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ANNO XXXIV N. l 

GENNAIO-FEBBRAIO 1982 

RASSEGNA 


DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 



Pubblicazione bimestrale di servizio 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 

ROMA 1982 



ABBONAMENTI 

ANNO L. 25.600 
UN NUMERO SEPARATO � . . . � � � . . . . . . . . . � . . � � 4.700 


Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 
Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma 
e/e postale n. 387001 

Stampato in Italia -Printed in Italv 

Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 
(3219096) Roma, 1981 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato P.V. 




Il.Jt. 

X� 

- 
I 

i 

INDICE 

Parte prima: GIURISPRUDENZA 

Sezione prima: 
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura 
del/'avv. Franco Favara}. . . . . . . . . . pag. 1 


Sezione seconda: 
GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 
(a cura del/'avv. Oscar Fiumara) . . � 44 


fiezione terza: 
GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 
(a cura degli avvocati Carlo Carbone, 
Carlo Sica e Antonio Cingolo} . . . . . . . � 7 6 

Sezione quarto: 
GIURISPRUDENZA CIVILE (a cura degli avvocati 
Adriano Rossi e Antonio Catricol�} . . . . . . � 91 

Sezione quinta: 
GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA {a cura del/'
avv. Raffaele Tamiozzo} . . . . . . � 

Sezione sesta: 
GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA [a cura dell'avvocato 
Carlo Baf�le) . . . . . . . . . . . � 121 

~ezione settima: 
GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED 
APPALTI PUBBLICI (a cura degli avvocati Sergio 
Laporta, Piergiorgio Ferri e Paolo Vittoria} . . . � 193 

Sezione ottava: 
GIURISPRUDENZA PENALE (a cura degli avvocati 
Paolo di Tarsia di Be/monte e Nicola Bruni} 212 

Parte seconda: QUESTIONI -LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO 
CONSULTAZIONI -NOTIZIARIO 


QUESTIONI � ............. pag. 1 
LEGISLAZIONE 

� 27 

La pubblicazione 
� diretta dall'avvocato: 

UGO GARGIULO 


CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA 
DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AVVOCATURE 


Avvocati 


Glauco NoRI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Giovanni CoNTU, Cagliari; 
Francesco GUICCIARDI, Genova; Marcello DELLA VALLE, Milano; Carlo BAFILE, 
L'Aquila; Giuseppe Orazio Russo, Lecce; Nicasio MANCUSO, Palermo; ~occo 
BERARDI, Potenza; Maurizio DE FRANCHIS, Trento; Paolo SCOTTI, Trieste; 
Giancarlo MAND�, Venezia. 



ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI 

F. FAVARA, Il primo centenario dell'Avvocatura dello Stato spagnola Il, 1 
G. 
STERI, Considerazioni sul diritto di propriet� nella normativa 
sull'edificabilit� dei suoli . . . . . . . . . . . . . . . . . Il, 5 

per 
crii:terii determinati per leggie -Hilegittimit� 
costituzional1e, 1. 
equi\'aliente a �restrizioni quaintita� 
tive 1aihl'importa2lione -Denominazllio� 
per 
crii:terii determinati per leggie -Hilegittimit� 
costituzional1e, 1. 
equi\'aliente a �restrizioni quaintita� 
tive 1aihl'importa2lione -Denominazllio� 
PARTE PRIMA 
INDICE ANALITICO -ALFABETICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


ACQUE 

-Riicorsi avverso !hl piiaino regolatore 
genel:'ale deg:lri acquiedotJti -Giunisdri2;
ione ciel Tribunalie supel:'iore 
AA.PP., 1193. 

AGRICOLTURA E FORESTE 

-Mfiitto di fondi 1rustrici -Estensione 
deJJl'affiitto a tutte i1e col1ture dd fondo 
-Mancata deroga per i� cont1ratti 
-in corso -Viioliazione die~ prjindpio 
di eguaglri�anza, 5. 

APPALTO 

-Conconso di Enti ne!il'esecuzione dell'o;
pera .pubbWica -Aggiiudica21ione Approvazione 
da parte deWEnte affidante 
-Scaden21a de1 .termine -Dirotto 
di �recesso deH'aggiiudioatario I.
nsussristenza, 200. 

ARBITRATO 

-Compromesso e o1ausolia compromissoria 
-Controversie deferibili 
agLi 1aI1bit�ri -Riforma agran!1a -Con
�troversia su1 �recesso da1' riapporito 
di assegnazione di terreni -Ol1auso~a 
compromi:s�soda -Nt111Wi1t�, 199. 

-Rapporto tira arbitni e g�udi!oe ammini.
stnatirvo -Questione di g�urisdizione 
-Configurabii!.it�, 199. 


COMIMERCIO 

-Riirl'endita di giiornahl -Diiscipl~na del 
commenoio al minuto -Aipp1icabi'
1i�t�, 93. 

COMUNI 

-Contro111i divel:'si da quellLi di cui 
aLl'�art. 1130 Cost. -Presupposti di 
1'egiittimi1t� costiiituzionabe -App1rova21ione 
de1la commissione di con1tro1Llo 

ila finanza looalie -A:ssenza di . 

i 

COMUNIT� EUiR:OPEE 

-Agricoltura -Organizzazione comune 

I

dei mercati nel settoI'e degtlii or.tofruttioo1i 
-Esportiazione verso Paesi 
terzi -Restituzione all'esportazione Co1ndieiioni 
-Libem pratioa nel-Paese 
terzo, 44. 


-Agiricoilturia -011g;aniz21azione comune 

dei mer.aati nel] settore degld ortolirutticolii 
-Esportazione verso Paesi 
terni -Restituzione dia1l'esportazione 
-Dinitto sog:gettJi�vo Tute1abilit� 
dav.anti a1 g�udiioe mdinario, 44. 

-Corte di .giiusti21ia -Pronunda pnegiu1dizi
�ale ai �sensi ide'IW1arit. 1Tl deil 
Trn1t<ato CEE -Atmbu7Jioni rispet� 
tihne del g�iudioe nazionaile e delllia 
Corte di giiustizi!a, (;l. 

-Corte di giustizia � Pronuncia pregiudiziale 
.ai sensi deM'art. 117! dd 
'.Prattato CEE � Questione re1aidiva a 
normati\'a di Stato membro diverso 
da queMo ove st .svotge ri!l .giudri7Jio � 
Almrnissibiitit� � Poteri de11l!a Corte di 
g;ius1iiz1a, 61. 

-Corte di: giustii21ia -Pronuncia pregiudi2lialie 
ai seinsi deM'art. 17! del 
T1rattato CEE � Questione re1atd�"a 
a normat1iva di Stato membro diverso 
da que!1lo ove �si svolig,e riJl giudi2lio 
� Chi1amaJta iin oausa delllo Stato 
membro diverso 1di]nan2'i ail .g�udice 
na2liona1e � Diritto comunitarito 
� Indiiffereinza, 61. 

-Corte di .giustizia � P1ronunO�!a preg:i:udiz~
aLe ai sensi deW.art . .177 diell tra1tato 
OEE � rR:khilest:a da parte dri un 
g.iud1ce di uno degfil Stiati membri � 
Pote11i dli ver.ilika dehLa Corte � Limi


ti, 70. . 

-Libem ckcoLa2Jione dei Lavo11atmi � 
Vantaiggii sodaL1 � Mutui per ~a nascita 
di f&gili, 70. 

-Unione dog.anai1e � Liibem drco1a7Jione 
de11e merci -Misure di effetto 


INDICE DELLA GIURISPRUDENZA Vll 

ne dci prodotti -Effet1Ji. -Aceto: 
va11iet� -Tutel1a dci ccmsumaitori, con 
nota di P. G. FERRI, .53. 

-Unione doganale -Libem circo1Lamone 
del�e mel'oi -M1sUJre di ,effetto 
eqUJirlnailente a rest111izioni quam:tirmti!Ve 
a!JL'importazione -Di!Vdeto -Ecce2'1ioni 
-Limiti -Fa:ttrlspecie (commea:-cia1izz;
az1one di aceti di oligine agrfoOl!a 
non di viino), con norta dli P.G. FERRI, 
53. 

-Unione dogainaile -Liibera circOila:z;ione 
delle merci -Mtsure di effotto 
equivai}ente a restriZliolll'i quantfutative 
al:l'iimpoct~one -Divieto -Portata, 
con nota di P.iG. FERRI, 53. 

CORTE COSTITUZIONALE 

-Conf,filrtto di ,attrihuz;ione -Comimto 
l'egfonooe di controLlo -Non � Weg~
ttimato a solllevare conrfJl�:tto, 2. 

-Bmdpio di eguagihl1ainza -Via rapportato 
01 nol'ma geoora!le e non a norma 
derogatoriJa, '5. 

COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA 

-Ube11t� di associazlione -Inquadramento 
ex .Jege iin assodaznone ente 
pUJbbJdco -Legittimit� cos,t�:tuiiionale, 
35. 

DEJMANIO 

-Canoni di concessione -Natura pa� 
triJmoniail!e -Prescri:zione triennalie ln1aJp:
i;hlcab~lit�, 203. 

-Demanio ma:ri1ttimo -�oncesisioni destinate 
a costruzioni di durata Ullr 
t1riannu01Le -Canone -Determina21ione, 
204. 

-Demanio marittimo -Contestaziione 
suhla natUJra e sui 1confiiJni -Poteri 
del giudice ormnaruo, 196. 

ESBROPRIAZIONE PER P. U. 

-A21ioni di danni -Opposizione a ,st1ir 
ma -Con1Ve11sione -Non automaticit� 
-Faittrl1specie, 104. 

-Deoreto di esproprio -Factum supravveniens 
-Domanda di ru11eg,ittimiit� 
-Ammissi!ooliit� lin secondo grado, 
104. 

-Dichiarnzione di pubb!Jica utiiliit� R:
innovaiiione impldoita -Fa;ttiJspecie, 
105�. 

-Espropniaztlone per opere od iintJervienti 
statai!Ji -Decl'eti 'successivi alla 
lieg.ge n. 247 dcl 1974 -Deterrndinazione 
dellla mdenn~t� -Criteri applikabiJhl 
dal giuddice deWopposi2lione a 
stima, con nota di S. LAPORTA, 96. 

-If!JLegiiitt�miit� costlituzionacr1e deWa;rt�cOl!
o :16, quinto corn\ln.1a 1e dei1J',airt. 20 
de!Jla legge n. 8~5 deil 19711 (mod. daihla 
reg.ge n. 10 del 11977) e successiva 
emanazione del[ia JJegge n. 385 del 
1980 -Giudlizio in corso -Bffotti, 91. 

FAMI1GLIA 

-Matil:�rnonio -llispensa dal matrimonio 
rato e non consumato -� atto 
:aimm�Jn1fo;itrat1ivo canonico -Esecutivit� 
agili effett� civi1hl -11legiittimit� costi;
tUZJiona!Le, 21. 

-Matr1i:monio -Trascdzione del matl1i� 
rnonio canonico -Pub1'Jdca2lioni anterioo 
1a maitrimonio canomco -Matlri� 
monio contratto da minorenne -Iil:legii<
ttrlmit� costitu21i<onailie, 21. 

GIURISDIZIONE CIVILE 

-Concessione det contributo previsto 
da11Je leggii sul Mezzogiorno -Adozlione 
dcl provvedimento sulb ammissir 
biJLit� del contni1buto e ,successiva fase 
dii 1.biqUJ~dazione -Posizione giu1:
1�ldJi.ca dcl ;privato -Interesse 1leg;i:ttimo 
-Cont1roversire -Giurisdizione 
amministrativa, 76. 

-Mancato versamento contl:-.ibuti Fonte 
de]1'obb1igo del versamento nel 
11apporto di dmpiego -Giudschizione 
ammJ1nistrartiiva, 84. 

IMPIEGO PUBBLICO 

-Art. 6, secondo ,comma, dJ. n. 2611974 
-Quest�one 1di costirtu21ionafilt� !
Manifesta infondatezza, 86. 

-Ex combattenti -CoL~ocamento a riposo 
-Assunzione da aLtiro ente pubbLico 
-rnvieto -Sus,sistenza -Estrem~. 
86. 

LAVORO 

-.Riiiposo s:ettimanooe -Non fra2lionabi,
Lit� de11e ventiquattJro ore, 35. 


vm RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

MINIERE CAVE E TOR!BIBRiE 

-Riegtlme generiailiizzato dii autorizzamone 
-�Prevemiione ad opera di deggii 
regi.onail!i -LegiHiimit� costituzionaile, 

13. 
ORDINAMENTO GIUDIZIA:RIO 

-Referiendum �su ilieg;ge regionale o 
Plt'oviinciall!e -Giuc!W1o dii 1armm1ssiibitliirt� 
-AttI11�buzione ad mg1aino gJiucLimmo 
-Con illegg;e regionail!e o proVliinciail!
e -i1Hegitrt1�m1�1t� co811:ituziionale, 
39. 

P!REVIDENZA 

-Ente Nazio[]Ja1e per La prevenzione 
infortuni -Controllti -Natura -Provvedrlimenti 
aMliitati.W. -Difetto di po1tJere 
di.soreziiooo1e -Situaztionl� di ddmrtto 
sogg;erttiJvo -Giuri1sdizione oridtiI1JaJria 
-SussrustJe, 80. 

PROOEDIMENTO CIVILE 

-Delibazione di sentenza �ecaliesdasrtioa 
-Turtda ,g;i.1t:ll1isdiziona~e offerita 
dalli1'011cLiiilamento .oammico -Adeguareziia 
o meno -Iill!�rnfJJuenza -Cognii,ziione 
de] g;i.iudice statale ne1lo sipeoi.Jale 
processo dd deldbazi:one -Limiti Llileg;
i.Mllimdt� 'costd1tuzii00Jale, 21. 

-&icOI'so per oassaziione -Motiw -
Vdolazione dii norme s1Jartutarie di 
'ent:e pubbtliico -Deduodbiildrt� -E'sarusione, 
203. 

PROOEDJlMEiNTO PENALE 

-Diritto di di.fesa -Assenza dell'imputato 
nel diibattimento -Leg;i.tifilmo timpedimento, 
18. 

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE 

-Istituto Poligrafico -Competenza e 
gillurisdizione -Rapporti dii tfu:n!piego -
Controvernie -Giiumsdi�one die1 g;i.udiice 
ammilJllis1Jmtivo -Sussiste, 79. 

REATO 

-FaJJsiit� �in atti -Presiidente i;kepresidente 
e dfo;ettore amimirnstm1Jivo di 
cooperia1Jiiva tra produttori di olio 
di oLiva che procedono �ai!J1e annotazioni 
nel registro ili liavoraziione pl'e


visto dal D.L. 21-11-1967 n. 1051 -Sono 
pubbldm uffida1i, con nota di iN. 
BRUNI, 213. 

-'F:ail!si.Jt� dn atti -,RJegiistro di wavomzione 
p1rew1sto .cLail DL 21 novembre 
'1%7 n. 11051 -� 1art:to pubbld100 forma� 
mer:ute diemivativo ma sostanziiailimente 
migiina1e, con nota di N. BRUNI, 

212. 
-Obb!Liga dii denunzia aiill!"autorit� di 
PS. di i!nfortunilio �su} i1avoro -Contmsto 
ne11a prognosd tm cer�tificato 
di pronto soccorso ospeda:liiero e 
quehlo di sanitario ,cLelll'INAIL -PrevaLe 
que91:'uil1timo, 212. 
-To:ufi�a 1ai danm dell'A.IM.A. -Integraziione 
priezzo ooiio di oliiva -Asservtimento 
dehle strutture di coopere,
tiv,a itra produtto11i! ili Ol1ive e utlliz~
one deUe domande ded soci a 
6ii1W omrnilinosi -Pumbi.J1i.t� aii sensii 
deWart. 840 C.P. e non dehl!'1art. 9, 
�comma terzo, ded D.L. 21 novembre 
1967, n. 1051, COl!l nota di N. BRUNI, 

212. 
-Truffia 1ai <famni deWA.IM.A. -Inte� 
grazione prezzo olio di oliva -Olio 
ricavato da oLivie acquiiistane presso 
�terzi -Non compete, con nota dii 

N. BRUNI, .2ili2. 
RESPONSABILIT� CIVILE 

-Occupaziione defilJllitdva di un terreno 
di ;proprd,et� pJJi.via�a senza iid pTewo 
decreto -I1mecito -CariatJtere personaile 
de1lia velati.va responsabdiliirt� -
Triasl�eriimento ,affiJ1'ent:e bei!11efilai1ario 
dehl'.opem pubib11ica -lnammiis�siibiiLit�, 
94. 

SICILIA 

-Sospensione provvi,soma dai pubblici 
uffiici -Componente del Consig;liio (o 
Assemb~ea xegionaile) -Inapp~iJoabdilii~ 
t� -Componente cLe1ba Giunta regionale 
-Appllfoabi11it�, 9. 

TRI'BUTI ERARIALI DIRETTI 

-Acceritamento -Motivazione -Metodo 
induttivo -Preliminare verifica 
anaJiirtica ded 1redcLiti dkhiariati -Non 
� neoessari1a, :l42. 

-Accertamento triibutario -Motivazione 
-Metodo induttiivo -Uthlfa:ziazione 
di e~emen1Ji. 1ana1liiis1Jiai -L!iLegit1Jiimiit�, 

175. 

INDICE DELLA GIURISPRUDENZA 

-Lmposte fondiiruie -Impoiste sui 11edditi 
agriani -Aililevamento di oav�ailiH 
da coJ1Sa -Non � I'kompriesa, 123. 

TRJ:BUTI ERARIALI INDIRETTI 

-Imposta di riegiistro -Acoerrita:mento 
cli vailore -Termine -Regiistria2ione 
a imposta f~ssa -Suocessd~ abrogiaarlone 
con effetto 11etroattivo de�lLa 
agevola2lione -Dec()['r=a .c:La11 pagiamento 
dellfimpos1Ja ;propor2l�!onaJ1e, 

124. 
-Imposta di regilstro -SJmllllrurlone Sentenza 
-Tass0Jbi1Lilt� oome retrocessdone 
-U1teriiorre tmsforimenito a 
fiavore 1dd .ter2lo -Autonoma tassa'.llioine, 
148. 

-Imposta gieneraJ!e sufil'.ent11ata -Esportazione 
e [;fliimpor1Jazionie -Restituzione 
e �riilmborisd, 44. 

TRlJBUTI (IN GENERE) 

-Acoe111lamento t111bu1Jario -Notificazione 
-Pei:isona gihwilddca -Consegna 
a persona rinvenuta presso ~a sede Si 
presume dnoarriioota dell1a 1ri1cez;ione 
<WL1'iatto, Bl. 

-Contenooso tributario -Azione di 
�mero accertamento -Imposte indir,
ettie -Impropombiillh� anteriormente 
ailil'acoerta:mento -Converisfone de~La 
domanda -Decaden2la per decorso del 
temn�ne -Non si verifica, 167. 

-Conrbenzioso tl'ibutario -E�stimazione 
sempldce -Nozione -Sussistenza dei! 
presupposto -Vi � compresa, 1152. 

-Conten.Ziioso t11iibutario -Giiud�cato 
par:lliai1e -Statuiziione ohe 1costiituilsce 
�il necessario prresuPiPosto dd �11ltra -
Impuginamone -Si estende -Impugnazilone 
suilil''acoer.tamento del 1r,eddilto 
-Si estende 1a1L11a s1tatudziQ[le 
SUJ!Jle san.Ziioni per infedele diohiara:
mone, 129. 

-Contenziioso triibutal1io -G1udi\llio dii 
terzo g1mdo -Acaer.1Jamento induttiivo 
-Veriiifiloa deli1a 1idoneirt� asit�1:1atta 
dei fatti ,fodioe -Cognizione dei fatti 
accertati .c:La!ilie commlliss1iQ[li di pr.imo 
e secondo gimdo -E1sc1Lusione, 142. 

-Contemii10so t11ibutari10 -Giud�zio dii 
terzo giI'ado -Bstens1ione -Questione 
sUJL1a natura 1agiriicolia o �edificatoria 
de:i suold -lndeduothi11i<t�, 11211. 

-Contenziloso t11ibu1Jal!1io -Giudizio di 
terzo grado -Estimazione semplice Fattispecie, 
140. 

-Contenziloso tr~butario -Impugnazione 
di terzo gmdo -Alliternativit� Ricorso 
afl1la Commli:ssione centraile 
sospetto di inao:nmi1ssiibiilllilf:� ed iimpuginazillone 
alila corte d'appelilo Necessit� 
di .sospendere iil giiludizio 
illman2li da corte d'aippe!Wo, con nota 
d� C. BAFILE, '180. 

-Contenzioso T1:1iibutario -Onere deliLa 
proV1a -Fatto priesupposto deWobhhl1gazione 
-� a carico delil'Amministrazrone, 
17'5. 

-Con1len2iioso tr~butariilo -.P1rooeddmento 
innanzi affilia Commi�ssione cent1:1a11e 
-Avv,iiso di fils�s1a2lione d'ud1enza TeI'l11�lllle 
-Inosservanza -NuJilliot� del1b 
dedsrone, 155. 

-Conten.Ziioso tmbutarr~o -Procedimento 
ilnnan\lli ai11ia Commi1s1sdone centrail:
e -Domande ed eooez;iloni non �Ili:
Proposte con k �deduzi.on1i del resdsitente 
-Devono 1essere esaminate d� 
uffiioo -A1:1t. 346 c.p.c. -InappHcabiJrut�, 
127. 

-Contenzioso .t1:1ibuta11io -1RJioorso aUa 
Commissione centrai1e -Mo1Jiivaziione Necessit� 
-Motivazione � per refaziionem 
� -IIlliidooedt�, 1138. 

-Contenzioso tnibutal'io -Ricorso aJJla 
Commi1ssiione oenitm1e -Spedi'llione a 
mezzo posta -� ci11evantie La data di 
ri1cevimento, ,150. 

-Contenzioso triibutar.io -Rkrnrso alla 
CoI1te d'appeliLo -Anteriore proposi� 
zione di .J:1icorso 1lardiJvo ailiJJa Commis~
one oentm1e -N:on preoLude la 
propOil!ibiiJrut�, con nota di C. BAFILE, 
.180. 

-Contenziiloso trubuta11io -Rko1:1so per 
Cassazione -Rico!'so cumuliat�vo AmmrsS1iJbdJ!
Jiit�, 133. 

-OcmteruJioso triilbutario -Rioonso per 
Cassa2ion:e -Rko11so cumu~ativo Inammissilbdl1it�,. 
,13'1-. 

-Contenzioso tr.ibutario -Ricorso per 
Cassazione -Termine -Art. 327 o.p.c. Mancata 
partecipazione al giiudimo 
per nullirt� .~Le oomUJnicaziioni Inappi]
llioab!i1Li1t�, 134. 

-Contenzioiso trii!butario -.R!icorso per 
Oassaziol!le -Termi1ne -Alrt. 327 c.p.c. Sii 
a;ppdiioa -No1Jii�iJoa delilia decisione 
a cura deililia segretem -Effetto incerto, 
160. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

I 

-Sogg.etiti passirv� -Responsabile di 
impos1la -Sodo 1i~1irmritat,amente responisabti:
lie di sooiret� di persone T'I1asforma2fone 
deil1la Societ� -Consenso 
dei credirtori -Art. 2499 e.e. lrnaipp~
iJoaMlwt� ailJJ;a Frinainza, '164. 

-Soggietti passivi -RlesiponsabtiJle di 
irmposta -Sodo Hwim~tatamente responsabria1e 
di sooiet� dri persone -
Trasfornraziione delilia Societ� -Permane 
�la responsabWLit� dcl socio, 1164. 

-V~oLaizione di rleggi :l�ina:nzi1a11ie e valutari'e 
-Pena pecuniada -Partecipa


ziirone in sooiet� �estere senza 1l!a preven1liva 
autor,j.zzazirone red omessa 
niotl.iziWa ai comipe1len1li organi valu1Ja11i 
-Presodzione -Decorrenza, 189. 


'I1RlrBUTI LOCALI 

-� Imposta focale sui redditi -lmmobi� 
ti s1lrumentaLi per J!'reseroizio di at1livi�lt� 
commerdralii -.Case costru1he dagil:
i I.A,C.P -SorliO taLi -Assoggettamento 
alJrl'ILOR -Esclusrione, 157. 

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INDICE CRONOLOGICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


CORTE COSTITUZIONALE 

24 '1ugl1io 1981, n. 149 . 
30 luglio 1981, n. 161 . . 
16 novembre '1981, n. 181 
10 dicembrn 1981, n. 183 . 
14 geI11IJJaiio 11982, n. 2 

1 febbl'aiio 1982, n. 7 . 

1 febbraio '1982, n. 9 . 
2 febbraio 1982, n. 16 
2 febbraio 1982, n. 11�8 
4 febbraio ,1982, n. 23 
16 febbraio 1982, n. 40 
16 febbraio 1982, n. 43 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE 

. 

9 dicembrn 1981, ndlia causa 193/80 . . . . . 
16 ddoembre 1981, ne~1a causa 244/80 ..... 
3� Sezione, J4 gennaio 1982, nelila causa 65/&l 

GIURISDIZIONI CIVILI 

CORTE DI CASSAZIONE 

Sez. I, 8 gennaio 1981, n. 137 
Sez. I, 12 febbraio 1981, n. 857 

Sez. I, 16 febbraio 1981, n. 939 

Sez. I, 28 marzo .1981, n. 1786 
Sez. I, 1� apr.iile .1981, n. 1850 
Sez. I, 8 apriJLe 19&1, n. 2014 
Sez. I, 13 apnHe 1981, n. 2180 
Sez. I, 22 aprile 1981, n. 2388 . 

Sez. I, 4 magg1io 1981, n. 2704 

Sez. I, 7 maggio 11981, 11. 2%7 . 

Sez. I, 21 maggio 1981, n. 3329 

Sez. I, 4 giugno 1981, n. 3609 . 

Sez. I, lO giugno 1981, 11. 3750 

Sez. I, 10 giugno .1981, n. 3756 

pag. 

� 2 

� 5 

� 9 

� 5 

� 13 

� 18 

� 21 

� 21 

� 35 

)) 35 
)) 39 

pag. 53 
)) 61 
)) 70 

pag. 121 

)) 

123 
� 124 
� 127 
� 129 

)) 91 
)) 1131 
� 93 
� t133 
)) '138 
� 140 
)) 142 
� 148 
� 134 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA

XII 

Sez. I, 10 giugno 1981, n. 3757 
Sez. Un., 17 giugno ,1981 n. 3945 
Sez. Un. 18 giugno 1981 n. 3%7 
Sez. I, 25 g1ugno 1981, n. 41128 
Sez. Un., 27 giugno 1981, n. 4185 
Sez. I, 2 luglio 1981, n. 4287 
Sez. I, 2 lrug11io 1981, n. 4289 
Sez. I, l!1 Jugllio 1981, n. 4508 

Sez. 
Sez. 
Sez. 
Sez. 
Sez. 
Sez. 
Sez. 
Sez. 
Sez. 
Sez. 

I, ,II JugHo 1981, []. 
Un., 14 1!ugllio 19811, 
I, 12 ottobre 1981, 

Un., 
Un., 
I, 29 
I, 3 
I, 5 
Un., 

24 ottobre 1981, 
26 ottobre 1981, 

4510 

n. 45'82 
n. 5338 
n. 5560 
n. 5576 
ottobre 11981, n. 5698 

nOVTembre 1981, n 5793 
novembI1e 19811, n. 5817 
6 novemb!1e 1981, n. 5853 

I civi1e, 6 novembre 1981, n. 

Sez. Un., 10 dicembre 1981, n. 6518 

Sez. 
Sez. 
Sez. 
Sez. 
Sez. 

I, .16 dicembre 1981, n. 6651 
I, .18 .gen[]ai1o 1982, n. 300 
Un., 10 febbraiio 1982, n. 833 
Un, 11 febbraio 1982, n 841 
I, 27 febbraio 1982, n. 1267

1

5856 

DELLO STATO 

)) 94 
)) 76 
)} 44 
)} 150 
)) 152 
)) 155 
)} 157 
)) 160 
)} 164 

II

)) 167 
)} ,175 
)} 79 

I ~ 

)} 193 
)) 1180 
)} 96 
)} 1.96 
)) 80 
)) 104 
)} 199 

)) 203 

)) 207 
)) 84 
)) 86 
� J.89 

GIURISDIZIONI PENALI 


CORTE DI CASSAZIONE 
Sez. II, 5 gennaiio 1982, n. 36 ........ pag. 212 

TRIBUNALE DI VITERBO 
20 novembre 1981 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 212 



PARTE SECONDA 


QUESTIONI 
Il primo centenario dell'Avvocatura dello Stato spagnola, di F. FAVARA . pag. 1 
Considerazioni sul diritto di propriet� nella normativa sull'edificabilit� 
dei suoli, di G. STERI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 5 

LEGISLAZIONE 

QUESTIONI DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE 

I. -Norme dichiarate incostituzionali pag. 27 
Il. -Questioni dichiarate non fo'ndate � 29 
III. -Questioni proposte . . . . . . . . � 31 

PARTE PRIMA 



GIURISPRUDENZA 


SEZIONE PRIMA 

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

I 

CORTE COSTITUZIONALE, 24 luglio 1981, n. 149 -Pres. Amadei -Rel. La 
Pergola -Badano ed altri (avv. Pericu) e Preside~1te Consiglio dei 
Ministri (vice avv. gen. Stato Azzariti). 

Comuni -Controlli diversi da quelli di cui all'art. 130 Cost. -Presupposti 
di legittimit� costituzionale -Approvazione della commissione di 
controllo per la finanza locale -Assenza di criteri determinati per 
legge -Illegittimit� costituzionale. 

(Cost., art. 130; d.P.R. 19 agosto 1954, n. 968, art. 7). 

L'art. 130 Cost. non abbraccia tutti i possibili controlli sugli enti locali 
e sugli atti da essi emanati; possono essere previsti anche altri controlli 
statali strumentalmente connessi a fini che, propri della collettivit� nazionale, 
trascendano la sfera dell'ente controllato, purch�, di volta in volta, 
soccorra un disposto costituzionale, in cui si radichi il fine perseguito 
dall'organo statale, e di cui, con il mezza del controllo, si vuole assicurare 
il raggiungimento. L'art. 119 Cost. consente controlli statali sulla finanza 
locale, l'esercizio dei quali deve per� essere regolato per legge (1). 

(.1-3) Le sentenze sono pubblicate in For� it., 1982, I, 15, con indicazioni di 
giurisprudenza e dottrina, cui adde, Realt� e prospettive dei controlli sugli enti 
locali territoriali, Atti del XXIV Convegno di Varenna, 1979. 

Si richiama, in particolare, la relazione di FAVARA (riportata anche in questa 
Rassegna, 1979, II, 47) ove si �, tra l'altro, ritenuto che �la Costituzione (e mi 
riferisco soprattutto agli artt. 125 e 130) e le leggi, .laddove attribuiscono ad un 
soggetto pubblico un potere di controllo sull'attivit� o sulla inattivit� di altro 
soggetto pubblico (specie se territoriale), senz'altro aggiungere, per ci� stesso: 
a) implicitamente consacrano la diversit� degli interessi delle comunit� rappresentate 
rispettivamente dal soggetto controllato e da quello controllante; b) affidano 
all'entit� controllante il compito di curare come propri interessi pubblici 
che sono riconosciuti compresenti, in quanto essi pure rilevanti, con gli interessi 
pubblici affidati alla cura dell'entit� controllata; c) riconoscono all'autorit� controllante 
un ambito di attribuzioni che include l'ambito delle attribuzioni dell'entit� 
controllata, di tal che quest'ultimo non � separato dal primo ma ne 
forma parte, e d) attribuiscono all'entit� controllante un potere di ingerenza 
nell'attivit� amministrativa dell'entit� controllata il quale si traduce in un potere 

2 

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RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

2 

II 

CORTE COSTITUZIONALE, 30 luglio 1981, n. 161 -Pres. Amadei -Rel. La 
Pergola -Comitato regionale di controllo del Veneto, Regione Veneto 
(avv. Sandulli e Mazzarolli) e Presidente Consiglio dei Minist.ri (vice 
avv. gen. Azzariti). 

Corte costituzionale -Conflitto di attribuzione -Comitato regionale di 
controllo -Non � legittimato a sollevare conflitto. 

I comitati regionali di controllo sugli atti degli enti locali non sono 
legittimati a proporre ricorso per conflitto di competenza (2). 

Spetta ai comitati regionali di controllo e non anche alla commissione 
centrale per la finanza locale la competenza a controllare le delibere delle 
amministrazioni provinciali con bilanci deficitari, disponenti modificazioni 
ai ruoli organici del personale e alle relative norme regolamentari le 
quali comportino aumenti alla spesa globale di organico (3). 

I 

(omissis) Ecco, allora, il primo punto da :fissare per l'indagine rimessa 
alla corte: sebbene il disposto dell'art. 130 Cost. non abbracci tutti i 
possibili controlli sugli enti locali, o sugli atti da essi emanati, questo 
non significa che esso consenta d'altra parte un'indiscriminata o capillare 
ingerenza dello Stato nella sfera a detti enti attribuita. Dove viene in 
rilievo il regime di controllo, si deve anzi aggiungere, <l'autonomia dei 
comuni e delle province � -grazie appunto alle specifiche previsioni del 
citato precetto -direttamente garantita nel nostro testo fondamentale. 
Non si pu�, poi, trascurare la peculiarit� della specie. La contestata 
attribuzione della commissione integra gli estremi di un controllo di 
merito, e si aggiunge al controllo para!llelamente esercitato -con le modaLit� 
e igli effetti prescritti dalla legge n. 62 del 1953, in conformit� del 
dettato costituzionale, e sempre in ordine alle stesse delibere soggette 

di cogestione seppur ovviamente esercitato secondo modalit� particolari proprie 

dell'attivit� di controllo (ed eventualmente entro i limiti del controllo di sola. 

legittimit�) �. 

Un orientamento abbastanza simile � espresso nelle sentenze in rassegna, 

le quali per� aggiungono due precisazioni: il carattere nazionale e comunque 

sovra-locale dei fini deve essere, ancorch� implicitamente, riconosciuto da un 

precetto costituzionale; ogniqualvolta si sia in presenza di una � riserva di 

legge�, il controllo deve essere esercitato secondo criteri predeterminati. 

La confermata collocazione del comitato regionale di controllo nel novero 

degli organi della regione non pu� non influire, in qualche misura, sui connotati 

funzionali dell'attivit� da detto comitato svolta. 

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

all'approvazione dell'organo statale -dal competente organo deUa regione. 
� questo un motivo in pi� per ritenere che la sopravvivenza del controllo 
in esame abbisogna di un idoneo fondamento giuridico. Occorre, pi� precisamente, 
stabilire se la norma istitutiva della competenza stataile resista 
alle censure, che ne denunziano la divergenza dallo schema dei controlli, 
sancito in Costituzione. Il potere di approvazione deve �in questa prospettiva 
non soltanto strumentalmente connettersi con un fine che; proprio 
della collettivit� nazionale, trascenda la sfora de1l'ente controllato; 
� altres� indispensabile che soccorra un disposto costituzionale, in cui si 
radichi i1 fine perseguito dall'organo statale, e del quale, con il mezzo 

tecnico del controllo, si vuol assicurare 1'adempimento. (omissis) 

Su questi ed analoghi rHievi non �, tuttavia, il caso di indugiare. Alla 

stregua del criterio sopra enunciato, s'impone, infatti, l'altro e assorbente 

rilievo, che la disposizione censurata non �trae titolo giustificativo da 

alcuna norma costituzionale. Delle statuizioni invocate in proposito dal


l'avvocatura -gli artt. 3, 41, terzo comma, 117 e 119, primo comma -. 

solo quest'ultima tocca la mater1a ed i fini specifici per cui si esercita 

il controllo statale: � le regioni � -essa� dispone -�hanno autonomia 

finanziaria nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi della Repubblica, che 

la coordinano con la finanza dello Stato, del!le province e dei comuni�. 

Senonch�, ci troviamo di fronte ad un precetto, la cui attuazione esige 

il rispetto della riserva di legge ivi configurata. IJ legislatore � dunque 

tenuto a modellare in conformit� di quest'esigenza le attribuzioni, che, ai 

fini contemplati dall'art. 119, sono affidate, anche in sede di controllo, 

agli organi statali. Il che implicava che, nella specie, istituito il potere di 

approvazione della commissione, ne fosse anche regolato l'esercizio, in 

guisa da adeguarlo alle forme e ai limiti, richioesti, ex art. 119, per una 

corretta configurazione del coordinamento. Il censurato testo dell'art. 7 

d.P.R. n. 968 del 1954 non adotta, per�, simili cautele. La figura di controllo 
in esso prevista deve quindi essere ritenuta non solo anomala, o 
atipica, ma anche costituzionalmente illegittima, per violazione dell'articolo 
130 Cost. 
Le considerazioni fin qui svolte sono del I'esto avvalorate da altri 
elementi, che possono desumersi dalla normazione successiva alla disposizione 
impugnata, nella quale la commissione � sotto vario rigua11do presa 
in considerazione. Per quel che qui interessa, basta ricordare i provvedimenti 
urgenti e altra disciplina della finanza focale dJ. 29 dicembre 1977, 

n. 946, convertito nella legge 27 febbraio 1978, n. 43; d.l. 10 novembre 1978, 
n. 702, convertito nella legge 8 gennaio 1979, n. 3; d.l. 7 maggio 1980, n. 153, 
convertito nella legge 7 luglio 1980, n. 299; d.l. 28 febbraio 1981, n. 38, convertito 
nella legge 23 aprile 1981, n. 153. Quanto aMe norme del citato dL 
del 1977, e alle altre ivi richiamate, esse pongono -sempre in funzione 
del contenimento della spesa pubblica -larghi e penetranti .limiti alla 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

competenza degli enti locali, in materia di organici e di assunzione del 
personale. Nell'art. 6 della relatiV1a legge di conversione (n. 43 del 1978) � 
detto, al quindicesimo comma, che la commissione mantiene (fino all'entrata 
in vigore della riforma della finanza locale) come unica attribuzione 
quella concernente le deliberazioni (diverse dalle altre, oggetto della discipilina 
dettata nella stessa legge), in tema di trattamento economico del 
personale, e delle connesse modifiche dei moli; e si aggiunge che la commissione 
esercita tali residue competenze nella composizione della sezione 
organici, qual � configurata nella norma censurata in questa sede. Comincia, 
cos�, a profilarsi nel nostro ordinamento una pi� attenta e circoscritta 
definizione delle competen'.lle attribuite alla commissione: il legislatore, 
pur mantenendo espressamente in vigore il contestato potere di approvazione, 
vuol limitarlo, con riferimento sia alla materia che ne � oggetto, 
sia alla sua possibile estensione temporale. (omissis) 

II 

(omissis) Quanto ai conflitti sollevati dal comitato regionale di controLlo, 
la corte deve subito osservare che ;l'eccezione di inammissibilit� 
del ricorso, proposta dall'avvocatura dello Stato, � fondata. L'ordinanzaricorso 
del comitato adombra, va precisato, due possibili prospettazioni 
della controversia instaurata avanti alla corte. Una prima ipotesi, si dice, 
� che � stante l'autonomia� di detto organo, .il conflitto insorga, � a livello 
interorganico �, fra esso e un organo dello Stato, qual � la commissione, 
presso il ministero dell'interno. Sotto altro profilo, tuttavia, il caso di 
specie potrebbe atteggiarsi come un conflitto tra l'ente regionale e l'ente 
Stato: con il che, si assume che tocchi alla regione Veneto di sollevarlo, 
ai sensi dell'art. 134 Cost. � dell'art. 39 legge 11 marzo 1953 sempre in 
relaziione ai motivi dedotti nell'ordinanza-ricorso. 

Va per� detto che 11 comitato ricorrente non � in alcun caso legit


timato a promuovere il sollevato conflitto: n� �a livello interorganico � 

-come, per un verso, esso prospetta -perch� l'asserita autonomia della 

funzione di controllo non implica che si tratti di un potere dello Stato, 

in seno al quale detto organo sia, poi, legittimato a promuovere conflitti 

con gli altri poteri; e se si considera tl'altra ipotesi, perch� -come del 

resto si avverte nella stessa ordinanza-ricorso -il solo organo abilitato 

a sollevare il conflitto fra regione e Stato �, secondo legge, il presidente

1

della giunta regionale. Ci� dispensa la corte dall'occuparsi dell'altro rilievo 

dell'avvocatura, che concerne la tardivit� del ricorso. 

I ricorsi proposti dal presidente della regione Veneto .riguardano, si 

� detto, Ie decisioni adottate dalla commissione, in ordine ai provvedi


menti delle amministrazioni provinciali sopra menzionati (nella specie 

concernenti le province dii Verona e Rovigo, in due distinte e successive 

fasi temporali). In ogni caso, quindi, il conflitto, com'� configurato, sca



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

turisce dall'esercizio di un potere dello Stato, che coesiste con il controllo 
autonomamente e parallelamente esercitato, in conformit� dell'art. 130 
Cost., dal competente organo regionale. Le stesse delibere prov,inciali in 
materia di organico, alle quali 1si riferiscono i ricorsi qui considerati, 
sono state infatti sottoposte, per un verso al controllo del comitato, per 
l'altro <all'approvazione della commiss.ione. Con 1il risultato, si assume 
dalla ricorrente, che il diniego dell'approvazione, anche limitatamente ad 
una parte dei provvedimenti venuti all'esame dell'organo statale, ha non 
soltanto impedito all'ente deliberante di esercitare il suo potere di autonomia, 
ma ha altres� interferito con il funzionamento del comitato: dove, 
s'intende, coincidendo i provvedimenti oggetto dei rispettiv,i cont:rolli, 
l'organo deUa regione e quello dello Stato sono, ciascuno nell'esercizio 
delle proprie attribuzioni, pervenuti a divergenti risultati. Il nucleo della 
presente controversia sta dunque in ci�: che da1lo Stato si nega, e dalla 
regione si asserisce, che il potere di approvazione, da cui emanano i provvedimenti 
�impugnati, � compatibile con il disposto dell'art. 130 Cost. 

(omissis) 

I 

CORTE COSTITUZIONALE, 16 novembre 1981, n. 181 -Pres. e rel. Volterra 
-Meloni (avv. Cervati) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice 
avv. gen. Stato Chiarotti). 

Agricoltura e foreste -Affitto di fondi rustici -Estensione dell'affitto a 
� tutte le colture del fondo -Mancata deroga per i contratti in corso Violazione 
del� principio di eguaglianza. 
(Cost., art. 3; legge Il febbraio 1971, n. Il, art. 19). 

L'art. 19 della legge 11 febbraio 1971, n. 11 (nuova disciplina dell'affitto 
di fondi rustici), nella parte in cui estende l'affitto a tutte le colture del 
fondo per i contratti in corso al momento della sua entrata in vigore, 
contrasta con il principio di eguaglianza, in quanto equipara situazioni 
oggettive eteroge7Jee e non tiene adeguato conto degli interessi coinvolti. 

II 

CORTE COSTITUZIONALE, 14 gennaio 1982, n. 2 -Pres. Elia -Rel. Malagugini 
-Greco (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato 
Laporta). 

Corte Costituzionale -Principio di eguaglianza -Va rapportato a norma 

generale e non a norma derogatoria. 

(Cost., art. 3; d.P.R. 31 maggio 1974, n. 417, art. 26). 

Una questione di legittimit� costituzionale per violazione del principio 
di eguaglianza, in presenza di un.a norma generale e di una norma dero



6 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

gatrice della prima, non pu� essere posta assumendo a termine di raffronto 
la norma derogatrice (1). 

I 

(omissis) La questione � fondata con riferimento al principio d'eguaglianza, 
in quanto la disciplina denunziata equipara situazioni eterogenee. 

t!. da premettere che gi� con l'art. 14 della legge 12 giugno 1962, n. 567, 
era emersa l'esigenza di impedire la concessione separata delle colture del 
suolo o del soprassuolo, ma che in tale legge, proprio ad evitare sperequazioni, 
era previsto che la disciplina non si estendesse ai contratti in 
corso, che J'esclusione di talune colture fosse ammissibile, quando rispondeva 
ad accertate necessit� economiche e che comunque J'estensione dell'affitto 
a �tutte le coltivazioni del fondo non avesse luogo; quando il contratto 
era di affitto per pascolo di terreni alberati e di boschi. La successiva 
legge 15 �settembre 1964, n. 756 (norme in materia di contratti agrari) 
all'art. 11 vieta la concessione separata del suolo e del soprassuolo e 
comunque delle colture del fondo, dichiarando nulli di pieno diritto i contratti 
stipulati in violazione di tale divieto, ma nel contempo dispone che 
tale nullit� non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto 

(1) La sentenza precisa in termini molto chiari un criterio di carattere 
generale, applicabile in molte controversie concernenti asserite violazioni del 
principio di eguaglianza. 
La Corte ha dato pit!na adesione a quanto sostenuto dall'Avvocatura dello 
Stato, come risulta dal brano della �narrativa� della sentenza che si riporta. 
�L'Avvocatura osservava anzitutto che, per una corretta applicazione del principio 
di eguaglianza " non � sufficiente rilevare una diversit� di trattamento per 
desumerne, come meccanicamente conseguenziale, la necessit� di operare una 
elevazione del trattamento meno favorevole al livello del trattamento pi� favorevole" 
ma "� necessario anche individuare il cosiddetto tertium comparationis, 
ossia la norma o principio generale da assumere -o perch� di immediato rilievo 
costituzionale o perch� pi� consono ai valori affermati anche implicitamente 
dalla Costituzione -come termine di riferimento indicativo del livello al quale 
l'eguaglianza deve essere assicurata". Nella specie, sarebbe idonea ad assumere 
il ruolo di misura di comparazione la norma che richiede, per il concorso a 
preside, il possesso di una delle lauree richieste per l'ammissione ai concorsi 
a cattedra nel tipo di scuola considerato (art. 26, .Jett a, prima parte); non invece 
la norma che ammette " gli insegnanti di educazione fisica forniti di laurea". 
La continuit� tra laurea richiesta per l'insegnamento e laurea richiesta per la 
presidenza � infatti un valore che merita di essere conservato, essendo stato 
costantemente ritenuto conforme all'interesse dell'istruzione pubblica che il pre� 
side abbia una formazione e qualificazione professionale omogenea a quella del 
personale docente (cfr. art. 1 d.!. C.P.S. 21 aprile 1947, n. 629, come modificato 

dall'art. 1 della legge 25 maggio 1962, n. 645); ed essendo d'altra parte del tutto 
razionale che per quest'ultimo si distingua tra tipi di laurea, perch� non tutte 
egualmente valide alla formazione di un buon docente ,, 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

esecuzione e aggiunge che la disciplina non si applica ai contratti in 
corso. 

La norma denunziata della legge del 1971, al contrario, unificando le 
diverse situazioni con efficacia retroattiva, non contempera in a:lcun 
modo le varie posizioni dei soggetti e contrasta col fine di stabilire equi 
rapporiti sociali che l'art. 44 Cost. impone primariamente in materia di 
propriet� terriera privata. Sintomo ulteriore dell'drragionevolezza di tale 
disciplina, sempre nella parte in cui riguarda i contratti fo corso, si rinviene 
nella circostanza che la fogge non si cura affatto di disciplinare il 
possibile .concorso di affittuari diversi, senza tener adeguato conto degli 
interessi coinvolti. (omissis) 

II 

(omissis) Il Tnibunale regionale amministrativo della Calabria dubita 
della legittimit� costituzionale dell'art. 26, lettera a), ultima parte, del 

d.P.R. 31 maggio 1974, n. 417. 
La disposizione di legge parzialmente denunziata cos� recita nella 
sua interezza: � Ai concon~i a posti di presdde della scuola media sono 
ammessi: a) gli insegnanti di ruolo della scuola media forniti di una delle 
lauree richieste per l'ammissione ai concorsi a cattedra in tale tipo di 
scuola, nonch� gli fasegnanti di ruolo di educazione fisica forniti di 
laurea�, 

Il giudice a quo chiamato a decidere sul <ricorso di un insegnante di 
ruolo di educazione tecnica neHa scuola media, escluso dalla graduatoria 
provinciale degli aspiranti all'incarico di preside perch� fornito di laurea, 
in sociologia, non compresa tra quelle richieste per l'ammissione ai concorsi 
a cattedra in tale tipo di scuola, ha ravvisato un possibile vizio di 
costituzionalit�, per contrasto con l'art. 3, primo comma, Cost., nel diverso 
e deteriore trattamento riservato dal legislatore a!ltl'insegnante dii educazione 
tecnica fornito di laurea non specifica rispetto all'insegnante di 
educazione fisica, munito di uguale titolo di studio; entrambi insegnanti 
di ruolo nella scuola media, entrambi forniti di Jaurea generica, ma 
escluso il primo ammesso, invece, il secondo al concorso (o alla graduatoria) 
ai posti di preside neHa �sct10la stessa. 

La questione non � fondata. 

Dal complesso delle disposizioni disciplinanti lo stato giuridico del 
personale (direttivo, ispettivo, docente e non docente) della scuola (materna, 
�elementare, secondaria e artistica) dello Stato � agevole dedurre 
il criterio generale fissato dal legisJatore sul punto specifico riguardante 
l'accesso alle funzioni di preside della scuola media. La regola dettata 
al proposito esige, oltre che l'appartenenza ai ruoli della scuola media, 


8 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

il possesso di una deltle lauree richieste per l'ammissione ai concorsi a 
cattedre nella scuola della cui direzione si tratta. 

La prescrizione di cui al denunziato art. 26, lett. a) del d.P.R. n. 417 
del 1974 sembra intesa a garantire, in relazione al tipo di scuola considerato, 
il migliore svolgimento delle funzioni CU!i il personale direttivo 
deve attendere, qua�:i fissate in linea generale dall'art. 6 del medesimo 
d.P.R. 

A tal fine, � stato ritenuto rilevante il possesso di una de1le lauree 
richieste per l'insegnamento nella medesima scuola, in quanto tale da 
garanmre una formazione e qualificazione professionale del preside omogenea 
a quella del personale docente e quindi una pi� sicura capacit� 
del preside stesso, che deve sovraintendere alla scuola soprattutto sotto 
il profilo didattico (cfr. sent. 228 del 1976), di promuovere e coordinare 
le varie attivit� di insegnamento, valutandone anche ,le eventuali carenze. 
Pi� in generale, la regola assunta cornisponde alla convinzione che non 
tutte le lauree sono parimenti valide per la formazione di un buon 
docente di un dato tipo di scuola; e, se cos� �, ad uguale se non a maggior 
ragione ilo stesso 'Oriterio va adottato per la formazione del preside della 
scuola medesima. 

Vero � che il giudice a quo non sembra muovere alcuna censura n� 
nel dispositivo, n� nella motivazione dell'ordinanza di cremissione, alla 
regola generale posta dal legislatore delegato del 1974 nella soggetta materia. 
Neppure egli denunzia -e una tale questione sarebbe stata irrilevante 
-l'art. 26 lettera a) ultima parte del d.P.R. n. 417 del 1974 per ci� 
che in esso � stabilita una deroga in favore degli insegnanti di ruolo di 
educazione fisica muniti di laurea quando anche diversa da quella 'richiesta 
per l'ammissione a concorsi di cattedra nella medesima scuola. 

Anzi, della norma derogatoria tanto � presupposta la Jegittimit� costituzionale 
che essa viene assunta a termine di riferimento nel giudizio 
comparativo di uguaglianza, chiedendosene l'estensione anche agli insegnanti 
di ruolo di altre discipline che versino nella medesima condizione 
e siano cio� muniti di laurea, per cos� dicre, generica. 

Ma una questione di legittimit�. costituzionale per viola~ione del principio 
di uguaglianza, in presenza di norme generali e di norme derogatorie, 
come nel caso in esame, in' tanto pu� porsi iin quanto si assuma 
che queste ultime, e cio� le norme derogatorie, poste in relazione alle 
prime, e cio� alle norme generali, manifestino un contrasto con l'art. 3, 
p11imo comma, Cost. 

Quando, invece, si assume a termine di raffronto del giudizio di 
uguaglianza la norma derogatrice, la questione cos� posta ha in realt� 
per oggetto la norma generale, regolatrice anche della fattispecie iudicanda, 
che si vorrebbe sottratta alla discip1ina, appunto, generale, con 
essa dettata. Detto in altre parole -e con riguardo aI profilo della rile


~:


vanza nel caso di specie -la norma di cui il giudice a quo � chiamato :=:: 

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

9 

a fare applicazione � quella generale di cui all'art. 26, lett. a), prima 
parte, del d.P.R. n. 417 del 1974, che ammette aii concorsi a posti di 
preside della scuola media gli insegnanti di ,ruolo delle scuole stesse 
forniti di una delle lauree richieste per l'ammissione ai concorsi a cattedra 
in tale tipo di scuola media; norma generale che, per il suo contenuto, 
osta all'accoglimento della pretesa del ricor.rente. Ed � appena il caso di 
rilevare che, anche da un punto d� vista logico, il chiedere l'ammissione 
ai concorsi a posti di preside della scuola media degli insegnanti di ruolo 
forniti di una qualsiasi laurea equivale esattamente a voler cancellare, 
per quanto concerne il titolo di studio richiesto, l� norma generale. 

Ci� basta a far ritenere infondata la predetta questione di costituzionalit�, 
anche a prescindere dalle considerazioni sopra svolte sub 2), che 
comunque varrebbero ad escludere un arbitrio del legislatore -e, quindi 
una ti.ngiustificata differenza di trattamento -nel fissare per l'accesso ai 
posti di preside nella scuola media il requisito del possesso di una delle 
lauree richieste per l'ammissione a concorsi a cattedra 'in tale tipo di 
scuola. (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 10 dicembre 1981, n. 183 -Pres. Elia -Rel. 
Paladin -Regione Sicilia (avv. De Fina) e Presidente Consiglio dei 
Minist11i (non costituito). 

Sicilia -Sospensione provvisoria dai pubblici uffici -Componente del 
Consiglio (o Assemblea regionale) -Inapplicabilit� -Componente della 
Giunta regionale -Applicabilit�. 

La sospensione provvisoria dai pubblici uffici � finalizzata ad evitare 
che dal continuato esercizio di un pubblico ufficio da parte dell'imputato 
possano discendere ulteriori abusi; tale misura non pu� essere disposta 
nei confronti di un componente di Consiglio (o Assemblea) regionale, 
posto che detto ufficio � coperto da piena immunit� penale, mentre pu� 
essere disposta nei riguardi di un componente di Giunta regionale (1). 

Nel ricorso introduttivo del presente giudizio si nega che spetti al 
pretore di Augusta, quale organo giurisdi21ionale dello Stato, � or-diinare la 
sospensione cautelare di propri membri al Governo ed all'Assemblea della 
Regione siciliana�; e, per questa parte, si chiede che la Corte annulli 
la sentenza del 18 febbraio 1980, con cui tale giudice ha disposto che 

(1) Cfr. l'ordinanza n. 94 del 1980, in questa Rassegna, 1980, 704. Il testo 
dell'art. 140 cod. pen. � stato sostituito dall'art. 124 della legge 24 novembre 1981, 
11. 689. 

10 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

Salvatore Piacenti venisse sospeso, in quanto assessore regionale alla 
saillit� ed in quanto deputato dell'Assemblea regionaile, dall'esercizio delle 
funzioni governative e assembleari. L'art. 140 cod. rpen., applicato a questi 
effetti dal pretore di Augusta, concernerebbe � soltanto gli uffici amministrativi 
degli enti pubblici (Stato compreso) la cui fugzione � i:istituzionalmente 
aperta a qualsiasi intervento di tipo giurisdizionale secondo l'ordinamento 
legislativo comune �. Per contro, la sospensione dii assessori e 
deputaVi <regionali siciliani non sarebbe ipotizzabile � al di fuori dei casi 
tassativamente stabiliti dallo Statuto si:iciliano, legge costituzionale dello 
Stato�. (omissis) 

D'altro lato, non si pu� dubitare che nel caso in esame sussista la 
materia di un conflitto. A partire dalla sentenza n. 66 del 1964, Ja Corte 
ha pi� volte ritenuto che un conflitto instaurato da parte regionale sia 
suscettibile di trarre origine da un atto giurisdizionale, l� dove ne possa 
conseguire la menomazione della competen2'Ja o deM'autonomia, costituzionalmente 
attribuite alla Regione. Ed � precisamente in questo senso 

che la Sicilia ha proposto ricorso: non gi� censurando l'illegittimit� del 
modo in cui si � concretamente esplicata la giurisdizione del pretore di 
Augusta; bens� deducendo che al pretore stesso, come anche a qualsiasi 
altro giudice penale, sarebbe sottratta in radice -alla stregua di norme 

o principi di rango costituzionale, sia pure inespressi ma univocamente 
desumibili dallo Statuto speoiale siciliano -la facolt� di fare provvisoria 
applicazione di pene accessorie, nei riguardi dei titolari del pubblico 
ufficio di assessore o deputato regionale. 
Nel merito, il ricorso si fonda sulla premessa che, di fronte al potere 
giurisdizionale di sospensione dall'esercizio dei pubblici uffici (configurato 
dagli artt. 140 cod. pen. e 485 cod. proc. pel)..), deputati ed assessori 
della Regione siciliana siano accomunati da un'identica situazione di 
immunit�, implicitamente garantita dallo Statuto speciale. Ma tale .impostazione 
non pu� esser condivisa, per un duplice ordine di ragioni. In 
primo luogo, dato il principio di eguale soggezione di tutti i cittadini alla 
giurisdizione penale dello Stato, non � risolutiva la circostanza che fa 
sospensione non sia testualmente prevista -a questi effetti -da nessuna 
disposizione statutaria; n� gli inconvenienti che Potrebbero discendere da 
un troppo largo esercizio della facolt� in esame valgono ad escludere 
-da soli -la possibilit� che il giudice vi faccia �legittimo ricorso, quanto 
ai componenti del Governo e dell'Assemblea regionali. In secondo luogo, 
deputati ed assessori siciliani si trovano comunque in posizioni ben distinte 
e diversamente regolate dallo Statuto speciale, per cui l'eventualit� di 
una loro sospensione dall'esercizio dei ifispettivi uffici dev'essere separatamente 
valutata: dapprima esaminando se i componenti dell'Assemblea 
regionale siano costituzionalmente esentati dall'applicazione dell'art. 140 

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

cod. pen., per poi stabilire -nel caso affermativo -se allo stesso risultato 
debba pervenirsi per i componenti del Governo della Regione. 

Ora, per quanto concerne i deputati siciliani (ed i consiglieri regionali 
in genere) va ricordato anzitutto che -in base a11a generalis�sima disposizione 
dell'art. 48 terzo comma Cost. �iI diritto di voto non pu� essere 
limitato se non... per effetto di sentenza penale irrevocabile... �. Tale pre 
visione riguarda, testualmente, il solo elettorato att:ivo, la disciplina del 
quale non pu� certo esser confusa con quella pertinente alla capacit� 
elettorale passiva. Ma l'esigenza che gli eletti non siano privati dell'ufficio, 
sinch� non fatervenga una definiti.va condanna .implicante la loro interdizione, 
assume :anch'essa -in linea di massima -un preciso rilievo costituzionale. 
Come questa Corte ha sostenuto nella sentenza n. 46 del 1969, 
�le cause di ineleggibilit�, derogando al pl'incipiio costituzionale della 
generalit� del di>ritto elettorale passivo, sono di stretta interpretazione e 
devono comunque rigorosamente contenersi entro i limiti di quanto sia 
ragionevolmente indispensabile per garantire Ia soddisfazione delle esigenze 
dii pubblico interesse cui sono preordinate �, Ed il cr.Herio sintetizzato 
dalla Corte con l'assunto che � l'eleggibiilit� � 1a .regola, l'ineleggibilit� 
� J'ecoezione �, vale non soltanto per le cause originarie di esclusione, 
ma anche per le cause 1sopraggiunte, compresa l'ipotesd di provvisoria 
sospensione daH'esercizio delle cariche elettive. In altre parole, 
malgrado la citata statuizione dell'art. 48, terzo comma, non s'timponga 
in questo campo con la stessa assolutezza che essa presenta in tema 
di limitazioni dell'elettorato attivo, resta che l'interesse alla conservazione 
dei collegi eletti dal popolo non pu� essere sacrificato, se non in considerazione 
dii effettive necessit� di giustizia, rimesse alle non arbitrarie 
valutazioni del legislatore. Non � dunque casuale che entrambe le Camere 
abbiano recentemente esaminato ed approvato un testo dii legge non ancora 
promulgato, recante modifiche al sistema penale, con il quale si esclude 
fra l'altro -all'art. 124, terzo comma -l'applicabi1it� dell'art. 140 cod. 
pen. a carico dei titolari di � uffioi elettivi ricoperti per diretta investitura 
popolare�. 

Tuttavia, nel caso dei consiglieri regionali (non diversamente, sotto 
questo aspetto, che nel caso dei parlamentari), concorrono fadicazioni 
costitu:zJionali pi� specifiche e stringenti. Tanto i deputati siciliani (secondo 
l'�art. 6 dello Statuto speciale), quanto i consiglieri delle Regioni di diritto 
comune (in base all'analogo disposto del qual'to comma de1l'art. 122 Cost.), 
sono �infatti equiparati ai deputati ed ai senatori della RepubbLica, perch� 
insindacabili od irresponsabili �per i voti dati nell'Assemblea regionale 
e per le opinioni espresse nell'esercizio della loro funzione �. In vista di 
tale disciplina la Corte ha sostenuto (con la sentenza n. 81 del 1975) che 
le conseguenti �deroghe all'attuazione della funzione giurisdizionale� 
-ispirate come sono allo scopo di rendere �pienamente libere � le discus



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

12 

sioni che abbiano comunque luogo in sede consiliare -abbracciano qualsiasi 
tipo di deliberazione, non soltanto legislativa e di indirizzo politico, 
ma anche adottata in �forma ammil1!istrativa �; ed ha pertanto affermato 
il difetto di giurisdizione dell'autorit� giudiziaria ad accertare .le responsabilit� 
penali dei consiglieri regionali, quanto ai voti espressi in seno ai 
Consigli. Ma, per ci� stesso, si pone ora il problema se la comprensjva 
immunit� funzionale da cui sono cos� tutelati i consiglierii non sia tale 
da escludere a priori che in questo ambito possano farsi legittimamente 
valere le peculiari esigenze sulle quaH si fonda l'art. 140 cod. pen. Ed al 
quesito si deve rispondere nel senso affermativo, riconoscendo che le 
ricordate norme statutarie e costituzionaLi non lasciano spazio aUa provvisoria 
sospensione dell'imputato dall'esercizio dell'ufficio consiliare. 

La Corte non ignora che l'istituto dell'applicazione provvisoria di 
pene accessorie ha formato e forma J'oggetto di questioni e dibattiti. concernenti 
la sua natura e la sua ragion d'essere. Ma, ~nche in questo campo, 
si possono fissare alcuni punti fermi, determinanti per la .risoluziione dell'attuale 
controversia. 

La stessa Corte si � gi� pronunciata in proposito, con la sentenza 

n. 78 del 1969: nella quale si chiarisce -in riferimento al secondo comma 
dell'art. 27 Cost. ( � l'imputato non � considerato colpevole sino alla condanna 
definitiva�) -che quelle previste. neH'art. 140 cod. pen. vanno 
ricostruite alla stre,gua � di misure cautelari, e non di sanziioni penali 
irrogate prima del giudizio e quasi antioipandone i risultati �. L'applicazione 
provvisoria di pene accessorie appare cio� finalizzata -come si 
suole ritenere anche in dottrina, sia pure con prospettazioni e con valutazioni 
fortemente eterogenee --ad evitare il pericolo che dal continuato 
esercizio di un pubblico ufficio (o dii una professione o di un'arte o deHa 
patria potest�...), da parte deWimputato di un reato imp~icante l'interdizione 
ai sensi degli artt. 28 ss. cod. pen., possano discendere ulteriori 
abusi penalmente iilleciti. In effetti, � questo il concetto che gi� si ricava 
sia dai lavori preparatori sia dal testo stesso dell'art. 140. Da un lato, la 
relazione sul progetto del codice penale osserva che si tratta di una 
norma avente �intenti di sicurezza� e definisce il provvedimento del tipo 
in esame come una � misura amministratliva �, affiancandolo alla carcerazione 
preventiva. D'altro lato, solo .in tal senso si spiega che l'art. 140 
preveda espressamente la sospensione dall'esercizio di taluni specifici 
uffici, accanto all'ipotesi d'una applicazione proVV1isoria indiscriminata. 
Ed � appunto in questa prospet:tiva che l'art. 124, primo comma, del 
ricordato testo di legge in tema di modifiche al sistema penale, precisa 
ora che alla sospensione stessa non pu� farsi ricorso, se non �quando 
sussistJano specificate, inderogabili esigenze istruttorie o sia necessario 
impedire che il reato venga portato a conseguenze ulteriori �. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Ci� basta per concludere che la norma in questione non pu� comportare 
la sospensione dall'esercizio dell'ufi�icio di consigliere regionale, 
per l'ovvia ragione che detto uffioio -in s� considerato -risulta coperto 
da una piena immunit� penale; sicch� la provvisoria privazione non 
potrebbe svolgere, in tal caso, la funzione caute~are che le � propria. 
(omissis) 

Viceversa, nessuna delle ragioni utilizzabiH per escludere la provvisoria 
sospensione dei' deputati regionaLi siciliani vale a risolvere nel 
medesimo senso il cor11ispondente problema relativo aglii assessod. 

Anche .in Sicilia, i componenti deUa Giunta regionale sono ormai sottoposti 
al comune ordinamento processuale penaie, da quando la Corte ha 
dichiarato -con la sentenza n. 6 del 1970 -l'illegitmmit� costituzionale 
degLi artt. 26 e 27 dello Statuto speciale siciliano. E la ricordava sentenza 

n. 81 del 1975 ha d'altronde chiarito, in termini che non potrebbero non 
riferirsi a qualsiasi Regione, che J'irresponsabilit� dei consiglieri non si 
estende a coprire le funzioni della. Giunta, perch� non lo consentano la 
lettera dell'art. 122 Cost. e la ragion d'essere di tale immunit�. (omissis) 
P.Q.M. 
1) dichiara che non spetta agli organi giurisdizionali dello Stato la 
facolt� di sospendere provvisoriamente dall'eserci~io del loro ufficio -in 
applicazione degli artt. 140 cod. pen. e 485 cod. proc. pen. -i deputati 
dell'Assemblea regionale sici1iana; e, di conseguenza, annuhla la sentenza 
pronunciata dal pretore di Augusta, il 18 febbraio 1980, nella parte in cui 
ordina che Salvatore Placenti sia provvisoriamente privato dell'esercizio 
del pubblico ufficio di deputato regionale; 

2) dichiara che spetta agli organi giurisdizionali dello Stato Ja facolt� 
di sospendere provvisoriamente dall'esercizio del loro uffioio -in applicazione 
degli artt. 140 cod. pen. e 485 cod. proc. pen. -gli assessori della 
Giunta regionale siciliana. 

CORTE COSTITUZIONALE, 1 febbraio 1982, n. 7 -Pres. e Rel. Elia -Soc. 
F.lli Vudafieri (avv. Benvenulli), Olivari ed altri (avv. RomaneUi), Regione 
Veneto (avv. Giannini, Pancino e Viola) e Regione Lombardia 
(avv. Pototschnig). 

Miniere, cave e torbiere � Regime generalizzato di autorizzazione -Preven


zione ad opera di leggi regionali � Legittimit� costituzionale. 

(Cost., artt. 42 e 117; I. reg. Veneto, 17 aprile 1975, n. 36, artt. 5, 16 e 18; I. reg. Lom


bardia, 14 giugno 1975, n. 92, artt. 2, 3 e 22). 

In attesa di una legge statale contenente i principi fondamentali della 
materia " cave e torbiere �, la previsione con leggi regionali di un regime 
generalizzato di autorizzazione per la coltivazione dei giacimenti o per 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

il proseguimento delle coltivazioni in atto non pu� essere ritenuta icontrastante 
con gli artt. 42 e 117 Cast. 

(omissis) Le questioni sollevate riguardano quelle norme delle 
leggi regionali del Veneto e della Lombardia che hanno introdotto il 
regime autorizzatorio su scala generale per la coltiivazione dei giacimenti 
di cave e torbiere o per il proseguimento delle coltivazioni gi� in atto 
al momento della �entrata in �vigo1:1e delle leggi stesse. Tale innovazione 
contrasterebbe con l'art. 117 della Costituzione in quanto dall'or<ldnamento 
statale (art. 45, primo e secondo comma, del r.d. 29 luglio 1927, n. 1443 
sulla ricerca e coltivazione delle miniere) si r.icaverebbe un principio della 
materia incompatibile con la genernlizzamone del regime autorizzatorio. 
Inoltre, eccessiva sarebbe la latitudine del potere discrezionale delle 
amrninistraZJioni regionali in ordine al rilascio delle ,autorizzazioni, specie 
quando il diniego di queste, nella fase precedente l'adozione dei piani regionali 
per l'attivit� estrattiva, risulterebbe in pratica a tempo indeterminato 
(e ai� in contrasto, secondo il T11ibunale amministrativo del Veneto, 
anche con l'art. 42 della Costituzione). 

Le questioni cos� proposte non sono fondate. 

Il thema decidendum va peraltro ricondotto alla specifica materia 
�cave � torbiere�, autonomamente prev.ista dall'articolo 117, primo comma, 
della Costituzione, tra quelle rientrantii nella competenza legislativa 
concorrente delle Regioni a statuto ordinario; senza che sia necessario, 
dunque, procedere ad una disamina delle numerose 1autorizzazioni che 
condizionano, nella disciplina legislatdva statuale vigente, l'inizio di attivit� 
economiche -iindustriali e commerciali -pur garantite dall'art. 41 della 
Costituzione. 

In questa pi� limitata prospettiva si deve ricordare quanto fu enunziato 
da questa Corte, e non certo in guisa di obiter dictum, nella sentenza 

n. 20 del 1967. In tale pronunzia si sottolineava la �comune ispirazione� 
della disciplina sulle cave e suhle miniere, assolvendo in entrambi i casi 
l'attiviit� estrattiva � a fini dii utilit� generale �; si affermava poi che 
�nel diritto acco11dato al proprietario del fondo sulla oava che vi affiora, 
si Jmmedesima una destinaZJione che lo fa divenire mezzo di realizzazione 
di un interesse pubblico, e sostanzJialmente lo affievolisce �; e si concludeva 
osservando ohe, quale che fosse la natura del diritto del privato 
sulla cava, questo sarebbe attribuito �con i limiti impressi dalla rilevanza 
pubblica del bene, e questi limiti si inseriscono nella stmttura del diritto, 
comunque esso si qualifichi, caratte11izzandolo nella sua giuridica essenza, 
vincolandolo indissolubilmente ad UJn esercizio che svolga quella funzione 
d';interesse generale cui la cava �, di per s�, destinata �. 
Tali affermazioni, poste a .sostegno della dichiaraZJione di non fondatezza 
della questione di legittimit� costituzionale del quarto comma dello 
art. 45 del r.d. 29 luglio 1927, n. 1443, non sono certo risolutive a favore del-

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

aa non fondatezza delle questioni ora proposte, perch� l'interesse generale 
cui si riferisce questa legge delegata � senza dubbio l'interesse della produzione, 
app1icata alla estrazione dei materiali contenuti nei giacimenti 
di cava; tuttavia le proposiz.ioni citate sono significative in quanto sottolineano 
come, ,ancor prima dell'ingresso nell'ordinamento dell'art. 41 della 
Costituzione, il diritto dominicale sulla cava fosse geneticamente condiZlionato 
ad intra dalla tutela di un interesse pubblico, cui l'evoluzione legislativa 
e costituzionale potrebbe affiancare altri, diversi ,interessi della 
stessa natura. 

Del resto non va trascurato che divieti o limiti puntuali, da farsi 
valere in taluni casi mediante interventi preventivi di �tipo autorizzatorio, 
erano previsti da varie fonti normative. Cos� la regolamentazione amministrativa 
della attivit� cavatorfa che provochi emungimento di acque si ricava 
dall'art. 169 legge 20 marzo 1865, alt F (successivamente ,art. 97 del 

r.d. 25 luglio 1904, n. 523), dall'art. 93 del Testo unico sulle acque n. 1775 
del 1933 nonch� dall'art. 104 del d.P.R. 9 aprile 1959, n. 128, che vieta gli 
scavi a cielo aperto in prossimit� di sorgenti, di corsi d'acqua senza opere 
dii difesa, di opere di difesa dei corsi d'acqua, salva l'eventuale autorizzazione 
del Prefetto, poi di spettanza delle Regioni secondo l'art. 1 del 
d.P.R. 14 gennaio 1972, n. 2 (il potere di autorizzare l'escavazione di sabbia 
e ghiaia nell'alveo dei corsi d'acqua � stato trasferito alle Regioni dallo 
art. 62, comma secondo, lett. a) del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616). Gli artt. 
104 e 105 del d.P.R. n. 128 del 1959, si applicano, oltrech� ai corsi d'acqua, 
alle zone in prossimit� di strade o di edifici; mentre per le zone sottoposte 
a vincolo idrogeologico il regime autorizzatorio � disposto dall'art. 7 del 
r.d. 30 dicembre 1923, n. 3267, per quelle sottoposte a ivincolo alberghiero 
o forestale l'art. 62, secondo comma, lett. b del d.P.R. 24 luglio 1977, 
n. 616 prevede ora che spetti alle Regioni il relativo potere di autorizzazione 
(altre limitazioni connesse alle boillifiche di terreni paludosi erano 
disposte dall'art. 133, '1ett. d del regolamento approvato con r.d. 8 maggio 
1904, n. 368). 
N� va �t:riascurata ila possibilit�. di interventi di quest'ultimo tipo a 
suo tempo preVlisti dall'art. 8 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, (norme 
sulla protezione delle bellezze naturaLi) e dall'art. 30 del rngolamento per 
l'applicazione dii questa legge (r.d. 3 giugno 1940, n. 1357). Nemmeno la 
previsione di questi limiti, per il loro carattere puntuale (e di eventuale 
applicazione), potrebbe fondare il potere delle Regioni dii disporre un 
regime generale di autorizzazione per l'attivit� cavatoria; tuttavia, da 
questo insieme di disposizioni si trae pur sempre l'indicazione di una pluralit� 
di interessi pubblici presi in considerazione dal legislatore a proposito 
di coltivazione dei giacimenti di cava, interessi che non possono dunque 
ridursi a quello della massimizzaZJione produttiva di cui all'art. 45 
del r.d. n. 1443 del 1927. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

16 

Ma � con la legge 29 novembre 1971, n. 1097 (norme per la tutela delle 
bellezze naturali ed ambientali e per '1e attivit� estrattive nel ter.ritorio 
dei Colli Euganei) che fa ingresso nel nostro ordinamento il principlio 
secondo il quale la tutela cli un interesse pubblico, cons:idemto in relazione 
al!'attivJt� di coltivazione dei giacimenti di cava, pu� dar luogo a regime 
generalizzato di autorizzazione. E' evidente dnfatti, per qualsiasi lettore 
di questo testo ,legislativo, che la sottoposizione del progetto di coltivazione 
all'esame del sovrintendente ai monumenti (ed ora all'autorit� 
regiona1le) � considerato il mezzo necessario per accertare se la prosecuzione 
dell'attiv:it� estrattiva � risul�i �li pregiudizio all'ambient'e paesaggistico 
e naturale� (art. 3, ultimo comma). Si noti inoltre che �l terzo 
comma del citato articolo precisa nella sua ultima parte: �Resta salva, 
al riguardo, e per tutta la materfa afferente alle cave, la competenza della 
Regione ad emanare apposite norme legislative �; una formula che pare 
ammettere interventi regionali legislativi (e �perci� �amministrativi), ;regolanti 
l'attivit� estrattiva e trascendenti il quadro delJa legislazione nazionale 
fino allora vigente. 

E che non si trattasse di normativa necessariamente circoscriitta alla 
fattispecie territoriale dei Colli Euganei era ben rilevato da questa 
Corte. nella sentenza n. 9 del 1973 (n. 8 del considerato in diritto), con questa 
affermazione: �La Corte osserva che i tl:imitri di localizzazione della 
legge in esame non costituiscono trattamento singolare e differenziato 
da quello di situazioni che, altrove, siano ritenute, di volta in volta, sotitoponibili 
ad eguale tutela�. E' naturiale che, generahlzzandosi la necessit� 
della tutela di questo e di altri interessii pubblici rJconosciuti dall'ordinamento, 
si generalizzasse anche 'i!l riicorso al tipo di intervento preventivo, 
ritenuto dalla legge statale strumento necessario per realizzare la salvaguardia 
di quegli interessi. Tanto pi� che H regime autorizzatorio si presenta 
nelle leggi regionali del Veneto e della Lombardia non soltaJnto come 
mezzo dd controllo del rispetto, tra le altre, delle esigenze di ricettivit� 
dei territorio, di tutela dagli inquinamenti, di dimensionamento del materiale 
estraibile alle necessit� obbiettive di impiego del materiale estratto; 
ma come mezzo necessario per l'attuaZJione �cli un piano regionale di attivit� 
estrattiva. Pi� in particolare, dalla legge statale per la protezione 
dei Colli Euganei si I'icava anche che, nella valutazione deg~i interessi 
pubblici, il legislatore prima ed entro limi1ti ovviamente pi� ristretti 
l'amministratore poi possono subordinare l'interesse della produzii.one, da 
soddisfare con l'attivit� estrattiva, ad altri interessi pubblici, riconosciuti 
dall'ordinamento. N� al potere regionale di disporre legiislativamente in 
ordine al provvedimento di autorizza21ione in tema di aperitura di cave o 
di proseguimento nella loro coltivazione � di ostacolo iii. particolare regime 
di delega delle funzioni amministrative previste dall'art. 82 del d.P.R. 

n. 616 del 1977, in quanto la ratio di questa disposiizione � limi1:ata alla protezione 
dei beni ambientali. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Va da s� che sarebbe stato auspicabile, a fini di certezza del diritto e 
di disciplina pi� omogenea ne1le Regioni a statuto ordinario, che il 
legisilatore statale avesse da tempo adottato una legge contenente i principi 
fondamentali della materia (ed � lecito sper.are che le difficoLt� ii.ncontrate 
nell'iter legislativo possano essere liinalmente superate). Ma, in 
attesa di una aggiornata legislazione, non si pu� affermare che manchi, a 
proposito di cave e torbiere, un principio il quale consenta di dii.re 
rispettato J'art. 117 della Costituzione, (secondo l'a11t. 17, terzo comma, 
dehla legge 16 maggio 1970, n. 281), da parte delle leggi regionali Veneta 
e Lombardia, nelle disposizioni sottoposte al sindacato dii questa Corte. 

Che poi l'art. 42 della Costituzione non sia violato risulta ,chiaran1ente 
da qurunto � disposto nel secondo comma di questo 1articolo circa i Jimiti 
de11a propri.et�, in corrispondenza con il precetto dell'art. 41 della Costituzione, 
secondo cui l'iniziativa economica pr.ivata non pu� svolgersi fin 
contmsto con l'utilit� sociale. Ed il pacifico accoglimento del regime autorizzatorio 
per le attivlit� estrattive delle cave nelle leggi di 1alcune regioni a 
Statuto speciale e delle provincie autonome della Regione Trentino-Alto 
Adige conferma che esso non � stato ritenuto in contrasto n� con l'art. 42 
dehla Costituzione n� con i principi dell'ordinamento giuridlico dello 
Stato (legge Regione FrtlUJLi-Venezia Giulia 16 agosto 1974, n. 42; legge 
Regione siciJiana 9 dicembre 1980, n. 127; legge provinciale di Bolzano 
12 agosto 1976, n. 32 e legge provinciale 'di Trento 12 dicembre 1978, n. 59). 

Circa le censure mosse in tema di giusto procedimento, ncl senso che 
le leggi de quibus a1ltribUJirebbero un potere dliscrezionale troppo Iato 
alle auto:r�.t� regionali, � da dire che in nessun caso dovrebbe trattarsi 
di valutazioni Tiducibili a giudizi di oppo11tundt�; tra l'altro, la motivazione 
dei provvedimenti dovrebbe riferiTsi a11a tutela deglli specifici :interessi 
pubblici, cui ifamno esp1i�itamente cenno le l.eggi contestaite. 

UJteriori limiti alla discrezionaLit� degLi amministratori Tegionali dovrebbero 
poi disoendere daHe indioazioni del piano regionale delle attivit� 
estrattive, se queste riusciranno ad essere suffiaientemenre specifiche. 
Nell'attesa -certo non a tempo indeterminato -del piano, anche .i divieti 
di carattere genernle adl'apertura di nuove cave o :al proseguimento della 
coltivazrlone gi� in aitto dovrebbero avere una operativit� dii durata circoscr.
itta, a finalit� di salvaguardia per un tempo Iimitato. 

Se per� il diritto vivente (e non semplici deviiamond applicative) dovesse 
formarsi ,in violazione del principio del giusto procedimento, esercitandosi 
dalllautorit� regionale pote:r�. a d:iscrezlionalit� non limitata, allora, al 
di J� dehle opinabili distinzioni tra carattere autorizzatorio e concessorio 
dei provvedimenti, muterebbero i ter:minii norma1Jivli delle questioni attualmente 
sottopoS<te all'esame di questa Corte (che restano invece integri, 
per la legge della &egione Veneto, madgrado il soprnvvenire delle leggi 
regionali 22 gennaio 1980, n. 5 e 20 agosto 1981. n. 50). (omissis). 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

18 

CORTE COSTITUZIONALE, 1� febbraio 1982, n. 9 -Pres. Elia -Rel. Mala


gugini -Valmaggia (u.p.) e Presidente Consigil:io dei Ministri (avv. 

Stato Angelini Rota). 

Procedimento penale -Diritto di difesa -Assenza dell'imputato nel dibattimento 
-Legittimo impedimento. 
(Cost., art. 24; cod. proc. pen., art. 428). 

Contrastano con l'art. 24 Cost. l'art. 428, primo comma, cod. proc. pen. 
nella parte in cui non consente la sospensione o il rinvio del dibattimento 
dove l'imputato, gi� interrogato, si astenga dal comparire o si allontani 
dall'udienza per legittimo impedimento, nonch� l'art. 428, secondo comma, 
di detto codice, limitatamente all'avverbio �soltanto� (1). 

(omissis) Garanzia del contraddittorio significa che la legge deve assi� 
curare alle parti e -per quanto qui interessa -all'imputato la possibilit� 
di partecipare al dibattimento per l'esercizio della attivit� difensiva consentita, 
con la conseguenza che soltanto la volontaria rinuncia dell'imputato 
a presenziare al dibattimento, in quanto espressione di una sua libera 
e .incoercibile scelta difensiva pu� giustificare, sul piano costituzionale, la 
limitazione del contraddittorio che in tal modo si attua. 

A questo criterio appare ispirata la normativa Vligente per oi� che concerne 
l'assenza dell'imputato al .dibattimento. Cos�, il giudizio contuma� 
ciale, � escluso quando � provato che l'assenza dell'.imputato � dovuta 
ad assoluta impossibilit� di comparire per legittimo impedimento, presumendosi 
negli altri casi, una volta accertata la regolarit� delle notifilcazioni, 
.la volont� dell'imputato -che non abbia chiesto o consentito che 
si proceda .in sua assenza -dii non partecipare al dibattimento (artt. 497 
e 498 cod. proc. pen.). 

Cos� una volta iniziato il dibattimento, costituisce una scelta dell'imputato 
detenuto rifiutare di assistervi, senza esservi cos;tJretto da una assoluta 
necessit� determinata da legittimo impedimento e del pari riconducibile 
ad un suo comportamento volontario � l'evasione da lui consumata (art. 
427 cod. proc. pen.) cos� come � il suo allontanamento -temporaneo, o 
anche definitivo in caso di duplice espulsione, ma salvo sempre il diritto 
a prendere per ultimo Ja parola -per ordine del presidente, del pretore, 

o dJO loro assenza, del pubblico ministero (art. 434 cod. proc. pen., nel testo 
modificato dall'art. 9 del decreto legge 21 marzo 1978, n. 59, convertito 
con modificazioni nella legge 18 maggio 1978, n. 191). 
(1) Sul punto che il diritto � irrinunciabile � all'autodifesa � distinto dal 
diritto di difesa tecnica, cfr. Corte cost. n. 205 del '1971 e n. 186 del 1973. Cfr. 
inoltre Corte cost. n. 125 del 1979, in questa Rassegna, 1979, I, 619. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

In tutti questi casi l'imputato � rappreseDJtato dal difensore, � ad ogni 
effetto�, statuiscono le pertinenti disposizi�mi del cod. proc. pen. anche 
se in realt� la rappresentanza vale solo ai fini del termine per impugnare, 
di talch� l'espressione usata sta, per il resto, a .ribadire Ja intatta possibilit� 
dell'esercizio di attivit� difensive da parte del difensore. 

Dallo schema cos� riassunto, che vuole garantita all'imputato la possibi1it� 
di partecipare al dibattimento, dalJ.'iTI!izio alla fine e consente si 
proceda senza di foi solo se l'assenza sia, in modo esplicito od imp1ioito, 
frutto di. una sua libera scelta, o comunque idi tlil1 suo comportamento volontario, 
,fuOI'iesce la norma denunziata di cui all'art. 428, primo comma 
cod. proc. pen., che vieta la sospensione o 1il 11invi�O del dibattimento quando 
l'imputato, libero, si allontana daH'udienza o si astiene dal comparire, 
in qualsiasi momento dopo l'interrogatorio; norma che, per giurisprudenza 
costante, 'in coerenza con il disposto del secondo comma dehl'articolo 
medesimo, per l'uso dvi fatto dell'avverbio � soltanto�, viene interpretata 
nel senso che essa comporta per il giudice un vero e proprio divieto di 
sospendere o rinviare il dibattimento anche se e quando sia stato accertato 
-attrave11so la Libera valutazione operiata dal giudice stesso della 
relativa prova -che l'imputato libero e gi� interrogato si rtrova nella 
assoluta 1impossibilit� di essere presente per legittimo impedimento. 

La 4isposizione di legge in esame con la quale, contro .il parere della 
Commissione parlamentare, venne modificato il sistema del codice del 
1913 (che dava facolt� al giudice, nella fattispecie considerata, di sospendere 
o rinviare il dibattimento per � giusti motivi �) fu giustif\icata (nella 
rela:ziione al re sul nuovo codice di procedura penaile, n. 138) con ['dntento 
di ev.itare ritardi � non necessari � allo svolgimento del processo, sulla 
base dell'assunto per cui �dopo aver reso l'interrogatorio, l'imputato, di 
regola, non ha altro da dire, che l'attivit� lll.erente alla difesa viene esercitata 
dal �difensore�. E' chiaro, per quanto si � sdn qui detto, che una affermazione 
del genere, se pu� trovare riscontri neLla praitfoa giudiziaria, 
esprime una concezione estremamente riduttiva del1a partecipazione personale 
dell'imputato al dibattimento,� che deroga a1la regola generale 
dettata, per questa parte, dallo stesso codice processuale penale e che si 
pone dn netto contrasto non solo e non tanto con i mutamentd intervenuti 
nei live11i culturali e nei rapporti sociailii -che si riflettono nei rapporti 
tra cittadini e auto11H� -quanto soprattutto con il diritto di difesa nel 
processo penale, sotto H profilo della difesa personale, garantito dallo 
art. 24, secondo comma, Cost., e con la libert� della scelta, appunto, difensiva 
che esso comporta. Ci� che l'iimputato ha (ancora) da dire dopo aver 
reso l'.interrogatorio, non pu� formare materia di prestlll1zione: certamente 
non di una presunzione formulata in termini cos� assoluti come quelli che 
si desumono dalla norma in questione, �che, si ripete, comporta il tassativo 
divieto di sospendere o r.inviare il dibattimento anche l� dove -come ad 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

esempio in caso di emergenze processuali del tutto nuove -la necessit� 
di consentirgli di fornire u1teriori discolpe ai fini di un pieno esercizio 
del diTitto di difesa appaia evidente. 

Ci� �Che rileva dunque, ai f�ini dell'osservanza del disposto dell'art. 24, 
secondo comma, Cost., � garantire all'imputato la possibiiliit� di intervenire. 
In un sistema che consente all'imputato di rendere l'interrogatorio 
anche rifliutandosi di rispondere, senza che peroi�, venga minimamente 
affievolita la sua facolt� di fare succesSlivamente tutte le dichiarazioni 

I 

che �ritiene opportune in sua difesa o di conferire con jJ suo difensore, 

I

escluderlo aprioristicamente dal prosieguo del dibattimento contro fa 
sua volont� in ragione della impossibilit� assoluta in cui egli si :trovi, per 

I

legittimo impedimento, di presenziare ad una udienza determinata com


I ~ 
i 

porta un ingiustificato saarif�icio dello stesso diritto di difesa, neWaspetto 
considerato. Cevtamente, non sfugge alla Corte la esigenza -al f�ine di 
garantire un'ordinata amministrazione della giustizia -che � dJ. processo 
possa progredire verso :la decisione finale e se ne impedi1sca 1'1indefinito proI 
trarsi� (sentenza n. 111 del 1970). Essa tuttavda, non pu� valeve a giustif�i1 
care una compressione cos� incisiva del divitto �di difesa quale quella che I 
discende dalla norma impugnata. Da un punto di vista pi� generale, se la J 
pienezza del contrnddittorio al dibattimento � condizione ottimale per t 

~ 

lo svolgimento della funzione giurisdizionale, possono legittimamente con{~ 
!


sentirsi soltanto quel!le attenuazioni di siffatta gara1121ia posta -si rii.pete 

~ 

nell'iinteresse non solo dell'imputato ma anche della .societ� -che discendano 
dall'incoercibilit� del diritto di difesa, espressione di un fondamenl 
~ 

I f. 

tale diritto di libert�, intatto restando l'obbligo del legislatore di predisporre 
le condizioni che ne rendano possibile ,!'esercizio. 
N� si pu� condividere l'opinione per cui all'assenza dell'imputato nel 

j

dibattimento pu� sempre e comunque supplire 1H difensore tecnico, posto 

che la �rappresentanza processuale affidata a quest'ultimo ex lege, volta 

a consentire, in assenza de1l'imputato, uno svolgimento non monologiico 

I

del dibattimento e soprattutto al fine priatico di ieui all'art. 472, ultimo j 
comma, cod. proc. pen., non pu�� fuoriuscire dall'ambito dei compiti di 
� assistenza � tecnica cui � preposto ril professionista, quale ne possa essere 
l'ampiezza e l'incidenza, strettamente dipendenti, peraltro, dal tipo di 

I 

rapporto che in concreto si instaura tra i due soggetti. Ed � 1appena il 

caso di ricordare che J'unica ipotesi iin cui � consentito all'imputato di 

II

farSl:i rappresentare nel giudizio dal difensore � queLla pr.evista dall'art. 125, I 

I 
secondo comma, cod. proc. pen., nella quale tuttavia, � irisevvata al giudice I

! 

la facolt� di ordinarne fa comparizione personale. Ulteriore dimostrazione 
questa della ritenuta insostituibilit� della presenza delfimputato 
al ,dibattimento {ribadita sotto un profilo sostanziale, dall'avt. 445, secondo 
comma, cod. proc. pen.) e, comunque, della Libert� e della autonomia di 
ogni sua scelta in proposito. {omissis). 



PARTE i, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

I 

CORTE COSTITUZIONALE, 2 febbraio 1982, n. 16 � Pres. E1ia � Rel. De 
Stefano -Marel:la (n.rp.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. 
gen. Stato Azzaniti). 

Famiglia � Matrimonio � Trascrizione del matrimonio canonico � Pubbli� 
cazioni anteriori a matrimonio canonico � Matrimonio contratto da 
~orenne � Illegittimit� costituzionale. 
(Cost., art. 3; legge 27 maggio 1929, n. 847, artt. 7 e 12)i 

Per compiere la scelta tra matrimonio civile e matrimonio canonico 
� necessaria la capacit� di agire, la quale si acquista con la maggiore et� 

o con il formale riconoscimento della idoneit� a contrarre precoce matrimonio. 
Contrastano con il principio di eguaglianza (art. 3 Cast.) l'art. 12 
della legge 27 maggio 1929, n. 847 nella parte in cui non dispone che non 
si faccia luogo alla trascrizione anche nel caso di matrimonio canonico 
contratto da minore infrasedicenne o da minore che abbia compiuto gli 
anni sedici ma non sia stato ammesso al matrimonio ai sensi dell'art. 84 
cod. civ., e l'ultimo comma dell'art. 7 della legge predetta nella parte in cui 
non dispone che l'autorit� giudiziaria decida sull'opposizione anche quando 
questa sia fondata sulla causa indicata nell'art. 84 cod. civ. 
II 

CORTE COSTITUZIONALE, 2 febbraio 1982, n. 18 -Pres. Elia -Rel. De 
Stef�ano -Oliva ed altri (avv. MelLini), Di FJilippo (avv. Barile, F.i.lippucci 
(avv. Mirabelli), Cioci ed altri (avv. Bemardirn), Papaleo (avv. 
LeJii), Gospodinoff (avv. Gismondi e Satta), e Presidente Consiglio dei 
Ministri (vice a\rv. gen. Stato Azzariti). 

Procedhnento civile � Delibazione di sentenza ecclesiastica � Tutela giurisdizionale 
offerta dall'ordinamento canonico � Adeguatezza o meno � 
Ininfluenza � Cognizione del giudice statale nello speciale processo di 
delibazione � Limiti � Illegittimit� costituzionale. 
(Cost., art. 24; legge 27 maggio 1929, n. 810; art. l; legge 27 maggio 1929, n. 847, art. 17). 

Matrimonio � Dispensa dal matrimonio rato e non consumato � :Il:. atto 
amministrativo canonico � Esecutivit� agli effetti civili -Illegittimit� 
costituzionale. 
(Cost., art. 24; legge 27 maggio 1929, n. 810; art. 1; legge 27 maggio 1929, n. 847, art. 17). 

Il diritto alla tutela giurisdizionale si colloca al livello di principio 
supremo solo nel suo nucleo pi� ristretto �d essenziale; tale qualifica non 
pu� estendersi ai 11ari istituti in cui esso concretamente si estrinseca 
e secondo le mutevoli esigenze storicamente si atteggia; pur se taluni 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

di questi istituti siano garantiti da precetti costituzionali. Ai fini di una 

pronuncia sull'asserito contrasto, della riserva alla giurisdizione eccle� 

siastica delle cause di nullit� dei matrimoni canonici trascritti agli 

effetti civili, con il supremo principio del diritto alla tutela giurisdi� 

zionale, � ininfluente una verifica dell'adeguatezza della tutela in con


creto assicurata dalla giurisdizione ecclesiastica. Peraltro. sono costitu


zionalmente illegittimi l'art. 1 della legge n. 810 del 1929, limitatamente 

all'esecuzione data al sesto comma dell'art. 34 del Concordato, nonch� 

il secondo comma dell'art. 17 della legge n. 847 del 1929, nella parte in cui 

tali norme non prevedono che alla Corte d'appello, all'atto di rendere 

esecutiva la sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullit� di matrimo


nio canonico trascritto agli effetti civili, spetta accertare che nel proce


dimento innanzi ai tribunali ecclesiastici sia stato assicurato alle parti il 

diritto di agire e resistere in giudizio a difesa del proprio diritto, e che la 

sentenza medesima non contenga disposizioni contrarie all'ordine pubblico 

italiano. 

La riserva per la dispensa dal matrimonio rato e non consumato, 

concretando un'alternativa alla giurisdizione dei tribunali dello Stato, non 

pu� sottrarsi, bench� disposta con norma concordataria, fornita quindi 

di copertura costituzionale, alla verifica se nel suo ambito sia egualmente 

assicurato il diritta alla tutela giurisdizionale; detta tutela non pu� rea


lizzarsi in un procedimento, il cui svolgimento e la cui conclusione tro


vano dichiaratamente collocazione nell'ambito della discrezionalit� am


ministrativa, e nel quale non vengono quindi garantiti alle parti un giu


dice e un giudizio in senso proprio. Pertanto, sono costituzionalmente il


legittimi l'art. 1 della legge 27 maggio 1929 n. 810, limitatamente all'esecuzione 
data all'art. 34, commi quarto, quinto e sesto, del Concordato, e 
l'art. 17 della legge 27 maggio 1929, n. 847 nella parte in cui le suddette 
norme prevedono che la Corte d'appello possa rendere esecutivo agli 
effetti civili il provvedimento ecclesiastico, col quale � accordata la di. 
spensa dal matrimonio rato e non consumato, e ordinare l'annotazione 

nei registri dello stato civile a margine dell'atto di matrimonio. 

I 

(omissis) Con l'ancorare la capacit� di contrarre matrimonio di en� 
trambi i nubenti alla maggiore et�, e con il subordinare la possibile 
ammissione al matrimonio di minore che abbia compiuto i 16 anni, non 
soltanto alla sussistenza di gravi mothni, ma anche allo specifico accertamento 
della sua maturit� psico.fisica, la riforma del diritto di famiglia ha 
;introdotto una sostanziale divergenza tra ordinamento statuale e ordinamento 
canonico per quanto concerne ila disciplina dell'aetas nubilis. Per 
cui ben pu� ver.ificarsi -come appunto � avvenuto nei casi che formano 
oggetto dei giudizi a quibus -che minore nori ammesso a contrarre matri



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

monio civile per carenza� dell'et� prescritta dalla legge dello Stato (o, se 
minore ultrasedicenne, per non aver chiesto ed ottenuto l'ammissione dal 
tribunale per i minorenni), venga, invece, dall'autorit� ecclesiastica ammesso, 
per avere attinto i pi� bassi limiti di et� fassati dail can. 1067 del 
codex iuris canonici (e malgrado la raccomandazione, rivolta nel � 2 dello 
stesso canone ai pastores animarum, di far rispettare i limiti di et� in uso 
nei diversi luoghi) a contrarre matrimoillio canoillico .e, attraverso la trasc11izione 
del relativo atto, acquisisca quella tondizione giuridica di coniuge 
che non gli � consentito conseguire attraverso ~l mat11im0Illio civile. 

N� in tale ipotesi si versa in quella � semplice differenza di regime 
riscontrabile tra matr�imonio civile e matrimonio concordatario� che 
-secondo quanto affermato da questa Corte con la sentenza n. 31 del 
'1971 -ove non importi violazione di prine�:pi supremi dell'ordinamento

1

�costituzionale, �non integra di per s� una iillegittima disparit� di trattamento 
� in quanto � la nortnativa concernente il matrimonio concordatario 
ha una sua giustificazione nell'�mbito del disposto dell'art. 7 della Costituzione
�, che riserva ad essa una �copertura costituZJionail.e" (sentenza 

n. 1 del 1977). La questione di legittimit� costituzionale, sulla quale la 
Corte � ora chiama:ta a pronunciarsi, � stata infatti radicata, dai giudici 
che l'hanno �solleva.ta, nel ravvisato� contr�'sto con l'art. 3 della Costituzione 
delle norme impugnate (artt. 12 e 16 della legge matrimoniale), in quanto 
esse consentono che un minore �subisca le conseguenze 'di una scelta n�n 
liberamente e cosaientemente adottata e sia assoggettato ad una disciplina 
che trova giustif�icazione solo nella Hbera opzione :Era mat�rimonio religioso 
trascrivJbile e matrimonio civile �. 
Sotto il dedotto profilo, la questione si dimostra fondata, alla luce dei 
principi affermati da questa Corte nella sentenza n. 32 del 1971, cui fanno 
puntuale richiamo Ie ordJnanze di rimessione.� In quell'occasione, appunto, 
la Corte ha esaminato la questione che le era� stat� deferita (legittimit� 
costHuzional'e, in rifer.imento all'art. 3 della Costituzione, dell'art. 16 del1a 
legge matrimoniale, nella parte in cui, liti relazione all'art. 12 de11a stessa 
legge, non consentiva la impugnazione della trascrizione di matrimonio 
canonico celebrato da nubente che, pur non interdetto, versava tuttavia in 
stato di incapacit� naturale) �con riferimento non gi� alla fase della 
celebraz�one, bens� a quella dell'opzione effettuata in ordine rula .forina 
del rrito matrimoniale�. E nel riconoscete che l'art. 34 del Con�ordato �e 
la legge matrimoniale di attuazione, ,impegnando lo Stato a conferire 
effetti civili ai matrimoni disciplinati dal dirit<to oanonico, hanno introdotto 
�una differenziazione di trattamento giuridico per motivi di religione
�, nel che si concreterebbe una �eccezione al principio di eguaglianza
�, la Co:rite ha tuttavia ritenuto che .tale discriminazione non configuri 
una v.iolazione del ~incipio medesimo perch� � espressamente consentita 
da altra norma costituzionale, e cio� dall'art. 7, secondo comma"� 


24 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
Peraltro -ha statuito la Corite -condizione necessar.ia per poter affermare 
la validit� della rilevata eccezione al priincipio dii eguaglianza deve 
considerarsi �il possesso della piena capacit� da parte di chi procede 
alla scelta del �rito�. Superando perd� l'obiezione dell'asserita !impossibilit� 
di attribuire autonomia a taile scelna, la Corte, nella richiamata 
sentenza, ha affermato che �l'atto di scelta del rito assume un'autonomia 
non solo concettuale ma anche temporale ed obiettivamente accertabiile 
in quanto si concreta iin propri atti o comportamenti� e che esso riveste 
anche � uno specifico rilievo giuriidico allorch� d requisiti di capacit� 
richiesti per tal.i atti e comportamenti appadono regolati secondo criteri 
propri di un dato ordinamento, divergentii da quehli !invocabili per la validit� 
del negozio successivamente s�tipulato �. Infine, drca i criteri in base 
ai quaJd deve accertarsi � il possesso della piena capacit� da parte di chi 
procede a]Ja scelta del rito�, la Corte ha affermato che essi, �secondo i 
princ�pi consacrati nell'art. 17 delle preleggi�, devono essere desunti dalla 
legge dello Stato. 
Alla stregua dii quanto precede, non pu� dubitarsi che se, per il compimento 
dell'atto di scelta, � richiesto .U possesso della piena capacit�, 
come disciplinata dalla legge dello Stato, questa capacit� nnn possa essere 
riconosciuta -in mancanza di specifica norma che stabilisca un'et� 
diversa -se non a chi abbia acquistato con la maggiore et� la capacit� 
di agire (art. 2 del codice civile). Invero precipuo e fondamentale fatto 
costitutivo deHa capacit� di agire � proprio l'et�, con la quale soltanto 
si acquista maturit� e perci� consapevolezza delle propriie azioni. Tanto 
pi� allorch� si tratta della capacit� richiesta per compiere una scelta fra 
due negozi che nascono in distinti ordinamenti e con distdnta disciplina, 
ma che entrambi, sia pure per vie diverse, conducono all'dnstaurarsi, nell'ambito 
statuale, del vincolo matrimoniale. Di quel vincolo, cio�, la cui 
spiccata importanza indiv.iduale e sociale -come sii desume dai richiamati 
lavori pa11lamentari ha 
indotto dl legislatore, in sede di riforma del 
diritto di famiglia, a riconoscere H possesso della necessaria consapevolezza 
dei poteri, dei doveri e delle responsabilii.t� che esso compollta, solo nei 
soggetti che con la maggiore �et� si presume abbiano acquisito, at1maverso 
un adeguato progressivo sviluppo non solo .filsico-sessuale ma ben anche 
psichico, una completa maturit�. Qualora, poi, tale maturit� psico-fisica 
sia specificamente accertata sussistere anche in un minore che abbia compiuto 
i 16 anni, e sia contestualmente riiconosciuta la fondatezza dei gravi 
motdvi che lb inducono a contrarre precoce matrimonio, la �stessa capacit� 
matrimoniale in tal caso acquisita per effetto del provvedimento emanato 
dall'organo giudiziale competente in materia secondo Ia Jegge de1J.o Stato, 
abilita il minore anche a compiere la prevda scelta tra i due possibili 
negom matrimoniali. Scelta che, pur nella sua autonoma priorit� logica, 
temporale, giuridica, posta in luce nelila �Sentenza n. 32 del 1971, � nella 
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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

successiva celebrazione del matrimonio secondo �il cito prescelto che trova 
pur sempre compiuta e definitiva espressfone. Non pu� e non deve pertanto 
procedersi alla trascrizione, con ila conseguente attribuzione di 
effetti civili, di matrimonio canonico celebrato da persona che, per difetto 
dell'et� prescritta dalla legge dello Stato, non aveva fa imprescindibile 
capacit� dii procedere alla libera scelta tra il negozio matrimoniale disciplinato 
dall'ordinamento del1a Chiesa e quehlo parallelo, disciplinato dal� 
l'ovdinamento dello Stato. Il denUJnciato art. 12 della legge matrimoniale 
-la cui �tassativit�� nella elencazione delle ipotesi per le quali 
non pu� farsi Juogo a trascrizione, affermata in giurispruden:za e in dot� 
trina, � stata gi� riconosciuta da questa Corte nella pi� volte aitaita sentenza 
n. 32 del 1971 -non vieta, invece, la trascrizione del matrimorno 
canonico contratto da minore infrasedicenne, come tale assolutamente 
non ammissibHe al matrimorno, o da minore che abbia compiuto gli anni 
sedici, ma non sia stato ammesso ail matrimonio ai sensi dell'art. 84 del 
codice civile; da soggetti, cio�, careoo, nell'.un caso e nell'altro, di quel1a 
capacit� che sola avrebbe potuto consentire ad essi di esercitare liberamente 
e consapevolmente l'opzione per ila celebrazione del matrimonio 
medesimo. Ne va, dunque, dichiaraita in parte qua 1a �.llegittimit� costituzionale, 
per contrasto con il principio di eguaglianza, fa deroga al quale 
non pu� 1in tal caso ritenersi gius�tificata per effetto dell'art. 7 della Costituzione, 
mancando, giusta quanto affermato da questa Corte con sentenza 

n. 32 del 1971, �il possesso della piena capacit� da pa11te di chi procede 
aUa scelta del rito�. 
Quanto poi all'art. 16 della legge matrimoniaile, egualmente denunciato 
dai giudici a quibus, non occorre che ne sia dichiarata, per le stesse 
ragioilli, la illegittimit� costituzionale, rimanendo assorbita la relativa questione. 
L'art. 16, invero, dispone, al suo primo comma, che �la trascrizione 
del matrimonio pu� essere impugnata per una delle cause menzionate 
nell'art. 12 della presente legge �, Ma una volta aggiunto nell'art. 12, 
per effetto di questa pronuncia, .il caso della intrascrivibhlit� del matrimonio 
canonico contratto da minore, nei sensi di cui sopra, diviene conseguenzialmente 
ammessa dall'art. 16, per effetto del cennato rinvio alle 
� cause menzionate nell'art. 12 �, anche fimpugnativa dehla trascrizione del 
matrimonio suddetto. 

La Corte ritiene, infine, di dover far applicazione dell'art. 27 della 
legge 11 marzo 1953, n. 87, in ordine all'Uiltimo comma dell'art. 7 della 
stessa legge matrimo111iale. Tale articolo, come noto, disciplina, insieme 
con iJl precedente art. 6, 1a pubblicazione civile ordinaria precedente la 
celebrazione del matrimonio canonico: trnttasi di quel procedimento che, 
quando non sia stata notificata all'ufficiale dello stato ciV'ille alcuna opposizione 
e nulla gli consti ostare al matrimoillio, s�. conolude con il rilascio 
di un certificato, in cui lo stesso uf:f�iciale �dichiara che non risulta 


26 

RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 

l'esistenza di cause, le quali si oppongano alla celebrazione di un matr1imonio 
va.lido agli effetti civili ,;, Se, Jnvece, gli sia stata notrnicata opposizione, 
nelle forme di cui all'art. 103 del codlce civile, J'ufficiale dello stato 
civile, a mente del secondo comma dello .stesso art. 7, �non pu� rilasciare 
il certil�ioato e deve comunicare a1 pa'l'roco la opposizione�, SUill'opposiZione 
l'autorit'� giudiziaria decide -prescrive l'ultimo comma dell'art. 7 soltanto 
quando questa sia fondata su alcuna delle cause indicate negli 
artt. 85, primo comma, e 86 del codice civile; e cio�, soltanto nei casi in 
cui l'opposimone sia fondata sulla circostanza che uno o entrambi i 
m1beriti siano interdetti per infermit� di mente o vincolati da precedente 
matrimonio. ln ogni altro caso iil tribunade �pronuncia sentenza di non 
foogo � a deliberare ,;, L'ultimo comma dell'art. 7 inwca, perci�, ile sole 
ipoteSii di accoglimento delJ'opposizione; �ed esse corrispondono puntualmente 
a quelle indicate da1l'avt. 12 per la intrascrivibilit� del matrimonio 
can�nico che sia stato celebrato senza essere preceduto dal r~1ascio del 
certificato, e per le qua!1i soltanto pu� farsi opposizione, in sede w pubblicazione 
post nuptias disciplinata dal successivo art. 13. Senonch�, in conseguenza 
della 1llegittimit� costituzionale dell'art. 12 in parte qua, dichiarata 
con la presente decisione, viene ad aggiungersi nello stesso art. 12 
una ulteriove ipotesi di intrascrivibillt�, per 'il caso di matrimonio canoilico 
celebrato da minore infrasedicenne, o da minore che abbia compiuto 
gli �nni sedici, ma non sia stato ammesso al matrimonio fil sensi dell'art. 
84 del codice civile. Mentre, per�, l'opposizione in sede di pubblicazione 
post nuptias potr�, a seguito della presente pronuncia e per effetto 
dell'espliCito rinvio all'�rt. 12 operato dal terzo comma dell'art. 13, fondarsi 
anche su quest'ultima causa, altrettanto non sarebbe consentito, 
stante .il disposto dell'ultimo comma dell'art. 7, all'opposizione in sede di 
pubblicazione ante nuptias. (omissis) 

II 

(omissis) Va preliminarmente ricordato che questa Corte ha gi� pm 
volte .affermato, a partire dalle sentenze nn. 30, 31 e 32 del 1971, che le 
norme del Concordato, immesse nell'ordinamento �italiano dalla legge 

n. 810 del 1929, pur fruendo della �copertura costituzionale� fornita dal� 
l'art. 7 della Costituzione, non si sottraggono al sindacato di legittimit� 
costituzionale, che in tal caso, peraJtro, .resta Limitato e circoscritto aJ 
solo. accertamento de1la loro conformit� o meno ai � principi supremi dell'ordinamento 
costituzionale�; accertamento, cui la Corte procede mantenendosi 
sempre nell'ambito de1la questione cos� come Je � stata deferita 
e in riferiimento a principi che siano desumibili dai parametri costituziona1i 
indicati dal giudice a quo. 
In siffatta prospettiva e nei cennati Limiti, fa Corte, appunto con la 
sentenza n. 30 del 1971, dichiarava non fondata la ques�tione di legittimit� 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

costuzionale avente ad oggetto, sempre per il tramite dell'art. 1 della legge 

n. 810 del 1929, gli stessi commi quarto, qUJinto e sesto dell'art. 34 del 
Concordato, del cui esame � oria invest1ta, denunciati allora � con riferimento 
all'art. 102, secondo comma, detlla Costituzione, in quanto cio� 
tribunali ecclesiastici �competentJi a pronunziarsi sulla nu1lit� dei matrimoni 
concordatari sarebbero giudici specia1i non previsti dailla Costituzione 
�stessa �. La Corte ritenne, invece, che non fosse v.iolato il principio 
deHa unit� della giurisdizione dello Stato, cui appare aspirato l'indicato 
precetto costituzionale, in quanto il �rapporto fra organi del1a giurisdizione 
ordinaria e organi della giurisdizione speciale deve ricercarsi nel 
quadro dell'ordinamento giuridico interno, al quale ,i tribunali ecclesiastici 
sono del tutto estranei�. 
Successivamente, la riserva alla cognizione esclusiva dei tribunali 
ecclesiastici delle controversie in materia di nullit� dei matrimoni canonici 
trascritti agli effetti civi1i, operata dai 11ipetuti commi quarto, quinto e 
sesto dell'art. 34 del Concordato, era nuovamente sottoposta aill'esame di 
questa Corte, in riferimento agli artt. 1, secondo comma, 3, primo comma, 
11, 24, commi primo e secondo, 25, primo comma, 101, primo comma, 102, 
commi primo e secondo, della Costituzione. Anche questa volta la questione 
veniva dichiarata non fondata, con ila sentenza n. 175 del 1973. 
Circa l'addotta incompatibi1it� della giurisdizione dei tribunali ecclesiiastioi 
in subiecta materia con il principio de1la sovranit� dello Stato 1ita1iano, 
veniva affermato che �una inderogabilit� assoluta de1la giurisdizione statale 
non risulta da espresse norme della Cos1liituzione, n� � deducibile, 
con particolare riguardo alla materia civi>le, dai princ�pi generali del nostro 
�rdinamento, nel quale ipotesi di deroga sono stabilite da leggi ordinarie�. 
Considerava poi la Corte che � riconosciuta la compatibilit� con fil nuovo 
ordinamento costituzidnale di una deroga alla giurisdizione che sia razionalmente 
e politicamente giustificabile�, la deroga dnitrodotta dalle denunciate 
norme trovava appunto giustificaziione �nel comp}esso sistema che, 
riconoscendo effetti civili al matdmonio cos� come discipl1inato dal diritto 
canonico. non irrazionalmente devolve ai tribunali ecclesiastici la cognizione 
de11le cause di nullit� del matrimonio�. Nella pronuncia di non fondatezza 
cos� motivata restavano assorbiti, ad avvdso della Corte, �anche i 
diversi profJli dedotti dal giudice a quo con rufeliimento a~i artt. 24, 25 
e 102, secondo comma, della Costituzione. Soggiungeva in proposito la 
Corte, in relazione all'addotta violazione del principio del giudice naturale, 
di cui all'art. 25 della Costituziione, che dovendosi consdderare � giudice 
naturale� quello �precostituito per legge�, 1tale espres�samente risultava 
essere il tnibunale ecclesiastico proprio in quanto designato dalle norme 
impugnate. 

Nella coeva sentenza n. 176 del 1973 la Corte poi, nel dichiarare non 
fondata la questione di 1egittimit� costituzionale dell'art. 2 della legge 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

1� dicembre 1970, n. 898, recante disciplina dei casi di sciog:limento del 
matr1imonio, sollevata ;in riferimento agili artt. 7 e 138 della Costituzione, 
in relazione appunto all'art. 34 del Concordato ed alla legge c:lii esecuzione 

n. 810 del 1929, nonch� agli artt. 5 e 17 deilla legge n. 847 dell 1929, affermava 
che la r1iserva di giurisdi:zJione ai tribunaLi ecclesiastici delle cause di nulHt� 
dei matrimoni canonici ,trascritti agli effetti civili, ed il connesso riconoscimento 
d:i effetti civili alle sentenze dichiarative di tale nullit�, � sono 
coerenti con l'impegno assunto di considerare l'atto del matrimODJio, va�lidamente 
sorto ne!J'�mbito de1l'o11dinamento canonico, .quale presupposto 
cui attribuire -dopo rl'intervenuta trascrizione -gli effetti civili�. 
La legtttimit� costituzionale della ll'iserva disposta dall'art. 34 del Concordato 
a favore della giurisdizione ecclesiastica � stata, dunque, gi� riconosciuta 
da questa Corte -come vien ricordato anche nella sentenza n. 1 
del 1977 -in relazione a princ�pi supremi che sono stati desunti da pa:mmetr.
i costituzionali in gran parte coincidenti con gli stessi parametri 
invocati nella presente controversia. Ai parametri suddetti i giudici a quibus 
fanno invero riferimento per assumere che la riiserva de qua agitur concreti, 
in relazione a1le peculia11i caratteristiche che diversificano il sistema 
processuale canonico da quello statuale, una violazione del diritto alla 
tutela giU!I1isdizionale. Diritto, questo, che ila Corte ha gi� annoverato � fra 
quelli inviolabili deM'uomo, che la Costrituzione garantisce all'art. 2 � (sentenza 
n. 98 del 1965), e che non esita ora ad ascrive11e tra i princ�pi supremi 
del nostro ordinamento costituzionale, tn cui � intimamente connesso con 
lo 'stesso principio di democrazia l'assicurare a tutti e sempre, per qualsiasi 
controversia, un giudice e un giudizio. Non pu� dunque rifiutarsi 
ingresso alla proposta questione intesa a ver1ificare se con tale pr1incip:io 
supremo contrastino le denunciate norme concordatarie, pur assdrstite da 
copertura costituzionale. Come gi� messo in luce dalla r1ichiamata giurisprudenza 
di questa Corte, ile suddette disposizioni hanno sostituito, in 
subiecta materia, la gi�risdizione ecclesiastica alla giurisdizione statuale. 
Ma lllOn per questo ne risulta vulnerato il principio supremo del cliritto 
alla tute1a giurisdizionale, atteso che, ndle controversie relative a�l1a nullit� 
di matrimoni canonici trascritti agli effettli civiJ,i, un giudice e un giudizio 
sono pur sempre garantiti: e si �tiiatta di organi e di procedimenti, la cui 
natura giurisdizionale � suffragata da una tradlizione plurisecolare. Ce:rito, 
non pu� negarsi che l'organizz�zione e l'esercizio della funzione gimisdizionale, 
in re matrimoniali, nell'ordinamento deilia Chiesa appaiono, sotto 
tafoni aspetti, ispirati a criteri non sempre conformi a quelli che caratterizzano 
J'organizzazione e l'esercizio dehla funzione giurisdizionale nell'ordinamento 
dello Stato; anche se il divarfo si at,tenua alla luce dei 
princ�pi proclamati da:Ile costituzioni e dai decretli del Concilio Vaticano II. 
Ma va, da un canto, ricordato che le difformit� 'traggono per lo pi� la 
foro ragion d'essere dalle stesse finalit� spirituali CUii � preordinato l'ord�


'i 
! 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

namento della Chiesa, di quale, pur con i connotati esplicitamente rJconosciuti 
dal primo comma dell'art. 7 della Costituzione, si modelila nondimeno 
siccome un ordinamento per 'sua stessa naitura dissimile da quello 
dello Stato. D'altro canto, iJ diritto alla tutela giurisdimonale si colloca 
al dichiarato livello di principio supremo solo nel suo nucleo pi� ristretto 
ed essenmale, cui si � 1innanzi accennato; ma tale qualifica non pu� certo 
estendersi ai vari istituti in cui esso concretamente si estrinseca e secondo 
le mutevoli esigenze storicamente si atteggia, rpur se 'talund di questi .istituti 
siano gamntiti da precetti costituzionali. Con i quali Uiltimi -una vo1ta 
riconosciuto indenne il principio supremo -non � consentito accevtare 
se specificamente contrastino, in ragione della .diversa disciplina dei corrispondenti 
istituti del processo matrimoniale canonico, ile denunciate norme 
concordatarie, atteso che a questo minor livelllo opera, come pi� volte 
affermato da questa Corte, la copertura costituzionale dalla quale esse 
sono assistite. 

Pertanto la Corte, nel confermare la sua precedente giurisprudenza 
in materia, �ritiene che anche sotto :iJ. profilo esaminato dn questa occasione 
1a ci.serva alla giurisdi2lione eccleSliastioa delle cause di nullit� dei maitrimonJ. 
canonici trascritti agli effetti civili, pur con le innegabili diver.sit� che 
nei va11i dstituti processuali tale giurisdizione presenta rispetto a11a giurisdizione 
statuale, non � incompatibile con l'orilimamento costituzionale. 
Detta r.iserva appare poi funzionalmente connessa alla disciplina del 
negozio matrimoniale canonico, cui il medesimo art. 34 del Concordato riconosce, 
mediante la trascrizione del relativo atto, efficacia civile. Se i:l negozio 
cui si attribuiscono effetti civili, nasce nell'ordinamento canondco 
e da questo � regolato nei suoi requisiti. di validit�, � logico corollario 
che le controversie sulla sua validit� siano riservate allla cognizione degli 
organJ. giurisdi2lionali dello stesso ordinamento, conseguendo poi le relative 
pronunce dichiarative della nullit� la efficacia civile attraverso lo 
speciale procedimento di delibazione, anch'esso strutturato dall'art. 34 del 
Concordato. In ci� va ravvisata 'appunto qudlla 1giustificazione razionaile e 
pd1itica della deroga alila giurisdizione statuale, cui questa Corte, come 
dianzi �ricordato, si � r.iferita nelila �sentenza n. 175 del 1973. La Tiserva 'in 
parola costituisce perci� uno dei cardini del vigente sistema concordatario 
matrimoniale, e di ci� era ben consapevole il Costituente :allorch� nel 
secondo comma de1l'a:rt. 7 della Costituzione ha fatto esplicita menzione 
dei Patti Lateranensi. 

N� a diversa conclusione potrebbero dndurre g1i argomenti svolti 
nelle ordiJI1anze di irimer,sione, secondo cui ogni rinunzia dello Stato 
alla propria giucisdizione postula necessariamente -ai l�ini dell'accertamento 
della sua compatibilit� con i principi supremi dell'orddnamento 
costituzionaile -[a puntuale verifica del grado di tutela asS<icuriato dal 
sistema giurisdizionale .ohe viene a sostituirsi a quello statuale. (omissis) 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

30 

Le sentenze ecolesiastiche di nullit� del matrimonio sono, invece, soggette 
ad uno �speciale procedimento di delibazione affidato aHa Corte 
d'appello�, nel quale �l'intervento del giudice ita1iano in certa misura si 
realizza, sia pure con cognizione limitata� (sentenza di questa Corte n. 175 
del 1973). Uaffinit�, da species a genus, che taile procedimento rivela rispetto 
al normale giudizio di delibazione delle sentenze straniere, qua;le disciplinato 
dall'art. 797 cod. proc. civ., conferma che, ai f.ini della presente 
pronuncia sull'asserito contrasto della riserva a1la giurisdizione ecclesiastica 
delle cause di nuililit� dei matrimoni canonici trascritti ag1i effetti 
civili, con il supremo principio del di.ritto alfa tutela giurisdizionale, sarebbe 
ininfluente ed esorbitante la proposta verifica del!l'adeguatezza della 
tutela medesima, quale in concreto. assicurata dalla giurisdizione ecolesiastica. 
Se poi i .limiti posti ai poterii del giudice italiano chiamato a rendere 
esecutiva la sentenza ecclesiastica di nullit� del matrimonio, dncidano, 
come ipotizza la sentenza di questa Corte n. 1 del 1977, sull'adeguatezza 
del!la tutela giurisdizionale, � dubbio che ricade nell'ambito della questione 
puntualizzata sub B), sulla quaile fa Corte passa a pronunciarsi, una volta 
dichiarata non fondata la questicine ,sub A). 

La seconda questione di legittimit� costituzionale, enunciaita sub B), 
�d� per scontata -�come leggesi nell'ordinanza emessa da1le Sezioni 
unite della Corte di cassazione -fa conformit� alla Costituzione della 
riserva di giul'isdizione in favore dei tribunaLi ecclesiastici e considera invece 
i limiti dei poteri del giudice dell'esecutivit�, quali risultano dalla consolidata 
interpretazione data dalla giur.isprudenza alle norme in esame�. 

Nella interpretazione delle denunciate norme, accolta dai giudici 
a quibus, la pronuncia di esecutivit� sarebbe contradd:is1Jinta da una sorta 
di �automaticit��. Infatti la Corte d'appello potrebbe veriflicare soltanto 
la rp.era regolarit� formale della documentazione proveniente dal t�riibunale 
della Segnatura, mentre le sarebbe precluso quailsi.asi sindacato suJ. procedimento 
svoltosi .innanzi al giudice ecclesiastico. In particolare dl giudice 
italiano non potrebbe accertare: a) l'effettivo :rispetto del contraddittorio 
e del diritto di difesa nel procedimento in cui � stata resa la sentenza di 
nullit�; b) la definitivit� di tale sentenza; e) Ja reale effettuazione, da 
parte deil tribunale della Segnatura, dei controlli, preV1isti dal quinto 
comma dell'art. 34 del Concordato, sulla osservanza nel processo matrimoniale 
canonico deHe norme relat1ive aHa competenza del giudice, alla 
citazione ed alla legittima rappresentanza o contumacia delle parti; cl) se 
la sentenza di nUJllit� contenga disposizioni contrarie all'ordine pubblico 
italiano, in contras�to con il disposto dell'art. 797, n. 7, ciel coddce di procedura 
civile. 

La Corte preliminarmente rileva ohe, ancor prima della Costituzione, 
autorevole dottrina contestava la tesi, seguita in giurisprudenza, della 
� automaticit� � della pronuncia, interpretando le norme regolatrici del 



PARTE I, SEZ. �I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

31 

procedimento per la esecutivit� delle sentenze ecclesiastiche di nullit� di 
matrimoni canonici trascritti agli effetti civili (quinto e sesto comma 
dell'art. 34 del Concordato e art. 17 de:Lla rlegge matrimoniale), nel senso 
che la Corte di appello fosse tenuta ad accertare la conformit� delle sentenze 
medes~me ai pri.nc�pi dell'ordine pubblico. Entrata in vii.gore la 
Costituzione, si sottoline� in dottrina l'esigenza che l'applicazione della 
normati.~a concordataria si adeguasse ai princ�pi deihl'on:Linamento costituzionale, 
e che pertanto, in siffatta prospettiva, fil procedimento ex art. 17 
deHa legge matrimoniale dovesse garantire il contraddittorio e Ja conformit� 
delle sentenze ecclesiastiche ai princ�pi dell'ordine pubblico. N� 
sono mancate negli ultimi anni sentenze, anche della Ccwte di cassazione, 
ispirate ad una !interpretazione de]le denunciate norme diversa da quella 
che costituisce ila base di partenza delle ordinanze di rimessione. Cos�, nel 
riflesso che 1il procedimento in parola configuri un adattamento dell'ordinario 
giudizio di delibazione delle sentenze straniere alla speciale materia 
oggetto delle norme pattizie, � stato 'ritenuto che alfa Corte d'appel:lo 
sono devoluti, oltre che i controlli formail:i, anche il riscontro degli adempimenti 
corrispondenti aUe prime quattro condi2lioni previste dall'art. 797 
del codice di procedura civile, nonch� l'accertamento che la sentenza 
ecclesiastica non contrasti con l'ordine pubblico italiano, nei Hmiti consentiti 
dalla copertura costituzionale delle norme concordatarie. Peraltro, 
poich� tale � giurisprudenza innovatrice '" cui si rifanno alcune parti costi


tuite in giudizio per concludere a favore della non fondatezza de1la questione, 
non pu� allo stato dirsi decisamente prevalente su quella, mantenutasi 
costante nell'arco dri pi� decenni, dallla quale muovono fe ordinanze 
di rimessione, la Corte si attiene, ai fini della pronuncia sulle denunciate 
norme, alfa interpretazione che di queste viene addotta dai giudici a quibus, 
e tra questi, in particolare, dalle Sezioni unite civili della Corte di cas


sazione. 

In siffatti termini la questione � fondata. Le norme denunciate, interpretate 
come dianzi esposto, incidono profondamente e radicalmente sui 
poteri che in via generale sono attribuitii a!l giudice, rin correlazione con i 
prescritti accertamenti, alQorch� sia chiamato a dichiarare l'efficacia nell'ordinamento 
dello Stato italiano di sentenze emesse in ordinamenti a 
questo estranei. Ed invero, nehlo speciaile procedimento da esse disciplinato, 
la mutilazione e la vanificazione dei cennati poteri del giudice ritaHano, 
la preclusione di qualsiasi sindacato che esorbiti dall'accertamento 
de1la propria competenza e dalla semplice constata2Jione che la sentenza 
di nullit� 1sia anche accompagnata dal decreto deil tribllrllale della Segnatura 
apostolica e sia stata pronunciata nei confronti di matrimonio canonico 
trascritto agli effetti oivili, degradano la funzione deil procedimento stesso 
ad un controllo meramente formale. Cos� strutturato, nella sua concreta 
applicazione lo speciale procedimento di delibazione elude due fonda


�����������-��ᥥ����'"��������'���� --.--,-���-�-.---,-----��r.�.�,�r.�,�,�,�,�r.�.�.�,�.�,�.�.�.�,�.�:.-.�.�,�.�.�.�,�,'.'.'.�.'.-.'.'.'�'��"�"�"�'��:� .-.��:��,�,�,-,-,-.-.-.-,-,-,-,�,�,�,-,�.�.�.�,�,�,�.�.�:,�,�.�.�,',�.".".".'.',�,� 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

32 

mentali esigenze, che il giudice italiano nell'ordinario giudizio di delibazione 
� �tenuto a soddisfare, prima d:i dischiudere ingresso nel nostro ordinamento 
a sentenze emanate da organi giurisdizionali ad esso estranei: 
l'effettivo controllo che nel procedimento, dal quale � scaturita la sentenza, 
siano stati rispettati gli elementi essenZ1ia1i del diritto di agi.re e 
resistere a difesa dei propri diritti, e la tutela dell'ordine pubblico ita!Liano 
onde impedire l'attuazione nel nostro ordinftmento delle disposizioni contenute 
nella sentenza medesima, che siano ad esso contrarie. 

Sia .l'una che l'altra esigenza .si ricollegano e muovono da princ�pi, ai 
quaJLi si rispirano i parametri costituzionali rrnvocati dai giudici a quibus. 
Il diritto di agire e resistere dn giudizio a difesa dei propri di:ritti -strettamente 
connesso ed in parte coincidente con I�!l. diritto alila tutela giuci.sdi:
ztlona:le cui si � fatto dianzi riferimento -trova fa sua base soprattutto 
nelil'art. 24 della Costituzione. La inderogabile tutela dell'ordine pubblico, 
e cio� delle regole fondamentali poste daili1a Costitu:ziione e daille leggi a 
base degli 'istituti giuridici in cui si articol:a l'ordinamento positivo nel 
suo perenne adeguarsi all'evoluzione della �societ�, � dmposta soprattutto 
a presidio della sovranit� de1lo Stato, quale affermata nel comma secoodo 
dell'art. 1, e ribadita nel primo comma dell'.art. 7 della Costituzione. Entrambi 
questi princ�pi vanno ascrillttl 1I1el novero dei � princ�pi supremi 
dell'ordinamento costituzionale�, e pertanto ad essi non possono opporre 
resistenza le denunziate norme, pur assistite dal1la menzi01I1ata copertura 
costituzionale, nella parte in cui si pongono m contrasto con i princ�pi 
medesimi: nella parte, cio�, .in cui non dispongono ,che dll giudice :i.italiano, 
nello speciale procedimento da esse disciplinato, sia tenuto a quegli accertamenti, 
e sia ahl'uopo munito dei relativi poteri, volti. ad assicurare H 
mspetto delle fondamentali esigenze dianzi indicate. 

Va pertanto dichiarata J'illegittim.it� costitu:ztlona:le dell'art. 1 della 
legge n. 810 del 1929, Limitatamente all'esecuzione data al sesto comma 
dell'art. 34 del Concordato, nonch� fil secondo comma dell'art. 17 della 
1egge n. 847 del 1929, nella parte in cui tali norme non prevedono che 
alla Cor.te d'appello, all'atto di rendere esecutiva J,a sentenza ecclesiastica 
dichiara1liva della null!it� di matrimonio canonico trascri1lto agii effetti 
civii1i, spetta accertare che neil procedimento innanzi ai tribunali ecclesiastici 
sia stato assicurato alle par.ti il diritto di agire e l!'esistere in giudizio 
a difesa dei propri dinitti, e che il.a sentenza medesima non contenga disposizioni 
contrarie all'ordine pubblico italiano. (omissis) 

La Corte passa qudndi ad esaminare la questione concernente la riserva 
ail.la competenza dei dicaste11i ecclesiastici della concessione defila dispensa 
super rato et non consummato, in ordine a matr.imoniio canOIIlico trascr:
itto agli effetti civili... (omissis) 

Rileva fa Corte �che nell'ordinamento canonico, a norma del ca:n. 1119 
del Codex, � matrimonium non consummatum... dissolvitur... per dispen


;r;r;<;r;q~�~:;r;�;�;�;r;�.�;�.�.�.'��.�.� .'.�.� ��.� .� .�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.� .�.� .� .� .�,�.�.�.�,� ,� ,� .�.�:.�,�,�.�.�:.�,� ,� .�.���,� ,� ,�,� ,�,� ,� �"�"�'.�Z�" �'.�"�" ,�,�,� � �,�,�,�,�.� ���� ,�,�.�-;-:-�r. .�,�,�,�.�.�,�.�,�,�,� ,� ,�,-,�,�,�,�.�.�rer.�.-.�.-,�,�,�r.-.�"�",-,-,-,.-.-.-.-���-�� �� � ,-.-. ,-, � r.-, .-. �. � ���� �. � ����� � ��� � � � � ��� � � � �. ,. � � � � � � � � � � � � � � � � � �. � � � �. � � � ��� � � � 

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

sationem a Sede Apostolica ex iusta causa concessam, utraque parte rogante 
vel alterutra, etsi altera sit invita�. Il provvedimento di dispensa :incide 
sul rapporto 'e non sull'atto, in quanto scioglie con effetto ex nunc un 
rapporto mat:riimoniale instaurato sulla base di un matrimonio validamente 
contratto. La richiesta delila dispensa � direttamente rivolta al 
Sommo Pontefice: � per supplicem petitionem imploratur gratia ex benigna 
Summi Pontificis concessione obtinenda � (cfr. Instructio del 7 marzo 1972 
della Congregazione per la dtlsciplina dei sacramenti). Il relativo procedimento 
� di competenza dell'anzidetta Congregazion�, ma l'istruttoria 
di norma � demandata agli Episcopi dioecesani, !�. quali provvedono ad 
instruere processum e a trasmettere quindi ~I proprio voto pro rei veritate 
alla stessa Congregazione per J.a decisione finale, che v.iene adottata con 
rescritto pontificio. La gi� citata Instructio avverte che � processus super 
matrimonio rato et non consummato non est iudicialis sed administrativus, 
ac proinde diff ert a processu iudiciali pro causis nullitatis matrimonii �. 

Pertanto, pur dando atto che H procedimento per ottenere la dispensa 
super rato � minuziosamente disoiplinato da apposite norme, che !'<istruttoria 
viene dall'Ordinario diocesano affidata ad un tribunale, con l'intervento 
del Def ensor vinculi e con la possibilit� per ambo J.e pam di farsi 
assistere da consuJ.enti, che il � voto � viene espresso sulla .base delle risuiltanze 
istruttorie, non pu� certo, sul!la scorta anche delile itestua1i precisazioni 
fornite dalla richiamata normativa, riconoscersi carattere giurisd.izionale, 
n� al procedimento n� al provvedimento concessivo che lo conclude. 

Ora le denunciate norme -con il riservare ai � dicasteri ecclesiastici � 
la competenza a pronunciar8d in vfa amministrativa sulla risoluzione del 
rappo:rito matl1imonia1e validamente instaurato, mediante un provved.imento 
amministrativo che, attraverso il procedimento di esecutivit� disciplinato 
dalle norme medesime, acquista efficacia anche 111e1l'ordinamento dello 
Stato, facendo cessare gli effetti civili del matl1imonio canonico regoliarmente 
trascritto ed incidendo cos� sulla condizione giuridica dei coniugi confiigurano 
un'a1ternativa alla giurisd.izione statuale.� Allo Stato, invero, 
appartiene -come ribadito da questa Corte con la sentenza n. 169 del 
1971 -J.a disciplina del vincolo matrimoniale, derivi esso da matrimonio 
civile o da matrimonio cainonico trascritto agiLi effetti civili; ed ai triibunali 
dello Stato Ja legge 1� dicembre 1970, n. 898, ha demandato di giudicare 
con carattere di generalit�, tanto nei casi di � scioglimento del matrimonio 
contratto a norma del codice oivile)) (art. 1), quanto nei casi di 
� cessazione degli effetti civili � di matrimonio � celebmto con rito religioso 
e 'regolarmente tvascritto � (art. 2). E tra i casi per cui pu� chiedersi 
a ques1li tribunali � lo scioglimento o la cessazione degli degli effetti civili 
del matrimonio � figura anche rnpotesi che � iii matrimonio non � stato 
consumato� (art. 3, n. 2, lett. f della citata legge). 

4 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

34 

Ben vero che -secondo quanto affermato da questa Corte con 1a 
sentenza n. 176 del 1973, nella quale, peraltro, come gi� detto, la questione 
verteva sulla J.egittimit� costituzionale della legge n. 898 del 1970 e non 
della normativa concordataria con la quaile quest'ultima veniva messa a 
raffronto -la introduzione, nella legge medesima, � di una serie di cause 
di cessazione degli effetti civili del matriimonio concordatario lascia intatte 
le 111iserve dell'art. 34 del Concordato�, tra [e quali figura appunto 
la riserva per fa dispensa dal matrimo'.tllio rato e non consumato. Ma tale 
riserva, concretando un'alternativa alla giurisdizione dei tI1ibunai1i dello 
Stato, non pu� sottrarsi, bench� disposta con norma concordatama, fornita 
quindi cli copertura costituzionale, alla I1ichiesta verifica se nel suo �mhito 
sia egualmente assicurato quel diritto alla tutela giurisdizionale, cui questa 
Corte, come dianzi affermato, riconosce dignit� di supremo principio dell'ordinamento 
costituzionale. E fa risposta aJ quesito non pu� non essere 
negativa, essendo incontestabile che la tutela giurisdizionale dci diritti, 
pur considerata nel suo nucleo pi� ristretto ed essenziale, non possa 
certo reilizzarsi in un procedimento, il cui svolgimento e la cui conclu


sione trovavano dichiaratamente collocazione nell'ambito della discrezio


narlit� amministrativa, e nel quale non vengono quindi garantiti ahle parti 

urt giudice e un giudi2lio in senso proprio. A differenza di quanto si �, 

iinvece, constatato, nelle pagine che precedono, per le controversie relative 

alla nullti� dci matrimoni canonici trascritti agli effetti. civili, per ~e quali 

la riserva, egualmente disposta dall'art. 34 del Concordato, opera in favore 

di org�ni e di procedimenti aventi natura giurisdizionale. Riserva, quest'ul


tima, a sostegno della quaile, per di pi�, militano le giustificazioni, dianzi 

ricordate, d'ordine razionale e politico, suHe quali poggia il vigente 1sistema 

concordatario matrimoniale, e che non possono, invece, essere egualmente 

addotte per la riserva alla competenza dei dicasteri ecclesiastici, ai :fini 

della successiva loro efficacia civile, dei provvedimenti di dispensa super 

rato. Infatti '1a dispensa non concerne -come g.i� si � detto -l'atto del 

matrimonio, bens� iii rnppol'tto matrimoniale, nel presupposto della validit� 

deLl'atto. 

La constatata violazione del supremo principio del diritto aHa tutela 

giuI1isdi2lionale, desunto dai parametri costituzionali !invocati dai giudici 

a quibus, che vuole siano in ogni caso assicurati, a chiunque e per qual


siasi controversia, un giudice e un giudizio -tanto pi� a11orch� si tratti, 

come nehla speoie, di mutamento gim1idico non �realizzabile nel nostro 

ordinamento se non 1attraverso una pronuncia costitutiiva del giudice (sen


t�nza n. 176 del 1973) -comporta '1a dichiara2lione della illegittimit� cost:i


t�zionale delle denunciate norme, nella parte in cui le stesse prevedono 

che la dispensa dal matl'timonio rato e non consumato, ottenuta at1lraverso 

fapposito procedimento :ammin:istrativo canonico, possa produrre effetti 

civili nell'ordinamento defilo Stato. (omissis) 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 35 

CORTE COSTITUZIONALE, 4 febbraio 1982, n. 23 -Pres. Elia -Rel. Buc


ciarelli Ducci -Lembo ed altri (n:p.) e Presidente Consiglio dei Ministti 

(vice avv. gen. Stato Azzariti). 

Lavoro -Riposo settimanale -Non frazionabilit� delle ventiquattro ore. 
(Cot., art. 36; legge 22 {ebbraio 1934, n. 370, art. 1). 

La consecutivit� delle ventiquattro ore � elemento essenziale del riposo 
settimanale; pertanto, contrasta con l'art. 36 Cost. l'art. 1, secondo comma 
(numeri l; 2, 3, 4, 5, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13 e 14), nella parte in cui consente 
che il riposo settimanale del personale navigante corrisponda a 24 ore non 
consecutive. 

(omissis) Come questa Corte ha pi� volte affermato, fa consecutiv�it� 
delle ventiquattro ore � un elemento essenziale del riposo settimanale, 
in �quanto consente di distinguerlo e di non sovrapporlo al riposo giornaliero 
e a queJ:lo annuale (sentenze n. 150 del 1967 �e n. 102 del 1976). Affinch� 
l'interruzione del lavoro una volta alla settimana sia effettiva, per conseilltire 
al dipendente il recupero de1le energie fisiche e psichiche e per 
assicurargli un congruo periodo di tempo da destinare ad attivit� ricreative 
per s� e per la famig1i:a -che � Io scopo umano e sociale del precetto 
costituzionale -� necessario che il �riposo settimanale non coincida nem-� 
meno in parte con il II'iposo giornaliero, ma da questo rimanga ben distinto. 
Frazionare .iJ riposo settimanale (ohe deve essere di 24 ore consecutive) 
in modo da sovrapporre ogni frazione di �esso ail :riposo giornaliero 
signifilca, infatti, violare la f�ina1it� del precetto voluto dal costituente. 
N� con .l'affermata consecutiviit� del riposo settimanale di ventiquattro 
ore pu� dirsi incompatibile la paPticolare .condizione del personale di 
navcigaZJione per il quale possono essere predisposti adeguati turni cli 
riposo. (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 16 febbmio 1982, n. 40 -Pres. E1ia -Rel. La 
Pergola -Istituto Kiirner (avv. Sorrentino) e Presidente Consi~io dei 
Ministri (avv. Stato Angelini Rota). 

Costituzione della Repubblica -Libert� di associazione -Inquadramento 
� ex lege � in associazione ente pubblico -Legittimit� costituzionale. 
(Cost., art. 18; legge 28 marzo 1968, n. 370, artt. 3, 6, 11, 12 e 15; legge 13 giugno 1969, 

n. 282, art. 6). 
L'inquadramento ex lege entro un ente pubblico degli appartenenti ad 
una categoria di interessati non vulnera la libert� di associazione (che 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

36 

include quella di non associarsi), purch� non siano altrimenti offesi libert�, 
diritti o principi costituzionalmente garantiti, e purch� detto inquadramento 
risulti lo strumento pi� idoneo all'attuazione di finalit� pubbliche (1). 

(omissis) Si prospetta, prima di tutto, la lesione dell'art. 18 Cost., 
sull'assunto che tiale -precetto costituzionale, nel garantire la libe:rit� di 
associazione, sancisca cos� 11 diritto di partecipare ad UIIl'associa:cione come 
quello di non fanne parte. Nella specie, J.a legge di.spone ['appartenenza 
obbligatoria ad un ente pubblico degli insegnanti medi e delle altre categorie 
iv.i previste. I soci sarebbero per questa via necessa11iamente stretti 
da un vincolo, che. vul:nera la Joro libert� di non associarsi. Ll titolo giustificativo 
de1la soluzione adottata dal legislatore avrebbe -si deduce dovuto 
risiedere nell'assegnare all'Istituto finalit� pubbliche, :il cui perseguimento 
non pu� essere lasciato alla spontanea associa2lione degld interessati. 
Il che, si soggiunge, � per�, da escludere nella specie, soprattutto 
in ragione delle censurate modalit� di erogazione de1l'assistenza: la concessione 
delle provv.i!denze previste da:Ha legge -si afferma in proposito � 
riservata �alla valuta2lione dnsindacabiJe del Consiglio di amrilinisitira2lione 
con riguardo sia ai soggetti da assistere, sfa alla graduazione dei possibili 
settorii cli intervento; si assume cos� che il funzionamento dell'ente, governato 
da criteri prettamente privatistici, non �risponda a quelle inderogabili 
esigenze di .interesse pubblico, dalle quali deve '1:�rar,re fondamento l'insorgenza, 
ex lege, del vincolo associativo (e, a pari titolo, J.'dmposi2lione del 
contributo dovuto dai soci). (omissis) . ' 

Nel merito, la questione non � fondata; L'art. 18 Cost. garantisce, certo, 
la libert� di associazione nel suo duplice aspetto, positivo e negativo: di 
cittadino deve invero poter scegliere se far paTte di una associa2lione, 
oppur no. L'esercizio di tale diritto �, tuttaviia, circondato da v&ncoH. Lo 
stesso testo fondamentale pone infatti ];imiti alfa libert� dii assooiaTsi: e 
d'altra pairte la Corte ha con v.arie pronU1I1zie enucleato dal sistema della 
Costituzione quei Jimiti, che vengono dn rilievo, come nella specie, con 
riguardo alla libert� di non soggiacere al vincolo associativo. A1la stregua 
di questa pregressa giurisprudenza, vien prima di tutto fugato ihl. dubbio 
che ila �liibert� di non associarsi sia necesswiamente vulnerata, ogni quaivo1ta 
si configuri come obbligatooio l'inquadramento entro enti pubblici 
di una determinata categoria di interessati. Una tale previsione trova invero 
dl suo titolo giustificativo nel nostro ordinamento, ptllrch� non siano 
altrimenti offesi libert�, diritti e princ�pi costituzionalmente garantiti 
(diversi dalla libert� negativa di associarsi), e risulti al tempo stesso 

(1) Le restdue operazioni di liquidazione dell'Istituto Kirner sono state affidate 
al Ministero del Tesoro cori D.M. 25 febbraio 1982, in Gazz. Uff. n. 72 
del 1982. � 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

che essa assicura 1o s�trumento meglio idoneo all'attuazione di finalit� 
schiettamente pubbliche, :t:rascendenti ila sfera nella quale opera J.l fenomeno 
associativo costituito per la libera determina2iione dei privati. Si 
tratta allora di vedere come siffatti requisiti siano soddisfatti nel caso 
in esame. 

L'art. 18 Cost., occorre .ricorda.re, si assume leso dn quanto i professori 
medi acquistano ex lege la qualifica di soci effettivi dell'Istituto Ki.rner 
e con ci� sono' tenuti a versare il relativo cOI11tiributo annuo. Se qui si 
adopera fil primo dei criteri di valutazione sopra richiamati, si pu� dntanto 
escludere che l'obbligo dell'iiscvizione, ed .iJ connesso onere pecuniario, 
siano previsti dn Vliolazione di alcun altro, ulter.iore parametro costituzionale, 
rispetto a quello puntualizzato nell'ordinanza di rinvio. Ci �troviamo, 
precisamente e in primo luogo, di fronte a prestazioni imposte 
nel rispetto dell'art. 23 Cost.: � infatti da stessa [egge n. 370 del 1968, come 
si � premesso, che nel contemplaire la figura del socio effettivo annovera 
il contributo da questo versato tra le entrate dell'Isti�tuto, e ne determdna 
l'importo, iinsieme con le modalit� �di calcolo e prelievo. Sotto :iJ. riflesso 
ora considerato, non importa nemmeno che .iil funzionamento delil'ente sia 
in massima pa�rte sostenuto con fo quote di iscrizione dei soci, mentre, ai 
sensi dell'art. 11 della stessa legge, i contributi del Ministero della pubblica 
istruzione o di altr.i enti o privati sono soltanto eventuali. � vero 
che le norme in esame toccano la sfera delle erogazioni assistenziali, la 
quaile ricade anche sotto de specifiche previsioni dell'art. 38� Cost. Ma, a 
dimostrare che l'onere pecuniario gravante sui soci non difetta c1i fondamento 
costituzionale nemmeno in questa prospettiva, basta quel che la 
Corte ha '�n altra occasione affermato (sentenza n. 25 del 1968): �Non si 
ha violazione dell'art. 38 qualora le prestazioni patrimoniali necessaLrie per 
l'assolvimento dei compiti previsti dal quarto comma siiano poste a cadco 
di soggetti diversi dallo Stato, determinabili sulila base di una comunanza, 
specifica o generica di interessi e di un collegamento, diretto o indiretto, 
tra la causa dell'J.mposizione e le !l'inaHt� da conseguire. Non .rileva, sopra 
codesto piano, che il perseguimento di� dette finalit�, anzich� � avverure � 
mediante erogazioni poste direttamente a carico dello Stato e con gli 
ordinari strumenti, si attui con mezzi diversi ed .in particolare con J'imposizione, 
da parte di leggi dello Stato, di prestazioni rpatrimonialii nella 
forma di contributi (sentenza .n. 70 del 1960). In tutti questi oasi, se la 
f.ina.lit� da perseguire r�sponde alla tutela di un interesse .pubblico, codesto 
interesse non vien meno n� viene snaturato solo che alla sua realizzazione 
si .tenda dn uno o in altro dei modi consentiti dall'ordinamento giuriddco �. 

L'insussistenza della presunta lesione dell'art. 18 Cost. va acclarata, 
per altro verso, controllando se l'imposizione del vincolo associativo, e 
della rclativa quota di iscrizione, stia ne1la necessa.ria connessione strumentale 
con il ,fine, che mediante l'istituzione dell'ente si vuol perseguire. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Deve peraltro trattarsi (sentenza n. 69 del 1%2) di un fine pubblico, e 
non arbitrario, n� pretestuoso o artificioso. Ora, per quel che concerne 
la presente indagine, il legislatore ha coovettamente utilizzato l'ampia 
possibilit� di soluzioni normative dischiuse dal disposto della CostitUZJione 
(art. 38), che prefigura le strutture assistenZiiaH: nstituto si colloca ~n 
questo schema del testo fondamentale senza pretestuose o altriimenti censurabili 
duplicazioni di altri �tipi dli assdstenza pubblica, owero, tanto meno, 
della Ii!bera assdstenza, garaa:lltita ai privati :dall'uitimo comma de1lo stesso 
art. 38 Cast. Esso serve infatti -con ,11igua:rdo ai beneficiar.i, ile evenienze 
e @. stati di bisogno indicati dalla Jegge -esclusivamente ad una assdstenza 
integrativa e complementare (avt. 1, secondo comma), rispetto a 
quella erogata da altri enti. Nessun fondamento ha poi dl sospetto, avanzato 
dal giudice a quo, che �le modalit� di funzionamento del Consig1io di 
amministrazione dell'Istituto, chiamato a decidere �a suo insindacabile 
giudizio � in ordine alle provvidenze erogabii1i -e, di II1ifilesso, Ila stessa 
essenziale struttura :interna dell'ente -siano goverinate da criteri � prettamente 
privatistici, e sia pure di una privata fondazione a scopo di beneficenza
�. Con ci� si vorrebbe in definitiva afferinare che l'apparato dell'
�ente pubblico invade qui dndebitamente 1'.a:rea delJl'assistenza privata�, e 
delle associazioni liberamente costituite per erogarla. Ma un simile assunt� 
urta, a tacer d'altro, contro 1e dispostizioni dettate d.ai11a degge per delimitare 
la discrezionalit� dehl'organo decidente. Queste norme dndividuano 
la cerchia dei beneficiari, stabiliscono appositi parametri di vailutazione 
in ordine alla concessione e all'entit� dei benefici... prevedono l'adozione 

di analoghi criteri in sede di direttive generiali che il Consiglio di amministrazione 
� tenuto a fissare per I'�attuazione delle finalit� dell'Istituto, e 
demandano, inf~ne, al �regolamento di esecuzione la produzione di apposite 
norme � per la concessione delle sovvenziond e degli altri benefici �. Il che 
significa che ri provvedimenti del Consiglio di amministrazione, insdndacabiH 
solo quanto al meriito, vanno pur sempre adottati in conformit� della 
legge, permanendo integra, .in vti:rt� dell'art. 113 Cost., ila faco1t� degli 
interessati di impugnarli in via giiurusprudenziale, dove il1icorra fa lesione 
di diritti o interessi legittimi. (omissis) 

Le consideraziond filn qui svolte rigua:rdano -� appena il caso di 
precisare -J.1 periodo, che rileva nella presente controversia, in cui l'ordinamento 
dell'Istituto Kirner era 1ancora in vigore. n ll"isultato raggiunto 
non � toccato da alcuna delle successive vicende normative, alle quali si 
� fatto sopra riferimento. Il che va quindi detto anche della circostanza, 
che l'Istituto Kirner sia stato incluso .in forza del d.P.R. n. 616 del 1977 
nella tabella B degli enti che esercitano funzioni amministrative di spettanza 
delle regioni, e indi soppresso, una volta accertata l'inesistenza di 
sue fumiioni residue, ai sensi dell'art. 113 dello stesso d.P.R. n. 616. Questi 
dati dimostrano, semmai, come gli scopi e le attivit� dstituzionaJi dell'ente 

lii 

I!

----I 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 39 

ora abolito, lungi dal comprimere ihlegitti;mamente la libert� associativa 
dei priivati, incidessero su una funzione, che il legislatore ha nel quadro 
di nuovi or:ientamen1Ji, ma sempre nel legittimo apprezzamento de11e scelte 
discrez.ionali consentite in tema di assistenza, pi� di recente attribuito agli 
enti pubblici terr�!toriali. (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 16 febbraio 1982, n. 43 -Pres. Elia -Rel. IJa 
Pergola -Federazione �italiana della 1caccia (av.v. D'Onof�rio), Fraill!cescatti 
e altro (avv. Moribidelli), Comitato promotore referendum 1a1brogativo 
legge sarda 28 apri.J.e 1978, n. 32 (avv. Mellini), Regione Sardegna 
(aw. Guarino) c. Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. 
Stato Azzariti). 

Ordinamento giudiziario -Referendum su legge regionale o provinciale � 
Giudizio di ammissibilit� � Attribuzione ad organo giudiziario -Con 
legge regionale o provinciale -Illegittimit� costituzionale. 

(Cost., art. 108; legge cost. 11 marzo 1953, n. 1; legge regione Sardegna 17 maggio 1957, 

n. 20, art. 6; legge Trentino-Alto Adige 24 giugno 1957, n. 11, artt. 7 e 22). 
Il controllo sull'ammissibilit� delle richieste di referendum abrogativo 
di leggi regionali o provinciali non � attribuito alla Corte costituzionale, 
n� pu� con legge non statale essere attribuito ad organi dell'ordine giudi� 
ziario; nessun atto regionale o provinciale pu�, senw. autoriz,zazicme di 
legge statale, distogliere i magistrati dai loro compiti istituzionali (1). 

(omissis) Ai fini dell'attuale indagine -va subito avvertito -importa 
consj,de:mre la sola attr:ibuzione dell'Ufficio per il referendum (costituito 
presso la Corte d'Appello o il Tnibunale, secondo i casi) che riguarda lii 
contm11o sull'ammissibilit� e �legittimit� de11e richieste �di abrogazione 
popolare. �, infatti, esclusivamente �l'esercizio di questa competenza a rile


(1) Il princ~p10 enunciato con molta chiarezza dalla Corte costituzionale 
opera anche al di fuori dell'ambito dell'istituto referendario, e costituisce applicazione 
del precetto di � indipendenza � della magistratura. Tale �indipendenza � 
ha infotd un duplice significato:. da un�lato difende i magistrati da interferenze 
di autorit� politiche o amministrative, prescrivendo che essi, nell'amministrazione 
della giustizia, sono sottoposti � soltanto alla legge � (art. 101 Cost.); d'altro 
lato, dovrebbe impedire che i magistrati siano �distratti dai compiti dstituzionali 
� e subiscano gli allettamenti di vantaggi �profani� (cfr. FAVARA, N� 
timore n�. speranze: le due facce dell'indipendenza del giudice, in Riv. dir. proc., 
1976, II, 644, e ZANOTTI, Le attivit�, extragiudiziarie dei magistrati ordinari, 1981). 
Naturalmente, il principio enunciato dalla Corte costituzionale non pare 
possa essere eluso mediante� una valorizzazione del consenso prestato dal singolo 
magistrato (come, ad esempio, mediante il ricorso a contratti di consulenza pi� 

o meno artificiosamente collocati nell'ambito del diritto privato). 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

40 

vare per d provvedimenti demandati, nella specie, all'Ufficio per i1l referendum 
di Trento, nonch� -nel giudizio dal quale trae origine la questione 
inaidentalmente promossa da questa Corte -ahl'Ufficio di Cagliari. 

Correttamente, dunque, l'Avvocatura dello Stato eccepisce, in relazione 
all'ordinanza dell'Ufficio di Tirento, l'irrilevanza deJJle censure ivi 
mosse..'. alle norme che a detto Ufficio affidano altri compiti in fasi procedurali 
diverse -ora precedenti, ora successive -rispetto al giudizio di 
ammissibilit�. Devono, precisamente, ritenersd ultroneamente censurate le 
disposizioni, per ile quali l'autorit� giudiziaria � abilitata: 

1) a ricevere la �dichiarazione dell'elettore che promuove Ja proced�ra 
referendaria (art. 4); 

2) a disporre, su istanza dei presentatori della richiesta, ila chiusura 
defile operazioni di .raccolta delle fdrme (quando di queste Tis�ltli depositato 
il numero prescritto, prJma della scadenza dei quattro mesi dagli adempimenti 
previsti dall'art. 4); (omissis) 

3) ad effettuare le operazioni di verifica ed il computo delle filrme 
raccolte (art. 9); � 

4) a concertare con altri organi (Presidente deJJla Giunta regionale 
e Commissario del Governo) la data di svolgimento della consultazione 
popolare (art. 11); 

5) a decidere, una volta espletata la votamone, su1le proteste e sui 
reclami relativi aille operazioni di referendum (art. 17). (omissis) 

Nell'ambito cosi precisato va, poi, tenuto presente l'ordine dogico de1�e 
censure. Quella che concerne l'art. 2 legge costHuziona1e n. 1 del 1953 deve 
essere esaminata per pr.ima. Infatti, con essa si prospetta come incostituzionale 
l'attdbuzione del suddetto controllo di ammissibilit� (o Jegittimit�) 
1ad ogni organo (il Tribunale di Trento costitwto in Uffiaio per lil 
referendum abrogativo delle leggi provinaiaii), ;diverso da questa Corte; 
mentre, in relazione all'art. 108 Cost., non si assume che H controllo .in 
questlione sia necessariamente attnibuito alla Corte, n� si asserisoe l'inidoneit� 
della fonte legislativa ordinaria -statuale o regionale -ad alterare 
questo schema fisso deU'organo attributarfo defila �ompetenza: si assume, 
soltanto, l'inidoneit� della legge regionale, dalla quaJe promana J'attribuzione 
dell'Ufficio per il caso in esame, ad iintervienlire nella sfera, riservata 
alla legge stata!le, de1l'ordinamento e degli organi giudiziari. (omissis) 

I disposti delle due leggi in esame, nonostante la diversirt:� delle form�le. 
tt!stuaLi, coincidono sostanzialmente, per quel che interessa in questa 
sede. L'art. 7 della legge Trentino-Alto Adige �recita, al secondo comma: 
�Non appena costituito, l'Ufficio centrale esamina la richiesta e dove 
ritenga ila proposta inamm1ssiibile perch� si mostri contrastante con norme 
de11a Costituzione, dello Statuto .regionale o delJa presente 1legge, dichiara 
con prop:da ordinanza inammissibile la proposita �. Dal canto suo, l'art. 6, 
secondo comma, della legge sarda dispone che � l'Ufficio provvede imme-

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

diatamente, ove �ritenga legit1lima la proposta, a!Ja verifica del numero 
complessivo dei richiedenti �. 

Nell'un caso e nell'altro, l'organo giudiziari.o, iin virt� della legge 
regionale che lo .istituisce come Ufficio per il referendum, esercita un 
controllo, che necessariamente precede le autonome operazioni di computo 
e di verifiica della regolarit� e del numero delle firme, nonch� tutti 
i �rimanenti compiti a detto Ufficio demandati nel corso della procedura 
referendaria. Com'esso � congegnato, iii giudizio di legittimit� e ammissibilit� 
ha dunque per oggetto la rispondenza della proposta di referendum 
a prescriZioni diverse, rispetto a quelle che concernono specii�icamente il 
numero o la modalit� delle firme, richieste a corredo dell'iiniziaJ.e atto 
di .impulso del procedimento (che � consentito al singolo elettore: cfr. 
artt. 4 Jegge Trentino-Alto Adige, 4 ~egge Sardegna). Per questo verso, 
vengon� in rilievo i limiti -sanciti dalla Costituzione, dallo Statuto speciale 
e, in conformit� di esso, anche dalla legge regionale -i quali servono 
a definire la sfera dii applicazione dell'istituto (cfr. art. 32, Statuto Sardegna, 
.art. l, lett. a, legge sarda n. 20 del 1957; art. 53 Statuto TrentinoAlto 
Adige; art. l, secondo comma; art. 2 legge Tirentino-Alto Adige n. 11 
del 1957); spetta all'Ufficio verificare l'osservanza, anche con lo �stabilire 
se ile leggi o :le singole disposizioni indicate nella 11ichiesta di referendum 
siano sottratte aJila possibilit� dell'abrogazione popollare. 

Ad avviso 'dell'Uff.icio di Trento, come si � premesso, la norma iisti<tutiva 
del controllo test� descritto vulnereirebbe la sfera garantita aJla Corte 
costituzionale ex art. 2 legge costituzionale n. 1 del 1953. Quest'ordine di 
rilievi via, tuttavia, disatteso. Basta in proposito l� semplice, ma decisiva 
considerazione che la citata legge costituzionale demanda, bens�, a questa 
Corte :ill giudizio di ammiiSsibilit� sulle richieste �di referendum 1abrogativo, 
ma con esclusivo riferimento aLle leggi dello Stato. Siamo, allora, di fronte 
ad una tassativa attribuzi�ne di competenza, la quale non pu�, s�nza il 
ricorso ad una� nuova legge costituzionale, essere estesa al referendum 
abirogativo delle leggi regionali e provinciali. Del resto, :i:l testo fondam~
taile distingue gld istituti ed i fenomeni della democrazia diretta, 
secondo che essi si inquadrino nell'ordinamento dello StJaito, ovvero in 
quelli degli enti autonomi. In questa prospettiva, ;}'abrogazione popolare 
delle leggi tegionali (e provinciali) deve avere una propria 'disciplina, 
prodotta dallo Statuto o dalla legge :regionale (cfr. art. 123 Cost. e per 
gli Statuti delle �regioni speciali: art. 32 Statuto Sardegna, art. 30 Val 
d'Aosta, art. 53 Trentino-Alto Adige, 5 e 33 Statuto Friuli-Venezia Giulia), 
latld�ve l'.invocata previsione costituzionale abbraccia il diverso e �autonomo 
piano in cui, .con la legge n. 352 del 25 maggio 1970 (cfr. art. 33), ha 
ricevuto attuazione il'art. 75 Cost. 

Detto oi�, s'impone una precisazione. L'Ufficio dii Trento afferma che 

il controllo di ammissibilit� resta, nell'ipotesi qui considerata, coml.inque 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

precluso ad ogni organo, diverso da questa Corte. L'assunto � prospettato 
in ragione del rango costitu:ziionale deHe norme ,di raffronto, che valgono 
per .l'esercizio del controllo, e della natura che questo .rivestirebbe, vertendo 
su matevia che, si dice, ne esige l'accentramento in un solo ed 
apposito organo, quale � iJl giudice costituzionale. L'asserita esclusione 
della competenza di ogni altro organo opererebbe, quindi, anche quando 
-come, �si � or ora detto, occorre ritenere -il controllo sull'ammissibilit� 
delle richieste afferenti al �referendum abrogativo deHe Jeggi regionali e 
prnvindaili non risulti attribudto alla Corte, ai sensi del vigente ovdinamento. 
Ma una simile .conseguenza non � sotto alcun iriguardo giustificata, 
n� pu� ritenersi implicita nel principio dell'unit� della giurisdizione costituzionaJe, 
al quale si fa riferimento nell'ordinanza in esame. Com'� in altra 
pronunzia spiegato (sentenza n. 125 del 1975), la competenza che si esercita 
sulle richieste di referendum abrogativo sta fuori dal nucleo originario 
delle .attribuzioni demandate alla Corte daH'art. 134 Cost., alle quali essa 
� stata successivamente 1aggiunta. � Il relativo giudizio� -si � appunto 
affermato nella decisione citata, richiamando la sentenza n. 10 del 1972 
� per Ja sua inserzione in un procedimento unitario che :si articola .in pi� 
fasi consecutive e conseguenziali, per la sua peculiare fun:ziione di controllo 
dn ordine ad un atto di procedimento di abroga:ziione in corso, si 
atteggia con caratteristiche specifiche ed autonome nei �confa'onti degli ialtri 
giudi~i riservati a questa Corte, e in particolare riispetto ai giudizi sulle 
controversie �relative alla legittimit� costituzionale delle leggi e degli atti 
aventi forza di legge �. 

Fondata, invece, � la questione che ha riguavdo alla violazione del-
l'art. 108 Cost. Le norme impugnate emanano, certo, dalll:a potest�, costi-
tu~ionaJ:mente garantita alla Reg.ione, di disoipl.inaire l'istituto referendario 
in conformit� ed attuazione del proprio Statuto speciale. Senonch�, l'esercizio 
di questa autonomia incontra i limiti posti da1la Costituzione e dallo 
stesso Statuto (art. 3 Statuto Saridegna, art. 4 Statuto Trentino-Alto Adige); 
e secondo la costante giurispmdenza della Corte, Ja .riserva de11a �legge 
statale, stabilita dall'al't. 108 Cost., opera, assurgendo a principio dell'ardinamento 
giuridico dello Stato, nel senso di escludere il settore giudiziario 
dal sistema del decentram~nto, e cos� dalle competenre dell'ente Regione, 
pur a regime differienziato. Le disposizioni in esame conferiscono, per�, 
ahla Corte d'Appello o.al Triibunale, insieme con la veste di Ufficio per il 
referendum, l'attribuzione radicalmente nuova che sopra si � vista, diversa 
da queMe ad essi spettanti in base ad idonea produzione di norme sulla 
magist�ratura, e, in particolare, in base .allo stesso ordinamento giudiziario . 
(cfr. artt. 43 e '53 r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modifiche). Gli 
anzidetti organi sono preposti al controllo sull'ammissibilit� de1le :richieste 
referendarie e distolti dai compitii .istituzionali senza copertura di alcuna 
legge statale, dalla quale possa trarre giustificazione questa interferenza 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 43 

della legge regionale in un �mbito, che concerne struttura e funzioni 
dell'ordine giudiziario. Invero, non si ravvisano g1i estremi perch� il potere 
di attuare le disposizioni dello Statuto, pur ris,ervato a11'organo legiS<lativo 
della Regione in materia di referendum, debba qui attrarre nella sfera 
dell'ente autonomo, per connessione, anche quello di ampLiare e -regolare 
att11ibuzioni della magistratura. La legge regionale, si deve concludere, 
non era, nemmeno implicitamente, abilitata dalla fonte statutaria a derogare 
il fondamentale principio, che l'art. 108 �Configura: e cos� la censurata 
discipLirra del controllo di ammissibilit� vulnera la riserva di legge statale 
posta in detta statuizione costituzionale. (omissis) 


SEZIONE SECONDA 

GIURISPRUDENZA COMUNITARIA 
E INTERNAZIONALE 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. un., 18 giugno 1981, n. 3967 -Pres. Rossi Est. 
Sandulli -P. M. Silocchi (parz. diff.) -Ammiillistrazione delle Finanze 
(avv. Braguglia} c. Italcampania Derrate del sig. Landolfi Francesco 
(avv. Gargiulo e Biancogiglio). 

Comunit� europee -Agricoltura -Organizzazione comune del mercati nel 
settore degli ortofrutticoli -Esportazione verso Paesi terzi -Restituzione 
� all'esportazione � Diritto soggettivo � Tutelabilit� davanti al 
giudice ordinarlo. 
(Legge 20 marzo 1865, n. 2248, ali. E, artt. 2 e 3; regolamento CEE del Consiglio 25 giu


gno 1966, n. 159, artt. 11; d.!. 17 marzo 1967, n. 80, conv. in legge 13 maggio 1967, n. 267, 
art. 5; dd.mm. 2 novembre 1968, 14 ottobre 1969, 1 agosto 1970). 

Comunit� europee � Agricoltura � Organizzazione comune del mercati nel 
settore degli ortofrutticoli � Esportazione verso Paesi terzi � Restitu� 
zlone all'esportazione � Condizioni � Libera pratica nel Paese terzo. 
(Regolamento CEE del Consiglio 25 giugno 1966, n. 159, art. 11; d.!. 17 marzo 1967, 

n. 80, conv. in legge 13 maggio 1967, n. 267, art. 5; dd.mm. 2 novembre 1968, 14 ottobre 
1969, 1 agosto 1970). 
Tributi erariali indiretti � Imposta generale sull'entrata -Esportazione e 
reimportazlone � Restituzione e rimborsi. 

(d.P.R. 24 giugno 1965, n. 723, art. 16; d.P.R. 21 dicembre 1961, n. 1339, art. 16; legge 
31 luglio 1954, n. 570, art. l; d.P.R. 27 febbraio 1955, n. 192, art. 1). 
Le restituzioni all'esportazione di prodotti ortofrutticoli verso Paesi 
terzi rispetto alla Comunit� economica europea previste, come premio 

o aiuto con funzione correttiva delle differenze di prezza fra i mercati intracomunitari 
e quelli di Paesi terzi, dal regolamento CEE del Consiglio 25 otto 
bre 1966, n. 159, nonch� dal d.l. 17 marzo 1967, n. 80 (conv. in legge B maggio 
1967, n. 267) e dai decreti ministeriali emessi in sua esecuzione, integrano 
veri e propri diritti di credito dell'esportatore, come tali tutelabili 
dinanzi al giudice ordinario, atteso che vanno riconosciute e quantificate 
in base a criteri direttamente fissati dalle norme dell'ordinamento comunitario 
e di quello nazionale, con esclusione di ogni discrezionalit� del['
autorit� amministrativa (1). 
(1-3) Identica la sentenza coeva n. 4107/81. In tema di restituzioni all'esportazione, 
-ma con riferimento all'organizzazione comune di mercato nel settore 
dei cereali, dove la disciplina delle restituzioni era contenuta esclusivamente nelle 
norme comunitarie -, gi� si era occupata la Suprema Corte, con la sentenza 
Sez. un., 26 aprile 1977, n. 1561, in questa Rassegna, 1977, I, 376, con note di 



PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

45 

Le restituzioni all'esportazione di prodotti ortofrutticoli verso un Paese 
terzo rispetto alla Comunit� economica europea, previste dall'art. 11 del 
regolamento CEE del Consiglio 25 ottobre 1966, n. 159, nonch� dall'art. 5 
del d.l. 17 marzo 1967, n. 80, e dai decreti ministeriali emessi in sua attuazione, 
postulano l'effettiva introduzione dei prodotti medesimi nell'economia 
di quel Paese (2). 

Il verificarsi dell'esportazione, con il passaggio della linea doganale, 
di prodotti ortofrutticoli imbarcati verso uno Stato estero non comporta 
il diritto dell'esportatore alla restituzione dell'imposta generale sull'entrata, 
qualora i prodotti medesimi non siano stati concretamente portati sul mercato 
di quello Stato, perch� reintrodotti in Italia (3). 

(omissis) Con il primo motivo, l'Amministrazione !l1�corrente -denunciata 
la violazione e la falsa applicazione degli ar.tt. 2 e 3 della legge 20 marzo 
1865 n. 2248, aH. E, del d.l. 17 marzo 1967, n. 80, convertito nel1a legge 
13 maggio 1967, n. 267, 11 del .regolamento del ConSliglio della Comunit� 
Economica Europea n. 159 del 25 ottobre 1966, 1 e segg. del D.M. 2 novembre 
1968 (in G. U. 11 novembre 1968) (ResmtUZ!�one a:1l'esportaZ�i.one di prodotti 
ortofrutticoli), del d.m. 2 novembre 1968 (in G. U. 12 novembre 1968) 
(Restituzione all'esportazione di pomodori), del d.m. 14 ottobre 1969 (in 

G. U. 6 febbraio 1970) (Restituzione all'esportazione di pomodori) e del d.m. 
1� agosto 1970 (fa G. U. 11 settembre 1970) (RestitllZ�ione all'esportazione di 
prodotti ortofrutticoli), dn .relazione all'art. 360 n. 1 e 3 cod. proc. civ. sostiene 
il dif�etto di giurisdizione del, giudice ordinario iin ordine alile 
domande di corresponsione delle � i;:estituzioni � relative alle esportazioni 
di prodotti ortofrutticoli. 
Lamenta che la Covte d'Appello -pur ammettendo che il dispovre 
le cosiddette �restituzioni all'esportazione� fosse demandato, per il regolamento 
n. 156 del 25 ottobre 1966 della Comunit� Econoinica Europea, 
aill'apprezzamento discrezionale dei singoli Stati e che per lo Stato Italiano 
questa discrezionalit� di apprezzamento sussistesse in base al d.l. 17 marzo 

richiami, affermando la giurisdizione in materia del giudice ordinario. Cfr. anche 
Cass., Sez. un., 14 marzo 1977, n..1009, ibidem, pag. 391, con nota, dove parimenti 
� stato ritenuto essere di diritto soggettivo la posizione giuridica del produttore 
di grano duro che richieda l'integrazione di prezzo disposta da norme comunitarie. 


Anch'essa in tema di restituzione all'esportazione -con riferimento al 
regolamento CEE del Consiglio 4 aprile 1962, n. ;19, relativo alla graduale attuazione 
di un'organizzazione comune dei mercati nel settore dei cereali -� la 
sentenza della Corte di giustizia delle Comunit� europee 27 ottobre 1971, nella 
causa 6/7.l, RHEINMUHLEN DUSSELDORF (in Racc. giur. Corte, 1971, 823, e in Foro it., 
1972, IV, 81), cui la Corte di cassazione si � richiamata per la pronuncia di cui 
alla seconda massima: ivi era stato precisato che condizione minima per considerare 
una merce � esportata verso un paese terzo >>, ai sensi del regolamento 
predetto, era la sua immissione in libera pratica nello Stato di destinazione. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

1967 n. 80, convertito nella legge 13 maggio 1967 n. 267 -abbia affermato 
che talle potere discrezionale fosse stato consumato con l'emanazione dei 
decreti ministeria1i 2 novembre 1968, 14 ottobre 1969 e 1� agosto 1970, 
posni a disciplina dei benefioi della .restituZJione in ordine alle esportazioni 
dei prodotti ortofrutticoli, e che conseguentemente, essendo �stati predeteirminati 
con ta:li decreti i criteri, i presupposti e '1e misure dei cosiddetti 
rimborsi ortofrutticoli, la posizione giuridica dei singoli aventi diritto agli 
stessi dovesse configurarsi come diritto soggettivo, azionabile innanzi al 
giudice ordinario. 

Deduce, in particolaire, che le norme che disciplinano le cosiddette restituzioni 
all'�esportazione, volte a favorire le esporitazioni rin paesi terzi 
-regolando gli strumenti di incentivazione e di .sostegno dell'economia 
nazionale nell'ambito di quella comunitaria ed assolvendo, quindi, la fun2lione 
di comandi legislativi rivolti all'attivit� del!la pubblica amministrazione 
-costituiscono norme di azione, tese ad :indirizzare ['esercizio della 
potest� amministrativa al perseguimento di scopi di generale interesse 
e che, quindi, le posizioni giur�.iliche dei pr.ivati ad esso correlate siano 
configumbili come interessi legittimi, e non come diritti soggettivi. 

Il profilo di carenza di giurisdizione del giJUdice ordinario, delineato 

dall'Amministrazione ricorirente, non � condiVtisiWe. 

Secondo la Corte di Giustizia delle ComUlilit� Europee -la quale non 

si � mai occupata direttamente degli :interessi leg,ittimi, !�.n quanto essa 

� giuilice di ogni tipo di interesse giuridicamente rHevante -� spetta 

aill'ordinamento giuridico ili ciascuno Stato membro di designare Ja giuri


sdizione competente ed, a tal effetto, di qualificare le posizioni giuridiche 

in base ai criteri di diritto nazionale� (sent. 19 dicembre 1968 in causa 

n. 13 del 1968). 
H problema di �riparto della giuriisdizione va, quindi, risolto, nel caso 

di specie, in base all'ordinamento giuridico italiano, secondo il criterio del 

cosiddetto petitum sostamiiale, e cio� in rapporto a)Jla posraione soggettiva 

fatta valere in giudizio. 

E -poich� oggetto della controversia sono obbligazioni a car�.co della 

pubblica amministrazione -1a questione deve essel."e definita in base ai 

criteri sopra indicati e con riferimento alla materia dehle obb1igazioni pub


bliche. 

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte Suprema (cfr. 
sent. 26 aprile 1977 n. 1561; sent. 15 ottobre 1975 n. 3334; sent. 18 �settembre 
1970, n. 1572), quando le norme che disciplinano la materia dcollegano 
La nascita dell'obbligazione pubblica al verificaI'.si di una situa:cione giuriidica, 
compiutamente desaritta e disciplinata, s� da non fasciare alcun spazio 
all'apprezzamento discre2lionale dell'autoriit� amministrativa, la quale, 
in tal caso, deve <ritenersi vincolata nell'intel."esse immediato e diretto del 
pr.ivato, si � in presenza di una norma di relazione, attribuniva di un diritto 


: 


47

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

soggettivo alla prestazione da parte della pubblica amministrazione fin 

dal momento in cui H fatto generico si � verificato. 

Viceversa, quando la norma lascia all'autorit� amministrativa un margine 
di discrezionaUt�, sia nel valutare se la fattispecie legaile, soltanto 
genericamente delineata, si � in concreto verificata, sia nel det�rminare la 
�misura de11a prestazione a carico deiI'ente pubblico, la norma si pone 
come norma d'azione, diretta a d:isdpHnare l'organizzazione dell'ente o il 
contenuto deill'attivdt� amministrativa o H procedimento dell'azione amministrativa, 
e pertanto la correlativa situazione giuridica del privato va 

qualificata interesse legittimo. 

Stabilito �il cniterio discriminatorio, va considerato se, in base aJ. siste


ma normativo comunitario, in tema di cosiddette restituzioni all'esporta


zione residui alle autorit� degli Stat�i membri un margine di disore:z;ionalit�. 

L'ordinamento comunitario, pienamente autonomo rispetto a quello 

interno degli Stati membri, pu� avvalersi della �sua azione, per la reaJ,izza


21ione dei suoi scopi, dell'ordinamento �illtemo, dando -luogo ad una � inter


penetrazione � dei due sistemi normativi. 

Pe11tanto, al fine di stabil.ire se, in �tema di cosiddette restituzioni alla 

esportazione, all'esportatore sia assegnata una pos[zione giuridica configu


rabile come diritto soggettivo, occorre muovere dalla statuizione norma


tiva contenuta nell'ordinamento comunitado, indagando se quesia, dopo 

aver compiuto la scelta (ailla luce degii obiettivii del !regime agricolo della 

comunit�), abbia attribuito aH'esportatore una posizione autonoma con 

ri!Ievanza �esterna direttamente garantita, oppure abbia fasciato alle auto


rit� degli Stati membri la facolt� di assumere, mediante un orientamento 

discrezionale, un diverso atteggiamento per esigenze di propri interessi 

pubblici. 

Il regolamento n. 159 del 25 ottobre 1966 del Consiglio della Comunit� 

Economica Europea, relativo a disposizioni complementari per J'organizza


2lione comune dei mercati nel settore degli ortofrutticoli -al fine di impe


dire (come risulta dalla relazione) che la concorirenza tfra le imprese delJa 

Comunit� su mercati esteri possa essere falsata e di mstaurare, pertanto, 

uguali condizioni di concorrenza, estendendo l'applicaZJione delle norme 

comuni di qualit� ai prodotti esportati verso 1 paesi terzi ed istituendo, 

in sostituzione dei reg.imi di aiuti aJ,l'esportazione esistenti negli Stati 

membri, un regime comunitario ohe preveda la concessione facoltativa 

di restituzioni all'oesportazione ve11so i paesi terzi nella misura necessaria 

a salvaguardare fa partecipazione della Comunit� al commercio interna


zionale degli ortofrutticoli -ha statuito nell'art. 11 n. l, che �se a seguito 

di pratiche anormali da parte di uno o pi� paesi terzi, che abbiano per 

effutto di falsare le condizioni di concorrenza su mercati extracomunitari 

che .rappresentano uno sbocco impor-tante per 1a produzione comnnitaria, 

a seguito delle misure di .stabilizzazione del mercato comunital1io, la parte




RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

48 

cipazione della Comunit� aJ commercio internazionale per i prodotti freschi 
di cui all'aHegato II, oltre che i prodotti trasformati di cui all'allegato 
III, 11is0Ma di essere �Compromessa, delle restituzioni possono essere 
accordate da parte degli Stati membri all'esport~ione di questi prodotti 
verso i paesi terzi �. 

Lo Stato italiano -dopo aver riprodotto Ja norma comunitaria, che 
assegnava agli Stati membri, Ja facolt� di concedere .['estituzioni aill'esportazione 
nell'art. 5 del decreto-fogge 17 mMZo 1967 n. 80 (attuazione di interventi 
nel settore dei prodotti ortofrutticoli), convertito nella legge 13 maggio 
1967 n. 267, il quale dispone che �per ii prodotti di cui all'allegato III 
del regolamento comunitario n. 159 del 1966 possono essere accordate restituzioni 
all'esportazione secondo i principi ed i criteri ivi stabilliti � -ha 
prescritto, con l'art. 1 del decreto ministeriale 2 novembre 1968 (restituzione 
aU'espor.tazione di prodotti ortofrutticoli :in esecU7J�.one del d.l. 17 marzo 
1967 n. 80) che �le restituzioni all'espo1�tazione dei prodotti ortofrutticoli 
freschi e trasformati verso i �Paesi non comunitari, previste dall'art. 5 
del dl. 17 marzo 1967 n. 80, convertito neHa Jegge 13 maggio 1967, n. 267, 
sono concesse a decorrere dal 1� gennaio 1967, secondo i princ�pi stabiliti 
dal regolamento della Comunit� Economica Europea n. 159 del 1966 ed alle 
condizioni prev�.ste negl!i articoli .seguenti, ponendo, con le norme contenute 
nei �successivi artt. 3 e 5 del citato d.m. 2 novembre 1968; i requisiti 
obiettivi per la concessione delle restituzioni all'esportazione e �prorogando 
con l'.artiicolo unico del decreto ministeriale 14 ottobre 1969 (modificazioni 
all;i, tabella allegata al D.M. 2 novembre 1968, riguardante le restituzioni 
all'esportazione di pomodori pelati, conserva e succo di pomodoro), e, con 
l'articolo unico del decreto ministeriale 1� agosto 1970 (i!'estituzioni all'esportazione 
di prodotti ortofrutticoli), il �termine utile per il godimento dei 
cennati benefici al 31 dicembre 1970. 

Le cosiddette restituzioni all'esportazione -come risulta chiaramente 
dalla su riportata normativa -costituiscono un premio o un aiuto, in funzione 
di correttivo del prezzo �reailizzato in sede di esportazione di determinate 
merci, a favore dell'esportatore di Stato membro verso Paesi terzi, 
al fine di compensare le differenze di prezzo esistenti fra i mercati intercomunitari 
e quelli degli Stati terzi. 

In ordine ad esse, l'ordinamento giuridico .italiano -dopo aver riprodotto 
nell'art. 5 del d.l. 17 marzo 1967 n. 80 (convertito nella fogge 13 maggio 
1967, n. 267), senza che ve ne fosse bisogno, avendo Je norme dei regolamenti 
comunital'i immediata applicazione in Italia, [a norma contenuta nell'art. 
11 del regolamento n. 159 del 25 ottobre 1966 del Consiglio della 
Comunit� Economica Europea, attributiva ag1i Stati membri del potere 
di accordare (al fine di evitare disparit� di trattamento tra !l'estituzioni 
intracomunitarie e quelle dei paesi terzi) sub specie di incentivazioni, le 
cosiddette � restituzioni� (costituenti, sotto .forma di 11imborsi, veri e propri 



PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

aiuti economici) agili esportatori di determinati prodotti verso i paesi estranei 
alla Comunit� -ha concesso, con decorrenza daJ 1� gennaio 1967, 
<in presenza di determinati presupposti e di specifici ['equis!iti obiettivJ, le 
� restituzioni � agli esportatori di prodotti omofrutticoli freschi e �trasformati 
verso i Paesi non comunitari. 

In tal modo, in base all'ordinamento comunitario, [ntimamente compenetrato 
con quello interno degli Stati membri, deve iritenersi che sia 
Timasto escluso, sia in ordme alla fattispecie gene1lica delle restituzioni alila 
esportazione, sia riguardo alla determinazione del Joro ammOilitare, ogni 
spazio per la disorezionalrit� delle autorit� dello Stato Italiano, tenurt:e 
esclusivamente a svolgere un'attivit� di mero accertamento delle restituzioni 
a fovore degli esportatori in Paesi fuori de11a Comunit�. 

La posizione giuridica degLi esportart:ori, cui 1a irestituzione deve essere 
corrisposta, non pu�, quindi, configurarsi che come un dkitto soggettivo 
(di credito), �correlato al!l'obbligo imposto allo Stato ex lege. 

Invero, i premi per le esportazioni verso Paesi term, destililati a coprire 
fa differenza fra prezzi praticati all'esterno ed all'interno della Comunirt� 
Europea -pur essendo intesi a soddisfare <il generale interesse di questa 
alla stabfilizzaZlione del mercato comunitanio -non prescindono daill'esigenza 
di protezione degli interessi economici dei sil!lgoli esportatori. 

Pertanto -assurgendo Ja posizione giuridica di vantagwio degli esportatori 
alla dignit� di diritto soggettivo di credito verso la pubblica amministirazione 
e conoscendo dell'esistenza dei diritti soggettivi al giudice o:rdinario 
-il profilo di difetto di giurisdizione delineato dalla ,ricorrente deve 
essere disatteso. 

Il pirimo motivo di ,rkorso �, quindi, da respingere. 

Con il secondo motivo, la ricorrente -denunciata la violazione e la 
falsa applica2lione del dl. 19 dicemhre 1969, n. 947; dell'art. 5 del dil. 17 marzo 
1967, n. 80, conveirtito in �legge 13 maggio 1967, n. 267; dell'art. 11 del 
regolamento della Comunit� Europea n. 159 del 25 ottobre 1966; deghl articoli 
1 e segg. del d.m. 2 novembre 1968 (m G. U. 11 novembre '1968); del d.m. 
2 novembre 1968 (.in G. U. 12 novembre 1968); del d.m. 14 ottobre 1969 
(in G. U. 6 febbr~aio 1970); del d.m. 1� agosto 1970 (:in G. U. 11 settembre 
1970); de1l'aTt. 16 disp. prelim. della tariffa doganaile d.P.R. 26 ,giugno 1965, 

n. 723; dell'art. 16 del d.P.R. 1� dicembre 1961, l!J.. 1339; dell'art. 1 della 
legge 31 luglio 1954, n. 570; degli aritt. 1 e segg. del d.P.R. 27 febbraio 1955, 
n. 192; nonch� l'omessa o insufficiente motivazione del1a decisione (art. 360 
n. 3 e 5 'COd. proc. oiv.) -si duole che la Corte del merito abbia ritenuto 
che 1alla Societ� reS'istente spettasse, per il semplice rilascio della bolletta 
doganale di esportazione, la restituzione ai1l"esportazli011J.e prevista da:l d.l. 
17 marzo 1967, n. 80 (emanato in attuazione del regolamento comunitario 
n. 159 del 25 ottobre 1966), in quanto -non eS'sendo mtervenuta l'esporta

50 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

zione per la quale la restituzione era stata richiesta e non essendo la 
merce stata introdotta nel paese di destinazione -il beneficio della restituzione 
avrebbe dovuto essere negato. 

La censura � fondata. 

Come si � visto nel corso dell'es,ame del precedente mot.ivo, l'art. 11 
del Regolamento della Comunit� Economica Europea n. 156 del 25 ottobre 
1966 (<relativo all'organizzazione comune di mercati nel settore de~i ortolfruttico1i) 
-al fine di provvedere ailla stabilizzazione del mercato comunitario 
attraverso la compensazione delle differenze di prezzo esistenti 
fra d mercati della Comunit� e quelli dei Paesi ad .essa estranei -stabilisce 
che � delile restituzioni possono essffi'e :accordate da pwte degli Stati membri 
all'esportazione dei prodotti ortofrutticoli verso i paesi terzi>>. 

Lo Stato Italiano -dopo avere riprodotto fa norma comunitaria nell'art. 
5 del dJ. 17 marzo 1967, n. 80 (converitito nella legge 13 maggio 1967 

n. 267) nel senso che � per' i prodotti di cui all'allegato III del rego1amento 
comunitario n. 159 del 1966 (prodotti ortofrutticoli trasformati) possono 
essere accordate restituzioni all'esportazione secondo i prindpi ed i crii,teri 
ivi stabiliti� -ha disposto nell'art. 1 del decreto mdnisteriale 2 novembre 
1968 (relativo alla restituzione all'esportazione di prodotti ortofrutticoli) 
(la cui efficacia � stata estesa con i decreti mdnistel'i.aili 14 ottobre 1968 
e 1� agosto 1970, in ordine ai pomodori pelati, conserva e succhi di pomodoro, 
fino al 31 dicembre 1970) ohe �Je ifestituzioni all'esporitazione dei prodotti 
ortofrutticoli freschi e trasformati sono concesse a decorrere dal 
1� gennaio 1967 secondo i princ�pi stabiliti dal regolamento n. 159 del 
25 ottobre 1966 delJa Comunit� Economica Europea�. 
E -disponendo l'art. 7 del cit. d.1. n. 80 del 1967 che per i cosiddetti 
rimborsi ortofrutticoli � si osservano le norme stabihlte dalle leggi e dai 
rregolamenti doganali in materia di restituziione dei dazi doganali �, e l'articolo 
5 del d.m. 2 novembre 1968 che �le rrestituziond sono accordate sotto 
l'osservanza delle disposizioni previste dal regolamento per ['esecuzione delila 
fogge doganale su presentazione de11a bolletta di esporitazione munita 
delle attestazioni prescritte comprovanti .l'effettiva uscita delle merci da11o 
Stato �, mentre l'art. 3 dello stesso decreto m1nisteriale prescrive che 
�a comprova che 1a quantit� di prodotti ortofrut1Jicoli, ammessi alle restituzioni, 
siano state effettivamente importate nei singoli Paesi di destinazione 
saranno presentati un documento di trasporto, vistato dal vettore responsabile, 
attestante che il prodotto � pervenuto nel paese di destinazione, 
ed un documento rilasciato dall'autodt� doganale del paese di destinazione, 
attestante che il prodotto � stato ivi importato� -sussistono dub� 
bi su1la nozione di � esportazione verso paesi �terzi �, non precisata nei 
regolamenti comunitari vigenti, e sulla conformit� dell'ordinamento nazionale 
al diritto comunitario. 

Tale incertezza comporterebbe, a norma dell'art. 177, secondo comma, 
del Trattato istitutivo della Comunit� Economica Europea, firmato a Roma I 

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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

H 25 marzo 1957, il deferimento alla Corte di giustizia delle Comuni-t� 
Europee della questione sull'interpretazione dehl'art. 11 del il'egolamento 
comunitario n. 159 del 25 ottobre 1966, la cui 11isoluzione � necessari.a ai 
fini della decisione della presente vertenza. 

Peraltro -poich� la Corte di giustizia, con Ja sentenza 27 otto'OO'e 1971 
(nella causa n. 6 del 1971) ha gi� ,interpretato una norma di contenuto identico 
ra quella oggetto del presente dibattito giudiziale, precisamente l'a:riticolo 
20 n. 2 del regolamento comunitario n. 19 del 4 �aprHe 1962, il quale 
autorizzava gli Stati membri a concedere restituzioni a11'esportaziooe � verso 
i paesi terzi�, .senza fissare diirettamente Je modalit� di restitu2lione dn 
ordine ai prodotti trasformati (fra cui l'orzo mondato), nel senso che 
l'espressione �esportazione verso paesi terzi�, ai sensi di detto art. 20, presupponga 
che � la merce sia stata posta in 1ibera pratica dn uno Stato 
terzo � -questa Corte Suprema -facendo applicaziooe dell'interpretazione 
data alla norma comunharia di identico contenuto dalla decisione 
del:la Corte di Giustizia delle Comunit� Europee -ritiene che, ai fini 
de1l'attdbuzione, nel caso di specie, delle cosiddette restituzioni alla esportazione, 
l'esportazione verso paesi terzi, ai sensi del regolamento comunitarfo 
n. 159 del 1966, richieda necessariamente che la merc� sia stata introdotta 
nel mercato di uno Stato terzo, e cio� che sia stata posta in libera 
pratica nello Stato estraneo alla Comunit�. 

Pertanto -dovendo ritenersi che l'esportazione in uno Stato terzo, 

estraneo alla Comunit� Economica Eumpea, si abbia soltanto quando ~a 

merce sia introdotta nell'economia di detto Stato e che H diritto al paga


mento del premio consistente nelle restituzioni all'esportazione -non 

sussista nell'ipotesi in cui l'esportazione non si sria verificata -deve cOlll


oludersi che la Corte d'Appello -attribuendo tale beneficio alla ditta 

resistente -non abbia pronunciato correttamente. 

In conclusione, iJ. secondo motivo di ricorso deve essere accolto. 

Con il �terzo motivo, fa ricorrente -denunciata Ja violazione e la falsa 

applicazione degli artt. 16 disp. prelim. della taviffa doganale approvata con 

il d.P.R. 24 giugno 1965 n. 723; 16 del d.P.R. 1� dicembre 1961, n. 1339; 1 della 

legge 31 luglio 1954, n. 570; e segg. del d.P.R. 27 febbraio 1955, n. 192; nonch� 

la omessa o insufficiente motivazione (airt. 360 n. 3 e 5 cod. proc. eiv.) 


lamenta che la Corte del merito abbia ritenruto che spettasse alla il'esistente 

la restituzione dell'I.G.E. ai sensi della legge 31 luglio 1954, n. 570, sul 

riflesso che cost~tuisce titolo idoneo a conseguire il :r.imborso la bolletta 

doganale di uscita, in quanto, nell'ipotesi in cui la merce sia reintrodotta 

nello Stato, dovrebbe farsi applicazione dell'art. 16 del d.P.R. 26 giugno 1965, 

n. 723. 
Anche questa doglianza � fondata. 
Il regolamento della materia in tema di imposta generale sull'entrata, 
per H periodo che interessa, � contenuto nella fogge 31 lu~io 1954, n. 570 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

(restituzione dell'imposta generale sull'entrata sui prodotti esportati ed 
istituzione dii un diritto compensativo sulle importazioni), la quale, per 
agevolare l'esportazione di merci, ha concesso all'esportatore 1a restituzione 
di parte dell'imposta generale sull'entrata percepita sui prodotti nella 
fase di produzione ed ha imposto correlativamente un diritto di 'corrispondente 
misura (oltre all'imposta sostirtutiva deH'I.G.E. ex art. 17 della 
legge 19 giugno 1940, n. 762) sull'importazione degli stessi gened (d.P.R. 
27 febbraio 1955, n. 192; d.P.R. 22 luglio 1955, n. 794). 

Invero, con l'art. 1 della legge n. 570 del 1954 sti. � disposto che �~i 
esportatori dei prodotti industriali sono ammessi alla restituzione dell'amposrta 
generale iin relazione alle merai esportate ed alle materie prime ed 
altri prodotti impiegati nella loro fabbr.ica2lione � e ohe �,sui prodotti industriali 
importati dall'estero � dovuta un'imposta di conguaglio rapportata 
all'imposta genera!l.e sull'entrata che gli stessi prodotti av!l'ebbero assolto 
durante Ja loro fabbl1icazione iin Italia�: 

Aii fini della restituzione dell'imposta generaJe sull'entrata, si �, poi, 
stabilito, con l'art. 1 dcl d.P.R. 27 i�ebbraio 1955 (Norme per ['esecuzione 
delJa legge 31 luglio 1954, n. 570), che �'l'esportazione dei prodotti industriai1i 
deve essere effettuata a mezzo dii bolletta doganale di uscita con 
restituzione di diritti, da compilar-si, di regola, in corl1ispondenza di ogni 
fattura per vendite effettuate all'estero�. 

In base a tale normativa, la Corte di Appello ha ritenuto che, verificandosi 
J'esportazione con iJ. passaggio della !linea doganale da parte della 
merce imbarca1Ja per l'estero, sia dovuta, in conseguenza di tale circostanza 
all'esportatore la restituzione dell'imposta generale sull'entrata percepirta 
sui prodotti nella fase dii produzione. 

Peraltro -poich� ~�art 16 dcl d.P.R. 21 rdicembre 1961, n. 1339, Approvazione 
della nuova tariffa dei dazi doganali di importazione (il cui testo 
� stato integralmente riprodotto nell'art. 16 del d.P.R. 26 giugno 1965, n. 723, 
avente lo stesso oggetto), stabilisce che �nel caso di reintroduzione di 
merci ammesse, quando si esportano, a.restituzione o ad abbuono cli diritti, 
devono ,essere rimborsate aHo Stato ~e somme relative alle restituzioni 

o agLi abbuoni usufruiti� -ila soluzione data ail problema oggetto di 
disputa non pu� ritenersi corretta. 
Invero -dovendo l'esportatore, .}a cui merce imbarcata per l'estero 
sia stata reintrodotta in Ita1ia, Timborsare 1allo Stato le somme attribuitegli 
a titolo di abbuoni -deve concludersi che, !in tal caso, ['esportatore non 
possa pretendere le cosiddette �restituziollli aH'esportazione dallo Stato, giacch� 
ila soluzione contraria comporterebbe dJl !l'icorso ad una inutile doppia 
partita, destinata necessariamente a perveniTe, attraverso un'operazione � 
aritmetica di sottrazione, alla compensazione della voce creditorfa con 
quelLa debitoria. 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

53 

Deve, quindi, concludersi nel senso che �'l di:riitto al rimborso dell'Jmposta 
generaJe sull'entrata non spetti all'esportatore di prodotti ortofouMicol<i 
(conserve di pomodoro) quando fa merce imbarcata per '1'estero non sia 
introdotta nell'economia o nel mercato dello Stato straniero e sia stata, 
quindi, reintrodotta ~n Italia. 

Pure il terzo motivo �, pertanto, da accogliere. (omissis) 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 9 dicemhre 1981, 
nelJa causa 193/80 -Pres. Mertens de Wi.J.mars -Avv. Gen. Slynn -Commissione 
delle Comunit� 1europee (ag. Wagenbaur e Berardis) c. Repubblica 
italiana (avv. Stato Ferri) -Interv.: Governo francese (avv. Guillaume, 
avv. Carnelutti). 

Comunit� europee � Unione doganale � Libera circolazione deMe merci � 
Misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative all'importazione 
-Divieto -Portata. 
(Trattato CEE, artt. 30 e segg.). 

Comunit� europee � Unione doganale � Libera circolazione delle merci Misure 
di effetto equivalente a restrizioni quantitative all'importazione 
� Divieto � Eccezioni -Limiti -Fattispecie (commercializzazione 
di aceti di origine agricola non di vino). 
(Trattato CEE, artt. 30 e 36; d.P.R. 12 giugno 1965, n. 162, art. 51). 

Comunit� europee -Unione doganale -Libera circolazione delle merci Misure 
di effetto equivalente a restrizioni quantitative all'importazione 
� Denominazione dei prodotti -Effetti -Aceto: variet� -Tutela 
dei consumatori. 
(Trattato CEE, artt. 30, 36, 38; tariffa doganale comune, voce 22.10; d.P.R. 12 giugno 1965, 

n. 162, art. 41). 
La mancanza di una normativa comune o di direttive di armonizza� 
zione relative alla produzione e al commercio di un prodotto non � sufficiente 
per porre tale produzi0J1e o commercio al di fuori dell'ambito di 
applicazione del divieto sancito dall'art. 30 del trattato. Il divieto di misure 
di effetto equivalente a restrizioni quantitavive si riferisce in effetti a tutte 
le normative degli Stati membri in materia commerciale atte ad ostacolare, 
direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari 
(1). 

(1-3) Con la sentenza 26 giugno 1980, nella causa 788/79, GILLI, la Corte di 
Giustizia si era gi� occupata della normativa italiana sull'aceto in relazione alla 
disposizione (art. 51 d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162) che vieta la messa in commercio 
per usi alimentari degli aceti non ricavati dal vino. Pronunciandosi ai 
sensi dell'art. 177 del Trattato sul quesito posto dal Pretore di Bolzano, con 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

54 

In mancanza di una normativa comune in materia di commercio di un 
prodotto spetta agli Stati membri disciplinare, ciascuno nel suo territorio, 
tutto ci� che riguarda� il commercio di tal� prodotto, ma gli ostacoli che 
ne derivano per la circolazione intracomunitaria possono essere accettati 
solo se le disposizioni nazionali possano ammettersi come necessarie per 
rispondere alle �esigenze imperative attinenti alla protezione della salute 
pubblica, a cui si riferisce l'art. 36, alla difesa dei consumatori o alla lealt� 
dei negozi commerciali. Tale presupposto non ricorre nel caso del divieto 
posto nella legislazione italiana di commercializzare aceti di origine agricola 
diversi dall'aceto di vino (2). 

E incompatibile con il principio fondamentale della libera circolazione 
delle merci che una legislazione nazionale riservi una denominazione generica 
ad una sola variet� nazionale, a detrimento delle altre variet� prodotte 
in altri Stati membri. Il termine � aceto � � un.a denominazione generica 
che non si riferisce solamente agli aceti di vino e la protezione dei consumatori
� nella scelta pu� essere garantita con mezzi appropriati, quali 
in particolare un.'etichettatura che indichi la materia prima utilizzata (3). 

(omissis) 1. -Con atto introduttivo depositato nella canceHeriia della 
Corte-iJ 29 �settembre 1980, la Commissione�delle Comunit� Europee ha proposto, 
ai �sensi dell'art. 169 del Trattato CEE, un .r.icorso inteso a far constataTe 
che la Repubblica italiana, (( vietando l'importazione e la commercializzaiJione, 
sotto la denomim~zione 'aceto', di aceto non a base di vino>>, 
� venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ,in virt� degli artt. 30 e 36 
del Trnttato CEE. 

questa sentenza la Corte aveva gi� dichiarato che un simile divieto rappresenta 
una restrizione all'importazione confliggente con la libert� di commercio tra gli 
Stati membri (art. 30 del Trattato). 

La sentenza in rassegna, questa volta �in sede di rkorso della Commissione 
ai sensi dell'art. 169 del Trattato, ha riconfermato il punto, come del resto era 
prevedibile, cos� che per questa sua prima parte la pronuncia non presenta un 
sostanziale aspetto di novit�. 

M�rita per� cogliere lo spunto per sottolineare l'incerta demarcazione tra 
giudizio di 1interpretazione e giudizio di madempimento, e gli effetti di sconfinamento 
del primo nel secondo, conseguenti ad una frequente impostazione dei 
quesiti interpretativi, che appaiono non tanto fondati su una incerta lettura 
delle norme comunitarie, quanto piuttosto diretti al confronto diretto e puntuale, 
in termini di compatibilit�, tra le norme comunitarie ed una ben identificata 
disposizione di diritto interno. 

Pi� interessante � l'altro capo della sentenza che riguarda la contestazione 

di infrazione al Trattato in rapporto all'altra disposizione (art. 41 d.P.R. n. 162/65) 

che riserva la denominazione commerciale di aceto al solo aceto di vino. 

Qui la Corte ha ancora una volta enunciato il principio che la pr�tezione 

dei consumatori e la lealt� dei negozi commerciali 1appartengono a quell'ord~ne 

di valori che lo stesso ordinamento comunitario riconosce preminenti rispetto 

agli obbiettivi di liberalizzazione degli scambi, derivandone la facolt� per gli 



55

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

2. -A n�rma dell'art.� 51 del decreto del Presidente della R:epubbl�ca 
12 febbraio 1965, n. 162 (G.U.R.I. n. 73 del 23 marzo 1965), � vietato -sotto 
pena di una multa o della reclusione -trasportare, detenere per la vendita, 
mettere in commercio o comunque utilizzare per uso a1imentare diretto 
o indiretto, fra l'altro, prodotti contenenti acido acetico non proveniente 
daHa fermentazione acetica del vino. A norma dell'art. 41 dello stesso decreto, 
la denominazione � aceto � � riservata unicamente al prodotto ottenuto 
dalla fermentazione acetica dei Vlini. Tali disposizioni si applicano ancl).e 
ai prodottLi.mportati dall'.estero. 
3. -La Commissione, ritenendo tale normativa contrastante con il principio 
della libera circolazione delle merci all'interno della Oomurut�, trasmetteva 
al Governo italiano due successivi pareri motivati, emessi nelle 
condizioni qui di seguito indicate: 
4. -Il primo �cli taU pareri era stato preceduto, ai sensi dell'art; 169 
del Tirart:tato, da una lettera del 14 clicembre 1978, 1in cui la Commissione 
faceva .osservare al Governo Haitiano che la normativa sopra indicata andava 
configurata come una misura d'effetto equiV1alente a deLle restrizioni 
quantitative all'importazione, contrastante come tale con l'aTt. '30 d~"Frate 
tato, e per ila quale sembrava da esdudersi una deroga ,iJil base,all'art. 36 
del Tirattato stesso, in quanto appariva difficile sostenere -ed in ogni caso 
non era comunque dimostrabile -che l'aceto d'alcool di <;>rigine agricola 
fosse pi� nocivo alla salute dell'aceto di vino. 
5. -Nella lettera, la Commissione precisava ohe tale valutazione cori�erneva 
solo � l'aceto di alcool ottenuto per mezzo della fermentazione 
acetica di prodotti agricoli ad eccezione quindi dell'acido acetico sintetico�, 
che si poteva continuare ad escludere dal mercato dell'ace,to..Essa aggiungeva 
che, quanto all'aceto d'alcool di origine agricola, che doveva poter 
essere utilizzato nel -consumo diretto, allo stesso modo delJ'aceto di vino 
Stati membri di legiferare a tali fini anche con la ado2fone di misure oggettiva


mente restrittive delle importazioni da altri Paesi della Comunit�, se necessarie 

allo scopo. 

Scendendo per� alla sua a:PPlicazione concreta, la Corte non si � discostata 

dai criteri di estrema cautela e prudenza che caratterizzano, nelle sue pronunce, 

la valutazione delle esigenze di tutela degli interessi extra-commerciali perseguite 

dalle norme interne. Nella specie, � comunque significativo che la Corte non � 

stata insensibile alla necessit� che un simile giudizio venga formulato non in 

astratto ma con adeguate considerazioni di quelle pecuHarit� nazionali consi


stenti in particolari circostanze ambientali (come appunto dl tradizionale con


sumo in Italia di solo aceto di vino ed i suoi riflessi nell'uso comune del termine 

aceto) che possono far apparire giustificate, fo un Paese membro, delle dispo


sizioni che non sarebbero altrimenti compatibili con l'art. 30 del Trattato. 

(P.G.F.) 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

e in concorrenza con questo, essa non vedeva alcllil inconveniente a che le 
autorit� ita:liane adottassero le disposizfoni necessarie per permettere ai 
consumatori di operare fa loro scelta anche grazie ad un'etichettatura 
adeguata. 

6. -Non avendo ricevuto :risposta entro il termine fissato -di due 
mesi-, ia Commissione emetteva, il 19 novembre 1979, nei confronti della 
Repubblica �ita:liana, un parere motivato relativo al divieto d.i usare aceto 
cli alcool diverso dall'aceto di vino in cui, dopo 1aver richlamato la propria 
lettera del 14 dkembre 1978, essa constatava �in confon:nit� dell'airt. 169, 
primo comma, del T�rattato CEE, che, vietando l'uso .cli aceto di fermentazione 
ottenuto mediante un prodotto diverso dal vino e dal VlinelJo, la 
Repubblica italiana ha mancato agli obblighi che [e derivano a norma del 
T�rattato �. Essa motivava .il proprio parere con la considerazione che 
�l'aceto di fermemazione cliverso dall'aceto di vino, dn particolare l'aceto 
prodotto a base di alcole, di sidro o di malto forma oggetto di forte .produzione 
e consumo �in vari Stati membri, e si pu� constatare che questo consumo 
non presenta alcun pericolo per Ja salute. M divieto di usare a scopi 
alimentari aceto di fermentazione d.Werso dall'aceto di vino equiViale pertanto 
a creare barriere commerciali fra ~'Italia e gli altri Stati membri �. 
7. -Nel frattempo, il Governo italiano aveva presentato le proprie 
osservazioni, con lettera 8 novembre 1979, in cui, pur ribadendo il punto 
di vista secondo cui la sua JegislaZJione nazionale era nel suo complesso 
compatibile con il diritto comunitario, concentrava fa discussione sulle 
denominazfoni � aceto � e, rispettivamente, �aceto di vino �. 
8. -In seguito a queste osserv.azioni, la Commissione trasmetteva al 
Gove:mo �italiano, iJ. 28 luglio 1980, un ulteriore parere motivato � relativo 
aJ. divieto di utilizzare la denominazione ' aceto ' per qualsiasi prodotto 
diverso da quello ottenuto dalla fel:'ll1entazione acetica del vino�, con il quale, 
dopo aver precisato che essa intendeva proseguire ila proprfa azione 
e dopo aver richiamato due volte la lettera 14 dicembre 1978, constatava 
che, vietando di utilizzare la denominazione � aceto � per ogni pmdotto 
diverso da que1lo ottenuto dalla fermenta2Jione acetica del vino, Ja Repubblica 
italiana aveva mancato agli obblighi impostile dal Trattato. Nello 
stesso parere, .Ja Commissione faceva riferimento �aHa sentenza, che nel 
frattempo era stata pronunziata, H 26 giugno 1980, nella oausa 788-79, Gilli 
e Andres, relativa all'importa:llione in Italia di aceto di mele (Racc. 1980, 
pag. 2071). 

9. -Risulta dalla formulazione del parere motivato del 28 luglio 1980 
che questo, nelle intenzioni esplicite della Commissione, � complementare 
al precedente parere motivato, e che i due pareri, nel '1oro :insieme, si rife11iscono 
tanto al divieto di usare fa denominazione �aceto� per i prodotti 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

non ottenuti dalla fermentazione acetica del vino, quanto al divieto di 
mettere in commercio o di impor'1Jare acero di fermentazione ottenuto da 
un prodotto diverso dal vino. Jil contenuto dei due pareri motivati � ribadito 
nelle conclusioni dell'atto introduttivo del ricorso, con iil quale s:i 
chiede che '1a Corte voglia � constatare che la Repubblica :iitaliana, vietando 
l'importazione e ila commercializzazione, ,sotto la denomiil!azione ' aceto', 
di aceto non a base di vino, ha mancato agli obblighi che le incombono iin 
virt� degli articoli 30 e segg. del Trattato CEE �. 

10. -In seguito alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale delle Comunit� 
Europee di un estratto del ricorso, che poteva indurre a ritenere che 
ques:to si criiferisse anche a11.o smercio delJl'acido acetico di sintesi, il Gover~ 
no della Repubblica foancese ha chiesto ,di poter intervenire nella causa. 
Tale Governo affermava che, a suo avviso, l'Italia poteva legittimamente 
continuare a vietare il commercio dell'acido aoetico di sintesi e si riservava, 
qualora la Commis'Slione avesse inteso es1tendere il ricorso aHe questioni 
relative al commercio di ,taJe acido, di dntervenire a pa�rz>iale ,sostegno delle 
conclus!ioni del Governo italiano. 
11. -Rispondendo ad una domanda postag;li in udienza, l'agente della 
Commissione ha affermato che Je conclusioni da questa presentate hanno 
portata generale, e si riferiscono all'importazione ed aJ commercio di qualsiasi 
tipo di aceto, ma che 1a Commissione stessa sarebbe dg,sposta a circo� 
scrivere '1'oggetto del ,ricorso, agli effetti del caso controverso, agli aceti di 
origine agricola, escludendo l'acido acetico di sintesi. 
12. -Alla luce di quanto in precedenza esposto, questa Corte ritiene 
che Je questioni attinenti alfa denominazione ed al commercio deJl'acido 
acetico di smtesi non rientdno neH'oggetto della presente conkoversia. 
La Commissione aveva infatti chiaramente escluso questo tipo di aceto 
nella lettera di messa in mora del 14 dicembre 1978, richiamata espressa� 
mente tanto nel primo quanto nel secondo parere motivato, concentrando 
il suo esame sulla sola questione relativ,a alla denomina:zJione ed aH'impor� 
tazione dei diversi tipi di aceto derivato da prodotti ag;rico1i. Ne risulta 
che l'incertezza rilevata dal Governo francese trova una spiegazione nell'ambigua 
formu1aziione del ricorso, nel quaile non isi :rJflettono i limiti 
risultanti sia daJla lettera di messa in mora �sia dai due pa:reri motivati. 
Cos� stando le cose, la Commissione non pu� estende:re J'ambito del ricorso 
ad una questione che, essendo stata espressamente esclusa fin dall'inizio 
dal procedimento avviato ai sensi deH'art. 169, non ha costitJUito oggetto di 
contraddittorio n� in sede precontenziosa, n� durante la fase scritta del 
procedimento �dinanzi alla Corte; 
13. -Si deve pertanto concludere che la presente controversia riguarda 
unicamente l'importazione, il commercio e fa denominazione in Italia dell'aceto 
ottenuto da prodotti ag:riicoli, escludendo l'acido acetico di sintesi. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

14.� -Secondo il ricorso de1la Commissione, il cui oggetto va cos� 
delimitato, la normativa italiana concreta due distinte violazioni dell'art. 30 
del Trattato, in quanto vieta, da una parte, l'importazione ed il commercio 
dell'aceto di origine agricola che non sia quello ottenuto dalla fermentazione 
del vino e, d�Jl'altra, 1l'uso deMa denominazione � aceto� per gli aceti 
di �rigine agricola che non siano aceti di vino. 

a) Sul divieto dell'importazione e del commercio degli aceti di origine 
agricola diversi dall'aceto di vino. 

15. -Il Governo italiano contesta che il mantenimento �in v:igore di 
questo div:ieto costituisca una violazione dell'obbligo di garantire la libera 
circola2lione delle merci. Esso adduce in primo luogo l'assenza di armonizzazione 
delle legislazioni deg1i Stati membri in mateda di �aceto� e, in 
secondo luogo, considerazioni relative all'assenza di discriminazioni, alla 
sanit� pubblica e alla repressione delle frodi. 
16. -Il Governo italiano ricorda .innanzitutto che il Consiglio, nelle 
sue risoluzioni del 28 maggio 1969 (G. U. n. C 76, pag. 1) e del 17 diceml>re 
1973 (G. U. n. C 117, pag. 1), aveva compreso faceto fra quei prodotti alrimentari 
per i quali la Commissione avrebbe doVUJto presentare proposte 
di armonizzazione che potessero essere adottate dal Consiglio stesso al pi� 
tardi il 1� luglio 1970, termine prorogato, in seguito, ail 1� gennaio 1977 con 
la seconda risolll2lione. Il Governo italiano argomenta che, nella misura 
in cui tale programma .rimane valido, la Commissione avrebbe dovuto procedere 
almeno ad un tentativo di armonizzazione, presentando una proposta 
ai sensi dell'art. 100 prima di invocare gli articoli 30-36 del Trattato. 
17.. -Questa tesi va respinta. Il pr�noipio fondamentale deH'unit� del 
mercato ed il suo corollario, la libera circolazione delle merci, non possono 
-in alcun caso -essere subo11dinaH alla condizione preliminare del ravvicinamento 
delle legislazioni nazionali, in 1quanto una subordinazione di 
questo genere svuoterebbe il principio in questione del suo contenuto. 
Risulta d'altronde che gli artt. 30 e 100 perseguono finalit� distinte. L'uno 
ha lo scopo di eliminare immediatamente, 1salvo ecce2lioni ben determinate, 
itutte le restri2lioni quantitative 1aH'<importazione delle merci e tutte le mi.Sl\lre 
d'effetto equivalente, mentre l'altro ha .Io soopo generale di permettere, 
mediante di ravvicinarrnento delle disposizioni Jegislative, regolamentari ed 
amministrative degli Stati membri, di �ridurre gli ostacoli di ogni genere 
iriimltanti dalla disparit� �tra dette disposizioni. Non s.i pu� dunque subordinare 
l'eliminazione delle rest11izioni quantitative e delle misure d'effetto 
equivalente, scopo proolamato senza riserve dall'art. 3, 11ette. a), del T!l�attato, 
e attuato dall'art. 30, ad un'azione che, per quanto atta a favorire 
fa libera circolazfone delle merci, non pu� essere considerata come una 
condizione necessaria per l'applicazione di questo principio fondamentale. 


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59

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

18. -Ne deriva che la mancanza di una normativa comune o di direttive 
di armonizzazione relative alla produ2'Jione o al commercio di un prodotto 
non � sufficiente per porre tale produzione o commercio al di fuori 
dell'ambito di applicazione del divieto sancito da1l'art. 30 del Trattato. 
Il divieto di misure d'effetto equivalente �a a:estrizioni quantitative si riferisce 
in effetti a tutte le normative degli Stati membri in materia commerciale 
atte ad ostacolare, direttamente o indirettamente, in atto o in 
potenza, gli scambi Jntracomunitari. 
19. -Il Governo italiano sostiene, ,in secondo luogo, che la normativa 
in esame non ha carattere discriminatorio, in quanto �si riferisce tanto ai 
prodotti :n;;izionali quanto ai prodotti jmportati. Esso fa carico, inoLtre, alla 
Commissione di non avere approfondito se il divieto di importazione non 
sia una conseguenza necessaria e legittima delle disposizioni adottate dallo 
Stato neJl'eseroizi.o della propria competenza 1legislativa in materia di commercio 
dei prodotti. 
20. -A tale argomentazione si deve rispondere, da una par.te, che il 
sistema tinstaurato dalla legislazione italiana, seppure .si applichi indistintamente 
ai prodotti nazionali e a quelli importartli, provoca egualmente, di 
fatto, effetti :protezionistici. Esso' � stato watti configurato in modo tale 
da lasciar entrare in Italia solamente l'aceto di vino, chiudendo fa frontiera 
a qualsiasi altra categoria di aceto di origine agricola; tale sistema giova 
pertanto ad un produzione nazionale tipica, sfavorendo nella stessa misura 
varie categorie di aceto naturale prodotto negli altri Stati membri. 
21. -D'altra parte, per quanto -come � confermato dalla giuri:sprudenza 
costante della Corte (sentenza io aprile 1979, nella causa 120/78, 
Revue, Racc. pag. 649) -, in mancanza di una normativa comune in materia 
di commercio di un prodotto, spetti agli Stati membri disciplinare, ciascuno 
nel suo territorio, tutto ci� che riguarda il commercio di tale prodotto, e per 
quanto v:adano accettati gli ostacoli che ne devivano per la circolazione 
intracomunitaria, occorre inoltre, per�, che �tali disposizioni possano ammettersi 
come necessarie per rispondere ad esigenze imperative attinenti alla 
prote2'lione della salute pubblica, a cui si riferisce 11'art. 36, aUa difesa dei 
consumatori o alfa lealt� dei negozi commerciali, presupposto, questo, che 
non sembra ricorrere nel caso in esame. 
22. -Nori pu� infatti accettarsi l'argomento relativo alla protezione 
della salute pubblica, dedotto dal Governo .italiano . a giustificazione della 
propria legislazione nazionale, in quanto esso risulta infondato nel caso 
deg1i :aceti di orig.ine agricola, a proposito dei quali � pacifico che essi sono 
priv.i di sostanze nocive e vengono abitualmente consumati negli altri Stati 
membri e che, pertanto, vanno ritenuti non dannosi per la salute, come 
� stato d'1altronde constatato dalla Corte nella sentenza Gilli summenzionata, 
con r.iferimento in particolare all'aceto di mele. 

60 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ili

I 

23. -Quanto alfa lealt� dei negozi ed alJa difesa dei consumatori, 
I 

a tati esigenze si pu� far fronte -come sar� illustrato in seguito a proposito 
della questione delle denominazioni -con mezZJi meno Testrittivi della 
�libera circolazione di quanto lo sia il divieto di mettere iin commercio qual


I

r:


siasi tipo di aceto naturale diverso da1l'aceto di vino. ~j 

b) Sulla denominazione �aceto� riservata all'aceto di vino. 

24. -Il �Secondo aspetto sotto il quale, ad avviso della Commissione, 
la normativa italiana viola U Trattato CEE rigua1:da il fatto di riservare 
la denominazione � aceto � all'aceto di villo. La Commissione fa notare che 
questa imposizione svaluta, agli occhi dei consumatori italiani, ~li aceti 
naturali ottenuti dalla feTmentazione dii sostanze diverse dail vino, i quali 
possono venire proposti ad acquirenti eventuali solo con un nome di fantasia 
che li deprezza, �rendendo tali tipi di aceto � quasi invendibiki �. Tale 
provvedimento sarebbe pertanto atto ad ostacolare direttamente o indirettamente 
gli scambi cintracomunitari. 
25. -Il Governo italiano invoca, a giustificazione della propria normativa 
in materia, la necessit� di tutelare i consumator>i, i quali, !in lta:1ia, 
per � itradizione plurisecolare �, considererebbero -.in base al valore semantico 
del termine � aceto � -tutti gli � aceti � come acetii di vino. Ess�i 
sarebbero perci� esposti al �rischio di essere ingannati sulla qualit� effettiva 
della materia prima e del prodotto finito. 
26. -Questo argomento non pu� essere accolto. Risulta dalle dispoSl�.zionii 
comun.itanie che si applicano in. materia, ed in particolare dalla voce 
22.16 della tariffa doganaJle comune, riprodotta anche nell'allegato II del 
Trattato a cui fa 'riferimento l'art. 38 dello stesso, che il itermine � aceto � 
non s[ rid'erisce solamente agli aceti di vino, i quali sono classificaiti, d'altronde, 
sotto una rubPica specifica. Ne deTiva che :il termine � aceto � � una 
denominazione generica, ed � incompatibile con gli scopi del mercato 
comune, ed .in particolare con il principio fondamentale della ~ibera circo~
azione delle merci, che una legislzaione nazionale riservi una denominazione 
generica ad una sola v.ariet� nazionale, a detrimento delle altre varfot� 
prodotte, in particolare, in aHri Stati membri. 
27. -Non � tuttavia escluso che, in seguito all'applicazione della normativa 
controversa, i consumatori irtaliaini si siano assuefatti 1all'uso commerciale 
del termine �aceto�, per il solo aceto di vino. In questa 
situazione, la sollecitudine del Governo italiano per la difesa dei consumatori 
pu� risultare giustificata. Siffatta protezione pu� tuttavia essere 
garantita con altri mezzi atti a sottoporre ad un pari trattamento 
i prodotti nazionali ed i prodotti importati, specialmente con l'obbligo di 
apporre un'etichetta appropriata, che specifichi le carattemstiche del pro

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

dotto venduto e comporti epiteti o complementi che precisino .iJ tipo di 
aceto posto in vendita, a condizione che tale prescrizione SI� applichi per 
tutti g1i aceti, compreso l'aceto di vino. Infatti, siffatto procedimento permetterebbe 
al consumatore di operare la propria scelta dn piena cogni:llione 
di causa e garantirebbe :la trasparenza delle operazioni commerciali. e delle 
offerte al pubblico mediante l'indicazione della materia prima util:izzaita 
ne1l:a produzione dell'aceto. 

28. -In conclusione, sii deve constatare che, v,ietando il commercio 
e l'importazione degli aceti di omgine ag:riicoLa diversi da 1quelli ottenuti 
dalla fermentazione acetica del viillo, e ll"iservando 1a denominazione � aceito 
� all'aceto di V�ino, la Repubblica italiana � venuta meno ag1i obblighd 
I�.mpostile dagli artrt. 30 e seguenti del Trattato CEE. (omissis) 
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 16 dicembre 1981, 
nella causa 244/80 -Pres. Mertens de Wilmars -Avv. Gen. Slynn. Domanda 
�di pronuncia pregiudiziale proposta dal Pretore .di Bra nellla 
causa fra Pasquale Foglia (avv. Cappelli e De Catermi) c. Ma:riiella 
Novello (avv. Motzo) -Interv.: Governi f.�rancese (:ag. Thierry Le Roy) 
e danese (ag. Lachmann) e Commissione delle C.E. (ag. Abate). 

Comunit� europee -Corte di giustizia -Pronuncia pregiudiziale ai sensi 
dell'art. 177 del Trattato CEE -Attribuzioni rispettive del giudice 
nazionale e della Corte di giustizia. 
(Trattato CEE, art. 177). 

Comunit� europee -Corte di giustizia -Pronuncia pregiudiziale ai sensi 
dell'art. 177 del Trattato CEE� Questione relativa a normativa di Stato 
membro diverso da quello ove si svolge il giudizio � Chiamata in causa 
dello Stato membro diverso dinanzi al giudice nazionale � Diritto comunitario 
� Indifferenza. 
(Trattato CEE, art. 177). 

Comunit� europee � Corte di giustizia � Pronuncia pregiudiziale ai sensi 
dell'art. 177 del Trattato CEE � Questione relativa a normativa di 
Stato membro diverso da quello ove si svolge il giudizio -Ammissibilit� 
-Poteri della Corte di giustizia. 
(Trattato CEE, art. 177). 

Secondo il sistema dell'art. 177 del trattato CEE, � compito del giudice 
nazionale valutare la necessit� di ottenere la soluzione delle questioni di 
interpretazione sollevate in ordine alle circostanze di fatto e di diritto che 
caratterizzano le controversie di merito; tuttavia spetta alla Corte esami



62 RASSEGNA. DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

nare, ove necessario, le condizioni in cui essa viene adita dal giudice nazionale 
al fine di verificare la propria competenza (1). 

In assenza di norme di diritto comunitario le possibilit� di chiamare 
in causa dinanzi ad un giudice nazionale uno Stato membro diverso da 
quello ove si svolge il giudizio (allorch� sia in discussione la normativa 
del primo Stato) dipendono sia dal diritto processuale di quest'ultimo sia 
dai princ�pi del diritto internazionale (2). 

Nel caso di questioni volte a consentire al giudice nazionale di valutare 
la conformit� col diritto comunitario di disposizioni di legge o regolamenti 
di un altro Stato membro, il grado di tutela giurisdizionale non pu� differire 
a seconda che tali questioni siano sollevate nell'ambito di un giudizio 
fra privati ovvero in un procedimento in cui sia parte lo Stato la cui 
normativa sia contestata, ma, nella prima ipotesi, la Corte deve vigilare in 
maniera del tutto particolare a che il procedimento di cui all'art. 177 non 
venga utilizzato per scopi non voluti dal Trattato (3). 

(omissis) 1. -Con ordinanza 18 ottobre 1980, pervenuta aHa Corte H 
5 novembre 1980, il Pretore di Bra ha proposto, ,a,i ,sensi dell'art. 177 del 
Trattato CEE, cinque questioni pregiudiziald relative all'interpretazione 
degli artt. 177 e 95 del Trattato. 

2. -Tale ol'.dinanza � stata emanata nell'ambito di una controversia 
pendente .innnazi al Pretore, che ha gi� ori~arto una prima serie di questioni 
pregiudiziali relative all'interpretazione degli artt. 92 e 95 del Trattato 
su cui la Corite si � pronunciata 1'11 marzo 1980 (causa 104/79, Foglia 
c. Novello, Racc. pag. 745). 
3. -� opportuno ricordare che la causa principale verte sulle spese 
d.i sped.i:z�one sostenute daill'attore, il sig. Foglia, commerciante di vini 
residente dn Santa Vittoria d'Alba, provincia 'W Cuneo, Piemonte, Italia, in 
relazione alJ'invio di alcUIIl!� cartoni di v,ini ldquorosi Jtaliani acquistarti dalla 
convenuta, '1a sig.ra Novello, e spediti, per suo conto, ,ad una persona res,idente 
in Mentone, in Francia. 
(1-3) La sentenza l1 marzo 1980, citata in motivazione, la cui portata � precisata 
nella sentenza annotata, � pubblicata in questa Rassegna, 1980, I, 521, con 
nota di MARZANO, L'art. 177 del trattato CEE e la �competenza� della Corte di 
Giustizia delle Comunit� europee. Cfr. anche TIZZANO, Controverie fittizie e competenza 
pregiudiziale della Corte comunitaria, in Foro it., 1980, IV, 254. Con la 
sentenza 10 marzo 1981, nelle cause riunite 36 e 71/80, IRISH CREAMERY MILK SUPLIERS 
ASSOCIATION, in Racc., 1981, 735, e in Foro it., 1982, IV, 26, con nota di DANIELE, 
la Corte ha ritenuto che rientri nel potere discrezionale del giudice nazionale 
decidere in quale stadio del procedimento pendente dinanzi ad esso debba essere 
sottoposta alla Corte stessa la questione pregiudiziale. 

I 

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-


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

4. -Risulta dal fascicolo che nel contratto di vendita concluso fra il 
Fogliia e la Novello si era stipulato che eventuali tribuilli pretesi dalle autorit� 
ita!liane o frwcesi e contrari al regime deHa libera circolazione delle 
merci fra i due paesi, o quanto meno non dovuti, non ,sarebbero stati posti 
a carico della Novello. Il Foglia inseriva una dausola analoga nel suo contratto 
con l'impresa Danzas da liui rincaricata di trasportare a Men:tone 
i cartoni di vini liquorosi; detta clausola stabiliva che gli �Stessi tributi Hlegittimi 
o non dovuti non sarebbero stati posti a carico del Foglia. 
5. -La prima ordinanza di Tinvio, che ha darto 'luogo alla sentenza 
11 marzo 1980 succitata, constatava che Ja materia del contendere era drcoscritta 
al solo importo versato �a ti,tolo di imposte di consumo all'atto delllintroduzione 
dei vini liquorosi in territorio f.rancese. Risu1tava dal fascicolo 
che tali imposte di consumo erano �state paga.te all'amministrnzione 
francese dalla Danzas, senza proteste n� reclami; che la nota di spese per 
la spedizione presentata da!lla Danzas al Foglia, comprensiva dell'importo 
di tali ~mposte, era starta mtegralmente saldata da quest'ultimo senza che 
venisse opposta la clausola espressamente patttllita circa � d tributi illegittimi 
o non dovuti�; che la Novello, al contrario, si era rifiutata di rifondere 
questo stesso importo al Foglia invocando l'Jdentica clausola inserita 
nel propnio contratto. 
6. -Il Pretore, avendo inteso i mez~i difonsdvi delJa Novello come una 
messa in discussione della [egittinrlt� della legislazione francese relativa 
alle imposte di consumo sui vini :.liquorosi 1alla Juce del Trattarto CEE, 
sottoponeva alla Corte una serie di questioni in ordine all'interpretazione 
dell'art. 95 e, secondariamente, dell'art. 92. 
7. -Nella precitata senten:zla 11 marzo 1980 la Conte dichiarava la sua 
incompetenza a prolltUilciarsi sulle questioni sollevate dal giudice na~ionale. 
In tale occasione essa osservava che: 
� La funzione che l'art. 177 del Trnttato affida alla Corte idi giustizfa 
� quella 'di fornire ai giudici de11a Comunit� gi1i elementi di interpretazione 
del diritto �omunitario loro necessari per tla soluzione di controversie effettive 
loro sottoposte. Se, mediainte accorgimenti del tipo ,di que11i sopra 
descritti, la Corte fosse obbligata a pronunziarsi, �si airrecherebbe pregiudizio 
al sistema dell'insieme dei rimedi giuris�diziona1i di cui dispongono 
i singoli per <tutelarsi con l'applicazione di leggi fiscali contral'.'ie alle 
norme del T:mttato �. 

8. -Dall'ordinanza di rinvio risulta che questa sentenza della Corte 
� stata contestata dalla convenuta nella causa principale, che ha ritenuto 
che la Corte, pronunciandosi in tal senso avesse usurpato H potere discrezionale 
attribuito al giudice iitaliano. Ess,a ha sostenuto che una tale applicazione 
dell'art. 177 da parte della Corte sollevava, nell'ambito nazionale, 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

64 

una questione di legittimit� costituzionale. In subol'dine, essa ha sollevato 
una questione relativa all'interpretazione deLl'iait 177 del Trattato CEE 
ed ha chiesto, per giunta, la chiamata in causa della Repubblica francese. 

9. -A fronte di tali domande il Pretore ha ravvJsato la necessit� di 
adire nuovamente la Corte di giustizia sottoponendole talune questioni in 
ordine all'interpretazione dell'art. 177 del T.rattato, al fine di ottenere una 
pronuncia pi� puntuale e certa sUJl.la portata ed il signficato della sentenza 
11 marzo 1980. 

10. -Cons�derando che dalla formula:ci.one della sua prima ordinanza 
poteva essere sorto un malinteso, il PTetore ha insistito particolall'IIlente 
su di un elemento che, a suo parere, non risultava chiaramente in tale 
ordinanza. La convenuta, !in effetti, fin dalla prima udienza di compari:ci.one, 
ha evitato di limitarsi a res.istere puramente e semplicemente aille domande 
dell'a1ltore. Avvalendosi di una procedUll'a per nuJ:la infrequente in diritto 
italiano, essa ha presentato una � domanda, entro certi limiti autonoma, 
di sentenza dichiarativa della situazione giuridica soggettiva e oggettiva �. 
11. -Per tali motivi, il Pretore di Bra ha deciso di adire nuovamente 
la Corte proponendole le seguenti questioni pregiudiziali: 
1) come debba essere 1interpretato ['art. 177 del Trattato CEE per 
quanto riguarda il potere di valutazione della Corte di giustizia in ordine 
al1a formulazione dei quesiti interpretativi ad essa sottoposti e soprattutto 
alla foro funzione nell'economia della causa a quo; pi� in particolare quali 
siano ile attribuzioni rispettive della Corte e dei giudici autori dei rinvii 
pregiudiziali. -tenuto soprattutto conto dei poteri a questi ultimi spettanti 
iin forza dei rispettivi ordinamenti naziona!lii -in ordine ailfa valUJta:ci.one 
di tutte ~e circostanze di fatto e di ,diritto che camttemzzano Je coillltroversie 
di merito, nonch� delle ques.tioni ivi evocate, soprattutto quando oggetto 
della domanda nei giudizi a quo siano sentenze dichiarative; 

2) rse, nell'ipotesi in cui la Corte di giustizia nel corso di un rinvio 
pregiudiziale per qualsivoglia motivo si dichiari incompetente a pronunziarsi 
sui quesiti ad essa sottoposti -il giudice autore del rinvio i1 
quale sia tenuto in forza del proprio diritto nazionale a rendere comunque 
giustizia alle parti, possa, ed entro quali limiti e secondo qrua1i arirteri. 
ugualmente procedere ad interpretare .il diritto comunitario o debba invece 
decidere esclusivamente al1a stregua del diritto nazionale; 

3) se, nel quadro dei criter:i interpretativi dell'art. 177 del Trattato 
CEE, esista nell'ordinamento comunitario un principio d'ordine generale 
che imponga o consenta ai giudici nazionali -investiti di controversie 
nel corso delle quali sorga questione d'interpretazione del diritto comunitario 
che coinvolga normative nazionali, eventmtlmente appartenenti a 



65

.PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INmRNAZIONALE 

ordinamenti diversi da quello del giudice adito -di disporre l'integrazione 
del contradditorio prima del !rinvii.o pregiudiziale a11a Corte di gius,tizia, 
chiamando J.n causa le autorit� dello Stato membro interessato; 

4) se, in ogni caso tutte le volte che dinanzi iailJ.e giiurisdraioni nazionaJ:
i od a cura deMe giurisdizioni nazionali venga sol!levato iin un giudizio 
tra parti private un quesito interpretativo che coinvolga di!retta� 
mente le situazioni soggettive di cittadim od operatori economici ap� 
partenenti ad uno degli Stati membri, taLi situazioni soggettive del dWitto 
materiale comUllli.tario ottengano un grado di tutela diverso e comunque 
affievolito �rispetto al grado di tutela che possono ottenere Je stesse si-. 
il!uazionii soggettive nel caso in cui, sia dinanzi al giudice nazionale, sia 
dinanzi alla Corte di giustizia CEE siano presenti e costituirt:e mgiudizio 
le amministrazioni degli Stati membri, le disposizioni di diritto dei quali 
costituiscano oggetto di quesiti interpretativi concernenti la foro compatibilit� 
con il TTattarto CEE; 

5) se l'art. 95 CEE vada d.nterpretato nel 'senso che il divieto di 
imposizioni interne differenziate dn funrione dell'origiine e provenie..."lm di 
un prodotto comprenda fattispecie quali quella del cregime fiscaile kan� 
cese sui viini .liquorosi, descritto d.n dettaglio nella causa 104/79 �. 

Sulla prima, terza e quarta questione. 

12. -Con Ja prima questione, :il Pretore chiede che vengano preci� 
sati ii. confini fra il potere di apprezzamento che il Tcrattato attribuisce, 
rispettiv�amente, al giudice nazionale e alla Corte per quanto concerne 
la formulazione deLle questioni pregiudiziali e la valutazione delle aircostrunze 
di fatto e di dil1itto che caratterizzano �le controversie di me!rito, 
soprattutto quando il giudice nazionale � chiamato a pronunciare una 
� sentenza dkhlarativa �. 
13. -La terza e la quarta questione riguacrdano pi� specificamente 
il caso d.n cui Je questioni di interpretazione vengano sollevate aJ fine di 
c01I1senti!re al giudice di pronunciarsi �su contestazioni conce!r.nenti la compa1libiJJit�, 
col diritto comunitario, di norme di legge nazionali, emanate, 
vuoi dallo Stato ove si tiene il giudizio, vuoi, come nel caso di specie, da 
un altro Stato membro. Al riguardo viene chiesto: 
-se, nell'ipotesi in cui, dii.nanzi ad un glliudioe di uno Stato membro, 
vengano contestate norme di legge appartenenti all'ordinamento di un 
altro Stato membro, esista nell'ordinamento comunitario un ptrinoipio 
d'ordilile generaile che imponga o consenta 'ail giudice dnvestito di tale 
contestazione di chiamare in causa le autorit� del:lo Stato dnteressato 
prima ili pronunci:arsi sul rinvio pregiudiziale a[la Come; 

-se, il grado di tutela risultante per i p!rivati dal procedimento di 
cui ,all'art. 177 differisca a seconda che una contestazione del gene!re sia 

6 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

66 

sollevata nell'ambito di un giudizio fra parti private ovvero di un procedimento 
,in cui sia parte l'amministra21ione dello Stato Qa cui normativa 
� messa in discussione. 

14. -Circa la prima questione, va a:icordato, come la Corte ha avuto 
occasione di sottolineare nei contesti pi� disparati, che l'art. 177 si fonda 
su di una cooperazione che implica una 11ipartizione delle competenze fra 
il giudice nazionale e :il giudice comunitariio, neH'mteresse della corretta 
applicazione e dell'uniforme interpretazione del diritto comunitario nel~'
insieme degli Stati membri. 
15. -A .tale efifetto, � compito del giudice naziona:le -dn quanto esso 
� investito del merirto della controversia e dovr� assumersi la responsabillit� 
della futur.a. decisione -valutare, alla luce dei fatti di causa, 
la necessdt� di far risolvere una questione pregiudiziale ad fini della decisione 
finale della controversia. 
16. -Esercitando tale potere di valutazione, ~l giudice nazionale 
adempie, !in collaborazione con la Corte di giustizia, ad wna fwnzione loro 
attribuita congiuntamente al fine di garantire la iegalit� nell'applicazione 
e nell'interpretazione del Trattato. Per.tanto, i problemd che possono derivare 
dall'esercizio, da parte del giudice nazionale del suo potere di valutazione 
nonch� i rapporti che egli ha con la Corte (llell'ambito dell'articolo 
177 sono esclusivamente disciplinati da:lle norme del diritto comunit~
io. 

17. -Al fine di consentire alla Corte 'di espletare la sua funzione 
iin conformit� al Trattato, � indispensabile che d giudici nazionali ch�!a11iscano, 
nel caso in cui non risultino inequiivocabilmente dal fosoicolo, 
i motivi per i �quali essi ritengono necessaria al1a definizione della controversia 
fa soluzione delle questioni da Joro proposte. 
18. -Va Jn effetti sottolineato che l'art. 177 affida alfa C011te il 
compito non di espriimere pareri a carattere consultivo su questiioni generali 
o ipotetiche, ma di contribuire all'amministrazione della giustizia 
negli Stati membri. Ad essa non compete pertanto la soluzione di queSltioni 
di �interpreta21ione che le siano propos�te nell'ambito di schemi processuali 
precostituiti dalle parti al fine di indurla a pronunciarsi su 
ta:luni problemi di diritto comunitario non rispondenti ad una necessit� 
obiettiva inerente 'allla definizione di una controversia. Una declaratoria 
di incompetenza in una tale ipotesi non arreca alcun pregiudizio alle 
prerogative del giudice nazionale, ma consente di evitare l'utilizzazione 
del procedimento di cui all'art. 177 a fini diversi da quelLi che gli 
sono propri. 
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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

19. -Per giunta, va rilevato che, se � vero che Ja Corte deve potersi 
!rimettere, nella maniera pi� ampia, all'apprezzamento del giudice nazionale 
[n ordine alla necessit� delle questioni sottopostele, essa deve 
essere in posta in grado di esprimere, qualsiasi valutazione concernente 
l'espletamento della propria funzione, particolarmente al fine di verificare, 
se del caso, come vi � tenuto qualsiasi giudice, la propria competenza. Pertanto, 
tenuto conto dei :riflessi delle propvie decisioni dn materia, fa Come 
deve considerare, nell'esercizio del potere giurisdizionale conferitole dad~
�art. 177, non soltanto gLi interessi delle parti in causa, ma altres� quelli 
della Comunit� e quelli degli Stat'i membri. Essa non pu� quindi, senza 
misconoscere i compiti che .le incombono, restare indifferente di f.ronte 
alle valutazioni operate dai giudici degLi Stati membri nei casi eccezionali 
in cui essere potrebbero influire sul corretto funzionamento del procedimento 
contemplato dall'art. 177. 
20. -Lo spirito di collaborazione che deve presiedere all'esercizfo 
delle funzioni assegnate dall'art. 177 i1ispettivamente 1al giudice nazionale 
e a.I giudice comuil!itario, se impone alla Corte l;obblti.go di rispettare le 
competenze proprie del giudice nazionale, 1implica altres� che til giudice 
nazionale, avvalendosi delle possibilit� offerte dall'art. 177, tenga presente 
la funzione specifica di cui la Corte � I�investita in materia. 
21. -La prima questione va quindi .risolta nel senso che, sebbene, 
secondo il sistema dell'art. 177, sia compito del .giudice nazionale valutaire 
la necessit� di ottenere la soluzione delle questiOilli. di interpreta2lione 
sollevate in ordine alle circostanze di fatto e di diritto che caratteriz:
mno le controversie di merito, spetta ;tuttavia alla Corte esaminare, 
ove necessario, Ie condiziorni in cui essa viene adita dal giudice nazionale 
al fine di verificare l� propria competenza. 
22. -Come il Pretore ha giustamente messo in luce con fa rt:erza e 
fa quarta questione, possono porsi particolari problemi per quanto concerne 
l'applicazione dell'art. 177 ove il giudice namonale sollevi le questioni 
di interpretazione al fine di essere posto in condizione di valutare 
fa conformit� al divitto comunitario di atti fogislaitivi di uno Stato 
membro. Al riguardo, il Pretore ha sollevato due distinti ordini di problemi. 
23. -La terza questione concerne l'ipotesi in cui, nell'ambito di un 
giudizio :lira priivati pendente dinanzi ad un giudice di uno Stato membro, 
venga contestata la compatibilit� col di�ritto comunitario, della normativa 
di uno Stato membro diverso da quello ove si svolge il giudizio. 
Il Pretore ha domandato al riguardo se, in rta:Ie caso, lo Stato 
membro fa cui normativa � in discussione possa essere chiamato in causa 
nel procedimento in atto dinanzi al giudice adito. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

24. -Tale questione va risolta nel senso che, in assenza di norme 
di dir.itto comunitario al 1riguardo, .le possibiliit� di chiamare :Ln causa, 
dinanzi ad un giudice nazionale, uno Stato membro diverso da quello 
ove si svolge il giudizio dipendono dal diritto di quest'u1timo e dai principi 
del diritto internazionale. 
25. -Con la quarta questione, H Pretore ha chiseto se la tutela 
garantita ai privati da1l procedimento di CUJi. all'art. 177 SI�a ,diversa, o 
addiirittura affievolita, nel caso in cui una questione del genere venga sollevata 
in una contiroversia fra privati, crispetto ai giudizi che vedono contrapposto 
un privato all'amministrazione. 
26. -La questione, cos� com'� formulata, va risolta evidenziando che 
qualsiasi privato i cui dhiitrt:ii siamo lesi da .provvedimenti di uno Stato 
membro contrastanti col diiritto comunitario deve poter �lllvocare la tutela 
di un giudice competente il quale, a sua volta, deve poter ottenere chiarimenti 
sul1a portata deHe norme pertinenti del diritto comunitario tramite 
iJ. procedimento di cui aH'art. 177. In vda di principio, il grado di tute1a 
gimisdizionale non deve quindi differire a seconda che un problema del 
genere sia sollevato in una causa fra privati ovvero in un procedimento 
m cui, dn una foirma o nell'altra, sia parte fo Stato la cui normativa sia 
messa in discussione. 
27. -Tuttavia, come la Corte ha puntualizzato risolvendo la prima 
questione di cui sopra, spetta alla Corte, al fine di verificare la propria 
competenza, valutare le condizioni in cui essa vdene adita dal giudice na:zionale. 
In tale contesto non � 1in ogni circostanza indifferente sapere se 
un'azione giudiziaria � intentata fra privati ovvero contro lo Stato la cui 
normativa viene contestata. 
28. -In primo luogo va evidenziato il fotto che iil giudice investito, 
nell'ambito d~ una causa fra privati, di una contestazione in ord�llle alla 
compatibilit� col diiritto comunitario della normativa di un altro Stato 
membro, non si tirova necessariamente in grado di poter tutelare efficacemente 
i privati nei confronti di tale normativa. 
29. -In secondo luogo, tenuto conto dell'autonomia generalmente riconosciuta 
alle parti dagli ordinamenti degli Stati membri in materia contrat� 
tuale, non si possono escludere comportamenti delle parti diretti a porre 
lo Stato mteressato nell'impossibmt� di provvedere ad una ,difesa adeguata 
dei propri interessi provocando una decisione sulla [egittimit� delile norme 
di legge di quest'ultimo da parte di un giudice di altro Srtato membro. Non 
si pu� quindi escludere, verificandosi taH situazioni processua1i, il rischio 
che iiJ procedimento di cui all'art. 177 venga distolto, ad opera delle paTti, 
dalle finalit� per cui � stato previsto da[ Trattato. 
. : 


PARm I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA B INTERNAZIONALE 69 

30. -Dall'insieme delle considerazioni che precedono consegue che, 
dal canto suo, la Corte deve esercitare una particolare vigilanza quando le 
venga sottoposta, nell'ambito di w:m controversia fra privati, una questione 
pregiudiziale intesa a consentire al giudice di valutare la compatibilit� 
dclla normativa di un �altro Stato membro col di!l"itto comuniitario. 
31. -La quarta questione va quindi risolta nel senso che, nel caso di 
ques,tioll!i volte a consentire al giudice nazionale di valutaire la confonnit� 
al �diritto comunitario di leggi o regolamenti di un altro Stato membro, il 
grado di tutela giurisdizionale non pu� differire a seconda che talri questioni 
siano sollevate nell'ambito di un giudizio frn privati ovvero in un 
procedimento in cui sia pairte lo Stato Ja cui normativa sia contestata, 
ma che, ne1la prima ipotesi, la Corte deve vJgilaire m maniera del tutto 
particolare a che H procedimento di cUJi all'art. 177 non venga utilizzato 
per scopi non voluti dal Trattato. 
Sulla quinta questione. 

32. -Nella sua quinta questione ii! Pretore di Bra :Diproduce, m forma 
sintetica, la prima questione proposta neUa sua precedenrte ordinanza e 
riguardante l'interpretaziione dell'art. 95 del Trattato. Nella sentenza 
11 marzo 1980 succitata, la Corte ha constatato che le parti eS!pI'imevano 
una valutazione concorde sulla legittimit� della normativa francese di cui 
trattasi e che esse miravano in :realt� ad ottenere, attraverso l'espediente 
di una clausola particolarre inserJta nel loro contratto, una declarratoria 
di illegittimit� della normativa francese da parte di un giudice italiano, 
bench� l'ordinamento francese ofl�risse mezzi idonei di impugnazione. La 
Corte ha concluso che una pronuncia sulle questioni poste in un tale 
contesto esulava dal compito assegnatole dall'art. 177 del Trattato che 
consiste nel fornire ai giudici del!La Comunit� gli elementi di inrterpretazione 
del diritto comunitario loro necesS'ari per la soluzione di controversie 
effettive loro sottoposte. Essa si � quindi dichiarata incompetente 
a pronunciarsi sulle questioni proposte. 
33. -Nella sua seconda ordinanza di rinvio, il Pretorre ha rHevato :in 
particolare che la convenuta gli aveva chiesto di emettere una � sentenza 
dichiarativa�, Al riguardo, va precisato che [e condizioni ;in cui la Corte 
adempie �alle sue funzioni in materia n~n dipendono dalla natura e dallo 
scopo dei procedimenti contenziosi intentati dinanzi ai giudici nazionalri.. 
L'airt. 177 fa riferimento alla �sentenza� da emanare da parte del giudice 
nazionale senza contemplare un regime particolare ~n fonzione della 
natura di questa. 
34. -La circostanza rilevata dal giudice nella seconda ordinanza di 
rinvio non risulta quindi costituire un fatto nuovo che giustifichi una 
nuov�a valutazione da parte della Corrte in ordine alla sua competenza. 

70 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

� quindi compito del Pretore, nell'ambito de11a coUaborazione fra i giudici 
nazionali e la Corte, di stabilire, alla luce delle consider�zioni svolte iin 
precedenza, se sia necessario ottenere la soluzione della quinta questione 
da parte detta Corte e, in tal caso, di fornire a quest'ultima qualsiasi 
elemento nuovo che possa giustificare una sua diversa valutazione in 
ordine a11a propria competenza. 

Sulla. seconda questione. 

35. -Alla luce di quanto procede non � necessario risolvere questa 
questione. (omissis) 
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 3a Sezione, 14 gennaio 
1982, nella causa 65/81 -Pres. Touffait -Avv. Gen. Slynn -Domanda 
di pronuncia pregiudiziale proposta dal Verwaltungsgericht �di Stoccarda 
ne1la causa F. e L. Reina c. LandeskredJtbank Baden-Wilrttemberg 
-Interv.: Governo Italiano (avv. Fienga) e Commissione deHe 

C.E. (ag. Beschel). 
Comunit� Europee -Corte di giustizia -Prortuncia pregiudiziale ai sensi 
dell'art. 177 del trattato CEE -Richiesta da parte di un gi�dice di uno 
degli Stati membri -Poteri di verifica della Corte -Limiti. 
(Trattato CEE, art. 177). 

.Comunit� europee -Libera circolazione dei lavoratori -Vantaggi sOciali � 
Mutui per la nascita di figli. 
(Trattato CEE, artt. 7, 48 e 49; regolamento CEE del Consiglio iS ottobre 1968, 

n. 1612, art. 7). 
.La Corte, adita ai sensi dell'art. 177 del trattato CEE, deve verificare, 
orl.de accertare la propria competenza, se il proponente la questione pregiudiziale 
sia un giud�ce di uno Stato membro, ma non deve anche accertare 
se il provvedimento di rinvio sia stato adottato in modo conforme 
alle norme di organizzazione giudiziaria e processuali del diritto nazionale 
(1). 

(1) Sulla verifica da parte della Corte della provenienza della questione 
sottopostale da una � giurisdizione � nazionale, cfr. le sentenze della Corte 
14 dicembre .1971, nella causa 43/71, POLITI, in Racc., 19711, 11039, e 21 febbraio 1974, 
nella causa 162/73, DREHER, in questa Rassegna, 1974, I, 354, con nota di MARZANO, 
L'art. 177 del Trattato CEE nel procedimento senza contraddittorio, che hanno 
ritenuto ricevibili le domande pregiudiziali proposte dal Presidente del Tribunale 
in sede di procedure per l'emissione di decreto ingiuntivo; la sentenza 3 febbraio 
1976, nella causa 59/75, MANGHERA, in questa Rassegna 1976, I, 199, sulla 
ricevibilit� della domanda proposta dal Giudice istruttore penale; le sentenze 

71

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

L'art. 7 n. 2 del reg. del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, va interpretato 
nel senso che la nozione di vantaggio sociale contemplata da questa 
disposizione comprende i mutui senza interessi di natalit� concessi da un 
istituto di credito di diritto pubblico, in base a direttive e con l'aiuto 
finanziario dello Stato, a famiglie a basso reddito, onde incoraggiare la 
natalit�. Detti prestiti vanno quindi concessi ai lavoratori di altri Stati 
membri alle stesse condizioni che ai lavoratori nazionali (2). 

(omissis) 1. -Con ordinanza 17 febbraio 1981, pervenuta aMa Corte 
il 30 marzo 1981, hl VerwaltU1I1gsgericht di Stoccarda ha so1levato, a norma 
deH'art. 177 del Trattato CEE, due questioni pregiiudiziali relative all'interpre1Ja2lione 
dell'art. 7, primo comma, del Trattato CEE nonch� deH'art. 7, 

n. 2, del regolamento del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla 
libera circolazione dei lavoratori nell'ambito della Comunit� (G.U. n. L 257, 
pag. 2). 
2. -Le questioni sono state sollevate nell'ambito di una controversia 
amminiistrativa, vertente sulla concessione di un mutuo di nata1it�, fra 
una coppia di lavoratori, cittadini italiani residenti nella Repubblica federale 
di Germania, e la Landeskreditbank Baden-Wiirttemberg, ente �di 
diiritto pubblico posto sotto la tutela del Land Baden-Wiirttemberg. 
3. -In ossequio a direttive impartitele da1'le competenti autotlt� del 
Land Baden-Wiirttemberg, fa Landeskreditbank concede a richiesta dei 
mutui, f.ra 1l'altro in occasione della nascita di un fig]Jio. I mutui di nata1it�, 
esenti da �interessi grazie mie sovvenzioni 1del Land, d�rano sette anni ed 
hanno un importo massimo di DM 8.000, che pu� giungere a DM 12.000 
ilil casi eccezionali. Essi possono essere concessi al:le coppie solo se uno 
almeno dei coniugi � cittadino tedesco e se il reddito familiare non supera 
12 novembre 1969, nella causa 29/69', STAUDER, in Racc., 1969~ 419, e 12 novembre 
1974, nella. causa 37/74, HAAGA, in Racc., 1974, .1201, rispettivamente in tema 
di procedimenti d'urgenza e di volontaria giurisdizione; la sentenza 30 giugno 1966, 
nella causa 61/65, GoEBBELS, in Racc., 1966, 407, relativa ad uno speciale tribunale 
arbitrale olandese, dove, per�, la Corte ha insistito sulla circostanza che, nella 
specie, tale organo agiva nell'ambito del diritto pubblico; sulla competenza dei 
collegi arbitrali in genere ad adire la Corte, sar� interessante conoscere l'opinione 
della Corte stessa nella causa. in corso n. 102/81, REEDEREI MoND. 

(2) Quanto alla no2lione di � vantaggio sodale � di cui all'art. 7 n. 2 del 
regolamento CEE del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, per la non necessariet� 
della connessione con un contratto di lavoro, cfr. in senso conforme, dopo qualche 
incertezza, le sentenze della Corte di giustizia 30 settembre 1975, nella causa 
32/75, CHRISTINI FIORINI, in Racc., 1975', p. 1081, e in questa Rassegna, 1975, I, 822, 
con nota di MARZANO, L'art. 7 del trattato CEE e i �vantaggi sociali� riconosciuti 
ai lavoratori migranti, e 31 maggio 1979, nella causa 207/78, EVEN, citata in motivazione, 
in Racc., 1979, 2019, e Foro it., 1980, IV, 75. Nella prima la Corte 
afferma che costituiscono vantaggio sociale le tessere a riduzione sui prezzi di 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

72 

un determinato massimo. Secondo i dati forniti dal g[udice nazionale, 
questo sistema di prestiti di natalit� � stato istituito per contribuire 
a'lllaumento delle nascite presso la popolazione tedesca e per limitare il 
numero delle interruzioni della gravidanza. 

4. -Nella fattispecie, i ricorrenti nella causa principale, coniugi Reina, 
chiedevano la concessione di un mutuo in occasione della nascita di due 
gemelli. Avendo fo Landeskreditbank Baden-Wiirttemberg rifiutato loro il 
mutuo per il motivo che, secondo le direttive sopra menzionate, il mutuo 
poteva essere concesso solo se almeno uno dei coniugi era cittadino 
tedesco, i coniugi Reina hanno adito fil Verwaltungsgericht di Stoccarda, 
contestando la conformit� di questo requisito al diritto comunitario. 
5. -Ritenendo necessaria una pronunzia della Corte per poter pro11/
Unziare Ja sentenza, il Verwaltungsgericht di Stoccarda ha sollevato le 
seguenti questioni: 
� 1. Se l'art. 7, n. 2, del regolamento {CEE) del Consi~o 15 ottobre 
1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori neil!l'ambito 
della Comunit� (G.U. n. L 257), vada interpretato nel senso che esso equipara 
J cittadini d'altri Stati membri della Comunit� Economica Europea 
ai oittadini dello Stato ospitante anche nel caso in cui, in forza di direttive 
interne all'amministrazione che non creano Ull1 ilirJtto soggettivo, un istituto 
di c~eruto di diritto pubblico conceda su domanda, ai coniugi lii cui 
redruto non superi un certo massimale, in occasione delfa nascita di un 
figlio e al fine di evitare, mitigare od eliminare i problemi di natura economica, 
mutui senza inrteressi per i quali til Land Baden-Wiirttemberg versa 
al suddetto istituto, nella misura degli stanziamenti contemplati di volta 
in volta nel bilancio preventivo dello Stato, sovvenzioni destinate a com' 


trasporto, rilasciate alle famiglie numerose da un ente ferroviario nazionale, e 
ci� anche se la richiesta sia fatta dopo n decesso del lavoratore, a favore della 
sua famiglia residente nello stesso Stato membro. Con la seconda si � ritenuto, 
viceversa, che non rientra nella previsione della norma suddetta il vantaggio del 
diritto alla pensione anticipata non ridotta previsto da una legislazione nazionale 
in favore di determinate categorie di lavoratori nazionali, in quanto esso � trova 
la sua causa principale nei servizi che i benefiiciari hanno reso in tempo di 
guerra al loro paese ed ha per finalit� essenziale di offrire a tali cittadini nazionali 
un vantaggio in ragione delle prove subite per detto paese �, e si ricollega, 
quindi, non allo status obiettivo di lavoratore o al semplice fatto della residenza 
nel territorio nazionale, ma ad uno status di benemerito della Nazione (un 
siffatto vantaggio non rientra neanche nella sfera del regolamento 14 giugno 1971, 

n . .1408, sulla previdenza sociale ai lavoratori subordinati e ai loro familiari che 
si spostano all'interno della Comunit�, a norma dell'art. 4, n. 4, che esclude 
appunto dall'ambito di applicazione del regolamento � i regimi di prestazioni a 
favore delle vittime di guerra o delle sue conseguenze �, come gi� precisato nella 
precedente sentenza 6 luglio J978, nella causa 9/78, GrLLARD, in Racc., 1978, 166,1, e in 
Foro it., 1979, IV, 84). ' 

PARTE I, SEZ. Il, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 73 

pensare gli interessi non percepiti, in base, :llra l'altro, alla considerazione 
che � necessario, mediante provvedimenti. d'aiuto alle famiglie, combattere 
la denatalit� nella Repubblica .federale dii Germania e diminuiire ~l numero 
delle interrruzioni volontarie della gravidanza. 

� 2. Nel caso in cui l'art. 7, n. 2, del regolamento (CEE) n. 1612/68 
non sia applicabile, se l'art. 7, primo comma, del Trattato del 25 marzo 1957, 
che istituisce la Comunit� Economica Europea, vada :interpretato nel 
senso che, nelle drcostanze �di cu� sopra, esso osta a che venga effettuata 
una differenziazione fra d cittadini d'a1tri Stati membri e i cittadini dello 
Stato ospdtante ai fini della concessione di mutui per la nascita�. 
Sulla procedura. 

6. -La Landeskreditbank contesta l'ammissibilit� della domanda pregiudiziale 
in quanto l'ordinanza di rinvio non sarebbe stata pronunziata 
dal Verwaltungsgericht nella sua composizione normale. IJ Verwa1tungsgericht 
avrebbe statuito nella composiZJione di tre giudioi di carriera mentre 
il diri.tto processuale tedesco esigerebbe inoltre la partecipazione di due 
giudici onovari. 
7. -In proposito va ricordato che, a norma dell'art. 177 del Til'attato, 
la Carte � competente a :statuire, in via pregiudiziale, sulle questioni di 
diritto comunitario che le vengono sottoposte da un �giudice di uno degli 
Stati membri. Secondo l'economia di questa disposizione, spetta a11a 
Corte, onde accertare la propria competenza, lo stabihlre se il .proponente 
sia un giudice di uno Stato membro. Non le spetta tuttavia, data la ripartizione 
delle funzioni fra essa e il giudice nazionale, accertare se dJ provvedimento 
con cui � stata adita Slia stato adottato tin modo conforme alle 
norme di organizzazione e processuali del diritto nazionale. La Corte deve 
quindi attenersi al provvedimento di �rJnvio emesso da un giudice di uno 
Stato membro, fino a che esso non sia stato posto nel mclJa in seguito 
ad un'impugnazione eventualmente contemplata dal diritto nazionale. 
8. -Da queste considerazioni si desume che fa Corre, adita dail giudice 
di uno Stato membro ai sensi dell'art. 177 del Trattato, � competente, a 
norma di detta disposizione, a risolvere le questdoni sottopostele, senza 
che sia necessario accertare previamente se dl provvedimento di II'invio sia 
stato adottato in modo conforme alle norme di organizzazione giu!di2liaria 
e processuali del diritto nazionale. 
Sulla prima questione. 

9. -Con la prima questione il giudice nazioQale chiede in sostanza se 
l'art. 7, n. 2, del regolamento del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, vada 
interpretato nel senso che l:a nozione di vantaggio sociale contemplata da 
-----------�----���������������������...�.-.-.-.-.-.-.-.-.-.�.�.�.-.�.�.-.-.-.�.-.-.�.�.�.�.�

. ....................................--.-.�.-..-.--.-.-.-�-.-.-............................ . 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

detta disposizione comprende i mutrui senza interessi di natalit� concessi 
da un istituto di credito di diritto pubblico, in ossequio a direttive e con 
l'aiuto finanziario dello Stato, a famiglie a ibasso reddito, onde favorire 
[a natalit�. 

10. -La Landeskred:itbank deduce in primo luogo che questa disposizione 
non pu� essere app~icata ai mutui di cui trattasi data la mancanza 
di qualsiasi nesso fra la concessione del mutuo e [a qualit� di lavoratore 
del beneficiario e dato che il rifiuto di concederlo non ostacola affatto la 
mobilit� dei lavomtori nella Comunit�. 
11. -Va ,ricordato che il regolamento n. 1612/68, adottato per l'attuazione, 
in particolare, dell'art. 49 del Trattato, onde realizzare Ja libera 
drcola:ziione dei '1avoratori nell'ambito del1a Comunit�, stabil:isce all'art. 7, 
n. l, che il lavoratore cittadino di uno Stato membro non pu�, nel territorio 
degli al1t11i Stati membri, essere tJrattato, a oausa dehla sua cittadinanza, 
in modo diverso dai lavoratori nazionali, per quanto mguarda le condizioni 
d'impiego e di lavoro. Il n. 2 dell� stesso articolo aggiUJilge che detto lavoratore 
vi gode degli stess.i vantaggi sociali e J�iscaJ.i dei favoratom nazionali. 
12. -Come la Corte ha pi� volte affermato, da ultimo nella sentenza 
31 maggio 1979 (Even, 207/78, Racc. pag. 2019), si desume da queste disposizioni 
come pure dallo scopo perseguito che i vantaggi che I�l regolamento 
estende ai lavoratori cittadini di altri Stati membri sono tutti 
quelli che, connessi o no ad un contratto idi \lavoro, sono generalmente 
attribl.ll�ti ai lavoratod nazionali, a causa pdncipa:lmente della loro qualit� 
obietti'Va di lavoratori o del semplice fotto della Joro residenza nel territorio 
nazionale, e la cui estensione ai lavoratori cittadini di altri Stati 
membri appare quindi atta a facilitarne la mobilit� nell'ambito della 
Comtllllit�. 
13. -Ne consegue che i mutui di natalit�, come quelli cui si riferisce 
il giudice nazionale, possiedono, in linea di principlio, i requisiti che consentono 
di considerarli come vantaggi sociali da attribuirsi ai lavoratemi 
di tutti gl:i Stati membri senza alcuna disorimmazione a causa della cittadinanz;
a, in particolare in considerazione del loro scopo che � quello di 
alleviare, per le famiglie a basso reddito, H peso degli onem ili1naD.ZJiari 
connessi alla nascita di un figlio. 
14. -La Landeskreditbank contesta questa conseguenza sostenendo 
che i mutui di natalit�, come quelli di cui trattasi, �esulano dalla noz;ione 
di vantaggio sociale ai sensi dell'art. 7, n. 2, del ,regolamento n. 1612/68, 
giacch� sono concessi sopraittutto per considerazioni di politica demografica 
nel senso che tendono a combattere ila d!iminuZJione delle nascite presso la 
popolazione tedesca. Si tratterebbe quindi di un provvedimento adottato 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

nel campo dei diritti politici, necessariamente connesso a11a cittadinanza, 
e che sarebbe perci� sottratto all'impero degLi artt. 48 e segg. del Trattato 
e deJJe norme adottate per la loro attuazione. 

15. -Va rilevato che, in linea di principio, gli Stati membri, in mancanza 
di attribu:zJioni della Comunit� in fatto di politica demografica come 
ta!le, possono perseguire gli scopi di questa politica, scia pure mediante 
provvedimenti socia1i. Ci� non implica tuttaVI�a che fa Comunit� ecceda 
dai limiti dei propri poteri per ila sola ragione che l'eserci:zJio di questi 
pregiudica 1i provvedimenti adottati dn ossequio a detta politica. I mutui 
di nataLit� non possono quindi essere considerati sotkatti aJJ'applica:zJione 
delle norme comunitarie �relative alla libera circolazione delle persone n�, 
pi� precisamente, dell'art. 7, n. 2, del regolamento n. 1612/68, per il solo 
fatto di essere concessi per considerazioni di politica demografica. 
16. -La Landeskreditbank ha dedotto inoltre che ti mutui di cui 
trattasti sono delle prestazioni volontarie, concesse nei limiti dei mezzi di 
bilancio a tale scopo votati, di guisa che non suss�ist!erebbe alcun diritto 
a fruii:re delle prestazioni stesse. Cos� pure, si dovrebbe tener conto del 
fatto che numerosi lavoratori straniertl tlentrano ne:l paese di origine 
prima della scadenza del termine stabilito per i1l rimborso del mutuo, 
il quale sarebbe di conseguenza messo a repentaglio. 
17. -Va tuttavia osservato in proposito che 1a nozione di vantaggio 
sociale di cui all'art. 7, n. 2, del regolamento comprende non solo ile agevola7Jioni 
attribuite come diritto ma anche quelle concesse discrezionalmente. 
1n quest'ultimo caso, il principio della parit� di trattamento esige 
che l'accesso alle agevolazioni sia dato ai cittadini di altri Stati membri 
alle stesse condizioni che ai cittadini nazionali in base alle stesse direttive 
che disciplinano la concessione dei mutui a questi ultimi. 
18. -Si deve quindi risolvere la prima questione dichiarando che 
l'art. 7, n. 2, del regolamento del ConS1iglio 15 ottobre 1968, n. 1612, va 
dnterpretato nel senso che la nozione di vantaggio sociale contemplata da 
questa disposizione comprende i mutui senza interessi di natalit� concessi 
da un istituto di credito di diritto pubb1ico, in base a direttive e con l'a�uto 
finaruJiario dello Stato, a famiglie a basso reddito, onde incoraggiare la 
nata:1it�. Detti pres�iti vanno quindi concess1i :aii Javorart:ori di altri Stati 
membri alle stesse condizioni che ai Javoratori nazionali. 
Sulla seconda questione. 

La seconda questione, che � stata sollevata solo per il caso di soluzione 
negativa della prima, non abbisogna di soluzione. (omissis) 


SEZIONE TERZA 

GIURISPRUDENZA 
SU QUESTIONiiDI GIURISDIZIONE 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 17 giugno 1981, n. 3945 -Pres. Rossi Est. 
Caturani -P. M. Fabi -Soc. Sicula (avv. Sciacca) c. Cassa per il 
Mezzogiorno (avv. Stato Vittoria). 

Giurisdizione civile � Concessione del contributo previsto dalle leggi sul 
Mezzogiorno � Adozione del provvedimento sulla ammissibilit� del 
contributo e successiva fase di liquidazione � Posizione giuridica del 
�privato � Interesse legittimo � Controversie � Giurisdizione amministrativa. 


Ai sensi dell'art. 102 del t.u. delle leggi sul Mezzogiorno 30 giugno 1967, 

n. 1523 (e sucqessive modifiche), il provvedimento di concessione degli incentivi 
finanziari viene adottato in conformit� al progetto, e cio� al programma 
presentato dal singolo operatore e con riferimento ad un preventivo 
di spesa che in astratto � ritenut� ammissibile al contributo, ma le 
valutazioni, di natura amministrativa e tecnica, non si esauriscono in 
questa prima fase di emanazione del provvedimento, assumendo invece 
decisivo rilievo, sulla effettiva det~mninazione del contributo, nella fase di 
liquidazione degli incentivi stessi, e rispetto a tali valutazioni non sono 
ipotizzabili situazioni di diritto soggettivo, suscettibili in quanto tali di 
tutela dinanzi al giudice ordinario (1). 
(omissis) Con unico motivo la ricorrente assume che la sentenza 
impugnata avrebbe erroneamente dichiarato iil difetto di giurisdizione del 
giudice ordinario, poich� la Cassa per itl Mezzogiiorno esaurisce il suo 

(1) Massima esatta e conforme alla gi�risprudenza della Cassazione in tema 
di controversie sulla pretesa a contributi per danni di guerra. La Cassazione 
ha infatti affermato che la pretesa del danneggiato rimane interesse legittimo 
fino a quando non sia espletata la procedura per accertare le condi2lioni a cui 
� subordinata la concessione e la determinazione del contributo, il fatto bellico 
e la effettiva esecuzione delle opere per la ricostru2Jione, avvenendo il loro accertamento 
solo a mezzo del collaudo, dopo il quale e in base al quale la p.a. fissa 
definitivamente la somma e la Hquida; per conseguenza, fino a questo momento, 
non pu� parlarsi, per la misura del contributo, di un diritto soggettivo subentrato 
all'originario interesse legittimo: Sez. Un. 15 novembre 1957, 
Riv. Giur., ed. 1958, I, 171. 

n. 4399, >
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PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

77 

potere discrezionale al momento rin cui emana il provvecliimento di concessione 
del contributo, a:i sensi dell'art. 102 del .t.u. leggi st� Mezzogiorno, 
mentre successivamente si instaura tra il concedente ed il concessionario 
un rapporto giuridico con reciproche .posizioDJi di diritto e di obbligo. Ne 
consegue, che ogni controversia che attiene al momento obbligatorio, 
come l'attuale dovrebbe rientrare nelLa giurisdizione dell'autorit� giudi2Jiaria 
ordinaria, non potendo pi� la p;a. incidere, in sede di adempimento 
con �la propria unilaterale volont� sulla misura della concessa erogazione. 

La resistente Cassa per il Mezzogiorno oppone e deduce a sostegno 
della competenza giuriscliizionaJ.e amministrativa di cui cbii.ese l'affermazione, 
che il provvedimento di concessione degli incentivi J�inanzi:ari viene 
adottato sulla sola base di programmatiche antenzioni del �Singolo operatore 
dnteressato, in conformit� del progetto all'uopo approntato e con 
riferimento ad un preventivo dii spesa di cui si verifilca necessariamente, 
mancando la relativa documentazione, soltanto !'�astratta ammissibilit�. 
Pertanto le valutaz;ioni richieste per la concessione clii tali incentivi non 
si esauriscono nella �sola fase clii emana:zJione del provvedimento, ma assumono 
determinante rilievo, con effettiva determinazione del contributo 
da erogare, nelJ:a fase di � liquidazione � degl!i incentivi medesimi, ed � 
evidente che rispetto alle va!lutazioni a tal fme richieste (concernenti 
apprezzamenti di merito sulla stessa pertinenza, congruit� ed ammissibilit� 
detlla spesa documentata), non sono ipotizzabili situazioni di diritto 
soggettlivo, suscettibili in quanto tali di tutela dinan2Ji ru. giudice ordinario. 

Nel contrasto delle tesi cos� prospettate, quesite Sezioni lllllite ritengono 
che sia meritevole di accoglimento quella sostenuta dalla Cassa 
resistente. 

n contributo di cui si discute � stato disposto dalla Cassa per il 
Mezzogiorno in favore della S.p.A. Sicula Fornaci, iad sensi dell.'art. 102 
del t.u. delle leggi sul Mezzogiorno 30 giugno 1967, n. 1523, modificato daill'art. 
10 della legge 6 ottobre 1971, n. 853, per la realizzaZJione e l'adeguamento 
di impianti industriali, con provvedimento del 29 aprile 1975 per 
la somma complessiva di L. 79.520.000. Poich� con mandato n. 828 del 
3 aprile 1976 la Cassa ordin�, invece, tramite iil Banco di Sicilia il pagamento 
clii un contiributo lordo di L. 35.235.000; il quesito che Sii pone consiste 
nel decidere, ai fini della soluzione del problema di wiurisdizione, 
quale sia nell'ambito del procedimento all'uopo previsto dalla Jegge la 
natura e funzione del primo provvedimento emesso in data 29 aprile 1975. 

L'art. 102 del t.u. citato, dopo di aver disposto che per la costruzione 
di nuovi impianti .industriali e l'ampHamento di quelli esistenti sono concessi 
alle imprese determinanti contributi, cui provvede la Cassa per il 
Mezzogiorno, sulla base delle scelte prioritarie effettuate dal piano dd 
coordinamento, sia per quanto riguarda i settori di dntervento, sia �in 
ordine alJ:e localizzazioni ed alle dimensioni delle singole iniziative, cos� 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

statuisce con l'ultimo comma: � Il contributo � erogato entro i sei mesi 
dall'entrata !in funzione del nuovo stabilimento, o quando si t:1~atta di 
aziende esistenti, daLla ultimazione dei !lavori di ampliamento in base alla 
documentazione delle spese sostenute e a11e risultrunze dei contro1li eseguiti 
a cura della Cassa per il Mezzogiorno �. 

Orbene, in linea di principio � esatto quanto assume la difesa della 
ricorrente circa le diverse posizioni soggettive del privato cUJ� sia stata 
accordata fa sovvenzione, per cui da un lato egli ha UJil diritto di credito 
verso la p.a. debitrice della somma di danaro oggetto della sovvenzione, 
diritto tutelabile innanzi al giudice ordinario, dall'altro � titolare di un interesse 
legittimo in relazione ai poteri di autotutela che 'l'ordinamento conferisce 
a1l'autorit� amministrativa (S.U. 12 maggio 1975, n. 1833, 8 maggio 
1976, n. 1611). 

Non pu� tuttavia accogliersi la successiva deduzione che nelJ:a specie 

la riduzione del contributo rispetto all'importo prevdsto nel precedente 

provvedimento di ammissione possa configurarsi come UJil mero rifiuto di 

adempiere un'obbligazione gi� ormai definitivamente costitUJ�ta a carico 

della Cassa per il Mezzogiorno nei confronti delila ricovrente. 

Giova considerare <al riguardo che nel quadro del procedimento ammi


nistrativo, previi:sto dal citato art. 102, H provvedimento di concessione del 

contributo previsto dal primo e quarto comma di tale disposizJione si 

caratterJzza per .iil suo contenuto meramente programmatico, in quanto la 

Cassa � provvede � allo stato degli at1Ji in base, all<e deduzioni contenute 

nella relativa domanda ed al preventivo di spese cui essa fa riferimento. 

In mancanza di concreti elementi di riscontro, e d'altra parte per 

consentire una sollecita definizione del procedimento amministrativo, la 

norma i:in esame conferisce alla Cassa per il Mezzogiorno il potere dd 

ammettere l'interessato al contributo, secondo una spesa presumibMe, per 

un determinato ammontare, all'uopo previsto come limite massimo, il 

quaJe non potr� esser superato Jn sede di liquidazione. 

Tale provvedimento, per il suo stesso contenuto, non � quindi Moneo 

a costitui:ire tra 1le parti della vicenda alcun rapporto obbligatorio ben 

definito, giacch� la legge stessa prevede (art. 102 ul1Jimo comma) che la 

Cassa per il Mezzogiorno proceda ahla successiva � eroga:zione � del con


tributo non gi� con un mero atto di adempimento di un precedente obbligo 

che non sussdste, ma con un successivo provvedimento autoriitativo che, 

sulla base della documentazione delle spese sostenute e dci risulta1Ji dei 

controlli all'uopo eseguiti, determina definitivamente l'entit� dell contributo 

da liquidare all'interessato. 

� quindi evidente che soltanto con tale successivo provvedimento di 

� eroga:zri.one � -che impli:ica ulteriori apprezzamenti e valutaziOll'.li di 

natura amministrativa e tecnica -si esaurisce la fase procedimentale e 

si perfeziiona e consolida il ,rapporto obbligatorio di natura parit~tica cui 


PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

la ricorrente ha fatto cenno nel suo ricorso con r.iferimento alla prima 
fase della procedura. 

N� pu� sostenersi per accogliere fa tesi contraria, che nella (successiva) 
fase relativa alla erogazione del contributo l'autorit� amminis:trativa si 
limiterebbe ad un �riscontro puramente contabile, onde non potTebbe 
negarsi :la natura di diritto soggettivo del1a posfaione assunta dal destinatario 
del provvedimento, anche perch� l'attivit� della p.a. sarebbe dn 
questa fase del tutto vincolata. 

La obiezione non considera che, una volta �inclusi ne11'ambito dello 
stesso procedimento rivolto alla determinazione del contributo, �J provvedimento 
di concessione (puramente programmatica) ed iii successivo 
provvedimento di erogazione delle somme in concreto stabilite come dovute, 
tutta quanta l'att!ivit� della p.a. appunto perch� svolgentesi nello stesso 
procedimento, � dominata dall'esigenza fondamentale di curare il pubblico 
interesse, in quanto il danaro pubblico non pu� essere impiegato per 
finalit� di incentivo degli !impianti industriali se non nei hlmiti cui il 
costo dell'opera volga in effetti a realizzare dn concreto una tale filnalit�, 
secondo �le modalit� previste dalla Jegge. 

In conclusione, posto che �anche l'attivit� amministrativa svolita dalla 

Cassa per H Mezzogiorno in sede di eroga2Jione del contributo ex art. 102 

ufttimo comma del t.u. citato � disciplinata da norme di a2J.ione, ne consegue 

che la domanda proposta dalla ricorrente in sede dii meri.to con cui si � 

dedotto ila illegittimit� del comportamento delila Cassa iin sede di eroga


zione allorch� si � dalla stessa proceduto ahla ridu2J.ione del contrJbuto 

ammesso in seguito allo stralcio del.Ie spese attinenti �ad opere eseguite 

anteriormente �ail biennio dalla presentazione dell:a domanda, involge una 

controversia relativa ailla Jesione di un interesse legittimo, rientrante come 

tale nella giurisdi2Jione del giudice ammintistrativo. {omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 24 ottobre 1981, n. 5560 -Pre~. La 
Farina -Est. Vela -P. 1\:1. Saja -Giustini (avv. Puccetti) c. Istituto Poligrafico 
e Zecca dello Stato (avv. Stato Cerocchi). 

Pubblica Amministrazione -Istituto Poligrafico -Competenza e giurisdizione 
-Rapporti di impiego -Controversie -Giurisdizione del giudice 
amministrativo � Sussiste. 

La legge 13 luglio 1966, n. 559, riformando l'Istituto Poligrafico dello 
Stato, ne ha accentuato i caratteri di ente pubblico non economico, rendendo 
prevalenti, sulle attivit� imprenditoriali che tuttora gli competono, 
i servizi svolti, attraverso rapporti sottratti alla disciplina del diritto privato, 
nell'esclusivo interesse delle Amministrazioni statali, con la conse



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

80 

guenza che le relative controversie rientrano nella giurisdizione del giudice 
amministrativo (1). 

(omissis) L'Istituto Poligrafilco dello Stato eccepisce pcregiudizialmente, 
con l'unico motivo del suo ricorso, il difetto di giurisdizione del giudice 
ordinario, sostenendo di essere un ente pubblico non economico, assoggettato, 
quindi, per quanto concerne i rapporti di lavoro con il proprio 
personale, alla giurisdizione esclusiva del giudice amminiist�rativo, a norma 
dell'art. 7 legge 6 dicembre 1971 n. 1054, :in relazione �ail!l'art. 29 rt.u. 26 giugno 
1924 n. 1054. 

L'ecce2lione � fondata. 

A partire dalla sentenza 5 agosto 1977 n. 3518, �1a giurisprudenza di 
questa Corte � ferma nel ritenere che la legge 13 �luglio 1966 n. 559, rifor� 
mando l'Istituto ne ha accentuato i camtteri di ente pubblico non econ<> 
mico, rendendo prevalenti, sulle attivit� dmprenditoriali che tuttora gli 
competono, i servizi svolti, attraverso rapporti sottriatti aUa disciplina 
del diritto privato, nell'esclusivo interesse delle Amministrnzioni statali. 
Tale nuovo orientamento, che mentre rdsulta corroborato, di recente, dal 
distacco della Zecca dal Ministero del tesoro e dalla costituzione di essa 
in Sezione autonoma dell'Istituto (legge 30 aprile 1975 n. 154), da quest'ulltimo 
non implica la soppressione �di diritto�, a norma dell'art. 2, primo 
comma, Iegge 20 marzo 1970 n. 70, in quanto ['Ente ha ca�rattere � strumentaile 
�, essendo posto direttamente alle dipendenze deLlo Stato (SS.UU. 
13 dicembre 1979 n. 6496), impone di ascrivere i rapporti di lavoro del 
personale dell'Ente stesso, non risolti prima della riforma (fra i quali � 
compreso quello oggetto dell'attuale lite) alJ'area dell'impiego pubblico, 
sulla quale ha giurisdizione esclusiva .il giudice amministrativo: artt. 2, 
lett. a, e 7 legge 6 dicembre 1971 n. 1034. 

Difetta dunque, nella specie, la giuvisdizione del giudice oro.inario e la 
sentenza impugnata deve essere cassata senza :rinvlio (art 582, terzo 
comma, cod. proc. civ.), mentre resitano assorbiti gld ail.tri motivi dei ricors[. 

(omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 6 novembre 1981, n. 5853 -Pres. La 
Farina -Est. B1le -P. M. Saja -Cella (avv. Marino) c. Mdnistero del 
Lavoro e della Previdenza Sociale (avv. Stato Corti). 

Previdenza � Ente Nazionale per la prevenzione infortuni � Controlli � Natura 
� Provvedimenti abilitativi � Difetto di potere discrezionale � Situazioni 
di diritto soggettivo � Giurisdizione onllnarla � Sussiste. 

Il collaudo previsto dalla legislazione in materia di prevenzione degli 
infortuni sul lavoro -pur avendo un contenuto eminentemente permissivo, 

(1) Cfr. Sez. Un., 5 agosto 1977, n. 3518. 
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81

PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

in quanto consente l'espletamento di attivit� altrimenti vietata in via di 
massima dal ricordato art. 7 del d.P.R. n. 547 del 1955 -non pu� essere 
inquadrato nella categoria dei provvedimenti autorizzatori, caratterizzati 
dall'esercizio, da parte della pubblica amministrazione, di una pi� o meno 
ampia potest� discrezionale circa la conformit� della situazione di specie 
all'interesse pubblico affidato alle sue cure. 

Pi� corretta � invece la sua collocazione nell'ambito dei provvedimenti 
abilitativi, che si contrappongono alle autorizzazioni per il difetto di poteri 
discrezionali da parte della pubblica amministrazione, la quale si limita a 
procedere ad accertamenti ed a valutazioni d'ordine puramente tecnico, 
circa l'esistenza in concreto di determinati requisiti o l'idoneit� di persone 

o cose a svolgere la specifica attivit� considerata dalla legge, con la conseguenza 
che le relative controversie rientrano nella giurisdizione ordinaria 
(1). 
1. -� Per valutare la portata della domanda proposta dall'attuaile ricorrente 
al Tribunale di Roma occorre tener conto -da un lat� -del 
quadro normativo nel cui ambito essa si colloca e� dall'altro 
-della 
situazione di fatto denunciata. 

In ,relamone al primo profilo, 11 d.P.R. 27 aprHe 1955, n. 547, recante 
norme per la prevenzione degli infoTtUil!� scl lavoro, vieta (art. 7) la 
costruzione, la vendita, H noleggio e 1a concessione dn uso di macchine, 
di parti di macchine, di attrezzature, di utensili e ,di aprpareochi in genere, 
nonch� l'installazione di impianti non rispondenti a1le norme di sicurezza 
previste nel decreto stesso; ed in particolare (art. 25) prevede che 
le scale aeree ad inclinazione variabile, i ponti sviluppabili su carro e 
i ponti sospesi muniti di argano devono essere co1laudat� e sottoposti 
a verifiche annuali per accertarne lo stato di efficienza in ,riferimento 
alla sicurezza. L'esecuzione di questi controHi � affidata dagli art. 5 ss. 
del d.m. 12 settembre 1959 all'Ente nazionale per la prevenzione degl!�. 
infortuni; l'art. 8 di tale decreto stabilisce che :i v:erbaM di coLlaudo e di 
verifica periodica devono essere redatti su libretti conformi ai modelli 
a1legat�. Peraltro l'art. 395, comma 3, del d.P.R. n. 547 del 1955 dichiara 
esenti dall'applicamone delle norme :in questione le macchine, gli d:mpianti 
e le loro parti, costruiti o installati dopo l'entrata in vigore del decreto, 
quando si tmtti di adottare nuovi mezm o sistemi di sicurezza di riconosciuta 
efficacia, diversi da quelli prescritti dal decreto stesso, finch� il 
riconoscimento dell'efficacia dei nuovi mezm o sistemi non sia effet


tuato con provvedimento del Ministro del lavoro e della previdenza 
sociale. 

(1) Massima conforme ai principi. 
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RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

In relazione al secondo profilo, sono pacifiche fra le parti alcune 
circostanze di fatto, ed in particolare 11a costruzione da parte della Cella 
di att-rezzature per manutenzione aerea; la sottoposizione di tali attrezzature 
da parte della societ� costruttrice al col!laudo dell'Ente na:llionale 
per la prevenZiione degli. iinfortuni; il contrasto insorto fra societ� costruttrice 
e collaudatori a seguito di una circolare dell'Ente che imponeva 
ai propri tecnici di apporre una dasola di � riserva � in sede di prima 
verifica, in attesa delila produzione di una certa documentazione da parte 
deHa Cella, con la conseguente dilatazione dei tempi occorrenti per il 
collaudo. 

Sulla base di tali premesse la Cena S.p.A. -ritenendo che il comportamento 
dell'ENPI !l"ivelasse l'iimpossibilit� di applicare a1le apparecchiature 
da essa prodotte i criteri enunciati dal d.P.R. n. 547 del 1955, 
sorpassati dall'evoluzione tecnologica successiva -ha chiesto al giudice 
di dichiarare che, in attesa dell'emanazione del provvedimento ministeriale 
prev.isto dall'ultima parte del comma 3 dell'art. 395 citato, le macchine 
di sua produzione non sono assoggettate ai collaudi prev�isti dalle 
norme prima ricordate. 

�, 

2. -L'eccezione di difetto assoluto di giurisdizione -sollevata da!I. 
Ministero del lavoro sotto H profilo che la Cella S.p.A. av.rebbe chiesto 
al giudice non una pronunzia attributiva di un bene, ma soltanto un 
parere -� �infondata. 
Dall'esposizione di cui al precedente paragrafo �risulita ~nfatti eyidente 
come l'attuale ricorrente mi'.l'i a conseguire l'eliminazione di una situazione 
di oggettiva incertezza (di per s� suscettibile di ar;recare pregiudizio) 
intorno all'esistenza del proprio diritto a non sottoporre i macchinari 
da essa prodot1Ji: al collaudo dell'ENPI e, correlativamente, alla 
pretes�a di quest'ultimo di procedere ai collaudi stessi con il sistema 
prev.isto dalla circolare cui si � fatto cenno. 

Ricorrono perci� all'evidenza tutti gli estremi per ravv.isare un'azione 
di mero accertamento, la cui ammissibilit� nel vigente ordinamento processuale 
� comunemente accettata. 

3. -Esattamente la domanda � staita proposta all'autorit� giudiziaria 
ordina11ia. 
Il coHaudo previsto dalla legislazione in maiteria di prevenzione degli 
infortuni sul lavoro -pur avendo un contenuto eminentemente permissivo, 
in quanto consente l'espletamento di attivit� altrimenti vietata in 
via di massima dal :ricordato art. 7 del d.P.R. n. 547 del 1955 -non 
pu� essere inquadrato nella categoria dei provvedimentJi autorizzatorl, caratterizzati 
dall'esercizio, da parte della pubblica amminisitrazione, di una 
pi� o meno ampia potest� discrezionale ckca la conformit� de1la siituaZJione 
di specie all'interesse pubblico affidato alle sue cure. 


PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

P.i� corretta � invece la sua collocazione nell'ambito dei provvedimentii 
abilitativi, che si contrappongono alle autorizmzioni -secondo una 
nota formulazione dotJtrinale, condivisa anche in sede giurisprudenziale per 
il difetto di poteri discrezionali da parte della pubblica amministrazione, 
Ja quale si limita a procedere ad accertamenti ed a valutazioni 
d'ordine puramente tecnico, circa l'esistenza in concreto di determinati 
requisiti o l'idoneit� di persone o cose a svolgere la specil�ica attivit� 
considerata dalla legge. 

Dall'esame delle disposizioni del d.P.R. n. 547 del 1955 e del d.m. 12 
settembre 1959 emerge a1l'evidenza come H collaudo da parte delJ'Ent:: 
nazionale per la prevenzfone degli infortuni si risolva in un"indagine 
puramente obiettiva, per verificare se nella costruzione della singola macchina 
siano state o meno r.ispettate le specifiche presorizoioni tecniche 
contenute nelle norme �a proposito dei dispositivi �di sicurezza e delle 
relative prove. Al riguardo � particolarmente illuminante la natura degli 
accertamenti richiesti dai modelli allegati al d.m. citato del 1959, secondo 
H cui contenuto H collaudo deve essere eseguito, ai sensi dell'art. 8 del 
decreto stesso: �si tratta esclusivamente di �rilevare dati oggettivamente 
riscontrabili nella singola macchina e di esprimere un giudizio di efficienza 
o inefficienza ai fini della sicurezza sulla base di criteri esclusivamente 
tecnici, con assoluta escl1,1sione di qualsiasi apprezzamento discre~ 
zionale dell'autorit� amminlstrativa circa la rispondenza dell'attivit� imprenditoriale 
esercitata mediante la costruzione e la vendita dei macchinari 
rispetto all'interesse pubblico relativo al settore del lavoro. 

Il Ministero resistente obietta che il carattere (non discrezionale, ma) 
vincolato dell'attivit� di collaudo non � determinante al fine di configurare 
in termini di diritto soggettivo la posizione dell'imprenditore, ben 
potendo la vincol�tezza dell'azione amminiistrativa essere funzionale al 
fine di assicurarne la conformit� al pubblico interesse e non al fine di 
garantire immediatamente la tutela della posizione del privato. 

L'esame della normativa concernente la materia in esame conduce 
peraltro a ritenere non soltanto che essa impone ai pubblici uffici una 
attivit� r.igidamente vincolata ed esclude la configurabilit� di. un sia 
pur limitato margine di apprezzamento 'discreziona1e dell'interesse pubblico, 
ma anche che tale vincolo � inteso a garantire l'esercizio -da 
parte dei soggetti costruttori delle macchine da collaudare -del diritto, 
costituzionalmente garantito, di iniziativa economica. 

In conolusione l'art. 7 del d.P.R. n. 547 del 1955 conferisce al privato 
costruttore di macchine da sottoporre al collaudo il diritto soggettivo di 
ottenere, nel concorso dei requisiti tecnici cui prima si � accennato, 
l'espletamento in senso positivo dell'attivit� di collaudo, con il conseguente 
obbligo della pubblica ammill!i.strazione a procedere a siffatto espletamento. 
E dal suo canto l'art. 395, comma 3, del medesimo decreto attri



84 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 
buisce al costruttore di macchine per ile quali si debbano adottare mezzi 
o sistemi di sicurezza diversi da quelH previsti dal decr,eto, il diritto 
soggettivo di non sottoporre tali macchine al collaudo prima del :riconoscimemo 
dei nuovi sistemi e ['obbligo dell'amministrazione di aste� 
nersi dall'esercitare l'attivit� di contrnllo. 
Per la tutela di siffatti diritH soggettivi deve essere ad�to -secondo 
i criteri genera:1i �1n tema di ripa.irto delle giurisdizioni -il giudice 
ordina:riio. 
Le Sezioni Unite confermano cos� '1'orientamento gi� espresso con la 
(['ecente sentenza n. 2113 del 1981, che -sia pure 1in relazione ad una 
fattispecie retta da una diverisa disciplina -ha attriibuito natura di 
diritto soggettivo, tutelabile dinanzi il giudice ordinario, alla pretesa del 
privato di ottenere dalla pubblica 1amministr�zione, ricorrendo tutti i 
presupposti previsti dalla legge, l'emanazione di un atto da compiersi 
mediante una serie. di accertamenti tecnici, senza alcun esercizio di potere 
discrezionale, al fine di rendere possibile l'attivit� di impresa. 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. un., 10 febbraio 1982, n. 833 � Pres. Mirabelli 
. Rel. Buffoni � P. M. Fabi � Ministero dei Trasporti (avv. Stato 
Sernicola) c. De Domenico ed altrL 
Impiego. pubblico � Qualificazione, pubblica o privata � �r1terio � Atto 
formale di nomina � Irrilevanza� � Volont� tacita univoca dell'Ente � 
Sufficienza. 
Giurisdizione civile . Mancato versamento contributi � Fonte dell'obbll� 
go del versamento nel rapporto ,cJi impiego � Giurisdizione ammini� 
strativa. 
Ai fini della qualificazione, pubblica o privata, di un rapporto di lavoro 
con un ente pubblico, ci� che rileva non � il tipo di attivit� (intellettu�le o 
materiale) che il dipendente � tenuto a prestare, n� la posizione che gli � 
attribuita nella pianta organica (impiegato, operaio, avventizio), bens� 
l'inserimento del prestatore d'opera nella struttura organizzativa dell'Ente 
con continuit� e in regime di subordinazione, per l'attuazione dei fini pubblici 
prestabiliti negli atti istitutivi dell'Ente, perdendo cos� ogni rilevanza 
il requisito dell'atto formale di nomina, senza che tuttavia possa prescindersi 
dalla sussistenza della volont� manifestata in qualsiasi modo purch� 
adeguato ed univoco (1). 
Il rapporto di impiego, da cui scaturiscono gli obblighi del datore di 
lavoro che si assumono violati per il mancato versamento dei contributi 
assicurativi, costituisce il punto di riferimento della controversia, che 
rientra pertanto nella giurisdizione amministrativa (1). 
(1) Giurisprudenza pacifica sulla prima massima: cfr. Sez. Un., 19 novembre 
.1979, n. 6011, in questa Rassegna, 1980, I, 84, con nota; sulla seconda, Sez. Un., 
19 novembre 1979, ivi, I, 319; Sez. Un., 7 maggio .1980, n. 2997, ivi, I, 7513. 
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PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI� GIURISDIZIONE 

Con il primo motivo la ricorrente ripropone la questione di giuvisdizione, 
deducendo che la Corte del merito, violando gli art. 29, n. 1 e 30 del 

T.U. 26 giugno 1924 n. 1054, avrebbe escluso iii �rapporto di impiego pubblico 
sull'erroneo rilievo che esso non potrebbe costituirsi con gli operai avventizi, 
rispetto ai quali sarebbe configurabHe so1tanto un rapporto di lavoro 
di diritto pr;ivato, e col rilievo del pari erroneo, che difetterebbe J'atto di 
nom1na, requisito che sarebbe indispensabile per assumere la veste di 
pubblico impiegato. In contrario si sostiene che qua�lsiasi attivit� anche 
materiale pu� costituire oggetto del rapporto di pubb1ico impiego qualunque 
sia il carattere del rapporto (di �ruolo o non di ruolo) e che la 
sussistenza di esso, in difetto di un formale atto dii nomina, pu� essere 
desunta da atti contestuali o successivi al conferiimento dell'incarico. 
Da tali premesse, secondo la ricorrente conseguirebbe che della controversia, 
in quanto essa coinvolge il �rapporito di pubblico dmpiego sub 
specie dell'inadempimento dell'ente mordine agli obblighi concernenti le 
assicurazioni sociali, deve conoscere in vfa esclusiva iJ. giudice amministrativo. 


La censura � fondata. 

Tutte le argomentaziOil!i sulla quale essa si fonda s'�identificano con 
quelle enunciate da queste Sezioni Unite in tema di pubblico dmpiego 
nonch� per la indiv.iduazione del giudice competente a conoscere della 
domanda di risarcimento del danno per inadempimento agJii obblighi contributivi 
da parte dell'ente non economico, carattere, questo, che indubbiamente 
riveste l'Amministrazione delle Ferirovie dello Stato. 

Sul primo punto, in conformit� alla dottrina pi� autorevole, si � affermato 
che, ai fini de11a qualificazione pubblica o privata di un rapporto di 
lavoro con un ente pubblico, ci� che rileva non � il tipo di attivit� (�ntellettuale 
o materiale) che il diipendente � tenuto a prestare n� tla posizione che 
gli � attribuita nella pianta organica (impiegato o operaio, non di ruolo, 
avventizio). L'orientamento giur.isprudenziale �espresso e ribadito nelle pi� 
recenti deaisioni <indica nell'inserimento del prestatore d'opera nella struttura 
organizzativa �deil'ente e negli organismi che da essa si sono eventualmente 
diramati, l'unico elemento caratterizzante della natura pubblica 
del rapporto. Tale inserimento si �realizza quando ile prestazioni del dipendente 
sono date e ricevute con continuit� ed in regime di subordinazione, 
nell'ambito della st�ruttura degli organismi predetti predisposti per attuare 
i fini pubblici che l'ente si prefigge anche se non previs1ti negli atti istitutivi. 
Con questo indirizzo ha perduto rilevanza il requisto deH'atto formale 
di nomina, che la giudsprudenza di questa Corte ha ritenuto essenziale 
in passato per la costituzione del rnpporto di pubblico impiego. Peraltro si 
� precisato che il nuovo orientamento non prescinde dalla sussistenza della 
volont� dell'ente diretta alla costituzione del rapporto, ma postula che 
detta volont� possa essere manifestata in qualsiasi modo, purch� si rive1i 


86 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

adeguato ed univoco: perci� non necessariamente con un atto scritto, ma 
anche con fatti e comportamenti. Questi, per essere concludenti e univoci, 
debbono rivelare non soltanto che l'ente ha fatto proprie [e prestazioni del 
soggetto ma che le ha volute come attivit� da utillizzare nell'ambito della 
sua organizzazione (V.S.U. 4838-5523/1977 6444/1979; 2070-1352/1980; 1689/ 
1981). 

AHa stregua di tali principi deve affermarsi che il .rapporto istituito nel 
1919 e protrattosi fino al 1924 tra l'Amministrazione ricor.rente e gli intimati 
aveva natura pubblica, avuto r.iguardo all'attivit� che, come � pacifico, 
i lavoratori hanno prestato con conti:nuit� e con vincolo di subordinazione 
nelle strutture della Amministrazione ferroviaria la quale ha voluto utilizzare 
detta attivit� per attuare i .suoi fini pubb1icistici. 

A tale rapporto si collega direttamente la domanda dei dipendenti nei 
confronti dell'Amministrazione per il risa.rcimento del danno per la violazione 
dell'obbligo di versare i contributi relativi agli enti previdenziali in �' 
quanto, deducendosi, come ragione della domanda I'i1legittimit� del comportamento 
dell'ente pubblico in relazione alla prestazione contrti.butiva, il 
rapporto di impiego da cui scaturiscono gli obb1ighi del datore di lavoro 
che si asc;umono violati, costituisce il punto di rifevimento di. tutta la 
materia del contendere (S.U. 4373/1980; 1393/1981). 

Perci�; ai sensi dell'art. 7 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034 in relazione 
all'art. 29 del t.u. 26 giugno 1924, n. 1054 (non modfficati dalla legge 
11 agosto 1973 n. 533, introduttiva del nuovo rito del lavoro) della controversia 
deve conoscere il giudice amministrativo. 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. un., 11 febbraio 1982, n. 841 -Pres. Mirabelli 
-Rel. Tondo -P. M. Fabi -Inam (avv. Stato Corti) c. De Lorenzi 
(avv. Ferrari). 

Impiego pubblico -Ex combattenti -Collocamento a riposo -Assunzione 
da altro ente pubblico -Divieto -Sussistenza -Estremi. 

Impiego pubblico -Art. 6, secondo comma, d.I. n. 261-1974 -Questione di 
costituzionalit� -Manifesta infondatezza. 

L'art. 6 d.l. 8 luglio 1974 n. 261, contenente modificazioni alla legge 
24 maggio 1970 n. 336, in tema di benefici a favore dei dipendenti dello Stato 
ed enti pubblici, ex combattenti ed assimilati, come modificato dalla legge 
di conversione 14 agosto 1974 n. 335, nella parte in cui fa divieto di assunzione 
in impieghi o di avere incarichi retribuiti alle dipendenze dello Stato; 
degli altri enti pubblici, anche economici, di societ� a partecipazione statale 
e di enti che fruiscano del contributo ordinario dello Stato, salva la parte


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cipazione ad organi collegiali ed a commissioni, si applica non solo fnei 

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PARm I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

87 

confronti di coloro che hanno ottenuto le assunzioni o gli incarichi dopo il 
collocamento a riposo, ma anche nei confronti di coloro che tali incarichi 
od assunzidne hanno ottenuto prima del collocamento in quiescenza per 
effetto della legge n. 336 del 1970 (1). 

� manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 4, 25 e 35 Cost., 
la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 6, secondo comma, d.l. 
8 luglio 1974, n. 261, come modificato dalla legge di conversione 14 agosto 
1974 n. 335, nella parte in cui dispone che le assunzioni effettuate e gli 
incarichi conferiti anteriormente all'B luglio 1974 al personale collocato in 
quiescenza a norma della legge n. 336 del 1970 cesseranno di avere efficacia 
entro un determinato termine, in quanto il diritto al lavoro garantito dalla 
norma costituzionale non esclude la facolt� del legislatore di regolarne 
l'esercizio, mentre il principio di irretroattivit� della legge assurge a principio 
di livello costituzionale solo per quanto riguarda la legge penale, con 
la conseguenza che l'estensione retroattiva della norma denunciata non 
viola alcun diverso principio costituzionale ed � giustificata dall'esigenza 
di contenere in limiti equi l'ambito dei benefici concessi agli ex combattenti 
(2). 

Il primo motivo del ricorso principale avverso la sentenza non definitiva 
� fondato. 
La Sezione Lavoro di questa Suprema Corte, con le sentenze n. 5029 e 

n. 5030 del 30 agosto 1980, ha 11itenuto che l'art. 6 d.l. 8 luglio 1974 n. 261, 
convertito in legge con mqdif. dalla legge 14 agosto 1974, n. 335, nella parte 
in cui fa divieto di assunzione in impieghi e di avere incarichi retribuiti 
alle dipendenze dello Stato, deg1i ailtri enti pubblici, amebe economici, nonch� 
di societ� a .part�cipazione statale e di altri enti che fruiscano del 
contributo ordinario dello Stato -salva la partecipazione ad organi collegiali 
ed a commissioni -si appldca non solo nei confronti di coloro che 
hanno ottenuto le assunzioni o gli i�ncanichi dopo il collocamento a riposo, 
ma anche rispetto a coloro che tali incarichi od asstllilzioni abbiano ottenuto 
prima del collocamento a riposo ai sensi della legge n. 336 del 1970. 
Le ragioni che la sentenza impugnata ha posto a fondamento della 
contraria soluzione, nonch� gli argomenti nello stesso senso proposti dai 
resistenti, non sono idonei a determinare un cambiamento di .indll-izzo. 

La ratio del divieto -originariamente posto, da1l'~rt. 6 del d.l. n. 261 
del 1974, per il personale collocato a riposo in app1icazione dello stesso 
decreto, e poi esteso, dall'art. 1 della legge di conversione n. 335 del 1974 
(che ha sostituito il cit. art. 6), al personale collocato in quiescenza a norma 

(1-2) Sulla prima massima la giurisprudenza ormai pacifica: cfr. Sez. Lavoro, 
30 agosto 1980, n. 5029; 30 agosto 1980, n. 5030. 
Sulla questione di incostituzionalit� cfr. Corte Cost. 28 luglio 1976, n. 194.. 

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88 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

della legge n. 336 del 1970, con il1iferimento ad assunzioni ed incarichi intervenuti 
anteriormente all'8 luglio 1974 -� indubbiamente quella di precludere 
al predetto personale, cui �era attribuito un trattamento di quiescen:m 
di .particolare favore, la possibilit� di avvantaggiarsi ulteriormente, e sempre 
a carico deilla pubblica finanza, mediante lo svolgimento, facilitato dalla 
propria situazione di preferenza, di altre attivit�, con ci� frustrando, 
oltre tutto, lo scopo stesso delle norme di favore�iper gli ex combattenti, 
miranti a determinare, con l'attribuzione di un trattamento preferenziale, 
l'effettiva cessazione dei beneficiari dal rapporito di pubblico impiego, sia 
ai fini della progettata riforma della pubblica amministrazione, sia a 
quelli della soluzione dei problemi dell'occupazione. 

Tale ratio -chiaramente risultante dai lavori preparatori e gi� ritenuta 
iPispondente, dalla Corte Costituzionale (v. sent. 28 luglio 1976, n. 194), 
� ad evidenti esigenze di equit� e di modera:cione � -sicuramente non 
consente di �ritenere inoperante il divieto per g1i incarichi g:i� in atto al 
momento del collocamento a riposo, posto che le finaldt� perseguite rendevano 
necessario non soltanto stabilire il divieto per il futuro, ma estenderlo 
anche alle situazioni nate in passato, determinandone l'inefficacia nel 
termine di sei mesi daU'entrata in vigore della <legge di conversione, con 
salvezza della possibilit� di rinuncia al trattamento di quiescenza preferenziale 
(art. 6 terzo comma), ma con assoluta irrilevanza del dato, meramente 
casuale, che il confer:imento dell'incarico, anteriore all'8 lugldo 1974, 
avesse preceduto o seguito il collocamento a riposo. Se si tien poi conto del 
fatto che, ai sensi dell'art. 3 legge n. 336 del 1970 e dell'art. 1 terz() comma, 
legge n. 824 del 1971, tale collocamento a .riposo poteva essere chiesto tra 
il 26 giugno 1970 ed il 25 giugno 1975 (nel termine di cinque anni dal1'
11 giugno 1970) e che la scelta de1la data era lasci:ata a compJeta disarezione 
dell'interessato, � agevole considerare che, in questa notevole latitudine 
temporale di appLicazione, la esclusione dal divieto degli incarichi 
conseguiti prima del pensionamento avrebbe potuto dar Iuogo ad inconvenienti 
gravi, quali il trattamento differenziato di situazioni identiche 
nella foro obbiettiva consistr;!nza e diffe11enziate solo dalla data della rispettiva 
insorgenza, con l'aggravante di favorire proprio coloro che avevano 
saputo usare dell'opportunit� di premunirsi �di un incarico prima di chiedere 
il collocament� a riposo. 

L'interpretazione sopra criticata non � del resto suffragata da elementi 
letterali desumibili dal testo della disposizione . 

Il primo comma del cit. art. 6 (che, .in conformit� al testo originari.o, 
dispone solo per i futuri pensionamenti) stabilisce che � il personale che 
sar� collocato a riposo ai sensi del presente decreto non pu� essere assunto 
in impiego o avere incarichi, eccezion fatta... �. Prescindendo dalle assunzioni 
(sicuramente riguardate come future in base alla impossibilit� di una 
loro coesistenza con il rapporto d'impiego che da luogo al pensionamento) 

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PARTE I, SEZ, III, GIURIS. SU QUESTIONI Dl GIURISDIZIONE 

non sembr� dubbio che l'espressione �non pu�... avere dncarichi �, sia per 
l'uso del verbo servile �potere� all'indicativo presente ~an21ich� al futuro), 
sia per il significato proprio del verbo �avere�, che normalmente indica un 
attuale rapporto di appartenenza, stia a significare che il dipendente collocato 
a riposo, se non pu� avere 1incarkhi, deve cessair� da quelli che gi� ha, 
senza 1a possibiHt� di conseguirne altri in futuro. La interpreta21ione dell'espressione 
in questo solo ultimo senso, operata �dalla sentJenza impugnata, 
non pu� perci� essere condivisa e, tanto meno, pu� essere approvato 
il �1:entatiivo di utilizzarla come chiave di lettura della disposizione del 
secondo comma. 

Tale secondo comma detta che le � assunzioni effettuate e gli incarichi 
conferiti anteriormente aH.'8 luglio 1974 al personale collocato in quiescenza 
a norma della legge 24 maggio 1970, n. 336, cesseranno di avere efficacia 
nel termine �di sei mesi dall'entrata in vigore della legge di conversione 
del presente deoreto �. Innegabile � che H tenore letterale della disposizione 
� ambiguo, potendo essere inteso e nel senso che i predetti incarichi, 
per essere jnefficaci, debbono essere stati conferiti al personale (gi�) 
collocato in pensione, e nel senso che l'inefficacia deriva dal1a sola antel'iorit� 
degli incarichi aH'8 <luglio 1974 in �dipendenza del fatto che sono stati 
conferiti a personale messo comunque (sia prima che dopo il conferimento) 
in quiescenza, servendo, �in tal caso, il partidpio passato � collocato� non gi� 
ad esprimere l'anteriorit� del collocamento in pensione rispetto al conferimento 
dell'incarico, ma soltanto a designare la categoria (dei pensionati 
ex combattenti) cui il divieto � indirizzato (v. ~n questo senso, sent. n. 5030/ 
80 cit.). Il dubbio � per� risolto gi� dail terzo comma dell'art. 6, che, nel 
disciplinare la connessa facolt� di rinunzia al trnttamento di quiescenza, fa 
generico riferimento a coloro che hanno ricevuto incarichi anteniormente 
alla predetta data, senza distinguere menomamen1:e tra incarichi ricevuti 
prima e dopo il pensiOnamento. Ma � soprattutto fa �ratio� della normativa, 
gi� diffusamente ii.Uustrata, che impone l'adozione della seconda 
interpretazione. 

Giova al riguardo precisare che nessun ausilio interpretativo pu� denivare 
dalla considerazione -pur suggestiva -che la contraria soluzione 
meglio si condlierebbe con il fotto che, nella determinazione della volont� 
del dipendente all'anticipato collocamento a niposo, ben pu� aver influito 
la consapevolezza di poter conservare un coesistente incarico; affidamento, 
questo, che, legittimato dalla legge allora vigente, apparirebbe meritevole 
di tutela. Senonch� lo stesso ragionamento s� pu� ripetere, con variantJi 
mm essenziali e decisive, anche per il dipendente che si � determinato a 
richiedere il pensionamento ,nella certezza di conseguire un diverso incarico, 
poi in effetti, dopo il pensionamento, ottenuto; mentre � certo che, m 
questo secondo caso, l'incarico � senz'altro �colpito da ,inefficacia. Assorbente 
� dunque il rilievo che il legislatore si � fatto carico di questi delicati 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

90 

problemi e, nell'estendere la nuova norma proibitiva ai rapporti legittimamente 
sorti sotto l'impero della norma previgente, ha in generale ritenuto 
sufficiente ed equo di accordare all'interessato la facolt� di mantenere 
l'incarico, rinunciando per� al trattamento di qwiescenza ottenuto per 
effetto de1la legge n. 336 del 1970. La �orte Costituzionale, COIIl .Ja cit. sent. 

n. 194 del 1976, ha gi� ritenuto infondate 1e questioni ,di illegittimit� costituzionale 
della norma sotto lo specifico profilo della retroattivit� di essa 
(che inciderebbe su posizioni costituite in vista di una situazione giuridica 
successivamente mutata) testualmente osservando che � ri.corre ne1la specie 
un caso di riconoscimento di evidente opportunit� per l'attribuzione di 
efficacia retroattiva alla legge, che ne pone in evidenza Je ragioni giustificatrici
�. La stessa Corte Costituzionaile ha del pari ritenuto infondata la 
questione di costituzionalit� del ripetuto a:rit. 6 in riferimento agli artt. 4 
e 13 Cost. (v. sent. 194/76 dt.), il che esime da un particolare esame dei 
corrispondenti profili di iincostituzionalit�, sollevati dai resistenti, con la 
memori.a, negli stessi termillli. gi� esaminati dalla predetta pronuncia di 
infondatezza (v. ,inoltre, per Ja manifesta infondatezza delle stesse questioni, 
le sentenw della Sezione Lavoro n. 5029 e n. 5030 del 1980, cit.). 

SEZIONE QUARTA 

GIURISPRUDENZA CIVILE 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 8 aprile 1981 n. 2014 -Pres. Granata -Est. 
Scanzano -P. M. Caristo -Bandiera (avv. Rizzo) c. Universit� di Messina 
(avv. Stato Fiumara). 

Espropriazione per p.u. � Illegittimit� costituzionale dell'art. 16, quinto 
comma e dell'art. 20 della legge n. 865 del 1971 (mod. dalla legge 

n. 10 del 1977) e successiva emanazione della legge n. 385 del 1980 � 
Giudizio in corso � Effetti. 
Espropriazione per p.u. � Occupazione di urgenza � Interessi � Tasso degli 
interessi. 

In seguito alla sentenza 30 aprile 1980 n. 5 con la quale la Corte Costituzionale 
ha dichiarato l'illegittimit�, tra l'altro, dell'art. 16, quinto comma 
e dell'art. 20, terzo comma, della legge 22 ottobre 1971 n. 865 (mod. con la 
legge 28 gennaio 1977 n. 10) e per effetto della successiva legge 29 luglio 1980 

n. 385 che ha riprodotto le norme dichiarate incostituzionali ma ha precisato 
che la indennit� viene corrisposta a titolo di acconto fino alla emanazione 
di una futura legge, le determinazioni delle indennit� operate dalla 
Corte di appello assumono carattere provvisorio e le pronunzie emesse 
prima della preannunciata legge, anche se passino in giudicato, non possono 
precludere la richiesta di rideterminazione della indennit� di cui allo 
art. 1 della legge n. 385 (1). 
Sulla indennit� di occupazione di urgenza sono dovuti gli interessi nella 
misura del tasso legale, e non di quello ufficiale di sconto (2). 

(omissis) Conviene premettere che con sentenza 30 gennaio 1980 

n. 5 la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimit� (tra l'altro) dell'art. 
16, quinto comma e dell'art. 20, terzo comma della '1egge 22 ottobre 1971 
n. 865, come modificati dalla Jegge 28 gennaio 1977 n. 10, a cUJi la Corte 
d'appello ha fatto riferimento neHa determinl.lzione dell'indennit� controversa. 
Senonch� la legge 29 lug1io 1980 n. 385 ha riprodot�to la normativa oggetto 
della dichiarazione di incostituzionalit�, dettando, fino �all'entrata in vigore 
di apposita ,Jegge sostitutiva delle norme dichiarate illegittime con la detta 
sentenza, criteri di determinazione, delle indennit� d!i espropriazione e di 

(1-2) Si precisa che, con diverse ordinanze (Corte Appello Roma 24 ottobre 
1980 n. 107; Corte Appello Trento 23 dicembre 1980 n. 122) anche la legge 

n. 385 del 1980 � stata rimessa alla Corte CostitU1Jionale. 
Sulla misura degli interessi legali non possono sorgere dubbi qualora si 
tratti di occupazione d'urgenza: v. anche la legge n. 385, art. 1, quarto comma. 

.............................. 



92 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

occupazione, ivi considerate, coincidenti 2on quelli stabiliti dailla legge 
865/'71 e successive modificazioni, salvo conguaglio secondo quanto verr� 
statuito con la legge emananda. 

In tale situazione, agJi effetti del sindacato cui questa Corte � chiamata, 
diventano prive di rilevanza concreta -stante l'identit� di contenuto della 
vecchia e della nuova normativa -sia Ja constatamone della incostituzionalit� 
de1le norme app1icate dal giudice del merito, sia la novazione legislativa 
(che � puramente formale), rimanendo soltanto da dare atto -come 
va dato -che la determinazione dell'indennit�, operata dalla Corte d'appello, 
assume carattere provvisorio in relazione �al conguag:liio fatto salvo 
dall'art l, secondo comma della legge 1980/385, e che le pronunzie emesse 
e da emettersi nella presente controvers:ia, ove passino formalmente iin 
giudicato .prima della entrata in vigore della futura legge, non possono 
precludere Ja richiesta {di rideterminazione dell'indennit� secondo tale 
legge) di cui all'articolo citato. 

Parzialmente fondato� � �anche il quarto motivo, con cui le Bandiera, 
denunciando violazione dei citati artt. 16 e 20 sotto un duplice profilo, 
lamentano che la detta Corte: a) abbia ordinato all'lliil�versit� di versare 
alla Cassa Depositi e Prestiti la differenza tra le somme definitivamente 
liquidate e quelle determinate agli stessi titoli dall'U.T.E., senza considerare 
che nulla di tahl. somme era stato versato e che pertanto l'obbligo 
della controparte riguardava l'intero ammontare de1l'dndennit� stabilita 
giudizialmente; b) abbia attribuito gli interessi sulla detta differenza, anzich� 
sull'intera .indennit�, e nella misura legale, anzich� al tasso di sconto 
bancario indicato dall'art. 14 della -legge 1977 n. 10, facendoli inoltre decorrere 
da:lla data della stima anzich� daMa scadenza di ciascuna annualit�. 

Per quanto riguarda il punto a) il Collegio osserva che la sitatuimone 
della Corte di merito non implica un accertamento -che possa. \riuscire 
di pregiudizio alle 1ricorrenti -circa l'avvenuto versamento alla Cassa 
DD.PP. dell'indennit� determinata dall'U.T.E. Essa va qudndi iintesa nel 
senso che, sostituita a tale indennit� quella stabi1ita giudizialmente, -l'obbligo 
di versamento comprende tutto quanto, di quest'ultima, non sia stata 
ancora versato: e dunque l'intero, se nessun versamento sia stato eseguito. 

Le stesse considerazioni valgono ovviamente per il versamento degli 
interessi, cui si riferisce la prima doglianza del punto b). 

� invece fondata, riguardo agli interessi, la censura concernente la 
decorrenza. Secondo .la consolidata giurisprudenza �di questa Corte, gli interessi 
dovuti sull'indennit� di occupazione (anche legittima), dn quanto destinati 
a ripianare il patrimonio (del proprietario estromesso dall'immobile) 
per la mancata dispo!l!ibiliit� dei frutti che periodicamente egli avrebbe 
percepito, hanno natura compensativa (Cass. 2173/65, 1282/69, 2583/70, 
4973/77, 4272/79). Essi decorrono, pertanto, dalla scadenza di ciascuna 

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93

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

annualit�, con cadenza corrispondente alla periodidt� dei frutti (ora sostituiti 
dall'indennit� di occupazione) che le proprietariie av.rebbero dovuto 
percepire e non hanno percepito. 

Deve essere infine respinta la pretesa di applicare, in luogo del tasso 
legale, !iJ. tasso di sconto bancario. La pretesa cui la censura si riferisce 
vorrebbe trarre fondamento dall'art. 12 della legge 1971 n. 865 (come modificato 
dall'art. 14 legge 1977 n. 10) secondo cui �a decovrere dalla scadenza 
dei termini di -cui ai commi precedenti, sono dovuti g;li interessi dn misura 
pari a quella del tasso di sconto �. 

La norma, che � dettata per l'indennit� di espropviazione e che deroga 
in maniera vistosa a quella generale espressa dall'art. 1284 cod. civ. non 
pu� �troV'are applicazi9ne per l'indennit� di occupazione neanche in via di 
interpretazione estensiva: e ci�, non solo perch� essa � coordinata con 
preoisi termini assegnati, con riferimento alle varie ipotesi, per ii.I pagamento 
dell'indennit� di espropriazione, ma perch� soltanto per questa 
sussiste 1a ratio che la sovregge. Blevando il tasso degli interessi, il legislatore 
ha inteso evidentemente compensare il sacrificio imposto ai1l'espropriato 
in dipendenza della modesta entit� dell'indennit� assegnatagli (i cui 
criteri di determinazione sono rimasti sostanzialmente immutati ne1la 
legge 1977 n. 10). Tale ratio avrebbe potuto ravvisarsii anche per l'indennit� 
di occupazione -essendo essa �ragguagliata ad una frazione dell'indennit� 
di espropriazione -se anch'essa fosse �rimasta immutata nei suoi critelli 
determinativi. Senonch� il legislatore, con fa stessa legge con cui ha 

' 
elevato il tasso di cui si discute, ha e1eV'ato anche l'illndennit� dii occupa. 
zione ragguagliandola ad un dodicesimo, anzich� ad un ventesimo, dell'indennit� 
di espropriazione (v. art. 14 legge 1977 n. 10). Ed avendo per 
tale via migliorato la posiizione del privato che ha subito l'occupazione 
non pu� avergli attribuito anche interessi a �tasso maggiorato senza avere 
minimamente manifestato il relatiivo intento. 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 22 apriJe 1981, n. 2388 � Pres. La Farina � 
Est. Oaturani -P. M. Cantagalli -Paglial'.i (avv. Di Gravio) c. Ministero 
Industria (Avv. Stato Gargiulo). 

Commercio (disciplina del) -Rivendita di giornali -Disciplina del commercio 
al minuto -Applicabiilit�. 

I rivenditori di giornali sono assoggettati alla disciplina generale prevista 
dalla legge n. 426/1971 per il commercio al minuto (1). 

(1) La giurisprudenza � cos� costante: cfr. Sez. Un., 7 maggio 1981, n. 2957, 
retro, I, 500; ed anche Cons. Stato, sez. VI, 12 dicembre 1978, n. 1297 e sez. V, 
14 luglio 1978, n. 880, Foro it., 1979, III, .151 con nota di C.E. GALLO; V. ora legge 
5 agosto 1981, n. 416 che contiene provvidenze per l'editoria; cfr. Cass., sez. I, 
22 aprile 1981, n. 2382, retro, I, 501 (ove � riportata la relativa motivazione che � 
identica a quella della sentenza n. 2388). 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 10 giugno 1981, n. 3757 -Pres. Marchetti -
Rel. Saridulli -P. M. Valente -Comune di Recco (avv. Tedeschi) c. Ministero 
dei LL.PP. (Avv. Stato Onufrio) e Martini ed altri. 

Responsabilit� civile -Occupazione definitiva di Ul1 terreno di propriet� 
privata senza il previo decreto -Illecito -Carattere personale della 
relativa responsabilit� -Trasferimento all'ente beneficiario dell'opera 
pubblica -Inammissibilit�. 

L'occupazione di un terreno di propriet� privata occorrente per l'esecuzione 
di un'opera pubblica, non legittimata da previ procedimenti ablatori 
(decreti di occupazione e di espropriazione), costituendo un'attivit� 
materiale sine titulo lesiva di diritti soggettivi, integra un comportamento 
illecito ai sensi dell'art. 2043 cod. civ. e la relatiVa responsabilit�, dato il 
carattere personale della responsabilit� extra-contrattuale, grava sull'ente 
autore dell'illecito, senza la possibilit� di trasferirla su altri soggetti, anclze 
se beneficiari dell'opera pubblica (1). 

(omissis) Con il 'Primo motivo del ricorso principale, il ricorrente denunciata 
la violazione e fa falsa 'applicazione degli amtt. 2043 cod. civ, 1 
della legge 9 luglio 1940, n. 938, 27 della legge 26 ottobre 1940, n. 1543, 2729 
cod. civ. e 112 cod. proc. civ., in �relazione all'art. 360 nn. 3, 4 e 5 cod. proc. 

civ. -assume che -avendo il Genio Civile eseguito ile opere di ricostruzione, 
occupando, in epoca anteriore a11'intervento del decreto ministeriale 
del 18 agosto 1950 con il quale l'Amministrazione dei favori pubblici si era 
sostituita al Comune di Recoc nell'attuazione del piano di ricostruzione, i 
fondi dei privati sine titulo, e cio� senza provvedere preventivamente ai 
provvedimenti ablativi -dell'illecito in tal modo posto in essere fosse tenuto 
a rispondere il Ministero dei Javori pubblici e non il Comune, venuto 
in possesso dell'immobile dopo la consumazione dell'illecito. 
Deduce la contraddittoriet� della motivazione per avere ritenuto che 
il Genio Civile fosse un semplice esecutore dei lavori, dopo aver affermato 
che l'esecuzione degli stessi da parte del Genio Civile fosse stata determinata 
dalle sollecitazioni del Comune. 

Il Comune sostiene, quindi, la responsabitit� del Minis�tero dei Lavori 
pubblici, per aver occupato le aree occorrenti per la ricostruzione delle 

(1) Nella specie, il Ministero dei LL.PP. aveva proceduto, essendovi tenuto 
ex lege, al ripristino di una strada comunale distrutta da eventi beUici, mediante 
l'utilizzazione di terreni di propriet� privata, senza ottenere il provvedimento di 
occupazione: in senso conforme, cfr. Cass. 13 dicembre 1980, n. 6452. Nel caso 
di abusiva occupazione, la domanda risarcitoria proposta dal privato non configura 
un'azione reale, sostitutiva della r�vindica, ma un'azione personale per 
fatto illecito extra-contrattuale: cfr. Cass., 26 aprile 1977, n. 1577. 
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PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 95 

strade comunali danneggiate dalla guerra senza procedere preventivamente 
ai procedimenti ablatori. 

La censura � fondata. 

Secondo la tesi del ricorrente, tenuto a rispondere dei danni conseguenui 
all'occupazione sine titulo delle aree di propriet� degli attori, 
occorse per la ricostruzione, secondo un diverso tracciato, deUe strade 
comunali distrutte dagli eventi bellici, sarebbe .il Ministero dei Lavori 

pubblici, .il quale -operando, su richiesta del Comune, al ripristino ed 
alla risistemazione delle strade, a norma delle foggi 9 luglio 1940 n. 938 
e 20 ottobre 1940 n. 1543 (risarcimento dei danni di guerra) -avrebbe 
proceduto all'occupazione delle aree occorrenti senza procedere preventivamente 
ai provvedimenti ablativi. 

La Corte del meri.to -�ritenendo che il Ministero dei Lavori pubblici 
fosse intervenuto, a mezzo del Genio Civile, nel rifacimento delle strade 
danneggiate dalla guerra, a norma delle leggi n. 938 e n. 1543 del 1940, e, 
quindi, senza sostituirsi al Comune nell'acquisizione delle aree -ha affermato 
che tenuto a risarcire .i danni fosse iii Comune, ente beneficiario 
delle opere, il quale sarebbe stato obbligato a curare il procedimento 
espropriativo. 

La questione proposta attiene ailla ripartizione delle responsabilit� ~n 
tema di concorso dello Stato nella ricostruzione di opere pubbliche danneggiate 
dalla guerra. 

Trattasi del problema della imputazione della responsabilit� tra due 
enti pubblici che cooperano nella costruziione di opere pubb1iche e, precisamente, 
della individuazione deM'ente respons1;1bile del pregiudizio derivato 
al terzo dal comportamento dell'ente che, procedendo alla realizzazione 
delle opere pubbliche nell'interesse e per conto di un altro ente, 
abbia operato senza il rispetto della legge. 

� indubbio che l'apprensione di terreni di propriet� privata (occorrenti 
per d'esecuzione di opere pubbliche), la quale non sia legittimata da 
previi procedimenti ablatori (di occupazione di urgenza o di espropriazione), 
costituendo un'attivit� materiale sine titulo, integri un'azione m�cita, 
lesiva di diritti soggettivi. 

Invero, il mancato impiego da parte dell'amministrazione, ai fini del


l'acquisizione delle aree occorrenti per la realizzazione delle opere pub


bliche, degli strumenti amministrativi apprestati �a tal fine da1l'ordina


mento giuridico degrada l'attivit� dell'ente ad attivit� i1lecit1;1, di cui si 

deve rispondere ex art 2043 cod. civ. 

E -poich�, per il carattere personale della responsabilit� extracon


trattuale, non � possibile operare uno spostamento della responsabilit� 

ci.all'ente che agisce ad un altro (anche se beneficiario dell'opera) -la 

responsabi.lit� non pu� gravare che sul soggetto autore del comportamento 

antigiuridico, cio� sull'ente che abbia proceduto all'apprensione illegittima 

del bene, senza osservare le norme che �regolano i procedimenti di abla



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

96 

zione autoritativa (cfr., in ta:l senso, Cass. sent. 13 dicembre 1980 n. 6452; 
sent. 10 agosto 1977 n. 3677; sent. 26 apriile 1977 n. 1577). 

L'indagine concreta da condurre, quindi, ai fini della risoluzione del 
profi!lo dell'a imputazione deUa responsabili�t�, consiste nell'individuare 
quale sia il soggetto che, in lii.nea di fatto, abbia operato, cio� quale sia 
l'ente che abbia proceduto alla illegittima occupazione (sine titulo). 

Nel caso di specie, il Ministero dei Lavori pubblici, �realizzando le 
opere relative alla ricostruzione delle strade oedute al Comune ed all'ANAS 
senza curarsi di ottenere preventivamente l'autorizzazione aH'occupazione 
d'urgenza o di procedere �previamente alla espropriazione delle aree occorrenti, 
ha tenuto un comportamento illecito, lesivo di diritti soggettivi, 
cagionando a terzi pregiudizi, la cui �responsabilit� non pu� che gravare 
esclusivamente su di esso, per avere agito senza l'impiego degli strumenti 
ab/latori apprestat�i all'uopo dall'ordinamento giuridico. 

Il primo motivo del .r:~::::so principale �, qU�llldi, da accogliere. 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 3.novembre 1981, n. 5793 � Pres. Granata; 
Est. Virgilio � P. M. Ferraiuolo (parz. diff. ) � Ministero LL.PP. (avv. 
Stato De Francisci) c. Stancati (avv. Nigro). 

Espropriazione per p.u. -Espropriazione per opere od interventi stata� 
li -Decreti successivi alla legge n. 247 del 1974 � Determinazione della 
indennit� � Criteri applicabili dal giudice .dell'opposizione a stima. 

(D.L. 25 giugno 1974, p.. 115; legge 27 giugno 1974, n. 247). 
Espropriazione per p.u. � Indennit� � Opposizione a stima -Competenza. 
(Legge 25 giugno 1865, n. 2359, art. 51; legge 22 ottobre 1971, n. 865). 

Per effetto della legge 27 giugno 1974, n. 247, le disposizioni normative 
in tema di determinazione dell'indennit� d'esproprio contenute nelle leggi 
in vigore devono ritenersi abrogate e sostituite, relativamente a tutte le 
espropriazioni statali, anche se non riguardanti la materia dell'edilizia residenziale 
pubblica, dalle norme dettate nel titolo secondo della legge 22 ottobre 
1971, n. 865. 

Di tali norme deve fare applicazione il giudice dell'opposizione a stima, 
in ipotesi di immobili espropriati dopo l'entrata in vigore della citata legge 

n. 247 del 1974, indipendentemente dai criteri indennitari che risultino applicati 
in sede di stima amministrativa dei beni e senza necessit� di nuova 
determinazione dell'indennit� stessa da parte dell'aut.orit� amministrativa 
(1). 
(1) Nello stesso senso si erano, in precedenza, pronunciate le Sezioni Unite 
con la sentenza (citata in motivazione) 21 luglio 1981, n. 4690 (in Giust. Civ., 
1982, I, 4 e in Foro lt., 1982, I, 126, con ampia nota di richiami), nella quale -alla 
pari di quella in rassegna -si avverte la preoccupazione di conciliare il prin� 
cipio affermato con l'opposto indirizzo giurisprudenziale (di cui � espressione, 

PARTE I, SE2.. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

97 

Spetta al Tribunale (e non alla Corte d'appello) la competenza a conoscere 
del giudizio di opposizione a stima, nel quale si assuma che l'indennit� 
d'espropriazione, calcolata in sede amministrativa secondo diversi 
criteri, avrebbe invece dovuto essere determinata in base alle disposizioni 
della legge 22 ottobre 1971, n. 865 (2). 

Con unico complesso motivo il Ministero dei lavori pubblici sostiene 
che Ia Co11te di appello -con motivazione insuffioente, contraddittoria e 
contrastante con le r.isultanze processuali, ed omettendo l'esame di documenti 
rilevanti -� pervenuta alla erronea conclusione che J'espropriazione 
fosse avvenuta soltanto in base alle leggi n. 2359 del 1865, n. 2892 

ad es., Cass. 6 gennaio 1981, n. 53, in questa Rassegna, 1981, I, 260), secondo cui 
al giudice dell'opposizione a stima � precluso, pel divieto fatto all'A.G.O. di 
modificare l'atto amministrativo, di determinare l'indennit� in base a criteri 
stabiliti in leggi diverse da quelle richiamate a fondamento dell'esercitato potere 
d'esproprio. Su tale problema, da un punto di vista generale, cfr. VITTORIA, 

Dichiarazione di p.u. e connessi criteri di determinazione dell'indennit� di esproprio, 
ecc., in questa Rassegna, 1979, I, 77. 

Sembra, per�, che -almeno nella generalizzata applicazione fattane in ripetute 
pronunce -il principio dell'intangibilit� dei criteri adottati in fase di determinazione 
amministrativa dell'indennit� non meritasse una cosi scrupolosa 
difesa. Il giudizio di opposizione a stima non � un giudizio di tipo impugnatorio 
e non ha, comunque, ad oggetto il decreto d'esproprio, che del resto non recepisce 
n� fa in altro modo propria la determinazione dell'indennit�, nella quale 
va ravvisato un mero presupposto per la pronuncia del provvedimento ablatorio 
(e non a caso, d'altronde, � stata costantemente negata al prefetto la qualit� di 
parte necessaria nel giudb:io stesso). Di conseguenza, applicando criteri indennitari 
diversi da quelli (in ipotesi, erroneamente) adottati in sede di determinazione 
amministrativa dell'indennit�, �il giudice dell'opposizione non modifica 
in nulla il provvedimento d'esproprio e no.n s'imbatte nel divieto posto dall'art. 
4 della legge abolitrice del contenzioso amministrativo. 

Degna di nota �, pure, l'altra affermazione relativa alla non necessit� di una 
(preventiva) rideterminazione amministrativa dell'indennit� secondo i criteri 
legalmente applicabili. Com'� noto, alcuni giudici di merito (ad es. App. Venezia, 
17 aprile 1978, in Giust. Civ. 1979, I, 162, con nota di Cacciavillani) avevano invece 
ritenuto che in ipotesi di applicazione, nella stima amministrativa, di criteri 
non conformi a quelli legali, il giudice dell'opposizione dovesse limitarsi a 
dichiarare la nullit� della stima e cos�, sostanzialmente, rimettere all'autorit� 
amministrativa una nuova determinazione dell'indennit�. In tale affermazione, 
certamente criticabile e non condivisa, infatti, dalla Corte Suprema, doveva 
intravedersi un'ulteriore applicazione del principio dell'immodificabilit� dal.lit 
stima amministrativa da parte del giudice dell'opposizione, in ordine al quale 
sar� interessante seguire gli ulteriori sviluppi della giurisprudenza del S.C. 

(2) Principio pi� volte affermato dalla Cassazione, secondo cui la competenza 
della Corte d'appello sussiste, a norma dell'art. 19 legge n. 865 del 1971, 
solo allorquando la stima oggetto di opposizione sia stata effettuata nelle forme 
di cui alla legge " sulla casa�: per tutte, cfr. Cass., Sez. Un., 4 novembre 1980, 
n. 
5904, in Foro it., 1980, I, 3004. 
S.LAPORTA 
I 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

del 1885 e n. 429 del 1907, e non anche secondo la normativa introdotta 
con Je leggi 22 ottobre 1971 n. 865 e 27 giugno 1974 n. 247, vd.genti al momento 
della emissione del decreto di espropriazione. 

Rileva che l'intento dell'Amministrazd.one di avvalersi anche della 
sopravvenuta normativa :risultava chiaramente dalla istanza diretta al Tri~ 
bunale di Catanzaro, con la quale era stata cmesta la revoca dei provvedimenti 
di nom1na del consulente tecnico e di deposito della ii:ndenll!i.t� 
presso la Cassa depositi e prestiti. 

Rilleva, infine, che il richiamo alle leggi del 1971 e del 1974 (nel decreto 
di espropriazd.one) non aveva valore puramente formale, come ha ritenuto 
la Corte di appello, e che -in ogni caso -l'Amministrazione era vincolata, 
dopo la unificazione dei criteri di determina2iione de1I'indennit� per tutte 
le espropriarioni comunque preordinate ailla realizzazione di �oper� � o di 
interventi da parte dello Stato e degli altri enti pubblici, alla osservanza 
delle nuove disposizioni, che erano gi� in vigore all'epoca del deareto di 
espropriazione, per cui -secondo il principio tempus regit actum -ogni 
fase del procedimento espropriativo avrebbe dovuto essere assoggettata 
al diritto temporalmente applicabile. 

Da queste considerazioni il .ricorrente t:rae la conseguenza che l'adozione 
di un criterio di stima diverso da que11� che regolava fa materia 
in base alla normativa vigente all'atto della emanazione del deareto di 
esprorpriarione ha comportato violazione del diritto rsoggettivo (dei due 
soggetti del rapporto espropriativo) alla determd.nazione dell'mdennit� 
secondo la legge applicabile al diritto certamente tutelabile dinanri al 
magistrato ordinario 

Pur muovendo da una premessa correlata prevalentemente alla prospettiva 
in cui la controversia � stata considerata dalla Corte di appello 
(la quale ha �incentrato la sua ~ndagine sul tema delila �ndividuarione del 
modello espropriativo prescelto dalla pubblica amministrazione nel caso 
concreto), la censura del ricorrente assume particolare consistenza, in relazione 
aill'aspetto essenziale della questione, nell'ultima parte, nel punto �in 
cui � posto J'accento sui concetti della unificazione dei criteri di determinazione 
de.Me indennit� in tutte le espropriazioni !interessanti lo Stato e 
della vincolativit� della nuova regolamentazione. 

L'esame della censura deve perci� svolgersi nell'ottica richiesta dai 

menziionati punti focali del tema d'indagine, anche se ne deriva, ovvia


mente, un problema di coordinamento con i rprincipi generaJ1i dei quali la 

Corte di appello ha ritenuto di dover fare applicarione. 

Ci�, premesso, si rende necessaria una rettifica nella prospettiva der 
problema che era insorto, nel senso che non si trattava tanto di stabilire 
quale dei vari modelli espropriativi Lrisulltasse adottato dalla pubblica 
amministra:zJione nel caso concreto (per fame dipendere fa verifica del!'
osservanza dei criteri di determinazione dell'indennit� previsti appunt0< 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

99 
da quel par,ticolare modello), quanto di valutare se -dopo fa unificazione 

dei detti criteri disposta dalla legge n. 247 del 1974 -continuasse ad esplicare 
rilevanza, agli effetti del modo di determinazione deMa indennit�, la 
scelta discrezionale, da parte deHa pubblica amministrazione, circa H 
� tipo � di procedimento espropriativo in concreto adottato ovvero se, a 
causa della unificazione introdotta in quella materia un corpo normativo 
unico si fosse ins�erito, con efficacia sostitutiva, in tutti i modeUi espropriativi 
previsti dall'ordinamento, in modo che tutti e ciascuno di essi -quale 
che fosse da ritenere il tipo concretamente scelto e utilizzato -comportassero 
.l'osservanza delle stesse disposizioni, cio� di que11e �di cui al!la 
legge n. 865 del 1971. 

Considerato sotto questo angolo visuale, H quesito non pu� che essere 
risolto in quest'ultimo �senso. 

Il tenore letterale dell'art. 4 del d,I. 2 maggio 1974 n. 115 (mcl �testo 
risu!ltante dalla modifica introdotta con la ilegge di �conversione 27 giugno 
1974 n. 247) non consente alcun dubbio mterpretativo. 

Le disposizioni contenute nel titolo II della legge 22 ottobre 1971 n. 865 
� relative alla determinazione delJ'indennit� di espropriazione � furono 
infatti dichiarate applicabili �a tutte le espropriazioni comunque preordinate 
alla .realizzazione di opere o di intervent.i da parte ddllo Stato, delle 
regioni, delle province, dei comuni e degli altri enti pubblici o di diritto 
pubblico anche non territor.iali �. 

La formulazione e la sfera di applicazione deHa norma evidenziano 
l'intento del legislatore di improntare a criteri di unit� (e quindi di unificare, 
su tale punto, le diverse normative esistenti) �iii sistema di determinazione 
dell"indennit� di espropriazione. 

Si verific�, pertanto, il fenomeno del recepimento, nel contesto deMe 
varie foggi disdpJinanti Ia materia, del gruppo di �disposizioni -ben individuato 
e delimitato dall'art. 4 del d.t n. 115 dcl 1974 -che nelil:a legge 
22 ottobre 1971 n. 865, sui programmi e iii coordinamento dell'ediilizia residenziale 
pubblica, regola con nuove disposizioni l'iter-procedimentale e i 
criteri per la determinazione della indennit� di espropriazione. 

In sostanza, con l'entrata in vigore della legge n. 247 del 1974 (modificativa 
dell'art. 4 sopra citato), restarono espunte dalla normazione allora 
vigente Je disposizioni sul modo e sui criteri di determinazione della 
!indennit� di espropriazione, e al foro posto, in via ovviamente sostitutiva, 
fu introdotta la disciplina unica dettata sullo specifico punto daJla legge 
deil 1971. 

Questo fenomeno � affine al � rinvio � perch� implica anch'esso H 
trasferimento di una norma (o di un nucleo normativo) da un contesto 
legislativo ad un altro, con la differenza che nel caso come quello in 
esame non si realizza, secondo il metodo pi� frequente, una produzione 
normativa per relationem in senso stretto (cio� la ricezione in una legge 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

posteriore di disposizioni gi� esistenti), ma il trapianto normativo avviene 
mediante un diverso meccanismo, consistente nella dichiarata efficacia, in 
linea di estensione, della normazione sopravvenuto anche per la materia 
preoedentemente disciplinata in modo diverso in altri provvedimenti legislativi, 
con implicita abrogazione di tale difforme disciplina. 

In sostanza, nelle leggi che qui interessano (in tema di espropriazioni 
interessanti '1o Stato e gli altri enti pubblioi) si produssero glii stessi effetti 
del fenomeno abrogazione-sostituzione in senso formale, che si verifica 
quando il legislatore provvede all'abrogazione di alcune norme e dispone 
che siano sostituite da altre a tale speoifico fine emanate. 

Per quanto riguarda la fattispecie in esame, la legge n. 2892 del 1885 
(ritenuta dalla Corte di appello concretamente applicata nel procedimento 
espropriativo in esame) come ogni altra riguardante la realizzazione di 
opere o di interventi da parte dello Stato o degli enti pubblici .in genere, 
dopo l'entrata in vigore della legge n. 247 del 1974 recep� '1e nuove disposizioni, 
sicch� il problema proposto dinanzi al magistrato ordinario riguardava 
l'osservanza della stessa Jegge del 1885 -nel testo v:igente aH'epoca 
della emissione del decreto di espropria2lione sul punto dei criteri di determinazione 
dell'indennit� -in quanto le preesistenti norme erano state 
sostituite e non �rano applicabili. 

La immutazione-unificazione del sistema di determinazione della indennit� 
di espropriazione, con conseguente introduzione neH'ambito dei 
procedimenti ablatori di un sub-procedimento nuovo, comporta indubbiamente 
un problema di coordinamento, che � del tutto connaturale all'inserimento 
-nei vari testi legislativi aventi ciascuno una propria coordinazione 
interna -di un corpus di norme ad �essi originariamente estraneo. 

Su questo problema di coordinamento l'interprete deve, quindi, soffermarsi 
con particolare cura, al fine di ricostituire adeguatamente, secondo 
le finalit� perseguite dal legislatore, fa ilinea di armonia del sistema. 

Il pnimo profilo d'indagine riguarda l'area di applicabilit�, con riferi


mento alla materia, dell'art. 4 del d.l. n. 115 del 1974. 

Le Sezioni unite di questa Corte hanno avuto modo di precisare 

(sent. 2 febbraio 1976 n. 328) ed hanno anche recentemente confermato 

che la formulazione �letterale della norma non consente di iritenere che le 

disposizioni della legge del 1971 n. 865 (sulla determina2lione della inden


nit�) siano state dichiarate applicabili soltanto alle �espropriazioni (per 

realizzazione di opere e di interventi da parte dello Stato) che I'iguardano 

la materia dei programmi dell'edilizia .residenziaJe pubblica, regolata ap


punto dalla legge del 1971. 

La formulazione in termini generarli della norma � chiaramente indi


cativa della operativit� della estensione legislativa a tutte le espropriazioni 

interessanti lo Stato e gli altri enti pubblici, sicch� una interpretazione 

riduttiva dell'art. 4 (nel senso prospettato) contrasterebbe con la lettera 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

e anche con la ratio della norma, volta alla unificazione del sistema di 
stima per tutte le espropriazioni in cui siano interessati gli enti pubblici. 

Un ulteriore problema riguarda -l'accertamento dell'dncidenza della 
normativa sopravvenuta sui procedimenti in corso al momento della sua 
entrata in vigore. 

Sotto questo aspetto la parte .resistente sostiene che deve essere 
applicata Ja norma transitoria di cui aJl'arit. 36 della �legge n. 865 del 1971, 
secondo Ja quale �gH atti del procedimento di espropriazione non definiti 
alla data di entrata in vigore deMa presente legge sono assoggettati aille 
norme contenute nel precedente titolo II �. 

Ne deriverebbe che, essendo stata la stima gi� effettuata, e quindi 
definita, nel caso in esame, all'atto de1l'entrata in vii.gore della legge del 
1947, essa sarebbe rimasta insensibile al!la inci:den:;,a delila nuova regolamentazione. 


Questa tesi trova un primo ostacolo d'ordine letterale nella formulazione 
dell'art. 4 del d.l. n. 115 del 1974, il quale -nel disporre J'applicabiHt� 
delle norme previste dalla .legge n. 865 del 1971 alle espropriazioni 
che qui interessano -si � chiaramente riferito a queHe � contenute neil 
titolo II relative alla determinazione deHa fr1dennit� di espropriazione �. 

La puntuale forma di indiVliduazione-limitazione delle norme alle quali 

si intendeva far richiamo esclude che l'interprete possa� ritenere attratta 

nell'ambito del richiamo anche fa disposizione contenuta nell'art. 36, la 

quaJe � collocata sotto il titolo III della legge n. 865 del 1971, riguardante 

modifiche ed integrazioni alle .leggi 17 agosto 1942 n. 1150, 18 aprile 1962 

n. 167 �e 29 settembre 1964 n. 847. 
Inoltre, non pu� essere trascurata, a conferma della estraneit� della 

disposizione dell'art. 36 dal nucleo normativo preso in considerazione dal


l'art. 4 del d.l. n. 115 del 1974, la particolare collocazione della detta dispo


sizione nel contesto dell'art. 36, rispetto al quale essa si pone non gi� 

in funzione di comma a s� s~ante, dotato in quaJche misura �di autonoma 

efficacia, ma come seconda parte dello stesso articolo, formulato in unico 

comma, che regola le eccezioni alla disciplina delle fattispecie peculiari 

previste nel precedente art. 35 ne1la materia delle aree (acquisizione delle) 

comprese nei piani regolatori. 

�, dunque, con riferimento alle deroghe contenute nell'art. 36, �rispetto 

alle disposizioni dell'art. 35, che la seconda parte dello stesso art. 36 pone 

una regola ulteriore, ossia quella dell'assoggettabilit� �alle norme contenute 

nel ti�tolo II deHa legge del 1971 soltanto degli �atti non definiti� nell'am


bito dei procedimenti ablatori, sempre per� che tali procedimenti si rife


l"iscano all'acquisizione delle aree contemplate dagli articoli 35 e 36. 

La stretta interdipendenza tra la disposizione della seconda parte dell'art. 
36 e la materia disciplinata da questa n�rma e da quella immediatamente 
precedente (entrambe comprese sotto iJ titolo III della Jegge del 
1971 n. 865) conferma anche attraverso l'argomentazione logico-sistematica 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

la impossibilit� di ritenere che la estensione (di applicabilit�) prevista 
dall'art. 4 del d.I. n. 115 del 1974 abbia trainato nell'ambito de11a detta 
estensione anche la disposizione dell'art. 36. 

Comunque, pur se si potesse desumere da tale disposizione una sorta 
di cniterio generale per risolvere tutti i problemi de11'inoidenza delle 
nuove disposizioni in tema di determinazione dell'indennit� di espropriazione 
sui procedimenti in corso, .Je conseguenze non muterebbero nel caso 
in esame. 

Questa Corte ha gi� avuto modo di precisare (sent. 22 giugno 1978 

n. 3085 e 26 novembre 1979 n. 6180) che -anche nelle ipotesi in cui � sicuramente 
applioabile la menzionata disposizione dell'art. 36 -� atti non 
definiti�, insuscettibili di essere travolti dalla nuova disciplina, sono soltanto 
quelli aventi un'autonomia tale da comportare ,la chiusura di una 
delle fasi dell'iter procedimentaile, conferendo a tale fase il ,carattere 
appunto della completezza. 
Se cos� non fosse -� stato rilevato -e si dovesse .r.itenere che atto 
�definito� (quale contrapposto all'atto non defJnito) sia da considerare 
ogni singolo atto del procedimento venuto in esistenza, �il ricorso al termine 
� definito � si risolverebbe in una mera tautologia perch� qualunque 
atto amministrativo, una volta estrinsecatosi con nipercussioni esterne, � 
per propria natura in se stesso completo e, dunque, definito. 

Pertanto, se atto definito, nel senso voluto dal legislatore, deve necessariamente 
essere qualificato quello idoneo a chiudere con una certa 
misura di autonomia una delle fasi in cui si articola l'intero procedimento, 
� chiaro che la sola redazione della stima operata dal consulete tecnico 
(secondo le disposizioni delle leggi n. 2359 del 1869 e 111. 2892 del 1885) non 
ha tale natura, in quanto anche per essa, come per ila stima dehl'U.T.E. 
prevista dalla legge 8 aprile 1962 n. 167 (alla quale si riferiscono le citate 
sentenze) era previsto il meccanismo deposit�'aocettazione, secondo il combinato 
disposto degli artico1i 30 e 48 detlla >legge del 1865, per cui -in 
mancanza dell'accettazione da parte dell'espropriato e dell'espropriante :giammai 
la stima avrebbe potuto assumere il connotato di �definita�, 
svincolata come tale dall'incidenza della normativa 1introdotta ne1l'ambito 
del procedimento espropriativo ancora in corso di espletamento. 

Deve quindi affermarsi conclusivamente -su questo aspetto de11a 
controversia -che l'entrata in vigore della legge n. 247 del 1974, verificatasi 
prima della emissione del decreto di espropriazione (27 giugno 1975), 
comportava applicazione vincolante, quanto ai criteri di determinazione 
della indennit�, della stessa Jegge in base alla quale ll'espropr.iarione era 
iniziata e proseguita fiino a quel momento perch�, come si � detto, taiJ.e 
~egge aveva incorporato, facendole proprie, le disposizioni sui nuovti. criteri 
per lla determinazione de1l'indennit� emanate con 'la ~egge n. 865 del 1971, 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

che erano .ie uniche vigenti L�il materia e non consentivano perci� alternative 
o 'scelte. 

Il fenomeno della correlazione temporale tra data di emana2lione del 
decreto di espropriazione e normativa che cr;egola in quel momento .il 
sistema di liquidazione dell'indennit�, quale corrispettivo lato sensu del 
bene assoggettato al trasferimento coattivo, corrisponde al p;rinoipio generale 
secondo cui ]l momento culminante del procedimento ab[atorio va 
ravvisato appunto nel detto decreto, che produce gli effetti traslativi della 
propriet� del bene (Cass., 9 marzo 1978 n. 1182 e 23 febbraio 1981 n. 1061). 

Sorta contestaZJione, nella fattispecie concreta qui in esame, sulla 
misura dehl'iindennit� di espr~iazione calcolata secondo i crite11i indicati 
nella legge n. 2882 del 1885 -che non erano pi� ilil vigore all'atto della 
emissione del decreto di espropriazione, e portata tale contestazione 
all'esame del magistrato ordinario per far accertare (nell'ambito de1la 
tutela del diritto soggettivo dei soggetti del rapporto esprop;riativo alla 
liquidazione della indennit� secondo legge) come si -dovesse procedere al 
calcolo e quale fosse la somma in effetti dovuta dall'Amministrazione 
espropriante, esattamente fu adito il tribunale e non :la Corte di appello, 
in quanto non si trattava di opposizione alla stima avvenuta in applicazione 
delle nuove disposizioni introdotte con [a Jegge n. 865 del �1971, e 
quindi di azione di competenza della Corte di appe1lo (art. 19 della 
citata Iegge), ma di una pi� ampia problematica consistente nella individuazione 
della normativa vigente (e applicabile), al caso, e nelle conseguenti 
statuizioni sul modus procedendi circa fa determinazione della 
indennit�. 

Ne1la detta situazione valevano, ovviamente, ,1e normali ,regole sulla 
competenza. 

La rJtenuta applicabilit� delle disposizioni deHa legge n. 865 del 1971 

non implica, peraltro, che la controversia debba dtornare in fase ammi


nistrativa per il compimento di tutte le formalit� che la detta Iegge 

prevede. 

In questi casi (come gi� � stato ritenuto con la citata sentenza n. 1061 

del 1981 e con la sentenza delle Sezioni Uni,te in causa Ministero Poste 

c. Bruno Bernardo e altri, discussa_ all'udienza del 19 marzo 1981) la causa 
resta fogittimamente nella sfora di cognizione dell"autorit� giudiziaria, 
la quale provvede alla valutazione occorrente per ila determinazione della 
indeilDlit� di ,esproprio secondo i criteri staMliti da1le disposizioni effettivamente 
applicabili, avvalendosi dei suoi normali poteri d'indagine anche 
sul piano tecnico. 
Nella specie in esame il giudice non potr� tener conto, Jogicamente, 
deHa stima in precedenza effettuata dal consulente secondo i criteri della 
legge del 1885 (che non erano pi� vigenti a1l'epoca del decreto di espropria



104 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

zione), ma dovr� direttamente applicare la nuova normativa, essendo stata 
l'espropdazione pronunciata dopo l'entrata in vigore deUa legge n. 247 
del 1974, ed essendo perci� consentita (v. sent. SS.UU., avanti citata in 
causa Ministro Poste c. Bruno) la deroga al principio della non modifica� 
bilit� dei criteri di determinazione deM'indennit� indicati nel decreto di 
espropriazione. In questi casi non si tratta inf�atti di modificare una scelta 
<di sistema di calcolo) dipendente daJ.la scelta del �tipo� di procedimento 
espropriativo adottato, ma di ricondurre a legalit�, mediante J'osserv~a 
delle norme -ormai unificate -applicabili sul procedimento espropriativo 
prescelto, Ja liquidazione deHa indennit� stessa. 

Nel caso in esame '1a determinazione dell'indennit� deve quindi essere 
effettuata, da pa11te del giudice ordinario gi� investito della controversia 
(in concreto, ad opera del giudice di rinvio), secondo i criteri della legge 

n. 865 del 1971. 
Spetter� allo stesso giudice l'esame dell'ulteriore conseguente problema 
dei limiti di app1icab1Ht� deMe disposizioni deihla detta Jegge. Dovr� in 
sostanza stabilire (previa interpretaz,ione della norma transitoria di cui 
aJl'a11t. 19 de1la legge n. 10 del 1977) se i commi quinto, �sesto e settimo del� 
l'art. 16 della legge del 1971 dovranno essere applicati neihla formulazione 
anteriore alle modificaz,ioni ad essi apportate con .l'art. 14 della legge del 
1977, ovvero s�e anche quest'ultima legge debba trovare applicazione, con 
le conseguenze derivanti sia datla deelaratoria di incostituzionalit� (sentenza 
30 gennaio -1980 n. 5 della Corte Costituzionaile) delle modificazioni 
apportate ai citati commi della legge n. 865 del 1971, sia dalla sopravvenuta 
normativa provvisoria emanata con fa legge 29 luglio 1980 n. 385. 

Su tale aspetto della controversfa, peralt�ro non discusso nelle precedenti 
fasi, dovr� dunque pronunciarsi il giudice di rinvio attraverso la 
valutazione di tutti gH elementi di fatto e di pidtto rHevanti per l'appli� 
cazione delle disposizioni transitorie contenute nell'art. 19 citato (della 
legge del 1977) e nell'art. 3 della legge n. 385 del 1980. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I civi.le, 6 novembre 1981, n. 5856 � Pres. Sandulli 
-Rel. Lipari -P. M. Nicita -A.N.A.S. (avv. Stato Viola) -Bucci Maria 
Antonia (avv. Sorrentino). 

Espropriazione per p.u. -Decreto di esproprio � Factum supravveniens � 
Domanda di illegittimit� � Ammissibilit� in secondo grado. 

Espropriazione per p.u. -Azione di danni � Opposizione a stima -Conversione 
� Non automaticit� � Fattispecie. 


105

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

Espropriazione per p.u. -Dichiarazione di pubblica utilit� -Rinnovazione 
implicita -Fattispecie. 

Non costituisce violazione d~ll'art. 345 cod. proc. civ. la domanda, inter
�venuta nel corso del giudizio di secondo grado, volta a far dichiarare la 
illegittimit� del decreto di espropriazione (1). 

La conversione dell'originaria domanda risarcitoria in opposizione alla 
stima dell'indennit� espropriativa, a seguito dell'avvenuta espropriazione, 
non si verifica nel caso di volont� -processuale contraria dell'attore, il quale, 
sul presupposto dell'illegittimit� del decreto medesimo, emesso in ipotesi 
in carenza di potere, insista nella pretesa risarcitoria (2). 

Non � illegittimo il decreto di espropriazione intervenuto nel corso del 
giudizio di secondo grado che non contenga la rinnovazione espressa della 
dichiarazione di pubblica utilit� dell'opera. 

Linterpretazione dei provvedimenti amministrativi soggiace alle stesse 
regole valevoli in tema di ermeneutica dei contratti: sar� quindi applicabile 
l'art. 1367 del codice civile da parte del giudice di rinvio, in modo da 
conservare l'atto e mantenerlo idoneo a spiegare effetti giuridici. La dichiarazione 
di p.u. pu� essere quindi implicita (3). 

(omissis) 1. -A seguito di occupazione protrattasi oltre il biennio, 
con impossibilit� di restituzione, stante Ja realizzazione dell'opera pubblica, 
si discute in causa del fondamento g,iucidico dell'azione irisarcitoria 
proposta dall'interessata, essendo sopravvenuto 111 decreto di espropriazione 
nel corso del giudizio di secondo grado, ritenuto, peraltro, inidoneo 
dal giudice d'appeMo a determinare .Ja conversione della domanda orig,inaria 
in opposizione a1la stima, trattandosi di provvedimento 1llegittimo 
perch� non fondato su potere espropriativo rico1legabile a dichiiarazione 
di pubblica utilit� ancora in atto al momento della �sua emanazione, 
e quind1 insuscettibile di degradare il diritto soggett<ivo ad 1interesse. 

Con il primo mezzo l'A.N.A.S., denunciando la violazione e falsa applicazione 
degli artt. 51 e 52 della legge 25 giug,no 1865 n. 2358 e de1l'art. 345 
cod. proc. civ., nonch� l'omessa e insufficiente motivazione circa punto decisivo 
della controversia, rilevabiile d'ufficio, sostiene che, �a seguito dell'operata 
trasformazione automatica dell'azione risarcitoria in opposizione alla 
stima, fiinteressata non avrebbe potuto proporre, per fa prima volta in 
appello, Ja domanda nuova volta a far dichiarare l'illegittimit� del decreto 
di espropriazione. 

(1) Cfr. conf. Cass., 10 aprile 1979, n. 2050, in Mass. Foro lt., 1979. 
(2) Cfr. conf. Cass., 24 aprile 1978, n. 1919, in Mass. Foro lt., 1978; Cass., 
4 ottobre 1979, n. 5110, in ibidem. 
(3) Cfr. conf. Cass., 3' aprile 1973, n. 903, in Mass. Foro lt., 1973; Cass., 
19 aprile 1974, n. 3733, ibidem, 1974; Cass., 14 febbraio 1979, n. 965, ibidem, 1979. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

106 

La conversione comportava che l'originaria domanda di condanna al 
risarcimento del danno era venuta a configurarsi come condanna alla giusta 
indennit� di espropriarione; conseguentemente qualsiasi ,controversia estTanea 
�ailla suddetta equazione sia che assumesse consistenza di vera e propria 
domanda nuova, sia che si dovesse pi� piropriamente qualificare come 
eccezione nuova, restava improponibile in appello ai sensi dell'art. 345 
cod. proc. civ. 

La Pucci, pertanto, non avrebbe potuto :invocare la pretesa i:llegiUimit� 
del decreto di espropriazione per carenza di potere ablatorio, in difetto del 
presupposto della dichiarazione di p.u., rispetto alla domanda gi� convertita. 


D'altra parte Ia preclusione nasceva dallo stesso comportamento processua!
le dall'appellata la quale, in un primo tempo, avevia 1aderito alla � conversione
�, riichiedendo espressam�rtte che fosse determinata lla giusta 
indennit�, e solo successivamente aveva modificato la richiesta, senza che 
sulla nuova questione fosse stato accettato il contraddittorio, neppure 
a seguito di comportamento concludente de1l'A.N.A.S. La difesa deH'espro� 
priata oppone che il giudizio era sorto come azione di risarcimento danni 
per occupazione illegittima; solo nel corso del procedimento di secondo 
grado la P.A. aveva introdotto in causa il decreto di �espropriazione, e pregiudizialmente 
la contiroparte aveva richiamato fa costante giurisprudenza 
in tema di conversione; ma ci� non comportava rinuncia al risarcimento 
del danno e, soprattutto, non escludeva che potessero essere contestati 
i presupposti della conversione, mediante deduzioni, Ja cui ,novit� non 
assumeva autonomo ri1ievo, correlandosi ad un fatto sopravvenuto intro� 
dotto in grado d'appello, suscettibile conseguentemente di venir conte� 
stato in quel medesimo grado. 

Con il secondo mezzo, ed in via grndata, la difesa dell'A.N.A.S. lamenta 
che la Corte d'appello abbia ritenuto la illegittimit� del decreto ,espropriativo, 
mailamente <interpretando il decreto ministeriale 11 febbraio 1976, 
ed escludendo che Io stesso contenesse una nuova dichiarazione di pubblica 
ut1lit� sostitutiva di quella contenuta nel precedente decreto del 
1968 (violazione e falsa applicazione dei prindpi generali in tema d� interpretazione 
degli atti amministrativi, omessa o insufficiente motivazione 
sul punto decisivo della natura di dichiarazione di p.u. del decreto ministe� 
riale del 1976). 

Gli ulteriori mezzi, dedotti in via ancor pi� gradata, attengono alla 
misura del risarcimento liquidato dallla Corte d'appello. 

Si sostiene, nel terzo motivo, che poich� la Pucci aveva prestato 
acquiescenza al capo della sentenza del tribunaile relativo alla determina� 
zione del valore dei terreni occupati, qualificati come edificatori in zona 
abitata, per l'importo rispettivo di lire 8.000, 6.000 e 5.000, limitandosi 
a chiedere 11 rigetto dell'appello, la Corte d'appelfo non avrebbe potuto 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

modificare tali valori portando a L. 11.310 e 8.000 con un aumento complessivo 
del valore a questo titolo determinato dal tribunale, pur avendo 
accolto il motivo di gravame in ordine alla pretesa diminuzione di valore 
delle parti residue (violazione e falsa applicazione degli artt. 324 e 345 
cod. proc. civ.; omessa ed insufficiente motivazione sul punto del giudicato 
sulla determinazione del valore dei terreni). Infine, con il quarto mezzo, 
si censura la sentenza per avere operato immotivatamente Ja rivalutazione 
del valore venale assunto per comparazione con le stime di trasferimenti 
avvenuti in epoca anteriore, e si osserva che, essendo odterio di riferimento 
quello del valore venale, determinato dalle vicende del mercato, la svalutazione 
della moneta non si riflette automaticamente sui prezzi di mercato 
dei beni, i quali, per vicende congiunturali ben potrebbero discostarsi 
dalla curva inflazionistica; ad ogni modo sarebbe stato necessario motivare 
al riguardo. 

Ritiene il Collegio _che il primo dei riassunti motivi debba essere disatteso 
mentre risulta giuridicamente fondato .il secondo, il cui acco~imento 
comporta l'assorbimento -dei restanti mezzi dedotti prudenzialmente in via 
gradata. 

2. -Il tema de1la conversione dell'azione di risarcimento dei danni 
per occupazione illegittima di un suolo da parte della P.A., a seguito 
della sopravvenuta emanazione del decreto di espropriazione, ha formato 
oggetto di numerose pronuncie di questa Corte sia sotto l'aspetto della rilevabilit� 
della sopravvivenza nelle fasi del giudizio di secondo grado e di 
cassazione, sia sotto que1lo della pretesa ineluttabilit� della conversione 
medesima, :indipendentemente dalla volont�, od addirittura contro ,fa volont� 
dell'interessato. 
Sotto il primo profilo si � rilevato che tale decreto, costituisce factum 
supravveniens, equiparabile nella disciplina giuridica allo ius superveniens 
che, per 1'osservanza del principio suU'intangibilit� deM'atto amministrativo 
da parte dell'A.G.O. e della sua applicazione inderogabile se risulta 
conforme alla legge, pu� essere utilmente dedotto anche in cassazione, 
esibendo la relativa prova documentale, la quale, utilizzata ai fini del decidere, 
comporta 11'annullamento della sentenza impugnata, perch� il giudice 
di rinvio accerti gli effetti giuridici che il fatto sopravvenuto � venuto concretamente 
a determinare, conoscendo della domanda trasformatasi da 
azione risarcitoria in azione di opposizione alla stima (Cass. 2050/79, 
2010/80, 5560/80). 

Sotto il secondo profilo � stato affermato che la conversione deM'originaria 
domanda risarcitoria in opposizione alla stima dell'indennit� espropriativa; 
a seguito della sopravvenuta espropriazione (neM'ipotesi di illegittimo 
protrarsi de11'occupazione del fondo con impossibilit� di restituzione 
del medesimo, determinata dall'avvenuta realizzazione dell'opera pubblica), 
non si verifica nel caso di volont� processuale contraria de1l'attore il quale, 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

108 

sul presupposto dell'illegittimit� del decreto medesimo, emesso in ipotesi 
in carenza di potere, insista nella pretes'a risarcitoria (Cass. 1919/78, 
5110/79, 2931/80), innovando sul precedente costante indirizzo, esclusivamente 
incentrato sul meccanico automatismo della � conversione �. 

Come � noto, ai sensi dell'art. 51 della Jegge fondamentale in materia 
di espropriazione, la domanda di opposizione alla stima va proposta nel 
termine perentorio di 30 giorni daHa notificazione del decreto di esproprio. 
L'automatismo della conversione, introdotto da1>la giurisprudenza di questa 
Corte, si giustifica a tutela del danneggiato, divenuto, nel corso del giu


1

dizio risarcitorio, espropriato; ma prop,rio attesa tale finalit�, non pu� 
estendersi sino a neutralizzare la contraria volont� dell'interessato che �, 
e .resta, il titolare dell'azione. 

Ne consegue che quando il privato insiste, anche dopo il sopravvenire 
del decreto df espropriazione, sulla originaria domanda, fa conversione non 
pu� operare, senza che rilevi la �ragione (giuridica) che induce l'attore 
a contestare la conversione, anche se -come � ovvio, la linea per cos� 
dire obbligata in cui in concreto tale contestazione si muove .r,iguarda 
l'emanazione del decreto espropriativo in (ipretesa) carenza di potere. Ma 
la fondatezza delle ragioni addotte per escludere l'operare automatico 
della conversione attiene al merito del giudizio di danno che si intende perseguire; 
mentre sul piano processuale dispositivo, non dleva fa concreta 
giustificazione del rifiuto di conversione, -dovendosi far capo esclusivamente 
al comportamento tenuto, a prescindere dal �riscontro degli argomenti 
che lo sorreggono. 

Basta, cio�, per impedire la conversione, l'atto di volont� ostativo, sia 
esso fondato o meno (nel merito) applicandosi 11 principio dispositivo alla 
stregua del quale la scelta dell'azione spetta aJJ'attore; '1a conversione in 
tanto si giustifica in quanto si presuma, ma non certo con presunzione 
iurisae de iure, che la modificazione lo trovi consenziente giacch� nella 
maggioranza dei casi gli giova; il che non toglie che quale dominus della 
tutela dei suoi interessi (e sia pure attraverso un er.roneo apprezzamento 
della loro effettiva consistenza) fattore medesimo possa respingere la modificazione, 
contestando la presunzione su cui l'automatismo della conversione 
poggiava ed eventualmente tenendo in vita l'alternativa fra domanda 
risarcitoria (pi� vantaggiosa) e quella di opposizione a1la stima, subordinando 
la seconda alla prima. 

3. -La possibilit� dell'attore di impedire che fa conversione dell'azione 
risarcitoria con una precisa manifestazione di volont� processuale, consacrata 
nelle conclusioni, venendo ad essere investito il decreto di espropriazione, 
la cui incontroversa operativit�, e la cui attitudine a spiegare 
effetti ablativi, sta alla base d~lla costruzione giurisprudenziale della conversione 
medesima, comporta che il manifest,arsi di Utle potest� non � 
espressione di una (asseritamente illegittima) esplicazione di ius novorum 

-
-
.��:: 

. 

~ 


109

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

in grado di appello, ma vale appunto per quel che pretende di essere, quale 
manifestazione dell'intento deJJ'attore di tenere ferma la domanda originaria, 
nonostante la sopravvenienza di quel fatto, escludendo l'effetto di 
conversione che non richiede per operare il concorso di un atto di impulso 
processuale da parte sua, ma non pu� verificarsi iladdove esplicitamente 
vengano tenute ferme le origiJ!larie domande, escludendo che il discorso 
sul risarcimento danni resti assorbito e travolto da quello sulla determinazione 
del giusto indennizzo. 

N� la soluzione qui �accolta potrebbe trovare remora di specie nella 
circostanza che iJ!l un primo momento la Pucci ritenne di aderire a1la 
conversione della propria domanda in opposizione .alla stima, mutando 
subito dopo posizione quando, attraverso il meditato esame dei documenti 
esibiti dall'Amministrazione, si rese conto che era possibile sostenere 
in giudizio, con buoni margini di controvertibilit�, che il decreto di 
\:!Spropriazione era intervenuto in carenza di potere, per essere stato emesso 
quando era gi� scaduto il termine prefissato alla dichiarazione di p.u. 
non rinnovata. 

Ed, in effetti, se come si � costantemente affermato l'adesione dell'interessato 
non spiega alcuna rilevanza ai fini dell'automatica trasformazione 
dell'azione, che pu� essere impedita solo dal rifiuto espresso, 
si deve dare peso esclusivamente a questo ulteriore comportamento, verificandone 
la tempestivit�, certamente sussistente quando emerge dal tenore 
delle conclusioni defin1tive, da ricollegare alla domanda introduttiva di 
primo grado ed alla posizione di resistenza assunta nei confronti dell'impugnazione 
in appello (prima che il decreto di espropriazione, ed i correlati 
documenti, venissero esibiti). 

L'eventuale illegittimit� del decreto di espropriazione non impedisce 
l'o.perativit� del meccanismo di automatica conversione che, proprio perch� 
tale; spiega effetti in presenza delol'at�to, nel presupposto (implicito) della 
sua legittimit�; occorrendo all'uopo, l'eccezione processuale dell'espropriato 
che su quella illegittimit� fa leva per mantenere ferma la pretesa risarcitoria 
rifiutando di muoversi nel circoscritto ambito della adeguatezza dell'indennizzo. 


Si tratta, quindi di verificare se la deduzione riguardante la (pretesa) 
carenza di potere espropriativo della P.A. si � manifestata con strumenti 
formalmente idonei. 

Da questo punto di vista, il comportamento tuzioristico deJJa difesa 
Pucci che aval:la in un primo tempo quel che si sarebbe comunque verificato, 
non pu� assumere valore preclusivo; mentre � determinante la circostanza 
deMa formulazione dell'eccezione volta a sottolineare (e giustificare), 
re melius perpensa, H rifiuto dell'automatica CO'.Ilversione. 

L'azione risarcitoria resta tale, cos� come proposta .iJ!l citazione, perch� 
la contestazione della conversione si � verificata prima �che si chiudesse 



llO RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

la fase istruttoria del giudizio di secondo grado, con conseguenziale irrile


vanza dell'iniziale adesione alla (automatica) conversione. 
L'impostazione del motivo non � pertanto da condividere. 
La domanda della Pucci non va qualificata come nuova (indebitamente 

sovrappostasi su quella convertita), ma � .rjmasta la stessa originaria, avendo 
avuto il comportamento processuale consacrato nelle conclusioni appunto 
l'effetto di impedirne ila conversione automatica. 

L'equazione condanna al risaricimento del danno-determinazione deHa 
giusta indennit�, non �, contrariamente a quel che afferma la difesa dell'A.
N.A.S., una conseguenza inevHabile del sopravvenire del decreto di 
espropriazione nel corso del processo di risarcimento danni da occupazione 
illegittima, ma opera automaticamente solo quando )10n sia stato 
espresso dissenso da parte del proprietario del bene che conre consapevolmente 
iJ rischio di vedersi respingere la domanda Tisarcitoria, resitando 
ormai mtangibile la determinazione quantitativa della indennit�, insuscettibile 
di adeguamenti in sede di opposizione alla stima {ove tale richiesta 
non sia stata avanzata nemmeno in via subordinata: ed � appunto J'ipotesi 
di specie). 

Ma, a parte J'incongruit� di considerare � nuova � fa domanda formulata 
con J'atto di citazione in quanto kavolta dall'avvenuta conversione, 
la tesi delJ'Avvocatura de11o Stato non potrebbe essere condivisa nemmeno 
se fosse vero 11 principio delfa indiscriminata automaticit� della conversione 
(ridimensionato dalla giurisprudenza di questa Corte) stante 
il carattere derogatorio della deducibilit� e rifovabi:lit� del factum superveniens 
rappresentato dal decreto espropriativo. 

Se si ammette che detto fatto possa intervenire in qualsiasi momento 
dell'iter processuale, e quindi anche addirittura aill'udienza 'di discussione 
davanti a questa Corte �di Cassazione, deve riconoscersi che l'elemento di 
novit� nel thema decidendum � �rappresentato da1la [ntroduzione della 
nuova azione caratterizzata da petitum e causa petendi diversi, in deroga 
�a1 principio del doppio grado (con J:'avvertenz.a che :iii doppio grado non 
� previsto, ai sensi dell'art. 19 de:lla legge n. 865 del 1971 per il giudizio 
di opposizione alla stima da indennizzo calcolato alla stregua della legge 
medesima); e se � ammessa la modificazione de11'azione, per tragioni di 
evidente simmetria, e per la tutela del diritto di difesa, non potrebbe precludersi 
alla parte, che vede immutata la materia del contendere, il potere 
processuale di far valere le proprie eccezioni (significativamente nel motivo 
si venti1a I'ipotesi che la contestazione della J:egittimit� del decreto possa 

risolversi in una �eccezione� nuova) e quindi di dedurre gli eventuali v<izi 
del decreto, ed in primis la stessa carenza del potere di espropriazione. Ci� 
ha visto con chiarezza la difesa della espropriata che prelimtinarmente 
richiama i princ�pi che disciplinano l'attribuzione di tale potere correlato 
ad una dichiarazione di pubblica utHit� ancora efficace, e rileva da un 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

lato Ji;t �singolarit�� dell'assunto di novit� della domanda risarcitoria pur 
trattandosi di quella stessa domanda originariamente proposta sottolineando 
dall'altro che la conversione potrebbe tutt'al pi� comportarne J.a 
trasformazione in �eccezione circa la validit� del decreto, rispetto alfa quaJe 
la pretesa novit� non verrebbe in considerazione, perch� la soglia di rilevabilit� 
dell'eccezione medesima � rappresentata, appunto, dalla esibizione 
del decreto in giudizio. 

L'unico profilo di una qualche cont.rovertibilit� si riconnette, dunque, 
alla eventuale efficacia preclusiva della iniziale accetta2lione deila � conversione
�; ma gi� si � avuto modo di escludere tale effetto, dato che, ce11tamente, 
il relativo :atteggiamento processuale non poteva significare rinuncia 
alla proposta azione aquiliana comportando soltanto :H riconoscimento che 
il sopravvenuto decreto di espropr.iazione � legittimo � faceva venir meno 
(giusta il saldo orientamento giurisprudenziale) la pretesa .risarcitoria, 
restando aperta J.a possibilit� di contesta2lione finch� era in corso la fase 
istruttoria del giudizio di appello nel quale venne esibito solo in un secondo 
momento il decreto ministeriale del 1968 di approvazione del progetto e di 
delima.tazione itemporale deHa correlativa dichiarazione di pubblica utilit�, 
daJ quale emergeva la possibMe .illegittimit� del provvedimento di espropriazione. 


N� a favore della. tesi della novit� deHa domanda potrebbe indicarsi, 
quale puntuale precedente, la decisione di questa Corte n. 362 del 1962, 
intervenuta in diversa fattispecie, rispetto :all:a quale ben a ragione erano 
stati invocati ed applicati i princ�pi di cui all'art. 345 cod. proc. civ. 

In quel caso, .invero, operando fuoni deM'rurea della �conversione � de11a 
domanda �risarcitoria in opposi2lione alla stima, �Si era dedotta iin primo 
grado la divergenza fra l'area indicata nel decreto di occupazione provvisoria 
e quella indicata nel decreto di espropriazione, sostenendo che per 
la parte coperta da entrambi i decreti findennit� sarebbe stata adeguata, 
mentre per quella residuale, contemplata nel solo decreto di espropriazione, 
H potere di espropriazione sarebbe stato inesistente mancando J.a 
dichiara:done di pubblica utilit� e formulando per questa parte soltanto 
richiesta risarcitoria; in grado di appello, .invece, si era sostenuto l'inesistenza 
del potere espropriativo per J':iintera superficie contemplata nel 
decreto, modificando sia H petitum (richiedendosi i danni per l'intera area 
indicata nel provvedimento ablativo), sia la causa petendi (poich� non si 
invocava pi� J.a mancanza di dichiarazione di p.u., ma la inefficacia di 
questa per mancata ti.ndicazione del termine finale). Vi era quindi, una 
chiara contrapposizione fra causa petendi e petitum dedotti in primo ed 
in secondo grado in una situazione di preesistenza del decreto e della sua 
notificazione a11'interessato rispetto al momento de1la iinstaurazione del 
giudizio. 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

In conclusione sul punto: Ja tesi dell'Avvocatura, secondo cui il giudice 
d'appello non avrebbe potuto dichiarare la iHegiittimit� del decreto di espropriaz,
ione, risultando improponibile la relativa eccezione per Ja sua novit�, 
deve essere disattesa poich� l'automatismo della conversione incontra wl 
Hmite dell'espresso rifiuto del prete~o espropriato, e non si verifica ogni 
qualvolta tale rifiuto sia stato espresso, indipendentemente <.hrlle ragioni 
di diritto sostanziale che lo sorreggono (generalmente, come nella specie, 
riconducibili alla contestazione del potere espropriativo de1la p.u.); e poich� 
il fatto sopravvenuto (emanazione del decreto di espropriazione) :P,a 
ingresso nel processo anche in grado di cassazione (e quindi a fortiori in 
appello), � consentito all'interessato esprimere fa volont� ostativa alla 
conversione anche nel corso del giudizio di secondo grado senza che ci� 
comporti modifica della domanda iniz,iale che, per effetto di tale manifestazione 
di volont� resta ferma; n� l'esericizio delJa potest� dispositiva circa 
l'azione introdotta nel giudizio, che paralizza I'aurtomatismo della conversione, 
resta precluso da un .iniziale riconoscimento, consacrato in un 
verbale di causa, disatteso, in un successivo verbale, conformemente al 
quale vengono precisate le conclusioni definitive, nella estrinsecazione del 
potere processuale di ottenere Ia pronuncia sulla originaria domanda risarcitoria 
(che si assume non travolta dall'illegittimo decreto di espropriazione). 


4. -Pu�, quindi esaminarsi .il secondo mezzo, dedott~ in via subordinata, 
per l'eventualit� di mancato accoglimento del primo,�e che, come 
si � anticipato, sembra al Collegio giuridicamente fondato nel suo nucleo 
essenzia}e. 
Non sussistono divergenze fra -le parti reiativamente ai prindpi giuridici 
che vengono in considerazione, discutendosi soltanto dell'applicazione 
dei princ�pi medesimi alla situazione di specie. 

Come � noto, presupposto indefettibile del decreto di espropriazione 
� �l'esistenza di una preventiva dichiarazione di pubblica utilit�. In mancanza 
di tale dichiarazione va escluso il potere della p.a. di espropriare, 
ed il diritto di propriet� non si affievolisce, rientrando la relativa contestazione, 
che investe la (in}esistenza del potere medesimo nella competenza 
giurisdizionale del giudice ordinario. La dJchiarazione di pubblica 
utilit�, per essere efficacie, deve contenere la apposizione dei termini 
entro i quali le espropriazioni ed i lavori vanno compiuti (art. 13 della legge 
fondamentale sulle espropriazioni del 1865), in quanto una dichiarazione di 

p.u. senza termini porrebbe .la propriet� privata in una situazione di vincolo 
a tempo .indeterminato senza indennizzo (il che non � conforme aHa 
Costituzione ex art. 42 comma 3: cfr. sentenza 55 del 1968), sicch� anche 
rispetto a procedimenti semplificati di esproprio deve essere apposto, 
quanto meno, il termine finale a�la dichiarazione di p.u., il cui scadere 
comporta la inefficacia dell'espropriazione, alla quale non pu� procedersi 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

se non m forza di una nuova dichiarazione di p.u., a meno che J termini 
stessi non siano stati prorogati. 

La prefissione dei termini per l'inizio ed ii 1compimento dei lavori, 
richiesta dall'art. 13 della legge 25 giugno 1865 n. 2359 integra, secondo 
la giuPisprudenza univoca di questa Corte, un requisito di validit� della 
dichiarazione di pubblica utilit�, la cui mancanza rende l'atto inidoneo 
a far nascere, in capo alla p,a., il potere espropriativo. L'esigenza della 
suddetta prefissione sussiste anche nel caso di dichiamzione di p.u. implicita, 
per volont� di legge, in altro provvedimento avente una propria funzione 
tipica diversa, quale l'atto di approvazione del progetto dell'opera 
medesima (Cass. S.U. 3552/76). 

Nella specie, appunto, ai sensi dell'art. 34 della legge n. 59 del 1961, 
all'approvazione dei progetti dei lavori sono attribuiti gli effetti della 
dichiarazione di p.u. Ed 1nfatti, il decreto del Ministro dei Lavori pubblici 
15 gennaio 1968, nelJ'approvare il progetto della st:riada di cui trattasi, 
dispose che i lavori e le espropriazioni dovessero essere ultimati, rispettivamente, 
entro 45 mesi ed entro quattro anm dalla sua data. 

Qualora nel termine fissato a norma dell'art. 13 della legge 25 giugno 
1865 n. 2359, non sia stato emesso il decreto di espropTiazione, ol'.avvenuta 
esecuzione delJ'opera pubblica non �impedisce la decadenza dalla dichiarazione 
di pubblica utilit�; e pertanto, anche in questa 1ipotesi, scaduto il 
termine Ia propriet� riacquista pienezza di diritto soggettivo, �tutelabile 
dinanzi al giudice ordinario con azione di risarcimento del danno, pur 
dopo l'eventuale itardiva pronunci:a del decreto di espropriazione, distinguendo 
l'ipotesi di carenza di potere per decor-so del .termine da quella 
di iliegittimo esercizio del potere di proroga (Cass. 722/77 e 6171/79). 

Pertanto, nel giudizio per Ja liquidazione dei danni, derivanti dall'illegittima 
protrazione dell'occupazione di un immobile e dall'esecuzione del-
1.'opera pubblica, ~l giudice deve tener conto della sopravvenuta emanazione 
del decreto di esproprio e procedere alla liquidazione del complessivo credito 
dell'espropriato, concretantesi nelle indennit� per l'occupazione legittima 
e per l'espropriazione nonch� nel risarcimento del danno per l'occupazione 
illegittima, quando dell'espropriato medesimo si alleghi l'invalidit� del 
decreto di espropriazione per il'illegittirno esercizio del potere di proroga 
del termine fissato nella dichiarazione di pubblica utilit� per procedere 
all'espropriazione (Cass. 1480/78). 

La decadenza della dichiarazione di pubblica utilit� per decorso dei 
termini fissati, ai sensi dell'art. 13 della legge 25 giugno 1865 n. 2359, comportante 
I'illegittimit� del decreto di espropri.azione successivamente emanato 
(e la denunciabilit� di essa davanti al giu~ice ordinario, per aver 
riacquistato 1a posizione dell'espropriato la consistenza di diritto soggettivo) 
non consegue peraltro all'oinutile decorso del termine previsto per H 
compimento della espropriazione, ma .alla scadenza di quello successivo 


114 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

fissato per il compimento dell'opera, \I'estando integro, prima di tale scadenza, 
il potere espropriativo dell'amministrazione (sent. n. 2774 del 1978). 

5. -Alla stregua dei richiamati orientamenti della giurisprudenza pu� 
procedersi .alla valutazione della situazione di specie. 
I dati di fatto sono lineari. Al momento in cui il Prefetto ha emesso 
il decreto di espropriazione, ,iJ 30 maggio 1976, il decreto del Ministro dei 
Lavori pubblici del 1968 che approvava hl progetto del 20 settembre 1967, 
agli �effetti della dichiarazione di pubblica util:it�, e fissava i termini per 
le espropriazioni, e l'esecuzione dei lavori, non poteva valere a giustificare 
l'esercizio del potere espropriativo perch� i suddetti termini erano entrambi 
scaduti. Ed infatti, l'A.N.A.S., non si richiama pi�, per fondare la legit� 
timit� della proceduTa ablativa, a tale decreto, ma ad una nuova manifestazione 
di volont� del competente organo della pubblica amministrazione, 
consacrata nel decreto del Ministero dei Lavori pubblici in daita 
11 febbraio 1976 con cui i lavori venivano dichiarati indifferibili, e si 
fissava un nuovo termine (essendo scaduti quelli gi� presitabiiliti che occorreva 
�rideterminare�) di anni tre per ~e espropriazioni (cui avrebbe dovu-fil 
to corrJspondere in linea logica un termine quanto meno corrispondente 

I 

per la esecuzione dei Iavori). Il punto in discussione attiene alla interpre


tazione di questo decreto ed aHa possibilit� di intenderlo nel senso 

I 

della rinnovata dichiarazione 'di pubblica utiHt�, collegata alla triapprova


I

zione del progetto, implicante~ determinazione di un termine di durata 

ff: 

della dichiarazione medesima, corrispondente allo spazio di rtempo pre


i m 

visto per la esecuzione dei lavori. La Corte d'AppeHo di Catanzaro lo ha 
esoluso, rilevando che 1il suddetto decreto, nel fissare un nuovo ,termine 
per Je espropriazioni, non conteneva la dichiarazione di pubblica utilit�, f.: 

t.~

da riannodare alla (ri)appro~azione del progetto, non Tisoontrandosi alcun f:

f: 
elemento per ritenere che l'AmministTazione avesse posto in essere H sub


!~

procedimento di approvazione riesaminando li presupposti della pubblica ~ 
utHit� dell'opera stante la persistenza dei motivi di pubblico interesse, non � 
potendosi valorizzare in tal senso la dichiarazione cli urgenza ed lindifferi-

I 

bilit� dei lavori (che in punto di fatto �erano stati, peraltro, portati a com


pimento, tanto che dalla loro effettuazione demvava l'impossibii1it� di resti


tuzione del bene occupato, nonostante l'occupazione, non seguita tempesti


I 

vamente da provvedimento ablatorio, fosse divenuta dllegittima, persi-

I

stendo certamente tale iMegi.ttimit� fino al sopravvenire di un valido ed 

efficace decreto espropriativo non impedito dalla predetta situazione di 

I 

illegittimit�, secondo i.I costante orientamento defila giurisprudenza di 1 

' 

~ 

questa Corte, poggiato sul rilievo che la costruzione dell'opera non com-f 
porta di per s� il trasferimento della propriet� del:l'area su cui l'opera l 
medesima dnsiste alla P.A., trasferimento che si verifica soltanto quando, ~ 
e solo dal momento in cui, all'espropriazione si faccia luogo). I 

I i 

I 

i 

I 

I 

-



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

L'interpretazione effettuata dalla Corte del merito sembra alla difesa 
dell'A.N.A.S. censurabile sul piano della non congrua applicazione delle 

�norme che disciplinano l'interpretazione degli atti. di amministrazione e su 
que1lo dell'adeguatezza della motivazione. La difesa della Pucci fa perno, 
i.nvece, sull'insindacabilit� in cassazione degli apprezzamenti di meTito 
e sostiene che, comunque, anche se potesse procedersi al nuovo apprezzamento 
interpretativo le conclusioni dovrebbero restare ferme soprattutto 
perch� non risultano gli adempimenti che devono precedere, con il concorso 
degli organi tecnici dell'amministrazione, l'approvazione del progetto, 
ma non controbatte, significativamente, le argomentazioni svolte 
nel motivo per denunciare le violazioni di fogge �,abilmente � dedotte dalla 
difesa Stato. 

Attesa J'impostazione del motivo la 1tesi della incensurabilit� non appa


re risolutiva, dovendosi ver.ificare il processo interpretativo svoJto, nella 

scelta dei parametri adottati e nella congruenza delle argomentazioni che 

sostengono la raggiunta soluzione. 

� appena il caso di ricordare che, per univoco indirizzo giurispruden


ziale, l'interpretazione dei provvedimenti amministrativi soggiace alle 

medesime regole, in quanto applicabili, valevoli in tema di ermeneutica 

contrattuale, sicch� il principio generale dell'insindacabilit� in cassazione 

del .risultato interpretativo raggiunto (in quanto tale), soffre deroga ogni 

qualvolta a detto risultato si pervenga violando i canoni dettati dal codice 

civile per la interpretazione dei contratti, ovvero attraverso una motiva


zione viziata per inadeguatezza od illogicit� (giur. costante: cfr. esempli


ficativamente Gass. 5319/78). 

Ed il giudice, nell'accertare il contenuto precettivo di un atto dell'am


ministrazione pubblica, non si sovrappone aH'amministrazione medesima, 

e perci� non supera i limiti della propria giurisdizione, ma assicura, al 

cont.rario, che ratto spieghi i suoi effetti secondo ila� portata che ad esso 

deve essere riconosciuta in base alJe regole generali di interpretazione dei 

negozi, applicabi,1i anche per l'interpretazione degli atti ammirnstrativi, 

pur dovendosi, per questi, aver riguardo alla loro essenza e funzioni 

tipiche (Cass. 965/79, 3733/74, 903/73). 

Nel caso di specie l'attacco alla motivazione del giudice viene mosso 

su quattro distinti livelli. Si afferma al riguavdo: a) che il giudice del 

merito avrebbe dovuto indagare sull'intenzione dell'autore dell'atto, indi


viduando n potere esercitato, dando alle espressioni del provvedimento, 

alla stregua del pdncipio della legittimit� dell'atto amministrativo, �il senso 

pi� conforme alla legge; b) che l'atto non era stato interpretato globalmen


te.nel suo complesso; e) che non si era tenuto conto del comportamento 

successivo concretatosi nell'emanazione del decreto di espropriazione; 

d) che, infine, non si era valutata l'esigenza di conservazione dell'atto. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

116 

Nella discussione orale la difesa dell'A.N.A.S. ha particolarmente insistito 
sull'aspetto della conservazione dell'atto e sulfa idoneit� del medesimo 
a spiegare un qualche effetto giuridico, giustificando le imprecisioni formaH 
dell'atto medesimo sul 1rilievo che, essendo stata l'opera gi� eseguita 
secondo il progetto a suo tempo approvato, poteva essere sembrato superfluo, 
s�e non addirittura contraddittorio, riapprovare quell'opera a fissare 
i termini .della sua esecuzione; mentre fa Jinea di coerenza del provvedimento, 
rispetto alla situazione che si voleva disciplinare, stav�a appunto 
nella sottolineatura della persistente utilit�, evidente in re ipsa, rispondendo 
concretamente la strada rettificata alla finalit� di assicurare sicura 
e agevole circolazione, sicch� l'espropr.iazione, meramente ratificatrice del 
fatto compiuto, in tanto aveva ragione di essere legittimata in quanto, 
per impJicito necessario, s�i correlava ad una esigenza di pubblica utilit� 
che, prima ancora di essere formalizzata nel provvedimento amministrativo 
si era inverata nei fatti in maniera assolutamente adeguata al 
progetto. 

In concreto, applicando i suddetti criteri ermeneutici, il decreto ministeriale 
del 1976 sarebbe apparso per quello che era, come riapprovazione 
(per fatti concludenti) del progetto del 20 settembre 1967 per i lavori 
di sistemazione della S.S. n. 481 per Ja cui attuazione �erano gi� stati occupati 
i terreni dell'appellata ed addirittura gi� eseguite le opere, e quindi 
come atto implicitamente ma sicuramente comportante la rinnovata 
dichiarazione di pubblica utilit� dell'opera progettata nell'ambito spaziale 
del triennio fissato per il compimento delle espropriazioni 

Era, infatti, evidente, nel cohlegamento fra dispositivo e motivazione 
dell'atto amministrativo rintenzione dell'autore dell'atto di procedere alla 
riapprovazione del progetto e quindi di <riconoscere la pubblica utilit� 
dell'opera progettata. 

Significativamente a1 riguardo si richiamava nel provvedimento la 
legge 7 febbraio 1961 n. 59, il cui art. 34 riconnette alla approvazione dei 
progetti I'efficacia della dichiarazione di pubbliica utilit� dell'opera. 

IJ decreto ministeriale, ove non Ticonduoibile allo schema della riapprovazione 
del progetto, con conseguente dichiarazione di p.u., sarebbe 
risultato completamente inutile, mentre !'�espressa volont� di perifezionare 
iii procedimento ablatorio, fissando un termine per l'atto finale di 
espropriazione, non altro poteva significare se non Ja ricapitolazione 
e riaffermazione degli :atti st�rumenta:lmente preordiinati ad essa, per 
riportare il comportamento della P.A. nell'alveo del legittimo esercizio 
dei suoi poteri, dopo la inutile scadenza dei termin:i originali, attraverso 
la riaffermazione della pubblica utilit� dell'opera {eseguita). 

Ed invero, se si ammette, con la giur.isprudenza di questa Corte, che 

il -compimento dell'opera non impedisce la sanatoria ex post di quanto 

compiuto, il nuovo procedimento, e gli atti che Ji concretano, non possono 



-


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 117 

essere intesi se non con riferimento alla 1reale situazione di fatto ed alla 
intenzione dell'amministrazione di operare una sanatoria e vanno interpretati 
alfa stregua di tale elemento finalistico. 

Invece la Corte del merito, a parte Ja denunciata violazione dei criteri 
di ermeneutica, si era limitata nella motivazione, ad una affermazione 
apodiittica, senza riJ.evare che al progetto si faceva comunque (esplicito) 
rJferimento e che la prefissazione di un termine per il completamento 
delJ.e espropriazioni relative ad una determinata opera presupponeva 
necessariamente la volont� di dichiarazione delila sua pubblica utilit� 
(soprattutto nel contesto fattuale nel quale i due provvedimenti -decreto 
ministeriale e decreto prefettizio espropriativo -si venivano a collocare). 

5. -Sembra al Collegio che le critiche mosse alfa sentenza Sll!l punto 
dell'interpretazione del decreto ministeriale del 1976, da correlare necessariamente 
a quello precedente. del 1968, colgano nel segno, apparendo 
particolarmente significativa la completa pretermissione di ogni esegesi 
conservativa, che si imponeva una volta constatato che fa .lettura dell'atto 
compiuta dalla Corte del merito lo rendeva assolutamente privo di 
effetti. 
Ed in questo convincimento la Sezione � confortata da un recentissimo 
precedente della S.U. (sentenza n. 5904/80) nel quale si valorizza il 
criterio della conservazione dell'atto per avaHare un risuJtato interpretativo 
antitetico a quello qui considerato, in una situazione di fatto che 
presente notevoli punti di contatto, vertendosi in tema di epropriazioni 
autostradali (e cio� proprio daHa sentenza che la difesa dell'espropriata 
ha �richiamato nella parte in cui ribadisce il principio dell'incensurabilit� 
di massima dell'interpretazione degli atti amministrativi, trascurando 
che nella specie le S.U. hanno avaHato la correttezza del procedimento 
interpretativo incentrato suH'applicazione del principio di conservazione, 
che 1aveva portato in quella fattispecie il giudice di merito a postulare 
la sussistenza del potere espropriativo fondato su dichiarazione di pubblica 
utilit�, integrando la insufficiente dizione del decreto). 

Ed � questa possibilit� di interpretazione integrativa finalistica che 
rappresenta il� nodo esegetico erironeamente trascurato dalla impugnata 
sentenza e di cui dovranno fondamentalmente darsi carico i giudki di 
rinvio nell'affrontare ex novo il problema della interpretazione del decreto 
ministeriale dell'll febbraio 1976, sulla falsariga delle puntuali notazioni 
della difesa deM'amministrazione. 

Hanno ritenuto le S.U., nella .richiamata decisione, che al fine di 
stabilire se il provvedimento di espropriazione sia stato o non adottato 
in carenza del �relativo potere, i:n relazione all'ineffiicacia o meno della 
dichiarazione di pubblica utilit�, per scadenza del termine previsto per 
il'espletamento della procedura espropriativa e per l'esecuzione dei favori, 
il giudice del merito, a fronte di un decreto ministeriale che proroghi H 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

118 

predetto termine con espresso riferimento solo alle operazioni di esproprio, 
pu� ritenere, in applicazione dei principi generali di ermeneutica, e, 
in particolare, del principio della conservazione degli atti giuridici, che 
il decreto stesso vada inteso implicitamente riferito anche al termine 
per ,l'esecuzione dei favori, e sia quindi idoneo a prorogare l'efficacia della 
dichiaiiazione di pubblica utilit�, tenuto conto che l'espropriazione precede 
normalmente l'inizio dei lavori, e che il. termine per questi ultimi 
non pu� essere mai 'inferiore a quello concesso per la prima. 

� dunque possibile, olt:r~e la lettera del provvedimento (e piattamente 
sul piano della fetteralit� si sono mossi i giudici calabresi), integrare il 
dispositivo del provvedimento amministrativo da interpretare, per coglierne 
1a 1ntrinseca portata adottando i criteri della globalit� e soprattutto, 
da quello della conservazione ed avendo ~riiguardo alla situazione 
di fatto su cui tale decreto veniva ad incidere. 

Attesi i limiti del giudizio di legittimit�, ovviamente la ricostruzione 
interpretativa non spetta al Collegio ma resta esclusivamente demandata 
ai poteri di accertamento del giudice di rinvio che dovr� avvalersi di 
tutti i canoni normativi all'uopo dettati dalla �legge, e specificamente di 
quello della conservazione ex art. 1367 cod. civ. il quale non pu� essere 
trascurato quando, in aderenza agli altri criteri, che si impongono alla 
attenzione del giudice con propriet� logico giuridica, il risulrt:ato ermeneutico 
raggiunto appaia assolutamente inadeguato poich� 11enderebbe 
del tutto inutile l'emanazione del provvedimento in esame. 

Anche il Consiglio di Stato, come ,ricorda in motivazione la decisione 

n. 5904 del 1980 cit. -ha, del resto, avuto modo di sottolineare che 
l'atto amministrativo va interpretato alla stregua del significato desumibile 
della connessione delle sue parti costitutive, e degli elementi, 
anche extratestuali, posti in evidenza dal procedimento, in modo che 
possa essere conservato, e spiegare effetti, qualora i motivi su cui si 
fonda corrispondano ad un interesse pubblico (e sul piano, appunto, 
dell'-extratestualit� assume rilievo, nella specie, l'avv�enuta esecuzione 
delle opere di terrifica del.fa strada statale, utilizzando suoli di propriet� 
della Pucci). 
� consapevole i:1 Collegio che la situazione di specie non � puntualmente 
riconducibile a quella che sta alla base dell:a richiamata sentenza 

n. 5904/80 (che riguarda da un lato la proroga dei termrini e non la loro 
rideterminazione ex novo; e che � intervenuta dn positivo, ratificando il 
procedimento interpretativo seguito dal giudice di merito, mentre qui 
si tratta di rimettere la causa a:d altro giudice che rimi.ovi il processo 
interpretativo, nel quale acquista rilievo, a monte della prefissione dei 
termini, l'approvazione dell'opera). 
Tale sentenza appare peraltro esemplare non perch� ricalca una 
identica situazione di specie (� appena il caso di ribadire l'irripetibilit� di 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

ogni procedimento inte.rpretart:ivo ohe abbia per oggetto uno specifico atto 
amministrativo), ma perch� sottolinea l'imprescindibile ricorso al canone 
interpretativo della conservazione ammettendo l'integra:TA.one anche rispetto 
ad elementi fondamentald dell'atto da interpretare. 

A:lla luce di queste considerazioni di fondo che comportano Ja astratta 
possibilit� di una soluzione positiva del problema interpretativo che la 
Corte ha invece ritenuto erroneamente preolusa a priori, ed indicando una 
fondamentale chiave di lettura nell'art. 1367 cod. civ., totalmente pretermesso 
dalla sentenza impugnata, l'articolazione del motivo, cui si � 
appena dato rilievo assai ampio, segna chiaramente l'iter della impostazione 
che dovr� essere seguita in sede di rinvio, tenendo conto del 
parallelismo che � dato riscontrare nelle premesse vuoi del provvedimento 
del 1968, vuoi di quello del 1976 (in entrambe sii mchiama la legge 

n. 59 e con le stesse parole si fa cenno �l progetto del 1967, e si considera 
l'urgenza e la indifferibilit� dei lavori sottolineando le numerose deficienze 
ovviamente destinate ad accrescersi con �il passare del tempo, che 
presentava nel tratto in questione la strada statale n. 481). N� potr� 
essere trascurata la circostanza che si giustificava l'emana:lA.one del nuovo 
decreto con la intervenuta scadenza dei termini per il compimento delle 
opere che occorreva determinare ex novo dato che la rifissazione dei suddetti 
termini ha senso e signicato, riferita ad ui:i'opera come quella di 
specie gi� eseguita, solo in quanto postula necessariamente il riconoscimento 
della persistente esigenza di ovv.iare alla mchiamata deficienza 
de11a stmda, in relazione alla quale era stato redatto un progetto la cui 
attualit� veniva ribadita nel dare atto che occorreva provvedere a nuovi 
termini (e non alla revisione del progetto, da ritenersi quindi sufficientemente 
adeguato), nel presupposto implicito che La fissazione di termini 
si rendesse necessaria rper delimitare l'ambito temporale del potere espropriativo 
correlato alla dichiarazione di pubblica utilit� postulata dalla 
persistente rispondenza del progetto stesso al miglioramento della viabilit� 
nel tratto di strada considerato. 
La lettura globale del decreto del 1976 (nel raffronto con quello del 
1968 e nella constatazione che la pubblica utilit� dell'opera si era gi� 
inverata nei fatti, consentendosi una pi� agevole e sicura circolazione n�! 
tratto di strada rettificato) potrebbe ragionevolmente portare, in aderenza 
puntuale ai canoni ermeneutici, alla integrazione del dispositivo; 
secondo il modulo dell'implicito necessario, proiettando nel decisum le 
ragioni che indussero l'amministrazione a provvedere sia pure senza tradurre 
iil proprio manifesto intento in formu:le verbali espressamente 
idonee a significare la precettivit� intrinseca del provvedimento. 

Indubbiamente sono stati utilizzati. modelH e schemi provvedimentali, 
formalmente inadeguati allo scopo che si voleva raggiungere: ma 
poich� detto scopo campeggia �con assoluta evidenza e si correla alla 


120 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

indubbia realt� effettuale, vi � un ampio spazio per un procedimento 
ermeneutico che intenda l'atto oltre la lettera del suo d!isposto. Comunque, 
ed � questa notazione sufficiente per disporre ~a oassazione della 
sentenza, l'avere trascurato il giudice del menito questi elementi, di fronte 
ad un risultato interpretativo che svuotav1a di ogni :incidenza il provvedimento 
ministeriale, comporta, ne1la rilevazione dell'errore compiuto non 
utilizzando il canone dell'interpretazione conservatrice, che al suddetto 
esame delle precedenti si provveda in sede di rinvio. 

Il disegno ricostruttivo che la difesa dell' ANAS delinea ne[ motivo 
ha qumdi una sua intrinseca pregnanza e razionalit� presentandosi 'in 
sintonia con le norme interpretative la cui viola2lione addebitata alla Corte 
d'appello, appare indiscutibile, quantomeno rispetto all'art. 1367 e.e.. 

Potrebbe quindi ritenersi nel caso di specie che il termine finale, 
formalmente limitato alla espropriazione, venga a riguarrlare anche la 
esecuzione dei lavori (pur in presenza di un opus gi� perfectum) quale 
espediente per innestare il meccanismo della (perdurante) pubbilica utilit� 
dell'opera medesima, presupposto necessario per la leg:ittima emanazione 
del decl'eto di espropriazione. E quindi non appare logicamente 
insostenibile che un certo decreto ministeriale, letto nel suo contesto 
globale, e calato neHa realt� della situazione di fatto tin ordine alla quale 
si intendeva provvedere, possa essere integrato potius ut valeas quam 
pereat, nonostante l'espresso riferimento limitato al termine per la espropriazione, 
manifestando inequivocalmente la volont� delJa P.A. di portare 
innanzi il procedimento di :ratifica di qU1anto operato nella prospettiva 
di una indubbia utilit� pubblica dell'opera (risultante inequivocabilmente 
daill'avvenuta realizzazione), ratificandone la persistenm e consentendo 
il coronamento dell'iter procedimentale a segu:ito della (resa possibile) 
emanazione di un valido ed efficace decreto espropriativo. 


SEZIONE SESTA 

GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 8 gennaio 1981, n. 137 -Pres. Granata Est. 
Battimelli -P. M. Ferraiolo (conf.). Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Rossi) c. Valla (avv. Burlando). 

Tributi (iin genere) -Contenzioso tributario -Giudizio di terzo grado 


Estensione -Questione sulla natura agricola o edificatoria dei suoli 


Indeducibilit�. 

(d.P.R. 26 gennaio 1972, n. 635, artt. 26 e 40). 
La questione sulla natura agricola o edificatoria di un terreno (al 
fine della valutazione c.d. automatica), ove non involga questioni sulla 
validit� o l'interpretazione di norme edilizie o urbanistiche � una questione 
di mero fatto connessa alla estimazione semplice come tale sottratta 
alla cognizione della Commissione Centrale (1). 

(omissis) Ai fini dell'esame sulla fondatezza del ricorso va premesso 
che dagli atti risulta pacifico che, all'epoca del trasferimento dei 
terreni, non esisteva alcun piano regolatore n� alcuna disdplillla legislativa 
urbanistica relativa ai terreni suddetti; conseguentemente, i problemi 
di stima del valore dei suoli non involgevano affatto soluzioni di questioni 
di diritto, ma unicamente questioni di stima pura e sempl.ice. Ne 
consegue che ..U primo motivo di ricorso � fondato, essendo tassativamente 
esclusa, dalla competenza della Commissione Centrale, cos� prima 
che dopo la riforma del contenzioso tributario di cui al D.P.R. n. 636 del 
1972, ogni questione di semplice estimazione. 

~1) Assai importante cambiamento d'indirizzo rispetto alla sent. 25 febbraio 
1980, n. 1307, in questa Rassegna, 1981, I, ,109, con nota di C. BAFILE. Da 
sottolineare il ritorno alla individuazione dell'area del giudizio di terzo grado 
con il concetto dell'estimazione, su di che v., di recente, 4 marzo 1981, n. 1240, 
retro, 813, nonch� 21 maggio 1981, n. 3329, in questo fascicolo pag. 140. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

La Commissione Centrale, con la decisione impugnata, invero, ha 
implicitamente riconosciuto la propria incompetenza in materia .di estimazione 
semplice (e d'altronde, come giustamente pone in rilievo l'amministrazione 
ricorrente, ogni discussione in merito alla qualificazione 
dell'oggetto della controversia come di estimazione semplice o di estimazione 
complessa era ormai preclusa dal giudioato interno formatosi 
dopo che la Commissione provinciale, sezione di diritto, adita dai contributi 
contemporaneamente alla Commissione di valutazione di prim_o grado, 
aveva escluso la propria competenza, affermando trattarsi di questione 
di. estimazione semplice, e tale pronunzia, non impugnata, costituiva 
giudicato foa le parti); peraltro, la Commissione Centrale ha ritenuto 
di poter eludere il problema, affermando di essere comunque competente, 
in base ail1a riforma del contenzioso tributario, a decidere q_uestioni 
di fatto, e, di conseguenza, a risolvere il problema di futto costituito 
dall'accertamento della pres~nza, in loco, di determinate caratteristiche 
dei suoli tali da farne riconoscere quanto meno la potenzialit� 
ad uno sfruttamento edificatorio. 

L'errore di tale proposizione, peraltro, consiste �nel non aver tenuto 
presente che, seppure quelle risolte erano questioni di fatto, si trattava, 
in sostanza, non delle questioni di fatto attribuite �alla competenza di essa 
Commissione Centrale dall'art. 32 del decreto n. 636, ossiia di questioni 
direttamente influenti sull'accertamento della fondatezza o m~no della 
pretesa tributaria, bens� di questioni di fatto attinenti alla qualificazione 
di un suolo come edificatorio o agricolo: ossia di questioni di fatto strumentali, 
comunque, alla soluzione di un problema di semplice estimazione 
e come tali, quindi, sottratte, proprio in forza della citata norma, alla 
competenza di essa Commissione. La quale, pertanto, non poteva n� 
doveva risolvere, in concreto, il problema gi� risolto nelle precedenti 
fasi di giudizio, ma, in materia di estimazione �semplice, doveva limitare 
il proprio sindacato alle sole questioni di legittimit�, o di difetto di 
motivazione, eventualmente sollevate nel ricorso ad essa Com.missione 
Centrale proposto, rigettando il ricorso ove motivi di impugnazione del 
genere non fossero stati proposti o risultassero infondati, ed accogliendoli, 
invece, ove riconoscesse sussistenti difetti di motivazione, o violazione 
idi legge, ne11a decisione di secondo grado; mai, �invece, avrebbe 
potuto sovrapporre una propria diversa valutazione della situazione di 
fatto a quella contenuta nella decisione impugnata, risolvendo direttamente 
una questione di semplice estimazione, quale era quella di accertare 
la natura agricola o edificatoria di un suolo non in funzione della 
soluzione di problemi attinenti a vincoli o destinazioni urbanistiche, bens� 
unicamente in funzione delle caratteristiche oggettive dei terreni stessi 
e del!la zona cirnos1Jante. (omissis) 

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123

PARTE I. SEZ. VI. GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez, I, 12 febbraio 1981, n. 857 -Pres. Vigorita � 
Est. Caturani -P. M. Catalani (conf.). Sold� (avv. Guerra) c. Ministero 
delle Finanze (avv. Stato D'Amato). 

Tributi erariali diretti -Imposte fondiarie -Imposte sui redditi agrari . 
Allevamento di cavalli da corsa -Non � ricompresa. 

(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 65). 
Non � da ricomprendere nella nozione di reddito agrario, e va quindi 
consider�ta come attivit� di impresa, l'allevamento di cavalli da corsa (1). 

(omissis) Con 11 secondo motivo, denunziandosi violazione e falsa 
applicazione dell'art. 65 del T.U. sulle imposte dirette 29 gennaio 1958 

n. 645 nonch� difetto di motivazione, si sostiene che la Commissione 
Centrale avrebbe errato nel qualificare il reddito del ricorrente come 
reddito di ricchezza mobile di oat. B (reddito industriale), ri.nvece che 
come reddito agrarrfo, sul presupposto indimostrato che nella specie ricorresse 
un a:Nevamento di cavalli da corsa. 
La censura non pu� essere accolta. 

La Commissione Centrale si � posto il problema consistente nel decidere 
se l'allevamento dei cavalli in questione rientri o meno nell'esercizio 
normale dell'agricoltura secondo la tecnica che la _governa�, giusta il 
disposto dell'art. 65 del T.U. e lo ha risolto negativamente, considerando 
che la gestione di un allevamento della proporzione di quella in esame, 
particolarmente in vista dcl1a destinazione degli equini, �che non � legata 
al conseguimento dei fini agricoli, non pu� rientrare nel concetto di reddito 
agrario e non pu� andare quindi esente dai11'1imposta di R.M., in base 
all'invocato art. 65. 

Tale convincimento -secondo cui il ricorrente ha svolto una attivit� 
economica rivolta all'allevamento di cavalli trottatori -� stato confortato 
dai seguenti rilievi: a) il Sold� negli allegati alla dichiarazione dei redditi, 
nell'elencare le imposte detraibili, ha detratto dail. proprio reddito 
le imposte di R.M. pagate dalla Scuderia Adige; b) il contribuente ha percepito 
i premi liquidati dall'U.N.I.R.E., i quali non costituiscono dei contributi 
per l'incremento generico dell'allevamento equino, ma liquida


(1) V. in termini Cass. 20 maggio 1969, n. 1755, in questa Rassegna, 1969, I 
711. Per altre ipotesi di attivit� al limite tra impresa agricola e impresa com� 
merciaie cfr. 14 dicembre 1979, n. 6520, ivi, 1980, I, 603 (per la coltivazione dei 
funghi); 16 aprile 1973, n. 1075, ivi, 1974, I, 715 (per gli ostovivaisti). 

124 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

I Izione della quota parte dei premi vinti dai cavalli nelle corse, di spettanza 
dell'allevatore, anche se non proprietario del Cavallo �al momento 
della corsa. 

E poich� � pacifico che l'attivit� diretta all'allevamento di cavalli da 
corsa non pu� essere compresa nell'esercizio normale dell'impresa 
agricola e pertanto non pu� considerarsi atta a produrre un reddito di 
natura agraria, ma va compresa nel quadro economico delle attivit� industriali 
e commerciali, produttive di redditi di ricchezza mobile di categoria 
b) (Cass. 20 maggio 1969 n. 1755), non merita alcuna censura la 
decisione impugnata che nella soluzione del caso di specie con motivazione 
ineccepibile si � attenuta a!?J]i accennati criteri. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 16 febbraio 1981, n. 939 -Pres. Falcone Est. 
Caturani -P. M. Palladino (diff.). Ministero delle Finanze (avv. 
Stato Angelini Rota) c. Vaglio. 

Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Accertamento di valore Termine 
-Registrazione a imposta fissa -Successiva abrogazione con 
effetto retroattivo della agevolazione -Decorrenza dal pagamento 
dell'imposta proporzionale. 

(R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 7; d.l., 7 agosto 1936, n. 1639, art. 21). 
Qualora un atto sia stato registrato ad imposta fissa in base alla legge 
del tempo e venga successivamente sottoposto ad imposta proporzionale 
non in via di supplemento ma in conseguenza della abrogazione con effetto 
retroattivo della norma di agevolazione, il termine di decadenza dello 
accertamento decorre non gi� dal pagamento in sede di registrazione dell'imposta 
fissa, ma dal pagamento dell'imposta proporzionale (1). 

(omissis) Con l'unico motivo del suo ricorso l'Amministrazione 
delle finanze, denunziando violazione e falsa applicazione dell'art. 21 

D.L. 7 agosto 1936 n. 1639 e dell'art. 7 r.d. 30 dicembre 1923 n. 3269, sostiene 
che il termine perentorio, previsto dall'art. 21 della citata legge, di un 
anno daJ pagamento dell'imposta di registro per la notifica al contribuente 
dell'accertamento di valore decorreva, nella specie, non gi� dal 
pagamento dell'imposta fissa eseguito dall'atto della registrazione, ma 
dal successivo pagamento della imposta proporzionale a seguito della 

(1) Risoluzione corretta di un caso assai singolare. 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

sopravvenuta abrogazione con effetto retroattivo della legge che aveva 
consentito l'applicazione della imposta fissa. 

La censura � fondata. 

La sentenza impugnata ha affermato che il princ1p10 -gi� accolto 
da questa Corte (sent. 17 gennaio 1966 n. 238, 13 febbraio 1969 n. 488 
15 marzo 1972 n. 749; 25 ottobre 1972 n. 3216) -secondo cui il termine 
annuale di decadenza, per l'accertamento da parte dell'Amministrazione 
finanziaria del maggiore valore dei beni sottoposti ad imposta di registro, 
di cui all'art. 34 del R.D. 30 dicembre 1923 n. 3269, sostituito dall'art. 21 
del r.d. 7 .agosto 1936 n. 1639, decorre dalla data del pagamento della 
imposta principale e non da quella del pagamento di una eventuale, suc� 
cessiva imposta suppletiva di registro, sarebbe applicabile anche nel 
caso -oggetto del presente giudizio -in cui un atto registrato con la 
sola percezione dell'imposta fissa sia successivamente sottoposto ad 
imposta proporzionale di registro in dipendenza non gi� di un iniziale 
errore dell'Ufficio, ma della sopravvenuta inapplicabilit� dell'imposta 
fissa a seguito della sucessiva abrogazione con effetto retroattivo delle 
norme di legge che avevano concretato uno dei presupposti richiesti 
all'epoca per l'applicazione di quella imposta. 

La tesi non pu� essere condivisa dal Collegio. 

La Corte del merito � pervenuta alla soluzione accennata in base ad 
un duplice ordine di 'considerazioni: a) l'imposta proporzionale non � 
l'imposta principale �cui l'atto � soggetto ma esplica una funzione integrativa 
rispetto alla prima tassazione a cui la registrazione ha dato 
luogo; b) l'art. 7 della abrogata legge di registro del 1923 attribuisce in 
via del tutto eccezionale il carattere di imposta principale anche all'imposta 
applicata tardivamente su di un atto registrato, soltanto nel caso in 
cui questa venga pretesa su di un atto gi� registrato per errore gratuitamente. 


Pu� subito osservarsi, invertendo l'ordine delle suddette argomentazioni 
che l'art. 7 citato non reca alcun contributo ailla tesi accolta dalla 
impugnata sentenza, giacch� esso prevede una fattispecie in cui, essendo 
immutata la disciplina giuridica del rapporto tributario, si � ritenuto 
opportuno far salvo alla Amministrazione il potere di procedere allo 
accertame~to di maggior valore nonostante l'errore dell'Ufficio circa la 
presunta gratuit� dell'atto. 

Nel caso in esame invece trattasi di risolvere un problema di successione 
di leggi nel tempo e la relativa soluzione pu� essere agevolata 
considerando che nello stesso sistema della legge la coincidenza tra registrazione 
dell'attore e decorrenza del termine per l'aocertamento di valore 
ex art. 21 del d.l. 7 agosto 1936 n. 1639 non � assoluta e non si verifica 
allorch� non essendoci stato -sia pure per errore dell'Ufficio -un pagamento 
dell'imposta all'atto della registrazione, non poteva ovviamente 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO � 

decorrere il termine perentorio in questione ai fini del giudizio di congruit� 
dei valori imponibili dalla legge devoluto al:l'Amministrazione 
finanziaria. 

Ma la Corte di appello � caduta in errore anche in base all'argomentazione 
sub a) non avendo posto mente al fatto che l'abrogazione con 
efficacia retroattiva della legge che aveva consentito la soggezione dell'atto 
all'imposta fissa di registro pagata al momento della sua registrazione, 
aveva nella specie eliminato dal mondo giuridico la originaria pretesa 
dell'Amministrazione, alla quale si era sostituita ope legis la pretesa 
attinente ~l pagamento dell'imposta proporzionale di registro, cui esclusivamente 
l'atto doveva ritenersi soggetto. 

Vero � che la legge (art. 7 dell'abrogata legge di registro) qualifica 
-sia pure implicitamente -come imposta principale l'imposta richiesta 
al momento della registrazione dell'atto, ma ci� � strettamente connesso 
al principio (art. 91 della stessa legge) secondo cui �per gli atti tra vivi 
il pagamento della tassa deve essere contemporaneo alla registrazione e 
risultare da questa �. Quando invece si realizza ape legis una fattispecie 
del tutto diversa per cui si verifica uno sganciamento della registrazione 
del pagamento dell'unica imposta (proporzionale nella specie) cui l'atto 
� soggetto, non vi � motivo per negare al tributo richiesto dall'amministrazione 
iJ. carattere di imposta principale. Il che trova conferma anche 
ragionando per esclusione, sulla base delle nozioni di imposta complementare 
e imposta suppletiva, che non ricorrono per il tributo in esame. 

N� pu� sostenersi che in tal modo l'efficacia retroattiva della legge 
sopravvenuta verrebbe a travolgere una decadenza ormai verificatasi sotto 
l'impero della legge precedente, poich� non pu� discorrersi della decadenza 
da un diritto che sotto l'impero della legge anteriore non poteva 
essere esercitato dail soggetto, non essendo logicamente ammissibile un 
giudizio, di congruit� rispetto alla imposta fissa cui l'atto era, all'epoca, 
soggetto in base alla legge che lo regolava e non in virt� di un errore 
dell'Amministrazione. 

Devesi quindi concludere che allorquando un atto registrato con la 
sola percezione dell'imposta fissa in base alla legge del tempo, sia successivamente 
sottoposto ad imposta proporzionale di registro in dipendenza 
non gi� di un iniziale errore dell'Ufficio ma della sopravvenuta inapplicabilit� 
dell'imposta fissa a seguito della successiva abrogazione con 
effetto retroattivo delle norme di legge che avevaino concretato uno dei 
presupposti occorrenti per l'applicazione di quella imposta, il termine di 
decadenza �per l'accertamento di valore ex art. 21 del d.l. 7 agosto 1936 

n. 1639 decorre non gi� dal pagamento, in sede di registrazione, dell'imposta 
fissa, ma dal successivo pagamento dell'imposta proporzionale di 
registro cui l'atto � retroattivamente soggetto in maniera esclusiva 
(omissis) 

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127

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 28 marzo 1981, n. 1786 -Pres. Sandulli 


Est. Martinelli -P. M. Cecere (diff.) Savio (avv. Uckmar) c. Ministero 

delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). 

Tributi (in genere) -Contenzioso tributario -Procedimento innanzi alla 
Commissione centrale -Domande ed eccezioni non riproposte con le 
deduzioni del resistente -Devono essere esaminate d'ufficio � Art. 346 

c.p.c. -Inapplicabilit�. 
(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 25 e 27; c.p.c. artt. 190 e 346). 
Le eccezioni e difese riproposte dalla parte resistente nel procedimento 
innanzi alla Commissione centrale con la memoria di cui all'art. 29 del 

d.P.R. n. 636/1972 debbono essere esaminate anche se non contenute nelle 
deduzioni di cui all'art. 25 (1). 
(omissis) Tuttavia, la pronuncia impugnata merita censura sotto altro 
profilo. 

Infatti, � fondata la censura prospettata nel terzo mezzo, con la quale 
si rimprovera alla decisione de quo di non aver proceduto aH'esame delle 
difese dei contribuenti, dichiarate assorbite nella pronuncia di II grado 
(che aveva accolto il ricorso dei contribuenti con riferimento a questioni 
aventi carattere pregiudiziale), ritenendole precluse in quanto non riproposte 
nelle deduzioni di cui all'art. 25 IV comma d.P.R. 29 ottobre 1972 

n. 636, ma soltanto, formulate nella memoria illustrativa di cui all'art. 27 
d.P.R. citato. 
La fondatezza di tale censura � evidente, ove si consideri che questa 
Corte gi� in precedenza (cfr. Cass. Sez. I, 6 marzo 1980 n. 1500) ha affermato 
che l'art. 346 cod. proc. civ., non richiamato in modo espresso dal 

(1) La pronunzia desta molta perplessit�. Innanzi tutto non pu� essere 
condivisa l'affermazione che nessuna norma o principio del rito civile non contenuto 
nel primo libro del cod. proc. civ. sia inapplicabile al procedimento innanzi 
alle commissioni; i principi in materia di impugnazione non sono meno fondamentali 
di tante regole del primo libro. 
La statuizione della sentenza � affidata alla duplice affermazione che in 
ogni caso debbono essere riesaminate d'ufficio tutte le eccezioni e difese indi� 
pendentemente dalla riproposizione e che comunque la memoria presentata per 
l'udienza (art. 29) non ha la funzione strettamente difensionale tipica della comparsa 
conclusionale (art. 190 cod. proc. civ.), ma pu� contenere, data la concentrazione 
del procedimento, anche nuove eccezioni e difese. 

Sul primo punto sembra evidente che il principio enunciato nell'art. 346 
cod. proc. civ. sia essen~ale a qualunque impugnazione; non si pu� ragionevolmente 
pretendere che il giudice sia tenuto a spingere il suo esame al di l� di 
quanto la parte intende devolvere al suo esame. Le eccezioni rigettate ed assorbite 
devono essere riproposte, anche se non nella forma dell'impugnazione incidentale, 
quando la pronunzia sia stata egualmente favorevole. 



128 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.P.R. n. 636 del 1972 (il quale fa riferimento esclusivamente alle norme 
del primo libro del cod. proc. civ.) non pu� trovare applicazione nel giudizio 
innanzi alle Commissioni tributarie, di guisa che le eccezioni, e a 
maggior ragione le mere difese, rigettate od assorbite nella pron�ncia 
favorevole alla parte, non debbono essere espressamente riproposte da 
quest'ultima con atto di impugnazione incidentale, n� con qualunque altro 
processuale, ivi compreso quello previsto dall'art. 25 IV comma d.P.R. cit., 
dovendo le medesime essere rilevate di ufficio dal giudice dell'impugnazione 
neLl'ambito delle statuizioni investite dall'impugnazione. Peraltro, 
va rilevato che la memoria di cui all'art. 27 legge cit., non pu�, del tutto, 
essere assimilata, stante la sua particolare struttura e funzione, alla 
comparsa conclusionale e alla memoria, previste dall'art. 180 cod. proc. 
civ., le quali, avendo natura meramente iLlustrativa deHe difese, non 
possono contenere la proposizione di nuove eccezioni e difese. Tale principio 
non pu� ritenersi in alCUIIl modo vulnerato dalla considerazione 
che per il giudizio innanzi alla Commissione Centrale non sia contemplato 
il richiamo all'art. 19 IV comma, come, invece, � previsto per il procedimento 
innanzi alla Commissione di II grado. Infatti, tale limitazione 
opera, in modo esclusivo, con riferimento al:la possibilit� di proposizione 
di motivi aggiuntivi, ma non pone alcuna discriminazione in ordine alla 
loro natura. Ino1tre, non pu� non rilevarsi che il richiamo alle norme del 
codice di procedura civile, per quanto riguarda il procedimento innanzi 
alle Commissioni Tributarie, fa esclusivo riferimento a1le norme del primo 
libro del codice di procedura civile, cosicch�, stante la diversit� ontologica 
e funzionale esistente tra i due procedimenti, non pu� trovare applicazione 
nel giudizio tributario l'art. 346 cod. proc. civ. 
Non avrebbe senso il principio della devoluzione e la necessit� della motivazione 
dell'impugnazione se poi (per la parte resistente) si afferma la regola 
che il giudice deve esaminare d'ufficio le domande e le eccezioni non riproposte. 

Ancor meno persuade la seconda proposizione. 

Le deduzioni ex art. 25 hanno la precipua funzione di determinare l'ambito 
del giudizio d'impugnazione per consentire all'altra parte di esercitare le sue 
difese. Sarebbe manifestamente pregiudizievole per il diritto di difesa la possibilit� 
della proposizione di domande ed eccezioni con la memoria ex art. 29. 
E oi� particolarmente nel procedimento innanzi alla Commissione centrale nel 
quale lo scambio degli atti che delimitano i termini dell'impugnazione deve avvenire 
presso la segreteria della commissione di 'secondo grado, proprio perch� 
il laborioso ritiro della copia della memoria che viene depositata presso la 
Commissione centrale pu� anche essere trascurato senza grave pregiudizio. Non 
esiste poi la possibilit� di chiedere un rinvio della discussione ex art. 19 ultimo 
comma. 

L'unicit� dell'udienza e la concentrazione non giustificano la conclusione 
che la memoria ex art. 27 non abbia natura di mero svolgimento difensivo di 
conclusioni anteriormente presentate. Al contrario non pu� essere resa inutile 

i

la presentazione delle deduzioni ex art. 25. 

i 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

129 

Lo stesso carattere di concentrazione processuale che assume il procedimento 
innanzi alle Commissioni Tributarie, il cui svolgimento tende, 
in via normale a coincidere con un unica udienza, a diversit� di quanto 
avviene per il processo civile, fa ritenere, sul piano logico e giuridico, 
che pure la memoria illustrativa di cui all'art. 29 legge citata (cos� come 
quella prevista dall'art. 27 in ordine alla quale non possono sorgere dubbi 
di sorta), che viene formulata per questa unica udienza (normalmente 
non seguita da altre), non debba assumere quel carattere restrittivo proprio 
degli atti previsti dagli artt. 190 e 359 cod. proc. civ. 

Alla luce del suesposto principio emerige in modo chiaro l'errore in 
cui � incorsa l!a Commiss[one centria:le, aHorch�, affrontando e msolvendo 
la questione giuridica circa la possibilit� di costituzione di societ� semplice 
o in nome collettivo con la partecipazione, quale socia di una p�rsona 
giuridica, ha omesso di esaminare le eccezioni e difese dei contribuenti 
dirette ad escludere che nella fattispecie concreta, rientrante nell'ipotesi 
normativa di cui all'art. 81 t.u. abrog. n. 645 del 1958 (soggetto 
non tassabile in base a bilancio), concorressero il presupposto soggettivo 
dell'intento speculativo, e quello dell'incremento patrimoniale, ritenendo, 
in modo erroneo, dette eccezioni e difese precluse, in quanto non riproposte 
dai contribuenti nelle deduzioni di cui all'art. 25 d.P.R. cit., ma, 
soltanto, con la memoria illustrativa (ex art. 27 IV comma). (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 1� aprile 1981, n. 1850 -Pres. Sandulli Est. 
Gualtieri -P. M. Silocchi (conf.). Ministero delle Finanze (avv. 
Stato Sa,Iimei) c. Lancellotti (avv. Marrullo). 

Tributi (in genere) Contenzioso tributario -Giudicato parziale -Statui


zione che costituisce il necessario presupposto di altra -Impugna


zione -Si estende -Impugnazione sull'accertamento del reddito -Si 

estende alla statuizione sulle sanzioni per infedele dichiarazione. 

(C.p.c., art. 329). 

L'impugnazione parziale comporta acquiescienza alle parti della pronunzia 
non impugnata soltanto quando le diverse parti siano tra loro 
indipendenti in modo che l'una possa passare in giudicato separatamente 
dall'altra, non anche quando la parte non impugnata ha per necessario 
presupposto o antecedente logico-giuridico la parte impugnata; conseguentemente 
ove l'Ufficio abbia impugnato una decisione che riduce 
l'ammontare del reddito chiedendo la conferma dell'accertamento, non 
si verifica acquiescienza sulla parte della decisione che dichiara non 
dovute le sanzioni per infedele dichiarazione (1). 

(1) Decisione da condividere che fa esatta applicazione di principi generali. 
IO 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

~ 


ill 

(omissis) Con l'unico motivo, denunziando falsa applicazione dell'articolo 
329 cod. proc. civ. e violaz:ione degli artt. 245 e 248 t.u. 29 gennaio 1958, 

fi

n. 645, l'Amministrazione ricorrente deduce che ha errato la Commissione 
Tributaria Centrale, nel riformare le decisioni rese dalla Commis-
I iisione di secondo grado in sede di rinvio, dichiarando non dovute le sopratasse 
sul rilievo che avverso la mancata pronuncia, da parte della. Commissione 
distrettuale; sull'applicabilit� deMe sopratasse, l'Ufficio avrebbe 
dovuto proporre appello e che, in difetto di tale impugnativa, si sarebbe 
verificata sul punto acquiscenza, a norma dell'art. 329 cod. proc. civ. 
Invero la Commissione non avrebbe considerato il carattere accessorio 
della sopratassa per infedele dichiarazione rispetto all'accertamento del 
reddito. La censura � fondata. 

I

Questa.. Corte ha affermato che, in caso di impugnazione parziale, 
l'acquiscenza alle parti non impugnate della sentenza si verifica soltanto 
quando le diverse parti di questa, non essendo astrattamente connesse 
e collegate tra loro e concernendo questioni che potrebbero in astratto 

I

essere decise �l.J. separati giudizi, siano tra di loro indipendenti, in modo 
;:. 

fil 

che l'una possa sussistere (e passare in giudicato) venendo meno l'altra, ili 

I ~ 

ma non anche quando una parte della �sentenza costituisca una conseguenza 
dell'altra, cio� una situazione che abbia per necessario presup-i' 
posto la statuizione impugnata ovvero ne costituisca essa medesima l'anm 
~;
tecedente logico-giuridico (cfr. sent. 24 gennaio 1979, n. 533; 4 giugno 1979, f' 

n. 3151; 6 marzo 1974, n. 599; 9 luglio 1973, n. 1980; 3 ottobre 1972, n. 2829, fil 
ed altre). ~: 
Nelil'ambito di tali principi questa Corte ha anche ritenuto che capo 
di pronuncia suscettibile di formare oggetto di giudicato � quello che 

I 

!=

risolve una questione controversa avente una propria individualit� ed @ 
autonomia s� da integrare astrattamente una decisione del tutto indipen-&
['. 
dente e che, per converso, l'autonomia non sussiste quando si verta in 
tema di presupposto necessario di un unico capo di pronuncia, e che, 

i 

quindi, esc:;o concorra a formare (sent. 16 ottobre 1976, n. 3498). 
Nella specie, la questione della sopratassa, prevista dall'art. 245 t.u. 

I

I.I.D.D. del 1958 per infedele dichiarazione, la quale discende direttamente 
dalla legge ogni qualvolta si sia in presenza di un imponibile definitivamente 
iaccertato che superi di un quarto quello d:ichiiararto, trova il 
suo presupposto necessario sotto il profilo logico e giuridico, nella que-
I 

~ 

stione dell'accertamento definitivo del reddito; del pari, la questione della 

~ 

inapplicabilit� delle sanzioni, prevista dall'art. 248 del citato t.u. per il ! ~ 
caso che l'obbligo di dichiarazione fosse fondatamente contestabile per ~ 
f 
obbiettiva incertezza sull'esistenza dei presupposti dell'obbligazione tri� f 
butaria, ha il suo antecedente logico-giuridico proprio nella questione 

l 

del1a infedele dichiamzione e quindi, dell'accertamento definitivo del l 

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reddito. 1 

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131

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Orbene, l'Ufficio finanziario notific� al contribuente le decisioni della 
Commissione distrettuale con le quali era stato ridotto l'ammontare del 
presunto reddito accertato, e chiese alla Commissione provinciale la conferma 
degli accertamenti. 

In tale situazione, il problema dell'applicabilit� o meno della sopratassa 
ex art. 244 e 248 poteva porsi soltanto sulla premessa di detta 
conferma. 

In conclusione, l'Ufficio, chiedendo alla Commissione Provinciale la 
conferma degli accertamenti, con ci� stesso domand� anche la conferma 
dell'applicazione della conseguente sopratassa, il che esclude che si fosse 
verificata l'acquiescenza parziale ritenuta dalla sentenza impugnata. 

(omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 13 aprile 1981, n. 2180 -Pres. Marchetti Est. 
Pannella -P. M. Minetti (diff.) Ministero delle Finanze (avv. Stato 
Viola) c. Soc. Comcarbo (avv. Vaccaro). 

Tributi (in genere) � Accertamento tributario � Notificazione � Persona 

giuridica � Consegna a persona rinvenuta presso la sede � Si presume 

incaricata della ricezione dell'atto. 

(C.p.c., art. 145). 

La pC1�sona rinvenuta presso la sede di una persona giuridica e che 
abbia ricevuto la consegna dell'atto, si presume addetta alla sede anche 
nel caso che la persona giuridica abbia la sua sede in comune con altro 
soggetto. Per �vincere la presunzione al fine di invalidare la notificazione 
occorre dimostrare con prova rigorosa non solo l'inesistenza di un vero 
e proprio ;�apporto di dipendenza, ma anche l'inesistenza di un qualsiasi 
rapporto (1). 

(omissis) La Corte di Appello di Roma dedusse la nullit� delle notifiche 
dell'avviso di accertamento di reddito e della relativa cartella esattoriale, 
eseguite nelle mani di Nicola D'Ambrosio, sulla considerazione che esso 
consegnatario non era dipendente della s.r.l. Comcarbo, destinataria degli 
atti, cos� come risultava pacifico tra le parti e dall'esame dell'inserto 
processuale. 

Aggiunse, poi, che non era stato provato n� che il D'Ambrosio fosse 
un dipendente dello studio Pacaccio (nella decisione della Commissione 

(1) Decisione esatta e saggia; cfr. Cass. 10 luglio 1979, n. 3959, in Giust. Civ., 
1980, I, 1550. La Giurisprudenza in materia resta sempre incerta: non � pacifica 
la soluzione che si d� alla questione analoga della persona di famiglia non convi� 
vente (Cass. 26 aprile 1979, n. 2416, in questa Rassegna, .1979, I, 750). 

132 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

provinciale si d� atto che quegli eseguiva soltanto lavori saltuarii per 
conto del Pacaccio) n� che la soc. Comcarbo, avesse eletto domicilio 
presso quello studio, per dedurne un rafforzato convincimento della suddetta 
nullit�. 

Contro tale pronuncia l'Amministrazione delle Finanze con un solo 
motivo -art. 360 n. 4 cod. proc. civ. -denuncia un errore in procedendo, 
relativo ad erronea applicazione dell'art. 145 cod. proc. civ., in 
combinato disposto con gli artt. 38 t.u. n. 645/1958 e 160 cod. proc. civ. 

Sostiene che iJ precetto. legislativo, insito nella locuzione �persona 
addetta alla sede � ebbe puntuale realizzazione con la consegna degli atti 
a Michele D'Ambrosia, sia perch� fu rinvenuto nella sede della soc. Comcarbo; 
sia perch� egli, qualificandosi impiegato, indic� un rapporto di 
servizio con la societ� stessa, sia perch� la soc. Comcarbo aveva eletto 
domicilio fissando la sua sede presso lo studio del commercialista 
dott. Roberto Pacaccio, del quale il D'Ambrosio era dipendente. 

La censura deve ritenersi fondata. 

Questa Corte (Cass. 21 dicembre 1971 n. 3729 -Cass. 10 luglio 1979 

n. 3959) ha deciso che la notifica di atti fatta a persona giuridica nella 
I

sede sociale, con consegna del documento a persona che si trova nella 

f: 
sede medesima, deve ritenersi validamente eseguit~, sulla presun~ione ~~ 
che la persona consegnataria sia addetta alla sede della societ�, anche 
se da questa non dipendente. 

I 

Il principio trova conforto in una presunzione legale relativa, che 
nell'ipotesi di notificazione alle persone giuridiche (art. 145 cod. proc. civ:), 

I 

si' rinviene nella locuzion� norm�ativa: �consegna dell'atto a persona ~ 
addetta alla sede �. ~ 
Questa espressione postula la necessit� della conoscenza di fatti noti, 

I

cui si collega, per normale e ragionevole conseguenzialit� logica, l'esistenza 
di altri fatti, dai quali scaturisca l'effetto giuridico finale, quale � la 
qualificazione di �incaricato alla ricezione dell'atto� nella persona fisica, 

I

alla quale viene consegnato materialmente il documento contenente l'atto 
stesso. 
:B di tutta evidenza che quanto pi� e diversi sono i fatti noti, purch� 

I

precisi e convergenti, tanto pi� si allargano le ipotesi dei fatti ignorati 
ciascuna delle quali pu� anche autonomamente condurre all'affermazione 

Ii

della qualificazione suindicata. 
:B quanto si � verificato nella fattispecie in esame. 
Secondo quanto hanno accertato i giudici del merito la s.r.l. Comcarbo 

I

aveva trasferito la sua sede negli stessi locali in cui trovavasi lo studio 

I

professionale del dott. Roberto Pacaccio, commercialista; in quei locali fu 
rinvenuto Nicola D'Ambrosio; che per ben due volte accett� la consegna l 
degli atti dichiarando di essere impiegato. 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Orbene, alcune delle ipotesi logiche riconducibili a tali fatti possono 
essere le seguenti: a) che il D'Ambrosio fosse un dipendente della s.r.l. 
Comcarbo; b) che fosse un dipendente anche ed esclusivamente del 
dott. Pacaccio; e) che sussistesse un'organizzazione comune tra lo studio 
professionale e la soc. Comcarbo; d) che comunque vi ~osse un vincolo di 
servizio o di collaborazione tra il D'Ambrosio, il dott: Pacaccio e la 
soc. Comcarbo, tale da abilitare il primo a qualificarsi impiegato e ad 
accettare la consegna degli atti, promiscuamente, sia per l'uno che per 
l'altra. 

L'attendibilit� di ciascuna di queste ipotesi, che riposa anche sui 
principi della correttezza e dell'affidamento, imponeva alla soc. Comcarbo 
-stante l'inversione dell'onere della prova -di dimostrare non 
soltanto che il D'Ambrosio non era suo dipendente, come sembra abbia 
fatto, ma di provare anche quelle circostanze che, escludendo tutte le 
ipotesi suindicate, valessero a negare il fatto presuntivo finale della 
idoneit� del D'Ambrosio ad accettare la notificazione degli atti. 

:� in questa insufficienza di indagine del giudice di merito che va 
riscontrato il vizio della sentenza impugnata: nel senso che, nonostante 
la mancanza di una prova completa rigorosa e contraria alla presunzione 
della validit� della notifica, esso giudice ha dichiarato la nullit� della 
notifica stessa. 

Pertanto, la sentenza va cassata con rinvio della causa ad altra sezione 
della Corte di Appello di Roma, che si uniformer� al principio di diritto 
secondo il quale: nell'ipotesi di notificazione di atti a persona giuridic�, 
la cui sede � fissata in locali utilizzati in comune con altre societ�, con 
uno studio professionale, se il documento � consegnato nelle mani di 
persona che si qualifica impiegato e accetta la consegna, per vincere 
la presunzione legale che trattasi di persona addetta alla sede occorre 
una prova completa e rigorosa atta ad escludere non solo l'esistenza di 
un rapporto di dipendenza tra la societ� destinataria dell'atto e la persona 
fisica consegnataria del documento, ma altres�, l'esistenza di qualsiasi 
rapporto in base al quale l'atto notificato venga portato a conoscenza 
della persona giuridica destinataria. (omissis) 

I 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 4 maggio 1981, n. 2704 -Pres. Vigorita . 
Est. D'Orsi -P. M. Antoci (conf.) La Mesa c. Ministero de1le Finanze 
(avv. Stato Salimei). 

Tributi (in genere) -Contenzioso tributario -Ricorso per Cassazione . 
Ricorso cumulativo � Ammissibilit�. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Tributi (in genere) � Contenzioso tributario � Ricorso per Cassazione � 

Termine � Art. 327 c.p.c. � Mancata partecipazione al giudizio per nul� 

lit� delle comunicazioni -Inapplicabilit�. 

(C.p.c. art. 327; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 27). 
� ammissibile un solo ricorso per cassazione contro pi� decisioni della 
Commissione centrale quando risulti con chiarezza l'oggetto dell'impugnazione 
in relazione a tutte le decisioni (ipotesi di impugnazione di tutte 
le decisioni omogenee riferite a diversi periodi di imposta) (1). 

Il termine di un anno dalla pubblicazione della decisione della Commissione 
centrale non � applicabile, secondo quanto dispone l'art. 327 cpv. 
cod. proc. civ., quando il ricorrente dimostri di non aver partecipato al' 
processo a causa della nullit� della comunicazione della data dell'adunanza 
della Commissione (nella specie era stata data una sola comunicazione 
a pi� parti aventi diverso domicilio) (2). 

II 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 10 giugno 1981, n. 3756 -Pres. Sandulli � 
Est. Corda -P. M. Morozzo Della Rocca (conf.). COMARPEL c. Ministero 
delle Finanze (avv. Stato Salinei). 

Tributi (in genere) � Contenzioso Tributario -Ricorso per cassazione -Ri� 
corso cumulativo � Inammissibilit�. 

� inammissibile un unico ricorso per cassazione contro distinte decisioni 
della Commissione centrale (3). 

I 

(omissis) I due ricorsi vanno riuniti, in quanto proposti avverso le 
medesime decisioni. 
Essi sottopongono innanzi tutto a questa Corte alcune questioni di 
carattere preliminare. 
La prima riguarda l'ammissibilit� dei ricorsi stessi, in quanto eia� 
scuno di essi censura cinque decisioni della Commissione tributaria cen


(1-3) Sul ricorso cumulativo intervengono due pronunz1e in netto contrasto. 
Sembra prevalente l'orientamento che nega l'ammissibilit� (Cass. 14 febbraio 1980, 

n. 1061, in questa Rassegna, 1981, I, 99). 
La seconda �massima fa applicazione dell'art. 327 cod. proc. civ. del quale 
deve ormai ritenersi open1nte l'intero testo. Per l'essenzialit� della comunicazione 
della data dell'adunanza della Commissione centrale e del relativo termine v. la 
sentenza 2 luglio 1981, n. 4287, in questo fascicolo pag. 155. 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

trale di identico contenuto, relative a1l'assoggettabilit� all'imposta di ricchezza 
mobile di pretesi redditi di interessi relativamente agli anni 1961, 
1962, 1963, 1964 e 1965. 

Allorch� il soccombente impugni per cassazione con un unico ricorso 
pi� decisioni emesse in diversi processi,� occorre distinguere l'ipotesi in 
cui non sia possibile desumere con certezza avverso quale decisione si 
rivolgano i motivi di impugnazione, da quella in cui tale incertezza non 
sussista e appaia chiaro il rapporto tra decisioni impugnate e censure. 
Solo nel primo caso il ricorso � inammissibile, Jaddove nel secondo il 
ricorso � ,ammissibile, pur sussistendo una contravvenzione a11a 1legge sul 
bollo e residuando, ai sensi dell'art. 19 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 642, 
a carico del cancelliere l'obbligo di trasmettere copia autentica dell'atto 
all'Ufficio del registro. 

Ne11a specie il contenuto dei ricorsi � chiaro e investe tutte e cinque 
le decisioni della Commissione centrale. Sotto tale profilo i ricorsi sono 
pertanto ammissibili. 

La seconda questione riguarda la tempestivit� delle impugnazioni. 
Essa nasce dal fatto che, mentre le decisioni emesse il 18 febbraio 1977 
sono state depositate il 5 aprile 1977, i ricorsi per cassazione sono stati 
notificati il 15 e il 18 dicembre 1978, entro i sessanta giorni dalla notifica 
dell'estratto delle decisioni avvenuta il 18 ottobre 1978, ma oltre l'anno 
dal deposito delle decisioni stesse. 

Va in proposito precisato che questa Corte ha gi� affermato che la 
disposizione dell'art. 327 cod. proc. civ., secondo cui l'impugnazione non 
pu� essere pi� proposta dopo il decorso di un anno dalla pubblicazione 
della sentenza, si applica anche al ricorso per cassazione avverso le decisioni 
dei giudici speciali (allorch� il sistema proprio di esse preveda forme 
di pubblicit� analoghe a quelle che il codice di procedura civile stabilisce 
per le sentenze dei giudici ordinari). 

Il principio inizialmente enunciato con riferimento alle decisioni del 

Consiglio di Stato (sentenze 26 gennaio 1978 n. 351; 17 febbraio 1979 n. 1050) 

� stato riaffermato anche con riferimento alle decisioni delila Commis


sione tributaria centrale (sentenza 21 luglio 1979 n. 4373). 

Nella specie, per�, la questione � superata dal fatto che l'art. 327 

cod. proc. civ. deve trovare applicazione nella sua interezza, anche, cio�, 

nel secondo comma, relativo all'inapplicabilit� del termine (Jungo) quando 

la parte che non ha partecipato al processo dimostri di non aver avuto 

conoscenza del processo medesimo per nullit� della citazione o della 

notificazione. 

Ed � proprio questo il caso di specie. 

Infatti con il primo mezzo Sebastiano La Mesa, Gaetano La Mesa, 

Emanuele La Mesa e Sebastiano Lo Pizzo lamentano la violazione del


l'art. 27 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, anche in relazione all'art. 327 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

cod. proc. civ., e sostengono di non aver avuto comunicazione della data 
di discussione dei ricorsi e di non aver potuto conseguentemente presentare 
memorie. 

Essi documentano la loro asserzione con la produzione della busta 
recante c.mulativamente i nomi dei tre La Mesa e contenente un unico 
avviso dell'udienza intestato a Sebastiano La Mesa. 

Orbene, posto che la produzione di tali documenti � possibile (art. 372 
cod. proc. civ.) perch� si tratta di documenti relativi alla nullit� della 
sentenza impugnata e all'ammissibilit� del ricorso, questa Corte ritiene 
che dal loro esame appare la fondatezza della doglianza. 

L'art. 27 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, sulla revisione della disciplina 
del contenzioso tributario, prescrive nel terzo comma che la data 
fissata per la decisione del ricorso davanti alla Commissione tributaria 
centrale deve essere comunicata alle parti almeno sessanta giorni prima. 
Queste (art. 27, quarto comma) possono prendere visione del fascicolo e 
depositare in segreterie memorie fino a trenta giorni prima della data 
fissata per la decisione e repliche fino a dieci giorni prima. Le parti, inoltre 
(art. 27, sesto comma) hanno diritto di conoscere la composizione 
della sezione e possono proporre istanza di ricusazione fino al giorno 
prima della data fissata per la decisione. 
Nel caso di pluralit� di parti, secondo i principi generali discendenti dagli 
artt. 136 e segg. cod. proc. civ., ciascuna di esse ha diritto ad avere la 
comunicazione, dovendosi negare tra coobbligati l'esistenza di una sorta 
di reciproca rappresentanza processuale (cfr. Corte Cast. 16 maggio 1968 

n. 48). 
Nella specie, invece, come si � detto, la segreteria della Commissione 
Tributaria centrale invi� ai ricorrenti un'unica busta intestata ai tre 
La Mesa recante un indirizzo con tre numeri civici, per altro in parte 
inesatti, e contenente un unico avviso intestato a La Mesa Sebastiano. 
Viceversa era necessario che ciascuno dei contribuenti ricevesse l'avviso 
della data fissata per la decisione. 

La mancanza di tale avviso, cui � seguita la mancata esplicazione di 
attivit� difensiva da parte di quattro dei cinque contdbuenti davanti alla 
Commissione tributaria centrale, ha comportato la nuHit� delle decisioni 
della commissione medesima. (omissis) 

II 

(omissis) Il ricorso � inammissibile perch� proposto, con un unico 
atto, contro due distinte decisioni, relative a due distinti procedimenti. 

L'inammissibilit� del ricorso, in tal modo proposto, � stata ripetutamente 
affermata dalle Sezioni Unite di questa Corte Suprema (sentenza 
28 aprile 1975 n. 1616 e 25 maggio 1971 n. 1537), con la precisazione che 
la legge processuale regola i casi in cui, ad iniziativa della parte, pu� 


137

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

essere iniziato un giudizio unico rispetto a domande separate (casi di 
liti:scO�llsorzio: a;:rticoli 102 e 103 cod. proc. civ.), oppure due giudizi separati 
possono essere riuniti per provvedimento del giudice (articoli 273, 
274 e 350) o in caso di intervento; e che, pertanto, fuori di questi casi 
specifici, non rientra nei poteri della parte il dar luogo, inizialmente, ad 
unico giudizio, cos� come in corso di causa non pu�, di sua iniziativa, 
provocare la riunione di giudizi separati. 

� ben vero, peraltro, che da tale impostazione si � discostata la successiva 
sentenza 6 novembre 1976 n. 4037, la quale ha affermato che 
l'inammissibilit� del ricorso per cassazione contenuto in un unico atto 
e diretto contro sentenze pronunciate in giudizi autonomi e diversi, vertenti 
fra le stesse persone, deve essere esclusa ogni qualvolta siano 
osservati i termini e gli altri oneri sanciti dalla legge, quali, tra gli 
altri, quello relativo all'effettuazione dei depositi per il caso di soccombenza 
(allora prescritto) in numero e di importo corrispondente alle 
sentenze denunciate. E ci� con la precisazione che, in tale caso, alla 
eventuale violazione del bollo (iart. 13 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 642) 
supplisce il rimedio, meramente fiscale, della rimessione degli atti al 
competente ufficio del registro (art. 31). Non sussistono, per�, valide 
ragioni per seguire questa seconda impostazione, soprattutto perch� la 
sentenza predetta non si � data alcun carico di esaminare gli argomenti 
giuridici gi� addotti dalle Sezioni Unite, i quali, per vero, non appaiono 
facilmente superabili. 

Prima della promulgazione della legge 18 ottobre 1977 n. 793 (che. 
abrogando l'art. 364 cod. proc. civ., ha soppresso l'istituto del deposito 
per soccombenza), il problema dell'ammissibilit� dell'unico ricorso contro 
pi� sentenze trovava, nei singoli casi concreti, soluzione negativa sul solo 
rilievo dell'insufficienza del deposito predetto, essendo pressoch� normale 
l'effettuazione di un solo deposito da parte di chi, pur impugnando pi� 
sentenze (pronunciate in giudizi e distinti), presentava un solo ricorso 
(v., ad es., la sent. 30 maggio 1965 n. 1924). E questa, evidentemente, � la 
ragione che spiega il motivo della scarsa elaborazione giurisprudenziale 
sull'argomento. 

Numerose, invece, sono le sentenze che affermano l'ammissibilit� dell'unico 
ricorso contro pi� sentenze emesse, per�, nello stesso giudizio 
(v., fra le tante, le sent. 25 ottobre 1976 n. 3837, 12 agosto 1976 n. 3036 
e 29 ottobre 1963 n. 2862); ma proprio dall'argomento addotto per la dimostiiazione 
di tale ammissib11it�, incentrato sull'unitariet� del rapporto 
processuale pu� sicuramente trarsi spunto per ritenere che quaindo manchi 
quel oarattere unitario venga meno anche il carattere unitario dell'impugnazione, 
la cui inammissibilit�, quindi, poteva gi� essere �dichiarata 
anche prescindendo dall. rilievo dell'insufficienza dei depositi per soccombenza. 
� ovvio, infatti, che la parte non pu�, con unico atto di impugnazione 

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138 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

rispetto a diversi procedimenti, fuori dei casi consentiti dalla legge (come, 
peraltro, prevedeva il secondo comma dello stesso art. 364 cod. proc. civ.), 
far s� che la ulteriore trattazione di tali distinti processi avvenga congiuntamente, 
sovvertendosi l'ordinario andamento dei giudizi. 

Pi� di recente, infine, le stesse Sezioni Unite di questa Corte hanno 
ribadito il loro orientamento, con la sentenza 9 ottobre 1979 n. 2151, 
seguite, poi, dalla sentenza 14 febbraio 1980 n. 1061 (I Sez.), relativa, proprio, 
al caso di un unico ricorso contro due distinte decisioni della Commissione 
Tributaria Centrale. 

A questo consolidato indirizzo il Collegio intende uniformarsi, ritenendo 
pienamente valide le ragioni giuridiche che lo giustificano. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 7 maggio 1981 n. 2967 -Pres. Marchetti Est. 
Martinelli -P. M. Antoci (conf.) -Di Paolo c. Ministero delle 
Finanze (avv. Stato Viola). 

Tributi (in genere) -Contenzioso tributario -Ricorso alla Commissione 
centrale -Motivazione -Necessit� -Motivazione � per relazionem � Inidoneit�. 


(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 25). 
Il ricorso alla Com.missione centrale � inammissibile se non contiene 
la enunciazione dei motivi; non soddisfa l'esigenza della motivazione 
il richiamo ad altro ricorso, nemmeno quando esista una stretta 
correlazione come nel caso d'imposta di ricchezza mobile e sulle 
societ� (1). 

(omissis) Con il primo e secondo motivo, che stante la loro interdipendenza 
logica, vanno congiuntamente esaminati, il ricorrente, lamentando 
la violazione dell'art. 25 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 in relazione 

(1) L'esatta pronunzia ha messo in chiaro la diversa rilevanza della motivazione 
del ricorso alla Commissione centrale rispetto ai motivi del ricorso 
in primo e secondo grado; per questi era ammesso il ricorso interruttivo, per il 
ricorso alla Centrale tale possibilit� era esclusa. Tale distintlone conserva importanza 
anche oggi, dopo che con la novella del d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739, � 
stato eliminato il ricorso interruttivo: la motivazione considerata nell'art. 25 
� qualcosa di pi� dei motivi dell'art. 15 giacch� il ricorso alla Commissione 
centrale � una impugnazione limitata e attraverso i motivi deve poter essere 
verificata l'ammissibilit� del ricorso (Cass. 9 marzo .1981, n. :1316, in questa 
Rassegna, 1981, I, 818). 
Corretta deve ritenersi anche la precisazione che il ricorso, che non � 
necessariamente legato ad altri, non pu� essere motivato per relationem nemi 
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meno nei casi in cui tale motivazione � ammessa per le decisioni pronunciate 
contemporaneamente. ! 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

all'art. 360 n. 3 e 4 cod. proc. civ., censura l'impugnata decisione per aver 
dichiarato l'inammissibilit� del ricorso, sotto l'errato presupposto del 
difetto di specificit� dei motivi, omettendo di considerare che l'art. 25 
legge cit. non prevede espressamente tale tipo di inammissibilit�; e che, 
comunque, nel ricorso �de quo� vi era il richiamo �per relationem � ai 
motivi, formulati, in modo specifico nei ricorsi presentati in ordine alle 
decisioni della Commissione Tributaria di seconda istanza riguardanti 
l'accertamento dell'imposta di ricchezza mobile cat. B, attinente allo 
stesso reddito, che aveva dato luogo all'accertamento dell'imposta sulle 
societ�, oggetto della causa in esame. 

La censura � destituita di fondamento. 

Invero, � principio di carattere generale che l'atto con il quale � 
proposta l'impugnazione avverso un provvedimento giurisdizionale deve 
contenere le indicazioni necessarie all'individuazione della statuizione o 
del � punto � della medesima, investita dall'impugnazione, nonch� delle 
ragioni di diritto e di merito poste a fondamento della censura. 

Tale principio anche se in alcune ipotesi di impugnazione non assume 
carattere rigoroso in ordine alla specificit� di motivi, e consente la produzione 
di nuovi motivi nel prosieguo del giudizio, tuttavia richiede, pur 
sempre, che i motivi, contenuti nell'atto introduttivo siano idonei ad 
individuare l'oggetto e fa ragione dell'impugnazione. 

Tale principio trova applicazione anche per quanto riguarda il ricor� 
so innanzi alla Commissione Tributaria Centrale. 

N� pu� dedursi in contrario che l'art. 25, con il richiamare il secondo 
comma dell'art. 15, non preveda la inammissibilit� del ricorso in caso di 
mancata indicazione dei motivi. Infatti, pur essendo esatto che la citata 
disposizione non prevede la inammissibilit� in caso di mancata indicazione 
dei motivi, ci� trova spiegazione nella norma del quarto comma 
dell'art. 19 (applicabile anche nel procedimento di appello), secondo la 
quale il contribuente pu� dedurre motivi ed eccezioni, ancorch� non 
indicati nel ricorso, fino a dieci giorni precedenti la prima udienza. Nel 
procedimento dinanzi alla commissione tributaria centrale, invece, il 
secondo comma dell'art. 25 prescrive espressamente fa enunciazione dei 
motivi di ricorso, cos� che dalla mancata enunciazione non pu� non 
derivare (secondo i princ�pi generali) la inammissibilit� dell'impugnazione. 


N� � possibile accogliere la tesi, secondo la quale la norma deve 

ritenersi osservata mediante il richiamo �per relationem � ad altri atti, 

facenti parte dello stesso o di altro procedimento, dovendosi osservare 

�n contrario che l'atto con il quale si propone l'impugnazione (salvo 

diversa espressa disposizione, che, come gi� rilevato, nella specie non 

sussiste) deve essere completo ex se; cosicch� non pu� farsi luogo a una 

sua integrazione con il contenuto di altri atti. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Neppure, � in subiecta materia�, possono ricavarsi validi argomenti 
dall'orientamento giurisprudenziale secondo il quale, in materia di accertamento 
di redditi rilevanti contemporaneamente a fini dell'imposta di 
ricchezza mobile e di quelal sulle societ�, � consentita per quest'ultimo tributo, 
la motivazione per relationem con il mero riferimento a quello riguardante 
l'imposta di ricchezza mobile e alle conclusioni a cui l'organo 
giurisdizionale sia pervenuto in proposito circa l'accertamento e la quantificazione 
del reddito. Infatti, tale riferimento in detta ipotesi trova 
giustificazione nel carattere necessariamente conseguenziale che riveste 
l'accertamento del reddito soggetto a imposta sulle societ� rispetto 
all'accertamento dello stesso reddito rilevante ai fini dell'imposta di ricchezza 
mobile, anche se trattasi di tributi oggettivamente diversi. Nesso 
questo che, invece, non pu� avere rilevanza per l'atto di impugnazione, 
data la rkocdata esigenza di completezza dell'atto di impugnazione, 
e della sua autonomia rispetto ad altri atti del procedimento. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 21 maggio 1981 n. 3329 -Pres. Vigorita Est. 
Granata -P. M. Grimaldi (conf.) -Carboni (avv. Gallo) c. Ministero 
delle Finanze (avv. Stato Gargiulo). 

Tributi (in genere) � Contenzioso tributario -Giudizio di terzo grado Estimazione 
semplice � Fattispecie. 

'" .P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 26 e 40). 

Le questioni sulla esistenza e quantificazione del reddito, in quanto 
rientranti nella P.stimazione semplice, sono sottratte al giudizio di merito 
del giudice di ierzo grado che, potendo esclusivamente controllare la 
legittimit� della decisione impugnata, � chiamato soltanto a valutare 
l'astratta idoneit� degli indici utilizzati per l'accertamento induttivo (1). 

(omissis) Con l'unico motivo di ricorso, il Carboni denunzia, in reiazione 
all'art. 360 n. 3 e n. 5 cod. proc. civ., omessa, insufficiente e contraddittoria 
motivazione circa un punto decisivo della controversia, 

(1) Conforme � la sentenza in pari data n. 3330. Sul punto della non deducibilit� 
in terzo grado dell'impugnazione concernente la sostanza dell'accertamento 
induttivo, mentre � deducibile la questione della legittimit� dell'accertamento 
con il ricorso al metodo induttivo, la giurisprudenza � pacifica (Cass. 
10 aprile 1979, n. 2046, in questa Rassegna, 1979, I, 719, con richiami). 
Merita tuttavia di essere segnalata la sentenza sia perch� riporta il problema 
della delimitazione dei poteri del giudice di terzo grado alla dicotomia estimazione 
semplice-estimazione complessa e sia perch� ricomprende nell'estimazione 
semplice le questioni relative all'esistenza del reddito; v. sull'argomento anche 
l'altra sentenza 27 giugno 1981, n. 4185, in questo fascicolo pag. 152. 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 141 

nonch� violazione e falsa applicazione dell'art. 137 t.u. del 1958 n. 645. 
E sotto un primo profilo rimprovera alla decisione impugnata di avere 
fatto riferimento, quale indice concreto di capacit� contributiva, alla 
� redditivit� � delle societ� cui egli partecipava, dimenticando essere in 
punto di fatto pacifico che ,1e societ� stesse non avevano, nell'esercizio 
dell'anno considerato, realizzato alcun reddito, chiudendo anzi in perdita: 
orbene, venuto meno questo indice, il semplice riferimento al tenore 
di vita, non adeguatamente motivato, del contribuente, non avrebbe di 
per s� legittimato l'accertamento induttivo. Ricorda poi che la Commissione 
centrale, per superare la proposta le censura di difetto di motivazione 
addebitata alla Commissione provinciale relativamente alla statuizione 
con cui questa aveva ritenuto ingiustificata la riduzione dell'imponibile 
operata dalla Commissione di primo grado, ha affermato che 
�doveva il contribuente dimostrare la inesistenza e la minore entit� 
del reddito� attribuitogli, e che, avendo egli, nel caso, semplicemente 
reiterato gli argomenti gi� esposti e valutati in primo grado, �i secondi 
giudici... (avevano) implicitamente ritenuto che tali argomenti valessero 
per quantificare il reddito nella misura da essi determinata'" Obietta 
il ricorrente che, prima ancora di attribuire siffatto onere al contribuente, 
� necessario che gli elementi di fatto forniti dall'ufficio per la determinazione 
sintetica del reddito devono essere di per s� concreti ed attuali, 
tratti da dati certi e concordanti, laddove non sarebbe soddisfacente 
a tal fine il semplice riferimento al tenore di vita ed alle partecipazioni 
societarie, quando come nella specie nulla di concreto sarebbe stato 
detto sul primo elemento e d'altro canto la partecipazione a societ� con 
bilancio in perdita pu� solo significare l'effetto di una condizione passata 
e di un benessere non pi� in atto. Ad avviso del ricorrente, inoltre, 
la Commissione centrale avrebbe arbitrariamente fornito alla decisione 
della Commissione provinciale una motivazione facendo riferimento, per 
implicito e per relationem, a quella della Commissione distrettuale, peraltro 
dimenticando anche che questa aveva determinato il reddito in una 
misura largamente minore (7 milioni) a quella poi fissata dalla Pr�vinciale 
(16 milioni). 

La complessa censura � infondata. 

Essa investe, nella sostanza, problemi di esistenza e di quantificazione 
del reddito; problemi, quindi, di estimazione �semplice, rispetto ai 
quali il controllo esperibile dalla Commissione centrale � di mera legittimit�, 
e dunque limitato alla sola verifica della motivazione addotta 
dalla Commissione di II grado a giustificazione della quanti:ijcazione 
da essa medesima adottata. Ed a propria volta il controllo di legittimit� 
demandato a questa Corte Suprema pu� avere per oggetto soltanto la 
conseguenza della motivazione addotta sul punto dalla Commissione 
Centrale. 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

142 

Alla stregua di tale impostazione, si deve qui l'indagine limitare alla 
constatazione non essere vero che la Commissione Centrale abbia riconosciuto 
legittima una motivazione per relationem; al contrario essa, 
valutando la motivazione della Commissione provinciale, come doveva, 
nel suo complesso, ha ritenuto che questa avesse, sia pure per implicito, 
apprezzato la idoneit� degli �indici�, tenuti presenti dai giudici di 
appello, a condurre alla qualificazione del reddito nella misura dai 
medesimi stabilita. 

N� pu� dubitarsi della � astratta idoneit� � di tali indici (non limita:
ti alle partecipazioni societarie, ma includenti il possesso di una scuderia 
di cavalli, il possesso di una autovettura di apprezzabile valore, 
il compimento di viaggi all'estero) a giustificare il metodo sintetico 
ed i risultati in concreto con esso raggiunti, ove si consideri l'indubbio 
valore sintomatico che ciascuno di essi, astrattamente riguardato, esplica, 
ed inoltre si ricordi che i giudici di appello avevano anche sottolineato 
la qualit� di amministratore unico o di accomandatario, rivestita dal Car-' 
boni in alcune delle societ� alle quali partecipava, cos� mettendo in luce 
una potenziale fonte di reddito indipendente dalla passivit� del bilancio. 

(omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 4 giugno 1981 n. 3609 -Pres. Granata Est. 
Falcone -P. M. Grimaldi (conf.) -Bennati (avv. Carboni Carner) 

c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). 
Tributi erariali diretti � Accertamento � Motivazione � Metodo induttivo Preliminare 
verifica analitica dei redditi dichiarati � Non � necessaria. 

(T.U. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 137). 
Tributi (in genere) � Contenzioso tributario � Giudizio di terzo grado � 
Accertamento induttivo -Verifica della idoneit� astratta dei fatti 
indice � Cognizione dei fatti accertati dalle commissioni di primo e 
secondo grado -Esclusione. 

(d.P.R. 26 ottobre 1936, n. 636, art. 40). 
Se nell'iter per giungere alla determinazione sintetica del reddito la 
preventiva verifica analitica del reddito dichiarato rappresenta un 
momento ineliminabile, questa verifica non deve necessariamente essere 
portata a conoscenza del contribuente attraverso la motivazione, essendo 
sufficiente l'esposizione delle ragioni poste a base del criterio induttivo 
adottato (1) .. 

(1-2) Conformi sono le sentenze in pari data nn. 3610, 3611 e 3612. 

Nella casistica ormai ricca della ammissibilit� dell'accertamento con metodo 
induttivo si inserisce una ulteriore precisazione: non � necessario esporre una 
dimostrazione analitica della inattendibilit� della dichiarazione, quando fatti-

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143

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Il Giudice di terzo grado (nella specie Corte d'appello), come nell'abrogato 
sistema il giudice ordinario, ove la contestazione cada sulla legittimit� 
dell'accertamento induttivo, ha soltanto il potere di verificare l'avvenuta 
specificazione dei fatti indice posti a base dell'accertamento, l'avvenuta 
contestazione .dei medesimi al contribuente e l'astratta idoneit� 
di tali fatti a legittimare nel caso concreto il ricorso al metodo induttivo. 
Esula dai poteri del giudice di terzo grado estendere l'indagine sulla 
portata significativa dei fatti indice per delinearne una valutazione e interpretazione 
diverse da quelle compiute dalle Commissioni di primo e 
secondo grado e concludere con un apprezzamento difforme (2). 

(omissis) Con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata 
perch�, dopo avere ammesso che intanto pu� aversi determinazione 
sintetica del reddito imponibile in quanto sia stata previamente 
effettuata dall'Ufficio la determinazione analitica (rispetto alla quale 
i fatti-indice valorizzati lasciano presumere un reddito superiore), ha poi 
respinto rimpugnativa di nullit� degli avv.isi di aocertamento, per difetto 
di motivazione al riguardo, affermando che detto presupposto ricorre 
quando l'Ufficio, ritenuta per analitica la dichiarazione del contribuente, 
proceda, quindi, alla rettificazione della stessa in via induttiva. 

L'art. 137 del d.P.R. 29 gennaio 1958 n. 645, invece, ad avviso del ricorrente, 
impone all'ufficio: di verificare che siano state dichiarate tutte 
le fonti di reddito e tutti i redditi da esse provenienti; di confrontare 
il tenore di vita del contribuente con il reddito cos� determinato in via 
analitica; di quantificare, infine, il reddito sulla base degli indizi di 
maggior reddito, dando conto di questo iter logico nell'avviso di accertamento. 


indice affidabili facciano emergere che il reddito presumibile � superiore a quello 

accertabile analiticamente; in sostanza la motivazione che si richiede � quella 

essenziale che si basa sui fatti (che � tipica dell'atto amministrativo) non quella 

argomentativa che � piuttosto caratteristica della sentenza. Per un precedente 

specifico v. Cass. 5 marzo 1979, n. 1363, in Riv. Leg. fisc., 1980, 216; pi� in generale 

sulla ammissibilit� (anzi doverosit�) della correzione in via induttiva del risultato 

dell'accertamento analitico, Cass. 2 ottobre 1980, n. 5349, in questa Rassegna, 

1981, I, 554. 

La seconda massima riconferma un concetto ormai ben fermo sul punto 

della deducibilit� innanzi al giudice di terzo gmdo dell'inadeguatezza dell'accer


tamento sintetico. � pacifico che pu� essere dedotta soltanto la nullit� del� 

l'accertamento per illegittimo ricorso al metodo induttivo o insufficiente moti


vazione sul punto (il che si risolve in una questione di applicazione della legge) 

mentre � preclusa ogni impugnazione sulla sostanza dell'accertamento (che si 

concreta in una questione di semplice estimazione). 

Ma quel che maggiormente interessa � il problema della valutazione della 

prova; gi� con la sentenza 9 gennaio 1978, n. 48 (in Riv. Leg. Fisc., 1978, 808) 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

144 

La sentenza impugnata si presenterebbe, inoltre, non motivata in 
ordine alla questione se gli avvisi di accertamento contenessero una 
motivazione idonea a dar conto della sussistenza dei presupposti per 
'l'adozione del metodo sintetico. 

La censura sostanzialmente unica -poich� l'addebito di difetto di 
motivazione � diretto a cogliere, sotto l'aspetto della mancata esposizione 
delle fasi logico-giuridiche necessarie per giungere dalla dichiarazione dei 
redditi all'accertamento sintetico di essi, la violazione dei princ�pi che, 
secondo l'assunto critico, impongono tale iter -non � fondata. 

L'avviso di accertamento, come risulta dalla sentenza impugnata, non 
era affatto immotivato, ma conteneva la precisa esposizione di numerosi 
e specifici fatti-indici della disponibilit� da parte del contribuente, dichiaratosi 
privo di un reddito tassabile, di una capacit� economica tale da 
giustificare la sussistenza di un reddito superiore a quello analiticamente 
accertabile sulla base degli elementi forniti con fa dichiarazione; ci� che 
era sufficiente, non essendo richiesto, contrariamente a quanto si assume, 
che l'accertamento contenga la preliminare esposizione della verifica 
analitica dei redditi dichiarati, seguita dall'indicazione delle ragioni poste 
a fondamento della determinazione induttiva del reddito (sent. 5 marzo 
1979 n. 1363). 

L'art. 137 del t.u. cit., nel disporre che se il tenore di vita del contribuente 
od altri elementi o circostanze di fatto lasciano presumere un 
reddito netto superiore a quello risultante dalla determinazione analitica, 
il reddito netto viene determinato sinteticamente con riferimento al 
tenore di vita del contribuente o ad altri elementi o circostanze di fatto, 
non pone la regola che il ricorrente assume essere stata violata. Perch�, 
se nell'iter per giungere alla determinazione sintetica del reddito la preventiva 
verifica analitica del reddito dichiarato rappresenta un momento 
ineliminabile, tuttavia questa verifica pu� ben essere quella effettuata 

era stato messo in luce che al giudice ordinario spettava soltanto una � valuta 
zione logico-giuridica della astratta idoneit� dc: fatti contestati al contribuente 
con esclusione di ogni apprezzamento in ordine alla loro materiale esistenza 
e portata quantitativa� (nello stesso senso la sentt!nza 21 maggio .19&1, n. 3329 
in questo fascicolo pag. 140). La sentenza ora intervenuta va ancora oltre e 
precisa che al giudice di terzo grado non � consentito l'apprezzamento dei fatti 
per trarne una valutazione o interpretazione diverse da quelle compiute dalle 
commissioni di primo e secondo grado; il igiudice di terzo grado conosce il 
fatto per emettere una pronunzia di merito, ma lo assume cos� come � stato 
rappresentato nella decisione impugnata. E' questo uno spunto molto rilevante 
ch� deve essere collegato con la r,egola che esclude che il giudice di terzo 
grado (o almeno la Commiss1one centrale) possa esercitare poteri istruttori. 

La sentenza merita d'essere segnalata anche perch� riafferma che i poteri 
attuali del giudice di terzo grado corrispondono a quelli anteriormente riconosciuti 
al giudice ordinario: su questo punto si veda anche la gi� citata sentenza 
21 maggio 198.1, n. 3329. 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 14.S 

dall'ufficio ai fini propri interni di controllo, verifica che non � necessario, 
poi, portare a conoscenza del contribuente, la cui garanzia di tutela 
giurisdizionale dei propri diritti non esige la pretesa estrinsecazione di 
quel momento del procedimento di accertamento. La contestazione dell'accertamento, 
infatti, nell'ipotesi di cui trattasi, va effettuata con riguardo 
alla legittimit� del metodo induttivo seguito, ed alla congruit� del 
reddito accertato rispetto ai fatti-indici posti a base del criterio (induttivo) 
adottato, indipendentemente da ogni possibilit� di ricorso ad una 
valutazione analitica, con la conseguenza che se risulti illegittimo il 
ricorso al metodo induttivo, resta ferma la dichiarazione analitica del 
contribuente, mentre, se il sistema di accertamento risulta legittimo, 
ma errato nei risultati, il reddito accertato pu� essere ridotto, ma sempre 
in via induttiva (v. sent. 1363 del 1979 cit.). 

Con il secondo motivo si addebita, in particolare, alla Corte del merito 
di aver preso le mosse dall'affermazione di essere chiamata a valutare 
soltanto idoneit� e non fa reale esistenza in concreto dei fatti-indice. 
posti a base dell'accertamento sintetico, e di avere, quindi, violato l'art. 4(} 
del d.P.R. n. 636/1972, precludendosi una valutazione che l'avrebbe condotta 
alla conclusione che la polizza di assicurazione sulla vita e la riserva 
di caccia a disposizione del contribuente rappresentavano non gi� � indici 
di una elevata redditivit� attuale, ma residui di un'agiatezza oramai passata
� e che, nel periodo dal 1966 al 1969, non c'era stata la persistenza 
di un patrimonio del contribuente con redditivit� di 100 milioni annui, 
ma il progressivo vanicarsi di un patrimonio assolutamente improduttivo. 

La censura non � fondata. 

Come questa Corte ha avuto gi� occasione di precisare, in materia 
di imposta complementare, qualora l'amministrazione finanziaria abbia 
adottato, in sede di accertamento, in luogo del metodo analitico quello 
sintetico, il potere del giudice ordinario rimane circoscritto all'accertamento 
dell'avvenuta specificazione dei fatti-indice posti a base dell'accertamento 
sintetico, dell'avvenuta contestazione dei medesimi al contribuente 
e dell'astratta idoneit� di tali fatti a legittimare nel caso concreto 
il ricorso al metodo in parola (S.U. 9 gennaio 1978 n. 48). N�, come 
il ricorrente tenta di accreditare, richiamandosi ad una ulteriore specificazione 
dell'ambito dei poteri attribuiti al giudice ordinario, � stata 
denunciata la mancata cognizione dei fatti accertati dalle commissioni 
tributarie di primo e di secondo grado ai fini di un apprezzamento dei 
medesimi tale da esaurirsi nel raffronto di essi con la fattispecie astratta 
dell'accertamento induttivo e nel controllo della correttezza e congn1it� 
dell'applicazione fatta di tale accertamento (sent. 30 marzo 1979 n. 1835), 
perch�, in realt�, senza contestare la ricorrenza dei fatti-indice valorizzati 
in sede di accertamento e l'astratta idoneit� di essi a sorreggere l'accertamento 
in via induttiva, si pretende di addebitare alla sentenza impu-

Il 


146 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

gnata di non avere compiuto il giudizio sulla portata significativa di 
quei fatti ai fini dell'entit� del reddito accertato, delineandone una valutazione 
ed interpretazione diverse da quelle compiute dalle commissioni. 
e ad esse riservate, per concludere con un apprezzamento, sotto tale 
profilo, difforme da quello cui le stesse sono pervenute. 

Deve essere, invece condivisa, al riguardo, la conclusione cui � pervenuta 
la Corte d'appello, di non poter estendere l'indagine sul se quei 
determinati fatti giustificassero Ja presunzione di un reddito di cento 
milioni di. lire o pi� adeguatamente si attagliassero ad una redditivit� 
inferiore o .comunque diversa, una volta riconosciuto che il procedimento 
di accertamento sintetico fu legittimamente introdotto secondo il paradigma 
legislativo. 

Con il terzo e quarto motivo, sotto il profilo dell'ulteriore violazione 
e falsa applicazione degli artt. 37 e 137 del t.u. n. 645 del 1958 (terzo 
motivo) e degli artt. 37, 29 terzo comma e 40 d.P.R. n. 636 del 1972 (quarto 
motivo), il ricorrente sostiene che � stato assunto, come idoneo fattoindice 
del suo reddito, il possesso di quote od azioni di partecipazione 
a societ� collegate, senza procedere ad accertamento analitico del reddito 
di esse e senza tenere conto che egli aveva dimostrato la sua estraneit� 
a quasi tutte le societ� in questione. Solo in conseguenza dell'obliterazione 
di questo maiterfail.e probatorio, fa Corte d'appeHo -continua 11 ricorrente 
-ha potuto considerare valido per il 1969 un accertamento fondato 
sul presupposto che il reinvestimento di 600 milioni (realizzati nel 1966per 
coprire delle perdite) abbia prodotto un reddito pari ad un sesto 
del capitale. La stessa Corte -prosegue il ricorrente -ha erroneamente 
disatteso il motivo di impugnazione della decisione della commissione 
di secondo grado, in cui �non v'� una sola parola sulla questione delle 
partecipazioni azionarie� e si accenna (soltanto) alla destinazione di 
�600 milioni ricavati dalla vendita (nel 1966) di partecipazioni azionarie; 
� caduta in contraddizione per avere affermato, da un lato, che esso 
Bennati aveva venduto nel 1966 tutte le sue partecipazioni, realizzando 
cos� seicento milioni ed avere supposto, dall'altro, la persistenza, negli 
anni successivi, di tali partecipazioni; per avere, in altre parole, presunto 
il reddito derivante dal reinvestimento dei 600 milioni e ritenuto la persistenza 
delle partecipazioni gi� vendute. 

Le censure che, nel loro nucleo essenziale, muovono da una lettura 

�della decisione della commissione di secondo grado e quindi di quella 

dei giudici di appello che non ne rispecchia l'esatta portata e, di conse


guenza, la coerente ed esatta motivazione sui punti di cui ancora si 

discute, non possono essere accolte. 

La partecipazione del contribuente a societ� collegate � stata consi


<Clerata un indice del reddito di cui egli godeva, in connessione degli altri. 

fatti-indice valorizzati; n�, ritenuta la legittimit� del ricorso all'accerta


mento induttivo per la presunzione di un maggiore reddito, rispetto ' 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

a quello accertabile sulla base degli elementi offerti dalla dichiarazione 
resa, derivante dal tenore di vita e dagli altri elementi e circostanze 
di fatto presi in considerazione, poteva essere richiesta in proposito una 
determinazione analitica. 

La commissione tributaria, la cui decisione la Corte d'appello ha confermato 
con una lunga, articolata e complessa motivazione che, proprio 
per queste sue caratteristiche, ha potuto offrire il pretesto a spunti critici 
di apparente consistenza, ha tenuto conto della documentazione presentata 
dal contribuente per ridimensionare il numero delle partecipazioni 
azionarie che gli era stato attribuito dall'ufficio, ma ha giudicato che 
le risultanze di essa non erano tali da elidere le conclusioni cui era giunto 
l'ufficio, posto che, come lo stesso contribuente riconosce ancora in questa 
sede, egli aveva dimostrato la sua estraneit� �a quasi tutte (cio� non 
a tutte) le societ� in questione �. 

� decisivo, poi, ricordare che la commissione tributaria di secondo 
grado, fa cui decisione era impugnata per virio di motivazione ed omesso 
esame delle questioni sollevate dal Bennati, ha tenuto conto delle 
(residue) partecipazioni azionarie di lui, precisando che esse non si esaurivano 
in quelle cui l'ufficio aveva fatto riferimento analiticamente ed 
in 01dine alle quali non era risultata provata la sua asserita totale estraneit�, 
ma ne comprendeva anche altre che erano state da lui cedute 
soltanto nel 1969. 

Non collimano, pertanto, con i risultati cui le commissioni tributarie 
sono giunte in punto di accertamento dei fatti e delle circostanze da cui 
hanno induttivamente quantificato il maggior reddito del contribuente, 
le premesse da cui muovono le censure: che sia stato cio� affermato un 
reinvestimento nel 1969 della somma di 600 milioni realizzati con le alienazioni 
di partecipazioni a2lionarie poste in essere nel 1966 e sia stata 
ritenuta l'avvenuta vendita delle partecipazioni azionarie nel 1966 per 
600 milioni e (contraddittoriamente) la persistenza di tali partecipazioni 
negli anni successivi. 

La commissione di secondo grado e la corte d'appello, hanno, in 
realt�, tenuto ben distinto il complesso di partecipa2lioni azionarie di cui 
il Bennati era titolare e che in gran parte fu da lui alienato nel 1966 
(per una cifra da essi giudici non indicata), dall'ulteriore �pacchetto � 
azionario da lui posseduto nello stesso periodo di tempo (posto che lo 
stesso ricorrente, sia pure assumendo di avere alienato le partecipazioni 
nell'anno 1966 per ripianare passivit� di societ� in cui era interessato, 
escludeva che l'operazione fosse avvenuta come disinvestimento in vista 
di impiego dei capitali ricavati in partecipazioni azionarie diverse dalle 
prime) e che risult� venduto per un importo di 600 milioni nel 1969, 
circostanza quest'ultima che le stesse commissioni, le quali ne avevano 
acquisito la documentazione bancaria, affermarono non essere stata mai 
contestata. (omissis) 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 10 giugno 1981, n. 3750 -Pres. Marchetti Est. 
Corda -P. M. Minetti (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato 
Gargiulo) c. Partito Democrazia Cristiana (avv. Fanti). 

Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Simulazione -Sentenza � 

Tassabilit� come retrocessione -Ulteriore trasferimento a favore di 

terzo -Autonoma tassazione. 

(R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269, artt. 8, 11, 14 e 62). 
La sentenza che dichiara la simulazione, assoluta o relativa, di un 
atto di trasferimento opera una retrocessione a sua volta soggetta alla 
imposta; se poi, in caso di simulazione soggettiva, il negozio dissimulato 
produce effetto a favore di un terzo (interponente) � dovuta una terza 
imposta (1). 

(omissis) Con l'unico motivo di censura, la ricorrente Amministrazione 
:Eilnanziwia denuncia, ai sensi dell'art. 360 n. 3 e 5 cod. proc. civ., 
la violazione degli articoli 8, 10, 11, 12, 62 e 72 della legge organica di 
registro (r.d. 30 dicembre 1923 n. 3269) e critica la pronuncia impugnata 
nel punto in cui ha affermato: 1) che la sentenza presentata alla registrazione 
aveva accertato un caso di interposizione fittizia di persona (non 
gi� un caso di interposizione reale); 2) che, pertanto, la stessa sentenza 
non aveva operato alcun �trasferimento� (dei titoli azionari oggetto del 
negozio soggettivamente simulato); 3) che, quindi, nessuna imposta proporzionale 
di registro era dovuta in base a quella � enunciazione �. 

Chiarisce, anzitutto, che la sentenza in questione, anche se non ha 
(essa stessa) comportato alcun trasferimento, ha, per�, individuato e, 
quindi, �enunciato� un trasferimento dal prestanome all'interponente, 
per il quale non era stata pagata alcuna imposta di registro; e, altres�, 
che quest'ultima � dovuta non solo per il caso che il trasferimento sia 
disposto dalla sentenza presentata alla registrazione, ma anche per il caso 
che la sentenza predetta pronunci � su domande che si basano su convenzioni 
non ridotte per iscritto o per le quali non siano stati enunciati 
titoli registrati � (nel qual caso, oltre alla tassa dovuta sulla sentenza, 
� dovuta anche l'imposta alla quale la convenzione avrebbe dovuto assoggettarsi, 
secondo la sua natura, se fosse stata precedentemente registrata). 

Con riferimento al caso concreto, quindi, sostiene che '1a sentenza in 

questione, per poter accertare e dichiarare che la vendita dei titoli azio


nari non era avvenuta nei confronti del Loi (prestanome), bens� del Par


tito D.C. (interponente), aveva dovuto riconoscere (e, perci�, �enunciare�) 

� un trasferimento di azioni dagli originali possessori alla D.C., per il quale 

(1) Giurisprudenza costante: Cass. 6 luglio .1971, n. 1230; 28 gennaio 1974, n. 229; 
6 gennaio 1979 n. 53, in questa Rassegna, 1971, I, 1220; 1974, I, 48,8; 1979, I, 305. 
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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

nessuna imposta era stata corrisposta, senza possibilit� di confonderla 
con quella pagata dal Loi, attinente a un contratto formalmente concluso 
con esso Loi e non con la D.C.; di modo che la declaratoria giudiziale 
della simulazione doveva intendersi come innovativa rispetto alla titolarit� 
dei diritti ,tale da mutare la situazione preesistente con effetm 

ex nunc. 

La censura � fondata. 

La questione sottoposta all'esame della Corte ha gi� formato oggetto 
di una precedente pronuncia, con la quale si � affermato che, una volta 
dichiarata (con sentenza) la nullit� di un atto di trasferimento, o per 
simulazione assoluta, ovvero per simulazione relativa, l'Amministrazione 
finanziaria ha diritto a una nuova imposta proporzionale di registro, 
oltre a quella gi� corrisposta sull'atto annullato per simulazione, in 
quanto la legge fiscale presume un ulteriore ritrasferimento del bene 
(sent. 6 luglio 1971, n. 2097). 

Tale pronuncia, per la verit�, esprime un principio ancora pi� rigoroso, 
poich� dalla dichiarazione di nullit� dell'atto di trasferimento (per 
simulazione anche relativa) fa discendere la conseguenza del � ritrasferimento 
� del bene dal simulato acquirente all'alienante, il quale � soggetto 
all'imposta di registro, al pari del trasferimento simulato; di modo 
che, risultando un ulteriore � ritrasferimento � dal venditore a . un terzo 
(che, in caso di simulazione soggettiva � l'interponente}, � dovuta l'imposta 
una terza volta. Ai fini tributari, infatti, si configurano, in tale ipotesi, 
tre distinti negozi (l'atto simulato di vendita al prestanome, la retrocessione 
e, infine, la vendita all'interponente) autonomamente tassabili al 
momento della sottoposizione a registrazione, rispettivamente, del primo 
atto (simulato), dclda sentenza dichiamtiva de11a simulazione e della controdichiarazione. 


Ora, nel caso di specie, il contenuto della controdichiarazione �, evidentemente, 
trasfuso nella sentenza che ha, da un lato, accertato la simulazione 
e, dall'altro, dichiarato l'ulteriore � ritrasferimento � all'interponente; 
la domanda, per�, non concerne l'imposizione di due � ritrasferimenti 
�, ma solo dell'ultimo (cio� di quello del venditore all'interponente), 
di modo che la pronuncia � rimasta limitata al petitum. Il richiamo 
della citata sentenza, tuttavia, si � reso opportuno per render chiaro 
il meccanismo dei � ritrasferimenti � (come considerati dalla norma fiscale) 
e, in particolare, per far risaltare che la ratio della tassabilit� dell'ultimo 
di essi va individuata non gi� nella dichiarazione di nullit� (per simulazione}, 
bens� nel fatto del trasferimento del bene dal venditore al terzo 
acquirente (che, nel negozio soggettivamente simulato, era l'interponente). 


� chiaro, pertanto, che di fronte a tale impostazione perdono di 
efficacia le considerazioni fatte dalla pronuncia impugnata circa gli effetti 
�civili� della simulazione relativa. Se, infatti, agli effetti predetti, non 


150. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
occorre, nel caso di interposizione fittizia di persona, un nuovo atto 
formale di trasferimento dall'alienante all'interponente (poich� l'alienante 
� consapevole dell'intervento del prestanome, che non ha acquistato alcun 
diritto, di modo che il negozio deve intendersi concluso direttamente tra 
l'alienante e l'interponente), agli effetti tributari la situazione � sostanzialmente 
diversa, una volta ricordato che l'imposta di registro � � imposta 
di atto � e che le convenzioni tassabili sono non solo quelle risultanti 
da atti formali, ma altres� quelle semplicemente � enunciate�. Di modo 
che, se � tassabile il negozio soggettivamente simulato (stante l'insensibilit� 
della legge di registro ai �vizi� dell'atto), altrettanto � tassabile 
la convenzione che attua il trasferimento dall'alienante all'interponente, 
anche se non contenuta in alcun atto formale. 

Del tutto privo di fondamento �, infine, il rilievo mosso dal contro:
ricorrente, �secondo cui nella sentenza in questione (que11a presentata alla 
registrazione) non si sarebbe potuta ravvisare alcuna �enunciazione� 
del negozio dissimulato, poich� al relativo giudizio non avevano preso 
parte gli alienanti: la tassazione dei negozi o convenzioni �enunciati� 
in una sentenza presentata alla registrazione (art. 62 della legge di registro), 
infatti, prescinde totalmente dai vizi che, eventualmente, inficino 
la sentenza predetta, salva la restituzione, nei casi previsti (articoli 11 e 14 
della legge citata)~ (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 25 giugno 1981, n. 4128 -Pres. Vigorita Est. 
Zappulli -P. M. Grimaldi (conf.) -Soc. S. Barnaba (avv. Manzini) 

c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). 
Tributi (in genere). Contenzioso tributario -Ricorso alla Commissione cen� 
trale . Spedizione a mezzo posta . E' rilevante la data di ricevimento. 

(d.P.R. 26 gennaio 1972, n. 636, artt. 17, 22 e 25). 
Il ricorso alla Commissione centrale deve pervenire nel termine stabilito 
alla segreteria, s� che in caso di spedizione a mezza posta � rilevante 
la data di ricezione, non quella di spedizione (1). 

(1) Viene riconfermato l'orientamento della sent. 26 settembre 1978, n. 4319 
(in questa Rassegna, 1979, I, 200). La diversa disciplina del ricorso alla Commissione 
centrale pu� trovare la sua quantificazione nella necessit� di conoscere 
tempestivamente se il termine per ricorrere alla Commdssione centrale � 
scaduto infruttuosamente, onde stabilire se' pu� essere proposta l'impugnazione 
alla corte d'appello; si verificherebbe una situazione difficoltosa se dopo la 
impugnazione innanzi alla corte d'appello legittimamente proposta a seguito 
della costatazione, certificata anche dalla segreteria, che nessun ricorso alla 
Commissione centrale � pervenuto alla segreteria nel termine ormai scaduto, 
venisse recapitato per posta un ricorso alla Centrale tempestivamente spedito 
e del quale si ignorava l'esistenza. 
-



151

PARTE I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

(omissis) La societ� ricorrente, con il primo motivo del ricorso, 
ha lamentato la violazione nella decisione impugnata dell'art. 25 del 

d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 per essere stata ritenuta la tempestivit� 
del ricorso alla Commissione tributaria centrale da parte dell'ufficio 
finanziario sebbene pervenuto per questo alla segreteria della Commissione 
di Secondo Grado il 4 marzo 1975 e cio� nel sessantunesimo giorno 
dalla notifica della decisione. 
L'amministrezione finanziaria, a sua volta, ha recepito l'applicabilit� 
della proroga dei termini prevista dal d.l. 10 giugno 1974 n. 237 e la tempestivit� 
in ogni caso, della presentazione di quel ricorso per avere gli 
artt. 17 e 22 del citato d.P.R. n. 636 del 1972 stabilito che nel caso di sua 
spedizione a mezzo di raccomandata (come nella specie) �si considera 
come data di presentazione quella di spedizione � avvenuta il 27 febbraio 
1975. 

Il ricorso va accolto per essere infondate entrambe �le eccezioni del:la 
Ammimstrazione rii.corrente, risultando la dedotta tardivit�, per ,essere 
riconosciuto dalle parti la recezione del ricorso nel sessantunesimo giorno 
della notifica della decisione. 

!!Il.vero, droa la dedotta proroga del �termine previsto dal dl. 19 giugno 
1974 n. 237 con riferimento alle disposizioni contenute nel precedente 

d.l. 18 dicembre 1972 n. 788 convertito nella L. 15 febbraio 1973 n. 9, � 
facile osservare che il citato d.l. n. 788 del 1972, nel titolo e nel suo art. 1 
disponeva la proroga suddetta esclusivamente � in materia di tasse e 
imposte indirette sugli affari � senza che nessuna norma l'avesse estesa 
alle imposte dirette, tra le quali � quella in questione. 
Per quanto concerne la presentazione del ricorso va posto in rilievo 
che la sopra riportata norma contenuta nella parte finale del primo 
comma del citato art. 17 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 viale iper il 
ricorso alla commissione tributaria di primo grado, al quale si riferisce 
espressamente lo stesso art. 17 insieme alle altre norme comprese nella 
medesima sezione prima, avente come titolo il � procedimento di primo 
grado � e per quello alla commissione di secondo grado, per il quaie 
l'art. 22, compreso nella sezione successiva relativa al procedimento di 
appello, dispone espressamente che per esso si applicano le disposizioni 
dell'art. 17 primo e secondo comma. 

Invece, per H ricorso alla Commissione tributaria centrale, previsto 
e regolato dalla sezione terza, l'art. 25 dispone nel primo comma che � si 
applica il secondo comma dell'art. 15 � e nel successivo sesto comma che, 
in caso di mancanza delle copie previste per il ricorso, si applica il 
secondo comma dell'art. 17, senza che alcuna sua disposizione rinvii alle 
altre norme sul procedimento innanzi le commissioni di primo grado n�, 
ancor meno, al citato primo comma del suddetto art. 17. 

111111111w11111111!111111-11t1;11111111lr1;111111��1111111111l,�t1 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

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Nella \l1ilevata assenza di una norma che consenta quella diversa valutazione 
della data di spedizione non pu� non tenersi presente il principio 
generale in virt� del quale la scelta di un mezzo di notificazione, quale 

~~~!~ ~:~laild~::!~:, d:~a~~~~::~a!~:t~ein~!;t:,r;;:n:: ~~0::0~n~:~v~~ 

notificando provveda ai propri adempimenti e quello della effettiva recezione 
dell'atto da parte del destinatario della notifica, importa che il 
notificante stesso deve adeguare la propria condotta a tale difformit� 
senza che la scelta del mezzo giustifichi una situazione di incertezza, sia 
pure temporanea, per la controparte. 

Questa Suprema Corte, proprio in tal materia, ha affermato, sulla 
base della disposizione espressa contenuta negli artt. 17 e 22, insuscettibile 
di applicazione analogica, che nel caso di spedizione alla Commissione 
tributaria ceintrafo deve farsti. dfedmento alla data di arrivo del 
ricorso (Cass. 26 settembre 1978 n. 4319) spiegando la diversit� della 
relativa regolamentazione sia nel diverso contenuto della impugnazione 
innanzi la suddetta commissione centrale sia nella alternativit� dell'impugnazione 
stessa rispetto a quella che, secondo l'art. 40, pu� essere proposta 
alla corte di appello e che � soggetta alle fanne pi� rigorose del-
l'ordi.tnario rito civile. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un. 27 giugno 1981, n. 4185 -Pres. La 

Farina -Est. Zappulli -P. M. Saja (conf.). Signori (avv. Marzolo) c. 

Ministero delle Finanze (avv. Stato Imponente). 

Tributi (in genere) -Contenzioso tributarlo -Estimazione semplice -Nozione 
-Sussistenza del presupposto -Vi � compresa. 

Rientrano nella categoria dell'estimazione semplice, oggi pi� esattamente 
definita valutazione estimativa, le questioni nelle quali l'indagine 
sulla sussistenza ed entit� del presupposto impositivo si traduce in una 
mera valutazione di dati ed elementi di fatto, prescindendo dalla soluzione 
di questioni giuridiche ovvero dalla interpretazione di leggi, regolamenti, 
atti e negozi (1). 

(1) Massima apparentemente ripetitiva ma che contiene due jmportanti enunciati: 
la sostanziale equivalenza tra estimazione semplice e valutazione estimativa 
(che poi la odierna valutazione estimativa sia espressione pi� esatta di estimazione 
semplice � soltanto una opinione di contorno); la ricomprensione nella 
estimazione semplice delle questioni sulla esistenza, oltre che sulla entit�, del 
presupposto e quindi anche, con riferimento al caso controverso, sulla riferibilit� 
del fatto presupposto ad uno o ad altro soggetto (ovviamente la questione 
pu� diventare di estimazione complessa ove sul punto dell'esistenza del presupposto 
e della sua riferibilit� venga in discussione la applicazione della legge). 
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153

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

(omissis) La ricorrente Signori ha lamentato, con il primo motivo 
del ricorso, la violazione, nella sentenza impugnata, dell'art. 53 dcl 

r.d. 24 agosto 1877 n. 4021 e dell'art. 40 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, 
per avere la Corte di merito definito quale controversia di estimazione 
semplice, come tale sottratta alla giurisdizione del giudice ordinario, e 
attriibuita aHe commissioni tributarie, quella sulla inesistenza della sua 
obbligazione tributaria per l'assenza di un corrispondente reddito sebbene 
si t�'attasse di una questione per la quale vi erano state indagini per 
un decennio nelle sedi amministrativa, civile e penale su elementi apparenti 
e non reali quali la titolarit� degli effetti cambiari e le procedure 
esecutive. Si doveva accertare, secondo la ricorrente, se vi fosse stato 
un negozio v:ero o simulato e chi fosse :i:l reaile percettore del reddito, e 
cio� la stessa ricorrente, al cui nome erano stati rilasciati i titoli, o la 
effettiva mutuante e creditrice Azzi, alla quale gli stessi, per precedente 
accordo, erano stati consegnati con girata in bianco e che aveva promosso 
l'esecuzione. 
Con il secondo motivo, sostanzialmente connesso, � stata lamentata 
la mancata presa in considerazione da parte del giudice di merito del 
documento relativo all'attribuzione alla suddetta Azzi della somma ricavata 
dalla vendita all'asta dei beni della Signori in base alle cambiali 
ipotecarie, non persistendo deposito della somma medesima in seguito 
al decesso della stessa Azzi, e della sentenza istruttoria di proscioglimento 
della ricorrente dall'attribuitole reato di omissione di denunzia 
del reddito in questione (art. 17 e 244 del T.U. sulle imposte dirette 
approvato con d.P.R. 29 gennaio 1958 n. 645) �perch� il fatto non 
sussiste�. 

I due motivi sono fondati. Pur se sono impropri e irrilevanti i 
richiami della ricorrente alle difficolt� e lunghezze degli accertamenti, le 
quali possono sussistere anche per le questioni di estimazione semplice, 
pi� esattamente definite di �valutazione estimativa� secondo l'art. 40 del 
citato d.P.R. n. 636 del 1972, occovre, peraltro, tem:r presente la fondamentale 
distinzione posta al riguardo dalla giurisprudenza di questa 
Suprema Corte. Secondo la stessa rientrano in quella categoria, in contrapposizione 
alle controversie di estimazione complessa, e sono come 
tali sottratte alla giurisdizione del giudice ordinario, quelle nelle quali 

L'una e l'alt11a proposizione, che erano state infinite volte riaffermate in 
tempi recenti e remoti sono state messe in dubbio per riservare alla valutazione 
estimativa un'area pi� ristretta di quella tradizionalmente riconosciuta all'estimazione 
semplice e di conseguenza allargare l'oggetto dell'impugnazione di terzo 
grado. Sull'articolato problema V. BAFILE, Osservazioni sul giudizio di terzo 
grado nel nuovo contenzioso tributario, in questa Rassegna, .1977, I, 874; Nuove 
riflessioni sul giudizio di terzo grado nel nuovo processo tributario, ivi 1980, I 
429; Nuove prospettive per il giudizio di terzo grado? ivi, 1981, l, 109. 

111.1mr11r11r11~111:111111111.1111111~r111rr1111i111:11111111111111r11111111111 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

l'indagine sulla sussistenza ed entit� dei presupposti impositivi si traduce 
in una mera valutazione di dati ed elementi di fatto, prescindendo 
dalla soluzione di questioni giuridiche ovvero dalla inte:rpretazione di 
leggi, regolamenti, atti o negozi (Sez. Un. 4 agosto 1977 n. 3465). Invece, 
sono di estimazione complessa quelle nelle quali, la determinazione della 
base imponibile dipenda, insieme o no, alle prime, dall'interpretazione 
suddetta. 

Secondo la stessa Suprema Corte esula dall'ambito dell'estimazione 
semplice la questione inerente alla valutazione degli elementi probatori 
offerti ove essa importi necessariamente anche l'interpretazione del significato 
e della portata di norme di legge (Sez. Un. 26 gennaio 1978 n. 356). 

In base a questi principi, non pu� sfuggire che nella specie non sono 
in contestazione meramente l'esistenza e la entit� del reddito imponibile 
dipendente dai titoli cambiari garantiti con l'ipoteca, ma la loro appartenenza 
all'uno o all'altro dei soggetti indicati, e cio� la Signori o la defunta 
Azzi, non gi� per una indagine sulla percezione di fatto dei relativi interessi, 
ma sulla loro spettanza effettiva secondo il valore e gli effetti di quei titoli 
cambiari e di quel trasferimento mediante la predisposta girata in bianco, 
per la quale � stata prospettata una simulazione soggettiva. N� � fuori 
luogo rilevare che anche la sentenza penale di proscioglimento, pur se non 
avente iil ~alore di giudicato perch� emessa in sede istrut<toria, determina 
nuovi problemi giuridici per �iil suo contenuto e fa formula � perch� il 
fatto non sussiste � in riferimento a quell'obbligo di denunzia di un reddito 
del quale vi � stato affermato che la imputata non l'aveva percepito, per 
essere stato �riscosso dalla Azzi � alla quale i titoli pervennero con girata 
in bianco e che di fatto fu la reale mutuante e la reale creditrice dei 

titoli in narrativa. 

Circa tale sentenza � da rilevare che essa, pur riguardando un mero 
fatto, e cio� la mancata percezione del reddito da parte della Signori, 
costituiva, peraltro, uno dei vari elementi di carattere giuridico il cui 
esame era suscettibile di influenza sulla valutazione e definizione del 
rapporto giuridico posto in essere fra i tre interessati, e quindi sia al fine 
del riconoscimento o meno della giurisdizione del giudice ordinario sia per 

la definizione della controversia tributaria. 

Indubbiamente, non spetta a questa Corte pronunziare sulla fonda


tezza o meno delle eccezioni della Signori sulla assenza del suo obbligo 

tributario in relazione agli interessi per le somme indicate nei titoli indi


cati, ma deve ben riconoscersi che l'indagine necessaria non riguarda solo 

l'entit� e la percezione di quel reddito, ma anche i suoi conc<;>rrenti ele


menti di carattere giuridico sopra indicati per i negozi intervenuti tra i 

tre interessati in relazione alle caratteristiche di legge di quei titoli e alle 

conseguenze da valutare pure in relazione alla pronuncia peraltro non 

vincolante, del giudice penale .(omissis) 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 155 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 2 luglio 1981, n. 4287 -Pres. Granata -Est. 
Cochetti -P. M. Silocchi (conf.). Minghetti ed altri (avv. Cogliati Dezza) 

c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Carbone). 
Tributi (in genere) -Contenzioso tributarlo � Procedimento innanzi alla 

Commissione centrale -Avviso di fissazione d'udienza� Termine � Inos


servanza -Nullit� della decisione. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 27). 
Il termine di almeno 60 gg. stabilito dall'art. 27 del d.P.R. n. 636/1972 
per la comunicazione della data della adunanza della Commissione centrale 
� essenziale e la sua inosservanza comporta la nullit� della �decisione, 
a meno che la parte che ha ricevuto la comunicazione� tardivamente non 
abbia esercitato il suo diritto di difesa senza eccepire il difetto del termine 
(1). 

(omissis) Con l'unico motivo i ricorrenti hanno censurato la decisione 
per violia2lione dell'art. 27, terzo e quarto comma, del d.P.R. n. 636 del 
1972, lamentando il mancato rispetto, nel procedimento innanzi la Commissione 
Centrale del termine di sessanta giorni previsto dalla norma citata. 
Essi hanno sostenuto che gli avvisi per raccomandata -da essi prodotti 
in questa sede -della data di decisione del ricorso tributario (fissata per 
il 10 luglio 1970) sarebbero stati spediti soltanto il 25 maggio 1970 -come 
risulterebbe dal timbro postale -e, quindi, meno di sessanta giorni prima 
della data medesima. 

Poich� l'indagine sul fondamento della censura, in relazione al dedotto 

errar in procedendo, pu� essere� compiuta da questa Corte esaminando 

direttamente gli atti del processo tributario, pu� prescindersi dalla deci


sione circa l'ammissibilit� in questa sede di legittimit�, ai sensi del


l'art. 372 cod. proc. civ., della produzione dei documenti depositati dai 

ricorrenti, tendenti a corroborare la tesi dai medesimi sostenuta della 

nullit� del procedimento svoltosi innanzi alla Commissione Centrale. (t!. 

noto che numerose sentenze di questa Corte hanno ritenuto -in con


(1) Eta pacifico che, anche innanzi alla Commissione centrale, � sempre 
essenziale la comunicazione della data della adunanza giacch� la parte, pur non 
potendo assistere alla udienza, pu� presentare difese scritte ed ha diritto di 
conoscere la composizione della Commissione ai fini della proposizione dell'istanza 
di ricusazione. Ora si aggiunge che anche il termine per la comunicazione � 
essenziale. La stessa sentenza per� precisa che l'inosservanza del termine comporta 
la nullit� della decisione soltanto ove la parte resti passiva. Se infatti la 
parte esercita egualmente il suo diritto di difesa presentando la memoria e 
nulla eccepisce, nessuna nullit� pu� essere dichiarata. 
Se poi la parte eccepisce innanzi alla Commissione l'inosservanza del termine, 
questa dovrebbe fissare altra data eliminando cos� ogni irregolarit�. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

trasto con altre decisioni -che la locuzione �nullit� della sentenza� di 
cu iall'art. 372, primo comma, cod. proc. civ. -che pone limiti alla 
produzione di documenti in Cassazione, deve essere intesa in senso restrittivo, 
come comprensiva delle sole nullit� direttamente derivanti da vizi 
propri di tale atto, di ordine sia formale che sostanziale (art. 132, 156, 
cpv., 158, 161, secondo comma, cod. proc. civ.) con esclusione della nullit� 
che possa, per via riflessa e mediata, scaturire da vizi propri del procedimento 
(v. sent. n. 3876/80; n. 6542/79; n. 4657/79; n. 962/79; n. 6096/78; 
contra: sent. n. 705/80; n. 4891/77; n. 3503/77; n. 3506/72). 

Tanto premesso, si osserva in merito alla dedotta inosservanza del 
termine previsto dal citato art. 27, terzo comma, che nel giudizio innanzi 
la Commiss!ione centrale il'obbligo della comunicazione ,alle parti, al.meno 
sessanta giorni prima, della data fissata per la decisione del ricorso (che 
avviene in Camera di Consiglio, senza discussione e senza la presenza 
delle parti, essendo previsto solo un contraddittorio scritto) � stabilito in 
relazione al diritto delle parti medesime di presentare memorie e repliche 
entro certi termini e per consentire loro di conoscere la composizione della 
Commissione o di proporre un'eventuale istanza di ricusazione. 

Nel caso in esame, agli atti della Commissione centrale non vi � 
traccia della copia dell'avviso di fissazione della decisione, n� tampoco 
della ricezione da parte degli odierni ricorrenti della relativa comunicazione. 


La mancanza di prova della regolarit� e della tempestivit� della 
comunicazione importa la violazione del contraddittorio e, conseguentemente, 
la nullit� dell'impugnata decisione. 

N� pu� ritenersi, come si fa dalla resistente amministrazione finanziaria, 
che poich� l'avviso sarebbe pervenuto ai contribuenti -secondo 
il loro assunto -tardivamente ma, comunque, prima della data in cui 
� stata pronunciata la decisione impugnata, l'eccezione di nullit� derivante 
dall'inosservanza del termine di cui all'art. 27 sarebbe preclusa per 
mancata deduzione nel processo tributario, potendo la predetta nullit� 
essere dichiarata -come questa Corte ha affermato con la sentenza 

n. 2880/77 -soltanto se la parte interessata l'abbia dedotta nella prima 
istanza o difesa successiva, ai sensi dell'art. 157, secondo comma, cod. 
proc. civ. 
La citata disposizione del codice di procedura civile (applicabile al 
procedimento innanzi alle Commissioni tributarie in virt� della norma 
di rinvio contenuta nell'art. 39 del decreto presidenziale n. 636 del 1972) 
la quale impone alla parte che vi abbia interesse di eccepire la nullit� 
di un atto processuale nella prima istanza o difesa che, nullitate cognita, 
essa rivolga al giudice, postula infatti -come � reso palese dall'interpretazione 
letterale e logica della norma -un comportamento processuale 
attivo e positivo, non gi� meramente passivo, nel quale deve inserirsi 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 157 

l'omissione dell'eccezione di nullit� relativa, non potendo ravvisarsi una 
rinuncia tacita a far valere le nullit� verificatesi nel corso del processo 
nella mera inattivit� processuale della parte (v. in argomento: sentenze 

n. 1994/80; n. 3475/79; n. 1757/74; n. 1497/69). 
Pertanto, non trova aderenza con la fattispecie in decisione il richiamo 
alla sentenza di questa Corte n. 2880/77, concernente una fattispecie processuale 
in cui le parti avevano presentato alla Commissione centrale 
memorie e repliche contenenti difese di merito, nelle quali nulla era stato 
dedotto sull'irregolarit� dell'avviso. Nel caso in esame, per converso, 
risuha dal fascicolo di ufficio trasmesso dalla Commissione centmle che 
gli odierni ricorrenti non hanno presentato, successivamente alla comunicazione 
intempestiva, alcuna istanza o difesa alla predetta commissione, 
di modo che, essendo mancata l'accettazione del contraddittorio, 
non ha operato la fattispecie convalidatrice di cui al citato art. 157, 
secondo comma, cod. proc. civ. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 2 luglio 1981, n. 4289 -Pres. Marchetti Est. 
Zappulli -P. M. Gazzarra (conf.). Ministero delle Finanze (avv. 
Stato Palatiello) c. I.A.C.P. di Ravenna. 

Tributi focali -Imposta focale sui redditi -Immobili strumentali per l'esercizio 
di attivit� commerciali -Case costruite dagli I.A.C.P. -Sono 
tali -Assoggettamento all'ILOR -Esclusione. 

(d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, artt. 4 e 6; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 21, 
40 e 52; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598, art. 5). 
Le case costruite dagli l.A.C.P. per i propri fini istituzionali e destinate 
alla locazione sono beni strumentali per l'attivit� commerciale da essi 
svolta. I redditi prodotti da tali immobili sono pertanto componente del 
reddito di impresa e non costituiscono redditi fondiari soggetti separatamente 
all'l.L.O.R. (1). 

(1) Sulla natura (oggettivamente) commerciale dell'attivit� istituzionale degli 
I.A.C.P. v. Cass. 9 marzo 1979 n. 1479 e 9 luglio 1979 n. 3915, in questa Rassegna, 
1979, I, 524 e 1980, I, 173. 
In base allo stesso prinoipio � stato pure affermato che i proventi della cessione 
in propriet� degli alloggi costituiscono ricavi, ossia corrispettivi di operaziorni 
dentranti nell'ordinaria attivit� istituzionale e non plusvalenze (Cass. 
22 settembre 1978 n. 4248, ivi, 1979, I, 193). Se dunque le case destinate alla 
cessione in propriet� sono (secondo l'espressione dell'art. 53 del d.P.R. n. 597/73) 
� beni alla cui produzione o al cui scambio � diretta l'attivit� dell'impresa � 
sembra coerente l'affermazione che le case destinate alla locazione siano beni 
strumentali per la prestazione del servizio consistente nell'offerta di uso di 
alloggi dietro corrispE'ttivo secondo l'attivit� di istituto degli I.A.C.P., anch'essa 
rientrante nell'esercizio di impresa. 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

(omissis) Con l'unico motivo del ricorso avverso la decisione della 
Commissione tribu1lruria centraile, l'Amministrazione finanziaria ha lamentato 
la violazione, nella medesima, degli artt. 4 e 6 dei d.P.R. 29 settembre 
1973 n. 599, 21, 40 e 52 del d.P.R. in pari data n. 597 e dell'art. 5 
del d.P.R. ~n uguail data n. 598 per avere erroneamente Ja suddetta commissione 
ritenuto che gli alloggi dati in locazione dall'Istituto costituivano 
�beni strumentali per l'esercizio di imprese commerciali� da parte 
sua e che rientravano, come tali, nell'ipotesi prevista dall'art. 40 del 
menzionato decreto n. 597, istitutivo dell'IRPEF, richiamato, a sua volta, 
nel quinto comma dell'art. 6 del D.P. n. 599, relativo all'imposta locale 
sui redditi (ILOR), in virt� del quale, per quei beni, era esclusa l'iscrizione 
a ruolo, con conseguente esenzione dall'imposta. Invece, secondo il Ministero 
ricorrente, l'attivit� commerciale degli Istituti per le Case Popolari 
si esauriva con la costruzione delle case, non avendo ugual natura la 
successiva gestione del patrimonio mediante i contratti di locazione, i 
quali davano luogo ad una fonte autonoma di redditi fondiari, come tali 
soggetti all'ILOR, mentre quegli immobili non avevano il carattere di 
strumentalit� rispetto all'esercizio dell'impresa. 

Il motivo � infondato. 

Invero, sotto l'aspetto dell'attivit� commerciale l'Amministrazione 
fiinanziaria ha �riconosciuto che anche gli enti rpubblici, tra i quali l'Istituto 
suddetto, possono svolgere un'attivit� commerciale che non � identificabile 
necessariamente con quella svolta a fine speculativo (come anche nel 
campo dei soggetti privati: es. le cooperative di consumo, ecc.) e la 
limitazione affermata dal Ministero per la sola attivit� di costruzione � 
del tutto infondata e ingiustificata. Non si pu�, infatti, per la stretta 
correlazione, separare, con conseguente contrapposizione, Uattivit� di 
�provvista�, e cio� di costruzione degli alloggi da destinarsi secondo i 

La sentenza ha per� avuto cura di bene distinguere l'attivit� di impresa consistente 
nell'intervento sul mercato edilizio con quella � meramente patrimoniale 
� che svolgono gli immobili � diretti solo a fornire un reddito occasiona!� 
mente connesso all'attivit� imprenditoriale del possessore�. 

Tale distinzione � di molto rilievo ai fini della interpretazione dell'art. 40 
del d.P.R. n. 597/1973; si esclude cio� che tutti gli immobili relativi all'impresa 
e quelli posseduti da societ� siano sempre beni strumentali, come tali non 
soggetti separatamente all'ILOR a norma dell'art. 4 del d.P.R. n. 599/11973, perch� 
nell'ambito dei beni immobili, tutti relativi alla impresa, occorre distinguere fra 
beni che costituiscono il fine dell'attivit� dell'impresa (che producono ricavi), 
beni strumentali veri e propri (che se ceduti producono plusvalenze) e beni 
patrimoniali che producono un reddito di natura fondiaria; quest'ultimo va 
sempre determinato secondo le risultanze catastali (o transitoriamente, per i 
fabbricati, in base alla legge 23 febbraio 1960, n. 131) e concorre a formare il reddito 
complessivo dell'impresa ai fini dell'IRPEF (art. 52 secondo comma d.P.R. 

n. 597/1973), ma � soggetto separatamente all'ILOR (art. 4, comma quinto, d.P.R. 
n. 599/1973). 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

noti fini istituzionali alle categorie meno abbienti dalla loro sistematica 
e generale locazione (fuori dei casi di vendita previsti separatamente). 
Quest'ultima costituisce non una mera gestione di beni incidentalmente 
appartenenti all'istituto ma l'attivit� istituzionale dell'ente, sorto con quel 
fine, e si estende, nell'attuazione del medesimo, all'assoluta maggioranza 
dei suoi beni immobili, con la immissione dei singoli appartamenti nel 
mercato locatizio e con scambio della prestazione del loro godimento 
contro un corrispettivo. 

Quest'ultimo, pur se determinato con particolari criteri e senza fini 
speculativi, non sfugge all'esigenza di assicurare all'ente la copertura dei 
suoi oneri e delle spese gi� sostenute. Il fatto, poi, che i conduttori siano 
scelti con speciali procedure entro particolari categorie e che il rapporto 
locatizio sorga in seguito all'atto amministrativo relativo a tale scelta e 
con determinate condizioni, connesse ai fini istituzionali gi� considerati, 
non esclude che quella generale attivit� di locazione sia di carattere commerciale 
perch� anche nel comune commercio vi possono essere, per legge 

o per pattuizione, particolari limitazioni soggettive e discipline diverse 
da quelle comuni, con sottrazione al libero scambio e alla generale libert� 
di mercato. 
Il concorso di questa attivit� commerciale dell'attivit� locatizia e della 

identificabilit� di quest'ultima con il fine istituzionale dell'ente, salvo 

che per le vendite specificamente previste, conferma il carattere stru


mentale degli immobili locati per abitazioni perch� � attraverso la sud


detta attivit� che si realizza il menzionato fine e senza la stessa gli istituti 

non avrebbero ragione d'essere. Non sembra che la generica intitolazione 

del citato art. 40 � immobili destinati ad attivit� commerciali� per la 

sua genericit� sia tale da contrastare o limitare il riconoscimento del 

carattere strumentale dei beni che nella pi� precisa e decisiva statuizione 

contenuta nell'articolo sono indicati con preciso riferimento al loro im


piego � per l'esercizio di imprese commerciali �. 

N� pu� trascurarsi la diversit� del suddetto art. 40 rispetto all'art. 72 

del t.u. sulle imposte dirette approvato con d.P.R. 28 gennaio 1958 n. 645 

relativo all'imposta fabbricati, perch� quella precedente norma escludeva 

la suddetta imposta, e quindi il carattere fondiario dei beni, solo per 

�le costruzioni destinate specificamente all'esercizio di attivit� commer


ciali e non suscettibili di altra destinazione senza radicale trasformazione... 

se il possessore esercita direttamente l'a.ttivit� cui la costruzione � desti


nata� con una rigorosa limitazione relativa ad elementi oggettivi e sog


gettivi che non possono ritenersi necessari nella delimitazione della nuova 

legge per la pi� generica strumentalit� prevista con diversa formula. 

Non � dubbio che il citato art. 40, attraverso la statuizione negativa 
(�non sono considerati redditi fondiari�) per quei beni immobili strumentali 
in esso menzionati, ha posto in rilievo la sottintesa contrappo



160 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

sizione tra la funzione meramente patrimoniale di quelli che siano diretti 
solo a fornire un reddito occasionalmente connesso all'attivit� imprenditoriale 
del possessore pur se concorrono, nella economia dell'impresa, ad 
assicurare mezzi finanziari per la sua attivit�, e quelli che non rientrano 
in una gestione meramente incidentale ma formano il mezzo diretto per 
l'attivit� imprenditoriale. 

In base a questa distinzione le locazioni delle abitazioni degli istituti 
considerati sono necessariamente destinati, con scambio di prestazioni e 
di corrispettivi pecuniari, a far conseguire, attraverso l'immissione sul 
mercato edilizio con effetti anche di calmiere, da un lato il soddisfacimento 
dei bisogni di abitazioni delle categorie meno abbienti e dall'altro 
quei mezzi pecuniari necessari per il mantenimento dei beni stessi e delle 
connesse attivit� nel perseguimento dei fini istituzionali, mentre senza 
quelle locazioni rimarrebbe vana ed economicamente passiva la precedente 
attivit� edilizia. 

Non possono, pertanto, quei beni immobili considerarsi per gli istituti 
suddetti una mera dotazione patrimoniale o un supporto economico estraneo 
alle loro finalit�. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 11 luglio 1981, n. 4508 -Pres. Marchetti Est. 
Lipari -P. M. Leo (diff.) Ministero delle Finanze (avv. Stato 
Tamiozzo) c. A.C.I. 

Tributi (in genere) � Contenzioso tributario -Ricorso per Cassazione Termine 
� Art. 327 c.p.c. -Si applica -Notifica della decisione a cura 
della segreteria -Effetto incerto. 

(C.p.c. art. 327; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 38). 
Al ricorso per cassazione contro decisione della Commissione centrale 
� sempre applicabile l'art. 327 cod. proc. civ. in base al quale l'impugnazione 
non pu� essere proposta dopo il decorso di un anno dalla pubblicazione. 
Quanto al termine breve di 60 giorni, a parte l'ipotesi della 
notifica della decisione integrale ad istanza di parte, sussistono perplessit� 
ed incertezze non ancora superate a proposito della idoneit� a far 
decorrere il termine dalla notificazione o dalla comunicazione del solo 
dispositivo a cura della segreteria (1). 

(1) Sulla prima parte della massima la giurisprudenza � ormai consolidata, 
ma sempre pi� grave � l'incertezza sull'effetto che produce sul termine la notificazione 
(a.lla parte privata) e la comunicazione (all'ufficio) che del dispositivo 
della decisione �fa la segreteria a norma dell'art. 38 del d.P.R. 636/1972 (v. fra 
le pi� recenti discordanti pronunzie Cass. 24 gennaio 1981, n. 542 e 27 gennaio 1981 
n. 624, in questa Rassegna, 1981, I, 589 e 590). 
A complicare il problema � sopravvenuta la novella sul contenzioso (d.P.R. 
3 novembre 1981 n. 739) che ha modificato l'art. 38 sopprimendo (apparentemen


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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRmUTARIA 

(omissis) Preliminarmente si deve verificare d'ufficio la tempestivit� 
del ricorso. 

Al riguardo va premesso in fatto che la decisione della Commissione 
centrale delle :imposte impugnata, dell'll giugno 1977, risulta depositata 
H 30 luglio 1977, e comunicata 1all'Ufficio 1i!l 29 �luglio 1978 e che il ricorso 
� stato notificato in data 8 novembre 1978. 

Alla stregua delle disposizioni del nuovo contenzioso tributario, di cui 
al d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, la disciplina della pubblicazione, comunicazione 
e notificazione delle decisioni, risultante dall'art. 38, cui si correlano 
i termini per le impugnazioni (cfr. art. 22 per il ricorso alla Commissione 
di secondo grado ed art. 25 per il ricorso alla Corte di appello) e 
la decisione delle Commissioni sono rese pubbliche mediante deposito 
in segreteria {primo comma), dl dispositivo delle decisioni medesime 
� noti.fj.cato, a cura della segreteria, al contribuente entro dieci giorni dal 
deposito e nello stesso termine � comunicato all'ufficio con elenco in 
duplice esemplare, uno <;lei quali, datato e sottoscritto dall'ufficio ricevente, 
� restituito alla segreteria della commissione e tenuto a disposizione 
del contribuente. 

Nell'interpretare tale norma si � ritenuto costantemente che la pubblicazione, 
tipologicamente unitaria secondo i princ�pi generali, si concreta 
nel deposito della decisione (vale a dire dell'intero testo della pronuncia 
giurisdizionale comprensivo della motivazione e del dispositivo 
formato in precedenza ai sensi dell'art. 20 terzo comma, immediatamente 

te) la notificazione per estratto della decisione. Nel nuovo testo si stabilisce 
(terzo comma) che il dispositivo � � comunicato alle parti �; non si parla pi� 
di no1ificazioni a cura della segreteria. A sua volta nel nuovo testo dell'art. 32 
(primo comma) si stabilisce che le comunica2'Jioni sono fatte mediante avviso 
consegnato alle parti o spedito in plico senza busta raccomandata con avviso 
di ricevimento e si aggiunge che all'ufficio le � comunicazioni � possono essere 
fatte mediante trasmissione di elenco in duplice esemplare; questa trasmissione 
con elenco che era dichiarata equivalente alla notificazione � oggi esplicita� 
mente definita una comunicazione. Potrebbe quindi pensarsi che la novella, 
raccogliendo l'eco delle pi� recenti pronunzie, abbia inteso stabilire che, per 
far decorrere il termine breve sia necessaria la notifica integrale della decisione 
ad istanza di parte, posto che la segreteria non provvede mai alla notifica. 

Tutto questo potrebbe sembrare ragionevole se si discutesse soltanto del 

ricorso .per cassazione, come hanno fatto le molte pronunzie della S.C., sulla pre


messa che il d.P.R. sul contenzioso non ha disciplinato questa impugnazione. 

Ma i menzionati artt. 32 e 38 sono norme generali che riguardano tutte le notifi


cazioni e si riferiscono a tutte le decisioni di ogni grado. Sotto questa prospet� 

tiva non � pi� ragionevole che ogni decisione debba essere notificata ad istanza 

di parte se si: vuole evitare una lunga stasi dopo ogni decisione (come se non 

fossero gi� abbastanza lunghi i tempi del .processo tributario), e semprech� 

si riconosca (e ci� potrebbe essere sostenibile) che anche per l'appello e ricorso 

in terzo grado sia applicabile l'art. 327 c.p.c., che altrimenti si avrebbe una 

impugnabilit� senza limiti di tempo. Ma se continuiamo a leggere l'art. 32 ve


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162 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

dopo la deliberazione). Questa scissione tra formazione (e deposito) del 
dispositivo e formazione (e deposito) della decisione si riverbera sulle 
forme di conoscenza all'uopo predisposte in relazione alla iniziativa relativa, 
ai contenuti ed alle forme eventualmente suscettibili di riflettersi 
sulla decorrenza dei termini. 

All'iniziativa della segreteria della Commissione � affidato il compito 
di provvedere a portare a conoscenza rispettivamente del contribuente e 
dell'ufficio il dispositivo. All'uopo il legislatore adotta distinta terminologia, 
parlando di notificazione rispetto al primo e di comunicazione 
rispetto al secondo, caratterizzata dalla pluralit� delle decisioni che, 
volta a volta, ne formano oggetto. 

La notificazione dell'intera decisione rimane, invece, affidata alla 
iniziativa facoltativa della parte, che pu�, a tale scopo, richiedere copia 
autentica, che la segreteria � tenuta a rilasciare, provvedendo quindi ai 
conseguenziali adempimenti notificatori. 

Nel sistema del contenzioso tributario, ai fini del termine per le impugnazioni, 
non rileva, quindi, in principio n� la pubblicazione della decisione, 
n� la sua notificazione in extenso, ma soltanto la conoscenza correlata 
per l'ufficio e per la parte risoettivamente alla comunicazione ed 
alla notificazione del solo dispositivo, con l'effetto che detto termine non 
ha decorrenza unica, tanto per l'amministrazione che per �l contribuente 
(cfr. sent. 3242/77). 

diamo (rerzo comma) che le notificazioni possono essere fatte direttamente (non 

si sa se anche dal privato ma sicuramente dalla segreteria) mediante plico senza 

busta raccomandata con avviso di ricevimento. 

Cosicch� l'operazione che fa la segreteria consistente nello spedire il dispo


sitivo in plico senza busta raccomandato con avviso di ricevimento � allo stesso 

tempo una comunicazione (primo comma) e una notificazione (terzo comma). 

Siamo cos� tornati al punto di partenza. 

Bisogna allora vedere se a far decorrere il termine sia idonea una comunica


zione-notificazione del solo dispositivo. Per quel che riguarda l'impugnazione in 

secondo e in terzo grado non sembra dubbio che valga a far decorrere il termine 

la notificazione del solo dispositivo; l'art. 22, non modificato per la parte che 

interessa e poco coordinato oggi con gli artt. 32 e 38, stabilisce ancora che il 

termine di 60 gg. a decorrere � rispettiv�amente dalla notifica o dalla comunica


zione prevista dal terzo comma dell'art. 38 � e l'art. 25, del pari ignorato dalla 

riforma, ancor pi� esplicitamente fa decorrere il termine � rispettivamente dalla 

notificazione e comunicazione del dispositivo della decisione impugnata�. 

In questa confusione che si � creata per il mancato collegamento tra gli 

artt. 22 e 25 con gli artt. 32 e 38, una delle poche certezze che risultano � proprio 

la idoneit� del solo dispositivo a dare inizio alla decorrenza del termine nell'am


bito del processo speciale. 

Si torna cos� al problema iniziale se la disciplina speciale (ed unitaria) sulla 

notifica delle decisioni sia applicabile anche per la notifica della decisione della 

Commissione centrale che si collegia al :riicorso per cassazione. 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Nessun dubbio sussiste circa l'operativit� del sistema all'interno del 
processo tributario davanti aiHe Commissioni, cos� come risulta discipHnato 
dal d.P.R. n. 636. Perplessit� ed incertezza interpretative, non ancora 
definitivamente superate, sono sorte, invece, rispetto alla possibilit� di 
far capo al suddetto sistema anche ai fini dell'identificazione dei termini 
per ricorrere in cassazione ex art. 111 Cost., specificamente a proposito 
della idoneit� della comunicazione, e rispettivamente della notificazione, 
del solo dispositivo a far decorrere il termine base ex artt. 325, 326 
cod. proc. civ. 

Ritiene H coMegio che nella situaz;ione di �Specie non sia necessario 
prendere posizione sul punto, giacch� anche accogliendo la soluzione, in 
via di superamento, che porta a considerare sufficiente a far scattare 
il termine breve la notificazione, ovvero la comunicazione del solo dispositivo, 
il ricorso risulterebbe ugualmente inammissibile per tardivit�. 

La regola di cui all'art. 327 ha, invero, carattere assolutamente generale, 
fissando, per ragioni di certezza, un termine di per s� invalicabile 
(salva l'incidenza di norme che comportino in linea di massima la proroga 
del termine stesso), sicch� sulla sua decorrenza non pu� innestarsi, 
scavalcando, il termine breve per effetto di notificazione avvenuta nell'imminenza 
del suo operare poich� tale notificazione risponde ad una 
ratio di accelerazione, ed opera quindi esclusivamente all'interno del 
periodo considerato, in senso riduttivo. 

Per esprimere questo concetto la norma dell'art. 327 cod. proc. civ. 
sottolinea che l'impugnazione non pu� essere proposta �indipendentemente 
dalla notificazione�, dopo il decorso di un anno dalla pubblicazione 
della sentenza, sicch� deve essere dichiarato inammissibile il ricorso 
per cassazione, pur se proposto entro i sessanta giorni dalla notificazione 
della sentenza, non soltanto qualora tale notificazione sia stata effettuata 
dopo il decorso di un anno dalla pubblicazione della sentenza stessa 
(cfr. sent. 5286/79), ma anche se il ricorso medesimo risulti notificato 
oltre l'anno (e correlative proroghe eventuali), essendo ancora pendente 
il termine di sessanta giorni agganciato ad una precedente notificazione 
della decisione compiuta entro l'anno (sentt. 3721/69, 2268/74, 5344/79, 
1321/80). 

Ne consegue che anche il ricorso per cassazione avverso le decisioni 
della commissione tributaria centrale, al quale sicuramente si applicava 
come si � gi� osservato la disposizione dell'art. 327 cod. proc. civ., estensibile 
a tutte le giurisdizioni speciali che presentino una disciplina della 
pubblicazione della decisione riconducibile fondamentalmente agli schemi 
del codice di rito (cfr. ad esempio innovativamente rispetto al Consiglio 
di Stato sentt. 351/78, 391/79, 1583/80) incontra il limite di decadenza 
per decorso del termine annuale, e pertanto tale ricorso deve essere 
dichiarato inammissibile, pur essendo stato notificato entro sessanta 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

164 

giorni dalla notifica:zJione della decisione della Commissione tributaria centrale, 
ma dopo oltre un anno dalla pubblicazione della decisione medesima 
che va individuata nel deposito in segreteria ai sensi dell'art. 38 del 

d.P.R. n. 636 del 1972, tenendo conto ovviamente della sospensione dei 
termini nel periodo feriale e quand'anche si trattasse non gi�, come 
nella specie, della comunicazione del mero dispositivo, ma della notificazione 
della decisione in extenso (sentt. 1213/81, 658/80). 
Pertanto. la comunicazione all'ufficio del solo dispositivo, anche ad 
ammettere la idoneit� a mettere in moto il termine breve, non renderebbe 
utilmente esperibile il gravame, scavalcando l'anno della pubblicazione che 
rappresenta, di per s�, nel sistema del1a impugnazione ,l'insuperabile 
termine finia:l.e, suscettdbfile di essere ridotto per effetto della notificazione 
acceleratoria, ma mai di essere superato. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 11 luglio 1981 n. 4510 � Pres. Mazzacane Est. 
Borruso -P. M. Ferraiolo (conf.). Niccoli c. Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Viola). 

Tributi (bi genere) � Soggetti passivi � Responsabile di imposta � Socio 
illimitatamente responsabile di societ� di persone � Trasformazione: 
della Societ� � Permane la responsabilit� del socio. 

(e.e., artt. 2498, 2499). 

Tributi (in genere) -Soggetti passivi -Responsabile di imposta -Socio 
illlmitatamente responsabile di societ� di persone � Trasfonnazione 
della societ� � Consenso dei creditori � Art. 2499 e.e. � Inapplicabilit� 
alla Finanza. 
(e.e., art. 2499). 

Poich� la trasformazione della societ� non produce nessuna trasformazione 
dei rapporti giuridici esistenti in quanto non viene mutata la 
unicit� del soggetto trasformato, legittimamente viene notificato al legale 
rappresentante della nuova societ� l'avviso di accertamento di un'imposta 
riferibile al tempo anteriore alla trasformazione e validamente tale atto 
pu� essere opposto al socio illimitatamente responsabile della societ� 
originaria la cui responsabilit� non viene meno con la trasformazione {1). 

La norma dell'art. 2499 e.e. che prevede il consenso dei creditori 
sociali alla trasformazione della societ� di persone in una societ� di capitali 
presuppone la disponibilit� del credito e di conseguenza � inapplicabile 
per i crediti tributari dell'Amministrazione (2). 

(1-2) Conformi sono le senten:re .in pa.11i data nn. 4511 e 4512. La prima massima 
fa un'applicazione ineccepibile di diversi principi giuridk.i civili e tributari. 
La societ� successiva alla trasformazione � sicuramente il soggetto destinatario 



165

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

(omissis) Col primo motivo il ricorrente sostiene che, essendo stato 
notificato l'accertamento tributario soltanto alla societ� di capitale dopo 
che in essa si era trasformata la preesistente societ� in accomandita 
e non anche ad esso Niccoli, che era cos� rimasto estraneo a tutto il successivo 
procedimento avanti alle Commissioni tributarie, la Finanza non 
poteva pi� far valere nei suoi confronti alcun diritto per le imposte 
dovute dalla societ� in accomandita semplice, in quanto essa, quando 
intende chiamare al pagamento di tributi arretrati di una societ� i soci 
al tempo illimitatamente responsabili ma ormai estranei ad essa, deve 
notificare l'avviso d'accertamento personalmente anche a questi ultimi. 

Il motivo � infondato. 

L'inequivoca disposizione contenuta nello art. 2498 cod. civ. secondo 
cui � la societ� conserva i diritti e gli obblighi anteriori alla trasformazione 
� ha posto fine alla vecchia disputa se la trasformazione comportasse 
l'estinzione della vecchia societ� e la creazione di una nuova; oggi, 
infatti, dottrina e giurisprudenza assolutamente prevalenti sono concordi 
nel ritenere che con la trasformazione si determina un semplice 
mutamento organizzativo della societ�, un cambiamento, cio�, della sua 
disciplina normativa, senza introdurre alcuna modificazione soggettiva nei 
rapporti giuridici esistenti (cfr. in tal senso Cass. 2722 e 953 del 1977; 
2657 del 1972, 1287 del 1970; 1070 del 1967). 

Ne consegue che, nonostante la trasformazione, il soggetto passivo 
della obbligazione tributaria di cui trattasi � rimasto identico e unico, 
sicch� esattamente la Finanza ha notificato l'avviso di accertamento relativo 
ad una imposta concernente un anno anteriore alla trasformazione 
esclusivamente a chi risultava legale rappresentante della societ� dopo 
la trasformazione stessa. Ci� ovviamente non esclude che del debito 
d'imposta conseguente possa essere chiamato a rispondere dalla Finanza 
anche il Niccoli, come egualmente sarebbe potuto avvenire se non si 
fosse verificata la trasformazione e la societ� fosse rimasta in acco


dell'accertamento anche per i rapporti facenti capo alla societ� trasformt\ta sia che 
essa sia lo stesso soggetto in nuova veste, come � ai fini civi1i, sia che essa 
sia il successore a titolo universale, come sembrerebbe doversi ritenere ai fini 
tributari essendo prevista la estinzione del soggetto trasformato come dispongono 
gli artt. 73 d.P.R. 597/1973 e 11 d.P.R. n. 600/1973 (v. annotazione a Cass. 
2 ~iugno 1980 n. 3596 in questa Rassegna, 1981, I, 366). 

Pi� rilevante � l'affermazione che l'accertamento notificato alla societ�, nella 
persona del suo legale rappresentante, � opponibile al socio illimitatamente re� 
sponsabile, che non � un comune debitore solidale, ma un responsabile di imposta 
che risponde delle obbligazioni altrui (della societ�), tributarie e non, "per 
un particolare rapporto organico che lo lega al so~getto passivo � (Cass. 28 luglio 
1977 n. 1616 in questa Rassegna, 11977, I, 457). Per l'espressa previsione dello 
art. 2499 la responsabilit� illimitata del socio non viene meno con la trasformazione 
della societ�. 

L'esattezza della seconda massima � di tutta evidenza. 



166 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

mandita semplice, ma il suo amministratore e rappresentante fosse stato 
per atto costitutivo un aocomandatario diverso dai! Niccoli. Anche in ta:l 
caso, infatti, sarebbe stato ben sufficiente notificare l'avviso di accertamento 
soltanto al legale rappresentante della societ�, anche se poi, per 
una norma, peraltro inerente non al diritto tributario ma a quello della 
societ�, il Niccoli, quale socio accomandatario, dovendo rispondere illi� 
mitatamente dei debiti della societ�� (art. 2323 cod. civ.), avrebbe potuto 
essere chiamato a pagare anche i debiti tributari della societ�. Invero, il 
principio affermato dalla Corte Costituzionale che tra condebitori solidali 
di un tributo non c'� rappresentanza processuale, sicch� la Finanza non 
pu� pretenderne il pagamento se non da quelli verso i quali ha agito 
dando a ciascuno di essi la possibilit� di difendersi, certamente non si 
applica nei confronti di chi sia chiamato al pagamento di un tributo non 
perch� ne sia il soggetto passivo (e, nella specie, neppure perch� ne debba 
rispondere solidalmente con lui per effetto di una speciale norma di 
diritto tributario avente lo scopo di rafforzare la garanzia dei crediti della 
Finanza), ma semplicemente perch�, per un particolare rapporto organico 
che lo lega al soggetto passivo del tibuto, egli debba per legge rispondere 
in solido di tutti i debiti di quest'ultimo, siano o non siano di carattere 
tributario (vedi Cass. sent. n. 824 del 1973). 

Col secondo motivo di ricorso il Niccoli sostiene che la Commissione 
Centrale avrebbe violato nella specie il secondo comma dell'art. 2499 
cod. civ., in quanto avrebbe dovuto considerare equipollente alla comunicazione 
per raccomandata al creditore ivi previsto dell'avvenuta trasformazione 
dd1a societ� la registmzione del relativo atto pubblico presso 
l'Ufficio del Registro e ci� non soltanto perch� sia tale ufficio, sia quello 
delle Imposte sono uffici finanziari, ma soprattutto perch�, avendo lo 
stes'So Ufficio delle Imposte lllotificato .l"avv1iso d',accertamento e coltivato 
il relativo procedimento tributario, che riguardava un'imposta dovuta 
dalla societ� in accomandita, nei confronti della societ� di capitale in cui 
la prima si era trasformata, era certo che lo stesso Ufficio delle Imposte 
avesse avuto piena ed ufficiale conoscenza dell'atto registrato recante 
l'avvenuta trasformazione sicch�, per conservare la garanzia costituita 
dal permanere della responsabilit� illimitata dei soci che l'avevano prima 
della trasformazione, avrebbe dovuto negare espressamente la sua adesione 
nel termine di trenta giorni dalla dimostrata conoscenza della trasformazione 
stessa. 

Anche questo motivo � infondato per l'assorbente considerazione che 
l'art. 2499 cod. civ. nella parte in cui prevede che i creditori possano consentire 
alla trasformazione della societ� e in tal modo perdere la garanzia 
costituita dal permanere dell'obbligo dei soci a responsabilit� illimitata 
di rispondere dei debiti sociali anteriori alla trasformazione non pu� 
applicarsi alla Finanza in quanto tale consenso -spiegabile solo in una 


167

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

ottica esclusivamente privatistica e come tale insindacabile dei propri 
interessi -presuppone ovviamente la disponibilit� del credito, disponibilit� 
che, invece, -com'� pacifico -la Finanza assolutamente non 
ha per i crediti nascenti dai tributi e per le garanzie del loro soddisfacimento 
che danno luogo a rapporti di diritto pubblico inderogabilmente 
regolati dalla legge. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 14 luglio 1981 n. 4582 -Pres. Rossi Est. 
Caturani -P. M. Fabi (diff.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato 
Braguglia) c. Bologna. 

Tributi (in genere) � Contenzioso tributario � Amone di mero accertamento 
� Imposte indirette -Improponibilit� anteriormente all'accertamento 
� Sopravvenienza dell'accertamento � Conversione della doman� 
da -Decadenza per decorso del termine -Non si verifica. 

� improponibile la domanda di accertamento negativo anteriormente 
all'emanazione del provvedimento amministrativo con il quale si manifesta 
e si rende riconoscibile la pretesa di percepire l'imposta, anche se 
siano gi� intervenuti atti preparatori o intermedi (nella specie il verbale 
di contestazione nel procedimento dell'art. 55 della legge 7 gennaio 1929 

n. 4). Tuttavia ove in corso di causa sopravviene l'atto di accertamento 
l'azione originariamente improponibile si converte nell'impugnazione dell'accertamento 
s� che viene meno l'onere di autonoma impugnazione nel 
termine di decadenza stabilito (1). 
(omissis) Nell'ordine logico � pregiudiziale l'esame della seconda 
censura contenuta nel primo motivo dei ricorsi, con cui l'amministrazione 
ricorrente assume che nella specie la domanda di accertamento 
negativo del debito tributario proposta dai contribuenti innanzi al giudice 
ordinario dovevct dichiararsi improponibile per difetto di giurisdizione, 
in quanto era in corso il procedimento amministrativo di accertamento 
della infrazione, e sostiene poi che, intervenuta nel corso del giudizio 
di primo grado l'ordinanza intendentizia che aveva determinato la 
imposta evasa e la pena pecuniaria, la quale non era stata impugnata, 

(1) Anche se riferita alla normativa anteriore alla riforma del contenzioso 
(per l'attuale improponibilit� dell'azione di mero accertamento v. Cass. 8 marzo 
1977 n. 942, in questa Rassegna, 1977, I, 302 con nota di C. BAFILE), � molto 
interessante la motivazione della sentenza che ha eliminato ogni dubbio sulla 
questione dell'mone di mero accertamento. In passato era stata ammessa, nelle 
imposte indirette, la proponibilit� di una tale domanda quando l'incertezza 
oggettiva o la situazione di pregiudizio era provocata da atti dell'amministra

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

168 


la pretesa tributaria sarebbe divenuta definitiva e quindi non modificabile 

dal giudice con la pronuncia di accertamento (negativo). 

La censura � infondata. 

Il problema -che riflette il nucleo centrale dei ricorsi -va risolto 
in base alle seguenti considerazioni. 

Il carattere di per s� generale dell'azione di mero accertamento non 
ha impedito che anche in epoca anteriore alla recente riforma del contenzioso, 
si discutesse in giurisprudenza ed in dottrina circa la proponibilit� 
di una tale azione nel diritto tributario. Il contrasto degli opposti orientamenti 
fu reso ancor pi� vivo dalle diverse concezioni circa la natura 
giuridica dell'accertamento tributario, essendosi osservato da alcuni giuristi 
che se il rapporto giuridico di imposta si costituisce soltanto con 
l'atto di imposizione, non pu� concepirsi una azione di accertamento 
di una obbligazione nondum nata; argomento che, peraltro, veniva superato 
dai fautori della natura meramente dichiarativa dell'imposizione 
tributaria. 

L'indirizzo seguito da questa Corte in detto periodo si adegu� al prin


cipio secondo cui mentre rispetto alle imposte dirette, ai sensi dell'art. 6 

della fogge 20 marzo 1865 n. 2248 a:11. E, l'azione dirnanzi al!l'A.G.O. non 

poteva proporsi se non dopo la pubblicazione dei ruoli e l'esperimento 

almeno in un grado del ricorso alle commissioni tributarie, nelle contro


versie in materia di imposte indirette, l'azione di accertamento negativo, 

davanti al giudice ordinario era proponibile prima ed indipendentemente 

dall'esperimento dei ricorsi amministrativi. Si osservava, invero, che, 

salvo limitazioni poste da leggi speciali, la giurisdizione dell'A.G.O. non 

incontra nella legge alcun limite in dipendenza dello stato cui sia perve


nuta l'attivit� della pubblica amministrazione tendente all'accertamento 

del tributo ed alla relativa ingiunzione di .pagamento, purch� sussistano 

gli altri requisiti per la proponibilit� della domanda, giustificata dal dub


bio circa l'esistenza dell'obbligazione tributaria e quindi possa profilarsi 

zione preliminari all'accertamento o anche da affermazioni di massima contenute 

in circolari o risoluzioni (v. Relazione avv. Stato, 1971, 75, II, 597 e segg.). 

Oggi si ritorna sull'argomento per escludere la proponibilit� dell'azione eh.e 
venga introdotta prima della notifica dello accertamento. E sono certamente di 
molto interesse le considerazioni contenute nella motivazione in linea con una 
, tesi sempre sostenuta dall'Avvocatura: l'azione avrebbe ad oggetto l'accertamento 
negativo non di una obbligazione ma dell'esistenza del potere dell'Amministrazione 
di eseguire l'accertamento e di conseguenza essa comporterebbe l'invasione 
di una sfera di attivit� che la legge riserva in via 'esclusiva ai poteri della 

autorit� amministrativa. 

Con queste premesse contrasta sorprendentemente la seconda parte della 

massima. 

Dopo aver ben puntualizzato che prima dell'accertamento la domanda � im


proponibile in quanto usurperebbe una potest� riservata all'Amministrazione, 

si passa poi a considerare, in modo ingiustificatamente riduttivo, la mancanza 


169

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

un interesse concreto ed attuale dell'attore ad ottenere dal giudice una 
pronuncia (S.U. 24 giugno 1972 n. 2134; 8 giugno 1968 n. 1751; 16 marzo 
1966 n. 752; 7 novembre 1957 n. 4259; 15 luglio 1957, n. 2901). 

Ora, non pu� contestarsi che, in linea di principio, l'azione di mero 
accertamento, come azione generale che si fa valere innanzi al giudice 
ordinario per la tutela dei diritti soggettivi allorch� se ne verifichino i 
presupposti, non possa essere negata in materia di imposte �indirette, 
per il periodo anteriore alla recente riforma del contenzioso tributario. 
Questo, tuttavia, non esclude, ma anzi implica che occorra poi stabilire 
quando una tale azione sia in concreto proponibile e, con particolare 
riferimento alle infrazioni all'l.G.E. previste dalla legge 19 giugno 1940 

n. 762 (che interessano il presente giudizio), se avuto riguardo al particolare 
procedimento ivi adottato per l'accertamento della violazione tributaria 
attraverso cui si realizza 1a funziOllle imposWva dello Stato, ,sia configurabile 
prima e durante il corso del procedimento un diritto soggettivo 
del contribuente e comunque un rapporto giuridico che possa dar luogo 
ad una azione di mero accertamento in prevenzione innanzi al giudice 
ordinario. Il problema di fondo risiede quindi nell'esaminare se la suddetta 
azione, la quale � stata in generale considerata, per quanto attiene ai 
suoi presupposti in relazione a controversie tra privati, non debba eventualmente 
subire degli adattamenti quando si sia in presenza di una 
controversia tributaria. 
In tal caso, anche a prescindere dal problema della configurabilit� 

o meno del rapporto tributario prima che sia intervenuto un atto ad hoc 
dell'amministrazione finanziaria, assume indubbio e decisivo rilievo la 
considerazione che si � pur seinpre in presenza di una potest� pubblica 
del preventivo accertamento come un difetto d'interesse la cui sopravvenienza 
rende successiivamente proponibile l'azione con efficacia retroattiva. 

Ma non si tratta semipl<icemente di urna dmprocedibilit� che possa essere 
rimossa in corso di causa, bens� di una improponibilit� (difetto di giurisdizione), 
che se pure temporanea, � assoluta. 

La giurisdizione mancante non pu� essere riacquistata con efficacia retroat� 
tiva (art. 5 c.p.c.), e del resto non si era mai dubitato che nell'analoga situazione, 
riferita alle imposte dirette, di difetto temporaneo di giurisdizione dell'A.G.O. 
fino alla pronunda definitiva della commissione almeno in un grado, l'origina� 
ria improponibilit� non fosse superata dalla sopravvenienza della decisione della 
commissione. 

Neppure sembra accettabile la prospettata conversione della domanda (improponibile) 
di accertamento negativo nella normale azione successiva all'accertamento 
con l'effetto di eludere la decadenza per decorso del termine. L'azione 
improponibile non � mai convertibile; per di pi� le due azioni sono diverse 
anche nel contenuto giacch� la prima � rivolta ad eliminare una semplice incertezza 
e la seconda a contestare la pretesa in concreto vantata. 

Forse come esempio di conversione � stato tenuto presente quello della 
domanda di risarcimento per occupazione illegittima che si trasforma nella impu� 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

170 

il cui esercizio si attua attraverso un procedimento predeterminato e specificamente 
regolato dalla legge. Ed � appunto in funzione di tale disciplina 
che si deve stabilire se l'azione di accertamento negativo sia o meno 
compatibile con la struttura e le finalit� del procedimento stesso nonch� 
con i vari atti o .momenti in cui esso si articola, e quando -con riferimento 
a tali dati -possano ritenersi sussistenti in concreto i presupposti 
che condizionano l'ammissibilit� della detta azione (incert~zza oggettiva, 
situazione di pregiudizio, interesse ad agire). 

In realt�, l'indirizzo seguito da queste Sezioni Unite per il periodo 
accennato si ispirava alla regola secondo cui l'incertezza oggettiva e attuale 
della situazione giuridica si verifica in materia di imposte indirette 
quando la p.a. attraverso il suo comportamento -risultante da scambi 
di lettere fra le parti o da circolari -rifiuti di accogliere la tesi del contribuente 
circa la debenza del tributo che questi voglia escludere, anche 
con riferimento a manifestazioni future (ofr. sent. 24 giugno 1972 n. 2134 
cit., in tema di imposta sui pubblici spettacoli). 

A tale orientamento pu� tuttavia obiettarsi che la valutazione della 
incertezza oggettiva la quale susciti un interesse ad agire (che non sia 
di mero fatto) non pu� prescindere dal tipo di procedimento che la legge 
prevede, onde si tratta di stabilire se possano valere ad integrare gli 
estremi della �pretesa contestata�, mere affermazioni formulate in via 
di massima o contenute in atti prodromici o intermedi del procedimento 
all'uopo previsto dalla legge (come circolari amministrative, risoluzioni 
in merito a quesiti, contestazione della violazione attraverso la notifica 
di apposito verbale etc.). 

Orbene, a norma dell'art. 52 della legge suH'I.G.E., per l'accertamento, 

la cognizione e la definizione delle violazioni ivi previste, sono applicabili 

gnazione del decreto di espropriazione per la misura della indennit�. Ma in 

questo caso la prima domanda � perfettamente proponibile e non se ne pu� am


mettere la successiva integrale caducazione in conseguenza della (tardiva) 

emissione del decreto di espropriazione; ed ancora si comprende la ragionevo


lezza della affermazione volta ad impedire che dopo la legittima proposizione 

di una domanda di risarcimento possa sopravvenire una decadenza ove non 

venga successivamente impugnato il decreto di e51propriazione; per di pi� la con� 

versione corrisponde alla sostituzione ad una domanda del tutto proponibile 

che viene troncata da un fatto successivo, la corrispondente domanda che da 

quel fatto � originata. 

Ma nel caso ora deciso si ha una domanda improponibile e nessuna valida 

ragione per salvarla e nulla giustifica la elusione della operativit� del termine di 

decadenza stabilito per proporre una domanda che non � legata con un nesso 

di necessaria conseguenziariet� alla precedente. 

Sarebbe pericoloso se questa pronuncia riaprisse il discorso, che sembre


rebbe chiuso, della azione di mero accertamento innanzi alla commissione 

che diventa proponibile con effetto retroattivo con il sopravvenuto accertamento. 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

le norme contenute nella legge 7 gennaio 1929 n. 4, concernente le norme 
generali per 1a repressione del:le violazioni delle Ieggi finanziarie. In base 
all'art. 55 di tale legge, l'intendente di finanza, nella cui circoscrizione la 
violazione � stata accertata, notifica al trasgressore il verbale di accertamento 
e lo invita a presentare le sue deduzioni entro il termine di quindici 
giorni. Decorso tale termine, l'intendente, qualora in base agli atti raccolti 
e alle deduzioni che siano state presentate, accerti l'esistenza della violazione 
e la responsabilit� del trasgressore, determina con provvedimento 
motivato, sotto forma di ordinanza, l'ammontare della pena pecuniaria. 
Dalla disciplina giuridica, si trae quindi la deduzione logica che il procedimento 
amministrativo diretto all'accertamento dell'infrazione all'IGE 
e alla determinazione della corrispondente pena pecuniaria si svolge attraverso 
una serie collegata di atti i quali sono tutti preordinati alla emanazione 
dell'ordinanza intendentizia, che sostituisce non solo il momento 
conclusivo di tutto il procedimento, ma si configura come l'atto attraverso 
cui si esercita il potere-dovere della p.a. e si mani.festa la sua pretesa 
nelle forme previste dalla legge. 

Trattandosi dello svolgimento di una potest� pubblica ne consegue 
che la valutazione degli atti intermedi che seguano i singoli momenti del 
relativo procedimento, non pu� essere compiuta alla stessa stregua dei 
criteri adottati rispetto ai rapporti tra privati. 

Il che � particolarmente significativo per la soluzione del problema 
proposto, ove si consideri la posizione del contribuente rispetto alla 
notifica del verbale di accertamento dell'infrazione redatto dalla guardia 
di finanza (art. 55 della legge n. 4/1929). Non soltanto quella notificazione 
deve essere inquadrata nell'ambito dello stesso procedimento amministrativo, 
ma non pu� in alcun modo essere assimilata o confusa con il 
comportamento del creditore, il quale contesti al (preteso) debitore in un 
rapporto di diritto privato che costui risulta obbligato ad eseguire una 
data prestazione nei suoi confronti. Mentre, infatti, quest'ultimo atto si 
esaurisce nel manifestare una condotta che costituisce mero vanto nei 
confronti del preteso obbligato, la contestazione della violazione tributaria 
mediante la notifica del verbale � intimamente connessa alle successive 
fasi del procedimento ed esplica la funzione di porre il destinatario in 
grado di svolgere le proprie difese in qu.ella sede e di condizionare in tal 
guisa il contenuto del successivo provvedimento dell'intendente. 

Non pu� profilarsi quindi alcun interesse giuridicamente tutelato del 

contribuente di anticipare senz'altro la controversia (potenziale) innanzi 

aH'A.G.O., giacch� H procedimento amministrativo, cos� 'come articolato, ha 

essenziailmente scopo istruttorio e finalit� garantistiche per il contri


buente, essendo rivolto ad acquisire, anche con la sua partecipazione e 

collaborazione, tutti gli elementi necessari ed utili di giudizio e di valuta



172 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

zione, ed assicura quindi allo stesso contribuente adeguati mezzi di tutela 

pur nella fase amministrativa. 

N� pu� sostenersi che l'azione di 1aocerta:rnento negativo innanzi al 

giudice avrebbe ad oggetto soltanto liii contrO!Llo circa la esistenza dei 

presuppostii de11'obbligazione tributaria e quindi non inciderebbe su 

i poteri spettanti in materia all'autorit� amministrativa, in quanto non 

pu� isolarsi, dal punto di vista giuridico il potere di mero accertamento 

dell'obbligo ili col'rispondere fi.G.E., dal potere sanzionatorio che la legge 

conferisce all'intendente di finanza. 

La disciplina giuridica dimostra che nella materia di cui si tratta i 

poteri dell'intendente non sono meramente sanzionatori, ma l'accerta


mento dell'infrazione e l'irrogazione della sanzione presuppone che l'auto


rit� amministrativa proceda pregiudizialmente all'accertamento concreto 

che sussistono i presupposti della obbligazione tributaria, la quale si 
. ritiene inadempiuta dal contribuente. 

Anche da questo punto di vista risulta quindi confermato che, se in 

pendenza del procedimento rivolto all'accertamento dell'infrazione, il 

contribuente volesse -anticipando in prevenzione la pronuncia dell'in


tendente di finanza -adire il giudice ordinario, per sentire accertare 

che il suo obbligo tributario non sussiste, sarebbe inevitabilmente invasa 

una sfera di attivit� che la legge riserva in via esclusiva ai poteri della 

autorit� amministrativa. 

D'altronde, appunto in considerazione della predetta disciplina e delle 

peculiarit� del procedimento da essa previsto per le infrazioni all'IGE, 

si � indotti altres� a rilevare che -in mancanza di una in�ziativa di 

autotassazione e di un atto giuridicamente rilevante dell'organo della 

amministrazione finantlaria come sopra investito del potere di accerta


mento -non risulta ancora obiettivamente e chiaramente delineato n� 

comunque presenta attuale e giuridica evidenza (pur se eventualmente 

configurabile ed esistente) un concreto rapporto giuridico tra contri


buente e amministrazione finanziaria che dovrebbe costituire oggetto del 

giudizio di mero accertamento innanzi all'A,G.O. E pertrunto, l'azione di 

accertamento negativo avrebbe ad oggetto in definitiva la inesistenza del 

potere della finanza, onde urterebbe contro il principio secondo cui il 

giudice ordinario pirQIVVede a tutelare rapporti di diiritto ed obbligo, non 

meri stati di soggezione di fronte ai pubblici poteri. 

N� potrebbe obiettarsi che la negazione della tutela preventiva in 

funzione di mero accertamento iinnanzi aill'A.G.O. postulerebbe un ritorno 

al principio del � salve et repete �, potendo la finanza riscuotere il tributo 

in pendenza del procedimento amministrativo. Una tale possibilit�, in


vero, attiene al diverso principio della esecutoriet� delle pretese della 

p.a., il cui fondamento, com'� noto, risiede nel carattere pubblico del 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

potere che la stessa esercita e nella esigenza -specifica alla materia in 
esame -che i tributi siano prontamente riscossi, salva la successiva 
tutela giurisdizionale dei diritti del contribuente. 

Deve quindi ritenersi che soltanto con l'emanazione dell'ordinanza 
intendentizia si manifesta e rende riconoscibile la pretesa della finanza 
di percepire l'imposta evasa e la pena pecuniaria e si determina il sopravvenire 
dell'interesse giuridico, concreto ed attuale del contribuente, ai 
sensi dell'art. 100 cod. proc. civ., poich� soltanto allora si profila giuridicamente 
la possibilit� di una lesione della sua sfera giuridica. Si spiega 
quindi come solo attraverso la impugnativa di tale atto il medesimo 
possa far �valere la propria tutela giuridica nei confronti dell'amministrazione 
finanziaria, non essendo compatibile con la stessa struttura e 
funzione del procedimento amministrativo previsto in tema di infrazioni 
aH'I.G.E. che il contribuente 1aidisca direttamente l'A.G.O. per la (dedotta) 
minaccia, peraltro non ancora attuale, di una imposizione ingiusta. 

La costruzione accolta dall'azione giudiziaria di mero accertamento 
(negativo) in materia di IGE come azione di impugnazione di un provvedimento 
amministrativo � inoltre in sintonia con il nuovo orientamento 
espresso da queste Sezioni Unite in tema di interpretazione dell'art. 16 
della legge 26 ottobre 1972 n. 636 sulla riforma del contenzioso tributario 
(sent. 8 marzo 1977 n. 942), secondo cui la nuova disciplina esclude la 
proponibilit� delle azioni di accertamento negativo, prima della emanazione 
del provvedimento (esplicito o implicito) ivi previsto, essendo stata 
la azione giudiziaria anche in tal caso costruita come impugnativa di un 
atto della rp.a. m cui si esplica e rende manifesto il potere impositivo 
alla stessa devoluto dalla legge. Ed invero, le ragioni che, rispetto alla 
fattispecie legale in esame, integrano il fondamento logico e sistematico 
della ritenuta incompatibilit� tra il procedimento amministrativo e la 
azione preventiva di accertamento negativo corrispondono, nella sostanza, 
alla ratio che -secondo la citata pronuncia -sta a base della nuova 
disciplina. 

Del resto i principi che le precedenti considerazioni presuppongono, 
vale a dire che in materia tributaria quando la legge attribuisce alla 

p.a. un potere-dovere procedimentale il cui esercizio si risolve in un 
provvedimento decisorio della competente autorit�, si verifica una improponibilit� 
temporanea della domanda innanzi al giudice ordinario, in 
difetto di un interesse attuale del contribuente che potr� assumere giuridica 
consistenza e rilevanza solo dopo la definizione della controversia 
amministrativa -sono stati applicati da queste Sezioni Unite in diverse 
occasioni (cfr. sent. 8 marzo 1974 n. 631 in tema di controversie doganali; 
sent. 10 giugno 1968 n. 1766 in tema di imposizione di ricchezza 
mobile). 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

Alla luce delle precedenti considerazioni, non pu� accogliersi il principio 
affermato dalla Corte d'Appello, secondo cui deve ritenersi proponibille 
m materia di iITTfrazione all'I.G.E. una azione di accertamento (negativo) 
del contribuente in pendenza del procedimento rivolto ad accertare 
la esistenza della violazione, quando sia intervenuta la notifica del verbale 
di contestazione degli addebiti. 

Tuttavia, la conclusione cui in concreto � poi pervenuta la Corte 
(circa la proponibilit� dell'azione) � conforme al diritto, in quanto in 
pendenza del giudizio di primo grado � intervenuta l'ordinanza intendentizia 
prevista dia!ll'rart. 55 della legge sull'I.G.E., onde, anche se al momento 
in cui fu introdotta l'azione giudiziaria l'interesse ad agire era inesistente, 
lo stesso, potendo intervenire, quale condizione dell'azione, anche in sede 
di decisione della causa, ha reso successivamente proponibile l'azione di 
accertamento con efficacia retroattiva. 

N�, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa dell'amministrazione, 
sussisteva a carico degli attori alcun onere di impugnativa del 

I 

suddetto provvedimento ex art. 52 della legge sull'IGE, poich�, trovandosi 

i 

i contribuenti gi� in causa con l'amministrazione finanziaria e persistendo 

~ 

nelle loro istanze anche dopo la notifica dell'ordinanza intendentizia, la 

~ 

azione giudiziaria di accertamento si era convertita ope legis nella impuE: 


I f:

gnativa del suddetto provvedimento. 
D'altra parte, ben potevano gli istanti impugnare direttamente l'ord�-

I 
~ 

nanza dell'intendente, costituendo indirizzo ormai costante nella giurisprur:
f; 
denza di questa Corte, il principio secondo cui, quando si lamenta la 
lesione di un diritto soggettivo, posta l'autonomia del processo ordinario 
rispetto a quello di accertamento tributario, alla stregua della regola 
fondamentale che assicura contro gli atti della p.a. la tutela dei diritti 

I 
innanzi all'A.G.0. (art. 113 Cost.), l'esperimento o meno del ricorso gerarchico, 
tranne espressa disposizione in contrario, non pu� costituire 

I 

condizione o presupposto di proponibilit� dell'azione giudiziaria in ordine 
alla questione sostanziale sul debito di imposta (S.U. 2 marzo 1964 n. 473; 
17 febbraio 1975 n. 624, quest'ultima a sezione semplice). Pertanto, non 
rileva in contrario che, a norma dell'art. 56 della legge n. 4 del 1929, 
contro l'ordinanza intendentizia sia previsto nel termine di giorni trenta 
dalla sua notificazione ricorso al Ministero delle Finanze, ben potendo 

I

~ 

l'interessato rinunziare al ricorso gerarchico e proporre direttamente la 1 
~ 
azione giudiziaria innanzi al giudice. 

Devesi quindi conclusivamente affermare che, pur corretta la motivazione 
dell'impugnata sentenza nei termini innanzi precisati, non merita 
alcuna censura il decisum con cui la Corte di Appello ha, nel caso con


I

creto, riconosciuto la proponibilit� dell'azione giudiziaria proposta dai 

resistenti innanzi al Tribunale di Roma. 

I 


I 
I 



175

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 12 ottobre 1981, n. 5338 -Pres. La Farina Est. 
Falcone -P. M. Catelani (conf.) -Bragonzi (avv. Allorio) c. Ministero 
delle Finanze (avv. Stato Gargiulo). 

Tributi erariali diretti -Accertamento tributario -Motivazione -Metodo 
induttivo -Utilizzllione di. elementi analitici -Illegittimit�. 

(T.U. 29 gennaio 1948, n. 645, art. 137). 
Tributi (in genere) -Contenzioso Tributario -Onere della prova -Fatto 

presupposto dell'obbligazione -E' a carico dell'Amministrazione. 

(e.e., art. 2697). 

Nel procedere all'accertamento con metodo induttivo non � consentito 
utilizzare, assieme ai fatti indice che fanno presumere le disponibilit� di 
un reddito complessivo, anche elementi diretti di dimostrazione dei redditi, 
dichiarati o accertati, rilevanti soltanto ai fini dell'accertamento 
analitico (1). 

Grava sull'Amministrazione finanziaria l'onere di provare il fatto sul 
quale � fondata la sua pretesa (2). 

(omissis) Con il primo motivo, il ricorrente, denunciando violazione 
e falsa applicazione degli artt. 24, 37, 86, 87, 137 t.u. 29 gennaio 1958 n. 645, 
critica la sentenza impugnata per avere ritenuto legittima l'adozione del 

(1-2) La prima massima (che ha un precedente nella sentenza 4 giugno 1981, 

n. 3608, di cui si omette la pubblicazione) non pu� essere interamente condivisa. 
Evidentemente non � possibile determinare il reddito complessivo in base a 
dati induttivi (tenore di vita ecc.) ed a questo aggiungere l'ammontare di singoli 
redditi direttamente accertati in via analitica; si farebbe una duplicazione. 
Ma questo non significa che nel procedere all'accertamento induttivo si debba 
necessariamente rinunciare a quella parte di acquisizione diretta di dati che 
costituisce una base di certezza. In particolare se singoli redditi (fondiari, di 
capitale ecc.) sono dimostrati con certezza, ma si hanno elementi induttivi che 
fanno presumere il possesso di altri redditi di cui non pu� determinarsene con 
eguale certezza l'origine, non sembra che sia inibita la commistione del metodo 
sintetico e del metodo analitico, semprech� nel risultato finale si tenga conto 
delle quantit� certe per dedurle dal complesso determinato induttivamente, onde 
evitare sovrapposizioni. E' del resto pacifico che � ben possibile apportare con 
metodo induttivo rettifiche e correzioni al bilancio, che resta pur sempre la 
base emolitica dell'accertamento, secondo quanto dispongono l'art. 119 del T.U. 
delle imposte dirette e l'art. 39 del d.P.R. n. 600/1973. (Cass. 6 marzo 1980 n. 1500, 
in questa Rassegna, 1981 I, 125, conforme a numerosissime altre); questo principio, 
che � invero riferito all'accertamento eseguito sulla base del bilancio, 
non � incompatibile con l'accertamento sulla base della sola dichiarazione, che 
ha anche una analiticit� che pu� (o deve), finch� � possibile, essere conservata. 
Sul problema della seconda massima v. le sentenze 23 maggio 1979, n. 2996 
e 15 novembre .1979, n. 5951, in questa Rassegna 1980, I, 377, con nota di C. BAFILE, 
cui adde 4-2-1980 n. 774 ivi 819. 



176 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

metodo sintetico di accertamento sulla base di erronee considerazioni 
quali: la mancata indicazione, nella dichiarazione dei redditi presentata, 
degli elementi attivi e passivi dei redditi dichiarati; l'omessa denuncia 
di alcune fonti di reddito, quali i fabbricati intestati alla s.a.s. Risorgimento 
nonch� le azioni della s.p.a. Finanziaria Loi1atese e della societ� 
Finparte; il difetto di enunciazione degli indici dimostrativi del possesso 
del maggior reddito attribuito, tale non potendo essere considerato il 
mero riferimento all'ottimo tenore di vita del contribuente. 

Con il secondo motivo, lamentando il difetto di motivazione, la violazione 
delle norme :in tema di onere probatorio (art. 2697 cod. dv.) e dell'art. 
135 t.u. 29 gennaio 1958 n. 645, il ricorrente si duole che, nel procectere 
all'esame della legittimit� sostanziale dell'accertamento, la sentenza 
impugnata: abbia ritenuto esattamente attribuito a lui un reddito derivante 
dai cespiti immobiliari della s.a.s. Immobiliare Risorgimento, senza 
considerare che� 1a qualit� di socio non � sufficiente a dimostrare l'avvenuta 
percezione di dividendi e che nella specie era fatto riferimento non 
a redditi da partecipazione a tale societ�, ma a redditi di fabbricati 
posseduti dall'anzidetta societ�; abbia riconosciuto corretta l'attribuzione 
di utili percepiti dalla s.p.a. Finanziaria Lonatese, derivanti dalla quota 
di partecipazione di detta societ� nella s.p.a. Bragonzi, senza dimostrare 
che esso contribuente fosse socio di detta finanziaria e che la stessa 
avesse distribuito utili; abbia giudicato essere state esattamente valorizzate 
asserite sottoscrizioni di obbligazioni emesse dalla s.p.a. Bragonzi, 
ai fini della determinazione del reddito complessivo del contribuente, 
senza alcuna motivazione circa la prova di dette sottoscrizioni e con 
inversione dell'onere della prova. 

Con il terzo motivo, infine, il ricorrente assume violati gli artt. 37 
e 40 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 in relazione all'art. 360 n. 3 e n. 5 
cod. � proc. civ., in conseguenza del rigetto, senza motivazione, della doglianza 
mossa alla decisione della Commissione tributaria di secondo 
grado in ordine alla motivazione circa la stima del reddito. 

Il ricorso, le cui articolazioni critiche si palesano connesse, in quanto 
dirette, in via principale, a contestare la legittimit� dell'adozione del 
metodo sintetico di accertamento e la legittimit� sostanziale di questo, e 
che, pertanto, suggeriscono un esame congiunto dalle questioni prospettate, 
risulta fondato e meritevole di accoglimento, per le ragioni, nei 
limiti e con le conseguenze che seguono. 

Conviene ricordare che, mentre a norma dell'art. 37, secondo comma, 

t.u. n. 645 del 1958, la motivazione analitica dell'accertamento non � 
richiesta n� per l'accertamento dei redditi che il contribuente abbia 
omesso di dichiarare, n� quando la dichiarazione manchi dell'indicazione 
analitica degli elementi attivi e passivi, d'altra parte la determinazione 
sintetica del reddito complessivo netto � consentita, dall'art. 137 dello 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

stesso t.u., qualora il tenore di vita del contribuente od altri elementi o 
circostanze di fatto facciano presumere un reddito netto superiore a 
quello risultante dalla determinazione analitica. 

Nell'ipotesi di omessa dichiarazione di un reddito posseduto dal contribuente 
� consentito pertanto, all'amministrazione che, procedendo all'accertamento 
d'ufficio, riesca ad individuarne l'esistenza, di ricorrere ad 
una motivazione non analitica, proprio in conseguenza della violazione, 
da parte del contribuente, del dovere di rendere la dichiarazione di tutti 
i redditi soggetti ad imposta da lui posseduti (art. 17 d.P.R. n. 645 del 1958) 
e della correlativa difficolt� per l'amministrazione stessa di procedere 
alla determinazione analitica dell'ammontare di redditi per i quali difettino 
allegazioni nonch� elementi di fatto e documentazione. 

E tale determinazione, la quale contrariamente a quanto il ricorrente 
sostiene, era quindi consentita, nella specie, sia pure limitatamente ai 
redditi non compresi nella dichiarazione e che venivano accertati d'ufficio, 
deve considerarsi legittima, per quanto attiene alla motivazione, quando 
l'atto ponga il contribuente in grado di conoscere la pretesa fiscale in 
tutti i suoi elementi essenziali ai fini di una eventuale efficace contesta� 
zione sull'an e sul quantum (v. Cass. 23 settembre 1976 n. 3162). 

In tal caso, peraltro, il reddito accertato con motivazione non analitica 
concorre insieme con gli altri dichiarati dal contribuente (rettificati o 
meno d'ufficio) a costituire il reddito imponibile. 

Soltanto all'esito di questa fase pu� subentrare il controllo circa la 
congruenza tra il reddito globale cos� determinato e quello che deve 
ritenersi essere stato complessivamente a disposizione del contribuente, 
in considerazione del tenore di vita da lui condotto o di altre circostanze 

o fatti espressivi di un maggior reddito. 
� opportuno, a questo riguardo, precisare che l'art. 137 cit., tuttavia, 
nel consentire l'accertamento sintetico del reddito complessivo netto, non 
esige che l'avviso di accertamento contenga la preliminare esposizione 
della verifica analitica dei redditi dichiarati, seguita dall'indicazione delle 
ragioni poste a fondamento della determinazione sintetica, o induttiva, 
del reddito (v. Cass. 5 marzo 1979 n. 1363). 

Quando, pertanto, l'ufficio ritenga che l'ammontare complessivo dei 
redditi dichiarati (rettificati o meno) e di quelli accertati d'ufficio con 
motivazione non analitica perch� non denunciati, non sia tale da giustificare 
il tenore di vita e gli atti dimostrativi di disponibilit� di un maggior 
reddito goduto dal contribuente, pu�, nell'avviso di accertamento, 
trascurare cos� il calcolo dell'imponibile complessivo risultante incongruo, 
come la specifica determinazione in via non analitica dei redditi non 
denunciati, posto che i fatti-indici di una maggiore redditivit�, gli permettono 
-a suo giudizio -di prescindere, come la legge consente, dalla 
individuazione dei singoli redditi. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

178 

� evidente, infatti, che l'ufficio, giudicando che il reddito che � possibile 
legittimamente dedurre dagli elementi in suo possesso, non � congruente 
con la disponibilit� di redditi da parte del contribuente, quale � 
data presumere dai fatti-indici di essa, supera la valutazione dei singoli 
redditi, specificati o meno nel loro distinto ammontare, per individuare 
la redditivit� complessiva del soggetto, a formare la quale ritiene, quindi, 
che concorrano redditi non dichiarati e di cui non � stato possibile accertare 
n� la fonte, n�, tanto meno, il concreto specifico ammontare. 

Consegue che, quando l'ufficio ritenga di potere procedere all'accertamento 
sintetico, a norma dell'art. 137 cit., di un reddito complessivo 
adeguato a quello rivelato dal tenore di vita del contribuente (disponibilit� 
di una o pi� resid~nze secondarie e caratteristiche di esse, di aerei, di 
navi da diporto, di riserve di caccia, di cavalli da corsa; entit� del personale 
domestico; viaggi, villeggiature ecc ... v. art. 2 d.P.R. 29 settembre 1973 

n. 600) ovvero anche da circostanze o da elementi di fatto espressivi di 
disponibilit� di reddito (incremento del patrimonio mediante acquisto 
di nuovi beni, erogazioni di cospicue entit�, ecc.), non pu� assumere come 
elemento rivelatore del reddito complessivo che intende accertare (sinteticamente) 
il possesso di specifici redditi (dichiarati o accertati d'ulificio), 
ma deve, invece, accertare i fatti e le, circostanze, cio� i fatti-indici, che 
provando un certo ammontare di spese presuppongono la disponibilit� 
di un reddito complessivo spendibile superiore a quello accertabile analiticamente 
e proporzionato all'entit� delle erogazioni complessivamente 
effettuate dal contribuente. 
Il tenore di vita risultante da fatti indici e gli altri elementi di fatto 
e circostanze che consentono di presumere un reddito complessivo maggiore 
di quello accertabile attraver~o il (reddito o il) cumulo dei redditi 
la cui fonte sia stata denunciata o accertata d'ufficio, non possono essere 
utilizzati a quel fine insieme con il risultato raggiunto in via analitica pi 
cui � emersa l'incongruenza attraverso la dimostrata maggiore capacit� 
tributaria del contribuente, proprio perch� possono essere considerati 
significativi soltanto quando siano dimostrativi di un reddito superiore a 
quello accertabile analiticamente, restando altrimenti assorbiti da quel 
risultato, nei cui limiti sono privi di significato perch� giustificati. 

Le considerazioni esposte, se da un lato consentono di disattendere la 
censura rivolta alla sentenza impugnata in punto di riconosciuta legittimit� 
del ricorso dell'amministrazione finanziaria all'accertamento del reddito 
complessivo con metodo sintetico, impongono, dall'altro, di accogliere le 
conclusioni critiche in punto di legittimit� sostanziale e di motivazione 

dell'accertamento. 

La sentenza impugnata, dopo avere esattamente affermato che per il 
ricorso all'accertamento complessivo in via sintetica non � necessario 
che sussista, come elemento indispensabile, anche un elevato tenore di 

' 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

vita del contribuente (elemento riconosciuto nella sp�cie non valorizzabile 
per essere stato �non bene messo in evidenza dall'ufficio�), ma che pu� 
essere sufficiente la sussistenza di uno o pi� dati di fatto di per s� 
idonei a lasciare presumere un maggior reddito, poteva ritenere legittimamente 
compiuto, nell'adozione di tale metodo, il ricorso alla sola circostanza 
valutabile come denotativa di un maggior reddito, cio� all'erogazione 
di capitali per la sottoscrizione di prestiti obbligazionari della 

S.p.A. Bragonzi, ma non anche il riferimento all'ammontare dei redditi 
non dichiarati dal contribuente ed individuati dall'ufficio, come quelli 
derivanti dall'affermata partecipazione azionaria di lui alle societ� Immobiliare 
Risorgimento, Bragonzi e Finanziaria Lonatese. 
Inoltre nel procedere al controllo della decisione della commissione 
tributaria sul punto, ha ritenuto a torto che sia stato esattamente valoriz2lato 
il ricordato fatto-indice, ed ha adottato in proposito una motivazione 
non soltanto generica e priva di ogni concreto riferimento alla specie 
(tempo, ammontare ed altre caratteristiche del prestito obbligazionario 
ed entit� della sottoscrizione), ma viziata anche da una vera e propria 
inversione dell'onere della prova, col rilevare la sufficienza, ai fini probatori, 
dell'affermazione (peraltro generica) dell'Ufficio circa la sussistenza 
della ricordata circostanza, in quanto non smentita documentalmente 
dal contribuente. 

Senza che sia necessario ripetere le ragioni diffusamente svolte in 

altre decisioni che hanno approfonditamente esaminato il problema (v. Cass. 

23 maggio 1979 n. 2990; 15 novembre 1979 n. 5951), � sufficiente qui ribadire 

le conclusioni cui la richiamata giurisprudenza di questa Corte � per


venuta, nel senso che l'autorit� amministrativa deve' accertare, prima di 

emettere il provvedimento impositivo, il presupposto di fatto di esso, e, 

posto che oggetto del giudizio � l'effettiva esistenza del credito vantato 

dall'amministrazione, senza che rilevi la circostanza che l'iniziativa del


d'azione nella massima parte dei casi sia presa dall'obbligato, stante la 

immediata esecutoriet� delle pretese amministrative, la verifica {positiva) 

di tale presupposto va compiuta dal giudice (in giudizio) con onere proba


torio a carico dell'amministrazione medesima secondo la regola generale 

dettata dall'art. 2697 cod. civ. 

L'operata inversione dell'onere della prova e la mancanza di motivazione 
in ordine alla valutazione del fatto-indice ai fini della determinazione 
del reddito complessivo accertato, impongono la cassazione della 
sentenza impugnata con assorbimento di tutti gli altri motivi di censura, 
restando devoluto alla Corte di rinvio, nell'osservanza della regola dell'onere 
della prova e con adeguata motivazione, il riesame del materiale 
probatorio offerto dall'amministrazione in proposito, con l'avvertenza che 
essa non deve giudicare solo astrattamente sull'attitudine o meno del 
fatto-indice a giustificare il metodo accertativo adottato, ma deve in 


180 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

concreto statuire sulla correttezza o meno del suo impiego nel caso di 
specie. 

All'esito eventualmente negativo di tale giudizio, nel senso che il 
metodo sintetico non consenta di pervenire, nel caso concreto, alla determinazione 
del reddito imponibile complessivo, le questioni rimaste assorbite 
e che rilevano ai fini della determinazione analitica del reddito nelle 
diverse componenti (dichiarate dal contribuente o accertate d'ufficio) 
non potranno non formare oggetto d'esame, ma all'uopo dovr� essere 
disposto il rinvio alla commissione di secondo grado, competente in materia 
estimativa. 

Poich�, infatti, la controversia d'imposta ha per oggetto la sussistenza 
sostanziale dell'obbligazione e non l'impugnazione dell'accertamento, 
non tende quindi a rinnovare tale provvedimento (il quale d'altra 
parte ne rappresenta l'antecedente necessario: giurisdizione condizionata), 
ma ad accertare l'effettiva esistenza del credito vantato dall'amministrazione 
finanziaria, dovr� procedersi alla determinazione del credito tributario 
preteso dinanzi alla commissione di secondo grado. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 ottobre 1981, n. 5698 -Pres. La Farina Est. 
Granata -P. M. Leo (conf.) AIACA (avv. Barone) c. Ministero 
delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). 

Tributi (in genere) -Contenzioso tributari.o� Ricorso alla Corte d'appello � 
Anteriore proposizione di ricorso tardivo alla Commissione centrale � 
Non preclude la proponibilit�. 

(d-.P.R,. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 40). 

Tributi' (in genere) � Contenzioso tributario � 1lmpugnazione di terzo 
grado . Altemativit� � Ricorso alla Commissione centrale sospetto 
di inammissibilit� ed impugnazione alla Corte d'appello . Necessit� 
di sospendere il giudizio innanzi alla Corte d'appello. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 40; c.p.c. art. 295). 
La proponibilit� della impugnazione innanzi alla Corte d'appello ex 
art. 40 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 non � impedita dalla anteriore proposizione 
di un ricorso tardivo alla Commissione centrale (1). 

(1-2) La sentenza, che affronta un problema irto di difficolt�, lascia alquanto 
perplessi. 

Essa segue un indirizzo che non sembra consonante con quello della precedente 
sentenza 2 luglio 1980, n. 4189 (in questa Rassegna, 1981, I, 375) secondo 
la quale la rinuncia al ricorso gi� proposto innanzi alla Commissione centrale 
non � idonea a rendere proponib!ile la impugna:lJione dnnamJi alla Corte d'appello. 
La questione � in parte diversa (sebbene il principio possa ritenersi estensibile 


181

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Ove sorga questione sulla proponibilit� dell'impugnazione innanzi alla 
Corte di appello in relazione alla tempestivit� del ricorso proposto alla 
Commissione centrale, il giudizio innanzi alla Corte d'appello deve essere 
sospeso ex art. 295 cod. proc. civ. fino alla conclusione di quello pendente 
davanti alla Commissione centrale, la cui decisione sul punto sar� stato 
nel giudizio innanzi alla Corte d'appello (2). 

(omissis) 1. -La sentenza impugnata ha ritenuto che anche la proposizione 
intempestiva, e quindi tardiva, del ricorso in Commissione tributaria 
centrale, come tale inammissibile, faccia scattare la preclusione di 
cui all'art. 40 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 e renda per l'effetto improponibile 
l'impugnazione davanti alla Corte , di appello. 

I cinque mezzi di annullamento formulati dalla ricorrente propongono, 
come motivo di fondo, la opposta interpretazione del citato art. 40, 
e confortano tale tesi con il sussidio di argomentazioni collaterali, volte 
a confermare, sotto profili ed angolazioni diverse, la sua rispondenza a 
legge. 

2. -Con il primo motivo, infatti, che denunzia, in relazione all'art. 360 
n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell'art. 10 n. 14 legge 
9 ottobre 1971 n. 825, 40 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, 12 disposizioni sulla 
legge in generale, la ricorrente deduce che l'art. 10 n. 14 della legge delega 
n. 825 del 1971 ha previsto l'alternativit� dei due rimedi non per privilegiare 
il ricorso alla Commissione centrale rispetto all'appello, come afferanche 
alla rh:mncia a ricorso inammissibile), ma significativa della considerazione 
che ai fini dell'alternativa qualunque ricorso alla Commissione centrale 
preclude a quella parte la proposizione della impugnazione alla corte d'appello. 

Le altre parti hanno diritto a considerare la scelta della Commissione centrale 
come definitiva, a proporre in questo giudizio le proprie impugnazioni 
e a considerare come ormai impossibile per iniziativa della stessa parte l'impugnazione 
innanzi alla Corte d'appello. 

Potranno se mai le altre parti, se vi hanno interesse, rivendicare il proprio 

diritto ad adire la Corte d'appello sul p:riesupposto che n termine per ricorrere 

alla Centrale era gi� scaduto per tutte le parti. 

Ma non sembra che la stessa parte che ha proposto una delle impugnazioni 

alternativamente ammesse possa proporre anche l'altra impugnazione e colti


varle entrambe nella fiducia che una delle due possa andare a buon fine; e poich� 

di ricorso non pu� mai dirsi tardivo fino a quando non sar� dichiarato inammis


sibile, sarebbe sempre possibile proporre ambedue le impugnazioni in pieno 

dispregio del principio della alternativit�. 

E come devono in tale situazione comportarsi le altre parti sia per la sem


plice resistenza sia per la prnposimone di dmpugnazioni incidentali? 

II confronto storico con il superato contenzioso non � pertinente per la 

diversit� delle situazioni. Neppure ha valore determinante l'eventualit� che una 

delle parti con una impugnazione tardiva pretestuosa alla Commissione centrale 

impedisca all'altra di ricorrere alla Corte d'appello; si � visto che la scelta del 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

mato dal1a Corte bolognese, ma per por.re a disposizione delle pairti, accanto 
allo strumento tradizionale, un mezzo di impugnazione nuovo, appunto 
l'appello al giudice ordinario, idoneo ad assicurare maggiori e pi� ampie 
garanzie, con ci� intendendo ampliare la sfera delle garanzie difensive 
delle parti e non gi� introdurre un ostacolo alla tutela giurisdizionale 
ordinaria. Pertanto la sentenza impugnata, nell'accogliere l'opposta opinione, 
ha attribuito all'art. 40 del d.P.R. 1972 n. 636 una portata tale da 
renderlo viziato da eccesso di delega. 

Con il secondo motivo, che denunzia, in relazione agli artt. 2909 con. 
civ., 43, 295. e 360 n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli 
artt. 10 n. 14 legge 9 ottobre 1971 n. 825, 25 e 40 d.P.R. 26 ottobre 1972 
n.. 636, 34, 112, 324, 348, 350 cod. proc. civ., 1~ disposizioni sulla legge in 
generale, la ricorrente deduce che la Corte bolognese nell'affermare che 
anche '1a proposizione del Ticorso 1aHa Commissione centrale oltre il termine 
di legge rende improponibile l'impugnazione davanti ailla Corte di 
appel.Jo, non ha tenuto presente che I'art. 40 d.P.R. 1972 n. 636, subordinando 
l'esperimento dell'appello a11'inutile .decorso dd te11mine per ricor~ 


fil 

rere alla Commissione centrale, non ha voluto precludere la proposizione fil 
del primo rimedio per �effetto della semplice presentazione del secondo, E:. 

t 

ma ha inteso consentire di avvalersi de11'appello tutte le volte che il ricorso " 
alla Commissione non sia stato proposto o lo sia stato tardivamente: in 

)j

ta1 senso depongono, secondo la ricorrente, 1a lettera e la ratio dell'art. 40. 
Ai fini deMa cui corretta applica:lli.one la Corte di appello avrebbe potuto 11 
e dovuto deliberare incidenter tantum fa tardivit� del ricorso aMa Com-f 
missione centrale �al limitato scopo di accertare 1a proponibilit� delfimpu


il 

i 

I 
~~ 

giudice di terzo grado fatta tardivamente non � vincolante per le altre parti (ma 
lo � per �a parte che la propone). 

Dovrebbe pertanto ritenersi che il ricorso alla Centrale anche se sospetto 
d'inammissibilit� per decorso del termine, per la parte che lo propone consuma 
l'impugnazione. 

Ci� non esclude, come si � visto, che le altre parti facendo valere la sca~ 
denza del termine propongono le loro impugnazioni innanzi alla Corte d'appello. 

~ 

Solo in questo modo pu� presentarsi il problema della doppia pendenza, og


~ 

getto della seconda massima. t 

La soluzione -proposta non pu� essere condivisa per la ipotesi che la stessa r: 
parte abbia proposto le due impugnazioni; � infatti evidente che in questo caso 
la decisione della Commissione centrale non ha natura pregiudiziale rispetto alla 


I 

pronunzia del1a Corte d'appello. La commdss~one centrale se riconosce H 11icorso 
r. 

I

tempestivo lo decide nel merito, con il che � definita l'impugnazione di terzo 
grado. i 


� evidentemente inconcepibile che una decisione che pu� decidere il merito 
possa allo stesso tempo, se 1sfavorevole, costituire una condizione per riproporre 
la stessa impugnazione innanzi ad altro giudice? L'impugnazione di terzo grado 
� una soltanto e dopo che � stata dichiarata inammissibile � certamente consumata. 
� d'altra parte inaccettabile che la parte ricorrente possa trovarsi 
nella condizione di particolare vantaggio, di ottenere o una decisione favorevole 


! 

:~-~ 


183

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

gnazione ad essa corte presentato, se del caso sospendendo il giudizio alla 
stregua dei principi desumibili dagli airtt. 295 e 43 cod. proc. 'Civ., app~icabili 
nella specie. 

Con particolare riferimento ,all'art. 295 citato, infatti, la rcicorrente, 
con il successivo motivo, sostiene che tale novma, volta ad evitare il 
<::ontrasto di giudicati, trova applicazione nel giudizio tanto di primo 
quanto di secondo grado; e poich� l'art. 40, quinto comma, d.P.R. citato 
fa espresso rinvio alle disposizioni del codice di procedura civile sul giu� 
dizio di appello, non solo non esistono ostacoli per invocare la norma 
de qua nel procedimento di impugnazione di cui si discute, ma si rinviene 
addirittura una esplicita indicazione testuale che quella applicazione impone, 
indipendentemente da ogni considerazione sulla qualificazione giuridica 
del � presupposto � per Tivolgevsi alla Corte di appello .in materia 
tributaria (terzo motivo, con cui si denunzia, in relazione all'art. 360 nn. 3 
e 5 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione sotto altro profilo degli 
artt. 25 e 40 d.P.R. 1972 n. 636 e 295 cod. proc. civ., nonch� omessa o quanto 
meno insufficiente motivazione). 

Come pure erroneamente -prosegue la ricorrente con il quarto motivo, 
che denunzia, in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., violazione 
e falsa applicazione degli artt. 25, 26 e 40 d.P.R. 1972 n. 636, 358 e 373 
cod. proc. civ. -la Corte di appello ha negato l'applicabilit� alla specie, 
che concernerebbe due gravami proposti davanti a due giudici diversi, 
degli artt. 358 e 373 cod. proc. civ., i quali invece, secondo la stessa Corte 

della Commissione centrale o la possiibilit� di riproporre l'impugnazione allia C�rte 
d'appello. 

Nel caso in cui le altre parti abbiano adito la Corte d'appello sostenendo 
la intempestivit� del ricorso proposto alla Commissione centrale la situazione 
� evidentemente diversa, perch� non � la stessa parte che gioca su due campi 
Tuttavia � egualmente difficile configurare una sospensione ex art. 295 c.p.c. 
perch� anche in questo caso la decisione della Commissione centrale, se ritiene 
il ricorso tempestivo decide l'impugnazione nel merito cosicch� resta travolto il 
giudizli.o della Corte d'appello anche per ci� che conoerne le impugnazioni delle 
altre parti che dovevano essere proposte innanzi alla Commissione centrale tempestivamente 
adita. E' poi evidente la macchinosit� della sospensione e il grave 
ritardo che essa comporta ove, come nel caso deciso, la decisione della Centrale 
venga impugnata con ricorso per cassazione. 

A ben riflettere non esiste alcuna pregiudizialit�, perch� la questione sul 
punto se il termine per ricorrere alla Commissione centrale sia infruttuosamente 
scaduto nonostante la presen1lazione di un ricorso, � egualmente preliminare sia 
per l'ammiss[bdl!it� del ricorso alla Centrale sia per la proponibilit� dell'impugnazione 
alla Corte d'appello. Ambedue i giudici hanno eguale legittimazione a decidere 
una tale questione e non esiste preferenza per uno sull'attro come non esiste 
prevalenza di un giudicato sull'altro. 

E poich� ambedue gli organi giudicanti in potenziale conflitto fanno parte 
dello stesso processo e sono posti ;nello stesso grado ed in alternativa, non 
sembra azzardato ipotizzare che possa valere sull'argomento il criterio della 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

di merito, riguarderebbero l'ipotesi della duplicazione di un solo gravame 
davanti lo stesso giudice: cos� argomentando, ad avviso della ricorrente, 
la sentenza impugnata non ha tenuto presente che nel processo 
tributario la Commissione centrale e la Corte di appello, pur essendo 
organi giurisdizionali diversi, sono posti sullo stesso piano dagli artt. 26 
e 40 d.P.R. 1972 n. 636, che stabiliscono inoltre una perfetta equipollenza, 
quanto al contenuto ed agli effetti, delle impugnazioni indirizzate all'una 
ed all'altra. 

Sostiene infine la ricorrente con il quinto ed ultimo motivo (con 
cui denunzia illegittimit� costituzionale dell'art. 40 d.P.R. 26 ottobre 1972 

n. 636 in relazione all'art. 10 n. 14 legge 9 ottobre 1971 n. 825, ed agli 
artt. 24, 76, 102, 115 Costituzione) che la eventuale conferma della interpretazione 
adottata dalla corte di merito imporrebbe a questa Corte 
Suprema di disporre la rimessione degli atti alla Corte Costituzionale: in 
tal caso, infatti, la garanzia di una tutela giurisdizionale effettiva sarebbe 
vanificata, perch� nessuno dei due organi giurisdizionali potrebbe pronunziarsi 
sul merito delle impugnazioni, stante la dichiarazione di tardivit� 
della Commissione centrale e quella di improponibilit� della Corte di 
appello. 
3. -Il ricorso � fondato. 
prevenzione: la decisione che interverr� per prima far� stato in ambedue i 
giudizi, o nel senso che nel giudizio deciso si assorbe l'impugnazione di merito 

o nel senso della inammissibilit� o improcedibilit� di quel giudizio che possibile 
la prosecuzione dell'altro (salvo a distinguere la posizione delle diverse parti a 
seconda che abbiano o meno proposto una impugnazione inammissibile). 
Si deve osservare che in tal modo non si fa decidere da un giudice la ritualit� 
di una impugnazione rivolta ad un giudice diverso; a tal proposito pu� soccorrere 
l'esperienza passata che aveva insegnato come la proposizione di una 
impugnaz!ione inammissibile ab origine cli una decisione di Commis�sione non 
influiva sul decorso del termine semestrale per proporre l'azione ordinaria, 
sicch� n giudice ordinario, che non era giudice d'impugnazione dspetto alle commissioni 
e non poteva sindacare gli errores in procedendo, ben poteva verificare, 
come presupposto della proponibilit� della domanda ad esso rivolta, se la decisione 
della Commissione era diventata inoppugnabile nonostante la proposizione 
di un ricorso intempestivo o non ammesso nel sistema processuale; non 
poteva invece il giudice ordinario verificare la ammissibilit� di tin ricorso alla 
Commissione a causa di altri ostacoli rpreclusivd dell'esame del merJ.to trattandosi 
in questo caso di questione attinente alla: ritualit� del procedimento innanzi alla 
Commissione (Cass. 12 luglio 1978, n. 3115, in questa Rassegna, 1978, I, 744, citata 
nel testo sotto un diverso profilo). 

Certamente an:che il criterio della prevenzione !POrta con s� altre difficolt� 
ed incertezze, eliminabili soltanto con un affinamento interpretativo; sembra 
tuttavia che la soluzione sia pi� aderente alla norma specifica ed ai principi. 

C. BAFILE 
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r:
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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

4. -La legge di delega n. 825 del 1971, all'art. 10 n. 14, stabilisce 
doversi dalle emanande norme delegate prevedere � che l'azione giudiziaria 
possa essere esperita avanti le corti di appello... dopo che sia decorso 
il termine per il ricorso alla Commissione centra!le �. E in attuazione cli 
tale delega il d.P.R. 1972 n. 636, all'art. 40 primo comma, statuisce che 
� decorso inutilmente per tutte le parti il termine per ricorrere alla Commissione 
centrale, la decisione della commissione di secondo grado pu� 
essere impugnata entro novanta giorni avanti la corte di appello�. 
Il senso letterale di entrambe le disposizioni normative riferite � 
chiarissimo: esse assumono, a presupposto di proponibilit� della impugnazione 
in Corte di appello, Ia decorrenza del termine, fissato per fa presentazione 
del ricorso in Commissione centrale, senza che questa presentazione 
vi sia stata. Tanto inequivocabilmente esprime la locuzione � dopo 
che sia decorso il t�rmine per il ricorso alla Commissione centrale�, di 
cui al citato art. 10 n. 14; altrettanto, con pari univocit�, esprime il riferimento 
all'inutile decorso dello .stesso termine (trascorso �inutilmente�, 
appunto se ed in quanto spirato senza che durante la sua pendenza il 
ricorso alla Commissione centrale sia� stato presentato). 

� quindi contraria alla lettera della legge la interpretazione adottata 
dalla sentenza impugnata, che quel presupposto, invece, ravvisa non nella 
mancata proposizione entro il termine del menzionato ricorso, ma nella 
omissione di siffatta iniziativa processuale senza alcun limite di tempo, 
e specularmente eleva la proposizione tardiva del ricorso a motivo di 
preclusione della impugnazione in Corte di appello, !laddove il legislatore 
-come esattamente notato nella discussione orale dalla difesa della 
ricorrente -quando ha voluto adottare un simile tipo cronologicamente 
indifferenziato di presupposto (e, al negativo, di preclusione) nei rapporti 
fra due rimedi impugnatori configurati in sequenza eventuale, e 
subordinata, dell'uno rispetto all'altro, ha impiegato formule verbali ben 
diverse, idonee a significare con tutta chiarezza che, come elemento della 
fattispecie legale, veniva assunto l'esperimento -in s� e per s� considerato, 
indipendentemente da qualsiasi sua connotazione cronologica dalla 
data impugnazione (cos�, ad esempio, nell'art. 34, secondo comma, 

r.d. 26 giugno 1924 n. 1054, sul quale cfr. Cass. Sez. Un. 24 gennaio 1967 
n. 210). 
Storicamente, poi, l'inserimento nella disciplina dei rapporti fra azione 
davanti alle Commissioni ed azione davanti al Giudice ordinario, dettata 
dal nuovo contenzioso tributario, di una figura della prima predicata dal 
connotato dell'ammissibilit� (non solo quanto a tipicit�, ma anche) quanto 
a tempestivit� dell'esercizio, � perfettamente in linea con il sistema previgente, 
nel quale -come la giurisprudenza di questa Corte Suprema ha 
fer~amente puntualizzato (cfr. da ultimo, per l'applicazione del principio, 
Cass. Sez. Un. 12 luglio 1978 n. 3511; cfr. inoltre Cass. 4 agosto 1977 

(� 


186 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

n. 3474; Cass. 25 febbraio 1975 n. 40) -il momento della definitivit� della 
decisione in sede di Commissione, fungente da dies a quo della decorrenza 
del termine utile per proporre l'azione giudiziaria, non veniva in alcun 
modo influenzato dalla eventuale proposizione di una tardiva impugnazione 
contro quella decisione. 
Da ultimo, ma non certo quanto a decisivit�, soccorre, a conforto del 
ripudio della interpretazione adottata dalla corte di merito, il rilievo (dalla 
corte stessa percepito, senza peraltro cogliere le indicazioni ermeneutiche 
che ne scaturivano in senso contrario alla soluzione ad essa accolta) che, 
alla sua stregua, il diritto di ciascuna delle parti (e non del solo contri� 
buente, come riduttivamente avvertito da un autore, gi� in sede di primo 
commento al decreto delegato n. 636 del 1972) sarebbe rimesso alla merc� 
della controparte, la quale decorso il termine per ricorrere alla Commissione, 
potrebbe immediatamente dopo artatamente proporre un infondato, 
�d in ogni caso inammissibile -perch� tardivo -ricorso alla Commissione 
stessa, con ci� solo precludendo all'altra la possibilit� di impugnare 
1n Corte di appello. Con la conseguenza che ciascuna delle pavti, ove 
volesse con certezza garantirsi contro una simile evenienza, dovrebbe o 
preoccuparsi di battere sul tempo la possibile iniziativa fraudolenta dell'aivversrarfo, 
proponendo ['impugnazione davanti alla Corte di appello nel 
primo momento utile immediatamente successivo allo spirare del termine 
per !ricorrere in Commis�sione centrale (ammesso che la prevenzione fosse 
ritenuta idonea ad impedire l'operare della regola fissata dalla sentenza 
impugnata), oppure rinunziare �a priori� al gravame davanti al Giudice 
ordinario e necessariamente adire nel termine, la suddetta Commissione. 
Donde l'inevitabile sospetto di incostituzionalit� della norma cos� interpretata. 


5. -Deve dunque affermarsi che, ai sensi dell'art. 10 n. 14 legge 1971 
n. 825, la proposizione tardiva del ricorso alla Commissione centrale non 
preclude Ia possibilit� �di esperire !'.impugnazione in Corte di appeUo. 
Perde cos� rilevanza la questione (sulla quale non vi � uniformit� 
di indirizzo nella giurisprudenza di questa Corte Suprema: cfr. in sensi 
diversi, infatti, Cass. S.U. 8 luglio 1957 n. 2707 e Cass. 21 maggio 1957 

n. 1834) dei limiti, entro i quali opera la regola della �consumazione� 
dell'impugnazione. 
Quanto, poi, al preteso inconveniente del pericolo di giudicati contraddittori 
-a_ddotto dalla sentenza impugnata quasi per giustificare in 
termini di ineluttabilit� la opposta soluzione da essa accolta -va rilevato 
che esso non solo, quando anche effettivamente sussistesse, non costituirebbe 
un argomento dirimente, e dovrebbe recedere di fronte alle argomentazioni 
sopra svolte, ma neppure in realt� ricorre. 

L'eventualit� di giudicati contraddittori � ben possibile nel nostro 
ordinamento (cfr. Cass. 27 luglio 1973 n. 2217) in presenza tanto di situa



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

zioni patologiche (appello e ricorso per cassazione contro sentenza soggetta 
per legge ad una sola delle due impugnazioni -c.d. concorso anomalo: 
Cass. n. 1834 del 1957 cit. -le quali, una volta proposte non creano 
litispendenza -Cass. n. 2217 del 1973 cit.; Cass. 16 maggio 1977 n. 1966 ,._ 
sicch� debbono proseguire ciascuna per suo conto: Cass. 8 ottobre 1965 

n. 2109; Cass. n. 1834 del 1957 cit.), quanto di situazioni previste dall'ordinamento 
(ad esempio reiterazione della impugnazione inammissibile o 
improcedibile, prima della relativa dichiarazione giudiziale, rispetto alla 
quale nessun raccordo � espressamente apprestato dalla legge; ipotesi 
della sentenza di conciliazione impugnabile direttamente per cassazione 
ex art. 111 Cost. e proponibilit� anche di ricorso ordinario contro la sentenza 
sulla prima emessa dal pretore in sede di appello, per la problematica 
del cui raccordo cfr., obiter, Cass. S.U. 10 settembre 1976 n. 3130). 
Proprio in tema di art. 40 d.P.R. 1972 n. 636, poi, la eventualit� di giudicati 
contraddittori sarebbe, secondo autorevole dottrina, la ineluttabile conseguenza 
del potere conferito e alla Commissione centrale e alla Corte di 
appello di giudicare autonomamente, e quindi anche diversamente -in 
via diretta la prima, indiretta la seconda -della validit�, o meno, della 
comunicazione e della notificazione della decisione di II grado (eventualit�, 
peraltro, dalla stessa dottrina negata sul presupposto dell'applicabilit� 
alla specie dell'art. 295 cod. proc. civ., di cui si sta per dire). 
Ma in realt� l'inconveniente cos� addotto non sussiste, ad esso potendo 
e dovendo la corte di appello, avvertita della proposizione di un ricorso 
in Commissione centrale, sospendere il giudizio pendente davanti a s� 
fino alla definizione dell'altro, ai sensi dell'art. 295 cod. proc. civ. 

La sentenza impugnata ci� nega, sul rilievo che nella ipotesi considerata 
si tratterebbe della stessa causa e della stessa impugnazione. 

Che per diritto positivo conforme a Costituzione ricorso in Commissione 
centrale e ricorso in Corte di appello siano impugnazioni -quanto 
a possibile contenuto -identiche �, come ben noto, sub iudice (Cass. ord. 
19 giugno 1980 n. 337). 

Ma, a parte ci�, sta il fatto che l'art. 295 cod. proc. civ., e la regola 
della sospensione del giudizio pregiudicato in pendenza del giudizio pregiudicante 
da esso dettata, esprimono un principio generale del nostro 
ordinamento processuale, al quale si riconducono le specifiche statuizioni 
di contenuto sostanzialmente identico, che riguardano anche i casi di 
sdoppiamento di identica causa davanti ad identico giudice (ad esempio, 
a prescindere dall'espediente empirico della trattazione contestuale: ricorso 
per cassazione contro la sentenza emessa in giudizio di revocazione e 
ricorso per cassazione contro la sentenza oggetto della revocazione: cfr. 
Cass. 14 novembre 1979 n. 5918; cfr. anche Cass. 24 gennaio 1977 n. 348; 
Cass. 31 luglio 1967 n. 2039; ricorso ordinario per cassazione e regolamento 
di competenza: cfr. Cass. 20 giugno 1962 n. 1586). 


188 

A maggior ragione l'art. 295 cod. proc. civ. torna applicabile quando 
la diversit� del giudice rispetto alle diverse questioni, presenti in un'unica 
causa, crea un rapporto di � alterit� � (fra i processi) e di � pregiudizialit� 
� (fra le decisioni), che rende pertinente e puntuale il rimedio della 
sospensione: proprio jn materia tributaria era questa l'ipotesi, nella 
vigenza del vecchio contenzioso, della sospensione del giudizio di estimazione 
in pendenza di quello di diritto (Cass. 19 giugno 1972 n. 1941; Cass. 
26 luglio 1971 n. 2494; Cass. 20 luglio 1971 n. 2364; Cass. S.U. 19 settembre 
1967 n. 2182; Cass. S.U. 6 giugno 1967 n. 1241). 

Orbene, nell'ipotesi che ne occupa, l'identica causa, che contemporaneamente 
viene a pendere in Commissione centrale ed in Corte di appello, 
presenta nel primo processo una questione (quella relativa alla tempesti� 
vit� o meno del ricorso in Commissione) che costituisce l'antecedente 
logico :giU!fidico di altm questione, piresente nel secondo processo i(quelJa 
concernente la proponibilit� dell'impugnazione in Corte di appello): questione, 
la prima, della quale la Commissione centrale non pu� non conoscere 
principaliter e non efficacia in giudicato, laddove la Corte di appello 
ne dovrebbe conoscere incidenter, donde la necessit� per questa di sospendere 
in attesa che quella renda la sua decisione. Pregiudizialit�, infatti, 
pu� aversi -e quando ricorre non pu� non rilevare come tale a tutti 
gli effetti -non soltanto sul merito, ma anche sul processo. 

6. -Non sembra ultronea una ultima riflessione. 
Alla diversit� del rapporto fra giudizio amministrativo e giudizio ordinario, 
istituito dal nuovo contenzioso tributario in sostituzione di quello 
fissato dal vecchio, corrisponde la diversit� del meccanismo di coordinamento 
e di raccoirdo fra i due processi. 

Identica, come gi� si � notato, � la irrilevanza della impugnazione 
tardiva nel giudizio davanti alle � Commissioni rispetto alla esperibilit� 
dell'azione davanti al Giudice ordinario. 

Ieri, per�, il raccordo fra le due sedi giurisdizionali era assicurato 
dalla �prevalenza� dell'azione in A.G.O. rispetto a quella davanti alle 
Commissioni, in ragione della quale l'esercizio della prima comportava 
� rinunzia � alla seconda, sicch� per il Giudice ordinario -una volta 
adito -non si poneva il problema di � sospendere � la propria decisione 
in attesa di quella delle Commissioni, perch�, delle due l'una: o davanti 
alle Commissioni era gi� intervenuto un giudicato (sul momento in cui 
una decisione fosse, in quel processo, divenuta definitiva per eventuale 
tardivit� dell'impugnazione contro di essa esperita), e ad esso, allora, il 
Giudice ordinario irimaneva vincolato (Cass. S,U. n. 3511 del 1978); o, 
invece, a quel momento un giudicato non era ancora inteirVenuto, ed 
allora non avrebbe pi� potuto formarsi (Cass. 22 settembre 1978 n. 4249; 
Cass. 17 ottobre 1973 n. 2609) onde di quel problema (tempestivit�, o no, 


dell'impugnazione nel processo davanti alle Commissioni al fine di indivi



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

duare il dies a quo di decorrenza del termine utile per proporre l'azione 
giudiziaria conosceva direttamente ed autonomamente il giudice ordinario. 

Oggi, invece, il racordo fra le due sedi si realizza attraverso il meccanismo 
della sospensione, ex art. 295 cod. proc. civ., del processo davanti 
alla Corte d"appefilo fino aHa definizione di quetlo dava1IJ.ti alla Commissione 
centrale, con la successiva ricezione, in quello, degli effetti del giudicato 
formatosi in questo. 

7. -In conclusione, il ricorso va accolto e, cassata la sentenza impugnata, 
la causa va rimessa ad altro giudice di pari grado, ai�finch� ne 
rinnovi l'esame e la decisione in base al principio di diritto, secondo cui 
la proponibilit� dell'impugnazione davanti alla Corte di appello, ex art. 40, 
primo comma, d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, in relazione all'art. 10 n. 14 
legge 9 ottobre 1971 n. 825, non � impedita dalla proposizione di un ricorso 
tardivo alla Commissione centrale. Ove sorga questione sulla proponibilit� 
della prima in relazione alla tempestivit� del secondo, il processo in Corte 
di appello deve essere sospeso ex art. 295 cod. proc. civ. fino alla conclusione 
di quello pendente davanti alla Commissione centrale, la cui decisione 
sul punto, una volta divenuta definitiva, fa stato nel processo davanti 
alla Corte di appello. 
Il giudice di rinvio -che stimasi opportuno designare in altra sezione 
della stessa Corte di appello di Bologna -terr� peraltro conto che, 
nella specie, � stata gi� resa da questa Corte Suprema decisione di rigetto 
(deliberata alla udienza odierna) del ricorso dalla stessa AIACA proposto 
contro la decisione con cui la Commissione centrale aveva dichiarato inammissibile, 
per tardivit�, l'impugnazione ad essa proposta dalla medesima 
ricorrente. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIIONE, Sez. I, 27 febbraio 1982, n. 1267 -Pres. Miele -
Rel. Battimelli -P. M. La Valva -Ministero del Tesoro (avv. Stato 
Viola) c. Malugani ed altri (avv. Campi). 

Tributi in genere -Violazione di leggi finanziarie e valutarie -Pena pecuniaria 
-Partecipazione in societ� estere senza la preventiva autorizzazione 
ed omessa notizia ai competenti organi valutari -Prescrizione Decorrenza. 


La partecipazione in societ� estere senza la preventiva autorizzazione 
e la omessa notizia di tale partecipazione ai competenti organi valutari 
vanno considerati, ai fini del dies a quo della prescrizione del diritto dello 
Stato di applicare le relative sanzioni, in modo distinto, nel senso cio� 
che per la prima infrazione si � in presenza di un illecito compiuto in 
un momento preciso, ossia nella data in cui era stata assunta la partecipazione, 
e da tale data inizia a decorrere la prescrizione; per la seconda, 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

trattandosi di un fatto omissivo, l'illecito (sotto forma di omissione di 
dichiarazione dovuta) permane fino a quando non si sia adempiuto l'obbligo 
(e cio� o con la cessazione della partecipazione o per avvenuta comunicazione 
di essa agli organi competenti) e di conseguenza, prima di tale 
adempimento, il termine di prescrizione, ipotizzato dall'art. 17 della legge 
del 1929 n. 4, non inizia a decorrere (1). 

Il ricorso dell'Amministrazione va deciso partendo dalla precisa identificazione 
dell'illecito contestato dalla Banfi, in quanto solo in funzione 
del fatto ipotizzato nel decreto ministeriale di accertamento dell'infrazione 
in relazione alla quale fu comminata la pena pecuniaria pu� risolversi 
il problema della prescrizione; prescrizione che, come correttamente 
ha affermato la sentenza impugnata, � da intendersi disciplinata dalle 
norme sulla prescrizione del diritto alla riscossione della pena corrispondente 
alla pena inflitta, senza che possa tenersi conto della problematica 
relativa alla prescrizione dell'illecito in genere (cos� come, con motivazione 
pr�ssoch� identica a quella contenuta nella sentenza impugnata, si 
� pronunziata questa Corte nella sentenza n. 1502 del 3 aprile 1978). 

E, a tal fine, non va dimenticato che il problema in s� e per s� � 
testualmente risolto dal disposto dell'art. 17 della legge 7 gennaio 1929, 

n. 4, contenente norme generali per la repressione delle leggi finanziarie 
(applicabile, in quanto legge generale regolatrice delle repressioni degli 
illeciti pecuniari e finanziari, anche al caso di specie); in base a detta 
norma, come ha gi� ricordato questa Corte nella sentenza innanzi citata, 
il diritto dello Stato alla riscossione della pena pecuniaria si prescrive 
col decorso di cinque anni dal giorno della commessa violazione. Il caso 
di specie va pertanto risolto prendendo, come dies a quo del computo 
della prescrizione quinquennale, la data del fatto illecito contestato nel 
decreto di condanna, cos� come in esso ipotizzato. 
Ci� posto, va chiarito che detto iHecito � da tidentifioarsi, indiipendentemente 
da quanto risulta dal processo verbale di accertamento e dal 
parere della Commissione consultiva, nella contestazione del fotto contenuta 
nel decreto mt�inisteriale; e in detto decreto, come testualmente .risulta 
nella sentenza impugnata, fu contestata la violazione degli artt. 2 e 5 della 
legge 25 luglio 1956, n. 786, di conversione del d.l. 6 giugno 1956, n. 476, per' 
�omessa denuncia agli organi valutari di una partecipazione all'estero, 
in societ� svizzera, assunta arbitrariamente �. In effetti, la sentenza impugn�ta, 
nell'effettuare il calcolo della prescrizione, si � riportata al contenuto 
di detto decreto e, in conformit� a quanto ipotizzato nel decreto 
(col quale in sostanza furono addebitate alla Banfi due infrazioni, e cio� 

(1) Sentenza di particolare interesse che completa ed integra i principi enunciati 
in tema di prescrizione per violazione alle leggi valutarie dalla Cassazione 
con la sentenza 3 aprile 1978, n. 1502, in questa Rassegna, 1978, I, 593, con nota. 

191

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

la partecipazione arbitraria, non autorizzata preventivamente, in una 
societ� estera, e l'omessa denuncia dell'assunzione di tale partecipazione), 
ha identificato i termini iniziali di decorrenza della prescrizione nella data 
in cui fu assunta la partecipazione, e in quella successiva entro cui, secondo 
la motivazione della sentenza, sarebbe scaduto il termine ultimo per la 
denuncia di tale fatto; ma, proprio in relazione a tale secondo termine, 
la decisione appare errata. 

Ed invero la Corte di appello ha ipotizzato che la partecipazione a 
societ� estera dovesse essere denunciata entro il termine di trenta giorni, 
sull'affermazione che l'Amministrazione non aveva indicato nelle sue 
difese un termine diverso e che �letto termine era l'unico ricavabile dal 

d.m. del 26 ottobre 1967, emanato appunto per l'attuazione della normativa 
del d.l. n. 476 del 1976. Questa soluzione � errata, sia perch� il fatto che 
l'Amministrazione non avesse precisato quale fosse il termine da applicare 
non esonerava la Corte, per il principio secondo cui iura novit Curia, a 
identificare da s� detto termine, sia perch� l'identificazione che ne � stata 
fatta non pu� condividersi. 
L'art. 1 del suddetto d.m. del 1967, infatti, stabilisce il termine di 
trenta giorni solo per la dichiarazione dei �crediti costituiti a favore di 
residenti in Italia nei confronti di non residenti, come ipotizzato nel 
secondo comma dell'art. 2 del d.l. n. 476, ipotesi questa ben diversa da 
quella di specie, essendo stata contestata alla Banfi la infrazione al disposto 
daihl'art. 5 del d.l., ossia il fatto, !ipotizzato nel secondo comma di detto 
articolo, di aver assunto una partecipazione in societ� estera senza preventiva 
autorizzazione, e di non averne dato notizia ai competenti organi 
valutari. E, mentre per la prima di dette infrazioni si era in presenza di 
un illecito compiuto in un momento preciso, e ben noto, ossia nella data 
in cui era stata assunta la partecipazione, per la seconda, trattandosi di 
un fatto omissivo, doveva essere chiaramente precisato il momento entro 
cui la violazione della norma potesse dirsi compiuta, e ci� non poteva 
certo farsi cos� come ha ritenuto la sentenza impugnata. 

Il te;rrrtlrne fissato dal Ministro per il commeroio con l'estero, di cui al 
secondo comma dell'art. 5 in esame, non pu� essere, infatti, quello generale 
di cui all'art. 1 del decreto ministeriale del 1967, bens� quehlo di volta 
in volta stabHHo dal Ministro al momento di concedere ~�autorizzazione 
all'assunzione di partecipa:zJione in societ� estere, previsita dal primo comma 
dello stes.so art. 5; pertanto, nel caso di specie, .in cui 1a partecipazione 
era stata assunta senza alcuna autor.izzazione, non sussisteva un termine 
prefissato ad hoc e la comunicazione dell'avvenuta partecipazione, anche 
ai fini di ottenere una sanatoria postuma, doveva farsi fino a quando 
persisteva la situazione cui si era dato luogo illecitamente. La conseguenza 
da ricavarsi era pertanto che, fino a quando non si fosse adempiuto l'obbligo, 
peI'Illaneva l'illecito (sotto forma di omissione di dichiamzione 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

dovuta), e di conseguenza non poteVia cominciare 1a decorrere il termine 
di prescrizione ~potizzato dall'art. 17 della legge del 1929, n. 4: detto termine, 
pertanto, avrebbe dovuto fissarsi iITT. relazione al momento :in cui, per 
la cessazione della partecipazione, o per avvenuta comunicazione di essa 
agli organi competenti, fosse cessato il comportamento omissivo e in questi 
sensi va 1riconosoiuta e:rirata la sentenza impugnata, che ha Titenuto fissare 
detto termine, come gi� detto, in un momento diverso. La sentenza, 
pertanto, va cassata sul punto, con rinvio ad altira Sezione della �stessa 
Co11te, che decider� la questione della prescrizione in conformit� ai principi 
innanzi enunciati, accertando se sia identificabile, in base a detti 
pr1ncipi, un diverso termine iniziale di prescrizione e se Jia prescrizione 
quinquenna!le possa di11si compiuta in funzione del tempo decorso fra il 
termine ozia.le oos� identilficato e gli eventu:aili atti interruttivi e il 
momento termdnat1li.vo della procedura amministrativa di accertarrnento. 

L'accoglimento idel iricorso principale oomporta, di conseguenza, che 
debba essere esaminato :il ricorso proposto irn via incidentale e condizionata 
dai resistenti, che hanno lamentato che la sentenza impugnata abbia 
ritenuto non aprplicabi:le la sanzione nei loro confronti per effetto della 
normativa della legge 8 ottobre 1976, n. 689, in considerazione del fatto 
che le somme investite all'estero sarebbero rientrate in Italia anteriormente 
all'entrata in vigore della legge suddetta. 

Questa Corte ha gi� esaminato in precedenti pronunzie la questione 
cos� sollevata, riconoscendo infondata la tesi dei ricorrenti, n� sussistono 
ragioni per discostarsi c}alle precedenti decisioni, non essendo stati opposti, 
contro di esse, argomenti diversi da quelli gi� esaminati. Ed invero, la 
normativa degli,artt. 2 e 2 bis della legge 30 aprile 1976, n. 159, � chiaramente 
diretta a coloro che spontaneamente, entro un determinato termine, 
possedendo all'estero disponibilit� valutarie o attivit� di qualsiasi genere, 
ne avessero fatto dichiarazione all'Ufficio cambi entro un determinato 
termine, sia pure, come previsto dall'articolo della legge 8 ottobre 1976, 

n. 689, prima dell'entrata in vigore della legge stessa. 
A parte l'interpretazione che pu� darsi di quest'ultima norma, se cio� 
intesa a regolare solo le fattispecie verificatesi nell'intervallo fra la legge 

n. 689 e la precedente legge n. 159, oppure qualsiasi fatto verificatosi anteriormente, 
non vi � dubbio che la normativa preveda la preclusione di ogni 
accertamento di infrazioni valutarie solo nei confronti di coloro che avessero 
effettuato il versamento di una somma pari al 15 % dell'ammontare 
delle disponibilit� o delle attivit� possedute all'estero; e ci� rende la normativa 
inapplicabile al caso di specie, non risultando affatto che sia 
stato effettuat� alcun versamento; inoltre la normativa in questione � 
intervenuta quando la procedura di accertamento e di applicazione della 
sanzione era gi� esaurita, per cui senza dubbio essa non pu� trovare 
applicazione. 

SEZIONE SETTIMA 

GIURISPRUDENZA IN MATERIA 
DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 26 ottobre 1981, n. 5~76; Pres. Rossi; 
Est. C~leca A.; P. M. Silocchi (conf.) -Ministeri 11.pp., agricoltura e fo. 
reste, bilancio, tesoro, finanze e sanit� (avv. Stato Imponente) c. Comune 
�at ::s. .Pietro in Cariano ed altri (n.c.). 

Acque -Ricorsi avverso il piano regolatore generale degli acquedotti -Giurisdizione 
del Tribunale superiore AA.PP. 

(R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 143; d.P.R. 3 agosto 1968). 
Spetta al Tribunale superiore delle acque pubbliche, a sensi dell'ar� 
ticolo 143, lett. a) del r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, la cognizione dei ricor� 
si avverso il piano regolatore generale degli acquedotti ( approvato 
con d.P.R. 3 agosto 1968) che non contiene soltanto prescrizioni di carattere 
programmatico, ma, altres�, disposizioni concrete direttamente incidenti 
sull'effettiva utilizzazione delle acque pubbliche da parte dei singoli 
Comuni interessati {1). 

Con -l'unico motivo svolto Je Amministrazioni 1ricoriren1li sostengono 
che, contrariamente a quanto ritenuto �con �1a sentenza impugnata, la. 
cognizione della contiroversia spetta �al Tribunale Superiore delle aoque 
pubbliche 1e non al Consiglio di Stato. Rilevando, in proposMo, che la 
giurisdizione del Trribunale sussiste aHorch� la �Oausa investa, diret� 
tamente o indirettamente, interessi pubblici in ordine al regime delle 
acque, che, pertanto, non sembra possibile negare che, quanto meno in


(1) Con l'intervento della Corte regolatrice dovrebbe avviarsi a soluzione 
il contrasto di vedute delineatosi, sullo specifico argomento, tra il Tribunale 
superfore ed il Consiglio di Stato. 
La decisione, ora cassata, della IV Sezione del Consiglio di Stato (17 dicem� 
bre 1974, n. 1042) si legge in Cons. St., 11974, I, 1610 e in Giust. civ., 1975 Il, 210. 

Per il carattere generale e programmatico delle prescrizioni del piano regolatore 
generale degli acquedotti si era pronunciato, ma agli effetti della decorrenza 
del termine per l'impugnazione dell'atto, il Tribunale superiore con sentenza 
.15 luglio 1975, n. 19 (in questa Rassegna, 1975, I, U39), risolvendo peraltro, 
implicitamente, la questione di giurisdizione nel senso delle Sezioni Unite. 

Dal suo canto, Cons. St., Sez. IV, 30 marzo 1976, n. 227, in questa Rassegna, 
1976, I, 1048, aveva riaffermato il proprio orientamento escludendo che, agli 
effetti della giurisdizione, il piano regolatore potesse ritenersi atto della p.a. 
direttamente ed immediatamente incidente sull'utilizzazione di acque pubbliche. 

14 



RASSEC.NA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

direttamente il piano regolatore generale degli acquedotti incida su interessi 
relativi ad acque pubbliche; tanto pi� se si considera che, per 
espressa previsione legislativa (art. 3 legge .4 febbraio 1963 n. 129), gi� 
col progetto di piano, approvato con l'impugnato decreto presidenziale, 
si verifica la riserva di utilizzazione di acque ai sensi deltl'art. 51 del testo 
unico n. 1175 del 1933. Il che costituirebbe la insuperabile conferma 
che, nella specie, si ha una sicura incidenza diretta del provvedimento 
su interessi pubblici in ordine al regime delle acque. 

Il ricorso � fondato. 

L'art. 143, lett. a) del R.D. 11 dicembre 1933 n. 1775 (che approva il 
testo unico delle disposizioni di legge sUJlle acque e gli impianti elettrici) 
stabilisce che appartengono alla cognizione diretta del Tribunale 
Superiore delle acque pubbliche i � ricorsi per incompetenza, per eccesso 
di potere e per violazione di legge avverso i provvedimenti definitivi presi 
dall'Amministrazione in materia di acque pubbliche�. 

Se ne deve dedurre che tale controllo di legittimit� spetta al detto 
Tribunale, quale organo di giustizia amministrativa in unico grado, sotto 
un duplice presupposto che il singolo ricorso sia direttamente proposto 
contro un atto amministrativo definitivo che incida nella specifica materia 
delle acque pubbliche, o che, comunque, interferisca sotto il profilo 
del suo riferimento ad un'opem necessaria rper [a utilizzazione delle 
acque medesime; e che, in ogni caso, si versi in tema di interessi (cfr. 
tra le numerose sentenze, Sez. Un. 5 giugno 1965 n. 1115). 

Sulla sussistenza, nel caso .in esame, della giurisdizione del menzio


nato Tribunale il Consiglio di Stato si � pronunciato negativamente, 

avendo ritenuto che l'art. 143 lett. a) del citato testo umico, nel devol


vere al Tribunale Superiore i ricorsi contro i provvedimenti definitivi 

dell'Amministrazione in materia di acque pubbliche, si riferisce solo a 

quei provvedimenti che hanno come oggetto, diretto e immediato, fa 

derivazione e la utilizzazione delle acque medesime; nella specie, invece, 

il provvedimento impugnato si sarebbe limitato ad approvare il progetto 

di piano senza adottare, al riguardo, provvedimenti concreti. 

Queste Sezioni Unite ritengono di dovere dissentire dalla detta inter


pretazione. 

Occorre, in proposito, premettere che il decreto presidenziale in 

oggetto ha approvato, apportandovi alcune modifiche di ufficio e conse


guenti alle osservazioni accolte, il menzionato piano regolatore generale 

degli acquedotti � nella forma risultante dal progetto deliberato con de


creto ministeriale del 16 marzo 1967 �: progetto questo che, a sua volta, 

era stato predisposto, dalle competenti Amministrazioni, sulla base della 

legge delega 4 febbraio 1963 n. 129. 

Ora il detto piano, come anche si evince dalla relativa � relazione 

introduttiva � e dai prospetti a questa allegati, contiene disposizioni pre



PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 195 

cise, con le quali, in applicazione dei criteri dettati da:ll'art. 2 della citata 
legge delega, ha considerato, con riferimento a tutto. il territorio nazionale, 
le esigenze idriche dei singoli agglomerati urbani e rurali, ragguagliandole 
all'incremento demografico prevedibile per il successivo cinquantennio, 
e tenendo conto, altres�, dello sviluppo economico delle 
singole zone. 

Con le suddette disposizioni � stato, infatti, provveduto, tra l'altro, 
alla compilazione di una serie di schede riguardanti la situazione idrica 
attuale per comune, e la integrazione della necessit� idro-potabile, sempre 
per comune, sino all'anno 2015; 1alla compilazione altres� dei nuovi 
schemi degli aoquedott:i ,da riattare; alla determinazione del fabbisogno 
idrico rper uso �civile nelle vaa:-ie Regioni, commismandolo a dota:ziiOiil� di 
aoqua �pro capite�, e, per le grandi citt�, all'aumento delle relative dotazioni 
in irelazione a!Lle particolari esigenze locali � fino ad un massimo 
di litri 750/a;b./g. �; alla maggi.orazione deJt1a dotazione iddca deHe zone 
dove si manifestano rpa;rticolari tendenze di incremento industriale, iinsoindibili 
dal complesso de11a distribuzione urbana. � stato anche proweduto 
a1la compilazione deM'elenco delle acque �da riservare�, con un !indice, 
per ciascun comune, riepillogativo delle caratteristiche essenzi8li: ci� in 

applicazione della disposizione di cui al comma secondo deli'wt. 3 della 

legge delega (n. 129 del 1963), la quale stabilisce 'che dalla data ili delibe


razione del progetto di rpiano e sino alla data di entrata in vigore delle 

norme di 1attuazione 1e aoque che il piano avrebbe previsto di utilizzare 

dovevano essere �riservate� ai sensi delllart. 51 del testo unico n. 1775 

del 1933. 

Quanto esposto rivela che il piano in esame, come appunto si de


sume dal relativo contenuto e dai documenti che dello stesso costitui


scono parte integrante, non contiene soltanto norme di carattere mera


mente programmatico; ma anche disposizioni precise e concrete, impe


gnative e quindi obbligatorie; avuto soprattutto riguardo: 

a) alla determinazione, per ciascuna zona, del fabbisogno idrico 
per uso potabile, industriale ed irriguo e, correlativamente, alla indicazione 
dello specifico quantitativo di acqua da destinare alle zone medesime 
per il successivo cinquanteillilio; 

b) nonch�, alla compilazione dell'elenco delle acque �riservate� 
per l'immediata loro utilizzazione. 

Tanto � sufficiente a fare ritenere che la cogmz1one della controversia 
non pu� che spettare al Tribunale Superiore delle acque, avendo 
per oggetto l'impugnazione, per eccesso di potere e per violazione di 
legge, di un provvedimento amministrativo definitivo che, contenendo 
anche precise e concrete disposizioni in materia di acque pubbliche, 
incide, direttamente, su interessi dei singoli comuni. (omissis) 


196 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 5 novembre 1981, n. 5817 -Pres. Mazza. 
cane -Rel. Caturani -P. M. Dettori -Raviele (Avv. A. SanduHi) c. 
Ministero delle Finanze (Avv. Stato Cosentino). 


Demanio � Demanio marittimo � Contestazione sulla natura e sui confini Poteri 
del giudice ordinario. 
Demani.o -Demani.o marittimo � Lido e spiaggia � Nozione. 

Nell'indagine rivolta a riconoscere l'appartenenza di un bene, nella 
sua attuale consistenza, al demanio marittimo, il giudice ha il poteredovere 
di accertare i criteri obbiettivi con i quali il bene si presenta al 
momento della decisione, per effetto dei quali esso rientra nella categoria 
prevista dalla legge e di accertare altres� se ricorre la sdemanializ� 
zazione tacita, generalmente ammessa i(e perci� il provvedimento di sclassificazione 
ha carattere puramente dichiarativo), tranne per i beni del 
demanio marittimo (art. 35 cod. nav.) (1). 

Il lido del mare � quella porzione di riva a contatto diretto con le 
acque del mare da cui resta normalmente coperta a mezzo delle mareggiate 
ordinarie sicch� ne riesce impossibile ogni altro uso che non sia 
quello marittimo; la spiaggia � costituita non sol.o da quei tratti di terra 
prossimi al mare che siano sottoposti alle mareggiate straordinarie, ma 
comprende anche l'arenile, cio� quel tratto di terra che risulti relitto in 
seguito al naturale ritirarsi delle acque restando idoneo ai pubblici usi 
del mare (2). 

Non pu� accogliersi anzitutto la impostazione difensiva del ricor.,' 
rente principale che vorrebbe contrastare gli accertamenti di fatto circa 
la natura dell'area in contestazione sulla base (esclusiva) di titoli di an


I

tica provenienza come il verbale di conciliazione del 1866 stipulato dal comune 
di Oapaocio con i remoti danti oausa di esso Raviele e la mappa 
ivi annessa. 

I 

Se infatti quel verbale e quella mappa -come la sentenza impu~ 
gnata ha dato atto -segnavano col lido del mare uno dei confini del ~ 
fondo concesso in enfiteusi dal comune ai detti soggetti, tale fatto non 

II

pu� essere considerato decisivo nel senso di riconoscere la propriet� 
(attuale) dei beni compresi in quei confini, i quali, secondo la legislazione 
vigente, presentino caratteri intrinseci che li comprendono tra i 
beni del demanio marittimo. 

Non solo, invero, il lido del mare non pu� essere confuso con la 
spiaggia, come vorrebbe la difesa del Raviele, ma deve ribadirsi in questa 

I 

~ 

(1-2) Sulla prima massima cfr. Cass. 22 gennaio 1969, n. 147; sulla seconda ,.i 
cfr. Cass. 2 giugno 1979, n. 2756 e 6 maggio ,1980, n. 2995. f: 

�����........�... I 



PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

sede che qualora venga in discussione l'appartenenza di un bene nella 
sua attuale consistenza, al demanio marittimo, il giudice del merito ha 
il potere-dovere di accertare i caratteri obbiettivi con i quali il bene si 
presenta al momento della decisione, per effetto dei quali esso rientra 
nella categoria prevista dalla legge (cfr. per il principio generale, Cass. 22 
gennaio 1969 n. 147). 

In un giudizio come il presente, in cui si tratta di individuare il 
confine della propriet� privata rispetto ai beni del demanio marittimo, 
non si pu� prescindere dall'accertamento diretto dei beni in contestazione 
secondo la loro attuale consistenza, mentre i titoli esibiti dalle parti 
possono costituire soltanto utili e concreti elementi di giudizio, al fine 
di stabilire non solo la originaria consistenza dei beni stessi, ma anche 
se eventualmente possano riscontrarsi in essi gli estremi di una sdema


. nializzazione tacita, ammessa generalmente per il codice civile del 1865 
(art. 429). Nella interpretazione di questa norma -secondo cui i beni 
demaniali che cessavano di essere destinati all'uso pubblico ed alla difesa 
nazionale, passavano dal demanio pubblico al patrimonio dello 
Stato -giurisprudenza e dottrina erano concordi nel ritenere che il 
provvedimento di sclassificazione avesse valore puramente dichiarativo 
e che pertanto la cessazione della demanialit� potesse avvenire anche 
tacitamente con efficacia sin dal momento in cui il bene avesse perduto 
le sue originarie attitudini a servire agli usi pubblici del mare; diversamente 
da quanto poi statuito in tema di sclassificazione espressa dai 
beni del demanio marittimo dall'art. 157 del codice della marina mercantile 
del 1877 e dall'art. 35 cod. nav. 

L'impugnata sentenza �, pertanto, censurabile in primo luogo sul 
piano della motivazione, essendo caduta in una palese contraddittoriet� 
nella interpretazione del titolo anzidetto, poich� mentre nell'esame della 
domanda principale � partita dal presupposto della persistente validit� 
ed efficacia della �regalia sovrana del tiro di balestra� previsto dall'articolo 
463 del codice del regno delle due Sicilie, nel prendere poi in considerazione 
la riconvenzionale del Ministero ha invece negato che la p.a. potesse 
invocare con successo le �regalie sovrane� al rf�ne di determinare l'attuale 
estensione della zona demaniale, avendo riconosciuto (esattamente) 
che le regalie medesime erano state abolite dall'art. 48 disp. prel. al codice 
civile del 1865, cio� da una norma gi� vigente quando fu redatto 
il verbale di conciliazione del 1866. 

Ma a parte questo rilievo che gi� inficia l'iter logico della motivazione 
adottata dall'impugnata sentenza, i[ decisus cui la stessa � pervenuta 
si fonda su di una lacunosa ed incompleta indagine circa la qualifica di 
arenile attribuita all'area di cui si contende. 

Questa Corte, con una giurisprudenza ormai costante, ha posto in 
rilievo che, mentre il lido del mare � quella porzione di riva a contatto 


198 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

diretto con le acque del mare da cui resta normalmente coperta a mezzo 
delle ordinarie mareggiate sicch� ne riesce impossibile ogni altro uso 
che non sia quello marittimo, la spiaggia (art. 822 cod. civ.; 28 cod. nav.) 
� costituita non solo da quei tratti di terra prossimi al mare, che siano 
sottoposti alle mareggiate straordinarie, ma comprende anche l'arenile 
cio� quel tratto di terraferma che risulti relitto dal naturale ritirarsi 
delle acque, restando idoneo ai pubblici usi del mare (sent. 5 agosto 1949 

n. 2231; S.U. 2 maggio 1962 n. 849; 2 giugno 1978 n. 2756), anche se in via 
soltanto potenziale e non attuale (sent. 6 maggio 1980 n. 2995). 
Orbene, anche se i testi normativi non hanno mai espressamente 
compreso gli arenili tra i beni demaniali, l'interpretazione generalmente 
accolta in passato poneva in evidenza che essi costituiscono un ampliamento 
deHo stesso concetto di spiaggia, inteso come tratto di terra che si 
estende oltre il lido verso la terraferma senza certi confini, per modo 
che, a seconda che il mare si avanzi o si ritiri, la sua estensione diminuisce 
o cresce; in quest'ultimo caso si determina la formazione di un 
relitto del mare o arenile. 

Cos� come la spiaggia, l'arenile � quindi caratterizzato da tre requisiti 
essenziali: a) deve trattarsi di un'area contigua alla spiaggia che 
una volta era toccata dal mare, il che importa che esso, come del resto 
la spiaggia, non ha confini fissi, ma variabili in relazione alla natura 
dei luoghi; b) il terreno pu� essere della pi� diversa natura geologica; 
c) esso deve essere idoneo per la realizzazione dei pubblici usi del mare 
(Cass. 6 maggio 1980 n. 2995 cit.). 

Nella fattispecie, la Corte d'Appello, nell'accertare la natura dema


niale dell'ar-ea in contestazione non soltanto non ha motivato :anche su 

quella parte di area rivendicata dal Ministero con subordine riferimento 

alla particella 10 ma si � limitata ad evidenziare il criterio delle ca


ratteristiche geofisiche del suolo, onde ha ritenuto � arenile � tutta la 

zona di terreno che geofisicamente � risultata essere stata abbandonata 

dal mare. 

Senonch�, per quanto riguarda il requisito innan:zJi menzionato con 
la lettera e), � mancata nel caso concreto qualsiasi indagine rivolta a 
stabilire se sussistesse -ed eventualmente in quali limiti -la idoneit� 
del bene, anche se soltanto potenziale a realizzare i pubblici usi del mare, 
essendosi la Corte limitata ad osservare che soltanto un provvedimento 
di sclassificazione avrebbe potuto sottrarre la zona medesima a tali usi. 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

199 

In altri termini, il provvedimento di sclassificazione espressa richiesto 
dall'art. 157 del codice della marina mercantile del 1877 e dall'art. 35 
cod. nav., in tema di beni del demanio marittimo presuppone in ogni 
caso ohe si tratti di uno di quei beni compreso nella relativa categoria 
giuridica e a tal fine la mera derivazione dell'area dall'abbandono del 
mare se � necessaria, non � tuttavia sufficiente. Deve invece dimostrarsi 
in concreto che l'area abbia l'accennata attitudine potenziale ed m che 
modo essa si sia fil concreto maniifesta.ta; soltanto in tal caso [a inclusione 
della medesima tra ri. beni del demanio marittimo rende indispensabile il 
provvedimento di sclassificazione al fine di farla passare dal demanio al 
patrimonio dello Stato. 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 10 dicembre 1981, n. 6518 � Pres. Mirabelli; 
Est. Caturani; P. M. Saja (conf.) -Ente Sviluppo in Puglia e Lucania 
(avv. Stato Del Greco) c. Fasano (avv. Mitolo). 

Arbitrato � Rapporto tra arbitri e giudice amministrativo � Questione di 
giurisdizione -Configurabilit�. 

Arbitrato -Compromesso e clausola compromissoria � Controversie deferibili 
agli arbitri � Riforma agraria � Controversia sul recesso dal 
rapporto di assegnazione di terreni � Clausola compromissoria � Nullit�. 
(Cod. civ., art. 806; legge 6 dicembre 19�l, n. 1034, art. 5). 

La delimitazione dei poteri di cognizione degli arbitri rispetto a 
quelli del giudice amministrativo involge una questione di giurisdizione (1). 

La controversia in ordine ai presupposti ed agli effetti del recesso 
dell'assegnatario dal contratto di vendita di terreni di riforma agraria 
rientra nella giurisdizione esclusiva dei tribunali amministrativi regionali 
e non �, quindi, compromettibile in arbitri {2). 

Con il primo motivo del ricorso l'ente di sviluppo in Puglia e 
Lucania, denunziando difetto di giurisdizione, violazione e falsa applicazione 
dell'art. 5 della legge 6 .dicembre 1971 n. 1034, degli art. 16 e segg. 
della legge 12 maggio 1950 n. 230, della legge 21 ottobre 1950 n. 841, 

(1-2) Cass., S.U., 4 luglio 1981, n. 4360, citata in motivazione, si legge in 

Foro it., 1981, I, 1860, con nota d� C.M. Barone. 

Sul tema della compromettibilit� ad arbitri delle controversie attinenti a 

contratti di assegnazione di terre, cfr. Finocchiaro M., in Giust. civ., 1979, I, 1800. 

Nel senso che a base dell'assegnazione di terre da parte di un ente di 

riforma debba ravvisarsi una concessione amministrativa, cfr. Cass. 7 otto


bre 1972, n. 2914, in Giust. civ., 1973, I, 95. 



200 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

degli articoli 808 e 829 n. 1 c.p.c., in relazione -all'art. 360 n. l, 3 e 5 
c.p.c., assume che contrariamente a quanto ritenuto dall'impugnata 
sentenza, deve riconoscersi la nullit� della clausola compromissoria 
prevista nel contratto di vendita con patto di riservato dominio di terreni 
assegnati nel quadro della riforma fondiaria, in quanto l'art. 5 
della legge 6 dicembre 1971 n. 1034 ha introdotto una nuova fattispecie 
di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in tema di concessione 
di beni pubblici onde, non riflettendo la controversia in esame 
�indennit�, canoni ed altri corrispettivi� per i quali sussiste la riserva 
del giudice ordinario, ai sensi dell'art. 5 comma 2 della legge, il collegio 
arbitrale mancava assolutamente di potere decisorio, cos� come 
privo di giurisdizione in materia sarebbe stato il giudice ordinario. 

La censura � fondata. 

Non � dubbio, anzitutto che si versa nella specie in questioni attinenti 
alla giurisdizione, poich� se i poteri decisori degJi arbitri sono 
considerati daiHa legge come sostitutivi della competenza dell'autoI'it� 
giudiziaria, tanto che nei rapporti tra arbitri e giudice ordinario si � 
soliti configurare problemi di competenza, la questione di competenza 
diventa necessariamente questione di giurisdizione, tra arbitri e giudice 
amministrativo, cos� come di giurisdizione sono i rapporti che 
intercorrono tra giudice ordinario e giudice amministrativo (S.U. 4 luglio 
1981 n. 4360). 

D'altra parte � evidente che, per la soluzione del problema interpretativo 
proposto, non pu� utilizzarsi il precedente di queste Sezioni 
Unite (cfr. S.U. 12 marzo 1980 n. 1641), che � stato pronunciato in tema 
di riscatto anticipato degli assegnatari delle terre della riforma fondiaria, 
ai sensi della legge 30 aprile 1976 n. 386, in quanto, in quella 
sede non sorse alcuna questione circa l'applicazione della nuova legge, 
la quale non � applicabile indiscriminatamente ai rapporti pregressi, 
ma secondo i criteri previsti dalla disposizione transitoria contenuta 
nell'art. 38 de1la legge. 

Quale sia l'indirizzo seguito in proposito da queste Sezioni Unite, 
con esplicito riferimento alla legge istitutiva dei TAR, risulta invece 
dalla sentenza 2 maggio 1979, n. 2522 che ha statuito il principio secondo 
cui la domanda con la quale il concessionario di un pubblico 
servizio nel territorio comunale (distribuzione del gas) insorga avverso 
il provvedimento 'di iriscatto della concessione adottata dal comune 
concedente, pur rientrando nella giurisdizione dell'a.go. per l'epoca 
anteriore, � stata devoluta alla competenza giurisdizionale dei TAR, ai 
sensi degli artt. 5 e 7 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, in forza dei 
quali la giurisdizione del giudice ordinario resta limitata alle cause 

riguardanti indennit�, canoni 

ed altri corrispettivi. j 

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PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 201 

Poich�, nel caso concreto, � pacifica tra Je parti l'applicabilit� in 
astratto alla fattispecie in esame dei nuovi criteri di giurisdizione 
introdotti dalla legge n. 1034 del 1971, � necessario prendere le mosse 
dalla testuale formulazione dell'art. 5 che � cos� concepito: � Sono 
devoluti alla competenza dei Tribunali amministrativi regionali i ricorsi 
contro atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di 
beni o di servizi pubblici... Resta saJva la giurisdizione dell'autorit� 
giudiziaria ordinaria le controversie concernenti indennit�, canoni ed 
altri corrispettivi �. 

Anzitutto non pu� revocarsi in dubbio che nel caso in esame si 
sia in presenza di una concessione amministrativa (concessione-contratto), 
secondo la ricostruzione della complessa materia che queste 
Sezioni Unite elaborarono con la sentenza 7 ottobre 1972 n. 2914. Si 
osserv� in quella sede che gli enti di riforma (ora enti di sviluppo) 
sono enti pubblici e sono pubblici i beni oggetto della assegnazione. I 
terreni provenienti da espropriazioni in danno di privati proprietari sono 
infatti trasferiti agli enti anzidetti per il raggiungimento di fini di interesse 
pubblico e cio� dei fini propri della riforma fondiaria ed agraria, che sono 
fondamentalmente quelli della migliore ripartizione della propriet� fondiaria 
e della valorizzazione delle terre, attraverso una trasformazione 
delle colture. 

N� pu� sostenersi -secondo la tesi fatta valere dalla difesa degli 
assegnatari nella discussione orale -che non si ver~erebbe in materia 
di beni pubblici indisponibili in senso tecnico, giacch� per questi non 
vige, come per i beni demaniali, una tipicit� normativa nel senso che 
possono appartenere soltanto allo Stato, con la estensione del relativo 
regime alle provin~ie ed ai comuni per i beni indicati nell'art. 822 
cpv. c.p.c., se appartengono a tali enti (art. 824 e.e.). I beni pubblici 
indisponibili, invero, in quanto destinati ad un pubblico servizio (come 
pu� affermarsi per i beni della riforma fondiaria) ove appartengano 
ad enti pubblici non territoriali, sono egualmente soggetti alla 
disposizione contenuta nell'art. 828 comma secondo e.e., e non possono 
quindi essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti 
dalle leggi che li riguardano. 

Si comprende poi come non esplichi, ai fini che si considerano, 
alcun rilievo la circostanza che, al termine del rapporto giuridico costi� 
tuito tra le parti, i beni si trasferiscono dal patrimonio dell'ente all'assegnatario 
in propriet�, poich� la disciplina speciale propria della concessione-
contratto ha modo di esplicarsi egualmente in tal caso durante 
tutto il periodo in cui opera tra le parti, l'atto di assegnazione. 

Non ha pregio inoltre l'altra obiezione secondo cui l'art. 5 sarebbe 
inapplicabile alla fattispecie perch� la controversia non presuppone la 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

impugnativa di un atto o provvedimento della p.a. In tema di giurisdi� 
zione esclusiva, pur non potendosi disconoscere che il processo che 
si svolge innanzi al giudice amministrativo rimane un processo da 
ricorso, non pu� tuttavia essere sottovalutato che il giudice, per la 
intima compenetrazione che sussiste fra .il diritto soggettivo e l'interesse 
legittimo, esamina l'intero rapporto giuridico sostanziale e non 
si limita a riscontrare la legittimit� del provvedimento amministrativo, 
ohe, in ipotesi, pu� anche mancare. Sono note, invero, le discussioni 
insorte in proposito circa la necessit� di rispettare anche in tal caso i 
termini di decadenza per la impugnativa e come si sia consolidato l'orientamento 
espresso in senso nettamente contrario, sotto il profilo 

che, scendendo il giudice amministrntivo all'esame di situazioni qualificabili 
come diritti soggettivi, la loro tutela deve ritenersi ammessa 
per tutto il periodo di prescrizione del diritto. 

Ci� premesso, non vi sono perci� ostacoli di carattere pregiudiziale 
che si frappongano alla applicazione dell'art. 5 della legge alla 
fattispecie concreta, la quale rientra nella competenza giurisdizionale 
del Tribunale amministrativo regionale, ai sensi del primo comma 
della citata disposizione. 

Come risulta dall'impugnata sentenza, nella specie, l'assegnatario, 
senza pervenire previamente ad alcun accordo con l'ente di sviluppo, 
ha ritenuto unilateralmente di recedere dal rapporto, abbandonando 
il fondo e quindi ha adito il collegio arbitrale, ai sensi dell'art. 19 
del contratto, per far valere sulla base della affermata cessazione del 
rapporto il suo diritto alla indennit� per i miglioramenti. Ne consegue 
che la controversia che si agita tra le parti non attiene al. mero 
profilo patrimoniale che riguarda � l'indennit� � prevista dall'art. 5 
comma secondo della legge, ma si estende al controllo circa la esistenza 
dei presupposti che potevano indurre, nel caso concreto, ad 
una risoluzione del rapporto ad iniziativa dell'assegnatario ed alla in� 
terpretazione del complesso contratto accessivo alla concessione; il 
che importa che sia applicabile la regola, di cui al primo comma dell'art. 
5, che devolve la controversia alla giurisdizione del TAR. 

Poich� nel caso in esame la questione di giurisdizione (risolta nel 

senso del difetto di giurisdizione del giudice ordinario) � stata solle


vata dal ricorrente come mezzo al fine di ottenere il riconoscimento 

giudiziale della non compromettibilit� in arbitri della presente con


troversia � necessario stabilire se ed in quali limiti il difetto di giu


risdizione dell'a.go. in materia incida sui poteri decisivi degli arbitri. 

L'indirizzo gi� accolto da queste Sezioni Unite (sent. 2 maggio 

1979 n. 2522; 24 febbraio 1981 n. 1112; 4 luglio 1981 n. 4360), che va 

confermato in questa sede, non essendo stati addotti in senso con


trario argomenti che valgano a modificarlo, � nel senso che ove si 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

tratti di controversia relativa a diritti soggettivi, gi� devoluta al giudice 
ordinario, ma attualmente rientrante nella giurisdizione esclusiva 
del TAR (in quanto non compresa nella riserva di giurisdizione 
deH'a.go., limitata alle indennit�, canoni ed altri corrispettivi delle 
concessioni di beni o di servizi pubblici, ai sensi dell'art. 5 comma 
terzo della legge), in difetto di contraria previsione normativa deve 
escludersi la facolt�� di compromettere in arbitri. 

A sostegno di tale orientamento s1 sono addotti due argomenti 
fondamentali, dei quali l'uno attiene alla funzione propria del compromesso 
che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, 
� sostitutivo od equivalente della giurisdizione ordinaria e quindi deroga 
convenzionalmente soltanto alla giurisdizione dell'a.go., mentre 
l'altro pone l'accento sugli effetti giuridici che si verificano allorch� determinate 
materie sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice 
speciale in relazione ai diritti soggettivi delle parti, i quali subendo 
necessariamente le conseguenze che sono connesse all'intimo intreccio 
con gli interessi legittimi, perdono o riducono la loro disponibilit�, onde 
non so:np pi� suscettibili di essere compromessi in arbitri (art. 806 cpc.). 
D'altra parte, si � sottolineato che ammettere la deferibilit� ad arbitri 
delle controversie relative a diritti che si pretendono lesi dal provvedimento 
concessorio, non soltanto importerebbe che le controversie circa 
la distinzione tra diritti e interessi permarrebbe nella materia, in: violazione 
della legge n. 1034 del 1971, che � provvedimento d'ordine e di 
interesse pubblico, ma autorizzerebbe una deroga alla concentrazione 
di tutte le controversie nella giurisdizione amministrativa, che � stata 
ritenuta la pi� idonea, in materia di concessioni amministrative, alla pi� 
completa e penetrante tutela delle situazioni giuridiche soggettive lese 
dall'autorit� amministrativa. 

Devesi quindi dichiarare che, essendo la controversia insorta tra le 
parti devoluta alla giurisdizione esclusiva del TAR, ex art. 5, comma primo, 
della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, la controversia medesima non 
� compromettibile in arbitri. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 16 dicembre 1981, n. 6651 -Pres. Sandulli; 
Est. Gualtieri; P. M. Morozzo della Rocca (conf.) -Ente Autonomo 
Tirrenia (avv. Lorenzoni) c. Ministeri Finanze e Marina Mercantile 
(avv. Stato Bruni). 

Procedimento civile -Ricorso per cassazione -Motivi -Violazione di 
norme statutarie di ente pubblico -Deducibilit� � Esclusione. 
(Cod. proc. civ., art. 360, n. 3). 

Demanio -Canoni di concessione -Natura patrimoniale -Prescrizione triennale 
-Inapplicabilit�. 

(d.P.R. 20 marzo 1953, n. 112, art. 16). 

204 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

Demanio � Demanio marittimo � Concessioni destinate a costruzioni di 
durata ultrannuale � Canone � Determinazione. 

(Legge 21 dicembre 1961, n. 1501, art. 2). 

La violazione delle norme dei regolamenti interni e degli Statuti 
degli Enti pubblici non pu� essere dedotta come motivo di ricorso per 
cassazione a sensi dell'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., quelle disposizioni 
esaurendo la loro efficacia nell'ambito dell'attivit� interna degli enti 
medesimi (1). 

La prescrizione triennale prevista dall'art. 16 del D.P.R. 20 marza 
1953, n. 112 riguarda le tasse di concessione governativa e non � applicabile 
alla riscossione del canone di concessione per l'uso di un bene 
demaniale (2). 

Agli effetti della determinazione del canone di concessione, l'art. 2 
della legge 21 dicembre 1961, n. 1501 ha riguardo non alla durata della 
concessione stessa bens� alle caratteristiche delle opere realizzate sul 

I

bene demaniale (3). 

I 

Con il primo motivo, denunziando violazione dell'art. 6 r.d.l. 3 novembre 
1932, n. 1466, convertito nella legge 27 dicembre 1932, n. 1990, e del;,


I 

l'art. 4 dello Statuto dell'Ente Autonomo Tirrenia approvato con d.m. 

~~ 

7 febbraio 1934, in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., il ricorrente 
deduce che ha errato la Corte del merito nel ritenere che il rappresentante 
dell'Ente avesse il potere di stipulare Ja concessione senza la preventiva 
deliberazione del Consiglio di amministrazione, richiesta, invece, . 
dall'art. 4 n. 4 dello Statuto per tutti i contratti e non soJtanto, come 


I

ritenuto dalla Corte, per i contratti di appalto, senza ~onsiderare, inoltre, 
che la legge costitutiva dell'Ente dispone che l'Amministrazione, senza 

I

distinguere tra ordinaria e straordinaria, � affidata al Consiglio di Amministrazione. 


Aggiunge il ricorrente che, anche se l'interpretazione della Corte 

I 

fiorentina fosse esatta, la deduzione dell'Ente medesimo sarebbe fondata 
poich� una simile limitazione dei poteri del Consiglio di Amministrazione, 

o meglio l'attribuzione ail Presidente dell'ordinaria amministrazione di cui 
all'art. 7 dello Statuto, nel senso pi� ampio riconosciutogli dalla Corte, 
sarebbe illegittima perch� contrastante con la legge istitutiva. 
(1) Nello stesso senso, cfr. Cass., 7 ottobre 1972, n. 2927, in Giust. civ. Mass., 
1972, fase. 17�18. 
(2) La natura patrimoniale e non tributaria dei canoni di concessione di 
beni demaniali � stata, pi� di recente, riaffermata da Trib. Sup. acque, 15 ottobre 
1974, n. 17, in questa Rassegna, 1975, I, 769 e 8 novembre 1975, n. 23, ivi, 
1976, I, 295. 
(3) Applicazione puntuale del dato normativo. 
�-.-I: 


-


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

In ordine alla prima censura, che deve ritenersi infondata, si rileva 
che i regolamenti interni nonch� gli Statuti degli enti pubblici esauriscono 
la loro efficacia e la loro operativit� nell'ambito dell'attivit� interna 
degli enti medesimi, di guisa che, non potendo le norme dei regolamenti 
e dello Statuto assumere il vigore e la forza cogente di norme 
giuridiche -anche se costituiscono indiretta emanazione della volont� 
dello Stato, che nella formazione dell'Ente pubblico ha provveduto a disciplinare 
,la finalit�, l'organizzazione e le foDme di attiv,it� -la vadazi0tne 

o la falsa interpretazione delle disposizioni in essi contenute non sono 
deducibiH come motivo di ricorso per cassazione, risolvendosi l'indagine 
sul loro contenuto e sulla loro eventuale inosservanza in una indagine 
di fatto non sindacabile in sede di legittimit�, se non in relazione 
alla violazione o alla falsa applicazione delle norme sull'interpretazione 
dei contratti (le quali, in quanto applicabili, si estendono anche all'interpretazione 
degli atti amministrativi) oppure ai vizi di motivazione (cfr. 
sent. 7 ottobre 1972 n. 2927; 15 maggio 1976 n. 1723; 4 novembre 1980, 
n. 5904). 
Orbene, non avendo il ricorrente denunziato la violazione delle regole 
valevoli in tema di ermeneutica contrattuale ed essendo l'interpretazione 
della Corte fiorentina sorretta da motivazione corretta e adeguata e condotta 
nel rispetto delle emanate regole, la sentenza impugnata non merita 
censura. 

Quanto alla seconda doglianza, la stessa � inammissibile, avendo per 
oggetto una questione mai prospettata nei precedenti gradi nel giudizio 
e dovendo, pertanto, trovare applicazione il principio che i motivi di 
ricorso per cassazione devono investire questioni che hanno formato 
oggetto di gravame con l'atto di appello (il che, nella specie, non � avvenuto), 
sicch� nel giudizio di legittimit� non possono essere prospettate 
per la prima volta questioni nuove o temi nuovi di contestazione, implicanti 
(come nel caso in esame) un radicale mutamento del sistema difensivo 
(da ultimo, cfr. sent. 8 agosto 1979, n. 4623). 

Con il secondo motivo, denunziando violazione dell'art. 12 d.m. 7 febbraio 
1934, in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., il ricorrente deduce 
che la Corte del merito avrebbe omesso di rilevare che mancava, in ogni 
caso, una deliberazione del Presidente per la stipulazione del contratto 
e che questo non era stato sottoposto al visto prefettizio. 

La censura deve ritenersi infondata alla stregua dei su esposti princ�pi 
sopra affermati in tema di interpretazione dei regolamenti interni 
e degli Statuti degli enti pubblici. 

Con il terzo motivo, denunziando violazione dell'art. 2948 n. 3 e 4 cod. 
civ., in relazione agli articoli 3 e 5 cod. proc. civ., il ricorrente si duole 
che la Corte del merito abbia rigettata l'eccezione di prescrizione fondata 


206 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

sull'articolo 2948 cod. civ., erroneamente e contraddittoriamente ritenendo 
che l'obbligo di pagamento del canone derivasse non da un unico rapporto 
di concessione con durata pluriennale e con rate singole annuali, ma da 
vari e autonomi atti di concessione con durrata annuale e ciascuno con un 
apposito canone da corrispondersi in unica soluzione, e che abbia trascurato 
l'ul1:eriore profilo deM'eccezione sofilevata con :riferimento all'art. 2948 

n. 3 cod. ciiv., attesa l'assimifazione della concessione-contratto ad un contratto 
di locazione. 
Le censure sono prive di fondamento. 
Quanto alla prima, non pu� negarsi che la fattispecie prevista e rego


lata dal n. 4 dell'art. 2948 cod. civ. (si prescrivono in cinque anni gli interessi 
e, in generale tutto ci� che deve pagarsi periodicamente ad anno 

o in termini pi� 'brevi) differisce completamente, come ha 'rilevato 1a Corte 
fiorentina, da quella in discussione fra le parti. 
Essa ha, infatti, correttamente ritenuto che la norma in esame trova�� 
applicazione nel caso in cui da un unico rapporto giuridico derivino obbligazioni 
con scadenza periodica non superiore ad un anno e che, nella 
specie, si era in presenza non di un unico atto di concessione, con durata 
pluriennale e con singole rate annuali, ma di tanti autonomi atti di concessione 
aventi durata annuale e ciascuno con apposito canone, da 
pagarsi in unica soluzione. 

Quanto poi alla mancata considerazione, da parte dei giudici di appello, 
dell'equiparabilit� della concessione -contratto alla locazione, devesi 
ritenere che gli stessi abbiano implicitamente escluso, sostenendo la tesi 
sopra indicata, la possibilit�, sul piano giuridico, di assimilare alla locazione 
la concessione -contratto, che costituisce lo strumento normale 

�~ 

attraverso il quale si suole consentire al privato la utilizzazione dei beni 

t

del demanio o del patrimonio indisponibile ed � una forma di concessione 
amministrativa, nella quale l'atto convenzionale privato resta sempre connesso 
e subordinato all'atto unilaterale e autoritativo di concessione, 
di cui costituisce mera attuazione. 


I 

Con il quarto motivo, denunziando violazione e falsa applicazione 
dell'art. 16 d.P:R. 20 marzo 1953, n. 112, il ricorrente deduce che se fosse 


I 

esclusa l'applicabilit� dell'art. 2948 n. 3 cod. civ., al canone dovrebbe rico 

II

noscersi natura giuridica di tassa, soggetta, quindi, alla prescrizione trien


1

nale stabilita dall'art. 18 su indicato, al comma 2. 

I 

Neppure questa censura pu� essere condivisa. � 

! 
In.fotti, tale norma regola la prescrizione in matevia di riscossione i 
della tassa di concessione governativa, che � un'imposta, mentre la pre


!

sente controversia ha ad oggetto la riscossione di conguaglio dovuto sul 

I

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PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

canone di concessione per l'uso di un bene demaniale e tale canone non 
pu� evidentemente identificarsi con l'imposta sulla concessione governativa. 


Con il quinto motivo, denunziando violazione e falsa applicazione 
dell'art. 39 codice navigazione, in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., 
il ricorrente deduce che hanno errato i giudici del merito nel ritenere 
che, avendo esso subconcesso a privati il tratto di arenile avuto in concessione, 
dovevasi escludere che si fosse trattato di una concessione per fini 
di pubblico interesse, per la quale fosse dovuto, a norma del citato articolo 
39, un canone meramente ricognitivo della natura demaniale del bene. 
concesso. 

Secondo il ricorrente, la Corte non avrebbe considerato che l'utilizzazione 
dell'arenile a mezzo di privati non sarebbe stata in contraddizione 
con i fini costituzionali dell'Ente, volti alla valorizzazione della zona, 
mentre nessun rilievo avrebbe la circostanza che nell'atto di concessione 
l'Ente avesse accettato il canone �salvo conguaglio�. 
-La censura non coglie nel segno. 
-Invero, la Corte fiorentina ha interpretato la norma, negandone la 
applicabilit� al caso di specie, in base all'assorbente rilievo che l'EAT, 
pur essendo una persona giuridica pubblica avente lo scopo di valorizzare 
una determinata zona della nostra Toscana, non aveva ottenuto la concessione 
ai fini del citato art. 29, e tale apprezzamento di fatto non � certamente 
sindacabile in questa sede, non avendo il ricorrente dedotto alcun 
vizio di motivazione dlela decisione impugnata. 

Con il sesto motivo, denunziando violazione e falsa applicazione dell'art. 
2, comma 3, legge 21 dicembre 1961, n. 1501, in relazione all'art. 360 

n. 3 e 5 cod. proc. civ., drl ricorrente deduce che erroneamente e con1Jraddittoriamente 
la Corte del merito, sul rilievo che nell'arenile in concessione 
erano stati installati manufatti non rimossi al termine del rapporto, ha 
ritenuto legittima la determinazione del canone operata a norma dell'articolo 
2, comma 3, della legge n. 1501 del 1961, pur .avendo accertato che si 
trattava di concessione limitata ad un solo anno. 
Anche questo motivo � infondato. 
La Corte fiorentina ha correttamente interpretato la normativa in 
esame nel senso che questa non prende in considerazione fa durata della 
concessione, come pretende il ricorrente, ma le caratteristiche delle opere 
realizzate sul suolo demaniale, che devono consistere in costruzioni con 
durata superiore ad un anno. 
N� � censurabile Ja applicazione di taJ.e principio al caso di specie, 
avendo la Corte posto a sostegno del suo giudizio uno svolgimento motivazionale 
adeguato ed esente da errori logici e giuridici. (omissis) 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 18 gennaio 1982, n. 300 -Pres. Mazzacane; 
Est. Caturani; P. M. Grimaldi (conf.). -Valenza (avv. Pignatone) 

c. Assessorato ll.pp. Regione siciliana (avv. Stato Del Greco). 
Appalto -Concorso di Enti nell'esecuzione dell'opera pubblica -Aggiudicazione 
-Approvazione da :parte dell'Ente affidante -Scadenza del termine 
-Diritto di recesso dell'aggiudicatario -Insussistenza. 

(R.D. 23 maggio 1924, n. 827, art, 114; d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 4). 
In ipotesi di affidamento dell'esecuzione di un'opera pubblica da 
uno ad altro ente pubblico, la prevista approvazione, da parte dell'affi� 
dante, dell'aggiudicazione della gara d'appalto espletata dall'ente affida� 
tario assolve ad una funzione diversa dall'atto di approvazione che, secondo 
la disciplina generale dei contratti della P.A., condiziona la mera 
efficacia del contratto d'appalto concluso oon l'aggiudicazione. In tale 
ipotesi, pertanto, l'aggiudicatario non pu� recedere dal contratto, a sensi 
dell'art. 4 del Cap. gen. d'appalto di cui al d.P.R. n. 1063 del 1962, adducendone 
la mancata approvazione nel termine di sessanta giorni dalla 
stipulazione (1). 

(omissis) Con� i primi due motivi del ricorso che affrontando sotto 
diversi profili la stessa questione, quella centrale della causa, possono 
esaminarsi congiuntamente, il ricorrente, denunziando violazione e falsa 
applicazione dell'art. 4 del capitolato generale d'appalto per le opere 
pubbliche approvato con D.P.R. 16 luglio 1962 n. 1063, dell'art. 114 r.d. 23 
maggio 1924 n. 827 nonch� difetto di motivazione (art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.), 
sostiene che la Corte d'Appello � caduta in errore allorch� ha affermato 
che il termine di trenta giorni per la stipula del contratto di appalto di 
cui all'art. 4 comma primo del capitolato generale d'appalto del 1962 � 
ordinario per la P.A. e che l'aggiudicatario, pertanto, non ha facolt� di 
svincolarsi dal suo impegno per l'inutile decorso di tale termine. Al con� 
trario, la mancata stipula del contratto di appalto nel termine di trenta 
giorni dall'aggiudicazione non approvata comporta il diritto dell'aggiu


(.1) Non constano precedenti specifici. 

Con riguardo allo schema procedimentale tipico, la natura conclusiva del 
verbale di aggiudicazione, col quale si perfeziona il vincolo contrattuale, � costan� 
temente affermata in giurisprudenza, che da tale principio si �, alle volte, 
discostata nei peraltro ram casi in cui abbia mtenuto accertato l'dntento della P .A. 
di rinviare la costituzione del vincolo contrattuale al successivo momento della 
stipulazione del contratto, avente di norma natura di formalit� ulteriore, mera� 
mente riproduttiva di un vfacolo gi� perfezionatosi. 

Per la rilevanza soltanto pattizia delle norme del Cap. gen. d'appalto richiamato 
nei contrat1li della Regione Sliciliana anteriori alla legge reg. 26 maggio 1973, 

n. 21, cfr. Cass., 24 novembre 1978, n. 5522, in questa Rassegna, 1980, I, 211. 
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1:: 

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PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE. ED APPALTI PUBBLICI 20!) 

dicatario di recedere dal rapporto, notificando la sua determinazione, a 

norma dell'art. 114 del regolamento sulla contabilit� dello Stato. 

Le riassunte censure sono infondate. 

Il thema decidendum riflette le aggiudicazioni di opere pubbliche 
di competenza dell'amministrazione regionale siciliana, per le quali � applicabile 
obbligatoriamente il capitolato generale di appalto approvato 
con d.P.R. 16 luglio 1962 n. 1063, a norma della legge regionale siciliana 
26 maggio 1973 n. 21. 

Occorre premettere che, in linea di principio, l'aggiudicazione contiene 
la dichiarazione negoziale della P.A., cui si ricollega l'effetto della 
prestazione del consenso. L'art. 16 comma 4 de1la legge su~1a contabilit� 
generale dello Stato (R.D. 18 novembre 1923 n. 2440), dispone, invero, che 
i processi verbali di aggiudicazione �definitiva� in seguito ad incanti 
pubblici o a private licitazioni, equivalgono per ogni effetto legale al 
contratto. In tal caso (quando cio� la legge non prevede una successiva 
stipulazione del contratto) gli atti di aggiudicazione �definitiva� 
non sono efficaci finch� non siano approvati (art. 19 R.D. 1923 n. 2440) 
ed essi integrano l'unico atto costitutivo del vincolo giuridico al quale, 
dopo intervenuta l'approvazione prevista dall'art. 19, deve darsi esecuzione. 


Quando � invece previsto che all'aggiudicazione debba seguire la 
stipulazione formale del contratto, entrambe ~e parti sono tenute a 
prestarvisi. Anche in questo caso, tuttavia, in mancanza di una diversa 
volont� contrattuale, il vincolo giuridico si costituisce con l'aggiudicazione 
�definitiva� mentre la successiva stipulazione (formale) ha il valore 
di una riproduzione del precedente negozio giuridico che pu� anche 
contenere dichiarazioni circa la esecuzione di obblighi preliminari assunti 
dalle parti e indicazioni secondarie (Cass. 24 marzo 1979 n. 1695; 
7 dicembre 1977 IIl.. 5295). In tal caso � necessarria .I'approv:azione del 
contratto (formale) stipulato perch� si produca la fase della efficacia 
e della possibile esecuzione delle prestazioni. 

Per quanto concerne, in particolare, gli appalti di opere pubbliche, 
la regola generale � che all'aggiudicazione debba seguire la stipula del 
contratto (art. 325 e 332 legge sui lavori pubblici del 1865 n. 2248 
all. F; art. 4 cap. gen. Ministero dei Lavori Pubblici del 1962 n. 1063). In 
questa ipotesi, quindi, la distinzione tra aggiudicazione � definitiva � e 
stipulazione del contratto risulta dalla legge, onde non ha pregio il rilievo 
(svolto dal ricorrente) che le due fasi in sostanza coincidono. 

Ora ai sensi dell'art. 4 comma primo del Cap. Gen. del 1962 n. 1063, � 
prescritto che la stipulazione del contratto di appalto, deve aver luogo 
entro trenta giorni dalla data del deliberamento (aggiudicazione). E tale 
termine, mentre � perentorio per l'aggiudicatario, potendo la P.A. in caso 


210 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

di mancata stipula imputabile al contraente privato -procedere a nuovo 
incanto a spese del medesimo (art. 332 della legge sui lavori pubblici 
1865 n. 2248 all. F richiamato dall'art. 4 comma terzo del capitolato 
generale del 1962), ha carattere non essenziale, ma ordinatorio per la 
P.A., che pu� pertanto invitare l'altra parte a stipulare il contratto anche 
dopo la sua scadenza. 

Questa impostazione che prende le mosse dalla natura ordinatoria 
del termine dei trenta giorni prevista dall'art. 4 comma primo Cap. Gen. 
del 1962, per la stipula (formale) del contratto di appalto di opere pubbliche, 
� coerente con quanto le sezioni unite di questa ('.orte (sentenza 
16 maggio 1977 n. 1962) hanno ritenuto circa la interpretazione della 
norma. 

Si � osservato, infatti, che l'art. 4 comma quarto del suddetto capitolato 
generale, ove prevede il diritto dell'aggiudicatario di svincolarsi 
da ogni impegno e, quindi, di conseguire la restituzione della cauzione 
eventualmente versata per il. caso di manoata approvazione del contratto 
nel termine di sessanta giorni dalla stipulazione, comporta che detto 
diritto dell'aggiudicatario va a maggior ragione riconosciuto nel caso di 
mancata stipulazione del contratto medesimo entro quel termine. Pure 
in tale ipotesi, pertanto, ai sensi della citata norma, il recesso dell'ag-� 
giudicatario richiede la sola notificazione all'ente appaltante della dichiarazione 
di volont� di sciogliersi dagli impegni assunti, ai sensi dell'art. 
114 del regolamento di contabilit� generale dello Stato (approvato 
con r.d. 23 maggio 1924 n. 827), e non anche una preventiva intimazione per 
la stipula del contratto, secondo la disciplina prevista dall'art. 1454 e.e. 

A sostegno di tale indirizzo le Sezioni Unite hanno sottolineato che 
se per far scattare il potere di recesso dell'aggiudicatario basta che nel 
termine di sessanta giorni dalla stipulazione del contratto non intervenga 
il decreto di approvazione, ci� vuol dire che non si � inteso 
tener vincolato l'aggiudicatario al di l� di un certo periodo di incertezza 
circa la efficacia del contratto anche nei confronti della P.A. per motivi 
di carattere economico. A maggior ragione si � quindi ritenuto che 
l'aggiudicatario possa svincolarsi da ogni suo impegno quando i sessanta 
giorni siano trascorsi dopo la scadenza del termine di trenta giorni previsto 
dall'art. 4 comma primo del Capitolato Generale, senza che si sia 
proceduto alla stipula del contratto. 

Ora l'applicazione dei principi accennati alla fattispecie concreta esige 
una precisazione circa le modalit� della fattispecie esaminata dai giudici 
del merito. 

Pur essendo mancata al riguardo una indagine specifica da parte 
della Corte d'Appello, costituisce punto pacifico della controversia (cui entrambe 
le parti si sono richiamate sia pure per trarne conseguenze 
diametralmente opposte, a sostegno delle rispettive ragioni), che -es



PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 211 

sendo stati i lavori affidati in esecuzione dall'Assessorato regionale 
all'I.S.E.S. -fu previsto nel bando di concorso e quindi ricevuto nel 
contratto di appalto, che l'Assessorato si riservava la facolt� di approvazione 
dell'aggiudicazione, Ja quale doveva pertanto ritenersi del tutto 
provvisoria. Il che si spiega ove si rifletta che, mentre la materiale 
esecuzione dell'appa!lto fu affidata aU'I.S.E.S., il Htolare dell'mteresse 
pubblico che la esecuzione delle opere mirava a realizzare era la regione, 
per modo che la definitiva determinazione circa la efficacia vincolante 
del rapporto giuridico, quale atto di amministrazione attiva, non poteva 
non essere riconosciuta all'ente pubblico affidante. 

Ora una tale approvazione (che non costituisce .il tipico atto emanato 
in sede di esercizio dei poteri di controllo) non pu� confondersi come 
invece sostenuto dal ricorrente -n� pu� sostituire l'atto di approvazione 
vero e proprio che condiziona dall'esterno la efficacia del 
contratto gi� perfetto. E poich� la operativit� della aggiudicazione ne 
postula ovviamente la definitivit�, anche agli effetti dell'applicazione dell'art. 
4 commi 1 e 2 D.P.R. 1962 n. 1063, data l'impossibilit� di ipotizzare 
un obbligo di stipulazione, con apposizione del relativo termine, rispetto 
ad un atto ancora imperfetto, ne consegue che nel caso in esame i novanta 
giorni per la stipulazione (e la successiva approvazione) del 
contratto non potevano decorrere che dal giorno in cui 1l'aggiudioazione 
-in seguito alla cosiddetta approvazione dell'Assessorato regionaile divenne 
definitiva e oio� a far tempo dal 24 agosto 1971. 

Pertanto, il 16 ottobre 1971, allorch� fu notificata dall'aggiudicatario 
la dichiarazione di recesso, i novanta giorni entro cui doveva essere 
(formalmente) stipulato il contratto non erano ancora decorsi, onde 
giustamente la Corte del merito ha ritenuto inefficace il recesso dell'aggiudicatario 
e legittimo l'invito a stipulare in data 21 ottobre 1971 
da parte dell'Assessorato. (omissis) 


SEZIONE OTTAVA 
GIURISPRUDENZA PENALE 
SEZIONE OTTAVA 
GIURISPRUDENZA PENALE 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III, 5 gennaio 1982, n. 36 -Pres. Radae1li Est. 
Sacchetti -Rie. Grimaldi (avv. dello Stato Nicola Bruni). 

Reato -Obbligo di denunzia all'autorit� di P;S. di infortunio sul lavoro Contrasto 
nella prognosi tra certificato di pronto soccorso ospedaliero 
e quello di sanitario dell'INAIL -�Prevale quest'ultimo. 

Qualora, a seguito di infortunio sul lavoro, vi sia contrasto nella 
prognosi tra certificato di pronto soccorso ospedaliero e certificato di 
sanitario dell'INAIL, al fine di stabilire la sussistenza o meno dell'obbligo 
di denunzia dell'infortunio stesso all'autorit� di P.S., devesi tenere 

I 

I ~

conto del certificato dell'INAIL (1). 

(1) Non risultano precedenti pronunzie del S.C. in cui siano state esaminate 
I 

fattispecie relative all'obbligo di denunzia all'autorit� di P.S. di infortunio sul 
lavoro caratterizzate dalla esistenza di duplice certificazione, di pronto soccorso 
ospedaliero e di sanitario dell'INAIL. 

I

I 

TRIBUNALE DI VITERBO, 20 novembre 1981 -Pres. est. Caliento -Imp. 
Archibusacci Giovanni pi� 3 -Parte civile: Azienda per gli interventi 
sul mercato agricolo (A.I.M.A.) (Avv. Stato Nicola Bruni). 

I 

I

Reato -Truffa ai danni dell'A.I.M.A. -Integrazione prezzo olio di oliva Olio 
licavato da olive acquistate presso terzi -Non compete. 

Reato -Truffa ai danni dell'A.I.M.A. -Integrazione prezzo olio di oliva Asservimento 
delle strutture di cooperativa tra produttori di olive 
e utilizzazione delle domande dei soci a fini climinosi -Punibilit� 
ai sensi dell'art. 640 C.P. e non dell'art. 9, comma terzo, del D.L. 
21 novembre 1967, n. 1051. 

Reato -Falsit� in atti -Registro di lavorazione previsto dal D.L. 21 novembre 
1967 n. 1051 -E' atto pubblico formalmente delivativo ma sostanzialmente 
oliginale. 



PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

213 

Reato � � Falsit� in atti � Presidente, vicepresidente e direttore amministra� 
tivo di cooperativa tra produttori di olio .di oliva che procedono alle 
annotazioni nel registro di lavorazione previsto dal DL. 2-11-1967 

n. 1051 � Sono pubblici ufficiali. 
In virt� dei regolamenti emessi dalla Comunit� economica Europea 
in materia di integrazione prezzo dell'olio di oliva n. 2132-69, 2212-70, 
2311-71, 1360-78, 1562-78, 2753-78, 3134-78, 1211-79), detta integrazione compete 
ai produttori di olive e non ai fabbricanti dell'olio di oliva. Risponde 
pertanto del reato di truffa ai danni dell'A.1.M.A. colui che richiede 
l'integrazione prezzo per olio ricavato da olive non prodotte direttamente 
ma acquistate presso terzi (1). 

Il presidente, il vice-presidente e il direttore amministrativo di cooperativa 
tra produttori di olive che asservono le strutture della stessa e 
utilizzano le domande dei soci a fini criminosi sono punibili ai sensi 
dell'art. 640 C.P. e non dell'art. 9, comma terzo, del D.L. 21-11-1967 

n. 
1051 (2). 
Il registro di lavorazione previsto dagli artt. 5 e 7 del D.L. 21-11-1967 
n. 1051 non � semplice certificato amministrativo ma atto pubblico sia per 
la sua provenienza ed intestazione al Ministero dell'Agricoltura e delle 
Foreste, per la preventiva vidimazione e timbratura da parte degli ispettori 
provinciali sia perch�, inserendosi come elemento essenziale nel procedimento 
amministrativo per la concessione dell'integrazione prezzo 
olio di oliva, � fornito di rilevanza esterna nei rapporti tra i privati e la 
(1-2�3'4) In ordine alla prima massima non risultano precedenti specifici 
della Cassazione Penale. Comunque, l'assunto del Tribunale, fondato sulla normativa 
contenuta nei regolamenti comunitari concernenti I'� aiuto alla produzione 
di olio di oliva � (� questa l'espressione usata dai pi� recenti regolamenti comunitari 
in materia) � senz'altro da condividersi. 

Quanto alla seconda massima, va osservato che il Tribunale, accogliendo la 
tesi dell'Avvocatura, � andata in contrario avviso della Suprema Corte. ed ha 
ritenuto i fatti ascritti agli imputati punibili ai sensi dell'art. 640 cod. pen. e 
non dell'art. 9, terzo comma, del d.l. 21 novembre 1%7, n. 1051. 

L'efficacia temporanea di tale disposizione (limitata alla produzione 1967-68) 
trova valida conferma in quanto � stato rilevato e ritenuto dalla Corte Costituzionale 
nella decisione 24 giugno 1976, n. 157 e, inoltre, la sua inapplicabilit� 
alla fattispecie sottoposta all'esame del Tribunale di Viterbo discendeva anche 
dalla considerazione che la fattispecie stessa era ben pi� complessa e diversa 
da quelle esaminate dal S.C. 

Invero, quelle delibate dalla S.C. riguardavano singoli produttori che avevano 
effettuato alcune indicazioni non esatte nelle loro domande di integrazione 
prezzo. In quella esaminata dal Tribunale di Viterbo (alla quale per altro ben 
si sarebbe attagliata anche la contestazione del reato di assooia:filone per delinquere, 
art. 416 cod. pen.) vi erano s;;ate per anni, come esattamente osservato 
in sentenza, l'asservimento delle strutture della cooperativa S,C.O.C. (Societ� 
Cooperativa Olearia Castrense) s. a r.l., costituita tra produttori di olive, e 



214 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

P.A. che se ne avvale facendolo proprio per verificare la regolarit� della 
domanda di integrazione, ed appartiene alla categoria di quei documenti 
che sono formalmente derivativi, in quanto riproducono fatti giuridici 
emergenti da altri documenti, ma sostanzialmente originali, in quanto, 
sia pure a mezzo dei fatti riprodotti, comprovano e rappresentano a 
loro volta un fatto giuridico nuovo, avente una propria autonomia non� 
ch� effetti giuridici propri (3). 
Il presidente, il vice-presidente e il direttore amministrativo di 
cooperativa tra produttori di olive, nell'effettuare le annotazioni nel 
registro di lavorazione previsto dal d.l. 21 novembre 1967 n. 1051, svolgono 
una pubblica funzione in quanto, compiendo un atto essenziale del 
procedimento amministrativo relativo alla integrazione prezzo per l'olio 
di oliva, partecipano alla formazione della volont� della P.A. (4). 

(omissis) Ritiene il Tribuniale, alla luce del:le 'acquisite .risultanze 
processuali, di affermare la penale responsabilit� degli imputati Archi� 
busacci Giovanni, Filiberto ed Arturo in ordine ai delitti loro ascritti 
e di assolvere Gentili Enzo per insufficienza di prove. 

1) delitto sub a): sussistenza e qualificazione giuridica. -Osserva 
il Collegio che gli Archibusacci dopo avere assunto nel primo interro� 
gatorio, reso al P.M. in data 2 aprile 1981, la perfetta corrispondenza 
dei dati trascriitti nel registro di lavorazione ai quantitativ:i di olive 
realmente �ccxnrferiti dai singoli soci e di olio effettivamente estratto, 
attribuendo le contrarie dichiarazioni, rese sino a quel momento da 

l'utilizzazione delle domande dei soci a fini criminosi, diretti a procurare lucri 
e profitti al presidente, al vice-presidente ed al direttore amministrativo. 

La terza massima � perfettamente aderente all;orientamento costante della 
giurisprudenza del S.C. (v. tra le pi� :rncenti: Sez. VI, 13 febbraio 1979 rie. Corda; 
Sez. V, 5 maggio 1976 rie. Di Falco) che ha ritenuto tra gli atti pubblici originari 
e quelli derivativi, una terza categoria di atti che, pur formalmente derivativi, 
sono sostanzialmente originari in quanto, sia pure a mezzo di fatti riprodotti 
da altri documenti, comprovano o rappresentano a loro volta un fatto giuridico 
nuovo avente una propria autonomia ed effetti giuridici propri, come nelle 
ipotesi del libretto di circolazione (Cass. V, 5 aprile 1978 rie. Traversone), della 
scheda del casellario giudiziale (Cass. VI, 18 gennaio 1974, rie. Moroni), dei 
verbali di esame e dei cosiddetti � statini � (Cass. VI, 20 febbraio 1968, rie. Mazzarella), 
della cartella clinica redatta da un medico addetto ad un ospedale 

I

(Cass. V, 2 aprile 11971, rie. Scope!) ecc ... 
Anche la quarta massima � conforme all'indirizzo giurisprudenziale della 


I

Suprema Corte che, anche con pronunzie recenti (Sez. V, 21 marzo 1980, rie. 

Guidobaldi) ha ribadito che ai fini della sussistenza del reato di cui all'art. 479 !i 

cod. pen. � irrilevante la collocazione del soggetto in una determinata posizione i: 

i:
formale della struttura impiegatizia dell'ente pubblico, essendo sufficiente il io 

fatto obiettivo della sua attivit� funzionale, anche se prestata in modo occa� i 

sionale. 

I l

NICOLA BRUNI 

~. f 


PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 215 

alcuni soci e, segnatamente, da Bartolini Francesco e Franceschetti 
Pietro, ad errore, confusione e malvolenza degli stessi nei loro confronti, 
hanno poi ammesso, nel secondo interrogatorio reso al P.M. 
in data 29 aprile 1981, che surl registro di lavorazione erano stati � alterati 
� i predetti quantitativi. In udienza hanno confermato quest'ultima 
versione. Gli stessi hanno, altresi, rivelato il meccanismo adottato 
per procedere alla falsificazione. Al momento del conferimento delle 
olive, al socio veniva consegnato un buono di consegna, redatto in 
duplice copia, nel quale veniva indicato il quantitativo reale. La seconda 
copia restava in possesso degli Archibusacci, i quali provvedevano, a 
questo punto, a predisporre una duplice contabilit� dei quantitativi: una 
occulta, contenuta in un brogliaccio a loro esclusiva disposizione, mai 
lasciata in ufficio e sempre gelosamente custodita, ove annotavano 
i quantitativi reali per i conteggi che sarebbe stato necessario fare 
con il socio (calcolo dell'integrazione, pagamento di acconti, versamento 
del saldo, resa dell'olio); l'altra ufficiale, risultante dal registro di lavorazione, 
caratterizzata dalla metodica. maggiorazione dei dati reali, 
al fine di predisporre le schede riassuntive e i prospetti riepilogativi, in 
base alle quali compilare le domande di integrazione, firmate in bianco 
dai soci. Nell'effettuare le maggiorazioni gli Archibusacci tenevano conto, 
al fine di non destare sospetti negli organi di controllo dell'estensione 
dei terreni di ciascun socio, del numero delle piante che vi insistevano, 
fossero o meno in produzione, e delle rese massime (piante -olive; 
olive -olio) fissate per J'annata agrairia in corso. Le dichiarazioni rese 
dalle centinaia dei soci della cooperativa, i chiaI1imenti tecnici forniti, 
oltre ohe dagli imputati, da alcuni testi, quali Rancini Ubai1clo {fol. 22' 
e 49) e Laghi Pier Giuseppe (fol. 19, 493) non lasciano dubbi sulla sussistenza, 
sulle caratteristiche e sull'imponenza del fenomeno. Ammesso 
il fatto, gli Archibusacci hanno, peraltro, assunto una linea difensiva 
mirante a provare che, nonostante l'alterazione dei dati riportati nel 
registro di lavorazione, la quantit� di olive effettivamente molite dal 
frantoio e la quantit� di olio complessivamente ottenuto 1sarebbero, comunque, 
corrispondenti a quelle denunciate nelle domande di integrazione, 
di tal che nessun danno, inteso questo nella corretta accezione di 
diminutio patrimonii, sarebbe derivato allo Stato. Non della truffa contestata, 
pertanto, avrebbero dovuto rispondere, n� del delitto di cui all'art. 
9 co. 3� D,L. 21-11-1967 n. 1051; ma della pi� lieve ipotesi criminosa 
prevista dal 1� co. del cit. art. 9. Sotto altro profilo hanno dedotto poi l'assoluta 
inidoneit� degli artifici usati, a concretizzare la fattispecie criminosa 
di cui all'art. 640 c.p., atteso che il corretto esercizio delle fun. 
zioni demandate agli organi di vigilanza e di controllo in materia avrebbe 
consentito di evidenziare il carattere menzognero dei documenti presentati. 
La &ea difensiva cosi assunta, � peraltro, :infondata, in fatto 


216 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO .STATO 

ed in diritto e deve essere disattesa. Ed invero, ove avessero voluto, gli 
Archibusacci avrebbero potuto offrire la prova certa dei quantitativi reali 
e di quelli denunciati, producendo i buoni di consegna ed il brogliaccio 
della contabilit� occulta, non essendo credibile che l'abbiano distrutto; 
ma si sono astenuti dal farlo perch� consapevoli che, attraverso 
l"esame di quei documenti, sarebbe 1emersa con assoluta ;previsione la 
prova del divario tra i due quantitativi e, quindi, d;ell'ammontare del 
danno provocato all'AIMA. Hanno, invece, creduto di dare consistenza 
al loro assunto indicando tre elementi di prova, definiti di carattere 
documentale e, cio�, il consumo di energia elettrica del frantoio, che 
sarebbe :proporzionale al!la molitura denunciata; il quantitativo di sansa 
dallo stesso ottenuto, analogamente proporzionale al quantitativo complessivamente 
denunciato; il verbale di accertamento della G. di F. 
iniziato il 5-5-1981, che ha considerato come effettivamente prodotti i 
quantitativi risultanti dal registro di lavorazione, nonch�, attraverso 
le deposizioni del teste Morosini Augusto (f. 529 e 543) autista della cooperativa, 
e del teste Perfetti Sergio, escusso a discarico nell'udienza 
del 13-11-1981, frantoiano della cooperativa. Peraltro, �gli argomenti desunti 
dal consumo di energia elettrica, proposti senza nessun elemento 
chiarificatore circa l'entit� dello stesso, le caratteristiche dell'impianto 
molitorio e la sua potenzialit� funzionale, non sono minimamente utilizzabili 
neppure nella prospettiva di un accertamento tecnico e si 
rivelano quali meri espedienti difensivi. Analogamente inutilizzabili sono 
gli argomenti relativi alla produzione di sansa, proposti anche essi senza 
elementi chiarificatori, comunque, non suffragati da alcun documento 
certo. Neppure il verbale della G. di F. � utilizzabile nella considerazione 
che lo stesso � preordinato al fine esclusivo di accertare l'evasione di 
imposta in relazione al maggiore quantitativo del prodotto, comunque 
dichiarato dal contribuente. Per quanto riguarda la deposizione del 
teste Morosini, il Collegio nutre gravi sospetti sulla sua attendibilit�, 
tanto � vero che del relativo verbale, su richiesta del P.M., � stata 
trasmessa copia alla Procura per la determinazione di competenza. Degli 
asseriti acquisti di olive nel Sud, in realt�, gli Archibusacci avrebbero 
potuto offrire 1a prova rigorosa producendo le relative fratture, 
le bollette di carico, i buoni di consegna, gli assegni' dati in pagamento 

(v. deposizione del teste a discarico Perfetti Bruno, che ha smentito la 
circostanza di pagamenti in contanti asserita nell'ud. 13-11-1981 da Archibusaoci 
Giovanni) e, principalmente, indicando i nomi dei vOOJditori. 
L'omessa indicazione di quest'ultimo dato induce, anzi, il Collegio a 
condividere il sospetto, espresso dal P.M., che per gli stessi quantitativi 
di olive possa essere stata richiesta integrazione sia dal produttore-venditore 
sia dagli Archibusacci, sotto i nomi dei soci, avvalendosi eia




PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

scuno delle bene differenziate procedure e, comunque, determina il 
sicuro convincimento che, ove alcuni quantitativi di olive siano stati 
acquistati, si � pur sempre trattato di quantitativi del tutto trascurabili 
rispetto all'entit� del fatto cos� come contestato. La conferma di 
ci� viene daJle stesse deposizioni del Morosini e del Perfetti. Iil :primo 
ha dichiarato in udienza di essersi recato nel Sud durante i mesi della 
campagna olearia e cio� dal novembre al gennaio-febbraio (al massimo 
16' settimane) a scadenze settimanali con un autocarro da q.li .100, per 
cui, ove, pure, gli acquisti effettuati potrebbero essere stati dell'ordine 
di q.li 1.500 circa. Siccome, secondo il teste Perfetti Sergio, il quantitativo 
di olive acquistato direttamente sulla piazza di Canino sarebbe 
stato di pari entit�, a tutto concedere si potrebbe pensare ad acquisti 
da terzi per circa q.li 3.000 di olive, neppure sufficienti a �giustificare�, 
secondo la tesi degli imputati, le maggiorazioni, sicuramente .operate, 
dei quantitativi indicati nelle domande loro, dei loro parenti e di 
Brenciaglia Luigi (il quale ha precisato che l'anno precedente aveva 
ottenuto circa 600 q.li contro i 1629,73 indicati nella denuncia presentata 
dagli Archibusacci l'anno successivo, nonostante le rese indicative 
siano rimaste invariate nei due anni secondo la nota fatta pervenire 
dopo l'udienza 13-11-1981 dal dr. f.erruccio Fusari Pres1dente Commissione 
Prov.le Integrazione Olio di Oliva). Non � assolutamente credibile, 
infatti, che gli Archibusacci, dopo avere maggiorato le domande 
dei soci col rischio di essere scoperti, non abbiano fatto altrettanto 
con le proprie, pur non correndo rischi e potendo lucrare somme ben 
maggiori. D'altra parte l'imputato Gentili Enzo ha fornito la prova del 
contrario dell'assunto degli Archibusacci, rilevando che le maggiorazioni 
dovevano essere, a suo avviso, effettuate per i soci che avevano un maggior 
numero di piante, cio�, per gli Archibusacci e per i loro parenti. 
Riepilogando, se si considera che i quantitativi di olive denunciati all'AIMA 
ammontano a q.li 29.802,91 e, ai quantitativi di olive dichiarati 
dai soci come realmente conferiti (q.li 10.441,18) si aggiungono quelli 
che potrebbero essere stati acquistati dagli Archibusacci presso terzi 
e denunciati come prodotti da loro e da parenti, risulta ampiamente 
superato il limite necessario a mantenere ferma la contest�zione originana 
relativa all'ammontare del profitto e del danno. Ha, peraltro, osservato 
la costituita P.C. AIMA che l'indagine relativa ai quantitativi 
eventualmente acquistati, sarebbe comunque, irrilevante in quanto la 
integrazione relativa sarebbe stata comunque richiesta al di fuori 
dei limiti dei regolamenti CEE. L'osservazione introduce, il problema 
della qualificazione giuridica del fatto, problema che, essendosi sicuramente 
verificato un danno per le ragioni sopra esposte ed esclusa, 
conseguentemente, l'ipotesi di applicabilit� del l0co. dell'art. 9 D.L. 1051/ 


218 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

1967, come sostenuto dalla d:iifesa di Archiibusacci GioV1anni e Filiberto, 
resta circoscritto all'ipotesi criminosa delineata dall'art. 640 n. 1 

c.p. e di quella delineata dall'art. 9 3�co. D.L. 1051 cit. 
L'avvocatura dello Stato ha sostenuto che il D.L. citato avrebbe efficacia 
temporanea dettando norme per l'erogazione dell'integrazione del 
prezzo dell'olio di oliva di produzione 1967-68. Infatti, preceduto dal 

D.L. 9-11-66 n. 912, convertito in L. 23-12-1966 n. 912, per disciplinare la 
integrazione di olio prodotto, nel 1966-67, � stato seguito dal D.L. 18 dicembre 
1968 n. 1234, convertito in L. 12-2-1969 n. 5, che ha esteso le 
disposizioni del D.L. 1051-67 a!H'olio di oliva prodotto nella campagna 
1968-69. Con L. 13-10-1969 n. 740 il Parlamento concedeva delega al Governo 
ad emanare le norme per assicurare !'-esecuzione degli obblighi 
derivanti dai regolamenti CEE gi� operanti nel nostro ordinamento e 
per sanzionare penalmente le relative infrazioni nei limiti dell'ammenda 
fino a L. 2.000.000 e deHlarresto fino ad un �anno, applicab11i congiuntamente 
o alternativamente. A seguito della legge di delegazione veniva 
emanato il D.P.R. 24 dicembre 1969 n. 1053 e la Corte Costituzionale con 
sentenza 24 giugno 1976 n. 157 dichiarava l'illegittimit� costituzionale 
dell'art. 1, per violazione degli artt. 76 e 77 Cost., per avere superato 
i limiti posti dalla legge delega nella parte in cui, richiamando in vigore 
il D.L. 18-12-1968 n. 1324, prevedeva �i reati punibiH con la reclusione 
e con la multa: Osservava la Corte che tutte le norme contenute nei 
DD.LL. n. 912-66, 1051-67 e 1234-68 e rispettive leggi di conversione erano 
speciali e temporanee con efficacia circoscritta alla campagna olearia, 
per le quali erano espressamente emanate. Di poco posteriori erano i 
regolamenti comunitari n. 2132-69 e 2309-69, obbligatori in tutti i loro 
elementi e direttamente applicabili in tutti gli Stati membri. Tali regolamenti 
non prevedevano sanzioni, ma impegnavano ciascuno Stato produttore 
di olio ad instaurare un regime di verifiche e di controlli intesi 
ad assicurare la sussistenza dei requisiti per l'integrazione. Dichiarata 
l'illegittimit� della norma, la Corte affermava essere del tutto ovvio 
che i comportamenti illeciti attinenti al regime dell'integrazione del 
prezzo dell'olio, se altrimenti previsti come delitti, n� degradavano a 
fatti contravvenzionali n�, esclusi dalla sfera di applicabi.lit� del decreto 
delegato, dichiarato illegittimo, cessavano di essere delitti: essi restavano 
punibili alla stregua del codice penaJe sotto i titoli di falso e truffa. 
Era compito del giudice accertare se vi rientrasse la fattispecie concreta. 
Accingendosi a tale compito, senza ignomr~ che la S.C. ha ripetutamente 
affermato che l'art. 9 D.L. 1051-67 non ha efficacia limitata 
all'annata agraria 1967-68, ma si estende alle richieste per le annate 
successive (Cass. 8-10-1976, Stiscia; Cass. 1-7-1977 Manzari) e che il 
comma terzo del cit. art. 9 prevale nell'applicazione dell'art. 640 c.p. per 
il principio di specialit� sancito dall'art. 15 cod. pen. (Cass. 20-10-1975 

PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

Crocetta ed altro) il Collegio ritiene di ravvisare, comunque, nel fatto 
il delitto contestato di cui all'art. 640 c.p. Infatti, perch� possa operare 
il principio di specialit� � necessario che una delJ.e norme (c.d. speciale) 
presenti nella sua struttura tutti gli elementi propri dell'altra (c.d. generale) 
oltre a quelli caratteristici della specializzazione. In altri termini, 
le due disposizioni debbono presentarsi come cerchi concentrici di raggio 
diverso, per cui quello pi� ampio abbracc�a interamente in s� quello 
minore presentando, inoltre, un settore residuo destinato ad accogliere 
i requisiti aggiuntivi della specialit� (Cass. 11-11-1959 Agostinelli ed altri). 
Ci� non si verifica nel caso in esame in quanto il comportamento degli 
imputati travalica i limiti dell'art. 9 comma terzo D.L. 1051 cit. ( � false 
dichiarazioni � nei documenti !Previsti negli artt. 3, 4 e 10 D.L. cit.) 
per contenere �quel quid pluris fotografato nel capo di imputazione e 
consistente nell'asservire le strutture della cooperativa ed utilizzare le 
domande dei soci a fini criminosi, creando cos� un meccanismo truffaldino 
ben pi� complesso dal carattere menzognero della dichiarazione. 
Sembra al Collegio che la profonda differenza possa essere colta osservando 
che il delitto di cui all'art. 9 comma terzo D.L. 1851-67 resta pur 
sempre un delitto di falso e non di truffa. Alla luce delle considerazioni 
che precedono pu� essere facilmente risolto in maniera positiva il problema 
dell'idoneit� degli artifici usati, che, per fa verit�, potrebbe 

aoquistare rilevanza solo in tema �di tentativo di truffa, ma non quando 
questa sia ~tata consumata con l'effettiva induzione in errore. 

In tal caso non pu�, infatti, dubitarsi di detta idoneit�, che appare 
dimostrata dall'effetto raggiunto (Cass. sez. terza 5-2-1965, Romanigo e 
altro). Non si � trattato di semplice menzogna; comunque, � agevole 
ricordare che anche la menzogna pu� integrare l'estremo dell'artificio 
e raggiro (Cass. 18-2-1960, Bono) e l'insegnamento sarebbe particolarmente 
da seguire nel caso in esame perch� i dati, di cui alla menzogna, 
dovevano essere comunicati per legge. Anche la colpa degli organi 
dello Stato, affermata dalla difesa e cio� la Joro mancanza di diligenza 

o l'inosservanza di norme giuridiche, non �, comunque circostanza in 
base alla quale si possa escludere l'idoneit� del mezzo, non solo perch� 
si risolve in una deficienza di attenzione ma altres� perch� il pi� delle 
volte, come � stato osservato da un'autorevole dottrina, � determinato 
dalla fiducia che sa suscitare il truffatore. 
Resta da esaminare il problema se l'integrazione del prezzo dell'olio 
di oliva possa essere richiesto dal!l'olivicoltore o dal fabbricante di 
olio, problema l'ilevante al fine di stabilire se gli A:rchi:busacci chiedendo, 
sia pure con un meccanismo truffaldino, l'integrazione di quantitativi di 
olive acquistati presso terzi, acquisto per il quale valgono tutte le considerazioni 
gi� svolte, abbiano procurato a s� un profitto ingiusto ed 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

220 

allo Stato un danno. Accogliendo la tesi svolta dall'Avvocatura dello 
Stato, il Collegio ritiene che solo gli olivicoltori siano legittimati a chiedere 
l'integrazione. 

Per la verit�, chiamata a chiarire dalla nostra Corte Suprema di 
Cassazione, con ord. 9-12-1976 nella causa AIMA c. Greco, il significato 
dell'espressione �produttori di olive� figurante nell'art. 10 D.L. 1051-67, 
la Corte di Giustizia della Comunit� Europea, con decisione 9-11-1977, 
stabiliva che fa stessa doveva interpretarsi nel senso che essa si riferiva 
ai fabbricanti del prodotto trasformato, costituito dall'olio di oliva, ai 
quali spetta, quindi l'integrazione concessa per l'olio di oliva. Applicando 
il principio statuito dalla Corte di Giustizia della CEE, la Oassazione 
ha fissato l'indirizzo che l'integrazione del prezzo Spetta ai fabbricanti 
dell'olio (Cass. civ. 11-7-1979 n. 3998). Per altro, la sentenza, richiamata 
anche da1la difesa degli imputati, si riferisce alla oampagm.a olearia 
1967-68. Per le stagioni olearie successive, questa interpretazione non � 
pi� accettabile; infatti, gi� per la campagna olearia 1969-70 il Reg. CEE 

n. 2132/69 del 28-10-1969 introduceva l'obbligo di presentare una dichiarazione 
di coltivazione (ofr. anche per le annate successive i reg. CEE 
2212-70, 2311-71, 2753-78, 3134-78) obbligo, che non potrebbe trovare giustificazione 
alcuna se non fossero gli stessi produttori di olive i soggetti 
legittimati a presentare la domanda di integrazione facendo riferimento 
ai dati di coltivazione (estensfone del terreno, piante in produzione). 
L'istituzione del sistema di accertamento presuntivo con riferimento 
alle determinazioni di rese indicative in olive e in olio per zone 
omogenee conforta il convincimento del Collegio. Cos� in maniera esplicita 
il Reg. CEE n. 1562/78 del 29-6-1978, che sostituiva gli articoli da 
1 a 20 del primo Reg. CEE in materia n. 136/66, precisava che l'aiuto era 
concesso agli olivicoltori soci di una �associazione riconosciuta di produttori 
in applicazione del Reg. CEE 1360/78 in funzione delle quantit� 
di olio effettivamente prodotto e agli altri olivicoltori in funzione del 
numero, del potenziale produttivo degli olivi da loro coltivati e delle 
rese fissate forfettariamente e a condizione che le olive prodotte fossero 
state effettivamente raccolte. Il Reg. CEE n. 3134/78 del 28-12-1978, 
recante modalit� di applicazione del regime di aiuto alla produzione di 
olio di oliva per la campagna 1978/79, estese alla campagna 1979/80 
dal Reg. CEE 193/79 del 12-11-1979, tornava :a ribadire che 1e domande di 
olio di oliva per la campagna 1978/79, estese a11a campagna 1979/80 
dal Reg. CEE 193/79 del 1979, tornava a ribadire che le domande di 
aiuto tramite l'organizzazione di appartenenza, dovevano essere fatte 
dai produttori, secondo modalit� diverse a secondo che avessero portato 
le olive direttamente alla molitura o le avessero vendute sulle 
piante o per quantitativi determinati (art. 2). 

PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

4) Delitto sub D). 

La confessione degli imputati rende incontrovertibile la prova del 
fatto a base del delitto contestato al capo D, valutata detta confessione 
alla luce delle dichiarazioni dei soci della cooperativa. � sorta, invece, 
controversia circa 1a qualificazione giuridica dello stesso, avendo la 

P.C. e, in particolare, l'avvocatura dello Stato, sostenuto doversi qualificare 
il fatto cos� come contestato; il P.M. ha proposto la diversa qualificazione 
di falsit� ideologica commessa dal P.U. in certificati o in 
autorizzazioni amministrative (art. 480 cod. pen.), e la difesa di quella 
di omessa o inregolare tenuta dei registri di lavorazione, prevista dal 
quarto comma dell'art. 9 d.l. n. 1051/67 come fatto contravvenzionale, 
ormai punibile, a seguito della legge di depenalizzazione n. 75/76, con 
una semrpl.tice sanzione amministrativa. Il Collegio ritiene di mantenere 
ferma la originaria qualificazione ex art. 479, cod. pen., essendo 
attribuibile agli autori della falsificazione la qualit� soggettiva di p.u. 
e al registro di 1lavorazione il carattere oggettivo di atto pubblico. �, 
infatti. apnena il caso di osservare. contrariamente a auanto sostenuto 
dagli imputati, che, nella terminologia legislativa, l'espressione � omessa 
o irregolare tenuta � non � interscambiabile con quella di � falsificazione
�, in quanto la prima si riferisce alla violazione isolata e occasionale 
dei requisiti formali propri del documento e la seconda alla 
cosciente e volontaria immutatio veri. L'assoluta diversit� delle due 
espressioni ben pu� cogliersi comparando l'art. 216, primo comma, n. 2, 
r.d. 16 marzo 1942, n. 267 ed il capoverso del successivo art. 217. 
Neppure la qualificazione proposta dal P.M. in udienza si attaglia 
al caso di specie in quanto i registri di lavorazione, minuziosamente 
disciplinati negli artt. 5 e 7 del d.l. 1051/67 nei requisiti formali e 
negli elementi sostanziali (provenienza diretta ed intestazione del Ministero 
dell'Agricoltura e Foreste, preventiva vidimazione e timbratura da 
parte degli Ispettori provinciali), non sono semplici certificati, cio�, 
mere attestazioni di verit� o di scienza, che siano estranee alla documentazione 
di attivit� direttamente esercitata dal p.u. ovvero alla prova 
di atti o di fatti, che abbiano avuto luogo alla sua presenza (Cass. Sez. 3" 
12 marzo 1962, Boldrin), ma veri atti pubblici. Precisamente, inserendosi 
come elementi essenziali nel procedimento amministrativo relativo alla 
concessione dell'integrazione del prezzo dell'olio e forniti di rilevanza 
esterna nei rapporti tria i ~ivati e la pubblica amministmz:ione, che se 
ne vale, facendoli propri, per verificare La regolarit� delle domande di 
integrazione (v. deposizione in udienza del teste di Laghi), essi appartengono 
alla categoria di quei documenti, individuati dalla Suprema 
Corte (Cass. 14 aprile 1956, P.M. c. Grassi), che sono formalmente derivatiV'i, 
iin quanto riproducono futti giuridici emergenti da altri docu



222 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

menti, ma sostanzialmente originari, in quanto, sia pure a mezzo dei 
fatti riprodotti, comprovano e rappresentano a loro volta un fatto giuridico 
nuovo, avente una propria autonomia nonch� propri effetti giuridici. 


Nessun dubbio poi pu� fondatamente prospettarsi circa l'attribuibilit� 
agli autori della falsificazione della qualit� di pubblici ufficiali. 
Ed invero, indipendentemente dall'inquadramento organico e funzionale 
nell'ambito della pubblica amministrazione, ai sensi del n. 2 dell'art. 
357, cod. pen., sono pubblici ufficiali tutti coloro che esercitano 
anche temporaneamente e gratuitamente, volontariamente o per obbligo, 
una pubblica ~unzione amministrativa. Procedendo alle annotazioni 
nel registro di lavorazione, cio�, come sopra si .� detto, in un atto essenziale 
di un procedmento amministrativo, gli imputati hanno partecipato 
alla formazione de1la volont� della P.A. <(omissis). 



PARTE SECONDA 



QUE.STIONI 


IL PRIMO CENTENARIO 
DELL'AVVOCATURA DELLO STATO SPAGNOLA 


Dedicato al tema delle attivit� di consulenza legale prestate a favore 
dello Stato e degli altri soggetti pubblici, si � svolto a Madrid tra il 9' 
ed il 13 novembre 1981 -in occasione del primo centenario del Corpo. 
degli avvocati dello Stato spagnoli -il secondo congresso internazionale 
degli istituzioni pubbliche cu� sono affidate, nei diversi Paesi, le. 
funzioni di assistenza legale e di patrocinio in giudizio degli Stati. Al 
congresso hanno partecipato qualificate delegazioni provenienti da tutti 
i continenti '(compresa l'Australia); significativa la partecipazione anche 
della Com�nit� economica europea. 

Com'� noto, il precedente congresso si era svolto a Roma nel 1976,. 
in occasione del centenario dell'Avvocatura dello Stato italiana. In quell'occasione 
si era gi� preso coscienza della simiglianza, spesso sostanziale 
identit�, delle funzioni svolte dalle istituzioni partecipanti, pur 
nella diversit� dei connotati organizzatori. 

Tale indicazione � stata confermata e pi� specificamente esaminata 
nel congresso di Madrid, a presiedere il quale � stato chiamato -in 
apertura dei lavori -l'Avvocato generale italiano Giuseppe Manzari. 

Durante le giornate del congresso -organizzato con stile impeccabile 
e costantemente assistito dalle calorose premure dei colleghi ospitanti 
-ciascuna delegazione ha avuto modo di svolgere un intervento 
su punti essenziali del tema all'ordine del giorno, di sintesi della relazione 
scritta in precedenza inviata e ad integrazione di essa. Gli interventi 
hanno sovente stimolati vivaci dibattiti tra i partecipanti. 

L'insieme delle relazioni e degli interventi ha consentito di evidenziare: 


a) che in tutti gli Stati, in parallelo con l'affermarsi del primato 
del diritto, v'� una crescente necessit� di consulenza legale a favore 
defle amministrazioni pubbliche e dei soggetti ad esse collegati; 

b) che la anzidetta funzione di consulenza legale va dovunque 
acquisendo una propria individualit� e dignit�, differenziandosi essa 
sempre pi� dalle funzioni amministrative e da quelle giurisdizionali, al 
punto che pu� ormai proclamarsi che per la realizzazione di un vero 
� Stato di diritto � sono necessarie sia la presenza di giudici indipendenti 
dal potere esecutivo sia una adeguata ed autonoma organizzazione della 
funzione di consulenza giuridica a fianco di detto potere; 

16 



2 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

e) che � auspicabile una piena presa di coscienza della peculiarit� 
e della rilevanza politica e giuridica della funzione in questione; 

d) che nella maggior parte degli Stati la funzione di consulenza 
legale con � competenza generale � per tutte le amministrazioni pubbliche 
� attribuita dalla legge o dalla prassi ad una sola istituzione pubblica 
variamente denominata e articolata; ed anche laddove ci� non avviene, 
una istituzione va emergendo nei fatti come organo di consulenza per gli 
affari pi� importanti e per le questioni di carattere generale o di massima; 
per il che gli uffici legali o del contenzioso aventi competenza settoriale 
(ad esempio, presso singoli ministeri) tendono, ovunque essi esistano, 
ad assumere un ruolo ausiliario in coerenza con indicazioni di coordinamento 
provenienti dalla istHuzione avente � competenza generale �; 

e) che in tutti gli Stati all'istituzione che, per legge, per prassi o 
di fatto, esercita con competenza generale la funzione di consulenza legale 
� assicurata una autonom�a, anche sul piano dell'organizzazione, dalle 
amministrazioni e dai soggetti pubblici assistiti; 

f) che tale autonomia � ovunque contemperata con l'esigenza di 
mantenere un permanente raccordo istituzionale con l'autorit� politica di 
Governo, raccordo che si concreta nella nomina governativa (sovente a 
tempo determinato) della persona preposta alla istituzione attributaria 
delJ.a funzione consultiva della quale si tratta; 

g) che in non pochi Stati tale raccordo trova enfasi nella partecipazione 
del preposto alla istituzione consulente alle riunioni del Governo, 
a volte con rango di Ministro pleno jure, a volte con presenza solo 
consultiva; 

h) che la necessit� del predetto raccordo istituzionale e -al 
tempo stesso -la necessit� di salvaguardare la reciproca separazione 
del potere giudiziario da quello esecutivo e la indipendenza dei giudici 
anche dagli avvisi da loro stessi espressi conducono ad attribuire carattere 
eccezionale alle disposizioni che attribuiscono compiti consultivi ad 
organi giurisdizionali; 

i) che invece pressoch� in tutti gli Stati (come del resto nel settore 
privato) si � affermato o si va affermando come del tutto razionale il 
collegamento tra la funzione di consulenza legale a favore delle amministrazioni 
e soggetti pubblici e la funzione di loro patrocinio nei giudizi; 

Z) anche in quegli Stati -e trattasi degli Stati retti o influenzati 
dalla tradizione giuridico-costituzionale inglese -ove non si � avuta 
la separazione (coeva, ad esempio, alla nascita della Avvocatura dello 
Stato italiana) tra la pubblica accusa nei processi penali, e consulenza e 
patrocinio negli affari non penali (costituzionali, civili, tributari, ecc.), 
:anche in quegli Stati -ripetesi -si riscontra una separazione di 



PARTE II, QUESTIONI J 

dette funzioni all'interno dell'unitaria struttura (ufficio dell'Attorney 
generai) che di esse tutte � attributaria; 

m) che l'essenziale autonomia della funzione di consulenza legale 
necessariamente esalta ed affina la sensibilit�, l'equilibrio e la responsabilit� 
degli individui concretamente addetti a tale funzione, e valorizza 
-nel rispetto di una deontologia professionale rigorosa -la � scienza e 
coscienza � e l'onest� intellettuale e morale di ciascuno di loro, richiedendo 
una quotidiana attenzione sia per le esigenze politiche della collettivit� 
sia per le posizioni garantite dal diritto. 

In chiusura del congresso � stato approvato all'unanimit� il seguente 
documento: 

Les institutions charg�es, dans les divers pays participant au H�me 
Congr�s Juridique International tenu � Madrid du 9 au 13 novembre 1981, 
de l'assistance juridique aux administrations publiques par le moyen de 
l'exercice de la fonction consultative, 

AFFIRMENT que l'�change des informations contenues dans les 
rapports present�s au Congr�s a �t� tr�s utile pour la comparaison des 
syst�mes de conseil juridique et la connaissance des analogies et des 
diff�rences existant entre ces syst�mes, ce qui pourra permettre un perfectionnement 
et un enrichissement des fonctions d'assistance juridique, 

SOULIGNENT que la m�thode de la comparaison peut aider � mettre 
� profit, autant que possible, les exp�riences v�cues dans divers pays, 

CONSTATENT le r�le important que les institutions participant 
peuvent et doivent jouer pour une am�lioration de l'action des administra� 
tion publiques, des communant�es europ�ennes et des organisations internationales, 


CONFIRMENT que l'action de toute administration publique dans la 
poursuite de ses objectifs doit s'effectuer dans le respect scrupuleux de la 
loi, respect qu'il y a fa�on de favoriser pr�cis�ment grace aux fonctions 
de conseil attribu�es aux institutions d'assistance juridique, soulignant 
sp�cial�ment l'importance du conseil juridique pr�alable aux d�cisions 
politiques, 

SOUHAITENT que les travaux r�alis�s et les contacts maintenus au 
cours de ce H�me Congr�s Juridique International, joints aux pr�c�dents 
du Congr�s de Rome tenu en 1976, puissent servir de base et directive � 
� une organisation internationale charg�e de promouvoir d'une mani�re 
fr�quente et institutionalis�e les �changes des esp�riences et la recherche 
des moyens propres � accroitre l'�fficacit� des fonctions d'assistance juridique, 
et de servir de centre d'informations et d'�tude: pour cela INVI



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

4 

TENT � utiliser le bureau existant chez l'Avvocatura dello Stato a Rome, 
qui recevra les propositions de tous les pays dans le but d'organiser des 
rencontres internationales ou r�gionales, c�l�brer des �v�nements, ou 
constituer une possible organisation internationale, 

REMERCIENT Sa Majest� le Roi d'Espagne d'avoir accept� la Pr�sidence 
d'honneur du Congr�s, en lui pr�sentant l'hommage des d�l�gations 
pour ses efforts dans fa d�fense des droits de l'homme et de la paix pour 
la voie de la Justice. 

Con tale documento all'Avvocatura dello Stato italiana � stato assegnato 
il compito, non solamente di potenziare il centro. di collegamento 
istituito nel 1976, ma anche di promuov�re la costituzione di una � possibile 
� associazione internazionale delle istituzioni rappresentate nei congressi 
di Roma e di Madrid o parimenti impegnate nelle funzioni di 
assistenza legale a favore di Stati e soggetti pubblici ad essi collegati. 
Trattasi di compito di grande rilievo anche politico, tenuto conto delle 
dimensioni mondiali assunte dai congressi anzidetti e del rango d� 
molte delle istituzioni partecipanti; di compito che -se efficacemente 
assolto -potr� condurre a riconoscimenti anche da parte dell'OrganizZAzione 
delle Nazioni Unite, in considerazione dei contributi che, da un 
concorde operare delle istituzioni associate, potranno venire all'affermazione 
del primato del diritto anche nelle relazioni tra gli Stati. 

FRANCO FAVARA 



5

PARTE II, QUESTIONI 

CONSIDERAZIONI SUL DIRITIO DI PROPRIETA' 

NELLA NORMATIVA SULL'EDIFICABILITA' DEI SUOLI 

1) Lo stratificato complesso delle norme che regolano Ia disciplina 
della edificabilit� dei suo1i pone l'interprete innanzi al compito di procedere 
ad una ricomposizione organica e coerente del sistema. A tale fine 
� necessario dare atto dei contrastanti interessi coinvolti s� da giungere 
a prospettare delle soluzioni anche riguardo al dibattuto problema della 
configurabilit� del c.d. jus aedificandi quale situazione soggettiva autonoma, 
nonch� individuare quale funzione svolgono all'interno del sistema 
i criteri di determinazione dell'indennit� di esproprio. Quest'ultimo risul� 
tato � poi di particolare interesse pratico ai fini dell'individuazione dei 
principi che il legislatore deve seguire nella determinazione dei nuovi 
criteri di indennizzo a seguito della pronuncia di illegittimit� costituzionale 
di cui alla sentenza n. 5/1980 (1). 

Nel compiere tale indagine non pu� prescindersi dall'esame della 
posizione della Corte Costituzionale, che ha avuto pfo volte occasione 
di pronunciarsi in materia e, in particolare, delle .decisioni n. 55 del 
1968 (2) e n. 5 del 1980. 

2) La pronuncia del 1980, nella quale si afferma che �il diritto di 
edificare continua ad inerire alla propriet� e alle altre situazioni che 
comprendono la legittimazione a costruire�, ha infatti riproposto all'ip.terprete 
i problemi gi� sollevati dalla sentenza n. 55 del 1968 che si 
era ritenuto di poter superare suggerendo di sottrarre dal contenuto 
del diritto di propriet� la c.d. facultas aedificandi. Allora l'intervento del 
giudice costituzionale era stato determinato dalla previsione, di cui 
all'art. 40 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, della non necessariet� di 
un indennizzo per l'imposizione, a tempo indeterminato, dei vincoli previsti 
dall'art. 7, n. 2, 3 e 4, della stessa legge. In quell'occasione la 
Corte dichiar� l'illegittimit� delle predette norme, osservando che le 

(1) Corte Costituzionale 30 gennaio 1980, n. 5, in Rass. dir. civ., 1980, p. 514 ss. 
Per un'analisi delle concezioni accolte e delle argomentazioni svolte nella pronuncia 
cfr. P. BoNACCORSI-G. D'ANGELO, Corte costituzionale ed indennit� di esproprio, 
in Riv. giur. edil., 1980, II, p. 3 ss.; G. LoMBARDI, Espropriazione dei suoli 
urbani e criterio del Due Process of Law, in Giur. cost., 11980, I, p. 181 ss.; 
ALBISINNI, La concessione ad aedificandum, in questa Rassegna, 1980, I, 487; 
F. LuCARELLI, Principio di eguaglianza e indennit� di esproprio, in Rass. dir. civ., 
1980, p. 515 ss.; L. MAZZAROLLI, Considerazioni sull'indennit� di espropriazione alla 
luce della pi� recente giurisprudenza costituzionale, in Giur. cast., 1980, p. 1254 ss.; 
V. PoroTSCHNING, Commento alla sentenza n. 5/1980, in Leggi civ. comm., 1980, 
p. 600 ss.; A. TRABUCCHI, La facolt� di edificare tra diritto pubblico e diritto 
privato, in Riv. dir. civ., 1980. II p. 42 ss. 
(2) Corte Costituzionale, 29 maggio 1968, n. 55, in Foro it., 1968, I, c. 1361 ss. 

6 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

imposizioni in questione incidevano sul bene �oltre ci� che � connaturale 
al diritto dominicale nell'attuale momento storico� e che pertanto la 
mancata preV'~sione di un indennizzo contrastava con H disposto dell'articolo 
42, terzo comma, Cost. 

Il legislatore, nel tentativo di superare la situazione di stallo creatasi, 
che incideva negativamente soprattutto sulla attivit� di pianificazione (3), 
eman� un provvedimento legislativo col quale si prevedeva un limite 
temporale all'operativit� dei predetti vincoli, che successivamente veniva 
pi� volte prorogato (4). Questa, peraltro, non poteva essere che una 
soluzione di ripiego e� temporanea (5). Quale soluzione di fondo e definitiva 
da pi� parti (6) si indic� la via della separazione della facultas 
aedificandi dal contenuto del diritto di propriet� e della sua configura


II

zione quale posizione soggettiva autonoma. Tale suggerimento fu accolto 
dal .legislatore con l'emanazione della legge 28 gennaio 1977, n. 10, che 
poneva termine a quel regime temporaneo (7). Tale orientamento si era 
gi� manifestato al momento dell'adozione, con la legge 22 ottobre 1971, 

n. 865, di criteri di determinazione dell'indennit� di esproprio commi1 


surati al valore agricolo del bene da espropriare, modificati poi con la 
legge n. 10/1977, la cui applicazione, dapprima limitata ad una serie di J 

f,' 

ipotesi determinate (art. 9, legge n. 865/1971), successivamente, con la & 
legge 27 giugno 1974, n. 247, veniva estesa �a tutte le espropriazioni & 
comunque preordinate a qualsiasi tipo di opere o di interventi da parte 

I

dello Stato, Regioni, Provincie, Comuni o di altri enti pubblici o di 
diritto pubblico anche non territoriali�. Non � anzi mancato chi ha rilevato 
che gi� sulla base di queste norme si poteva giungere alla conclusione 
che il c.d. jus aedificandi non ineriva pi� al diritto di propriet� (8). 

! 

(3) V. relazione alla legge 19 novembre 1968, n. 1187, tenuta alla Camera 
I dall'on. Natoli, in Le leggi, 1968, p. 1898 ss., ove, in particolare, si sottolinea �il 
pericolo di una impostazione dei piani condizionata dall'ipotesi dell'indennizzo 
dei vincoli � (p. 1899). 

(4) V. art. 2 legge 19 novembre 1968, n. 1187 (che prevedeva un termine di 
efficacia di cinque anni); legge 30 novembre '1973, n. 756 (che prorogava di un 
biennio quel termine); d.l. 28 novembre 1975, n. 562, conv. con legge 22 dicembre 
1975, n. 686 (contenente un'ulteriore proroga di un anno); d.l. 26 novembre 
1976, n. 7'81, conv. con legge 24 gennaio 1977, n. 6 (che prorogava per altri 
due mesi l'operativit� dei vincoli). 
(5) V. Relazione alla legge 19 novembre 1968, n. 1187, cit., p. 1899. 
(6) V. per tutti P. BONACCORSI-M. PALLOTTINO, La riforma del regime d'uso 
dei suoli edificabili, Milano, 1975. 
(7) Circa l'incidenza della sentenza n. 5/1980 sull'efficacia di quei vincoli 
v. V. PoTOTSCHING, Commento, cit., p. 604, e M. BoRGATTO PAGOTTO, I vincoli urbanistici 
dopo la sentenza 5/1980 della Corte Costituzionale, in Riv. dir. civ., 1981, 
II, p. 17 s. 
(8) V. P. BONACCORSI-M. PALLOTTINO, op. cit., p. 7 s. 

PARTE II, QUESTIONI 

Senza dubbio questo era il risultato cui si voleva giungere nel predisporre 
la nuova disciplina sull'edificabilit� dei suoli di cui alla legge 28 gennaio 
1977, n. 10; non pu� per� d1rsi che H legislatore nel tradurre in 
pratica tale intenzione sfa stato partdco1armente felice. La sentenza n. 5 
del 1980, che ha riproposto all'attenzione il problema della ricostruzione. 
del regime giuridico dei suoli e della natura giuridica del c.d. jus aedi� 
ficandi, lo conferma. Alle difficolt� presentate dalla soluzione accolta 
si �, infatti, spesso aggiunta la mancanza di una loro adeguata considerazione 
e di una ponderata riflessione sulle conseguenze delle innovazioni 
introdotte. Si � cos� stabilito che ogni attivit� urbanistica ed edilizia 
� subordinata al rilascio da parte del sindaco di una concessione edilizia 
in luogo della licenza, come previsto nella previgente normativa, ma 
se n'� poi stabilita la irrevocabilit� (art. 4, settimo comma, legge 

n. 10/1977). Nella pronuncia n. 5/1980 la Corte costituzionale � ora giunta 
ad affermare che il �proprietario dell'area... ha diritto ad ottenere la 
concessione edilizia �. Invero se � indubbio che la concessione amministrativa 
� un provvedimento additivo (a �titolo costitutivo originario o 
costitutivo traslativo), � per� anche vero che suo carattere essenziale 
� queHo di ess�ere volta a tutelare un interesse pubblico preminente rispetto 
a quello del privato concessionario. Di questa preminenza, � stato osservato, 
�costituisce risvolto quaJl.ificante il a'.'.equisito del1a revocabilit�� (9). 
Ora, una volta� esclusa questa possibilit�, anzi affermata l'esistenza di 
un diritto ad ottenere l:i;i concessione edilizia, appare giustificato il dubbio 
su1la natura giuridica di questa. Per di pi� i1 legislatore ha anche espressamente 
disposto, .all'art. 4, primo comma, che �Ja concessione � � data dal 
sindaco al proprietario o a chi ha titolo per richiederla... con gli effetti 
di cui all'art. 31 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 � (10). La presenza 
di questi elementi contraddittori ha contribuito al formarsi di due differenti 
orientamenti di pensiero. Secondo il primo anche nel nuovo sistema 
(9) L. MoSCARINI, Propriet� dei suoli, jus aedificandi, licenza e concessione 
edilizia �in sanatoria'" in Consiglio di Stato, 1979, p. 573 ss.; v. anche AM. SANDULLI, 
Nuovo regime dei suoli e Costituzione, in Riv. dir. civ., 1978, I, p. 288 ss.; 
E. SILVESTRI, Concessione amministrativa, in Enc. dir., VIII, Milano, 1%1, p. 384 s.; 
C. VITTA, Concessioni (diritto amministrativo), in Noviss. dig. it., III, Torino, 
1959, p. 928, s.; sulla revoca dell'atto amministrativo in generale v. P. VIRGA, Il 
provvedimento amministrativo, Milano, 1972, IV ed., p. 457 ss.; A.M. SANDULLI, 
Manuale di diritt� amministrativo, Napoli 1974, XII ed., p. 498 ss. 
(10) Infatti l'attribuzione della legittimazione a richiedere la concessione al 
�proprietario o a chi abbia titolo per richiederla�, confermando l'esistenza di 
un collegamento tra diritto di propriet� �e diritto di edificare, offre argomento 
per sostenere che quest'ultimo rientra ancora nel contenuto del diritto di propriet�. 
In questo senso induce anche quel richiamo agli �effetti di cud all'art. 31 � 
della legge n. 1150/1942, che disciplinava gli effetti della licenza edilizia. 

8 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

la concessione continua a svolgere la stessa funzione prima assolta dalla 
licenza e, di conseguenza, si ritiene che il c.d. jus aedificandi costituisca 
ancora parte integrante del contenuto del diritto di propriet� sulle aree 
edificabili (11); per <l'altro, �invece, la legge n. 10/1977 avrebbe effettivamente 
determinato la separazione tra diritto di propriet� e diritto di 
edificare; questo sarebbe quindi di volta in volta attribuito ai privati 
con il singolo provvedimento di concessiione (12). Entrambi gli orientamenti, 
in tal modo, finiscono per inquadrare i.I problema nell'ottica dello 
studio del contenuto dei poteri spettanti al proprietario di un'area edificabile 
(13). 

L'osservazione secondo cui nella nuova disciplina, diversamente che 
nella legge urbanistica del 1942, l'attenzione � accentrata sulla figura 
del proprietario e sui poteri ad esso spettami (14) pu� essere pertanto 

(11) V. in particolare R. ALESSI, Primi rilievi sulla legge 28 gennaio 1977 n. IO 
sull'edificabilit� dei suoli, in Il Consiglio di Stato, 1976, II, p. 1387 ss.; G. PATF.RN�, 
Le modifiche introdotte dalla legge n. 10 del 1977 al titolo 2� della legge sulla casa 
in Riv. giur. edil., 1977, Il, p. 91; F. DELFINO, La concessione a edificare nella nuovd 
legge sui suoli, in Riv. giur. edil., 1976, II, p. 197 s. � 
(12) V. in particolare A. PREDIERI, La legge 28 gennaio 1977 n. 10 sulla edifi� 
cabilit� dei suoli, Milano, 1977, specie, pp. 47 ss., '115 ss.; F. BOTTINO-V. BJtUNETTI. 
Il nuovo regime dei suoli, Roma, 1977, in part. p. 40 ss.; A. D1 AMATO-S. DI AMAmA. 
FRENI�F. VERDE, Il regime dei suoli edificabili, Roma, 1977; M. ANNUNZIATA, La 
legge sull'edificabilit� dei suoli e le opere per cui occorre la concessione, in 
Riv. giur. edil., 1977, III, p. 3 ss.; P. DE LISE, Edificabilit� dei suoli secondo le 
norme contenute nella legge 28 gennaio 1977 n. 10, in Nuova Rassegna, 1977, 
p. 2392 ss.; A. CuTRERA, Concessione edilizia e pianificazione urbanistica, Milano, 
1977. 
(13) Innumerevole � la letteratura in tema di diritto di propriet�. Ricordiamo 
senza pretesa alcuna di completezza alcuni dei pi� significativi orientamenti 
dottrinali: C. MoRTATI, La costituzione e la propriet� terriera, in Riv. dir. agr., 
1952, I, p. 479 ss.; S. RoDOT�, Note critiche in tema di propriet�, in Riv. trim. dir. 
proc. civ., 1960 ss. e Propriet� (diritto vigente), in Noviss. dig. it., XIV, Torino, 
1968, p. 125 ss.; S. ROMANO, Sulla nozione di propriet�, in Riv. trim. dir. proc. civ., 
1960, p. 337 ss.; S. PuGLIATTI, La propriet� e le propriet�, in La propriet� del 
nuovo diritto, Milano, rist., 1964, p. 260 ss.; G.S. Coco, Crisi ed evoluzione nel 
diritto di propriet�, Milano, 1965; M. COSTANTINO, Contributo alla teoria della 
propriet�, Nap�li, 1967; F. ROMANO, Diritto e obbligo nella teoria del diritto reale, 
Napoli, 1967; M.S. GIANNINI, Basi costituzionali della propriet� privata, in Pol. dir., 
1971, p. 443 ss.; P. PERLINGIERI, Introduzione alla problematica della �propriet��, 
Napoli, 1971; A.M. SANDULLI, Profili costituzionali della propriet� privata, in 
Riv. trim., 1972, p, 465 ss.; F. SANTORO-PASSARELLI, Propriet� privata e Costituzione, 
in Riv. Trim., 1972, p. 958 ss.; AA.VV., Propriet� privata e funzionale sociale, 
Seminario diretto dal prof. Santoro Passarelli, Padova, 1976, ed ivi, in part. 
G. PALERMO, Impresa e propriet� nella disciplina delle fonti di energia, p. 61 ss.; 
P. REscIGNO, Per uno studio sulla propriet�, in Riv. dir. civ., 1972, I, p. 20 ss.; 
F. LUCARELLI, La propriet� pianificata, Napoli, 1974, A. IANNELLI, La propriet� costi� 
tuzionale, Napoli, 1980. 
(14) V.A.M. SANDULLI, Nuovo regime dei suoli, cit., p. 283. 

9

PARTB II, QUESTIONI 

rivolta anche agli studiosi che hanno dedicato la propria attenzione all'esame 
della stessa. Questi sono stati attenti nel cogliere gli elementi testuali 
da addurre a sostegno delile proprie argomenta2lioni, traendo, a seconda 
della diversa soluzione accolta, differenti conseguenze riguardo al regime 
giuridico del diritto di propriet� (15). Peraltro, riteniamo che quegli elementi, 
di per s�, non siano decisivi; potendo, invero, condurre, col 
mutare della ratio di volta in volta posta dall'interprete a fondamento 
dell'analisi, anche ad opposte conclusioni. Tale impostazione, ricollegantesi 
alle concezioni tradizionali del diritto di propriet�, ha fatto s� 
che l'interprete abbia limitato la propria attenzione (e \l'osservazione vale 
anche per il giudice costituzionale) solo a quello che si pu� considerare 
come un � aspetto individualistico � e non abbia invece dedicato sufficiente 
attenzione all'�aspetto sociale � (16) della nuova normativa. Solo la 
considerazione di quest'ultima, invero, consente l'identificazione degli 
interessi coinvolti e, conseguentemente, una sua ricostruzione coerente 
ed unitaria. 

Alla progressiva � depatrimonializza2lione � del diritto privato non �, 
invero, sfuggito neppure il concetto di propriet�, che si tende ad emancipare 
dalla logica eminentemente individualistica dell'� avere� (17) a 
vantaggio della logica dell' � essere �. Il pieno sviluppo della persona 
umana, peraltro, pu� realizzarsi solo attraverso uno sviluppo, a quello 
finalizzato, della comunit� nella quale confluiscono e vengono contempe


(15) L. MoscARINI, Propriet� dei suoli, cit., p. 572, individua una insufficienza 
di questi orientamenti nel non aver soddisfacentemente approfondito l'interrelazione 
� tra il pr.oblema dogmatico della natura giuridica della licenza edilizia e 
quello, pure di indole dogmatica, dell'individuazione del contenuto del diritto di 
propriet� sulle aree edificabili�. 
(16) � Questo indirizzo metodologico trova la sua giustificazione, seppure ve 
ne sia bisogno, col solo tener presente che il diritto oggettivo non � un complesso 
di norme astratte, avulse dalla vita sociale, alla quale si sovrappongono 
quasi come ordine che la trascende e che le si impone dall'alto: il diritto trova, 
anzi, il suo fondamento, la sua ragione di esistenza nella stessa umana vita di 
relazione, in quel complesso di rapporti che legano gli uomini nello svolgimento 
di ogni loro attivit�, rapporti che si ricollegano ad interessi tipici spesso conflig. 
genti, alcune volte paralleli, ma reciprocamente limitantisi, sempre interessi 
comunque dai quali l'interprete non pu� prescindere nello studio degli istituti 
giuridici e delle norme proprie perch� in queste essi, come entit� sociali stori� 
camente determinate, so:qo rispecchiati'" testualmente E. BETTI, Teoria generale 
delle obbligazioni, I, Milano, 1971, pp. 9-10; v. �anche Interpretazione della legge 
e degli atti giuridici, Milano, 1971, pp. 102 ss., 108 ss. 
(17) Al riguardo v C. DoNISI, Verso la � depatrimonializzazione � del diritto 
privato, in Rass. dir. civ., 1980, pp. 644 ss. Rileva, inoltre, l'Autore che la specifica 
connotazione che ha assunto, in seno alla stessa propriet� immobiliare, la propriet� 
c.d. urbana, in virt� della legge 28 gennaio 1977, n. 10, nonch� della legge 
27 luglio 1978, n. ~92, non solo conferma ma sembra, anzi imporre l'esigenza di 
uno studio, non unificante dell'istituto (p. 656). 

10 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

rati gli interessi confliggenti di cui sono portatori i singoli individui r.= 

o aggregati di individui. A tale scopo la Carta costituzionale ritiene di I {::
!: 
poter sacrificare le posizioni di potere individuale (18). 
La funzionalizzazione delle situazioni soggettive patrimoniali alle 
situazioni esistenziali risponde, dunque, all'esigenza di garantire le condizioni 
primarie ed imprescindibili per lo sviluppo e la tutela deMa personaiit� 
umana intesa come entit� unitaria (19). 

I

(.18) La Carta Costituzionale ha preso dunque atto della presenza nella 
comunit� di interessi facenti capo ad individui singoli o ad aggregati di individui 
e tra le diverse soluzioni (1ndividualistica, collettiva, corporativa, solidale) che 
si presentavano per risolvere il conflitto, ha scelto quella solidaristica. Questa 
non era una soluzione necessaria: si rinvengono infatti sia in una prospettiva 
diacronica sia !in una sincroni.ca, ordinamenti che hanno adottato un'altra soluzione. 
Sul principio di solidariet� v. per tutti P. PERLINGIERI, La personalit� 
umana nell'ordinamento giuridico, Napoli, 1972, pp. 18 ss., 161 ss.; A. BARBERA, 
Principi fondamentali, in Commentario della Costituzione a cura di G. Branca, 
Bologna, 1975, p. 85 ss. Lo stretto collegamento intercorrente tra principio di 
solidariet� e di uguaglianza � rilevato da P. PERLINGIERI, La personalit� umana, 

p. 164 ss., il quale afferma che questi �sono aspetti .di uno stesso valore che il 
legislatore si propone di attuare: il pieno sviluppo della persona umana� (p. 164). 
Sul principio di eguaglianza, da ultimo F. LUCARELLI, Principio di .eguaglianza, 
cit., p. 515 ss. II legislatore deve quindi contemperare, alla luce del principio 
accolto, gli interessi contrastanti allo scopo di realizzare il p!ieno sviluppo della 
persona umana e non, ad es. di assicurare l'efficientismo della gestione e della 
produzione. In tal senso P. PERLINGIERI, La personalit� umana, cit., p. 164; cfr. 
pure P. PERLINGIERI, Eguaglianza, capacit� contribuita e diritto civile, in Rass. 
dir. civ., 1980, p. 724 ss. L'interveI\tO dello Stato nell'economia, sia in qualit� di 
imprenditore sia attraverso sovvenzioni alle imprese private in difficolt� reso 
necessario dalla situazione di crisi, � appunto volto ad attuare quel valore. 
La presenza di uqa conflittualit� tra quegli interessi � stata colta anche dalla 
Corte Costituzionale nelle sentenze del 9 maggio 1972 e del 15 gennaio 1976 n. 2; 
sul punto cfr. P. BARCELLONA, Diritto privato e processo economico, Napoli, 1977, 

p. 143 ss. Contra v. A. IANNELLI, La propriet�, cit., p, 56, il quale, nell'ambito di 
una pi� vasta critica, afferma che nella previsione della Corte vi � un �errore 
di prospettiva consistente nel ravvisare nei rapportii sociali non un vincolo di 
solidariet� ma una latente conflittualit��. A nostro avviso tale critica, alla luce 
di quanto sopra affermato (in part. v. nota 13), non � condivisibile. 
(19) V. P. PERLINGIERI, La personalit� umana, cit., in part. p. 174 ss., lil quale 
rileva che � la persona umana � valore che non pu� essere scisso in tanti interessi, 
in tanti beni in tante isolate situazioni soggettive� (175); la necessit� di 
una tutela unitaria della persona umana � affermata anche da G. GIAMPICCOLO, 
La tutela giuridica della persona umana e il c.d. diritto alla riservatezza, in 
Riv. trim., 1958, p. 465 ss. Questa considerazione unitaria conduce ad affermare 
il carattere immediatamente precettivo del disposto dell'art. 2 Cost. e porta a 
concepire d. diritti della personalit� come elenco non chiuso (P. PERLINGIERI, 
o.Lu.e.); questo carattere � confermato dal riconoscimento operato dalla giurisprudenza 
del diritto alla riservatezza pur in mancanza di una espressa previ~
ione normativa (v. T.A. AULETTA, Riservatezza e tutela della personalit�, Milano, 
1978, p. 62 ss.). Questa opinione � per� contrastante con l'orientamento tradi

11

PARTE II, ,QUESTIONI 

La prev1s10ne dell'art. 42, secondo comma, Cost., per cui la legge 
deve assicurare che la propriet� assolva una funzione sociale (20), vuol 
significare appunto che questa � tutelata fin tanto che il suo regime 
giuridico non entri in conflitto con un altro interesse che la legge ordinaria 
ritenga prevalente rispetto a quello del proprietario. Ove tale situazione 
si verifichi si rende necessario un intervento legislativo che conformi 
il regime giuridico in modo da contemperarlo con l'altro interesse 
a valore contrastante. Per realizzare tale risultato il legislatore 
ha iJ potere-dovere di conformare il regime giuridico della propriet�, 
determinandone i modi di acquisto, di godimento e i limiti (21), e nel far 
ci� pu� arrivare a sopprimere per determinate categorie di beni (art. 43 
Cost.), taluna delle facolt� del privato proprietario (22). Da taluno, peraltro, 
si � detto che l'intervento conformativo del legislatore troverebbe un limite 
sostanziale nel dovere di rispettare il c.d. contenuto minimo del diritto di 
propriet� (23) nel quale sarebbe ricompresa la fa.cultas aedificandi. Cos� 
nella pronuncia della Corte costituzionale n. 55 del 1968 il diritto di edifi


zionale iiI quale non riconosce quel carattere precettivo all'art. 2, Cost., e afferma 
che � � giuridicamente corretta, invece, la costruzione di tanti singoli .diritti della 
personalit�, quante sono le utilit�, insite nell'essere umano, che sono riconosciute 
realmente degne di prote21ione giuridica dalla coscienza contemporanea e 
dalle norme positive che ne sono il riflesso �. (A. DE CuPls, I diritti della personalit�, 
I, in Tratt. di dir. civ. e comm. Cicu e Messineo, Milano, 1959, p. 40); in 
questo senso, in giurisprudenza, v. Corte Costituzionale, 1 agosto 1979, n. 98, in 
Foro it., 1979, I, c. 1929 s., e Cass., sez. un., 6 ottobre 11979, n. 5172, in Giur. it., 
1980, I, 1, c. 464 ss. 

(20) Sulla funzione sociale v. per tutti S. RODOT�, Note critiche, cit., p. 1252 ss.; 
P. BARCELLONA, Diritto privato e processo economico, cit., cap. IV; P. PERLINGIERI, 
Introduzione alla problematica della � propriet� �, oit. in part. p. T!:i ss., e da 
ultimo A. IANNELLI, La propriet�, cit., in part. 63, 128 e 257 ss. 
(21) Afferma A. IANNELLI, La propriet�, cit., in part. p. 33 ss., che nella Carta 
Cost. non � pi� rinvenibile una formula attributiva di tutti i poteri non esclusi 
espressamente dall'ordinamento, ma, al contrario, si ritrova altra formula che 
demanda al legislatore ordinario il compito di determinare i modi di acquisto, 
di godimento e i limiti della propriet�. Il limite, cio�, non � considerato pi� 
un posterius rispetto ai poteri proprietari, un qualcosa che riduce dall'esterno 
l'ambito del diritto: poteri e limiti sono posti sullo stesso piano, per significare 
che � con la fissazione dei limiti che si determina il contenuto del di:dtto �. 

(22) Per un approfondito esame della norma v. G. PALERMO, Impresa a propriet�, 
cit., p. 61 ss., il quale afferma la tassativit� delle ipotesi previste dal 
l'art. 43 Cost.; in senso contrario A. PREDIERI, Collettivizzazione, municipalizza. 
zione e sindacato della Corte Costituzionale, in Giust. civ., 1%0, III, p. 61. 
(23) In tal senso F. SANTORO-PASSARELLI, Propriet� privata e Costituzione, cit.. 
p. 958 s.; Propriet� e lavoro in agricoltura, in Iustitia, 1953, p. 475; L BARASSI, 
Propriet� e compropriet�, Milano, 1951, p. 461 ss.; BALLADORE PALLIERI, Diritto 
Costituzionale, 10 ed., Milano, 1972, p. 441 s.; C. MoRTATI, La costituzione e la 
propriet� terriera, in Riv. dir. agr., 1952, I, p. 484 s.; da ultimo, G. FILANTI, 
Profili di costituzionalit� dell'equo canone nell'affitto di fondo rustico, in Propriet� 
privata e funzione sociale, cit., p. 346; in senso contrario v., tra gli altri, 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

12 

care � considerato come �connaturale al diritto dominicale, quale viene 
riconosciuto nell'attuale momento storico �, in quella del 1980, invece, 
pur continuandosi a considerare il diritto di edificare inerente alla propriet�, 
non si rinviene alcuna affermazione in tal senso, vi � anzi un 
implicito riconoscimento de1la possibilit� di un eventuale intervento 
conformativo (24). Quell'assunto, che si ricollega intimamente alla concezione 
che considera la funzione sociale come limite operante dall'esterno 
sul diritto di propriet�, perde peraltro di significato ove si intenda la 
funzione sociale come criterio che deve guidare il legislatore nel contemperamento 
dei contrastanti interessi o va!lorJ incidenti sul diritto di propriet� 
(25). In relazione ad ogni specifica situazione soggettiva fa facultas 

M.S. GIANNINI, Basi costituzionali, cit., p. 466 ss.; S. PUGLIATTI, La propriet� e le 
propriet�, cit., p. 277; MoTZo-A. PIRAS, Espropriazione e �pubblica utilit��, in 
Giur. cost., 1959, p. 220 ss.; S. CASSESE, I beni pubblici, Milano, 1969, p. 22. 
(24) La Corte, infatti, presso atto dell'intenzione del legislatore di voler 
separare H c.d. jus aedificandi dal qiritto di propriet�, non afferma l'impossibilit� 
di realizzare questo risultato perch� il diritto di edificare � � connaturale al 
diritto dominicale, quale viene riconosciuto nell'attuale momento storico �, come 
aveva detto nella sentenza n. 55/1968, che sarebbe stata una considerazione assorbente 
ogni altro rilievo, ma passa ad esaminare la disciplina di cui alla legge 
n. 10/1977 per vedere se questa giustifichi quell'afferma7lione e, dopo una sommaria 
analisi, conclude che � il diritto di edificare continua ad inerire alla propriet� 
� La mancanza del primo rilievo e la stessa terminolo~a utilizzata ( � continua 
ad inerire�) confermano la nostra considerazione. 
(25) La tesi del contenuto minimo viene infatti accolta dalla dottrina nel 
tentativo di conservare gli clementi tradizionali di assolutezza del diritto di 
propriet� di fronte all'estendersi del numero delle c.d. � limitazioni � di diritto 
amministrativo, v. A. CuTRERA, Concessione �edilizia, oit., pp. 27 ss, 33 ss.; sul 
rapporto tra diritto di propriet� e �limitazioni� v. M.S. GIANNINI, Basi costitu� 
zionali, cit., p. 447 ss., il quale sottolinea l'insufficienza della prospettiva che 
spiega la normativa di diritto amministrativo in chiave di �limitazioni�; 
S. PUGLIATTI, La propriet� e le propriet�, cit., p. 286; P. PERLINGIERI, Introduzione 
alla problematica della �propriet��, cit., pp. 59 ss., 1�35 ss. I.D. Profili istituzionali 
di diritto civile, II ed., Napoli, 1979, p. 178 ss., il quale rileva che nel� 
l'ordinamento giuridico esiste non un diritto soggettivo attribuito nell'esclusivo 
interesse del soggetto, sul quale poi incidono limiti, ma �una situazione giuridica 
soggettiva avente gi� in s� limitazioni per il titolare del c.d. diritto soggettivo
� (o u.c., p. 179). In questa prospettiva la garanzia della propriet� � 
assicurata dalla possibilit� di un controllo della rispondenza ai principi costituzionali 
dell'intervento conformativo, il quale, peraltro, non deve limitarsi alla 
ricerca degli interessi o valoni la cui soddisfazione ha indotto l'intervento del 
legislatore, ma deve estendersi anche al controllo dell'adeguatezza al fine perseguito 
del mezzo prescelto. Al riguardo v. L. MAZZAROLLI, Sul nuovo regime della 
propriet� immobiliare, in Riv. dir. civ., 1978, I, p. 15. La necessit� che l'intervento 
conformativo sia giustificato dalla presenza di un interesse o valore costituzionalmente 
protetto e prevalente riduce poi notevolmente la discrezionalit� concessa 
al legislatore. Al riguardo cfr. gli acuti rilievi di G. PALERMO, Impresa e 
propriet�, cit., p. 72, secondo il quale �nessuna discrezionalit� �... consentita 
quando si incide sul fondamentale sistema dei rapporti economici �. 

I 


l f 

I 



PARTE II, QUESTIONI 

ager,di riconosciuta al titolare del diritto si colorer� diversamente a 
seconda del vario atteggiarsi del conflitto di interessi in gioco (26). 

3) Per individuare gli interessi e i valori coinvolti nella disciplina 
sull'edificabilit� dei suoli non � sufficiente l'analisi della legge 28 gennaio 
1977, n. 10, ma � necessario tenere presente anche, tra le altre, 
la legge 27 luglio 1978, n. 392 (disciplina delle locazioni di immobili 
urbani), e la legge 5 agosto 1978, n. 457 (norme per l'edilizia residenziale), 
le quali insieme concorrono alla conformazione del regime giuridico dei 
suoli e degli immobili urbani, nonch� la legge 13 luglio 1976, n. 615 
(norme contro l'inquinamento dell'aria), e la legge 10 maggio 1976, n. 319 
(norme per la tutela delle acque dall'inquinamento) (27). Da una considerazione 
complessiva si rileva, infatti, che questa normativa � volta a regolare 
anche l'esercizio della potest� (di diritto pubblico) di dare un assetto 

(26) Rileva A. IANNELLI La propriet�, cit., p. 60 che �per quanti sforzi dia� 
lettici si possono fare, invero, si finisce pur sempre col concepire � la � propriet� 
costituzionale come un diritto soggettivo tendenzialmente pieno, caratterizzato 
dalla capacit� di adattarsi alle mutevoli esigenze sociali dei rapporti in cui � 
inserito. La natura e contenuto del diritto, cio�, diventerebbero variabili in rela� 
zione all'assetto degli interessi e la sua tutela presenterebbe caratteri di rela� 
tivit� in vista della destinazione sociale del bene oggetto del rapporto. In tal 
modo, per�, a prescindere dal fatto che -come appresso vedremo -le � esigenze 
sociali � fungerebbero da limite esterno e non interno del diritto, si torna 
al gi� ripudiato concetto del contenuto normale della propriet�, avendo ogni 
situazione di propriet� la possibilit� potenziale di riprendere la totalit� di con� 
tenuto una volta venute meno le esigenze sociali che ne avevano determinato 
la compressione �. 
Peraltro, a nostro avviso, una volta superato il principio secondo cui � al 
proprietario... � permesso qualsiasi comportamento che non sia stato espressamente 
vietato dall'ordinamento giuridico� (p. 40) ed affermato, per contro, 
che il titolare del diritto � si vede attribuire soltanto quei poteri capaci di soddisfare 
insieme ai suoi interessi personali, anche quelli pi� generali riferibili 
alla societ� nel suo complesso� (pp. 248-249), la �variabilit�� del diritto si 
risolve nella predeterminazione di discipline differenti di volta in volta appli� 
cabili col mutare dell'assetto di interessi. L'� esigenze sociali�, opererebbero, 
dunque, non come li�nite esterno che comprime il diritto di propriet� (e da 
qui il problema del c.d. � contenuto normale � della propriet�) ma come ragione 
giustificatrice del potere conformativo esercitato dal legislatore con il dettare 
la disciplina differenziata; il problema del �contenuto normale �, in tale con� 
testo, si risolve in quello della identificazione dei limiti che incontra l'esercizio 
del potere conformativo. -Al riguardo v. retro n. 25. 

(27) L'esigenza di un collegamento tra i vari settori di norme � rilevata da 
G. PALERMO, L'art. 26 della legge sull'equo canone, in Giust. civ., 1979, p. 54; 
v. anche A. CUTRERA, Concessione edilizia, cit. p. 84 s., il quale sottolinea in par� 
ticolare il collegamento tra le leggi n. 615/1966, 319/1976 e 10/1977, che discipltinano 
�l'attivit� amministrativa nelle tre componenti fondamentali dell'ambiente'" 

14 

RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 

al territorio (art. 44 Cost.) (28). A tal fine l'art. 13, legge n. 10/1977, introduce 
un nuovo strumento di pianificazione: il programma pluriennale di 
attuazione (29). Il compito di stabilire il contenuto e il procedimento 
di formazione del p.p.a., nel quale devono essere delimitate le aree e 
le zone in cui debbono realizzarsi le previsioni degli strumenti urbanistici 
generali nonch� individuato il momento, � demandato al legislatore 
regionale, al quale compete anche di ind.ividuare i comuni obbligati e 
quelli esonerati dal dotarsi dei programmi di attuazione. Questa scelta 
deve compiersi � anche in relazione alla dimensione, all'andamento demografico 
ed alle caratteristiche geografiche, storiche ed ambientali -fatta 
comunque eccezione per quelli di particolare espansione industriale e 
turistica� (art. 13, terzo <:ornma), che 111on possono essere esonerati. 
Questi criteri appaiono dettati dall'esigenza di tutelare l'interesse all'ambiente, 
ad un ordinato ed armonico sviluppo della citt�, comprensivo 
dell'interesse alla tutela del paesaggio e del patrimonio storico ed artistico 
(art. 9, secondo comma, Cost.). Particolarmente significativo l'ultimo 
inciso secondo il quale i comuni di � particolare espansione industriale 
e turistica� non possono essere esonerati dall'obbligo di dotarsi del 
programma di attuazione. Sono questi infatti i casi in cui il pericolo di 
un depauperamento e di una degradazione dell'ambiente � maggiore e, 
di conseguenza, l'esigenza di tutela � pi� sentita. Pure alla tutela del 
predetto interesse appare volto l'obbligo di costruire con rispetto degli 
standards fissati dagli strumenti urbanistici e dai regolamenti edilizi 
(art. 4, primo comma), o, nei comuni che ne siano sprovvisti, fino al 
31 dicembre 1978, di. quelli fissati dall'art. 4, primo comma, e, dal 
1� gennaio 1979, dall'ultimo comma dello stesso articolo. L'esigenza di 
tutelare l'interesse all'ambiente � presente anche nella nuova disciplina 
sulle sanzioni amministrative introdotte dall'art. 15. �, infatti, previsto 
che l'opera eseguita in totale difformit� o in assenza della concessione, la 
quale � contrasti con rilevanti interessi urbanistici e ambientali ovvero 

(28) La norma pur facendo riferimento solo 1ail.la propriet� terriere (espressione 
questa coincidente con quella di propriet� rurale) pone come fine da 
conseguire quello del � razionale sfruttamento del suolo �. Questa � per� una 
finalit� generale da perseguire non limitata alle sole ipotesi di cui all'art. 44 cost., 
ma riferentesi in generale a tutto il territorio. In tal senso A. CuTRERA, Concessione 
edilizia, cit., p. 66 ss., il quale, sul presupposto dell'avvenuta separazione 
del jus aedificandi dal contenuto del diritto di propriet�, giunge a configurare 
un diritto demaniale parziario del comune sul suo territorio (o.e., cap. Il), 
v. anche F. LUCARELLI, Principio di eguaglianza, cit., p. 516. 
(29) Sui programmi di attuazione v. G. Puccr, Il programma pluriennale. 
di attuazione, in R. BAJNO-A. CUTRERA � V. lTALIA-G. Puccr-P. G. TORRANI-M. VIVIANI, 
La nuova legge sui suoli, Milano, 1977, p. 143 ss., A. PREDIERI, La legge 28 gennaio 
1977 n. 10 sulla edificabilit� dei suoli, Milano, 1977, p. 336 ss.; A. CUTRERA, Concessione 
edilizia, cit., p. 166 ss. 

PARTE II, QUESTIONI 1J 

non poss.a essere utilizzata per fini pubblici�, deve essere demolita a 
spese del costruttore (art. 15, ottavo e tredicesimo comma). Ci� in contrasto 
con la precedente disciplina, di cui all'art. 41, legge n. 1150 del 
1942, modificata dall'art. 13, legge 6 agosto 1967, n. 765, che prevedeva, 
in alternativa, una sanzione pecuniaria. Alla tutela di questo interesse 
si� rivolgono anche le ricordate leggi n. 615 del 1966 e n. 319 del 1976, che 
hanno riguardo alla tutela contro l'inquinamento l'una dell'aria e l'altra � 
delle acque (30). L'esercizio della potest� pubblica di dare un assetto 
al territorio deve dunque indirizzarsi alla realizzazione di questo risultato: 
la tutela dell'interesse all'ambiente. � questa una condizione primaria 
e imprescindibile, visto il particolare legame che si stabilisce tra 
individuo e ambiente circostante, per il pieno sviluppo della persona 
umana, tanto che si � affermata la configurabilit� di questo interesse come 
diritto fondamentale ed inviolabile dell'individuo (31). La razionalizzazione 
dell'assetto del territorio, contrapposto allo sviluppo disorganico, si 
presenta dunque come interesse fondamentale da tutelare (32). 

Peraltro, la disciplina introdotta dalla legge n. 10/1977 non appare 
volta alla tutela solo dell'interesse all'ambiente. Dal collegamento con 
te leggi 27 luglio 1978, n. 392, e 5 agosto 1978, n. 457, nonch� da alcune 
disposizioni contenute nella stessa traspare infatti che con questa normativa 
si � cercato di riconoscere e garantire anche il diritto all'abitazione, 
che, come il diritto all'ambiente � configurabile, in base al disposto 
dell'art. 2 Cost., quale diritto fondamentale ed inviolabile dell'indivi


(30) In tal senso A. CUTRERA, Concessione edilizia, cit. p. 84 s. Riteniamo che 
non possa negarsi che in quel complesso normativo vi sia contenuto un rico� 
nascimento del diritto all'ambiente e che. pertanto anche ove non si accetti 
la teoria che attribuisce natura immediatamente precettiva all'art. 2 Cost. non 
possa negarsi al diritto all'ambiente tale natura (v. retro nota n. 19). 
(31) V. Cass., sez. un., 6 ottobre 1979 n. 5172, cit., 858 ss., con nota di 
S. PATTI, Diritto all'ambiente e tutela della persona, ib., c. 859 ss., e C. SALVI, 
La tutela civile dell'ambiente: diritto individuale o interesse collettivo?, �ib., 
c. 868 ss.; di quest'ultimo v. anche Le immissioni industriali. Rapporti di vicinato 
e tutela dell'ambiente, Milano, 1979; M. S. GIANNINI, �Ambiente�: saggio 
sui diversi suoi aspetti giuridici, in Riv. trim. dir. pubbl., 1973> p. 15 ss.; G. 
REccHIA, Considerazioni sulla tutela degli interessi diffusi nella Costituzione, dn 
AA.VV., La tutela degli interessi diffusi nel diritto comparato con particolare 
riguardo alla protezione dell'ambiente e dei consumatori, Milano, 1976, p. 27 ss. 
(in part. p. 33); A. CoRASANTI, Profili generali di tutela giurisdizionale contro 
il danno ecologico, in La responsabilit� dell'impresa per i danni all'ambiente e 
ai consumatori, Milano, 1978; da ultimo v. ancora S. PATTI, Ambiente (tutela 
civilistica), in Dizionario di diritto civile a cura di Irti, Milano, 1980, p. 29 ss. 
e La tutela civile della persona, Padova, 1979. 
(32) Cfr. F. LucARELLI, Principio di eguaglianza, cit., p. 522 s., il quale afferma 
che alla base delle leggi n. 865/1971 e 10/1977 vi sono finalit� urbanistiche, 
finalit� di carattere sociale e finalit� di carattere economico-finanziario. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

duo (33), costituisce dunque anch'esso una delle condizioni primarie ed 
imprescindibili per il pieno sviluppo defila personalit� (34). Cos� l'art. 7, 
primo comma, legge n. 10/1977, prevede che �per gli interventi di 
edilizia abitativa ivi compresi quelli sugli edifici esistenti, il contributo 
di cui al precedente art. 3 � ridotto alla sola quota di cui all'art. 5 
qualora il concessionario si impe~, a mezzo di una convenzione con il 
comune, ad applicare prezzi di vendita e canoni di Jocazione determinati 
ai sensi della convenzione-tipo prevista dal successivo art. 8 �; egualmente 
l'art. 9 lett. b) stabilisce che la concessione � gratuita quando si 
tratti di interventi di restauro di risanamento conservativo e di ristrutturazione 
che non comportino aumento delle superfici utili di calpestio 
e mutamento della desti!Ilazione di uso e vi sia fimpegno di cui all'art. 7, 
primo comma, nonch� quello di concorrere negli oneri di urbanizzazione 
(35). Per l'edilizia non convenzionata interviene invece la normativa 
dettata dalla legge n. 392 del 1978 (36). Si garantisce cos� �la finalit� 

(33) Anche a voler negare carattere immediatamente precettivo all'art. 2 
(sul punto v. retro nota 19), il diritto all'ambiente ed all'abitazione sarebbero 
egualmente configurabili quali diritti della personalit�. Invero, questi sono un 
presupposto imprescindibile per assicurare un'esistenza libera e dignitosa � 
(art. 36 �Cost.) e la � tutela � della salute (art. 32 Cost.). In tal modo prima 
ancora che dalle norme di legislazione ordinaria, tali �interessi sono espressa� 
mente riconosciuti degni di protezione giuridica dalla Carta Costituzionale ove 
vengano qualificati come �diritti�. Sul punto cfr. pi� ampiamente in part. 
F. LucAREU.I, Diritto all'abitazione e preesistenze urbane.�, Napoli, 1976. La salva� 
guardia del territorio e, pi� in generale dell'ambiente, assieme alla concreta 
realizzazione del diritto all'abitazione, costituiscono, poi, condizioni necessarie 
per evitare di arrecare pregiudizio al diritto alla salute. V. C. DoNISI, Verso 
la � depatrimonializzazione �, cit. in part. p. 686 ss., il quale rileva che oramai, 
anche nella pi� recente legislazione (1. n. 833/1978), il diritto alla salute viene 
inteso � non pi� nel senso tradizionale, ossia come diritto alla (mera) integrit� 
fisica, ma come diritto ad uno stato di benessere fisico-psichico direttamente 
correlato al (e, per ci� stesso, anche condizionato dal) mondo esterno� (ib., 
p. 689). 
(34) G. PALERMO, L'art. 26 della legge sull'equo canone, cit. p. 54 ss.; F. 
LUCARELLI, Regime dei suoli e progetto di equo canone, in Riv. trim., 1977, 
p. 1164ss. e Principio di eguaglianza, cit., p. 521; D. SoRACE, A proposito di 
�propriet� dell'abitazione�, �diritto d'abitazione� e �propriet� (civilistica) 
della casa�, in Riv. trim., 1977, p. 1186 ss.; U. BRECCIA, Il diritto all'abitazione, 
Milano, 1980. 
(35) Sulla possibilit� che l'edilizia convenzionata possa assumere un. ruolo 
alternativo e sulla sussistenza di un reale interesse dell'industria edilizia privata 
per tali iniziative esprime dubbi F. LUCARELLI, Regime dei suoli e progetto dt 
equo canone cit. p. 1156. 
(36) Riguardo alla disciplina contenuta nella legge n. 392/1978 ed, in particolare, 
nel capo I concernente la locazione di immobili urbani adibiti ad uso 
di abitazione, v. per tutti G. PALERMO, L'art. 26 della legge sull'equo canone, cit., 
p. 54ss. 

17

PARTE II, QUESlIONI 

di rendere pi� agevole l'accesso alla casa come strumento dehla normale 
vita di relazione e, per converso, quella di riequilibrare la diversa forza 
contrattuale che il proprietario ha rispetto all'inquilino� (37). 

Da un lato vi � dunque il diritto all'ambiente e all'abitazione, 
dall'altro il diritto di propriet�, tutelato ex artt. 42 e seguenti Cost. 
L'equilibrio tra questi due diritti poi varia quando alla propriet� � 
connesso lo �svolgimento� della iniziativa economica privata (art. 41, 
Cost.) e/o diritto-dovere al lavoro (art. 4, Cost.). Peraltro, mentre la 
prima rientra pur sempre tra i rappoti economici e, quindi, l'esigenza 
di tutelare un interesse fondamentale pu� giustificare una sua eventuale 
�compressione� (38), ben diversa � invece la situazione quando 
si � in presenza del diritto-dovere al lavoro, il quale costituisce principio 
cardine del nostro ordinamento ed � anch'esso condizione primaria ed 
imprescindibile per il pieno sviluppo della persona umana; si pone quindi 
sullo stesso piano di quegli altri interessi (39). Nel contemperare i contrapposti 
valori e nel conformare il nuovo regime giuridico dei �suoli il 
legislatore non pu� pertanto prescindere dalla presenza di questi ultimi. 
Gli interessi che sottostanno alla nuova normativa, invero, non sembra 
siano stati presi in considerazione nella pronuncia n. 5/1980 della Corte 
Costituzionale, la quale, soffermando la propria attenzione unicamente sui 
problemi connessi alla disciplina della concessione edilizia, giunge ad 
affermare che � diritto di edificare continua ad inerire alla propriet� �. 

4) L'individuazione della ratio legis consente di procedere ad una 
ricostruzione organica e coerente della disciplina sull'edificabilit� dei 
suoli che, come si � detto, � incentrata sulla regolamentazione dei modi 
di esercizio della potest� pubblica di dare un assetto al territorio e dei 
rapporti di questa con il potere privato. Pertanto, individuato il punto 
focale della legge n. 10/1977 nel problema della natura giuridica della 
concessione edilizi<l, si coglie solo una faccia del significato della nuova 
normativa, come conferma anche la lettura dell'art. 1 della legge il quale 
prevede che la disciplina in questione � volta a 'regolare � ogni. attivit� 
comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale
� (40). A tale rilievo non pare sottrarsi neanche la Corte costituzionale 

(37) G. PALERMO, L'art. 26 della legge sull'equo canone, cit., p. 55. 
(38) Sull'iniziativa economica privata e sui limiti della compressione di essa, 
v. G. PALERMO, Impresa e propriet�, cit. p. 61 ss. Parlando di �compressione� 
intendiamo, pi� precisamente, riferirci alla conformazione di regimi giuridici 
differenti; v. al riguardo retro nota 25. 
(39) Cfr. G. MANCINI, Principi fondamentali, in Commentario della Costituzione 
a cura di G. Branca, cit. p. 199 ss. C. ANGELICI, Impresa, societ� e � cogestione
� secondo il bundesverfassungericht, in Giur. comm. 1979, II, 945, ss. 
(40) Afferma A. CUTRERA, Concessione edilizia, cit. p. 91 s., che oggetto della 
trasformazione urbanistica � il territorio, �bene protetto� della legge n. 10/1977. 
17 



18 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

la quale prende atto che spetta al potere pubblico ogni determinazione 
sul se, sul come, sul quando, e che l'edificabilit� dei suoli discende dalla 
� destinazione � a tale scopo ad opera degli smumenti urbanistici, ma 
poi non svolge compiutamente il rilievo e sulla base della considerazione 
che il proprietario dell'area � ha diritto ad ottenere la concessione � 
giunge alla conclusione che � il diritto di edificare continua ad inerire 
alla propriet�... �, senza soffermarsi ulteriormente ad esaminare la corrispondenza 
di quella c�nsiderazione al nuovo sistema normativo attuato 
con la 1. n. 10/1977. 

In una felice prospettiva si inquadra invece quella dottrina (41) la 
quale afferma che il jus aedificandi costituisce � un dippi� che si aggiunge 
al diritto di propriet�... in virt� e in conseguenza di un provvedimento 
dell'autorit�, costituito, di volta in volta, dall'inclusione, a opera del 
comune dell'area interessata in un �programma di attuazione� dello 
�strumento urbanistico oppure dalla (contingente) !disposizione regionale, 
utilizzata dal comune, di esonero del comune dall'obbligo di dotarsi 
di un simile programma �. Peraltro, gi� prima dell'introduzione dei programmi 
di attuazione non era mancato chi (42) aveva riconosciuto tale 
valore conformativo agli strumenti urbanistici aventi carattere precettivo. 
Questa tesi, invero, se pur felice e, al momento della sua formulazione, 
precorritrice dei tempi per la prospettiva in cui si muoveva, 
non pu� essere accolta perch� conduce ad attribuire natura sostanzialmente 
normativa a,gli strumenti urbanistici in contrasto con la loro 
natura (43). 

Sono dunque previsti due differenti regimi giuridici di utilizzazione 
dei suoli a seconda della diversa intensit� con cui si pu� presentare 
l'esigenza di tutelare quegli interessi. Una �distinzione di tail. genere � 
presente anche nella l. 27 luglio 1978, n. 392, la quale prevede all'art. 26, 
ult.co., che le disposizioni sulla determinazione dell'equo canone (arti� 
coli 12-25) non si applicano alle locazioni concernenti gli immobili siti 
nei comuni minori. Anche in questo oaso J.a minore intensit� con cui si 
presenta nella situazione concreta la esigenza abitativa ha indotto il 
legislatore a considerare non giustificata la compressione delle ragioni 
della propriet� e la Jimitazione posta all'autonomia privata. 

Nelle ipotesi in cui maggiore � l'intensit� con cui si presenta quella 
esigenza ed, in particolare, quella abitativa, il legislatori!, al fine di assicurare 
la realizzazione delle prescrizioni, ha introdotto un elemento di 

(41) A. M. SANDULLI, Nuovo regime dei suoli, cit. p. 285; in tale prospettiva 
v. anche A. TRABUCCHI, La facolt� di edificare, cit., p. 42 ss. 
(42) M. S. GIANNINI, Basi costituzionali, cit, p. 496 ss. 
(43) Per una approfondita critica si rinvia a A. CuTRERA, Concessione edilizia, 
cit. p. 37 ss. 

19

PARTE II, QUESTIONI 

� doverosit� �, ponendo a carico degli �aventi titolo� (44) l'onere (45) di 
domandare la concessione entro i tempi indicati nel programma. In 
difetto � previsto che il comune debba espropriare le aree in questione 
�sulla base delle disposizioni della legge 22 ottobre 1971, n. 865, come 
modificate dalla presente legge� (art. 13, VI co.). In tal modo, � stato 
osservato, viene sottratto al privato, oltre al potere di decidere se 
costruire, quello di scegliere il momento in cui farlo; sul rilievo poi che 
questi poteri costituivano � lo strumento fondamentale per la conservazione, 
in capo al privato, della c.d. �rendita di posizione�, si afferma la 
soppressione di quest'ultima (46). Peraltro, se � vero che l'introduzione 
di questo elemento di � doverosit� � nella sJtuazione reale, che cos� si 
conferma essere una posizione soggettiva complessa (47), costituisce un 
momento innovativo di notevole ;rilevanza che � idoneo a porre un limite, 
almeno temporale, alla speculazione edilizia, non sembra per� che sia 
anche sufficiente a realizzare quel risultato. Nonostante la sua introduzione 
permane infatti una diversit�, sotto il profilo economico, tra la 
posizione del proprietario che, sia pure entro quei limiti, pu� edificare 
e quella del soggetto che, invece, non lo pu�, essendo l'area di sua propriet� 
destinata dagli strumenti urbanistici generali all'espropriazione (48). 
Sotto questo profilo � esatto il rilievo della Corte costituzionale che sussiste 
una disparit� di trattamento tra le due situazioni, anche se le 

(44) L'art. 13, IV co., 1. n. 10/1977, dispone che in questa ipotesi la concessione 
� � data solo per le aree incluse nei programmi di attuazione e al 
di fuori di esse, per le opere e gli interventi previsti dal precedente articolo 
9, semprech� non siano in contrasto con le prescrizioni degli� strumenti urbanistici 
generali �; il VI co. poi dispone che � qualora... gli aventi titolo non 
presentino istanza di concessione... H comune espropria le aree... �, non precisa 
per� il legislatore chi siano gli aventi titolo (al riguardo� v. A. PREDIERI, La 
legge 28 gennaio 1977, n. 10, cit p 315, il quale ritiene che dovr� provvedere 
la legislazione regionale a precisare tale dato). Peraltro tale dizione � utilizzata 
anche dall'art. 4 nell'individuare coloro che sono legittimati a domandare la 
concessione ( � la concessione � data dal sindaco al proprietario o a chi abbia 
titolo per richiederla�); riteniamo quindi che servendo11i di quella espressione 
riassuntiva (�aventi titolo�) il legislatore abbia voluto indicare gli stessi soggetti 
in entrambe le ipotesi. Pertanto, anche riguardo l'art. .13, IV co., tra gli 
�aventi titolo � rientra, ad es., il beneficiario dell'occupazione d'urgenza, con 
la conseguenza che in tal caso l'onere di domandare la concessione graver� su 
di questi e non gi� sul proprietario dell'area. 
(45) Tra gli altr.i qualificano questo elemento come onere L. MoscARINI, 
Propriet� dei suoli, cit. p. 597; A. M. SANDUI..LI, Nuovo regime dei suoli, cit., p. 283 
(46) L. MOSCARINI, Propriet� dei suoli, cit., p. 597. 
(47) v. retro, nota n. 25. 
(48) In quest'ultima ipotesi, infatti � avente titolo � non � il proprietario 
dell'area; quindi l'onere di cui all'art. 13, IV co. 1. n. 10/1977, non grava su 
di lui, v. retro nota n. 45. 

20 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

argomentazioni addotte a sostegno si limitano, nell'incompleta prospettiva 
suindicata a considerare solo il carattere dell'onerosit� della concessione 
e non anche questo elemento di � doverosit� �. Peraltro, pur non 
accettando la tesi che ricollega all'introduzione dell'onere di domandare 
la concessione la soppressione della c.d. rendita di posizione, non si 
pu� negare che questo elemento conservi egualmente notevole importanza. 
Infatti esso caratterizza il nuovo regime giuridico dell'edificabilit� 
dei suoli in senso attivistico (49). 

Questa conformazione � l'effetto di un complesso procedimento (SO) 
che si conclude con l'approvazione del programma di attuazione, il quale 
si pone come atto esecutivo di una legge regionale. Peraltro questa conformazione 
� �contingente�: da un lato, la �realizzazione� del programma 
di attuazione che deve essere formulata in riferimento ad un periodo 
di tempo prefissato (non inferiore a tre e non superiore a cinque anni) 
determina il venir meno dell'assetto di interessi realizzato con quello e la 
necessit� della formulazione di un altro programma (51); dall'altro la 

(49) Sulla concezione attivistica del diritto di propriiet� v. P. PERLINGIERI, 
Introduzione alla problematica della �propriet�'" cit., p. 44 ss.; B. TR01s1, La 
prescrizione come procedimento, Napoli 1980, p. 138 ss., ed ivi ulteriore bi� 
bliografia. 
(50) In tal senso A. CUTRERA, Concessione edilizia, cit., cap. IV. La configura 
invece come fattispecie A. M. SANDULLI, Nuovo regime dei suoli, cit. p. 283, il 
quale afferma che � l'autentico momento concessorio � st�..., sul piano sostanziale, 
a monte del provvedimento di cui all'art. 1 della legge, e precisamente 
nelle diverse articolate fattispecie in cui l'attributo del jus aedificandi viene conferito 
alle singole propriet� " (p. 287) e configura la concessione come condizione 
sospensiva del suo esercizio; circa quella configurazione della concessione 
v. infra nota n. 51. 
(51) L'affermazione va ben intesa. Parlando di � realizzazione � si intende pi� 
precisamente, riferirsi alla predeterminazione di quanto necessario per la effet 
tiva realizzazione del programma. Ci� � confermato dalla previsione dell'art. 13 
1. n. 10/1977 che stabilisce l'onere di domandare la concessione (e non gi� di 
costruire) entro i �tempi indicati dai programmi di attuazione�. In tal senso 
L. MAZZAROLLI, Sul nuovo regime dei suoli, cit., p. 257. Ecco che a questo punto 
si evidenzia la funzione svolta dalla concessione edilizia. Infatti l'art. 4, legge 
n . .10/1977, al III co. stabilisce che nell'atto di concessione devono indicarsi, i 
termini di inizio e di ultimazione dei lavori; al IV co. � che � il termine di 
ultimazione, entro il quale l'opera deve essere abitabile o agibile, non pu� 
essere superiore a tre anni, e pu� essere prorogato, con provvedimento motivato, 
solo per fatti estranei alla volont� del concessionario, che siano. sopravvenuti 
a ritardare i lavori durante la loro esecuzione; al V co. prevede invece 
la possibilit� di concedere un termine pi� lungo per l'ultimazione dei lavori 
in considerazione della mole dell'opera da realizzare, delle sue particolari carat� 
teristiche tecnico-costruttive, ovvero se si tratti di opere pubbliche il cui� finanziamento 
sia previsto in pi� esercizi finanziari, e, infine, al VI co. che quando 
i lavori non siano ultimati nel termine stabilito, per la parte non ultimata, 
deve essere richiesta una nuova concessione. Appare evidente che in tal modo, 
���,.,,,,,����,,,,,.,,,,����,,,��� 



21

PARTE II, QUESTIONI 

disposizione della legge regionale che obbliga il comune a dotarsi del 
programma (o, viceversa, che lo esonera) � suscettibile di essere modificata 
qualora il legislatore regionale, in base a quei criteri, ritenga che 
per la realizzazione dell'interesse perseguito sia adeguato l'altro regime 
di utilizzazione delJe aree edificabili. Da quanto detto discende che ove 
i comuni esonerati decidessero di deliberare a mezzo di programmi di 
attuazione, come � previsto da alcune leggi regionali (52), questi non 
potrebbero assumere quel valore conformativo in quanto il procedimento 
in questo caso si � concluso con l'emanazione della legge regionale che 
ha esonerato il comune. L'assunto � confeJ:1Jllato dalla considerazione che 
ne11'ipotesi non sussiste la ratio che giustiifica la conformazione del regime 
giuridico eh~ si realizza nei comuni dotati dei programmi di attuazione. 
La minore .intensit� con cui si presentano quelle esigenze di tutela ha 
indotto il legislatore a ritenere sufficiente per la loro soddisfazione la 
fissazione dei limiti, i c.d. standards, entro cui pu� esercitarsi la facolt� 
di edificare. Solo nelle ipotesi in cui maggiore � l'intensit� � giustificata 

con la possibilit� rimessa al sindaco di stabilire il termine di ultimazione 
dei lavori, e, sfa pure entro quei IJimiti, con quella di prorogarlo, m relazione 
al venir meno del programma di attuazi�ne che aveva attribuito il jus aedi� 
ficandi all'area, viene lasciato a questi un ambito di incidenza notevole. Tale 
ambito � poi maggiore se si riconosce ammissibile la possibilit� di una concessione 
in sanatoria (in tal senso v. A. lANNELLI, Le violazioni edilizie ammini� 
strative, civili e penali, Milano, 1977, p. 80; contra L. MosCARINI, Propriet� dei 
suoli, cit., in part. p. 584 s.). In tal modo la concessione si caratterizza 
come tecnica di controllo e partecipa di quel carattere concessorio che � 
proprio del procedimento attributivo del diritto di edificare. Non pu� quindi 
essere accettata la tesi che configura la concessione come condizione sospensiva 

(v. retro nota n. 51) perch� � riduttiva della funzione effettivamente svolta 
da questa. Egualmente non pu� essere condivisa l'affermazione della Corte 
Costituzionale secondo la quale questa � non adempie a funzione sostanzialmente 
diversa da quella dell'antica licenza, avendo lo scopo di accertare la 
11icorrenza delle condizioni previste dall'ordinamento per l'esercizio del �diritto�. 
Per giungere a tale conclusione la Corte si � fondata su quegli elementi contraddittori 
presenti nel sistema da noi evidenziati nel � 2, pervenendo cos� ad 
attribuire alla concessione una funzione diversa da quella che, alla luce di 
quella ratio, risulta essere dnvece la sua. 
Di qui l'affermazione secondo cui � il diritto di edificare continua ad 
iner.ire alla propriet�... �, che per� non pu� essere accettata perch�, come appare 
ormai evidente non corrisponde alla complessit� del sistema. Tale insufficienza 
era gi� stata avvertita da una parte della dottrina, la quale aveva avvicinato 
la licenza edilizia alla concessione, proponendo per essa il nome di atto di 
consenso, v. F. BENVENUTI, Limiti dello � jus aedificandi � e la natura giuridica 
della licenza edilizia, in Atti del II Convegno di diritto amministrativo in materia 
di licenza edilizia, Sanremo 14-16 dicembre 1956, Roma, 1957, p. 25 ss. 

v. anche dello stesso A. Dal Consenso al consenso in Profili giuridici e prospettive 
della nuova normativa sulla edificabilit� dei suoli, Milano, 1978, p. 9 ss. 
(52) v. A. M. SANDULLI, Nuovo regime dei suoli, cit., p. 284. 
18 



22 RASSEGNA DBLU'AVVO<!:ATURA IJELLO STATO 

Ja conformazione del regime giuridico caratterizzato clall'hrl!roduzioHe di 
quell'elemento di � doverosit� � riguardo� alle aree e alle zone; individuate 
dal p.d.a., clotate di jus aeaifif:rilindi. 

Dunque, il potere pubblico ha il compito di programmare le opere 
e gli .iinterventi ritenuti � necessal'i �, in un arco� di tempo determinate, e� 
di individuare le aree e le wne in cui questi debbono essere realizzati; 
� p0i lasciato� agli � aventi titolo � il eompito di realizzare ile previsioni. 
Ove p0i1 questi non provvedano a domandare la ccmcessione� ediliZiia enitiro� 
il termine� stabilito nel programma di attuaziooe, in�terviene nuovamente 
il potere pubblico che si sostituisce al privato ed espropria l'area i~ questione. 
Ecco che in questa ipotesi l'esigenza di reaMzzaTe quelle previ~� 
siOni rende opportuno un ulteriore intervento sostilcrtivo del potere pub� 
blico; diversamente sarebbe disattesa Ja funzione della nuova disdplina 
di soddisfare gli interessi che ne� costituiscono il fondamento (SJJ. Ad 
evitare che quella espmpriazione diventi strumento di afflizione dei ceti 
meno aibbie:nti, a tutto� vantaggio deJla speeulazione edilizia, e si1 riveli 
inidonea a realizzare la funzione che le � attribuita, il legislatore � inter


, I 

venuto con la legge 5 agosto 1978 n. 457 che detta norme per l'edilizia 
residenziale, prevedendo sovvenzioni e benefic� (es. mutui agevolati), in 

I

modo tale da assicurare che il sistema possa assoJvere al' suo compito. 

~:

Peraltro le stesse esigenze che giustificano il sorgere di questo dovere in f: 
capo al privato, richiedono che anche il potere pubblico eserciti le facolt� 
ad esso spettanti e cio� provveda alla formazione del programma di attuazione 
e utilizzi Ie aree espropriate ai sensi dcl V co. dell'art. 13. A tai fine 
� demandato alla legge regionale iI compito di determinare le forme e le 
modalit� di esercizio dei poteri sosrbitutivi nei con:f�ronti dei comuni iinadempienti 
(art. 13, terzo comma) e le modalit� di utilizzazione delle aree 
espropriate (art. 13, ottavo comma). 


Il legislatore cos� ha proceduto alla conformazione di due differenti 
regimi, in uno dei quali permane la facultas aedificandi, sia pure compressa 
e limitata da quelli standards, mentre ne11'<a:ltro il jus aedificandi 
viene attribuito solo relativamente a determinate aree; questa conformazione, 
si � per� detto, � contingente. Orbene, la presenza, nella situazione 
concreta, dell'iniziativa economica privata e/o. del diritto-dbvere al; lavoro, 
fa s� che questa conformazione oltre che contingente, sia anche � varia


~53) � stato� peraltro osservato da A. PREDIERI, La Legge 28 gennaio 1977' 

n. IO, cit., p. 183, che � invece di farsi espropriare per non aver presentato la 
domanda nei termini previsti dal programma pluriennale� di attuazione, il 
proprietar;io potrebbe presentarla, ottenere la concessione� e decaderne, Avrebbe 
il vantaggio, innamiitutto, di non essere espropriato e pOI� di contare sull'alea� 
del � chi vivr� vedr�.�. Segnaliamo l'incongruenza limitandoci a rilevare che 
tale pericolo � reso improbal!>ile dal carattere oneroso della concessione. 

23

PARTE 11, QUESllIONI 

�bile��.. Infatti l'art. 13, quarto comma, 1. n. 10/1977, prevede che �nei 
,comurrl obbliga;ti ai sensi del terzo comma la concessione di cui all'arti-� 
�colo 1 della presente legge � data solo p.er le aree incluse nei programmi 
.cli attuazione e, al di fuori di esse, per le opere e gli interventi previsti 
.(}a:I precedente articolo 9, semprech� non siano in contrasto con le prescl'.
irioni �degli �strumenti urbanistici �. Dunque nelle ipotesi previste dall'art. 
9 la concessione, per giunta gratuita, pu� essere data, anche per 

opere oo interventi da realfizzarsi in �aree non incluse nei programmi di 
ITTtmrzione. Deve per� trattarsi di opere � da realizzare nelle zone agricole 
ivi comprese le residenze in 'funzione detla conduzione del fondo e delle 
esigenze delJ'imprenditore ag.ricolo a titolo prinCipale, ai sensi dell'articolo 
12 della legge 9 maggio 1975, n . .153 � (art. 9 lett. a) (54). In aueste 
ipotesi, permanendo in capo al privato proprietario il potere di decidere 
se e quando edificare, pu� affermarsi che al diritto di pr.opriet� si accompa@
la .il c.d. jus aedificandi, sia pure con l~obbUgo 'Cdi conformarsi alle 
previsioni degli altri strumenti urbanistici {55). La conformazione idei 
regime giuridico avente ad -0ggetit0 i suoli attuata con la 1. n. 10/1977 si 
.ca:ratterizza dU111que per essere �c<mt�ingente e variabile a seconda del 
mutare e della diversa intensit� con cui si presentano gli j,nteressi m 
giooo �e ci@ pienamente !rispondente al concetto di funzione sociale .che 
si � .enm.tdato. 

5) In questo sistema significativa � ila previsione �di cui al sesto 
comma dell'art. 13, I. n. 10/1977, secondo Ja quale qualora gli aventi 
titolo non presentino fa domanda volta ad ottenere La con.cessione entro 
i �termini indicati nel programma� di attuazione �il comune espropria le 
aree sulla base deHe �disposizioni de11a .legge 22 ottobre 1971, n. 865, come 

(54) Invero anche nell'ipotesi di cui alla lett. f) dell'art. 9 (concernente 
impianti, attrezzature, opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli 
enti istituzionalmente competenti nonch� opere di urbanizzazione, eseguite an�he 
.c:la privati, in .a:ttuazicme di strumenti urbanii>tici) vi � il jus aedi:ficandi e non. 
� dovute ,iJ c0nt11i1mto, di cui all'art..3, per 'il rilascio de:l:la concessione. Nei 
casi invece .di costruziohi o impianti destinati ad attivit� industriali o artigianali 
ovvero di costruzioni o impianti destinati ad attivit� turistiche, commerciali 
e direzionali, l'art. 10, I. n. 10/1977, prevede una riduzione del contributo, 
stabilita in base ai criteri (che confermano la esattezza della ratio 
individuata) espressamente :indicati nella morma. 
(D) �Cfr. L. MosCARINI, Propri.et� dei suoli, cit., p. 593, il quale afferma che 
.fin taE.to che il pmprietario dell'area resta libero d!i. scegliere �se e .quando edi
�fkare, continua a sussistere :la c.d. � renrlita di posizione "� Appare poi evidente 
che in ogni c�so vanno osservate anche tutte le altre nor.me di legge, cos� ci 
s� dDVJ:� a:tmenere alle disposiziomi degli artt. 41 sexies l.n. 1150/1942; 41 septies 
della .stessa 1e :il d;m. n. 3518/196&; 38 I. .n. U65/1934, etc., v. al riguardo A. PRElnER'.I, 
La 1kegge 28 .gennaiw Jl!Y17 n. 10 sull'edificabilit� dei suoli, cit., p. 166. 

24 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

modificata dalla presente legge �. Questa infatti, collegata al disposto 
dell'art. 12 della stessa, il quale prevede ohe i proventi de11e c0111cessioni 
s1ano destinati anche �all'acquisizione delle aree da espropriare per la 
realizzazione dei prog.rommi pluriennali�, evidenzia 1a funzione svolta 
nell'ambito del nuovo sistema normativo di edificabillit� dei suoli dai 
criteri di determinazione dell'indennit� di esproprio che cos� s~ rivelano 
essere una componente essenziale di questo sistema. Si pu� quindi affermare 
che anche :i criteri di �indennizzo sono pM"tecipi della ratio propria 
del sistema. Afla Juce dei principi di solidariet� e di eguaglianza sostanziale, 
gli interessi fil precedenza indiv>iduati appaiono come principi giustificatori 
anche di questa parte delta disciplina. Con la previsione dell'art. 
13, sesto comma, H legislatore ha appunto voluto dire ci�, doven� 
dosi e potendosi appHca;re quei criteri anche in mancanza di quest'ulte� 
riore espressa previsione. 

Queste finalit� alla cui soddisfazione � volto il complesso sistema di 
determinazione dell'indennit� di esproprio, � stato osservato, non sono 
state tenute presenti dalla decisione della Corte Costituzionale che, invece, 
ha assunto �la parit� formale a criterio ispiratore del giudicato� (56). 
Questo rilievo appare, invero, giustificato se si sofferma l'attenzione solo 
sulla motivazione della pronuncia. Noo pu�, peraltro, non rilevarsi che 
al momento di trarre le conclusioni la Corte ha dichiarato l'illegittimit� 
costituzionale non di tutto l'art. 16 1. n. 865/1971, come modificato dall'art. 
14 1. n. 10/1977, ma solo dei commi cinque, sei o sette, lasciando in 
tal modo in vigore la disposizione di cui al nono comma la quale prevede 
che nella determinazione dell'indennizzo �non deve tenersi alcun conto 
dell'utilizzabilit� dell'area ai fini dell'edificazione nonch� dell'incremento 
di valore derivante dalla esistenza nella stessa zona di opere di urbanizzazione 
primaria e secondaria e di qualunque altra opera o impianto 
pubblico�. In questo senso si esprime pure J'art. 38 t n. 1150/1942 (57). 

Dunque � s� illegittimo far riferimento ail valore agricolo medio quale 
criterio di determinazione dell'indennizzo, in quanto questo introduce un 
elemento di valutazione del tutto astratto, ma ci� non significa necessit� 
di un ritorno al sistema di cui all'art. 39 1. 25 giugno 1865, n. 2359, e, 
quindi, ad un criterio di determinazione dell'indennizzo rapportato al 
�valore venale� del bene (58). La considerazione della �destinazione� 

56) F. LucARELLI, Principio di eguaglianza, cit., p. 517. 

57) R:ileva ci� PoTOTSCHNIG, Commento, cit. p. 602, il quale afferma che 
� come si accordino con l'affermazione della corte queste due disposizioni, en� 
trambe tuttora vigenti (perch� non ricomprese fra quelle dichiarate incostituzionali), 
rimane un mistero�; sul punto v. infra nota 58. 

58) Ritiene V. PoTorscHING, Commento, cit., p. 601, che essep.do stato di� 
chiarato illegittimo anche l'art. 4 del d.1. 2 maggio 1974, n. 115, conv. dalla I. 27 
giugno 1974, n. 247, che aveva esteso l'applicabilit� dei criteri di indennizzo 



PARTE II, QUESTIONI 2f 

edilizia del bene e il riferimento al valore agricolo medio, non sono considerati 
dati dn alternativa di modo che, escluso il primo, vi � l'altro. Come 
non � rispondente a quei principi di solidariet� e di parit� sostanziale 
tener conto del primo, egualmente non � equo far riferimento al secondo. 
Si prospetta in tal modo l'esigenza di giungere alJa formulazione di un 
altro criterio di determinazione dell'indennit�, che nella pronuncia � stato 
individuato solo negativamente da questi due dati. La Corte, pertanto, 
se pure argomenta in termini di parit� formale, riconoscendo legittima 
la disposizione di cui al nono comma dell'art. 16, realizza, invero, un 
risultato corrispondente alle esigenze dettate dal principio di parit� sostanziale. 
L'aver mantenuto in vita quella disposizione, in connessione col 
fatto che alla Corte non � sfuggito che l'edificabilit� dei suoli � deriva� 
dalla loro destinazione a tale scopo ad opera degli strumenti urbanistici, 
anche se poi il rilievo non � stato compiutamente svolto, ha dunque un 
ben preciso significato. Risulta cos� tracciata la strada da seguire per la 
fissazione dei nuovi criteri. 

In attesa di elaborare la nuova disciplina, il legislatore � intervenuto 
dettando una normatiVia provvisoria (59), in base alla quale per determinare 
l'indennit� di esproprio deve aversi riguardo al valore agricolo medio 
� determinato a norma dell'art. 16 quarto comma, della stessa legge 

(n. 865/1971) come-modificata dall'art. 14 della Jegge 28 gennaio 1977, 10. 
corrispondente al tipo di coltura in atto nell'area da espropriare� (art. 1, 
di cui al titolo II della 1. n. 865/1971, dovranno ora app1icarsi nuovamente le 

disposizioni contenute nella legge del 1865. Al riguardo rileviamo che l'art. 4 

� stato dichiarato illegittimo solo nella parte in cui ha esteso � l'applicazione 

delle disposizioni dell'art. 16, commi cinque, sei e sette della legge n. 865 del 

197,1 a TUTTE le espropriazioni �, e non anche nella parte in cui ha esteso quella 

della rimanente disciplina e, in particolare, del comma nono; pertanto, essendo 

quest'ultimo in contrasto .con le disposizioni della 1. n. 2359/1865 e, in parti


colare dell'art. 39, queste non potranno trovare app1icazione. In ogni caso a 

risolvere il problema � intervenuto il legislatore con la 1. 29 luglio 1980 n. 385, 

ove sono previste norme provvisorie per la determinazione dell'indennit� di 

esproprio. 

59) v. L. 29 luglio 1980 n. 385, nella quale si prevedeva che la � legge sosti


tutiva delle norme dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale con sentenza 

n. 5 del 1980 � (art. 1, co. I) avrebbe dovuto essere emanata �entro un anno 
dall'entrata in vigore della presente legge� (recte 1. n. 385/1980). Tale termine, 
� rimasto purtroppo inosservato ed � stato ora prorogato con il d.l. 28 luglio 
1981 n. 396 conv. in 1. 25 settembre 1981 n. 535. g prevedibile che tale proroga 
dar� luogo ad ulteriori eccezioni di illegittimit� costituzionale, con conseguente 
rimessione degli atti alla Corte Costituzionale. Invero, numerose ordinanze hanno 
gi� portato all'attenzione della Suprema Corte la discip1ina di cui alla citata 
legge n. 385/80 della quale viene affermata la illegittimit� sotto diversi profili; 
v. per tutti ord. Corte Appello Genova, 11 novembre 1980, in Giust. Civ., 1981, 
I, 377 ss.. 

�lett. a), 'l. �n. 385/l98ll'), per le aree esterne ai centri edificati, e sul valore 
agricolo medio � della coltura pi� redditizia tria que1le che nella regione 
:agraria in cui ricade J.'area da �espropriare, coprono una SC!perficie snperiore 
al 'S per cento di quella coltivata dalla regione agraria stessa � 
~art. l, lett. b, 11. cit;), per 1e aree �Comprese �nei centri edificati. Per 

�queste Ultime, .poi, ta1e valore � moltip'licato per tl1'l coefficiente che varia 
.a sec<OO!lda della pop0laziio:a:e del Comune in cui si trova J'.area. ~ poi, 
espressamente :previsto cbe tale indennif� � soggetta a oonguaglio �secondo 
rq:man:t:o sar� previsto 1nella normafiva defu.titiva. 
Con questa disoip1ina i~ 1egis1J.atore ha, dunque, mal!�temrto in vita, 
sia :ptaT prmnvisoriamcmte, il sistema :in �cui si ~nserivano le norme diclriat'a.-'
te :illegivtime i!laMa :.C001te 1Costituziona4e con sentenza n. S del 198�1. Al di 
.l� rl:eif!e crit��he cui questa �so'luzione si presta, importa qui rilevare che 

I

ila 1. n. 38511:1980 l'i:v:ela esp!:icitamente che intendimento de'l legis1ate>re 
inon � di Dipensare ab imis i .c:r�teri determh11a:1livi �deIT~il'ldlel'lnit'� �di espre


I

prio, ma quello di limitarsi a dettare norme sosti1ltl!ti~ di .qiuel1e di�hiarate 
il:legit:llime. Presumibilmente tale risultato sar� reailiizzato modificando 

I

in .aumento i coefficieB.ti per �cui moltiplicare il vail:ore base. Se <e'Hiettiva.
mente do:vesse .trov.a.re accoglimento lma soluzio:ae del .geneve, � verosi


I

mile ritenere .che ben presto .anche :queste n@rme saranno desttinare ad 
esse.ne .sottoposte al .giudizi<i> .al.ella Corte Costitwtlo.JJ:aile. 

I

Appare evidente, infattL, ,che una nor.mativ.a quale quella ;prospettata 
non sarebbe idonea a superare i rilievi gi� mossi alle precedenti norme e, 

I 

soprattutto, a dare atto della complessit� del sistema quale sopra � stato 
tratte_ggiato. 

:ffi 

Gml.IO Sn!RI 

<

l

* 



LEGISLAZIONE 


I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI 

Codice di procedura penale, art. 428, prime comma, nella parte in cui norr 
consente la sospensione o il rinvio del dibattimento ove l'imputato, gi� interrogato, 
si astenga dal comparire o si allontani dall'udienza per legittimo impedimento. 


Sentenza 1" febbraio 1982, n. 9, G. U. 3 febbraio 1982, n. 33. 

codice di procedura penale, art. 428, secondo comma, limitatamente all'avverbio 
� soltanto �, 

Sentenza 1� febbraio 1982, n. 9, G. U. 3' febbraio 1982, n. 33. 

legge 27 maggio� 1929, n. 81-0, art. 1, limitatamente all'esecuzione data all'articolo 
34, quarto, quinto e sesto comma, del Concordato, e delrart. 17 della 
legge 27 maggio 1929, n. 847, nella parte in cui le suddette norme prevedono 
che la corte d'appello possa� rendere esecutivo agli effetti civili il provvedimento 
ecclesiastico, col quale � accordata la dispensa dal matrimonio rato e 
non consumato, e ordinare l'annotazione nei registri dello s.tato civile a. margine 
dell'atto d� matrimonio. 

Sentenza 2 febbraio 1982, n. 18, G. U. 10 febbraio 1982, n. 40. 

legge 27 maggio 1929, n. 810,. art. 1, limitatamente all'esecuzione data all'articolo 
34, sesto comma, del Concordato, e dell'art. 17, secondo comma, della 
legge 27 maggii;� 1929; n. 847, nella parte in cui le� norme suddette non prevedono 
che alla corte di appello, all'atto di rendere esecutiva la sentenza del 
tribunale ecclesiastico, che pronuncia la nullit� del matrimonio, spetta accertare 
che nel procedimento innanzi ai tribunali ecclesiastici sia stato assicurato 
alle parti il diritto di agire e resistere in giudizio a cl'ifesa dei propri ci'iritti, 
e che la sentenza medesima non contenga disposizioni contrarie all'ordine 
pubblico italiano. 

Sentenza 2 febbraio 1982, n. 18, G. U. 10 febbraio 1982, n. 40. 

legge 27 maggio 1929, n. 847, art. 7, ultimo comma, nella parte in cui non 
dispone che l'autorit� giudiziaria decida sull'opposizione anche quando questa 
sia fondata sulla causa indicata nell'art. 84 del codice civile. 

Sentenza 2 febbraio 1982, n. 16, G. U. 10 febbraio 1982, n. 40. 

legge 27 maggio 1929, n. 847, art. 12, nella parte in cui non dispone che non 
si faccia luogo, alla trascrizione anche� nel caso di matrimonio canonico contratto 
da minore infrasedicenne o da minore che abbia compiuto gli anni 
sedici ma non sia stato ammesso al matrimonio ai sensi dell'art. 84 del codice 
civile. 

Sentenza 2 febbraio l98Z; n. 1'6, G. U. 10 febbraio 1982, n; 40. 



28 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO l)TATO 

legge 22 febbraio i934, n. 370, art.-i;' secondo. comma, nn. 1, 2, 3, 4, 7, 8, 9, 
10, 11, 12, 13 e 14, nella parte in cui consente che il riposo settimanale dovuto 
al personale dipendente corrisponda a ventiquattro ore non consecutive. 

Sentenza 4 febbraio 1982, n. 23, G.U. 10 febbraio 1982, n. 40. 

legge 22 febbraio 1934, n. 370, art. 1, secondo comma, n. 5, nella parte in 
cui consente che il riposo settimanale, dovuto al personale navigante, corrisponda 
a ventiquattro ore non consecutive. 

Sentenza 4 febbraio 1982, n. 23, G.U. 10 febbraio 1982, n. 40. 

legge regione Sardegna 17 maggio 1957, n. 20, ~t. 6. 

Sentenza 16 febbraio 1982, n. 43, G. U. 24 febbraio 1982, n. 54. 

legge regione Trentino-Alto Adige 24 giugno 1957, n. 11, art. 7. 

Sentenza 16 febbraio 1982, n. 43, G. U. 24 febbraio 1982, n. 54. 

legge regione Trentino-Alto Adige 24 giugno 1957, n. 11, art. 22, nella parte 
in cui estende ai tribunali ivi previsti le funzioni di cui all'art. 7 della legge 
medesima. 

Sentenza 16 febbraio 1982, n. 43, G. U. 24 febbraio 1982, n. 54. 

d.P.R. 31 dicembre 1971, n. 1432, artt. 9 e 14, nella parte in cui non consente 
la riliquidazione della pensione in forma retributiva a carico dell'assicurazione 
generale obbligatoria, sulla base dei nuovi criteri dalle stesse norme dettati 
per la valutazione dei contributi volontari, anche ai titolari di pensioni liquidate 
in forma contributiva, con decorrenza successiva al 30 aprile 1968 ed 
anteriore all'entrata in vigore delle norme medesime. 
Sentenza 16 febbraio 1982, n. 37, G. U. 24 febbraio 1982, n. 54. 

legge 21 febbraio 1973, n. 7, della regione Campania. 

Sentenza 29 dicembre 1981, n. 204, G. U. 13 gennaio .1982, n. 12. 

d.I. 1� ottobre 1973, n. 580, art. 3, primo comma [nel testo risultante dalla 
legge di conversione 30 novembre 1973, n. 766], nella parte in cui consente 
che siano collocati nel ruolo dei professori con qualifica di straordinario � gli 
aggregati clinici di cui al r.d.l. 8 febbraio 1937, n. 794 >>, convertito nella legge 
2 giugno 1939, n. 739. 
Sentenza 4 febbraio 1982, n. 20, G.U. 10 febbraio .1982, n. 40. 

legge regionale Toscana 2 settembre 1974, n. 55, limitatamente alle parole 
� in agricoltura �. 

Sentenza 16 febbraio 1982, n. 41, G. U. 24 febbraio 1982, n. 54. 

legge 3 gem1aio 1978, n. 1, art. 5, ultimo comma. 

Sentenza 1� febbraio 1982, n. 8, G. U. 3 febbraio 1982, n. 33. 



PARTE II, LEGISLAZIONE 

II � QUESTIONI DICHIARATE NON� FONDATE 

Codice di procedura penale, artt. 23 e 489 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Sentenza 16 febbraio 1982, n. 39, G. U. 24 febbraio 1982, n. 54. 

codice di procedura penale, artt. 107 e 110 (art. 3 e 24 della Costituzione). 
Sentenza 16 febbraio 1982, n. 38, G. U. 24 febbraio 1982, n. 54. 

codice di procedura penale, art. 137, prlmo comma (artt. 3 e 6 della Costituzione 
e art. 3 statuto speciale regione Friuli-Venezia Giulia). 

Sentenza 11 febbraio 1982, n. 28, G. U. 17 febbraio 1982, n. 47. 

codice di procedura penale, art. 137, terzo comma (artt. 3 e 6 della Costituzione 
e art. 3 statuto speciale regione Friuli-Venezia Giulia). 

Sentenza 11 febbraio 1982, n. 28, G. U. 17 febbraio 1982, n. 47. 

codice di procedura penale, art. 544, terzo comma (art. 24, secondo comma, 
della Costituzione). . . 

Sentenza 4 febbraio 1982, n. 21, G. U. 10 febbraio 1982, n. 40. 

codice penale militare di pace, artt. 14 (art. 3 della Costituzione) e 182 
(art. 21, primo comma, della Costituzione). 

Sentenza 11 febbraio 1982, n. 30, G. U. 17 febbraio 1982, n. 47. 

codice penale militare di pace, art. 184, secondo �comma, ultima parte 
(artt. 17 e 21 della Costituzione). 

Sentenza 11 febbraio 1982, n. 31, G. U. li febbraio 1982, n. 47. 

legge 27 maggio 1929, n. 810, art. 1 (artt. 2, 3, 7, 24, 25, 101 e 102 della 
Costituzione). 

Sentenza 2 febbr~io 1982, n..18, e'. U. 10 febbraio 1982, n. 40. 

legge 27 maggio 1929, n. 847, art. 17 (artt. 2, 3, 7, 24, 25, 101 e 102 della 
Costituzione). 

Sentenza 2 febbraio 1982, n. 18, G. U. 10 febbraio 1982, n. 40. 

legge 20 dicembre 1951, n. 1564, art. 1 (art. 3 e 38 della Costituzione). 
Sentenza 1� febbraio 1982, n. 11, G. U. 10 febbraio 1982, n. 40. 

legge 30 aprile 1962, n. 283, artt. 5, lettera g) e 6 (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 14 gennaio 1982, n. 1, G. U. 20 gennaio 1982, n. 19. 

legge 28 marzo .1968, n. 370, artt. 3, 6, 11, 12 e 15 (artt. 3, 18 e 24 della 
Costituzione). 

Sentenza 16 febbraio 1982, n. 40, G. U. 24 febbraio 1982, n. 54. 


!O RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

legge 13 giugno 1969, n. 282, art. 6, secondo comma (art. 3, 18 e 24 della 
Costituzione). 

Sentenza 16 febbraio 1982, n. 40, G. U. 24 febbraio 1982, n. 54. 

legge 24 dicembre 1969, n. 990, art. 21, primo, secondo e terzo comma 
(artt. 3, 24 e 32 della Costituzione). 

Sentenza 29 dicembre 1981, n. 202, G. U. 6 gennaio 1982, n. 5. 

cLP.R. 28 dicembre 1970, n. 1434, art. 7, secondo comma (art. 76 della 
Costituzione). 

Sentenza 16 febbraio 1982, n. 42, G. U. 24 febbraio ,1982, n. 54. 

d.P.R. 23 giugno 1972, n. 749, artt. 21 e 23 (artt. 3 e 76 della Costituzione). 
Sentenza 1� febbraio 1982, n. 12, G.U. 10 febbraio 1982, n. 40. 
d.l. 1� ottobre 1973, n. 580, art. 3 (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 4 febbraio 1982, n, 20, G. U. 10 febbraio 1982, n. 40. 
d.P.R. 31 maggio 1974, n. 417, art. 26, lettera a), ultima parte (art. 3 della 
Costituzione). 
Sentenza 14 gennaio 1982, n. 2, G. U. 20 gennaio 1982, n. 19. 

legge regione Veneto 17 aprile 1975, n. 36, artt. 1, 5,. ultimo comma, e 16� 
(art. 117, primo comma, della Costituzione). 

Sentenza 1� febbraio 1982,, n. 7, G. U. 10 febbraio ,1982, n. 40. 

legge regione Veneto 17 aprile 1975, n. 36, art. 18 (art. 42 e 117 della. 
Costituzione). 
Sentenza 1� febbraio 1982, n. 7, G. U. 10 febbraio 1982, n. 40. 

legge regione Lombardia 14 giugno 1975, n. 92, artt. 2, 3 e 22 (art. 117, prime� 
comma della Costituzione). � 

Sentenza 1� febbraio 1982, n. 7, G. U. 10 febbraio 1982, n. 40. 

I

legge 3 gennaio 1978, n. 1, art. 5, penultimo comma (artt. 3, 24, 97, 103� 
e 113 della Costituzione). 
Sentenza 1� febbraio 1982, n. 8, G. U. 3 febbraio 1982, n. 33. 

I

legge regione siciliana 13 gennaio 1978, n. 1, art. 1, primo e terzo comma 
(artt. 3, 33, e 34 della Costituzione). 


Sentenza 16 febbraio 1982, n. 36, G. U. 24 febbraio 1982, n. 54. 

I 

d.J. 15 dicembre 1979, n. 625, art. 10 [convertito, con modificazioni, nella legge 
t

6, febbraio 1980, n. 15] (artt. 13, primo, secondo e quinto comma, e 27, secondo� 
comma, della Costituzione). ( 
Sentenza 1� febbraio 1982, n. 15, G. U. 10 febbraio 1982, n. 40. 




PARTE II, LEGISLAZIONE 

d.l. 15 dicembre 1979, n. 625, art. 11 (artt. 13, primo, secondo e quinto 
comma, 25, secondo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione). 
Sentenza 1� febbraio 1982, n. 15, G. U. 10 febbraio 1982, n. 40. 

III -QUESTIONI PROPOSTE 

codice civile, art. 419, primo comma (art. 24 della Costituzione). 

Tribunale di Torino, ordinanza 8 maggio 1981, n. 662, G. U. 13 gennaio 
1982, n. 12. 

codice di procedura civile, art. 429, terzo comma (artt. 1, 3 capoverso, 
4, 34, 36 e 97 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 7 novembre 1980, 

n. 668/81, G. U. 27 gennaio 1982, n. 26. 
codice di. procedura civile, art. 648, secondo coinma (art. 24 della Costituzione). 


Giudice istruttore Tribunale Novara, ordinanza 8 luglio 1981, n. 631, G. U. 
6 gennaio 1982, n. 5. 

codice penale, art. 57 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Roma, ordinanze (quattro) 8 luglio, 17 �giugno e 4 luglio 1981, 
nn. da 641 a 644, G. U. 13 gennaio 1982, n. 12. 
Tribunale di Roma, ordinanza 24 giugno 1981, n. 669, G.U. 27 gennaio 
1982, n. 26. 

codice penale, art. 147, primo comma, n. 1, e secondo comma (artt. 25, 
secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione). 

Pretore di Pietrasanta, ordinanza 9 aprile 1980, n. 666/81, G. U. � 13 gennaio 
1982, n. 12. 

codice penale, artt. 314, 357 e 358 (artt. 3 e 47 della Costituzione). 

Tribunale di Torino, ordinanza 27 marzo 1981, n. 636, G. U. 6 gennaio 
1982, n. 5. 
Tribunale di Roma, ordinanza 28 settembre 1981, n. 681, G. U. 20 gennaio 
1982, n. 19. 

codice penale, art. 650 (art. 3, primo comma, della Costituzione). 

�Pretore di Finale Ligure, ordinanza 13 marzo 1981, n. 671, G. U. 27 gennaio 
1982, n. 26. 

codice penale, art. 688 �� (artt. 3, 27 e 32 della Costituzione). 

Tribunale di Venezia, ordinanza 10 giugno 1981, n. 712, G. U. 17 febbraio 
1982, n. 47. 


II

32 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

I ~ 

codice penale, art. 688 (artt. 3 e 32 della Costituzione). 

Pretore di Venezia, ordinanza 12 febbraio 1981, n. 713, G. U. 17 febbraio 
1982, n. 47. 

I fof: 

codice di procedura penale, art. 102 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Pretore di Locri, ordinanza 14 luglio 1981, n. 685, G. U. 3 febbraio 1982, n. 33. 

codice di procedura penale, artt. 107 e 110 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Pretore di Voltri, ordinanza 18 giugno 1981, n. 604, G. U. 13 gennaio 1982, 

n. 12. 
codice di procedura penale, art. 589, terzo comma, ultima parte (artt. 24, 
primo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione). 

Pretore di Pietrasanta, ordinanza 9 aprile 1980, n. 666/81, G. U. 13 gennaio 
1982, n. 12. 

codice penale militare di pace, art. 186, ultimo comma, ultima ipotesi 
(art. 3 della Costituzione). 

Tribunale militare territoriale di Torino, ordinanza 30 settembre 1981, 

n. 727, G. U. 17 febbraio 1982, n. 47. 
codice penale militare di pace, art. 189, primo comma, prima ipotesi (art. 3 
della Costituzione). 

Trib�nale militare territoriale di Torino, ordinanza 16 settembre 1981, n. 725, 

G. U. 17 febbraio 1982, n. 47. 
I 
I 
�: 

legge 7 luglio 1901, n. 283, artt. 6, 7, 8 e 9 (artt. 24, secondo comma, e 33, 
quinto comma, della Costituzione). 

Pretore di Padova, ordinanza 25 giugno 1981, n. 673, G. U. 27 gennaio 1982, 

n. 26. 
legge 28 giugno 1928, n. 1415 (artt. 24, secondo comma, e 33, quinto. comma, 

IIdella Costituzione). 

Pretore di Padova, ordinanza 25 giugno 1981, n. 673, G. U. 27 gennai-O 1982, 

n. 26. 
legge 27 maggio 1929, n. 810, art. 1 (artt. 1, 2, 3, 7, 10, 11, 24, 29, 101 e 102 
della Costituzione). 

Corte d'appello di Roma, ordinanza 26 marzo 1981, n. 693, G. U. 27 gennaio 
1982, n. 26. 

r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 100 (art. 24 della Costituzione). 
Tribunale di Ferrara, ordinanz� 26 giugno 1981, n. 610, G. U. 13 gennaio 
1982, n. 12. 



PARTE II, LEGISLAZIONE 

dJ.l. 21 novembre 1945, n. 722, art. 3, primo comma (artt. 3; 29, 31 e 37 
della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria, ordinanza 5 novembre 1980, 

n. 670/81, G. U. 20 gennaio 1982, n, 19. 
legge 8 febbraio 1948, n. 47, artt. 1, 9 e 13 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Roma, ordinanza 3 giugno 1981, n. 606, G. U. 13 gennaio 1982, 

n. 
12. 
Tribunale di Roma, ordinanze (quattro) 8 luglio, 17 giugno e 4 luglio 1981, 
nn. 
da 641 a 644, G. U. 13 gennaio 1982, n. 12. 
Tribunale di Roma, ordinanza 24 giugno 1981, n. 669, G. U. 27 gennaio 1982, 

n. 26. 
legge 29 aprile 1949, n. 264, art. 14 (artt. 3 e 4 della Costituzione). 

Pretore di Vigevano, ordinanza 30 giugno 1981, n. 639, G. U. 6 gennaio 
1982, n. 5. 

legge 11 aprile 1950, n. 130, art. 4, quinto comma [sostituito dalla legge 
8 aprile 1952, n. 212, art. 8) (artt. 3, 36, 37 e 38 della .Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale Emiila Romagna, ordinanza 11 febbraio 
1981, n. 674, G. U. 20 gennaio 1982, n. 19. 

legge 10 agosto 1950, n. 648, artt. 10 e 22, primo comma (artt. 2 e 3 della 
Costituzione). 

Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale, ordinanza 11 marzo 1981, 

n. 653, G.U. 3 febbraio 1982, n. 33. 
d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, artt. 7, 41, 115, 389, lettera a), 389, lettera c) 
e 390 (artt. 3 e 27 della Costituzione). � -� 
: Pretore di Lugo, ordinanza 211 settembre 1981, n. 716, G. U. 17 febbraio 
1982, n. 47. 

d.P.R. 19 .. marzo 1956, n. 303, art. 24 (artt. 3, 25 e 70 della Costituzione). 
Pretore di Desio, ordinanza 18 giugno 1981, n. 608, G. U. 6 gennaio 1982, n. 5. 

d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 23, 29 e 123 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Imperia, ordinanze (tre) 
5 marzo 1981, nn. 619, 620 e 621, G. U. 13 gennaio 1982, n. 12. 

legge 20 febbraio 1958, 11. 93, art. 2, secondo comma (artt. 3 e 38 della 
Costituzione). 

Pretore di Bologna, ordinanza 6 luglio 1981, n. 601, G. U. IO febbraio 1982, 

n. 40. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 24 marzo 1958, n. 195, art. 23, secondo comma [come sostituito dalla 
legge 22 dicembre 1975, n. 695, art. 3] (artt. 3, primo comma, 104, quarto 
comma e 107, terzo comma, della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 9 luglio 1981, n. 744, G. U. 20 gennaio 1982, 

n. 19. 
Corte di cassazione, ordinanza 9 luglio 1981, n. 745, G. U. 20 gennaio 1982,. 

n. 19. 
Corte di cassazione, ordinanza 9 luglio 1981, n. 746, G. U. 20 gennaio 1982, 

n.19. 
Corte di cassazione, ordinanza 16 luglio 1981, n. 747, G. U. 20 gennaio 1982, 
Il. 19. 

d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 80, dodicesimo comma [come modif. 
dalla legge 14 febbraio 1974, n. 62] (artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione). 
Pretore di Alatri, ordinanza 4 febbraio 1981, n. 607, G. U. 20 gennaio 1982, 

11. 19. 
d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 88, secondo comma (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Caltanissetta, ordinanza 24 luglio 1981, n. 718, G. U. 17 febbraio 
1982, n. 47. 

legge 14 marzo 1961, n. 132, art. 1 . (art. 3 della Costituzione). 

Corte dei conti, sez. terza giurisdizionale, ordinanza 29 ottobre 1976, 

n. 581/81, G. U. 6 gennaio 1982, n. 5. 
legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 13 (artt. 3, 24 e 38 della Costituzione). 

Pretore di Torino, ordinanza 27 maggio 1981, n. 599, G. U. 13 gennaio 1982, 

n. 12. 
d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, art. 76 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Lecce, ordinanze (due) 22 maggio e 22 giugno 1981, nn. 613 
e 614, G. U. 13 gennaio' 1982, n. 12. 

Corte d'appello di Torino, ordinanza 12 giugno 1981, n. 625, G. U. 20 gennaio 
1982, n. 19. 

Tribunale di Mantova, ordinanza 9 luglio 1981, n. 678, G. U. 27 gennaio 
1982, n. 26. 

Corte d'appello di Bologna, ordinanza 7 ottobre 1981, n. 719, G. U. 17 febbraio 
1982, n. 47. 



PARTE II, LEGISLAZIONE 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 3 (artt. 3, 35 e 38 della Costituzione). 
Pretore di Torino, ordinanza 8 maggio 1981, n. 600, G. U. 20 gennaio 1982, 

n. 19. 
d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 10 e 11 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Pretore di Nuoro, ordinanza 22 luglio 1981, n. 714, G. U. 13 gennaio 1982, 

n. 12. 
d.P.R. 30 giugno 1965, n, 1124, art. 134, secondo comma (art. 38, secondo 
comma, della Costituzione). 
Pretore di Torino, ordinanza 8 maggio 1981, n. 600, G. U. 20 gennaio 1982, 

n. 19. 
legge 14 luglio 1965, n. 963, art. 26, lettera e) (artt. 25, secondo comma, 
e 27, terzo comma, della Costituzione). 
Pretore di Pietrasanta, ordinanza 9 aprile 1980, n. 666/81, G. U. 13 gennaio 
1982, n. 12. 

legge 26 luglio 1965, n. 966, artt. 2 e 4 (art. 3, primo comma, della Costituzione). 


Pretore di Finale Ligure, ordinanza 13 marzo 1981, n. 671, G. U. 27 gennaio 
1982, n. 26. 

legge 22 luglio 1966, n. 613, art. 19 (artt. 3 e 38 della Costituzione). 

Pretore di Genova, ordinanza 1 ottobre 1981, n. 715, G. U. 17 febbraio 1982, 

n. 47. 
legge 8 marzo 1968, n. 151, art. 2 (art. 3, primo comma, e 36, primo comma, 
della Costituzione). 

Pretore di Bassano del . Grappa, ordinanza 13 luglio .1981, n. 691, G. U. 
27 gennaio 1982, n. 26. 

legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 3 (art. 3, primo comma, 29 e 38 della 
�Costituzione). 

Pretore di Bologna, ordinanza 29 settembre 1981, n. 682, G.U. 17 febbraio 
1982, n. 47. 

legge 13 marzo 1968, n. 313, artt. 9 e 11, primo comma (artt. 2 e 3 della 
Costituzione). 

Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale, ordinanza 11 marzo 1981, 

n. 653, G. U. 3 febbraio 1982, n. 33. 
d.P.R. 2 ottobre 1968, n. 1639, art. 111 (artt. 3, 35 e 41 della Costituzione). 
Pretore di Ancona, ordinanza 16 ottobre 1979, n. 709/81, G. U. l7 febbraio 
1982, n. 47. 


36 

RASSEGNA DEL!.'AWOCATURA DELLO STATO 

legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 8, ultimo comma (artt.. 3, primo comma, 
e 38 della Costituzione). 

Pretore di Bologna, ordinanza 29 settembre 1981, n. 683, G. U. 20 gennaio 
1982, n. 19. 

legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 19, lettera a) (art. 39, primo e terzo 
comma della Costituzione). 

Pretore di La Spezia, ordinanza 15 luglio 1981, n. 699, G. U. 10 febbraio 1982, 

n. 40. 
legge 20 maggio 1970, . n. 300, art. 33 (artt. 3 e 4 della Costituzione}. 

Pretore di Vigevano, ordinanza 30 giugno 1981, n. 639, G. U. 6 gennaio 
1982, n. 5. 

legge 9 ottobre 1971, n. 825, artt. 10, secondo comma, 14 e 15 (artt. 3, 24 
e 76 della Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Torino, ordinanza 30 giugno 
1980, n. 687/81, G. U. 27 gennaio 1982, n. 26. 

legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 12 (artt. 3 e 42 della 

Co~tituzione). 

Corte d'appello di Trento, ordinanza 24 giugno 1981, n. 708, G. U. 10 febbraio 
1982, n. 40. 

�� d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634; art. 42 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Rovereto, ordinanza 1 giugno 
1981, n. 635, G. U. 13 gennaio 1982, n. l2. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 54 (art. 3 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primp grado di Rovereto, ordinanza 24 giugno 
1981, n. 711, G. U. 17 febbraio 1982, n. 47. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 17, secondo comma (artt. 3, 24, 53 e 97 
della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Rieti, ordinanza 4 febbraio 1981, 

n. 624, G. U. 20 gennaio 1982, n. 19. 
�d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 17, secondo comma (artt. 53, 97 e 113 
della Costituzione). 

, Commissione tributaria di secondo grado� di Cagliari, ordinanza ,19 giugno 
1981, n. 616, G. V. 20 gennaio 1982, n. 19. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 44 (artt. 3, 24 e 76 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Torino, ordinanza 30 giugno 
1980, n. 687/81, G. U. 27 gennaio 1982, n. 26. 



PARTE II, LEGISLAZIONE 37 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, art. 39 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Roma, ordinanza 11 maggi� 
1981, n. 630, G. U. 3 febbraio 1982, n. 33. 

legge prov. di Trento 30 dicembre 1972, n. 31, art. 28, primo e quinto 
comma (artt. 42, terzo comma, e 3 della Costituzione). 

Corte d'appello di Trento, ordinanza 7 luglio 1981, n. 703, G. U. 10 febbraio 
1982, n. 40. 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 334 [modificato dalla legge 
14 aprile 1975, n. 603, art. 45] -(art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Susa, ordinanza 15 maggio 1981, n. 698, G. U. 3 febbraio 1982, 

n. 33. 
d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 334� [modificato <}alla legge 
14 aprile 1975, n. 603, art. 45] (artt. 3 e 27 della Costituzione). ., 
Pretore di Reggio Emilia, ordinanze {due) 5 ottobre 1981, nn. 704 e 705, 

G. U. 3 febbraio 1982, n. 33. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 4, 5, 10 e 15 (artt. �3, 29, 30, 31 e 53 
della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo� grado di Roma, ordinanza 26 marzo 
1981, n. 659, G. U. 13 gennaio 1982, n. 12. 

d.P.R. ~ settembre 1973, n. 597, art. 10/c [come modificato dalla legge 
13 aprile 1977, n. 114, art. 5] (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria� df primo� grado di Lucera, ordina;;ze (tre) ]S dicembre 
1980, nn. 813, 814 e 815/81, G. U. 24 febbraio 1982, n. 54. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 10, lettera f) (artt. 3, 32 e 77 della 
Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di La Spezia, ordinanza 18 maggio 
1981, n. 672, G. U. 27 gennaio 1982, n. 26. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 10 e 15 (artt. 3, 32, 38 e 53 della 
C6stituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Rovereto, ordinanza 13 maggio 
1981, n. 710, G. U. 17 febbraio 1982, n. 47. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 74, secondo e terzo comma (artt. 3 
e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Verona, ordinanza 30 ottobre 
1981, n. 9/82, G. U. 24 febbraio 1982, n. 54. 


38 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 


d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 9, ultimo comma, 12, quarto comma, 
e 47, primo comma (art. 3, primo comma, della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Ancona, ordinanza 7 novembre 
1980, n. 677/81, G. U. 27 gennaio 1982, n. 26. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 47 e 55 (artt. 3, 76 e 77 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Imperia, ordinanza 25 giugno 
1981, n. 690, G. U. 27 gennaio 1982, n. 26. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 100 e .104 (art. 3 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Foggia, ordinanza 3 gennaio 
1980, n. 749/81, G. U. 24 febbraio 1982, n. 54. 

legge 18 dicembre 1973, n. 877 (artt. 70, 72 e 73 della Costituzione). 

Pretore di Pistoia, ordinanze (tre) 19 maggio 1981, n. 627, 628 e 629, 

G. U. 20 gennaio 1982, n. 19. 
Pretore di Arezzo, ordinanza 8 luglio 1981, n. 679, G. U. 27 gennaio 1982, 
n. 
26. 
Pretore di Pistoia, ordinanza 30 luglio 1981, n. 700, G. U. 10 febbraio 1982, 
n. 
40. 
Pretore di Pistoia, ordinanza 24 giugno 1981, n. 701, G.U. 10 febbraio 1982, 
n. 
40. 
Pretore di Pistoia, ordinanza 11 luglio 1981, n. 702, G. U. 10 febbraio 1982, 
n. 40. 
legge 14 febbraio 1974, n. 62, art. 2, quindicesimo comma (art. 3 della 
Costituzione). 

Pretore di Soave, ordinanza 5 giugno 1981, n. 654, G. U. 13 gennaio 1982, 

n. 12. 
d.P.R. 31 mtlggio 19~4, n. 416, art. 24 (artt. 76 e 97 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 21 aprile 1980, 

n. 667/81, G. U. 13 gennaio .1982, n. 12. 
d.I. 8 luglio 1974, n. 264, art. 7, terzo comma, lett. a) [conv. in legge 17 agosto 
1974, n. 386) (art. 39 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, ordinanza 8 gennaio 
1981, n. 602, G. U. 6 gennaio 1982, n. 5. 

legge reg. Toscana 20 marzo 1975, n. 22, art. 11 (artt. 3 e 24, primo comma 
della Costituzione). 

Pretore di Firenze, ordinanza 30 luglio 1981, n. 740, G. U. 17 febbraio 1982, 

n. 47. 

PARTE Il, LEGISLAZIONE 

legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, terzo comma (art. 25, secondo comma 
della Costituzione). 

Tribunale di Vigevano, ordinanza 19 marzo 1981, n. 638, G. U. 6 gennaio 1982, 

n. 
5. 
Tribunale di Vigevano, ordinanza 9 aprile 1981, n. 612, G. U. 20 gennaio 1982, 
n. 19. 
legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 23 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Rovigo, ordinanza 24 settembre 1981, n. 692, G. U. 3 febbraio 
1982, n. 33. 

legge 18 aprile 1975, n. HO, art. 23, terzo comma (art. 3 della Costi� 
tuzione). 

Tribunale di Tolmezzo, ordinanza 30 gennaio 1981, n. 590, G. U. 3 febbraio 
1982, Il. 33. 
Tribunale di Rovigo, ordinanza 1 ottohre 1981. n. 717, G. U. 17 febbraio 
1982, Il. 47. 

legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 25, terzo comma (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Bassano del Grappa, ordinanza 2 luglio 1981, n. 657, G. U. 
13 gennaio 1982, n. 12. 

legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 50, secondo comma (art. 27, secondo comma, 
della Costituzione). 

Corte d'appello di Firenze, ordinanza 26 novembre 1980, n. 651/81, G. U. 
13 ,gennaio 1982, n. 12. 

legge 2 dicembre 1975, �n. 576, art. 19 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Termini Imerese, ordinanze (tre) 
:?3 marzo e 14 marzo 1981, nn. 646, 647 e 648, G. U. 10 febbraio 1982, n. 40. 

legge 22 dicembre 1975, n. 685, artt. 26, 28 e 71 (art. 3 della Costituzione). 

1'rib.nale di Macerata, ordinanza 26 giugno 1981, n. 637, G. U. 6 gennaio 
1982, n. 5. 

legge 5 maggio 1976, n. 313, art. 5 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Biella, ordinanza 14 ottobre 1981, n. 729, G. U. 13 gennaio 1982, 

n. 12. 
d.I. 10 dicembre 1976, n. 798, art. 1, terzo comma [convertito nella legge 
ti febbraio 1977, n. 16] (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Santa Maria Capua Vetere, 

orainanza 13 giugno 1981, n. 722, G. U. 17 febbraio 1982, n. 47. 


40 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.l. 28 ottobre 1977, n. 778, art. 1, secondo comma [convertito con. modif. 
nella legge 23 dicembre 1977, n. 928] (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Roma, ordinanza 12 maggio 1981, n. 663, G. U. 6 gennaio 1982, 

n. 5 
legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 7 (artt. 3, 29, 30, 31 e 37 della Costituzione). 

Pretore di Bologna, ordinanza 19 marzo 1981, n. 676, G. U. 27 gennaio 1982, 

n. 26. 
d.I. 23 dicembre 1977, n. 942, art. 1 [convertito con modif. nella legge 
27 febbraio 1978, n. 41] (artt. 3, primo comma, 36 e 38 della Costituzione). 
Pretore di Imperia, ordinanza 28 aprile 1981, n. 591', G. U. 3 febbraio 1982, 

n. 33. 
legge 27 dicembre 1977, n. 968, art. 8, quarto capoverso (art. 3 della 
Costituzione). 

Tribunale di Ravenna, ordinanze (due) 6 luglio 1981, nn..649 e 650, G. U. 
13 gennaio 1982, n. 12. 

legge 10 maggio 1978, n. 176, art. 1, primo e secondo comma (aitt. 3, 4, 42 
e 44 della Costituzione). 

Tribunale di Brindisi, ordinanza 1 luglio 1981, n. 605, G. U. 13 gennaio 1982, 

n. 12. 
legge 27 luglio 1978, n�. 392, artt. 1, 3 e 4, ultimo comma . (art. 3 della 
Costituzione). 

Giudice conciliatore di Castellammare di Stabia, qrdinanza 12 ottobre 1981, 

n. 721,. G. U. 17 febbraio 1982, n. 47. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 4, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Gragnano, ordinanza 26 giugno 1981, n. 688, G. U. 20 gennaio 1982, 

n. 19. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69, settimo comma (artt. 3 e 42 della 
Costituzione). 

Tribunale di Reggio Calabria, ordinanza 22 maggio 1981, n. 664, G. U. 13 gennaio 
1982, n. 12. 
Pretore di Vasto, ordinanza 11 giugno 1981, � n. 623, G. U. 20 gennaio 1982, 

n. 19. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69, settimo e ottavo comma (artt. 3 e 24, 
primo comma della Costituzione). 

Pretore di Civitanova Marche, ordinanza 21 luglio 1981, n. 684, G. U. 27 gennaio 
1982, n. 26. 

. I 


PARTE II, LEGISLAZIONE 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69, settimo comma, e 73 (artt. 3, primo 
comma, 41, primo comma, e 42, secondo comma della Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 7 aprile 1981, n. 645, G. U. 13 gennaio 1982, 

n. 12. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 69, settimo e ottavo comma, e 73 (artt. 3 
e 42 della Costituzione). 

Pretore di Vigevano, ordinanza 31 luglio 1981, n. 694, G. U. 27 gennaio 1981, 

n. 26. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 73 [modificato dalla legge 31 marzo 1979, 

n. 93, art. I-bis] (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Poggibonsi, ordinanza 28 marzo 1981, n. 739, G. U. 17 febbraio 
1982, n. 47. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 73 [come novellato dalla legge 31 marzo 
1979, n. 93] (artt. 3 e 42 della Costituzione). 

Tribunale di Gorizia, ordinanza 25 giugno 1981, n. 592, G.U. 20 gennaio 1982, 

n. 19. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 74 (art. 3 della Costituzione); 

Pretore di Brindisi, ordinanze �(due) 27 luglio 1981, nn. 695 e 696, G. U. 
27 gennaio 1982, n. 26. 

d.P.R. 4 agosto 1978, n. 413, art. 4 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Napoli, ordinanza 29 giugno 1981, n. 706, G. U. 27 gennaio 1982, 

n. 26. 
d.l. 26 settembre 1978, n. 576, art. 2 [convertito nella legge 24 novembre 
1978, 11. 738] (artt. 3 e 41 della Costituzione). 
Giudice conciliatore di Roma, ordinanza 12 settembre 1981, n. 697, G. U. 
27 gennaio 1982, n. 26. 

legge 21 dicembre 1978, n. 843, artt. 16 e 18 (artt. 3, primo comma, 36 e 38 
della Costituzione). 

Pretore di Imperia, ordinanza 28 aprile .1981, n. 591, G. U. 3 febbraio 1982, 

n. 33. 
d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, artt. 1, primo comma, 8, primo comma, 
11, primo comma, e 83 (artt. 2 e 3 della Costituzione). 
Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale, ordinanza 11 marzo 1981, 

n. 653, G. U. 3 febbraio 1982, n. 33. 
legge 9 febbraio 1979, n. 49, art. 4, primo comma (art. 3, primo comma 
della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale Emilia-Romagna, ordinanza 28 gennaio 
1981, n. 675, G. U. 13 gennaio 1982, n. 12. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 23 novembre 1979, n. 595 (artt. 3, 4, 42 e 44 della Costituzione). 

Tribunale di Brindisi, ordinanza 1 luglio 1981, n. 605, G. U. 13 gennaio 1982, 

n. 12. 
legge 23 novembre 1979, n. 597, art. 6, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). 


Tribunale di Roma, ordinanza 28 febbraio 1981, n. 686, G. U. 27 gennaio 
1982, n. 26. 

legge 20 marzo 1980, n. 75, art. 6, primo comma (artt. 3, primo comma, 
24, primo comma, e 103, primo comma della Costituzione). 

Pretore di Modena, ordinanza 9 giugno 1981, n. 589, G. U. 6 gennaio 1982, ,

n: 5. 
I 
I
ffi 

legge reg. Veneto 2 maggio 1980, n. 40, art. 93 (artt. 3, 25 e 134 della 
Costituzione). 


Pretore di Portogruaro, ordinanza 16 giugno 1981, n. 689, G. U. 27 gennaio 
1982, n. 26. 


legge 29 luglio 1980, n. 385, art. 1 (art. 42, tei;zo comma della Costituzione). 

Corte d'appello di Torino, ordinanza 19 giugno 1981, n. 609, G. U. 20 gennaio 
1982, n. 19. 


legge 29 luglio 1980, 11. 385, artt. 1, 2 e 3 (artt. 3, 42, terzo comma, e 53 della 
Costituzione). 


Corte d'appello di Lecce, ordinanza 4 maggio 1981, n. 665, G. U. 20 gennaio 
1982, n. 19. 


legge 20 settembre 1980, n. 576, art. 22 (artt. 2, 3 e 38 della Costituzione). 

Pretore di Lucca, ordinanza 17 ottobre 1981, n. 731, G. U. 17 febbraio 1982, 

n. 47. 
legge 16 dicembre 1980, n. 858 (art. 25 della Costituzione). 

Pretore di Pistoia, ordinanze (tre) 19 maggio 1981, nn. 627, 628 e 629, G. U. 
20 gennaio 1982, n. 19. 


legge 16 dicembre 1980, n. 858 (art. 25, secondo comma della Costituzione). 

Pretore di Arezzo, ordinanza 8 luglio 1981, n. 679, G. U. 27 gennaio 1982, 

n. 26. 
legge 16 dicembre 1980, n. 858, artt. 1 e 3, primo comma (art. 25, secondo 
comma della Costituzione). 


Pretore di Pistoia, ordinanza 24 giugno 1981, n. 701, G. U. 10 febbraio 1982, 

n. 40. 

PARTE II, LEGISLAZIONE 4J 

Pretore di Pistoia, ordinanza 11 luglio 1981, n. 702, G. U. 10 febbraio 1982, 
Il. 40. 

Pretore di Pistoia, ordinanza 30 luglio 1981, n. 700, G. U. 10 febbraio 1982, 

n. 40. 
legge 12 marzo 1981, n. 58, art. 2 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Napoli, ordinanza 20 maggio 1981, n. 652, G. U. 13 gennaio 1982; 
Il. 12. 

legge 14 novembre 1981, n. 648, art. 3 (!. costit. n. 3/48, art. 3, lett. p). 

Presidente giunta regionale Friuli-Venezia Giulia, ricorso i8 dicembre 1981, 

n. 67, G. U. 6 gennaio 1982, �l. 5. 
legge 14 novembre 1981, n. 648, art. 3, secondo, terzo, quarto, quinto e sesto 
comma. 

Presidente giunta regionale Sardegna, ricorso 24 dicembre 1981, n. 68. 

G. U. 20 gennaio 1982, n. 19. 
d.I. 20 novembre 1981, n. 663, artt. 6, 7, 8 e 9 (art. 3, lettera f), Statuto sneciale 
Sardegna). 
Presidente giunta regionale Sardegna, ricorso 29 dicembre 1981, n. 70, 

G. U. 20 gennaio 1982, n: 19. 
d.I. 20 novembre 1981, n. 663, artt. 6, 7, 8 e 9 (artt. 77, 97 e 117 della 
Costituzione). 
Presidente giunta regionale Emilia-Romagna, ricorso 2 gennaio 1982, n. 1, 

G. U. 20 gennaio 1982, n. 19. 
d.l. 26 novembre 1981, n. 677, art. 2, primo comma (artt. 117, 119 e 123 della 
Costituzione). 
Presidente giunta regionale Liguria, ricorso 6 gennaio 1982, n. 4, G. U. 
20 gennaio 1982, n. 19. 

d.l. 26 novembre 1981, n. 677, artt. 2 e 4 (artt. 115 e 119 della Costituzione). 
Presidente giunta regionale Lombardia, ricorso 8 febbraio 1982, n. 9, G. U. 
24 febbraio 1982, n. 54. 

d.l. 26 novembre 1981, n. 677, artt. 2, 4 e 5 (artt. 119, 117 e 118 della Costituzione). 
Regione Emilia-Romagna, ricorso 25 gennaio 1982, n. 6, G. U. 10 febbraio 
1982, n. 40. 

d.I. 26 novembre 1981, n. 677, art. 3 (artt. 7, 8, 54, quarto comma, Statuto 
speciale Sardegna e art. 77 della Costituzione). 
Presidente giunta regionale Sardegna, ricorso 29 dicembre 1981, n. 69, 

G. U. 20 gennaio 1982, n. 19. 

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44 RASSEGNA DELL'i\VVOCATURA DELLO STATO 

d.I. 26 novembre 1981, 11. 678, artt. 1 e 6 (artt. 117, 118, 119 e 3 della Costi� 
tuzione). 
Regione Emilia-Romagna, ricorso 25 gennaio 1982, n. 5, G. V. 10 febbraio 
1982, n. 40. 

disegno di legge approvato dall'Assemblea regionale della Sicilia il 18 dl� 
eembre 1981 (art. 17, lettera f), Statuto speciale regione Sicilia e artt. 3, 51 
e 97 della Costituzione). 

Commissario dello Stato per la regione siciliana, ricorso 5 gennaio 1982, 

n. 2, G. V. 20 gennaio 1982, n. 19. 
disegno di legge n. 142 approvato dall'Assemblea regionale della Sicilia 
il 18 dicembre 1981 (artt. 3 e 97 della Costituzione e art. 17, lettera f). dello 
statuto speciale). 

Commissario dello Stato per la regione siciliana, ricorso 5 gennaio 1982, 

n. 3, G. V. 20 gennaio 1982, n. 19. 
d.I. 22 dicembre 1981, n. 786, artt. 26, secondo e terzo comma, 27, secondo 
comma, 28, primo comma, 29 e 34 (art. 119 della Costituzione). 
Presidente giunta regionale Lombardia, ricorso 8 febbraio 1982, n. 10, 

G. V. 24 febbraio 1982, n. 54. 
d.I. 22 dicembre 1981, 11. 786, art. 34 (artt. 77 e 117 della Costituzione). 
Presidente giunta regionale Toscana, ricorso� 6 febbraio 1982, n. 8, G. V. 
24 febbraio 1982, n. 54. 

legge riapprovata il 23 dicembre 1981 dal consiglio regionale della regione 
Abruzzo (artt. 3, 97, 117 e 128 della Costituzione). 

Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 2 febbraio 1982, n. 7, G. V. 
10 febbraio 1982, n. 40. 

legge riapprovata il 15 gennaio 1982 dai consiglio provinciale della provincia 
di Bolzano (art. 9 dello Statuto speciale). 

Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 9 febbraio 1982, n. 11, G. V. 
24 febbraio 1982, n. 54.