, anche perch� non risulta 
se, ed in che misura, siano state in ipotesi attribuite anche competenze 
di procuratore. 

L'accoglimento in questi limiti del motivo, assorbe, evidentemente, il 
profilo attinente alla mancata presentazione delle �note spese�, (omissis) 


���: ���: 
SEZIONE QUINTA 

GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen. 19 luglio 1983, n. 21 � Pres. Pescatore, 
Est. Vacirca -Comune di Pavia (avv. Maurici) c. Generale (avv.ti Bonfante 
e Paradiso). 

Espropriazione per pubblica utilit� -Occupazione d'urgenza � Immobile 
di propriet� dell'Amministrazione espropriante locato a terzi � Possibilit� 
� Illegittimit� per sviamento di potere. 

� consentita l'espropriazione per pubblica utilit� e quindi anche 
l'occupazione d'urgenza di un bene dato in locazione a terzi da parte 
dell'Amm.ne proprietaria dello stesso, a meno che il provvedimento ablatorio 
non sia utilizzato al solo scopo di eludere le obbligazioni nascenti 
dal contratto (1). 

(omissis) 4. -Vanno congiuntamente esaminati il secondo motivo 
di appello, col quale l'Amministrazione sostiene il difetto di giurisdizione 
del giudice amministrativo in ordine alle censure di carenza di potere, 
e il quinto motivo di appello, con cui l'Amministrazione deduce l'erroneit� 
della sentenza impugnata, nella parte in cui esclude che diritti 
diversi da quelli reali possano essere oggetto di espropriazione. 

(1) La Adunanza Plenaria, cui la questione era stata rimessa dalla Sez. VI 
con ordinanza 8 marzo 1983, n. 106 (in Cons. St. 1983, I, .122) traendo spunto da 
un antico contrasto tra la ISez. V 2 febbraio 1950 n. 133 (in Cons. St. .1950, I, 380 e la 
Sez. IV '17 marzo 11965 n. 293 �(in Cons. St. 1965, I, 429), risolve in modo soddisfacente 
con motiva:ifilone completa ed appagante un vecchio problema. 
Essa richiama quale precedente favorevole anche Sez. Un. 3 febbraio 1982 

n. 645 (in Foro it. �1983, I, 421) che, pronunciata in materia dii espropriarione di 
comparto edificatorio dcl territorio urbano del Comune di Messina ex t.u. 
1399/1917, aveva ritenuto dmproponibile l'azione di reintegraz1one proposta dal 
conduttore nei confronti dell'espropriante che era anche proprietario e locatore 
dell'dmmobile espropriato, ritenendo che in tale particolare situazione la 
espropriazione ha l'effetto di estinguere tutti i &ritti dei terzi gravanti sui 
beni, consentendo all'espropriante di immettersi nel possesso anche dii quelli 
gi� concessi dn locazione. 
Sia il ConsigLio di Stato sia la Cassazione non affrontano <la questione che 
si � fatta in passato soprattutto in dottrina circa l'espropriabilit� del diritto 
personale di godimento i.n relazione alla locuzione contenuta nell'art. 1 1. 2359/1865 
� diritti relativi ad Immobili>>, dando per scontato che il ddritto del conduttore 
possa essere oggetto del provvedimento ablatorio (sulla questione cfr. l'ampia 
nota di PIETROSANTI in oalce a Sez. Un. cit. in Foro it. 1983, I, 421). 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

La questione, del cui esame la Sezione quarta ha ritenuto di investire 
l'Adunanza plenaria, � stata risolta in modo difforme in giurisprudenza: 
una prima decisione della Sezione quinta (3 febbraio 1950 n. 133) � nel 
senso che il procedimento espropriativo non possa avere ad oggetto 
diritti personali relativi a beni immobili; una decisione della Sezione 
quarta (17 marzo 1965 n. 293) e una recente sentenza della Corte di cassazione 
a sezioni unite (3 febbraio 1982 n. 645) giungono a opposta conclusione. 


� certo che in generale il provvedimento di espropriazione incida 
su tutti i diritti relativi al bene, siano essi di natura reale o personale, 
come si ricava dall'art. 27 L. 25 giugno 1865 n. 2359 che include �i �conduttori
� fra i soggetti aventi diritto a una quota dell'indennit� di espropriazione. 
Altre leggi in materia espropriativa, successive a quella fondamentale, 
hanno confermato tale principio o introducendo una deroga 
in materia di indennizzabilit� del conduttore per la risoluzione del contratto 
di locazione (art. 12 L. 15 gennaio 1885 � n. 2892) o al contrario 
prevedendo un regime di favore per fittavoli, mezzadri, coloni e compartecipanti 
(art. 17 L. 22 ottobre 1971 n. 865). 

Ci� non viene posto in dubbio nella sentenza impugnata, in cui si 
riconosce che la risoluzione del vincolo contrattuale possa essere conseguenza 
della espropriazione, ma si esclude che all'espropriazione possa 
ricorrersi in favore di chi sia gi� proprietario del bene, al solo scopo 
di rimuovere il diritto personale di godimento che si frapponga alla 
realizzazione dell'opera di pubblica utilit�. 

Una simile conclusione non pu� essere condivisa. 

Ove si ammetta che la disponibilit� di un bene sia necessaria per la 
realizzazione di un'opera di pubblica utilit� e che ci� implichi il sacrificio 
(prevo indennizzo) dei diritti privati reali o personali relativi a quel bene, 
non pu� pervenirsi a diversa conclusione secondo che proprietario del 
bene sia lo stesso soggetto che deve realizzare l'opera oppure un terzo. 

Sarebbe, infatti, irrazionale far discendere dalla titolarit� del diritto 
di propriet� una limitazione a danno del soggetto espropriante e un 
ostacolo alla realizzazione di un interesse pubblico, che la legge e i 
principi generali configurano come prevalente rispetto a quelli privati. 

N� pu� condividersi il convincimento -espresso dal Tribunale che 
un simile inconveniente derivi inevitabilmente dalla configurazione 
dell'espropriazione come trasferimento coattivo della propriet� o di altri 
diritti reali da un soggetto ad un altro, vicenda che non potrebbe verificarsi 
nel caso di coincidenza di soggetto espropriante e di proprietario 
del bene oggetto del provvedimento. 

Tale configurazione non si desume n� dalla legge fondamentale n. 2359 
del 1865 n� dalla Costituzione. 


112 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
La prima, oltre a prescindere da un nesso di derivazione fra il nuovo 
diritto e quello preesistente (art. 52 legge n. 2359 del 1865 e art. 14 legge 
n. 865 del 1971), indica come oggetto dell'espropriazione �beni immobili 
o diritti relativi ad immobili� (art. 1 legge citata), omettendo di far 
espresso riferimento, nella norma generale, al diritto di propriet�.. N� 
pu� ritenersi che l'attribuzione di questo diritto a un soggetto diverso 
dal precedente titolare risulti presupposto indispensabile del provvedimento 
in virt� del significato del termine espropriazione, giacch� sia 
nel linguaggio comune (tenuto conto dell'origine del vocabolo tardo-latino 
expropriare, composto di proprius e del prefisso ex) sia nel linguaggio 
tecnico-giuridico tale termine esprime l'atto di privare un soggetto di 
un proprio diritto (indipendentemente dalla 1acquisizione di quello stesso 
diritto da parte di altri) o anche l'atto di imporre un peso su di un bene 
altrui (art. 46 legge cit.). Il significato dell'espressione �diritti relativi 
ad immobili � contenuta nell'art. 1 legge n. 2359 del 1865 �, d'altronde, 
spiegato con chiarezza nella Relazione ministeriale al relativo progetto 
di legge (in Atti pari. Cam., sess. 1863-1864, voi. IV, pag. 2710), in cui si 
osserva: � Lo stesso crediamo non si debba affermare delle cose incorporali, 
ossia dei diritti, relativi a cose immobili. Il pi� frequentemente 
accade che compiendosi un'opera pubblica ed occupandosi uno stabile 
vengano per forza maggiore a cessare i diritti che circa di essi si esercitano 
dagli usufruttuari, dai locatari, dagli enfiteuti e da altri che non 
hanno il dominio della cosa occupata. In questi casi la forzata cessazione 
1di tali diritti avviene per mancanza della cosa che ne formava 
l'oggetto. Ma pu� pure accadere che il diritto solo sia argomento di 
espropriazione. Pongasi che lo Stato eseguendo-pubblici lavori debba 
occupare un fondo che gi� gli appartiene, ma sul quale altri abbia un 
diritto di usufrutto oppure sia da un privato tenuto in affitto. Non pu� 
ammettersi che lo stabile cada in espropriazione, poich� non pu� ragionalmente 
concepirsi che si acquisti una cosa di cui gi� si ha il dominio; 
tuttavia come potrebbe espropriare l'intero stabile ove ad altri spettasse, 
cosi deve aversi facolt� di far dichiarare l'opera di pubblica utilit� per 
far cessare i diritti che altri esercita sullo stabile medesimo. In tal caso 
pare che i diritti soltanto di usufrutto, di locazione sono colpiti da espropriazione, 
epper� nel presente progetto, seguendo in tal parte la legge 
federale elvetica del 10 maggio 1850, fra le cose che possono formar 
oggetto di espropriazione s'indicano non solo i beni immobili necessari 
all'esecuzione di opere di pubblica utilit�, ma anche i diritti agli stessi 
immobili relativi �. 
La stessa norma costituzionale, che a differenza dell'art. 1 cit. sembra j�= 
collegare l'istituto della espropriazione con quello della propriet� (art. 42, 1: 
terzo comma, Cost.), � stata interpretata come riferentesi anche ad atti 
autoritativi che, indipendentemente dalla loro forma, conducano tanto 
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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA� 113 

ad una traslazione totale o parziale del diritto, quanto ad uno svuotamento 
di rilevante entit� ed incisivit� del suo contenuto, �pur rimanendo 
intatta l'appartenenza del diritto� (Corte cast. 29 maggio 1968 

n. 55). 
Deve quindi ritenersi che le norme sull'espropriazione, quando fanno 
riferimento, nel disciplinare il procedimento, al diritto del proprietario, 
intendano soltanto indicare la posizione giuridica soggettiva che, nell'or� 
clinamento, implica il pi� ampio potere di godimento di un bene. 

Non �, per�, in alcun modo escluso dalla legge che il provvedimento 
ablatorio possa colpire, sia congiuntamente alla propriet� sia in modo 
autonomo, altri diritti di godimento del bene, ed � certo che, quando il 
conduttore sia l'unico soggetto !interessato, debba riconoscersi a lui la 
posizione che generalmente spetta al proprietario, in applicazione analogica 
delle norme sul procedimento. 

5. -Deve, infine, negarsi che un limite all'utilizzabilit� dell'istituto 
espropriativo possa desumersi dalla qualit� di parte del rapporto di locazione 
assunta dal soggetto che intenda ricorrervi. 
Il locatore assume invero un obbligo di far godere il proprio bene 
al conduttore, e in ci� la sua situazione potrebbe distinguersi da quella 
di qualunque soggetto estraneo al rapporto di locazione, che si avvalga 
dell'espropriazione per acquisire la disponibilit� del bene, sottraendolo 
rin pari tempo al proprietario e al conduttore. 

Ma le obbligazioni privatistiche assunte negozialmente si collocano 
su cli un piano distinto da quello dei poteri pubblicistici, per loro natura 
indisponibili, n� possono con questi interferire, se non di fatto nel caso 
(patologico) di utlizzazione degli istituti espropriativi al solo scopo di 
eludere le obbligazioni nascenti dal contratto. Per tali evenienze, per�, 
l'ordinamento appresta idonei rimedi giurisdizionali, essendo possibile sia 
impugnare l'atto amministrativo, da cui derivi la dicharazione cli pubblica 
utilit� dell'opera, per la cui realizzazione si affermi necessario il 
sacrificio del conduttore, e far valere l'eventuale sviamento, sia chiedere 
la retrocessione ai sensi dell'art. 63 legge n. 2359 del 1865, in caso di 
mancata realizzazione dell'opera. 

Le considerazioni svolte in ordine al provvedimento di espropriazione 

valgono, a maggior ragione, per l'occupazione d'urgenza, che in nessun caso 

potrebbe configurarsi come provvedimento necessariamente incidente sul 

diritto di propriet�. 

Riconosciuto all'amministrazione il potere di privare il conduttore 
del suo diritto e di occupare d'urgenza il bene dato in locazione, deve 
dichiararsi infondato il secondo motivo di appello, mentre deve accogliersi 
il quinto e riformarsi la sentenza di primo grado che un simile 
potere aveva negato. (omissis) 


114 RASSEGNA DEU.'AvVOCATURA DELLO STATO 

CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen. 10 ottobre 1983, n. 24 -Pres. Pescatore, 
Est. Cossu -Comune di Modena (avv. Giuffr� e Palmieri) e Regione 
Emilia Romagna (Avv.ti Zavattaro Ardizzi e Bergonzoni) c. Testoni 
Cavallo (Avv. Amorth e Sala). 

Giustizia Amministrativa � Interruzione del processo -Morte del difen� 
sore � Conoscenza effettiva e conoscenza legale dell'evento � Fatti� 
specie. 

Giustizia Amministrativa � Interruzione del processo � Riassunzione � Prosecuzione 
volontaria � � Deposito della procura al nuovo difensore � 
Istanza di fissazione d'udienza. 

Deceduto l'unico difensore di un Comune, costituisce evento idoneo 
a far decorrere il termine semestrale entro il quale il processo deve 
essere riassunto a pena di estinzione la delibera consiliare (versata in 
atti) con la quale il Comune stesso preso atto della morte del precedente 
legale statuisce di nominarne altro in sostituzione (1). 

Integra la fattispecie della prosecuzione volont�ria, equivalente alla 
riassunzione del processo interrotto, il deposito della procura rilasciata 
dal Comune (il cui precedente unico legale sia deceduto) ad un nuovo 
difensore, quando risulti gi� fissata un'udienza futura di discussione del 
ricorso, altrimenti � necessario oltre al suddetto deposito la richiesta 
di fissazione d'udienza (2). 

(1-2) Su una singolare ipotesi di discutibile iuterruzione ed ancora pi� 
discutibile riassunzione del processo amministrativo. 

La decisione dell'Adunanza Plenaria, pur essendo condivisibile per la soluzione 
sostanziale data al caso di specie, suscita nofevoli perplessit� in ordine 
alla strada percorsa per arrivarvi. 

Cominciando dalla �statuizione .riassunta nella prima massima, appare piuttosto 
opinabile il collegare la decovrenza del termine semestrale per la riassunzione 
ad un evento che, secondo l'art. 24 I. 1034/1971, non solo non rientra 
tra quelli ddonei a determinare la certezza legale ma per di pi� � rivelatore 
di una conoscenza che non deriva da un atto proveniente dall'esterno ma dalla 
stessa parte interessata, ovvero da quella rimasta orfana del difensore. Sulla 
;insufficienza della conoscenza di fatto come surrogato delfa conoscenza legale 
la tesi del Consiglio di Stato contrasta con quella della Cassazione (cfr. .10 giugno 
,1982 n. 3512), la quale peraltro concerne l'art. 305 c.p.c. cos� come risulta 
modificato dalla sentenza .12 dicembre '1%7 n. 139 della Corte Costituzionale, 
che lo dichiar� dncosflituzionale nella parte in cui consente che di termine per 
la riassunzione o la prosecuzione decorra � dalla data di un evento di cui il 
soggetto non � messo in condi2lione di conoscere l'avverarsi �. Nella sua riformulazione 
costituzionalmente legitflima dunque l'art. 305 c.p.c. non richiede espressamente 
la certezza legale .riico11egandola a specifiche forme di informazione, 
ma solo che il soggetto sia messo in condizione di avere conoscenza dell'evento 



PARm I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 115 

DIRITTO ...,.. Preliminarmente va affrontato il problema della possibile 
estinzione dell'appello proposto dal Comune di Modena: problema posto 
dalla eccezione sollevata dalla appellata Testoni e che ha determinato 
la rimessione della controversia all'Adunanza plenaria. 

L'eccezione si fonda sul fatto, non controverso, del decesso dell'avv. Barillaro, 
in origine unico difensore del Comune di Modena abilitato al 
patrocinio presso le giurisdizioni superiori, della conseguente interruzione 
del processo e della mancata riassunzione nel termine previsto 
dall'art. 24 della L. 6 dicembre 1971 n. 1034. 

Al fine di decidere sulla eccezione in discorso si deve stabilire: 

a) se si sia verificato un evento tale da far decorrere il termine 
semestrale entro il quale il processo doveva essere riassunto; 

b) se, risolto positivamente il quesito sub a), un atto di riassunzione, 
cos� come configurato dal menzionato art. 24 secondo comma si 
sia verificato; 

e) se, infine, possa ammettersi un atto equivalente alla riassunzione, 
costituito, in concreto, dall'avvenuto deposito in causa di procura 
rilasciata dal Comune di Modena in favore di nuovo difensore, in sostituzione 
di quello deceduto. 

Sul primo punto deve osservarsi che il termine di riassunzione prende 
a decorrere �dalla conoscenza legale dell'evento interruttivo acquisito 
mediante dichiarazione, notificazione o certificazione�: ma deve escludersi 
che evento di tale fatta siasi verificato. In particolare, deve escludersi 
che nel corso della pubblica udienza del 15 dicembre 1981 avanti la 

interruttivo e ci� nonostante, come si diceva, la Cassazione richiede la certezza 
legale. Nell'art. 24 della 1. 1034/1971 (che per la sua data successiva alla sentenza 
della Corte Costituzionale ha tenuto conto del principio livi affermato) 
si dice espressamente che il processo deve essere niassunto � nel termine perentorio 
di sei mesi dalla conoscenza legale dell'evento interruttivo, acquisita 
mediante dichiarazione, notificazione o citazione� e non di meno l'Adunanza 
Plenaria ritiene di poter equiparare alla certezza legale cos� codificata la certezza 
effettiva. 

A giustificazione di questa conclusione il Consiglio di Stato sottolinea la 
scarsa chlarezza della formula legislativa, che pone sullo stesso piano misure 
di conoscenza tra loro molto diverse a livello strutturale e funzionale. E su questa 
affermazione si pu� anche convenire; ci� che non sembra da condividere � invece 
la concludenza di essa rispetto alla conseguenza che se ne vuole trarre, poich� 
per quanto ambigua sia la formulazione della norma, non vi � dubbio che essa 
faccia riferimento a degli strumenti che una parte o terzi possono utilizzare 
per far acquisire all'altra parte la conoscenza legale, mentre non � prospettabile 
dn base a questa norma l'ipotesi che sia la parte stessa ad autocertif�carrsi la 
propria conoscenza legale. 

9 



-


116 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

IV Sezione si sia reso noto l'evento interruttivo: risulta infatti dal verbale 
di udienza che l'appello del Comune di Modena fu chiamato congiuntamente 
a quello della Regione Emilia Romagna; che fu presente 
soltanto il difensore della Regione il quale chiese rinvio, ed entrambi i 
ricorsi furono rinviati a udienza da destinare, poi fissata al 19 ottobre 
1982. 

N� risultano altri atti suscettibili di determinare la ricordata cono� 
scenza legale: dell'evento interruttivo infatti si parla, per la prima volta, 
nella memoria depositata il 19 ottobre 1982, ma tale atto non era idoneo 
a determinare nell'appellante la conoscenza legale dell'evento. 

La parte infatti sta in giudizio a mezzo del difensore e, anche ad 
ammettere un onere di conoscenza delle dichiarazioni fatte o degli atti 
prodotti in pubblica udienza, la conoscenza stessa va esclusa perch� 
l'evento da conoscere (morte del difensore) dovrebbe essere appreso dalla 
parte proprio attraverso quel difensore del quale � rimasta priva (si veda, 
in termini, Cass., 10 giugno 1982, n. 3512). 

La difesa dell'appellata, nel corso della pubblica udienza, ha richiamato 
l'attenzione del Collegio su un ulteriore aspetto del problema, e 
cio� se la formula di cui �all'art. 24 possa essere intesa nel senso che la 
conoscenza legale sia quella comunque acquisita anche indipendentemente 
dai �mezzi indicati dalla legge e cio� mediante � dichiarazione, notificazione 
o certificazione �. Ma pi� che indagare circa la tassativit� o non 
dei mezzi, occorre chiedersi se alla conoscenza legale possa equipararsi 
una conoscenza piena ed effettiva che possa inequivocabilmente desu� 
mersi da atti provenienti dalla parte colpita dall'evento interruttivo e 
dai quali risulti che alla stessa � noto l'avvenuto decesso del difensore. 
E nel caso presente la questione � tutt'altro che teorica, poich� � versata 

Sicch� non si vede proprio come la delibera con la quale H Comune prende 

atto della morte del difensore e ne nomina un altro possa considerarsi pariti.� 

cabile alla conoscenza legale imposta dalla legge. 

Ma la decisione non appare convincente neppure sotto l'altro profilo, rias� 

sunto nella seconda massima, e che sarebbe stato vano esaminare se il prece� 

dente fosse stato valutato dn modo� contrario. 

Qui si tltdene atto di prosecuzione o comunque atto equivalente alla rias� 

sunzione U deposito della procura conferito al nuovo difensore (quando per� 

risulti gi� fissata l'udienza di discussione). 

Afferma l'Adunanza Plenaria, richiamandosi alla sentenza 26 giugno 19&1 

n. 285 della V Sez. che � nulla impedisce sul pi.ano Siistemat[vo di applicare 
al processo amministrativo la prosecuzione volontaria prevista dal c.p.c. >>, ag� 
giungendo che � alla assenza di ostacoli di ordine generale si riaccompagna, un 
testuale richiamo agli artt. 299 e seguentd che preveda appunto la prosecuzione 
volontaria... �. 
Senonch� l'art. 24 1. 1034/197il ll1invfa s� agli articoli del codice di procedura 
civile ma solo � in quanto applicabili � e non si vede come possa ritenersi com� 



PARm I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 117 

in atti, prodotta dallo stesso Comune di Modena, una delibera nella quale 
si prende espressamente atto del decesso dell'avv. Barillaro e� si stabilisce 
di affidare il patrocinio ad altro difensore. 

Ritiene l'Adunanza plenaria che al quesito possa darsi risposta affermativa. 
Le norme sulla interruzione del processo sono poste a garanzia 
della parte rimasta priva del difensore ed incolpevolmente ignara di tale 
evento. 

E si deve ricordare che, proprio in base a tale esigenza di conoscenza 
(o, almeno, di conoscibilit�) dell'evento interruttivo, la Corte costituzionale, 
con sentenza 12 ,dicembre 1967 n. 139 (in questa Rassegna 1967, Il, 
840), ha dichiarato l'illegittimit� costituzionale dell'art. 305 Cod. proc. 
civ., nella parte in cui dispone che il termine per la prosecuzione o riassunzione 
decorra dalla data di interruzione del processo per morte del 
difensore e cio� � dalla data di un evento di cui il soggetto non � messo 
in condizione di conoscere l'avverarsi�. 

L'art. 24 della L. 6 dicembre 1971 n. 1034 ha avuto presente questa 
esigenza ed ha stabilito che il termine decorre dal giorno della conoscenza 
�legale�, acquisita attraverso i mezzi della �dichiarazione, notificazione 

o certificazione �. 
La scarsa chiarezza di tale ultima formula, non � sfuggita alla IV Sezione 
di questo Consiglio: nella decisione 10 giugno 1980 n. 651, infatti si 
osserva che sono state poste sullo stesso piano misure di conoscenza tra 
loro molto diverse a livello strutturale e funzionale. 

Sembra per� incontestabile che il legislatore, parlando di conoscenza 
legale, da un lato, e specificando gli strumenti atti a determinarla, dall'altro, 
abbia ritenuto sufficiente che la parte colpita dall'evento interruttivo, 
sia posta in grado di conoscerlo attraverso procedimenti formali, 

pato:'bile con l'istituto della prosecll2l�one (che peraltro � ,radicato in un procedimento 
la cui articolazione dn varie udienze successive � di ,regola !�ndipendente 
dall'impulso della singola parte, essendo sufficiente quella dell'altra parte e 
1Jalora del giudice) la previsione nell'art. 24 comma 2� della sola riassll11Uone a 
cura della parte pi� diligente '(e non de1Ia sola controparte come nel 303 c.p.c.). 

Nel che sembra dimostrato come nel processo ammin:i:strallivo sia sempre 
necessaria la riassunzione anche ad opera della pa:rte nei cui confronti. s,i sia 
verificato l'atto intel1I1lttivo, necessit� coerente d'altra parte con i1:a struttura 
di questo procedimento che rende difffoilmente realdzzabile una fattispecie come 
quella iipotizzata nell'art. 303 c.p.c. 

Ma vii � di pi�: l'art. i24 comma 2� , soggiunge che la riassunzione deve 
avvenire � con atto notificato a tutte le altre parti � e questo pare sufficiente a 
confutare dn modo pieno la tesd deUa possibUit� cli dare ulteriore impulso al 
processo interrotto con dl semplice deposito della procura, perch� appare indefettibile 
fesdgenza che la parte !interessata a continuare il .giudizio notifichi un 
ricorso dn :niassll11Uone a tutte le altre partd del giudizio. 

G.P. POLIZZI 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

118 

senza che sia necessaria una conoscenza effettiva, la prova della quale � 
sempre assai ardua: dal momento in cui l'evento � reso conoscibile cessa 
ogni ragione di tutela del soggetto rimasto privo di difensore e pu� 
prendere a decorrere il termine per riassumere il processo, pena la sua 
estinzione. 

Ma se al prodursi di tale effetto � sufficiente la � conoscenza legale �, 
e cio� una mera conoscibilit� determinata dal compimento di atti a ci� 
ritenuti idonei, deve ammettersi che l'effetto si produca anche ove risulti 
in modo certo ed inequivocabile che la parte, ad una certa data e per 
sua stessa ammissione, era a conoscenza del decesso del suo difensore: 
diversamente opinando si consentirebbe il proseguire dell'effetto interruttivo 
senza che ci� sia necessario a tutelare una parte ormai in grado 
di provvedere alla difesa nominando altro patrono, e gravando le altre 
parti, che possano aver interesse ad una sollecita conclusione del processo, 
dell'inutile incombenza di determinare in quella privata di difensore la 
""conoscenza legale� (ad es. mediante notificazione) di un evento che la 
stessa ha per altra via effettivamente conseguita. 

Nel caso di specie, come si accennava, l'appellante Comune di Modena 
ha prodotto in giudizio una delibera consiliare in data 16 settembre 1982 
con la quale, preso atto della morte del precedente difensore, si stabilisce 
di nominarne un altro in sua sostituzione. Tale atto, sia per l'organo 
deliberativo da cui promana, sia per il suo inequivocabile contenuto, 
sia per la data certa di riferimento, consente di ritenere che il 16 settembre 
1982 fosse raggiunta la conoscenza effettiva dell'evento interruttivo. 

Da tale data dunque prende a decorrere il termine semestrale che 
porta all'estinzione del processo, ove non intervenga un atto di parte: 
la cui portata si tratta ora di individuare. Nella specie, infatti, entro 
sei mesi dal 16 settembre 1982 si � avuto non un � atto di riassunzione� 
come configurato dall'art. 24 terzo comma della L. 6 dicembre 1971 n. 1034 
vale a dire un atto notificato a cura della parte pi� diligente a tutte le 
altre, ma il deposito, prima della pubblica udienza del 19 ottobre 1982 
(fissata quando ancora nulla risultava in atti circa il decesso del difensore 
del Comune), di procura rilasciata dal Sindaco di Modena in favore 
del nuovo difensore. Di conseguenza, se tale atto equivale a riassunzione 

o comunque � idoneo a sostituirla, pu� giungersi alfa pronuncia di merito; 
mentre� in caso contrario, alla data della presente decisione, il 
processo sarebbe estinto. 
Al riguardo ritiene l'Adunanza plenaria che la prima soluzione, gi� 
affermata dalla IV Sezione con decisione 28 luglio 1981 n. 663 e dalla 
V Sezione con decisione 26 giugno 1981 n. 285, (in questa Rassegna 1981, 
I, 685 e 700), sia da condividere. 

Come pone in evidenza la seconda delle citate decisioni, nulla impedisce 
sul piano sistemativo di applicare al processo amministrativo la 


PARm I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

prosecuzione volontaria prevista dal C.p.c. da parte del soggetto colpito 
dall'evento interruttivo e che tale prosecuzione avvenga con atto non 
notificato ma mediante costituzione del nuovo difensore con procura 
rilasciata prima dell'udienza gi� fissata, e della quale dunque le altre 
parti ebbero rituale notizia. Ed all'assenza di ostacoli di ordine generale 
si accompagna un testuale richiamo agli artt. 299 e segg. Cod. proc. civ., 
tra i quali l'art. 302 che prevede appunto la prosecuzione volontaria e 
la legge n. 1034 del 1971 all'art. 24, parlando di riassunzione a cura della 
parte pi� diligente, mostra di ritenere idoneo un atto proveniente da 
una qualsiasi delle parti, ivi compresa quindi quella colpita dall'evento 
iilterruttivo. 

Si pu� solo aggiungere, a quanto affermato dalla V Sezione, che la 
prosecuzione con deposito di procura rilasciata al nuovo difensore sia 
sufficiente quando risulti fissata una udienza di discussione del ricorso. 
Ove, invece, l'udienza non sia fissata (ad es., perch� sia intervenuto un 
provvedimento dichiarativo dell'interruzione), il soggetto che intende proseguire 
il processo, oltre a costituirsi nel modo indicato, dovr� richiedere 
la fissazione dell'udienza (arg. ex art. 302, secondo periodo, C.p.c.) e le 
altre parti ne avranno notizia a mezzo dell'avviso eseguito a cura della 
segreteria dell'organo giurisdizionale. 

Concludendo sul punto, l'eccezione di estinzione sollevata dalla appellata 
Testoni Cavallo va disattesa avendo il Comune di Modena tempestivamente 
proseguito il processo entro il semestre dalla conseguita conoscenza 
dell'evento interruttivo. 

Ci� consente di passare all'esame del merito: esame che pu� essere 
svolto congiuntamente sull'appello del Comune di Modena e su quello 
della Regione Emilia-Romagna, entrambi diretti contro la medesima sentenza, 
fondati su censure analoghe e gi� riuniti dall'ordinanza di rimessione. 


L'appello della Regione, in verit�, � oggetto di una eccezione di difetto 
di interesse: posto che la oggi appellata Testoni Cavallo articol� 
una serie di censure avverso l'atto comunale di adozione di variante al 

P.R.G. e quello di approvazione e che il T.A.R. ebbe a respingerle tutte 
ad eccezione di due dirette contro l'atto del Comune, si assume che, in 
difetto di appello incidentale sui motivi respinti, la materia del contendere 
sarebbe ormai limitata agli eventuali vizi della delibera comunale, 
e dunque, a profili sui quali la Regione non avrebbe titolo ad interloquire. 
L'eccezione � infondata. Infatti i vizi della delibera comunale -ritenuti 
esistenti dal T.A.R. -non possono che ripercuotersi sull'atto regionale 
di approvazione e, di conseguenza, la Regione ha interesse a chiedere 
la riforma della sentenza e a dimostrare al giudice d'appello che 
i motivi accolti in primo grado sono infondati. (omissis) 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 13 ottobre 1983, n. 710 -Pres. De Roberto 
-Est. Fabbri -Capua (avv.ti Mazzei e Castagna) c. Commissario 
liquidazione usi civici di Catanzaro, Cosenza e Reggio Calabria (Avv. 
Stato Siconolfi) e Comune di Oppido Mamertina (Avv.ti Falzea e 
Giannini). 

Giustizia amministrativa -Atto impugnabile -Usi civici -Provvedimento 
del Commissario di reintegra a favore del Comune -Improponibilit�. 

Usi civici -Procedimento di legittimazione -Provvedimento del Commissario 
di reintegra a favore del Comune -Legittimit� -Immediata 
esecutivit�. 

Usi civici -Provvedimento del Commissario di reintegra a favore del 
Comune � Forma di sentenza -Giudizio inesistente -Illegittimit� per 
travisamento dei fatti. 

E suscettibile di impugnazione dinanzi al giudice amministrativo, 
non avendo natura giurisdizionale, il provvedimento del Commissario per 
la liquidazione degli usi civici che non risolve una controversia sulla 
attribuzione o sulla qualit� demaniale del suolo, ma, sul presupposto 
incontroverso della demanialit�, d� corso al procedimento di reintegra 
in favore dell'Ente locale (1). 

Dopo l'esito negativo della domanda di legittimazione ed in pendenza 
del procedimento di legittimazione delle terre oggetto di occupazione, 
legittimamente il Commissario liquidatore degli usi civici ne ordina, con 
provvedimento immediatamente esecutivo, la reintegra a favore dell'Ente 
locale (2). 

E viziato per travisamente di fatti, conseguente ad erroneit� di presupposto, 
il provvedimento del Commissario liquidatore degli usi civici 

(1-3) Sui poteri dei Commissari agli usi civioi cfr. Cons. St., Sez. VI, 15 gennaio 
11974 n. ,1 secondo la quale fe attribuzioni demandate ai Commissari non 
sono ristrette alla sola classe di questii.oni giurisdizionali, ma comprendono anche 
i poteri amministratii.v.i relativi alla concreta futtispecie nella procedura esperibile 
al fine di ottenere una concreta sistemazione degli usi civici locali, e Cons St., 
Sez. IV 30 luglio .1974 n. 553 per la quale l'esame che il Commissario per la 
liquidaziione degLi usi civici, rispetto alla chiesta legittimazione di un fondo, fa 
per quanto attiene al requisito delle �sostanziali e permanenti migliorie, ai 
sensi dell'art. 9 1ett. a) I. 16 giugno 1927 n. 1766, non si concreta in una indagine 
meramente tecnica, ma si risolve in una vera e propria valutazione di carattere 
tecnico-discrezionale. Oass. 21 aprile 1982 n. 247.1 distingue tra il potere 
giurisdizionale esercitato nell'accertamento dei presupposti della legittimazione 
delle occupazioni delle terre del demanio civico ed il potere di determinazione 
delle condizioni di legittimazione tra cui il canone da imporre sul fondo, sindacabile 
quest'ultimo dal G.A. in sede di impugnazione degLi atti finali del procedimento 
di legittimazione. 

Si rammenta infine Cass. 10 giugno 1982 n. 3527 che ha riconosciuto la qualit� 
di necessario contraddittore allo Stato nella controversia davanti al Com


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PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA. 121 

che si presenti formalmente come sentenza emessa su un ipotetico ed 
in realt� inesistente ricorso del Comune interessato (3). 

missarlo regionale vertente tra un Comune che agiva per il riconoscimento ai 
suoi cittadini del dirotto di uso civico di pesca sulle acque demaniali di un 
fiume ed il titolare del diritto esclusivo di pesca sulle stesse che si opponeva 
a tale riconoscimento. 

CONSIGLI DI STATO, Sez. IV, 27 ottobre 1983, n. 742 -Pres. Mezzanotte, 
Est. Lignani -Tota (avv. Brusca S.A.) c. Ministero dele Finanze (Avv. 
Stato Carbone) ed altri. 

Impiego pubblico -Concorso per segretario principale � Titolo di studio 
Diploma di geometra � Inidoneit�. 

Impiego pubblico � Passaggio di carriera � Qualifica acquisita in altre 
Amministrazioni � Inidoneit�. 

Dal concorso riservato per il conseguimento della qualifica di segreta� 
rio principale legittimamente viene escluso il candidato interno in possesso 
del diploma di geometra, in quanto si richiede il titolo di studio 
ordinariamente previsto per i candidati esterni e ad esso non � applicabile 
la norma eccezionale che ammette il titolo di geometra nel concorso 
pubblico per conseguire lo status di ruolo cui partecipino anche candidati 
esterni in condizioni di parit� (1). 

Per la norma che consente l'accesso ai concorsi riservati per passaggio 
di carriera ai dipendenti in possesso di una determinata qualifica non 
rileva la posizione acquisita in una Amministrazione div.ersa (2). 

(1-2) La decisione decide una questione piuttosto particolare concernente 
l'ammissione al concorso per il conseguimento della qualifica di segreta.rio prin 
cipale ex art. 111. 118 marzo 1968 n. 248 in base alle disposizioni del d.P.R. 28 di� 
cembre 1970 n. ,1077 ed esamina poi il significato dell'art. !J.29 del R.D. 23 mar� 
zo 11933 n. 1185 e dell'art. 1148 d.P.R . .tf177/1977. 

OOINSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 27 ottobre 1983, n. 744 -Pres. De Roberto 
-Est. Lignani -Soc. Immobiliare Patrizia (Avv. Montuori e 
Bonetti) c. Regione Lombardia (Avv. Stato Ferri) e Comune di Pavia 
(Avv.ti Pagano e Lorenzoni). 

Edilizia ed urbanistica � Piano Regolatore � Vincoli preordinati all'espropriazione 
� Limite quinquennale. 

Deve essere riimesso all'Adunanza Plenaria il giudizio nel quale si discute 
se sia tuttora in vigore la norma che limita a cinque anni la validit� 



RASSEGNA DEU..'AVVOCATURA Dm.J..O STATO

122 

dei vincoli preordinati all'espropriazione posti con gZi strumenti urbanistici 
(1). 

(11) La norma della cui vigenza si dubita � quella contenuta nella I. 29 novembre 
'1967 n. l187 ed il dubbio era gi� stato prospettato dalla stessa Sez. con 
l'ordinanza 26 luglio 1983 n. 584, dopo che le sentenze di molti T.A.R. l'avevano 
ritenuta dnapplicabile a segU!�to dell'entrata dn vigore della I. 28 gennaio 1977 n. 10. 
CONSIGLIO DI STATO, Sez. V; 30 settembre 1983, n. 405 � Pres. Piga, 
Est. Cossu -Prodromi (Avv.ti Ierimonte, Giacomini e Castellano) 

c. ComUllle di Verona (Avv.ti Picotti e Fermarelli). 
Giustizia amministrativa � Ricorso � Notificazione � Persona convivente 
Non veridicit� della circostanza -Irritualit�. 

Non pu� ritenersi rituale la notizia effettuata a mani di persona indicata 
come convivente dall'Ufficio giudiziario qualora venga dimostrato 
con certificazione anagrafica che tale persona non era effettivamente convivente 
con il destinatario dell'atto (1). 

(l) Comunque secondo Ad. Plen. 10 giugno 1980 n. 23 �eventuali errori di 
rito nella notificazione del ricorso che siano imputabili agli organi pubblici 
dei quald la parte � tenuta ad avvalersi non possono dnoidere sul diritto alla 
tutela giurisdi2lionale, per cui in casi del genere il giudice, riconosciuto l'errore 
scusabile, deve rimettere dn termini di ricorrente per la notdf�ca del ricorso. 
CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, 30 settembre 1983, n. 412 � Pres. Piga, 
Est. Insinna -Tirone (Avv. De Mairtini) c. Comune di Macomer (Avv.ti 
Aru e Ghisu). 

Impiego pubblico � Rapporto a tempo determinato � Trasformazione in 
rapporto a tempo indeterminato -Esclusione. 

Non pu� trasformarsi in rapporto di lavoro a tempo indeterminato 
quello instaurato con l'assunzione di dipendenti da parte di un Comune 
per lo svolgimento di funzioni provvisorie ed eccezionali (1). 

(1) Nello ,stesso senso ofr. Cons. Stato, Sez. VI, 29 maggio 1981 n. 234, che 
per� ha ritenuto illegittimo lii provvedimento di nomina a tempo determinato di 
insegnante dell'E.N.A.L.C. al quale venga affidato l'iinsegnamento di una materia 
stabilmente compresa nei corsi con pieno orario settimanale e per l'intera 
durata dei corsi; e Sez. V, 11 gennaio 1970 n. 6 che ha negato il carattere di 
rapporto a tempo indeterminato a quello instaurato da un Comune per molti 
anni sempre con lo stesso personale per provvedere ad esigenze stabdli e ricor 
renti, ma stagionali dei bagni di mare e del riscaldamento. 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA>' 123 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, 10 ottobre 1983, n. 430 -Pres. Crisci, 
Est. Cossu -Amitrano ed altri (Avv. Kldtsche de la Grange) c. Comune 
di Roma (Avv. CamovaJe). 

Giustizia amministrativa -Esecuzione del giudicato -Domande nuove �Rivalutazione 
ed interessi -Inammissibilit�. 

Non � ammissibile la richiesta di corresponsione della rivalutazione 
manetaria e degli interessi legali formulata per la prima volta in sede 
di giudizio di ottemperanza relativo ad una decisione contenente la condanna 
dell'ente pubblico al pagamento di somme dovute per retribuzioni 
(1). 

~1) La decisione conferma, in relazione alla particolare fattispecie, la precisa 
volont� del Consiglio di Stato di non ammettere ingresso nel giudizio di 
inottemperanza a questioni non decise nel giudicato �di cui trattasi. Ln tal senso 
possono rioordarsi IV, 7 dicembre 11979 n. 1'130 per la quale in tale sede non 
sono ammissibili censure non concernenti i proyvedimenti impugnati; VI, 3 febbraio 
:1976, n. 36; VI 7 dicembre 1973 n. 571 e VI 4 luglio 1972 rn. 411 secondo 
la quale la procedura suddetta trova un limite dnvalicabile nel contenuto formale 
e sostanziale del giudicato, essendo l'obbligo dell'Amministrazione solo quello di 
attuare la decisiorne in relazione alla situazione definita in sede giurisdd:ziionale. 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, 19 ottobre 1983, n. 456 -Pres. Crisci, 
Est. Cossu -Soc. Funivie Seggiovie S. Martino (Avv.ti Giovannintl 
e Romanelli) c. Comune di Sivar (Avv. Cacciavillani) e U.T.E. di 
Trento (Avv. Stato Ferri). 

Urbanistica -Opere abusive -Provvedimento del Sindaco applicativo di 
sanzione pecuniaria � Valutazione dell'U.T.E. del valore delle opere Necessit� 
notifica precedente o contestuale. 

Urbanistica -Opere abusive -Provvedimento del Sindaco applicativo di 
sanzione pecuniaria -Identit� sanzione rispetto ad altra annullata in 
sede giurisdizionale -Legittimit�. 

Urbanistica � Opere abusive � Valutazione dell'U.T.E. -Determinazione del 
valore in base al costo -Legittimit� per manufatti particolari. 

E' illegittimo il provvedimento del Sindaco che applica la sanzione 
pecunaria per le costruzioni abusive di cui non sia possibile la riduzione 
in pristino, quando non sia stata precedentemente o contestualmente 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

124 

notificata la valutazione dell'ufficio tecnico erariale concernente il valore 
venale delle opere stesse (1). 

Non � illegittimo il provvedimento del Sindaco che applichi la 
medesima sanzione pecunaria gi� annullata dal G.A. per mancata determinazione 
dei criteri di calcolo del valore delle opere abusive, quando la 
nuova ingiunzione contenga un riferimento specifico ai criteri stessi (2). 

Non � illegittimo il provvedimento del Sindaco che nell'applicare 
la sanzione pecuniaria per la costruzione di opere abusive faccia riferimento 
alla valutazione dell'U.T.E. che determina il valore delle opere 
in base al loro costo, quando la particolare natura dell'edificio non 
consenta la comparizione con edifici analoghi, (nella specie trattavasi di 
immobile sito in alta montagna al servizio di impianto di funivia (3). 

(1-3) � da sottolineare preliminarmente che :il Consiglio di Stato, pur annullando 
il provvedimento impugnato dn relazione al motivo di cui alla prima massima, 
si � tuttavia pronunciato anche sugli altri motivi, onde confutarne la 
fondatezza nel ddchiarato intento di <agevolare il compito del Comune nella 
rinnovazione della sanzione pecundaria. Sulla necessit� della notifica della valutazione 
dell'U.T.E. cfr. la sentenza B novembre 1981, n. 548 richiamata in 
motivazione, mentre i precedenti contrari (V 26 giugno 1981 n. 301, V 28 marzo 
1980 n. 327) riguardavano sanmoni drrogate prima dell'entrata in vdgore della 

1. 10/,1977 quando vdgeva invece l"airt. '13 1. 765/1967 che non imponeva tale adempimento 
preliminare. 
Sulla necessit� che il provveddmento che stabilisce il quantum della sanzione 
contenga l'esplicazdone analitica dei criteri assunti e dei parametri di 
valutazione cfr. V 27 novembre 11981 n. 606. 

Circa la determinazione del valore delle opere abusive non in base al costo, 
ma al valore inteso nel ,suo significato tradizionale di prezzo di mercato in 
sede di libera contrattazione cfr. V 18 novembre 1977 n. 1035 e V 1� febbvaio 1977 

n. 78 
CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, 28 ottobre 1983, n. 506 � Pres. pjga, 
Est. Adobbati � Comune di Roocetlla Ionica (Avv.ti Lombardi, Comite 
e Torchia) c. Fii.locarno (Avv.ti ScawJ.ione e Salerno) ed altri 

(n.c.) 

Opere pubbliche � Impianti sportivi � Trasferimento alle Regioni di fun. 
zioni amministrative per lavori pubblici di interesse regonale � Parere 
del CONI per progetti e impianti sportivi � Permanente necessit�. 

Anche dopo il trasferimento alle regioni delle funzioni amministrative 
in materia di lavori pubblici di interesse regionale, tra i quali sono 
comprese le attrezzature sportive, ed anche se la legislazione regionale 
della Calabria esclude la necessit� dei pareri di organi regionali sulle 


PARm I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 125 

opere di competenza dei comuni di valore inferiore ai 300 miliardi, 
� tuttavia pur sempre necessario il parere del CONI sul progetto per 
la realizzazione di un impianto sportivo sicch� � illegittima l'approvazione 
di tale progetto da parte del Comune quando non sia stato previamente 
sentito il suddetto Comitato Olimpico Nazionale Italiano (1). 

(1) Sulla natura del Coni cfr. Cons. St., Sez. VI, 26. settembre 1~5 n. 394, 
che lo definisce persona giuridica di diritto pubblico sottoposta alla vigilanza 
del Ministero del Turismo che, con D.M. 5 dicembre 1968 di concerto con il 
Ministero del Tesoro, ha approvato dl regolamento organico del personale. 
CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 24 settembre 1983, n. 683 -Pres. Daniele, 
Est. Berruti -E.N.P.A.I.A. (Avv. Pace) c. Baldassarre (Aw. Ielpo) 
e Villani (n.c.). 

Atto amministrativo -Incompetenza -Convalida con efficacia � ex tunc � 
Ammissibilit� per atto impugnato. 

Alla convalida dell'atto viziato per incompetenza pu� procedersi 
da parte della P.A. con efficacia ex tunc, anche dopo l'impugnazione 
dell'atto stesso in sede giuri.sdizionale (1). 

(1) Sulla possibilit� di convalidare ai sensi dell'art. 6 1. !1.8 marzo 1968 
n. 249 il provvedimento viziato per incompetenza con e:fiietto retrodatato cfr. anche 
Cons. Stato, Sez. IV, 20 dicembre 1977 n. J.455, la quale ha affermato che 
in tal caso il giudice adito deve dichiarare cessata la materia del contendere 
P.er l'applicabilit� della medesima norma anche agli atti ammdnistrativi regio� 
nali cfr. Cons. Stato, Sez. IV 21 aprile '1978 n. 351. Non � invece ammessa 
la convalida dell'atto amministrativo definitivamente ,annullato in sede giurisdizionale, 
cos� Cons. Stato, Sez. V 14 marzo lm, n. 168. 
CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 24 settembre 1983, n. 686 � Pres. Daniele, 
Est. Bermti -Banca d'Italia (avv. Scognamiglio e Sangiorgio) c. Fa� 
vocoia ed altni ('avv. D'Amati e Paprunti PeHetJier). 

Impiego pubblico -Donne -Provvedimenti discriminatori -Giurisdizione 
amministrativa anche per azioni cautelari. 

Impiego pubblico � Donne � Atti discriminatori � Associazioni sindacali � 
Legittimazione a ricorrere per delega. 



126 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO 

Impiego pubblico � Disciplina requisiti accesso � Deroghe a divieto discri� 
minazione donne � Ammissibilit� � Necessit� nonne regolamentari � 
Illegittimit� bando concorso implicitamente discriminatorio. 

In materia di pubblico impiego sono devolute al g.a. le controversie 
relative all'applicazione della legge sulla parit� di trattamento e sulla 
soppressione delle discriminazioni fra uomini e donne per l'accesso al 
lavoro, anche per quanto concerne l'esercizio dell'azione cautelare delle 
organizzazioni sindacali dei lavoratori (1). 

Nell'ipotesi di atti discriminatori compiuti dalla p.a. in violazione 
della legge sulla parit� tra uomini e donne nell'accesso al lavoro, le associazioni 
sindacali sono legittimate a ricorrere solo per delega del lavoratore 
e non anche in nome proprio (2). 

L'ente pubblico pu� disciplinare discrezionalmente i requisiti di 
accesso all'impiego ed in vista di peculiari esigenze dei propri servizi 
pu� introdurre deroghe al divieto di discriminazione dei lavoratori per 
ragioni di sesso, quando si tratti di mansioni di lavoro particolarmente 
pesanti, ma, in difetto di norme regolamentari in tal senso, � illegittimo 
il bando di concorso che ponga requisiti di ammissione tali da precludere 
l'accesso alle donne (nella specie � stato ritenuto tale il requisito 
richiesto dalla pregressa appartenenza dei candidati ai corpi armati di 
polizia) (3). 

(:1-3) Sull'accesso a pubblici uffici delle donne cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 
30 novembre 1976 n. 424, per la quale l'art. 51 della Costituzione, nel prevedere 
la eliminazione di ogni discriminazione per ragioni di sesso, si limita a porre un 
principio di ordine pubblico, che non interferisce col regime giuridico del pubblico 
impiego, ed inoltre il principio di eguaglianza vieta ogni arbitraria discriminazione 
ma non impone un assoluto livellamento fra gli appartenenti all'uno 

o all'altro sesso tale da escludere la possibilit� di considerare le evidenti differenze 
fisiologiche atte a produrre una diversit� di situazioni obiettive anche 
nel lavoro, con conseguenti differenze di disciplina giuridica. In quel caso tratta� 
vasi di personale adibito a mansioni che richiedono fatiche :fisiche e si ritenne 
non contrastante con d principi costituzionali la norma dell'Ente pubblico che 
prevedeva il pensionamento a 55 anni per la donna e 60 per l'uomo sul presupposto 
dell'anticipato venir meno dell'attitudine fisica al lavoro della prima 
rispetto al secondo. Cons. Stato, Sez. IV, 17 dicembre 1974 n. 1046, invece, sul 
presupposto che il principio di eguaglianza per non essere ridotto ad astratto 
ed impraticabile egualitarismo implica la sussistenza di eguali riferimenti oggettdvi 
e soggettivi, ha ritenuto che, tenuto conto delle differenze esistenti tra dipendente 
pubblico e privato e tra impresa privata e P.A., fosse manifestamente 
infondata la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 3 ultimo comma, 
l. 1204/71 che estende solo alle lavoratrici dipendenti della P.A. i benefici di 
inquadramento di cui all'art. 13 l. 300/11970. Ancora per riferimenti si ricorda 
Cons. Stato, Sez. IV, 28 luglio 1982, n. 526 che, annullando T.A.R. Toscana 
15 ottobre 19&1 n . .wl2, ha ritenuto legittimo il provvedimento dell'Accademia 
;::

Navale di Livorno che escludeva una donna dalla partecipazione al concorso 

~j

per il reclutamento di allievi ufficiali nella Marina militare, e la nota a tale ~:: 
sentenza di E. Rossi pubblicata in Foro it. 83, III, 386. 

II 


PARTB I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 127 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 31 gennaio 1984, n. 37/84 -Pres. Caia


nello, Est. Tanzi -Ministero della Pubblica Istruzione (avv. Stato 

Bruno) contro Comune di Lav:i>a1D.o (avv. Iaccarino). 

Giustizia amministrativa � Avvocatura dello Stato � Notifica della sen� 
tenza � Notifica all'Amministrazione -Inidoneit� a far decorrere terInine 
impugnativa. 

Giustizia amministrativa � Avvocatura dello Stato � Costituzione in giu� 
dizio � Comparizione in camera di consiglio � Atto formale di costituzione 
� Non necessarlet�. 

Giustizia amministrativa � Avviso d'udienza -Mancata notifica ad Avvocatura 
Stato -Nullit� sentenza -Rimessione al primo giudice. 

Quando l'Avvocatura dello Stato si sia costituita nel giudizio di primo 
grado in rappresentanza dell'Amministrazione resistente, la notifica della 
sentenza effettuata presso l'Amministrazione stessa e non presso l'Avvocatura, 
non � idonea a far decorrere il termine breve per l'impugnazione 
(1). 

Deve ritenersi ritualmente costituita in giudizio l'Avvocatura dello 
Stato in rappresentanza e difesa dell'Amministrazione resistente, quando 
essa sia comparsa in Camera di Consiglio per la discussione della sospensiva, 
pur se non abbia depositato alcun atto formale di costituzione 
(2). 

La sentenza del T.A.R. che sia stata pronunciata senza la preventiva 
notifica all'Avvocatura dello Stato, gi� costituita, del decreto presidenziale 
di fissazione d'udienza deve essere annullata con rimessione 
della causa al Tribunale per una nuova pronuncia sul merito del ricorso 
(3). 

(,1) Il Consigli.o di Stato non affronta una volta per tutte la questione dell'applicabilit� 
del principio dell'onere di notificazione della sentenza presso l'Avvocatura 
dello Stato a prescindere dalla sua pregressa costituzione in giudizio 
in materia di giustizia amministrativa, limitandosi a porre i termini del problema 
e cio� se la necessit� della notifica discenda dal combinato disposto 
degli artt. 170 e 285 c.p.c. o pi� generalmente degli artt. 110 e 12 I. 103/1979, per 
poi aggirarlo in quanto nel caso di specie l'Avvocatura era costituita in primo 
grado. 

La sentenza tuttavia non manca di sottolineare come tutte le volte che 

la questione � stata affrontata anche recentemente dall'Adunanza Plenaria e dalle 

Sezioni Unite essa sia stata trattata in modo marginale e tutt'altro che appagante. 

Occorrer� dunque attendere un'altra occasione per l'auspicato chiarimento giu


risprudenziale sulla portata innovativa della legge 103/1979, che appare difficil


mente contestabile sul punto. 

(2) Questa massima riassume l'aspetto pi� interessante della decisione che, 
per la sua novit�, non trova precedenti nella giurisprudenza del Consiglio di 
Stato. 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

128 

(omis'sis) Prelhninarmente via esaminata l'eccezione sollevaita dal 
comune di Laviano, attuale appellato, riguardo ailil'aisserit:a tardivit� 
della notJifica dell'atto di appello, che sarebbe stata effettuata oltre i 
sessanta giorni dopo la notifica della sentenza di 1� grado ai due organi, 
centlrale e peri.ferii.co, dell'Amminist:mzione scolastica, ora appeHainte con 
il patrocinio dehl'Avviocatura generale dello Stato. 

L'eooeziOille va disattesa in base al costaintie orientamento di ques�to 
Consiglio, determinrato dalle due note decisioni dell'Adunanza Plooari:a 
7 dicembre 1979 n. 32 e 6 maggio 1980 n. 12, secondo cui fil tierrnine breve 
per appellare deconre, per l'Amministrazione �statale soccombente, dalla 
notifica della sentenza effettuata presso l'Avvocatura domiciliataria ex 
lege e non presso la sede reale dell'Amminristrazione medesima. 

Vero � che il �surriiferito iinsegnamento girurisdiziionaile, nel quale tralaticiamente 
si riflettono le sommarie consiiderazionri dell'AdUD!anza Plenaria 
sU!l comples�so problema, non chiarisce adeguatamente se la necessit� 
della notifica della sentenza presso l'Avvocatura siia dJa porre in relazione 
con ml combinato rdisposto dewli 1artt. 170, primo e terzo comma, e 
285 cod. proc. civ. (dal che potrebbe trarsi argomento per sostenere che 
il principio valga nel �solo caiso di regolare costituzione della difesa 
erariale nel 1� grado del giudizio) o non piiutitosto con le disposizioni 
degli a:rtt. 10, terzo comma, e 12 della legge 3 aprile 1979 n. 103, le quali, 
nichiamaindo in vita l'art. 1 delJla legge 25 marzo 1958 n. 260, da un lato, 
e daill'altro lato conferendo carattere di organicit� alla rappresentanza 
in guidtizio delle Amministra.7Ji.oni statali (o altre �assimilate�) da parte 
dei1l'Avvooatw:a dello St:ato, sembrano violer imporre in ogni ooso �la notifica 
di qualunque atto giudi:ciariio (quindi anche delle sentenze, ancorch� 
non comprese nell'ambito precettivo della norma espressamente ri-

Il ragionamento seguito � ineccepibile, esso muove dal principio della 
libert� di forma per fa costitumone in giudizio e rileva che l'unico documento 
indispensabile per i difensori diversi dall'Avvocatura dello Stato � fil mandato, 
che tale mandato non � per� necessario nel caso di specie dato il oarattere 
organico del rapporto di rappresentanza processuale, per concludere nel senso 
dell'irrilevanza della <.ostituzione documentale e la sufficienza a tal fine della 
compari2lione dell'avvocato dello Stato alla discussione della sospensiva. La 
�sentenza si sofferma anche a sottolineare il carattere dnterno dell'incidente � 
oautelare rispetto al giudizio cli merito, per confutare agni possibile obiezione 
in ordine alla limitatezza dell'intervento dell'avvocato dello Stato al giudizio 
caute1are. Si potrebbe forse solo aggiungere a quanto perspicuamente dedotto 
in sentenza che se lo scopo della' costituzione in giuwio � quello cli consentire 
alla parte resistente di avere notizia della vicenda del processo per poter 
partecipare al contraddittorio una volta che tale contraddittorio si sia gi� instau� 
rato nell'udienza di sospensione, ia presenza della parte nel processo si � ormai 
definitivamente realizzata assorbendo ogni questione sulla costitu:rione che � un 
prius rispetto alla comparizione. 


PARm I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 129 

cmamata dall'art. 10 legge n. 101/79) presso gli uffici della difesa erariale 
indipendentemente dalla posizione processuale da questa assunta nel 
primo grado del processo. 

Il problema (cui nessun contributo risolutivo hanno appontato neppure 
le recenti sentenze della Cassazione a Sezioni unite n. 5687 del 
2 novembre 1979 e n. 2113 deLl'll 1aprile 1981) non deve tuttavia essere 
necessariamente affrontate ~n questa ,sede, poich� l'Avvocatura dello Stato 
si era costituita per a:J. Mirnistero della P.I., nella pregressa fase del giudi2Jio, 
comparendo :in camem cli consigliio dinanzi al T.A.R. al fine di 
resistere alla domanda incidentale di sospensione degli atti impugnati che 
il ricorrente Comune di Laviano aveva avanzata con il ricorso introduttivo. 


Non va:le opporre in contrario, come argomenta l'appellato, anche 
sulla base �!� copiosa documentazione rilasciata alla segreteria del T.A.R., 
che l'Avvocaitura non risulta presente in ~udi:llio I�n primo gmdo per 
mancanza di �atti formali di costiituzione � o di altra �produzione � 
documentale all'uopo idonea; oi� in quanto, da un lato, l'art. 37 del 
rid. 26 giugno 1924 n. 1054 e l'art. 22 dehla legge 6 dioembre 1971 n. 1034 
non nichiedono forme partico1ani per la costitUZJione I�lil giudizio delle 
parti diverse dal ricorrente, e dall'altro lato il carattere organico del 
parporto di rappresentanza processuale che intercorre tra Amministrazione 
attiva e Avvocatura dello Stato esclude la necessit� del deposito 
dell'unico documento la cui prodUZJione appare in casi si.milli. veramente 
indispensabile (cio� 1ia procura: arg. ex art. l, secondo comma, del 
rd. 30 ottobre 1933 n. 1611). 

La circostanza, poi, che il rappresentante della difesa erarialie sia 
compai11So soltanto in camera di consigl.iio per d:i.scutlere le questioni 
attinenti all'istanza di sospensiva non � di per s� idonea a togliere 
rilevanza aM'intervento processuale in reJazione alle successive fasi del 

(3) Il difetto di procedura ed i vi:ci di forma che ex art. 35 I. 1034/197:1 comportano 
il rinVii.o della causa al giudice �di primo grado devono essere intesi 
in senso restrittivo comprendendovi essen:ciahnente i casi in cui il T A.R. abbia 
omesso di decidere la controversia ovvero l'abpia dce�isa in viiolazione delle 
norme sul contraddittorio ed i casi di nullit� della 'Sentenza (cfr. Cons. Stato, 
Sez. V, 12 febbraio 1978 n. 239); Cons. Stato, Sez. V, 24 febbraio 1978 n. 373 ha 
rimesso all'Adunanza Plenaria di chiarire se nell'espressione �difetto di procedura 
� rientri anche l'ipotesi di tardivit� ad inammissibilit�. La ipotes�i pi� 
frequente di rinvio al giudice di primo grado ex art. 35 sono quelle in cui ii.I 
Consiglio di Stato ritiene che durante il procedimento di I grado non sia stato 
rispettato dl contraddittorio (cfr. IV 24 giugno 1980 n. 696 e V 15 febbraio 1980 
n. 1711), la quale ultima ha qualche punto di contatto con la decisione qui massimata, 
in quanto ravvisa tl difetto di contraddittorio nel mancato invio dell'avvdso 
di udienza alla parte agente con ricorso incidentale, gi� dichiarato inammissibile, 
ma senza estramissione del ricorrente stesso. 

130 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

processo in pr.imo grado lin quanto l'dnoidente cautelare, pur sorretto 
da taluni autonomi presupposti, costituisoe pur sempre una fase interna, 
per cos� dire, del giudizio principale, essendo preordinato a creare 
situazioni strumentaili in vista della pronuncia conclusiva eventualmente 
favorevole (talch� non avrebbe senso per l'Amministrazione resistente 
spiegare mtervento nel procedimenrtlo cautelare Senul opporsi anche, e 
principaliter, ailda pretesa sostami.are del ricorrente al fine di impedire 
la realizLJazione degli effetti f�naili che 'la domanda di pa:11te tende a perseguire); 
dii conseguenza, l'intervento del rappresentante dell'Avvocatura 
erar.iale, che appaia crnwamente f�n0illizzato a costiruire il contraddittorio 
in ordine alle questioni sollevate con l'istanza di sospensiva, non pu� 
intendersi limitato a tale particolare false del processo senza con ci� 
stesso postulare la completa autonomia del procedimento oaut:elare rispetto 
al wudiizio dii memrto, autonomia che deve essere invece esclusa 
per l'impossibHit� Iogico-gtiuridica di sV!i:ncolare la pronuncia, chlesta dalle 
parti e resa dail giudice, sulla iistanm cauteliare, dal successivo accertamento 
sul merito della pretesa che le parti medesiime, oontendendo in 
ordine ai! presupposti dehla �sospensiva�, conrtestualmete e necessariamente, 
ancorch� non sempre espressamente; devono chdedre allo stesso 
organo giudicante. � appena dl caJSO di aggiungere, poi, che nel caso 
specifico non risulta che il ricorso introduttivo sia stato notificato agli 
organi dell'Ammd.ndstrazione scolastica presso l'Avvocart:um distrettuale 
(come tassativamente dispone, iinvece, d'art. 1 della legge n. 260/58, richiamato 
dall'art. 1 della legge n. 103/79), 'sicch� 1a mancata costituzione 
della stessa �Avvocatura, qualora dovesse aderirsi a!Lla tesi qui sostenuta 
daili'appellato, avrebbe comportato l'impossibilit� di sanatoria della nulUt� 
deHa notifica del ricorso (art. 11, terzo comma, del r.d. 30 ottobre 
1933 n. 1611, � emandato � dahla pronuncia della Corte Cost. 8 luglio 
n. 97); e questa ultima conseguenza nella specie risulterebbe aberrante, 
cons~derando che la prova dell'essersi in effetti :realizzato il fine 
precipuo dell'atto partecipativo � data proprio dall'intervento spiegato 
dalla dii.fesa erariale dn sede di discussione d:e1la sospensiva, ond'� che, 
anche per tale via, resta confermata la conclusione test� raggiunta circa 
ili valore di formai1e atto d� costituzione da riconoscersi aMa � presenza � 
del competente organo della difesa erariale nella fase cautelare del pro.
cesso dri primo grado. 

Dalle suesposte considerazioni emerge altres� la fondatezza del primo 
motiivo di appeiLlo, atteso che m>n solo al:l'Avvocaitura non fu notifi.
cato, � ailmeno quaranta giorni pPima �, iii decreto presidenziia:le di fissazione 
dell'udiienza di discussione del ricoI'So (art. 75, terzo comma, 
legge n. 1034/71), ma neppure fu data, come emerge dalla documentazione 
in atti, �comunicazione� di tale data al Ministero della P.I., che pure 
:figurava tra glH organi intimati fil giudizio per essere l'Autorit� da cui 


PARm I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA. 

emanava uno dei provvedimenti impugnati (cfr. peraltro, l'art. 54 del 
regolamento 17 agosto 1907 n. 642 che tale comunicazione impone pur 
qu!ando !itl Mrinisllero non sia l'organo emanante l'atto i:impugnato). 

Il rilevato difletto di procedura, che appare in questo grado msanabile 
in quanto integra una vfomione del contraddittorio nella pr�ma fa!Se 
processuaie (cfr. Sez. V, 15 febbraiio 1980 n. 121), dmpone l'annUil:lamento 
delila sentenza e la r�messiorre della causa al Tribunalie per una nuova 
pronuncia sul merito del ricorso, ai 1sensi deH'airt. 35 della legge numero 
1034/71. 


SllzIONE SESTA 

GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 9 agosto 1983, n. 5318 -Pres. Brancaccio 


Est. Sgroi -P. M. Zema (diff.) Soc. Papigliano c. Minli.stero delle Fi


nanze (Avv. Stato Mari). 

Tributi erariali indiretti -Imposta di registro � Agevolazione per costruzione 
di case di abitazione non di lusso -Area edificabile -Nozione. 

(I. 2 luglio 1949, n. 408, art. 14). 
Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Permuta -Convenzione di 
reciproca deroga alle distanze legali -:I!: tale. 

(r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 51). 
Ai fini dell'art. 14 della legge 2 luglio 1949, n. 408, l'acquisto di area 
edificabile deve essere inteso estensivamente per comprendere ogni diritto 
immobiliare, anche diverso dalla propriet�, che concorre alla costruzione 
di case di abitazione, anche incrementando la possibilit� di 
sfruttamento dell'area (applicazione all'ipotesi di costituzione di reciproche 
servit� di costruire sul confine in deroga alle distanze legati) (1). 

La convenzione di costituzione di reciproche servit� di costruzione 
sul confine in deroga alle distanze legali � equiparabile ai fini dell'imposta 
di registro a un contratto di permuta (2). 

(omissis) Con il pnimo motivo �le societ� :rii.correnti deducono fa v.io� 
1Jazione e fa:1sa applicazione dell'art. 14 legge 2 !ruglio 1949 n. 408 nonch� 
omessa, insufficiente e oontmddittoria motiivazione, ai iselllSi dcl.l'art. 360 

n. 3 e n. 5 cod. proc. oiv., osservando che anche la Corte d'appeHo ha 
premesso che l'espressione � acquisti di aree edificabili � di cui all'art. 14 
della -legge Tupini non deve essere tintesa in senso rest:niittivo, ma raippresenta 
un ampio concetro; ma ha poi negato che i diritti nascenti 
(�1-2) La prima mass1ma fa applicazione di un principio affermato riguardo 
alle � oessiorni. di cubatura� previste nel piano regolatore cli Torino. (Cass. 22 gennaio 
11915 n. 250, in questa Rassegna, 1975, I, 419) e successivamente esteso alle 
concessioni ad aedificandum (v. Relazione Avv. Stato, �1976, -80, II, 639). 

La seconda massima si rif� ad una sentenza che, con riferimento all'ipotesi 
opposta, qualificava la costituz'.ione di servit� reciproca come permuta per 
escludere la configurabilit� di due rinunce gratuite (29 luglio 1974, n. 2286 
in questa Rassegna, 1974, I, :1252); non si riscontra invero una !identit� di problematica, 
giacch� nella creazione di due servit� reciproche non si attua un duplice 
trasferimento. 

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I


I 
II 
i 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

dal contratto rappresentassero un effettivo incremento di area edificabile 
e fossero 1in rapporto di complementarit� funzlionale con la progettlata 
edificazione, dimenticando che sii deve aver riguardo all'lincremento 
dell'ediificabiiliit�. 

Nel �caso concrieto: 1) li concessi diritti dli �edifiicare sino sul confine 
avevano comportato un �effettivo incremento di edif�cabiiliit� neJ paitximomio 
dei soggetti contraenti che senza tale concessione di d�ritti sarebbero 
stati tenuti alla costruzione di oase dii minor cubaltura per l'imposslibilit� 
di costruzione sui clistacchi; 2) le costituite servit� di passaggio pedonale 
e carrabile appru�vano in rapporto di complementariet� funzionale 
con le oostru2lion� quali progettate; 3) le stesse servit� di costruire baiCO!
lli e loggette aggettanti sul fondo confinante o di aprire su esso fondo 
finestre ed accessi, in quanto collegate con Je servit� di cui ai punti 
preced.entJi, sii presentavano funzionalmente complementari alle costru2!:
�.oni progettate, considerato che la lllalllcanza di tali servit� avrebbe 
reso inutili le due precedenti servit�, in quanto s�arebbe stato linutile poter 
avanzare la facciata o H piano dei fondi di un fabbricato slin su:l confine, 
se poi si fossero dovuti costruire 1a facciata cieca e !�. fondi senza 
aooessi. 

Con il secondo mezzo, le societ� ricorren.ti deducooo 1a v.iolazi.one e 

falsa applicazione deIJ'art. 1552 cod. civ., nonch� degfil artt. 8 e 51 del 

rid. 30 dicembre 1923 n. 3269, ed omessa, insufficiente, contraddittoria 

motiva2lione su punti dec~siv.i della controversia, osservando che la Corte 

d'appello ha :ritenuto che essen2liale elemento del contratto di permuta 

sarebbe !il trasferimento di propriet�, mentre l'airt. 1552 cod. civ. lo defi


nisce come H contratto che ha per oggetto :iJl reciproco trasferimento 

de.Ha propriet� d!i. cose o di ailtri diritti; ed inolrtre che 1a Coilte d'appello 

ha escluso il slinal1agma nel caso di specie, mentre i contraetnlti avevano 

espressamente dichiarato di permutare l.e servdt�, che si manifestavano 

le une costituite quali U!llico corrispettivo della eo&llitu:zJ.ione de1Ie altre. 

Invero, ove si fosse negato l'unitariet� del contratrt:o in questione, si 

sarebbe dovuto concludere che i due ,autonomi negozi fossero stati sti


pulati a titolo di liberailit�, il che era assurdo. 

D'altra parte, secondo i ricorrenti, anche a non poter quailificare come 

permuta !il contratto, ai fini dell'imposta di registro esso avrebbe dovuto 

essere assimiil:ato al contratto .rappresentante :hl tipo negoziia:le ad esso 

pi� v:ioino, per cui la tJassazJi.one avrebbe dovuto avven�re -ai sensi 

degli artt. 8 e 51 della legge di registro allora vigente -con riguardo 

ad entrambe 1e prestazioni. 

IJ 111�corso � fondato, per quanto di ragione. 

Le questioni sollevate con il primo motivo coinvolgono l'interpreta


zione deIJ'art. 14 della legge del 1949 n. 408 che secondo ila giurisprudenza 

di questa Corte, deve essere inteso estensivamente comprendendosi nella 


134 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

norma anche l'acquisto d:i un diritto di superficie o di altI1i diritti immobiliari 
(diversi dal diritto di propriet� sull'area) che si:ano diretti a 
permettere sull'area la costruz�one idi case di abitazione; fine che si :raggiunge 
anche oon la costruzione di un edificio di maggiori dimens:ioill�., 

'

con pi� ampio sfruttamento dell'-area (cfr. Cass. 10 marzo 1970 n. 608; 
Cass. 7 ottobre 1970 n. 1845; Cass. 23 ottobre 1973 n. 2707; Cass. 5 febbraio 
1982 n. 656; con la precisazione che la conces1sione ad aedificandum 
pu� godere delle agevolazioill�. fiscali purch� non Sii verifichi una duplicazione 
delle agevolazioni medesime: Cass. 6 luglio 1972 n. 2235; Cass. 9 mar� 
zo 1973 n. 641; Cass. 30 aprile 1974 n. 1231). 

Le ultime tre isentenze cibate riguardano fattispecie diverse da quelle 
che formano oggetto delle sentenze precedentli, le qUJali riguardano una 
concezione di edificare sul fondo altrui; infatti esse prendono in consi� 
derazione la �cessione di cubatura� prevista dal P.R. di Torino, considerata 
come trasfeI1imento d:i 1diritto reale, in quanto iil proprietaI1io cui 
inerisce la cubatura distacca in rutto o in parte la facolt� merente al 

suo ~ritto dominicale di costruire nci il:imitli deHa cubatura concessagli 
dal Piano regolatore, formando un diritto a s� stante che trasferisce 
definitivamente all'acqui!rente a benef�oio del fondo di quest'ultimo, i:l

1

quale in tal modo amplia il contenuto del suo diritto dominicale. � stato 
obiettato da parte della dottrina che in questJa lipotesii (a differenza che 
nella precedente) l'acquirenite della cubatura amplia la possibilit� edif�ca1Joria 
del proprio fondo,� ma tale obiezione, se pu� valere nell'ambito 
della costruzione civilistica dell'istituto (che qui non interessa direttamentJe), 
non � decisiva nella mterpretazione della ratio della agevolazione 
tl'ibutaria, che � queHa di agevolare le costruzioni edilizie. 

Gli stessi principi possono pertanto applicarsi nella presente fatti� 
specie, per quel che riguarda la oonvienziione costitutiva delle reciproche 
servit� con le quali, derogando alle distanze legJa!li, [e parti si sono 
concesse il dini:tto d:i costruire fino al confine de.i rispettivi fondi. La 
giurisprudenza ha pi� volte qualificato come costitutiva di una servit� 
la convenzione fra vi:oini confinanti con cui si deroghi al rispetto delle 
distanze legalli (fra le altre cfr. Cass. 9 maggio 1974 n. 1318; Oass. 12 novembre 
1978 n. 5894). In forza delil'acquisizione di tlale dil'itto, pur se 
cos1litutlivo di una � qualit� � del proprio fondo, questo diventa interamente 
edrificabile e l"ampi<iamento deH'area di edificabiihlt� ben pu� qualificarsi 
�acquisto� ai sensi dell'art. 14 legge n. 408 del 1949. (omissis) 

Il secondo motlivo del ricorso non � assorbito dai parziale accoglimento 
del primo, sia perch� sulle convenzioni non agevolate si deve 
applicare l'imposta normale isul valore, sia perch� anche sulla conven2J�one 
agevolata l'imposta 1ipotecaria � ridotta al quarto e quindi si deve 
stabilire il valore imponibile. 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

H motli.vo � fondato. � stato gi� affermato da questa Corte che di 
contratto di estinzione di servit�, con c'UI� ciascuna parte rinuncia alla 
servit� costituita a favore del proprio fondo, in corrispettivo di reciproche 
analoghe rinuncie delle altre partii, non espressamente previsto 
dalla legge di registro, � as,similabile ai fini fiscali alla permuta, che rappresenta 
il contratto ad esso pi� vicino; e che la base imponibile di tale 
contratto � determinata ai f�illi dell'imposta di registro da:1la regola dell'art. 
51 legge del 1923 n. 3269 (secondo cui 1a base imponibile � costituita 
dalla prestazione pi� onerosa oppure, se trattasti. di prestazioni di 
uguale onerosti.t�, da una sola di queste) (cfr. Cass. 29 luglio 1974 n. 2286, 
allia cui motivaziione si rti.nW.a). 

I medesimi principi �sti. devono applicare alla presente fattispecie, che 
� speculare rispetto alla precedente, in quanto attiene alla costituzione 
di servit� e non alla loro estinzione. � tinfatti agevole nilevare l'errore 
del gii.udtioe d'appello il quale non ba tenuto conto della ci,rcostanza che, 
isolando ciascuna delle due costituzioni di servit� rispettivamente a 
favore ed a oarico di ciascun fondo, non e:m dato niscontrare il nesso 
di corrispettivit� tra di esse, che costituiva Ja ragione economica del 
nego:llio tipticamente oneroso, posto in essere, per il reciproco vantaggio 
dei contraenti. 

Anche su tale punto la 'Sentenza ,impugnata va cassata e la causa 
deve essere rinviata, per nuovo esame, ad altra sezione della Corte 
d'appello �di Genova (anche per le spese del giudizlio dti. cassazione), la 
quale si adeguer� ai seguenti pri.ncipi di dinitto: 

� La ,convenzione fra vti.cini confinanti con cui si deroghti. al rispetto 
delle distanze � costtitutti.vta di un di:riitto di servit� che permette l'edificabilit� 
deWarea corrispondente alla dti.stanza legale derogata e pertanto 
gode dell'agevola7l1�one fiscale prevista da1l'art. 14 legge 2 luglio 1949 

n. 408 �. 
� La convenzione fra vicini confinanti con cui si deroga al rispetto 
delle distanze costtituisce diritti di servti.t� :rtlspettivamente a carico ed a 
favore di ciascuno dei fondi; ed ai fini dell'imposta di registro, sotto il 
vigore del r.<l. 30 dicembre 1923 n. 3269, deve essere tassata -giusta 
ghl artt. 8 e 51 -secondo :i criteri che presiedono al1a tassazione del cont:
mtto dti. permuta�. (Omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un. 13 ottobre 1983, n. 5960 -Pres. Mirabelli 
-Est. Sensale -P. M. Tamburriino (conf.). Roesler Franz (avv. 
Greco) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato D'Amico). 

Tributi in genere -Contenzioso tributario -Giudizio di terzo grado Valutazione 
estimativa -Questioni relative all'esistenza del cespite. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 26 e 40). 

136 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA Dm.LO STAn> 

Tributi in genere � Contenzioso tributario -Giudizio di terzo grado -
Alternativit� � Identit� di oggetto -Diversit� dei procedimenti . Ille~
ttimit� costituzionale -Manifesta infondatezza. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 25, 26 e 40). 
Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile � Plusva� 
lenze -Intento di speculazione -Accertamento -Deducibilit� nel giudizio 
di terzo grado. 

(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 81; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 26). 
Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Plusva� 
lenza -Intento di speculazione -Criteri di determinazione. 

(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 81). 
I poteri del giudice di terzo grado, corrispondenti a quelli che prima 
della riforma erano attribuiti alla Commissione centrale e al giudice 
ordinario non si estendono alle questioni di fatto relative alla valutazione 
estimativa nella quale si includono anche le questioni relative alla 
esistenza del reddito o del cespite e del presupposto materiale o oggettivo 
del tributo (1). 

I due giudizi alternativi di terzo grado innanzi alla Commissione 
centrale e alla corte di appello sono di identico contenuto; ma n� l'alternativit�, 
n� la diversit� dei procedimenti danno luogo a seri dubbi di 
legittimit� costituzionale (2). 

L'accertamento dell'intento di speculazione nella realizzazione di 
una plusvalenza, anche se attinente al mero fatto, costituendo la condizione 
in presenza della quale il reddito � soggetto al tributo, � ricompreso 
nella competenza del giudice di terzo grado (3). 

L'intento di speculazione, che rende tassabile la plusvalenza realizzata 
da soggetto che non sia imprenditore commerciale, deve sussistere 
oltre che al momento del realizzo anche in un momento anteriore, ma 
da ci� non consegue che l'intento di speculazione deve sussistere sempre 
fin dal momento dell'acquisto e che esso � inverificabile nelle ipotesi di 
acquisto per un titolo diverso dalla compravendita, giacch� un proposito 
di speculazione pu� attuarsi anche dopo l'acquisto, a qualsiasi titolo, 
con il fine di agevolare o potenziare l'incidenza di fattori incrementativi; 
solo in mancanza di un'attivit� rivolta ad incrementare i valori 
l'intento va accertato rigorosamente con riferimento ai due momenti dell'acquisto 
e della rivendita (4). 

(1-4) Sull'argomento della prima massima la giurisprudenza si pu� dire 
ormai consolidata nel senso che la valutazione estimativa (o estimazione semplice)., 
che costituisce il limite negativo al potere del giudice di terzo grado, 
ricomprende non solo le questioni sulla quantit� della base imponibile ma anche 
quelle sulla sua esistenza e imputa21ione soggettiva. Dopo la sentenza, ricordata 
nel testo, 22 novembre 1977 n. 5086, in questa Rassegna, 1977, I, 874, si erano �: 


.. I 

1: 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 137 

(omissis) 2) Nel sistema anteriore a1la revisione del contemiioso tributario, 
operata con decreto n. 636 del 1972, le norme allora in vigore, in 
base aJ loro contenuto meramente letterale, sembrtavano circosari:viere i 
poteri di cogndzione della Commissione centrarle alle sole questiOl.11.i di 
legittimit�. Infatti, d.n materia dii: imposte dirette contro le decisi.ioni 
della Commissione provinciale era ammesso il ricorso aHa Commissione 
oontrale per motivi riguaIXlanti l'applii.oazione della legge (art. 48 del t.u. 
24 agosto 1877 n. 4021, suhl'imposta di rfochezza mobile, e la stessa disciplina 
era prevista per quasi tutte le imposte dirette), mentre ii:l giudizio 
della cornmisisione provinciiale concernente le imposte indirette era definitivo 
nelJ.e controverisie sulla determiinallione del valore e la Commissione 
centrale era giudice d'appello nelle controversie � relative all'applicazione 
della legge�, decise '�Ol prima istanza dalla Commissione proviinciale, 
sezione di dirtltto (art. 29 del r.d.l. 7 1agosto 1936 n. 1639). Infine, 
neLle lim in materia di tributi loca1i, contro le prolllUl1Z�e della gtiunta 
priovinciale ammirriistriativa era ammesso gravame alla Commrissione cent11ale 
(con una speoiaJe composizione) �per sclii momvi di legittimit�,. 
(art. 284 bis del t.u. sulla finanza locale, aggtiunto con r.d.l. 26 dicembre 
1936 n. 2394). 

Peraltro, dottrina e giurisprudenza erano unanimemente pervenute alla 
conclusione, giustificata da ragioni di indole testu:a:le, storiica e sistematica 
(che non � necessario qui ricordare), che la competenza della 
Commissione centvale si estendes>se 1a1Me questioni dli fiatto che non fossero 
di estimazione semplice. E .l'orientamento di questa Come si era consolidato 
nel ,senso che i poteri della Commissione centrale non coinoi.desooro 
con quelli che, neLl'esercizio della giurisdizione ol'.ldinaria, spettano 
alla Corte di cassazione, ma si estendessero all'acoertiamento dei fatti 
ooslli.tuenti la premessa necessaria per l'appliCazione deUa Iegge, cos� che, 

gi� avute altre conferme anche delle Sezioni unite; Zl giugno 11981 n. 4185, ivi, 
11982, I, 152; 11 agosto 1982 n. 45119, ivi, ,1983, I, 1711. 

Nel dare tuttavia pratica attuazione a questo principio si riscontrano delle 
discordanze come appunto nella questione dell'accertamento dell'intento di speculazione. 
Recentemente le stesse Sezioni unite (15 marzo 1982, n. :1674, ivi, 1982, 
I, 819) erano giunte alla conclusione che l'accertamento dell'intento di speculazione 
si sottrae alla cognizione del giudice di terzo grado appwito perch� 
attinente all'esistenza del reddito ovvero alla iidentiLl�cazione dei caratteri del 
fatto. Ora si arriva alla conclusione opposta, ma in sostanza �sulla sola considerazione 
che �l'accertamento dell'dntento speculativo non riguarda la valuta� 
ziione estimativa; ma � per l'appunto la nozione di valutazione estimativa, estesa 
all'esistenza del reddito, che deve essere verificata per risolvere Ja questione 
dell'intento di speculazione; sul punto invece la pronunzia risulta piuttosto 
sbrigativa. 

Era gi� stato affermato che l'intento di speculazione pu� insorgere dopo 
che il bene sia stato acquistato, a qualsiasi titolo, precisandosi che la specifica 



138 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA. DELLO STATO 

in definitiva, appantenevano alla competenza della Commissione centrale 
le questioni di diritto (compreSI� gli errores in procedendo) e le questiond 
cli fatto realiizzanti ipotesi di es1iimazione complessa (v., fra le altre, "le 
sent. n. 4098/74 e 3228/76), secondo una nozione elaborata per disoriminaire 
la giurisdizione del giudice ordinaci.o sul fatto, riispetto a quella 
riservata alla Comm~sSlione distrettuale e a quella provinciale in materia 
estimativa, e volta ad individuare una oategoma di questioni di fatto, 
miste e connesse a questioni diritto, in quanto il concetto di estimazione 
semplice e'.t'a stato tendenzialmente esteso a comprendere tutte le ques1J:
iorni. di fatto, tranne, appunto, quelle di estimazione complessa. 

In tal modo 1a competenza della Commis,sione centr.ale veniva ad 
essere in tutto conforme a queHa del giudice ordinario (tranne che 
per i vizi in procedendo delle deoisioni delle commissioni, sottratte 
alla giurisdizione ordinaria). 

Come esattamente fu posto in rilievo dalla prima 1sezione di questa 
Corte, con la ,sentenza n. 5086 del 1977, e com'� stato confermato da1la 
Corte Costli.tuzionale nella sentenza n. 57 del 25 marzo 1982 (che ha dichiarato 
manifestamente infondata la questione di legittimit� costituzionale 
dell'art. 26 del decreto n. 636/72, in relazione all'art. 76 Cost., 
questione che era stata proposta anche dal ricorrente con 1H quinto 
motivo e che deve ritenersi ormai superata), � nella prospettiva indicata 
dai suesposti princ�pi che devono essere lette nell'art. 10 n. 14 della 
legge di delega della rfforma tributaria (9 ottobre 1971 n. 825) la formula 
� es1limazione semplice � e quella � sofil mo1livi di legittimit� �, testualmente 
riprese dia:Lla precedente normativa, che rivelano l'intento legislativo 
di conservare, in via di principio, alla Commissione centrale e . al 
giudice oOOinario (Corte d'appello) la medesima sfera di competenza che 
ad essi veniva attribuita nella disdplina allora in vigore. 

norma dell'art. 76 del d.PR. n. 597/1973, che ha previsto le operazioni di lottiz� 
zazione, ha carattere innovativo solo sul punto della presunzione (30 marzo 1983, 

n. 2301, in questa Rassegna, 1983, I, 545). Quando tuttavia manchino manifestazioni 
sintomatiche come le lottizzazioni, le convenzioni urbanistiche ecc. l'intento 
di speculazione viene definito dalla sentenza con eccessivo rigore, si da diventare 
pressoch� indimostrabile. Si ha l'impressione che al di fuori delle operazioni 
sulle aree edificabili, l'intento di speculazione si consideri difficilmente 
realizzabile. 
:B dnfatti eccessiva e non pertinente l'importanza data a11a destinazione del 
provento della vendita alla copertura di esposizioni, giacch� � perfettamente 
normale che si concluda una operazJ.one di speculazione anteriormente impostata 
per realizzare una somma eventualmente necessaria per coprire l'esposizione 
creata da al.tra speculazione meno fortunata. 

Importanti sono anche le affermazioni deUa seconda massima. Si tratta di 
questioni non nuove di legittimit� costituzionale autorevolmente accantonate. 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 139 

Nella sentenza della Corte Costituzionale si �, in proposiito, precisato 
che l'espressti:one �per soH motivii <li '1egittimit� � non equivale a motivi 
attinenti esclusivamente a questioni di diritto e non corrisponde al 
disposto dell'art. 360 n. 3 c.p.c., relativo a1l'ambito del giudizio di cassamone, 
ma riproduce una formula tradizionalmente propriia del procedimento 
amministratJivo, nel quaile il giudice, anche quando � investito 
del isolo 1sindaoato di legittimit� dell'atto amministrativo, ha il 
potere di conoscere le questioni di fatto, la cui soluzione � necessaria per 
vierificare l'esistenza dei vi21i dell'atto impugnato, cio� di ricostruire la 

realt� materiale presupposta dall'atto amministrativo o sulla quale 
questo devie esplicare i suoi effetti. 

Ci� consente, da un lato, dii escludere che gli artt. 26 (relativo ai 
motivi di ri.corso alla Commissione t:riibutaria oentrale) e 40 (che disciplina 
l'impugnazione dinanzi alla Corte d'appello) del decreto n. 636 
del 1972 si siano discostati dalla norma delegante e, da1tl'altro, di intendere 
l'esatto signifioato delle due norme, le quali, I1iproducendo con 
pi� appropriata terminologiia la precedente diistinzione fondata sulla discriminazione 
tra quesmonii di estima21ione semplice e questioni di estimazione 
�complesisa, indicano pi� chiaramente l'ambito della cognizione 
de1la Commissione centrale e della Corte d'appello, precisando che essa 
comprende le denunde di violazione di legge e le questioni di fatto, 
escluse 1soltanto quelile relative a valutazione estimativa, e ponendo una 
discriminazione delle questioni di fatto, secondo che esse iDJeriscano, 
oppur no, a v.alutaZJione estimativa. 

Nella gi� richiamata decisione n. 5086 del 1977, le cui argomenta21ioni 
�risultano poi condivise da queste sezioni unite con le sentenze 

n. 2349 e 2350 del 31 marzo 1983, si �, quindi, osservato che la nuova 
dlisaiplina, pUT esplicitando una rea'lt� gi� presente nel precedente ordinamento, 
ha eliminato �1e ragioni d'incertezza che vi erano insite, consentendo, 
in virt� di un pi� razionale criterio di discriminazione, il superamento 
della nozione di estimazione complessa, la quale non ha pi� 
ragione d'essere, poich� ormai tutte le ques1J:ionii di fatto estranee al1a 
valutazione estimativa (e tutte le questioni di diritto) sono ind1scutib:
ilmente sottratte nena cogniZ'ione piena della Commissione tributaria 
centrale e della Corte d'appello. E si � ulteriormente precisato che 
l'ambito della valutazione estimativa, come attivit� di giudizio, comprende 
non solo la mera quaintificaZJione, ma anche le quesmoni di fatto 
relative alla esistenza del reddito o del cespi:tle 1e, in generale, della 
base imponibile e del presupposto materiale ed oggettiv.o del tributo, 
restandone escluse -in quanto non relativie a vialutazione estimativa 1


le questioni concernenti 1a individuazione dei soggetti passivi del rapporto 
tributario e la iloro qualit� e modo d'essere, nonch� la tassabilit�, 
o meno, del Teddito o del cespite, in rela21ione, ad esempio, al con



RASSEGNA DBLL'AVVOCATURA DBLLO STATO 

CW'SO cli ulteriori condizioni richieste dalla fogge per la !integrazione 
della fattispecie impositiva o aJta spettanza di esenzioni, agevolazioni o 
detraziolli�, al cui fine non � precluso aHa Commissione centrale e alla 
Corte d'appeHo l"accertamenito degli elementi di fatto che quelle condizioni 
realizzino o che diano diritto a queHe esenzioni, agevolazioni o 
detrazioni, appunto perch� integranti. questloni di fatto non relative 
a valutazione estimativa e non strettamente implicate da questa. 

Tali conclusioni, le cui ragioni giustJificative sono diffusamente svolte 
nella citata decisdone n. 5086 del 1977 (in particolare, nel paragrafo 5 
della motivazione) e che sono implioitamente alla base deUe recenti sentenze 
di queste Sezioni unite sopra richiamate vanno ribadite anche 
in relazione alla presente controversia, precisandosii che dI problema 
relativo alla sfera di 1cognizione della Commissiione tributaria centrale 
si pone in quanto sulla indivtl.duazione dei reddito o del cespite (e in 
genere dei presupposti materiali ed oggettivi del tributo) ovvero sulla 
loro quantificazione vi sia contestazione (non a caso l'art. 26 parla dii 
� quest.ioni relative a valu1:azlione estimati.va�), come � reso palese dall'
1art. 39 del decreto n. 636/72, iii quale rprevede il rinvio dalla Commissione 
centrale ad �altra sezione della Commissione d!i secondo grado se, 
in conseguenza dell'accoglimento del ricorso, 1si renda necessario �rinnovare 
H l?J�iudizio su questlom di valutazione estimativa, e che ques1ione 
di fatto relativa a valutJazione estimativa �, con la indiv�iduazione e la 
quiantificazdone del cesrpite o del reddito, ogni questione d:i fatto necessama 
a11a determinazione del presupposto materiaile del tributo, cio� 
ogni questione di fatto strettamente implicata dalla valutazione estimativa, 
qual �, ad esempio, per le imposte dirette, l'accertamento della 
esistenza del negoziio che costlituisoe il presupposto della �imposizione, 
esclusa la qual:ificazione di esso che postula il compimento di un'operazione 
giuridica, non interessata alfa bipartizione tra questliom di fatto e 
questiolli� di f�atto relative a valutazione estimativa. 

3. -I poteri, attcibuiti dall'art. 26 alla Commissione centrale coincidono 
con quelli che <l'art. 40 riconosce alla Corte d'appello. In base a 
quest'ultima norma, il ricorso a detta Corte non d� luogo ad un'autonoma 
azione giudi2)iaria ordinaria (oggi ammessa solo per talune imposte diverse 
da quelle elencate nell'art. 1 del decreto n. 636/72), ma configura 
un normale mezzo d'Jmpugnazione, previsto nell'ambito dell'll1llico processo 
tributario come rimedio alternativo di contenuto uguale al ricorso 
deHa Commis1sione centrale (iin proposito, v., diffusamente, la 
sentenza n. 2350/83 di queste Sezioni unite, anche sul:la istituzionale 
inserzione della Corte d'appello nell'ambiito della giurisdiziione speci�ale 
tributaria, sfa pure con talune regole procedimentali proprie di questo 
tipo di organo). 
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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Ci�, peraltro, non giustifica i sospetti. di illegittrimit� costtituzionali 
manifestati dal ricorrente con il quinto motivo (con il quale sono state 
sollevate numerose questioni di costituzionalit� che saranno esaminate 
nel c011so deHa motivazione) sugli artt. 25 e 26 del decreto n. 636/72 
circa le differenze procedimentali esiistenti tra il giudizio che si svolge 
dinanzi ail:la Commis'Slione centrale e quello dinanzi alla Corte d'appello, 
per pretesa violaziione degli artt. 3 e 24 Cost. 

Osserva in proposito il :ni.corrente che all'identit� dei motivi per i 
quali si pu� ricorrere alla Commissfone centrale e alla Corte d'appello 
non corriJ81ponide una -identit� degld strumenti e del modus procedendi 
e che la facolt� di scelta dell'organo dinanzi al quale pu� proporsi 
l'impugnazione non ha lo stesso SI�gnificato per una parte e per l'altra, 
dando foogo a situazioni diverse quanto alfa possibilit� della discussione 
orale, consentita dinanri alla Corte d'appello e negata dinanri alla 
Commissione centrale, alle regole di acquilS!izione delle prove, al diverso 
costo dei due giudizi, all'applicaoolit�, da parte della Corte di appello 
e non anche della Commissione centrale, delle norme contenute negli 
artt. 90-97 c.p.c. 

La sollevata questione, bench� 'l1�levante tiin quanto il suo eventuale 
accoglimento da parte della Corte Costituzionale incider�bbe necessariamente 
sul processo ancora in corso ed anche, nel caso di accoglimento 
del ricorso, in sede di rinvio, � manifestamente infondata. 

Con la precedente sentenza di queste Sezioni unite n. 2350/83 si � 
precisato che la istituzionale drnseraone della Corte di appello, organo 
della giurisdizione ordinaria, nell'ambito deLla giurisdi2lione speciale tri� 
butaria, an quanto collegata alle commissioni :in virt� del rapporto 
d'.impugnazione, non esclude che la diversa colloca:filone degli uff,ici (Commissioni 
tributarie e Corte d'appello), conservi wlore sul piano della 
disciplina del procedimento, che nei vari gradi sar� regolato, se non 
sia altrimenti stabilito, dalle norme proprie del giudice innanzi al quale 
si svolge. Ma ci� non si traduce in un vizio di costlituz:ionalit�. Che nell'alternativa 
di pi� mezzi di impugna2lione consentiti dalla legge, la 
scelta sia rimessa all'impugnante, non d� luogo a disparit� di trattamento 
sia perch� impugnante pu� essere tanto l'Amministrazione delle 
finanze quanto il contI'ibuente, sia perch� nell'ambito del procedimento 
cui l'impugnazione d� adito, entrambe le parti sono ugualmente tenute 
ad osservare le regole propI'ie di esso. N� la circostanza che nei due 
possibili procedimenti il dfilitto di difesa debba esercitarsi con modalit� 
diverse implica la violazione dell'art. 24 Cost., non essendo vietato al 
tegi.1Slatore ordinario aSSI�curare il cdiritto di difesa, purch� esso sia sufficientemente 
gartantito, secondo schemi diversi, propri ciascuno del tipo 

di procedimento nel quale quel diritto dovr� esercitarsi; e nel proce



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

142 

dimento dinanzi alla Commissione centrale tale diritto � garantito dalla 
possibilit�, per le parti, di for valere le proprie ragioni mediante la 
proposizione del ricorso e del oontroricorso, c1i memome e di repliche 
e mediante il deposito di documenti. 

Per le stesse lt'agioni, manifestamente infondate sono le questioni di 
legittimit� costituzionale dell'art. 27 ultimo comma che non ammette la 
discussione orale, in rela2lione agli artt. 3 e 24 Cost., e delle norme che 
escludono la pubblfoit� delle udienze, in quanto :il diniego della discussione 
orale e la esclusione della pubblicit� delle udienze riguarda ugualmente 
entrambe le parti e non impedisce l'esercizio del diritto di difesa 
mediante attivit� diverse, ma anch'esse idonee a garantire quel diritto 
(gi� in questo senso, v. le sentenze 3248/79 e 1929/81). 

L'essere, poi, legittimamente regolati il procedimento dinail11i alla 
Commissione centrale e quello ddnanz;i �alla Corte d'appello, secondo la 
disciplina propria di .ciascun organo, anche per quanto riguarda la 
composizione di esso e l'et� dei suoi componenti, rivela la manifesta infondatezza 
della questione di costituzionalit� delle norme che consentono 
l'accesso alla Commissione centraJle di persone ultrasettantenni 
scelte fra appartenenti a determinate categorie, mentre i magistrati 

che compongono la corte d'appello sono collocati a riposo all'et� di 
settant'anni; e delle norme che per il periodo fra il 1� gennaio 1973 e 
!il 31 dicembre 1981 consentivano, in viJa transitoria, che continuassero 
a far parte delle Commissioni tributarne fino aill'et� d� settantotto anni, 
coloro che ne facessero parte gi� all'entrata in vigore del decreto del 1972 
(art. 45, secondo comma, di tale decreto). 
Inoltre, priva di rilevanza � l'ulteriore questione di legittimit� costituzionale, 
formulata con H quinto motivo, relativamente all'art. 9, primo 
comma lettera f, per contrasto con l'art. 108, secondo comma, 97 e 103 
Cost., sul presupposto che della Commissione centrale avesse fatto parte, 
nel caso concreto, un avvocato dello Stato, sia perch� ne era stata disposta 
l:a sosfil.tuZ'ione prima della decisione, sia perch�, anche se la deduzione 
del ricorrente fosse in punto di fatto vera, il problema rimane 
superato dalla cassaz;ione della decis<ione impugnata che, come si vedr�, 
dovr� disporsi in accoglimento del secondo motivo del ricorso. 
Infine, quanto si � detto circa l'ambito dei poteri attribuiti alla 
Commissione centrale dall'art. 26 del decreto n. 636/72 e la sostanZ'iale 
!�!dentit� del regime con esso instaurato rispetto a queHo precedentemente 
in vigore, rivela la manifesta infondatezza della questione di legittimit� 
costlituzionale deWart. 26 per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., 
in quanto consentirebbe �alla Commissione centrale di giudicare in terzo 
grado le controversie peT questioni di fatto rifeTite ad annualit� d'imposta 
riguardanti dl vecchio regime fiscale. 
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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBQTARIA 143 

4. -In base ai princ�pi enunciati in ordine ai poteri di cognizione 
attribuitJi all'art. 26 del decreto n. 636/72 alla Commissione t:rdbutaria 
centrale, lil dubbio se l'accertamento dell'intento speculativo costituisca 
questione di fatto re1ativa a valutazione estimativa pu� agevolmente visolversi 
in �senso negativo. 
Gi� in passato, nella giurisprudenza di questa Corte si manifest� 
un contrasto fra le sentenze nn. 1926/75 (S.U.), 2553/79 e 496/63 (S.U.), 
che as�segnarono aH'area dell'estimazione semplice l'accertamento delfintento 
speculativo sul rilievo che si tvattasse di una questione di mero 
fatto, e le sentenze nn. 2899/67, 565/69 e 1074/79, le quali ravviisarono 
lin tale accertamento una questione di estimazione complessa, in quanto 
involgente un problema di qualificazione giuridica del fatto. 

Sul contrasto intervennero queste Sezioni Unite, con la sentenza 

n. 6022 del 19 novembre 1979, precisando -con riguairdo aHa cfilsaiplina 
anteriore all'ientrata :illl. vigore del decreto n. 636/72 e in una iipotesi nella 
quale la questione riguavdava, prima che l'esistenza in fatto dell'intento 
speculativo, la sua necessiit� in diritto secondo i:1 paradigma normativo 
de1la fattispecie limpositiva, e comunque, la sua nozione esatta alla stregua 
di questa -che nel caso preso in esame� indubbia era la configurabilit� 
di una questione di estimazJi.one complessa, irn base al principio, 
secondo il quale si � fuori dell'area della estlimazione semplice, fra 
l'altro, quando si controverta non 1soltanto sulla sussistenza in fatto 
degli elementi che sa assumono costitutivi -nell'an e nel quantum dell'iimposiizione 
tributaria (nel caso di specie: intento speculativo), ma 
anche sia 1in discussione, per esplicito o per �implicito, fa identificazione 
del diritto del1a fattispecie legale impositiva, dii guisa che occorra risolvere 
quest'ultima questione per individuare quali siano ii fatti giuridicamente 
:nilevainti al cui accertamento si deve procedere. 
Anche dopo l'intervento delle Sezioni Unite '1e mcertezre rum sono 
venute meno e si sono manifestate nella sentenza n. 1240/81, che ha 
ind.UJSO l'accertamento dell'intento speculativo nell'area della � valuta2ione 
complessa�, in quanto comportante un'operazione giuridica d'mterpretazio.
ne e d'applicazione di norme, e nella sentenza delle Sezioni 
Unite n. 1674/82, la quale ha escluso che l'accertamento dell'intentio speculativo 
fuoriesca dall'ambito della valutazione estimativa, quando di 
fatto non sii.ano prospettate dalle parti questioni di �diritto 1sulla qualificazJi.
one e sugli effetti degli elementi di fatto nei quali quello intento 
risulti manifestato. 

L'impostaz�.one data al problema della individuazione delle questioni 
di fatto relative a va:lutazJi.one estimativa, ,secondo il citato art. 26, consente 
di superare le perduranti incertezze in materia di intento speculativo. 
Oi� che occorre ribadire al Tiguardo � che l'area dli tali questioni 
non coincide con quella di questioni di fatto non censurabili in ca:ssa


��.,,,����,,,;,,,~,11r(illlllil1t~-11111~1lllflllf&llli 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Ziione, ma �, rispetto ad essa, pi� ristretta, nel senso che non, tutte le 
questioni dli fatto sono sottratte alla cognizione della Commissione cen


. trale, ma soltanto quelle relative all'acoortamento del presupposto materiale 
del tributo, cio� quelle strettamente implicate dalla valutazione estimativa. 
Ed � evidente che, sotto il vigure dell'art. 81 cpv. del t.u. 645 
del 1958, dovendOSli accertare 1l'dntento speculativo nella realizzazione di 
plusvalenze da parte dli soggetti non imprenditori commerdald o tassabili 
in base �a bilancio, le questioni di fatto rdative aHa valutazione 
estimativa sono limitate a quelle nelle quali vengano in discussione 
l'esistenza della plusvalenza e l'ammontare di essa (cosmtuente il reddito 
che pu� essere assoggettato a.M'imposta dd ricchezza mobile ai sensi 
della p.orrna citata), mentre l'accertamento della �dipendenza, o meno, 
di essa da operazioni speculatiive (l'aocertarnento, appll[lio, dell'iintento 
speculativo) ha per oggetto la condizione dn presenza deHa quale quel 
reddito � soggetto a tributo e fa sorgere un problema di tassabilit2 
del reddito e non gi� di accertamento -nell'an e nel quantum -di 

esso. 

In tale prospettiva non occorre chiedersi se, iin conoreto, siano sorte, 
oppur no, questioni dti diritto sull'ambito di applicazione della norma, 
di sussunzione della fattispecie concreta nel modello legale, di qualificaZiione 
~uridica di atti: questioni, tutte, di dirtitto in ordine alle quali 

I

un dubbio sui poteri. cognitivi delila Cornrrrissione centrale non avrebbe 
modo di sorgere. La questione �relativa all'intento speculatJivo, cio�, pu� m 
non suscitare in concreto nessuno di questi problemi e rimanere nel-
l'ambito dlel:l'acoortamento di fatti, di comportamenti personali, di disegni 
psicologici di preordinaZiione; ma, in ogni caso, � attratta nell'area 

I

di cognizione della Commissione centrale, perch� questione di fatto non 
relativa a va!lutla2lione estimativa. 

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Ne consegue che ia Commissione trtibutaria centrale aveva H potere 
di accertare, nel caiso in esame, se nella situazione denundata fosse rav-

I

visabile, oppur no, l'intento speculativo del contribuente nella opera-

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zione di acquisto e di successiva vendita d'immobiill� e fosse, quindi, 
tassabile la ricchezza ricavata da tale operaZiione, e che, pertanto, il 
primo motivo del ricorso deve essere rigettato. ~ 


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5. -Con n secondo motivo il ricorrente, ai senSI� dell'art. 360 n. 3 
I 

e 5 c.p.c., denunzia la violiazione e falsa applQcazione degli artt. 81, 82 ~ 
e 85 del t.u. 29 gennaio 1958 n. 645, in relazione all'art. 53 Cost., agli ri 
artt. 88 e 91 dello stesso t.u., all'art. 36 �del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, f 

r 

ag271li4. art281t8. 91588-72960, :64, %5, 974,28174483, 21848825, 1489, 21_700, 2750525, 2708, 2712, !:.�'.�. 
, , , pnmo comma, e e.e., ag 1 artt. e ss. c.p.c. , 

e agli artt. 107-109 del r.d. 16 m=o 1942 n. 2b7; nonch� il v;,;o di omessa, 

I 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

insufficiente e contraddittoria motivazione su pi� punt�i decisivi della 
controvevsia. 

Piremesso che l'intento spooulatiivo nella rea1izz~one di plusvalemie 
da parte dli soggetti non imprenditori commerciali e non tassabili in base 
a bilancio, si attua da chi cerca non gi� un impiego del propmo denaro 
nell'acquisto di beni, ma il ricavo di un sovraprofitto nell'osaiUazione 
del loro valore, �e che nelle isolate operazioni dii compravendita di immobili 
l'intento speculativo (che in capo ai suddetti soggetti non si presume, 
ma deve essere di volta in volta dimostrato) deve sussistere sia 
nel momento de1l'acq1llisto sia in quello, successivo, deH'alienazione, ricollegati 
ad un unico processo ideativo volto a speculare sulle variazioni 
dei prezzi, il ricoNente censura la decisione impugnata per avere ravvisato 
l'esistenza dell'intento speculativo in ciascuna delle tre vendite 
di immobilti con un ri.cavo lordo di complessive lire 206.010.000 effettuate 
nel 1967, senza indagare se detto intento sussistesse al momento dell'acquisto 
e se l'intera operazione fosse stata preordinata ru fine di speculare 
sulla variazione, nel tempo, dei prezzi degli immobiilii., e trascurando 
e travisando le prove fornite dal ricorrente, dalle quaii risultava: 
a) che l'intento speculativo non esisteva n� al momento dell'acquisto 
dei tre cespiti n� al momento della loro vendita, resasi necessaria per 
fronteggiare la gravissima crisi finanziaria della S.p.A. Coral, industria 
conserviera in stato prefaRimentare dal 1967, amministrata e controllata 
dall.'�attuale ricorrente e �in favore della quale egli aveva rilasciato 
fideiussioni ed avalli personali ad istituti di credito e a fornitori, i quali 
avevano iJsoritto ipoteche giudi2liali sui suoi beni; b) che le somme 
dea.vate daMe tre vendite erano state interamente utilizzate nella opevazione 
di � salvataggio � della Coral, riuscita solo tre anni dopo con la 

vendita deHo 1stabiliimento aH'En<te Maremma per :il prezzo di li.re 
275.000.000, diretto a fronteggiare i residui debiti dell'impresa, non coperti 
dalle anticipazioni effettuate nel 1967 dal ricorrente. La Commissione 
centrale, irn proposito, non solo sarebbe incorsa in contraddizione, prima 
affermando che non risultava alcun versamento e, contrariamente al 
vero, che nessuna prova documentale era �stata prodotta; e, poi, riconoscendo 
che il ricorrente si era disfatto del suo patrimonio � per immettere 
denaro contante nelle sue aziende �. 

In particolare, il ricorrente deduce: 

1) che l'appartamento di vfa S. Prisca lin Roma era a lui pervenuto 

a seguito di una complessa operazione di permuta con un immobi:le, sito 

a V:ia del Corso, che da oltre un secolo apparteneva <li.la sua famiglia; 

che il prezzo di acquisto, accertato dall'U:ffiiaio (che � quello da tener 

presente ai fini di eventuali plusvalenze) era risultato superiore al prezzo 

di vendita 'e che questo era stato utilizzato interamente per la ca:ncel



146 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

lazione della iporeca iscrittavi, contemporaneamente alla trasc:rizdone del 
passaggio di propriet�; 

2) che l'immobd:le di via del Babuino, venduto nel 1967 per lire 167 
milioni (prezzo ri.tenuto sostanzialmente congruo dall'Ufficio), appartenente 
alla famiglia Roesler Franz sin dal 1860, a seguito di eredit� era 
passato :in testa ad Agnese Massimini (madre del :ricorrente) per nove 
dodicesimi, �a due germani dello stesso per un dodicesimo ciascuno e 
per �l residuo al ricorrente, cui, con atto di divisione, fu assegnato in 
enfiteuSi perpetua nel 1964, sioch� non poteva essere sussistito l'animus 
lucrandi al momento del possesso demimmobii.ile n� al momento della 
vendita, per la quale era necessario il consenso del direttario (la s.r.l. 
Sefir); che del prezzo della vendita, la somma di lke 70 mHioni com� 
spandeva all'importo del mutuo gravante suH'immobile, che la Societ� 
acquirente si accollava, mentre la reslidua somma di lire 97 mlilioni era 
stata assorbita dalla capitalizzazione del canone enfiteutico dovuto al 
direttario e, per la differenza, dalle fideiussiO!Oi�. prestate a diversi istitutii. 
di credito; 

3) che del piiccolo appairtamento sito in Cortina d'Ampezzo, venduto 
nel 1967 per il prezzo ritenuto congruo dall'ufficio di lire 9 milioni, 
una met� era stata acqu:i'stata per lire 3 milioni nel 1963 e l'altra 
met� (venduta dalla moglie del ricorrente) per altri 3 milioni nel 1966, 
sicch�, considerate le spese notarili e di registro, di mediazione e di 
manutenzione, nonch� i!1 tempo intercorso tra l'acquisto e la vendita, 
particolarmente interessato dalla svalutazione monetari.a, n:es�sun lucro 
aveva conseguito il ricorrente, che, d'altra parte, non avrebbe svenduto 
Jlappartamento se non per destinare tutto il ricavato al pagamento dei 
debiti dell'azienda conserviera. 

Come si � anticipato esaminando le questioni di costituzionalit� sollevate 
dal ricorrente, il . secondo motivo del ricorso � fondato. 

6. � Secondo la disciplina dettata dal t.u. 29 gennaio 1958 n. 645, 
applicabile nel caso concreto, sono tassate le plusvalenze, compreso 
l'avviamento, derivanti dal �rea1izzo di beni relativi all'impresa ad un 
prezzo superiore al costo non ammortizzato o, se diverso, all'ultimo 
valore riconosciuto ali fini della determinazione del reddito (art. lO�, che 
si riferisce ai redditi delle ri.mpresie commerciali) e quelle di tutti i beni 
appartenenti ai soggetti tassabi'li in base a bilancio (art. 106, peraltro 
dichiarato iHegittimo, dalla Corte Costittmiorrale, con �sentenza n. 32 del 
25 febbraio 1975, nella parte in cui prevede la tassabilit� anche per gli 
enti non esercenti attivit� commerciale). 
Un esplicito richiamo a:ll'lintento speculativo manca nelle norme 
citate e ci� 1sii spiega con la considerazione che esse riguardano, specialmente 
con la Hmitazione introdotta daHa sentenza della Corte costi



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

tuzionale, soggetti esercenti un'attivit� che �, per se stessa, speculativa, 
s� che l'unica condizione che deve ricorrere � la sussistenza di un vincolo 
di stretto collegamento ~afferenza) tm i�l cespite, cui � �attribuita la 
plusvalenza, e l'esercizio dell'impresa (v. sent. n. 2166 del 1979). 

L'art. 81, che inclica, in via generale, il presupposto dell'imposta di 
ricchezza mobile, stabilisce, nel capoverso, che costituiscono �inoltre (cio�, 
oltre a quelli menziionati nel primo comma) presupposto dell'imposta 

(a) le plusvalenze e le sopravvenienre indicate negli artt. 100 e 106, 
(b) le plusvialenze da chiunque realizzate (s'intende fuori. dalle ipotesi 
diJsdplinate nei citati ar�1Jicoli) in dipendenza di operazioni speculative e 
(e) i premi su presti1Ji e le vincite di lotterie, concorsi a premio, giuochi 
e scommesse. 
Tralasciando l'ipotesi (a), che qui non interessa, � evidente che la fattispecie 
~mposilitiva sub (b) si distingue, per divers>it� di presupposti, da 
quella contemplata negli artt. 100 e 106, essendo richiesta, nella prima, 
la ulteriore condizione che la .produzione del reddito dipenda da opera~
ioni speculative (.in airg. v. la sent. n. 2554/81), cio� la presenza di un 
intento �speculativo (sent. n. 2450/82), con la conseguenza del necessario 
riscontro, caso per roso, �di un'attivit� del venditore, logicamente e cronologicamente 
precedente l'atto di cessione del bene plusvalente, la quale 
abbia carattere strumentale rispetto al conseguimento dell'incremento 
di valore (sent. n. 2469 del 1979). L'intento specu1'ativo, che � insito nelle 
iipotes1i previste dagli artt. 100 e 106, quando la plusvalenro sia realizzata 
da un soggetto non imprenditore, �, quindi, elemento costitutivo della 
fattispecie impositiva, come condizione della tassabilit� del reddito, e 
deve essere conc11etamente accertato, sia pure per mezzo di presunziiol11�, 
con esauriente esame di ogni modalit� e circostanza inerenti alle operazioni 
produttive di redclito (sent. n. 1074/79 e 2450/82). 

Nel caso di acquisto di beni e di sucoos1S!�va rivendita, non �, dunque, 
sufficiente, ai fini deH'applicamone dell'imposta di ricchezza mobile, il 
conseguimento di una plusvalenza, costituita dalla differenza in pi� del 
prezzo di vendita rispetto a quello di acquisto, poich� la conversione in 
denaro, attraverso la vendita, di un bene esistente in natura non integra, di 
per s�, gli estremi della operaziione speculativa. � necessario che l'operazione 
sia preordinata al fine di conseguire ila pfosva>lenza, che sia, cio�, 
preparata e realizzata con quello scopo; e ci� implica che l'intento speculativo 
non solo debba esistere al momento della rivendita, ma debba 
poterSI� collegare ad una attivit� anteriore, compiuta con quel fine. In 
tal senso si � detto che l'intento specu!latJivo deve �sussistere sia al momento 
dell'acquisto sia a quello, successivo, dell'alienamone del bene 
(sent. n. 2450/82). Ma al riguardo, si rende necessaria una precisazione. 

L'intento speculativo si concreta in un disegno unitario e il ricercarlo 
con riferimento a momenti cronologicamente diversi ha soltanto 


148 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

lo scopo di accertarne la persistenza nell'arco di �tempo che va dal pnmo 
atto che. lo rivela fino alla vendita. Esso pu�, quindi, manifestarsi attraverso 
qualsiasi attiv-it� che abbia carattere strumentale rispetto al conseguimento 
dell'incremento di valore e che pu� consistere nello stesso 
acquisto dell'immobile, accompagnato dal de!Jiberato proposito di alienarlo 
successivamente a prezzo superiore (cfr. sent. n. 6022/79), ove appunto, 
per caratteristiche ed elementi obiettivi, risulti. preordinato alla 
successiva alienazione, ovvero in un'attiv�:t� posteriore �all'acquisto, rivol� 
ta ad agevolare o potenziare l'incidenza di fattori inorementatdvi, come 
nel caso di lottizzazione e sistemazione dei suolii in zona di espansione 
urban�stica (sent. n. 2469/79 e 2128/83). 

Su questa direttiva, si � ritenuta astrattamente configurabile la 
plusvalenza frutto di operazione speculativa nel caso di tel'.'reno, pervenuto 
in eredit� o frazionato fra gli eredi in comunione, quando costoro 
pongano in essere una concreta attivit� di preparazione e predisposi� 
zione del terreno al fine della sua �trasformaziooe ed util~zzazione edilizia 
(sent. n. 2880/77 e 2301/82); o 'Del caso di fondo pervenuto in enfiteusii 
ai soci di una societ� e venduto, contemporaneamente alla vendita dei 
diritti della concedente societ�, ad un unico acqukente in dipendenza 
di una operazione speculativa, che sia posta in essere in collegamento 
tra societ� e soci, costituenti una organizzazione di persone (l'una giuridica 
e le altre fisiche), al fine di realizzare in modo unitario e autonomo 
un maggior profitto, realizzato attraverso la vendita in pi� frazioni di 
un unico terreno, se, in relazione ad ogni elemento evincibile dalle modalit� 
e circostanze del caso concreto, il frazionamento risulti inserito in 
un'attivit� diretta alia sua trasformazione ediil:izia (sent. n. 5166, 5509 e 
5510 del 1980). 

Non pu�, quindi, affermarsi, in via di principio, che la provenienza 
del bene attraverso atti diversi della compravendita (ad esempio, per 
successione ereditaria o per costituzione del diritto di enfiteusi) basti 
da sola ad escludere l'intento speculativo, in quanto non compatibile 
con quel modo di acquisto del bene; poich� l'intento speculativo, non 
ricollegabile a tale modo di acquisto, pu� essere rivelato da una attivit�, 
del tipo di quelle !indicate nei richiamati precedenti, successiva all'acquisto 
e logicamente e oronologicamente anteriore alla vendita. Ma, in mancanza 
di tale attivit�, dovendosi trarre fa prova dcll'intento speculativo 
da altri elementi, anche presuntiv.i, non pu� oogars�i un rilevante valore 
indiziario al modo e 1al titolo di acquisto del bene, se, procedendosi a 
ritroso dal momento della vendita alla ricerca di quel1a preordinazion� 
che la legge richiede, non si rinvenga nessun altro elemento che fa riveli 

t

nel periodo di tempo fra l'acquisto e la vendita. In altri termiini, se 

f 

soltanto quest� due elementi siano iassunti come momento iniziale e finale 
della preordinazione, n primo di ta:1i elementi rimane privo di valore t,
. 


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f: 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

indiziario se il titolo di acquisto del bene (ad esempio per eredit�) non 
sia compatibile con la esistenza, in quel momento, di un intento speculativo. 


Analogamente se, in prfocipio, la destinazione che il soggetto dia 
al denaro, ricavato dalla vendita � elemento indifferente, inidoneo, di 
per s�, a far escludere l'!intento speculativo, � certo che in concreto essa 
(in particolare se la vendita sia dovuta alla necessit� di realizzare il 
denaro occorrente a sanare delle passivJt�) pu� costituire -special� 
mente se, procedendo a ritroso, non si rinvenga alcuna attivit� rivelatrice 
delfintento speculativo -un sintomo per escludere il carattere 
speculativo della vendita. 

Quanto si � fin qu� detto pu� riassumersi nelle seguenti proposizioni: 
a) sotto il vigore del testo unico n. 645 del 1958, l'mtento specu� 
lativo cos-tituisce una condizione per la tassablilit� della plusvalenza, 
realizzata da un �soggetto rton imprenditore e rappresentata dall'au� 
mento del valore di scambio che assume nel tempo uno stesso cespite 
patriimoniafo cispetto al costo iniziale, e pertanto non pu� essere genericamente 
supposto, ma va CO!IlCretamente accertato, sia pure per mezzo 
di presunzi.ioni, con esauriente esame di ogni modalit� e circostanza 
inerenti alle relative operazioni; b) l'accertamento dell'intento specU� 
lativo postula il riscontro di un'attivit� dal venditore, logicamente e 
cronologicamente precedente l'atto di cessione del bene e strumentale 
rispetto all'mcremento di valore; essa pu� consistere nello stesso acquisto 
dell'immobile, purch� iaccompagnato dalla sua preordinazione aJ 
conseguimento del!.la plusvalenza, o anche da un'attivit� posteriore all'acquisto 
medesimo, rivolta ad agevolare o potenziare l'incidenza di 

fattovi incrementatiVli; e) quando un'attivit� di questo tipo manchi e, 
ne1'J.a rioeroa dell'intento speculativo, debba risalirsi a ritroso dal momento 
deHa vendita a quello dell'acquisto, questo pu� assumere un 
rilevante valore indizi.iario per escludere l'intento speculativo, 1se le 
modaltit� o di titolo di tale acquisto siano, per loro natura, incompatibili 
con la esistenza, in quel momento, di un intento speculativo; cos� come 
analogo valore sintomatico pu� assumere la destinazione del ricavato 
della vendita a coprire passivit�, che non possono essere in altro modo 
convenientemente sanate, per escludere che il disegno speculativo sia 
stato portato a ultiimazione e che la vendita sia stata effettuata in 
esecuzione di tale disegno. 

7. � Facendo applicazione di tali princ�pi al caso concreto, la decisione 
impugnata non si sottrae alle censure formulate dal ricorrente. 
Negato l'intento speculativo nelle decisioni di primo e secondo grado 
l'Uffkio propose ricorso alfa Commissione tributaria centrale, sostenendo 
che il presupposto dell'imposta era costituito dall'operazione 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

speculativa realizzata med~ante l'acquisto e la successiva vendita di tre 
immobili, a nulla rilevando le ragioni circa gli impegni assunti dal contribuente 
per impedire il fallimento della Coral, della quale questi era 
l'amministratore e .il principale azionista. In questo modo, l'Uffioio 

introdusse due que_stioni: a) se la compravendita sia, di per s�, opera� 
zrione speculativ:a; b) se la destinazione data al denaro abbia rilevanza 
per escludere l'Jntento speculativo, pur se lo stesso Ufficio sostenne che 
il detto intento sussisteva nella � complessa � operazione di vendita 
e che non .risultavano provate le ragioni che av.rebbero indotto a ven� 
dere, sembrando cos� riconoscere che queste ragioni poss�ano far escludere 
l'intento speculativo. 

La Commissione tributaria centrale -dopo aver negato che, in 
concreto, le ragioni suddette fossero state dimostrate (e che fosse stato 
dimostrato che effettivamente il ricavato era stato impiegato per estinguere 
i debiti della Coral) --ha compendiato la sua motivazione nell'affermazione 
che nel giro di pochi anni il contribuente aveva acqua� 
stato immobili e quote condominiali, cost1tuendosi un patrimonio im� 
mobiliare consistente, del quale, poi, in pochi mesi sJ era disfatto per 
immettere denaro contmte nelle sue aziende. Pertanto, tenuto conto 

del breve periodo di tempo intercorso fra tali operazioni, del sensibile 
guadagno, del costo originario e del prezzo ricavato, doveva ritenersi 
esistente il preordinato intento speculativo, che, pertanto, si presumeva, 
senza che contro tale presunzione il contribuente avesse offerto alcuna 
prova concreta attendibile. 

La questione se la vendita sia di per s� operazione speculativa � 
stata esattamente risolta per implicito in senso negativo dalla Commi~ 
sione centrale, avendo essa tratto il convincimento del carattere specu} 
lativo de1l'operazione non dalLa mera vendita, ma dagli altri ricordati ,f 
elementi, e avendo fatto esplicito richiamo al requisito della preordinazione 
ed a1la necessit� del concorso dell'intento speculativo, che ha 
affermato -�era esisti.to � (cio� al momento dell'acquisto) ed � esisteva
� (al momento della vendita); ci� in linea col pr.incipio che l'in� 
tento speculativo, il quale condiziona la tassabilit� delle plusvalenze, si 
risolve nel proposito di acquistare un bene, per poi rivenderlo ad un 
prezzo superiore, e deve sussistere sia prima che al momento della 
vendita. 

La Commissione centrale, poi, non ha negato la possibile riLevanza 

�~ 

.

in concreto della destinazione del denaro, tanto che l'ha esclusa sotto 
il profilo 1che non fosse stata fornita la prova di tale destinazione. . 
. 


Tuttavia, la Commissione centrale 
suddetti o non ha dato, �in relazione 
zione della sua decisione. 

o ha male applicato i principi l 
ad essi, un'appagante giustifica-~~~
'_'. 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Poich� nessuna attivit� rivelatrice dell'intento speculativo, il contribuente 
aveva posto in essere dopo l'acquisto e prima della vendita dei 
beni, una indagine particolarmente attenta la Commissione centrale 
avrebbe dovuto compiere in relazione ai due unici elementi utilizzabi1i 
al fine dell'accertamento dell'intento speculativo, costituiti dal!l'acquisto 
e dalla vendita, e che sarebbero dovuti essere -il primo -preordinato 
alla realizzazione della plusvalenza e -il secondo -attuativo 
del preo11dinato disegno specul1ativo. Nello svolgimento di tali indagini, 
la Commissione centrale avrebbe dovuto considerare che, mancando 
un'attivit� intermedia rivelatrice del!l'intento speculativo, il titolo dell'acquisto 
dei beni e le ragioni che avevano determinato iil contribuente 
a vendere in una alla destin~ione data al danaro ricavato, assumevano 
fondamentale importanza al fine dell'�ccertamento dell'intento speculativo 
con riferimento al momento dell'acquisto ed a quello successivo 
della vendita dei beni. Traendo presunzioni dalle circostJanze (costo iniziale 
e prezzo ricavato; guadagno reaUzzato) idonee a fornire la dimostrazione 
pi� della plusvalenza (la oui esistenza, peraltro, non era contestata) 
che dell'intento speculativo (per il quale l'unico elemento di qualche 
ri'lievo poteva essere costituito dal tempo intercorso fra l'acquisto 
e la vendita), la Commilssione centrale ha finito con l'attribuire 
esclusivo rilievo a quest'ultimo elemento (forse incosciamente anticipando 
l'applicazione della disciplina dettata dall'art. 76 del d.P.R. 29 settembre 
1973 n. 597 sull'irpef, peraltro non ancora aipplicabi:le al caso in 
esame), senza preoccuparsi di valutarne il valore indiziario con una pi� 
esauriente indagine sul titolo di acquisto dei beni e sulle ragioni della 
vendita, e si � limitata a giustifkare la propria decisione con l'affermazione, 
quanto al momento ini:Male, che il contribuente aveva acquistato 
dei beni, costituendosi un patrimonio, e, quanto al momento finale, 
che se ne era disfatto per immettere denaro contante nelle sue aziende, 
non avvedendosi della scarsa conci1i:abilit� di quest'ultima affermazione 
con la negazione, contenuta in altra parte della motlvazione, che il denaro 
riscosso fosse effettivamente stato impiegato per estinguere i debiti 
della Coral. 

In realt�, un'indagine sull'intento speculatvo al momento dell'acquisto 
dei beni � del tutto mancata. Basta considerare, al riguardo, che la 
Commissione centrale, pur dimostrando di non ignorare la provenienza 
ereditaria dell'immobile di via del Babbuino e la successdva costituzione 
di un diritto di enfiteusi a favore del contribuente nella distribuzione 
fra gli eredi del pat:riimonio avuto in successione, non ne ha 
tratto alcun argomento per affermare o negare la esistenza dell'intento 
�speculativo nel momento in cui il bene pervenne al contribuente. 
In conseguenza l'indagine sull'intento speculativo nell'intera operazione 
pu� esserne risultata condizionata, essendo -quello di via del Bah� 


152 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

buino -il cespite di maggior valore patrimoniale, sicch� Sii impone, 
sul punto, un pi� approfondito riesame in sede di rinvio, tanto pi� 
che neppure in relazione all'acquisto dell'immobile di via di S. Prisca; 
che pure la Commissione centrale ha fatto oggetto in esame, risulta 
svolta alcuna indagine di:retta ad accertare se davvero fosse stato ottenuto 
dal contribuente, come egli sostiene, per effetto di una permuta 
con altro immobile, da molto tempo appartenente alla sua famiglia 
(circostanza, questa, che poteva non essere priva di rilievo nell'accertamento 
dell'intento speculativo realizzato, secondo la decisione impugnata, me� 
diante la precostituzione di un patr�nonio, fin dall'origine destinato 
alla vendita); e tanto pi� che l'acquisto dell'dmmobile di Cortina d'Ampezzo 
� fatto oggetto da parte della Commissione centrale di sommarie 
considerazioni. 

Maggior attenzione esige anche l'accertamento dell'intento specu� 
lativo al momento delle vendite. 

La Commissione centrale, pur avendo riconosciuto che queste erano 
state effettuate per immettere denaro contante nelle aziende del contribuente 
(cio� nella Coral) -e che quindi. erano state determinate dalla 
necessit� di estinguerne la passivit� -non ha compiuto alcuna valu


I

tazione circa H signdficato da attribuire a tali necessit� al :l�ine dell'accertamento, 
positivo o negativo, del carattere speculativo dell'operazione. 
Ha dato, invece, esclusivo rilievo alla vendita dello stabilimento 


I 

a1'l'Ente Maremma, senza peraltro chiedersi se, essendo questa avvenu


I

ta tre armi dopo l'alienazione degli immobili, non fosse servita allo sco


I 
! 

po di sistemare una situazione debitoria che il ricavato di tali aliena


zioni poteva non avere interamente sanato; ed ha affermato che non 

era �stata fornita la prova che il denaro vicavato dalla vendita degli im


mobili fosse stato effettivamente impiegato neH'adempimento degli im


pegni che il contribuente aveva assunto a favore della Coral e dell'estinII


zione degli oneri che suddetti hnmobili gravavano, deHa qual cosa, 

peralltro, il contribuente aveva fornito diversi indizi. I 

Se, infatti, il denaro ricavato dalla vendita fosse stato assorbito dal�� 

I 

l'adempimento delle obbligazioni assunte dal contribuente a favore della 
Coral e dalle ipoteche che, a garanzia di essa, erano state iscritte sugli I 
immobili medesimi (e tali circostanze dovranno formare oggetto di 

I 

riesame in 1sede di rinvio), ci� potrebbe influiire in modo rilevante nello 

accertamento dall'intento speculativo, pur se non pu� essere seguita 

I 

la tesi, sostenuta dal ricorrente della illegittimit� costituzionale degli 
artt. 81 del t. u. n. 645/58, ;in relazione :agli 1artt. 88 e 91 deMo stesso t.u. ! ~ 
f 
all'art. 555 c.p.c. e 107 della legge fall., per preteso contrasto con gli ! 

!

artt. 3 e 53 Cost., in quanto tali norme non assoggettano all'imposta di i 

f 

ricchezza mobile ile vendite di immohlli, gravati da <ipoteche, aHe aste I 

f<a!lilimentari o in sede di. esecuzione immohlliiare e 1assoggettano invece ( i 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 153 

a1fimposta le vendite degli stes�si 1mmobi1i, se effettuate fuori dai suddetti 
procedimenti esecutivi: trattasi, invero, di questioni manifestamente 
infondate, attesa fa diversa natura giudiziale ~ispetto a quella nego:
zi~ale, della vendita e coosiderato che � rimes�so ailla scelta del titolare 
del bene anticipare, oppure no, la vendita giudiziale mediante Ia alienazione 
negoziale di esso. 

Pezitanto, il secondo motivo del �ricorso deve eS1Sere accolto e la decisione 
impugnata va oassa1Ja, sul punto, con r:inviio alla stessa Commissione 
tributaria centrale, che, tenuto conto dei principi sopra enunciati 
e delle osservazioni svolte in oI1dine a:lla congruit� della motiwW.one, 
proceder� al riesame delfa controversia neHa parte contempLata nelle 
censure accolte. (Omiss.is) 

CORTE DI CASSAZIONE, .Sez. I, 18 ottobre 1973, n. 6115 -Pres. Mazza.
cane -Est. Caruram -P. M. .Aontooi (conf.). Militi c. Ministero delle 
Finanze (Avv. Stato Zotta). 

Tributi erariali diretti � Imposta sui redditi di ricchezza mobile . Redditi 
prodotti in Italia � Confezionamento in Italia di materie provenienti 
dall'estero � Sono tali � Successiva vendita all'estero dei prodotti 
finiti � Irrilevanza. 

(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 81). 
Sono da considerare redditi prodotti in Italia quelli inerenti al confez;
ionamento di materie provenienti dall'estero, in temporanea importazione, 
calcolati sulla differenza del prodotto finito .rispetto al val.ore 
della materia prima,-ai fini della tassabilit� di tale reddito � irrilevante 
la circostanza che i prodotti finiti siano venduti all'estero (1). 

(Omissis) Con unico motivo, denunziando vidlazione e fulsa applicazione 
dell'art. 82 comma 2 del T.U. 29 gennaio 1958, n. 645, il ricorrente 
sostiene che fimpugnata sentenza ha errato quando ha ritenuto che egil.i 
avesse prodotto io:i ltlalia �un ireddito tassabile, in quanto avendo utiiliz~ 
zato mate11ia prima estera egli si � 1imitato a sostenere .in 11Jalia i costi 

(11) Identiche sono altre due sentenze in pari data n. 6116 e 61'17. 
Questione interessante sul frequente fenomeno della elaborazione manufat~ 
turiera in Italia di materie prime estere seguite da riesportazione dei prodotti 
finiti. Certamente il fenomeno non pu� essere neutro per l'imposizione in 
Italia. Si tratta infatti di una attivit� di impresa che produce reddito indipen~ 
dentemente dalla vendita del prodotto. 

La massima � rilevante anche ai fini della legislazione attuale (art. 9 n. 5 

d.P.R. n. 5'17/.1973; art. 3 d.P.R. n. 599/.1'173). 

RASSEGNA Dm:L'AVVOCATURA DEU.O STATO

154 

per la confezione dei pantaloni, mentre il reddito � stato percepito negli 
Stati Uniti d'America dove Ja merce veniva venduta, e dove� aveva versato 
le imposte dovute allo Stato estero. 

La censu11a � infondata. 

Ai �sensi dell'art. 82 comma 2 del T.U. 29 gennaio 1958 n. 645, i redditi 
delle imprese commerciaili operanti in Italia e 0il!l'estero si considerano 
prodotti nel .territorio dehlo Stato per Ja parte derivante dai.la 
attivit� esercitata nel te11ritordo stesso per mezzo de1la sede centrale di 
SOOC'llll'sali o di altre stabili organizmzioni. 

'La Col1te d'appeNo, nel!l'arpplicazione deNa norma al 'caso concreto, 
ha ritenuto che ne rioorLressero d presupposti, avendo accertato che H 
rJcorrentte � titolare in Italia di una fabbrica che confoziODJa pantaloni, 
e non ha 'riconosciuto alOUIIla .rilevanza al fo:tto che il prodotto venisse 
realizzato con materie prime provenienti dagli Stati Uniti d'America e 
quindi esportato per eSlsere venduto all'estero. 

Le considemzJoni che sorreggono il decisum -che ha sottoposto il 
maggior valore del prodotto rispetto alile materie prime impiegate in 
Italia a'.1l'imposta di .ricchezza mobile -si �sottraggono alle oritiche for� 
mulate da11a difesa del rJcorrente dJn questa sede. 

A parte i ori1ievi attinenti al presunto comodato dell'azienda che si 
spuntano contro �l'�aooertamento di fatto contenuto nell'impugnata sentenza, 
non pu� condividersi la tesi secondo cui rullorch� J'art. 82 comma 2 
del T.U. sJ rJferisce alle imprese commerciali operianti in Italia, comprenderebbe 
nella locuzione normativa soltanto le imprese che svolgono 
operazioni di vendita. Al contrarfo, risulta dall'art. 85 che i redditi di 
ricchezza mobile di cat. B sono J redditJ alla produzione per i quali concorrono 
insieme il capitale ed iil ilavoro, come queHi deri\nanti dall'esercizio 
di imprese commerciali ovvero da attivit� commerciali, ai sensi dell'art. 
2195 cod. civ. 

Orbene, l'art. 2195 cit. �comprende fra gli imprenditori che sono 

soggetti a1l'obbligo dclla iscrizione nel registro delle Jmprese -e oui 

si estendono anche per quanto statuisce il secondo comma, le disposizioni 

dii legge che fonno riferimento alle attivit� e aLle imprese commerciali 


gli imprenditori che esercitano una attivit� industriale diretta alla pro


duzione di beni o dJ servJzi. 

Ne consegue che qurundo 'l'a�rt. 91 del T.U. dispone che :il reddito netto 

so~getto all'imposta di ricchezza mobile � costituito dalla differenza tra 

l'ammontare dei !I'ioovi '1ordi che compongono il reddito soggetto all'im


posta e ['ammontare delile spese e passivit� .inerenti alla produzione di 

tale reddito, la norma ove sia COOiidinata �con quanto prewde l'art. 82 

comma 2 dello stesso testo unico per i 1redditi de1le imprese commerciali 

operanti �in Italia e all'estero, non pu� condurre ad un risultato diverso da 

quello cui � pervenuta l'impugnata sentenza. 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 155 

Infatti, la corte d'appelio ha tenuto presente che nel oa:so di specie 
il ricorrente svolge fa propria attiv.it� commerciaile (nel senso innanzi 
precisato) sia in Italia 'Che negli Stati Uniti d'America ed ha sottoposto 
aH'imposta di ricchezza mobile, ailila stregua di quanto 'statuisce l'art. 82 
comma 2 del T. U., soltanto quella parte del reddito derivante dall'atti� 
vit� esercitata nel ,territorio dello Stato. 

E poich� nel oaso de quo, � pacifico che aa parte ~del reddito) derivan:
te diaiH'attiv.it� esercitata in Italia consisiteva nella produzione dei 
pan:tailoni attraverso Ja elaborazione dellfa materia prima proveniente 
dagli USA, ne ha correttamente dedotto che il reddito tassabile agli 
effetti del!l'imposta di ricchezzia mobHe, consisteva nel maggior valore 
(conseguito .in Italia) dai pantiafom r.ispeHo ail vailore della materia 
prima (estera) impiegata neMa foro lavorazione, a nwlla rilevando che 
poi la vendita del prodotto finito avvenis1se negli USA. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 24 ottobre 1983, n. 6252. Pres. Santosuosso 
-Est. Battimehli -P. M. Grimaldi (conf.). Ministero de11e Finanre 
(Avv. Stato BragugHa) c. Bertozzi (avv. Romanelli). 

Tributi erariali indiretti -Imposte doganali -Prescrizione -Procedimento 
penale contro pi� imputati -Impugnazione di sentenza di condanna 
di alcuni soltanto -Possibile effetto estensivo -Influenza sul corso 
della prescrizione verso l'imputato non impugnante -Esclusione. 

(e.p.p. artt. 203, 204 e 205; I. 25 settembre 1940, n. 1424, art. 27). 
Tributi erariali indiretti -Imposte doganali -Prescrizione -Costituzione 
di parte civile contro pi� imputati � Passaggio in giudicato della 
sentenza per alcuni e impugnazione di altri -Estensione dell'effetto 
interruttivo a tutti gli imputati -Esclusione. 

(I. 25 settembre 1940, n. 1424, art. 27; e.e. art. 1310). 
Qualora in un procedimento penale per contrabbando interviene 
sentenza di condanna contro pi� imputati che sia impugnata da alcuni 
soltanto, la prescrizione dell'imposta doganale comincia a decorrere per 
i non impugnanti dal momento del passaggio in giudicato della sentenza 
nei loro confronti, indipendentemente dalla eventualit� che l'impugnazione 
degli altri imputati possa produrre un effetto estensivo favorevole 
(1). 

(1-2) La difficile questione � impostata e risolta senza affatto considerare 
gli effetti che l'estensione del giudicato penale favorevole pu� produrre sull'obbligazione 
di imposta. Se cio� si afferma che il passaggio in giudicato nei 
confronti di uno dei condannati non � influenzato dal possibile effetto estensivo 
dell'impugna:1'lione di altri, con la conseguenza che '1'Amministrazione pu� pre� 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Nel caso in cui intervenga sentenza penale di condanna di ptu per� 
sone per il reato di contrabbando e questa sia impugnata da alcuni 
soltanto, il corso della prescrizione dell'imposta doganale ha inizio 
per i diversi soggetti in tempi diversi, n� pu� ritenersi che l'effetto interruttivo 
che si prolunga riguardo al soggetto impugnante si estenda 
al non impugnante a norma dell'art. 1310 cod. civ. (2). 

(omissis) Ll primo motivo di ricorso va riconosciruto infondato. 
Ed invero, rispondendo ai vari argomenti con cui si censura Ja sen� 
tenza :impugnata, va osservato: 

a) Una volta ammesso, come ammette l'Amministrazione ricor� 
rente, che hl coimputato non impugnante non assume ila veste di parte. 
il problema � gi� per s� 1risolto, posto che non � conciliabile Jia afferma� 
zione del mancato passaggio in giudicato delrla sentenza da lui non 
impugnata (per la parte che fo riguarda) col riconoscimento che il processo 
non prosegue nei 'suoi confronti (la mancata assunzione della veste 
di parte significa la cessazione del rapporto processuale nei confronti 
del non impugnante). Quanto poi alla distinzione tra effetto estensivo 
dell'impugnazione ed effetto estensivo della sentenza di accoglimento 
dell'impugnazione stessa, va riconosciuto che non sussiste la differenza 
sostanziale affermata dal rkorso. 

� pi� corretto, iLtJ.vero, parlare di estensione degM effetti dell'impugnazione 
anzich� di � effetto estensivo � e va riconosciuto che J'unico 
� effetto � della normativa degli artt. 203 e 204 c.p.p. � l'eventuale reformatio 
in mel�is deHa sentenza dmpugnata, in caso di accoglimento del 
motivo comune. Solo in tal caso, invero, 1:a sentenm del giudioe di impu� 
~one produce effetti nei conkonti del coimputato non impugnante, 
mentre, rin caso di rigetto, l'effetto estensivo non pu� verJficru.isi. 

Ci� impedisce di ritenere che il processo continui nei confronti di non 
impugnante, non potendosi ipotizzare un rapporto processuale la cui esi


tendere l'imposta e deve osservare il termine di prescnzmne che comincia 
a decorrere, e cos� pure che (seconda massima) il passaggio tin giudicato della 
sentenza in tempi diversi per i diversi soggetti comporta anche la decorrenza 
della prescrizione in momenti diversi, occorrerebbe contemporaneamente affer� 
mare che la eventuale pronunzia di una sentenza in grado di impugnazione 
(che potrebbe anche intervenire dopo la decisione della lite tributaria) � !irrile� 
vante sw rapporto di imposta anche se produce ai fini penali un effetto 
favorevole per i non impugnanti. Se per� ci� non �, come parrebbe, sostenibile, 
occorre riflettere maggiormente sul problema della prescrizione. 

In sostanza non sembra coerente l'affermazione che l'Amministrazione creditrice 
debba per non subire la prescrizione azionare il suo credito, quando il 
debitore potrebbe fondatamente chiedere che n giudizio tributario sia sospeso 
fino all'esito del giudizio penale; o la controversia di imposta pu� essere decisa 
(e potrebbe intervenire anche un giudicato anteriormente alla conclusione del 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 157 

stenza sfa condizionata al meI1ito della futU'.ra pronuncia del giudice, 
essendo J'esistenza del rapporto stesso (con conseguente impossibi!lit� 
del passaggio in giudicato della sentenza non .impugnata dal destinatario 
degli effetti eventuali futuri) ipotizzabile solo in funzione della neces� 
sit� di una rutura pronuncia, in ogni 1oaso, da parte del giudice di impU� 
gnazione, anche nei confronti del non impugnante. In mancanza, non 
pu� rriconoscersi all'istituto in esame il carattere 1di rhnedio eventuale 
stvaor.dinar.io, come causa di eventua�.e possibiltt� di l'isoluzione del giudicato 
gi� formatosi nei confronti del non impugnante, cos� come questa 
Corte ha gi� tlconosduto cort fa sentenza n. 2306 del 30 marzo 1983, 
emessa, proprio in �relazione a:l caso di specie, a seguito di ricorso proposto 
da Giuseppe Bertozzi contiro altra sentenza della Corte di Appel� 
lo di Mfilano, identica a quella qui impugoota. 

Inoltre, va riconosciuta l'esattezza di quanto ,affermato dalla sentenza 
impugnata cil1Ca il rHievo che asoome, per ia soluzione del proMema, 
la normativa dell'art. 570 c.p.p., che consente l'esecuzione della 
sentenza qualora questa non venga impugnata, senza alcun richiamo 
alla normativa deg1i artt. 203 e 204; conferma, questa, dell'affermazione 
del passaggio in giudicato della 1sentenza nei confronti del 
coimputato non impugnante, come, d'altronde, � riconosciuto dalla consolidata 
giurispriudenza di questa Corte in mater.ia penale; 

b) quanto all'�affermazione della ricorrente, secondo cui fa nor� 
mativa dell'art. 204 c.p.p. (laddove dispone che, in caso di dichiarazione 
di inammissibilit� dell'impugnazione proposta dal coimputato e di rinuncia 
ad essa, cessano gli effetti previisti dall'art. 203) dimostrerebbe 
che il passaggio in giudicato della ,sentenza non si verificherebbe nei 
confronti del coimputato non impugnante fino al verificarsi degli eventi 
preVlisti nena norma, va osservato che la norma va �intesa in senso di� 
verso; nel isenso, cio�, che in tanto pu� prodursi nei confronti del non 
impugnante �l'effetto favorevole dehl'impugnazione da altri proposta in 

giudizio penale da ritenersi comunque irrilevante), oppure se J.l processo tribil� 

tario deve essere sospeso non vi � ragione perch� debba essere introdotto. 

Le conclusioni raggiunte nella prima e nella seconda massima calzano perfettamente 
in relazione ad un giudizio civile, tributario o amministrativo perch� 
nell'obbligazione solidale � perfettamente normale una diversit� di giudicati; 
ed � ben noto che, una volta ricondotta l'obbligazione tributaria ai criteri 
della solidariet� ordinaria, la decisione che diventa definitiva per un solo soggetto 
(ad esempio suWaccertamento di valore) fa cominciare a decorrere il 
termine di prescrizione (o di decadenza) per la riscossione dell'imposta verso 
quel soggetto, perch� l'impugnazione di altro soggetto eventualmente accolta 
non potr� avere influenza a vantaggio del coobbMgato. 

Ma non era cos� quando in ossequio al principio della speciale solidariet� 

tributaria si riteneva che l'1impugnazione di uno degli obbligati giovava a tutti 

ma allo stesso tempo impediva per tutti il compimento della prescrizione. 



158 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

quanto l'impugnazione sia portata a compimento e pervenga ad un concreto 
risultato positivo); che, cio�, il non impugnante non pu� coltivare, 
ai fini propri, J'impugnazione da '1ui non proposta, ossl�!a � privo 
di poteri dispositiVli in campo processuale, il che conferma finesistenza 
di un �rapporto p.rooessuale nei suoi confronti e, di conseguenza, :l'avvenuto 
paJSsaggio in giiudicato, sempre nei suoi confronti, della sostanza 
da lui non impugnata; 

e) nessun rilievo determinante ha il richiamo fatto dalla dcorrente 
ail dispos�to degli artt. 203, 213, 315, 517 e 544 c.p.p.: quanto al 
fatto che il non impugnante sia definito �coimputato �, ci� � attribuibile 
ahla neoessti.t� di qualificare H destinatario dei futuri eventuali effetti 
della sentenza del giudice di impugnazione, necessit� soddisfatta dai 
richiamo fatto alla posizione che nel p['ocesso suddetto destinatario 
aveva rneLle fosi precedenti; qUlru:Jito, poi aHa partecipazione del suddetto 
gi.U!dizio di impugnazione, va osservato che essa non � assoluta e gehe� 
raile, ma � prevista solo per le fasi di merito (giudizio di appeill.o ed 
eventuale giudizio di rinvio), non anche per H giudizio di cassazione 
-che � iJl oaso ili specie -, mentre invece, se il processo in ogni 
caso dovesse intendersi, nei confronti del non impugnante, come proseouz.
ione di un giudizio ancora in corso anche nei suoi confronti, la partec~
pazion:e 1sarebbe stata sempre e comunque prevista. 

Quanto sopra consente di disattendere anche le osservazioni formulate 
dalla �I�.corrente nel capo d) del pri.mo motivo di ricorso, che 
costituisce ruernte altro che una sintesi degli stessi argomenti gi� esposti 
sub a) e sub b), argomenti innanzi disattesi. 

Passando ad esaminare il secondo motivo di ricorso, si osserva anzitutto 
-come ~i� ha futto �la precedente sentenza di questa Corte 

n. 2306/83, ;gi� citata -che esso si fonda sul pxiesupposto, mai ev.iden� 
ziato n� tanto �meno provato neMe precedenti fasi di giudizio, delila 
esistenza di Ulll!a obbligazione di pagamento dei medesimi tributi doganali, 
obbligazione comune al Bertozzi e ai coimputati impugnanti. Ma, a 
parte ila mancata dimostrazione dell'esistenza dti. una obbligazione solidale 
(con conseguente pos�sibilit� di applicazione della normativ�a degli 
artt. 2945 e 1310 e.e.) e dell'impossibilit� di considerare decisti.vo, sotto tale 
profilo, ,iJl punto su cui ilia sentenza impugnata oon si sarebbe pronunciata, 
va riconosciuto �che Ia tesi della �ricorrente si bas,a di un presupposto 
erroneo. 
Come gi� ha riconosciuto questa Corte nella citata sentenza 

n. 2306/83, infutti, seppuve la costituzione di parte clviii.e avesse interrotto 
(iin ipotesi di sussistente solidariet�) il corso della prescrizione 
nei confronti di tutti i coimputati, d� non comporterebbe che gli effetti 
deLl'interruzione, idi cui a1l'art 1310 e.e., avessero continuato a decorrere 
nei confronti di tutti i 'coimputati. Nel caso di specie, invero, � apptli�



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PARTE I, SEZ.� VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 159 

cabile una norma di oarattere speciale (il'art. 27 de11a legge do~n.ale 

n. 1424 del 1940, secondo cui in caso di procedimento penale per contrabbando 
iJl diritto della Finanza a11a percezione dei tributi evasi si 
prescrive in cinque anni dal passaggio in g,iudicato deHa sentenza) che 
disciplina autonomamente il decorso della prescrizione e che non pu� rimanere 
elusa per effetto della normativa generale del codiice oiv.i>le; e, in 
conseguenza di quanto gi� osservato a proposito del primo motivo posto 
che H passaggio in giudicato si verif�oa in momenti diversi per rnmputJato 
non dmpugnante e per quello impugnante, la prescrizione verificatasi 
nei confrontd del primo non pu� ritenersi ancora decorrente in 
forza della normativa generale del codice civile. (omissis) 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 12 novembre 1983, n. 6740 -Pres. Santosuosso 
-Est. Scanzano -P. M. Minetti (conf.). Minis.tero delle Finanze 
(Avv. Stato Pa:latieHo) c. Coop. MUJratori e Cementisti S. Alberto. 


Tributi erariali diretti -Imposta sulle societ� � Condono -Riferimento 
all'ultimo imponibile definito -Agevolazione prevista in legge succes� 
siva -Irrilevanza ai fini del condono. 
(d.!. 5 novembre 1973, n. 660, art. 3). 

Agli effetti del condono previsto dall'art. 3 del d.l. 5 novembre 1973, 

n. 600, la definizio.ne sulla base dell'ultimo imponibile definito non deve 
tener conto di eventuali nuove o maggiori agevolazioni disposte con 
legge successiva alla definizione dell'ultimo imponibile, anche se anteriore 
alla legge sul condono (1). 
(omissis) L'Amministrazione ricorrente denuncia violazione degli 
artt. 1 e 3 d.I. 5 novembre 1973 n. 660 conv. in I. 19 dicembre 1973 n. 823, 
e, premesso, che tiale normativa si applica anche alle imposte per le 
quali il contribuente abbia omesso di presentare la prescritta dichiarazione 
in ragione di una pretesa esenzione tri.butaria e che la domanda 
di condono coinvolge tutti i periodi d'dmposta per i quali sussista il 
potere di accer,tamento deH'uffico, sostiene che ii:I l'iferimento del citato 
art. 3 alla � nuova e maggiore agevolazione ed esenzione � della quale 
�non si tiene conto� va inteso rispetto all'ultJimo imponibiJle definito 
(e non rispetto all'entrata in vigore della legge di condono). La conseguenza 
� -soggiunge -che, siccome l'ultimo imponibile definito � 
quello del 1969 e l'esenzione invocata dalla cooperativa � stata disposta 

� (1) Decisione da condivideve pienamente. Non constano precedenti. 



160 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

con 1. 18 dicembre 1970 n. 1034, questa esenzione non impediva che 
l'ufficio coinvolgesse nel condono, con ,l'applicazione della percentuale 
all'uopo prevista, le tre annualit� dell'imposta sulle societ� success:ive 
ail 1969. 

Il ricorso � fondato. 

� controversa la legittimit� dell'operato dell'ufficio delle imposte di 
Ravenna che, ritenendo coinvolta nella domanda di condono l'imposta 
sulle societ� dovuta da11a cooperativa muratori e ceme.ntisti di S. Alberto 
per gli anni 1970-1972, ha definito l'imposta stessa appunto secondo 
la legge di condono, cio� applicando all'ultimo imponibile accertato 
(quello del 1969) la peTcentua!le prevista dall'art. 3 del d.l. 1973 n~ 660. 

Le cooperative, in base aff.art. 151 del t.u. 29 gennaio 1958 n. 665, erano 
esenti dall'imposta sulle societ� se avevano un capitale non superiore 
a L. 4.000.000 e un patrimono imponibile non superiore a L. 8.000.000. I limiti 
di capitale e di patrimonio furono elevati, ai fini di tale esenzione. 
rispettivamente a L. 40.000.000 e L. 80.000.000 con l'art. 61 dii. n. 745/70 
convertito in 1. 18 �dicembre 1970 n. 1034, e furono eliminati con l'art. 8 

I. 17 febbraio 1971 n. 127. 
La cooperativa oggi resi,stente pretendeva di godere dell'esenzione 
in forza della legge del 1970; e di questa esenzione, secondo la sua tesi 
(accolta dalla commissione tributaria centrale), si doveva tener conto 
in quanto derivante da una legge anteriore alla legge di condono. La 
conseguenza sarebbe che, operando l'esenzione, mancava -I1ispetto alla 
imposta de qua -la materia di una pendenza tributaria da definire in 

via di condono. 

Secondo la tesi dell'Ufficio, riproposta con l'odierno ricorso, non se 
ne doveva invece tener conto, disponendo il quarto comma dell'art. 3 
del d.l. 1973 n. 660 che, una volta intervenuta la domanda di condono, 
comportante :la definizione pTevista dal primo comma di tale articolo 
(cio� la maggiorazione dell'ultimo imponibile accertato) non si doveva 
appunto tenere conto delle esenzioni previste da norme nuove (cio� 
successive) nispetto alla data di tale ultimo accertamento. 

Si tratta dunque di stabilire se la data di riferimento, rispetto 
alla quale -secondo il citato quarto comma -l'esenzione debba ritenersi 
nuova (e quindi priva di rilevanza ai fini dell'applicazione del 
condono) S1ia quella dell'ultimo accertamento tributario o quella dell'entrata 
in vigore della legge di condono. 

Blementi letterali, logici e sistematici impongono di sciogliere l'al


ternativa nel primo senso. 

Il citato quarto comma, dopo avere precisato che �l'ultimo impolllibile 
definito� si assume al lordo delle detrazioni previste dall'art. 
8 d.I. 918/68, d1spone che non si tiene conto di ogni altra nuova 

o maggiore agevolazione o nuova esenzione eventualmente spettante 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

nei periodi d'imposta da definire (in via di condono) col sistema della 
maggiorazione dell'ultimo imponibile definito. 

Gi� sul piano dell'interpretazione letterale � chiaro che il legislatore 
fa riferimento ad esenZJioni ed agevolazioni che siano nuove rispetto 
a tale ultima definizione, e che siano state gi� concesse alla data 
della legge di condono, solo cos� potendosi ipotizzare la loro astratta 
applicabilit� ai periodi d'imposta da definire. 

:� del re~~o normale, nel sistema, che agevolazion!i. ed esenzioni 
non siano concesse, con effetto retroat1livo, riguardo a periodi d'im� 
posta pregressi. La tesi contraria postula invece che il legislatore, nel 
dettare la disposizione di che trattasi, pensasse ad eventual!i esenzioni 
od agevolazioni da �concedersi in futuro con effetto retroattivo, e, per 
di pi�, facesse una simHe previsione proprio mentre dettava una disciplina 
(quella del condono) fatta per agevolare nel modo pi� \l'apido e 
definitivo la solu~one delle pendenze in atto. Il che � palesemente inaccettabile. 
Non � cio� pensabile che il legislatore, nell'ambito di una 
disposizione che assume a parametro l'ultimo imponibile definito e che 
ha la funzione di risolvere nel modo pi� semplice situazioni che -rispetto 
ailla data di tale disposizione -sono situazioni pregresse, volesse 
fare rifevimento ad esenzioni od agevolazioni future e retroattive, tali 
da potersi applicare a periodi d'imposta rispetto ai quali la domanda 
di condono costituiva un diaframma non pi� superabile. 

:� chiaro aHora che agevolazio11i ed �esenzioni di cui fosse possibile 
tenere conto (o non tenere conto, come il 'legislatore ha ritenuto di 
disporre) sono quelle contemplate da norme emanate tra iJ.a definizione 
dell'ultimo imponibile e la data del d.l. 1973 n. 660. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 17 novembre 1983, n. 6854 -Pres. Battime11i 
-Est. Cantfil.lo -P. M. Benanti (conf.). Soc. La Maison des 
Troglodytes (avv. Radicchi) c. Ministero delle Finanze (Avv. Stato 
Palatiello). 

Tributi erariali diretti � Accertamento � Redditi fondiari � Catasto � Avviso 
di classamento � Motivazione � Requisiti. 

(d.l. 13 aprile 1939, n. 652, art. 12). 
L'avviso di classamento di immobili � un atto del procedimento 
catastale che, sebbene ad esso non sia riferibile l'art. 42 del d.P.R. 

n. 600/1973, deve essere motivato; tuttavia, poich� l'attivit� dell'ufficio 
consiste nell'acclaramento della consistenza, destinazione e caratteristiche, 
dal che discende l'inquadramento nella categoria e nella classe, 

162 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

� sufficiente la motivazione che faccia conoscere i dati oggettivi acclarati 
e la classe attribuita (1). 

(omissis) Il secondo motivo � dh,etto a criticare la conolusione cuJ 
� pervenuta al trigua:rdo la Commissione oentrale, sostenendosii che 
questa, pur avendo distinto il procedimento formativo del catasto da 
quello relativo all'accatastamento di singole unit� immobiliari, abbia 
erroneamente ritenuto inapplicabile in tale ipotesi il disposto dell'art. 42 
del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, che impone La moti\nazione degli 
accertamenti e si riferisce, quindi, anche all'avviso di classamento, il 
quale deve indicare le Tagioni che giustificano l'dnquadramento del fabbricato 
in una categoria diversa da que11a proposta dal contribuente. 

Anche questa critica � 'infondata. 

La nomna suddetta regola l'avv,iso di accertamento quail.e atto finale 
tipico del procedimento di determinazione degli imponibili delle im 
poste sui redditi, stabilendo iil cont�nuto e i requi!s~ti dell'atto mede� 
simo con riferimento alla duplice ipotesi deWaccertamento in ret1Jifica 
e di quello di ufficio; e perci� correttamente la disposiizione � stata 
ri1Jenuta estranea all'avV1iso di classamento, che concerne un'operaziione 
diversa e preliminare rispetto all'accertamento dei redditi fondiari tas� 
sabili, consistendo nella determinazione deHa categoria e classe della 
singola unit� immobi1iaire e, in conseguenza, della rendita catastale, 
la quale, per�, non ,si identifica con il reddito imponibHe, anche se ne 
costituisce la nonnale base di calcolo. 

Tuttavia l'impossibilit� di for rioovso all'art. 42 oit. ha scarso rilievo 
per la specifica questione in esame, giacch� � ormai principio pacifico 
che l'obbligo delta motivazione sussiste per tutti g1i 'atti di un procedi� 
mento amministrativo tributario, finali o strumentali, che siano oggettivamente 
idonei ad incidere in modo immediato e diretto su pos1z10ni 
giuridiche soggettive del contribuente; e non � dubbio che l'atto cli 
classamento sia fra questi, sicch� si tratta di stabilire, con Tiguardo 
al procedimento iin cui esso � inserito, quando la motivia7lione possa 
d1rni sufficiente, cio� tale da consentire al destmatario di verificare il 
processo logico formativo deHa determinazione adottata dall'ufficio e 
di esercitare in modo adeguato il proprio diritto di difesa. 

Al riguaroo occorre considerare, da un lato, che il classamento 
avviene in baise a dichiarazione del proprietario o di altro legit1Jimato 

~1) Decisione esatta. � sicuramente da condividere la considerazione del 
classamento come un accertamento, in senso ampio, e la conseguente necessit� 
di una motivazione. Ma � ancor pi� da apprezzare la affermazione realistia,i 
che la motivazione possibile dell'avviso di classamento non pu� andare al di l� 
della dndicazione dei dati oggettivi di constatazione. 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 163 

che deve contenere la descnizione dell'unit� immobiliare (ubicazione, 
consistenza, genere di costruzione, ecc.) ed essere corredata da planimetria 
redatta da un tecnico; dall'altro, che ila succesSli.va attivit� dell'UTE 
consiste niell'acclaramento della consistenza, della normaile destina.
2J�one e delle altre caratteristiche fiscalmente rillevanti dell'immobile 
e nella conseguenziale qualificazione del medesimo con l'inquadramento 
nella categoria e nella clasise -fra que1le pres�tabi~!ite per la zona censuaria 
-che presenta destina.rione e caratteristiche conformi o 
analoghe. 

L'avv,iso dri classamento, quindi, come atto di esternazione del procedimento 
classificatorio, non pu� che indicare i dati oggettivi acclarati 
dall'ufficio tecnico in ordine agli elementi 1suddetti e la classe attribuita 
all'immobile; e, d'altra parte, il raffronto fra questi dati e quehli 
I�.ncli;cati neMa sua dichi�arazione consente al contribuente di intendere 
le ragioni dehl'assegnazione :fui una anzich� in un'altra delle categorie 
e classi prev1iiste, sicch� � posto nella condizione di potersi tutelare 
mediante �ricorso alle commissioni tributarie (ex art. 1 d.P.R. n. 636 
del 1972). (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 30 novembre 1983, n. 7187 -Pres. 
Ga:mbogi -Est. Corda -P. M. Miccio (conf.) -Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Conti) c. Michelin Recherche et Technique SA. 
(avv. Fantozzi). 

Tributi erariali diretti -Royalties corrisposte a soggetto estero -Classificazione 
tra i redditi di impresa -Quando il soggetto estero � impresa. 

(d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 6, 19, 49, 77 e 80; d.P.R. 29 settembre 1973, 
n. 599, art. 3). 
Prima dell'entrata in vigore del d.P.R. 30 dicembre 1980 n. 897, le 
royalties corrisposte ad un soggetto estero privo di stabile organizzazione 
in Italia dovevano essere classificate � reddito di impresa � ed in esso 
incluse, se detto soggetto �, nell'ordinamento cui appartiene (nella specie, 
quello svizzero), qualificabile impresa (1). 

Con l'unico motivo (denunciando la violazione dii legge) la ricorrente 
Amminist11a:2lione finanziaria censura ila decisione impugnata per 
avere escluso la tassabilit� delle royalties corrisposte in Italia a una 

(1) Sull'argomento, cfr. lo scritto di FAVARA, Le � royalties" percepite da soggetti 
societari privi di stabile organizzazione in Italia, nella parte II di questa 
Rassegna. Inoltre, affinch� il lettore possa valutare appieno la materia trattata, 
si riporta il testo della memoria redatta nel grado di cassazione dall'avv. dello 
Stato MARCELLO CoNTI. 
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164 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

impresa commerciale straniera non avente stabile organizzaziione nel 
territorio dello Stato, sul ri[ievo che le stesse dovevano essere classificate 
fra i � redditi di impresa �. Sostiene che, invece, le predette 
royalties percepite da un tale tipo di societ� commeraiafo dovrebbero 
essere classificate fra i �redditi divel'lSi � (art. 19, n. 6, e 77 secondo 
comma del d.P.R. n. 597 del 1973), in relazione ai quali la tassabilit� 
non resta esclusa dalla mancanza del requisito del.fa � stabille ~ganizza:
llione � in Italia. Sostiene che il predetto art. 77, nel secondo comma, 
prevedendo la tassabilit� delle � concessioni di beni mobili �, prevede, 
proprio, la tassabiliit� dei redditi conseguiti dall.a concessione di beni 
mobi1i immateriali, quali sono appunto, i 'CorriispeM:ivi per la concessione 
di permessi di sfruttamento �di invenzioni fa1dustriali. Conclude 
che, se non dovesse ritenersi applicabile l'art. 77 citato, i redditi in 
par�la dovrebbero pur se.ipre rientrare nella previsione della norma 
�di chiusura�, di cui aill'art. 80 dello stesso d.P.R., sempre compreso 
nel Titolo VI cio� nella disciplina dei � redditi dive:risi �. 

Il ricorso � infondato. 
Questa Corte si � pronunciata una sola volta sulla questione che 
oggi viene all'esame delle Sezioni Unite. Con la sentenza 17 giugno 1981, 

n. 3931, � stato !ritenuto che le royalties cords,poste a una societ� straniera 
(impresa commerciale) priva dii una stabile organizzazione in 
Itailia sono soggette a imposta (anche in quel caso si tmttava dell'ILOR), 
in quanto, dovendo ola:ssifioarSI�. fra i � Tedditi diversi� di cui 
al Titolo VI del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 (legge IRPEF), e precisamente 
fra [ redditi contemplati dal secondo comma di cui all'art. 77. 
devono considerarsi redditi prodotti in Italda, a norma dell'art. 19, 
n. 6, del citato decreto. 
Prima di tale pronunda, la giurisprudenza delle commissioni tributarie, 
posta di fronte a un preciso dettato le~islativo (n. 5 del citato 
art. 19) che prevede la tassabilit� dei �redditi d'impresa� solo se derivanti 
da attiVlit� esercitate nel territori.o defilo Stato mediante stabile 
organizzazione, sti. era posto iil queSlito se le royalties potessero tuttavia 
essere sottoposte a tassazione (pur 'se corrisposte a un'impresa straniera 
non avente stabile organizzazione !in Italia), qualora fosse stato 
possib!i.le inquadrarle, con riferimento a quella fattispecie, non ~� fra. 
i � redditi d'impresa �, bens� fra i redditi deri.vant:i da � lavoiro autonomo 
�. Quesito al quale, come � noto, ha finito per dare risposta prevalentemente 
positiiva, argomentando nel seguente modo: a) sono soggette 
a imposta (IRPEG, ILOR) le societ� che noo. hanno in Italia la 
sede legale o amministrativa o l'oggetto principale dell'attivit� (art. 2 
del d.P.R. n. 598 del 1973); b) il reddito complessivo dmponibile � formato 
dai redditi prodotti in Italia (art. 22 del citato d.P.R.), tali considerandosi 
quelli i111dicatii nell'art. 19 del d.P.R. n. 597 del 1973; e) que-

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 165 

st'ultima norma menziona (secondo comma, lettera b) d redditi di lavoro 
autonomo di cui al terzo comma lettera b) dell'art. 49 dello stesso 
decreto; d) tale ultima norma considera come redditi di lav()ll'."o autonomo 
(tassabili) �i redditi dooivanti dalla utilizzazione economica di 
marchi di fabbrica e di commerciio e dalla utilizzazione economica di 
opere di ingegno, invenzioni industriali e simili, quando non siano conseguiti 
nell'esercizio di imprese commerciali o da societ� in nome collettivo 
o 1in accomandita semplice�. La conclusiione cli siffatto ragionamento 
(che, peraltro ebbe anche il conforto di qualche opinione dottrinale) 
era che i �redditi d'impresa� conseguiti dalle societ� straniere 
erano bens� tassabili, se le stesse avevano quivi una istabile organizza2Jione; 
nel caso, per�, che tale organizzazione mancasse, quei redditi 
non venivano pi� consid~rati come � redditi d'impresa�, bens� come 
redditi der�:vanti da � lavoro autonomo �, in relazione ,aJ quale la manOOD2Ja 
di quella condizione diventava irrilevante ai fini deilfa tassabilit�. 

A tale tesi rion mancarono, per�, pertinenti e penetranti critiche di 
gran parte deHa dottrina, la quale faceva rilevare da un lato, che se 
il percettore del reddito �ra un'impresa, aveva soarso fondamento la 
pretesa di escludere che le royalties dovessero essere considerate � reddito 
d'impresa� e, dall'altro, che si poneva addirittura fuori della 
realt� giuridica il ritenere che una impresa commerciale potesse svolgere 
un � Lavoro autonomo �. 

Tale era lo stato della giurisprudenza e della dottruna al momento 

in cui intervenne la citata pronuncia di questa Corte (era, peraltro, gi� 

intervenuto il d.P.R. 30 dicembre 1980 n. 897, che modificando con 

fort. 19 del d.P.R. n. 597 del 1973 ha definitivamente risolto il problema 

nel senso del1a tassaM1it�: ma il oaso in quella sede esaminato -come, 

del resto, l'attuale che � sottoposto all'esame di queste Seziioni Unite 


concerneva un rapporto che, ratione temporum ricadeva sotto la di


sciplina delrla precedente normativa). 

Orbene, con la detta pronuncia, questa Corte accoglieva le critiche 

che la dot�'rma aveva mosiso alla giurisprudenza delle commissioni tri


buta:r1ie circa la riconducibilit� delle royalties (corrisposte a un'impresa 

commerciale straniera priva di stabirle organizzaz.i.one in Ita1ia) alla ca


tegoria del reddito derivante da � lavoro autonomo �; cli modo che, 

escludendosi che alla tes1i della tassabilit� potesse giungersli per tale 

vi1a, pareva ovvia la conclusione della intassabilit�. 

Senonch�, mossa daHa preoccupazione che la norma in tal modo 

interpretata potesse ,essere sospettata cli incostituzionaliit� (per �eccesso 

di delega � e per irragiicmevolezza � poich� prevedeva la tassabilit� 

delle royalties quando fossero corrisposte a uno strandero � persona 

fisica� e non invece a uno S'traniero �impresa commerciale�, ha cer


cato di battere la via dell'interpretazione � adeguatrice �, pervenendo 


166 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

alla conclusione che alla tassabilit� poteva tuttavia giungers~ mquadrando 
le predette royalties (corrisposte a una impresa commerciale 
straniera non avente stabile organizzazione in Italia) neUa categoria 
dei �redditi diversi�, di cui al Titolo VI del d.P.R. n. 597 del 1973 
(menzionati nell'art. 19, n. 6 dello stesso decreto). 

Tale fogge, com'� noto, classifica, ai fini della determinazione della 
base imponibile (1art. 6) i redditi nelle seguenti categorie: fondiar�, di 
capitale, di lavoro, d'impresa e �dive11si � (dettando poi, la rispettiva 
disciplina nei Titoli da II a VI): e poich� la limitazione della tassabilit� 
(esistenza di una stabile organizzazione in 11Ja1ia) sussiste solo in ordine 
ai �redditi d'impresa�, la tassabilit� veniva ritenuta possibile qualora 
il reddito in parola potesse essere fatto ,rientrare nella categoria dei 
�redditi dii.versi� (cos� come lo sarebbe stato se quegli stessi redditi 
si fossero potuti foquadrare nella categoria dei redditi di 'lavoro autonomo). 


Siffatta possibilit� questa Corte ha ritenuto sussistente quando ha 
ricondotto ila fattispecie (passando attraverso il disposto dell'art. 19 

n. 6 del decreto n. 597 del 1973) alla previsione dell'art. 77 (sempre del 
d.P.R. n. 597 del 1973), relativo ai � redlditi cl.eri.vanti da altre attivit� 
occasionali �. Tale norma, dopo avere disposto (nel primo comma) che 
concor110I10 'a formare � til reddito complessivo� i redditi deriv,anti da 
attli.vit� commerciali o di lavoro non esercitati abitualmente, prescrive 
(secondo comma) che � la disposizione del precedente comma si applica 
anche per i redditi costJituitJi dai corr�spettli.vi per la concessione in 
uso di veicoLi macchine o altri beni mobili�; e questa Corte, sempre 
nella scia di quella interpretazione � adeguatrice � della quale si � detto, 
ha ritenuto che la fattispecie esaminata potesse essere ricondotta a 
quella previsione normativa, in quanto: a) la � occasionalit� � della 
produzione del reddito, menzionata nella � rubriJCa �, ha riferimento 
solo alle ipotJesi formulate nel primo comma, non a quelle (che inte� 
ressano) contemplate nel secondo comma; b) la �concessione di beni 
mobili � comprende anche la concessione per lo sfruttamento dei beni 
immateriaiLi (e, quindi, anche i redditi derivanti dalla utitlizzazione economica 
d�. marchi di fabbrica, invenzioni industriali e simiLi.). 
Anche a tale impostazione non sono manoate le critiche, incen� 
trate principalmente sul rilievo della inapplicabilit� dell'art. 77, allorch� 
il problema della tassabilit�, o meno, concerne 1a corresponsione di 
somme che, tenuto conto della qualit� del soggetto che le ricevie devono 
necessariamente essere considerate come � reddito d'impresa �; e se sono 
� reddito d'impresa � gi� disciplinato come ta1e dalla tlegge impositiva 
(art. 19 n. 5 del d.P.R. n. 597 del 1973), non pu� ritenersi a nessun 
fine, che le stesse siano anche considero.te come � redditi diversi �. 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 167 

Tale essendo lo stato attuale della giunilsprudenm e della dottrina, 
l'odierno mcorso � stato rimes�so all'esame di queste Sezioni Unite, 
data la �particolare importanza� della questione (art. 374, secondo 
comma, cod. proc. civ.); importanza che non viene meno, sicuramente, 
per il fatto che la nuova legge (il citato d.P.R. 30 dicembre 1980 n. 897) 
ha espressamente regolato la materia, poich� si presume che sia ben 
consistente il numero delle controvel1Sie ancoria pendenti, disciplinate 
dalla precedente normativa, e che sono certamente rilevanti g1i interessi 
economico-finarnziari ricadent�i nella dlisciplina di quel regime transitorio 
che dovranno, d'ora in poi, essere giudizialmente regolati in 
armonia con gli enunciati del1a presente pronuncia. 

Orbene, ad avviso del Collegio, la precedente giurisprudenza di 
questa Corte non pu� essere riconfermata, perch� fondata su un ragionamento 
che non pu� essere condiviso. 

Non v'� dubbio, intanto, che le royalties corrisposte a imprese commerciali 
(italiane o straniere, aventi o non aventi stabile organizzazione in 
Italia) siano, per definizione legislativa, � reddito d'impresa �. Ci� infatti 
stabilisce l'art. 51 del d.P.R. n. 597 del 1973 che, definendo il �reddito d'impresa 
�, prescrive che si considera esercizio cli attivit� commerciale, 
quando siano svolte in forma imprenditoriale, le � prestazioni di servizi 
a terzi�: quelle prestazioni, cio�, che -se pure nell'ambito di un 
differente sistema -l'art. 3 del d.PR n. 633 del 1972 (legge IVA) aveva 
gi� definito mediante elencazione, facendovi rientrare anche le � cessioni, 
concessioni, licenze e simili relative a diritti d'autore, a iitnvenzioni 
industriali, modelli, disegni, processi, formule e simili e quelle 
relative a marchi e insegne �. Del resto, lo stesso art. 49 (sempre del 
dPR n. 597 del 1973), inquadrando nella categoria del reddito di lavoro 
autonomo � i redditi derivanti dalla utilizzazione economica di marchi 
,di fabbrica e di commercio e dalla utilizzazione economica di opere di 
~ingegno, invenzioni industriali e simili �, esclude l'inquadrabilit� degli 
stessi redditi in quella categoria, quando siano �conseguiti nell'esercizio 
di 1imprese commerciahl �: il che, ovviamente, significa come i 
redditi in questione prodotti in modo abituale sono stati considerati, 
con riferimento alla diversa � professionalit� � o come � redditi di lavoro 
autonomo� (quando siano staiti conseguiti da un soggetto non 
organizzato Jn forma inprendtltori:ale), ovvero come � redditi d'impresa
� (se conseguiti da un soggetto imprenditorialmente organizzato). E 
non si vede, prop1fo la necessit� di una interpretazione �adeguatrice � 
essendosi la legge delegante 1imitata a esprimere la regola che i � redditi 
d'impresa�, conseguiti da una impresa commerciale straniera non 
avente in Italia una stabile organizzazione, dovessero considerarsi 
prodotti fuori dal territorio dello Stato (legge 9 ottobre 1971 n. 825, 
articoli: 2, n. 21; 3, n. 9; 4 n. 2). Interpretazione che, d'altra parte, � per


venuta a un risultato sicuramente erroneo (anche se la conclusione era 

'i 


168 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

obb1iga11a, una volta che si era partiti da quella premessa), allorch� ha 
ritenuto di individuare nella disposizione contenuta nel secondo com� 
ma dell'art. 77 del DPR n. 597 del 1973 la norma che .il legislatore avreb� 
be dettato per sottoporre a taissazione le royalties corrisposte a un'im� 
presa. commerciale straniera non 'avente in halfa una stabile organiz� 
zazione. 

Tale norma (compresa nel Titolo VI, che disciplina i �redditi 
diversi�), correlata al disposto dell'art. 19 dello stesso decreto, stabi� 
lis~ (per quanto interessa) che si considerano prodotti in Italia i redditi 
derivanti da �concessione 'in uso di ben:i mobili�; e la citata sen� 
tenza di questa Corte, dopo �avere rilevato che � beni mobili � sono anche 
i �beni immateriali� (di modo che in tale previsione era ricompresa 
anche la fat1lispecie del reddito denivante dalla concessione in uso di 
brevetti, invenzioni industriali e simiili), ha ritenuto �che proprio questa 
era la diisposiz_ione che consentiva la tassabilit� delle royalties, anche 
se corrisposte a una impresa commerciale (straniera, non avente sta� 
bile organizzazione in Italia) poich� la previsione non aveva affatto 
riferimento a quella � occasiona1it� � di produzione del reddito che, 
dnveoe, era menzionata neHa � rubrica � e sicuramente, presupposta 
dal priimo comma. 

In definitiva quindi, la sentenza in esame -che oggi viene invocata 
dall'Amministrazione finanzia11ia -ha affermato che il legislatore 
del 1973 aveva espressamente previsto, nel secondo comma dell'art. 77 
predetto, la fattispecie delle royalties corrisposte a una impresa commerciale 
straniera non avente in Itailia una stabHe organizzazione. 

Una �siffatta conclusiOille, per�, non ha tenuto conto, fra l'altro, che 

la legge del 1980 (che, peraltro, era gi� stata pubbliicata quando fa detta 

sentenza fu pronunciata), allorch�, ha aggiunto all'art. 19 del d.P.R. n. 597 

del 1973 l'espressa disposizione che considera prodotti in Italia (ai 

fini dell'applioazione dell'imposta nei confronti dei non residenti) i 

compensi corrisposti a soggetti non residen1Ji, per l'utilizzazione di 

marchi dd fabbvica e di commercio di opere dell'ingegno e simili, ha 

ritenuto -evidentemente non a caso -di comprendere nella (muova) 

previsione anche i compensi � per l'uso dei veicoli, macchine e altri 

beni immobili �. Ha ritenuto, cio�, che quei compensi dli analoga na� 

tura erano stati, dal legislatore del 1973, considerati solo in quanto 

prodotti �occasionalmente�, cos� come, del resto, chiaramente la:scia� 

va intendere 1a � rubrica �. 

Ora � vero che la � precedente � legge non deve essere interpre


tata in base al dii.sposto di una legge succes�siva non avente un dichia� 

rato carattere interpretativo. Ma non pu�, certo, essere trascurato il 

rilievo che, dopo l'innovazione (che semplicemente sottrae al regime 

stabilito per i redditi d'impresa le royalties corrisposte a imprese stra-,:= 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

niere non aventi in Italia una stabile organizzazione e, altres�, i redditli. 
derivanti da uso di beni mobili), la disposizione contenuta nel 
secondo comma del citato art. 77 deve sicuramente essere let1la in conformit� 
alla � rubrica �, cio� come norma disciplinante il regime dei 
� reddlitli. dive:risi � derivanti da un'attivit� (�concessione di beni mobili
�) esercitata in modo occasionale. E poich� la �nuova� legge ha 
semphioemente, modificato in parte iil regi.me dei � redditi d'impresa �, 
ma non ha, affatto, innovato in relazione a quei particolarii redditi 
�diversa�, rnon si vede proprio perch� la detta norma non dovrebbe 
essere letta in conformit� aHa rubrica anche nell'ambito del � precedente 
� sistema. In sostanza, se oggi la norma predetta va sicuramente 
intesa come disciplinante i redditi occasionalmente prodotti, non si 
vede perch� in tal modo non dovrebbe essere intesa anche per iii passato, 
se la stessa non ha mai subito modificazione alcuna. 

Meno ancora, poi, potrebbe ritenersi che il legislatore del 1973 avesse 
previsto la tassabilit� delle royalties iin questione, (cio� quelle corrisposte 
a un'impresa commerciale straniera non avente stabile organizzazione 
in Italia) nehl'art. 80 del d.P.R. n. 597 del 1973. Tale norma, com� 
presa sempre nel Titolo VI, concernente sempre i � redditi diversii � e 
rubnicata come �altri redditi� dispone che �alla formazione del reddito 
complessivo, per il periodo d'imposta e nella misura in cui � stato 
percepito, concorre ogni altro reddito diverso da quelli espressamente 
conside:mti daHe disposizioni del presente decreto �. E poich�, lin tale 
decreto, i redditi � deI1ivati dalla utilizzazione economica di marchi dii 
fabbrica e di commercio e dalla utilizzazione economica di opere dell'ingegno, 
invenziioni industriali e simili � erano gi� espressamente considerati, 
sia (con quella stessa denominazione) come redditi di lavoro 
autonomo, sia (con la denominazione di �prestazioni di servizi a terzi�) 
come 'redditi d'impresa, non si vede, proprio, come gli stessi potrebbero 
ancora, ritenersi contemplati in quella previsione di chiusura che ha riguardo, 
unicamente, ai redditi � non espressamente considerati �. 

L'Amministrazione finanziaria non si acquieta, per�, a una tale interpretazione 
del complesso normativo e propooo di con~derare che, 
anche ritenendo le royalties in questione come una componente del 
� reddito d'impresa �, non sussisterebbero os1Jacoli a ritenere che per 
le stesse sia stato previsto un regime diverso da quello previsto per 
il � redwto d'impresa� (hel suo complesso). 

Propone cio�, d:i accertare se, in reliazione ai redditi predetti, quando 
sono consegu[ti da un'impresa commeroiale 1straniera non avente una 
stabHe organiz2'Jazione in Italia, sia possibile scorgere una volont� del 
legislatore di derogare in parte alla regola generale della intas,sabilit�. 

Il problema giuridico quindi, � quello di stabilire se il reddito d'impresa, 
che normalmente viene considerato ,in modo unitmo, ad fini del� 


170 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

la imponibilit�, possa essere 1scisso nelle sue component-i, perch� possa 
essere considerata tassabile quella di esse che � sicuramente prodotta 
in Italia. 

In linea di principio, detto problema postula certamente una rispo


sta affermativa. Tale �11.isposta, nel campo della norma positiva viene 
proprio ctisposto da1la �nuova legge� (iil citato d.P.R. n. 897 del 1980), 
lil quale, non rinnegarndo affatto la regola che anche nel caso di una 
impresa commerciale straniera non avente �n Ita1ia una stabile organizzazione, 
le royalties costituiscono una componente del � reddito di 
impresa �, ne stabilisce tuttavia, la tassabilit�. La nuova legge, cio�, 
non ha affatto innovato n� 1in ordine alle regole che definiscono il � reddito 
d'impresa � n� in ordine al principio della intassabilit� del predetto 
� reddito d'impresa � quando lo stesso sia conseguito da una 
impresa commerciale straniera non avente in Italia una stabile organizzazione; 
ma ha tuttavia, stabilito~che quella particolare componente 
del reddito (appunto le royalties) in quanto prodotta in Italia, sia tributariamente 
considerata in modo diverso e, quindi, sottoposta a tassazione. 

Ma la soluzione .in positivo del detto problema non giova, in concreto, 
ailla tesi di fondo dell'Amministrazione, poich� nessuna norma, 
nel sisrema del 1973, lascia presumere che quel legisilatore avesse inteso 
operare la detta scissione delle componenti del �reddito d'impresa�; 
certo, non le norme contenute negli articoli 77 e 80 del d.P.R. n. 597 del 
1973, come si � V�isto, n� tantomeno la disposizione contenuta nell'art. 25 
dello stesso decreto che, essendo una norma procedurale � non pu� trovare 
1applicazione iliaddove manchi la norma sostanziale impositiva. 

La conclusione � che la legge del 1973 ha considerato le royalties 
corrisposte a una dmpiresa commerciale puramente e semplicemente 
come �reddito d'impresa�, e �se non ha espressamente disposto fa tassazione 
delle stesse royalties c�rrisposte a una impresa commerciale 
straniera non avente una stabile organizzazione in Italia, ci� ha fatto perch� 
non ha ritenuto di operare nell'ambito del� reddito d'impresa� quella 
�scissione� che ha, invece, informato la successiva legge del 1980. (omissis) 

Memoria dell'avv. dello Stato MARCELLO CONTI 

I cinque 11icorsi ripropongono tutti una stessa questione: quella della 

tassabiilit� -alla stregua delle �disposiri.oni vigenti prima dell'emanazione 
del d.P.R. 30 dicembre 1980, n. 897 (artt. 31 e 43) -delle c.d. royalties 
(e cio� dei cornispetti'Vi per la concessione di permessi di sfruttamento di 
marchi, opere dell'ingegno, invenzioni industriali e simili) pagate da 
residenti a non residenti. 

Com'� noto, ~a questione di cui si tratta � gia stata affrontata e 
liisolta dalla sentenza 17 giugno 1981, n. 3931 della 1a Seri.one di codesta 
Ecc;ma Corte. Le ampie, approfondite ed esaurienti argomentazioni che 

il� 

-. . f~j 


PARm I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

sorreggono tale decisione resistono validamente a tutte le critiche che 
�le sono state mosse da alcune successive pronunce della Commisione 
T.ributaria Centrale e che vengono riecheggiate nelle difese delle controparti. 
Non niteniamo neces1sario, perci�, ripercorrere tutto l'iter logico 
che, con meccepibile coerenza, ha portato la 1a Se2lione a riconoscere il 
pieno fondamento delre pretese fiscali relative alle royalties di cui si 
tratta, apparendo pref�eribile limitare n discorso ad alcuni punti di mag


gior rilievo e r.inviare, per il resto, ai precedenti scritti difensivi. 

T.re dei ricorsi in discussione si riferiscono all'ILOR. Due si riferi


scono, invece, all'IRPEG. Per i primi, valgono integralmente le consi


derazioni svolte nella motivazione della sentenza n. 3931/81. I principi 

ricavabili da tale sentenza valgono, poi, a ri:solvere anche i problemi 

posti dal secondo gruppo di ricorsi. 

Pnima, per�, di affrontare ti temi specificamente riferibilti alla tas


sazione ILOR o a quella IRPEG, appare opportuno richiamare l'atten


zione su due punti di decisiva rilevanza rispetto ad ambedue le imposte. 

Si trotta, da un lato, degli incontestabili arrgomenti interpretativi dii 

carattere sistema1Jico che si desumono dall'art. 25 del d.P.R. 29 settembre 

1973, n. 600 (nella sua formulazione originaria), e, dall'altro, degLi ulteriori 

argomenti desumibili dal nuovo intervento effettuato in materia dai 

le~slatore con gli artt. 31 e 43 del d.P.R. 30 dicembre 1980, Ii. 897: inter


vento idoneo a gettare piena luce sul vero significato e sul contenuto 

della normativa previgente. 

Cominciando da questo secondo punto, va dissipato, anzitutto, un 

equivoco che emerge da alcum passaggi delle difese avversarie. Non 

abbiamo mai sostenuto e non intendiamo sostenere che gli artt. 31 e 43 

dcl d.P.R. 897/80 dettino norme di interpretazione autentica. � evtidente, 

infutti, che essi introducono, al contrario, dtisposizioni cli carattere in


novativo rispetto alla normativa previgente. Si tratta, per�, di intedersi 

sulla portata di questa �1nnovazione. 

Il d.P.R. 897/80 � stato emanato in virt� dell'art. 17, secondo comma, 

della legge di delega per la riforma tributaria (�Disposizioni integrative 

e correttive, nel rispetto dei principi e criteri direttivi determinati dalla 

presente legge e previo parere della commissione di cui al comma prece


dente, potranno essere emanate, con uno o pi� decreti aventi valore di 

legge orwnaria �, entro un termine pi� volte prorogato). Sia nell'ema


nazione del testo orginar�.o dell'art. 19 del d.P.R. 597/73 e dell'art. 25 del 

d.P.R. 600/73, che nell'emanazione del testo emendato degli stessi articoli, 
il legislatore delegato era, perci�, vincolato al rispetto degli stessi principi 
e criterJ direttivJ. EgLi disponeva, cio�, di un ma11gine di scelta quanto 
all'articolazione della disoiphlna delle varie imposte, alla precisazione 
dei particolari, alla defini:l'lione dei singoli elementi delle varie fattispecie 
tributarie, ma era, invece, tenuto a rispettare le linee di fondo della rifor

172 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

ma, come fissate nelle varie disposizioni della legge 825/71. E poich� fra 
tali disposzODJi figurano -anche quelle che delimitano l'area dei redditi 
imponibili nei confronti dei soggetti non residenti (art. 2, n. 21; art. 3, n. 9; 
art. 4, n. 2), � chiaro che il legislatore delegato non poteva allargare o 
restringere, a suo piacimento, quest'area. Ben poteva, per�, scegliere 
fra vari procedimenti o strumenti di tecnica fiscale per realizzare la giusta 
tassazione dei redditi compresi nell'ambito indicato dalla legge di delega. 
Ed � appunto ci� che � accaduto per la tassmone delle royalties corrisposte 
a non residenti: ad un sistema originario che, a parte dl caso 
particolare dei compens-i pagate a persone fiisiche non esercenti attivit� 
imprenditoriale, non dettava alcuna norma specifiica (includendo anche 
le royalties ~ra i redditi da classificare nelle varie categorie generali contemplate 
dall'art. 19 del d.P.R. 597/73, e prevedeva, aH'art. 25 del d.P.R. 
600/73, una 'semplice ritenuta d'acconto), � stato sostituito un diverso 
sistema che comprende, da un lato, una specifica disposizione di localizzazione 
dn Italia dei redditi da royalties cor11i:sposte a non res�identi e 
prevede, dall'altro, in armonia con l'espressa disposizione dell'art. 10, 

n. 5, della legge di delega (�potranno essere previste particolari ritenute 
per i redditi cordsposti a non reSlidenti �), una nuova forma di riitenuta 
a titolo di imposta sui redditi stess'i. 
Ci� significa che le disposizioni integrative e correttiive dettate dal 

d.P.R. 897/80 potevano innovare, e certamente hanno innovato, quanto 
agli strumenti di tecnica normativa utilizzati per realizzare la tassazione 
delle royalties corrisposte ai non residenti (introduzione di un nuovo e 
unitario criteriio di Jocalizzazione in Italia di tutti i redditi di questo tipo; 
introduzione di una nuova forma di ritenuta a titolo di imposta). Non 
potevano innovare, invece, quanto al risultato pratico finale dell'assoggettamento 
ad imposta di questi redditi. Tale assoggettamento deve ritenersi 
gi� previsto, a livello di principi e criteri direttivi, dalla legge di 
delega e gi� attuato, anche se �attraverso diversi strumenti, dalle :prime 
leggi delegate. In ta!l senso, nel dubbio, deve necessariamente orientarsi 
l'interprete, in ossequio al canone che impone, fra pi� possibli.1i interpreta� 
Izioni di un complesso normativo, di adottare quella che assicuri la conformit� 
dell'intero sistema a:i principi cosmtuzioD!alii (nella specie, al prin� 
oipio di oui all'art. 77 Cost. 

Tutto ci� � stato chiaramente avvertito dalla sentenza 17 giugno 1981, 

I

n. 3931 della prima Sezione, che acutamente osserva come non possa negarsi 
Iili 

� l'attitudine di tali norme (scil., del d.P.R. 897/80), come espressione della 

linea di tendenza del legislatore, ad offrire argoment� esegetioi per fa so


,.,

luzione del problema dn esame� (par. 1), in particolare evidenziando come f 
le norme stesse si collochino 1in una prospettiva carattenizzata, nell'intento 1:del 
legislatore, dail � pasisaggio dall'iniziale convincimento della super� j_�� 
fluit� di una dispoSlizione ad hoc alla constatazione dell'inadeguatezza dei 

.. I 

I 

llllllll�llrli,lllllllillt�itltllla&illl�llllrlt%Jllll:W~lll� 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DBl.J..O STATO

184 

Ne derivia, avuto rigoordo a!Na complessit� e aili1a natura dei comp~td 
attribuiti all'enrte, che, in punto di esatta qualliid�CMione dei fatti accertati 
nelile fiasi di, merito, il 11appo1:1to instaurato oon l'ammini:stmzione staitale 
non pu� essere altrnmenm definito che come concessione, ai sensi del:l'art. 5 

n. 2 d;l. c.p.s. 10 aprifo 1947 n. 261, e, qudncli, che u:nioaimente il concessionario 
devesi ritenere obbl!igato al pagamento deli'mdenllJJiJt� per l'occupazione 
biennale, decretaita a ISUO favore, e al ~isarclmento dei danni, stante 
anche il ca:riarttere personale delila responsabilit� extracontrattuale 
(Cass. 13 dkembre 1980 n. 6452), per il successivo peri.odo di occupazione 
abusiva. (omissis) 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 10 novembre 1983, n. 6671 � Pres. 
Greco -Est. Maresca -P. M. Mriocio (conf.). -Seconda Universit� statale 
di Roma (avv. Stato Vittoria) c. Spalletta (�vv. Cochetti.). 

Espropriazione per p.u. -Terreni destinati alla seconda Universit� degli 
studi di Roma � Indennit� -Deducibilit� del valore d'uso del fondo 
utilizzato da impresa diretto-coltivatrice � Esclusione. 

(I. 22 novembre 1972, n. 771, art. 2). 
Espropriazione per p.u. � Terreni destinati alla seconda Universit� degli 
studi di Roma -Indennit� -Stato delle colture agricole -Epoca di 
riferimento della stima. 

(1. 22 novembre 1972, n. 771, art. 2). 
�Espropriazione per p.u. -Terreni destinati alla seconda Universit� degli 
studi di Roma � Indennit� � Controversia stilla sussistenza del titolo 
all'indennit� aggiuntiva � Giudice competente � � quello dell'opposi� 
zione a stima. 

(1. 22 novembre 1972, n. 771, art. 2). 
L'indennit� di espropriazione dovuta al proprietario di un fondo 
destinato a sede della seconda Universit� statale di Roma va determinata 
in mi$ura pari all'intero valore agricolo di mercato del terreno, anche 
quando a favore dello stesso proprietario o di altro coltivatore diretto del 
fondo debba provvedersi alla corresponsione della indennit� aggiuntiva (1). 

(11-2) Il caso deciso dalla sentenza in rassegna riguardava un terreno coltivato 
direttamente dallo stesso proprietario e la circostanza pu� aver avuto peso 
determinante nella soluzione adottata dalla Corte, risultando per vero arduo, 
in concreto, discernere un valore d'uso del terreno nella azienda diretto-coltivatrice 
condotta dallo stesso proprietario del fondo. 

Va osservato, per�, che analoghe difficolt� pratiche non sembrerebbero rav� 
visabili nel diverso caso in cui si tratti di �determinare, come per legge, il 
� valore agricolo di mercato � di un terreno condotto iin fitto, a mezzadria, ecc. 



PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 18J 

blici e l'INCEP, avendo Ja Corte d'appello ritenuta corretta la qualificazione 
di delegazione amministrativa attribuita al rapporto dal giudice di primo 
grado, mentre � noto che la delegazione di questo tipo, essendo istituto 
peculiare del diritto pubblico (Cass. 22 maggio 1980, n. 3364), non pu� configurarsi 
che tria enti. pubblici diversi o tra organi diversd de]llo stesso ente 
pubblico (delegazione, rispettivamente, intersoggettiva o iinterorganica) e 
deve quindi, escludersi nell'ipotesi in cui il preteso delegato sia un privato 
~persona fisica o giuridica). 

In quest'ultimo caso, le figure pi� ricorrenti di cooperazione tra privato 
e amministrazione pubblica, per la reaJl.izzazione di opere programmate 
nell'interesse della collettivit�, sono l'appalto e la concessione (traslativa): 
il primo strettamente limitato all'esecuzione dei lavori, l'altra 
(espressamente prevista dall'art. 1 l. 24 giugno 1929 n. 1137, come modificata 
daJJ.a legge 15 germatio 1951 n. 34 e mtegmta, di receme, dahla legge 
8 agosto 1977, non applicabile, pe11ailtro, nel caso specifico), normailmente 
adottata dall'Amministrazione per la pi� sollecita e conveniente esecuzione 
di opere pubbliche complesse e caratterizzata, anche se non accompagnata 
dalla concessione di gestione, dal trasferimento aJ concessionall'io, 
irn tutto o :in parte, defile (o deH'eseroizio delle) funzioni oggettivamente 
pubMiche (progettazione di massima ed esecutiva, direzione dei lavori, 
acquisizione delle airee mediante provvedimenti ablialtori, ecc.) proprie del 
concedente e necessarie per la realizzazione delle opere (Cass. 1964 n. 1129). 

Nelil'espletarnento dci compiti affidatigli, il concessionario agisce, 
qU!�ndi, in nome proprio: di qui, Ia rilevanza esterna del provvedimento 
amminmstm1livo di concessione e delilla relativa converuiione, con la conseguenza 
che egli � diretta~ente responsabile nei confronti dei terzi per le 
obbligazioni assunte strumentalmente preordinate all'esecuzione delle opere 
oggetto defila concessione, la qua:le, proprio per questo, viene comuneinente 
assimHa1la, sul piano effettUa!le, ailila delegazione amministrativa e 
questa, reciprocamente, identificata con la concessione a favore di enti 
pubblici (Cas. 14 genna:io 1976 n. 111; 14 marzo 1973 n. 720). 

Nel caso di �specie, la Corte di merito ha accertato, con insindacabile 

appreZ2lamento di fatto, logicamente motivato e dmmune da errori giuri


dici (v., irn futtispecie analoga, Cass. 22 maggio 1980 n. 3364), che aill'INCEP 

vennero devoluti compiti non limitati al~ mera esecuzione ma estesi alla 

progettazdone, direzione, contabildzmzione e gestione dei lavori, nonch� 

(con specifico riferimento al d.m. n. 2501 del 4 maggio 1960, modificativo 

della precedente lettera ministeriale n. 1246, ripetutamente evocata da:i 

ricorrenti) alla diretta acquisizione dei suoli destinati all'insediamento dei 

costruendi alloggi, con l'obbligo espresso di provvedere anche al paga


mento, salvo nimborso, delle indeil!llit� �Spettanti �ai proprietari, e che, in 

conseguenza di ci�, '1'I1stdtuto (non altri) fu autorizzato ad occU1pare tem


poraneamente le aree. 

-



-


SEZIONE SETTIMA 

GIURISPRUDENZA IN MATERIA 
DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 3 novembre 1983, n. 6474 -Pres. San


dulli -Rel. Senofonte -P. M. Zema (conci. diff.) -Forte Fildppo ed 

altri (avv. Abbamonte) c. Ministero Lavori Pubblici (avv. Stato Bruno). 

Opere pubbliche � Esecuzione � Delegazione amministrativa . Soggetti . 
Delegatario soggetto privato � Esclusione. 

Opere pubbliche � Esecuzione � Concessionario di opera pubblica -Obbli� 
gazioni preordinate alla esecuzione dell'opera � Responsabilit� nei 
confronti dei terzi. 

La delegazione amministrativa, istituto peculiare diel diritto pubblico, 
non pu� intercorrere che tra enti pubblici diversi o tra organi diversi dello 
stesso ente pubblico (delegazione, rispettivamente, intersoggettiva o interorganica) 
e deve quindi escludersi che ricorra tale figura nell'ipotesi in 
cui il preteso delegato sia un sogg,etto privato (1). 

Il concessionario di opera pubblica agisce, nell'espletamento dei compiti 
affidatigli dal concedente e necessari per la realizzazione delle opere 
(progettazione di massima ed esecutiva, direzione dei lavori, acquisizione 
delle aree mediante provvedimenti ablatori, e quant'altro), sempre in nome 
proprio ed � perci� direttamente responsabile nei confronti dei terzi per 
le obbligazioni assunte, strumentalmente preordinate all'esecuzione delle 
opere oggetto della concessione (2). 

(omissis). Il ricorso � infondato, anche se, con riferimento ail primo motivo, 
si deve correggere, a norma dell'art. 384, cpv., cod. proc. civ. la motivazione 
della sentenza impugnata nella parte relativa alla identificazione della 
esatta natura del rapporto intercorso tra l'Amminitsarzionne dei lavori pub


(1-2) In senso conforme: Oass. 22 maggio 1980 n. 3364 (in Foro It., 1981, 
I, 1083), citata in motivazione; sulla delegazione amministrativa intersoggettiva 
come equivalente a concessione a favore di ente pubblico cfr. Cass. 14 marzo 
1973 n. 720 (in Giust. civ., Mass. 1973, 378) anch'essa .I1i.chiamata in motivazione; 
sulla diretta ed esclusiva responsabilit� del concessionario di opera pubblica nei 
confronti dei terzi si veda anche Cass. l3 dicembre 1980 n. 6452 (in Foro It., 
1981, I, 1082, ed ivi ulteriiori richiami); per un'ampia trattazione dell'argomento 
dr. CARUSI F., Rapporto organico e sostituzione nella costruzione delle opere 
pubbliche, in questa Rassegna, 1965, I, 1152. 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 181 

escludere, del resto, che la concessione dello sfruttamento di beni iimmateriali 
possa considerarsi, per s�, come attivit� di produzione o di intermediazione 
nella circolazione dei beni. Basti pensare ,ahl'autore che cede 
i di:nitti di riproduzione della sua opera per conviincel1SI� dellia inammissibile 
forzatura che comporta 1a tesii qui criticata. 

� via.no, d'ailtra parte, cercare conferme della tesi avvevsairia nel disposto 
del secondo comma dell'art. 22 del d.P.R. 598/73. Disponendo che, 
ai fini dell'IRPEG a carico delle societ� e degli enti non residenti, si tiene 
oonto, per i redditi. di impresa, �anche delle plusvalenze e delle minusvalenze 
dei beni destinati o comunque relativi ahle attivit� commeroiiaili 
esercitate nel terr�tor�o dieNo Stato, ancorch� non conseguirte attraverso le 
stabili organizzazioni �, tale norma si riferisce, evidentemente, all'ipotesi 
mcui esista una stabile org&li�zzazione e ddspone che, in 1JaJl caso, al reddito 
(di impresa) dell'organizzazione si devono aggiungere o sottrarre le 
plusvalenze o le minusvalenze, anche se realizzate al di fuori dell'ambito 
operativo dell'organizzazione stessa. Non si riconosce, perci�, alcuna rilevanza 
a ipotetici redditi d'ampresa prodotti in Italia senza stabfile organizzazione. 
Al contrario, anzi, si riconosce una rilevanza ancor pi� ampia 
della stabile organizzazione esistente in Italia, conferma1ndo, cos�, il. carattere 
essenziale e imprescindibile di questo presupposto perch� si possa, 
comunque, parlare di ireddito d'impresa. 

Del resto, la stessa difesa avversaria riconosce che, in mancanza di 

una stabile organizzazione iin Italia di un'impresa non residente, non pos� 

sono sfuggire all'imposizione le componenti di reddito conseguite nel ter


ritorio dello Stato se queste, autonomamente considerate, presentino le 

oarratteristiche per essere inquadrate in categorie reddituaili diverse da 

quella del reddito di impresa e se sussistano i requisiti di territorialit� di 

cui all'art. 19. 

Orbene, il .reddito da royalties possiiedle, appUDlto, queste caxatteri


1Jiche. Esso, infatti, autonomamente considemto, 1si iinquadm perfettiamente 

in categorie reddituoo diverse da quie11ia del reddito idi impresa (reddito 

di Javroro autonomo, per le persone fisiche; � redditi ddversi �, per iJ.e per. 

sone giuridiche). In presenza dei requisiti di tem.toria:liirt� di OU!i all'art. 19, 

non ne pu� essere oogaitia, perci�, ,l'timponibllit�, anche dn base ai principi 

affermati dailla difesa avverarla. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

G1d argomenti che suffragano questa conclusione sono ~� stati da noi 
espos1Ji. nei precedeillt1i scritti dilensivi. Oi li.mi1li.amo a ribadire, in questa 
sede, due considereziond, che appaiono dii particolare rillievo: 

a) anzitutto, sembra eooente che l'escluisi:one di um tassazione 
autonoma dei singoli ricavi dell'impresa si pu� giusticare solitanto iin fun2Jione 
della tassa.7iione, m sua vece, de1l'utiile netto complessivo. Non 
avrebbe senso, invece, Uala esolusione dellJla tassazdone autonoma d�e rt1stasse 
fine a se stessa, esulando. del tutto l'utile netto complessivo dalla 
sfera di appllicazione del nostro 01dinamenrto tributaroi�. L'impresa, cio�, 
se assume rilevanza fiscale, la deve assumere in ambedue le direzioni: dell'esclusione 
della qualifica di redditi tassabili dei singoli ricavi e dell'assoggettamento 
effettivo ailla esazione dehl'utile netto comples,sivo. Non � concepibile 
invece una rilevanm fiscale dell'dmpresa a senso unico, e cio� 
solitainto all fine dii eso1udere la tassazdone dei �ricavii, senza sostituire ad eS1Sa 
quella de1l'utile netto; 

b) ii.n secondo luogo, � chiaramente inconcepibilie una attiW.t� di 
acoerta.mento deli1a Finanza volta a s1Ja00lire se un reddito conseguito in 
litai1ia da un non res~dente sd ricolleghi, m qUJaJ:che modo, ad un'attivit� 
imprenditoriale totalmente svolita atll'estero. La manoam:ia di ogni stnimento 
di obiettiva vetiifica conferma fa totale irrilevanza del nesso fu'a 
reddito ccmsegwt� in Italia e a1l1liviit� imprenidd.rtooi:alle svolta aill'estero. 
La legge, cio�, non appres�ta procedimenti di aocert:amen.to (che sono, invece, 
rigorosamente previsti dalle convenzioni particolari stipulate con 
determ�!Ilatd. Stati per evdtare doppie imposizioni) perch� ci� che dovrebbe 
~non ha, in reallt�, aile�na tinfluenm sulla itassazdone. 

E che questo principio, sia chiaramente espresso dall'art. 44 del 

d.P.R. 597/73 a proposito dei redditi dd oapiitale non significa certo, come 
vorrebbe la difesa della Textron, che per li. �redditi appartenenti ad altre 
categorie possa valere il principio opposto, trattandosi, al contrario, dell'espressione 
di una regola generale, la cui ratio si estende mcontestabiil.mente 
all'li.ntero campo ded redditi mssabli.li . 
.A!llche le altre obiezdoni mosse dail!lie difese avversarie alle conclusioni 
raggiunte non colgono nel segno. In particolare, appare infondato il tentativo 
della difesa della Michelin di qualificare come � oggettivamente commerciare
� (e quindi idonea a dar luogo sempre ad un reddito d'dmpresa) 
l'a:ttd.vli.t� consistente nehla concesione di :permessi idi sfu'uttamenro di brevetti, 
m!archi, ecc. In reailt�, di reddito d'impresa si pu� parlare soltanto 
ove esista un'eserc:i2'Jio per professione abituale di �attivit� commerciali 
(art. 51 d.P.R. 597/73), ed � appunto questo eleme.nJto uniif�.canite della professionalit� 
che, nel caso dei non residenti, non pu� assumere rilevanz� 
(e non pu� neanche essere accertato), a meno che non sii. traduca nella 
crea2lione, in Italia, di una stabile orgamz~one :imprenditoriale. ~ da 


PARm I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 179 

� senz'al~ da escludere, perci�, che !in tema di IRPEG possa gius11ifi:
carsi UJOO soluziOOJe dii.versa da quella gi� raggi.1.lillta peir l'ILOR. 

Come abbiamo detto, il punto decisivo � rappresentato, dalla determinazione 
dei presuppostl:i necessari perch� poSiSa configurarsi un reddito 
d':impresa. 

L'art. 51 die1 d.P.R. 597 /73, dopo aver definillto il reddito d'[mpresa come 
qucllo che deriva drul.'eserai2lio d�. imprese commerciailii, precisa che � per 
eseroizio di imprese commerciailii si mOOnlde l'esercizio per professione 
abituale, ancorch� non esclusiva, deHe attivit� commeroiailii dii cui al1'ar1li.
colo 2195 del codice oivdile anche se non 011ganrizmte in forma di impresa. 
Le attivit� di prestazione dii servtlzi a ,1:ierni, che 111on 1�ien1lmno nell'art. 2195 
001 codice oivfile, si conSliderano commeroiailJi se organizza1te .in forma di 
!impresa�. 

L'art. 19, n. 6, dispone, poi, che � SI� comidemno prodotti nel territorio 
dello Stato, ai fini dell'applicazione dell'iimpos�ta 111eii confronti dei non 
residenti: ... i redditi di impresa d.erlivantli da attivit� esercitate nei! territorio 
dello Stato mediante stabili organizzazioni �. 

Dal combinato disposto di queste due norme risulta chiaramente che 
i non residenti possono conSiidemrsi ti�toLaini. dii un reddito d'impresa soltanto 
se svolgano tin Italia un'attivit� commeraiale medWante stabile 
organizzaziione. In manoanm di questo presupposto, un'eventuale attivit� 
li.mprenditoria:le svolta esclu&ivamente alil'esooro non potrebbe mai assumere 
alcuna riJevanm fiscale. Non pu� venifioaa:isi, cio�, :iil tipico effetto 
della configurazione di un reddito d'impresa, ossia la perdita di ogni autonomia 
dei singo1i ricav�. inerenti all'impresa stessa e ila confluenza dii ogni 
elemento attivo (profitti) e di ogni elemento passivo (perdite) in un tutt'unico 
fiscalmente rilevante soltanto per l'utile netto che ne risulti (art. 52 
del d.P.R. 597/73). 

Questo � anche !il senso del!le norme contenute negli. artit. 2, 111. 21, e 3, 

n. 9, della legge 9 ottobre 1971, n. 825. Stabilendo, infatti, che, nei 
confronti dei non residenti, si possono prendere in considerazione redditi 
di dmpresa (da tassare come tailii) solmnto se Sii itrattJ:i di ooddfutl:i prodotti 
mediante una stabile organizzaziione nel territorio delilo Stato, queste di� 
sposizioni intendono, 1infatti, limiitare alla sola li.potesi in culi esista la 
stabile organizzazione la possibilit� che i vari ricavi conseguiti in Italia dal 
non residente perdano la loro autonomia fiscale �e vengano in considerazione 
soltanto per determinare un eventuale utile netto complessivo. 
Nell'ipotesi opposta, invece, deve esoludersi che quegli sftessi rioavi, in 
assenza di m1a stabile organizzazione :imprenclitoniiale in Ita1ia, possano 
ugualmente scomparire come cespiti 1autonomi e oonflufu:'e :in Ulll unico 
reddito d'impresa estera, totalmente sottratto all'impero del nos~ ordinamento 
tributario. 
13 


178 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

l'IRPEG. Al paragrafo 6 si afferma soltanto che, mentre per l'ILOR � 
sufficiente far leva su:Ll'art. 4,�n. 2, della legge di delega per giungere alla 
conclusione della tassabi1it� deli1e royalties corrisposte a societ� non residenti, 
per �l'IRPEG si pu� giungere 1alla .stessa oonoluSI�()[le soltanto attrave11so 
un passaggio obbligato, e cio� attraverso la dimostraztione che la 
configurazione di un � reddito di impresa � presuppone l'effettivo eseromo 
dii un'attliVlit� imprenditoI'iiaLe nel territorio dello Stato. 

� questa, dunque, l'dinidagine che Sii deve affrontare in questa sede. 
E non v'� dubbio che essa risulta estiremamente facilitata dalla rigorosa 
puntualizmzione dei prindpi generalii operata da11a stessa sentenza numero 
3931/81. 

Innanzitutto va IliOOl'dato che, come chiaramente �Si dice nella citata 
pronunoila (par. 2), i!1 problema si pooe in terminli estremamente preais[: 

o si giiunge, in vJra di interpretaziO!tle adeguatrioe, aH'affermaziione dehla 
tassabilit� delle royalties nelle ii.potesi in considerazione, ovvero sorgono 
msoI'montabili questioni di legittimit� costituzionale. E ci� non soltanto 
con r.iguaiido all'eccesso di delega ~che, per :l'IRPEG, potrebbe apparire 
meno eVlidente, manoando una norma cMam e tass�amva come l'art. 4, 
n. 2, della legge dii delega, dettato per :l'ILOR), ma anche con riguardo 
ail fondamentale principio dell'art. 3 Cost., posto che :t:a soluziione interpretativa 
de1l'rintassabihlt� presterebbe inevdtabiilmente il fianco a censure 
di il'J:1agiicmevolezza, � non trovando giustificazione qi sorta la iliscmminazicme 
fu-a il trattamento 11iservato �al percettore ili royalties che sfa persona 
fisica residente all'estero e quello di cui si pu� giovare il percettore 
che sia dm.presa commerciale non avente sede n� stabiile oI'gamzmzione in 
ltahla Non vmrebbe obiettare che adeguato elemento differenziale sarebbe 
aippunto :t:a qualit� del soggetto, poich� nel quadro della relativa dtisciplina 
appare prevalente �1a considerazione oggettiva del reddito piuttosto che 
quelila soggiemtiva �del destinatwio della solutio. N� la giustificazione potrebbe 
mnveni.I'SI� iDle1l':intento di evitare lia doppia tassazione, che ha una 
sua ragiion d'essere quando si abbia di mira !'.intero reddito d'impresa, ma 
non quml!do viiene in oonsiderazione 1a singola componente prodotta in 
Ita1ia; e che � problema in pI1incipio da affrOilltare e Ilisolvere -come 
:iJil effetti accade -mediante la smpulazione di convenzioni internazionali 
bilateraLi o multi!la1tera:1d � (sent. n. 3931/81, par. 8). 
Non pu� revocarsi in dubbio, perci�, che anche in tema di IRPEG 
la soluzione defila tass:abiilirt� � imposta �dall fondamentale canone interpretamvo 
dehl'.adeguamento :ai principi costiituziionailii. 

D'altra parte, come iabb!iarrno gii� detto, La s1Jes1sa so1~one � univocamente 
e necessariamente impos�tta anche dal slist!ema, e, rin particolare, 
dailila clisposi:llion:e sulle ritenute di OUi� al secondo "comma dell'art. 25 del 

d.P.R. n. 600/73 (che non avrebbe, altrimenti, ailcun senso). 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 177 
comprensivo. Per re royalties, .in partJi.colaire, � palese che 1a iloro origine 
va mvviisata in un atto negoziale, 1n un contratto concernente lo sfruttamento 
di un determinato bene immateriale. Se ed li.in quanto 1Jale sfrut1lamento 
debba avvenire i111 Itali.a, e presupponga, quindli, la protezione 
che l'ordinamento illaJ.iano offre al bene immatelI1iale d~ cui si trattla, deve 
necessa:niamente niconoscel1SJi che le royalties de:nivaino da un'attJi.Vlit� (il 
contratto) concernente beni che si trovano nel territorio dello Stato. Ad 
esse, perci�, nrm pu� non apphloal1SJi l'art. 19, n. 6. 
N�, oerto, pu� valere, li!n contmairio, lla11gomenrto che si vorrebbe trarre 
dalJ':art. 31 del d.P.R. 30 dicembre 1980, n. 897 (se ml 'legislatore -si 
dice -ha introdotto un nuovo cr�terio di locaLizzazione, applicabile alle 
royalties, accanto a quello dl� cui al n. 6 dell'ant. 19, ci� significa che 
quest'ultimo criterio non riguardava prima, -come non riguarda oggi, le 
royalties). t?. chiaro, infot1li, che il nuovo n. 9 dell'art. 19, introdotto dal 
d.P.R. 897/80, non ha fotto altro che enucleaTe un'!Lpotesi (quella delle 
royalties e dei cor:nispettiV'i per l'uso di cose materiali.) prima compresa 
ne11a oategoJ:1iia pi� lamp~a del n. 6. NU!lla di 'strano, perci�, che le royalties, 
prima del d.P.R. 897/80, fossero comprese nre1l'ambito di �applicaZlione del 
n. 6 e che oggi, J111vece, non Vii siano comprese pi�, per esser stata introdotta 
un'apposita categoria ad es'se speoificamelllte riferita. 
N0111 ha ri.1evan21a, irnfine, l'osservazione secondo rui le royalties si rife:
nisoono, n0111 solo allo sfruttamento di brevetti., marchi e dinit1li d'autore, 
ma anche ,aJJ'u1Jiliz2Ja2'J�one del c.d. � Know-how �, e cio� deLle informazioni 
:rie1aitiVe a processi, formtl!le ed esperiienre acquisite nel campo .industriale, 
commerciale o scientifico. Non v'� dubbio, infatti, che nell'ampia categoria 
dei beni dmmateriali possano rientrare anche queste uti1it�, che, se non 
ricevono la tutela specifica dei diritti di brevetto o di marchio, formano 
ugualmente oggetto di protezione da parte dell'ordinamento attraverso le 
&sposiZliom giene:riailii suJJ.a concorrenza, nonch� at1Jraverso ila piena garanzia 
del oam1J1Jere Viincolante degli accordi contirattuaJ.i ad esse 1relatiVii. E ci� 
� tanto vero che l'art. 69 del d.P.R. 597/73, accanto aii di.JI111Jti. dli brevetto, 
ai di:r�tt� di utilizzazione di opere delJI'mgegno e al� diritti. 'di uti1iZ2lazione 
dei marchi, fa espressa menzione anche dei � diritti di utilizzazione di 
processi, formuJe e simili �, nOOlCh� dei � diritti di utilizzaztlone di informaztloni 
relati.ve ad esperienze acquisite nel campo 1iindustriale, commeraia:
1e o scientifico �. Si desume chiaramente da questa norma che, aglt 
effet1li 1lribmari, 1anche in queS1to caso si deve correuamente parlare di 
booi fanmaterfa!li. Con tutte fo conseguenze, in tema di applii.cazione degli 
artt. 77 e 19, n. 6, che esattamente ne ha gi� tratto la senten:zJa n. 3931/81. 
Passando, oria, aWIRPEG, va subito avvertl~1Jo che non � affatto vero� 
che la senllen2Ja n. 3931/81 abbia affermato la �non conciliabilit�� delle 
a:rigomen1laziontl accolte in tema di ILOR con la diversa normativa del-
lim\ 
Lt:: 
t.: 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

avendo esolusivo riguairido .alle obiet1live caratteristiche della fonte produttiva 
del rnddi�to in considerazione. 

Cos�, tmttandosli di royalties pagate rper lo sfruttamento in Italia di 
beni imma:teria:li, JJa localizza21ione dcl :reddlito nel tenrl�tolrio deililo Stato 
non pu� essere negata, dato che Ja sua fonte produttiva consiste iia:J. runia 
attivit� (conoessione dii �sfruttamento) concernente un bene ivi situato 
(a!llt. 19, n. 6, d.P.R. 597/73). Non cos�, invece, per i compensi :pagati 
all'estero per l'importazione di cose. In tal caso, infatti, si tratta di 
reddito dia attiivit� (commerciale) svolta aM'estero e non corroernente lo 
sfruttamento di beni siti in Italia. La tentata dimostrazione � per absurdum 
� deM'�insostentlbilit� delila resi aocolta da11a sentenza 3931/81 viene, 
perci�, a manoare di OgITT!i base. 

Quanto, poi, �a1l'ti.TIJquadiramento dehle royalties fira i �redditi diversi� 
(categoria E de1l"art. 6 del d.P.R. 597/1973) e, in ;p81111Jioolare, fira i redditi 
costituiti dai corrispettiMi. per �1a concesstione in uso di beni �diversi dagli 
immobili (art. 77, secondo comma), la debolezza delle obiezioni mosse dalla 
decisione 20 novembre 1981, n. 8782, delle Sezioni Unite dellla Commissione 
Th'ibutlaJr~a Centra.le appare di tutta evidenza. L'interpretazione :restrittivia 
dell'1art. 77 (che sii vor.rebbe riferire ai solti beni ma:terialti) non 
pu�, infatti, assolutamente reggere. In manoan:z.a di univoche mdioazioni 
testuali, l'espres�sione �beni�, in confoI1IIll�t� con La ratfo della norma, deve 
necessariamente aisSIUIIl1erSi� nella �sua ma:ssilma Jatiltudine di s.ignif�oato, 
come gi� ha esaurientemente dlimostrato la senrte:rraa n. 3931/81. 

Ma, prima ancO'I"a, ci� �che va �sotto!lineato � ila totlaJle �n.oondudenm 
dell'argomento. Anche a voler ammettere, infatti, che i redditi derivanti 
daRa ronoessione d~hlo sf.rut1taimento iin Halia di beni immaiteriail.i non 
ruentrino fra que1lti oontemp1ati daJ:l'rurt. 77 dcl d.P.R. 597/73, essi r.ientrerebbero 
ugualmente neMa categoria dei �.:redditi dive11si � in vwt� dell'art. 
80, che va comprende �OgITT!i altro reddito �dliverso dia quel.Ii espressamente 
considerati daille dtisposizioni del presente dooreto �. In ogni caso, 
perci�, dovrebbe IWoVlall1e appt!:ioozione il criterio di 1ooailizzarione �di cui 
ahl'art. 19, n. 6, che si ;rii.ferisce, appunto, a tutf,i i � redditi diversi di cuti 
al titolo VI �. 

Tenta di negarlo [a difesa iavvensafl�la, secondo !la quale l'art. 19, n. 6, 
prenderebbe in cons�iderazione, non tutti i .redditi 1diversi, ma solo quel�ld 
che derivano da WJ.'attivit� (o 1svolta nel territorio del.ilo Stato o re1attiva 
a beni che si trovino nel tem'�rtocio stesso). Le royaJties non trainrebbero 
la loro origine da � at1Jivit� � di sorta: ad esse, perci�, l'art. 19, n. 6, noo 
potrebbe mai applticarsi. 

� evidente, al contrario, che !l'art. 19, n. 6, sii rJfecisce proprio a tutte 

'lie fattispecie di redditi divensi contemplate nel tiitolo VI. In ogni caso, 

infatti, � mvvisabile, 'all'origine dei reddim di questo tipo, un'attivit�, 

intesa questa espressione, come dev'essere intesa, nel senso pi� lato e 


PARm I, SEZ, VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 175 

ragione che, agli effetti. del!l'aipplioaZJione dell'art. 19 del d.P.R. 597/73, il 
reddito da royalties conseguito da societ� straniere senza stabile organizzazione 
in I1lal1a non ipu� considerarsi come � reddito di. impresa �. Ad 
esso, quinidi, non pu� applicami lil oniterio di Iocailizmzlione tevritoriaile 
dettato dail n. S dell'art. 19. II oriterio applioabile deve, linvece, essere un 
ailtiro e, precisamente, oome ha rampiamenite dimostrato fa sentenza numero 
3931/81, que.hlo dettato daJ, n. 6 de.hl'art. 19 per i � redditi �diversi 

d:i cuii ral titolo VI �. 
Bassral1.1do, ora, agli rairgomenti che rigura:ridano pi� specificamente i 
ricorsi iin tema di ILOR, aippare evidente come �le numerose oritiiohe 
mosse dalle aggl.le!I'rite difese avversarie alla .sentenza n. 3931/81 non ne 
scalfiscano affatto il solido fondamento. 

Non centrano il bersaglio, in particolare, le obiezioni mosse all'interpretazione 
accolta da codesta Corte dell'art. 4, n. 2, della legge di delega 
(�Nei confronti dei soggetti di cui al n. 9 dell'art. 3 l'imposta (ILOR) � 
applicata al reddito complessivo ivi indicato o ai singoli redditi prodotti 
nel territorio dello Stato secondo che detti soggetti abbiano o non abbiano 
una stabile organizmzJone nel territorio stesso�). 

Secondo l'esatta rkostruzlione della sentenza 3931/81, questa nocma 
vdene in ro111Slideraziione ad fini d�bl'in<lrivffidU02lione dell'oggetto della rtassa2lione 
ILOR. Ove sii tratti di enti costituiti all'estero e sforniti dli �stabile 
origanizzazione in Italia, tale oggetto va identificato, non nel reddito complessivo 
netto, ma 111ei singo1i redditi isolatamente consliderati. Non � consentito, 
perci�, istituire alcun parallelismo fra questa tassazione dei singoli 
r.eddiN isolati ai fifil deLl'ILOR e ila delimitazione che ia legge opera delle 
componenti dcl reddito complessivo impolllibile dei c;d. enti non commeroiailii 
aii fini dei1I'IRPEG. Anche per gli enti non commerciaH, infatti, 
l'IRPEG Sii. applica sempre aJ reddito complessivo (art. 19 d.P.R. 598/73), 
anche sre a compor.re �tiale reddlito conool1I'Ono sOiltanrto alcunre componenti. 
L'ILOR, !invece, nedl'irpotesi conrs:idera1Ja, si applioa ai singoli redditi isolatiameDJbe 
conSli.derati. e non runifioati in un unico ireddito complessivo. 

Oadono, peroi�, tutte le iillazion!i che idail preteso .pamlleilismo sii. vorrebbero 
tliamre e, �IIl particolare, oade Ja p11etesa di �~imitare aii soli enti 
non oommeroiiaH fa 'tassazione ILOR rifurirta ari Sli.ngol� redditi. 

L'art. 4, n. 2, non consente disrtinzioni ,di sorta: s~a per le societ� che 
per gJii en1Ji non commereiaili, in assenza di stabile orgallliz~azlione in Irtra/Lia, 
deve trovarre attuazione Ia tassrazione sepa:mta di tutti d singoli �redditi 
prodotti :in Italia. Ci� .significa ohe non pu� assumere a1cUlilia rrHevanza 
l'eventUJale inerenza della fonte produttiva di un determinato reddito ad 
una pi� �complessa attivit� d'impresa svolta 1all'estero. Occorre, invece, 

per ogni singolo reddito, isolatamente considerato e sganciato da ogni 
riferimento a eventuali imprese estere, stabilire se si verifichino i presupposti 
dettati dalla legge perch� esso possa considerarsi prodotto 
nel ternitorio deMo Stato. E tale verifica, ovviamente, non pu� che operars�i 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEU.O STATO 

trale neiI:la decisione del 6 marz.o 1980, n. 2190, secondo la quale la ritenuta 
a carico de1le societ� e delle imprese /Straniere dovrebbe operai'sii 
soltanto nel caso in cui sussista una stabile organizzazione in Italia. La 
chlairia lettere dehla disposizione dimostTa che, proprio all contrario, la 
ritenuta � esclusa nel caso in cui sussista la stabile organizzazione, mentre � 
dovuta nel caso in cui la stabile organizzazione :non vi sia, anche se si tratti 
di �prestazioni effettuate nell'esercizio di imprese�. 

Sgomberato, dunque, il campo da questi equivoci, emerge chiaramente 
dal oapoverso dell'art. 25 che, per quanto quri interessa, devono essere 
sempre assoggettate 0111Ja ;ritenuta fo royalties corrisposte a societ� �sitraniiere 
prive dii stabile organizzaz;ione in Ital!ia. 

A questo pUIIlto, � ohiaro che non vale 1Jrinoem1rsi dietro l'ovvia constata7lione 
che l'�art. 25 � norma di �riscossione e non 1di ta:ssa:zfone. Non 
vi pu� esser dubbio, inllait1Ji, che la coereruJa del sistema esclude in 
maniera aissoluroa rl'!ipotesi 1che possa sussistere una norma dii riscossione del 
rutto svincolata dalle diisposiziODI� che :precisano e delimitano iil debito 
d'eposta che 1si tmtta d!i. risoootere. Sarebbe assuriclo, cio�, supporre 
che, nell'ambito di uno stesso sistema f�:soaile, possano coesistere una 
norma sostanziale che esenti dalla tassazione un certo reddito ed una 
norma procedura1e che aissoggettJi queJ.!lo stesso 1reddito ad una ritenuroa 
~che dovrebbe immancabiilmenite essere ognd volta o:-estJituita per difetto 
di maiteria Ntss�abile). 

Se, dunque, lie royalties corrisposte a societ� estere :senm stabiile orgaIl!
�Zzazione in Italiia sono sempre a&soggeittate a ritenuta, ci� significa neoessamiamente 
ohe le royalties stesse non posSO!llo sfuggire ahl'iimposizione 
agli effettJi deJrl'IRPEG e dell'ILOR. Non v'� 0!Ssolutamente altra possibilit� 
di ga:I1a.llltke la necesiSarua coerenza e completezza del sistema. 

Ma non basta. L'art. 25, secondo comma, non si ilimirta a vincolare 
�!'<interprete a�11a conclus.ione obbligata del:l:a tassabiJdit� in IRPEG e in ILOR 
delle royalties pagate a �societ� estere senza �stabille orgalill�zzazione in Italia, 
ma inditoa anche chiaramente quale sia la strada per giungere a tafo 
conc1usione. La norma, infottii, sanziona chiarammrte fil principio deill'�assoluta 
irrilevanza, per il nostro ordinamento tribultmo, defilo �svolgimento 
di attivit� di impresa all'estero. Soltanto se l'impresa viene esercitata 
mediante una stabile organizzazione lin ltahla, ile royalties pagate per prestazioni 
ad essa inerenti vengono a configurarsi come semplici componenti 
aittive da tenersi a calcolo per 11a determdnazione de1l'utiile netto tassabiJe, 
e, naturalmente, viene meno ila loro assoggettabiilii.t� a ritenute (esclJU.se 
per tutti i profitti Jordi d'iimprea). Ma se, invece, non ricorre questa 
essenziale condizione, il reddito isolato da royalties resta del tutto aurtonomo 
e deve esser preso in considera:ziione come tale, e non come parte 
di un reddito comp�les~ivo d'impresa conseguito alI'estero. � appunto perci� 
che la ritenuta, in questo caso, trova appl!ica:ziione; ed � per La stessa 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 173., 

testi a sorreggere una piana conolusione nel senso auspicato dall'amministrazione 
finanziaria� (par. 2). 

Il d.P.R. 897/80 ha, dunque, contenuto certamente innovativo, ma mira 
pur sempre a realizmre, per altra Vlia, quegli stessi principi, fissati dalla 
legge di delega, ai quali si era doverosamente ispirata anche la normativa 
preesistente. Va perci�, senz'altro esclusa, in assenza di qualunque indicazione 
in senso contrario, l'ipotesi che fra la nuova e la vecchia disci:
pil!i:na srus�siis<tano dii'V'elrgenze di fondo quanto aHa delimitazione dell'area 
della tassabilit� delle royalties. Al contrario, dalla nuova, pi� chiara disciplina 
devono desumersii decisivi argomenti i.nterpretamvi per supera(['e 
anche le oscu:cit� deHa vecchia disoiiplina. L'U[lJa e l'a1tra, in definitiva, 
deve ritenersi che assoggettino a 1Jassa2'lione �tutte le royalties percepite 
dai non residenti. Ci� che cambia, nei due casi, sono soltanto le modalit� 
tecniche 1attu1averiso ile qualli �tale tassaz.jone vieine :realizzata. 

AJJtiret1Janto decisiVli sono, a nostro avviso, gli argomenti di 001I1attere 
si:stematioo desrnrnbiJ1 dall'art. 25, secondo comma, deil d.P.R. 600/73 nella 
sua formullazione odginaria. 

l.Ja sentenza n. 3931/81 'della priima Sezione ha, per '1a verit�, 011quanto 
sottovalutato tai1i argomenti, evidentemeDJte ritenendo pi� ohe sufficienti 
gli altri elementi interipretativi da essa stessa sviluppati. Sembra opportuno, 
tuttavia, tornare brevemente sul punto, non potendosi assolutamente 
diisoonoscere lJa forza probante degli elementi che emergono da:lla 
consi!deriazione compliessiva del sistema. 

m;secondo comma (originamio) dell'�art. 25 contiene due precetti: 

a) il primo dispone una ritenuta sulle royalties (oltre che su altri 
compensi) pagate ra soggetti �reskLenti �all'estero, anche se esse rappre� 
sentino il corrispettivo di prestazioni effettuate nell'esercizio di imprese; 

b) :iJl secondo d!ntroduce un'.ecoezione, �esdudeo:ldo dall'obbHgo della 
ritenuta le royalties corriisposte a stabili organizzazioni in Italia di enti 
e societ� non residenti. 

� ben chiaro, 1anzitu1lto, che la ritenuta contempJam da questo secondo 
comma, nonostante g1i equivoci che possono n0!8cere dia1la rubrica 
de11.'art. 25 (� Rit�enuta sui redditi di lavoro autonomo�) e dal testo del 
primo comma, sii. appliioa anche a!lle royalties coc-risposte a persone griu11idiiche 
non residenti. � �testuale, infattii, iJl riferimento a �enti e societ� 
non residenti�, che, se hanno una stabi[e organizziamone iin Italiia, non 
subiscono la ritenuta, mentre la subiscono se non dispongono di un'organizzazione 
dii questo tlipo. E ci� .significa, �eviidentemenite, che :La ritenuta 
del secondo comma non si riferisce soJtanto aU'IRPEF, ma anche alJ'IRPEG 
e a1l'ILOR. 

In secondo luogo, � ancor pi� e\'idente che non pu� assolu1Ja1Illente reggere 
�la .lettura del.la no11ma tentata da1Ma Commissione T:ributairia Cen



PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 185 

Ai fini dell'indennit� di espropriazione dei terreni destinati a sede 
della seconda Universit� di Roma il valore agricolo di mercato va deter� 
minato con riguardo al tipo e alle condizioni vegetative delle colture 
esistenti al momento dell'entr<::ta in vigore della legge 22 novembre 1972, 

n. 771, contenente dichiarazione di p.u. (2) 
La controversia sul diritto al raddoppio dell'indennit� d,i esproprio 
spettante al proprietario del quale l'espropriante contesti la qualit� di 
diretto coltivatore del fondo appartiene allo stesso giudice competente 
a .conoscere dell'opposizione a stima (nella specie, al collegio arbitrale, 
presso la Corte d'appello, per la determinazione dell'indennit� di esproprio 
in esecuzione del piano regolatore di Roma) (3). 

(omiss,is) Con il primo mezzo l'Universit� l1icol1l'ente, denunciando 
Vtiolazione e fulsa appllicamone del!fart. 2, commi 6 e 7, de!IJ.a legge 22 
novembre 1972, n. 771, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., censura 
l'dmpugnal1la sentenm ml:la parte relativa ai criteri di determinazione 
deN'iltldena:rit� dii espropri.o. In par1licolare, sostiene che qu:ando ricorrono 
i presupposti per l'applicazione del comma 7 del:fart. 2 de11a legge n. 771 
del 1972, quando cio� si debba riconoscere ai proprietamo diiretto col; 
tivatore o al terzo coltivatore (fittavolo, mezzadro, colono o compart�oipante) 
un'indennit� aggiuntiva, l'immobile espropriato, ai fini dehl'inden� 
nizzo ex comma 6 del citato art. 2 della legge n. 771 del 1972, non debba 
venir in consddemziione per il suo mtero vailore dii mercato, ma da questo 
debba esser det:ra.tto 11 valore corri1spondente ai!Jl'uso del fondo come ele� 
mento dell.'azienda. 

La censura � infondata. 

. Giova premettere che, per l'art. 12 dehle cosiddette preleggi, nell'ap


plicare la legge non si pu� ad essa attribuire altro senso che quello fatto 

da coltivatori diretti. Per vero, proprio la presenza del colono, fittavolo, mez� 
zadro o di altra figura di coltivatore diretto cui spetti un diritto personale 
di, godimento sul fondo, utilizzato come elemento dell'impresa diretto-coltiva� 
trice, induce a ritenere che iin una libera contrattazione di compravendita del 
terreno il proprietario riuscirebbe a spuntare un prezzo inferiore, e non di 
poco, al prezzo che l'immobile avrebbe avuto sul mercato se libero da contratti 
agrari. In altri termini, fa necessit� di parificare l'indennit� di espropriazione 
al valore di mercato -e non, si badi, �al valore agl'icolo �medio�, com'� per 
la legge 22 ottobre 1971, n. 865 -comporta che non possa prescindersi in via 
logica dall'apprezzamento di tutti ti fattori capaci di dnfluire, per solito nega� 
tivamente, sulle quotazioni del bene, certo essendo, come fa comune esperienza 
testimonia, che un eventuale acquirente non sarebbe disposto a pagare lo stesso 
prezzo per il terreno quando questo, anzich� libero, sia condotto in fitto da 
un colono. 

(3) La massima � volutamente formulata in termini generali giacch�, in 
effetti, til principio di diritto affermato sembrerebbe trascendere il caso con

RASSEGNA DELL'AWOCA1'URA DELLO STATO

186 

palese dal signilioato proprio delle parole secondo J:a loro connessione 
(elemento letterale). e dalla intenzione del legislatore (elemento logico), 
ossia dalla ragion d'essere de1Jia norma. La quaile �si sostanzia, pi� che nel 
motli.vo conoogente che possa averla ocoasionata (occasio legis), nello 
scopo, cio� nella considerazione del bisogno sociale al cui soddisfacimento 
la norma 1stessa � volta. 

Ora, � ben vero che ogni interpretazione deve fondarsi, necessariamente 
e sempre, sul!le regole che governano la parola e su queMe del pensiero, 
gi:acch� la legge non � una lettera morta, ma ha un contenuto spirituale; 
e che, pel1lanto, l'interipretazione deve essere a un tempo lettleraile e }()gica. 
Ci� non toglie, tuttavia, che essa debba procedere dal criterio letterale; e 
solo quando il significato proprio delle parole secondo la loro connessione 
non sia gi� tanto chiaro e univoco da rifiutare una diversa e contrastante 
interpretazione, ricorrere al criterio logico: ci� al fine di individuare, 
ailltraverso ULlla congirua va!luitlazione del fondamento delila norma, la precisa 
� intenzione del legilslatore �, n:on trasparendo essa della iettera delila legge. 

Nel caso m esame, come gi� rilevato dalla sentenza dmpugnata, iii 
dato normativo � 1i!llidli.scutibiilmente chiaro, nel senso di stabifue che l'indennit� 
agghmtli.va ex comma 7 ddl'art. 2, quando dovuta, sia pari all'Jindemrlit� 
dli espropriazione cos� come determinata ai sensi del precedente 
oomma 6, ossia � !in base al valore agricolo di mercato corrispondente 
a!lla coltll!ra praticata nel terreno da espropriare (omissis)�. Nessuna 
detrazione dall'indennit� di esproprio cos� come calcolata a tenore del comma 
6 � previistia quando debbasi far luogo all'applioazione del successivo 
comma 7. Onde la necessit� di una detrazione siffatta (che, come si pretende 
dalila ricorrente, dovrebbe avere per oggetto il valore corrispondente 

creto per estendersi, in generale, alle ipotesi di sistemi indennitari ispirati al 
criterio della � doppia indennit�" (com'� nella legge 22 ottobre 197.1, il. 865, le 
cui disposizioni in tema d~indennit� aggiuntiva non sono rimaste coinvolte nella 
recente dichiarazione d'incostituzionalit� di cui alla sentenza 19 luglio ,1983, n. 223). 

Pare, tuttavia, di poter esprimere qualche riserva sulla soluone adottata, 
e proprio con riguardo alla rilevata portata generale da attribuirsi al principio 
affermato nella sentenza, della quale va condivjso certamente il rilievo concernente 
la natura non impugnatorfa del giudizio d'opposirione a stima (secondo 
quanto gi� osservato in altre occasioni: v. in questa Rassegna, 1982, I, 96, in 
nota a Cass., S.U., 3 novembre 1981, n. 5793), ma non la conseguenza trattane 
nel senso che il giudice dell'opposizione all'indennit� sia necessariamente com� 
petente a conoscere anche delle questioni non riguardanti il quantum dell'indennit�. 
E le maggiori perplessit� derivano dalla considera2fone che nei casi, come 
quelli regolati dalla legge 22 ottobre 1971, n. 865, in cui l'opposizione alla indennit� 
sia devoluta alla cognizione della Corte d'appeHo, le questioni, non sempre 
lineari, sulla qualit� richiesta per la corresponsione dell'indennit� aggiuntiva 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 187 

a1!I'uso dal fondo quale elemento dell'a2lienda) non potrebbe essere ritenuta 
dall'interprete senza che egli stesso si faccia legislatore e ne travalichi 
l'intenzione; che � chiarissima, dovendo essere ravvisata nell'esigenza 
di offrire a:ll'linterprete medesimo un criterio di stima dJi agevole e 
sictml app.hicazione, qua.ile quello che l'indennit� aggiuntiva, quando dovuta, 
sia pari all'indennit� di esproprio, e che, pertanto, questa debba essere 
determinata nehla sua misura indlipendentemente dall'eventuale diritto a 
quella. 

Con :il secondo mezzo l'Universit� ricorrente, denunciando violazione 
dell'art. 2, comma 6, della legge 22 novembre 1972, n. 771, in relazione 
all.'ant. 360, n. 3, cod. proc. oiv., censura '!.'impugnata sentenza anche qui 
nclla parte relativa ai criteri di determina2lione del!l'indennit� di esproprio; 
in particolare, con riguardo al momento di riferimento per accertare lo 
stato deHa coltura, se, cio�, sia in fase di produttivit� costante o di 
produttli.vit� decrescente, nel quale ultiimo caso, come vitenuto dall:la sentenm 
medesima, il valore di 2.500 Lire a. mq. dovrebbe essere ridotto del 
quindici per cento. 

Sostiene che il Collegio Arbitmle, dopo essersi correttamente posto 
itl problema se si dovesse tener conto dehlo stato vegetativo :in atto al 
momento deltl'entrn.ta in v1igore della legge ovvero dell.o stato vegetativo 
che la colitura esistente aJ:la data cli entrata in vigore della legge avesse 
presentato al momento dell'espropriazione, lo avrebbe erroneamente risolto 
nel primo senso, trascurando in 1Jall modo di distli.nguere tra valore connesso 
ailla destinazione a un certo tipo di coltura e valore derivante dal 
suo stato cli produttivit�, da rilevare -il primo -in base alla coltura 
in atto all'entlrata in vigore dclla legge, e il secondo in rela2lione allo 

verrebbero a perdere un grado di giudizio, in base al princ1p10 affermato 
dalla sentenza in rassegna: conclusione -certo -perfettamente ammdssibile, 
ma bisognevole di pi� adeguato supporto nelle norme positive, quale non sembrerebbe 
ravvisabile nelle disposizioni (come l'art. 19 della citata legge 22 
ottobre J.9&1, n. 865) attributive di speciale competenza, in deroga alle regole 
comuni, per la rii.soluzione delle sole questioni relative alla determinazione {della 
misura) dell'indennit�. In ultima analisi, le norme (come il citato art. 19) che 
devolvono le controversie sull'indennit� a un giudice diverso da quello che 
sarebbe competente secondo le ordinarie regole processuali sono chiaramente 
eccezionali. e da inteJ:1)retare, peroi�, in maniera restrittiva. Epper�, sempre che 
sia esatta la premessa relativa alla portata generale del principio affermato, 
sembra che nei casi di liquidazione dell'indennit� in base alle norme della legge 

n. 865/197�1 pi� specifici motivi di riserva, circa l'estensione della competenza 
della Corte d'appello alle controversie non strettamente concernenti il quantum 
dell'indennit�, possano desumersi dalla formulazione dell'art. 20 della legge 
medesima (che, in tema di indennit� di occupazione temporanea,� inequivoca11=
11�1111111t111111111111111r11r~r11;r1111111111111:1r1111r1111111111 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

188 

stato vegetativo esi:sitente nel. momento dello espropr.io, ci� in conformit� 
del principio secondo cui l'iindei:mit� va rapportata al valore del ben~ 
alla data dell'esproprio. 

Anche tale censura � infondata. 

Come ha esattamente osservato il Collegio Arbitrale, l'assUJlto dell'attuale 
ricorrente trova un ostacolo linisuperabile nella stessa nonna 
(art.�2, comma 6, della legge), del seguente tenore: �La indennit� di espropriazione 
� determ'�illata in base al valore agricolo di mercato corrispon� 
dente :all.!la coltura praticata nel tevreno da espropriare all'entrata in vigore 
della presente legge �. Nelila quale proposizJi.one, per � va1lore delila colitura 
praticata � devesi Ml.tendere quello rappresentativo non solo del tipo di 
destinazione agraria (vigneto, seminativo et coetera) e della specie e delle 
modalit� di coltivazione (tipo di vigneto, impianto a :tendone, a filare 
et coetera), ma altres� del grado di conservazione e dello stadio del ciclo 
vegetativo delle piante, anche questi elementi incidendo, e sensibilmente, 
assieme agli altri �suli'indice dd redditivit�, 1presente e futura, del <terreno 
e, qmndi, del suo vailore di mercato. 

Non meno esatta � l'ulteriore osservazione svolta dalla sentenza impugnata, 
secondo la quale il sistema normativo pre\nisto dailil.a !Legge n. 771 
del 1972 (e, per quanto messa non specifioamente disciplinato, dalla legge 
generale 1sUille espropriazioni 25 giugno 1865, n. 2539, �aH'epoea vigente) 
imponeva dd tener presente quale fosse lo stato di consistenza del bene in 
esproprio alila data di entrata �in vigore dclla legge specia!le, nelil.a quale 
era insita fa ddchla002J�one della pubblica utilit� dell'opera. Ci� al:l'evidente 
fine -diversamente non raggiungibile -di escludere dal calcolo delfindennit�, 
o1tre agli aurrien<tli. di valore derivanti dalla esecuzione dell'opera 
�stessa e dalle modificazioni dntrodotte dia!I piano regolatore che 1a 
prevedeva, anche le migliorie, le tresfovmMioni e g1i dnvestimentd intesi al 

mente limita la competenza della Corte d'appello alle domande proposte � con


tro la determinazione dell'indennit��), nonch� da una riflessione sui compiti 

rimessi alla Corte d'appello nel sistema originariamente delineato dalla legge 

22 ottobre 19711 n. 865 (e poi alteratosi per effetto delle modifiche apportate 

all'art. :15 con la legge n. 10/1977). Invero, fino alla novella del 1!J77, non v'era 

modo di pervenire, neppure in sede giudiziale, ad una determinazione dell'in� 

dennit� aderente al concreto valore agricolo del terreno (com'� ora consentito), 

s� che il compito della Corte d'appe11o si i!'iduceva, in sostanza, ad una sorta 

di sindacato di legittimit� sui criteri di stima e sulla applicazione, nel caso 

concreto, di predeterminati valori agricoli medi. 

Tale rilievo, illuminando la ratio della disposizione, conferma a quel che 

sembra il carattere ecceriona.le della competenza attribuita alla Corte d'ap


pello e consente, al tempo stesso, di dubitare che il. legislatore abbia iinteso 

derogare al prmcipio del doppio grado anche per le controversie non riguardanti 

la sola misura dell'indennit�. 


PARTE I, SF..Z. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 189 

conseguimento� d.i un'indennit� maggiore (art. 43 della legge n. 2359 del 
1865). Ma anche al fine -che al pari del primo, cui � correlativo, si deve 
essere posto all'attenzione del legislatore come bisogno sociale da soddisfare 
-di non lasciare a carico dei soggetti espropriati il detrimento derivante 
dal degrado dei loro impianti viticoli nel periodo compreso tra l'entrata 
in vigore della legge e la pronuncia dell'espropriazione, dato che. ogni 
spesa mirante a porre rimedio, eventualmente mediante rinnovazione dei 
vitigni, all'invecchiamento delle piante saTebbe caduta nell'ambito della 
presunzione di cui al gi� citato art. 43 della legge n. 2359 del 1865. 

Con il terzo mezzo l'Universit� ricorrente, denunciando violazione 
dell'art. 2, comma 12, della Jegge 22 novembre 1972, n. 771, e difetto di 
giurisdizione, in relat'lione all'art. 360, n. 1 e 3, cod. proc. civ., censura 
!'.impugnata sentenza per avere il Collegio Arbitrale ritenuto la propria 
competenza giurisdiziona:le a conoscere del diritto della aittuale resistente 
al raddoppio dell'indenniit�, nonostante avesse escluso che, per effetto del 
riconoscimento deH'~dennit� aggiuntiva, quella di esproprio dovesse subire 
alcWl.a d�trazione. Sostiene che, a seguito di tale esclUSii.one, ove fosse 
stata contestata -come in effetti era avvenuto -la quaJlit� di ooetto 
odltivatore degli espropriati, l'applicazione del sistema indennitario previsto 
dai commi 6 e 7 dell'art. 2 della legge n. 771 del 1972 avrebbe 
dato luogo a due distinti tipi di controverisie: �l'uno, relativo alla misura 
dehl'd.ndennit�, attribuito al Collegio Arbitrale competente a conoscere delle 
azioni di opposit'lione alla stima dell'Ufficio Tecniico Erariale, e l'altro conce:
mente l'accertamento delle condizioni che giustificano il raddoppio, 
appartenente �alla cognit'lione del giudice 011dinario. 

Anche tiaile censura � infondat�. 

Devesi, I.invero, consentire con l'impugnata sentenza sul vilievo essere 
pi� conforme alla ratio �[egis che il giudizi.o denominato di opposizione 
alla stima deJJ.'mdennita non si configu!�:ii come una impugnarione in senso 
tecnico, ma .rappresenti un ordinario pTOCedimento di cognizione, nel 
quale sono destinate a confluire tutte fo controversie relative ai riconoscimento 
e a!lla determiniaztlone della giusta indennit� (diretta e aggiuntiva). 
Ci� non foss'altro che per ragioni di economia� di giudizio, anche 
se la waduzione dell'intento legislativo nel da:to normativo � staita attuata 
mediante �rinvio alla legge n. 355 del 1932. 

D'a:ltra parte, il Collegio Arbitrale previsto dalla oitata legge n. 355 

del 1932, pur nella sua particolare composimone, che riflett<? La natura 

teclllica delle questioni in definitiva devolutegli, � pur sempre presieduto 

da un magistirato, fornito dalla necessaria prepaxazione giuridica, onde 

devesi ritenere idoneo a risOlvere anche le questioni di diritto sottese e 

strumentaLi alla determinazione deMa giusta indenlllit� dovuta all'espro


priato. (omissis) 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

190 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 24 novembre 1983, n. 7027 -Pres. Sandulli 
-Rel. Sensale -P. M. Zema (cond. diff.) -Scimeni Anna ed altro 
(avv. Sangiorgi Paratore) c. Amm:ims.tra7li.one Difesa (avv. Stato Vittoria). 


Espropriazione per p.u. -OcCupazioni d'urgenza � Occupazioni per esecuzione 
di opere militari � Protrazione a tempo indeterminato Risarcimento 
del danno -Spettanza. 
(artt. 73 e 76 I. 25 giugno 1865, n. 2359). 

Anche le occupazioni d'urgenza disposte per l'esecuzione di opere 
militari, alle quali ex art. 76 della legge fondamentale 25 giugno 1865 

n. 2359 non si applica il termine di durata massima, possono tuttavia, se 
non seguite, entro ragionevole lasso di tempo, dal decreto di espropriazione 
o di a5servimento, divenire illegittime; n� l'esecuzione dell'opera 
pubblica ha l'effetto di legittimare l'operato dell'Amministrazione escludendo 
il diritto del proprietario al risarcimento dei danni per l'indefinito 
protrarsi dell'occupazione (1). 
(omissis). Con il primo motivo le ricorrenti denunciano il vizio d'insufl�aienm 
e di contraddittoriet� della motivazione in cui sairebbe incorsa 
la Corte d'Appello di Palermo, ritenendo, da un lato, che l'occupazione 
militare, di carattere temporaneo, non pu� durare indefintitamente e non 
autorizza a sopprimere di fatto, senza indenn!izzo, :il diritto di propriet�, 
e, dall'altro, che nel caso concreto 1l'occupazione temporanea (ma durata 
oltre venticinque anni) non fosse diven.Uilla definiti.va, senza peraltro inda� 
gare se non si fosse determinata una situazione di irreversibilit� dello 
stato di occupazione, tale da far sorgere, a favore delle ricorrenti, il diritto 
al risarcimento del danno, costituito dal vaJore venale del bene, occupato 
e non pi� restituibile. 

La Corte d'appello, .inoltre, non avrebbe considerato che, nella specie, 

la potenzi01le tutela del privato ipotizziata nella decisione rimpugnata (con


sistente nel provocare un provvedimento del['Ammimstrazione mi!litare 

che constati il venir meno delle condizioni legittimanti l'occupazione e per 

chiedere poi il risarcimento del danno) non poteva ricevere alcuna realiz


(1) Cfr. Cass: 30 luglio 1964 n. 2187, in Foro amm., 11964, I, 1, 574; Cass., 17 
aprile 1976 n. 1345, !in Giust. civ., Rep. 11976, v. espropriazione per p.i., n. 148; 
Cass. 30 aprile 1981 n. 2644, in Giust. civ., 1981, I, 1979; la sentenza che si 
pubblica trae dichiaratamente spunto anche dai principi generali in tema di 
occupazione illegittima di recente fissati da Cass. SS.UU. 16 febbraio 1983 n. 1464 
(in questa Rassegna, 1983, I, 124). 

PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

zazione, ventendosii nelila ipotesi inversa, nella quale le necessit� ori.ginairi.
e delJ.'occupazione iperimanevano e avevano determinato la irreversibilit� 
dello stato di fatto, crune si desumeva dalla circostanza che era 
stato richiesto ed emesso (sia pure illegittimamente) il decreto di espropriazione. 
Se avesse fatto ta1i considerazioni, ila Corte del merito sarebbe 
dovuta pervenire ailila conclusione che l'occupazione era divenuta definitivia 
e avrebbe dovuto accogliere la domarnda di integrale risaroimento del 
danno, comprensivo del valore venarle dell'immobile occuparo. 

Con il secondo motivo le ricorrentii ripropongono, mvia suborclinata, 
la questione di legitt!i.mit� costitU1Jionale dell'art. 76 della legge 25 giugno 
1865, n. 2359, nella parte in cui non stabilisce alcun limite di tempo alla 
occupazione, per contrasto con l'art. 42 Cost., che tutela fa propriet�, 
sancendo che il titolare non pu� esserne privato senza un corrispondente 
indennizzo. Se, infatti, il. comportamento dehla p.A. � legititimo, perch� 
perdurano [e esigenze poste a base dell'occupazione, l'art. 76 Cost., consentendo 
di occupare il bene di un privato per un tempo indeterminato 
(che potrebbe protrarsi. all'infinito) senza la corresponsione cli una indennit�, 
sarebbe i11egittimo, vienendo a legaLizzare la sostanziale sottrazione 
del bene. 

Ll ricoiiso -i cui motiivi, manifestamente connessi tra loro, vanno 
esaminati congiuntamente -� fondato nei t�rmini che saranno di seguito 
precisati. 

Deve, innWJZi tutto, rilevars�. che le attuaili ricorrenti, dopo l'emanazione 
del decreto di espropriazione, con l'atto di citazione dinanzi al Tribunale 
di Palermo, ne dedussero il.a tardivit� ed, iin conseguenza, affermarono 
il iloro diritto ad essere risarcite dehl'integrale danno derivante dalla 
occupazione (sull'implicito presupposto della definit!i.Vlit� ed irreverisibilit� 
della stessa) e che, nell'atto d'appello contro la sentenza del Tribunale 
~11a quale avevia riconosciuto la tardivit� dcl decreto di espropriazione, in 
quianto emanato oltre il :termine stamlito nella dichiarazione di pubblica 
utilit�, e, sul presupposto della legittimit� dell'occupazione ai sensi 
dell'art. 76 della legge n. 2359 del 1865, che non stabilisce alcun termine 
per le occupazioni miilitari., aveva affermato il diritto delle istanti a un 
indennizzo corrispondente soltanto al mancato. godimento del bene), dedussero, 
con specifico motivo di gravame, che la pronunzia del Tri.bunale 
non poteva essere limitata ad un aggiornamento delrindenn1t� tempoI1anea, 
liqUJidata nel precedente giudizio dalla Corte d'Appello, ma doveva 
comprendere l'intero riisarcimento per il valore capitale del terreno 
occupato. 

Va, poi, precisato che, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa 
dell'Amministrazione nel corso de1La discussione orale, la Corte d'appello, 
nella sentenza impugnata, non ha rilevato il giudicato esterno sulla legittimit� 
de1l'occupaZJione, che si 'Sarebbe formato con la sentenza della stessa 


192 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Corte, resa -in data 16 dicembre 1972 nella diversa causa tra le stesse 
parti, instatll'ata prima deN'emanazione del decreto di espropriazione � e 
avente ad oggetto l'occupazione del fondo per il periodo fino al 1972. 


Dalla lettum delia motiva7Jione delil.a decisione impugnata risulta evidente, 
infatti, che 1a sentenza della stess�a Corte, resa 1H 16 dicembre 1972, 
viene richiamata (mSI�eme aiLla sentenza, confermativa, di questa Corte ed 
alla sentenza delle Semoni Undte n. 7 del 4 gennaio 1975 riguardante altra 
controversia ed altre parti) come precedente al quale la Corte d'appello 
ha inteso informarsi, facendone propria la motivazione, ma non gi� come 
giudicato esterno preclusivo dehl'esame dehla controversiia che la Corte 
d'appello ha, invece, autonomamente esaminato. Dii ci� l'Amministrazione 
avrebbe potuto dolersi, ove lo avesse ritenuto, proponendo ricorso incidentale 
(salvo accertare la fondatezza della doglianza) ma non pu� in 
questa 1sede eccepire 1a formazione del giudicato estero.o che, come � noto, 
� res facti �sottratta all'moogine del giudice cli legittimit�. 

Dai ri1iiev[ che precedono si delinea con sufficiente chiarezza l'oggetto 
della controvemia. Come esattamenrte rilevano nella memoria '1e ricorrenti, 
qui non � afl�art:to lin discussione se l'occupazione di cui a:lil.'airt. 76 della 
legge n. 2359 del 1865 debba essere sottoposta, oppure no, al termine biennale, 
essendo pacifico che questo 1imite non sussiste e che l'occupazione 

l 

i: .~ 
quielle eSI�genze -aven1li necessariamente carattere temporaneo -peri.: 
per esigenze militari pu� protrarsi anche oltre il biennio, fino a quando 

~ 

sistono. Ma nulla osta a che Ullla occupazione mi2li e perduri legittima


I 1:

meilite (con il. diritto del proprietario del fondo ad esisere indennizzato 
per il mancato godimento di esso) e diventii poli lMegittima, per il vernirr 
meno delle esigenze che l'avevano deterrm.inata, oppure si consoli!di come 
definitiva ed irreversib1le, perch� wene meno la temporaneit� delle esi


I!: 

genre che avevano reso neoessaria l'occupazione stessa o perch� il bene 
occupato sia trasfo:n:nato in un'opera militare che ne impedisca la restliili 
tuzione: ipotesi, quest'ultima, in costanza della quale il proprietario del 

I I 

fondo ha diritto a conseguire il valore venale del bene del qua'l.e abbia per


duto la disponibilit�. 

Non � privo di validit�, in proposito, il rilievo delle ricoa:irentii che 
la tutela del proprietario del fondo occupato, -se � in astratto configuirabile 
quando SI�ano venute meno le esigenre dell'occupazione (nel quail caso 
egli pu� provocare l1lll provvedimento dell'Amministrazione millitare che 

Iconstati ilJ. V'enir meno delle condizioni ilegittimanti l'occupazione o un 
riconoscimento in tal senso derivante da comportamento i!Ilequlivoco dell'Amministrazione 
o, infine, l'aiccertamento ad opera. del giudice amministrativo 
della illegit1fu:nit� del diniego deY'Amministrazione ~ssia di provfo


I 

vedere in propoSI�to), non ha possibilit� di realizzazione, per questa via, 

nell'ipo1Jesi inversa, in culi le esigenze suddette, a seguito della definitiva 

i 

e irreversibile utilizzazione del bene occupato, siano tali da rendere im


i 

I

w,�,,�,w,,,-Maacu.�,,,�.�.. , .. ,,,.,, ,,,.,,,, ���� ��� .� , ......... � � ......... ................ .......................... ~: 



PARTE I, SEZ. vrr, GIURI$. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

possibile non solo la restituzione attuale del bene, ma la sua stessa astratta 
restdtwbilit�. 

In questo caso, se davvero non sii vuole lasciare ~l proprietario del 
fondo privo di tutela ed esposto ad espropriazioni di fatto mascherate 
da occupazioni che si protraggono md~tamente nel tempo m contrasto 
con la temporaneit� delle esigenze che la determinarono, � necessario !indagare 
-nell'ottica imposta da precisi precetti costituzionali -se una 
occupazione che si protragga per un tempo non compatihlle ragionevolmente 
con iil carattere itempomneo di essa non sia divenuta definitiva 
ed JvreveI1sibiile, in modo che il proprietario possa ottenere, in luogo 
della non pi� possibile res1liftuzione del bene fa natura, l'equivalente peounriari.
o di esso. 

A parte la nota giuri'spruden:ro di questa Corte sulle conseguenze 
di una occupazione � temporanea � che sia divenuta irreversibile per la 
trasformazione in opera pubblica del bene oocupato ~per un generale riesame 
dclla relativa problematioa, v. 1a sen<tenza dehle Seziioni Unite n. 1464 
del 16 febbraio 1983), non sono mancati, da parte di questa Corte, segnali 
nel senso suddetto, quando, in tema di occupaziom di urgenza disposite 
per l'esecuzione �di opere mil�tari (alle qual!i non � app1icabile il termine 
biennale), non si � escluso che esse possano diventare illegittime se si 
protraggono per molti armi senza che 1sia pronunciato il decreto di espropri.
azione (sent. n. 2187/64); oppure quando 1sii � .r.iJtienuto che, anche nel 
caso di occupazione di urgenza disposta per esigenze militari e non 
seguita, entro un ragionevole limite di tempo, dal decreto di espropriazione 
o di asservd:mento, l'esecu2lione dell'opera pubblica ha ['effetto di rendere 
def�niti\na 'l'occupazione medesima ma non quello di legittimare 
l'opera dell'Amministrazione escludendo dl diritto al risarcimento dei danni 
per l'indefinito protrarsi dell'occupazione (sent. n. 1345/76); o, infine, quando, 
nell'ipotesi di rea1izza2'Jione, sul suolo occupato, di una :stlriada militare con 
finalit� strategico-logistiche, se n'� ritenuta l'automatica ed inderogabile 
inclusione nel demanio mBiitare, con la conseguenza che, se ci� sia avvenuto 
in difetto di un provvedimento tra~ativo della propriet� del suolo, 
deve riconoscel'si a[ privato il diritto ad ottenere il risarcimento del d:anno 
(sent. n. 2644/81). 

� evidente, perci�, che la Corte di appello, cui era stato specifi


camente dedotto che l'occupazione era �div:enuta definitiva ed iirreversi� 

bile, non poteva limitatisi a riprodurre il principio, secondo il quale la 

oocupazione di cui alfart. 76 dei11a legge n. 2359 del 1865 non � sottoposta 

al ,tJermine di durata biennale, ma doveva conduvre la sua indagine sulla 

eventuale ivreversibdlit� delJ'oocupazione, che il lu.,.,c-hissimo tempo tra� 

scorso, m una alla circostanza dell'emanazione, sia pure Hlegi�ttima, del 

decreto di espropriazione rendeva verosimile, tenuto conto che, come si 

era precisato nella sentenza n. 1213/77, l'art. 76 della legge n. 2359 del 1865, 


194 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STA'l'O 

pur non fissando alcun termine per le occupazioni militari, non autorizza 
tuttav.ia a sopprimere di failtto il diritto di propriet� senza fa corresponsione 
di ailcun 1ndennizzo. Entro questi l�ll.lliti il ricorso deve, quindi, essere 
accolto e la sentenza impugnata dev'essere cassata con rinVlio alla Corte 
d'appello di Messina, perch� rieSialillini la collltroversda .ffi aderenza alla 
domanda di r1sarcim.ento, come effettivamente proposta, e tenendo conto 
dei rilievi che precedono. (omissis) 

I

I 

I fil 
~ 



SEZIONE OTTAVA 

GIURISPRUDENZA PENALE 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III penale, 24 novembre 1983, n. 19.11 -
Pres. 1.Javosi -Rel. Damasco -Rie. Bon -Parte civile Amminl�!srtrazione 
del Tesoro (Avv. Stato Bruni). 

R.eato -Reati valutari -Non sono reati fiscali -Convenzione Europea di 
Assistenza Giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959 -Appli. 
cabilit�. 

Reato � Reati valutari � Documenti acquisiti in perquisizione domiciliare 
effettuata dalla magistratura elvetica su rog�toria di quella italiana 
ai sensi Convenzione Europea di Assistenza Giudiziaria in materia 
penale del 20 aprile 1959, in relazione a procedimento per reato di 
bancarotta � Utilizzazione in altro procedimento per reato valutario � 
Legittimit�. . 

I reati valutari non spno reati fiscali. Pertanto, � ad essi applicabile 
la Convenzione Europea di Assistenza Giudiziaria in materia penale del 
20 aprile 1959 (1). 

I documenti acquisiti a seguito di perquisizione domiciliare effettuata 
datla magistratura elvetica su rogatoria di quella italiana ai sensi della 
CC?nvenzione Europea di Assistenza Giudiziaria in materia penale firmata a 
S{rasburgo il 20 aprile 1959 e in relazione a procedimento per reato di 
b.q.ncarotta, sono utilizzabili in altro processo per reato valutario. 

(omissis) Ritenurto in fotto: 

� � -che, con sentel12Ja del 15 marzo 1979, iill Tribunale d� Venezia d�chia11av:
a Bon Achille colpevole di omessa denuncia d� depositi valutari costituiti 
.ailJ.'estero 18111Jeriormente al 6 marzo 1976, nonch� di successiva costi� 
tulJione dii �di!sponibiiliit� valutarie all'estero e, con H vincolo della continuazione, 
lo condannava alfa pena di anni 1 mesi 1 di reclusione e lire 
400 milioni di multa, nonch� al risarcimento dei danni in :l�avore dclla P.C.; 

-che, con senten:m del 21 gennaio 1983, la Corte d'Appello di Veneria, 
in parziale riforma di queihla del Tribunal�, concedeva all'imputato 

(1) La giurisprudenza del Supremo Collegio � costante nel ritenere che i 
reati valutari non possono qualificarsi reati fiscali: v. Cass. III pen., 29 maggio 
11981; n. 5214, rie. Grebner in Riv. pen. 1982, pag. 85; Cass. ]jI! pen., 2 febbraio 
il.981, n. 998, ci.e. Roversi, ivi, 1982, 561; Cass. III pen., H marzo 1982 _ri.. 27W 
rie. Dottor, ivi, 1982, 1024. 
14 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELJ..0 STATO

196 


le attenuanti generiche ritenute preva1en1li rispetto a.1Jl'aggravante e, con


seguentemente, escludeva la pena detentiva e riduceva la multa a }jre 
126 milioni; 
-che il Bon ricorre per Cassazione muovendo due distinte censure 
avverso 'l'impugnata sentenza; 

Osserva: 

Con il pruno motivo ,di ricoi:iso si denuncia violazione dell'art. 475 

n. 3 c.p.p. iin reliazi.one agli arrtt. 3, 185 n. 3, 439, 524 n. 3 e 656 stesso codice, 
nonch� all'art. 2 della Conven:z�one Ewupea di Assistenm Giudiziaria :in 
materia penale ,siglata a Strasburgo il 24 aprile 1959, sotto il profilo che 
nella specie sarebbero state acquisite al processo prove documentali. otte� 
nute atwaverso una perquisi:z�one disposta iliW1a magistratUII'a elvetica su 
roglttoria di queJi1a italiiana; e ci� in viola:z�one della citaita Convenzione 
che specificamente nega l'assistenza giudli.:z�aria in caso di reati fiscali, 
nonch� del principio generale della specificit� dell'estradizione. 
Il motivo non pu� essere accolto; 1e ci� per un triplice ordine di 
considerazioni: 

a) ,jn primo luogo, perch� nella specie non si verte in materia di 
est:radii7lione, ma di semplice rogatoria; per cui le particolari cautele e 
restrizioni imposte relativamente a1 primo istituto, non valgono, n� pos� 
sono valere, anche per .fil secondo; 

b) in secondo 11uogo, perch� non 'considera che -�come risulta dalla 

sentenza e dagLi atti processuald -la rogatoria de qua venne chiesta ed 

espletata in relazione ad una formale (e non temeraria) limputaxione di 

bancarotta; e, cio�, per un reato certamente non escluso dall'�mbilto di 

applicazione defila Convenzione. 

Ne deriva, quindi, che non potendosi nella specie dubitare della legiit� 

timit� della eseguita perquisizione, nonch� della conseguente '1egi.rtitima 

acquisizione da parte dello Stato richiedente delle prove documentali in 

tal modo ottenute, le prove medesime (ove, come nella specie, idonee a 

dimostrar l'esistenza di altro e diverso reato) ben potevano essere utiliz� 

zate aii fini di a:J.tro e diverso processo; 

e) in terzo �luogo, ed infine, perch� non considera che -come 

� stato pi� volte precisato da questa Suprema Corte -i reati oggetto del 

presente giudizio non appaTtJengono alla categoria dei reati fisca1i, ma a 

quella ben diversa dei reati finanziari; per cui -anche sotto tale profilo 

particolare -non � posisihllie ipotizzare una qualsiasi violazione della 

Convenzione di Strasburgo. 

Egualmente non pu� essere accolto il secondo (ed ultimo) motivo di 

ricorso, sia perch� con esso si censura il concreto esercizio di un potere 

disore:z�onale attribuito dMla legge al giudice di merito in ordine alla 


PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

soprattutto, vigendo ancora !iJ. principio cLi � fissiJt� � stabilito dall'art. 
1 cpv. legge n. 4 del 1929 (abrogato poi con dl decreto-legge 10 luglio 
1982, n. 429, convertito, con modii�icazioni, nella legge 7 agosto 1982, 

n. 516), ed in mancanza di espressa loro abrogazione o modificazione, sono 
l1�rnaste immutate le di�!sposizioni deg1i artt. 13 e 14, legge n. 4 del 1929, 
che da un lato limitavano l'ammissibilit� aM'oblazdone aJ.1e contravvenzioni 
punite con la sola pena dell'ammenda, e dall'altro lato. attribuivano 
la relativa competenza a!ll'auto:nit� amministratdva, in rapporto aJ. successivo 
art. 46; me:ntre, per converso, la legge n. 689 del 1981 non reca 
alcuna norma che preveda l'applicabilit� dell'art. 162 bis del codice penale 
anche alle contravvenziond finanziarie; e a nulla �rileva che tutte le 
contravvenzioni puruite con la sola pena de1l'�ammenida siano state depenalizzate, 
rimanendo infatti integra la possrihilit� cli nuove previsiioni contravvenzionali 
punibili con la sola ammenda, e quindi dell'operativit� di 
tali drusposdzioni, come del resto era gi� avvenuto con la precedente depenalizzazione 
ex art. 10, Legge 24 dicembre 1975, n. 706, e precipuamente 
implicando le cLisposi:z�oni stesse -come si � ora rilevato -il fondamentale 
principio dell'esclusione dall'ablazione delle contravvenzioni punite 
con la pena detentiva; 
deve constata:risi, a'.l!lora, che l'oblazione druscreziona1e cLi cui trattasi 
� venuta a porsi in un contesto normativo caratterizzato dalla perdurante 
coesistenza, accanto al rsdstema san:z�onatorio comune, de1la precedente 
discip1ina speoia:le dettata in tema cLi reati finanziari, in tutta la 
sua pienezza (naturalmente, sotto il profilo che ne occupa), compresa 
l'esclusione test� indicata; 

non pu�, di conseguenza, essere condiviso l'assunto -sostenuto in 
dottrina a confronto delfa tesd dell'ammissibilit� dell'oblazione ex articolo 
162 bis del codice penale -che dal s1istema delle norme tributarie 
non sarebbe ricavabiil:e iii principdo dell'esclusione dell'oblazdone stessa, o, 
in altre parole, che mancherebbe nella materia una disposizione speciale, 
che comunque stabHisca a1t!r1�menti rispetto al codice penale (e ci� anche 
a voler prescindere dal fatto -che per� non sembra privo di �sdgnificato che 
manca una disposdzione parallela a quella dell"art. 114 succitato, con 
la quale si estenda l'appHcazione dell'art. 162 bis del codice penale ai 
reati finanziari); 

n� sembra corretta la tesi che nella situa:zione di specie nO!ll sarebbe 
ravvisabile un coni�litto apparente di norme, poich� del tutto diverse 
sarebbero le entit� giuridiche rispettivamente disciplinate dagli artt. 13 
e 14 della legge del 1929 e dall'art. 162 bis del codice penale, costituendo 
l'oblazione da quest'ultima norma introdotta un i!stituto del tutto peculiare, 
sia per la novdt� dell'oggetto, sia per le modalit� e le ddscrezionalit� 
della concessione, donde r.inapplicabiilit� del principio di specialit� 


200 RASSEGNA DFLL'AVVOCATURA DELLO STATO 

alla stregua del quale � stata sostenuta la tesi dell'esclusione della 
oblazione; 

necessita considerare, infatti, che gli artt. 13 e 14, legge n. 4 d:el 1929 
non si limitano a regolare la forma dell'oblazione �speciale per le contravvenzioni 
filnanziarie punite con ~a sola pena deH'ammenda, ma enunciano 
prima di �tutto il principio che l'oblazione � ammessa soltanto per siffatte 
contravvenziorui. e di conseguenza �escludono da:Ha possibilit� dell'oblazione 
gli altri illeciti, e non v'� dubbio che tafo pcincipio si pone 
m conflitto con quellJ.o di cui alil'art. 162 bis del codice penale, riguaridando 
lo stesso oggetto, e cio� le contravvenziorui. punibili con pene alternative; 

non pare, poi, che le notevoli e articolate modificazioni alla legge 

n. 4 del 1929, introdotte con il suindicato decreto-legge, abbiano in qualche 
modo influito sUilla disciplina sopi.ia de1i:neata, in qua:rnto esse concernono 
&sposizion[ del tutto diverse; 
oltretutto � sintomatico che il legislatore, nel porre mano a innovazioni 
di grande portata, quali quelle dell'abolizione del pri!I1oipio di 
f�issit� e della pregiudiziail.e tributaria, e nel procedere qumdi all'attenta 
valutazione, da un lato, delle progettate modifiche sul sistema preesistente, 
e -d'altro lato -della necessit� di cooi.idinare le modifiche stesse 
oon il sistema pena:le sia generale che speciale, in rapporto anche alla 
!introduzione di nuove norme incri:rnitnatrici, abbia omesso di abrogare o, 
quanto meno, di modificare i citati artt. 13 e 14; e da questo silenzio � 
assai pi� coi.iretto desumere l'interurlone di mantenere ferma ed opemnte 
la predetta limitazione, piuttosto che �ipotizzare sempMoisticamente una 
�svista� del legislatore stesso; 

peraltro, l'ammissione dell'oblazione ex art. 162 bis in materia di 
reati finanziari verrebbe a costituire una netta anomalia nel sistema sanzionatorio 
speciale, cai.iatter.izzato mprecedenza dal pr�noipio della riserva 
alla pubbllica Amministrazione della discrezionailit� in materia di ammissione 
all'obla:zione; 

l'oblazione ex art. 162 bis del codice penaie, infatti, non � ammessa 

� quando permangono conseguenze dannose o pe:nicolose del reato elimi


nabili da parte del contravventore �; 

ora, non � certamente sostenibile che H ,giudice non possa procedere 

alle �relative valutazioni relativameillte a contravvenzioni finanziarie (ana


logo potere ghl � espressamente attribwto dia:hl'art. 165 del codice penale). 

nondimeno, � evidente che, in tema di reati finanziari, l'individuazione 
di conseguenze darulose o pel1�JColose pu� implicare apprezzamenti 
pi� consoni ailile funzioni proprie della pubblioa Ammini,strazione la quale, 
in matenia finanzi.airna, agisce secondo complesse linee 'di politica econo-
Ill�lca, che non a quelle del giudice, non vincolato a criter~ metagiur.idici 
di opportuniit�; 

I 


I


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I 


I


~ji

I


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f:: 


PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDBNZA PENALE 

l'attribuzione a quest'ultimo della discrezionalit� circa l'ammissione 
aLl'oblazione verrebbe a contrastare mdicalmente con il principio, precedentemente 
seguito, del mantenimento ali'Amministra:cione di ampi spalli 
di competenza esclusiva, come ad esempio in tema di ammissione alla

1

oblazdone ex artt. 13 e 14, legge n. 4 del 1929, e tuttora esiSltente per 
taluni delitti puniti con la sola pena deMa multa; 

a spiegare detta anomaiia non sembra sufficiente l'osservazione 
-per vero 1assai generica -che H legislatore ha voluto avvicinare il pi� 
possibile il trattamento penale degli :Hlecim finanziari a queLJ.o degli 
aiwi reati; 

sembra, anzi, che ii legislartore, pur abolendo la pregiudiZ�Jaile tributaria, 
abbia voluto pres1ervare al massimo grado la >Sfera di autonomia 
d'el!la pubblica Ami:n:i1l:l�strazione, giacch� ha dispos1to, iin deroga all'art. 3 
del codice di procedura penale, che iii processo tnibutario non pu� essere 
sospeso .in pendenza del procedimento penale, ha limitato l'efficacia del 
giudicato penale nel processo tributario a �quanto concerne i fatti materiali 
che sono srta1li oggetto del giudiizio penale �, ed ha riaffermato, in 
materia di imposte sui redditi e dii imposta sul va:lore aggiunto, :1'4naipplioabilit� 
del1'art. 22, legge n. 4 del 1929 (gi� prevista dall'art. 60 di questa 
legge relativamente ai redditi soggetti a tributi diretti), che aittribudsce al 
giudice penale il potere di decidere della controversia relativa aA tributo 
(cfr. artt. 12 e 13 del d.l. n. 429 del 1982): il che testimonia della persistenza 
sostanzialmente �immutaita del precedente St'�istema, e conmbuisce 
a .rafforzare la tesi, siccome con esso coerente, de1la esclusione delle contravvenzioni 
:filnanziarie dell'oblazione prevista dall'art. 162 bis del codice 
penale; 

l'istanza in esame, pertanto, non pu� essere accolta. 


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PARTE SECONDA 



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QUESTIONI 


LE ROYALTIES (CLASSIFICAZIONE, TRATTAMENTO ED ACCERTA� 
MENTO) ED I SOGGETTI PRIVI DI STABILE ORGANIZZAZIONE IN 
ITALIA 

SOMMARIO: 1 � Inadeguatezza della vigente normativa in tema di imposi� 
zione diretta sulle "royalties �. 2 � Le sentenze n. 3931/81 e n. 7187/83 
della Corte di cassazione. 3 � Le societ� estere prive di stabile orga� 
nizzazione in Italia. 4 � Ipotesi di classificazione e trattamento dei 
redditi da "royalties "� 5 � L'accertamento dei redditi predetti. 

1. � L'art 49 del d.P.ll. n. 597 del 1973 raggruppa insieme -senza 
distinguerli tra loro -i 'redditi derivanti dalrta utilizzazione economica di: 
a) J.na11Chl di fabbrica e di commercio (stranamente non si fa parola 
dei marchi di servizio pl'evisti dall'art. 3 della legge 24 dicembre 1959 

n. 1178); 
b) opere dell'ingegno (cfir. l'art. 2575 cod. civ. nonch� la legislaZJione 
speciale); 

c) �invenzioni indus1llia1i �e simili� (cfr. gli artt. 2585, 2586, 2592 
e 2593 cod. dv., nonch� la ,legislazione \Speci<ale). 

H successivo art. 50 dispone che 'i redditi anzidetti, quando non con� 
fluiscono nel ,reddito d'impresa, sono imponibili dopo riduzione -anche 
questa indifferenziata -del 30 % � a titolo di deduzione forfettaria delle 
spese�, esdudendo solo il caso di � dir.itti acquisiti per successione o 
donazione�. 

L'ultimo comma dell'art. 25 del d.P.R. n. 600 del 1973, come �cor� 
retto � con il d.P.R. n. 897 del 1980, prevede -ancora indistintamente per 
i � compensi � in questione, quando " co~isposti a non residentii �, una 
imposizione� reale� sostitutiva delle imposte personali (�ritenuta del 30 % 
a titolo d'iimposta commisurata al 70 % del loro ammontare lordo�). Per 
inciso, va osservato che appare censurabile dal punto di vista sistema� 
ti.co prevedere rngim~ sostitutivi nel corpo di una normativa concernente 
l'accertamerno (1). 

(1) L'esigenza di una disciplina specifica del trattamento tributario dei 
� compensi � di � brevetti, disegni, processi, formule, marchi di fabbrica e 
simili� � stata avvertita inizialmente (art. 18 della legge Tremelloni 5 gennaio 
1956 n. l, e poi art. 128 del t.u. II.DD. del 11958) in relazione alla convenienza 
di operare � ritenute � -s'� dunque sul terreno della riscossione �pi� che 

2 RASSEGNA D1!LL'AWOCATURA DELLO STATO 

I

L'iairt. 19 punto 9 del citato d.P.R. n. 597, come � i111tegrato � dal ,. 

I f

d.P.R. n. 897 del 1980, considera prodotti nel temtorio dello Stato, ai 
fini dell'applicazione dell'IRPEF, i � compeIJJSi � (s!i. noti il termine, di� 
verso da quello �redditi� usato pi� volte nello stesso articolo) corrispostJi 
da resa.denti o equipairati a non residenti (paTiI'ebbe anche non im!: 
prese) per l'utilizzazione dei beni immateriali dei quali sin qui si � detto. 
In sostanza, il criterio seguito � identico a quello indicato al punto 2 per 
i redditi di capitale ed � divevso da quello indicato nei punti 3, 4 e 5 
(luogo di esercizio delle attivit� imprenditoriali o �autonome� e di prestazione 
del lavoro dipendenrtJe), ed anche da quelli indicati -con formula 
passe-partout -nel punto 6 (2). 


Le nuove disposizioni del 1980 solo .in parte contribuiscono a risolvere 
le questioni insorte in ordine all'imponi:bHit� con ILOR dei � compensi
� in questione; ovviamente il discorso concerne le ipotesi nelle quali 
essi non confluiscono nel reddito di impresa (o nel reddito imponibile 
con IRPEG). La sentenza n. 42 del 1980 della Corte costituzionale ha 

I

lasciato impregiudicata ed � ape111Ja � tale problematica. Dopo di essa si ~ 
� avuta la sentenza ~della quale tra b11eve si dir�) 17 giugno 1981 n. 3931 

I 

della Corte di cassazione, ove � stato affermata l'applicabilit� della ILOR 

I fil

sul1a base di una classificazione dei redditi in questione tra quell!i. �diversi
� di cui aiH'arrt. 77, comma secondo, del d.P.R. n. 597 del 1973. 
Comunque -ripetesi -la � novella � del 1980 solo in parte ha risolto 
i problemi dell'imposizione con ILOR. 

I m 

Anzitutto, poich� sono esclusi da ILOR �ii redditi. assoggettati (si 
noti "'assoggettati" e non "assoggettabili") a 'ritenuta alla fonte a titolo 
d'impoS1ta � (art. 1 comma secondo lett. e del d.P.R. n. 599 del 1973), si 
perv,iene al risiultato -non previsrto. dal Iegislatore � coNettivo � e non 

su quello dell'accertamento -nei confronti di percettori � non residenti "� 
Tant'� che rimane tuttora l'abitudine di denominare tali compensi redevances 

o royalties e che anche in uno scritto recente pu� leggersi: � la tassabilit� 
delle redevances non presenta problemi di rilievo se a percepirle � una 
pe11sona fisica o giu11idica residente �. 
(2) Questa disposizione � novella� (il punto 9) fa dunque ricorso ad un 
cI'iterio soggettivo -la condizione di residente del soggetto che corrisponde 
il � compenso � -che peraltro � diverso dal criterio, pure soggettivo -impom 
sizione nello Stato del percipiente il � compenso � -indicato dallo schema 
OCSE di convenzione per evitare fo doppie imposizioni (cfr. art. 12 di detto i~
i::

schema) e, in pratica, da tutte le convenzioni in essere (cfr., ad esempio, 
art. 12 della Convenzione con la Svizzera, art. IX della Convenzione con 1: 

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l'Olanda). Sicch�, sul piano del diritto internazionale tributario, i Paesi espor,,, 


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tatori di brevetti, marchi, etc. sono in passato risultati pi� forti dei paesi 

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importatori. 

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PARTE .II, QUESTIONI 

poco assurdo (ma iinevitabile, come riconosciuto dalla circolare ministeriale 
n. 42 del 12 dicembre 1981) -di sottoporre i compens�i in questione 
ad un carico ft:scale eventualmente pi� lieve quando percepiti dal 
�non residente�: questi rimane sottoposto solo al regime sostitutivo di cui 
all'uJtimo comma dell'art 25 del d.P .R. n. 600 del 1973. Un incentivo .in 
pi� per � intestare � beni immateriali a soggetti esteri. 

In secondo luogo, poco chlaro � ,iJ raccovdo tl'a legislazione � interna � 
e normative convenzionali di diritto iintemazionale tributario. La men:
zli.onatla circolare n. 42 ha delineato 1e seguenti ipotesi: a) .in mancanza di 
qua:lsiasi convenzione con il paese iri cui ha �sede il destinatario delle 
royalties (od in presenza di una convenzione gi� stipulata, ma non ancora 
ratificata e resa esecutiva in Italia) si applicherebbe soltlanto la ritenuta 
alla fonte, a titolo d'Jmposta, del 30%, prevista dall'art. 25 del d.P.R. n. 600 
del 1973, restando esclusa l'ILOR, in conformit� con quanto previsto dall'art. 
l, lett. e, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599; b) in pres~ di una 
convenzione che, pur riservando l'assoggettamooto delle royalties al paese 
di destinazione, attenga soltanto ai tributi erariali (quali l'IRPEF e 
l'IRPEG), dovrebbe procedersi aill'applicazione dell'ILOR, �in base a dtichia� 
razione annuale (cosa questa che comporta accert�amenti complessi e 
rende problematica l'attivit� di riscossione); e) .in presenza di una conven~
ione che escluda l'app1ioabilit� di qua:lsias.i imposta da parte dello stato 
di residenza del soggetto erogante, non dovrebbe procedersi ad alcun 
prelievo. I principi contenuti nella circolare citata e nell'art. l, lett. e), 
del d.P.R. n. 599 del 1973, postulano, quale corollario, l'esclusione dell'ILOR 
ogniqualvolta l'acooroo intemazion:ale contro le doppie :imposizioni assoggetti 
le royalties �ad una, sia pur min:ima, ritenuta. 

In terzo luogo, � stato deliberatamente accantonato (come testimo� 
niato dalla formulazione dell'art. 9 del d.P.R. n. 597 del 1973) il problema 
della classificazione dei redditi in questione, e quindi, di riflesso, � 
rimasto privo di punti di riferimento il� problema del loro trattamento 
ILOR anche nei riguardi dei �residenti�; ed in effetti proprio la pro� 
blematica della classificazione dei redditi de quibus costituisce, come si 
dir�, una delle ragioni di inadeguatezza della normativa in vigore. 

Questa elargisce indiscriminatamente (ancorch� non sempre) un 30 % 
di riduzione dell'imponibile IRPEF ed ILOR senza considerare: 

I) che l'acquisto a �titolo oneroso di un booe immateriale � vicenda 
economica molto diversa dalla produzione di un'opera del:l'Jngegno e 
dalla � invenzione � industriale; 

II) che H marchio non esprime una �creazione � per 1a cui produ2ione 
1siano richleste �spese di produzione�; neppure gli �investimenti� 
in pubblicit� occorrenti diffondere la conoscenza di un marchlo attengono 


� RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
4 

specificatamente ad esso; questi � ivestimenti � concretano una vera e 
propria accumulazione patrimoniale (ancorch� per solito non evidenziata 
come tale nei bilanci) e -a ben vedere -non sono una �spesa� (come 
li denomina il d.P.R. n. 597) per la produzione dei beni interessati dal 
marchio e, a nigore, neppure dovrebbero essere integralmente inclusi 
tra gli �acquisti� detraibili ex art. 19 del d.P.R. n. 633 del 1972. 

In effetti, la differenza tra � iinvenzione � e � opera dell'ingegno �, 
da una parte, e � mairchi �, dall'altra, va sempre pi� accrescendosi con il 
diffondersi di pratiche commerciali che tendono a distaccare il marchio 
della funzione originaria di � distinguere merci od altri prodotti � provenienti 
da una specifica impresa (�dalla propria impresa� recita il codice 
civMe), e ad operare concretamente trasferimenti del solo marchio (senza 
l'impresa o ramo di essa) anche in violazione -in pratica, non sanzionata 
-delil'.art. 2573 cod. civ. 

La tendenza al distacco del marchio dall'impresa si mall!i.festa, ad 
esempio: 

a) attraverso la molteplicit� di emblemi non si~fioativi della 
provenienza della merce ad opera di uno stesso produttore (si pensi ai 
detersivi prodotti da poche multinazionali e commeroia1izzati con marchi 
�di fantasia�, che pi� esatto sarebbe denominare �mutui�); 

b) attraverso la concessione, della fucolt� di iutilizz,are un nome 
rilasciata ,da soggetti che non partecipano alle attivit� di produzione e/o 
distribuzione delle merci; 

e) attrave11So l'utilizza71ione del marchio di produzione concessa, anzi 

pi� spesso contrattualmente imposta, a soggetti opeirao:iti nel settore della 

distribuzione (si pensi alle catene di esercizi commercia1li. che vendono 

prodotti di un unico produttore, esercizi a questo legati mediante contratti 

detti di franchising). 

Ovviamente, nei casi test� indicatii. sub b) e sub e) e nei possibili altri 

oosi di utii.lizzazione del marrchio da parte di soggetti diveI1Si da quello che 

-di diritto o di fatto -ne � per cos� dire il titolare,� compensi� (secondo 

il linguaggio usato) vengono corrisposti dall'utente non per� congiunta


mente al prezzo deHe meroi, ma per separati, paralleli (e molto meno 

controllabili) oamli. 

Dovrebbe inoltre considerarsi che, accanto al marchio, si vanno 

configurando nella pratica commerciale altre �entit� � che non sono 

riconosciute dalla legge extratributaria come � beni immateriali � e cio� 

come possibili � oggetti � di diritti as1Soluti ma che cionondimeno sono 

create dalla pratica contrattuale, come diritti relativi che per� tendono 

ad essere � oggettivizmti �. A ben vedere, mentre il � bene materiale � 

trova un fondamento ed un riscol11tro anche, per cos� dire, tattile nella 


PARTE II, QUESTIONI f 

realt� extmgi.uriidica, il� bene immateriale� � frurtto arbitmrio di decisioni 
umane (del legislatore): � quindi comprensibile che l'autonomia contrattuale 
riconosciuta ai pnivat� pervenga essa pure -con decisioni umane 
per ai� stesso omogenee a quelle del legislatore -aiil.a � oreaz.ione � di 
�entit�� che solo un dato formale ( i connotati specifici della legge) 
distingue dai � beil!i. immateriali �. 

Vanno cos� oggetrtivaindosi entit� quali il know-how (reale, o fittizio 
ma imposto da maggior forza contrattuale), la �assistenza in esclusiva�, 
la �immagine commerciale� (ad esempio, arredamenti. tipizmti dci punti 
di vendita al pubblico), la �pubblicit� commerciale ~n esclusiva�, etc. 

Formalmente, per quanto attliene all'IVA, queste �entit� � sono riguardate 
come � servizi �, sono per� � servizi � sovente sui generis perch� non 
a s� stanti ma collegati con movimenti di merci. Per quanto invece attiene 
a1l'imposi2lione suri. redditi, le � entit� � m questione sono menzionate ed 
equiparate ai �beni immaterial~ � -nell'art. 69, comma secondo, del 

d.P.R. n. 597 de'l 1973. Tale equipaI"allone � stata estesa -ma con evidente 
forzatura del testo normativo (per il che � probabile che i contribuenti 
reagiscano in sede giurisdizionale per quanto tale forzatura li danneggia 
ed acqWsisoano defirutr.iviamente i vantaggi che da essa loro derivano) con 
la circolare n. 42 del 12 dicembre 1981 pi� volte citata, di commento 
all'art. 19 punto 9 del d.P.R. n. 597 del 1973. Ed � stato osservato (TABELLINI, 
Gli aspetti fiscali nei trasferimenti di tecnologie e marchi, in Dir. prat. trib., 
1982, I, 1513) che �nonostante l'interpretazione test� riferita dia l'impressione 
d�. risolvere ogni possibile dubbio, pure non mancheranno di porsi 
problemi applicativi; le prestazioni che possono rien1Jrare nell'accezione 
di know-how, infatti, sono talmente varie ed eterogenee da far dubitare 
che esse possano sempre ricondursi allo sfruttamento di un bene 
immateriale �. 
Il �compenso � o � comspettivo � di tali �entit� o � servizi � per 
solito molto elevato, dal momento che essi possono essere prestati 
(rectius, impostii) solo da soggetti contrattualmente fonti pu� assumere 
fornie molteplici, quali, ad esempio: 

1) royalties, determinate .in proporzione percentuale ai giro di 
affari (o al venduto), formula -questa -usata comUlllemente all'estero 
meno in Italia essendo iliftiicile il contro11o da parte del cedente sulJ:a 
contabilit� dell'ut~lizzallione; 

2) forf aits annuaili, formula -questa -usata fargamente in Italia; 
3) � dfoitti di entrata� o di isc:cizione, a simigliarnza di quanto 
accade per ,1e associaziond; 
4) rimborsi di spese di campagna pubblicitaria o di sfilate di moda 

o di altre iniziative similari, gestite per� dal prestatore di tali �servizi�; 

6 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

5} canoni dii affitto di insegne. o anche di locali (se questi ultimi 

appartengono al �� prestatore dei servizi �); 
6) corrispettivi pi� o meno regolarmente fatturati per specifici 
servizi peraltro contrattualmente imposti; 
�7) persino sottoscriziOOJe, a prezzo superiore a quello che sarebbe 
il prezzo di meroato, di titoli azionari emessi dal prestatore dei � servlizi �, 
til quale trova cosi il modo di farisi tmanziare dagli utilizzatori dei servizi. 

Ricorrente nei contratti relativi a tali � servizi � � la clausola di � segre-� 
tezza �, apparentemente giustificata da11'eSligenza di non far conosoere iJl 
know-how e le strategie aziendai1i. 

Il fenomeno sommariamerute descritto -che contribuisce non poco 
a quella che appare come � terziarizzazione � dell'apparato produttivo �, 
come ovvio, conseguenza della sempre maggiore ampiezza dei mercati 
e della sempre maggiore importanza della pubblicit�. Sicch� ti soggetti 

che -per dimensioni o per cohlooaziioni -riescono a gestire ii momenti 
� spettacolari � del commercio conseguono � compensi �, che tendono a non 
essere inglobati nei comspettivJ. delle meroi, ed �ad essere invieoe collocati 
al � bene immateriale � marchio o aid altre �entit� �. 

In tema di IVA, per l'art. 3, comma secondo n. 2 del d.P.R. n. 633 del 
1972 (peraltro in parte derogato dal successivo comma terzo, lettera a) 
sono sottoposte ad IVA .te cessioni (ossia ml triasfevimento della titolarit�), 
concessioni, licenze e simil.!i relative a diritti d'autore, ifilvenU.oni mdustriali, 
modelli, disegni, .processi, formule e simili, ed a. m~chi e insegne. La formulazione 
della norma � pi� ampia di quella dell'art. 49 dinanzi esaminato. 
Non solo si prescinde dal requisito della brevettabilit� ~a anche dalla 
.configurabilit� giuridica di un �bene immateriale�: �la norma si estende 
a tutti gli accordi di collaborazione industriale, includenti l'uso di disegni 
e progetti nonch� di fc:mnuil:e, proces�si, tecniche e SlimHi quali quelli che 

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vano sotto il nome di know-how (da circ. Assonime n. 101/73). 
Quanto ai criteri di temtooialit�, essi sono stati com'� noto deiiiiniti 


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in conformit� con la sesrta direttiva CEE -nel nuovo testo. dell'art. 7 
comma quarto lett. e) e g). La ratio deHa normativa si 'legge nel 1settimo 
�considerando � della predetta direttiva: �occorre fissare tale luogo nel 
paese del destinatario ... per talune prestam�nii di servizi, il cui costo � 
compreso nel prezzo della merce �, 

La dliscipliina IVA, peraltro, tratta im modo indiff:erenzia:to ti � servizi � 
immateriali che sono uttiiizzati nehl'attliv.it� idi produzlione delle merci ed 
incidono sui relativi costi (servizi-strumento) ed i � servim � (ad esempio, 
i ma:rchi) che invece accompagnano 1e merci prodotte, anzi accedono ad 
esse, ed .incidono (non niecessariiamente ma per solito) sui prezzi al consumo 
(servizi-oggetto). La mancata differenziamone di quesiti �servizi� pu� non 


PARTE II, QUESTIONI 

turbare la meccan�ca dell'IVA, ma finisce per determinare difficolt� di 
accertamento degli :i.mponibil!i di altri tributi. 

Ed in effetti, il corrispettivo per l'utilizzazione del bene immateriale 

o simile � entit� � � c011.1sideraito separato dal corrispettivo della merce cui 
pur venga ad accedere; sicch� pu� aversi -e, ad esempio, nel settore 
dell'abbigliamento � frequente si abbia -una circolazione di merci doppiata 
da una separata circolazione dei particolari � servizi � di cui trattasi. 
Cosi, alle dogane vengono presentate per l'esportazione solo :le merci; i 
� servtlzi � marchi dii f�abbrioa e di commercio non appaiiono, possono 
agevolmente circolare � da estero ad estero � (anche quando �sia il � destinatario 
� del servizio Stia 1il ctitolare del marchio sono, in realt�, consociate 
estere del soggetto litaiMano). In tai modo una parte di quelli in realta so.no 
corrispettivi .di merci, e -quel che pi� rileva -una parte dei � ricavi � 
pu� agevolmente sparire dalla contabilit� dell'impresa italiana. Del resto, 
v'� anche un fenomeno di 1segno opposto, fenomeno di oui la legge tributarna 
irn pi� occasioni s'� occupata: e cio� !hl fenomeno della innovazione 
tecnologica incorporata nel bene strumentale, che viene dato in affitto o 
noleggJo. In tal caso, il � compenso � per l'utilizzazione economica del bene 
iimmateriale non � separato dail omone di affitto, e quindi non appare. 
2. -Nella �sentenza del 17 giugno 1981, n. 3931 (in Dir. prat. trib., 1982, Il, 
17), la Corte di cassazione aveva constatato l'impossibilit� logico-giuridica di 
r.acchiudere !i � compensi � in questione solo nelle due categorie reddito 
d'impresa e reddito di lavoro autonomo. Si legge in quella motivazione: � � 
stato esattamente osservato in dottrina che nei redditi di lavoro autonomo 
l'elemento soggettivo � dominante rispetto a quello oggettivo della 
fattispecie, e quindi, relativamente ai redditi imputabili soltanto ad una 
persona fisica perch� riconducibili immediatamente allo spiegamento di 
energie psichiche o fisiche, v!iene addirittura meno il presupposto cli 
tassazione quando il 1soggetto non � pe11sona fisdca �. Sicch�, � una societ� 
di capitali residente non consegue redditi di lavoro autonomo, non sono 
perch� � soggetto imprenditore (e qUJindi titolare di redditi che, per 
testuale previsione dell'art. 49, secondo comma, d.P .R. n. 597 IRPEF non 
possono essere co.nsiderat!i redditi di lavoco dn senso oggettivo), ma anche 
per mancanza di quel requiis�lto di personalit� della presta2lione che inerisce 
necessariamente alla stessa qualifi.ioazione; correlativamente, una 
societ� di capii.tali non residente non pu� essere tiitolare in Italia di redditi 
di lavoro autonomo, e, pertanto, i proventi di royalties ad essa affluenti, 
e che mantengono la loro autonomia, non concorrono a formare un reddito 
di 1impresa, la oui esti.srtenza va esclusa, in mancanza di una organizzazione 
ad hoc nel nostro Paese, e nemmeno possono essere recuperati all'imposta 
come redditi di lavoro autonomo �. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO

8 

Poste queste premesse quella sentenza affermava: � la circostanza 
che il reddito da redevances sfugge all'ILOR solo perch� percepito da 
un',impresa non avente stabile orgainiz2lazione iin Italia appare, invero, palesemente 
in contrasto con l'art. 4, n. 2 defila legge di delegazione, che non 
� stato consideraito espressamente dal legislatore delegato, fra:stomato dal 
gioco dii richiiami e dalla conseguente equiparazione, ne!lla disciplina dettata 
per i singoli tributi, di situazioni che erano state distinte (ed a ragione 
veduta) dal legislatore delegante�. 

In tal modo, la Corte di cas,sazione andava aiUa sostanza del problema, 
rifiutando l'appiattimento dei � compensi � in ques1:Jione tra i redditi assimilati 
a quellii dii lavoro autonomo ed aprendo il problema di una loro 
classificazione aderente alla realt� economica. Ed invero risulta artificioso 
ed erroneo negare 11 carattere � patrimoniaile � dei � compensi � di che 
trattasi ogni qualvolta si esca dalle ipotesi � cirx:oscritte � del diritto d'autore 
corrisposto proprio allo scrittore o dell'utilizzazione economica del 
brevetto da parte dello stesso !inventore: � il reddito da redevances qui 
considerato -si legge in ailtro passo della 'sentenza -� sicuramente 
caratterizzato da una evidente componente patrimoniale �. 

Subito dopo la vicoroata sentenza della Co11te dii cassazione (accolta 

da vivaci critiche forse non sempre disinteressate), un organo sottor


dinato -la Commissione tributaria centrale -si � affrettata a rendere 

�a sezioni unite � (dee. 12 ottobre 1981, n. 8782, in Dir. prat. trib., 1982, II, 

46) una pronuncia contraria -anzi esplicitamente dissenziente -rispetto 

a quella della Corte di cassazione, senza avvertire (e quasi a negare) che 

il compito ili � nomofi1achia � spetta in materia, e per Costituzione, a 

detta Corte. � gi� singolare che un organo sottordinato pronunci � a se


zoni unite � (collegio -oltre tutto � imperfetto � -la cui ragion d'essere 

e funzionalit� non sarebbe male 11."iconsideriare); ancor pi� singolare � 

che tali �sez!ioni unite � non avvertano la doverosit� ili un self restraint 

e si contrappongano alla Corte di cassazione. 

Con 1a sentenza Cass. S.U. 30 novembre 1983, n. 7187 (in queSlto nu


mero della Rassegna, parte I) e con 'altire dieci sentenze in pari data e 

di !identico contenuto, � 'Stato, �se non totailmente contraddetto, m parte 

svuotato il principio enunciato nella anZJidetta sentenza del 1981 tin punto 

di classificazione dei redditi. da royalties, essendosi ritenuto che tali 

redditi sono da classif�.oars1i tra quelli � di impresa � (ai fiini dell'app1ica


:ziione dell'art. 19 del d.P.R. n. 597 del 1973 nel testo anteriore alle modi


fiche introdotto con il d.P.R. n. 897 del 1980) quando il soggetto estero, 

pur privo di stabhle organizzazfone in Italia, � un imprenditore. 

Tutta la motivazione, per vero non soddisfacente (specie se la si con


fronta con l'ampio dibattito avutosi nell'ultimo decennio sull'argomento. 


PARTE II, QUESTIONI 

e con le difese svolte dall'Avvocatura dello Stato), si regge solo. sul seguente 
assunto: � non v'� dubbio che le royalties corrisposte a imprese 
commeroiiali (italiane o straniere, aventi o non aventi. stabil.e organizzazione 
�in Halia) siano, per defilniZlione legislativa, reddito d'timpresa � <nella 
specie si � trattato di societ� anonima di diritto svizzero priva dii stabile 
organizzazione dn Ital.ia). 

In questa pi� recente sentenza non si menmona affatto -e la cosa 
non pu� non sorprendere -<l'art. 25 del d.P.R. n. 600 (ove, nel secondo 
comma, prima della � noveHa � del 1980, si leggeva �anche per prestazioni 
effettuate nell'esercizio d'impresa�), e al tempo stesso si utilizza 
fuori dai confini nazionali lo strumento del reddito d'impresa (e la presunzione 
assolut!a di imprenditorialit� delle attivit� deHe ,societ�) a mo' 
di �carta assorbente� delle royalties. Risultato -questo -contmdddttorio 
ed inaccetitabtile. 

Ed 'invero, anzdtutto non pare stabilito da alcuna norma (neppure 

�pattizfa �) che l'ordinamento itialiano debba recepire l'eventuale quali


cafizione -ad opera di un ordinamento estero -di un soggetto come 

imprenditore. J diverisi ordinamenti possono attribuire tale qtJ.alificazio


ne secondo regole loro proprie e, al ldmite, possono non prevedere af


fatto uno status di timprenditore commerciale. 

Inoltre, secondo fogioa propria� del �diritto fotemazionale privato � 

(da seguirsti in tali controversie), H punto della classificazione di un red


dito secondo il nostro diritto dntemo -posto che la classificazione deter


mina se esso (reddii.to) � o meno �prodotto nel territorio dello Stato� 


deve essere distinto e risulta preliminare ed assorbente rispetto al punto 

se operi o meno il richiamo al titolo II contenuto nell'art. 23 del d.P.R. 

n. 598. 
Ed infine limane tutto da dimostrare che le � regole proprie � !italiane 
relative al recklito d'impresa operino anche per attivit� asseritamente 
imprenditoriali svolte aH'estero da soggetto estero privo di stabile 
organizzazione in Italia. Invero non pare corretto �assegnare dimensione 
� mondiale � alla noZlione di impresa ed alla relativa ddsciplina tributaria, 
quaLi poste dal diritto ital1iano (sembra invece postulare il contl'ario 
11a circolare n. 50550 del 15 dicembre 1973). 

Inutile appare -nel 1984 -soffermarsi sull'asserito limite addotto 
nel 1972 per espungere dall'originario testo di quello che � divenuto il 

d.P.R. n. 597 la disposdz,ione che vii figurava alla lettera f) dell'art. 19, e 
sulla mancata tempestiva modifica <o � correZlione �) dell'art. 25 del d.P.R. 
n. 600 (e/o del-l'art. 19 del d.P.R. n. 597), malgrado non poche modifiche 
legis1ative siano state apportate a det/tJi decreti tra dl 1974 ed il 1980 e malgmdo 
fin dal 1973 (tira gli altri, CROXATTO, Aspetti internazionali della 
tassazione del reddito, in � Incontri � a cura del Banco di Roma, 1973, 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

10 

II, 115; DE ANGELIS G., Quantificazione del reddito d'impresa: t cost� 
e ricavi della disciplina della riforma, :ivi, 1973, I, 137; GRANELLI, La 
tassazione delle redevances passive d'impresa, in Dir. prat. trib., 1974, I, 
354) fosse stata evidenziata l'inadeguatezza della disciplina. 

3. -Interessa ancora invece evidenziare in primo luogo come la duplice 
fictio juris, che conduce alla �determinazione� unitaria dei redditi 
societari, fictio tutt'altro che indispensabile, mette a nudo la sua artificiosit� 
logica e p11artica quando � portata alle estreme conseguenze 
(cos�, ad esempio, quand'� applicata a soggetti esteri). 
Per vero, una � determinazione � unitaria non � stata prevista dalla 
legge delega n. 825 del 1971 neppure le societ� nazionali, dal momento che 
l'art. 2, n. 17 di tale legge parla unicamente di � accertamento � e non di 
� determinazione �. Sicch�, a ben vedere, l'art. 6, comma secondo, del 

d.P.R. n. 597, che serve a consentire azzeramento dei redditi ad esempio 
fondiari, solo per fictio juris inclusi nel reddito di impresa, mediante 
componenti negativi dii redditi effettivamente di impresa, potrebbe forse 
essere ritenuto contrastante con un 1criterio della legge delega; e prop11io 
l'applrl.cazione del citato art. 6, comma secondo, e dell'art. 5 del 
d.P.R. n. 598 (per quanto �ail primo rinvia) ail1e �societ�� estere conferma 
tutta la contrariet� alle esigenze fiscali di UI11a generalizzata � .determinazione
� unitaria. 
Del resto, la convenzione italo-svizzera resa esecutiva con legge 23 dicembre 
1978, n. 943 (come altre parallele convenzioni scritte sul �modello 
OCSE�) clispone (a:rit. 6) che i redditi fondiari (ed anche quelli per plusvalenre 
[mmobiliani.: art. 12) non devono confluire nel reddito d'impresa, 
e quindi contrasta frontalmente con quella �determinazione� unitaria 
di esso che il leg[slatore delegato ha voluto introdurre nel nostro Paese 
(tra l'altro, con il 11isultato non evidenziato nella relazione miJnisteriale 
al d.P.R. n. 597, di consentire anche alle societ� cosiddette immobiliiari e 
similari di beneficiare dii una dlisposizione -l'attuale art. 58 di detto 

(3) Duplice perch� si presume che il reddito di impresa assorba gli altri 
redditi (e quindi che le perdite di impresa prosciughino �i redditi che sarebbero 
per loro natura altra categoria) e si presume che tutti i redditi delle 
societ� (anche di persone) siano di impresa. In realt�, il sistema cli presunzioni 
assolute costituito nel 1972-73 a vantaggio delle societ� (e che si vorrebbe 
estendere alla intera �internazionale della societ��) � ancora pi� �ricco�: 
bisogna aggiungere infatti fa presunzione che, ai� fini della detrazione del-
1'1.V.A. �a monte�, tutti gli 'acquisti delle societ� si considerano effettuati -a 
detta degli � esperti � privati -� nell'esercizio dell'impresa>>, e la presunzione 
che tutti gli interessi passivi siano spese per la produzione del reddito (nei 
limiti in cui questo non � esente). Un vero e propro �quadrilatero di presunzioni 
�, 

PARTE II, QUESTIONI 1.1 

d.P.R. -che la fogge Tremelloni n. 7 del 1956 aveva scritto per i soli 
redditi mobiliari) (4). 
In secondo luogo, interessa evidenziare come, per i soggetti esteri 
privi di stabile orgiainiz2!~ione, risulm assurda quella enfaS!i della rilevanza 
delle scritture contabili che costituisce il nocciolo (ed una delle 
ragioni d'essere) della disciplina �speciale� sul reddito di impresa. 

La deduzione -in sede d[ determinazione di tale 1reddlito -di costi 
ed oneri � suboridinata a:lla � registrazione lin aipposite :scritture� (art. 74 
del d.P.R. 597) ed � sottoposta ai � control1i � (per quanto posS!ibile �incrociati
�) dell'amministrazione finanziaria. Cos� ad esempio, a fronte 
della deducibilit� degli interessi passivi sono i poteri istruttori di cui all'art. 
34 (per le sole passivit� bancarie) ed agli artt. 33 e 39 comma primo 
(quest'ultimo .Jaddove parla di � .ispe:zioni eseguite nei confrontli. di a:ltri 
contribuenti�). N� scritture n� controllii possono essere umhlzzati per i 
soggetti dn questione. Le scritture, anche se tenute o redatte secondo le 
normative e le procedure proprie deg1i Stati di !appartenenza possono non 
offrire neppure quel (limitato e formale) grado dd affidabildt� che l'ordinamento 
italiano mesce, nel complesso, ad assticuraire; per di pi�, esse 
sono �conservate� all'estero, in luoghi i:nraggiungibilii daglii uffici e dalla 
polizia tributama. E quando manca l'tistituzione dii una sede secondaria 

(che -si noti -� parecchio di pi� della stabile organizzazione) (5) la 

societ� estera non � tenuta, per svolgere fa sua attivit� (anche se non 

saltua11ia), neppure ad esegu.i(l"e le formalit� di cui all'art. 2506 cod. civ. 

Quanto ad controMi fiscali, essi sono pressocch� del tutto impossiblili. 

In tale situa:zione, l'espos,izione dd costi e p�ssiv�t� da parte dei soggetti 
di che trattasi div�ene arbitraria aUJto-ridu:zione dei ricavi; n� pu� 

(4) Pu� forse interessare per il 1981 le sole persone giuridiche hanno 
esposto � interessi passivi � fiscalmente deducibili per circa L. 70.000 miliardi. 
Tenuto conto del tasso di svalutazione monetaria, pu� stimarsi che, di detto 
importo, almeno lire 40.000 miliardi siano stati, nella sostanza, non veri intereSs!
Passivi (posta reddituale) ma anticipata restituzione del capitale (ossia 
accumulazione .patrimoniale). A fronte di tale accumulazione, stanno plusvalenze 
tassate per importo trascurabile, grazie alla normativa in tema di 
� valutazioni � ed alle ricorrenti leggi che consentono rivalutazioni delle attivit� 
(non anche della posta .interessi passivi) senza costo fiscale. Considerato che 
circa un terzo dei soggetti IRPEG non opera attivamente per la produzione 
e/o il commercio, ma gestisce patrimoni, potrebbe pervenirsi ad una stima 
del � contributo fiscale� dato all'accumulazione patrimoniale non direttamente 
coinvolta nei processi produttivi (il discorso dovrebbe essere allargato ai rimborsi 
IVA). Come si vede, � operante in Italia dal '1973 una sorta di �patrimoniale 
negativa �. 
(5) Peraltro, la nozione di stabile organizzazione � parecchio empirica ed 
incerta (oltre che non raccordata con la normativa valutaria). In realt�, neppure 
alle societ� estere con stabile organizzazione in Italia dovrebbe applicarsi 
la normativa sul reddito di impresa. 

12 

RASSEGNA DELl..'AVVOCATURA DELLO STATO 

riconoscersi valore legale ad prospetti o documenti. contabili alleigati alle 
dichiarazioni (e per di pi� spesso �scritti �in lingue non conosciute dad DO� 
stri uffici), come del resto implicitamente riconosciuto dall'art. 5, quarto 
comma, del d.P.R. n. 600 (sostituito dal d.P.R. n. 60 del 1975). 

Va aggiunto che, mentre v'� una disposizione (l'art. 19 del d.P.R. 

n. 597) che �s1labildsce quando redditi, �ricavii e compensi � si considerano 
prodotti nel territorio dello Stato�, non v'� una para1le1a disposizione che 
tracci i!l confine tra costi ed oneri valonizzabili in Italia e costi ed oneri 
destinati a rimanere 1�iniinfluen1li nel nostro Paese. LimHata appare ia por� 
tata del comma aggiunto, all'art. 75 del d.P.R. n. 597, dal d.P.R. n. 897 del 
1980 (come :limitata era pure la portlata dell'aillteriormente vigente secondo 
comma dell'art. 56): detto comma aggiuruto mira a contrastare dl transfer 
pricing tm imprese dom�illante e dom�illate o comunque facenti parte dello 
stesso gruppo, e non a tmooiare, in via generale, il confine del quale si � 
detto test�. Quanto detto per costi ed oneri vale conseguenzialmente per 
le perdite; del resto, riesce diffioile immaginare una deducibilit� di per� 
dite quando -per le societ� estere prive di stabiJe organizzazione -manca 
persino l'obbligo di assicurare la continuit� delle dichiarazioni in man� 
oanza di reddito. Comunque, per le minusV'alenze che non attengano a beni 
localizzati in Italiia opera esplicitamente iJ limite posto da1l'al'.1t. 22 del 
d.P.R. n. 958 del 1973. 
Del resto, detto wt. 22 contiene diisposrizioni nel complesso forse non 
chiare e non coordililate con altre disposizioni dello stesso d.P.R. n. 598 e 
dei d.P.R. n. 597 e n. 600. Anzitutto, nel primo comma di tale articolo ai 
si riferisce alle societ� ed enti � indicati alla lettera d) dell'art. 2 �, e cio� 
ad una platea di soggetti diversa e pi� ampia di quella prevista dall'art. 19 

n. 5 del d.P.R. n. 597 ed in precedenza dall'art. 145 del t.u. dLdd. del 1958 
(soggetti aventi stia.bile organizzazinne in Italia), -e quel che pi� rileva al 
suo .interno non omogenea (si pensi, ad esempio, che le societ� estere 
prive dd stabile organizzazdone non sono -come logico -neppur tenute 
a presentare dichiarazione in as�senza di un reddiito iimponil�1e m Italia, 
a differenza di quanto aooade allorquando v'� 'Sillabile organizzamone): per 
H che un contributo alla chiarezza potrebbe venire da un intervento correttivo 
che comiinciaisse proprio dall'art. 2 del d.P.R. n. 598. Riesce comunque 
poco agevole comprendere come per le societ� estere (e a for� 
tiori per quehle tm esse che son prive di s.tabile organizzazione in Italiia) 
possa prodursi quella trasformazione dei redditi di tutte le categorie in 
redddto d'impresa che � .imposta -come �SI� � detto, con qualche forza� 
tura -dag1i artt. 6, comma secondo, 44 e 49, terzo comma, lett. b, del 
d.P.R. n. 597. 
Il tutto � ulteriormente compliooto dal1a drcostanza che i'l confine 
della nozione di soggetto � indicato ailla lettera d) dell'art. 2 � pu� nisul� 
tare tracciato sulla base di un dato di fatto (la effettiva localizzazione del� 

I�: 

....................................................... : 



PARTE II, QUESTIONI H 

l'oggetto "pmnoipale � dell'attiwt�) di diff�icMe accertamento, dal �momento 
che non si dispone di strumenti idonei a confrontare l'importanza delle 
attivit� in Italia con queUa delle (non conoscibili in modo sicuro) attivit� 
all'estero. 

L'art. 22 del d.P.R. n. 958 continua -nel secondo comma -con una 
di:sposi2Jione che promiscuamente �stabilisce quando redditi si conSI�derano 
prodotti nel territomo dello Stato (quelli indicati nell'a1r~t. 19 .del d.P.R. 

n. 597) e come i redditi di una specifica categoria -i redditi d'impresa sono 
sottoposti ad !imposizione (� itenendo conto... anche delle plusvalenze 
e delle minusvalenze dei beni... relativi alle attivit� commerciali esercitate 
nel territorio dello Stato�). In tal modo, per vero non poco criptico, sembra 
si sia voluto affermare: 
a) che ~a normativa relativa al reddito d'impresa pu� continuare ad 
operare ancorch� !I'ifedta ad un segmento soltanto (quello � itaLiano �) del-
1'1attivit� (e del patrimonio) di UIIla � sooiet� o ente� non residente. 

b) che detta normativa pu� applicarsi ad una societ� (od ente commeroiaJe) 
non residente ancorch� priva di stabile organizzazione in Italia; 
e) che alJ'appliica2lione della medesima normativa � collegata anche 
la imposi2lione sulle plusvalenze; 
d) che per i soggetti in questione non opera -e oi� � pi� che logico 
-~l world wide system. 

Quanto al successivo terzo comma dello stesso articolo 22, esso si 
limita ad equiparare agli enti non commerciati i soggetti non residenti 
� diversi dalle societ� � -i quali � non hanno per oggetto esclusivo o 
princip~e l'esercizio (non � precisato se solo in Italia od ovunque) di attivit� 
commerciali�, Solo apparentemente Jliineare l'art. 23 dello 1srtesso d.P.R. 

n. 598: anzitutto, su di esso si rliflette la limitata chiairezm del precedente 
art. 22, al quale � collegato (anche dall'iinoiso � con riferimento aii redditi 
prodotti nello Stato); inoltre, come gi� osservato, non pare che la norma� 
tiva relativa ai componenti negativi dettata per le societ� e gli enti di cui 
alle lettere a} e b) dell'art. 2 possa essere richiamata ed apphlcata per i 
soggetti estera. 
In terzo luogo, la questione risolta dal d.P.R. n. 897 del 1980, con la 
correzione apportata: dall'art. 19 del d.P.R. n. 597 (purtroppo la no:vma correttiva 
� stata scritta �senza tener conto delle controversie in corso), pu� 
11ipresenta:vsi per redditi. diversi da quelli da royalties. 

Fino al 1980, la quasi totalit� dei soggetti esteri privi di stabile organizzazione 
in Italia risultava percettore unicamente di� redditi fondialI1i, 
per beni immobili da essi qui posseduti; in pratica, solo il n. 1 dell'art. 19 
del d.P.E. n. 597 trovava -per ovvde ragioni -effetti.va aipplicazione (del 


14 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

resto i numeri 3 e 4 dell'articolo 19 concernono solo le persone fisiche). La 
situazione dovrebbe essere mutata dopo la �novella� del 1980 (operante 
dal primo gennaio 1982). 

4. -Le oscillazioni e, in qualche� misura, il disorientamento della giurisprudenza 
-ancorch� circoscritti (non per� eliminati) dalla � novella � 
del 1980 -dovrebbero indurre ad un esame approfondito del problema della 
classificazione dei redc:Mti di cui aU'arrt. "49, terzo comma, lett. b), del d.P.R. 
n. 597 del 1973. Questi dovrebbero essere suddivisi in tre specie: a) quelli 
perisonalmente conseguiti daLl'autore o inventore persona fisica non imprenc:
Mtore, per a. quali ragionevoli sono l'assimilazione ai redditi di lavoro 
autonomo, a.I regime della detra21ione forfettaria delle spese e l'esclusione 
dalla ILOR (e cio� -in sintesi -l'attuale normativa); b) quelli conseguiti 
da persone giuridiche o nell'esercizio di impresa avente in Italia almeno 
una stabile organizz2lazione per i quali � coerente al sistema l'incLusione 
nei redditi d'impresa (pur con le ambiguit� dd. tale no2lione e con le �indulgenze
� di cui essa � veicolo); c) i rimanenti, per i quali sembrano 
I 

possibili e razionali due classificazioni, e cio� o come redditi di capitale, 
in coerenza con l'impostazione de1le convenzioni internazionali per evitare 
la doppia imposizione, o come .redditii �diversi�, secondo :l'indicazione 

I

{:

proveniente dalla Corte di cassazione nella ricordata sentenza del 1981. 

~= 

Restringendo il discorso ai redditi di cui al punto c), la loro classi
�: 
�: 
ficazione tra i �diversi� suscita qualche riserva dovuta proprio alla mera 
residualit� della relativa nozione; residualit� che rende ardua la cicerca 
di un qualsiasi collegamento con categorje economa.che. 

In particolare, l'art. 77 del d.P.R. n. 597 del 1973 -valorizzato nella 
ricordata sentenza -�, all'interno della categoria residuale dei � c:MversJ. �, 
un vero e proprio � residuato �. Esso prevede nei suoi due commi due 
ipotesi tra loro diverse (e mal unificate nel corpo �c:M un uruco articolo); 
due ipotesi che tuttav:fa possono essere ciguiardate come � quanto residua 
dei �redditi oggettivamente misti. di oapirtale e lavoro dopo la sottrazione 
dci redditi soggettivamente clasS1ificati dii iimp... e ;a�. N� pare ostativo che, 
malgrado l'impropniet� della 'rubrica, solo il primo comma �si riferisce ad 
�titivit� � occasionalii �. 

La via percorsa nel 1981 dalla Corte di cassazione appare comunque 
non irrazionale: essa in sostanza si traduce in una qualificazione come 
oggettivamente commerciali dei redditi �costituiti dai corrispettivi per la 

iI

cessione in uso di veicoli, macchine ed altr.i bend mobili� (cio�, non im


mobili). 

Sul piano degli effetti, la dassificazione fra i �diversi� dei redditii dn 
questione � -ma solo in parte (non per d compensi relativi a beni immateI�Ja1i 
local�zzati. all'estero) -equivalente ad urna loro classific~ione fra r::

I 

i redditii di capitale. Quest'ultima appare, per certi viersi pi� razionale (co-I

ii 

ii 

r

I,. 

� .cm ccc. -'��� ���e����.......... �� � ��� � � ���-.-.�.�.-.w.�.�.�.w.�.�.�m.�a.-.�.-.-.-.�.-.�.-.�.-.-c.-c.-.�.�ccc.�.-.� ~! 


PARTE II, QUESTIONI 1J 

me confermato dia:l mritto .internazionale tributario), e potrebbe essere 
consentita anche mediante una interpretarione estensiva dell'art. 41 lett. t) 
del d.P.R. n. 597 del 1973. 

A questo proposito appare utile rammentare brevemente come e perch� 
si � formata la nozione di �reddito di capitale�. Di questo reddito si 
parla nelle leggi del secolo scorso suH'imrpos1Ja di ricchezza mobile nel 
quaidTo di ll!Il sistema che differenziava iJ trattamento applicato ai vari 
tipi di reddito mobil�are (i redditi !immobiliari erano sottoposti alle separate 
imposte fondiarie). All'epoca SI� riteneva che la relativa brevit� della 
vita umana e quindi anche del pe:riiodo di utilizzabilit� deglii investimenti 
fatti direttamente sul fattore della produzione � lavoro � rendesse doveroos 
applicare su tale fattore un carico fiscale ridotto. Tale indirizzo, risalente 
al BrogLio ed �al Cavour � recepito nella legge 1864 sulla imposizione 
mobilfare, si traduceva nel cosidetto � metodo della diversii�ioazione � ed 
era attuato mediante �.la traduzione di ciascun reddito effettivo itn reddito 
imponibile� secondo percentuali differenziate. Con il r.d. 16 ottobre 1924, 

n. 1613, in luogo deMe differenziazioni in termini di imponibile, erano introdotte 
differenzliazioni in termini di aliquote, pervenute -con modifiche 
che non � il caso 1di rammentaTe -attraveriso il. �t.u. ii. dd. del 1958, fino 
alla vigilia del�a riforma tributaria degli anni 1971-1973. 
Questa riforma ha, com'� noto, affidato alla sola ILOR lil compito di 
differen:zFare il trattamento dei redditi provenienti da fattori � patrimoniali 
� da quelli provenienti dall'opera lavorativa (prtlma subordinata, poi 
-con la sentenza citata -anche autonoma) dell'uomo. 

Attualmente, l'art. 41 del d.P.R. n. 597 del 1973, dopo una elencazione 
dettagliata (ma -tutto considerato -solo esemplificativa) dei redditi di 
capitale, contiene una � nonna di chiusura � che qualifica tale � ogni altra 
rendita o provento in misura definitiva derivante dall'impiego di capitale '" 
Con il che �si finisce per l'inviare ad un concetto economico, non limitato 
da oggettivazioni o altrtlmenti (non si parla di � capitale finanziario � o � capitale 
espresso in moneta�). 

� per� indubbio che la nozione economica di capitale -sia esso 
inteso come fatitore della produzione distinto e contrapposto aJ. �Lavoro 
ed all'iniziativa imprenditoriale -non � integralmente recepita dalla legge 
tributaria. Ad esempio, ne l'irnane escluso il capitale immobiliare, tradizionalmente 
sottoposto a separata imposizione (la riforma del 1971 ha aJquanto 
sommariamente dnseriito l'iimposi:zfone fondiaria nelle strutture di 
imposte -l'IRPEF e la IRPE;G -che sono :riimaste essenzialmente � mobiliari
�). Ne rimane escluso pure il capitale investito nella �impresa�, che 
� r.imasto nella sostanza entro l'anteriore schema dell'imposizione sui redditii 
� misti � di capitale e Lavoro; e ci� vale -si noti -anche per il 
capitale �finanziario� (cfr. art. 44 del d.P.R. n. 597 del 1973). 


16 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
La nozione di capiitale utilizmta dall'art. 41 citato continua pertanto 
ad av�re contenuti �residuali�: non � pi� ola nozione ristretto di �capitali 
dati a mutuo o altrimenti redimibili� (iartt. 21 e 54 del t. u. del 1877); 
ma neppure � .ia nozione omnicomprensiva che potrebbe trarsi da una 
lettura non storicizzata dell'art. 41 del d.P.R. n. 597 del 1973. 
� evklenite, a questo punto, che fa determiazione dei contenuti concreti 
della noZJione rimane dn qualche misura rimess1a aM'interprete; cos�, 
ad esempio, per la questione di che trattasi, � � ape11ta � la risposta da dare 
al quesito se siano reddliti di capitalle quelli conseguiti da somme di danaro 
i:impiegat� nell'acqu~sto a titolo oneroso di beni immateriali, o -pi� 
correttamente -i �frutti� conseguiti da beni immateriali. 
Comunque nello stabilire la classificazione di un reddito tra que'lli di 
capitale, l'interprete dovrebbe considerare, tra il'ailtro, che per l'art. 42 del 
d.P.R. n. 597 aitato va seguito il criiteri.o di oa1Ssa e non il criterio di com:
petenza: per il che il contribuente ha facolt� di scegliere il periodo d'imposta 
cui imputare il r�ddito, operando sul momento di percezione (5). 
� appena il caso di aggiUl!lgere che tutto ii1 discorso iin tema dJi classiificazione 
dei redditii potrebbe avere svHuppi diversi ove si abbandonasse 
dil quadro di 11iferiimento offerto dalla legislazione vigente, quadro 
che si presenta disomogeneo: a categorie -qU1ali quelle di lavoro dipendente 
e autonomo, �di capitale e del capitale fondiario -individuate da 
fattori della produzione, si affianca una categoria -quella del reddito 
di impresa -qualificata nella apparenza dal modo di organizzare e di 
esercitare attivit� economiche e nella sostanza dal rilievo riconosciuto 
a scritture contabili (peraltro, oltre il 90 % dei percettori di reddito di 
impresa non � tenuto a presentare il mitizzato -nell'art. 52 del d.P.R. 
n. 597 -co~to profitti e perdite, e la maggioranza del residuo scarso 
10 % presenta una facciatina di cifre poco espressive), ed una quinta 
categoria come si � detto � residuale �. 
5. -H dii.scorso fatto in termini di classificazione dei redditi (e quindi 
solo per 1l'.imposizione sui reddiiti) lascia irrisolto il problema della individuazione 
di misure idonee a:d assicurare l'emersione -a fini fiscali -
dei compensi in questione. 
(5)' :S stato osservato (LIZZUL, Appunti per uno studio in materia di tassazione 
dei canoni per royalties e know how, in Tributi, 1983, n. 7-8) che 
� i compensi vanno assunti secondo il principio della cassa e non defila compe� 
tenza e che come data di incasso dovrebbe essere considerata quella della 
effettiva messa a disposizione del percettore. Tale f.atto rende ancor pi� problematica 
la determinazione del reddito imponibile; infatti, abbiamo da una 
parte ricavi che seguono la cassa e dall'altro costi che dovrebbero seguire 
le competenze. Come si vede un pasticcio folle e sul quale non vogliamo 
neanche maggiormente dilungarci mancando alla base ogni ragionevolezza � ! f.~~ 
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, PARTE II,. QUESTIONI 

A tal fine certamente utile � il meccanismo della � ritenuta a titolo di 
acconto�, meccanismo che gi� opera in larga misura e che si estenderebbe 
(art. 26, ult. comma, d.P.R. n. 600) ai redditi de quibus se e per 
quanto classificati tra quelli di capitale; ovviamente, ove e per quanto 
si optasse per una loro classificazione tra i redditi � diversi � occorrerebbe 
una disposizione ad hoc. 

A questo proposito, si aggiunge che non vi sono ragioni ostative alla 
estensione, se e per quanto opportuno, a taluni componenti positivi del 
reddito d'impresa il meccanismo della ritenuta d'acconto (del resto, esso 
gi� opera per le � provvigioni � di rappresentanti ad agenti di commercio 
e categorie similari). Le royalties appai�no particolarmente idonee ad 
una generalizzata sottoposizione a ritenuta d'acconto: esse per solito 
rimangono nettamente distinte dalla corrente gestione aziendale, hanno 
limitati collegamenti con i componenti negativi del reddito d'impresa, 
ed hanno consistenza tale ,da giustificare l'imposizione di obblghi strumentali 
(e di versamento) specifici ed aggiuntivi. 

Sempre pi� palese appare l'esigenza di porre al centro dell'ordinamento 
tributario la tematica dell'accertamento, anzich� quella della individuazione 
della materia imponibile: neJilo strutturare i tnibuti -tutti i 
tvibuti -pveoccupazione primaria dovrebbe essere non solo il �gettito 
di danaro � da dascuno di essi ottenibile ma anche, per cos� dire, il 
�gettito di informazioni� utilizzabili. 

FRANCO FAVARA 


LEGISLAZIONE 


I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI 

Legge 8 agosto 1895, n. 486, art. 39, allegato T, nella parte concernente la 
giurisdizione della Corte dei conti in ordine alla liquidazione delle pensioni 
spettanti ai dipendenti del Banco di Napoli. 

Sentenza 19 gennaio 1984, n. 1, G. U. 25 gennaio 1984, n. 25. 

II -QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE 

Codice civile,. combinato disposto artt. 2751-bis n. 2, 2758 e 2778, n. 7 (art. 53 
della Costituzione). 

Sentenza 15 febbraio 1984, n. 25, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. 

r,dJ. 4 ottobre 1935, n. 1827, art. 73, primo comma (art. 38 della Costituzione). 
Sentenza 15 febbraio 1984, n. 28, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. 


legge 18 marzo 1958, n. 311, art. 22, primo e terzo comma e 13, terzo e 
quarto comma (art. 3 della Costituzione). 

Sentenza 22 febbraio 1984, n. 38, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. 

legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 13 (artt. 3, 35, 36 e 38 della Costituzione). 
Sentenza 15 febbraio 1984, n. 27, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. 


legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 13, quinto comma (artt. 3, 24, 36, secondo 

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comma, e 38 della Costituzione). 

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Sentenza 15 febbraio 1984, n. 26, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. �

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legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 48, terzo comma (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 15 febbraio 1984, n. 29, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 27, primo e secondo comma, 29, 67 e 73 
(artt. 3, 35 e 41 della Costituzione). 


Sentenza 22 febbraio 1984, n. 40, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. 

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III -QUESTIONI PROPOSTE 

Codice di procedura civile artt. 415 e 416 (art. 24 della Costituzione). 

Tribunale di Torino, ordinanza 25 febbraio 1983, n. 555, G. U. 4 gen� 
naio 1984, n. 4. 



PARTE II, LEGISLAZIONE 

codice di procedura civile, art. 416, primo comma (art. 24 della Costituzione). 

Pretore di Siracusa, ordinanza 17 giugno 1983, n. 676, G. U. 18 gennaio 1984, 

n. 18. 
codice. di procedura civile, art. 429, terzo comma (artt. 1, 3, 4, 34, 36 e 97 
della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 7 novembre 1980, 

n. 659/83, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. 
codice di procedura civile, artt. 431, terzo e quarto comma, e 423, quarto 
comma [come modificato dall'art. 1 legge 11 agosto 1973, n. 533] (artt. 3 e 24 
della Costituzione). 

Tribunale di Bari, ordinanza 9 giugno 1983, n. 780, G. U. 29 febbraio 1984, 

n. 60. 
codice di procedura civile, art. 657 (artt. 2, 3, 41, 42 e 47 della Costituzione). 


Pretore di Gallarate, ordinanza 23 febbraio 1983, n. 759, G. U. 15 febbraio 
1984, n. 46. 

codice di procedura civile, art. 657 (artt. 41 e 42 della Costituzione). 

Pretore di Gallarate, ordinanze (sei) 15 gennaio 1983, nn. 753-758, G. U. 10 febbraio 
1984, n. 32. 

codice di procedura civile, art. 709 (art. 24 della Costituzione). 

Tribunale di Lecce, ordinanza 30 luglio 1983, n. 765, G. U. 8 febbraio 1984, 

n. 39. 
codice penale, art. 2, ultimo comma (art. 77 della Costituzione). 

Pretore di Cervignano del Friuli, ordinanza 11 maggio 1983, n. 854, G. U. 
4 gennaio 1984, n. 4. 

codice penale, art. 102 (art. 27 della Costituzione). 

Magistrato di sorveglianza presso il tribunale di Roma, ordinanza 24 gennaio 
1983, n. 702, G. U. 1� febbraio 1984, n. 32. 
Magistrato di sorveglianza presso il tribunale di Roma, ordinanza 24 gennaio 
1983, n. 720, G.U. 8 febbraio 1984, n. 39. 

codice penale, art. 341 (artt. 3 e 27 della Costituzione). 

Tribunale di Udine, ordinanza 3 maggio 1983, n. 594, G. U. 4 gennaio 1984, 

n. 4. 
codice penale, art. 341 (artt. 3 e 27 della Costituzione). 

Pretore di Verona, ordinanza 31 maggio 1983, n. 735, G. U. 15 febbraio 1984, 

n. 46. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA ,DELLO STATO 

codice penale, art. 556, ultimo comma .(art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Cagliari, ordinanza 7 gennaio 1983, n. 570, G. U. 4 gennaio 
1984, n. 4. 

codice penale, art. 570, terzo comma [aggiunto dall'art. 90 della legge 
24 novembre 1981, n. 689) (art. 29 della Costituzione). 

Pretore di Orvieto, ordinanza 31 maggio 1983, n. 760, G. U. 15 febbraio 1984, 

n. 46. 
codice penale, art. 684 (art. 21 della Costituzione). 

Tribunale di Genova, ordinanza 9 giugno 1983, n. 768, G. U. 8 febbraio 1984, 

n. 39. 
codice penale, art. 699 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Ales, ordinanze (due) 29 giugno 1983, nn. 905 e 906, G. U. 8 febbraio 
1984, n. 39. 

codice penale, art. 724 (artt. 3, 8, 19 e 21 della Costituzione). 

Pretore di Montorio al Vomano, ordinanza 22 luglio 1983, n. 868, G. U. 
29 febbraio 1984, n. 60. 

codice di procedura penale, art. 26 (artt. 3, 25 e 103 della Costituzione). 

Corte dei conti, ordinanza 2 aprile 1982, n. 874/83, G. U. 22 febbraio 1984, 

n. 53. 
codice di procedura penale, art. 164, primo comma, n. 1 (art. 21 della 
Costituzione). 

Tribunale di Genova, ordinanza 9 giugno 1983, n. 768, G. U. 8 febbraio 
1984, n. '39. 

codice di procedura penale, artt. 263-bis e 263-ter (artt. 3 e 24 della Costituzione). 


Tribunale militare di Bari, ordinanza 23 febbraio 1983, n. 689, G. U. 8 febbraio 
1984, n. 39. 

codice di procedura penale, art. 647, secondo comma (artt. 3 e 24 della 
Costituzione). 

Corte di Cassazione, ordinanza 13 maggio 1983, n. 704, G. U. 1� febbraio 
1984, n. 32. 

codice penale militare di pace, art. 58 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale militare di Padova, ordinanza 9 giugno 1983, n. 733, G. U. 8 febbraio 
1984, n. 39. 

codice penale militare di pace, art. 191 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale militare di Verona, ordinanza 27 maggio 1983, n. 660, G. U. 18 gennaio 
1984, n. 18. 


PARTE II, LEGISLAZI!)NE 

r.d. 8 gennaio 1931, n. 148, art. 18 reg. ali. A (artt. 3 e 35 della Costituzione). 
Pretore di Pisa, ordinanza 3� luglio 1983, n. 796, G. U. 29 febbraio 1984, 

n. 60. 
r.d. 27 luglio 1934, n. 1340, art. 12, lett. a) [convertito nella legge 16 maggio 
1935, n. 834] (art. 3 della Costituzione). 
Corte dei conti, ordinanza 21 ottobre 1982, n. 682/83, G. U. 8 febbraio 1984, 

n. 39. 
legge 23 novembre 1939, n. 1815 (artt. 3, 4 e 41 della Costituzione). 

Tribunale di L'Aquila, ordinanze (tre) 9 giugno 1983, nn. 743-745, G. U. 
8 febbraio 1984, n. 39. 
Tribunale di L'Aquila, _ordinanza 9 giugno 1983, n. 746, G. U. 15 febbraio 
1984, n. 46. 

d.IJgt. 23 novembre 1944, n. 382, art. 14, secondo comma (art. 108 della Costituzione). 


Corte costituzionale, ordinanza 30 settembre 1983, n. 907, G. U. 29 febbraio 
1984, n. 60. 

legge 2 marzo 1949, n. 144, art. 15 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Sondrio, ordinanza 28 aprile 1983, n. 620, G.U. 11 gennaio 
1984, n. 11. 
Tribunale di Sondrio, ordinanza 19 maggio 1983, n. 769, G.U. 15 febbraio 
1984, n. 46. 

legge 23 maggio 1950, n. 253, art. 35 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Orvieto, ordinanza 24 maggio 1983, n. 729, G. U. 8 febbraio 1984, 

n. 39. 
legge 19 marzo 1955, n. �160, artt. 9, 10 e 15 (artt. 3, 32 e 38 della Costituzione). 


Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 28 aprile 1983, 

n. 709, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. 
legge 19 marzo 1955, n. 160, art. 24 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 11 gennaio 1982, 

n. 657/83, G. U. 25 gennaio 1984, n. 25. 
legge 12 novembre 1955, n. 1137, art. 61, secondo comma [come modificato 
dall'art. 9 legge 16 novembre 1962, n. 1622, dall'art. 6 legge 18 novembre 1964, 

n. 1249, e dall'art. 2 legge 2 dicembre 1975, n. 626] (artt. 3 e 97 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 10 febbraio 1982, 

n. 708/83, G. U. 25 gennaio 1984, n. 25. 

22 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.P.R. 11 gennaio 1956, n. 19, art. 1, secondo comma (artt. 3 e 36 della 
Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 19 maggio 1980, 

n. 658/83, G. V. 8 febbraio 1984, n. 39. 
legge 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 4, secondo comma (artt. 3 e 24 della 
Costituzione). 

Tribunale di Roma, ordinanza 31 marzo 1983, n. 601, G. V. 11 gennaio 1984, 

n. 11. 
legge 26 ottobre 1957, n. 1047, art. 18 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Firenze, ordinanza 25 marzo 1983, n. 795, G. V. 29 febbraio 1984, 

n. 60. 
d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 87 e 89 (artt. 3, 38, 53 e 76 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Palermo, ordinanza 24 gennaio 
1983, n. 848, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. 

t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 89, ultimo comma, e 140, ultimo comma 
(artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Como, ordinanza 16 aprile 1983, 

n. 740, G. V. 15 febbraio 1984, n. 46. 
t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 127, terzo comma, lett. d) (art. 53 della 
Costituzione). 
Corte di cassazione, ordinanza 6 aprile 1983, n. 690, G. V. 25 gennaio 1984, 

n. 25. 
d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, art. 53, secondo comma (art. 3 dela Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per la Campania, ordinanza 14 aprile 
1983, n. 879, G.. V. 29 febbraio 1984, n. 60. 

legge 30 gennaio 1962, n. 283, art. 17 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Salerno, ordinanza 22 giugno 1983, n. 701, G. V. l� febbraio 
1984, n. 32. 

legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Messina, ordinanza 29 aprile 1983, n. 781, G. V. 15 febbraio 1984, 

n. 46. 
legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2 cpv., lett. a) (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Siena, ordinanza 28 marzo 1983, n. 718, G. V. 8 febbraio 1984, 

n. 39. 

PARTE II, LEGISLAZIONE 

legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, secondo comma, lett. a) (art. 3 della 
Costituzione). 

Pretore di Siena, ordinanza 26 maggio 1983, n. 627, G. U. 11 gennaio 1984, 

n. 
11. 
Pretore di Sassari, ordinanza 9 giugno 1983, n. 698, G. U. 8 febbraio 1984, 
n. 39. 
legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, secondo comma, lett. a) (artt. 3 e 38 
della Costituzione). 

Pretore di Palermo, ordinanza 17 maggio 1983, n. 639, G. U. 18 gennaio 1984, 
Il. 18. 

legge 22 novembre 1962, n. 1646, art. 24 (art. 3 della Costituzione). 

Corte dei conti, ordinanza 16 luglio 1982, n. 737/83, G. U. 8 febbraio 1984, 
Il. 39. 

legge 9 gennaio 1963, n. 9, art. 1, secondo comma (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Palermo, ordinanza 10 maggio 1983, n. 640, G. U. 18 gennaio 1984, 

n. 18. 
legge reg. Trentino-Alto Adige 7 settembre 1964, n. 30, artt. 2 e 3 (art. 18 
della Costituzione e 4, 8, 16, 18 e 105 dello statuto della regione Trentino-Alto 
Adige). 

Pretore di Mezzolombardo, ordinanze (sei) 11 luglio 1983, nn. 711-716, 

G. U. 25 gennaio 1984, n. 25. 
d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 11 [come modificato dalla legge 24 novembre 
1981, n. 689] (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Siena, ordinanza 19 maggio 1983, n. 565, G. U. 4 gennaio 1984, 
Il. 4. 

legge 15 luglio 1966, n. 604, art. 11, primo comma, seconda ipotesi (artt. 3 e 
37 della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 3 febbraio 1983, n. 644, G. U. 18 gennaio 1984, 

n. 18. 
legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 3, lett. a) (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Mantova, ordinanza 7 giugno 1983, n. 700, G. U. 1� febbraio 1984, 

n. 32. 
legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 3, secondo comma, lettera b) (art. 3 della 
Costituzione). 

Pretore di Verona, ordinanza 21 giugno 1983, n. 776, G. U. 29 febbraio 1984, 
Il. 60. 


24 
RASSEGNA DBLL1AWOCA'IURA DELLO STATO 

legge reg. Friuli-Venezia Giulia 27 marzo 1968, n. 20, art. 49 (artt. 3, 5, 25 
e 117 della Costituzione). 

Tribunale di Udine, ordinanza 9 giugno 1983, n. 673, G. V. 18 gennaio 1984, 

n. 18. 
legge 2 aprile 1968, n. 482, art. 11 (artt. 38 e 41 della Costituzione). 

Pretore di Grumello del Monte, ordinanza 18 aprile 1983, n. 772, G. V. 
15 febbraio 1984, n. 46. 

legge 2 aprile 1968, n. 482, art. 16, quarto comma (artt. 3, 38 e 41 della 
Costituzione). 

Pretore di Ivrea, ordinanza 16 maggio 1983, n. 612, G. V. 11 gennaio 1984, 

n. 11. 
legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 23 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Siena, ordinanza 26 maggio 1983, n. 

n. 
11. 
Pretore di Messina, ordinanza 29 aprile 1983, n. 
n. 46. 
legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 23 (artt. 3 e 38 

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Pretore di Palermo, ordinanza 17 maggio 1983, n. 639, G. V. 18 gennaio 1984, i~ 

n. 18. 
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legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 23 cpv. (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Siena, ordinanza 28 marzo 1983, n. 718, G. V. 8 febbraio 1984, 

n. 39. 
Il. . 

legge reg. Sicilia 30 luglio 1969, n. 29, art. 5 (art. 36 statuto speciale regione 

Sicilia). 
Corte di cassazione, ordinanza 12 marzo 1982, n. 580/83, G. V. 
naio 1984, n. 4. 

legge 24 dicembre 1969, n. 990, artt. 6 e 18 (art. 11 della Costituzione). 

Pretore di Modena, ordinanza 29 marzo 1983, n. 830, G. V. 29 febbraio 1984, 

n. 60. 
legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 7, secondo e terzo comma (art. 3 della 
Costituzione). 

Pretore di Catania, ordinanza 17 maggio 1983, n. 827, G. V. 29 febbraio 1984, 

n. 60. 
legge 24 maggio 1970, n. 336, artt. 1, 2 e 3, primo, secondo 
e 4 (art. 81 della Costituzione). 

Pretore di Fiesole, ordinanza 11 febbraio 1983, n. 691, G. V. 

n. 25. 
627, G. V. 11 gennaio 1984, 
781, G. V. 15 febbraio 1984, 

della Costituzione). 

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PARTE II, LEGISLAZIQNE 
2J 

legge 9 ottobre 1971, n. 824, art. 6 (art. 81 della Costituzione). 

Pretore di Ancona, ordinanza 28 gennaio 1983, n. 635, G. U. 11 gennaio 1984, 

n. 
11. 
Pretore di Firenze, ordinanza 11 febbraio 1983, n. 691, G. U. 25 gennaio 1984, 
n. 
25. 
TribwJale di Napoli, ordinanza 27 aprile 1983, n. 721, G. U. 25 gennaio 1984, 
n. 
25. 
Pretore di Ancona, ordinanza 3 maggio 1983, n. 778, G. U. 25 gennaio 1984, 
n. 
25. 
Pretore di Ancona, ordinanza 11 maggio 1983, n. 779, G. U. 25 gennaio 1984, 
n. 25. 
Pretore di Venezia, ordinanze (due) 23 marzo 1983, nn. 859 e 860, G. U. 
25 gennaio 1984, n. 25. 

legge 29 ottobre 1971, n. 889, artt. 5 e 17 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Benevento, ordinanze (tre) 28 settembre 1983, nn. 961-963, G. U. 
15 febbraio 1984, n. 46. 

legge 29 ottobre 1971, n. 889, artt. 5 e 17 (artt. 3, 36, 38, 42 e 53 della 
Costituzione). 

Pretore di Bari, ordinanza 21 maggio 1983, n. 784, G. U. 29 febbraio 1984, 

n. 60. 
d.I. 25 maggio 1972, n. 202 (art. 76 della Costituzione). 
Commissione comunale per i tributi locali di Roma, ordinanza 9 novero� 
bre 1981, n. 685/83, G. U. 25 gennaio 1984, n. 25. 

d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, art. 68, quarto comma (artt. 3 e 77 della 
Costituzione). 
Corte dei conti, ordinanza 3 novembre -1982, n. 647/83, G. U. 18 gennaio 1984, 

n. 18. 
legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, artt. 12, primo e terzo comma 
e 24, primo comma, primo e secondo periodo (artt. 3 e 42 della Costituzione). 

Corte d'appello di Trento, ordinanza 26 aprile 1983, n. 600, G. U. 4 gen� 
naio 1984, n. 4. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (art. 76 della Costituzione). 
Commissione comunale per i tributi locali di Roma, ordinanza 9 novembre 
1981, n. 685/83, G. U. 25 gennaio 1984, n. 25. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 16 (art. 24 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Udine, ordinanza 11 maggio 
1983, n. 741, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 16 e 19 (artt. 24 e 27 dt;!lla Costituzione). 
Tribunale di Trani, ordinanza 16 giugno 1983, n. 789, G. U. 29 febbraio 1984, 

n. 60. 

26 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 17, secondo comma (artt. 24, 53 e 97 della 
Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Ascoli Piceno, ordinanza 
26 aprile 1983, n. 814, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 35, quinto comma [come modificato 
dall'art. 23 d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739) (art. 24 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Milano, ordinanza 7 maggio 
1982, n. 686/83, G. U. 1� febbraio 1984, n. 32. 

d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art..332 (artt. 3 e 27 della Costituzione). 
Tribunale di Napoli, ordinanza 9 giugno 1983, n. 677, G. U. 18 gennaio 1984. 

n. 18. 
d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 334, primo comma, n. 3 
[modificato dall'art. 45 legge 14 aprile 1975, n. 103] (artt. 3 e 27 della Costituzione). 
I

Pretore di Borgomanero, ordinanza 23 marzo 1983, n. 564, G. U. 4 gen


naio 1984, n. 4. 

I

I 

f,

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 322 (artt. 3 e 21 della Costituzione). ' 
i= 

l f.

Pretore di Roma, ordinanza 16 maggio 1983, n. 869, G. U. 29 febbraio 1984, 

n. 60. 
d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 334, 335, 336, 183, primo comma e 195, 
primo comma, n. 2 [come modificati dall'art. 45 legge 14 aprile 1975, n. 103) 
(artt. 3 e 21 della Costituzione). 
I 
~ 

Pretore di Trieste, ordinanza 30 marzo 1983, n. 634, G. U. 11 gennaio 1984, 

n. 11. 
legge reg. Basillcata 4 maggio 1973, n. 10, art. 2, secondo e quarto comma 
(artt. 117 e 130 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per la Basilicata, ordinanza 22 feb


l

braio 1983, n. 603, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. 

~ 

dl. 24 luglio 1973, n. 426, art. 1, quarto comma [convertito in legge 4 agosto 
1973, n. 495) (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Padova, ordinanza 3 febbraio 1983, n. 656, G. U. 18 gennaio 
1984, n. 18. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 10, lettera g) [come modificato dall'art. 
5, primo comma, legge 13 aprile 1m, n. 114) (artt. 3, 29, 30 e 53 della 
Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Milano, ordinanza 20 gennaio 
1983, n. 844, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. 



PARm II, LEGISLAZIONE 27 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 12, Iett. e), 14 e 46, secondo comma 
(artt. 3, 38 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Roma, ordinanza 20 aprile 1983, 

n. 674, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 12, lettera e) e 46 (artt. 3, 38, 53 e 76 
della Costituzione). � 
Commissione tributaria di secondo grado di Ascoli Piceno, ordinanza 
31 maggio 1983, n. 813, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 46, secondo comma (artt. 3 e 53 della 
Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Como, ordinanza 16 aprile 1983, 

n. 740, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 46, 56, primo comma, e 57, secondo 
comma (artt. 24 e 27 della Costituzione). 
Tribunale di Trani, ordinanza 16 giugno 1983, n. 789, G. U. 29 febbraio 
1984, n. 60. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 43 (art. 23 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Taranto, ordinanza 26 marzo 
1983, n. 642, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. 

d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, artt. 85, secondo comma, 86, primo comma, 
e 87, secondo comma (artt. 3 e 38 della Costituzione). 
Corte dei conti, ordinanza 31 gennaio 1983, n. 648, G. U. 18 gennaio 1984, 

n. 18. 
legge 6 giugno 1974, n. 298, art. 46 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Mondov�, ordinanza 10 maggio 1983, n. 722, G. U. 8 febbraio 
1984, n. 39. 

dJ. 8 luglio 1974, n. 264, art. 7, sesto comma [come convertito nella legge 
17 agosto 1974, n. 386] (art. 39 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria, ordinanze (due) 6 luglio 
1979, nn. 621 e 622/83, G. U. 11 gennaio 1984, n. 11. 

legge 14 ottobre 1974, n. 497, art. 12 (art. 3 della Costituzione). 

Tribwiale di Velletri, ordinanza 12 agosto 1983, n. 876, G. U. 29 febbraio 
1984, n. 60. 

d.P.R. 31 marzo 1975, n. 136, art. 8, n. 5 (art. 3 della Costituzione). 
Consiglio di Stato, sezione sesta giurisdizionale, ordinanza 25 marzo 1983, 

n. 861, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. 
17 


28 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 14 aprile 1975, n. 103, artt. 40, primo e secondo comma, e 44, secondo 
comma (artt. 3, 21 e 41 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale delle Marche, ordinanza 23 febbraio 
1983, n. 645, G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. 

legge 14 aprile 1975, n. 103, art. 45 (artt. 3 e 21 della Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 16 maggio 1983, n. 869, G. U. 29 febbraio 
1984, n. 60. 


legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 5, quarto e sesto comma (art. 3 della 
Costituzione). 


Tribunale di Sondrio, ordinanze (due) 3 maggio 1983, nn. 785 e 786, 

G. U. 1� febbraio 1984, n. 32. 
Pretore di Lucca, ordinanza 22 marzo 1982, n. 747/83, G. U. 15 febbraio 
1984, n. 46. 


legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 23, terzo comma (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Bassano del Grappa, ordinanza 21 aprile 1983, n. 636, G. U. 
18 gennaio 1984, n. 18. 


legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 22, primo comma, e 23, primo comma 
(artt. 3, 27 e 36 della Costituzione). 


Magistrato di Sorveglianza presso il tribunale di Padova, ordinanza 9 
maggio 1983, n. 672, G. U. 25 gennaio 1984, n. 25. 


legge 26 luglio 1975, n. 354, artt. 47 cpv. e 48, ultimo comma (artt. 3, 25 
e 27 della Costituzione). 


Corte d'appello di Messina, ordinanza 17 novembre 1976, n. 625/83, G. U. 
11 gennaio 1984, n. 11. 


legge 26 luglio 1975, n. 354, artt. 47 cpv., 48, ultimo comma e 54 ultimo 
comma (artt. 3, 25 e 27 della Costituzione). 


Corte d'appello di Messina, ordinanza 17 novembre 1976, n. 626/83, G. U. 
11 gennaio 1984, n. 11. 


legge 26 luglio 1975, n. 354, artt. 47 cpv. e 54, ultimo comma (artt. 3, 25 
e 27 della Costituzione). 


Corte d'appello di Messina, ordinanze (due) 17 novembre 1976, nn. 623 
e 624/83, G. U. 11 gennaio 1984, n. 11. 


legge 22 novembre 1975, n. 685, artt. 26 e 28 (art. 3 della Costituzione). 

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Tribunale di Pisa, ordinanza 2 febbraio 1983, n. 687, G. U. 1� febbraio 
1984, 11. 32. ~ 

legge 22 novembre 1975, n. 685, artt. 26, 28, 71, .72 e 80 (art. 3 della Costituzione). 


Tribunale di Padova, ordinanza 12 aprile 1983, n. 790, G. U. 29 febbraio 

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1984, n. 60. 

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PARTE II, LEGISLAZIONE 

legge 23 dicembre 1975, n. 698, art. 9, ultimo comma, seconda parte [nel 
testo modificato dalla legge 1� agosto 1977, n. 563] (artt. 3, 36, 38 e 42 della 
Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 14 giugno 1982, 

n. 596/83, G. U. 11 gennaio 1984, n. 11. 
d.l. 4 marzo 1976, n. 31, art. l, sesto comma [convertito in legge 30 aprile 
1976, n. 159] (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Roma, ordinanze (due) 6 luglio 1983, nn. 763 e 764, G. U. 15 
febbraio 1984, n. 46. 

legge 29 aprile 1976, n. 177, art. 27, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). 

Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale, ordinanza 28 settembre 1982, 

n. 736/83, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. 
legge 10 maggio 1976, n. 319, artt. 9 e 15, sesto e settimo comma, e nota 
in calce alla tabella C (art. 24, della Costituzione). 

Pretore di Asola, ordinanza 28 ottobre 1982, n. 742/83, G. U. 15 febbraio 
1984, n. 46. 

legge 28 gennaio 1977, n. 10, art. 17, lett. b) (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Poggibonsi, ordinanza 16 maggio 1983, n. 561, G. U. 4 gennaio 
1984, n. 4. 

legge 13 aprile 1977, n. 114, art. 5 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Commissione tributaria di secondo grado di Enna, ordinanza 16 dicembre 
1981, n. 752/83, G. U. 11 gennaio 1984, n. 11. 

d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, artt. 51 e 53 (artt. 97 e 117 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 5 luglio 1982, 

n. 826/83, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. 
legge reg. Piemonte 5 dicembre 1977, n. 56, art. 18, primo comma e 55, 
diociottesimo comma (artt. 41, 42, 117 e 123 della Costituzione e 4 e 5 dello 
statuto reg. Piemonte). 

Pretore di Dogliani, ordinanza 9 giugno 1983, n. 782, G. U. 8 febbraio 
1984, n. 39. 

legge 3 gennaio 1978, n. 1, art. 1, primo comma (art. 97 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 27 
aprile 1983, n. 646, G. V. 25 gennaio 1984, n. 25. 

legge 1 febbraio 1978, n. 30, art. 9 (artt. 3 e 35 della Costituzione). 

Pretore di Pisa, ordinanza 30 luglio 1983, n. 796, G. V. 29 febbraio 1984, 

n. 60. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 1 e 3 (artt. 2, 3, 41, 42 e 47 della Costituzione). 


Pretore di Gallarate, ordinanza 23 febbraio 1983, n. 759, G. U. 15 febbraio 
1984, n. 46. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 1 e 58 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Gallarate, ordinanze (sei) � 15 gennaio 1983, nn. 753-758, G. U. 
1� febbraio 1984, n. 32. 

l�gge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 1, 3, 58 e 65 (artt. 2, 3, 10, 30, 31, 32, 41, 
42 e 47 della Costituzione). 

Pretore di Torre Annunziata, ordinanza 26 aprile 1983, n. 692, G. U. 
25 gennaio 1984, n. 25. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 3 (artt. 2, 3, 30, 31, 41 e 42 della Costituzione). 


Pretore di Camerino, ordinanza 22 giugno 1983, n. 777, G. U. 29 febbraio 1984, 

n. 60. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (artt. 2, 3, 30, 31 e 41 della Costituzione). 


Pretore di Menaggio, ordinanza 18 maggio 1983, n. 697, G. U. 8 feb� 
braio 1984, n. 39. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (artt. 2, 3, 30, 31, 41 e 42 della Costituzione). 


Pretore di Menaggio, ordinanza 18 luglio 1983, n. 770, G. U. 15 febbraio 
1984, n. 46. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (artt. 2, 3, 41 e 42 della Costituzione). 

Pretore di Ruvo di Puglia, ordinanze (quindici) 15 luglio 1983, nn. 798-812, 

G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (artt. 2, 3, 41, 42 e 47 della Costituzione). 


Pretore di Gallarate, ordinanze (sei) 15 gennaio 1983, nn. 753-758. G. U. 
1� febbraio 1984, n. 32. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (artt. 3 e 42 della Costituzione). 

Pretore di Bari, ordinanza 21 giugno 1983, n. 693, G. U. 8 febbraio 1984, 

n. 
39. 
Pretore di Bari, ordinanza 5 luglio 1983, n. 734, G. U. 15 febbraio 1984, 
n. 46. 

PARTE II, LEGISLAZIONE 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (art. 42 della Costituzione). 

Pretore di Napoli, ordinanza 1" giugno 1983, n. 694, G. U. 8 febbraio 1984, 

n. 39. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 29, secondo comma, primo periodo (artt. 3 e 
41 della Costituzione). 

Pretore di Chiavari, ordinanza 30 giugno 1983, n. 903, G. U. 29 febbraio 1984, 

n. 60. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 58 e 65 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 8 giugno 1983, n. 825, G. U. 29 febbraio 1984, 

n. 60. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 60, primo comma (artt. 3 e 24 della Costi� 
tuzione). 

Pretore di Monza, ordinanza 29 aprile 1983, n. 793, G. U. 29 febbraio 1984, 

n. 60. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69, settimo comma (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Orvieto, ordinanza 24 maggio 1983, n. 727, G. U. 15 febbraio 1984, 

n. 46. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69, settimo comma (artt. 3 e 42 della Costituzione). 


Tribunale di Arezzo, ordinanza 17 giugno 1983, n. 775, G. U. 15 febbraio 1984, 

n. 
46. 
Tribunale di Sciacca, ordinanza 25 marzo 1983, n. 773, G. U. 29 febbraio 1984, 
n. 60. 
d.P.R. 4 agosto 1978, n. 413, art. 6, terzo comma (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Roma, ordinanza 4 marzo 1983, n. 696, G. U. 8 febbraio 1984, 

n. 39. 
legge 9 agosto 1978, n. 463, art. 8 (artt. 3 e 36 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 16 novembre 1981, 

n. 641/83, G. U. 25 gennaio 1984, n. 25. 
legge prov. di Trento 9 dicembre 1978, n. 56, artt. 1, 2 e 3 (art. 18 della 
Costituzione e 4, 8, 16, 18 e 105 dello statuto regionale Trentino-Alto Adige). 

Pretore di Mezzolombardo, ordinanze (sei) 11 luglio 1983, nn. 711-716, G. U. 
25 gennaio 1984, n. 25. 

legge 23 dicembre 1978, n. 833, art. 57 (artt. 3 della Costituzione). 

Pretore di Piacenza, ordinan1.a 20 maggio 1983, n. 751, G. U. 15 febbraio 1984, 

n. 46. 

32 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

legge 8 gennaio 1979, n. 3, art. 1 [di conversione dell'art. 5, quindicesimo 
comma, d.I. 10 novembre 1978, n. 702] (artt. 3, 4, 35 e 97 della Costituzione). 

Pretore di Ancona, ordinanza 17 giugno 1983, n. 719, G. U. 8 febbraio 1984, 

n. 39. 
legge 7 febbraio 1979, n. 29, art. 9 (artt. 3 e 36 della Costituzione). 

Pretore di Pistoia, ordinanza 22 aprile 1983, n. 655, G. U. 18 gennaio 1984, 

n. 18. 
legge 3 aprile 1979, n. 101, art. 41 (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). 

Tribunale ,amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 28 giugno 1982, 

n. 843/83, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. 
d.P.R. 27 settembre 1979, n. 506, art. 2 (artt. 76 e 77 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Monza, ordinanza 19 aprile 1983, 

n. 792, G. U. 29 febbraio 1984, n. 60. 
d.l. 30 dicembre 1979, n. 663, art. 3, lettera b) [convertito in legge 29 feb� 
braio 1980, n. 33] (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Pretore di Latina, ordinanza 6 dicembre 1982, n. 739/83, G. U. 15 feb� 
braio 1984, n. 46. 
Pretore di Latina, ordinanza 20 dicembre 1982, n. 738/83, G. U. 15 febbraio 
1984, n. 46. 

legge 21 febbraio 1980, n. 28, art. 4 lett. d) (artt. 3, 4 e 76 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 12 maggio 1983, 

n. 748, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. 
d.P.R. 26 marzo 1980, n. 327, art. 41 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Salerno, ordinanza 22 giugno 1983, n. 701, G. U. 1� febbraio 1984, 

n. 32. 
d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 13, primo comma, n. 7 (artt. 3, 4 e 76 della 
Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 12 maggio 1983, 

n. 748, G. U. 8 febbraio 1984, n. 39. 
d.l. 28 maggio 1981, n. 255, art. 8 [come modificato dalla legge 24 luglio 1981, 
n. 391] (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 28 marzo 1983, 

n. 845, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. 
d.P.R. 2 luglio 1981, n. 271, artt. 1, 3 e 8 (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 28 marzo 1983, 

n. 845, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. 

PARTE II, LEGISLAZIONE 

d.l. 
29 luglio 1981, n. 402, art. 12, sesto comma (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Piacenza, ordinanza 20 maggio 1983, n. 751, G. U. 15 febbraio 1984, 

n. 46. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 20, quinto comma (artt. 2, 30 e 47 
della Costituzione). 

Pretore di Modena, ordinanza 25 maggio 1983, n. 695, G. U: 25 gennaio 1984, 

n. 25. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 21, terzo comma (art. 3 della Costituzione). 


Pretore di Lucca, ordinanza 30 marzo 1983, n. 613, G. U. 18 gennaio 1984, 

n. 18. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53 e 77 (artt. 3 e 101 della Costituzione). 

Pretore di Legnano, ordinanza 23 maggio 1983, n. 705, G. U. 8 febbraio 1984, 

n. 39. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53, primo comma, e 77, primo e 
secondo comma (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Dolo, ordinanza 19 maggio 1983, n. 699, G. U. 1� febbraio 1984, 

n. 32. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 60, ultimo comma (artt. 3 e 27 della 
Costituzione). 

Pretore di Orvieto, ordinanza 5 maggio 1983, n. 761, G. U. 15 febbraio 1984, 

n. 
46. 
Pretore di Orvieto, ordinanza 24 maggio 1983, n. 762, G. U. 15 febbraio 1984, 
n. 46. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di La Spezia, ordinanze (due) 6 maggio 1983, nn. 562 e 563, G. U. 
4 gennaio 1984, n. 4. 
Pretore di Milano, ordinanza 31 gennaio 1983, n. 571, G.U. 4 gennaio 
1984, n. 4. 
Pretore di Oristano, ordinanza 16 maggio 1983, n. 614, G.U. 11 gennaio 
1984, n. 11. 
Pretore di Padova, ordinanza 22 aprile 1983, n. 675, G. U. 18 gennaio 1984, 

n. 
18. 
Pretore di Empoli, ordinanza 20 maggio 1983, n. 703, G. U. 1� febbraio 1984, 
n. 32. 
Pretore di Padova, ordinanza 23 maggio 1983, n. 791, G. U. 29 febbraio 1984, 
n. 60. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (artt. 3, 24 e 101 della Costituzione). 

Pretore di Catania, ordinanza 20 luglio 1983, n. 815, G. U. 29 febbraio 1984, 

n. 60. 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (artt. 3 e 27 della Costituzione). 
Pretore di Pistoia, ordinanza 9 marzo 1983, n. 558, G. U. 4 gennaio 1984, n. 4. 
Pretore di Oristano, ordinanza 5 maggio 1983, n. 615, G. U. 11 gennaio 1984, 


n. 
11. 
Pretore di Oristano, ordinanza 16 maggio 1983, n. 616, G. U. 11 gennaio 1984, 
n. 
11. 
Pretore di Tione, ordinanza 24 marzo 1983, n. 617, G. U. 11 gennaio 1984, n. 11. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (artt. 25 e 101 della Costituzione). 
Pretore di Savona, ordinanza 11 maggio 1983, n. 681, G. U. 1� febbraio 1984, 


n. 32. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77, primo e secondo comma (art. 3 della 
Costituzione). 

Pretore di Sassari, ordinanza 19 aprile 1983, n. 717, G. U. 8 febbraio 1984, 

n. 39. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 80 (art. 3 della Costituzione). 

I 

Pretore di Lecce, ordinanza 8 giugno 1983, n. 850, G. U. 29 febbraio 1984, 

n. 60. 
I 
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ffi 
i&t

d.P.R. 18 dicembre 1981, n. 744, art. 2 (artt. 3 e 9 della Costituzione). 
~ 

Pretore di Venezia, ordinanza 25 novembre 1982, n. 829/83, G. U. 29 feb-~ 
braio 1984, n. 60. ~: 

ti

d.P.R. 18 dicembre 1981, n. 744, art. 6, terzo comma (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Roma, ordinanza 4 marzo 1983, n. 696, G. U. 8 febbraio 1984, I!! 

n. 39. 
I 

legge 14 gennaio 1982, n. 164, artt. 1 e 5 (artt. 2, 3, 29, 30 e 32 della Costi-:=; 

.

tuzione). 
Corte di cassazione, ordinanza 15 aprile 1983, n. 783, G. U. 29 febbraio 1984, 

I

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n. 60. 
.
I

d.I. 23 gennaio 1982, n. 9, art. 14, quinto comma, lett. b) [convertito in legge 
25 marzo 1982, n. 94] (artt. 3, 24, 31 e 36 della Costituzione). [,
I 

t~

Pretore di Milano, ordinanze (quindici) 31 luglio 1982, nn. 923-937/83, G. U. 
22 febbraio 1984, n. 53. w 


i ~ 

d.l. 23 gennaio 1982, n. 9, art. 15-bis [introdotto dalla legge di conversione 
25 marzo 1982, n. 94] (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Varese, ordinanza 16 novembre 1982, n. 598/83, G. U. 4 gen~; 
naio 1984, n. 4. 
Pretore di Biella, ordinanza 17 maggio 1983, n. 649, G. U. 11 gennaio 1984, r 

n. 11. 
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!l: 

Pretore di Milano, ordinanza 30 marzo 1983, n. 650, G. U. 11 gennaio 1984, 

Ir 

n. 11. 
Pretore di Ravenna, ordinanze (due) 2 luglio 1983, nn. 787 e 788, G. U. 
29 febbraio 1984, n. 60. 


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PARTE II, LEGISLAZIONE 

legge 25 marzo 1982, n. 94, art. 15-bis (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Busto Arsizio, ordinanza 21 giugno 1983, n. 724, G. U. 15 febbraio 
1984, n. 46. 

Pretore di Roma, ordinanza 10 maggio 1983, n. 817, G. U. 29 febbraio 1984, 

n. 
60. 
Pretore di Roma, ordinanza 5 luglio 1983, n. 818, G. U. 22 febbraio 1984, 
n. 
53. 
Pretore di Roma, ordinanza 18 giugno 1983, n. 819, G. U. 29 febbraio 1984, 
n. 
60. 
Pretore di Roma, ordinanza 2 giugno 1983, n. 820, G. U. 29 febbraio 1984, 
n. 
60. 
Pretore di Roma, ordinanza 14 giugno 1983, n. 821, G. U. 29 febbraio 1984, 
n. 
60. 
Pretore di Roma, ordinanza 20 maggio 1983, n. 822, G. U. 29 febbraio 1984, 
n. 
60. 
Pretore di Roma, ordinanza 9 giugno 1983, n. 823, G. U. 29 febbraio 1984, 
n. 
60. 
Pretore di Roma, ordinanza 11 giugno 1983, n. 824, G. U. 29 febbraio 1984, 
n. 60. 
Pretore di Busto Arsizio, ordinanza 21 giugno 1983, n. 828, G. U. 29 febbraio 
1984, n. 60. 

legge 25 marzo 1982, n. 94, art. 15-bis (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 24 maggio 1983, n. 816, G. U. 29 febbraio 1984, 

n. 60. 
legge 26 aprile 1982, n. 181, art. 14, quarto comma (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Piacenza, ordinanza 20 maggio 1983, n. 751, G. U. 15 febbraio 1984, 

n. 46. 
legge 3 maggio 1982, n. 203, art. 9 (artt. 42 e 44 della Costituzione). 

Tribtmale di Padova, ordinanza 19 aprile 1983, n. 873, G. U. 18 gennaio 
1984, n. 18. 

legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 9, 10, 13, 25, 26, 30 e 31 (artt. 3, 4, 41, 42, 
43 e 44 della Costituzione).� 

Tribunale di Forl�, ordinanza 7 giugno 1983, n. 840, G. U. 11 gennaio 1984, 

n. 11. 
Tribunale di Forl�, ordinanze (due) 7 giugno 1983, nn. 841 e 842, G. U. 
18 gennaio 1984, n. 18. 

legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 9 e 15 (artt. 3, 42 e 44 della Costituzione). 

Tribunale di Nicosia, ordinanza 11 ottobre 1983, n. 996, G. U. 1� febbraio 
1984, n. 32. 

legge 3 maggio 1982, n. 203, art. 25 (artt. 3 e 41 della Costituzione). 

Tribunale di Fermo, ordinanza 23 settembre 1983, n. 992, G. U. 1� febbraio 
1984, n. 32. 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

36 

legge 3 maggio 1982, n. 203, art. 25 (art. 41 della Costituzione). 

Tribunale di Pesaro, ordinanza 28 maggio 1983, n. 994, G. U. 1� febbraio 1984, 

n. 32. 
legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26 e 28 (artt. 3, 41 e 44 della Costituzione). 


Tribunale di Mantova, ordinanze (due) 27 settembre 1983, nn. 950 e 951, G. U. 
18 gennaio 1984, n. 18. 

legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 28 e 30 (artt. 3, 4, 41, 42 e 44 della 
Costituzione). 

Tribunale di Modena, ordinanza 10 ottobre 1983, n. 993, G. U. 1� febbraio 
1984, n. 32. 

legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 28 e 31 (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). 


Tribunale di Macerata, ordinanze (tre) 13 ottobre 1983, nn. 954, 955 e 956, 

G. U. 18 gennaio 1984, n. 18. 
legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26 e 31 (artt. 3 e 41 della Costituzione). 

Tribunale di Ancona, ordinanze (due) 5 luglio 1983, nn. 831 . e 832, G.U. 
4 gennaio 1984, n; 4. 

Tribunale di Ancona, ordinanze (due) 16 luglio 1983, nn. 833 e 834, G.U. 
4 gennaio 1984, n. 4. 

Tribunale di Ancona, ordinanza 16 luglio 1983, n. 835, G. U. 11 gennaio 1984, 

n. 
11. 
Tribunale di Ancona, ordinanze (due) 28 giugno 1983, nn. 836 e 837, G. U. 
11 gennaio 1984, n. 11. 
Tribunale di Ancona, ordinanze (due) 11 giugno 1983, nn. 838 e 839, G. U. 
11 
gennaio 1984, n. 11. 
Tribunale di Ancona, ordinanza 8 ottobre 1983, n. 968, G. U. 18 gennaio 1984, 

n. 18. 
Tribunale di Ancona, ordinanze (sei) 8 ottobre 1983, nn. 969-974, G. U. 
25 gennaio 1984, n. 25. 

legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 34 e 37 (artt. 3, 4, 41 e 44 della 
Costituzione). 

Tribunale di Mantova, ordinanza 12 luglio 1983, n. 902, G. U. 18 gennaio 
1984, n. 18. 

legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 28, 29 e 30 (artt. 3, 4, 41, 42, 43 e 44 
della Costituzione). 

Tribunale di Vasto, ordinanze (tre) 1� luglio 1983, nn 1013-1015, G. U. 
1� febbraio 1984, n. 32. 


PARTE Il, LEGISLAZIONE 

legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 28, 29, 30 e 31 (artt. 3, 4, 41, 42, 43 e 44 
della Costituzione). 

Tribunale di Vasto, ordinanza 21 ottobre 1983, n. 1016, G. U. 1� febbraio 1984, 

n. 32. 
legge 29 maggio 1982, n. 297, art. 5, secondo e terzo comma (artt. 3 e 36 
della Costituzione). 

Pretore di Biella, ordinanza 29 marzo 1983, n. 683, G. U. 18 gennaio 1984, 

n. 
18. 
Pretore di Biella, ordinanza 29 marzo 1983, n. 684, G. U. 25 gennaio 1984, 
n. 25. 
legge 29 maggio 1982, n. 297, art. 5, terzo comma (artt. 3 e 36 della Costituzione). 


Pretore di Novara, ordinanza 10 giugno 1983, n. 797, G. U. 29 febbraio 1984, 

n. 60. 
d.P.R. 9 agosto 1982, n. 525, art. 1 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Varese, ordinanza 14 giugno 1983, n. 794, G. U. 29 febbraio 
1984, n. 60. 

legge 12 agosto 1982, n. 532, art. 25 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Tribunale militare di Bari, ordinanza 23 febbraio 1983, n. 689, G. U. 8 febbraio 
1984, n. 39. 

d.l. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19 [convertito in legge 27 novembre 1982, 
n. 873] (artt. 3, 11 e 24 della Costituzione). 
Corte d'appello di Milano, ordinanza 21 gennaio 1983, n. 723, G. U. 8 febbraio 
1984, n. 39. 

d.l. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19, primo comma [convertito in legge 
27 novembre 1982, n. 873] (artt. 3, 11 e 24 della Costituzione). 
Tribunale di Genova, ordinanza 26 maggio 1983, n. 710, G. U. 15 febbraio 
1984, n. 46. 

d.P.R. 22 febbraio 1983, n. 43, artt. 1 e 2 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Varese, ordinanza 14 giugno 1983, n. 794, G. U. 29 febbraio 1984, 

n. 60. 
d.l. 12 settembre 1983, n. 463, art. 11, decimo comma [convertito in legge 
11 novembre 1983, n. 638] (artt. 5, 9, 10, 16 e 54 dello statuto della regione 
Trentino-Alto Adige). 
Provincia autonoma di Trento, ricorso 16 dicembre 1983, n. 40, G.U. 
4 gennaio 1984, n. 4. 
Provincia autonoma di Bolzano, ricorso 16 dicembre 1983, n. 41, G.U. 
4 gennaio 1984, n. 4. 


JS 
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.l. 
18 ottobre 1983, n. 568, art. 1 [convertito con legge 9 dicembre 1983, 
n. 681] (art. 5, n. 1, statuto Trentino-Alto Adige). 
Regione Trentino-Alto Adige, ricorso 16 gennaio 1984, n. 1, G. U. 8 febbraio 
1984, n. 39. 

legge 19 dicembre 1983, n. 696, art. 1 ed in particolare terzultimo, quarto 
e sesto comma (artt. 8, n. 9; 9, n. 8; 15, 16, 78 e 79 dello statuto speciale 
regione Trentino-Alto Adige). 

Provincia autonoma di Bolzano, ricorso 26 gennaio 1984, n. 2, G. U. 
15 febbraio 1984, n. 46. 

legge 27 dicembre 1983, n. � 730, artt. 7, undicesimo, dodicesimo e tredicesimo 
comma, 29 e 31 (artt. 5, 117, 118, 119 e 81, quarto comma, della Costituzione). 

Regione Piemonte, ricorso 6 febbraio 1984, n. 10, G. U. 22 febbraio 1984, 

n. 
53. 
Regione Emilia-Romagna, ricorso 6 febbraio 1984, n. 11, G. U. 22 febbraio 
1984, n. 53. 
Regione Lombardia, ricorso 6 febbraio 1984, n. 12, G. U. 22 febbraio 1984, 

n. 53. 
legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 7, tredicesimo comma (artt. 117, 119 e 81, 
quarto comma, della Costituzione). 

Regione Campania, ricorso 6 febbraio 1984, n. 8, G. U. 22 febbraio 1984, 

n. 53. 
legge 27 dicembre 1983, n. 730, artt. 7, tredicesimo comma; 24, primo 
comma; 29, 31, 32, quinto comma (artt. 81, 117 e 130 della Costituzione). 

Regione Toscana, ricorso 6 febbraio 1984, n. 9, G. U. 22 febbraio 1984, n. 53. 

legge 27 dicembre 1983, n. 730, artt. 7, ultimo comma, 19, 28, 29, 31, secondo 
comma, 35, quattordicesimo comma (artt. 5, 81, 115, 117, 119, 118, 123, 130 e 136 
della Costituzione). 

Regione Veneto, ricorso 1� febbraio 1984, n. 3, G. U. 15 febbraio 1984, n. 46. 

legge 27 dicembre 1983, n. 730, artt. 7, ultimo comma; 25, ultimo comma; 
27; 29, secondo comma, e 31 (artt. 15, 17, 19 e 20 dello statuto regione siciliana 
e 32 e 119 della Costituzione). 

Presidente regione siciliana, ricorso 3 febbraio 1984. n. 7, G. U. 22 febbraio 
1984, n. 53. 

legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 25, secondo e terzo comma (artt. 4, n. 7 
e 16 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige}. 

Regione Trentino-Alto Adige, ricorso l� febbraio 1984, n. 4, G. U. 15 febbraio 
1984, n. 46. 


PARTE II, LEGISLAZIONE 

legge 27 dicembre 1983, n. 730, artt. 25, secondo comma e terzultimo periodo, 
e 27, primo e ultimo comma (artt. 8, n. 1; 9, n. 10; 16 e 78 dello statuto 
speciale della regione Trentino-Alto Adige). 

Provincia autonoma di Trento, ricorso 1� febbraio f984, n. 5, G. U. 15 febbraio 
1984, n. 46. 

legge 27 dicembre 1983, n. 730, artt. 25, secondo � terzo comma, ultimo 
periodo; 27, primo e ultimo comma; e 29 (artt. 8, n. 1; 9, n. 10; 16; 54, n. 5; 78 
e 80 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige). 

Provincia autonoma di Bolzano, ricorso 1� febbraio 1984, n. 6, G. U. 15 febbraio 
1984, n. 46.