-.. . .� �:-:--.._.. :�:���:-���:��-�.�.�. ANNO XXXIV N. l GENNAIO-FEBBRAIO 1982 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Pubblicazione bimestrale di servizio ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO ROMA 1982 ABBONAMENTI ANNO L. 25.600 UN NUMERO SEPARATO � . . . � � � . . . . . . . . . � . . � � 4.700 Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma e/e postale n. 387001 Stampato in Italia -Printed in Italv Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 (3219096) Roma, 1981 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato P.V. Il.Jt. X� - I i INDICE Parte prima: GIURISPRUDENZA Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura del/'avv. Franco Favara}. . . . . . . . . . pag. 1 Sezione seconda: GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE (a cura del/'avv. Oscar Fiumara) . . � 44 fiezione terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE (a cura degli avvocati Carlo Carbone, Carlo Sica e Antonio Cingolo} . . . . . . . � 7 6 Sezione quarto: GIURISPRUDENZA CIVILE (a cura degli avvocati Adriano Rossi e Antonio Catricol�} . . . . . . � 91 Sezione quinta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA {a cura del/' avv. Raffaele Tamiozzo} . . . . . . � Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA [a cura dell'avvocato Carlo Baf�le) . . . . . . . . . . . � 121 ~ezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI (a cura degli avvocati Sergio Laporta, Piergiorgio Ferri e Paolo Vittoria} . . . � 193 Sezione ottava: GIURISPRUDENZA PENALE (a cura degli avvocati Paolo di Tarsia di Be/monte e Nicola Bruni} 212 Parte seconda: QUESTIONI -LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO CONSULTAZIONI -NOTIZIARIO QUESTIONI � ............. pag. 1 LEGISLAZIONE � 27 La pubblicazione � diretta dall'avvocato: UGO GARGIULO CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AVVOCATURE Avvocati Glauco NoRI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Giovanni CoNTU, Cagliari; Francesco GUICCIARDI, Genova; Marcello DELLA VALLE, Milano; Carlo BAFILE, L'Aquila; Giuseppe Orazio Russo, Lecce; Nicasio MANCUSO, Palermo; ~occo BERARDI, Potenza; Maurizio DE FRANCHIS, Trento; Paolo SCOTTI, Trieste; Giancarlo MAND�, Venezia. ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI F. FAVARA, Il primo centenario dell'Avvocatura dello Stato spagnola Il, 1 G. STERI, Considerazioni sul diritto di propriet� nella normativa sull'edificabilit� dei suoli . . . . . . . . . . . . . . . . . Il, 5 per crii:terii determinati per leggie -Hilegittimit� costituzional1e, 1. equi\'aliente a �restrizioni quaintita� tive 1aihl'importa2lione -Denominazllio� per crii:terii determinati per leggie -Hilegittimit� costituzional1e, 1. equi\'aliente a �restrizioni quaintita� tive 1aihl'importa2lione -Denominazllio� PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA ACQUE -Riicorsi avverso !hl piiaino regolatore genel:'ale deg:lri acquiedotJti -Giunisdri2; ione ciel Tribunalie supel:'iore AA.PP., 1193. AGRICOLTURA E FORESTE -Mfiitto di fondi 1rustrici -Estensione deJJl'affiitto a tutte i1e col1ture dd fondo -Mancata deroga per i� cont1ratti -in corso -Viioliazione die~ prjindpio di eguaglri�anza, 5. APPALTO -Conconso di Enti ne!il'esecuzione dell'o; pera .pubbWica -Aggiiudica21ione Approvazione da parte deWEnte affidante -Scaden21a de1 .termine -Dirotto di �recesso deH'aggiiudioatario I. nsussristenza, 200. ARBITRATO -Compromesso e o1ausolia compromissoria -Controversie deferibili agLi 1aI1bit�ri -Riforma agran!1a -Con �troversia su1 �recesso da1' riapporito di assegnazione di terreni -Ol1auso~a compromi:s�soda -Nt111Wi1t�, 199. -Rapporto tira arbitni e g�udi!oe ammini. stnatirvo -Questione di g�urisdizione -Configurabii!.it�, 199. COMIMERCIO -Riirl'endita di giiornahl -Diiscipl~na del commenoio al minuto -Aipp1icabi' 1i�t�, 93. COMUNI -Contro111i divel:'si da quellLi di cui aLl'�art. 1130 Cost. -Presupposti di 1'egiittimi1t� costiiituzionabe -App1rova21ione de1la commissione di con1tro1Llo ila finanza looalie -A:ssenza di . i COMUNIT� EUiR:OPEE -Agricoltura -Organizzazione comune I dei mercati nel settoI'e degtlii or.tofruttioo1i -Esportiazione verso Paesi terzi -Restituzione all'esportazione Co1ndieiioni -Libem pratioa nel-Paese terzo, 44. -Agiricoilturia -011g;aniz21azione comune dei mer.aati nel] settore degld ortolirutticolii -Esportazione verso Paesi terni -Restituzione dia1l'esportazione -Dinitto sog:gettJi�vo Tute1abilit� dav.anti a1 g�udiioe mdinario, 44. -Corte di .giiusti21ia -Pronunda pnegiu1dizi �ale ai �sensi ide'IW1arit. 1Tl deil Trn1t<ato CEE -Atmbu7Jioni rispet� tihne del g�iudioe nazionaile e delllia Corte di giiustizi!a, (;l. -Corte di giustizia � Pronuncia pregiudiziale .ai sensi deM'art. 117! dd '.Prattato CEE � Questione re1aidiva a normati\'a di Stato membro diverso da queMo ove st .svotge ri!l .giudri7Jio � Almrnissibiitit� � Poteri de11l!a Corte di g;ius1iiz1a, 61. -Corte di: giustii21ia -Pronuncia pregiudi2lialie ai seinsi deM'art. 17! del T1rattato CEE � Questione re1atd�"a a normat1iva di Stato membro diverso da que!1lo ove �si svolig,e riJl giudi2lio � Chi1amaJta iin oausa delllo Stato membro diverso 1di]nan2'i ail .g�udice na2liona1e � Diritto comunitarito � Indiiffereinza, 61. -Corte di .giustizia � P1ronunO�!a preg:i:udiz~ aLe ai sensi deW.art . .177 diell tra1tato OEE � rR:khilest:a da parte dri un g.iud1ce di uno degfil Stiati membri � Pote11i dli ver.ilika dehLa Corte � Limi ti, 70. . -Libem ckcoLa2Jione dei Lavo11atmi � Vantaiggii sodaL1 � Mutui per ~a nascita di f&gili, 70. -Unione dog.anai1e � Liibem drco1a7Jione de11e merci -Misure di effetto INDICE DELLA GIURISPRUDENZA Vll ne dci prodotti -Effet1Ji. -Aceto: va11iet� -Tutel1a dci ccmsumaitori, con nota di P. G. FERRI, .53. -Unione doganale -Libem circo1Lamone del�e mel'oi -M1sUJre di ,effetto eqUJirlnailente a rest111izioni quam:tirmti!Ve a!JL'importazione -Di!Vdeto -Ecce2'1ioni -Limiti -Fa:ttrlspecie (commea:-cia1izz; az1one di aceti di oligine agrfoOl!a non di viino), con norta dli P.G. FERRI, 53. -Unione dogainaile -Liibera circOila:z;ione delle merci -Mtsure di effotto equivai}ente a restriZliolll'i quantfutative al:l'iimpoct~one -Divieto -Portata, con nota di P.iG. FERRI, 53. CORTE COSTITUZIONALE -Conf,filrtto di ,attrihuz;ione -Comimto l'egfonooe di controLlo -Non � Weg~ ttimato a solllevare conrfJl�:tto, 2. -Bmdpio di eguagihl1ainza -Via rapportato 01 nol'ma geoora!le e non a norma derogatoriJa, '5. COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA -Ube11t� di associazlione -Inquadramento ex .Jege iin assodaznone ente pUJbbJdco -Legittimit� cos,t�:tuiiionale, 35. DEJMANIO -Canoni di concessione -Natura pa� triJmoniail!e -Prescri:zione triennalie ln1aJp: i;hlcab~lit�, 203. -Demanio ma:ri1ttimo -�oncesisioni destinate a costruzioni di durata Ullr t1riannu01Le -Canone -Determina21ione, 204. -Demanio marittimo -Contestaziione suhla natUJra e sui 1confiiJni -Poteri del giudice ormnaruo, 196. ESBROPRIAZIONE PER P. U. -A21ioni di danni -Opposizione a ,st1ir ma -Con1Ve11sione -Non automaticit� -Faittrl1specie, 104. -Deoreto di esproprio -Factum supravveniens -Domanda di ru11eg,ittimiit� -Ammissi!ooliit� lin secondo grado, 104. -Dichiarnzione di pubb!Jica utiiliit� R: innovaiiione impldoita -Fa;ttiJspecie, 105�. -Espropniaztlone per opere od iintJervienti statai!Ji -Decl'eti 'successivi alla lieg.ge n. 247 dcl 1974 -Deterrndinazione dellla mdenn~t� -Criteri applikabiJhl dal giuddice deWopposi2lione a stima, con nota di S. LAPORTA, 96. -If!JLegiiitt�miit� costlituzionacr1e deWa;rt�cOl! o :16, quinto corn\ln.1a 1e dei1J',airt. 20 de!Jla legge n. 8~5 deil 19711 (mod. daihla reg.ge n. 10 del 11977) e successiva emanazione del[ia JJegge n. 385 del 1980 -Giudlizio in corso -Bffotti, 91. FAMI1GLIA -Matil:�rnonio -llispensa dal matrimonio rato e non consumato -� atto :aimm�Jn1fo;itrat1ivo canonico -Esecutivit� agili effett� civi1hl -11legiittimit� costi; tUZJiona!Le, 21. -Matr1i:monio -Trascdzione del matl1i� rnonio canonico -Pub1'Jdca2lioni anterioo 1a maitrimonio canomco -Matlri� monio contratto da minorenne -Iil:legii< ttrlmit� costitu21i<onailie, 21. GIURISDIZIONE CIVILE -Concessione det contributo previsto da11Je leggii sul Mezzogiorno -Adozlione dcl provvedimento sulb ammissir biJLit� del contni1buto e ,successiva fase dii 1.biqUJ~dazione -Posizione giu1: 1�ldJi.ca dcl ;privato -Interesse 1leg;i:ttimo -Cont1roversire -Giurisdizione amministrativa, 76. -Mancato versamento contl:-.ibuti Fonte de]1'obb1igo del versamento nel 11apporto di dmpiego -Giudschizione ammJ1nistrartiiva, 84. IMPIEGO PUBBLICO -Art. 6, secondo ,comma, dJ. n. 2611974 -Quest�one 1di costirtu21ionafilt� ! Manifesta infondatezza, 86. -Ex combattenti -CoL~ocamento a riposo -Assunzione da aLtiro ente pubbLico -rnvieto -Sus,sistenza -Estrem~. 86. LAVORO -.Riiiposo s:ettimanooe -Non fra2lionabi, Lit� de11e ventiquattJro ore, 35. vm RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO MINIERE CAVE E TOR!BIBRiE -Riegtlme generiailiizzato dii autorizzamone -�Prevemiione ad opera di deggii regi.onail!i -LegiHiimit� costituzionaile, 13. ORDINAMENTO GIUDIZIA:RIO -Referiendum �su ilieg;ge regionale o Plt'oviinciall!e -Giuc!W1o dii 1armm1ssiibitliirt� -AttI11�buzione ad mg1aino gJiucLimmo -Con illegg;e regionail!e o proVliinciail! e -i1Hegitrt1�m1�1t� co811:ituziionale, 39. P!REVIDENZA -Ente Nazio[]Ja1e per La prevenzione infortuni -Controllti -Natura -Provvedrlimenti aMliitati.W. -Difetto di po1tJere di.soreziiooo1e -Situaztionl� di ddmrtto sogg;erttiJvo -Giuri1sdizione oridtiI1JaJria -SussrustJe, 80. PROOEDIMENTO CIVILE -Delibazione di sentenza �ecaliesdasrtioa -Turtda ,g;i.1t:ll1isdiziona~e offerita dalli1'011cLiiilamento .oammico -Adeguareziia o meno -Iill!�rnfJJuenza -Cognii,ziione de] g;i.iudice statale ne1lo sipeoi.Jale processo dd deldbazi:one -Limiti Llileg; i.Mllimdt� 'costd1tuzii00Jale, 21. -&icOI'so per oassaziione -Motiw - Vdolazione dii norme s1Jartutarie di 'ent:e pubbtliico -Deduodbiildrt� -E'sarusione, 203. PROOEDJlMEiNTO PENALE -Diritto di di.fesa -Assenza dell'imputato nel diibattimento -Leg;i.tifilmo timpedimento, 18. PUBBLICA AMMINISTRAZIONE -Istituto Poligrafico -Competenza e gillurisdizione -Rapporti dii tfu:n!piego - Controvernie -Giiumsdi�one die1 g;i.udiice ammilJllis1Jmtivo -Sussiste, 79. REATO -FaJJsiit� �in atti -Presiidente i;kepresidente e dfo;ettore amimirnstm1Jivo di cooperia1Jiiva tra produttori di olio di oLiva che procedono �ai!J1e annotazioni nel registro ili liavoraziione pl'e visto dal D.L. 21-11-1967 n. 1051 -Sono pubbldm uffida1i, con nota di iN. BRUNI, 213. -'F:ail!si.Jt� dn atti -,RJegiistro di wavomzione p1rew1sto .cLail DL 21 novembre '1%7 n. 11051 -� 1art:to pubbld100 forma� mer:ute diemivativo ma sostanziiailimente migiina1e, con nota di N. BRUNI, 212. -Obb!Liga dii denunzia aiill!"autorit� di PS. di i!nfortunilio �su} i1avoro -Contmsto ne11a prognosd tm cer�tificato di pronto soccorso ospeda:liiero e quehlo di sanitario ,cLelll'INAIL -PrevaLe que91:'uil1timo, 212. -To:ufi�a 1ai danm dell'A.IM.A. -Integraziione priezzo ooiio di oliiva -Asservtimento dehle strutture di coopere, tiv,a itra produtto11i! ili Ol1ive e utlliz~ one deUe domande ded soci a 6ii1W omrnilinosi -Pumbi.J1i.t� aii sensii deWart. 840 C.P. e non dehl!'1art. 9, �comma terzo, ded D.L. 21 novembre 1967, n. 1051, COl!l nota di N. BRUNI, 212. -Truffia 1ai <famni deWA.IM.A. -Inte� grazione prezzo olio di oliva -Olio ricavato da oLivie acquiiistane presso �terzi -Non compete, con nota dii N. BRUNI, .2ili2. RESPONSABILIT� CIVILE -Occupaziione defilJllitdva di un terreno di ;proprd,et� pJJi.via�a senza iid pTewo decreto -I1mecito -CariatJtere personaile de1lia velati.va responsabdiliirt� - Triasl�eriimento ,affiJ1'ent:e bei!11efilai1ario dehl'.opem pubib11ica -lnammiis�siibiiLit�, 94. SICILIA -Sospensione provvi,soma dai pubblici uffiici -Componente del Consig;liio (o Assemb~ea xegionaile) -Inapp~iJoabdilii~ t� -Componente cLe1ba Giunta regionale -Appllfoabi11it�, 9. TRI'BUTI ERARIALI DIRETTI -Acceritamento -Motivazione -Metodo induttivo -Preliminare verifica anaJiirtica ded 1redcLiti dkhiariati -Non � neoessari1a, :l42. -Accertamento triibutario -Motivazione -Metodo induttiivo -Uthlfa:ziazione di e~emen1Ji. 1ana1liiis1Jiai -L!iLegit1Jiimiit�, 175. INDICE DELLA GIURISPRUDENZA -Lmposte fondiiruie -Impoiste sui 11edditi agriani -Aililevamento di oav�ailiH da coJ1Sa -Non � I'kompriesa, 123. TRJ:BUTI ERARIALI INDIRETTI -Imposta di riegiistro -Acoerrita:mento cli vailore -Termine -Regiistria2ione a imposta f~ssa -Suocessd~ abrogiaarlone con effetto 11etroattivo de�lLa agevola2lione -Dec()['r=a .c:La11 pagiamento dellfimpos1Ja ;propor2l�!onaJ1e, 124. -Imposta di regilstro -SJmllllrurlone Sentenza -Tass0Jbi1Lilt� oome retrocessdone -U1teriiorre tmsforimenito a fiavore 1dd .ter2lo -Autonoma tassa'.llioine, 148. -Imposta gieneraJ!e sufil'.ent11ata -Esportazione e [;fliimpor1Jazionie -Restituzione e �riilmborisd, 44. TRlJBUTI (IN GENERE) -Acoe111lamento t111bu1Jario -Notificazione -Pei:isona gihwilddca -Consegna a persona rinvenuta presso ~a sede Si presume dnoarriioota dell1a 1ri1cez;ione <WL1'iatto, Bl. -Contenooso tributario -Azione di �mero accertamento -Imposte indir, ettie -Impropombiillh� anteriormente ailil'acoerta:mento -Converisfone de~La domanda -Decaden2la per decorso del temn�ne -Non si verifica, 167. -Conrbenzioso tl'ibutario -E�stimazione sempldce -Nozione -Sussistenza dei! presupposto -Vi � compresa, 1152. -Conten.Ziioso t11iibutario -Giiud�cato par:lliai1e -Statuiziione ohe 1costiituilsce �il necessario prresuPiPosto dd �11ltra - Impuginamone -Si estende -Impugnazilone suilil''acoer.tamento del 1r,eddilto -Si estende 1a1L11a s1tatudziQ[le SUJ!Jle san.Ziioni per infedele diohiara: mone, 129. -Contenziioso triibutal1io -G1udi\llio dii terzo g1mdo -Acaer.1Jamento induttiivo -Veriiifiloa deli1a 1idoneirt� asit�1:1atta dei fatti ,fodioe -Cognizione dei fatti accertati .c:La!ilie commlliss1iQ[li di pr.imo e secondo gimdo -E1sc1Lusione, 142. -Contemii10so t11ibutari10 -Giud�zio dii terzo giI'ado -Bstens1ione -Questione sUJL1a natura 1agiriicolia o �edificatoria de:i suold -lndeduothi11i<t�, 11211. -Contenziloso t11ibu1Jal!1io -Giudizio di terzo grado -Estimazione semplice Fattispecie, 140. -Contenziloso tr~butario -Impugnazione di terzo gmdo -Alliternativit� Ricorso afl1la Commli:ssione centraile sospetto di inao:nmi1ssiibiilllilf:� ed iimpuginazillone alila corte d'appelilo Necessit� di .sospendere iil giiludizio illman2li da corte d'aippe!Wo, con nota d� C. BAFILE, '180. -Contenzioso T1:1iibutario -Onere deliLa proV1a -Fatto priesupposto deWobhhl1gazione -� a carico delil'Amministrazrone, 17'5. -Con1len2iioso tr~butariilo -.P1rooeddmento innanzi affilia Commi�ssione cent1:1a11e -Avv,iiso di fils�s1a2lione d'ud1enza TeI'l11�lllle -Inosservanza -NuJilliot� del1b dedsrone, 155. -Conten.Ziioso tmbutarr~o -Procedimento ilnnan\lli ai11ia Commi1s1sdone centrail: e -Domande ed eooez;iloni non �Ili: Proposte con k �deduzi.on1i del resdsitente -Devono 1essere esaminate d� uffiioo -A1:1t. 346 c.p.c. -InappHcabiJrut�, 127. -Contenzioso .t1:1ibuta11io -1RJioorso aUa Commissione centrai1e -Mo1Jiivaziione Necessit� -Motivazione � per refaziionem � -IIlliidooedt�, 1138. -Contenzioso tnibutal'io -Ricorso aJJla Commi1ssiione oenitm1e -Spedi'llione a mezzo posta -� ci11evantie La data di ri1cevimento, ,150. -Contenzioso triibutar.io -Rkrnrso alla CoI1te d'appeliLo -Anteriore proposi� zione di .J:1icorso 1lardiJvo ailiJJa Commis~ one oentm1e -N:on preoLude la propOil!ibiiJrut�, con nota di C. BAFILE, .180. -Contenziiloso trubuta11io -Rko1:1so per Cassazione -Rico!'so cumuliat�vo AmmrsS1iJbdJ! Jiit�, 133. -OcmteruJioso triilbutario -Rioonso per Cassa2ion:e -Rko11so cumu~ativo Inammissilbdl1it�,. ,13'1-. -Contenzioso tr.ibutario -Ricorso per Cassazione -Termine -Art. 327 o.p.c. Mancata partecipazione al giiudimo per nullirt� .~Le oomUJnicaziioni Inappi] llioab!i1Li1t�, 134. -Contenzioiso trii!butario -.R!icorso per Oassaziol!le -Termi1ne -Alrt. 327 c.p.c. Sii a;ppdiioa -No1Jii�iJoa delilia decisione a cura deililia segretem -Effetto incerto, 160. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I -Sogg.etiti passirv� -Responsabile di impos1la -Sodo 1i~1irmritat,amente responisabti: lie di sooiret� di persone T'I1asforma2fone deil1la Societ� -Consenso dei credirtori -Art. 2499 e.e. lrnaipp~ iJoaMlwt� ailJJ;a Frinainza, '164. -Soggietti passivi -RlesiponsabtiJle di irmposta -Sodo Hwim~tatamente responsabria1e di sooiet� dri persone - Trasfornraziione delilia Societ� -Permane �la responsabWLit� dcl socio, 1164. -V~oLaizione di rleggi :l�ina:nzi1a11ie e valutari'e -Pena pecuniada -Partecipa ziirone in sooiet� �estere senza 1l!a preven1liva autor,j.zzazirone red omessa niotl.iziWa ai comipe1len1li organi valu1Ja11i -Presodzione -Decorrenza, 189. 'I1RlrBUTI LOCALI -� Imposta focale sui redditi -lmmobi� ti s1lrumentaLi per J!'reseroizio di at1livi�lt� commerdralii -.Case costru1he dagil: i I.A,C.P -SorliO taLi -Assoggettamento alJrl'ILOR -Esclusrione, 157. r ( I I ~ I' INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE 24 '1ugl1io 1981, n. 149 . 30 luglio 1981, n. 161 . . 16 novembre '1981, n. 181 10 dicembrn 1981, n. 183 . 14 geI11IJJaiio 11982, n. 2 1 febbl'aiio 1982, n. 7 . 1 febbraio '1982, n. 9 . 2 febbraio 1982, n. 16 2 febbraio 1982, n. 11�8 4 febbraio ,1982, n. 23 16 febbraio 1982, n. 40 16 febbraio 1982, n. 43 CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE . 9 dicembrn 1981, ndlia causa 193/80 . . . . . 16 ddoembre 1981, ne~1a causa 244/80 ..... 3� Sezione, J4 gennaio 1982, nelila causa 65/&l GIURISDIZIONI CIVILI CORTE DI CASSAZIONE Sez. I, 8 gennaio 1981, n. 137 Sez. I, 12 febbraio 1981, n. 857 Sez. I, 16 febbraio 1981, n. 939 Sez. I, 28 marzo .1981, n. 1786 Sez. I, 1� apr.iile .1981, n. 1850 Sez. I, 8 apriJLe 19&1, n. 2014 Sez. I, 13 apnHe 1981, n. 2180 Sez. I, 22 aprile 1981, n. 2388 . Sez. I, 4 magg1io 1981, n. 2704 Sez. I, 7 maggio 11981, 11. 2%7 . Sez. I, 21 maggio 1981, n. 3329 Sez. I, 4 giugno 1981, n. 3609 . Sez. I, lO giugno 1981, 11. 3750 Sez. I, 10 giugno .1981, n. 3756 pag. � 2 � 5 � 9 � 5 � 13 � 18 � 21 � 21 � 35 )) 35 )) 39 pag. 53 )) 61 )) 70 pag. 121 )) 123 � 124 � 127 � 129 )) 91 )) 1131 � 93 � t133 )) '138 � 140 )) 142 � 148 � 134 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA XII Sez. I, 10 giugno 1981, n. 3757 Sez. Un., 17 giugno ,1981 n. 3945 Sez. Un. 18 giugno 1981 n. 3%7 Sez. I, 25 g1ugno 1981, n. 41128 Sez. Un., 27 giugno 1981, n. 4185 Sez. I, 2 luglio 1981, n. 4287 Sez. I, 2 lrug11io 1981, n. 4289 Sez. I, l!1 Jugllio 1981, n. 4508 Sez. Sez. Sez. Sez. Sez. Sez. Sez. Sez. Sez. Sez. I, ,II JugHo 1981, []. Un., 14 1!ugllio 19811, I, 12 ottobre 1981, Un., Un., I, 29 I, 3 I, 5 Un., 24 ottobre 1981, 26 ottobre 1981, 4510 n. 45'82 n. 5338 n. 5560 n. 5576 ottobre 11981, n. 5698 nOVTembre 1981, n 5793 novembI1e 19811, n. 5817 6 novemb!1e 1981, n. 5853 I civi1e, 6 novembre 1981, n. Sez. Un., 10 dicembre 1981, n. 6518 Sez. Sez. Sez. Sez. Sez. I, .16 dicembre 1981, n. 6651 I, .18 .gen[]ai1o 1982, n. 300 Un., 10 febbraiio 1982, n. 833 Un, 11 febbraio 1982, n 841 I, 27 febbraio 1982, n. 1267 1 5856 DELLO STATO )) 94 )) 76 )} 44 )} 150 )) 152 )) 155 )} 157 )) 160 )} 164 II )) 167 )} ,175 )} 79 I ~ )} 193 )) 1180 )} 96 )} 1.96 )) 80 )) 104 )} 199 )) 203 )) 207 )) 84 )) 86 � J.89 GIURISDIZIONI PENALI CORTE DI CASSAZIONE Sez. II, 5 gennaiio 1982, n. 36 ........ pag. 212 TRIBUNALE DI VITERBO 20 novembre 1981 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 212 PARTE SECONDA QUESTIONI Il primo centenario dell'Avvocatura dello Stato spagnola, di F. FAVARA . pag. 1 Considerazioni sul diritto di propriet� nella normativa sull'edificabilit� dei suoli, di G. STERI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 5 LEGISLAZIONE QUESTIONI DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE I. -Norme dichiarate incostituzionali pag. 27 Il. -Questioni dichiarate non fo'ndate � 29 III. -Questioni proposte . . . . . . . . � 31 PARTE PRIMA GIURISPRUDENZA SEZIONE PRIMA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE I CORTE COSTITUZIONALE, 24 luglio 1981, n. 149 -Pres. Amadei -Rel. La Pergola -Badano ed altri (avv. Pericu) e Preside~1te Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Azzariti). Comuni -Controlli diversi da quelli di cui all'art. 130 Cost. -Presupposti di legittimit� costituzionale -Approvazione della commissione di controllo per la finanza locale -Assenza di criteri determinati per legge -Illegittimit� costituzionale. (Cost., art. 130; d.P.R. 19 agosto 1954, n. 968, art. 7). L'art. 130 Cost. non abbraccia tutti i possibili controlli sugli enti locali e sugli atti da essi emanati; possono essere previsti anche altri controlli statali strumentalmente connessi a fini che, propri della collettivit� nazionale, trascendano la sfera dell'ente controllato, purch�, di volta in volta, soccorra un disposto costituzionale, in cui si radichi il fine perseguito dall'organo statale, e di cui, con il mezza del controllo, si vuole assicurare il raggiungimento. L'art. 119 Cost. consente controlli statali sulla finanza locale, l'esercizio dei quali deve per� essere regolato per legge (1). (.1-3) Le sentenze sono pubblicate in For� it., 1982, I, 15, con indicazioni di giurisprudenza e dottrina, cui adde, Realt� e prospettive dei controlli sugli enti locali territoriali, Atti del XXIV Convegno di Varenna, 1979. Si richiama, in particolare, la relazione di FAVARA (riportata anche in questa Rassegna, 1979, II, 47) ove si �, tra l'altro, ritenuto che �la Costituzione (e mi riferisco soprattutto agli artt. 125 e 130) e le leggi, .laddove attribuiscono ad un soggetto pubblico un potere di controllo sull'attivit� o sulla inattivit� di altro soggetto pubblico (specie se territoriale), senz'altro aggiungere, per ci� stesso: a) implicitamente consacrano la diversit� degli interessi delle comunit� rappresentate rispettivamente dal soggetto controllato e da quello controllante; b) affidano all'entit� controllante il compito di curare come propri interessi pubblici che sono riconosciuti compresenti, in quanto essi pure rilevanti, con gli interessi pubblici affidati alla cura dell'entit� controllata; c) riconoscono all'autorit� controllante un ambito di attribuzioni che include l'ambito delle attribuzioni dell'entit� controllata, di tal che quest'ultimo non � separato dal primo ma ne forma parte, e d) attribuiscono all'entit� controllante un potere di ingerenza nell'attivit� amministrativa dell'entit� controllata il quale si traduce in un potere 2 �����-���-����-���������������.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�:�.�:�:�Z�:�:�:"'.�Z�Z�Z�Z.-:�:�Z� RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 2 II CORTE COSTITUZIONALE, 30 luglio 1981, n. 161 -Pres. Amadei -Rel. La Pergola -Comitato regionale di controllo del Veneto, Regione Veneto (avv. Sandulli e Mazzarolli) e Presidente Consiglio dei Minist.ri (vice avv. gen. Azzariti). Corte costituzionale -Conflitto di attribuzione -Comitato regionale di controllo -Non � legittimato a sollevare conflitto. I comitati regionali di controllo sugli atti degli enti locali non sono legittimati a proporre ricorso per conflitto di competenza (2). Spetta ai comitati regionali di controllo e non anche alla commissione centrale per la finanza locale la competenza a controllare le delibere delle amministrazioni provinciali con bilanci deficitari, disponenti modificazioni ai ruoli organici del personale e alle relative norme regolamentari le quali comportino aumenti alla spesa globale di organico (3). I (omissis) Ecco, allora, il primo punto da :fissare per l'indagine rimessa alla corte: sebbene il disposto dell'art. 130 Cost. non abbracci tutti i possibili controlli sugli enti locali, o sugli atti da essi emanati, questo non significa che esso consenta d'altra parte un'indiscriminata o capillare ingerenza dello Stato nella sfera a detti enti attribuita. Dove viene in rilievo il regime di controllo, si deve anzi aggiungere, <l'autonomia dei comuni e delle province � -grazie appunto alle specifiche previsioni del citato precetto -direttamente garantita nel nostro testo fondamentale. Non si pu�, poi, trascurare la peculiarit� della specie. La contestata attribuzione della commissione integra gli estremi di un controllo di merito, e si aggiunge al controllo para!llelamente esercitato -con le modaLit� e igli effetti prescritti dalla legge n. 62 del 1953, in conformit� del dettato costituzionale, e sempre in ordine alle stesse delibere soggette di cogestione seppur ovviamente esercitato secondo modalit� particolari proprie dell'attivit� di controllo (ed eventualmente entro i limiti del controllo di sola. legittimit�) �. Un orientamento abbastanza simile � espresso nelle sentenze in rassegna, le quali per� aggiungono due precisazioni: il carattere nazionale e comunque sovra-locale dei fini deve essere, ancorch� implicitamente, riconosciuto da un precetto costituzionale; ogniqualvolta si sia in presenza di una � riserva di legge�, il controllo deve essere esercitato secondo criteri predeterminati. La confermata collocazione del comitato regionale di controllo nel novero degli organi della regione non pu� non influire, in qualche misura, sui connotati funzionali dell'attivit� da detto comitato svolta. '.�'.�'.<'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.-'.�'.�'.�'.�'.-'.�'.�'.�'.�'.�'.� .�.�.�.��:�z<�::::z -.�u.�.�.�.�r.�.�.�.r.-,-.-,-,.,..� ,..,�.�.��.�.. u ��������������� ,, '-'�'-'.-'.'.�'.�'.-'.-'.-'.�'.�'.�'.�'.'.�'.�'.�'.�'.-'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.-'.�'.�'.�'.-'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.-'.�'.-'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�:�'.�'.�'.�'.-'.�'.<�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.<�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�Z�'.-'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�Z�'.�'.�'.�'.�'.�'.-Z�:�'.�Z�'.�'.�Z;:-'.�Z-:�'.�Z�:-'.�:���� PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE all'approvazione dell'organo statale -dal competente organo deUa regione. � questo un motivo in pi� per ritenere che la sopravvivenza del controllo in esame abbisogna di un idoneo fondamento giuridico. Occorre, pi� precisamente, stabilire se la norma istitutiva della competenza stataile resista alle censure, che ne denunziano la divergenza dallo schema dei controlli, sancito in Costituzione. Il potere di approvazione deve �in questa prospettiva non soltanto strumentalmente connettersi con un fine che; proprio della collettivit� nazionale, trascenda la sfora de1l'ente controllato; � altres� indispensabile che soccorra un disposto costituzionale, in cui si radichi i1 fine perseguito dall'organo statale, e del quale, con il mezzo tecnico del controllo, si vuol assicurare 1'adempimento. (omissis) Su questi ed analoghi rHievi non �, tuttavia, il caso di indugiare. Alla stregua del criterio sopra enunciato, s'impone, infatti, l'altro e assorbente rilievo, che la disposizione censurata non �trae titolo giustificativo da alcuna norma costituzionale. Delle statuizioni invocate in proposito dal l'avvocatura -gli artt. 3, 41, terzo comma, 117 e 119, primo comma -. solo quest'ultima tocca la mater1a ed i fini specifici per cui si esercita il controllo statale: � le regioni � -essa� dispone -�hanno autonomia finanziaria nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi della Repubblica, che la coordinano con la finanza dello Stato, del!le province e dei comuni�. Senonch�, ci troviamo di fronte ad un precetto, la cui attuazione esige il rispetto della riserva di legge ivi configurata. IJ legislatore � dunque tenuto a modellare in conformit� di quest'esigenza le attribuzioni, che, ai fini contemplati dall'art. 119, sono affidate, anche in sede di controllo, agli organi statali. Il che implicava che, nella specie, istituito il potere di approvazione della commissione, ne fosse anche regolato l'esercizio, in guisa da adeguarlo alle forme e ai limiti, richioesti, ex art. 119, per una corretta configurazione del coordinamento. Il censurato testo dell'art. 7 d.P.R. n. 968 del 1954 non adotta, per�, simili cautele. La figura di controllo in esso prevista deve quindi essere ritenuta non solo anomala, o atipica, ma anche costituzionalmente illegittima, per violazione dell'articolo 130 Cost. Le considerazioni fin qui svolte sono del I'esto avvalorate da altri elementi, che possono desumersi dalla normazione successiva alla disposizione impugnata, nella quale la commissione � sotto vario rigua11do presa in considerazione. Per quel che qui interessa, basta ricordare i provvedimenti urgenti e altra disciplina della finanza focale dJ. 29 dicembre 1977, n. 946, convertito nella legge 27 febbraio 1978, n. 43; d.l. 10 novembre 1978, n. 702, convertito nella legge 8 gennaio 1979, n. 3; d.l. 7 maggio 1980, n. 153, convertito nella legge 7 luglio 1980, n. 299; d.l. 28 febbraio 1981, n. 38, convertito nella legge 23 aprile 1981, n. 153. Quanto aMe norme del citato dL del 1977, e alle altre ivi richiamate, esse pongono -sempre in funzione del contenimento della spesa pubblica -larghi e penetranti .limiti alla RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO competenza degli enti locali, in materia di organici e di assunzione del personale. Nell'art. 6 della relatiV1a legge di conversione (n. 43 del 1978) � detto, al quindicesimo comma, che la commissione mantiene (fino all'entrata in vigore della riforma della finanza locale) come unica attribuzione quella concernente le deliberazioni (diverse dalle altre, oggetto della discipilina dettata nella stessa legge), in tema di trattamento economico del personale, e delle connesse modifiche dei moli; e si aggiunge che la commissione esercita tali residue competenze nella composizione della sezione organici, qual � configurata nella norma censurata in questa sede. Comincia, cos�, a profilarsi nel nostro ordinamento una pi� attenta e circoscritta definizione delle competen'.lle attribuite alla commissione: il legislatore, pur mantenendo espressamente in vigore il contestato potere di approvazione, vuol limitarlo, con riferimento sia alla materia che ne � oggetto, sia alla sua possibile estensione temporale. (omissis) II (omissis) Quanto ai conflitti sollevati dal comitato regionale di controLlo, la corte deve subito osservare che ;l'eccezione di inammissibilit� del ricorso, proposta dall'avvocatura dello Stato, � fondata. L'ordinanzaricorso del comitato adombra, va precisato, due possibili prospettazioni della controversia instaurata avanti alla corte. Una prima ipotesi, si dice, � che � stante l'autonomia� di detto organo, .il conflitto insorga, � a livello interorganico �, fra esso e un organo dello Stato, qual � la commissione, presso il ministero dell'interno. Sotto altro profilo, tuttavia, il caso di specie potrebbe atteggiarsi come un conflitto tra l'ente regionale e l'ente Stato: con il che, si assume che tocchi alla regione Veneto di sollevarlo, ai sensi dell'art. 134 Cost. � dell'art. 39 legge 11 marzo 1953 sempre in relaziione ai motivi dedotti nell'ordinanza-ricorso. Va per� detto che 11 comitato ricorrente non � in alcun caso legit timato a promuovere il sollevato conflitto: n� �a livello interorganico � -come, per un verso, esso prospetta -perch� l'asserita autonomia della funzione di controllo non implica che si tratti di un potere dello Stato, in seno al quale detto organo sia, poi, legittimato a promuovere conflitti con gli altri poteri; e se si considera tl'altra ipotesi, perch� -come del resto si avverte nella stessa ordinanza-ricorso -il solo organo abilitato a sollevare il conflitto fra regione e Stato �, secondo legge, il presidente 1 della giunta regionale. Ci� dispensa la corte dall'occuparsi dell'altro rilievo dell'avvocatura, che concerne la tardivit� del ricorso. I ricorsi proposti dal presidente della regione Veneto .riguardano, si � detto, Ie decisioni adottate dalla commissione, in ordine ai provvedi menti delle amministrazioni provinciali sopra menzionati (nella specie concernenti le province dii Verona e Rovigo, in due distinte e successive fasi temporali). In ogni caso, quindi, il conflitto, com'� configurato, sca PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE turisce dall'esercizio di un potere dello Stato, che coesiste con il controllo autonomamente e parallelamente esercitato, in conformit� dell'art. 130 Cost., dal competente organo regionale. Le stesse delibere prov,inciali in materia di organico, alle quali 1si riferiscono i ricorsi qui considerati, sono state infatti sottoposte, per un verso al controllo del comitato, per l'altro <all'approvazione della commiss.ione. Con 1il risultato, si assume dalla ricorrente, che il diniego dell'approvazione, anche limitatamente ad una parte dei provvedimenti venuti all'esame dell'organo statale, ha non soltanto impedito all'ente deliberante di esercitare il suo potere di autonomia, ma ha altres� interferito con il funzionamento del comitato: dove, s'intende, coincidendo i provvedimenti oggetto dei rispettiv,i cont:rolli, l'organo deUa regione e quello dello Stato sono, ciascuno nell'esercizio delle proprie attribuzioni, pervenuti a divergenti risultati. Il nucleo della presente controversia sta dunque in ci�: che da1lo Stato si nega, e dalla regione si asserisce, che il potere di approvazione, da cui emanano i provvedimenti �impugnati, � compatibile con il disposto dell'art. 130 Cost. (omissis) I CORTE COSTITUZIONALE, 16 novembre 1981, n. 181 -Pres. e rel. Volterra -Meloni (avv. Cervati) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Chiarotti). Agricoltura e foreste -Affitto di fondi rustici -Estensione dell'affitto a � tutte le colture del fondo -Mancata deroga per i contratti in corso Violazione del� principio di eguaglianza. (Cost., art. 3; legge Il febbraio 1971, n. Il, art. 19). L'art. 19 della legge 11 febbraio 1971, n. 11 (nuova disciplina dell'affitto di fondi rustici), nella parte in cui estende l'affitto a tutte le colture del fondo per i contratti in corso al momento della sua entrata in vigore, contrasta con il principio di eguaglianza, in quanto equipara situazioni oggettive eteroge7Jee e non tiene adeguato conto degli interessi coinvolti. II CORTE COSTITUZIONALE, 14 gennaio 1982, n. 2 -Pres. Elia -Rel. Malagugini -Greco (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Laporta). Corte Costituzionale -Principio di eguaglianza -Va rapportato a norma generale e non a norma derogatoria. (Cost., art. 3; d.P.R. 31 maggio 1974, n. 417, art. 26). Una questione di legittimit� costituzionale per violazione del principio di eguaglianza, in presenza di un.a norma generale e di una norma dero 6 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO gatrice della prima, non pu� essere posta assumendo a termine di raffronto la norma derogatrice (1). I (omissis) La questione � fondata con riferimento al principio d'eguaglianza, in quanto la disciplina denunziata equipara situazioni eterogenee. t!. da premettere che gi� con l'art. 14 della legge 12 giugno 1962, n. 567, era emersa l'esigenza di impedire la concessione separata delle colture del suolo o del soprassuolo, ma che in tale legge, proprio ad evitare sperequazioni, era previsto che la disciplina non si estendesse ai contratti in corso, che J'esclusione di talune colture fosse ammissibile, quando rispondeva ad accertate necessit� economiche e che comunque J'estensione dell'affitto a �tutte le coltivazioni del fondo non avesse luogo; quando il contratto era di affitto per pascolo di terreni alberati e di boschi. La successiva legge 15 �settembre 1964, n. 756 (norme in materia di contratti agrari) all'art. 11 vieta la concessione separata del suolo e del soprassuolo e comunque delle colture del fondo, dichiarando nulli di pieno diritto i contratti stipulati in violazione di tale divieto, ma nel contempo dispone che tale nullit� non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto (1) La sentenza precisa in termini molto chiari un criterio di carattere generale, applicabile in molte controversie concernenti asserite violazioni del principio di eguaglianza. La Corte ha dato pit!na adesione a quanto sostenuto dall'Avvocatura dello Stato, come risulta dal brano della �narrativa� della sentenza che si riporta. �L'Avvocatura osservava anzitutto che, per una corretta applicazione del principio di eguaglianza " non � sufficiente rilevare una diversit� di trattamento per desumerne, come meccanicamente conseguenziale, la necessit� di operare una elevazione del trattamento meno favorevole al livello del trattamento pi� favorevole" ma "� necessario anche individuare il cosiddetto tertium comparationis, ossia la norma o principio generale da assumere -o perch� di immediato rilievo costituzionale o perch� pi� consono ai valori affermati anche implicitamente dalla Costituzione -come termine di riferimento indicativo del livello al quale l'eguaglianza deve essere assicurata". Nella specie, sarebbe idonea ad assumere il ruolo di misura di comparazione la norma che richiede, per il concorso a preside, il possesso di una delle lauree richieste per l'ammissione ai concorsi a cattedra nel tipo di scuola considerato (art. 26, .Jett a, prima parte); non invece la norma che ammette " gli insegnanti di educazione fisica forniti di laurea". La continuit� tra laurea richiesta per l'insegnamento e laurea richiesta per la presidenza � infatti un valore che merita di essere conservato, essendo stato costantemente ritenuto conforme all'interesse dell'istruzione pubblica che il pre� side abbia una formazione e qualificazione professionale omogenea a quella del personale docente (cfr. art. 1 d.!. C.P.S. 21 aprile 1947, n. 629, come modificato dall'art. 1 della legge 25 maggio 1962, n. 645); ed essendo d'altra parte del tutto razionale che per quest'ultimo si distingua tra tipi di laurea, perch� non tutte egualmente valide alla formazione di un buon docente ,, PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE esecuzione e aggiunge che la disciplina non si applica ai contratti in corso. La norma denunziata della legge del 1971, al contrario, unificando le diverse situazioni con efficacia retroattiva, non contempera in a:lcun modo le varie posizioni dei soggetti e contrasta col fine di stabilire equi rapporiti sociali che l'art. 44 Cost. impone primariamente in materia di propriet� terriera privata. Sintomo ulteriore dell'drragionevolezza di tale disciplina, sempre nella parte in cui riguarda i contratti fo corso, si rinviene nella circostanza che la fogge non si cura affatto di disciplinare il possibile .concorso di affittuari diversi, senza tener adeguato conto degli interessi coinvolti. (omissis) II (omissis) Il Tnibunale regionale amministrativo della Calabria dubita della legittimit� costituzionale dell'art. 26, lettera a), ultima parte, del d.P.R. 31 maggio 1974, n. 417. La disposizione di legge parzialmente denunziata cos� recita nella sua interezza: � Ai concon~i a posti di presdde della scuola media sono ammessi: a) gli insegnanti di ruolo della scuola media forniti di una delle lauree richieste per l'ammissione ai concorsi a cattedra in tale tipo di scuola, nonch� gli fasegnanti di ruolo di educazione fisica forniti di laurea�, Il giudice a quo chiamato a decidere sul <ricorso di un insegnante di ruolo di educazione tecnica neHa scuola media, escluso dalla graduatoria provinciale degli aspiranti all'incarico di preside perch� fornito di laurea, in sociologia, non compresa tra quelle richieste per l'ammissione ai concorsi a cattedra in tale tipo di scuola, ha ravvisato un possibile vizio di costituzionalit�, per contrasto con l'art. 3, primo comma, Cost., nel diverso e deteriore trattamento riservato dal legislatore a!ltl'insegnante dii educazione tecnica fornito di laurea non specifica rispetto all'insegnante di educazione fisica, munito di uguale titolo di studio; entrambi insegnanti di ruolo nella scuola media, entrambi forniti di Jaurea generica, ma escluso il primo ammesso, invece, il secondo al concorso (o alla graduatoria) ai posti di preside neHa �sct10la stessa. La questione non � fondata. Dal complesso delle disposizioni disciplinanti lo stato giuridico del personale (direttivo, ispettivo, docente e non docente) della scuola (materna, �elementare, secondaria e artistica) dello Stato � agevole dedurre il criterio generale fissato dal legisJatore sul punto specifico riguardante l'accesso alle funzioni di preside della scuola media. La regola dettata al proposito esige, oltre che l'appartenenza ai ruoli della scuola media, 8 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO il possesso di una deltle lauree richieste per l'ammissione ai concorsi a cattedre nella scuola della cui direzione si tratta. La prescrizione di cui al denunziato art. 26, lett. a) del d.P.R. n. 417 del 1974 sembra intesa a garantire, in relazione al tipo di scuola considerato, il migliore svolgimento delle funzioni CU!i il personale direttivo deve attendere, qua�:i fissate in linea generale dall'art. 6 del medesimo d.P.R. A tal fine, � stato ritenuto rilevante il possesso di una de1le lauree richieste per l'insegnamento nella medesima scuola, in quanto tale da garanmre una formazione e qualificazione professionale del preside omogenea a quella del personale docente e quindi una pi� sicura capacit� del preside stesso, che deve sovraintendere alla scuola soprattutto sotto il profilo didattico (cfr. sent. 228 del 1976), di promuovere e coordinare le varie attivit� di insegnamento, valutandone anche ,le eventuali carenze. Pi� in generale, la regola assunta cornisponde alla convinzione che non tutte le lauree sono parimenti valide per la formazione di un buon docente di un dato tipo di scuola; e, se cos� �, ad uguale se non a maggior ragione ilo stesso 'Oriterio va adottato per la formazione del preside della scuola medesima. Vero � che il giudice a quo non sembra muovere alcuna censura n� nel dispositivo, n� nella motivazione dell'ordinanza di cremissione, alla regola generale posta dal legislatore delegato del 1974 nella soggetta materia. Neppure egli denunzia -e una tale questione sarebbe stata irrilevante -l'art. 26 lettera a) ultima parte del d.P.R. n. 417 del 1974 per ci� che in esso � stabilita una deroga in favore degli insegnanti di ruolo di educazione fisica muniti di laurea quando anche diversa da quella 'richiesta per l'ammissione a concorsi di cattedra nella medesima scuola. Anzi, della norma derogatoria tanto � presupposta la Jegittimit� costituzionale che essa viene assunta a termine di riferimento nel giudizio comparativo di uguaglianza, chiedendosene l'estensione anche agli insegnanti di ruolo di altre discipline che versino nella medesima condizione e siano cio� muniti di laurea, per cos� dicre, generica. Ma una questione di legittimit�. costituzionale per viola~ione del principio di uguaglianza, in presenza di norme generali e di norme derogatorie, come nel caso in esame, in' tanto pu� porsi iin quanto si assuma che queste ultime, e cio� le norme derogatorie, poste in relazione alle prime, e cio� alle norme generali, manifestino un contrasto con l'art. 3, p11imo comma, Cost. Quando, invece, si assume a termine di raffronto del giudizio di uguaglianza la norma derogatrice, la questione cos� posta ha in realt� per oggetto la norma generale, regolatrice anche della fattispecie iudicanda, che si vorrebbe sottratta alla discip1ina, appunto, generale, con essa dettata. Detto in altre parole -e con riguardo aI profilo della rile ~: vanza nel caso di specie -la norma di cui il giudice a quo � chiamato :=:: E i & I PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 9 a fare applicazione � quella generale di cui all'art. 26, lett. a), prima parte, del d.P.R. n. 417 del 1974, che ammette aii concorsi a posti di preside della scuola media gli insegnanti di ,ruolo delle scuole stesse forniti di una delle lauree richieste per l'ammissione ai concorsi a cattedra in tale tipo di scuola media; norma generale che, per il suo contenuto, osta all'accoglimento della pretesa del ricor.rente. Ed � appena il caso di rilevare che, anche da un punto d� vista logico, il chiedere l'ammissione ai concorsi a posti di preside della scuola media degli insegnanti di ruolo forniti di una qualsiasi laurea equivale esattamente a voler cancellare, per quanto concerne il titolo di studio richiesto, l� norma generale. Ci� basta a far ritenere infondata la predetta questione di costituzionalit�, anche a prescindere dalle considerazioni sopra svolte sub 2), che comunque varrebbero ad escludere un arbitrio del legislatore -e, quindi una ti.ngiustificata differenza di trattamento -nel fissare per l'accesso ai posti di preside nella scuola media il requisito del possesso di una delle lauree richieste per l'ammissione a concorsi a cattedra 'in tale tipo di scuola. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 10 dicembre 1981, n. 183 -Pres. Elia -Rel. Paladin -Regione Sicilia (avv. De Fina) e Presidente Consiglio dei Minist11i (non costituito). Sicilia -Sospensione provvisoria dai pubblici uffici -Componente del Consiglio (o Assemblea regionale) -Inapplicabilit� -Componente della Giunta regionale -Applicabilit�. La sospensione provvisoria dai pubblici uffici � finalizzata ad evitare che dal continuato esercizio di un pubblico ufficio da parte dell'imputato possano discendere ulteriori abusi; tale misura non pu� essere disposta nei confronti di un componente di Consiglio (o Assemblea) regionale, posto che detto ufficio � coperto da piena immunit� penale, mentre pu� essere disposta nei riguardi di un componente di Giunta regionale (1). Nel ricorso introduttivo del presente giudizio si nega che spetti al pretore di Augusta, quale organo giurisdi21ionale dello Stato, � or-diinare la sospensione cautelare di propri membri al Governo ed all'Assemblea della Regione siciliana�; e, per questa parte, si chiede che la Corte annulli la sentenza del 18 febbraio 1980, con cui tale giudice ha disposto che (1) Cfr. l'ordinanza n. 94 del 1980, in questa Rassegna, 1980, 704. Il testo dell'art. 140 cod. pen. � stato sostituito dall'art. 124 della legge 24 novembre 1981, 11. 689. 10 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Salvatore Piacenti venisse sospeso, in quanto assessore regionale alla saillit� ed in quanto deputato dell'Assemblea regionaile, dall'esercizio delle funzioni governative e assembleari. L'art. 140 cod. rpen., applicato a questi effetti dal pretore di Augusta, concernerebbe � soltanto gli uffici amministrativi degli enti pubblici (Stato compreso) la cui fugzione � i:istituzionalmente aperta a qualsiasi intervento di tipo giurisdizionale secondo l'ordinamento legislativo comune �. Per contro, la sospensione dii assessori e deputaVi <regionali siciliani non sarebbe ipotizzabile � al di fuori dei casi tassativamente stabiliti dallo Statuto si:iciliano, legge costituzionale dello Stato�. (omissis) D'altro lato, non si pu� dubitare che nel caso in esame sussista la materia di un conflitto. A partire dalla sentenza n. 66 del 1964, Ja Corte ha pi� volte ritenuto che un conflitto instaurato da parte regionale sia suscettibile di trarre origine da un atto giurisdizionale, l� dove ne possa conseguire la menomazione della competen2'Ja o deM'autonomia, costituzionalmente attribuite alla Regione. Ed � precisamente in questo senso che la Sicilia ha proposto ricorso: non gi� censurando l'illegittimit� del modo in cui si � concretamente esplicata la giurisdizione del pretore di Augusta; bens� deducendo che al pretore stesso, come anche a qualsiasi altro giudice penale, sarebbe sottratta in radice -alla stregua di norme o principi di rango costituzionale, sia pure inespressi ma univocamente desumibili dallo Statuto speoiale siciliano -la facolt� di fare provvisoria applicazione di pene accessorie, nei riguardi dei titolari del pubblico ufficio di assessore o deputato regionale. Nel merito, il ricorso si fonda sulla premessa che, di fronte al potere giurisdizionale di sospensione dall'esercizio dei pubblici uffici (configurato dagli artt. 140 cod. pen. e 485 cod. proc. pel)..), deputati ed assessori della Regione siciliana siano accomunati da un'identica situazione di immunit�, implicitamente garantita dallo Statuto speciale. Ma tale .impostazione non pu� esser condivisa, per un duplice ordine di ragioni. In primo luogo, dato il principio di eguale soggezione di tutti i cittadini alla giurisdizione penale dello Stato, non � risolutiva la circostanza che fa sospensione non sia testualmente prevista -a questi effetti -da nessuna disposizione statutaria; n� gli inconvenienti che Potrebbero discendere da un troppo largo esercizio della facolt� in esame valgono ad escludere -da soli -la possibilit� che il giudice vi faccia �legittimo ricorso, quanto ai componenti del Governo e dell'Assemblea regionali. In secondo luogo, deputati ed assessori siciliani si trovano comunque in posizioni ben distinte e diversamente regolate dallo Statuto speciale, per cui l'eventualit� di una loro sospensione dall'esercizio dei ifispettivi uffici dev'essere separatamente valutata: dapprima esaminando se i componenti dell'Assemblea regionale siano costituzionalmente esentati dall'applicazione dell'art. 140 :;.'Z.�:-:.�:�.'Z�:�.�:�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�:.�.�.�.-.�.�.�:.-.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.-.�.�::.�.�.�.� --���������7�.�.�.r.� ��������� ����-.��� ����.<.'.�.�.�.�.�:�.�.�.�.�.�.'.�.�.�.�.�.�.'.�.�.�.�.�.�.'.�:.�.�.�.�.�.�.�.�::.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�:.�.'.�.�.�:.�:.�.�.�:.�.�.�.�:.�.�.�.�.�.�.�.� PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE cod. pen., per poi stabilire -nel caso affermativo -se allo stesso risultato debba pervenirsi per i componenti del Governo della Regione. Ora, per quanto concerne i deputati siciliani (ed i consiglieri regionali in genere) va ricordato anzitutto che -in base a11a generalis�sima disposizione dell'art. 48 terzo comma Cost. �iI diritto di voto non pu� essere limitato se non... per effetto di sentenza penale irrevocabile... �. Tale pre visione riguarda, testualmente, il solo elettorato att:ivo, la disciplina del quale non pu� certo esser confusa con quella pertinente alla capacit� elettorale passiva. Ma l'esigenza che gli eletti non siano privati dell'ufficio, sinch� non fatervenga una definiti.va condanna .implicante la loro interdizione, assume :anch'essa -in linea di massima -un preciso rilievo costituzionale. Come questa Corte ha sostenuto nella sentenza n. 46 del 1969, �le cause di ineleggibilit�, derogando al pl'incipiio costituzionale della generalit� del di>ritto elettorale passivo, sono di stretta interpretazione e devono comunque rigorosamente contenersi entro i limiti di quanto sia ragionevolmente indispensabile per garantire Ia soddisfazione delle esigenze dii pubblico interesse cui sono preordinate �, Ed il cr.Herio sintetizzato dalla Corte con l'assunto che � l'eleggibiilit� � 1a .regola, l'ineleggibilit� � J'ecoezione �, vale non soltanto per le cause originarie di esclusione, ma anche per le cause 1sopraggiunte, compresa l'ipotesd di provvisoria sospensione daH'esercizio delle cariche elettive. In altre parole, malgrado la citata statuizione dell'art. 48, terzo comma, non s'timponga in questo campo con la stessa assolutezza che essa presenta in tema di limitazioni dell'elettorato attivo, resta che l'interesse alla conservazione dei collegi eletti dal popolo non pu� essere sacrificato, se non in considerazione dii effettive necessit� di giustizia, rimesse alle non arbitrarie valutazioni del legislatore. Non � dunque casuale che entrambe le Camere abbiano recentemente esaminato ed approvato un testo dii legge non ancora promulgato, recante modifiche al sistema penale, con il quale si esclude fra l'altro -all'art. 124, terzo comma -l'applicabi1it� dell'art. 140 cod. pen. a carico dei titolari di � uffioi elettivi ricoperti per diretta investitura popolare�. Tuttavia, nel caso dei consiglieri regionali (non diversamente, sotto questo aspetto, che nel caso dei parlamentari), concorrono fadicazioni costitu:zJionali pi� specifiche e stringenti. Tanto i deputati siciliani (secondo l'�art. 6 dello Statuto speciale), quanto i consiglieri delle Regioni di diritto comune (in base all'analogo disposto del qual'to comma de1l'art. 122 Cost.), sono �infatti equiparati ai deputati ed ai senatori della RepubbLica, perch� insindacabili od irresponsabili �per i voti dati nell'Assemblea regionale e per le opinioni espresse nell'esercizio della loro funzione �. In vista di tale disciplina la Corte ha sostenuto (con la sentenza n. 81 del 1975) che le conseguenti �deroghe all'attuazione della funzione giurisdizionale� -ispirate come sono allo scopo di rendere �pienamente libere � le discus RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 12 sioni che abbiano comunque luogo in sede consiliare -abbracciano qualsiasi tipo di deliberazione, non soltanto legislativa e di indirizzo politico, ma anche adottata in �forma ammil1!istrativa �; ed ha pertanto affermato il difetto di giurisdizione dell'autorit� giudiziaria ad accertare .le responsabilit� penali dei consiglieri regionali, quanto ai voti espressi in seno ai Consigli. Ma, per ci� stesso, si pone ora il problema se la comprensjva immunit� funzionale da cui sono cos� tutelati i consiglierii non sia tale da escludere a priori che in questo ambito possano farsi legittimamente valere le peculiari esigenze sulle quaH si fonda l'art. 140 cod. pen. Ed al quesito si deve rispondere nel senso affermativo, riconoscendo che le ricordate norme statutarie e costituzionaLi non lasciano spazio aUa provvisoria sospensione dell'imputato dall'esercizio dell'ufficio consiliare. La Corte non ignora che l'istituto dell'applicazione provvisoria di pene accessorie ha formato e forma J'oggetto di questioni e dibattiti. concernenti la sua natura e la sua ragion d'essere. Ma, ~nche in questo campo, si possono fissare alcuni punti fermi, determinanti per la .risoluziione dell'attuale controversia. La stessa Corte si � gi� pronunciata in proposito, con la sentenza n. 78 del 1969: nella quale si chiarisce -in riferimento al secondo comma dell'art. 27 Cost. ( � l'imputato non � considerato colpevole sino alla condanna definitiva�) -che quelle previste. neH'art. 140 cod. pen. vanno ricostruite alla stre,gua � di misure cautelari, e non di sanziioni penali irrogate prima del giudizio e quasi antioipandone i risultati �. L'applicazione provvisoria di pene accessorie appare cio� finalizzata -come si suole ritenere anche in dottrina, sia pure con prospettazioni e con valutazioni fortemente eterogenee --ad evitare il pericolo che dal continuato esercizio di un pubblico ufficio (o dii una professione o di un'arte o deHa patria potest�...), da parte deWimputato di un reato imp~icante l'interdizione ai sensi degli artt. 28 ss. cod. pen., possano discendere ulteriori abusi penalmente iilleciti. In effetti, � questo il concetto che gi� si ricava sia dai lavori preparatori sia dal testo stesso dell'art. 140. Da un lato, la relazione sul progetto del codice penale osserva che si tratta di una norma avente �intenti di sicurezza� e definisce il provvedimento del tipo in esame come una � misura amministratliva �, affiancandolo alla carcerazione preventiva. D'altro lato, solo .in tal senso si spiega che l'art. 140 preveda espressamente la sospensione dall'esercizio di taluni specifici uffici, accanto all'ipotesi d'una applicazione proVV1isoria indiscriminata. Ed � appunto in questa prospet:tiva che l'art. 124, primo comma, del ricordato testo di legge in tema di modifiche al sistema penale, precisa ora che alla sospensione stessa non pu� farsi ricorso, se non �quando sussistJano specificate, inderogabili esigenze istruttorie o sia necessario impedire che il reato venga portato a conseguenze ulteriori �. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Ci� basta per concludere che la norma in questione non pu� comportare la sospensione dall'esercizio dell'ufi�icio di consigliere regionale, per l'ovvia ragione che detto uffioio -in s� considerato -risulta coperto da una piena immunit� penale; sicch� la provvisoria privazione non potrebbe svolgere, in tal caso, la funzione caute~are che le � propria. (omissis) Viceversa, nessuna delle ragioni utilizzabiH per escludere la provvisoria sospensione dei' deputati regionaLi siciliani vale a risolvere nel medesimo senso il cor11ispondente problema relativo aglii assessod. Anche .in Sicilia, i componenti deUa Giunta regionale sono ormai sottoposti al comune ordinamento processuale penaie, da quando la Corte ha dichiarato -con la sentenza n. 6 del 1970 -l'illegitmmit� costituzionale degLi artt. 26 e 27 dello Statuto speciale siciliano. E la ricordava sentenza n. 81 del 1975 ha d'altronde chiarito, in termini che non potrebbero non riferirsi a qualsiasi Regione, che J'irresponsabilit� dei consiglieri non si estende a coprire le funzioni della. Giunta, perch� non lo consentano la lettera dell'art. 122 Cost. e la ragion d'essere di tale immunit�. (omissis) P.Q.M. 1) dichiara che non spetta agli organi giurisdizionali dello Stato la facolt� di sospendere provvisoriamente dall'eserci~io del loro ufficio -in applicazione degli artt. 140 cod. pen. e 485 cod. proc. pen. -i deputati dell'Assemblea regionale sici1iana; e, di conseguenza, annuhla la sentenza pronunciata dal pretore di Augusta, il 18 febbraio 1980, nella parte in cui ordina che Salvatore Placenti sia provvisoriamente privato dell'esercizio del pubblico ufficio di deputato regionale; 2) dichiara che spetta agli organi giurisdizionali dello Stato Ja facolt� di sospendere provvisoriamente dall'esercizio del loro uffioio -in applicazione degli artt. 140 cod. pen. e 485 cod. proc. pen. -gli assessori della Giunta regionale siciliana. CORTE COSTITUZIONALE, 1 febbraio 1982, n. 7 -Pres. e Rel. Elia -Soc. F.lli Vudafieri (avv. Benvenulli), Olivari ed altri (avv. RomaneUi), Regione Veneto (avv. Giannini, Pancino e Viola) e Regione Lombardia (avv. Pototschnig). Miniere, cave e torbiere � Regime generalizzato di autorizzazione -Preven zione ad opera di leggi regionali � Legittimit� costituzionale. (Cost., artt. 42 e 117; I. reg. Veneto, 17 aprile 1975, n. 36, artt. 5, 16 e 18; I. reg. Lom bardia, 14 giugno 1975, n. 92, artt. 2, 3 e 22). In attesa di una legge statale contenente i principi fondamentali della materia " cave e torbiere �, la previsione con leggi regionali di un regime generalizzato di autorizzazione per la coltivazione dei giacimenti o per RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO il proseguimento delle coltivazioni in atto non pu� essere ritenuta icontrastante con gli artt. 42 e 117 Cast. (omissis) Le questioni sollevate riguardano quelle norme delle leggi regionali del Veneto e della Lombardia che hanno introdotto il regime autorizzatorio su scala generale per la coltiivazione dei giacimenti di cave e torbiere o per il proseguimento delle coltivazioni gi� in atto al momento della �entrata in �vigo1:1e delle leggi stesse. Tale innovazione contrasterebbe con l'art. 117 della Costituzione in quanto dall'or<ldnamento statale (art. 45, primo e secondo comma, del r.d. 29 luglio 1927, n. 1443 sulla ricerca e coltivazione delle miniere) si r.icaverebbe un principio della materia incompatibile con la genernlizzamone del regime autorizzatorio. Inoltre, eccessiva sarebbe la latitudine del potere discrezionale delle amrninistraZJioni regionali in ordine al rilascio delle ,autorizzazioni, specie quando il diniego di queste, nella fase precedente l'adozione dei piani regionali per l'attivit� estrattiva, risulterebbe in pratica a tempo indeterminato (e ai� in contrasto, secondo il T11ibunale amministrativo del Veneto, anche con l'art. 42 della Costituzione). Le questioni cos� proposte non sono fondate. Il thema decidendum va peraltro ricondotto alla specifica materia �cave � torbiere�, autonomamente prev.ista dall'articolo 117, primo comma, della Costituzione, tra quelle rientrantii nella competenza legislativa concorrente delle Regioni a statuto ordinario; senza che sia necessario, dunque, procedere ad una disamina delle numerose 1autorizzazioni che condizionano, nella disciplina legislatdva statuale vigente, l'inizio di attivit� economiche -iindustriali e commerciali -pur garantite dall'art. 41 della Costituzione. In questa pi� limitata prospettiva si deve ricordare quanto fu enunziato da questa Corte, e non certo in guisa di obiter dictum, nella sentenza n. 20 del 1967. In tale pronunzia si sottolineava la �comune ispirazione� della disciplina sulle cave e suhle miniere, assolvendo in entrambi i casi l'attiviit� estrattiva � a fini dii utilit� generale �; si affermava poi che �nel diritto acco11dato al proprietario del fondo sulla oava che vi affiora, si Jmmedesima una destinaZJione che lo fa divenire mezzo di realizzazione di un interesse pubblico, e sostanzJialmente lo affievolisce �; e si concludeva osservando ohe, quale che fosse la natura del diritto del privato sulla cava, questo sarebbe attribuito �con i limiti impressi dalla rilevanza pubblica del bene, e questi limiti si inseriscono nella stmttura del diritto, comunque esso si qualifichi, caratte11izzandolo nella sua giuridica essenza, vincolandolo indissolubilmente ad UJn esercizio che svolga quella funzione d';interesse generale cui la cava �, di per s�, destinata �. Tali affermazioni, poste a .sostegno della dichiaraZJione di non fondatezza della questione di legittimit� costituzionale del quarto comma dello art. 45 del r.d. 29 luglio 1927, n. 1443, non sono certo risolutive a favore del- l ~ I ..,....,..cc.J PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE aa non fondatezza delle questioni ora proposte, perch� l'interesse generale cui si riferisce questa legge delegata � senza dubbio l'interesse della produzione, app1icata alla estrazione dei materiali contenuti nei giacimenti di cava; tuttavia le proposiz.ioni citate sono significative in quanto sottolineano come, ,ancor prima dell'ingresso nell'ordinamento dell'art. 41 della Costituzione, il diritto dominicale sulla cava fosse geneticamente condiZlionato ad intra dalla tutela di un interesse pubblico, cui l'evoluzione legislativa e costituzionale potrebbe affiancare altri, diversi ,interessi della stessa natura. Del resto non va trascurato che divieti o limiti puntuali, da farsi valere in taluni casi mediante interventi preventivi di �tipo autorizzatorio, erano previsti da varie fonti normative. Cos� la regolamentazione amministrativa della attivit� cavatorfa che provochi emungimento di acque si ricava dall'art. 169 legge 20 marzo 1865, alt F (successivamente ,art. 97 del r.d. 25 luglio 1904, n. 523), dall'art. 93 del Testo unico sulle acque n. 1775 del 1933 nonch� dall'art. 104 del d.P.R. 9 aprile 1959, n. 128, che vieta gli scavi a cielo aperto in prossimit� di sorgenti, di corsi d'acqua senza opere dii difesa, di opere di difesa dei corsi d'acqua, salva l'eventuale autorizzazione del Prefetto, poi di spettanza delle Regioni secondo l'art. 1 del d.P.R. 14 gennaio 1972, n. 2 (il potere di autorizzare l'escavazione di sabbia e ghiaia nell'alveo dei corsi d'acqua � stato trasferito alle Regioni dallo art. 62, comma secondo, lett. a) del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616). Gli artt. 104 e 105 del d.P.R. n. 128 del 1959, si applicano, oltrech� ai corsi d'acqua, alle zone in prossimit� di strade o di edifici; mentre per le zone sottoposte a vincolo idrogeologico il regime autorizzatorio � disposto dall'art. 7 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3267, per quelle sottoposte a ivincolo alberghiero o forestale l'art. 62, secondo comma, lett. b del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 prevede ora che spetti alle Regioni il relativo potere di autorizzazione (altre limitazioni connesse alle boillifiche di terreni paludosi erano disposte dall'art. 133, '1ett. d del regolamento approvato con r.d. 8 maggio 1904, n. 368). N� va �t:riascurata ila possibilit�. di interventi di quest'ultimo tipo a suo tempo preVlisti dall'art. 8 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, (norme sulla protezione delle bellezze naturaLi) e dall'art. 30 del rngolamento per l'applicazione dii questa legge (r.d. 3 giugno 1940, n. 1357). Nemmeno la previsione di questi limiti, per il loro carattere puntuale (e di eventuale applicazione), potrebbe fondare il potere delle Regioni dii disporre un regime generale di autorizzazione per l'attivit� cavatoria; tuttavia, da questo insieme di disposizioni si trae pur sempre l'indicazione di una pluralit� di interessi pubblici presi in considerazione dal legislatore a proposito di coltivazione dei giacimenti di cava, interessi che non possono dunque ridursi a quello della massimizzaZJione produttiva di cui all'art. 45 del r.d. n. 1443 del 1927. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 16 Ma � con la legge 29 novembre 1971, n. 1097 (norme per la tutela delle bellezze naturali ed ambientali e per '1e attivit� estrattive nel ter.ritorio dei Colli Euganei) che fa ingresso nel nostro ordinamento il principlio secondo il quale la tutela cli un interesse pubblico, cons:idemto in relazione al!'attivJt� di coltivazione dei giacimenti di cava, pu� dar luogo a regime generalizzato di autorizzazione. E' evidente dnfatti, per qualsiasi lettore di questo testo ,legislativo, che la sottoposizione del progetto di coltivazione all'esame del sovrintendente ai monumenti (ed ora all'autorit� regiona1le) � considerato il mezzo necessario per accertare se la prosecuzione dell'attiv:it� estrattiva � risul�i �li pregiudizio all'ambient'e paesaggistico e naturale� (art. 3, ultimo comma). Si noti inoltre che �l terzo comma del citato articolo precisa nella sua ultima parte: �Resta salva, al riguardo, e per tutta la materfa afferente alle cave, la competenza della Regione ad emanare apposite norme legislative �; una formula che pare ammettere interventi regionali legislativi (e �perci� �amministrativi), ;regolanti l'attivit� estrattiva e trascendenti il quadro delJa legislazione nazionale fino allora vigente. E che non si trattasse di normativa necessariamente circoscriitta alla fattispecie territoriale dei Colli Euganei era ben rilevato da questa Corte. nella sentenza n. 9 del 1973 (n. 8 del considerato in diritto), con questa affermazione: �La Corte osserva che i tl:imitri di localizzazione della legge in esame non costituiscono trattamento singolare e differenziato da quello di situazioni che, altrove, siano ritenute, di volta in volta, sotitoponibili ad eguale tutela�. E' naturiale che, generahlzzandosi la necessit� della tutela di questo e di altri interessii pubblici rJconosciuti dall'ordinamento, si generalizzasse anche 'i!l riicorso al tipo di intervento preventivo, ritenuto dalla legge statale strumento necessario per realizzare la salvaguardia di quegli interessi. Tanto pi� che H regime autorizzatorio si presenta nelle leggi regionali del Veneto e della Lombardia non soltaJnto come mezzo dd controllo del rispetto, tra le altre, delle esigenze di ricettivit� dei territorio, di tutela dagli inquinamenti, di dimensionamento del materiale estraibile alle necessit� obbiettive di impiego del materiale estratto; ma come mezzo necessario per l'attuaZJione �cli un piano regionale di attivit� estrattiva. Pi� in particolare, dalla legge statale per la protezione dei Colli Euganei si I'icava anche che, nella valutazione deg~i interessi pubblici, il legislatore prima ed entro limi1ti ovviamente pi� ristretti l'amministratore poi possono subordinare l'interesse della produzii.one, da soddisfare con l'attivit� estrattiva, ad altri interessi pubblici, riconosciuti dall'ordinamento. N� al potere regionale di disporre legiislativamente in ordine al provvedimento di autorizza21ione in tema di aperitura di cave o di proseguimento nella loro coltivazione � di ostacolo iii. particolare regime di delega delle funzioni amministrative previste dall'art. 82 del d.P.R. n. 616 del 1977, in quanto la ratio di questa disposiizione � limi1:ata alla protezione dei beni ambientali. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Va da s� che sarebbe stato auspicabile, a fini di certezza del diritto e di disciplina pi� omogenea ne1le Regioni a statuto ordinario, che il legisilatore statale avesse da tempo adottato una legge contenente i principi fondamentali della materia (ed � lecito sper.are che le difficoLt� ii.ncontrate nell'iter legislativo possano essere liinalmente superate). Ma, in attesa di una aggiornata legislazione, non si pu� affermare che manchi, a proposito di cave e torbiere, un principio il quale consenta di dii.re rispettato J'art. 117 della Costituzione, (secondo l'a11t. 17, terzo comma, dehla legge 16 maggio 1970, n. 281), da parte delle leggi regionali Veneta e Lombardia, nelle disposizioni sottoposte al sindacato dii questa Corte. Che poi l'art. 42 della Costituzione non sia violato risulta ,chiaran1ente da qurunto � disposto nel secondo comma di questo 1articolo circa i Jimiti de11a propri.et�, in corrispondenza con il precetto dell'art. 41 della Costituzione, secondo cui l'iniziativa economica pr.ivata non pu� svolgersi fin contmsto con l'utilit� sociale. Ed il pacifico accoglimento del regime autorizzatorio per le attivlit� estrattive delle cave nelle leggi di 1alcune regioni a Statuto speciale e delle provincie autonome della Regione Trentino-Alto Adige conferma che esso non � stato ritenuto in contrasto n� con l'art. 42 dehla Costituzione n� con i principi dell'ordinamento giuridlico dello Stato (legge Regione FrtlUJLi-Venezia Giulia 16 agosto 1974, n. 42; legge Regione siciJiana 9 dicembre 1980, n. 127; legge provinciale di Bolzano 12 agosto 1976, n. 32 e legge provinciale 'di Trento 12 dicembre 1978, n. 59). Circa le censure mosse in tema di giusto procedimento, ncl senso che le leggi de quibus a1ltribUJirebbero un potere dliscrezionale troppo Iato alle auto:r�.t� regionali, � da dire che in nessun caso dovrebbe trattarsi di valutazioni Tiducibili a giudizi di oppo11tundt�; tra l'altro, la motivazione dei provvedimenti dovrebbe riferiTsi a11a tutela deglli specifici :interessi pubblici, cui ifamno esp1i�itamente cenno le l.eggi contestaite. UJteriori limiti alla discrezionaLit� degLi amministratori Tegionali dovrebbero poi disoendere daHe indioazioni del piano regionale delle attivit� estrattive, se queste riusciranno ad essere suffiaientemenre specifiche. Nell'attesa -certo non a tempo indeterminato -del piano, anche .i divieti di carattere genernle adl'apertura di nuove cave o :al proseguimento della coltivazrlone gi� in aitto dovrebbero avere una operativit� dii durata circoscr. itta, a finalit� di salvaguardia per un tempo Iimitato. Se per� il diritto vivente (e non semplici deviiamond applicative) dovesse formarsi ,in violazione del principio del giusto procedimento, esercitandosi dalllautorit� regionale pote:r�. a d:iscrezlionalit� non limitata, allora, al di J� dehle opinabili distinzioni tra carattere autorizzatorio e concessorio dei provvedimenti, muterebbero i ter:minii norma1Jivli delle questioni attualmente sottopoS<te all'esame di questa Corte (che restano invece integri, per la legge della &egione Veneto, madgrado il soprnvvenire delle leggi regionali 22 gennaio 1980, n. 5 e 20 agosto 1981. n. 50). (omissis). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 18 CORTE COSTITUZIONALE, 1� febbraio 1982, n. 9 -Pres. Elia -Rel. Mala gugini -Valmaggia (u.p.) e Presidente Consigil:io dei Ministri (avv. Stato Angelini Rota). Procedimento penale -Diritto di difesa -Assenza dell'imputato nel dibattimento -Legittimo impedimento. (Cost., art. 24; cod. proc. pen., art. 428). Contrastano con l'art. 24 Cost. l'art. 428, primo comma, cod. proc. pen. nella parte in cui non consente la sospensione o il rinvio del dibattimento dove l'imputato, gi� interrogato, si astenga dal comparire o si allontani dall'udienza per legittimo impedimento, nonch� l'art. 428, secondo comma, di detto codice, limitatamente all'avverbio �soltanto� (1). (omissis) Garanzia del contraddittorio significa che la legge deve assi� curare alle parti e -per quanto qui interessa -all'imputato la possibilit� di partecipare al dibattimento per l'esercizio della attivit� difensiva consentita, con la conseguenza che soltanto la volontaria rinuncia dell'imputato a presenziare al dibattimento, in quanto espressione di una sua libera e .incoercibile scelta difensiva pu� giustificare, sul piano costituzionale, la limitazione del contraddittorio che in tal modo si attua. A questo criterio appare ispirata la normativa Vligente per oi� che concerne l'assenza dell'imputato al .dibattimento. Cos�, il giudizio contuma� ciale, � escluso quando � provato che l'assenza dell'.imputato � dovuta ad assoluta impossibilit� di comparire per legittimo impedimento, presumendosi negli altri casi, una volta accertata la regolarit� delle notifilcazioni, .la volont� dell'imputato -che non abbia chiesto o consentito che si proceda .in sua assenza -dii non partecipare al dibattimento (artt. 497 e 498 cod. proc. pen.). Cos� una volta iniziato il dibattimento, costituisce una scelta dell'imputato detenuto rifiutare di assistervi, senza esservi cos;tJretto da una assoluta necessit� determinata da legittimo impedimento e del pari riconducibile ad un suo comportamento volontario � l'evasione da lui consumata (art. 427 cod. proc. pen.) cos� come � il suo allontanamento -temporaneo, o anche definitivo in caso di duplice espulsione, ma salvo sempre il diritto a prendere per ultimo Ja parola -per ordine del presidente, del pretore, o dJO loro assenza, del pubblico ministero (art. 434 cod. proc. pen., nel testo modificato dall'art. 9 del decreto legge 21 marzo 1978, n. 59, convertito con modificazioni nella legge 18 maggio 1978, n. 191). (1) Sul punto che il diritto � irrinunciabile � all'autodifesa � distinto dal diritto di difesa tecnica, cfr. Corte cost. n. 205 del '1971 e n. 186 del 1973. Cfr. inoltre Corte cost. n. 125 del 1979, in questa Rassegna, 1979, I, 619. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE In tutti questi casi l'imputato � rappreseDJtato dal difensore, � ad ogni effetto�, statuiscono le pertinenti disposizi�mi del cod. proc. pen. anche se in realt� la rappresentanza vale solo ai fini del termine per impugnare, di talch� l'espressione usata sta, per il resto, a .ribadire Ja intatta possibilit� dell'esercizio di attivit� difensive da parte del difensore. Dallo schema cos� riassunto, che vuole garantita all'imputato la possibi1it� di partecipare al dibattimento, dalJ.'iTI!izio alla fine e consente si proceda senza di foi solo se l'assenza sia, in modo esplicito od imp1ioito, frutto di. una sua libera scelta, o comunque idi tlil1 suo comportamento volontario, ,fuOI'iesce la norma denunziata di cui all'art. 428, primo comma cod. proc. pen., che vieta la sospensione o 1il 11invi�O del dibattimento quando l'imputato, libero, si allontana daH'udienza o si astiene dal comparire, in qualsiasi momento dopo l'interrogatorio; norma che, per giurisprudenza costante, 'in coerenza con il disposto del secondo comma dehl'articolo medesimo, per l'uso dvi fatto dell'avverbio � soltanto�, viene interpretata nel senso che essa comporta per il giudice un vero e proprio divieto di sospendere o rinviare il dibattimento anche se e quando sia stato accertato -attrave11so la Libera valutazione operiata dal giudice stesso della relativa prova -che l'imputato libero e gi� interrogato si rtrova nella assoluta 1impossibilit� di essere presente per legittimo impedimento. La 4isposizione di legge in esame con la quale, contro .il parere della Commissione parlamentare, venne modificato il sistema del codice del 1913 (che dava facolt� al giudice, nella fattispecie considerata, di sospendere o rinviare il dibattimento per � giusti motivi �) fu giustif\icata (nella rela:ziione al re sul nuovo codice di procedura penaile, n. 138) con ['dntento di ev.itare ritardi � non necessari � allo svolgimento del processo, sulla base dell'assunto per cui �dopo aver reso l'interrogatorio, l'imputato, di regola, non ha altro da dire, che l'attivit� lll.erente alla difesa viene esercitata dal �difensore�. E' chiaro, per quanto si � sdn qui detto, che una affermazione del genere, se pu� trovare riscontri neLla praitfoa giudiziaria, esprime una concezione estremamente riduttiva del1a partecipazione personale dell'imputato al dibattimento,� che deroga a1la regola generale dettata, per questa parte, dallo stesso codice processuale penale e che si pone dn netto contrasto non solo e non tanto con i mutamentd intervenuti nei live11i culturali e nei rapporti sociailii -che si riflettono nei rapporti tra cittadini e auto11H� -quanto soprattutto con il diritto di difesa nel processo penale, sotto H profilo della difesa personale, garantito dallo art. 24, secondo comma, Cost., e con la libert� della scelta, appunto, difensiva che esso comporta. Ci� che l'iimputato ha (ancora) da dire dopo aver reso l'.interrogatorio, non pu� formare materia di prestlll1zione: certamente non di una presunzione formulata in termini cos� assoluti come quelli che si desumono dalla norma in questione, �che, si ripete, comporta il tassativo divieto di sospendere o r.inviare il dibattimento anche l� dove -come ad RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO esempio in caso di emergenze processuali del tutto nuove -la necessit� di consentirgli di fornire u1teriori discolpe ai fini di un pieno esercizio del diTitto di difesa appaia evidente. Ci� �Che rileva dunque, ai f�ini dell'osservanza del disposto dell'art. 24, secondo comma, Cost., � garantire all'imputato la possibiiliit� di intervenire. In un sistema che consente all'imputato di rendere l'interrogatorio anche rifliutandosi di rispondere, senza che peroi�, venga minimamente affievolita la sua facolt� di fare succesSlivamente tutte le dichiarazioni I che �ritiene opportune in sua difesa o di conferire con jJ suo difensore, I escluderlo aprioristicamente dal prosieguo del dibattimento contro fa sua volont� in ragione della impossibilit� assoluta in cui egli si :trovi, per I legittimo impedimento, di presenziare ad una udienza determinata com I ~ i porta un ingiustificato saarif�icio dello stesso diritto di difesa, neWaspetto considerato. Cevtamente, non sfugge alla Corte la esigenza -al f�ine di garantire un'ordinata amministrazione della giustizia -che � dJ. processo possa progredire verso :la decisione finale e se ne impedi1sca 1'1indefinito proI trarsi� (sentenza n. 111 del 1970). Essa tuttavda, non pu� valeve a giustif�i1 care una compressione cos� incisiva del divitto �di difesa quale quella che I discende dalla norma impugnata. Da un punto di vista pi� generale, se la J pienezza del contrnddittorio al dibattimento � condizione ottimale per t ~ lo svolgimento della funzione giurisdizionale, possono legittimamente con{~ ! sentirsi soltanto quel!le attenuazioni di siffatta gara1121ia posta -si rii.pete ~ nell'iinteresse non solo dell'imputato ma anche della .societ� -che discendano dall'incoercibilit� del diritto di difesa, espressione di un fondamenl ~ I f. tale diritto di libert�, intatto restando l'obbligo del legislatore di predisporre le condizioni che ne rendano possibile ,!'esercizio. N� si pu� condividere l'opinione per cui all'assenza dell'imputato nel j dibattimento pu� sempre e comunque supplire 1H difensore tecnico, posto che la �rappresentanza processuale affidata a quest'ultimo ex lege, volta a consentire, in assenza de1l'imputato, uno svolgimento non monologiico I del dibattimento e soprattutto al fine priatico di ieui all'art. 472, ultimo j comma, cod. proc. pen., non pu�� fuoriuscire dall'ambito dei compiti di � assistenza � tecnica cui � preposto ril professionista, quale ne possa essere l'ampiezza e l'incidenza, strettamente dipendenti, peraltro, dal tipo di I rapporto che in concreto si instaura tra i due soggetti. Ed � 1appena il caso di ricordare che J'unica ipotesi iin cui � consentito all'imputato di II farSl:i rappresentare nel giudizio dal difensore � queLla pr.evista dall'art. 125, I I secondo comma, cod. proc. pen., nella quale tuttavia, � irisevvata al giudice I ! la facolt� di ordinarne fa comparizione personale. Ulteriore dimostrazione questa della ritenuta insostituibilit� della presenza delfimputato al ,dibattimento {ribadita sotto un profilo sostanziale, dall'avt. 445, secondo comma, cod. proc. pen.) e, comunque, della Libert� e della autonomia di ogni sua scelta in proposito. {omissis). PARTE i, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE I CORTE COSTITUZIONALE, 2 febbraio 1982, n. 16 � Pres. E1ia � Rel. De Stefano -Marel:la (n.rp.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Azzaniti). Famiglia � Matrimonio � Trascrizione del matrimonio canonico � Pubbli� cazioni anteriori a matrimonio canonico � Matrimonio contratto da ~orenne � Illegittimit� costituzionale. (Cost., art. 3; legge 27 maggio 1929, n. 847, artt. 7 e 12)i Per compiere la scelta tra matrimonio civile e matrimonio canonico � necessaria la capacit� di agire, la quale si acquista con la maggiore et� o con il formale riconoscimento della idoneit� a contrarre precoce matrimonio. Contrastano con il principio di eguaglianza (art. 3 Cast.) l'art. 12 della legge 27 maggio 1929, n. 847 nella parte in cui non dispone che non si faccia luogo alla trascrizione anche nel caso di matrimonio canonico contratto da minore infrasedicenne o da minore che abbia compiuto gli anni sedici ma non sia stato ammesso al matrimonio ai sensi dell'art. 84 cod. civ., e l'ultimo comma dell'art. 7 della legge predetta nella parte in cui non dispone che l'autorit� giudiziaria decida sull'opposizione anche quando questa sia fondata sulla causa indicata nell'art. 84 cod. civ. II CORTE COSTITUZIONALE, 2 febbraio 1982, n. 18 -Pres. Elia -Rel. De Stef�ano -Oliva ed altri (avv. MelLini), Di FJilippo (avv. Barile, F.i.lippucci (avv. Mirabelli), Cioci ed altri (avv. Bemardirn), Papaleo (avv. LeJii), Gospodinoff (avv. Gismondi e Satta), e Presidente Consiglio dei Ministri (vice a\rv. gen. Stato Azzariti). Procedhnento civile � Delibazione di sentenza ecclesiastica � Tutela giurisdizionale offerta dall'ordinamento canonico � Adeguatezza o meno � Ininfluenza � Cognizione del giudice statale nello speciale processo di delibazione � Limiti � Illegittimit� costituzionale. (Cost., art. 24; legge 27 maggio 1929, n. 810; art. l; legge 27 maggio 1929, n. 847, art. 17). Matrimonio � Dispensa dal matrimonio rato e non consumato � :Il:. atto amministrativo canonico � Esecutivit� agli effetti civili -Illegittimit� costituzionale. (Cost., art. 24; legge 27 maggio 1929, n. 810; art. 1; legge 27 maggio 1929, n. 847, art. 17). Il diritto alla tutela giurisdizionale si colloca al livello di principio supremo solo nel suo nucleo pi� ristretto �d essenziale; tale qualifica non pu� estendersi ai 11ari istituti in cui esso concretamente si estrinseca e secondo le mutevoli esigenze storicamente si atteggia; pur se taluni RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO di questi istituti siano garantiti da precetti costituzionali. Ai fini di una pronuncia sull'asserito contrasto, della riserva alla giurisdizione eccle� siastica delle cause di nullit� dei matrimoni canonici trascritti agli effetti civili, con il supremo principio del diritto alla tutela giurisdi� zionale, � ininfluente una verifica dell'adeguatezza della tutela in con creto assicurata dalla giurisdizione ecclesiastica. Peraltro. sono costitu zionalmente illegittimi l'art. 1 della legge n. 810 del 1929, limitatamente all'esecuzione data al sesto comma dell'art. 34 del Concordato, nonch� il secondo comma dell'art. 17 della legge n. 847 del 1929, nella parte in cui tali norme non prevedono che alla Corte d'appello, all'atto di rendere esecutiva la sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullit� di matrimo nio canonico trascritto agli effetti civili, spetta accertare che nel proce dimento innanzi ai tribunali ecclesiastici sia stato assicurato alle parti il diritto di agire e resistere in giudizio a difesa del proprio diritto, e che la sentenza medesima non contenga disposizioni contrarie all'ordine pubblico italiano. La riserva per la dispensa dal matrimonio rato e non consumato, concretando un'alternativa alla giurisdizione dei tribunali dello Stato, non pu� sottrarsi, bench� disposta con norma concordataria, fornita quindi di copertura costituzionale, alla verifica se nel suo ambito sia egualmente assicurato il diritta alla tutela giurisdizionale; detta tutela non pu� rea lizzarsi in un procedimento, il cui svolgimento e la cui conclusione tro vano dichiaratamente collocazione nell'ambito della discrezionalit� am ministrativa, e nel quale non vengono quindi garantiti alle parti un giu dice e un giudizio in senso proprio. Pertanto, sono costituzionalmente il legittimi l'art. 1 della legge 27 maggio 1929 n. 810, limitatamente all'esecuzione data all'art. 34, commi quarto, quinto e sesto, del Concordato, e l'art. 17 della legge 27 maggio 1929, n. 847 nella parte in cui le suddette norme prevedono che la Corte d'appello possa rendere esecutivo agli effetti civili il provvedimento ecclesiastico, col quale � accordata la di. spensa dal matrimonio rato e non consumato, e ordinare l'annotazione nei registri dello stato civile a margine dell'atto di matrimonio. I (omissis) Con l'ancorare la capacit� di contrarre matrimonio di en� trambi i nubenti alla maggiore et�, e con il subordinare la possibile ammissione al matrimonio di minore che abbia compiuto i 16 anni, non soltanto alla sussistenza di gravi mothni, ma anche allo specifico accertamento della sua maturit� psico.fisica, la riforma del diritto di famiglia ha ;introdotto una sostanziale divergenza tra ordinamento statuale e ordinamento canonico per quanto concerne ila disciplina dell'aetas nubilis. Per cui ben pu� ver.ificarsi -come appunto � avvenuto nei casi che formano oggetto dei giudizi a quibus -che minore nori ammesso a contrarre matri PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE monio civile per carenza� dell'et� prescritta dalla legge dello Stato (o, se minore ultrasedicenne, per non aver chiesto ed ottenuto l'ammissione dal tribunale per i minorenni), venga, invece, dall'autorit� ecclesiastica ammesso, per avere attinto i pi� bassi limiti di et� fassati dail can. 1067 del codex iuris canonici (e malgrado la raccomandazione, rivolta nel � 2 dello stesso canone ai pastores animarum, di far rispettare i limiti di et� in uso nei diversi luoghi) a contrarre matrimoillio canoillico .e, attraverso la trasc11izione del relativo atto, acquisisca quella tondizione giuridica di coniuge che non gli � consentito conseguire attraverso ~l mat11im0Illio civile. N� in tale ipotesi si versa in quella � semplice differenza di regime riscontrabile tra matr�imonio civile e matrimonio concordatario� che -secondo quanto affermato da questa Corte con la sentenza n. 31 del '1971 -ove non importi violazione di prine�:pi supremi dell'ordinamento 1 �costituzionale, �non integra di per s� una iillegittima disparit� di trattamento � in quanto � la nortnativa concernente il matrimonio concordatario ha una sua giustificazione nell'�mbito del disposto dell'art. 7 della Costituzione �, che riserva ad essa una �copertura costituZJionail.e" (sentenza n. 1 del 1977). La questione di legittimit� costituzionale, sulla quale la Corte � ora chiama:ta a pronunciarsi, � stata infatti radicata, dai giudici che l'hanno �solleva.ta, nel ravvisato� contr�'sto con l'art. 3 della Costituzione delle norme impugnate (artt. 12 e 16 della legge matrimoniale), in quanto esse consentono che un minore �subisca le conseguenze 'di una scelta n�n liberamente e cosaientemente adottata e sia assoggettato ad una disciplina che trova giustif�icazione solo nella Hbera opzione :Era mat�rimonio religioso trascrivJbile e matrimonio civile �. Sotto il dedotto profilo, la questione si dimostra fondata, alla luce dei principi affermati da questa Corte nella sentenza n. 32 del 1971, cui fanno puntuale richiamo Ie ordJnanze di rimessione.� In quell'occasione, appunto, la Corte ha esaminato la questione che le era� stat� deferita (legittimit� costHuzional'e, in rifer.imento all'art. 3 della Costituzione, dell'art. 16 del1a legge matrimoniale, nella parte in cui, liti relazione all'art. 12 de11a stessa legge, non consentiva la impugnazione della trascrizione di matrimonio canonico celebrato da nubente che, pur non interdetto, versava tuttavia in stato di incapacit� naturale) �con riferimento non gi� alla fase della celebraz�one, bens� a quella dell'opzione effettuata in ordine rula .forina del rrito matrimoniale�. E nel riconoscete che l'art. 34 del Con�ordato �e la legge matrimoniale di attuazione, ,impegnando lo Stato a conferire effetti civili ai matrimoni disciplinati dal dirit<to oanonico, hanno introdotto �una differenziazione di trattamento giuridico per motivi di religione �, nel che si concreterebbe una �eccezione al principio di eguaglianza �, la Co:rite ha tuttavia ritenuto che .tale discriminazione non configuri una v.iolazione del ~incipio medesimo perch� � espressamente consentita da altra norma costituzionale, e cio� dall'art. 7, secondo comma"� 24 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Peraltro -ha statuito la Corite -condizione necessar.ia per poter affermare la validit� della rilevata eccezione al priincipio dii eguaglianza deve considerarsi �il possesso della piena capacit� da parte di chi procede alla scelta del �rito�. Superando perd� l'obiezione dell'asserita !impossibilit� di attribuire autonomia a taile scelna, la Corte, nella richiamata sentenza, ha affermato che �l'atto di scelta del rito assume un'autonomia non solo concettuale ma anche temporale ed obiettivamente accertabiile in quanto si concreta iin propri atti o comportamenti� e che esso riveste anche � uno specifico rilievo giuriidico allorch� d requisiti di capacit� richiesti per tal.i atti e comportamenti appadono regolati secondo criteri propri di un dato ordinamento, divergentii da quehli !invocabili per la validit� del negozio successivamente s�tipulato �. Infine, drca i criteri in base ai quaJd deve accertarsi � il possesso della piena capacit� da parte di chi procede a]Ja scelta del rito�, la Corte ha affermato che essi, �secondo i princ�pi consacrati nell'art. 17 delle preleggi�, devono essere desunti dalla legge dello Stato. Alla stregua dii quanto precede, non pu� dubitarsi che se, per il compimento dell'atto di scelta, � richiesto .U possesso della piena capacit�, come disciplinata dalla legge dello Stato, questa capacit� nnn possa essere riconosciuta -in mancanza di specifica norma che stabilisca un'et� diversa -se non a chi abbia acquistato con la maggiore et� la capacit� di agire (art. 2 del codice civile). Invero precipuo e fondamentale fatto costitutivo deHa capacit� di agire � proprio l'et�, con la quale soltanto si acquista maturit� e perci� consapevolezza delle propriie azioni. Tanto pi� allorch� si tratta della capacit� richiesta per compiere una scelta fra due negozi che nascono in distinti ordinamenti e con distdnta disciplina, ma che entrambi, sia pure per vie diverse, conducono all'dnstaurarsi, nell'ambito statuale, del vincolo matrimoniale. Di quel vincolo, cio�, la cui spiccata importanza indiv.iduale e sociale -come sii desume dai richiamati lavori pa11lamentari ha indotto dl legislatore, in sede di riforma del diritto di famiglia, a riconoscere H possesso della necessaria consapevolezza dei poteri, dei doveri e delle responsabilii.t� che esso compollta, solo nei soggetti che con la maggiore �et� si presume abbiano acquisito, at1maverso un adeguato progressivo sviluppo non solo .filsico-sessuale ma ben anche psichico, una completa maturit�. Qualora, poi, tale maturit� psico-fisica sia specificamente accertata sussistere anche in un minore che abbia compiuto i 16 anni, e sia contestualmente riiconosciuta la fondatezza dei gravi motdvi che lb inducono a contrarre precoce matrimonio, la �stessa capacit� matrimoniale in tal caso acquisita per effetto del provvedimento emanato dall'organo giudiziale competente in materia secondo Ia Jegge de1J.o Stato, abilita il minore anche a compiere la prevda scelta tra i due possibili negom matrimoniali. Scelta che, pur nella sua autonoma priorit� logica, temporale, giuridica, posta in luce nelila �Sentenza n. 32 del 1971, � nella 0i:: .. . i={: r::; PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE successiva celebrazione del matrimonio secondo �il cito prescelto che trova pur sempre compiuta e definitiva espressfone. Non pu� e non deve pertanto procedersi alla trascrizione, con ila conseguente attribuzione di effetti civili, di matrimonio canonico celebrato da persona che, per difetto dell'et� prescritta dalla legge dello Stato, non aveva fa imprescindibile capacit� dii procedere alla libera scelta tra il negozio matrimoniale disciplinato dall'ordinamento del1a Chiesa e quehlo parallelo, disciplinato dal� l'ovdinamento dello Stato. Il denUJnciato art. 12 della legge matrimoniale -la cui �tassativit�� nella elencazione delle ipotesi per le quali non pu� farsi Juogo a trascrizione, affermata in giurispruden:za e in dot� trina, � stata gi� riconosciuta da questa Corte nella pi� volte aitaita sentenza n. 32 del 1971 -non vieta, invece, la trascrizione del matrimorno canonico contratto da minore infrasedicenne, come tale assolutamente non ammissibHe al matrimorno, o da minore che abbia compiuto gli anni sedici, ma non sia stato ammesso ail matrimonio ai sensi dell'art. 84 del codice civile; da soggetti, cio�, careoo, nell'.un caso e nell'altro, di quel1a capacit� che sola avrebbe potuto consentire ad essi di esercitare liberamente e consapevolmente l'opzione per ila celebrazione del matrimonio medesimo. Ne va, dunque, dichiaraita in parte qua 1a �.llegittimit� costituzionale, per contrasto con il principio di eguaglianza, fa deroga al quale non pu� 1in tal caso ritenersi gius�tificata per effetto dell'art. 7 della Costituzione, mancando, giusta quanto affermato da questa Corte con sentenza n. 32 del 1971, �il possesso della piena capacit� da pa11te di chi procede aUa scelta del rito�. Quanto poi all'art. 16 della legge matrimoniaile, egualmente denunciato dai giudici a quibus, non occorre che ne sia dichiarata, per le stesse ragioilli, la illegittimit� costituzionale, rimanendo assorbita la relativa questione. L'art. 16, invero, dispone, al suo primo comma, che �la trascrizione del matrimonio pu� essere impugnata per una delle cause menzionate nell'art. 12 della presente legge �, Ma una volta aggiunto nell'art. 12, per effetto di questa pronuncia, .il caso della intrascrivibhlit� del matrimonio canonico contratto da minore, nei sensi di cui sopra, diviene conseguenzialmente ammessa dall'art. 16, per effetto del cennato rinvio alle � cause menzionate nell'art. 12 �, anche fimpugnativa dehla trascrizione del matrimonio suddetto. La Corte ritiene, infine, di dover far applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, in ordine all'Uiltimo comma dell'art. 7 della stessa legge matrimo111iale. Tale articolo, come noto, disciplina, insieme con iJl precedente art. 6, 1a pubblicazione civile ordinaria precedente la celebrazione del matrimonio canonico: trnttasi di quel procedimento che, quando non sia stata notificata all'ufficiale dello stato ciV'ille alcuna opposizione e nulla gli consti ostare al matrimoillio, s�. conolude con il rilascio di un certificato, in cui lo stesso uf:f�iciale �dichiara che non risulta 26 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO l'esistenza di cause, le quali si oppongano alla celebrazione di un matr1imonio va.lido agli effetti civili ,;, Se, Jnvece, gli sia stata notrnicata opposizione, nelle forme di cui all'art. 103 del codlce civile, J'ufficiale dello stato civile, a mente del secondo comma dello .stesso art. 7, �non pu� rilasciare il certil�ioato e deve comunicare a1 pa'l'roco la opposizione�, SUill'opposiZione l'autorit'� giudiziaria decide -prescrive l'ultimo comma dell'art. 7 soltanto quando questa sia fondata su alcuna delle cause indicate negli artt. 85, primo comma, e 86 del codice civile; e cio�, soltanto nei casi in cui l'opposimone sia fondata sulla circostanza che uno o entrambi i m1beriti siano interdetti per infermit� di mente o vincolati da precedente matrimonio. ln ogni altro caso iil tribunade �pronuncia sentenza di non foogo � a deliberare ,;, L'ultimo comma dell'art. 7 inwca, perci�, ile sole ipoteSii di accoglimento delJ'opposizione; �ed esse corrispondono puntualmente a quelle indicate da1l'avt. 12 per la intrascrivibilit� del matrimonio can�nico che sia stato celebrato senza essere preceduto dal r~1ascio del certificato, e per le qua!1i soltanto pu� farsi opposizione, in sede w pubblicazione post nuptias disciplinata dal successivo art. 13. Senonch�, in conseguenza della 1llegittimit� costituzionale dell'art. 12 in parte qua, dichiarata con la presente decisione, viene ad aggiungersi nello stesso art. 12 una ulteriove ipotesi di intrascrivibillt�, per 'il caso di matrimonio canoilico celebrato da minore infrasedicenne, o da minore che abbia compiuto gli �nni sedici, ma non sia stato ammesso al matrimonio fil sensi dell'art. 84 del codice civile. Mentre, per�, l'opposizione in sede di pubblicazione post nuptias potr�, a seguito della presente pronuncia e per effetto dell'espliCito rinvio all'�rt. 12 operato dal terzo comma dell'art. 13, fondarsi anche su quest'ultima causa, altrettanto non sarebbe consentito, stante .il disposto dell'ultimo comma dell'art. 7, all'opposizione in sede di pubblicazione ante nuptias. (omissis) II (omissis) Va preliminarmente ricordato che questa Corte ha gi� pm volte .affermato, a partire dalle sentenze nn. 30, 31 e 32 del 1971, che le norme del Concordato, immesse nell'ordinamento �italiano dalla legge n. 810 del 1929, pur fruendo della �copertura costituzionale� fornita dal� l'art. 7 della Costituzione, non si sottraggono al sindacato di legittimit� costituzionale, che in tal caso, peraJtro, .resta Limitato e circoscritto aJ solo. accertamento de1la loro conformit� o meno ai � principi supremi dell'ordinamento costituzionale�; accertamento, cui la Corte procede mantenendosi sempre nell'ambito de1la questione cos� come Je � stata deferita e in riferiimento a principi che siano desumibili dai parametri costituziona1i indicati dal giudice a quo. In siffatta prospettiva e nei cennati Limiti, fa Corte, appunto con la sentenza n. 30 del 1971, dichiarava non fondata la ques�tione di legittimit� PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE costuzionale avente ad oggetto, sempre per il tramite dell'art. 1 della legge n. 810 del 1929, gli stessi commi quarto, qUJinto e sesto dell'art. 34 del Concordato, del cui esame � oria invest1ta, denunciati allora � con riferimento all'art. 102, secondo comma, detlla Costituzione, in quanto cio� tribunali ecclesiastici �competentJi a pronunziarsi sulla nu1lit� dei matrimoni concordatari sarebbero giudici specia1i non previsti dailla Costituzione �stessa �. La Corte ritenne, invece, che non fosse v.iolato il principio deHa unit� della giurisdizione dello Stato, cui appare aspirato l'indicato precetto costituzionale, in quanto il �rapporto fra organi del1a giurisdizione ordinaria e organi della giurisdizione speciale deve ricercarsi nel quadro dell'ordinamento giuridico interno, al quale ,i tribunali ecclesiastici sono del tutto estranei�. Successivamente, la riserva alla cognizione esclusiva dei tribunali ecclesiastici delle controversie in materia di nullit� dei matrimoni canonici trascritti agli effetti civi1i, operata dai 11ipetuti commi quarto, quinto e sesto dell'art. 34 del Concordato, era nuovamente sottoposta aill'esame di questa Corte, in riferimento agli artt. 1, secondo comma, 3, primo comma, 11, 24, commi primo e secondo, 25, primo comma, 101, primo comma, 102, commi primo e secondo, della Costituzione. Anche questa volta la questione veniva dichiarata non fondata, con ila sentenza n. 175 del 1973. Circa l'addotta incompatibi1it� della giurisdizione dei tribunali ecclesiiastioi in subiecta materia con il principio de1la sovranit� dello Stato 1ita1iano, veniva affermato che �una inderogabilit� assoluta de1la giurisdizione statale non risulta da espresse norme della Cos1liituzione, n� � deducibile, con particolare riguardo alla materia civi>le, dai princ�pi generali del nostro �rdinamento, nel quale ipotesi di deroga sono stabilite da leggi ordinarie�. Considerava poi la Corte che � riconosciuta la compatibilit� con fil nuovo ordinamento costituzidnale di una deroga alla giurisdizione che sia razionalmente e politicamente giustificabile�, la deroga dnitrodotta dalle denunciate norme trovava appunto giustificaziione �nel comp}esso sistema che, riconoscendo effetti civili al matdmonio cos� come discipl1inato dal diritto canonico. non irrazionalmente devolve ai tribunali ecclesiastici la cognizione de11le cause di nullit� del matrimonio�. Nella pronuncia di non fondatezza cos� motivata restavano assorbiti, ad avvdso della Corte, �anche i diversi profJli dedotti dal giudice a quo con rufeliimento a~i artt. 24, 25 e 102, secondo comma, della Costituzione. Soggiungeva in proposito la Corte, in relazione all'addotta violazione del principio del giudice naturale, di cui all'art. 25 della Costituziione, che dovendosi consdderare � giudice naturale� quello �precostituito per legge�, 1tale espres�samente risultava essere il tnibunale ecclesiastico proprio in quanto designato dalle norme impugnate. Nella coeva sentenza n. 176 del 1973 la Corte poi, nel dichiarare non fondata la questione di 1egittimit� costituzionale dell'art. 2 della legge RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 1� dicembre 1970, n. 898, recante disciplina dei casi di sciog:limento del matr1imonio, sollevata ;in riferimento agili artt. 7 e 138 della Costituzione, in relazione appunto all'art. 34 del Concordato ed alla legge c:lii esecuzione n. 810 del 1929, nonch� agli artt. 5 e 17 deilla legge n. 847 dell 1929, affermava che la r1iserva di giurisdi:zJione ai tribunaLi ecclesiastici delle cause di nulHt� dei matrimoni canonici ,trascritti agli effetti civili, ed il connesso riconoscimento d:i effetti civili alle sentenze dichiarative di tale nullit�, � sono coerenti con l'impegno assunto di considerare l'atto del matrimODJio, va�lidamente sorto ne!J'�mbito de1l'o11dinamento canonico, .quale presupposto cui attribuire -dopo rl'intervenuta trascrizione -gli effetti civili�. La legtttimit� costituzionale della ll'iserva disposta dall'art. 34 del Concordato a favore della giurisdizione ecclesiastica � stata, dunque, gi� riconosciuta da questa Corte -come vien ricordato anche nella sentenza n. 1 del 1977 -in relazione a princ�pi supremi che sono stati desunti da pa:mmetr. i costituzionali in gran parte coincidenti con gli stessi parametri invocati nella presente controversia. Ai parametri suddetti i giudici a quibus fanno invero riferimento per assumere che la riiserva de qua agitur concreti, in relazione a1le peculia11i caratteristiche che diversificano il sistema processuale canonico da quello statuale, una violazione del diritto alla tutela giU!I1isdizionale. Diritto, questo, che ila Corte ha gi� annoverato � fra quelli inviolabili deM'uomo, che la Costrituzione garantisce all'art. 2 � (sentenza n. 98 del 1965), e che non esita ora ad ascrive11e tra i princ�pi supremi del nostro ordinamento costituzionale, tn cui � intimamente connesso con lo 'stesso principio di democrazia l'assicurare a tutti e sempre, per qualsiasi controversia, un giudice e un giudizio. Non pu� dunque rifiutarsi ingresso alla proposta questione intesa a ver1ificare se con tale pr1incip:io supremo contrastino le denunciate norme concordatarie, pur assdrstite da copertura costituzionale. Come gi� messo in luce dalla r1ichiamata giurisprudenza di questa Corte, ile suddette disposizioni hanno sostituito, in subiecta materia, la gi�risdizione ecclesiastica alla giurisdizione statuale. Ma lllOn per questo ne risulta vulnerato il principio supremo del cliritto alla tute1a giurisdizionale, atteso che, ndle controversie relative a�l1a nullit� di matrimoni canonici trascritti agli effettli civiJ,i, un giudice e un giudizio sono pur sempre garantiti: e si �tiiatta di organi e di procedimenti, la cui natura giurisdizionale � suffragata da una tradlizione plurisecolare. Ce:rito, non pu� negarsi che l'organizz�zione e l'esercizio della funzione gimisdizionale, in re matrimoniali, nell'ordinamento deilia Chiesa appaiono, sotto tafoni aspetti, ispirati a criteri non sempre conformi a quelli che caratterizzano J'organizzazione e l'esercizio dehla funzione giurisdizionale nell'ordinamento dello Stato; anche se il divarfo si at,tenua alla luce dei princ�pi proclamati da:Ile costituzioni e dai decretli del Concilio Vaticano II. Ma va, da un canto, ricordato che le difformit� 'traggono per lo pi� la foro ragion d'essere dalle stesse finalit� spirituali CUii � preordinato l'ord� 'i ! PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE namento della Chiesa, di quale, pur con i connotati esplicitamente rJconosciuti dal primo comma dell'art. 7 della Costituzione, si modelila nondimeno siccome un ordinamento per 'sua stessa naitura dissimile da quello dello Stato. D'altro canto, iJ diritto alla tutela giurisdimonale si colloca al dichiarato livello di principio supremo solo nel suo nucleo pi� ristretto ed essenmale, cui si � 1innanzi accennato; ma tale qualifica non pu� certo estendersi ai vari istituti in cui esso concretamente si estrinseca e secondo le mutevoli esigenze storicamente si atteggia, rpur se 'talund di questi .istituti siano gamntiti da precetti costituzionali. Con i quali Uiltimi -una vo1ta riconosciuto indenne il principio supremo -non � consentito accevtare se specificamente contrastino, in ragione della .diversa disciplina dei corrispondenti istituti del processo matrimoniale canonico, ile denunciate norme concordatarie, atteso che a questo minor livelllo opera, come pi� volte affermato da questa Corte, la copertura costituzionale dalla quale esse sono assistite. Pertanto la Corte, nel confermare la sua precedente giurisprudenza in materia, �ritiene che anche sotto :iJ. profilo esaminato dn questa occasione 1a ci.serva alla giurisdi2lione eccleSliastioa delle cause di nullit� dei maitrimonJ. canonici trascritti agli effetti civili, pur con le innegabili diver.sit� che nei va11i dstituti processuali tale giurisdizione presenta rispetto a11a giurisdizione statuale, non � incompatibile con l'orilimamento costituzionale. Detta r.iserva appare poi funzionalmente connessa alla disciplina del negozio matrimoniale canonico, cui il medesimo art. 34 del Concordato riconosce, mediante la trascrizione del relativo atto, efficacia civile. Se i:l negozio cui si attribuiscono effetti civili, nasce nell'ordinamento canondco e da questo � regolato nei suoi requisiti. di validit�, � logico corollario che le controversie sulla sua validit� siano riservate allla cognizione degli organJ. giurisdi2lionali dello stesso ordinamento, conseguendo poi le relative pronunce dichiarative della nullit� la efficacia civile attraverso lo speciale procedimento di delibazione, anch'esso strutturato dall'art. 34 del Concordato. In ci� va ravvisata 'appunto qudlla 1giustificazione razionaile e pd1itica della deroga alila giurisdizione statuale, cui questa Corte, come dianzi �ricordato, si � r.iferita nelila �sentenza n. 175 del 1973. La Tiserva 'in parola costituisce perci� uno dei cardini del vigente sistema concordatario matrimoniale, e di ci� era ben consapevole il Costituente :allorch� nel secondo comma de1l'a:rt. 7 della Costituzione ha fatto esplicita menzione dei Patti Lateranensi. N� a diversa conclusione potrebbero dndurre g1i argomenti svolti nelle ordiJI1anze di irimer,sione, secondo cui ogni rinunzia dello Stato alla propria giucisdizione postula necessariamente -ai l�ini dell'accertamento della sua compatibilit� con i principi supremi dell'orddnamento costituzionaile -[a puntuale verifica del grado di tutela asS<icuriato dal sistema giurisdizionale .ohe viene a sostituirsi a quello statuale. (omissis) RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 30 Le sentenze ecolesiastiche di nullit� del matrimonio sono, invece, soggette ad uno �speciale procedimento di delibazione affidato aHa Corte d'appello�, nel quale �l'intervento del giudice ita1iano in certa misura si realizza, sia pure con cognizione limitata� (sentenza di questa Corte n. 175 del 1973). Uaffinit�, da species a genus, che taile procedimento rivela rispetto al normale giudizio di delibazione delle sentenze straniere, qua;le disciplinato dall'art. 797 cod. proc. civ., conferma che, ai f.ini della presente pronuncia sull'asserito contrasto della riserva a1la giurisdizione ecclesiastica delle cause di nuililit� dei matrimoni canonici trascritti ag1i effetti civili, con il supremo principio del di.ritto alfa tutela giurisdizionale, sarebbe ininfluente ed esorbitante la proposta verifica del!l'adeguatezza della tutela medesima, quale in concreto. assicurata dalla giurisdizione ecolesiastica. Se poi i .limiti posti ai poterii del giudice italiano chiamato a rendere esecutiva la sentenza ecclesiastica di nullit� del matrimonio, dncidano, come ipotizza la sentenza di questa Corte n. 1 del 1977, sull'adeguatezza del!la tutela giurisdizionale, � dubbio che ricade nell'ambito della questione puntualizzata sub B), sulla quaile fa Corte passa a pronunciarsi, una volta dichiarata non fondata la questicine ,sub A). La seconda questione di legittimit� costituzionale, enunciaita sub B), �d� per scontata -�come leggesi nell'ordinanza emessa da1le Sezioni unite della Corte di cassazione -fa conformit� alla Costituzione della riserva di giul'isdizione in favore dei tribunaLi ecclesiastici e considera invece i limiti dei poteri del giudice dell'esecutivit�, quali risultano dalla consolidata interpretazione data dalla giur.isprudenza alle norme in esame�. Nella interpretazione delle denunciate norme, accolta dai giudici a quibus, la pronuncia di esecutivit� sarebbe contradd:is1Jinta da una sorta di �automaticit��. Infatti la Corte d'appello potrebbe veriflicare soltanto la rp.era regolarit� formale della documentazione proveniente dal t�riibunale della Segnatura, mentre le sarebbe precluso quailsi.asi sindacato suJ. procedimento svoltosi .innanzi al giudice ecclesiastico. In particolare dl giudice italiano non potrebbe accertare: a) l'effettivo :rispetto del contraddittorio e del diritto di difesa nel procedimento in cui � stata resa la sentenza di nullit�; b) la definitivit� di tale sentenza; e) Ja reale effettuazione, da parte deil tribunale della Segnatura, dei controlli, preV1isti dal quinto comma dell'art. 34 del Concordato, sulla osservanza nel processo matrimoniale canonico deHe norme relat1ive aHa competenza del giudice, alla citazione ed alla legittima rappresentanza o contumacia delle parti; cl) se la sentenza di nUJllit� contenga disposizioni contrarie all'ordine pubblico italiano, in contras�to con il disposto dell'art. 797, n. 7, ciel coddce di procedura civile. La Corte preliminarmente rileva ohe, ancor prima della Costituzione, autorevole dottrina contestava la tesi, seguita in giurisprudenza, della � automaticit� � della pronuncia, interpretando le norme regolatrici del PARTE I, SEZ. �I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 31 procedimento per la esecutivit� delle sentenze ecclesiastiche di nullit� di matrimoni canonici trascritti agli effetti civili (quinto e sesto comma dell'art. 34 del Concordato e art. 17 de:Lla rlegge matrimoniale), nel senso che la Corte di appello fosse tenuta ad accertare la conformit� delle sentenze medes~me ai pri.nc�pi dell'ordine pubblico. Entrata in vii.gore la Costituzione, si sottoline� in dottrina l'esigenza che l'applicazione della normati.~a concordataria si adeguasse ai princ�pi deihl'on:Linamento costituzionale, e che pertanto, in siffatta prospettiva, fil procedimento ex art. 17 deHa legge matrimoniale dovesse garantire il contraddittorio e Ja conformit� delle sentenze ecclesiastiche ai princ�pi dell'ordine pubblico. N� sono mancate negli ultimi anni sentenze, anche della Ccwte di cassazione, ispirate ad una !interpretazione de]le denunciate norme diversa da quella che costituisce ila base di partenza delle ordinanze di rimessione. Cos�, nel riflesso che 1il procedimento in parola configuri un adattamento dell'ordinario giudizio di delibazione delle sentenze straniere alla speciale materia oggetto delle norme pattizie, � stato 'ritenuto che alfa Corte d'appel:lo sono devoluti, oltre che i controlli formail:i, anche il riscontro degli adempimenti corrispondenti aUe prime quattro condi2lioni previste dall'art. 797 del codice di procedura civile, nonch� l'accertamento che la sentenza ecclesiastica non contrasti con l'ordine pubblico italiano, nei Hmiti consentiti dalla copertura costituzionale delle norme concordatarie. Peraltro, poich� tale � giurisprudenza innovatrice '" cui si rifanno alcune parti costi tuite in giudizio per concludere a favore della non fondatezza de1la questione, non pu� allo stato dirsi decisamente prevalente su quella, mantenutasi costante nell'arco dri pi� decenni, dallla quale muovono fe ordinanze di rimessione, la Corte si attiene, ai fini della pronuncia sulle denunciate norme, alfa interpretazione che di queste viene addotta dai giudici a quibus, e tra questi, in particolare, dalle Sezioni unite civili della Corte di cas sazione. In siffatti termini la questione � fondata. Le norme denunciate, interpretate come dianzi esposto, incidono profondamente e radicalmente sui poteri che in via generale sono attribuitii a!l giudice, rin correlazione con i prescritti accertamenti, alQorch� sia chiamato a dichiarare l'efficacia nell'ordinamento dello Stato italiano di sentenze emesse in ordinamenti a questo estranei. Ed invero, nehlo speciaile procedimento da esse disciplinato, la mutilazione e la vanificazione dei cennati poteri del giudice ritaHano, la preclusione di qualsiasi sindacato che esorbiti dall'accertamento de1la propria competenza e dalla semplice constata2Jione che la sentenza di nullit� 1sia anche accompagnata dal decreto deil tribllrllale della Segnatura apostolica e sia stata pronunciata nei confronti di matrimonio canonico trascritto agli effetti oivili, degradano la funzione deil procedimento stesso ad un controllo meramente formale. Cos� strutturato, nella sua concreta applicazione lo speciale procedimento di delibazione elude due fonda �����������-��ᥥ����'"��������'���� --.--,-���-�-.---,-----��r.�.�,�r.�,�,�,�,�r.�.�.�,�.�,�.�.�.�,�.�:.-.�.�,�.�.�.�,�,'.'.'.�.'.-.'.'.'�'��"�"�"�'��:� .-.��:��,�,�,-,-,-.-.-.-,-,-,-,�,�,�,-,�.�.�.�,�,�,�.�.�:,�,�.�.�,',�.".".".'.',�,� RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 32 mentali esigenze, che il giudice italiano nell'ordinario giudizio di delibazione � �tenuto a soddisfare, prima d:i dischiudere ingresso nel nostro ordinamento a sentenze emanate da organi giurisdizionali ad esso estranei: l'effettivo controllo che nel procedimento, dal quale � scaturita la sentenza, siano stati rispettati gli elementi essenZ1ia1i del diritto di agi.re e resistere a difesa dei propri diritti, e la tutela dell'ordine pubblico ita!Liano onde impedire l'attuazione nel nostro ordinftmento delle disposizioni contenute nella sentenza medesima, che siano ad esso contrarie. Sia .l'una che l'altra esigenza .si ricollegano e muovono da princ�pi, ai quaJLi si rispirano i parametri costituzionali rrnvocati dai giudici a quibus. Il diritto di agire e resistere dn giudizio a difesa dei propri di:ritti -strettamente connesso ed in parte coincidente con I�!l. diritto alila tutela giuci.sdi: ztlona:le cui si � fatto dianzi riferimento -trova fa sua base soprattutto nelil'art. 24 della Costituzione. La inderogabile tutela dell'ordine pubblico, e cio� delle regole fondamentali poste daili1a Costitu:ziione e daille leggi a base degli 'istituti giuridici in cui si articol:a l'ordinamento positivo nel suo perenne adeguarsi all'evoluzione della �societ�, � dmposta soprattutto a presidio della sovranit� de1lo Stato, quale affermata nel comma secoodo dell'art. 1, e ribadita nel primo comma dell'.art. 7 della Costituzione. Entrambi questi princ�pi vanno ascrillttl 1I1el novero dei � princ�pi supremi dell'ordinamento costituzionale�, e pertanto ad essi non possono opporre resistenza le denunziate norme, pur assistite dal1la menzi01I1ata copertura costituzionale, nella parte in cui si pongono m contrasto con i princ�pi medesimi: nella parte, cio�, .in cui non dispongono ,che dll giudice :i.italiano, nello speciale procedimento da esse disciplinato, sia tenuto a quegli accertamenti, e sia ahl'uopo munito dei relativi poteri, volti. ad assicurare H mspetto delle fondamentali esigenze dianzi indicate. Va pertanto dichiarata J'illegittim.it� costitu:ztlona:le dell'art. 1 della legge n. 810 del 1929, Limitatamente all'esecuzione data al sesto comma dell'art. 34 del Concordato, nonch� fil secondo comma dell'art. 17 della 1egge n. 847 del 1929, nella parte in cui tali norme non prevedono che alla Cor.te d'appello, all'atto di rendere esecutiva J,a sentenza ecclesiastica dichiara1liva della null!it� di matrimonio canonico trascri1lto agii effetti civii1i, spetta accertare che neil procedimento innanzi ai tribunali ecclesiastici sia stato assicurato alle par.ti il diritto di agire e l!'esistere in giudizio a difesa dei propri dinitti, e che il.a sentenza medesima non contenga disposizioni contrarie all'ordine pubblico italiano. (omissis) La Corte passa qudndi ad esaminare la questione concernente la riserva ail.la competenza dei dicaste11i ecclesiastici della concessione defila dispensa super rato et non consummato, in ordine a matr.imoniio canOIIlico trascr: itto agli effetti civili... (omissis) Rileva fa Corte �che nell'ordinamento canonico, a norma del ca:n. 1119 del Codex, � matrimonium non consummatum... dissolvitur... per dispen ;r;r;<;r;q~�~:;r;�;�;�;r;�.�;�.�.�.'��.�.� .'.�.� ��.� .� .�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.� .�.� .� .� .�,�.�.�.�,� ,� ,� .�.�:.�,�,�.�.�:.�,� ,� .�.���,� ,� ,�,� ,�,� ,� �"�"�'.�Z�" �'.�"�" ,�,�,� � �,�,�,�,�.� ���� ,�,�.�-;-:-�r. .�,�,�,�.�.�,�.�,�,�,� ,� ,�,-,�,�,�,�.�.�rer.�.-.�.-,�,�,�r.-.�"�",-,-,-,.-.-.-.-���-�� �� � ,-.-. ,-, � r.-, .-. �. � ���� �. � ����� � ��� � � � � ��� � � � �. ,. � � � � � � � � � � � � � � � � � �. � � � �. � � � ��� � � � �11t4l�1�111111r11rar11,11t11~111111111111�111�11111�� PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE sationem a Sede Apostolica ex iusta causa concessam, utraque parte rogante vel alterutra, etsi altera sit invita�. Il provvedimento di dispensa :incide sul rapporto 'e non sull'atto, in quanto scioglie con effetto ex nunc un rapporto mat:riimoniale instaurato sulla base di un matrimonio validamente contratto. La richiesta delila dispensa � direttamente rivolta al Sommo Pontefice: � per supplicem petitionem imploratur gratia ex benigna Summi Pontificis concessione obtinenda � (cfr. Instructio del 7 marzo 1972 della Congregazione per la dtlsciplina dei sacramenti). Il relativo procedimento � di competenza dell'anzidetta Congregazion�, ma l'istruttoria di norma � demandata agli Episcopi dioecesani, !�. quali provvedono ad instruere processum e a trasmettere quindi ~I proprio voto pro rei veritate alla stessa Congregazione per J.a decisione finale, che v.iene adottata con rescritto pontificio. La gi� citata Instructio avverte che � processus super matrimonio rato et non consummato non est iudicialis sed administrativus, ac proinde diff ert a processu iudiciali pro causis nullitatis matrimonii �. Pertanto, pur dando atto che H procedimento per ottenere la dispensa super rato � minuziosamente disoiplinato da apposite norme, che !'<istruttoria viene dall'Ordinario diocesano affidata ad un tribunale, con l'intervento del Def ensor vinculi e con la possibilit� per ambo J.e pam di farsi assistere da consuJ.enti, che il � voto � viene espresso sulla .base delle risuiltanze istruttorie, non pu� certo, sul!la scorta anche delile itestua1i precisazioni fornite dalla richiamata normativa, riconoscersi carattere giurisd.izionale, n� al procedimento n� al provvedimento concessivo che lo conclude. Ora le denunciate norme -con il riservare ai � dicasteri ecclesiastici � la competenza a pronunciar8d in vfa amministrativa sulla risoluzione del rappo:rito matl1imonia1e validamente instaurato, mediante un provved.imento amministrativo che, attraverso il procedimento di esecutivit� disciplinato dalle norme medesime, acquista efficacia anche 111e1l'ordinamento dello Stato, facendo cessare gli effetti civili del matl1imonio canonico regoliarmente trascritto ed incidendo cos� sulla condizione giuridica dei coniugi confiigurano un'a1ternativa alla giurisd.izione statuale.� Allo Stato, invero, appartiene -come ribadito da questa Corte con la sentenza n. 169 del 1971 -J.a disciplina del vincolo matrimoniale, derivi esso da matrimonio civile o da matrimonio cainonico trascritto agiLi effetti civili; ed ai triibunali dello Stato Ja legge 1� dicembre 1970, n. 898, ha demandato di giudicare con carattere di generalit�, tanto nei casi di � scioglimento del matrimonio contratto a norma del codice oivile)) (art. 1), quanto nei casi di � cessazione degli effetti civili � di matrimonio � celebmto con rito religioso e 'regolarmente tvascritto � (art. 2). E tra i casi per cui pu� chiedersi a ques1li tribunali � lo scioglimento o la cessazione degli degli effetti civili del matrimonio � figura anche rnpotesi che � iii matrimonio non � stato consumato� (art. 3, n. 2, lett. f della citata legge). 4 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 34 Ben vero che -secondo quanto affermato da questa Corte con 1a sentenza n. 176 del 1973, nella quale, peraltro, come gi� detto, la questione verteva sulla J.egittimit� costituzionale della legge n. 898 del 1970 e non della normativa concordataria con la quaile quest'ultima veniva messa a raffronto -la introduzione, nella legge medesima, � di una serie di cause di cessazione degli effetti civili del matriimonio concordatario lascia intatte le 111iserve dell'art. 34 del Concordato�, tra [e quali figura appunto la riserva per fa dispensa dal matrimo'.tllio rato e non consumato. Ma tale riserva, concretando un'alternativa alla giurisdizione dei tI1ibunai1i dello Stato, non pu� sottrarsi, bench� disposta con norma concordatama, fornita quindi cli copertura costituzionale, alla I1ichiesta verifica se nel suo �mhito sia egualmente assicurato quel diritto alla tutela giurisdizionale, cui questa Corte, come dianzi affermato, riconosce dignit� di supremo principio dell'ordinamento costituzionale. E fa risposta aJ quesito non pu� non essere negativa, essendo incontestabile che la tutela giurisdizionale dci diritti, pur considerata nel suo nucleo pi� ristretto ed essenziale, non possa certo reilizzarsi in un procedimento, il cui svolgimento e la cui conclu sione trovavano dichiaratamente collocazione nell'ambito della discrezio narlit� amministrativa, e nel quale non vengono quindi garantiti ahle parti urt giudice e un giudi2lio in senso proprio. A differenza di quanto si �, iinvece, constatato, nelle pagine che precedono, per le controversie relative alla nullti� dci matrimoni canonici trascritti agli effetti. civili, per ~e quali la riserva, egualmente disposta dall'art. 34 del Concordato, opera in favore di org�ni e di procedimenti aventi natura giurisdizionale. Riserva, quest'ul tima, a sostegno della quaile, per di pi�, militano le giustificazioni, dianzi ricordate, d'ordine razionale e politico, suHe quali poggia il vigente 1sistema concordatario matrimoniale, e che non possono, invece, essere egualmente addotte per la riserva alla competenza dei dicasteri ecclesiastici, ai :fini della successiva loro efficacia civile, dei provvedimenti di dispensa super rato. Infatti '1a dispensa non concerne -come g.i� si � detto -l'atto del matrimonio, bens� iii rnppol'tto matrimoniale, nel presupposto della validit� deLl'atto. La constatata violazione del supremo principio del diritto aHa tutela giuI1isdi2lionale, desunto dai parametri costituzionali !invocati dai giudici a quibus, che vuole siano in ogni caso assicurati, a chiunque e per qual siasi controversia, un giudice e un giudizio -tanto pi� a11orch� si tratti, come nehla speoie, di mutamento gim1idico non �realizzabile nel nostro ordinamento se non 1attraverso una pronuncia costitutiiva del giudice (sen t�nza n. 176 del 1973) -comporta '1a dichiara2lione della illegittimit� cost:i t�zionale delle denunciate norme, nella parte in cui le stesse prevedono che la dispensa dal matl'timonio rato e non consumato, ottenuta at1lraverso fapposito procedimento :ammin:istrativo canonico, possa produrre effetti civili nell'ordinamento defilo Stato. (omissis) PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 35 CORTE COSTITUZIONALE, 4 febbraio 1982, n. 23 -Pres. Elia -Rel. Buc ciarelli Ducci -Lembo ed altri (n:p.) e Presidente Consiglio dei Ministti (vice avv. gen. Stato Azzariti). Lavoro -Riposo settimanale -Non frazionabilit� delle ventiquattro ore. (Cot., art. 36; legge 22 {ebbraio 1934, n. 370, art. 1). La consecutivit� delle ventiquattro ore � elemento essenziale del riposo settimanale; pertanto, contrasta con l'art. 36 Cost. l'art. 1, secondo comma (numeri l; 2, 3, 4, 5, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13 e 14), nella parte in cui consente che il riposo settimanale del personale navigante corrisponda a 24 ore non consecutive. (omissis) Come questa Corte ha pi� volte affermato, fa consecutiv�it� delle ventiquattro ore � un elemento essenziale del riposo settimanale, in �quanto consente di distinguerlo e di non sovrapporlo al riposo giornaliero e a queJ:lo annuale (sentenze n. 150 del 1967 �e n. 102 del 1976). Affinch� l'interruzione del lavoro una volta alla settimana sia effettiva, per conseilltire al dipendente il recupero de1le energie fisiche e psichiche e per assicurargli un congruo periodo di tempo da destinare ad attivit� ricreative per s� e per la famig1i:a -che � Io scopo umano e sociale del precetto costituzionale -� necessario che il �riposo settimanale non coincida nem-� meno in parte con il II'iposo giornaliero, ma da questo rimanga ben distinto. Frazionare .iJ riposo settimanale (ohe deve essere di 24 ore consecutive) in modo da sovrapporre ogni frazione di �esso ail :riposo giornaliero signifilca, infatti, violare la f�ina1it� del precetto voluto dal costituente. N� con .l'affermata consecutiviit� del riposo settimanale di ventiquattro ore pu� dirsi incompatibile la paPticolare .condizione del personale di navcigaZJione per il quale possono essere predisposti adeguati turni cli riposo. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 16 febbmio 1982, n. 40 -Pres. E1ia -Rel. La Pergola -Istituto Kiirner (avv. Sorrentino) e Presidente Consi~io dei Ministri (avv. Stato Angelini Rota). Costituzione della Repubblica -Libert� di associazione -Inquadramento � ex lege � in associazione ente pubblico -Legittimit� costituzionale. (Cost., art. 18; legge 28 marzo 1968, n. 370, artt. 3, 6, 11, 12 e 15; legge 13 giugno 1969, n. 282, art. 6). L'inquadramento ex lege entro un ente pubblico degli appartenenti ad una categoria di interessati non vulnera la libert� di associazione (che RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 36 include quella di non associarsi), purch� non siano altrimenti offesi libert�, diritti o principi costituzionalmente garantiti, e purch� detto inquadramento risulti lo strumento pi� idoneo all'attuazione di finalit� pubbliche (1). (omissis) Si prospetta, prima di tutto, la lesione dell'art. 18 Cost., sull'assunto che tiale -precetto costituzionale, nel garantire la libe:rit� di associazione, sancisca cos� 11 diritto di partecipare ad UIIl'associa:cione come quello di non fanne parte. Nella specie, J.a legge di.spone ['appartenenza obbligatoria ad un ente pubblico degli insegnanti medi e delle altre categorie iv.i previste. I soci sarebbero per questa via necessa11iamente stretti da un vincolo, che. vul:nera la Joro libert� di non associarsi. Ll titolo giustificativo de1la soluzione adottata dal legislatore avrebbe -si deduce dovuto risiedere nell'assegnare all'Istituto finalit� pubbliche, :il cui perseguimento non pu� essere lasciato alla spontanea associa2lione degld interessati. Il che, si soggiunge, � per�, da escludere nella specie, soprattutto in ragione delle censurate modalit� di erogazione de1l'assistenza: la concessione delle provv.i!denze previste da:Ha legge -si afferma in proposito � riservata �alla valuta2lione dnsindacabiJe del Consiglio di amrilinisitira2lione con riguardo sia ai soggetti da assistere, sfa alla graduazione dei possibili settorii cli intervento; si assume cos� che il funzionamento dell'ente, governato da criteri prettamente privatistici, non �risponda a quelle inderogabili esigenze di .interesse pubblico, dalle quali deve '1:�rar,re fondamento l'insorgenza, ex lege, del vincolo associativo (e, a pari titolo, J.'dmposi2lione del contributo dovuto dai soci). (omissis) . ' Nel merito, la questione non � fondata; L'art. 18 Cost. garantisce, certo, la libert� di associazione nel suo duplice aspetto, positivo e negativo: di cittadino deve invero poter scegliere se far paTte di una associa2lione, oppur no. L'esercizio di tale diritto �, tuttaviia, circondato da v&ncoH. Lo stesso testo fondamentale pone infatti ];imiti alfa libert� dii assooiaTsi: e d'altra pairte la Corte ha con v.arie pronU1I1zie enucleato dal sistema della Costituzione quei Jimiti, che vengono dn rilievo, come nella specie, con riguardo alla libert� di non soggiacere al vincolo associativo. A1la stregua di questa pregressa giurisprudenza, vien prima di tutto fugato ihl. dubbio che ila �liibert� di non associarsi sia necesswiamente vulnerata, ogni quaivo1ta si configuri come obbligatooio l'inquadramento entro enti pubblici di una determinata categoria di interessati. Una tale previsione trova invero dl suo titolo giustificativo nel nostro ordinamento, ptllrch� non siano altrimenti offesi libert�, diritti e princ�pi costituzionalmente garantiti (diversi dalla libert� negativa di associarsi), e risulti al tempo stesso (1) Le restdue operazioni di liquidazione dell'Istituto Kirner sono state affidate al Ministero del Tesoro cori D.M. 25 febbraio 1982, in Gazz. Uff. n. 72 del 1982. � PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE che essa assicura 1o s�trumento meglio idoneo all'attuazione di finalit� schiettamente pubbliche, :t:rascendenti ila sfera nella quale opera J.l fenomeno associativo costituito per la libera determina2iione dei privati. Si tratta allora di vedere come siffatti requisiti siano soddisfatti nel caso in esame. L'art. 18 Cost., occorre .ricorda.re, si assume leso dn quanto i professori medi acquistano ex lege la qualifica di soci effettivi dell'Istituto Ki.rner e con ci� sono' tenuti a versare il relativo cOI11tiributo annuo. Se qui si adopera fil primo dei criteri di valutazione sopra richiamati, si pu� dntanto escludere che l'obbligo dell'iiscvizione, ed .iJ connesso onere pecuniario, siano previsti dn Vliolazione di alcun altro, ulter.iore parametro costituzionale, rispetto a quello puntualizzato nell'ordinanza di rinvio. Ci �troviamo, precisamente e in primo luogo, di fronte a prestazioni imposte nel rispetto dell'art. 23 Cost.: � infatti da stessa [egge n. 370 del 1968, come si � premesso, che nel contemplaire la figura del socio effettivo annovera il contributo da questo versato tra le entrate dell'Isti�tuto, e ne determdna l'importo, iinsieme con le modalit� �di calcolo e prelievo. Sotto :iJ. riflesso ora considerato, non importa nemmeno che .iil funzionamento delil'ente sia in massima pa�rte sostenuto con fo quote di iscrizione dei soci, mentre, ai sensi dell'art. 11 della stessa legge, i contributi del Ministero della pubblica istruzione o di altr.i enti o privati sono soltanto eventuali. � vero che le norme in esame toccano la sfera delle erogazioni assistenziali, la quaile ricade anche sotto de specifiche previsioni dell'art. 38� Cost. Ma, a dimostrare che l'onere pecuniario gravante sui soci non difetta c1i fondamento costituzionale nemmeno in questa prospettiva, basta quel che la Corte ha '�n altra occasione affermato (sentenza n. 25 del 1968): �Non si ha violazione dell'art. 38 qualora le prestazioni patrimoniali necessaLrie per l'assolvimento dei compiti previsti dal quarto comma siiano poste a cadco di soggetti diversi dallo Stato, determinabili sulila base di una comunanza, specifica o generica di interessi e di un collegamento, diretto o indiretto, tra la causa dell'J.mposizione e le !l'inaHt� da conseguire. Non .rileva, sopra codesto piano, che il perseguimento di� dette finalit�, anzich� � avverure � mediante erogazioni poste direttamente a carico dello Stato e con gli ordinari strumenti, si attui con mezzi diversi ed .in particolare con J'imposizione, da parte di leggi dello Stato, di prestazioni rpatrimonialii nella forma di contributi (sentenza .n. 70 del 1960). In tutti questi oasi, se la f.ina.lit� da perseguire r�sponde alla tutela di un interesse .pubblico, codesto interesse non vien meno n� viene snaturato solo che alla sua realizzazione si .tenda dn uno o in altro dei modi consentiti dall'ordinamento giuriddco �. L'insussistenza della presunta lesione dell'art. 18 Cost. va acclarata, per altro verso, controllando se l'imposizione del vincolo associativo, e della rclativa quota di iscrizione, stia ne1la necessa.ria connessione strumentale con il ,fine, che mediante l'istituzione dell'ente si vuol perseguire. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Deve peraltro trattarsi (sentenza n. 69 del 1%2) di un fine pubblico, e non arbitrario, n� pretestuoso o artificioso. Ora, per quel che concerne la presente indagine, il legislatore ha coovettamente utilizzato l'ampia possibilit� di soluzioni normative dischiuse dal disposto della CostitUZJione (art. 38), che prefigura le strutture assistenZiiaH: nstituto si colloca ~n questo schema del testo fondamentale senza pretestuose o altriimenti censurabili duplicazioni di altri �tipi dli assdstenza pubblica, owero, tanto meno, della Ii!bera assdstenza, garaa:lltita ai privati :dall'uitimo comma de1lo stesso art. 38 Cast. Esso serve infatti -con ,11igua:rdo ai beneficiar.i, ile evenienze e @. stati di bisogno indicati dalla Jegge -esclusivamente ad una assdstenza integrativa e complementare (avt. 1, secondo comma), rispetto a quella erogata da altri enti. Nessun fondamento ha poi dl sospetto, avanzato dal giudice a quo, che �le modalit� di funzionamento del Consig1io di amministrazione dell'Istituto, chiamato a decidere �a suo insindacabile giudizio � in ordine alle provvidenze erogabii1i -e, di II1ifilesso, Ila stessa essenziale struttura :interna dell'ente -siano goverinate da criteri � prettamente privatistici, e sia pure di una privata fondazione a scopo di beneficenza �. Con ci� si vorrebbe in definitiva afferinare che l'apparato dell' �ente pubblico invade qui dndebitamente 1'.a:rea delJl'assistenza privata�, e delle associazioni liberamente costituite per erogarla. Ma un simile assunt� urta, a tacer d'altro, contro 1e dispostizioni dettate d.ai11a degge per delimitare la discrezionalit� dehl'organo decidente. Queste norme dndividuano la cerchia dei beneficiari, stabiliscono appositi parametri di vailutazione in ordine alla concessione e all'entit� dei benefici... prevedono l'adozione di analoghi criteri in sede di direttive generiali che il Consiglio di amministrazione � tenuto a fissare per I'�attuazione delle finalit� dell'Istituto, e demandano, inf~ne, al �regolamento di esecuzione la produzione di apposite norme � per la concessione delle sovvenziond e degli altri benefici �. Il che significa che ri provvedimenti del Consiglio di amministrazione, insdndacabiH solo quanto al meriito, vanno pur sempre adottati in conformit� della legge, permanendo integra, .in vti:rt� dell'art. 113 Cost., ila faco1t� degli interessati di impugnarli in via giiurusprudenziale, dove il1icorra fa lesione di diritti o interessi legittimi. (omissis) Le consideraziond filn qui svolte rigua:rdano -� appena il caso di precisare -J.1 periodo, che rileva nella presente controversia, in cui l'ordinamento dell'Istituto Kirner era 1ancora in vigore. n ll"isultato raggiunto non � toccato da alcuna delle successive vicende normative, alle quali si � fatto sopra riferimento. Il che va quindi detto anche della circostanza, che l'Istituto Kirner sia stato incluso .in forza del d.P.R. n. 616 del 1977 nella tabella B degli enti che esercitano funzioni amministrative di spettanza delle regioni, e indi soppresso, una volta accertata l'inesistenza di sue fumiioni residue, ai sensi dell'art. 113 dello stesso d.P.R. n. 616. Questi dati dimostrano, semmai, come gli scopi e le attivit� dstituzionaJi dell'ente lii I! ----I PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 39 ora abolito, lungi dal comprimere ihlegitti;mamente la libert� associativa dei priivati, incidessero su una funzione, che il legislatore ha nel quadro di nuovi or:ientamen1Ji, ma sempre nel legittimo apprezzamento de11e scelte discrez.ionali consentite in tema di assistenza, pi� di recente attribuito agli enti pubblici terr�!toriali. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 16 febbraio 1982, n. 43 -Pres. Elia -Rel. IJa Pergola -Federazione �italiana della 1caccia (av.v. D'Onof�rio), Fraill!cescatti e altro (avv. Moribidelli), Comitato promotore referendum 1a1brogativo legge sarda 28 apri.J.e 1978, n. 32 (avv. Mellini), Regione Sardegna (aw. Guarino) c. Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Azzariti). Ordinamento giudiziario -Referendum su legge regionale o provinciale � Giudizio di ammissibilit� � Attribuzione ad organo giudiziario -Con legge regionale o provinciale -Illegittimit� costituzionale. (Cost., art. 108; legge cost. 11 marzo 1953, n. 1; legge regione Sardegna 17 maggio 1957, n. 20, art. 6; legge Trentino-Alto Adige 24 giugno 1957, n. 11, artt. 7 e 22). Il controllo sull'ammissibilit� delle richieste di referendum abrogativo di leggi regionali o provinciali non � attribuito alla Corte costituzionale, n� pu� con legge non statale essere attribuito ad organi dell'ordine giudi� ziario; nessun atto regionale o provinciale pu�, senw. autoriz,zazicme di legge statale, distogliere i magistrati dai loro compiti istituzionali (1). (omissis) Ai fini dell'attuale indagine -va subito avvertito -importa consj,de:mre la sola attr:ibuzione dell'Ufficio per il referendum (costituito presso la Corte d'Appello o il Tnibunale, secondo i casi) che riguarda lii contm11o sull'ammissibilit� e �legittimit� de11e richieste �di abrogazione popolare. �, infatti, esclusivamente �l'esercizio di questa competenza a rile (1) Il princ~p10 enunciato con molta chiarezza dalla Corte costituzionale opera anche al di fuori dell'ambito dell'istituto referendario, e costituisce applicazione del precetto di � indipendenza � della magistratura. Tale �indipendenza � ha infotd un duplice significato:. da un�lato difende i magistrati da interferenze di autorit� politiche o amministrative, prescrivendo che essi, nell'amministrazione della giustizia, sono sottoposti � soltanto alla legge � (art. 101 Cost.); d'altro lato, dovrebbe impedire che i magistrati siano �distratti dai compiti dstituzionali � e subiscano gli allettamenti di vantaggi �profani� (cfr. FAVARA, N� timore n�. speranze: le due facce dell'indipendenza del giudice, in Riv. dir. proc., 1976, II, 644, e ZANOTTI, Le attivit�, extragiudiziarie dei magistrati ordinari, 1981). Naturalmente, il principio enunciato dalla Corte costituzionale non pare possa essere eluso mediante� una valorizzazione del consenso prestato dal singolo magistrato (come, ad esempio, mediante il ricorso a contratti di consulenza pi� o meno artificiosamente collocati nell'ambito del diritto privato). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 40 vare per d provvedimenti demandati, nella specie, all'Ufficio per i1l referendum di Trento, nonch� -nel giudizio dal quale trae origine la questione inaidentalmente promossa da questa Corte -ahl'Ufficio di Cagliari. Correttamente, dunque, l'Avvocatura dello Stato eccepisce, in relazione all'ordinanza dell'Ufficio di Tirento, l'irrilevanza deJJle censure ivi mosse..'. alle norme che a detto Ufficio affidano altri compiti in fasi procedurali diverse -ora precedenti, ora successive -rispetto al giudizio di ammissibilit�. Devono, precisamente, ritenersd ultroneamente censurate le disposizioni, per ile quali l'autorit� giudiziaria � abilitata: 1) a ricevere la �dichiarazione dell'elettore che promuove Ja proced�ra referendaria (art. 4); 2) a disporre, su istanza dei presentatori della richiesta, ila chiusura defile operazioni di .raccolta delle fdrme (quando di queste Tis�ltli depositato il numero prescritto, prJma della scadenza dei quattro mesi dagli adempimenti previsti dall'art. 4); (omissis) 3) ad effettuare le operazioni di verifica ed il computo delle filrme raccolte (art. 9); � 4) a concertare con altri organi (Presidente deJJla Giunta regionale e Commissario del Governo) la data di svolgimento della consultazione popolare (art. 11); 5) a decidere, una volta espletata la votamone, su1le proteste e sui reclami relativi aille operazioni di referendum (art. 17). (omissis) Nell'ambito cosi precisato va, poi, tenuto presente l'ordine dogico de1�e censure. Quella che concerne l'art. 2 legge costHuziona1e n. 1 del 1953 deve essere esaminata per pr.ima. Infatti, con essa si prospetta come incostituzionale l'attdbuzione del suddetto controllo di ammissibilit� (o Jegittimit�) 1ad ogni organo (il Tribunale di Trento costitwto in Uffiaio per lil referendum abrogativo delle leggi provinaiaii), ;diverso da questa Corte; mentre, in relazione all'art. 108 Cost., non si assume che H controllo .in questlione sia necessariamente attnibuito alla Corte, n� si asserisoe l'inidoneit� della fonte legislativa ordinaria -statuale o regionale -ad alterare questo schema fisso deU'organo attributarfo defila �ompetenza: si assume, soltanto, l'inidoneit� della legge regionale, dalla quaJe promana J'attribuzione dell'Ufficio per il caso in esame, ad iintervienlire nella sfera, riservata alla legge stata!le, de1l'ordinamento e degli organi giudiziari. (omissis) I disposti delle due leggi in esame, nonostante la diversirt:� delle form�le. tt!stuaLi, coincidono sostanzialmente, per quel che interessa in questa sede. L'art. 7 della legge Trentino-Alto Adige �recita, al secondo comma: �Non appena costituito, l'Ufficio centrale esamina la richiesta e dove ritenga ila proposta inamm1ssiibile perch� si mostri contrastante con norme de11a Costituzione, dello Statuto .regionale o delJa presente 1legge, dichiara con prop:da ordinanza inammissibile la proposita �. Dal canto suo, l'art. 6, secondo comma, della legge sarda dispone che � l'Ufficio provvede imme- I I I ~~� ~ I ! 1 I I PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE diatamente, ove �ritenga legit1lima la proposta, a!Ja verifica del numero complessivo dei richiedenti �. Nell'un caso e nell'altro, l'organo giudiziari.o, iin virt� della legge regionale che lo .istituisce come Ufficio per il referendum, esercita un controllo, che necessariamente precede le autonome operazioni di computo e di verifiica della regolarit� e del numero delle firme, nonch� tutti i �rimanenti compiti a detto Ufficio demandati nel corso della procedura referendaria. Com'esso � congegnato, iii giudizio di legittimit� e ammissibilit� ha dunque per oggetto la rispondenza della proposta di referendum a prescriZioni diverse, rispetto a quelle che concernono specii�icamente il numero o la modalit� delle firme, richieste a corredo dell'iiniziaJ.e atto di .impulso del procedimento (che � consentito al singolo elettore: cfr. artt. 4 Jegge Trentino-Alto Adige, 4 ~egge Sardegna). Per questo verso, vengon� in rilievo i limiti -sanciti dalla Costituzione, dallo Statuto speciale e, in conformit� di esso, anche dalla legge regionale -i quali servono a definire la sfera dii applicazione dell'istituto (cfr. art. 32, Statuto Sardegna, .art. l, lett. a, legge sarda n. 20 del 1957; art. 53 Statuto TrentinoAlto Adige; art. l, secondo comma; art. 2 legge Tirentino-Alto Adige n. 11 del 1957); spetta all'Ufficio verificare l'osservanza, anche con lo �stabilire se ile leggi o :le singole disposizioni indicate nella 11ichiesta di referendum siano sottratte aJila possibilit� dell'abrogazione popollare. Ad avviso 'dell'Uff.icio di Trento, come si � premesso, la norma iisti<tutiva del controllo test� descritto vulnereirebbe la sfera garantita aJla Corte costituzionale ex art. 2 legge costituzionale n. 1 del 1953. Quest'ordine di rilievi via, tuttavia, disatteso. Basta in proposito l� semplice, ma decisiva considerazione che la citata legge costituzionale demanda, bens�, a questa Corte :ill giudizio di ammiiSsibilit� sulle richieste �di referendum 1abrogativo, ma con esclusivo riferimento aLle leggi dello Stato. Siamo, allora, di fronte ad una tassativa attribuzi�ne di competenza, la quale non pu�, s�nza il ricorso ad una� nuova legge costituzionale, essere estesa al referendum abirogativo delle leggi regionali e provinciali. Del resto, :i:l testo fondam~ taile distingue gld istituti ed i fenomeni della democrazia diretta, secondo che essi si inquadrino nell'ordinamento dello StJaito, ovvero in quelli degli enti autonomi. In questa prospettiva, ;}'abrogazione popolare delle leggi tegionali (e provinciali) deve avere una propria 'disciplina, prodotta dallo Statuto o dalla legge :regionale (cfr. art. 123 Cost. e per gli Statuti delle �regioni speciali: art. 32 Statuto Sardegna, art. 30 Val d'Aosta, art. 53 Trentino-Alto Adige, 5 e 33 Statuto Friuli-Venezia Giulia), latld�ve l'.invocata previsione costituzionale abbraccia il diverso e �autonomo piano in cui, .con la legge n. 352 del 25 maggio 1970 (cfr. art. 33), ha ricevuto attuazione il'art. 75 Cost. Detto oi�, s'impone una precisazione. L'Ufficio dii Trento afferma che il controllo di ammissibilit� resta, nell'ipotesi qui considerata, coml.inque RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO precluso ad ogni organo, diverso da questa Corte. L'assunto � prospettato in ragione del rango costitu:ziionale deHe norme ,di raffronto, che valgono per .l'esercizio del controllo, e della natura che questo .rivestirebbe, vertendo su matevia che, si dice, ne esige l'accentramento in un solo ed apposito organo, quale � iJl giudice costituzionale. L'asserita esclusione della competenza di ogni altro organo opererebbe, quindi, anche quando -come, �si � or ora detto, occorre ritenere -il controllo sull'ammissibilit� delle richieste afferenti al �referendum abrogativo deHe Jeggi regionali e prnvindaili non risulti attribudto alla Corte, ai sensi del vigente ovdinamento. Ma una simile .conseguenza non � sotto alcun iriguardo giustificata, n� pu� ritenersi implicita nel principio dell'unit� della giurisdizione costituzionaJe, al quale si fa riferimento nell'ordinanza in esame. Com'� in altra pronunzia spiegato (sentenza n. 125 del 1975), la competenza che si esercita sulle richieste di referendum abrogativo sta fuori dal nucleo originario delle .attribuzioni demandate alla Corte daH'art. 134 Cost., alle quali essa � stata successivamente 1aggiunta. � Il relativo giudizio� -si � appunto affermato nella decisione citata, richiamando la sentenza n. 10 del 1972 � per Ja sua inserzione in un procedimento unitario che :si articola .in pi� fasi consecutive e conseguenziali, per la sua peculiare fun:ziione di controllo dn ordine ad un atto di procedimento di abroga:ziione in corso, si atteggia con caratteristiche specifiche ed autonome nei �confa'onti degli ialtri giudi~i riservati a questa Corte, e in particolare riispetto ai giudizi sulle controversie �relative alla legittimit� costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge �. Fondata, invece, � la questione che ha riguavdo alla violazione del- l'art. 108 Cost. Le norme impugnate emanano, certo, dalll:a potest�, costi- tu~ionaJ:mente garantita alla Reg.ione, di disoipl.inaire l'istituto referendario in conformit� ed attuazione del proprio Statuto speciale. Senonch�, l'esercizio di questa autonomia incontra i limiti posti da1la Costituzione e dallo stesso Statuto (art. 3 Statuto Saridegna, art. 4 Statuto Trentino-Alto Adige); e secondo la costante giurispmdenza della Corte, Ja .riserva de11a �legge statale, stabilita dall'al't. 108 Cost., opera, assurgendo a principio dell'ardinamento giuridico dello Stato, nel senso di escludere il settore giudiziario dal sistema del decentram~nto, e cos� dalle competenre dell'ente Regione, pur a regime differienziato. Le disposizioni in esame conferiscono, per�, ahla Corte d'Appello o.al Triibunale, insieme con la veste di Ufficio per il referendum, l'attribuzione radicalmente nuova che sopra si � vista, diversa da queMe ad essi spettanti in base ad idonea produzione di norme sulla magist�ratura, e, in particolare, in base .allo stesso ordinamento giudiziario . (cfr. artt. 43 e '53 r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modifiche). Gli anzidetti organi sono preposti al controllo sull'ammissibilit� de1le :richieste referendarie e distolti dai compitii .istituzionali senza copertura di alcuna legge statale, dalla quale possa trarre giustificazione questa interferenza PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 43 della legge regionale in un �mbito, che concerne struttura e funzioni dell'ordine giudiziario. Invero, non si ravvisano g1i estremi perch� il potere di attuare le disposizioni dello Statuto, pur ris,ervato a11'organo legiS<lativo della Regione in materia di referendum, debba qui attrarre nella sfera dell'ente autonomo, per connessione, anche quello di ampLiare e -regolare att11ibuzioni della magistratura. La legge regionale, si deve concludere, non era, nemmeno implicitamente, abilitata dalla fonte statutaria a derogare il fondamentale principio, che l'art. 108 �Configura: e cos� la censurata discipLirra del controllo di ammissibilit� vulnera la riserva di legge statale posta in detta statuizione costituzionale. (omissis) SEZIONE SECONDA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. un., 18 giugno 1981, n. 3967 -Pres. Rossi Est. Sandulli -P. M. Silocchi (parz. diff.) -Ammiillistrazione delle Finanze (avv. Braguglia} c. Italcampania Derrate del sig. Landolfi Francesco (avv. Gargiulo e Biancogiglio). Comunit� europee -Agricoltura -Organizzazione comune del mercati nel settore degli ortofrutticoli -Esportazione verso Paesi terzi -Restituzione � all'esportazione � Diritto soggettivo � Tutelabilit� davanti al giudice ordinarlo. (Legge 20 marzo 1865, n. 2248, ali. E, artt. 2 e 3; regolamento CEE del Consiglio 25 giu gno 1966, n. 159, artt. 11; d.!. 17 marzo 1967, n. 80, conv. in legge 13 maggio 1967, n. 267, art. 5; dd.mm. 2 novembre 1968, 14 ottobre 1969, 1 agosto 1970). Comunit� europee � Agricoltura � Organizzazione comune del mercati nel settore degli ortofrutticoli � Esportazione verso Paesi terzi � Restitu� zlone all'esportazione � Condizioni � Libera pratica nel Paese terzo. (Regolamento CEE del Consiglio 25 giugno 1966, n. 159, art. 11; d.!. 17 marzo 1967, n. 80, conv. in legge 13 maggio 1967, n. 267, art. 5; dd.mm. 2 novembre 1968, 14 ottobre 1969, 1 agosto 1970). Tributi erariali indiretti � Imposta generale sull'entrata -Esportazione e reimportazlone � Restituzione e rimborsi. (d.P.R. 24 giugno 1965, n. 723, art. 16; d.P.R. 21 dicembre 1961, n. 1339, art. 16; legge 31 luglio 1954, n. 570, art. l; d.P.R. 27 febbraio 1955, n. 192, art. 1). Le restituzioni all'esportazione di prodotti ortofrutticoli verso Paesi terzi rispetto alla Comunit� economica europea previste, come premio o aiuto con funzione correttiva delle differenze di prezza fra i mercati intracomunitari e quelli di Paesi terzi, dal regolamento CEE del Consiglio 25 otto bre 1966, n. 159, nonch� dal d.l. 17 marzo 1967, n. 80 (conv. in legge B maggio 1967, n. 267) e dai decreti ministeriali emessi in sua esecuzione, integrano veri e propri diritti di credito dell'esportatore, come tali tutelabili dinanzi al giudice ordinario, atteso che vanno riconosciute e quantificate in base a criteri direttamente fissati dalle norme dell'ordinamento comunitario e di quello nazionale, con esclusione di ogni discrezionalit� del[' autorit� amministrativa (1). (1-3) Identica la sentenza coeva n. 4107/81. In tema di restituzioni all'esportazione, -ma con riferimento all'organizzazione comune di mercato nel settore dei cereali, dove la disciplina delle restituzioni era contenuta esclusivamente nelle norme comunitarie -, gi� si era occupata la Suprema Corte, con la sentenza Sez. un., 26 aprile 1977, n. 1561, in questa Rassegna, 1977, I, 376, con note di PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 45 Le restituzioni all'esportazione di prodotti ortofrutticoli verso un Paese terzo rispetto alla Comunit� economica europea, previste dall'art. 11 del regolamento CEE del Consiglio 25 ottobre 1966, n. 159, nonch� dall'art. 5 del d.l. 17 marzo 1967, n. 80, e dai decreti ministeriali emessi in sua attuazione, postulano l'effettiva introduzione dei prodotti medesimi nell'economia di quel Paese (2). Il verificarsi dell'esportazione, con il passaggio della linea doganale, di prodotti ortofrutticoli imbarcati verso uno Stato estero non comporta il diritto dell'esportatore alla restituzione dell'imposta generale sull'entrata, qualora i prodotti medesimi non siano stati concretamente portati sul mercato di quello Stato, perch� reintrodotti in Italia (3). (omissis) Con il primo motivo, l'Amministrazione !l1�corrente -denunciata la violazione e la falsa applicazione degli ar.tt. 2 e 3 della legge 20 marzo 1865 n. 2248, aH. E, del d.l. 17 marzo 1967, n. 80, convertito nel1a legge 13 maggio 1967, n. 267, 11 del .regolamento del ConSliglio della Comunit� Economica Europea n. 159 del 25 ottobre 1966, 1 e segg. del D.M. 2 novembre 1968 (in G. U. 11 novembre 1968) (ResmtUZ!�one a:1l'esportaZ�i.one di prodotti ortofrutticoli), del d.m. 2 novembre 1968 (in G. U. 12 novembre 1968) (Restituzione all'esportazione di pomodori), del d.m. 14 ottobre 1969 (in G. U. 6 febbraio 1970) (Restituzione all'esportazione di pomodori) e del d.m. 1� agosto 1970 (fa G. U. 11 settembre 1970) (RestitllZ�ione all'esportazione di prodotti ortofrutticoli), dn .relazione all'art. 360 n. 1 e 3 cod. proc. civ. sostiene il dif�etto di giurisdizione del, giudice ordinario iin ordine alile domande di corresponsione delle � i;:estituzioni � relative alle esportazioni di prodotti ortofrutticoli. Lamenta che la Covte d'Appello -pur ammettendo che il dispovre le cosiddette �restituzioni all'esportazione� fosse demandato, per il regolamento n. 156 del 25 ottobre 1966 della Comunit� Econoinica Europea, aill'apprezzamento discrezionale dei singoli Stati e che per lo Stato Italiano questa discrezionalit� di apprezzamento sussistesse in base al d.l. 17 marzo richiami, affermando la giurisdizione in materia del giudice ordinario. Cfr. anche Cass., Sez. un., 14 marzo 1977, n..1009, ibidem, pag. 391, con nota, dove parimenti � stato ritenuto essere di diritto soggettivo la posizione giuridica del produttore di grano duro che richieda l'integrazione di prezzo disposta da norme comunitarie. Anch'essa in tema di restituzione all'esportazione -con riferimento al regolamento CEE del Consiglio 4 aprile 1962, n. ;19, relativo alla graduale attuazione di un'organizzazione comune dei mercati nel settore dei cereali -� la sentenza della Corte di giustizia delle Comunit� europee 27 ottobre 1971, nella causa 6/7.l, RHEINMUHLEN DUSSELDORF (in Racc. giur. Corte, 1971, 823, e in Foro it., 1972, IV, 81), cui la Corte di cassazione si � richiamata per la pronuncia di cui alla seconda massima: ivi era stato precisato che condizione minima per considerare una merce � esportata verso un paese terzo >>, ai sensi del regolamento predetto, era la sua immissione in libera pratica nello Stato di destinazione. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 1967 n. 80, convertito nella legge 13 maggio 1967 n. 267 -abbia affermato che talle potere discrezionale fosse stato consumato con l'emanazione dei decreti ministeria1i 2 novembre 1968, 14 ottobre 1969 e 1� agosto 1970, posni a disciplina dei benefioi della .restituZJione in ordine alle esportazioni dei prodotti ortofrutticoli, e che conseguentemente, essendo �stati predeteirminati con ta:li decreti i criteri, i presupposti e '1e misure dei cosiddetti rimborsi ortofrutticoli, la posizione giuridica dei singoli aventi diritto agli stessi dovesse configurarsi come diritto soggettivo, azionabile innanzi al giudice ordinario. Deduce, in particolaire, che le norme che disciplinano le cosiddette restituzioni all'�esportazione, volte a favorire le esporitazioni rin paesi terzi -regolando gli strumenti di incentivazione e di .sostegno dell'economia nazionale nell'ambito di quella comunitaria ed assolvendo, quindi, la fun2lione di comandi legislativi rivolti all'attivit� del!la pubblica amministrazione -costituiscono norme di azione, tese ad :indirizzare ['esercizio della potest� amministrativa al perseguimento di scopi di generale interesse e che, quindi, le posizioni giur�.iliche dei pr.ivati ad esso correlate siano configumbili come interessi legittimi, e non come diritti soggettivi. Il profilo di carenza di giurisdizione del giJUdice ordinario, delineato dall'Amministrazione ricorirente, non � condiVtisiWe. Secondo la Corte di Giustizia delle ComUlilit� Europee -la quale non si � mai occupata direttamente degli :interessi leg,ittimi, !�.n quanto essa � giuilice di ogni tipo di interesse giuridicamente rHevante -� spetta aill'ordinamento giuridico ili ciascuno Stato membro di designare Ja giuri sdizione competente ed, a tal effetto, di qualificare le posizioni giuridiche in base ai criteri di diritto nazionale� (sent. 19 dicembre 1968 in causa n. 13 del 1968). H problema di �riparto della giuriisdizione va, quindi, risolto, nel caso di specie, in base all'ordinamento giuridico italiano, secondo il criterio del cosiddetto petitum sostamiiale, e cio� in rapporto a)Jla posraione soggettiva fatta valere in giudizio. E -poich� oggetto della controversia sono obbligazioni a car�.co della pubblica amministrazione -1a questione deve essel."e definita in base ai criteri sopra indicati e con riferimento alla materia dehle obb1igazioni pub bliche. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte Suprema (cfr. sent. 26 aprile 1977 n. 1561; sent. 15 ottobre 1975 n. 3334; sent. 18 �settembre 1970, n. 1572), quando le norme che disciplinano la materia dcollegano La nascita dell'obbligazione pubblica al verificaI'.si di una situa:cione giuriidica, compiutamente desaritta e disciplinata, s� da non fasciare alcun spazio all'apprezzamento discre2lionale dell'autoriit� amministrativa, la quale, in tal caso, deve <ritenersi vincolata nell'intel."esse immediato e diretto del pr.ivato, si � in presenza di una norma di relazione, attribuniva di un diritto : 47 PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE soggettivo alla prestazione da parte della pubblica amministrazione fin dal momento in cui H fatto generico si � verificato. Viceversa, quando la norma lascia all'autorit� amministrativa un margine di discrezionaUt�, sia nel valutare se la fattispecie legaile, soltanto genericamente delineata, si � in concreto verificata, sia nel det�rminare la �misura de11a prestazione a carico deiI'ente pubblico, la norma si pone come norma d'azione, diretta a d:isdpHnare l'organizzazione dell'ente o il contenuto deill'attivdt� amministrativa o H procedimento dell'azione amministrativa, e pertanto la correlativa situazione giuridica del privato va qualificata interesse legittimo. Stabilito �il cniterio discriminatorio, va considerato se, in base aJ. siste ma normativo comunitario, in tema di cosiddette restituzioni all'esporta zione residui alle autorit� degli Stat�i membri un margine di disore:z;ionalit�. L'ordinamento comunitario, pienamente autonomo rispetto a quello interno degli Stati membri, pu� avvalersi della �sua azione, per la reaJ,izza 21ione dei suoi scopi, dell'ordinamento �illtemo, dando -luogo ad una � inter penetrazione � dei due sistemi normativi. Pe11tanto, al fine di stabil.ire se, in �tema di cosiddette restituzioni alla esportazione, all'esportatore sia assegnata una pos[zione giuridica configu rabile come diritto soggettivo, occorre muovere dalla statuizione norma tiva contenuta nell'ordinamento comunitado, indagando se quesia, dopo aver compiuto la scelta (ailla luce degii obiettivii del !regime agricolo della comunit�), abbia attribuito aH'esportatore una posizione autonoma con ri!Ievanza �esterna direttamente garantita, oppure abbia fasciato alle auto rit� degli Stati membri la facolt� di assumere, mediante un orientamento discrezionale, un diverso atteggiamento per esigenze di propri interessi pubblici. Il regolamento n. 159 del 25 ottobre 1966 del Consiglio della Comunit� Economica Europea, relativo a disposizioni complementari per J'organizza 2lione comune dei mercati nel settore degli ortofrutticoli -al fine di impe dire (come risulta dalla relazione) che la concorirenza tfra le imprese delJa Comunit� su mercati esteri possa essere falsata e di mstaurare, pertanto, uguali condizioni di concorrenza, estendendo l'applicaZJione delle norme comuni di qualit� ai prodotti esportati verso 1 paesi terzi ed istituendo, in sostituzione dei reg.imi di aiuti aJ,l'esportazione esistenti negli Stati membri, un regime comunitario ohe preveda la concessione facoltativa di restituzioni all'oesportazione ve11so i paesi terzi nella misura necessaria a salvaguardare fa partecipazione della Comunit� al commercio interna zionale degli ortofrutticoli -ha statuito nell'art. 11 n. l, che �se a seguito di pratiche anormali da parte di uno o pi� paesi terzi, che abbiano per effutto di falsare le condizioni di concorrenza su mercati extracomunitari che .rappresentano uno sbocco impor-tante per 1a produzione comnnitaria, a seguito delle misure di .stabilizzazione del mercato comunital1io, la parte RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 48 cipazione della Comunit� aJ commercio internazionale per i prodotti freschi di cui all'aHegato II, oltre che i prodotti trasformati di cui all'allegato III, 11is0Ma di essere �Compromessa, delle restituzioni possono essere accordate da parte degli Stati membri all'esport~ione di questi prodotti verso i paesi terzi �. Lo Stato italiano -dopo aver riprodotto Ja norma comunitaria, che assegnava agli Stati membri, Ja facolt� di concedere .['estituzioni aill'esportazione nell'art. 5 del decreto-fogge 17 mMZo 1967 n. 80 (attuazione di interventi nel settore dei prodotti ortofrutticoli), convertito nella legge 13 maggio 1967 n. 267, il quale dispone che �per ii prodotti di cui all'allegato III del regolamento comunitario n. 159 del 1966 possono essere accordate restituzioni all'esportazione secondo i principi ed i criteri ivi stabilliti � -ha prescritto, con l'art. 1 del decreto ministeriale 2 novembre 1968 (restituzione aU'espor.tazione di prodotti ortofrutticoli :in esecU7J�.one del d.l. 17 marzo 1967 n. 80) che �le restituzioni all'espo1�tazione dei prodotti ortofrutticoli freschi e trasformati verso i �Paesi non comunitari, previste dall'art. 5 del dl. 17 marzo 1967 n. 80, convertito neHa Jegge 13 maggio 1967, n. 267, sono concesse a decorrere dal 1� gennaio 1967, secondo i princ�pi stabiliti dal regolamento della Comunit� Economica Europea n. 159 del 1966 ed alle condizioni prev�.ste negl!i articoli .seguenti, ponendo, con le norme contenute nei �successivi artt. 3 e 5 del citato d.m. 2 novembre 1968; i requisiti obiettivi per la concessione delle restituzioni all'esportazione e �prorogando con l'.artiicolo unico del decreto ministeriale 14 ottobre 1969 (modificazioni all;i, tabella allegata al D.M. 2 novembre 1968, riguardante le restituzioni all'esportazione di pomodori pelati, conserva e succo di pomodoro), e, con l'articolo unico del decreto ministeriale 1� agosto 1970 (i!'estituzioni all'esportazione di prodotti ortofrutticoli), il �termine utile per il godimento dei cennati benefici al 31 dicembre 1970. Le cosiddette restituzioni all'esportazione -come risulta chiaramente dalla su riportata normativa -costituiscono un premio o un aiuto, in funzione di correttivo del prezzo �reailizzato in sede di esportazione di determinate merci, a favore dell'esportatore di Stato membro verso Paesi terzi, al fine di compensare le differenze di prezzo esistenti fra i mercati intercomunitari e quelli degli Stati terzi. In ordine ad esse, l'ordinamento giuridico .italiano -dopo aver riprodotto nell'art. 5 del d.l. 17 marzo 1967 n. 80 (convertito nella fogge 13 maggio 1967, n. 267), senza che ve ne fosse bisogno, avendo Je norme dei regolamenti comunital'i immediata applicazione in Italia, [a norma contenuta nell'art. 11 del regolamento n. 159 del 25 ottobre 1966 del Consiglio della Comunit� Economica Europea, attributiva ag1i Stati membri del potere di accordare (al fine di evitare disparit� di trattamento tra !l'estituzioni intracomunitarie e quelle dei paesi terzi) sub specie di incentivazioni, le cosiddette � restituzioni� (costituenti, sotto .forma di 11imborsi, veri e propri PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE aiuti economici) agili esportatori di determinati prodotti verso i paesi estranei alla Comunit� -ha concesso, con decorrenza daJ 1� gennaio 1967, <in presenza di determinati presupposti e di specifici ['equis!iti obiettivJ, le � restituzioni � agli esportatori di prodotti omofrutticoli freschi e �trasformati verso i Paesi non comunitari. In tal modo, in base all'ordinamento comunitario, [ntimamente compenetrato con quello interno degli Stati membri, deve iritenersi che sia Timasto escluso, sia in ordme alla fattispecie gene1lica delle restituzioni alila esportazione, sia riguardo alla determinazione del Joro ammOilitare, ogni spazio per la disorezionalrit� delle autorit� dello Stato Italiano, tenurt:e esclusivamente a svolgere un'attivit� di mero accertamento delle restituzioni a fovore degli esportatori in Paesi fuori de11a Comunit�. La posizione giuridica degLi esportart:ori, cui 1a irestituzione deve essere corrisposta, non pu�, quindi, configurarsi che come un dkitto soggettivo (di credito), �correlato al!l'obbligo imposto allo Stato ex lege. Invero, i premi per le esportazioni verso Paesi term, destililati a coprire fa differenza fra prezzi praticati all'esterno ed all'interno della Comunirt� Europea -pur essendo intesi a soddisfare <il generale interesse di questa alla stabfilizzaZlione del mercato comunitanio -non prescindono daill'esigenza di protezione degli interessi economici dei sil!lgoli esportatori. Pertanto -assurgendo Ja posizione giuridica di vantagwio degli esportatori alla dignit� di diritto soggettivo di credito verso la pubblica amministirazione e conoscendo dell'esistenza dei diritti soggettivi al giudice o:rdinario -il profilo di difetto di giurisdizione delineato dalla ,ricorrente deve essere disatteso. Il pirimo motivo di ,rkorso �, quindi, da respingere. Con il secondo motivo, la ricorrente -denunciata la violazione e la falsa applica2lione del dl. 19 dicemhre 1969, n. 947; dell'art. 5 del dil. 17 marzo 1967, n. 80, conveirtito in �legge 13 maggio 1967, n. 267; dell'art. 11 del regolamento della Comunit� Europea n. 159 del 25 ottobre 1966; deghl articoli 1 e segg. del d.m. 2 novembre 1968 (m G. U. 11 novembre '1968); del d.m. 2 novembre 1968 (.in G. U. 12 novembre 1968); del d.m. 14 ottobre 1969 (in G. U. 6 febbr~aio 1970); del d.m. 1� agosto 1970 (:in G. U. 11 settembre 1970); de1l'aTt. 16 disp. prelim. della tariffa doganaile d.P.R. 26 ,giugno 1965, n. 723; dell'art. 16 del d.P.R. 1� dicembre 1961, l!J.. 1339; dell'art. 1 della legge 31 luglio 1954, n. 570; degli aritt. 1 e segg. del d.P.R. 27 febbraio 1955, n. 192; nonch� l'omessa o insufficiente motivazione del1a decisione (art. 360 n. 3 e 5 'COd. proc. oiv.) -si duole che la Corte del merito abbia ritenuto che 1alla Societ� reS'istente spettasse, per il semplice rilascio della bolletta doganale di esportazione, la restituzione ai1l"esportazli011J.e prevista da:l d.l. 17 marzo 1967, n. 80 (emanato in attuazione del regolamento comunitario n. 159 del 25 ottobre 1966), in quanto -non eS'sendo mtervenuta l'esporta 50 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO zione per la quale la restituzione era stata richiesta e non essendo la merce stata introdotta nel paese di destinazione -il beneficio della restituzione avrebbe dovuto essere negato. La censura � fondata. Come si � visto nel corso dell'es,ame del precedente mot.ivo, l'art. 11 del Regolamento della Comunit� Economica Europea n. 156 del 25 ottobre 1966 (<relativo all'organizzazione comune di mercati nel settore de~i ortolfruttico1i) -al fine di provvedere ailla stabilizzazione del mercato comunitario attraverso la compensazione delle differenze di prezzo esistenti fra d mercati della Comunit� e quelli dei Paesi ad .essa estranei -stabilisce che � delile restituzioni possono essffi'e :accordate da pwte degli Stati membri all'esportazione dei prodotti ortofrutticoli verso i paesi terzi>>. Lo Stato Italiano -dopo avere riprodotto fa norma comunitaria nell'art. 5 del dJ. 17 marzo 1967, n. 80 (converitito nella legge 13 maggio 1967 n. 267) nel senso che � per' i prodotti di cui all'allegato III del rego1amento comunitario n. 159 del 1966 (prodotti ortofrutticoli trasformati) possono essere accordate restituzioni all'esportazione secondo i prindpi ed i crii,teri ivi stabiliti� -ha disposto nell'art. 1 del decreto mdnisteriale 2 novembre 1968 (relativo alla restituzione all'esportazione di prodotti ortofrutticoli) (la cui efficacia � stata estesa con i decreti mdnistel'i.aili 14 ottobre 1968 e 1� agosto 1970, in ordine ai pomodori pelati, conserva e succhi di pomodoro, fino al 31 dicembre 1970) ohe �Je ifestituzioni all'esporitazione dei prodotti ortofrutticoli freschi e trasformati sono concesse a decorrere dal 1� gennaio 1967 secondo i princ�pi stabiliti dal regolamento n. 159 del 25 ottobre 1966 delJa Comunit� Economica Europea�. E -disponendo l'art. 7 del cit. d.1. n. 80 del 1967 che per i cosiddetti rimborsi ortofrutticoli � si osservano le norme stabihlte dalle leggi e dai rregolamenti doganali in materia di restituziione dei dazi doganali �, e l'articolo 5 del d.m. 2 novembre 1968 che �le rrestituziond sono accordate sotto l'osservanza delle disposizioni previste dal regolamento per ['esecuzione delila fogge doganale su presentazione de11a bolletta di esporitazione munita delle attestazioni prescritte comprovanti .l'effettiva uscita delle merci da11o Stato �, mentre l'art. 3 dello stesso decreto m1nisteriale prescrive che �a comprova che 1a quantit� di prodotti ortofrut1Jicoli, ammessi alle restituzioni, siano state effettivamente importate nei singoli Paesi di destinazione saranno presentati un documento di trasporto, vistato dal vettore responsabile, attestante che il prodotto � pervenuto nel paese di destinazione, ed un documento rilasciato dall'autodt� doganale del paese di destinazione, attestante che il prodotto � stato ivi importato� -sussistono dub� bi su1la nozione di � esportazione verso paesi �terzi �, non precisata nei regolamenti comunitari vigenti, e sulla conformit� dell'ordinamento nazionale al diritto comunitario. Tale incertezza comporterebbe, a norma dell'art. 177, secondo comma, del Trattato istitutivo della Comunit� Economica Europea, firmato a Roma I ' ' i ! i I PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE H 25 marzo 1957, il deferimento alla Corte di giustizia delle Comuni-t� Europee della questione sull'interpretazione dehl'art. 11 del il'egolamento comunitario n. 159 del 25 ottobre 1966, la cui 11isoluzione � necessari.a ai fini della decisione della presente vertenza. Peraltro -poich� la Corte di giustizia, con Ja sentenza 27 otto'OO'e 1971 (nella causa n. 6 del 1971) ha gi� ,interpretato una norma di contenuto identico ra quella oggetto del presente dibattito giudiziale, precisamente l'a:riticolo 20 n. 2 del regolamento comunitario n. 19 del 4 �aprHe 1962, il quale autorizzava gli Stati membri a concedere restituzioni a11'esportaziooe � verso i paesi terzi�, .senza fissare diirettamente Je modalit� di restitu2lione dn ordine ai prodotti trasformati (fra cui l'orzo mondato), nel senso che l'espressione �esportazione verso paesi terzi�, ai sensi di detto art. 20, presupponga che � la merce sia stata posta in 1ibera pratica dn uno Stato terzo � -questa Corte Suprema -facendo applicaziooe dell'interpretazione data alla norma comunharia di identico contenuto dalla decisione del:la Corte di Giustizia delle Comunit� Europee -ritiene che, ai fini de1l'attdbuzione, nel caso di specie, delle cosiddette restituzioni alla esportazione, l'esportazione verso paesi terzi, ai sensi del regolamento comunitarfo n. 159 del 1966, richieda necessariamente che la merc� sia stata introdotta nel mercato di uno Stato terzo, e cio� che sia stata posta in libera pratica nello Stato estraneo alla Comunit�. Pertanto -dovendo ritenersi che l'esportazione in uno Stato terzo, estraneo alla Comunit� Economica Eumpea, si abbia soltanto quando ~a merce sia introdotta nell'economia di detto Stato e che H diritto al paga mento del premio consistente nelle restituzioni all'esportazione -non sussista nell'ipotesi in cui l'esportazione non si sria verificata -deve cOlll oludersi che la Corte d'Appello -attribuendo tale beneficio alla ditta resistente -non abbia pronunciato correttamente. In conclusione, iJ. secondo motivo di ricorso deve essere accolto. Con il �terzo motivo, fa ricorrente -denunciata Ja violazione e la falsa applicazione degli artt. 16 disp. prelim. della taviffa doganale approvata con il d.P.R. 24 giugno 1965 n. 723; 16 del d.P.R. 1� dicembre 1961, n. 1339; 1 della legge 31 luglio 1954, n. 570; e segg. del d.P.R. 27 febbraio 1955, n. 192; nonch� la omessa o insufficiente motivazione (airt. 360 n. 3 e 5 cod. proc. eiv.) lamenta che la Corte del merito abbia ritenruto che spettasse alla il'esistente la restituzione dell'I.G.E. ai sensi della legge 31 luglio 1954, n. 570, sul riflesso che cost~tuisce titolo idoneo a conseguire il :r.imborso la bolletta doganale di uscita, in quanto, nell'ipotesi in cui la merce sia reintrodotta nello Stato, dovrebbe farsi applicazione dell'art. 16 del d.P.R. 26 giugno 1965, n. 723. Anche questa doglianza � fondata. Il regolamento della materia in tema di imposta generale sull'entrata, per H periodo che interessa, � contenuto nella fogge 31 lu~io 1954, n. 570 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (restituzione dell'imposta generale sull'entrata sui prodotti esportati ed istituzione dii un diritto compensativo sulle importazioni), la quale, per agevolare l'esportazione di merci, ha concesso all'esportatore 1a restituzione di parte dell'imposta generale sull'entrata percepita sui prodotti nella fase di produzione ed ha imposto correlativamente un diritto di 'corrispondente misura (oltre all'imposta sostirtutiva deH'I.G.E. ex art. 17 della legge 19 giugno 1940, n. 762) sull'importazione degli stessi gened (d.P.R. 27 febbraio 1955, n. 192; d.P.R. 22 luglio 1955, n. 794). Invero, con l'art. 1 della legge n. 570 del 1954 sti. � disposto che �~i esportatori dei prodotti industriali sono ammessi alla restituzione dell'amposrta generale iin relazione alle merai esportate ed alle materie prime ed altri prodotti impiegati nella loro fabbr.ica2lione � e ohe �,sui prodotti industriali importati dall'estero � dovuta un'imposta di conguaglio rapportata all'imposta genera!l.e sull'entrata che gli stessi prodotti av!l'ebbero assolto durante Ja loro fabbl1icazione iin Italia�: Aii fini della restituzione dell'imposta generaJe sull'entrata, si �, poi, stabilito, con l'art. 1 dcl d.P.R. 27 i�ebbraio 1955 (Norme per ['esecuzione delJa legge 31 luglio 1954, n. 570), che �'l'esportazione dei prodotti industriai1i deve essere effettuata a mezzo dii bolletta doganale di uscita con restituzione di diritti, da compilar-si, di regola, in corl1ispondenza di ogni fattura per vendite effettuate all'estero�. In base a tale normativa, la Corte di Appello ha ritenuto che, verificandosi J'esportazione con iJ. passaggio della !linea doganale da parte della merce imbarca1Ja per l'estero, sia dovuta, in conseguenza di tale circostanza all'esportatore la restituzione dell'imposta generale sull'entrata percepirta sui prodotti nella fase dii produzione. Peraltro -poich� ~�art 16 dcl d.P.R. 21 rdicembre 1961, n. 1339, Approvazione della nuova tariffa dei dazi doganali di importazione (il cui testo � stato integralmente riprodotto nell'art. 16 del d.P.R. 26 giugno 1965, n. 723, avente lo stesso oggetto), stabilisce che �nel caso di reintroduzione di merci ammesse, quando si esportano, a.restituzione o ad abbuono cli diritti, devono ,essere rimborsate aHo Stato ~e somme relative alle restituzioni o agLi abbuoni usufruiti� -ila soluzione data ail problema oggetto di disputa non pu� ritenersi corretta. Invero -dovendo l'esportatore, .}a cui merce imbarcata per l'estero sia stata reintrodotta in Ita1ia, Timborsare 1allo Stato le somme attribuitegli a titolo di abbuoni -deve concludersi che, !in tal caso, ['esportatore non possa pretendere le cosiddette �restituziollli aH'esportazione dallo Stato, giacch� ila soluzione contraria comporterebbe dJl !l'icorso ad una inutile doppia partita, destinata necessariamente a perveniTe, attraverso un'operazione � aritmetica di sottrazione, alla compensazione della voce creditorfa con quelLa debitoria. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 53 Deve, quindi, concludersi nel senso che �'l di:riitto al rimborso dell'Jmposta generaJe sull'entrata non spetti all'esportatore di prodotti ortofouMicol<i (conserve di pomodoro) quando fa merce imbarcata per '1'estero non sia introdotta nell'economia o nel mercato dello Stato straniero e sia stata, quindi, reintrodotta ~n Italia. Pure il terzo motivo �, pertanto, da accogliere. (omissis) CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 9 dicemhre 1981, nelJa causa 193/80 -Pres. Mertens de Wi.J.mars -Avv. Gen. Slynn -Commissione delle Comunit� 1europee (ag. Wagenbaur e Berardis) c. Repubblica italiana (avv. Stato Ferri) -Interv.: Governo francese (avv. Guillaume, avv. Carnelutti). Comunit� europee � Unione doganale � Libera circolazione deMe merci � Misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative all'importazione -Divieto -Portata. (Trattato CEE, artt. 30 e segg.). Comunit� europee � Unione doganale � Libera circolazione delle merci Misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative all'importazione � Divieto � Eccezioni -Limiti -Fattispecie (commercializzazione di aceti di origine agricola non di vino). (Trattato CEE, artt. 30 e 36; d.P.R. 12 giugno 1965, n. 162, art. 51). Comunit� europee -Unione doganale -Libera circolazione delle merci Misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative all'importazione � Denominazione dei prodotti -Effetti -Aceto: variet� -Tutela dei consumatori. (Trattato CEE, artt. 30, 36, 38; tariffa doganale comune, voce 22.10; d.P.R. 12 giugno 1965, n. 162, art. 41). La mancanza di una normativa comune o di direttive di armonizza� zione relative alla produzione e al commercio di un prodotto non � sufficiente per porre tale produzi0J1e o commercio al di fuori dell'ambito di applicazione del divieto sancito dall'art. 30 del trattato. Il divieto di misure di effetto equivalente a restrizioni quantitavive si riferisce in effetti a tutte le normative degli Stati membri in materia commerciale atte ad ostacolare, direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari (1). (1-3) Con la sentenza 26 giugno 1980, nella causa 788/79, GILLI, la Corte di Giustizia si era gi� occupata della normativa italiana sull'aceto in relazione alla disposizione (art. 51 d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162) che vieta la messa in commercio per usi alimentari degli aceti non ricavati dal vino. Pronunciandosi ai sensi dell'art. 177 del Trattato sul quesito posto dal Pretore di Bolzano, con RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 54 In mancanza di una normativa comune in materia di commercio di un prodotto spetta agli Stati membri disciplinare, ciascuno nel suo territorio, tutto ci� che riguarda� il commercio di tal� prodotto, ma gli ostacoli che ne derivano per la circolazione intracomunitaria possono essere accettati solo se le disposizioni nazionali possano ammettersi come necessarie per rispondere alle �esigenze imperative attinenti alla protezione della salute pubblica, a cui si riferisce l'art. 36, alla difesa dei consumatori o alla lealt� dei negozi commerciali. Tale presupposto non ricorre nel caso del divieto posto nella legislazione italiana di commercializzare aceti di origine agricola diversi dall'aceto di vino (2). E incompatibile con il principio fondamentale della libera circolazione delle merci che una legislazione nazionale riservi una denominazione generica ad una sola variet� nazionale, a detrimento delle altre variet� prodotte in altri Stati membri. Il termine � aceto � � un.a denominazione generica che non si riferisce solamente agli aceti di vino e la protezione dei consumatori � nella scelta pu� essere garantita con mezzi appropriati, quali in particolare un.'etichettatura che indichi la materia prima utilizzata (3). (omissis) 1. -Con atto introduttivo depositato nella canceHeriia della Corte-iJ 29 �settembre 1980, la Commissione�delle Comunit� Europee ha proposto, ai �sensi dell'art. 169 del Trattato CEE, un .r.icorso inteso a far constataTe che la Repubblica italiana, (( vietando l'importazione e la commercializzaiJione, sotto la denomim~zione 'aceto', di aceto non a base di vino>>, � venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ,in virt� degli artt. 30 e 36 del Trnttato CEE. questa sentenza la Corte aveva gi� dichiarato che un simile divieto rappresenta una restrizione all'importazione confliggente con la libert� di commercio tra gli Stati membri (art. 30 del Trattato). La sentenza in rassegna, questa volta �in sede di rkorso della Commissione ai sensi dell'art. 169 del Trattato, ha riconfermato il punto, come del resto era prevedibile, cos� che per questa sua prima parte la pronuncia non presenta un sostanziale aspetto di novit�. M�rita per� cogliere lo spunto per sottolineare l'incerta demarcazione tra giudizio di 1interpretazione e giudizio di madempimento, e gli effetti di sconfinamento del primo nel secondo, conseguenti ad una frequente impostazione dei quesiti interpretativi, che appaiono non tanto fondati su una incerta lettura delle norme comunitarie, quanto piuttosto diretti al confronto diretto e puntuale, in termini di compatibilit�, tra le norme comunitarie ed una ben identificata disposizione di diritto interno. Pi� interessante � l'altro capo della sentenza che riguarda la contestazione di infrazione al Trattato in rapporto all'altra disposizione (art. 41 d.P.R. n. 162/65) che riserva la denominazione commerciale di aceto al solo aceto di vino. Qui la Corte ha ancora una volta enunciato il principio che la pr�tezione dei consumatori e la lealt� dei negozi commerciali 1appartengono a quell'ord~ne di valori che lo stesso ordinamento comunitario riconosce preminenti rispetto agli obbiettivi di liberalizzazione degli scambi, derivandone la facolt� per gli 55 PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 2. -A n�rma dell'art.� 51 del decreto del Presidente della R:epubbl�ca 12 febbraio 1965, n. 162 (G.U.R.I. n. 73 del 23 marzo 1965), � vietato -sotto pena di una multa o della reclusione -trasportare, detenere per la vendita, mettere in commercio o comunque utilizzare per uso a1imentare diretto o indiretto, fra l'altro, prodotti contenenti acido acetico non proveniente daHa fermentazione acetica del vino. A norma dell'art. 41 dello stesso decreto, la denominazione � aceto � � riservata unicamente al prodotto ottenuto dalla fermentazione acetica dei Vlini. Tali disposizioni si applicano ancl).e ai prodottLi.mportati dall'.estero. 3. -La Commissione, ritenendo tale normativa contrastante con il principio della libera circolazione delle merci all'interno della Oomurut�, trasmetteva al Governo italiano due successivi pareri motivati, emessi nelle condizioni qui di seguito indicate: 4. -Il primo �cli taU pareri era stato preceduto, ai sensi dell'art; 169 del Tirart:tato, da una lettera del 14 clicembre 1978, 1in cui la Commissione faceva .osservare al Governo Haitiano che la normativa sopra indicata andava configurata come una misura d'effetto equiV1alente a deLle restrizioni quantitative all'importazione, contrastante come tale con l'aTt. '30 d~"Frate tato, e per ila quale sembrava da esdudersi una deroga ,iJil base,all'art. 36 del Tirattato stesso, in quanto appariva difficile sostenere -ed in ogni caso non era comunque dimostrabile -che l'aceto d'alcool di <;>rigine agricola fosse pi� nocivo alla salute dell'aceto di vino. 5. -Nella lettera, la Commissione precisava ohe tale valutazione cori�erneva solo � l'aceto di alcool ottenuto per mezzo della fermentazione acetica di prodotti agricoli ad eccezione quindi dell'acido acetico sintetico�, che si poteva continuare ad escludere dal mercato dell'ace,to..Essa aggiungeva che, quanto all'aceto d'alcool di origine agricola, che doveva poter essere utilizzato nel -consumo diretto, allo stesso modo delJ'aceto di vino Stati membri di legiferare a tali fini anche con la ado2fone di misure oggettiva mente restrittive delle importazioni da altri Paesi della Comunit�, se necessarie allo scopo. Scendendo per� alla sua a:PPlicazione concreta, la Corte non si � discostata dai criteri di estrema cautela e prudenza che caratterizzano, nelle sue pronunce, la valutazione delle esigenze di tutela degli interessi extra-commerciali perseguite dalle norme interne. Nella specie, � comunque significativo che la Corte non � stata insensibile alla necessit� che un simile giudizio venga formulato non in astratto ma con adeguate considerazioni di quelle pecuHarit� nazionali consi stenti in particolari circostanze ambientali (come appunto dl tradizionale con sumo in Italia di solo aceto di vino ed i suoi riflessi nell'uso comune del termine aceto) che possono far apparire giustificate, fo un Paese membro, delle dispo sizioni che non sarebbero altrimenti compatibili con l'art. 30 del Trattato. (P.G.F.) RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO e in concorrenza con questo, essa non vedeva alcllil inconveniente a che le autorit� ita:liane adottassero le disposizfoni necessarie per permettere ai consumatori di operare fa loro scelta anche grazie ad un'etichettatura adeguata. 6. -Non avendo ricevuto :risposta entro il termine fissato -di due mesi-, ia Commissione emetteva, il 19 novembre 1979, nei confronti della Repubblica �ita:liana, un parere motivato relativo al divieto d.i usare aceto cli alcool diverso dall'aceto di vino in cui, dopo 1aver richlamato la propria lettera del 14 dkembre 1978, essa constatava �in confon:nit� dell'airt. 169, primo comma, del T�rattato CEE, che, vietando l'uso .cli aceto di fermentazione ottenuto mediante un prodotto diverso dal vino e dal VlinelJo, la Repubblica italiana ha mancato agli obblighi che [e derivano a norma del T�rattato �. Essa motivava .il proprio parere con la considerazione che �l'aceto di fermemazione cliverso dall'aceto di vino, dn particolare l'aceto prodotto a base di alcole, di sidro o di malto forma oggetto di forte .produzione e consumo �in vari Stati membri, e si pu� constatare che questo consumo non presenta alcun pericolo per Ja salute. M divieto di usare a scopi alimentari aceto di fermentazione d.Werso dall'aceto di vino equiViale pertanto a creare barriere commerciali fra ~'Italia e gli altri Stati membri �. 7. -Nel frattempo, il Governo italiano aveva presentato le proprie osservazioni, con lettera 8 novembre 1979, in cui, pur ribadendo il punto di vista secondo cui la sua JegislaZJione nazionale era nel suo complesso compatibile con il diritto comunitario, concentrava fa discussione sulle denominazfoni � aceto � e, rispettivamente, �aceto di vino �. 8. -In seguito a queste osserv.azioni, la Commissione trasmetteva al Gove:mo �italiano, iJ. 28 luglio 1980, un ulteriore parere motivato � relativo aJ. divieto di utilizzare la denominazione ' aceto ' per qualsiasi prodotto diverso da quello ottenuto dalla fel:'ll1entazione acetica del vino�, con il quale, dopo aver precisato che essa intendeva proseguire ila proprfa azione e dopo aver richiamato due volte la lettera 14 dicembre 1978, constatava che, vietando di utilizzare la denominazione � aceto � per ogni pmdotto diverso da que1lo ottenuto dalla fermenta2Jione acetica del vino, Ja Repubblica italiana aveva mancato agli obblighi impostile dal Trattato. Nello stesso parere, .Ja Commissione faceva riferimento �aHa sentenza, che nel frattempo era stata pronunziata, H 26 giugno 1980, nella oausa 788-79, Gilli e Andres, relativa all'importa:llione in Italia di aceto di mele (Racc. 1980, pag. 2071). 9. -Risulta dalla formulazione del parere motivato del 28 luglio 1980 che questo, nelle intenzioni esplicite della Commissione, � complementare al precedente parere motivato, e che i due pareri, nel '1oro :insieme, si rife11iscono tanto al divieto di usare fa denominazione �aceto� per i prodotti PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE non ottenuti dalla fermentazione acetica del vino, quanto al divieto di mettere in commercio o di impor'1Jare acero di fermentazione ottenuto da un prodotto diverso dal vino. Jil contenuto dei due pareri motivati � ribadito nelle conclusioni dell'atto introduttivo del ricorso, con iil quale s:i chiede che '1a Corte voglia � constatare che la Repubblica :iitaliana, vietando l'importazione e ila commercializzazione, ,sotto la denomiil!azione ' aceto', di aceto non a base di vino, ha mancato agli obblighi che le incombono iin virt� degli articoli 30 e segg. del Trattato CEE �. 10. -In seguito alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale delle Comunit� Europee di un estratto del ricorso, che poteva indurre a ritenere che ques:to si criiferisse anche a11.o smercio delJl'acido acetico di sintesi, il Gover~ no della Repubblica foancese ha chiesto ,di poter intervenire nella causa. Tale Governo affermava che, a suo avviso, l'Italia poteva legittimamente continuare a vietare il commercio dell'acido aoetico di sintesi e si riservava, qualora la Commis'Slione avesse inteso es1tendere il ricorso aHe questioni relative al commercio di ,taJe acido, di dntervenire a pa�rz>iale ,sostegno delle conclus!ioni del Governo italiano. 11. -Rispondendo ad una domanda postag;li in udienza, l'agente della Commissione ha affermato che Je conclusioni da questa presentate hanno portata generale, e si riferiscono all'importazione ed aJ commercio di qualsiasi tipo di aceto, ma che 1a Commissione stessa sarebbe dg,sposta a circo� scrivere '1'oggetto del ,ricorso, agli effetti del caso controverso, agli aceti di origine agricola, escludendo l'acido acetico di sintesi. 12. -Alla luce di quanto in precedenza esposto, questa Corte ritiene che Je questioni attinenti alfa denominazione ed al commercio deJl'acido acetico di smtesi non rientdno neH'oggetto della presente conkoversia. La Commissione aveva infatti chiaramente escluso questo tipo di aceto nella lettera di messa in mora del 14 dicembre 1978, richiamata espressa� mente tanto nel primo quanto nel secondo parere motivato, concentrando il suo esame sulla sola questione relativ,a alla denomina:zJione ed aH'impor� tazione dei diversi tipi di aceto derivato da prodotti ag;rico1i. Ne risulta che l'incertezza rilevata dal Governo francese trova una spiegazione nell'ambigua formu1aziione del ricorso, nel quaile non isi :rJflettono i limiti risultanti sia daJla lettera di messa in mora �sia dai due pa:reri motivati. Cos� stando le cose, la Commissione non pu� estende:re J'ambito del ricorso ad una questione che, essendo stata espressamente esclusa fin dall'inizio dal procedimento avviato ai sensi deH'art. 169, non ha costitJUito oggetto di contraddittorio n� in sede precontenziosa, n� durante la fase scritta del procedimento �dinanzi alla Corte; 13. -Si deve pertanto concludere che la presente controversia riguarda unicamente l'importazione, il commercio e fa denominazione in Italia dell'aceto ottenuto da prodotti ag:riicoli, escludendo l'acido acetico di sintesi. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 14.� -Secondo il ricorso de1la Commissione, il cui oggetto va cos� delimitato, la normativa italiana concreta due distinte violazioni dell'art. 30 del Trattato, in quanto vieta, da una parte, l'importazione ed il commercio dell'aceto di origine agricola che non sia quello ottenuto dalla fermentazione del vino e, d�Jl'altra, 1l'uso deMa denominazione � aceto� per gli aceti di �rigine agricola che non siano aceti di vino. a) Sul divieto dell'importazione e del commercio degli aceti di origine agricola diversi dall'aceto di vino. 15. -Il Governo italiano contesta che il mantenimento �in v:igore di questo div:ieto costituisca una violazione dell'obbligo di garantire la libera circola2lione delle merci. Esso adduce in primo luogo l'assenza di armonizzazione delle legislazioni deg1i Stati membri in mateda di �aceto� e, in secondo luogo, considerazioni relative all'assenza di discriminazioni, alla sanit� pubblica e alla repressione delle frodi. 16. -Il Governo italiano ricorda .innanzitutto che il Consiglio, nelle sue risoluzioni del 28 maggio 1969 (G. U. n. C 76, pag. 1) e del 17 diceml>re 1973 (G. U. n. C 117, pag. 1), aveva compreso faceto fra quei prodotti alrimentari per i quali la Commissione avrebbe doVUJto presentare proposte di armonizzazione che potessero essere adottate dal Consiglio stesso al pi� tardi il 1� luglio 1970, termine prorogato, in seguito, ail 1� gennaio 1977 con la seconda risolll2lione. Il Governo italiano argomenta che, nella misura in cui tale programma .rimane valido, la Commissione avrebbe dovuto procedere almeno ad un tentativo di armonizzazione, presentando una proposta ai sensi dell'art. 100 prima di invocare gli articoli 30-36 del Trattato. 17.. -Questa tesi va respinta. Il pr�noipio fondamentale deH'unit� del mercato ed il suo corollario, la libera circolazione delle merci, non possono -in alcun caso -essere subo11dinaH alla condizione preliminare del ravvicinamento delle legislazioni nazionali, in 1quanto una subordinazione di questo genere svuoterebbe il principio in questione del suo contenuto. Risulta d'altronde che gli artt. 30 e 100 perseguono finalit� distinte. L'uno ha lo scopo di eliminare immediatamente, 1salvo ecce2lioni ben determinate, itutte le restri2lioni quantitative 1aH'<importazione delle merci e tutte le mi.Sl\lre d'effetto equivalente, mentre l'altro ha .Io soopo generale di permettere, mediante di ravvicinarrnento delle disposizioni Jegislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri, di �ridurre gli ostacoli di ogni genere iriimltanti dalla disparit� �tra dette disposizioni. Non s.i pu� dunque subordinare l'eliminazione delle rest11izioni quantitative e delle misure d'effetto equivalente, scopo proolamato senza riserve dall'art. 3, 11ette. a), del T!l�attato, e attuato dall'art. 30, ad un'azione che, per quanto atta a favorire fa libera circolazfone delle merci, non pu� essere considerata come una condizione necessaria per l'applicazione di questo principio fondamentale. ��v��::��::,�,�=. . ... . =::::-:... :::=::::_'.;:-:-��.�-:-�-:-�-:-� � . 59 PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 18. -Ne deriva che la mancanza di una normativa comune o di direttive di armonizzazione relative alla produ2'Jione o al commercio di un prodotto non � sufficiente per porre tale produzione o commercio al di fuori dell'ambito di applicazione del divieto sancito da1l'art. 30 del Trattato. Il divieto di misure d'effetto equivalente �a a:estrizioni quantitative si riferisce in effetti a tutte le normative degli Stati membri in materia commerciale atte ad ostacolare, direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi Jntracomunitari. 19. -Il Governo italiano sostiene, ,in secondo luogo, che la normativa in esame non ha carattere discriminatorio, in quanto �si riferisce tanto ai prodotti :n;;izionali quanto ai prodotti jmportati. Esso fa carico, inoLtre, alla Commissione di non avere approfondito se il divieto di importazione non sia una conseguenza necessaria e legittima delle disposizioni adottate dallo Stato neJl'eseroizi.o della propria competenza 1legislativa in materia di commercio dei prodotti. 20. -A tale argomentazione si deve rispondere, da una par.te, che il sistema tinstaurato dalla legislazione italiana, seppure .si applichi indistintamente ai prodotti nazionali e a quelli importartli, provoca egualmente, di fatto, effetti :protezionistici. Esso' � stato watti configurato in modo tale da lasciar entrare in Italia solamente l'aceto di vino, chiudendo fa frontiera a qualsiasi altra categoria di aceto di origine agricola; tale sistema giova pertanto ad un produzione nazionale tipica, sfavorendo nella stessa misura varie categorie di aceto naturale prodotto negli altri Stati membri. 21. -D'altra parte, per quanto -come � confermato dalla giuri:sprudenza costante della Corte (sentenza io aprile 1979, nella causa 120/78, Revue, Racc. pag. 649) -, in mancanza di una normativa comune in materia di commercio di un prodotto, spetti agli Stati membri disciplinare, ciascuno nel suo territorio, tutto ci� che riguarda il commercio di tale prodotto, e per quanto v:adano accettati gli ostacoli che ne devivano per la circolazione intracomunitaria, occorre inoltre, per�, che �tali disposizioni possano ammettersi come necessarie per rispondere ad esigenze imperative attinenti alla prote2'lione della salute pubblica, a cui si riferisce 11'art. 36, aUa difesa dei consumatori o alfa lealt� dei negozi commerciali, presupposto, questo, che non sembra ricorrere nel caso in esame. 22. -Nori pu� infatti accettarsi l'argomento relativo alla protezione della salute pubblica, dedotto dal Governo .italiano . a giustificazione della propria legislazione nazionale, in quanto esso risulta infondato nel caso deg1i :aceti di orig.ine agricola, a proposito dei quali � pacifico che essi sono priv.i di sostanze nocive e vengono abitualmente consumati negli altri Stati membri e che, pertanto, vanno ritenuti non dannosi per la salute, come � stato d'1altronde constatato dalla Corte nella sentenza Gilli summenzionata, con r.iferimento in particolare all'aceto di mele. 60 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ili I 23. -Quanto alfa lealt� dei negozi ed alJa difesa dei consumatori, I a tati esigenze si pu� far fronte -come sar� illustrato in seguito a proposito della questione delle denominazioni -con mezZJi meno Testrittivi della �libera circolazione di quanto lo sia il divieto di mettere iin commercio qual I r: siasi tipo di aceto naturale diverso da1l'aceto di vino. ~j b) Sulla denominazione �aceto� riservata all'aceto di vino. 24. -Il �Secondo aspetto sotto il quale, ad avviso della Commissione, la normativa italiana viola U Trattato CEE rigua1:da il fatto di riservare la denominazione � aceto � all'aceto di villo. La Commissione fa notare che questa imposizione svaluta, agli occhi dei consumatori italiani, ~li aceti naturali ottenuti dalla feTmentazione dii sostanze diverse dail vino, i quali possono venire proposti ad acquirenti eventuali solo con un nome di fantasia che li deprezza, �rendendo tali tipi di aceto � quasi invendibiki �. Tale provvedimento sarebbe pertanto atto ad ostacolare direttamente o indirettamente gli scambi cintracomunitari. 25. -Il Governo italiano invoca, a giustificazione della propria normativa in materia, la necessit� di tutelare i consumator>i, i quali, !in lta:1ia, per � itradizione plurisecolare �, considererebbero -.in base al valore semantico del termine � aceto � -tutti gli � aceti � come acetii di vino. Ess�i sarebbero perci� esposti al �rischio di essere ingannati sulla qualit� effettiva della materia prima e del prodotto finito. 26. -Questo argomento non pu� essere accolto. Risulta dalle dispoSl�.zionii comun.itanie che si applicano in. materia, ed in particolare dalla voce 22.16 della tariffa doganaJle comune, riprodotta anche nell'allegato II del Trattato a cui fa 'riferimento l'art. 38 dello stesso, che il itermine � aceto � non s[ rid'erisce solamente agli aceti di vino, i quali sono classificaiti, d'altronde, sotto una rubPica specifica. Ne deTiva che :il termine � aceto � � una denominazione generica, ed � incompatibile con gli scopi del mercato comune, ed .in particolare con il principio fondamentale della ~ibera circo~ azione delle merci, che una legislzaione nazionale riservi una denominazione generica ad una sola v.ariet� nazionale, a detrimento delle altre varfot� prodotte, in particolare, in aHri Stati membri. 27. -Non � tuttavia escluso che, in seguito all'applicazione della normativa controversa, i consumatori irtaliaini si siano assuefatti 1all'uso commerciale del termine �aceto�, per il solo aceto di vino. In questa situazione, la sollecitudine del Governo italiano per la difesa dei consumatori pu� risultare giustificata. Siffatta protezione pu� tuttavia essere garantita con altri mezzi atti a sottoporre ad un pari trattamento i prodotti nazionali ed i prodotti importati, specialmente con l'obbligo di apporre un'etichetta appropriata, che specifichi le carattemstiche del pro PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE dotto venduto e comporti epiteti o complementi che precisino .iJ tipo di aceto posto in vendita, a condizione che tale prescrizione SI� applichi per tutti g1i aceti, compreso l'aceto di vino. Infatti, siffatto procedimento permetterebbe al consumatore di operare la propria scelta dn piena cogni:llione di causa e garantirebbe :la trasparenza delle operazioni commerciali. e delle offerte al pubblico mediante l'indicazione della materia prima util:izzaita ne1l:a produzione dell'aceto. 28. -In conclusione, sii deve constatare che, v,ietando il commercio e l'importazione degli aceti di omgine ag:riicoLa diversi da 1quelli ottenuti dalla fermentazione acetica del viillo, e ll"iservando 1a denominazione � aceito � all'aceto di V�ino, la Repubblica italiana � venuta meno ag1i obblighd I�.mpostile dagli artrt. 30 e seguenti del Trattato CEE. (omissis) CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 16 dicembre 1981, nella causa 244/80 -Pres. Mertens de Wilmars -Avv. Gen. Slynn. Domanda �di pronuncia pregiudiziale proposta dal Pretore .di Bra nellla causa fra Pasquale Foglia (avv. Cappelli e De Catermi) c. Ma:riiella Novello (avv. Motzo) -Interv.: Governi f.�rancese (:ag. Thierry Le Roy) e danese (ag. Lachmann) e Commissione delle C.E. (ag. Abate). Comunit� europee -Corte di giustizia -Pronuncia pregiudiziale ai sensi dell'art. 177 del Trattato CEE -Attribuzioni rispettive del giudice nazionale e della Corte di giustizia. (Trattato CEE, art. 177). Comunit� europee -Corte di giustizia -Pronuncia pregiudiziale ai sensi dell'art. 177 del Trattato CEE� Questione relativa a normativa di Stato membro diverso da quello ove si svolge il giudizio � Chiamata in causa dello Stato membro diverso dinanzi al giudice nazionale � Diritto comunitario � Indifferenza. (Trattato CEE, art. 177). Comunit� europee � Corte di giustizia � Pronuncia pregiudiziale ai sensi dell'art. 177 del Trattato CEE � Questione relativa a normativa di Stato membro diverso da quello ove si svolge il giudizio -Ammissibilit� -Poteri della Corte di giustizia. (Trattato CEE, art. 177). Secondo il sistema dell'art. 177 del trattato CEE, � compito del giudice nazionale valutare la necessit� di ottenere la soluzione delle questioni di interpretazione sollevate in ordine alle circostanze di fatto e di diritto che caratterizzano le controversie di merito; tuttavia spetta alla Corte esami 62 RASSEGNA. DELL'AVVOCATURA DELLO STATO nare, ove necessario, le condizioni in cui essa viene adita dal giudice nazionale al fine di verificare la propria competenza (1). In assenza di norme di diritto comunitario le possibilit� di chiamare in causa dinanzi ad un giudice nazionale uno Stato membro diverso da quello ove si svolge il giudizio (allorch� sia in discussione la normativa del primo Stato) dipendono sia dal diritto processuale di quest'ultimo sia dai princ�pi del diritto internazionale (2). Nel caso di questioni volte a consentire al giudice nazionale di valutare la conformit� col diritto comunitario di disposizioni di legge o regolamenti di un altro Stato membro, il grado di tutela giurisdizionale non pu� differire a seconda che tali questioni siano sollevate nell'ambito di un giudizio fra privati ovvero in un procedimento in cui sia parte lo Stato la cui normativa sia contestata, ma, nella prima ipotesi, la Corte deve vigilare in maniera del tutto particolare a che il procedimento di cui all'art. 177 non venga utilizzato per scopi non voluti dal Trattato (3). (omissis) 1. -Con ordinanza 18 ottobre 1980, pervenuta aHa Corte H 5 novembre 1980, il Pretore di Bra ha proposto, ,a,i ,sensi dell'art. 177 del Trattato CEE, cinque questioni pregiudiziald relative all'interpretazione degli artt. 177 e 95 del Trattato. 2. -Tale ol'.dinanza � stata emanata nell'ambito di una controversia pendente .innnazi al Pretore, che ha gi� ori~arto una prima serie di questioni pregiudiziali relative all'interpretazione degli artt. 92 e 95 del Trattato su cui la Corite si � pronunciata 1'11 marzo 1980 (causa 104/79, Foglia c. Novello, Racc. pag. 745). 3. -� opportuno ricordare che la causa principale verte sulle spese d.i sped.i:z�one sostenute daill'attore, il sig. Foglia, commerciante di vini residente dn Santa Vittoria d'Alba, provincia 'W Cuneo, Piemonte, Italia, in relazione alJ'invio di alcUIIl!� cartoni di v,ini ldquorosi Jtaliani acquistarti dalla convenuta, '1a sig.ra Novello, e spediti, per suo conto, ,ad una persona res,idente in Mentone, in Francia. (1-3) La sentenza l1 marzo 1980, citata in motivazione, la cui portata � precisata nella sentenza annotata, � pubblicata in questa Rassegna, 1980, I, 521, con nota di MARZANO, L'art. 177 del trattato CEE e la �competenza� della Corte di Giustizia delle Comunit� europee. Cfr. anche TIZZANO, Controverie fittizie e competenza pregiudiziale della Corte comunitaria, in Foro it., 1980, IV, 254. Con la sentenza 10 marzo 1981, nelle cause riunite 36 e 71/80, IRISH CREAMERY MILK SUPLIERS ASSOCIATION, in Racc., 1981, 735, e in Foro it., 1982, IV, 26, con nota di DANIELE, la Corte ha ritenuto che rientri nel potere discrezionale del giudice nazionale decidere in quale stadio del procedimento pendente dinanzi ad esso debba essere sottoposta alla Corte stessa la questione pregiudiziale. I I I - PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 4. -Risulta dal fascicolo che nel contratto di vendita concluso fra il Fogliia e la Novello si era stipulato che eventuali tribuilli pretesi dalle autorit� ita!liane o frwcesi e contrari al regime deHa libera circolazione delle merci fra i due paesi, o quanto meno non dovuti, non ,sarebbero stati posti a carico della Novello. Il Foglia inseriva una dausola analoga nel suo contratto con l'impresa Danzas da liui rincaricata di trasportare a Men:tone i cartoni di vini liquorosi; detta clausola stabiliva che gli �Stessi tributi Hlegittimi o non dovuti non sarebbero stati posti a carico del Foglia. 5. -La prima ordinanza di Tinvio, che ha darto 'luogo alla sentenza 11 marzo 1980 succitata, constatava che Ja materia del contendere era drcoscritta al solo importo versato �a ti,tolo di imposte di consumo all'atto delllintroduzione dei vini liquorosi in territorio f.rancese. Risu1tava dal fascicolo che tali imposte di consumo erano �state paga.te all'amministrnzione francese dalla Danzas, senza proteste n� reclami; che la nota di spese per la spedizione presentata da!lla Danzas al Foglia, comprensiva dell'importo di tali ~mposte, era starta mtegralmente saldata da quest'ultimo senza che venisse opposta la clausola espressamente patttllita circa � d tributi illegittimi o non dovuti�; che la Novello, al contrario, si era rifiutata di rifondere questo stesso importo al Foglia invocando l'Jdentica clausola inserita nel propnio contratto. 6. -Il Pretore, avendo inteso i mez~i difonsdvi delJa Novello come una messa in discussione della [egittinrlt� della legislazione francese relativa alle imposte di consumo sui vini :.liquorosi 1alla Juce del Trattarto CEE, sottoponeva alla Corte una serie di questioni in ordine all'interpretazione dell'art. 95 e, secondariamente, dell'art. 92. 7. -Nella precitata senten:zla 11 marzo 1980 la Conte dichiarava la sua incompetenza a prolltUilciarsi sulle questioni sollevate dal giudice na~ionale. In tale occasione essa osservava che: � La funzione che l'art. 177 del Trnttato affida alla Corte idi giustizfa � quella 'di fornire ai giudici de11a Comunit� gi1i elementi di interpretazione del diritto �omunitario loro necessari per tla soluzione di controversie effettive loro sottoposte. Se, mediainte accorgimenti del tipo ,di que11i sopra descritti, la Corte fosse obbligata a pronunziarsi, �si airrecherebbe pregiudizio al sistema dell'insieme dei rimedi giuris�diziona1i di cui dispongono i singoli per <tutelarsi con l'applicazione di leggi fiscali contral'.'ie alle norme del T:mttato �. 8. -Dall'ordinanza di rinvio risulta che questa sentenza della Corte � stata contestata dalla convenuta nella causa principale, che ha ritenuto che la Corte, pronunciandosi in tal senso avesse usurpato H potere discrezionale attribuito al giudice iitaliano. Ess,a ha sostenuto che una tale applicazione dell'art. 177 da parte della Corte sollevava, nell'ambito nazionale, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 64 una questione di legittimit� costituzionale. In subol'dine, essa ha sollevato una questione relativa all'interpretazione deLl'iait 177 del Trattato CEE ed ha chiesto, per giunta, la chiamata in causa della Repubblica francese. 9. -A fronte di tali domande il Pretore ha ravvJsato la necessit� di adire nuovamente la Corte di giustizia sottoponendole talune questioni in ordine all'interpretazione dell'art. 177 del T.rattato, al fine di ottenere una pronuncia pi� puntuale e certa sUJl.la portata ed il signficato della sentenza 11 marzo 1980. 10. -Cons�derando che dalla formula:ci.one della sua prima ordinanza poteva essere sorto un malinteso, il PTetore ha insistito particolall'IIlente su di un elemento che, a suo parere, non risultava chiaramente in tale ordinanza. La convenuta, !in effetti, fin dalla prima udienza di compari:ci.one, ha evitato di limitarsi a res.istere puramente e semplicemente aille domande dell'a1ltore. Avvalendosi di una procedUll'a per nuJ:la infrequente in diritto italiano, essa ha presentato una � domanda, entro certi limiti autonoma, di sentenza dichiarativa della situazione giuridica soggettiva e oggettiva �. 11. -Per tali motivi, il Pretore di Bra ha deciso di adire nuovamente la Corte proponendole le seguenti questioni pregiudiziali: 1) come debba essere 1interpretato ['art. 177 del Trattato CEE per quanto riguarda il potere di valutazione della Corte di giustizia in ordine al1a formulazione dei quesiti interpretativi ad essa sottoposti e soprattutto alla foro funzione nell'economia della causa a quo; pi� in particolare quali siano ile attribuzioni rispettive della Corte e dei giudici autori dei rinvii pregiudiziali. -tenuto soprattutto conto dei poteri a questi ultimi spettanti iin forza dei rispettivi ordinamenti naziona!lii -in ordine ailfa valUJta:ci.one di tutte ~e circostanze di fatto e di ,diritto che camttemzzano Je coillltroversie di merito, nonch� delle ques.tioni ivi evocate, soprattutto quando oggetto della domanda nei giudizi a quo siano sentenze dichiarative; 2) rse, nell'ipotesi in cui la Corte di giustizia nel corso di un rinvio pregiudiziale per qualsivoglia motivo si dichiari incompetente a pronunziarsi sui quesiti ad essa sottoposti -il giudice autore del rinvio i1 quale sia tenuto in forza del proprio diritto nazionale a rendere comunque giustizia alle parti, possa, ed entro quali limiti e secondo qrua1i arirteri. ugualmente procedere ad interpretare .il diritto comunitario o debba invece decidere esclusivamente al1a stregua del diritto nazionale; 3) se, nel quadro dei criter:i interpretativi dell'art. 177 del Trattato CEE, esista nell'ordinamento comunitario un principio d'ordine generale che imponga o consenta ai giudici nazionali -investiti di controversie nel corso delle quali sorga questione d'interpretazione del diritto comunitario che coinvolga normative nazionali, eventmtlmente appartenenti a 65 .PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INmRNAZIONALE ordinamenti diversi da quello del giudice adito -di disporre l'integrazione del contradditorio prima del !rinvii.o pregiudiziale a11a Corte di gius,tizia, chiamando J.n causa le autorit� dello Stato membro interessato; 4) se, in ogni caso tutte le volte che dinanzi iailJ.e giiurisdraioni nazionaJ: i od a cura deMe giurisdizioni nazionali venga sol!levato iin un giudizio tra parti private un quesito interpretativo che coinvolga di!retta� mente le situazioni soggettive di cittadim od operatori economici ap� partenenti ad uno degli Stati membri, taLi situazioni soggettive del dWitto materiale comUllli.tario ottengano un grado di tutela diverso e comunque affievolito �rispetto al grado di tutela che possono ottenere Je stesse si-. il!uazionii soggettive nel caso in cui, sia dinanzi al giudice nazionale, sia dinanzi alla Corte di giustizia CEE siano presenti e costituirt:e mgiudizio le amministrazioni degli Stati membri, le disposizioni di diritto dei quali costituiscano oggetto di quesiti interpretativi concernenti la foro compatibilit� con il TTattarto CEE; 5) se l'art. 95 CEE vada d.nterpretato nel 'senso che il divieto di imposizioni interne differenziate dn funrione dell'origiine e provenie..."lm di un prodotto comprenda fattispecie quali quella del cregime fiscaile kan� cese sui viini .liquorosi, descritto d.n dettaglio nella causa 104/79 �. Sulla prima, terza e quarta questione. 12. -Con Ja prima questione, :il Pretore chiede che vengano preci� sati ii. confini fra il potere di apprezzamento che il Tcrattato attribuisce, rispettiv�amente, al giudice nazionale e alla Corte per quanto concerne la formulazione deLle questioni pregiudiziali e la valutazione delle aircostrunze di fatto e di dil1itto che caratterizzano �le controversie di me!rito, soprattutto quando il giudice nazionale � chiamato a pronunciare una � sentenza dkhlarativa �. 13. -La terza e la quarta questione riguacrdano pi� specificamente il caso d.n cui Je questioni di interpretazione vengano sollevate aJ fine di c01I1senti!re al giudice di pronunciarsi �su contestazioni conce!r.nenti la compa1libiJJit�, col diritto comunitario, di norme di legge nazionali, emanate, vuoi dallo Stato ove si tiene il giudizio, vuoi, come nel caso di specie, da un altro Stato membro. Al riguardo viene chiesto: -se, nell'ipotesi in cui, dii.nanzi ad un glliudioe di uno Stato membro, vengano contestate norme di legge appartenenti all'ordinamento di un altro Stato membro, esista nell'ordinamento comunitario un ptrinoipio d'ordilile generaile che imponga o consenta 'ail giudice dnvestito di tale contestazione di chiamare in causa le autorit� del:lo Stato dnteressato prima ili pronunci:arsi sul rinvio pregiudiziale a[la Come; -se, il grado di tutela risultante per i p!rivati dal procedimento di cui ,all'art. 177 differisca a seconda che una contestazione del gene!re sia 6 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 66 sollevata nell'ambito di un giudizio fra parti private ovvero di un procedimento ,in cui sia parte l'amministra21ione dello Stato Qa cui normativa � messa in discussione. 14. -Circa la prima questione, va a:icordato, come la Corte ha avuto occasione di sottolineare nei contesti pi� disparati, che l'art. 177 si fonda su di una cooperazione che implica una 11ipartizione delle competenze fra il giudice nazionale e :il giudice comunitariio, neH'mteresse della corretta applicazione e dell'uniforme interpretazione del diritto comunitario nel~' insieme degli Stati membri. 15. -A .tale efifetto, � compito del giudice naziona:le -dn quanto esso � investito del merirto della controversia e dovr� assumersi la responsabillit� della futur.a. decisione -valutare, alla luce dei fatti di causa, la necessdt� di far risolvere una questione pregiudiziale ad fini della decisione finale della controversia. 16. -Esercitando tale potere di valutazione, ~l giudice nazionale adempie, !in collaborazione con la Corte di giustizia, ad wna fwnzione loro attribuita congiuntamente al fine di garantire la iegalit� nell'applicazione e nell'interpretazione del Trattato. Per.tanto, i problemd che possono derivare dall'esercizio, da parte del giudice nazionale del suo potere di valutazione nonch� i rapporti che egli ha con la Corte (llell'ambito dell'articolo 177 sono esclusivamente disciplinati da:lle norme del diritto comunit~ io. 17. -Al fine di consentire alla Corte 'di espletare la sua funzione iin conformit� al Trattato, � indispensabile che d giudici nazionali ch�!a11iscano, nel caso in cui non risultino inequiivocabilmente dal fosoicolo, i motivi per i �quali essi ritengono necessaria al1a definizione della controversia fa soluzione delle questioni da Joro proposte. 18. -Va Jn effetti sottolineato che l'art. 177 affida alfa C011te il compito non di espriimere pareri a carattere consultivo su questiioni generali o ipotetiche, ma di contribuire all'amministrazione della giustizia negli Stati membri. Ad essa non compete pertanto la soluzione di queSltioni di �interpreta21ione che le siano propos�te nell'ambito di schemi processuali precostituiti dalle parti al fine di indurla a pronunciarsi su ta:luni problemi di diritto comunitario non rispondenti ad una necessit� obiettiva inerente 'allla definizione di una controversia. Una declaratoria di incompetenza in una tale ipotesi non arreca alcun pregiudizio alle prerogative del giudice nazionale, ma consente di evitare l'utilizzazione del procedimento di cui all'art. 177 a fini diversi da quelLi che gli sono propri. I I ! ! PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 19. -Per giunta, va rilevato che, se � vero che Ja Corte deve potersi !rimettere, nella maniera pi� ampia, all'apprezzamento del giudice nazionale [n ordine alla necessit� delle questioni sottopostele, essa deve essere in posta in grado di esprimere, qualsiasi valutazione concernente l'espletamento della propria funzione, particolarmente al fine di verificare, se del caso, come vi � tenuto qualsiasi giudice, la propria competenza. Pertanto, tenuto conto dei :riflessi delle propvie decisioni dn materia, fa Come deve considerare, nell'esercizio del potere giurisdizionale conferitole dad~ �art. 177, non soltanto gLi interessi delle parti in causa, ma altres� quelli della Comunit� e quelli degli Stat'i membri. Essa non pu� quindi, senza misconoscere i compiti che .le incombono, restare indifferente di f.ronte alle valutazioni operate dai giudici degLi Stati membri nei casi eccezionali in cui essere potrebbero influire sul corretto funzionamento del procedimento contemplato dall'art. 177. 20. -Lo spirito di collaborazione che deve presiedere all'esercizfo delle funzioni assegnate dall'art. 177 i1ispettivamente 1al giudice nazionale e a.I giudice comuil!itario, se impone alla Corte l;obblti.go di rispettare le competenze proprie del giudice nazionale, 1implica altres� che til giudice nazionale, avvalendosi delle possibilit� offerte dall'art. 177, tenga presente la funzione specifica di cui la Corte � I�investita in materia. 21. -La prima questione va quindi .risolta nel senso che, sebbene, secondo il sistema dell'art. 177, sia compito del .giudice nazionale valutaire la necessit� di ottenere la soluzione delle questiOilli. di interpreta2lione sollevate in ordine alle circostanze di fatto e di diritto che caratteriz: mno le controversie di merito, spetta ;tuttavia alla Corte esaminare, ove necessario, Ie condiziorni in cui essa viene adita dal giudice nazionale al fine di verificare l� propria competenza. 22. -Come il Pretore ha giustamente messo in luce con fa rt:erza e fa quarta questione, possono porsi particolari problemi per quanto concerne l'applicazione dell'art. 177 ove il giudice namonale sollevi le questioni di interpretazione al fine di essere posto in condizione di valutare fa conformit� al divitto comunitario di atti fogislaitivi di uno Stato membro. Al riguardo, il Pretore ha sollevato due distinti ordini di problemi. 23. -La terza questione concerne l'ipotesi in cui, nell'ambito di un giudizio :lira priivati pendente dinanzi ad un giudice di uno Stato membro, venga contestata la compatibilit� col di�ritto comunitario, della normativa di uno Stato membro diverso da quello ove si svolge il giudizio. Il Pretore ha domandato al riguardo se, in rta:Ie caso, lo Stato membro fa cui normativa � in discussione possa essere chiamato in causa nel procedimento in atto dinanzi al giudice adito. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 24. -Tale questione va risolta nel senso che, in assenza di norme di dir.itto comunitario al 1riguardo, .le possibiliit� di chiamare :Ln causa, dinanzi ad un giudice nazionale, uno Stato membro diverso da quello ove si svolge il giudizio dipendono dal diritto di quest'u1timo e dai principi del diritto internazionale. 25. -Con la quarta questione, H Pretore ha chiseto se la tutela garantita ai privati da1l procedimento di CUJi. all'art. 177 SI�a ,diversa, o addiirittura affievolita, nel caso in cui una questione del genere venga sollevata in una contiroversia fra privati, crispetto ai giudizi che vedono contrapposto un privato all'amministrazione. 26. -La questione, cos� com'� formulata, va risolta evidenziando che qualsiasi privato i cui dhiitrt:ii siamo lesi da .provvedimenti di uno Stato membro contrastanti col diiritto comunitario deve poter �lllvocare la tutela di un giudice competente il quale, a sua volta, deve poter ottenere chiarimenti sul1a portata deHe norme pertinenti del diritto comunitario tramite iJ. procedimento di cui aH'art. 177. In vda di principio, il grado di tute1a gimisdizionale non deve quindi differire a seconda che un problema del genere sia sollevato in una causa fra privati ovvero in un procedimento m cui, dn una foirma o nell'altra, sia parte fo Stato la cui normativa sia messa in discussione. 27. -Tuttavia, come la Corte ha puntualizzato risolvendo la prima questione di cui sopra, spetta alla Corte, al fine di verificare la propria competenza, valutare le condizioni in cui essa vdene adita dal giudice na:zionale. In tale contesto non � 1in ogni circostanza indifferente sapere se un'azione giudiziaria � intentata fra privati ovvero contro lo Stato la cui normativa viene contestata. 28. -In primo luogo va evidenziato il fotto che iil giudice investito, nell'ambito d~ una causa fra privati, di una contestazione in ord�llle alla compatibilit� col diiritto comunitario della normativa di un altro Stato membro, non si tirova necessariamente in grado di poter tutelare efficacemente i privati nei confronti di tale normativa. 29. -In secondo luogo, tenuto conto dell'autonomia generalmente riconosciuta alle parti dagli ordinamenti degli Stati membri in materia contrat� tuale, non si possono escludere comportamenti delle parti diretti a porre lo Stato mteressato nell'impossibmt� di provvedere ad una ,difesa adeguata dei propri interessi provocando una decisione sulla [egittimit� delile norme di legge di quest'ultimo da parte di un giudice di altro Srtato membro. Non si pu� quindi escludere, verificandosi taH situazioni processua1i, il rischio che iiJ procedimento di cui all'art. 177 venga distolto, ad opera delle paTti, dalle finalit� per cui � stato previsto da[ Trattato. . : PARm I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA B INTERNAZIONALE 69 30. -Dall'insieme delle considerazioni che precedono consegue che, dal canto suo, la Corte deve esercitare una particolare vigilanza quando le venga sottoposta, nell'ambito di w:m controversia fra privati, una questione pregiudiziale intesa a consentire al giudice di valutare la compatibilit� dclla normativa di un �altro Stato membro col di!l"itto comuniitario. 31. -La quarta questione va quindi risolta nel senso che, nel caso di ques,tioll!i volte a consentire al giudice nazionale di valutaire la confonnit� al �diritto comunitario di leggi o regolamenti di un altro Stato membro, il grado di tutela giurisdizionale non pu� differire a seconda che talri questioni siano sollevate nell'ambito di un giudizio frn privati ovvero in un procedimento in cui sia pairte lo Stato Ja cui normativa sia contestata, ma che, ne1la prima ipotesi, la Corte deve vJgilaire m maniera del tutto particolare a che H procedimento di cUJi all'art. 177 non venga utilizzato per scopi non voluti dal Trattato. Sulla quinta questione. 32. -Nella sua quinta questione ii! Pretore di Bra :Diproduce, m forma sintetica, la prima questione proposta neUa sua precedenrte ordinanza e riguardante l'interpretaziione dell'art. 95 del Trattato. Nella sentenza 11 marzo 1980 succitata, la Corte ha constatato che le parti eS!pI'imevano una valutazione concorde sulla legittimit� della normativa francese di cui trattasi e che esse miravano in :realt� ad ottenere, attraverso l'espediente di una clausola particolarre inserJta nel loro contratto, una declarratoria di illegittimit� della normativa francese da parte di un giudice italiano, bench� l'ordinamento francese ofl�risse mezzi idonei di impugnazione. La Corte ha concluso che una pronuncia sulle questioni poste in un tale contesto esulava dal compito assegnatole dall'art. 177 del Trattato che consiste nel fornire ai giudici del!La Comunit� gli elementi di inrterpretazione del diritto comunitario loro necesS'ari per la soluzione di controversie effettive loro sottoposte. Essa si � quindi dichiarata incompetente a pronunciarsi sulle questioni proposte. 33. -Nella sua seconda ordinanza di rinvio, il Pretorre ha rHevato :in particolare che la convenuta gli aveva chiesto di emettere una � sentenza dichiarativa�, Al riguardo, va precisato che [e condizioni ;in cui la Corte adempie �alle sue funzioni in materia n~n dipendono dalla natura e dallo scopo dei procedimenti contenziosi intentati dinanzi ai giudici nazionalri.. L'airt. 177 fa riferimento alla �sentenza� da emanare da parte del giudice nazionale senza contemplare un regime particolare ~n fonzione della natura di questa. 34. -La circostanza rilevata dal giudice nella seconda ordinanza di rinvio non risulta quindi costituire un fatto nuovo che giustifichi una nuov�a valutazione da parte della Corrte in ordine alla sua competenza. 70 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO � quindi compito del Pretore, nell'ambito de11a coUaborazione fra i giudici nazionali e la Corte, di stabilire, alla luce delle consider�zioni svolte iin precedenza, se sia necessario ottenere la soluzione della quinta questione da parte detta Corte e, in tal caso, di fornire a quest'ultima qualsiasi elemento nuovo che possa giustificare una sua diversa valutazione in ordine a11a propria competenza. Sulla. seconda questione. 35. -Alla luce di quanto procede non � necessario risolvere questa questione. (omissis) CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 3a Sezione, 14 gennaio 1982, nella causa 65/81 -Pres. Touffait -Avv. Gen. Slynn -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Verwaltungsgericht �di Stoccarda ne1la causa F. e L. Reina c. LandeskredJtbank Baden-Wilrttemberg -Interv.: Governo Italiano (avv. Fienga) e Commissione deHe C.E. (ag. Beschel). Comunit� Europee -Corte di giustizia -Prortuncia pregiudiziale ai sensi dell'art. 177 del trattato CEE -Richiesta da parte di un gi�dice di uno degli Stati membri -Poteri di verifica della Corte -Limiti. (Trattato CEE, art. 177). .Comunit� europee -Libera circolazione dei lavoratori -Vantaggi sOciali � Mutui per la nascita di figli. (Trattato CEE, artt. 7, 48 e 49; regolamento CEE del Consiglio iS ottobre 1968, n. 1612, art. 7). .La Corte, adita ai sensi dell'art. 177 del trattato CEE, deve verificare, orl.de accertare la propria competenza, se il proponente la questione pregiudiziale sia un giud�ce di uno Stato membro, ma non deve anche accertare se il provvedimento di rinvio sia stato adottato in modo conforme alle norme di organizzazione giudiziaria e processuali del diritto nazionale (1). (1) Sulla verifica da parte della Corte della provenienza della questione sottopostale da una � giurisdizione � nazionale, cfr. le sentenze della Corte 14 dicembre .1971, nella causa 43/71, POLITI, in Racc., 19711, 11039, e 21 febbraio 1974, nella causa 162/73, DREHER, in questa Rassegna, 1974, I, 354, con nota di MARZANO, L'art. 177 del Trattato CEE nel procedimento senza contraddittorio, che hanno ritenuto ricevibili le domande pregiudiziali proposte dal Presidente del Tribunale in sede di procedure per l'emissione di decreto ingiuntivo; la sentenza 3 febbraio 1976, nella causa 59/75, MANGHERA, in questa Rassegna 1976, I, 199, sulla ricevibilit� della domanda proposta dal Giudice istruttore penale; le sentenze 71 PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE L'art. 7 n. 2 del reg. del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, va interpretato nel senso che la nozione di vantaggio sociale contemplata da questa disposizione comprende i mutui senza interessi di natalit� concessi da un istituto di credito di diritto pubblico, in base a direttive e con l'aiuto finanziario dello Stato, a famiglie a basso reddito, onde incoraggiare la natalit�. Detti prestiti vanno quindi concessi ai lavoratori di altri Stati membri alle stesse condizioni che ai lavoratori nazionali (2). (omissis) 1. -Con ordinanza 17 febbraio 1981, pervenuta aMa Corte il 30 marzo 1981, hl VerwaltU1I1gsgericht di Stoccarda ha so1levato, a norma deH'art. 177 del Trattato CEE, due questioni pregiiudiziali relative all'interpre1Ja2lione dell'art. 7, primo comma, del Trattato CEE nonch� deH'art. 7, n. 2, del regolamento del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori nell'ambito della Comunit� (G.U. n. L 257, pag. 2). 2. -Le questioni sono state sollevate nell'ambito di una controversia amminiistrativa, vertente sulla concessione di un mutuo di nata1it�, fra una coppia di lavoratori, cittadini italiani residenti nella Repubblica federale di Germania, e la Landeskreditbank Baden-Wiirttemberg, ente �di diiritto pubblico posto sotto la tutela del Land Baden-Wiirttemberg. 3. -In ossequio a direttive impartitele da1'le competenti autotlt� del Land Baden-Wiirttemberg, fa Landeskreditbank concede a richiesta dei mutui, f.ra 1l'altro in occasione della nascita di un fig]Jio. I mutui di nata1it�, esenti da �interessi grazie mie sovvenzioni 1del Land, d�rano sette anni ed hanno un importo massimo di DM 8.000, che pu� giungere a DM 12.000 ilil casi eccezionali. Essi possono essere concessi al:le coppie solo se uno almeno dei coniugi � cittadino tedesco e se il reddito familiare non supera 12 novembre 1969, nella causa 29/69', STAUDER, in Racc., 1969~ 419, e 12 novembre 1974, nella. causa 37/74, HAAGA, in Racc., 1974, .1201, rispettivamente in tema di procedimenti d'urgenza e di volontaria giurisdizione; la sentenza 30 giugno 1966, nella causa 61/65, GoEBBELS, in Racc., 1966, 407, relativa ad uno speciale tribunale arbitrale olandese, dove, per�, la Corte ha insistito sulla circostanza che, nella specie, tale organo agiva nell'ambito del diritto pubblico; sulla competenza dei collegi arbitrali in genere ad adire la Corte, sar� interessante conoscere l'opinione della Corte stessa nella causa. in corso n. 102/81, REEDEREI MoND. (2) Quanto alla no2lione di � vantaggio sodale � di cui all'art. 7 n. 2 del regolamento CEE del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, per la non necessariet� della connessione con un contratto di lavoro, cfr. in senso conforme, dopo qualche incertezza, le sentenze della Corte di giustizia 30 settembre 1975, nella causa 32/75, CHRISTINI FIORINI, in Racc., 1975', p. 1081, e in questa Rassegna, 1975, I, 822, con nota di MARZANO, L'art. 7 del trattato CEE e i �vantaggi sociali� riconosciuti ai lavoratori migranti, e 31 maggio 1979, nella causa 207/78, EVEN, citata in motivazione, in Racc., 1979, 2019, e Foro it., 1980, IV, 75. Nella prima la Corte afferma che costituiscono vantaggio sociale le tessere a riduzione sui prezzi di RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 72 un determinato massimo. Secondo i dati forniti dal g[udice nazionale, questo sistema di prestiti di natalit� � stato istituito per contribuire a'lllaumento delle nascite presso la popolazione tedesca e per limitare il numero delle interruzioni della gravidanza. 4. -Nella fattispecie, i ricorrenti nella causa principale, coniugi Reina, chiedevano la concessione di un mutuo in occasione della nascita di due gemelli. Avendo fo Landeskreditbank Baden-Wiirttemberg rifiutato loro il mutuo per il motivo che, secondo le direttive sopra menzionate, il mutuo poteva essere concesso solo se almeno uno dei coniugi era cittadino tedesco, i coniugi Reina hanno adito fil Verwaltungsgericht di Stoccarda, contestando la conformit� di questo requisito al diritto comunitario. 5. -Ritenendo necessaria una pronunzia della Corte per poter pro11/ Unziare Ja sentenza, il Verwaltungsgericht di Stoccarda ha sollevato le seguenti questioni: � 1. Se l'art. 7, n. 2, del regolamento {CEE) del Consi~o 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori neil!l'ambito della Comunit� (G.U. n. L 257), vada interpretato nel senso che esso equipara J cittadini d'altri Stati membri della Comunit� Economica Europea ai oittadini dello Stato ospitante anche nel caso in cui, in forza di direttive interne all'amministrazione che non creano Ull1 ilirJtto soggettivo, un istituto di c~eruto di diritto pubblico conceda su domanda, ai coniugi lii cui redruto non superi un certo massimale, in occasione delfa nascita di un figlio e al fine di evitare, mitigare od eliminare i problemi di natura economica, mutui senza inrteressi per i quali til Land Baden-Wiirttemberg versa al suddetto istituto, nella misura degli stanziamenti contemplati di volta in volta nel bilancio preventivo dello Stato, sovvenzioni destinate a com' trasporto, rilasciate alle famiglie numerose da un ente ferroviario nazionale, e ci� anche se la richiesta sia fatta dopo n decesso del lavoratore, a favore della sua famiglia residente nello stesso Stato membro. Con la seconda si � ritenuto, viceversa, che non rientra nella previsione della norma suddetta il vantaggio del diritto alla pensione anticipata non ridotta previsto da una legislazione nazionale in favore di determinate categorie di lavoratori nazionali, in quanto esso � trova la sua causa principale nei servizi che i benefiiciari hanno reso in tempo di guerra al loro paese ed ha per finalit� essenziale di offrire a tali cittadini nazionali un vantaggio in ragione delle prove subite per detto paese �, e si ricollega, quindi, non allo status obiettivo di lavoratore o al semplice fatto della residenza nel territorio nazionale, ma ad uno status di benemerito della Nazione (un siffatto vantaggio non rientra neanche nella sfera del regolamento 14 giugno 1971, n . .1408, sulla previdenza sociale ai lavoratori subordinati e ai loro familiari che si spostano all'interno della Comunit�, a norma dell'art. 4, n. 4, che esclude appunto dall'ambito di applicazione del regolamento � i regimi di prestazioni a favore delle vittime di guerra o delle sue conseguenze �, come gi� precisato nella precedente sentenza 6 luglio J978, nella causa 9/78, GrLLARD, in Racc., 1978, 166,1, e in Foro it., 1979, IV, 84). ' PARTE I, SEZ. Il, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 73 pensare gli interessi non percepiti, in base, :llra l'altro, alla considerazione che � necessario, mediante provvedimenti. d'aiuto alle famiglie, combattere la denatalit� nella Repubblica .federale dii Germania e diminuiire ~l numero delle interrruzioni volontarie della gravidanza. � 2. Nel caso in cui l'art. 7, n. 2, del regolamento (CEE) n. 1612/68 non sia applicabile, se l'art. 7, primo comma, del Trattato del 25 marzo 1957, che istituisce la Comunit� Economica Europea, vada :interpretato nel senso che, nelle drcostanze �di cu� sopra, esso osta a che venga effettuata una differenziazione fra d cittadini d'a1tri Stati membri e i cittadini dello Stato ospdtante ai fini della concessione di mutui per la nascita�. Sulla procedura. 6. -La Landeskreditbank contesta l'ammissibilit� della domanda pregiudiziale in quanto l'ordinanza di rinvio non sarebbe stata pronunziata dal Verwaltungsgericht nella sua composizione normale. IJ Verwa1tungsgericht avrebbe statuito nella composiZJione di tre giudioi di carriera mentre il diri.tto processuale tedesco esigerebbe inoltre la partecipazione di due giudici onovari. 7. -In proposito va ricordato che, a norma dell'art. 177 del Til'attato, la Carte � competente a :statuire, in via pregiudiziale, sulle questioni di diritto comunitario che le vengono sottoposte da un �giudice di uno degli Stati membri. Secondo l'economia di questa disposizione, spetta a11a Corte, onde accertare la propria competenza, lo stabihlre se il .proponente sia un giudice di uno Stato membro. Non le spetta tuttavia, data la ripartizione delle funzioni fra essa e il giudice nazionale, accertare se dJ provvedimento con cui � stata adita Slia stato adottato tin modo conforme alle norme di organizzazione e processuali del diritto nazionale. La Corte deve quindi attenersi al provvedimento di �rJnvio emesso da un giudice di uno Stato membro, fino a che esso non sia stato posto nel mclJa in seguito ad un'impugnazione eventualmente contemplata dal diritto nazionale. 8. -Da queste considerazioni si desume che fa Corre, adita dail giudice di uno Stato membro ai sensi dell'art. 177 del Trattato, � competente, a norma di detta disposizione, a risolvere le questdoni sottopostele, senza che sia necessario accertare previamente se dl provvedimento di II'invio sia stato adottato in modo conforme alle norme di organizzazione giu!di2liaria e processuali del diritto nazionale. Sulla prima questione. 9. -Con la prima questione il giudice nazioQale chiede in sostanza se l'art. 7, n. 2, del regolamento del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, vada interpretato nel senso che l:a nozione di vantaggio sociale contemplata da -----------�----���������������������...�.-.-.-.-.-.-.-.-.-.�.�.�.-.�.�.-.-.-.�.-.-.�.�.�.�.� . ....................................--.-.�.-..-.--.-.-.-�-.-.-............................ . RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO detta disposizione comprende i mutrui senza interessi di natalit� concessi da un istituto di credito di diritto pubblico, in ossequio a direttive e con l'aiuto finanziario dello Stato, a famiglie a ibasso reddito, onde favorire [a natalit�. 10. -La Landeskred:itbank deduce in primo luogo che questa disposizione non pu� essere app~icata ai mutui di cui trattasi data la mancanza di qualsiasi nesso fra la concessione del mutuo e [a qualit� di lavoratore del beneficiario e dato che il rifiuto di concederlo non ostacola affatto la mobilit� dei lavomtori nella Comunit�. 11. -Va ,ricordato che il regolamento n. 1612/68, adottato per l'attuazione, in particolare, dell'art. 49 del Trattato, onde realizzare Ja libera drcola:ziione dei '1avoratori nell'ambito del1a Comunit�, stabil:isce all'art. 7, n. l, che il lavoratore cittadino di uno Stato membro non pu�, nel territorio degli al1t11i Stati membri, essere tJrattato, a oausa dehla sua cittadinanza, in modo diverso dai lavoratori nazionali, per quanto mguarda le condizioni d'impiego e di lavoro. Il n. 2 dell� stesso articolo aggiUJilge che detto lavoratore vi gode degli stess.i vantaggi sociali e J�iscaJ.i dei favoratom nazionali. 12. -Come la Corte ha pi� volte affermato, da ultimo nella sentenza 31 maggio 1979 (Even, 207/78, Racc. pag. 2019), si desume da queste disposizioni come pure dallo scopo perseguito che i vantaggi che I�l regolamento estende ai lavoratori cittadini di altri Stati membri sono tutti quelli che, connessi o no ad un contratto idi \lavoro, sono generalmente attribl.ll�ti ai lavoratod nazionali, a causa pdncipa:lmente della loro qualit� obietti'Va di lavoratori o del semplice fotto della Joro residenza nel territorio nazionale, e la cui estensione ai lavoratori cittadini di altri Stati membri appare quindi atta a facilitarne la mobilit� nell'ambito della Comtllllit�. 13. -Ne consegue che i mutui di natalit�, come quelli cui si riferisce il giudice nazionale, possiedono, in linea di principlio, i requisiti che consentono di considerarli come vantaggi sociali da attribuirsi ai lavoratemi di tutti gl:i Stati membri senza alcuna disorimmazione a causa della cittadinanz; a, in particolare in considerazione del loro scopo che � quello di alleviare, per le famiglie a basso reddito, H peso degli onem ili1naD.ZJiari connessi alla nascita di un figlio. 14. -La Landeskreditbank contesta questa conseguenza sostenendo che i mutui di natalit�, come quelli di cui trattasi, �esulano dalla noz;ione di vantaggio sociale ai sensi dell'art. 7, n. 2, del ,regolamento n. 1612/68, giacch� sono concessi sopraittutto per considerazioni di politica demografica nel senso che tendono a combattere ila d!iminuZJione delle nascite presso la popolazione tedesca. Si tratterebbe quindi di un provvedimento adottato PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE nel campo dei diritti politici, necessariamente connesso a11a cittadinanza, e che sarebbe perci� sottratto all'impero degLi artt. 48 e segg. del Trattato e deJJe norme adottate per la loro attuazione. 15. -Va rilevato che, in linea di principio, gli Stati membri, in mancanza di attribu:zJioni della Comunit� in fatto di politica demografica come ta!le, possono perseguire gli scopi di questa politica, scia pure mediante provvedimenti socia1i. Ci� non implica tuttaVI�a che fa Comunit� ecceda dai limiti dei propri poteri per ila sola ragione che l'eserci:zJio di questi pregiudica 1i provvedimenti adottati dn ossequio a detta politica. I mutui di nataLit� non possono quindi essere considerati sotkatti aJJ'applica:zJione delle norme comunitarie �relative alla libera circolazione delle persone n�, pi� precisamente, dell'art. 7, n. 2, del regolamento n. 1612/68, per il solo fatto di essere concessi per considerazioni di politica demografica. 16. -La Landeskreditbank ha dedotto inoltre che ti mutui di cui trattasti sono delle prestazioni volontarie, concesse nei limiti dei mezzi di bilancio a tale scopo votati, di guisa che non suss�ist!erebbe alcun diritto a fruii:re delle prestazioni stesse. Cos� pure, si dovrebbe tener conto del fatto che numerosi lavoratori straniertl tlentrano ne:l paese di origine prima della scadenza del termine stabilito per i1l rimborso del mutuo, il quale sarebbe di conseguenza messo a repentaglio. 17. -Va tuttavia osservato in proposito che 1a nozione di vantaggio sociale di cui all'art. 7, n. 2, del regolamento comprende non solo ile agevola7Jioni attribuite come diritto ma anche quelle concesse discrezionalmente. 1n quest'ultimo caso, il principio della parit� di trattamento esige che l'accesso alle agevolazioni sia dato ai cittadini di altri Stati membri alle stesse condizioni che ai cittadini nazionali in base alle stesse direttive che disciplinano la concessione dei mutui a questi ultimi. 18. -Si deve quindi risolvere la prima questione dichiarando che l'art. 7, n. 2, del regolamento del ConS1iglio 15 ottobre 1968, n. 1612, va dnterpretato nel senso che la nozione di vantaggio sociale contemplata da questa disposizione comprende i mutui senza interessi di natalit� concessi da un istituto di credito di diritto pubb1ico, in base a direttive e con l'a�uto finaruJiario dello Stato, a famiglie a basso reddito, onde incoraggiare la nata:1it�. Detti pres�iti vanno quindi concess1i :aii Javorart:ori di altri Stati membri alle stesse condizioni che ai Javoratori nazionali. Sulla seconda questione. La seconda questione, che � stata sollevata solo per il caso di soluzione negativa della prima, non abbisogna di soluzione. (omissis) SEZIONE TERZA GIURISPRUDENZA SU QUESTIONiiDI GIURISDIZIONE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 17 giugno 1981, n. 3945 -Pres. Rossi Est. Caturani -P. M. Fabi -Soc. Sicula (avv. Sciacca) c. Cassa per il Mezzogiorno (avv. Stato Vittoria). Giurisdizione civile � Concessione del contributo previsto dalle leggi sul Mezzogiorno � Adozione del provvedimento sulla ammissibilit� del contributo e successiva fase di liquidazione � Posizione giuridica del �privato � Interesse legittimo � Controversie � Giurisdizione amministrativa. Ai sensi dell'art. 102 del t.u. delle leggi sul Mezzogiorno 30 giugno 1967, n. 1523 (e sucqessive modifiche), il provvedimento di concessione degli incentivi finanziari viene adottato in conformit� al progetto, e cio� al programma presentato dal singolo operatore e con riferimento ad un preventivo di spesa che in astratto � ritenut� ammissibile al contributo, ma le valutazioni, di natura amministrativa e tecnica, non si esauriscono in questa prima fase di emanazione del provvedimento, assumendo invece decisivo rilievo, sulla effettiva det~mninazione del contributo, nella fase di liquidazione degli incentivi stessi, e rispetto a tali valutazioni non sono ipotizzabili situazioni di diritto soggettivo, suscettibili in quanto tali di tutela dinanzi al giudice ordinario (1). (omissis) Con unico motivo la ricorrente assume che la sentenza impugnata avrebbe erroneamente dichiarato iil difetto di giurisdizione del giudice ordinario, poich� la Cassa per itl Mezzogiiorno esaurisce il suo (1) Massima esatta e conforme alla gi�risprudenza della Cassazione in tema di controversie sulla pretesa a contributi per danni di guerra. La Cassazione ha infatti affermato che la pretesa del danneggiato rimane interesse legittimo fino a quando non sia espletata la procedura per accertare le condi2lioni a cui � subordinata la concessione e la determinazione del contributo, il fatto bellico e la effettiva esecuzione delle opere per la ricostru2Jione, avvenendo il loro accertamento solo a mezzo del collaudo, dopo il quale e in base al quale la p.a. fissa definitivamente la somma e la Hquida; per conseguenza, fino a questo momento, non pu� parlarsi, per la misura del contributo, di un diritto soggettivo subentrato all'originario interesse legittimo: Sez. Un. 15 novembre 1957, Riv. Giur., ed. 1958, I, 171. n. 4399, > j I I I I PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 77 potere discrezionale al momento rin cui emana il provvecliimento di concessione del contributo, a:i sensi dell'art. 102 del .t.u. leggi st� Mezzogiorno, mentre successivamente si instaura tra il concedente ed il concessionario un rapporto giuridico con reciproche .posizioDJi di diritto e di obbligo. Ne consegue, che ogni controversia che attiene al momento obbligatorio, come l'attuale dovrebbe rientrare nelLa giurisdizione dell'autorit� giudi2Jiaria ordinaria, non potendo pi� la p;a. incidere, in sede di adempimento con �la propria unilaterale volont� sulla misura della concessa erogazione. La resistente Cassa per il Mezzogiorno oppone e deduce a sostegno della competenza giuriscliizionaJ.e amministrativa di cui cbii.ese l'affermazione, che il provvedimento di concessione degli incentivi J�inanzi:ari viene adottato sulla sola base di programmatiche antenzioni del �Singolo operatore dnteressato, in conformit� del progetto all'uopo approntato e con riferimento ad un preventivo dii spesa di cui si verifilca necessariamente, mancando la relativa documentazione, soltanto !'�astratta ammissibilit�. Pertanto le valutaz;ioni richieste per la concessione clii tali incentivi non si esauriscono nella �sola fase clii emana:zJione del provvedimento, ma assumono determinante rilievo, con effettiva determinazione del contributo da erogare, nelJ:a fase di � liquidazione � degl!i incentivi medesimi, ed � evidente che rispetto alle va!lutazioni a tal fme richieste (concernenti apprezzamenti di merito sulla stessa pertinenza, congruit� ed ammissibilit� detlla spesa documentata), non sono ipotizzabili situazioni di diritto soggettlivo, suscettibili in quanto tali di tutela dinan2Ji ru. giudice ordinario. Nel contrasto delle tesi cos� prospettate, quesite Sezioni lllllite ritengono che sia meritevole di accoglimento quella sostenuta dalla Cassa resistente. n contributo di cui si discute � stato disposto dalla Cassa per il Mezzogiorno in favore della S.p.A. Sicula Fornaci, iad sensi dell.'art. 102 del t.u. delle leggi sul Mezzogiorno 30 giugno 1967, n. 1523, modificato daill'art. 10 della legge 6 ottobre 1971, n. 853, per la realizzaZJione e l'adeguamento di impianti industriali, con provvedimento del 29 aprile 1975 per la somma complessiva di L. 79.520.000. Poich� con mandato n. 828 del 3 aprile 1976 la Cassa ordin�, invece, tramite iil Banco di Sicilia il pagamento clii un contiributo lordo di L. 35.235.000; il quesito che Sii pone consiste nel decidere, ai fini della soluzione del problema di wiurisdizione, quale sia nell'ambito del procedimento all'uopo previsto dalla Jegge la natura e funzione del primo provvedimento emesso in data 29 aprile 1975. L'art. 102 del t.u. citato, dopo di aver disposto che per la costruzione di nuovi impianti .industriali e l'ampHamento di quelli esistenti sono concessi alle imprese determinanti contributi, cui provvede la Cassa per il Mezzogiorno, sulla base delle scelte prioritarie effettuate dal piano dd coordinamento, sia per quanto riguarda i settori di dntervento, sia �in ordine alJ:e localizzazioni ed alle dimensioni delle singole iniziative, cos� RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO statuisce con l'ultimo comma: � Il contributo � erogato entro i sei mesi dall'entrata !in funzione del nuovo stabilimento, o quando si t:1~atta di aziende esistenti, daLla ultimazione dei !lavori di ampliamento in base alla documentazione delle spese sostenute e a11e risultrunze dei contro1li eseguiti a cura della Cassa per il Mezzogiorno �. Orbene, in linea di principio � esatto quanto assume la difesa della ricorrente circa le diverse posizioni soggettive del privato cUJ� sia stata accordata fa sovvenzione, per cui da un lato egli ha UJil diritto di credito verso la p.a. debitrice della somma di danaro oggetto della sovvenzione, diritto tutelabile innanzi al giudice ordinario, dall'altro � titolare di un interesse legittimo in relazione ai poteri di autotutela che 'l'ordinamento conferisce a1l'autorit� amministrativa (S.U. 12 maggio 1975, n. 1833, 8 maggio 1976, n. 1611). Non pu� tuttavia accogliersi la successiva deduzione che nelJ:a specie la riduzione del contributo rispetto all'importo prevdsto nel precedente provvedimento di ammissione possa configurarsi come UJil mero rifiuto di adempiere un'obbligazione gi� ormai definitivamente costitUJ�ta a carico della Cassa per il Mezzogiorno nei confronti delila ricovrente. Giova considerare <al riguardo che nel quadro del procedimento ammi nistrativo, previi:sto dal citato art. 102, H provvedimento di concessione del contributo previsto dal primo e quarto comma di tale disposizJione si caratterJzza per .iil suo contenuto meramente programmatico, in quanto la Cassa � provvede � allo stato degli at1Ji in base, all<e deduzioni contenute nella relativa domanda ed al preventivo di spese cui essa fa riferimento. In mancanza di concreti elementi di riscontro, e d'altra parte per consentire una sollecita definizione del procedimento amministrativo, la norma i:in esame conferisce alla Cassa per il Mezzogiorno il potere dd ammettere l'interessato al contributo, secondo una spesa presumibMe, per un determinato ammontare, all'uopo previsto come limite massimo, il quaJe non potr� esser superato Jn sede di liquidazione. Tale provvedimento, per il suo stesso contenuto, non � quindi Moneo a costitui:ire tra 1le parti della vicenda alcun rapporto obbligatorio ben definito, giacch� la legge stessa prevede (art. 102 ul1Jimo comma) che la Cassa per il Mezzogiorno proceda ahla successiva � eroga:zione � del con tributo non gi� con un mero atto di adempimento di un precedente obbligo che non sussdste, ma con un successivo provvedimento autoriitativo che, sulla base della documentazione delle spese sostenute e dci risulta1Ji dei controlli all'uopo eseguiti, determina definitivamente l'entit� dell contributo da liquidare all'interessato. � quindi evidente che soltanto con tale successivo provvedimento di � eroga:zri.one � -che impli:ica ulteriori apprezzamenti e valutaziOll'.li di natura amministrativa e tecnica -si esaurisce la fase procedimentale e si perfeziiona e consolida il ,rapporto obbligatorio di natura parit~tica cui PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE la ricorrente ha fatto cenno nel suo ricorso con r.iferimento alla prima fase della procedura. N� pu� sostenersi per accogliere fa tesi contraria, che nella (successiva) fase relativa alla erogazione del contributo l'autorit� amminis:trativa si limiterebbe ad un �riscontro puramente contabile, onde non potTebbe negarsi :la natura di diritto soggettivo del1a posfaione assunta dal destinatario del provvedimento, anche perch� l'attivit� della p.a. sarebbe dn questa fase del tutto vincolata. La obiezione non considera che, una volta �inclusi ne11'ambito dello stesso procedimento rivolto alla determinazione del contributo, �J provvedimento di concessione (puramente programmatica) ed iii successivo provvedimento di erogazione delle somme in concreto stabilite come dovute, tutta quanta l'att!ivit� della p.a. appunto perch� svolgentesi nello stesso procedimento, � dominata dall'esigenza fondamentale di curare il pubblico interesse, in quanto il danaro pubblico non pu� essere impiegato per finalit� di incentivo degli !impianti industriali se non nei hlmiti cui il costo dell'opera volga in effetti a realizzare dn concreto una tale filnalit�, secondo �le modalit� previste dalla Jegge. In conclusione, posto che �anche l'attivit� amministrativa svolita dalla Cassa per H Mezzogiorno in sede di eroga2Jione del contributo ex art. 102 ufttimo comma del t.u. citato � disciplinata da norme di a2J.ione, ne consegue che la domanda proposta dalla ricorrente in sede dii meri.to con cui si � dedotto ila illegittimit� del comportamento delila Cassa iin sede di eroga zione allorch� si � dalla stessa proceduto ahla ridu2J.ione del contrJbuto ammesso in seguito allo stralcio del.Ie spese attinenti �ad opere eseguite anteriormente �ail biennio dalla presentazione dell:a domanda, involge una controversia relativa ailla Jesione di un interesse legittimo, rientrante come tale nella giurisdi2Jione del giudice ammintistrativo. {omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 24 ottobre 1981, n. 5560 -Pre~. La Farina -Est. Vela -P. 1\:1. Saja -Giustini (avv. Puccetti) c. Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato (avv. Stato Cerocchi). Pubblica Amministrazione -Istituto Poligrafico -Competenza e giurisdizione -Rapporti di impiego -Controversie -Giurisdizione del giudice amministrativo � Sussiste. La legge 13 luglio 1966, n. 559, riformando l'Istituto Poligrafico dello Stato, ne ha accentuato i caratteri di ente pubblico non economico, rendendo prevalenti, sulle attivit� imprenditoriali che tuttora gli competono, i servizi svolti, attraverso rapporti sottratti alla disciplina del diritto privato, nell'esclusivo interesse delle Amministrazioni statali, con la conse RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 80 guenza che le relative controversie rientrano nella giurisdizione del giudice amministrativo (1). (omissis) L'Istituto Poligrafilco dello Stato eccepisce pcregiudizialmente, con l'unico motivo del suo ricorso, il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, sostenendo di essere un ente pubblico non economico, assoggettato, quindi, per quanto concerne i rapporti di lavoro con il proprio personale, alla giurisdizione esclusiva del giudice amminiist�rativo, a norma dell'art. 7 legge 6 dicembre 1971 n. 1054, :in relazione �ail!l'art. 29 rt.u. 26 giugno 1924 n. 1054. L'ecce2lione � fondata. A partire dalla sentenza 5 agosto 1977 n. 3518, �1a giurisprudenza di questa Corte � ferma nel ritenere che la legge 13 �luglio 1966 n. 559, rifor� mando l'Istituto ne ha accentuato i camtteri di ente pubblico non econ<> mico, rendendo prevalenti, sulle attivit� dmprenditoriali che tuttora gli competono, i servizi svolti, attraverso rapporti sottriatti aUa disciplina del diritto privato, nell'esclusivo interesse delle Amministrnzioni statali. Tale nuovo orientamento, che mentre rdsulta corroborato, di recente, dal distacco della Zecca dal Ministero del tesoro e dalla costituzione di essa in Sezione autonoma dell'Istituto (legge 30 aprile 1975 n. 154), da quest'ulltimo non implica la soppressione �di diritto�, a norma dell'art. 2, primo comma, Iegge 20 marzo 1970 n. 70, in quanto ['Ente ha ca�rattere � strumentaile �, essendo posto direttamente alle dipendenze deLlo Stato (SS.UU. 13 dicembre 1979 n. 6496), impone di ascrivere i rapporti di lavoro del personale dell'Ente stesso, non risolti prima della riforma (fra i quali � compreso quello oggetto dell'attuale lite) alJ'area dell'impiego pubblico, sulla quale ha giurisdizione esclusiva .il giudice amministrativo: artt. 2, lett. a, e 7 legge 6 dicembre 1971 n. 1034. Difetta dunque, nella specie, la giuvisdizione del giudice oro.inario e la sentenza impugnata deve essere cassata senza :rinvlio (art 582, terzo comma, cod. proc. civ.), mentre resitano assorbiti gld ail.tri motivi dei ricors[. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 6 novembre 1981, n. 5853 -Pres. La Farina -Est. B1le -P. M. Saja -Cella (avv. Marino) c. Mdnistero del Lavoro e della Previdenza Sociale (avv. Stato Corti). Previdenza � Ente Nazionale per la prevenzione infortuni � Controlli � Natura � Provvedimenti abilitativi � Difetto di potere discrezionale � Situazioni di diritto soggettivo � Giurisdizione onllnarla � Sussiste. Il collaudo previsto dalla legislazione in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro -pur avendo un contenuto eminentemente permissivo, (1) Cfr. Sez. Un., 5 agosto 1977, n. 3518. I @ i f��: I I I I 81 PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE in quanto consente l'espletamento di attivit� altrimenti vietata in via di massima dal ricordato art. 7 del d.P.R. n. 547 del 1955 -non pu� essere inquadrato nella categoria dei provvedimenti autorizzatori, caratterizzati dall'esercizio, da parte della pubblica amministrazione, di una pi� o meno ampia potest� discrezionale circa la conformit� della situazione di specie all'interesse pubblico affidato alle sue cure. Pi� corretta � invece la sua collocazione nell'ambito dei provvedimenti abilitativi, che si contrappongono alle autorizzazioni per il difetto di poteri discrezionali da parte della pubblica amministrazione, la quale si limita a procedere ad accertamenti ed a valutazioni d'ordine puramente tecnico, circa l'esistenza in concreto di determinati requisiti o l'idoneit� di persone o cose a svolgere la specifica attivit� considerata dalla legge, con la conseguenza che le relative controversie rientrano nella giurisdizione ordinaria (1). 1. -� Per valutare la portata della domanda proposta dall'attuaile ricorrente al Tribunale di Roma occorre tener conto -da un lat� -del quadro normativo nel cui ambito essa si colloca e� dall'altro -della situazione di fatto denunciata. In ,relamone al primo profilo, 11 d.P.R. 27 aprHe 1955, n. 547, recante norme per la prevenzione degli infoTtUil!� scl lavoro, vieta (art. 7) la costruzione, la vendita, H noleggio e 1a concessione dn uso di macchine, di parti di macchine, di attrezzature, di utensili e ,di aprpareochi in genere, nonch� l'installazione di impianti non rispondenti a1le norme di sicurezza previste nel decreto stesso; ed in particolare (art. 25) prevede che le scale aeree ad inclinazione variabile, i ponti sviluppabili su carro e i ponti sospesi muniti di argano devono essere co1laudat� e sottoposti a verifiche annuali per accertarne lo stato di efficienza in ,riferimento alla sicurezza. L'esecuzione di questi controHi � affidata dagli art. 5 ss. del d.m. 12 settembre 1959 all'Ente nazionale per la prevenzione degl!�. infortuni; l'art. 8 di tale decreto stabilisce che :i v:erbaM di coLlaudo e di verifica periodica devono essere redatti su libretti conformi ai modelli a1legat�. Peraltro l'art. 395, comma 3, del d.P.R. n. 547 del 1955 dichiara esenti dall'applicamone delle norme :in questione le macchine, gli d:mpianti e le loro parti, costruiti o installati dopo l'entrata in vigore del decreto, quando si tmtti di adottare nuovi mezm o sistemi di sicurezza di riconosciuta efficacia, diversi da quelli prescritti dal decreto stesso, finch� il riconoscimento dell'efficacia dei nuovi mezm o sistemi non sia effet tuato con provvedimento del Ministro del lavoro e della previdenza sociale. (1) Massima conforme ai principi. 7 �����ᥥ���������������--.�,�.�c.� ��ᥥ,���-��,������,�,�,��,��,�"�����;��.�..-..�.�.-.�,�.--;i RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO In relazione al secondo profilo, sono pacifiche fra le parti alcune circostanze di fatto, ed in particolare 11a costruzione da parte della Cella di att-rezzature per manutenzione aerea; la sottoposizione di tali attrezzature da parte della societ� costruttrice al col!laudo dell'Ente na:llionale per la prevenZiione degli. iinfortuni; il contrasto insorto fra societ� costruttrice e collaudatori a seguito di una circolare dell'Ente che imponeva ai propri tecnici di apporre una dasola di � riserva � in sede di prima verifica, in attesa delila produzione di una certa documentazione da parte deHa Cella, con la conseguente dilatazione dei tempi occorrenti per il collaudo. Sulla base di tali premesse la Cena S.p.A. -ritenendo che il comportamento dell'ENPI !l"ivelasse l'iimpossibilit� di applicare a1le apparecchiature da essa prodotte i criteri enunciati dal d.P.R. n. 547 del 1955, sorpassati dall'evoluzione tecnologica successiva -ha chiesto al giudice di dichiarare che, in attesa dell'emanazione del provvedimento ministeriale prev.isto dall'ultima parte del comma 3 dell'art. 395 citato, le macchine di sua produzione non sono assoggettate ai collaudi prev�isti dalle norme prima ricordate. �, 2. -L'eccezione di difetto assoluto di giurisdizione -sollevata da!I. Ministero del lavoro sotto H profilo che la Cella S.p.A. av.rebbe chiesto al giudice non una pronunzia attributiva di un bene, ma soltanto un parere -� �infondata. Dall'esposizione di cui al precedente paragrafo �risulita ~nfatti eyidente come l'attuale ricorrente mi'.l'i a conseguire l'eliminazione di una situazione di oggettiva incertezza (di per s� suscettibile di ar;recare pregiudizio) intorno all'esistenza del proprio diritto a non sottoporre i macchinari da essa prodot1Ji: al collaudo dell'ENPI e, correlativamente, alla pretes�a di quest'ultimo di procedere ai collaudi stessi con il sistema prev.isto dalla circolare cui si � fatto cenno. Ricorrono perci� all'evidenza tutti gli estremi per ravv.isare un'azione di mero accertamento, la cui ammissibilit� nel vigente ordinamento processuale � comunemente accettata. 3. -Esattamente la domanda � staita proposta all'autorit� giudiziaria ordina11ia. Il coHaudo previsto dalla legislazione in maiteria di prevenzione degli infortuni sul lavoro -pur avendo un contenuto eminentemente permissivo, in quanto consente l'espletamento di attivit� altrimenti vietata in via di massima dal :ricordato art. 7 del d.P.R. n. 547 del 1955 -non pu� essere inquadrato nella categoria dei provvedimentJi autorizzatorl, caratterizzati dall'esercizio, da parte della pubblica amminisitrazione, di una pi� o meno ampia potest� discrezionale ckca la conformit� de1la siituaZJione di specie all'interesse pubblico affidato alle sue cure. PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE P.i� corretta � invece la sua collocazione nell'ambito dei provvedimentii abilitativi, che si contrappongono alle autorizmzioni -secondo una nota formulazione dotJtrinale, condivisa anche in sede giurisprudenziale per il difetto di poteri discrezionali da parte della pubblica amministrazione, Ja quale si limita a procedere ad accertamenti ed a valutazioni d'ordine puramente tecnico, circa l'esistenza in concreto di determinati requisiti o l'idoneit� di persone o cose a svolgere la specil�ica attivit� considerata dalla legge. Dall'esame delle disposizioni del d.P.R. n. 547 del 1955 e del d.m. 12 settembre 1959 emerge a1l'evidenza come H collaudo da parte delJ'Ent:: nazionale per la prevenzfone degli infortuni si risolva in un"indagine puramente obiettiva, per verificare se nella costruzione della singola macchina siano state o meno r.ispettate le specifiche presorizoioni tecniche contenute nelle norme �a proposito dei dispositivi �di sicurezza e delle relative prove. Al riguardo � particolarmente illuminante la natura degli accertamenti richiesti dai modelli allegati al d.m. citato del 1959, secondo H cui contenuto H collaudo deve essere eseguito, ai sensi dell'art. 8 del decreto stesso: �si tratta esclusivamente di �rilevare dati oggettivamente riscontrabili nella singola macchina e di esprimere un giudizio di efficienza o inefficienza ai fini della sicurezza sulla base di criteri esclusivamente tecnici, con assoluta escl1,1sione di qualsiasi apprezzamento discre~ zionale dell'autorit� amminlstrativa circa la rispondenza dell'attivit� imprenditoriale esercitata mediante la costruzione e la vendita dei macchinari rispetto all'interesse pubblico relativo al settore del lavoro. Il Ministero resistente obietta che il carattere (non discrezionale, ma) vincolato dell'attivit� di collaudo non � determinante al fine di configurare in termini di diritto soggettivo la posizione dell'imprenditore, ben potendo la vincol�tezza dell'azione amminiistrativa essere funzionale al fine di assicurarne la conformit� al pubblico interesse e non al fine di garantire immediatamente la tutela della posizione del privato. L'esame della normativa concernente la materia in esame conduce peraltro a ritenere non soltanto che essa impone ai pubblici uffici una attivit� r.igidamente vincolata ed esclude la configurabilit� di. un sia pur limitato margine di apprezzamento 'discreziona1e dell'interesse pubblico, ma anche che tale vincolo � inteso a garantire l'esercizio -da parte dei soggetti costruttori delle macchine da collaudare -del diritto, costituzionalmente garantito, di iniziativa economica. In conolusione l'art. 7 del d.P.R. n. 547 del 1955 conferisce al privato costruttore di macchine da sottoporre al collaudo il diritto soggettivo di ottenere, nel concorso dei requisiti tecnici cui prima si � accennato, l'espletamento in senso positivo dell'attivit� di collaudo, con il conseguente obbligo della pubblica ammill!i.strazione a procedere a siffatto espletamento. E dal suo canto l'art. 395, comma 3, del medesimo decreto attri 84 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO buisce al costruttore di macchine per ile quali si debbano adottare mezzi o sistemi di sicurezza diversi da quelH previsti dal decr,eto, il diritto soggettivo di non sottoporre tali macchine al collaudo prima del :riconoscimemo dei nuovi sistemi e ['obbligo dell'amministrazione di aste� nersi dall'esercitare l'attivit� di contrnllo. Per la tutela di siffatti diritH soggettivi deve essere ad�to -secondo i criteri genera:1i �1n tema di ripa.irto delle giurisdizioni -il giudice ordina:riio. Le Sezioni Unite confermano cos� '1'orientamento gi� espresso con la (['ecente sentenza n. 2113 del 1981, che -sia pure 1in relazione ad una fattispecie retta da una diverisa disciplina -ha attriibuito natura di diritto soggettivo, tutelabile dinanzi il giudice ordinario, alla pretesa del privato di ottenere dalla pubblica 1amministr�zione, ricorrendo tutti i presupposti previsti dalla legge, l'emanazione di un atto da compiersi mediante una serie. di accertamenti tecnici, senza alcun esercizio di potere discrezionale, al fine di rendere possibile l'attivit� di impresa. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. un., 10 febbraio 1982, n. 833 � Pres. Mirabelli . Rel. Buffoni � P. M. Fabi � Ministero dei Trasporti (avv. Stato Sernicola) c. De Domenico ed altrL Impiego. pubblico � Qualificazione, pubblica o privata � �r1terio � Atto formale di nomina � Irrilevanza� � Volont� tacita univoca dell'Ente � Sufficienza. Giurisdizione civile . Mancato versamento contributi � Fonte dell'obbll� go del versamento nel rapporto ,cJi impiego � Giurisdizione ammini� strativa. Ai fini della qualificazione, pubblica o privata, di un rapporto di lavoro con un ente pubblico, ci� che rileva non � il tipo di attivit� (intellettu�le o materiale) che il dipendente � tenuto a prestare, n� la posizione che gli � attribuita nella pianta organica (impiegato, operaio, avventizio), bens� l'inserimento del prestatore d'opera nella struttura organizzativa dell'Ente con continuit� e in regime di subordinazione, per l'attuazione dei fini pubblici prestabiliti negli atti istitutivi dell'Ente, perdendo cos� ogni rilevanza il requisito dell'atto formale di nomina, senza che tuttavia possa prescindersi dalla sussistenza della volont� manifestata in qualsiasi modo purch� adeguato ed univoco (1). Il rapporto di impiego, da cui scaturiscono gli obblighi del datore di lavoro che si assumono violati per il mancato versamento dei contributi assicurativi, costituisce il punto di riferimento della controversia, che rientra pertanto nella giurisdizione amministrativa (1). (1) Giurisprudenza pacifica sulla prima massima: cfr. Sez. Un., 19 novembre .1979, n. 6011, in questa Rassegna, 1980, I, 84, con nota; sulla seconda, Sez. Un., 19 novembre 1979, ivi, I, 319; Sez. Un., 7 maggio .1980, n. 2997, ivi, I, 7513. pf ! .�.�.�.-.�.�.-.�.:r.y.-r.-.-.����������,��:�:�:���,-.� ����""'"''-����� , If PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI� GIURISDIZIONE Con il primo motivo la ricorrente ripropone la questione di giuvisdizione, deducendo che la Corte del merito, violando gli art. 29, n. 1 e 30 del T.U. 26 giugno 1924 n. 1054, avrebbe escluso iii �rapporto di impiego pubblico sull'erroneo rilievo che esso non potrebbe costituirsi con gli operai avventizi, rispetto ai quali sarebbe configurabHe so1tanto un rapporto di lavoro di diritto pr;ivato, e col rilievo del pari erroneo, che difetterebbe J'atto di nom1na, requisito che sarebbe indispensabile per assumere la veste di pubblico impiegato. In contrario si sostiene che qua�lsiasi attivit� anche materiale pu� costituire oggetto del rapporto di pubb1ico impiego qualunque sia il carattere del rapporto (di �ruolo o non di ruolo) e che la sussistenza di esso, in difetto di un formale atto dii nomina, pu� essere desunta da atti contestuali o successivi al conferiimento dell'incarico. Da tali premesse, secondo la ricorrente conseguirebbe che della controversia, in quanto essa coinvolge il �rapporito di pubblico dmpiego sub specie dell'inadempimento dell'ente mordine agli obblighi concernenti le assicurazioni sociali, deve conoscere in vfa esclusiva iJ. giudice amministrativo. La censura � fondata. Tutte le argomentaziOil!i sulla quale essa si fonda s'�identificano con quelle enunciate da queste Sezioni Unite in tema di pubblico dmpiego nonch� per la indiv.iduazione del giudice competente a conoscere della domanda di risarcimento del danno per inadempimento agJii obblighi contributivi da parte dell'ente non economico, carattere, questo, che indubbiamente riveste l'Amministrazione delle Ferirovie dello Stato. Sul primo punto, in conformit� alla dottrina pi� autorevole, si � affermato che, ai fini de11a qualificazione pubblica o privata di un rapporto di lavoro con un ente pubblico, ci� che rileva non � il tipo di attivit� (�ntellettuale o materiale) che il diipendente � tenuto a prestare n� tla posizione che gli � attribuita nella pianta organica (impiegato o operaio, non di ruolo, avventizio). L'orientamento giur.isprudenziale �espresso e ribadito nelle pi� recenti deaisioni <indica nell'inserimento del prestatore d'opera nella struttura organizzativa �deil'ente e negli organismi che da essa si sono eventualmente diramati, l'unico elemento caratterizzante della natura pubblica del rapporto. Tale inserimento si �realizza quando ile prestazioni del dipendente sono date e ricevute con continuit� ed in regime di subordinazione, nell'ambito della st�ruttura degli organismi predetti predisposti per attuare i fini pubblici che l'ente si prefigge anche se non previs1ti negli atti istitutivi. Con questo indirizzo ha perduto rilevanza il requisto deH'atto formale di nomina, che la giudsprudenza di questa Corte ha ritenuto essenziale in passato per la costituzione del rnpporto di pubblico impiego. Peraltro si � precisato che il nuovo orientamento non prescinde dalla sussistenza della volont� dell'ente diretta alla costituzione del rapporto, ma postula che detta volont� possa essere manifestata in qualsiasi modo, purch� si rive1i 86 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO adeguato ed univoco: perci� non necessariamente con un atto scritto, ma anche con fatti e comportamenti. Questi, per essere concludenti e univoci, debbono rivelare non soltanto che l'ente ha fatto proprie [e prestazioni del soggetto ma che le ha volute come attivit� da utillizzare nell'ambito della sua organizzazione (V.S.U. 4838-5523/1977 6444/1979; 2070-1352/1980; 1689/ 1981). AHa stregua di tali principi deve affermarsi che il .rapporto istituito nel 1919 e protrattosi fino al 1924 tra l'Amministrazione ricor.rente e gli intimati aveva natura pubblica, avuto r.iguardo all'attivit� che, come � pacifico, i lavoratori hanno prestato con conti:nuit� e con vincolo di subordinazione nelle strutture della Amministrazione ferroviaria la quale ha voluto utilizzare detta attivit� per attuare i .suoi fini pubb1icistici. A tale rapporto si collega direttamente la domanda dei dipendenti nei confronti dell'Amministrazione per il risa.rcimento del danno per la violazione dell'obbligo di versare i contributi relativi agli enti previdenziali in �' quanto, deducendosi, come ragione della domanda I'i1legittimit� del comportamento dell'ente pubblico in relazione alla prestazione contrti.butiva, il rapporto di impiego da cui scaturiscono gli obb1ighi del datore di lavoro che si asc;umono violati, costituisce il punto di rifevimento di. tutta la materia del contendere (S.U. 4373/1980; 1393/1981). Perci�; ai sensi dell'art. 7 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034 in relazione all'art. 29 del t.u. 26 giugno 1924, n. 1054 (non modfficati dalla legge 11 agosto 1973 n. 533, introduttiva del nuovo rito del lavoro) della controversia deve conoscere il giudice amministrativo. CORTE DI CASSAZIONE, sez. un., 11 febbraio 1982, n. 841 -Pres. Mirabelli -Rel. Tondo -P. M. Fabi -Inam (avv. Stato Corti) c. De Lorenzi (avv. Ferrari). Impiego pubblico -Ex combattenti -Collocamento a riposo -Assunzione da altro ente pubblico -Divieto -Sussistenza -Estremi. Impiego pubblico -Art. 6, secondo comma, d.I. n. 261-1974 -Questione di costituzionalit� -Manifesta infondatezza. L'art. 6 d.l. 8 luglio 1974 n. 261, contenente modificazioni alla legge 24 maggio 1970 n. 336, in tema di benefici a favore dei dipendenti dello Stato ed enti pubblici, ex combattenti ed assimilati, come modificato dalla legge di conversione 14 agosto 1974 n. 335, nella parte in cui fa divieto di assunzione in impieghi o di avere incarichi retribuiti alle dipendenze dello Stato; degli altri enti pubblici, anche economici, di societ� a partecipazione statale e di enti che fruiscano del contributo ordinario dello Stato, salva la parte f cipazione ad organi collegiali ed a commissioni, si applica non solo fnei ~ I i I ! I !I I I PARm I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 87 confronti di coloro che hanno ottenuto le assunzioni o gli incarichi dopo il collocamento a riposo, ma anche nei confronti di coloro che tali incarichi od assunzidne hanno ottenuto prima del collocamento in quiescenza per effetto della legge n. 336 del 1970 (1). � manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 4, 25 e 35 Cost., la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 6, secondo comma, d.l. 8 luglio 1974, n. 261, come modificato dalla legge di conversione 14 agosto 1974 n. 335, nella parte in cui dispone che le assunzioni effettuate e gli incarichi conferiti anteriormente all'B luglio 1974 al personale collocato in quiescenza a norma della legge n. 336 del 1970 cesseranno di avere efficacia entro un determinato termine, in quanto il diritto al lavoro garantito dalla norma costituzionale non esclude la facolt� del legislatore di regolarne l'esercizio, mentre il principio di irretroattivit� della legge assurge a principio di livello costituzionale solo per quanto riguarda la legge penale, con la conseguenza che l'estensione retroattiva della norma denunciata non viola alcun diverso principio costituzionale ed � giustificata dall'esigenza di contenere in limiti equi l'ambito dei benefici concessi agli ex combattenti (2). Il primo motivo del ricorso principale avverso la sentenza non definitiva � fondato. La Sezione Lavoro di questa Suprema Corte, con le sentenze n. 5029 e n. 5030 del 30 agosto 1980, ha 11itenuto che l'art. 6 d.l. 8 luglio 1974 n. 261, convertito in legge con mqdif. dalla legge 14 agosto 1974, n. 335, nella parte in cui fa divieto di assunzione in impieghi e di avere incarichi retribuiti alle dipendenze dello Stato, deg1i ailtri enti pubblici, amebe economici, nonch� di societ� a .part�cipazione statale e di altri enti che fruiscano del contributo ordinario dello Stato -salva la partecipazione ad organi collegiali ed a commissioni -si appldca non solo nei confronti di coloro che hanno ottenuto le assunzioni o gli i�ncanichi dopo il collocamento a riposo, ma anche rispetto a coloro che tali incarichi od asstllilzioni abbiano ottenuto prima del collocamento a riposo ai sensi della legge n. 336 del 1970. Le ragioni che la sentenza impugnata ha posto a fondamento della contraria soluzione, nonch� gli argomenti nello stesso senso proposti dai resistenti, non sono idonei a determinare un cambiamento di .indll-izzo. La ratio del divieto -originariamente posto, da1l'~rt. 6 del d.l. n. 261 del 1974, per il personale collocato a riposo in app1icazione dello stesso decreto, e poi esteso, dall'art. 1 della legge di conversione n. 335 del 1974 (che ha sostituito il cit. art. 6), al personale collocato in quiescenza a norma (1-2) Sulla prima massima la giurisprudenza ormai pacifica: cfr. Sez. Lavoro, 30 agosto 1980, n. 5029; 30 agosto 1980, n. 5030. Sulla questione di incostituzionalit� cfr. Corte Cost. 28 luglio 1976, n. 194.. ��-�.���.��.����.�.�.����.�.�.���.�.���.��.���:��.-.�.z.� ��������-.�.-.-.-.-.�.-.-.-.-.-.-.�.�.�.�. 88 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO della legge n. 336 del 1970, con il1iferimento ad assunzioni ed incarichi intervenuti anteriormente all'8 luglio 1974 -� indubbiamente quella di precludere al predetto personale, cui �era attribuito un trattamento di quiescen:m di .particolare favore, la possibilit� di avvantaggiarsi ulteriormente, e sempre a carico deilla pubblica finanza, mediante lo svolgimento, facilitato dalla propria situazione di preferenza, di altre attivit�, con ci� frustrando, oltre tutto, lo scopo stesso delle norme di favore�iper gli ex combattenti, miranti a determinare, con l'attribuzione di un trattamento preferenziale, l'effettiva cessazione dei beneficiari dal rapporito di pubblico impiego, sia ai fini della progettata riforma della pubblica amministrazione, sia a quelli della soluzione dei problemi dell'occupazione. Tale ratio -chiaramente risultante dai lavori preparatori e gi� ritenuta iPispondente, dalla Corte Costituzionale (v. sent. 28 luglio 1976, n. 194), � ad evidenti esigenze di equit� e di modera:cione � -sicuramente non consente di �ritenere inoperante il divieto per g1i incarichi g:i� in atto al momento del collocamento a riposo, posto che le finaldt� perseguite rendevano necessario non soltanto stabilire il divieto per il futuro, ma estenderlo anche alle situazioni nate in passato, determinandone l'inefficacia nel termine di sei mesi daU'entrata in vigore della <legge di conversione, con salvezza della possibilit� di rinuncia al trattamento di quiescenza preferenziale (art. 6 terzo comma), ma con assoluta irrilevanza del dato, meramente casuale, che il confer:imento dell'incarico, anteriore all'8 lugldo 1974, avesse preceduto o seguito il collocamento a riposo. Se si tien poi conto del fatto che, ai sensi dell'art. 3 legge n. 336 del 1970 e dell'art. 1 terz() comma, legge n. 824 del 1971, tale collocamento a .riposo poteva essere chiesto tra il 26 giugno 1970 ed il 25 giugno 1975 (nel termine di cinque anni dal1' 11 giugno 1970) e che la scelta de1la data era lasci:ata a compJeta disarezione dell'interessato, � agevole considerare che, in questa notevole latitudine temporale di appLicazione, la esclusione dal divieto degli incarichi conseguiti prima del pensionamento avrebbe potuto dar Iuogo ad inconvenienti gravi, quali il trattamento differenziato di situazioni identiche nella foro obbiettiva consistr;!nza e diffe11enziate solo dalla data della rispettiva insorgenza, con l'aggravante di favorire proprio coloro che avevano saputo usare dell'opportunit� di premunirsi �di un incarico prima di chiedere il collocament� a riposo. L'interpretazione sopra criticata non � del resto suffragata da elementi letterali desumibili dal testo della disposizione . Il primo comma del cit. art. 6 (che, .in conformit� al testo originari.o, dispone solo per i futuri pensionamenti) stabilisce che � il personale che sar� collocato a riposo ai sensi del presente decreto non pu� essere assunto in impiego o avere incarichi, eccezion fatta... �. Prescindendo dalle assunzioni (sicuramente riguardate come future in base alla impossibilit� di una loro coesistenza con il rapporto d'impiego che da luogo al pensionamento) I i i ! 1 I I .........,......J PARTE I, SEZ, III, GIURIS. SU QUESTIONI Dl GIURISDIZIONE non sembr� dubbio che l'espressione �non pu�... avere dncarichi �, sia per l'uso del verbo servile �potere� all'indicativo presente ~an21ich� al futuro), sia per il significato proprio del verbo �avere�, che normalmente indica un attuale rapporto di appartenenza, stia a significare che il dipendente collocato a riposo, se non pu� avere 1incarkhi, deve cessair� da quelli che gi� ha, senza 1a possibiHt� di conseguirne altri in futuro. La interpreta21ione dell'espressione in questo solo ultimo senso, operata �dalla sentJenza impugnata, non pu� perci� essere condivisa e, tanto meno, pu� essere approvato il �1:entatiivo di utilizzarla come chiave di lettura della disposizione del secondo comma. Tale secondo comma detta che le � assunzioni effettuate e gli incarichi conferiti anteriormente aH.'8 luglio 1974 al personale collocato in quiescenza a norma della legge 24 maggio 1970, n. 336, cesseranno di avere efficacia nel termine �di sei mesi dall'entrata in vigore della legge di conversione del presente deoreto �. Innegabile � che H tenore letterale della disposizione � ambiguo, potendo essere inteso e nel senso che i predetti incarichi, per essere jnefficaci, debbono essere stati conferiti al personale (gi�) collocato in pensione, e nel senso che l'inefficacia deriva dal1a sola antel'iorit� degli incarichi aH'8 <luglio 1974 in �dipendenza del fatto che sono stati conferiti a personale messo comunque (sia prima che dopo il conferimento) in quiescenza, servendo, �in tal caso, il partidpio passato � collocato� non gi� ad esprimere l'anteriorit� del collocamento in pensione rispetto al conferimento dell'incarico, ma soltanto a designare la categoria (dei pensionati ex combattenti) cui il divieto � indirizzato (v. ~n questo senso, sent. n. 5030/ 80 cit.). Il dubbio � per� risolto gi� dail terzo comma dell'art. 6, che, nel disciplinare la connessa facolt� di rinunzia al trnttamento di quiescenza, fa generico riferimento a coloro che hanno ricevuto incarichi anteniormente alla predetta data, senza distinguere menomamen1:e tra incarichi ricevuti prima e dopo il pensiOnamento. Ma � soprattutto fa �ratio� della normativa, gi� diffusamente ii.Uustrata, che impone l'adozione della seconda interpretazione. Giova al riguardo precisare che nessun ausilio interpretativo pu� denivare dalla considerazione -pur suggestiva -che la contraria soluzione meglio si condlierebbe con il fotto che, nella determinazione della volont� del dipendente all'anticipato collocamento a niposo, ben pu� aver influito la consapevolezza di poter conservare un coesistente incarico; affidamento, questo, che, legittimato dalla legge allora vigente, apparirebbe meritevole di tutela. Senonch� lo stesso ragionamento s� pu� ripetere, con variantJi mm essenziali e decisive, anche per il dipendente che si � determinato a richiedere il pensionamento ,nella certezza di conseguire un diverso incarico, poi in effetti, dopo il pensionamento, ottenuto; mentre � certo che, m questo secondo caso, l'incarico � senz'altro �colpito da ,inefficacia. Assorbente � dunque il rilievo che il legislatore si � fatto carico di questi delicati RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 90 problemi e, nell'estendere la nuova norma proibitiva ai rapporti legittimamente sorti sotto l'impero della norma previgente, ha in generale ritenuto sufficiente ed equo di accordare all'interessato la facolt� di mantenere l'incarico, rinunciando per� al trattamento di qwiescenza ottenuto per effetto de1la legge n. 336 del 1970. La �orte Costituzionale, COIIl .Ja cit. sent. n. 194 del 1976, ha gi� ritenuto infondate 1e questioni ,di illegittimit� costituzionale della norma sotto lo specifico profilo della retroattivit� di essa (che inciderebbe su posizioni costituite in vista di una situazione giuridica successivamente mutata) testualmente osservando che � ri.corre ne1la specie un caso di riconoscimento di evidente opportunit� per l'attribuzione di efficacia retroattiva alla legge, che ne pone in evidenza Je ragioni giustificatrici �. La stessa Corte Costituzionaile ha del pari ritenuto infondata la questione di costituzionalit� del ripetuto a:rit. 6 in riferimento agli artt. 4 e 13 Cost. (v. sent. 194/76 dt.), il che esime da un particolare esame dei corrispondenti profili di iincostituzionalit�, sollevati dai resistenti, con la memori.a, negli stessi termillli. gi� esaminati dalla predetta pronuncia di infondatezza (v. ,inoltre, per Ja manifesta infondatezza delle stesse questioni, le sentenw della Sezione Lavoro n. 5029 e n. 5030 del 1980, cit.). SEZIONE QUARTA GIURISPRUDENZA CIVILE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 8 aprile 1981 n. 2014 -Pres. Granata -Est. Scanzano -P. M. Caristo -Bandiera (avv. Rizzo) c. Universit� di Messina (avv. Stato Fiumara). Espropriazione per p.u. � Illegittimit� costituzionale dell'art. 16, quinto comma e dell'art. 20 della legge n. 865 del 1971 (mod. dalla legge n. 10 del 1977) e successiva emanazione della legge n. 385 del 1980 � Giudizio in corso � Effetti. Espropriazione per p.u. � Occupazione di urgenza � Interessi � Tasso degli interessi. In seguito alla sentenza 30 aprile 1980 n. 5 con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimit�, tra l'altro, dell'art. 16, quinto comma e dell'art. 20, terzo comma, della legge 22 ottobre 1971 n. 865 (mod. con la legge 28 gennaio 1977 n. 10) e per effetto della successiva legge 29 luglio 1980 n. 385 che ha riprodotto le norme dichiarate incostituzionali ma ha precisato che la indennit� viene corrisposta a titolo di acconto fino alla emanazione di una futura legge, le determinazioni delle indennit� operate dalla Corte di appello assumono carattere provvisorio e le pronunzie emesse prima della preannunciata legge, anche se passino in giudicato, non possono precludere la richiesta di rideterminazione della indennit� di cui allo art. 1 della legge n. 385 (1). Sulla indennit� di occupazione di urgenza sono dovuti gli interessi nella misura del tasso legale, e non di quello ufficiale di sconto (2). (omissis) Conviene premettere che con sentenza 30 gennaio 1980 n. 5 la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimit� (tra l'altro) dell'art. 16, quinto comma e dell'art. 20, terzo comma della '1egge 22 ottobre 1971 n. 865, come modificati dalla Jegge 28 gennaio 1977 n. 10, a cUJi la Corte d'appello ha fatto riferimento neHa determinl.lzione dell'indennit� controversa. Senonch� la legge 29 lug1io 1980 n. 385 ha riprodot�to la normativa oggetto della dichiarazione di incostituzionalit�, dettando, fino �all'entrata in vigore di apposita ,Jegge sostitutiva delle norme dichiarate illegittime con la detta sentenza, criteri di determinazione, delle indennit� d!i espropriazione e di (1-2) Si precisa che, con diverse ordinanze (Corte Appello Roma 24 ottobre 1980 n. 107; Corte Appello Trento 23 dicembre 1980 n. 122) anche la legge n. 385 del 1980 � stata rimessa alla Corte CostitU1Jionale. Sulla misura degli interessi legali non possono sorgere dubbi qualora si tratti di occupazione d'urgenza: v. anche la legge n. 385, art. 1, quarto comma. .............................. 92 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO occupazione, ivi considerate, coincidenti 2on quelli stabiliti dailla legge 865/'71 e successive modificazioni, salvo conguaglio secondo quanto verr� statuito con la legge emananda. In tale situazione, agJi effetti del sindacato cui questa Corte � chiamata, diventano prive di rilevanza concreta -stante l'identit� di contenuto della vecchia e della nuova normativa -sia Ja constatamone della incostituzionalit� de1le norme app1icate dal giudice del merito, sia la novazione legislativa (che � puramente formale), rimanendo soltanto da dare atto -come va dato -che la determinazione dell'indennit�, operata dalla Corte d'appello, assume carattere provvisorio in relazione �al conguag:liio fatto salvo dall'art l, secondo comma della legge 1980/385, e che le pronunzie emesse e da emettersi nella presente controvers:ia, ove passino formalmente iin giudicato .prima della entrata in vigore della futura legge, non possono precludere Ja richiesta {di rideterminazione dell'indennit� secondo tale legge) di cui all'articolo citato. Parzialmente fondato� � �anche il quarto motivo, con cui le Bandiera, denunciando violazione dei citati artt. 16 e 20 sotto un duplice profilo, lamentano che la detta Corte: a) abbia ordinato all'lliil�versit� di versare alla Cassa Depositi e Prestiti la differenza tra le somme definitivamente liquidate e quelle determinate agli stessi titoli dall'U.T.E., senza considerare che nulla di tahl. somme era stato versato e che pertanto l'obbligo della controparte riguardava l'intero ammontare de1l'dndennit� stabilita giudizialmente; b) abbia attribuito gli interessi sulla detta differenza, anzich� sull'intera .indennit�, e nella misura legale, anzich� al tasso di sconto bancario indicato dall'art. 14 della -legge 1977 n. 10, facendoli inoltre decorrere da:lla data della stima anzich� daMa scadenza di ciascuna annualit�. Per quanto riguarda il punto a) il Collegio osserva che la sitatuimone della Corte di merito non implica un accertamento -che possa. \riuscire di pregiudizio alle 1ricorrenti -circa l'avvenuto versamento alla Cassa DD.PP. dell'indennit� determinata dall'U.T.E. Essa va qudndi iintesa nel senso che, sostituita a tale indennit� quella stabi1ita giudizialmente, -l'obbligo di versamento comprende tutto quanto, di quest'ultima, non sia stata ancora versato: e dunque l'intero, se nessun versamento sia stato eseguito. Le stesse considerazioni valgono ovviamente per il versamento degli interessi, cui si riferisce la prima doglianza del punto b). � invece fondata, riguardo agli interessi, la censura concernente la decorrenza. Secondo .la consolidata giurisprudenza �di questa Corte, gli interessi dovuti sull'indennit� di occupazione (anche legittima), dn quanto destinati a ripianare il patrimonio (del proprietario estromesso dall'immobile) per la mancata dispo!l!ibiliit� dei frutti che periodicamente egli avrebbe percepito, hanno natura compensativa (Cass. 2173/65, 1282/69, 2583/70, 4973/77, 4272/79). Essi decorrono, pertanto, dalla scadenza di ciascuna ~ f: ~~ ;-:-: % I I @ ID ~ f: t ~ I lii ;:.,. I .,' ., fil 0 I ~ r ~ ~ I I ! [ f. l ! f. ! i ! ~ I i I I I WF��Z'"'"""''"�'"����H.,.................................................,.........................�.�.�.�.�.-.�.-.�.�.�.-.�.�.�.�.�.�.�.-.�.�.�.�.�.-.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.� ................ ...,.... �������.�.�.���.�.�.�.�.�.�.�.�.��.�.� ......�...�.�.�.�.�.�.-.�.-.�.�.�.-.�..................�.�.�.-............................�.�.�.�.�.�.-....................,..J ll�lllllll:lrllillllil�ll�llllltllJfll�llllJrl�llllll!llllll:fll 93 PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE annualit�, con cadenza corrispondente alla periodidt� dei frutti (ora sostituiti dall'indennit� di occupazione) che le proprietariie av.rebbero dovuto percepire e non hanno percepito. Deve essere infine respinta la pretesa di applicare, in luogo del tasso legale, !iJ. tasso di sconto bancario. La pretesa cui la censura si riferisce vorrebbe trarre fondamento dall'art. 12 della legge 1971 n. 865 (come modificato dall'art. 14 legge 1977 n. 10) secondo cui �a decovrere dalla scadenza dei termini di -cui ai commi precedenti, sono dovuti g;li interessi dn misura pari a quella del tasso di sconto �. La norma, che � dettata per l'indennit� di espropviazione e che deroga in maniera vistosa a quella generale espressa dall'art. 1284 cod. civ. non pu� �troV'are applicazi9ne per l'indennit� di occupazione neanche in via di interpretazione estensiva: e ci�, non solo perch� essa � coordinata con preoisi termini assegnati, con riferimento alle varie ipotesi, per ii.I pagamento dell'indennit� di espropriazione, ma perch� soltanto per questa sussiste 1a ratio che la sovregge. Blevando il tasso degli interessi, il legislatore ha inteso evidentemente compensare il sacrificio imposto ai1l'espropriato in dipendenza della modesta entit� dell'indennit� assegnatagli (i cui criteri di determinazione sono rimasti sostanzialmente immutati ne1la legge 1977 n. 10). Tale ratio avrebbe potuto ravvisarsii anche per l'indennit� di occupazione -essendo essa �ragguagliata ad una frazione dell'indennit� di espropriazione -se anch'essa fosse �rimasta immutata nei suoi critelli determinativi. Senonch� il legislatore, con fa stessa legge con cui ha ' elevato il tasso di cui si discute, ha e1eV'ato anche l'illndennit� dii occupa. zione ragguagliandola ad un dodicesimo, anzich� ad un ventesimo, dell'indennit� di espropriazione (v. art. 14 legge 1977 n. 10). Ed avendo per tale via migliorato la posiizione del privato che ha subito l'occupazione non pu� avergli attribuito anche interessi a �tasso maggiorato senza avere minimamente manifestato il relatiivo intento. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 22 apriJe 1981, n. 2388 � Pres. La Farina � Est. Oaturani -P. M. Cantagalli -Paglial'.i (avv. Di Gravio) c. Ministero Industria (Avv. Stato Gargiulo). Commercio (disciplina del) -Rivendita di giornali -Disciplina del commercio al minuto -Applicabiilit�. I rivenditori di giornali sono assoggettati alla disciplina generale prevista dalla legge n. 426/1971 per il commercio al minuto (1). (1) La giurisprudenza � cos� costante: cfr. Sez. Un., 7 maggio 1981, n. 2957, retro, I, 500; ed anche Cons. Stato, sez. VI, 12 dicembre 1978, n. 1297 e sez. V, 14 luglio 1978, n. 880, Foro it., 1979, III, .151 con nota di C.E. GALLO; V. ora legge 5 agosto 1981, n. 416 che contiene provvidenze per l'editoria; cfr. Cass., sez. I, 22 aprile 1981, n. 2382, retro, I, 501 (ove � riportata la relativa motivazione che � identica a quella della sentenza n. 2388). RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 10 giugno 1981, n. 3757 -Pres. Marchetti - Rel. Saridulli -P. M. Valente -Comune di Recco (avv. Tedeschi) c. Ministero dei LL.PP. (Avv. Stato Onufrio) e Martini ed altri. Responsabilit� civile -Occupazione definitiva di Ul1 terreno di propriet� privata senza il previo decreto -Illecito -Carattere personale della relativa responsabilit� -Trasferimento all'ente beneficiario dell'opera pubblica -Inammissibilit�. L'occupazione di un terreno di propriet� privata occorrente per l'esecuzione di un'opera pubblica, non legittimata da previ procedimenti ablatori (decreti di occupazione e di espropriazione), costituendo un'attivit� materiale sine titulo lesiva di diritti soggettivi, integra un comportamento illecito ai sensi dell'art. 2043 cod. civ. e la relatiVa responsabilit�, dato il carattere personale della responsabilit� extra-contrattuale, grava sull'ente autore dell'illecito, senza la possibilit� di trasferirla su altri soggetti, anclze se beneficiari dell'opera pubblica (1). (omissis) Con il 'Primo motivo del ricorso principale, il ricorrente denunciata la violazione e fa falsa 'applicazione degli amtt. 2043 cod. civ, 1 della legge 9 luglio 1940, n. 938, 27 della legge 26 ottobre 1940, n. 1543, 2729 cod. civ. e 112 cod. proc. civ., in �relazione all'art. 360 nn. 3, 4 e 5 cod. proc. civ. -assume che -avendo il Genio Civile eseguito ile opere di ricostruzione, occupando, in epoca anteriore a11'intervento del decreto ministeriale del 18 agosto 1950 con il quale l'Amministrazione dei favori pubblici si era sostituita al Comune di Recoc nell'attuazione del piano di ricostruzione, i fondi dei privati sine titulo, e cio� senza provvedere preventivamente ai provvedimenti ablativi -dell'illecito in tal modo posto in essere fosse tenuto a rispondere il Ministero dei Javori pubblici e non il Comune, venuto in possesso dell'immobile dopo la consumazione dell'illecito. Deduce la contraddittoriet� della motivazione per avere ritenuto che il Genio Civile fosse un semplice esecutore dei lavori, dopo aver affermato che l'esecuzione degli stessi da parte del Genio Civile fosse stata determinata dalle sollecitazioni del Comune. Il Comune sostiene, quindi, la responsabitit� del Minis�tero dei Lavori pubblici, per aver occupato le aree occorrenti per la ricostruzione delle (1) Nella specie, il Ministero dei LL.PP. aveva proceduto, essendovi tenuto ex lege, al ripristino di una strada comunale distrutta da eventi beUici, mediante l'utilizzazione di terreni di propriet� privata, senza ottenere il provvedimento di occupazione: in senso conforme, cfr. Cass. 13 dicembre 1980, n. 6452. Nel caso di abusiva occupazione, la domanda risarcitoria proposta dal privato non configura un'azione reale, sostitutiva della r�vindica, ma un'azione personale per fatto illecito extra-contrattuale: cfr. Cass., 26 aprile 1977, n. 1577. \ PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 95 strade comunali danneggiate dalla guerra senza procedere preventivamente ai procedimenti ablatori. La censura � fondata. Secondo la tesi del ricorrente, tenuto a rispondere dei danni conseguenui all'occupazione sine titulo delle aree di propriet� degli attori, occorse per la ricostruzione, secondo un diverso tracciato, deUe strade comunali distrutte dagli eventi bellici, sarebbe .il Ministero dei Lavori pubblici, .il quale -operando, su richiesta del Comune, al ripristino ed alla risistemazione delle strade, a norma delle foggi 9 luglio 1940 n. 938 e 20 ottobre 1940 n. 1543 (risarcimento dei danni di guerra) -avrebbe proceduto all'occupazione delle aree occorrenti senza procedere preventivamente ai provvedimenti ablativi. La Corte del meri.to -�ritenendo che il Ministero dei Lavori pubblici fosse intervenuto, a mezzo del Genio Civile, nel rifacimento delle strade danneggiate dalla guerra, a norma delle leggi n. 938 e n. 1543 del 1940, e, quindi, senza sostituirsi al Comune nell'acquisizione delle aree -ha affermato che tenuto a risarcire .i danni fosse iii Comune, ente beneficiario delle opere, il quale sarebbe stato obbligato a curare il procedimento espropriativo. La questione proposta attiene ailla ripartizione delle responsabilit� ~n tema di concorso dello Stato nella ricostruzione di opere pubbliche danneggiate dalla guerra. Trattasi del problema della imputazione della responsabilit� tra due enti pubblici che cooperano nella costruziione di opere pubb1iche e, precisamente, della individuazione deM'ente respons1;1bile del pregiudizio derivato al terzo dal comportamento dell'ente che, procedendo alla realizzazione delle opere pubbliche nell'interesse e per conto di un altro ente, abbia operato senza il rispetto della legge. � indubbio che l'apprensione di terreni di propriet� privata (occorrenti per d'esecuzione di opere pubbliche), la quale non sia legittimata da previi procedimenti ablatori (di occupazione di urgenza o di espropriazione), costituendo un'attivit� materiale sine titulo, integri un'azione m�cita, lesiva di diritti soggettivi. Invero, il mancato impiego da parte dell'amministrazione, ai fini del l'acquisizione delle aree occorrenti per la realizzazione delle opere pub bliche, degli strumenti amministrativi apprestati �a tal fine da1l'ordina mento giuridico degrada l'attivit� dell'ente ad attivit� i1lecit1;1, di cui si deve rispondere ex art 2043 cod. civ. E -poich�, per il carattere personale della responsabilit� extracon trattuale, non � possibile operare uno spostamento della responsabilit� ci.all'ente che agisce ad un altro (anche se beneficiario dell'opera) -la responsabi.lit� non pu� gravare che sul soggetto autore del comportamento antigiuridico, cio� sull'ente che abbia proceduto all'apprensione illegittima del bene, senza osservare le norme che �regolano i procedimenti di abla RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 96 zione autoritativa (cfr., in ta:l senso, Cass. sent. 13 dicembre 1980 n. 6452; sent. 10 agosto 1977 n. 3677; sent. 26 apriile 1977 n. 1577). L'indagine concreta da condurre, quindi, ai fini della risoluzione del profi!lo dell'a imputazione deUa responsabili�t�, consiste nell'individuare quale sia il soggetto che, in lii.nea di fatto, abbia operato, cio� quale sia l'ente che abbia proceduto alla illegittima occupazione (sine titulo). Nel caso di specie, il Ministero dei Lavori pubblici, �realizzando le opere relative alla ricostruzione delle strade oedute al Comune ed all'ANAS senza curarsi di ottenere preventivamente l'autorizzazione aH'occupazione d'urgenza o di procedere �previamente alla espropriazione delle aree occorrenti, ha tenuto un comportamento illecito, lesivo di diritti soggettivi, cagionando a terzi pregiudizi, la cui �responsabilit� non pu� che gravare esclusivamente su di esso, per avere agito senza l'impiego degli strumenti ab/latori apprestat�i all'uopo dall'ordinamento giuridico. Il primo motivo del .r:~::::so principale �, qU�llldi, da accogliere. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 3.novembre 1981, n. 5793 � Pres. Granata; Est. Virgilio � P. M. Ferraiuolo (parz. diff. ) � Ministero LL.PP. (avv. Stato De Francisci) c. Stancati (avv. Nigro). Espropriazione per p.u. -Espropriazione per opere od interventi stata� li -Decreti successivi alla legge n. 247 del 1974 � Determinazione della indennit� � Criteri applicabili dal giudice .dell'opposizione a stima. (D.L. 25 giugno 1974, p.. 115; legge 27 giugno 1974, n. 247). Espropriazione per p.u. � Indennit� � Opposizione a stima -Competenza. (Legge 25 giugno 1865, n. 2359, art. 51; legge 22 ottobre 1971, n. 865). Per effetto della legge 27 giugno 1974, n. 247, le disposizioni normative in tema di determinazione dell'indennit� d'esproprio contenute nelle leggi in vigore devono ritenersi abrogate e sostituite, relativamente a tutte le espropriazioni statali, anche se non riguardanti la materia dell'edilizia residenziale pubblica, dalle norme dettate nel titolo secondo della legge 22 ottobre 1971, n. 865. Di tali norme deve fare applicazione il giudice dell'opposizione a stima, in ipotesi di immobili espropriati dopo l'entrata in vigore della citata legge n. 247 del 1974, indipendentemente dai criteri indennitari che risultino applicati in sede di stima amministrativa dei beni e senza necessit� di nuova determinazione dell'indennit� stessa da parte dell'aut.orit� amministrativa (1). (1) Nello stesso senso si erano, in precedenza, pronunciate le Sezioni Unite con la sentenza (citata in motivazione) 21 luglio 1981, n. 4690 (in Giust. Civ., 1982, I, 4 e in Foro lt., 1982, I, 126, con ampia nota di richiami), nella quale -alla pari di quella in rassegna -si avverte la preoccupazione di conciliare il prin� cipio affermato con l'opposto indirizzo giurisprudenziale (di cui � espressione, PARTE I, SE2.. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 97 Spetta al Tribunale (e non alla Corte d'appello) la competenza a conoscere del giudizio di opposizione a stima, nel quale si assuma che l'indennit� d'espropriazione, calcolata in sede amministrativa secondo diversi criteri, avrebbe invece dovuto essere determinata in base alle disposizioni della legge 22 ottobre 1971, n. 865 (2). Con unico complesso motivo il Ministero dei lavori pubblici sostiene che Ia Co11te di appello -con motivazione insuffioente, contraddittoria e contrastante con le r.isultanze processuali, ed omettendo l'esame di documenti rilevanti -� pervenuta alla erronea conclusione che J'espropriazione fosse avvenuta soltanto in base alle leggi n. 2359 del 1865, n. 2892 ad es., Cass. 6 gennaio 1981, n. 53, in questa Rassegna, 1981, I, 260), secondo cui al giudice dell'opposizione a stima � precluso, pel divieto fatto all'A.G.O. di modificare l'atto amministrativo, di determinare l'indennit� in base a criteri stabiliti in leggi diverse da quelle richiamate a fondamento dell'esercitato potere d'esproprio. Su tale problema, da un punto di vista generale, cfr. VITTORIA, Dichiarazione di p.u. e connessi criteri di determinazione dell'indennit� di esproprio, ecc., in questa Rassegna, 1979, I, 77. Sembra, per�, che -almeno nella generalizzata applicazione fattane in ripetute pronunce -il principio dell'intangibilit� dei criteri adottati in fase di determinazione amministrativa dell'indennit� non meritasse una cosi scrupolosa difesa. Il giudizio di opposizione a stima non � un giudizio di tipo impugnatorio e non ha, comunque, ad oggetto il decreto d'esproprio, che del resto non recepisce n� fa in altro modo propria la determinazione dell'indennit�, nella quale va ravvisato un mero presupposto per la pronuncia del provvedimento ablatorio (e non a caso, d'altronde, � stata costantemente negata al prefetto la qualit� di parte necessaria nel giudb:io stesso). Di conseguenza, applicando criteri indennitari diversi da quelli (in ipotesi, erroneamente) adottati in sede di determinazione amministrativa dell'indennit�, �il giudice dell'opposizione non modifica in nulla il provvedimento d'esproprio e no.n s'imbatte nel divieto posto dall'art. 4 della legge abolitrice del contenzioso amministrativo. Degna di nota �, pure, l'altra affermazione relativa alla non necessit� di una (preventiva) rideterminazione amministrativa dell'indennit� secondo i criteri legalmente applicabili. Com'� noto, alcuni giudici di merito (ad es. App. Venezia, 17 aprile 1978, in Giust. Civ. 1979, I, 162, con nota di Cacciavillani) avevano invece ritenuto che in ipotesi di applicazione, nella stima amministrativa, di criteri non conformi a quelli legali, il giudice dell'opposizione dovesse limitarsi a dichiarare la nullit� della stima e cos�, sostanzialmente, rimettere all'autorit� amministrativa una nuova determinazione dell'indennit�. In tale affermazione, certamente criticabile e non condivisa, infatti, dalla Corte Suprema, doveva intravedersi un'ulteriore applicazione del principio dell'immodificabilit� dal.lit stima amministrativa da parte del giudice dell'opposizione, in ordine al quale sar� interessante seguire gli ulteriori sviluppi della giurisprudenza del S.C. (2) Principio pi� volte affermato dalla Cassazione, secondo cui la competenza della Corte d'appello sussiste, a norma dell'art. 19 legge n. 865 del 1971, solo allorquando la stima oggetto di opposizione sia stata effettuata nelle forme di cui alla legge " sulla casa�: per tutte, cfr. Cass., Sez. Un., 4 novembre 1980, n. 5904, in Foro it., 1980, I, 3004. S.LAPORTA I RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO del 1885 e n. 429 del 1907, e non anche secondo la normativa introdotta con Je leggi 22 ottobre 1971 n. 865 e 27 giugno 1974 n. 247, vd.genti al momento della emissione del decreto di espropriazione. Rileva che l'intento dell'Amministrazd.one di avvalersi anche della sopravvenuta normativa :risultava chiaramente dalla istanza diretta al Tri~ bunale di Catanzaro, con la quale era stata cmesta la revoca dei provvedimenti di nom1na del consulente tecnico e di deposito della ii:ndenll!i.t� presso la Cassa depositi e prestiti. Rilleva, infine, che il richiamo alle leggi del 1971 e del 1974 (nel decreto di espropriazd.one) non aveva valore puramente formale, come ha ritenuto la Corte di appello, e che -in ogni caso -l'Amministrazione era vincolata, dopo la unificazione dei criteri di determina2iione de1I'indennit� per tutte le espropriarioni comunque preordinate ailla realizzazione di �oper� � o di interventi da parte dello Stato e degli altri enti pubblici, alla osservanza delle nuove disposizioni, che erano gi� in vigore all'epoca del deareto di espropriazione, per cui -secondo il principio tempus regit actum -ogni fase del procedimento espropriativo avrebbe dovuto essere assoggettata al diritto temporalmente applicabile. Da queste considerazioni il .ricorrente t:rae la conseguenza che l'adozione di un criterio di stima diverso da que11� che regolava fa materia in base alla normativa vigente all'atto della emanazione del deareto di esprorpriarione ha comportato violazione del diritto rsoggettivo (dei due soggetti del rapporto espropriativo) alla determd.nazione dell'mdennit� secondo la legge applicabile al diritto certamente tutelabile dinanri al magistrato ordinario Pur muovendo da una premessa correlata prevalentemente alla prospettiva in cui la controversia � stata considerata dalla Corte di appello (la quale ha �incentrato la sua ~ndagine sul tema delila �ndividuarione del modello espropriativo prescelto dalla pubblica amministrazione nel caso concreto), la censura del ricorrente assume particolare consistenza, in relazione aill'aspetto essenziale della questione, nell'ultima parte, nel punto �in cui � posto J'accento sui concetti della unificazione dei criteri di determinazione de.Me indennit� in tutte le espropriazioni !interessanti lo Stato e della vincolativit� della nuova regolamentazione. L'esame della censura deve perci� svolgersi nell'ottica richiesta dai menziionati punti focali del tema d'indagine, anche se ne deriva, ovvia mente, un problema di coordinamento con i rprincipi generaJ1i dei quali la Corte di appello ha ritenuto di dover fare applicarione. Ci�, premesso, si rende necessaria una rettifica nella prospettiva der problema che era insorto, nel senso che non si trattava tanto di stabilire quale dei vari modelli espropriativi Lrisulltasse adottato dalla pubblica amministra:zJione nel caso concreto (per fame dipendere fa verifica del!' osservanza dei criteri di determinazione dell'indennit� previsti appunt0< PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 99 da quel par,ticolare modello), quanto di valutare se -dopo fa unificazione dei detti criteri disposta dalla legge n. 247 del 1974 -continuasse ad esplicare rilevanza, agli effetti del modo di determinazione deMa indennit�, la scelta discrezionale, da parte deHa pubblica amministrazione, circa H � tipo � di procedimento espropriativo in concreto adottato ovvero se, a causa della unificazione introdotta in quella materia un corpo normativo unico si fosse ins�erito, con efficacia sostitutiva, in tutti i modeUi espropriativi previsti dall'ordinamento, in modo che tutti e ciascuno di essi -quale che fosse da ritenere il tipo concretamente scelto e utilizzato -comportassero .l'osservanza delle stesse disposizioni, cio� di que11e �di cui al!la legge n. 865 del 1971. Considerato sotto questo angolo visuale, H quesito non pu� che essere risolto in quest'ultimo �senso. Il tenore letterale dell'art. 4 del d,I. 2 maggio 1974 n. 115 (mcl �testo risu!ltante dalla modifica introdotta con la ilegge di �conversione 27 giugno 1974 n. 247) non consente alcun dubbio mterpretativo. Le disposizioni contenute nel titolo II della legge 22 ottobre 1971 n. 865 � relative alla determinazione delJ'indennit� di espropriazione � furono infatti dichiarate applicabili �a tutte le espropriazioni comunque preordinate alla .realizzazione di opere o di intervent.i da parte ddllo Stato, delle regioni, delle province, dei comuni e degli altri enti pubblici o di diritto pubblico anche non territor.iali �. La formulazione e la sfera di applicazione deHa norma evidenziano l'intento del legislatore di improntare a criteri di unit� (e quindi di unificare, su tale punto, le diverse normative esistenti) �iii sistema di determinazione dell"indennit� di espropriazione. Si verific�, pertanto, il fenomeno del recepimento, nel contesto deMe varie foggi disdpJinanti Ia materia, del gruppo di �disposizioni -ben individuato e delimitato dall'art. 4 del d.t n. 115 dcl 1974 -che nelil:a legge 22 ottobre 1971 n. 865, sui programmi e iii coordinamento dell'ediilizia residenziale pubblica, regola con nuove disposizioni l'iter-procedimentale e i criteri per la determinazione della indennit� di espropriazione. In sostanza, con l'entrata in vigore della legge n. 247 del 1974 (modificativa dell'art. 4 sopra citato), restarono espunte dalla normazione allora vigente Je disposizioni sul modo e sui criteri di determinazione della !indennit� di espropriazione, e al foro posto, in via ovviamente sostitutiva, fu introdotta la disciplina unica dettata sullo specifico punto daJla legge deil 1971. Questo fenomeno � affine al � rinvio � perch� implica anch'esso H trasferimento di una norma (o di un nucleo normativo) da un contesto legislativo ad un altro, con la differenza che nel caso come quello in esame non si realizza, secondo il metodo pi� frequente, una produzione normativa per relationem in senso stretto (cio� la ricezione in una legge RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO posteriore di disposizioni gi� esistenti), ma il trapianto normativo avviene mediante un diverso meccanismo, consistente nella dichiarata efficacia, in linea di estensione, della normazione sopravvenuto anche per la materia preoedentemente disciplinata in modo diverso in altri provvedimenti legislativi, con implicita abrogazione di tale difforme disciplina. In sostanza, nelle leggi che qui interessano (in tema di espropriazioni interessanti '1o Stato e gli altri enti pubblioi) si produssero glii stessi effetti del fenomeno abrogazione-sostituzione in senso formale, che si verifica quando il legislatore provvede all'abrogazione di alcune norme e dispone che siano sostituite da altre a tale speoifico fine emanate. Per quanto riguarda la fattispecie in esame, la legge n. 2892 del 1885 (ritenuta dalla Corte di appello concretamente applicata nel procedimento espropriativo in esame) come ogni altra riguardante la realizzazione di opere o di interventi da parte dello Stato o degli enti pubblici .in genere, dopo l'entrata in vigore della legge n. 247 del 1974 recep� '1e nuove disposizioni, sicch� il problema proposto dinanzi al magistrato ordinario riguardava l'osservanza della stessa Jegge del 1885 -nel testo v:igente aH'epoca della emissione del decreto di espropria2lione sul punto dei criteri di determinazione dell'indennit� -in quanto le preesistenti norme erano state sostituite e non �rano applicabili. La immutazione-unificazione del sistema di determinazione della indennit� di espropriazione, con conseguente introduzione neH'ambito dei procedimenti ablatori di un sub-procedimento nuovo, comporta indubbiamente un problema di coordinamento, che � del tutto connaturale all'inserimento -nei vari testi legislativi aventi ciascuno una propria coordinazione interna -di un corpus di norme ad �essi originariamente estraneo. Su questo problema di coordinamento l'interprete deve, quindi, soffermarsi con particolare cura, al fine di ricostituire adeguatamente, secondo le finalit� perseguite dal legislatore, fa ilinea di armonia del sistema. Il pnimo profilo d'indagine riguarda l'area di applicabilit�, con riferi mento alla materia, dell'art. 4 del d.l. n. 115 del 1974. Le Sezioni unite di questa Corte hanno avuto modo di precisare (sent. 2 febbraio 1976 n. 328) ed hanno anche recentemente confermato che la formulazione �letterale della norma non consente di iritenere che le disposizioni della legge del 1971 n. 865 (sulla determina2lione della inden nit�) siano state dichiarate applicabili soltanto alle �espropriazioni (per realizzazione di opere e di interventi da parte dello Stato) che I'iguardano la materia dei programmi dell'edilizia .residenziaJe pubblica, regolata ap punto dalla legge del 1971. La formulazione in termini generarli della norma � chiaramente indi cativa della operativit� della estensione legislativa a tutte le espropriazioni interessanti lo Stato e gli altri enti pubblici, sicch� una interpretazione riduttiva dell'art. 4 (nel senso prospettato) contrasterebbe con la lettera PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE e anche con la ratio della norma, volta alla unificazione del sistema di stima per tutte le espropriazioni in cui siano interessati gli enti pubblici. Un ulteriore problema riguarda -l'accertamento dell'dncidenza della normativa sopravvenuta sui procedimenti in corso al momento della sua entrata in vigore. Sotto questo aspetto la parte .resistente sostiene che deve essere applicata Ja norma transitoria di cui aJl'arit. 36 della �legge n. 865 del 1971, secondo Ja quale �gH atti del procedimento di espropriazione non definiti alla data di entrata in vigore deMa presente legge sono assoggettati aille norme contenute nel precedente titolo II �. Ne deriverebbe che, essendo stata la stima gi� effettuata, e quindi definita, nel caso in esame, all'atto de1l'entrata in vii.gore della legge del 1947, essa sarebbe rimasta insensibile al!la inci:den:;,a delila nuova regolamentazione. Questa tesi trova un primo ostacolo d'ordine letterale nella formulazione dell'art. 4 del d.l. n. 115 del 1974, il quale -nel disporre J'applicabiHt� delle norme previste dalla .legge n. 865 del 1971 alle espropriazioni che qui interessano -si � chiaramente riferito a queHe � contenute neil titolo II relative alla determinazione deHa fr1dennit� di espropriazione �. La puntuale forma di indiVliduazione-limitazione delle norme alle quali si intendeva far richiamo esclude che l'interprete possa� ritenere attratta nell'ambito del richiamo anche fa disposizione contenuta nell'art. 36, la quaJe � collocata sotto il titolo III della legge n. 865 del 1971, riguardante modifiche ed integrazioni alle .leggi 17 agosto 1942 n. 1150, 18 aprile 1962 n. 167 �e 29 settembre 1964 n. 847. Inoltre, non pu� essere trascurata, a conferma della estraneit� della disposizione dell'art. 36 dal nucleo normativo preso in considerazione dal l'art. 4 del d.l. n. 115 del 1974, la particolare collocazione della detta dispo sizione nel contesto dell'art. 36, rispetto al quale essa si pone non gi� in funzione di comma a s� s~ante, dotato in quaJche misura �di autonoma efficacia, ma come seconda parte dello stesso articolo, formulato in unico comma, che regola le eccezioni alla disciplina delle fattispecie peculiari previste nel precedente art. 35 ne1la materia delle aree (acquisizione delle) comprese nei piani regolatori. �, dunque, con riferimento alle deroghe contenute nell'art. 36, �rispetto alle disposizioni dell'art. 35, che la seconda parte dello stesso art. 36 pone una regola ulteriore, ossia quella dell'assoggettabilit� �alle norme contenute nel ti�tolo II deHa legge del 1971 soltanto degli �atti non definiti� nell'am bito dei procedimenti ablatori, sempre per� che tali procedimenti si rife l"iscano all'acquisizione delle aree contemplate dagli articoli 35 e 36. La stretta interdipendenza tra la disposizione della seconda parte dell'art. 36 e la materia disciplinata da questa n�rma e da quella immediatamente precedente (entrambe comprese sotto iJ titolo III della Jegge del 1971 n. 865) conferma anche attraverso l'argomentazione logico-sistematica RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO la impossibilit� di ritenere che la estensione (di applicabilit�) prevista dall'art. 4 del d.I. n. 115 del 1974 abbia trainato nell'ambito de11a detta estensione anche la disposizione dell'art. 36. Comunque, pur se si potesse desumere da tale disposizione una sorta di cniterio generale per risolvere tutti i problemi de11'inoidenza delle nuove disposizioni in tema di determinazione dell'indennit� di espropriazione sui procedimenti in corso, .Je conseguenze non muterebbero nel caso in esame. Questa Corte ha gi� avuto modo di precisare (sent. 22 giugno 1978 n. 3085 e 26 novembre 1979 n. 6180) che -anche nelle ipotesi in cui � sicuramente applioabile la menzionata disposizione dell'art. 36 -� atti non definiti�, insuscettibili di essere travolti dalla nuova disciplina, sono soltanto quelli aventi un'autonomia tale da comportare ,la chiusura di una delle fasi dell'iter procedimentaile, conferendo a tale fase il ,carattere appunto della completezza. Se cos� non fosse -� stato rilevato -e si dovesse .r.itenere che atto �definito� (quale contrapposto all'atto non defJnito) sia da considerare ogni singolo atto del procedimento venuto in esistenza, �il ricorso al termine � definito � si risolverebbe in una mera tautologia perch� qualunque atto amministrativo, una volta estrinsecatosi con nipercussioni esterne, � per propria natura in se stesso completo e, dunque, definito. Pertanto, se atto definito, nel senso voluto dal legislatore, deve necessariamente essere qualificato quello idoneo a chiudere con una certa misura di autonomia una delle fasi in cui si articola l'intero procedimento, � chiaro che la sola redazione della stima operata dal consulete tecnico (secondo le disposizioni delle leggi n. 2359 del 1869 e 111. 2892 del 1885) non ha tale natura, in quanto anche per essa, come per ila stima dehl'U.T.E. prevista dalla legge 8 aprile 1962 n. 167 (alla quale si riferiscono le citate sentenze) era previsto il meccanismo deposit�'aocettazione, secondo il combinato disposto degli artico1i 30 e 48 detlla >legge del 1865, per cui -in mancanza dell'accettazione da parte dell'espropriato e dell'espropriante :giammai la stima avrebbe potuto assumere il connotato di �definita�, svincolata come tale dall'incidenza della normativa 1introdotta ne1l'ambito del procedimento espropriativo ancora in corso di espletamento. Deve quindi affermarsi conclusivamente -su questo aspetto de11a controversia -che l'entrata in vigore della legge n. 247 del 1974, verificatasi prima della emissione del decreto di espropriazione (27 giugno 1975), comportava applicazione vincolante, quanto ai criteri di determinazione della indennit�, della stessa Jegge in base alla quale ll'espropr.iarione era iniziata e proseguita fiino a quel momento perch�, come si � detto, taiJ.e ~egge aveva incorporato, facendole proprie, le disposizioni sui nuovti. criteri per lla determinazione de1l'indennit� emanate con 'la ~egge n. 865 del 1971, PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE che erano .ie uniche vigenti L�il materia e non consentivano perci� alternative o 'scelte. Il fenomeno della correlazione temporale tra data di emana2lione del decreto di espropriazione e normativa che cr;egola in quel momento .il sistema di liquidazione dell'indennit�, quale corrispettivo lato sensu del bene assoggettato al trasferimento coattivo, corrisponde al p;rinoipio generale secondo cui ]l momento culminante del procedimento ab[atorio va ravvisato appunto nel detto decreto, che produce gli effetti traslativi della propriet� del bene (Cass., 9 marzo 1978 n. 1182 e 23 febbraio 1981 n. 1061). Sorta contestaZJione, nella fattispecie concreta qui in esame, sulla misura dehl'iindennit� di espr~iazione calcolata secondo i crite11i indicati nella legge n. 2882 del 1885 -che non erano pi� ilil vigore all'atto della emissione del decreto di espropriazione, e portata tale contestazione all'esame del magistrato ordinario per far accertare (nell'ambito de1la tutela del diritto soggettivo dei soggetti del rapporto esprop;riativo alla liquidazione della indennit� secondo legge) come si -dovesse procedere al calcolo e quale fosse la somma in effetti dovuta dall'Amministrazione espropriante, esattamente fu adito il tribunale e non :la Corte di appello, in quanto non si trattava di opposizione alla stima avvenuta in applicazione delle nuove disposizioni introdotte con [a Jegge n. 865 del �1971, e quindi di azione di competenza della Corte di appe1lo (art. 19 della citata Iegge), ma di una pi� ampia problematica consistente nella individuazione della normativa vigente (e applicabile), al caso, e nelle conseguenti statuizioni sul modus procedendi circa fa determinazione della indennit�. Ne1la detta situazione valevano, ovviamente, ,1e normali ,regole sulla competenza. La rJtenuta applicabilit� delle disposizioni deHa legge n. 865 del 1971 non implica, peraltro, che la controversia debba dtornare in fase ammi nistrativa per il compimento di tutte le formalit� che la detta Iegge prevede. In questi casi (come gi� � stato ritenuto con la citata sentenza n. 1061 del 1981 e con la sentenza delle Sezioni Uni,te in causa Ministero Poste c. Bruno Bernardo e altri, discussa_ all'udienza del 19 marzo 1981) la causa resta fogittimamente nella sfora di cognizione dell"autorit� giudiziaria, la quale provvede alla valutazione occorrente per ila determinazione della indeilDlit� di ,esproprio secondo i criteri staMliti da1le disposizioni effettivamente applicabili, avvalendosi dei suoi normali poteri d'indagine anche sul piano tecnico. Nella specie in esame il giudice non potr� tener conto, Jogicamente, deHa stima in precedenza effettuata dal consulente secondo i criteri della legge del 1885 (che non erano pi� vigenti a1l'epoca del decreto di espropria 104 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO zione), ma dovr� direttamente applicare la nuova normativa, essendo stata l'espropdazione pronunciata dopo l'entrata in vigore deUa legge n. 247 del 1974, ed essendo perci� consentita (v. sent. SS.UU., avanti citata in causa Ministro Poste c. Bruno) la deroga al principio della non modifica� bilit� dei criteri di determinazione deM'indennit� indicati nel decreto di espropriazione. In questi casi non si tratta inf�atti di modificare una scelta <di sistema di calcolo) dipendente daJ.la scelta del �tipo� di procedimento espropriativo adottato, ma di ricondurre a legalit�, mediante J'osserv~a delle norme -ormai unificate -applicabili sul procedimento espropriativo prescelto, Ja liquidazione deHa indennit� stessa. Nel caso in esame '1a determinazione dell'indennit� deve quindi essere effettuata, da pa11te del giudice ordinario gi� investito della controversia (in concreto, ad opera del giudice di rinvio), secondo i criteri della legge n. 865 del 1971. Spetter� allo stesso giudice l'esame dell'ulteriore conseguente problema dei limiti di app1icab1Ht� deMe disposizioni deihla detta Jegge. Dovr� in sostanza stabilire (previa interpretaz,ione della norma transitoria di cui aJl'a11t. 19 de1la legge n. 10 del 1977) se i commi quinto, �sesto e settimo del� l'art. 16 della legge del 1971 dovranno essere applicati neihla formulazione anteriore alle modificaz,ioni ad essi apportate con .l'art. 14 della legge del 1977, ovvero s�e anche quest'ultima legge debba trovare applicazione, con le conseguenze derivanti sia datla deelaratoria di incostituzionalit� (sentenza 30 gennaio -1980 n. 5 della Corte Costituzionaile) delle modificazioni apportate ai citati commi della legge n. 865 del 1971, sia dalla sopravvenuta normativa provvisoria emanata con fa legge 29 luglio 1980 n. 385. Su tale aspetto della controversfa, peralt�ro non discusso nelle precedenti fasi, dovr� dunque pronunciarsi il giudice di rinvio attraverso la valutazione di tutti gH elementi di fatto e di pidtto rHevanti per l'appli� cazione delle disposizioni transitorie contenute nell'art. 19 citato (della legge del 1977) e nell'art. 3 della legge n. 385 del 1980. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I civi.le, 6 novembre 1981, n. 5856 � Pres. Sandulli -Rel. Lipari -P. M. Nicita -A.N.A.S. (avv. Stato Viola) -Bucci Maria Antonia (avv. Sorrentino). Espropriazione per p.u. -Decreto di esproprio � Factum supravveniens � Domanda di illegittimit� � Ammissibilit� in secondo grado. Espropriazione per p.u. -Azione di danni � Opposizione a stima -Conversione � Non automaticit� � Fattispecie. 105 PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE Espropriazione per p.u. -Dichiarazione di pubblica utilit� -Rinnovazione implicita -Fattispecie. Non costituisce violazione d~ll'art. 345 cod. proc. civ. la domanda, inter �venuta nel corso del giudizio di secondo grado, volta a far dichiarare la illegittimit� del decreto di espropriazione (1). La conversione dell'originaria domanda risarcitoria in opposizione alla stima dell'indennit� espropriativa, a seguito dell'avvenuta espropriazione, non si verifica nel caso di volont� -processuale contraria dell'attore, il quale, sul presupposto dell'illegittimit� del decreto medesimo, emesso in ipotesi in carenza di potere, insista nella pretesa risarcitoria (2). Non � illegittimo il decreto di espropriazione intervenuto nel corso del giudizio di secondo grado che non contenga la rinnovazione espressa della dichiarazione di pubblica utilit� dell'opera. Linterpretazione dei provvedimenti amministrativi soggiace alle stesse regole valevoli in tema di ermeneutica dei contratti: sar� quindi applicabile l'art. 1367 del codice civile da parte del giudice di rinvio, in modo da conservare l'atto e mantenerlo idoneo a spiegare effetti giuridici. La dichiarazione di p.u. pu� essere quindi implicita (3). (omissis) 1. -A seguito di occupazione protrattasi oltre il biennio, con impossibilit� di restituzione, stante Ja realizzazione dell'opera pubblica, si discute in causa del fondamento g,iucidico dell'azione irisarcitoria proposta dall'interessata, essendo sopravvenuto 111 decreto di espropriazione nel corso del giudizio di secondo grado, ritenuto, peraltro, inidoneo dal giudice d'appeMo a determinare .Ja conversione della domanda orig,inaria in opposizione a1la stima, trattandosi di provvedimento 1llegittimo perch� non fondato su potere espropriativo rico1legabile a dichiiarazione di pubblica utilit� ancora in atto al momento della �sua emanazione, e quind1 insuscettibile di degradare il diritto soggett<ivo ad 1interesse. Con il primo mezzo l'A.N.A.S., denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 51 e 52 della legge 25 giug,no 1865 n. 2358 e de1l'art. 345 cod. proc. civ., nonch� l'omessa e insufficiente motivazione circa punto decisivo della controversia, rilevabiile d'ufficio, sostiene che, �a seguito dell'operata trasformazione automatica dell'azione risarcitoria in opposizione alla stima, fiinteressata non avrebbe potuto proporre, per fa prima volta in appello, Ja domanda nuova volta a far dichiarare l'illegittimit� del decreto di espropriazione. (1) Cfr. conf. Cass., 10 aprile 1979, n. 2050, in Mass. Foro lt., 1979. (2) Cfr. conf. Cass., 24 aprile 1978, n. 1919, in Mass. Foro lt., 1978; Cass., 4 ottobre 1979, n. 5110, in ibidem. (3) Cfr. conf. Cass., 3' aprile 1973, n. 903, in Mass. Foro lt., 1973; Cass., 19 aprile 1974, n. 3733, ibidem, 1974; Cass., 14 febbraio 1979, n. 965, ibidem, 1979. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 106 La conversione comportava che l'originaria domanda di condanna al risarcimento del danno era venuta a configurarsi come condanna alla giusta indennit� di espropriarione; conseguentemente qualsiasi ,controversia estTanea �ailla suddetta equazione sia che assumesse consistenza di vera e propria domanda nuova, sia che si dovesse pi� piropriamente qualificare come eccezione nuova, restava improponibile in appello ai sensi dell'art. 345 cod. proc. civ. La Pucci, pertanto, non avrebbe potuto :invocare la pretesa i:llegiUimit� del decreto di espropriazione per carenza di potere ablatorio, in difetto del presupposto della dichiarazione di p.u., rispetto alla domanda gi� convertita. D'altra parte Ia preclusione nasceva dallo stesso comportamento processua! le dall'appellata la quale, in un primo tempo, avevia 1aderito alla � conversione �, riichiedendo espressam�rtte che fosse determinata lla giusta indennit�, e solo successivamente aveva modificato la richiesta, senza che sulla nuova questione fosse stato accettato il contraddittorio, neppure a seguito di comportamento concludente de1l'A.N.A.S. La difesa deH'espro� priata oppone che il giudizio era sorto come azione di risarcimento danni per occupazione illegittima; solo nel corso del procedimento di secondo grado la P.A. aveva introdotto in causa il decreto di �espropriazione, e pregiudizialmente la contiroparte aveva richiamato fa costante giurisprudenza in tema di conversione; ma ci� non comportava rinuncia al risarcimento del danno e, soprattutto, non escludeva che potessero essere contestati i presupposti della conversione, mediante deduzioni, Ja cui ,novit� non assumeva autonomo ri1ievo, correlandosi ad un fatto sopravvenuto intro� dotto in grado d'appello, suscettibile conseguentemente di venir conte� stato in quel medesimo grado. Con il secondo mezzo, ed in via grndata, la difesa dell'A.N.A.S. lamenta che la Corte d'appello abbia ritenuto la illegittimit� del decreto ,espropriativo, mailamente <interpretando il decreto ministeriale 11 febbraio 1976, ed escludendo che Io stesso contenesse una nuova dichiarazione di pubblica ut1lit� sostitutiva di quella contenuta nel precedente decreto del 1968 (violazione e falsa applicazione dei prindpi generali in tema d� interpretazione degli atti amministrativi, omessa o insufficiente motivazione sul punto decisivo della natura di dichiarazione di p.u. del decreto ministe� riale del 1976). Gli ulteriori mezzi, dedotti in via ancor pi� gradata, attengono alla misura del risarcimento liquidato dallla Corte d'appello. Si sostiene, nel terzo motivo, che poich� la Pucci aveva prestato acquiescenza al capo della sentenza del tribunaile relativo alla determina� zione del valore dei terreni occupati, qualificati come edificatori in zona abitata, per l'importo rispettivo di lire 8.000, 6.000 e 5.000, limitandosi a chiedere 11 rigetto dell'appello, la Corte d'appelfo non avrebbe potuto PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE modificare tali valori portando a L. 11.310 e 8.000 con un aumento complessivo del valore a questo titolo determinato dal tribunale, pur avendo accolto il motivo di gravame in ordine alla pretesa diminuzione di valore delle parti residue (violazione e falsa applicazione degli artt. 324 e 345 cod. proc. civ.; omessa ed insufficiente motivazione sul punto del giudicato sulla determinazione del valore dei terreni). Infine, con il quarto mezzo, si censura la sentenza per avere operato immotivatamente Ja rivalutazione del valore venale assunto per comparazione con le stime di trasferimenti avvenuti in epoca anteriore, e si osserva che, essendo odterio di riferimento quello del valore venale, determinato dalle vicende del mercato, la svalutazione della moneta non si riflette automaticamente sui prezzi di mercato dei beni, i quali, per vicende congiunturali ben potrebbero discostarsi dalla curva inflazionistica; ad ogni modo sarebbe stato necessario motivare al riguardo. Ritiene il Collegio _che il primo dei riassunti motivi debba essere disatteso mentre risulta giuridicamente fondato .il secondo, il cui acco~imento comporta l'assorbimento -dei restanti mezzi dedotti prudenzialmente in via gradata. 2. -Il tema de1la conversione dell'azione di risarcimento dei danni per occupazione illegittima di un suolo da parte della P.A., a seguito della sopravvenuta emanazione del decreto di espropriazione, ha formato oggetto di numerose pronuncie di questa Corte sia sotto l'aspetto della rilevabilit� della sopravvivenza nelle fasi del giudizio di secondo grado e di cassazione, sia sotto que1lo della pretesa ineluttabilit� della conversione medesima, :indipendentemente dalla volont�, od addirittura contro ,fa volont� dell'interessato. Sotto il primo profilo si � rilevato che tale decreto, costituisce factum supravveniens, equiparabile nella disciplina giuridica allo ius superveniens che, per 1'osservanza del principio suU'intangibilit� deM'atto amministrativo da parte dell'A.G.O. e della sua applicazione inderogabile se risulta conforme alla legge, pu� essere utilmente dedotto anche in cassazione, esibendo la relativa prova documentale, la quale, utilizzata ai fini del decidere, comporta 11'annullamento della sentenza impugnata, perch� il giudice di rinvio accerti gli effetti giuridici che il fatto sopravvenuto � venuto concretamente a determinare, conoscendo della domanda trasformatasi da azione risarcitoria in azione di opposizione alla stima (Cass. 2050/79, 2010/80, 5560/80). Sotto il secondo profilo � stato affermato che la conversione deM'originaria domanda risarcitoria in opposizione alla stima dell'indennit� espropriativa; a seguito della sopravvenuta espropriazione (neM'ipotesi di illegittimo protrarsi de11'occupazione del fondo con impossibilit� di restituzione del medesimo, determinata dall'avvenuta realizzazione dell'opera pubblica), non si verifica nel caso di volont� processuale contraria de1l'attore il quale, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 108 sul presupposto dell'illegittimit� del decreto medesimo, emesso in ipotesi in carenza di potere, insista nella pretes'a risarcitoria (Cass. 1919/78, 5110/79, 2931/80), innovando sul precedente costante indirizzo, esclusivamente incentrato sul meccanico automatismo della � conversione �. Come � noto, ai sensi dell'art. 51 della Jegge fondamentale in materia di espropriazione, la domanda di opposizione alla stima va proposta nel termine perentorio di 30 giorni daHa notificazione del decreto di esproprio. L'automatismo della conversione, introdotto da1>la giurisprudenza di questa Corte, si giustifica a tutela del danneggiato, divenuto, nel corso del giu 1 dizio risarcitorio, espropriato; ma prop,rio attesa tale finalit�, non pu� estendersi sino a neutralizzare la contraria volont� dell'interessato che �, e .resta, il titolare dell'azione. Ne consegue che quando il privato insiste, anche dopo il sopravvenire del decreto df espropriazione, sulla originaria domanda, fa conversione non pu� operare, senza che rilevi la �ragione (giuridica) che induce l'attore a contestare la conversione, anche se -come � ovvio, la linea per cos� dire obbligata in cui in concreto tale contestazione si muove .r,iguarda l'emanazione del decreto espropriativo in (ipretesa) carenza di potere. Ma la fondatezza delle ragioni addotte per escludere l'operare automatico della conversione attiene al merito del giudizio di danno che si intende perseguire; mentre sul piano processuale dispositivo, non dleva fa concreta giustificazione del rifiuto di conversione, -dovendosi far capo esclusivamente al comportamento tenuto, a prescindere dal �riscontro degli argomenti che lo sorreggono. Basta, cio�, per impedire la conversione, l'atto di volont� ostativo, sia esso fondato o meno (nel merito) applicandosi 11 principio dispositivo alla stregua del quale la scelta dell'azione spetta aJJ'attore; '1a conversione in tanto si giustifica in quanto si presuma, ma non certo con presunzione iurisae de iure, che la modificazione lo trovi consenziente giacch� nella maggioranza dei casi gli giova; il che non toglie che quale dominus della tutela dei suoi interessi (e sia pure attraverso un er.roneo apprezzamento della loro effettiva consistenza) fattore medesimo possa respingere la modificazione, contestando la presunzione su cui l'automatismo della conversione poggiava ed eventualmente tenendo in vita l'alternativa fra domanda risarcitoria (pi� vantaggiosa) e quella di opposizione a1la stima, subordinando la seconda alla prima. 3. -La possibilit� dell'attore di impedire che fa conversione dell'azione risarcitoria con una precisa manifestazione di volont� processuale, consacrata nelle conclusioni, venendo ad essere investito il decreto di espropriazione, la cui incontroversa operativit�, e la cui attitudine a spiegare effetti ablativi, sta alla base d~lla costruzione giurisprudenziale della conversione medesima, comporta che il manifest,arsi di Utle potest� non � espressione di una (asseritamente illegittima) esplicazione di ius novorum - - .��:: . ~ 109 PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE in grado di appello, ma vale appunto per quel che pretende di essere, quale manifestazione dell'intento deJJ'attore di tenere ferma la domanda originaria, nonostante la sopravvenienza di quel fatto, escludendo l'effetto di conversione che non richiede per operare il concorso di un atto di impulso processuale da parte sua, ma non pu� verificarsi iladdove esplicitamente vengano tenute ferme le origiJ!larie domande, escludendo che il discorso sul risarcimento danni resti assorbito e travolto da quello sulla determinazione del giusto indennizzo. N� la soluzione qui �accolta potrebbe trovare remora di specie nella circostanza che iJ!l un primo momento la Pucci ritenne di aderire a1la conversione della propria domanda in opposizione .alla stima, mutando subito dopo posizione quando, attraverso il meditato esame dei documenti esibiti dall'Amministrazione, si rese conto che era possibile sostenere in giudizio, con buoni margini di controvertibilit�, che il decreto di \:!Spropriazione era intervenuto in carenza di potere, per essere stato emesso quando era gi� scaduto il termine prefissato alla dichiarazione di p.u. non rinnovata. Ed, in effetti, se come si � costantemente affermato l'adesione dell'interessato non spiega alcuna rilevanza ai fini dell'automatica trasformazione dell'azione, che pu� essere impedita solo dal rifiuto espresso, si deve dare peso esclusivamente a questo ulteriore comportamento, verificandone la tempestivit�, certamente sussistente quando emerge dal tenore delle conclusioni defin1tive, da ricollegare alla domanda introduttiva di primo grado ed alla posizione di resistenza assunta nei confronti dell'impugnazione in appello (prima che il decreto di espropriazione, ed i correlati documenti, venissero esibiti). L'eventuale illegittimit� del decreto di espropriazione non impedisce l'o.perativit� del meccanismo di automatica conversione che, proprio perch� tale; spiega effetti in presenza delol'at�to, nel presupposto (implicito) della sua legittimit�; occorrendo all'uopo, l'eccezione processuale dell'espropriato che su quella illegittimit� fa leva per mantenere ferma la pretesa risarcitoria rifiutando di muoversi nel circoscritto ambito della adeguatezza dell'indennizzo. Si tratta, quindi di verificare se la deduzione riguardante la (pretesa) carenza di potere espropriativo della P.A. si � manifestata con strumenti formalmente idonei. Da questo punto di vista, il comportamento tuzioristico deJJa difesa Pucci che aval:la in un primo tempo quel che si sarebbe comunque verificato, non pu� assumere valore preclusivo; mentre � determinante la circostanza deMa formulazione dell'eccezione volta a sottolineare (e giustificare), re melius perpensa, H rifiuto dell'automatica CO'.Ilversione. L'azione risarcitoria resta tale, cos� come proposta .iJ!l citazione, perch� la contestazione della conversione si � verificata prima �che si chiudesse llO RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO la fase istruttoria del giudizio di secondo grado, con conseguenziale irrile vanza dell'iniziale adesione alla (automatica) conversione. L'impostazione del motivo non � pertanto da condividere. La domanda della Pucci non va qualificata come nuova (indebitamente sovrappostasi su quella convertita), ma � .rjmasta la stessa originaria, avendo avuto il comportamento processuale consacrato nelle conclusioni appunto l'effetto di impedirne ila conversione automatica. L'equazione condanna al risaricimento del danno-determinazione deHa giusta indennit�, non �, contrariamente a quel che afferma la difesa dell'A. N.A.S., una conseguenza inevHabile del sopravvenire del decreto di espropriazione nel corso del processo di risarcimento danni da occupazione illegittima, ma opera automaticamente solo quando )10n sia stato espresso dissenso da parte del proprietario del bene che conre consapevolmente iJ rischio di vedersi respingere la domanda Tisarcitoria, resitando ormai mtangibile la determinazione quantitativa della indennit�, insuscettibile di adeguamenti in sede di opposizione alla stima {ove tale richiesta non sia stata avanzata nemmeno in via subordinata: ed � appunto J'ipotesi di specie). Ma, a parte J'incongruit� di considerare � nuova � fa domanda formulata con J'atto di citazione in quanto kavolta dall'avvenuta conversione, la tesi delJ'Avvocatura de11o Stato non potrebbe essere condivisa nemmeno se fosse vero 11 principio delfa indiscriminata automaticit� della conversione (ridimensionato dalla giurisprudenza di questa Corte) stante il carattere derogatorio della deducibilit� e rifovabi:lit� del factum superveniens rappresentato dal decreto espropriativo. Se si ammette che detto fatto possa intervenire in qualsiasi momento dell'iter processuale, e quindi anche addirittura aill'udienza 'di discussione davanti a questa Corte �di Cassazione, deve riconoscersi che l'elemento di novit� nel thema decidendum � �rappresentato da1la [ntroduzione della nuova azione caratterizzata da petitum e causa petendi diversi, in deroga �a1 principio del doppio grado (con J:'avvertenz.a che :iii doppio grado non � previsto, ai sensi dell'art. 19 de:lla legge n. 865 del 1971 per il giudizio di opposizione alla stima da indennizzo calcolato alla stregua della legge medesima); e se � ammessa la modificazione de11'azione, per tragioni di evidente simmetria, e per la tutela del diritto di difesa, non potrebbe precludersi alla parte, che vede immutata la materia del contendere, il potere processuale di far valere le proprie eccezioni (significativamente nel motivo si venti1a I'ipotesi che la contestazione della J:egittimit� del decreto possa risolversi in una �eccezione� nuova) e quindi di dedurre gli eventuali v<izi del decreto, ed in primis la stessa carenza del potere di espropriazione. Ci� ha visto con chiarezza la difesa della espropriata che prelimtinarmente richiama i princ�pi che disciplinano l'attribuzione di tale potere correlato ad una dichiarazione di pubblica utHit� ancora efficace, e rileva da un PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE lato Ji;t �singolarit�� dell'assunto di novit� della domanda risarcitoria pur trattandosi di quella stessa domanda originariamente proposta sottolineando dall'altro che la conversione potrebbe tutt'al pi� comportarne J.a trasformazione in �eccezione circa la validit� del decreto, rispetto alfa quaJe la pretesa novit� non verrebbe in considerazione, perch� la soglia di rilevabilit� dell'eccezione medesima � rappresentata, appunto, dalla esibizione del decreto in giudizio. L'unico profilo di una qualche cont.rovertibilit� si riconnette, dunque, alla eventuale efficacia preclusiva della iniziale accetta2lione deila � conversione �; ma gi� si � avuto modo di escludere tale effetto, dato che, ce11tamente, il relativo :atteggiamento processuale non poteva significare rinuncia alla proposta azione aquiliana comportando soltanto :H riconoscimento che il sopravvenuto decreto di espropr.iazione � legittimo � faceva venir meno (giusta il saldo orientamento giurisprudenziale) la pretesa .risarcitoria, restando aperta J.a possibilit� di contesta2lione finch� era in corso la fase istruttoria del giudizio di appello nel quale venne esibito solo in un secondo momento il decreto ministeriale del 1968 di approvazione del progetto e di delima.tazione itemporale deHa correlativa dichiarazione di pubblica utilit�, daJ quale emergeva la possibMe .illegittimit� del provvedimento di espropriazione. N� a favore della. tesi della novit� deHa domanda potrebbe indicarsi, quale puntuale precedente, la decisione di questa Corte n. 362 del 1962, intervenuta in diversa fattispecie, rispetto :all:a quale ben a ragione erano stati invocati ed applicati i princ�pi di cui all'art. 345 cod. proc. civ. In quel caso, .invero, operando fuoni deM'rurea della �conversione � de11a domanda �risarcitoria in opposi2lione alla stima, �Si era dedotta iin primo grado la divergenza fra l'area indicata nel decreto di occupazione provvisoria e quella indicata nel decreto di espropriazione, sostenendo che per la parte coperta da entrambi i decreti findennit� sarebbe stata adeguata, mentre per quella residuale, contemplata nel solo decreto di espropriazione, H potere di espropriazione sarebbe stato inesistente mancando J.a dichiara:done di pubblica utilit� e formulando per questa parte soltanto richiesta risarcitoria; in grado di appello, .invece, si era sostenuto l'inesistenza del potere espropriativo per J':iintera superficie contemplata nel decreto, modificando sia H petitum (richiedendosi i danni per l'intera area indicata nel provvedimento ablativo), sia la causa petendi (poich� non si invocava pi� J.a mancanza di dichiarazione di p.u., ma la inefficacia di questa per mancata ti.ndicazione del termine finale). Vi era quindi, una chiara contrapposizione fra causa petendi e petitum dedotti in primo ed in secondo grado in una situazione di preesistenza del decreto e della sua notificazione a11'interessato rispetto al momento de1la iinstaurazione del giudizio. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO In conclusione sul punto: Ja tesi dell'Avvocatura, secondo cui il giudice d'appello non avrebbe potuto dichiarare la iHegiittimit� del decreto di espropriaz, ione, risultando improponibile la relativa eccezione per Ja sua novit�, deve essere disattesa poich� l'automatismo della conversione incontra wl Hmite dell'espresso rifiuto del prete~o espropriato, e non si verifica ogni qualvolta tale rifiuto sia stato espresso, indipendentemente <.hrlle ragioni di diritto sostanziale che lo sorreggono (generalmente, come nella specie, riconducibili alla contestazione del potere espropriativo de1la p.u.); e poich� il fatto sopravvenuto (emanazione del decreto di espropriazione) :P,a ingresso nel processo anche in grado di cassazione (e quindi a fortiori in appello), � consentito all'interessato esprimere fa volont� ostativa alla conversione anche nel corso del giudizio di secondo grado senza che ci� comporti modifica della domanda iniz,iale che, per effetto di tale manifestazione di volont� resta ferma; n� l'esericizio delJa potest� dispositiva circa l'azione introdotta nel giudizio, che paralizza I'aurtomatismo della conversione, resta precluso da un .iniziale riconoscimento, consacrato in un verbale di causa, disatteso, in un successivo verbale, conformemente al quale vengono precisate le conclusioni definitive, nella estrinsecazione del potere processuale di ottenere Ia pronuncia sulla originaria domanda risarcitoria (che si assume non travolta dall'illegittimo decreto di espropriazione). 4. -Pu�, quindi esaminarsi .il secondo mezzo, dedott~ in via subordinata, per l'eventualit� di mancato accoglimento del primo,�e che, come si � anticipato, sembra al Collegio giuridicamente fondato nel suo nucleo essenzia}e. Non sussistono divergenze fra -le parti reiativamente ai prindpi giuridici che vengono in considerazione, discutendosi soltanto dell'applicazione dei princ�pi medesimi alla situazione di specie. Come � noto, presupposto indefettibile del decreto di espropriazione � �l'esistenza di una preventiva dichiarazione di pubblica utilit�. In mancanza di tale dichiarazione va escluso il potere della p.a. di espropriare, ed il diritto di propriet� non si affievolisce, rientrando la relativa contestazione, che investe la (in}esistenza del potere medesimo nella competenza giurisdizionale del giudice ordinario. La dJchiarazione di pubblica utilit�, per essere efficacie, deve contenere la apposizione dei termini entro i quali le espropriazioni ed i lavori vanno compiuti (art. 13 della legge fondamentale sulle espropriazioni del 1865), in quanto una dichiarazione di p.u. senza termini porrebbe .la propriet� privata in una situazione di vincolo a tempo .indeterminato senza indennizzo (il che non � conforme aHa Costituzione ex art. 42 comma 3: cfr. sentenza 55 del 1968), sicch� anche rispetto a procedimenti semplificati di esproprio deve essere apposto, quanto meno, il termine finale a�la dichiarazione di p.u., il cui scadere comporta la inefficacia dell'espropriazione, alla quale non pu� procedersi PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE se non m forza di una nuova dichiarazione di p.u., a meno che J termini stessi non siano stati prorogati. La prefissione dei termini per l'inizio ed ii 1compimento dei lavori, richiesta dall'art. 13 della legge 25 giugno 1865 n. 2359 integra, secondo la giuPisprudenza univoca di questa Corte, un requisito di validit� della dichiarazione di pubblica utilit�, la cui mancanza rende l'atto inidoneo a far nascere, in capo alla p,a., il potere espropriativo. L'esigenza della suddetta prefissione sussiste anche nel caso di dichiamzione di p.u. implicita, per volont� di legge, in altro provvedimento avente una propria funzione tipica diversa, quale l'atto di approvazione del progetto dell'opera medesima (Cass. S.U. 3552/76). Nella specie, appunto, ai sensi dell'art. 34 della legge n. 59 del 1961, all'approvazione dei progetti dei lavori sono attribuiti gli effetti della dichiarazione di p.u. Ed 1nfatti, il decreto del Ministro dei Lavori pubblici 15 gennaio 1968, nelJ'approvare il progetto della st:riada di cui trattasi, dispose che i lavori e le espropriazioni dovessero essere ultimati, rispettivamente, entro 45 mesi ed entro quattro anm dalla sua data. Qualora nel termine fissato a norma dell'art. 13 della legge 25 giugno 1865 n. 2359, non sia stato emesso il decreto di espropTiazione, ol'.avvenuta esecuzione delJ'opera pubblica non �impedisce la decadenza dalla dichiarazione di pubblica utilit�; e pertanto, anche in questa 1ipotesi, scaduto il termine Ia propriet� riacquista pienezza di diritto soggettivo, �tutelabile dinanzi al giudice ordinario con azione di risarcimento del danno, pur dopo l'eventuale itardiva pronunci:a del decreto di espropriazione, distinguendo l'ipotesi di carenza di potere per decor-so del .termine da quella di iliegittimo esercizio del potere di proroga (Cass. 722/77 e 6171/79). Pertanto, nel giudizio per Ja liquidazione dei danni, derivanti dall'illegittima protrazione dell'occupazione di un immobile e dall'esecuzione del- 1.'opera pubblica, ~l giudice deve tener conto della sopravvenuta emanazione del decreto di esproprio e procedere alla liquidazione del complessivo credito dell'espropriato, concretantesi nelle indennit� per l'occupazione legittima e per l'espropriazione nonch� nel risarcimento del danno per l'occupazione illegittima, quando dell'espropriato medesimo si alleghi l'invalidit� del decreto di espropriazione per il'illegittirno esercizio del potere di proroga del termine fissato nella dichiarazione di pubblica utilit� per procedere all'espropriazione (Cass. 1480/78). La decadenza della dichiarazione di pubblica utilit� per decorso dei termini fissati, ai sensi dell'art. 13 della legge 25 giugno 1865 n. 2359, comportante I'illegittimit� del decreto di espropri.azione successivamente emanato (e la denunciabilit� di essa davanti al giu~ice ordinario, per aver riacquistato 1a posizione dell'espropriato la consistenza di diritto soggettivo) non consegue peraltro all'oinutile decorso del termine previsto per H compimento della espropriazione, ma .alla scadenza di quello successivo 114 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO fissato per il compimento dell'opera, \I'estando integro, prima di tale scadenza, il potere espropriativo dell'amministrazione (sent. n. 2774 del 1978). 5. -Alla stregua dei richiamati orientamenti della giurisprudenza pu� procedersi .alla valutazione della situazione di specie. I dati di fatto sono lineari. Al momento in cui il Prefetto ha emesso il decreto di espropriazione, ,iJ 30 maggio 1976, il decreto del Ministro dei Lavori pubblici del 1968 che approvava hl progetto del 20 settembre 1967, agli �effetti della dichiarazione di pubblica util:it�, e fissava i termini per le espropriazioni, e l'esecuzione dei lavori, non poteva valere a giustificare l'esercizio del potere espropriativo perch� i suddetti termini erano entrambi scaduti. Ed infatti, l'A.N.A.S., non si richiama pi�, per fondare la legit� timit� della proceduTa ablativa, a tale decreto, ma ad una nuova manifestazione di volont� del competente organo della pubblica amministrazione, consacrata nel decreto del Ministero dei Lavori pubblici in daita 11 febbraio 1976 con cui i lavori venivano dichiarati indifferibili, e si fissava un nuovo termine (essendo scaduti quelli gi� presitabiiliti che occorreva �rideterminare�) di anni tre per ~e espropriazioni (cui avrebbe dovu-fil to corrJspondere in linea logica un termine quanto meno corrispondente I per la esecuzione dei Iavori). Il punto in discussione attiene alla interpre tazione di questo decreto ed aHa possibilit� di intenderlo nel senso I della rinnovata dichiarazione 'di pubblica utiHt�, collegata alla triapprova I zione del progetto, implicante~ determinazione di un termine di durata ff: della dichiarazione medesima, corrispondente allo spazio di rtempo pre i m visto per la esecuzione dei lavori. La Corte d'AppeHo di Catanzaro lo ha esoluso, rilevando che 1il suddetto decreto, nel fissare un nuovo ,termine per Je espropriazioni, non conteneva la dichiarazione di pubblica utilit�, f.: t.~ da riannodare alla (ri)appro~azione del progetto, non Tisoontrandosi alcun f: f: elemento per ritenere che l'AmministTazione avesse posto in essere H sub !~ procedimento di approvazione riesaminando li presupposti della pubblica ~ utHit� dell'opera stante la persistenza dei motivi di pubblico interesse, non � potendosi valorizzare in tal senso la dichiarazione cli urgenza ed lindifferi- I bilit� dei lavori (che in punto di fatto �erano stati, peraltro, portati a com pimento, tanto che dalla loro effettuazione demvava l'impossibii1it� di resti tuzione del bene occupato, nonostante l'occupazione, non seguita tempesti I vamente da provvedimento ablatorio, fosse divenuta dllegittima, persi- I stendo certamente tale iMegi.ttimit� fino al sopravvenire di un valido ed efficace decreto espropriativo non impedito dalla predetta situazione di I illegittimit�, secondo i.I costante orientamento defila giurisprudenza di 1 ' ~ questa Corte, poggiato sul rilievo che la costruzione dell'opera non com-f porta di per s� il trasferimento della propriet� del:l'area su cui l'opera l medesima dnsiste alla P.A., trasferimento che si verifica soltanto quando, ~ e solo dal momento in cui, all'espropriazione si faccia luogo). I I i I i I I - PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE L'interpretazione effettuata dalla Corte del merito sembra alla difesa dell'A.N.A.S. censurabile sul piano della non congrua applicazione delle �norme che disciplinano l'interpretazione degli atti. di amministrazione e su que1lo dell'adeguatezza della motivazione. La difesa della Pucci fa perno, i.nvece, sull'insindacabilit� in cassazione degli apprezzamenti di meTito e sostiene che, comunque, anche se potesse procedersi al nuovo apprezzamento interpretativo le conclusioni dovrebbero restare ferme soprattutto perch� non risultano gli adempimenti che devono precedere, con il concorso degli organi tecnici dell'amministrazione, l'approvazione del progetto, ma non controbatte, significativamente, le argomentazioni svolte nel motivo per denunciare le violazioni di fogge �,abilmente � dedotte dalla difesa Stato. Attesa J'impostazione del motivo la 1tesi della incensurabilit� non appa re risolutiva, dovendosi ver.ificare il processo interpretativo svoJto, nella scelta dei parametri adottati e nella congruenza delle argomentazioni che sostengono la raggiunta soluzione. � appena il caso di ricordare che, per univoco indirizzo giurispruden ziale, l'interpretazione dei provvedimenti amministrativi soggiace alle medesime regole, in quanto applicabili, valevoli in tema di ermeneutica contrattuale, sicch� il principio generale dell'insindacabilit� in cassazione del .risultato interpretativo raggiunto (in quanto tale), soffre deroga ogni qualvolta a detto risultato si pervenga violando i canoni dettati dal codice civile per la interpretazione dei contratti, ovvero attraverso una motiva zione viziata per inadeguatezza od illogicit� (giur. costante: cfr. esempli ficativamente Gass. 5319/78). Ed il giudice, nell'accertare il contenuto precettivo di un atto dell'am ministrazione pubblica, non si sovrappone aH'amministrazione medesima, e perci� non supera i limiti della propria giurisdizione, ma assicura, al cont.rario, che ratto spieghi i suoi effetti secondo ila� portata che ad esso deve essere riconosciuta in base alJe regole generali di interpretazione dei negozi, applicabi,1i anche per l'interpretazione degli atti ammirnstrativi, pur dovendosi, per questi, aver riguardo alla loro essenza e funzioni tipiche (Cass. 965/79, 3733/74, 903/73). Nel caso di specie l'attacco alla motivazione del giudice viene mosso su quattro distinti livelli. Si afferma al riguavdo: a) che il giudice del merito avrebbe dovuto indagare sull'intenzione dell'autore dell'atto, indi viduando n potere esercitato, dando alle espressioni del provvedimento, alla stregua del pdncipio della legittimit� dell'atto amministrativo, �il senso pi� conforme alla legge; b) che l'atto non era stato interpretato globalmen te.nel suo complesso; e) che non si era tenuto conto del comportamento successivo concretatosi nell'emanazione del decreto di espropriazione; d) che, infine, non si era valutata l'esigenza di conservazione dell'atto. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 116 Nella discussione orale la difesa dell'A.N.A.S. ha particolarmente insistito sull'aspetto della conservazione dell'atto e sulfa idoneit� del medesimo a spiegare un qualche effetto giuridico, giustificando le imprecisioni formaH dell'atto medesimo sul 1rilievo che, essendo stata l'opera gi� eseguita secondo il progetto a suo tempo approvato, poteva essere sembrato superfluo, s�e non addirittura contraddittorio, riapprovare quell'opera a fissare i termini .della sua esecuzione; mentre fa Jinea di coerenza del provvedimento, rispetto alla situazione che si voleva disciplinare, stav�a appunto nella sottolineatura della persistente utilit�, evidente in re ipsa, rispondendo concretamente la strada rettificata alla finalit� di assicurare sicura e agevole circolazione, sicch� l'espropr.iazione, meramente ratificatrice del fatto compiuto, in tanto aveva ragione di essere legittimata in quanto, per impJicito necessario, s�i correlava ad una esigenza di pubblica utilit� che, prima ancora di essere formalizzata nel provvedimento amministrativo si era inverata nei fatti in maniera assolutamente adeguata al progetto. In concreto, applicando i suddetti criteri ermeneutici, il decreto ministeriale del 1976 sarebbe apparso per quello che era, come riapprovazione (per fatti concludenti) del progetto del 20 settembre 1967 per i lavori di sistemazione della S.S. n. 481 per Ja cui attuazione �erano gi� stati occupati i terreni dell'appellata ed addirittura gi� eseguite le opere, e quindi come atto implicitamente ma sicuramente comportante la rinnovata dichiarazione di pubblica utilit� dell'opera progettata nell'ambito spaziale del triennio fissato per il compimento delle espropriazioni Era, infatti, evidente, nel cohlegamento fra dispositivo e motivazione dell'atto amministrativo rintenzione dell'autore dell'atto di procedere alla riapprovazione del progetto e quindi di <riconoscere la pubblica utilit� dell'opera progettata. Significativamente a1 riguardo si richiamava nel provvedimento la legge 7 febbraio 1961 n. 59, il cui art. 34 riconnette alla approvazione dei progetti I'efficacia della dichiarazione di pubbliica utilit� dell'opera. IJ decreto ministeriale, ove non Ticonduoibile allo schema della riapprovazione del progetto, con conseguente dichiarazione di p.u., sarebbe risultato completamente inutile, mentre !'�espressa volont� di perifezionare iii procedimento ablatorio, fissando un termine per l'atto finale di espropriazione, non altro poteva significare se non Ja ricapitolazione e riaffermazione degli :atti st�rumenta:lmente preordiinati ad essa, per riportare il comportamento della P.A. nell'alveo del legittimo esercizio dei suoi poteri, dopo la inutile scadenza dei termin:i originali, attraverso la riaffermazione della pubblica utilit� dell'opera {eseguita). Ed invero, se si ammette, con la giur.isprudenza di questa Corte, che il -compimento dell'opera non impedisce la sanatoria ex post di quanto compiuto, il nuovo procedimento, e gli atti che Ji concretano, non possono - PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 117 essere intesi se non con riferimento alla 1reale situazione di fatto ed alla intenzione dell'amministrazione di operare una sanatoria e vanno interpretati alfa stregua di tale elemento finalistico. Invece la Corte del merito, a parte Ja denunciata violazione dei criteri di ermeneutica, si era limitata nella motivazione, ad una affermazione apodiittica, senza riJ.evare che al progetto si faceva comunque (esplicito) rJferimento e che la prefissazione di un termine per il completamento delJ.e espropriazioni relative ad una determinata opera presupponeva necessariamente la volont� di dichiarazione delila sua pubblica utilit� (soprattutto nel contesto fattuale nel quale i due provvedimenti -decreto ministeriale e decreto prefettizio espropriativo -si venivano a collocare). 5. -Sembra al Collegio che le critiche mosse alfa sentenza Sll!l punto dell'interpretazione del decreto ministeriale del 1976, da correlare necessariamente a quello precedente. del 1968, colgano nel segno, apparendo particolarmente significativa la completa pretermissione di ogni esegesi conservativa, che si imponeva una volta constatato che fa .lettura dell'atto compiuta dalla Corte del merito lo rendeva assolutamente privo di effetti. Ed in questo convincimento la Sezione � confortata da un recentissimo precedente della S.U. (sentenza n. 5904/80) nel quale si valorizza il criterio della conservazione dell'atto per avaHare un risuJtato interpretativo antitetico a quello qui considerato, in una situazione di fatto che presente notevoli punti di contatto, vertendosi in tema di epropriazioni autostradali (e cio� proprio daHa sentenza che la difesa dell'espropriata ha �richiamato nella parte in cui ribadisce il principio dell'incensurabilit� di massima dell'interpretazione degli atti amministrativi, trascurando che nella specie le S.U. hanno avaHato la correttezza del procedimento interpretativo incentrato suH'applicazione del principio di conservazione, che 1aveva portato in quella fattispecie il giudice di merito a postulare la sussistenza del potere espropriativo fondato su dichiarazione di pubblica utilit�, integrando la insufficiente dizione del decreto). Ed � questa possibilit� di interpretazione integrativa finalistica che rappresenta il� nodo esegetico erironeamente trascurato dalla impugnata sentenza e di cui dovranno fondamentalmente darsi carico i giudki di rinvio nell'affrontare ex novo il problema della interpretazione del decreto ministeriale dell'll febbraio 1976, sulla falsariga delle puntuali notazioni della difesa deM'amministrazione. Hanno ritenuto le S.U., nella .richiamata decisione, che al fine di stabilire se il provvedimento di espropriazione sia stato o non adottato in carenza del �relativo potere, i:n relazione all'ineffiicacia o meno della dichiarazione di pubblica utilit�, per scadenza del termine previsto per il'espletamento della procedura espropriativa e per l'esecuzione dei favori, il giudice del merito, a fronte di un decreto ministeriale che proroghi H RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 118 predetto termine con espresso riferimento solo alle operazioni di esproprio, pu� ritenere, in applicazione dei principi generali di ermeneutica, e, in particolare, del principio della conservazione degli atti giuridici, che il decreto stesso vada inteso implicitamente riferito anche al termine per ,l'esecuzione dei favori, e sia quindi idoneo a prorogare l'efficacia della dichiaiiazione di pubblica utilit�, tenuto conto che l'espropriazione precede normalmente l'inizio dei lavori, e che il. termine per questi ultimi non pu� essere mai 'inferiore a quello concesso per la prima. � dunque possibile, olt:r~e la lettera del provvedimento (e piattamente sul piano della fetteralit� si sono mossi i giudici calabresi), integrare il dispositivo del provvedimento amministrativo da interpretare, per coglierne 1a 1ntrinseca portata adottando i criteri della globalit� e soprattutto, da quello della conservazione ed avendo ~riiguardo alla situazione di fatto su cui tale decreto veniva ad incidere. Attesi i limiti del giudizio di legittimit�, ovviamente la ricostruzione interpretativa non spetta al Collegio ma resta esclusivamente demandata ai poteri di accertamento del giudice di rinvio che dovr� avvalersi di tutti i canoni normativi all'uopo dettati dalla �legge, e specificamente di quello della conservazione ex art. 1367 cod. civ. il quale non pu� essere trascurato quando, in aderenza agli altri criteri, che si impongono alla attenzione del giudice con propriet� logico giuridica, il risulrt:ato ermeneutico raggiunto appaia assolutamente inadeguato poich� 11enderebbe del tutto inutile l'emanazione del provvedimento in esame. Anche il Consiglio di Stato, come ,ricorda in motivazione la decisione n. 5904 del 1980 cit. -ha, del resto, avuto modo di sottolineare che l'atto amministrativo va interpretato alla stregua del significato desumibile della connessione delle sue parti costitutive, e degli elementi, anche extratestuali, posti in evidenza dal procedimento, in modo che possa essere conservato, e spiegare effetti, qualora i motivi su cui si fonda corrispondano ad un interesse pubblico (e sul piano, appunto, dell'-extratestualit� assume rilievo, nella specie, l'avv�enuta esecuzione delle opere di terrifica del.fa strada statale, utilizzando suoli di propriet� della Pucci). � consapevole i:1 Collegio che la situazione di specie non � puntualmente riconducibile a quella che sta alla base dell:a richiamata sentenza n. 5904/80 (che riguarda da un lato la proroga dei termrini e non la loro rideterminazione ex novo; e che � intervenuta dn positivo, ratificando il procedimento interpretativo seguito dal giudice di merito, mentre qui si tratta di rimettere la causa a:d altro giudice che rimi.ovi il processo interpretativo, nel quale acquista rilievo, a monte della prefissione dei termini, l'approvazione dell'opera). Tale sentenza appare peraltro esemplare non perch� ricalca una identica situazione di specie (� appena il caso di ribadire l'irripetibilit� di PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE ogni procedimento inte.rpretart:ivo ohe abbia per oggetto uno specifico atto amministrativo), ma perch� sottolinea l'imprescindibile ricorso al canone interpretativo della conservazione ammettendo l'integra:TA.one anche rispetto ad elementi fondamentald dell'atto da interpretare. A:lla luce di queste considerazioni di fondo che comportano Ja astratta possibilit� di una soluzione positiva del problema interpretativo che la Corte ha invece ritenuto erroneamente preolusa a priori, ed indicando una fondamentale chiave di lettura nell'art. 1367 cod. civ., totalmente pretermesso dalla sentenza impugnata, l'articolazione del motivo, cui si � appena dato rilievo assai ampio, segna chiaramente l'iter della impostazione che dovr� essere seguita in sede di rinvio, tenendo conto del parallelismo che � dato riscontrare nelle premesse vuoi del provvedimento del 1968, vuoi di quello del 1976 (in entrambe sii mchiama la legge n. 59 e con le stesse parole si fa cenno �l progetto del 1967, e si considera l'urgenza e la indifferibilit� dei lavori sottolineando le numerose deficienze ovviamente destinate ad accrescersi con �il passare del tempo, che presentava nel tratto in questione la strada statale n. 481). N� potr� essere trascurata la circostanza che si giustificava l'emana:lA.one del nuovo decreto con la intervenuta scadenza dei termini per il compimento delle opere che occorreva determinare ex novo dato che la rifissazione dei suddetti termini ha senso e signicato, riferita ad ui:i'opera come quella di specie gi� eseguita, solo in quanto postula necessariamente il riconoscimento della persistente esigenza di ovv.iare alla mchiamata deficienza de11a stmda, in relazione alla quale era stato redatto un progetto la cui attualit� veniva ribadita nel dare atto che occorreva provvedere a nuovi termini (e non alla revisione del progetto, da ritenersi quindi sufficientemente adeguato), nel presupposto implicito che La fissazione di termini si rendesse necessaria rper delimitare l'ambito temporale del potere espropriativo correlato alla dichiarazione di pubblica utilit� postulata dalla persistente rispondenza del progetto stesso al miglioramento della viabilit� nel tratto di strada considerato. La lettura globale del decreto del 1976 (nel raffronto con quello del 1968 e nella constatazione che la pubblica utilit� dell'opera si era gi� inverata nei fatti, consentendosi una pi� agevole e sicura circolazione n�! tratto di strada rettificato) potrebbe ragionevolmente portare, in aderenza puntuale ai canoni ermeneutici, alla integrazione del dispositivo; secondo il modulo dell'implicito necessario, proiettando nel decisum le ragioni che indussero l'amministrazione a provvedere sia pure senza tradurre iil proprio manifesto intento in formu:le verbali espressamente idonee a significare la precettivit� intrinseca del provvedimento. Indubbiamente sono stati utilizzati. modelH e schemi provvedimentali, formalmente inadeguati allo scopo che si voleva raggiungere: ma poich� detto scopo campeggia �con assoluta evidenza e si correla alla 120 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO indubbia realt� effettuale, vi � un ampio spazio per un procedimento ermeneutico che intenda l'atto oltre la lettera del suo d!isposto. Comunque, ed � questa notazione sufficiente per disporre ~a oassazione della sentenza, l'avere trascurato il giudice del menito questi elementi, di fronte ad un risultato interpretativo che svuotav1a di ogni :incidenza il provvedimento ministeriale, comporta, ne1la rilevazione dell'errore compiuto non utilizzando il canone dell'interpretazione conservatrice, che al suddetto esame delle precedenti si provveda in sede di rinvio. Il disegno ricostruttivo che la difesa dell' ANAS delinea ne[ motivo ha qumdi una sua intrinseca pregnanza e razionalit� presentandosi 'in sintonia con le norme interpretative la cui viola2lione addebitata alla Corte d'appello, appare indiscutibile, quantomeno rispetto all'art. 1367 e.e.. Potrebbe quindi ritenersi nel caso di specie che il termine finale, formalmente limitato alla espropriazione, venga a riguarrlare anche la esecuzione dei lavori (pur in presenza di un opus gi� perfectum) quale espediente per innestare il meccanismo della (perdurante) pubbilica utilit� dell'opera medesima, presupposto necessario per la leg:ittima emanazione del decl'eto di espropriazione. E quindi non appare logicamente insostenibile che un certo decreto ministeriale, letto nel suo contesto globale, e calato neHa realt� della situazione di fatto tin ordine alla quale si intendeva provvedere, possa essere integrato potius ut valeas quam pereat, nonostante l'espresso riferimento limitato al termine per la espropriazione, manifestando inequivocalmente la volont� delJa P.A. di portare innanzi il procedimento di :ratifica di qU1anto operato nella prospettiva di una indubbia utilit� pubblica dell'opera (risultante inequivocabilmente daill'avvenuta realizzazione), ratificandone la persistenm e consentendo il coronamento dell'iter procedimentale a segu:ito della (resa possibile) emanazione di un valido ed efficace decreto espropriativo. SEZIONE SESTA GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 8 gennaio 1981, n. 137 -Pres. Granata Est. Battimelli -P. M. Ferraiolo (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Rossi) c. Valla (avv. Burlando). Tributi (iin genere) -Contenzioso tributario -Giudizio di terzo grado Estensione -Questione sulla natura agricola o edificatoria dei suoli Indeducibilit�. (d.P.R. 26 gennaio 1972, n. 635, artt. 26 e 40). La questione sulla natura agricola o edificatoria di un terreno (al fine della valutazione c.d. automatica), ove non involga questioni sulla validit� o l'interpretazione di norme edilizie o urbanistiche � una questione di mero fatto connessa alla estimazione semplice come tale sottratta alla cognizione della Commissione Centrale (1). (omissis) Ai fini dell'esame sulla fondatezza del ricorso va premesso che dagli atti risulta pacifico che, all'epoca del trasferimento dei terreni, non esisteva alcun piano regolatore n� alcuna disdplillla legislativa urbanistica relativa ai terreni suddetti; conseguentemente, i problemi di stima del valore dei suoli non involgevano affatto soluzioni di questioni di diritto, ma unicamente questioni di stima pura e sempl.ice. Ne consegue che ..U primo motivo di ricorso � fondato, essendo tassativamente esclusa, dalla competenza della Commissione Centrale, cos� prima che dopo la riforma del contenzioso tributario di cui al D.P.R. n. 636 del 1972, ogni questione di semplice estimazione. ~1) Assai importante cambiamento d'indirizzo rispetto alla sent. 25 febbraio 1980, n. 1307, in questa Rassegna, 1981, I, ,109, con nota di C. BAFILE. Da sottolineare il ritorno alla individuazione dell'area del giudizio di terzo grado con il concetto dell'estimazione, su di che v., di recente, 4 marzo 1981, n. 1240, retro, 813, nonch� 21 maggio 1981, n. 3329, in questo fascicolo pag. 140. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La Commissione Centrale, con la decisione impugnata, invero, ha implicitamente riconosciuto la propria incompetenza in materia .di estimazione semplice (e d'altronde, come giustamente pone in rilievo l'amministrazione ricorrente, ogni discussione in merito alla qualificazione dell'oggetto della controversia come di estimazione semplice o di estimazione complessa era ormai preclusa dal giudioato interno formatosi dopo che la Commissione provinciale, sezione di diritto, adita dai contributi contemporaneamente alla Commissione di valutazione di prim_o grado, aveva escluso la propria competenza, affermando trattarsi di questione di. estimazione semplice, e tale pronunzia, non impugnata, costituiva giudicato foa le parti); peraltro, la Commissione Centrale ha ritenuto di poter eludere il problema, affermando di essere comunque competente, in base ail1a riforma del contenzioso tributario, a decidere q_uestioni di fatto, e, di conseguenza, a risolvere il problema di futto costituito dall'accertamento della pres~nza, in loco, di determinate caratteristiche dei suoli tali da farne riconoscere quanto meno la potenzialit� ad uno sfruttamento edificatorio. L'errore di tale proposizione, peraltro, consiste �nel non aver tenuto presente che, seppure quelle risolte erano questioni di fatto, si trattava, in sostanza, non delle questioni di fatto attribuite �alla competenza di essa Commissione Centrale dall'art. 32 del decreto n. 636, ossiia di questioni direttamente influenti sull'accertamento della fondatezza o m~no della pretesa tributaria, bens� di questioni di fatto attinenti alla qualificazione di un suolo come edificatorio o agricolo: ossia di questioni di fatto strumentali, comunque, alla soluzione di un problema di semplice estimazione e come tali, quindi, sottratte, proprio in forza della citata norma, alla competenza di essa Commissione. La quale, pertanto, non poteva n� doveva risolvere, in concreto, il problema gi� risolto nelle precedenti fasi di giudizio, ma, in materia di estimazione �semplice, doveva limitare il proprio sindacato alle sole questioni di legittimit�, o di difetto di motivazione, eventualmente sollevate nel ricorso ad essa Com.missione Centrale proposto, rigettando il ricorso ove motivi di impugnazione del genere non fossero stati proposti o risultassero infondati, ed accogliendoli, invece, ove riconoscesse sussistenti difetti di motivazione, o violazione idi legge, ne11a decisione di secondo grado; mai, �invece, avrebbe potuto sovrapporre una propria diversa valutazione della situazione di fatto a quella contenuta nella decisione impugnata, risolvendo direttamente una questione di semplice estimazione, quale era quella di accertare la natura agricola o edificatoria di un suolo non in funzione della soluzione di problemi attinenti a vincoli o destinazioni urbanistiche, bens� unicamente in funzione delle caratteristiche oggettive dei terreni stessi e del!la zona cirnos1Jante. (omissis) ' 1 I i i l ! i I 123 PARTE I. SEZ. VI. GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA CORTE DI CASSAZIONE, Sez, I, 12 febbraio 1981, n. 857 -Pres. Vigorita � Est. Caturani -P. M. Catalani (conf.). Sold� (avv. Guerra) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato D'Amato). Tributi erariali diretti -Imposte fondiarie -Imposte sui redditi agrari . Allevamento di cavalli da corsa -Non � ricompresa. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 65). Non � da ricomprendere nella nozione di reddito agrario, e va quindi consider�ta come attivit� di impresa, l'allevamento di cavalli da corsa (1). (omissis) Con 11 secondo motivo, denunziandosi violazione e falsa applicazione dell'art. 65 del T.U. sulle imposte dirette 29 gennaio 1958 n. 645 nonch� difetto di motivazione, si sostiene che la Commissione Centrale avrebbe errato nel qualificare il reddito del ricorrente come reddito di ricchezza mobile di oat. B (reddito industriale), ri.nvece che come reddito agrarrfo, sul presupposto indimostrato che nella specie ricorresse un a:Nevamento di cavalli da corsa. La censura non pu� essere accolta. La Commissione Centrale si � posto il problema consistente nel decidere se l'allevamento dei cavalli in questione rientri o meno nell'esercizio normale dell'agricoltura secondo la tecnica che la _governa�, giusta il disposto dell'art. 65 del T.U. e lo ha risolto negativamente, considerando che la gestione di un allevamento della proporzione di quella in esame, particolarmente in vista dcl1a destinazione degli equini, �che non � legata al conseguimento dei fini agricoli, non pu� rientrare nel concetto di reddito agrario e non pu� andare quindi esente dai11'1imposta di R.M., in base all'invocato art. 65. Tale convincimento -secondo cui il ricorrente ha svolto una attivit� economica rivolta all'allevamento di cavalli trottatori -� stato confortato dai seguenti rilievi: a) il Sold� negli allegati alla dichiarazione dei redditi, nell'elencare le imposte detraibili, ha detratto dail. proprio reddito le imposte di R.M. pagate dalla Scuderia Adige; b) il contribuente ha percepito i premi liquidati dall'U.N.I.R.E., i quali non costituiscono dei contributi per l'incremento generico dell'allevamento equino, ma liquida (1) V. in termini Cass. 20 maggio 1969, n. 1755, in questa Rassegna, 1969, I 711. Per altre ipotesi di attivit� al limite tra impresa agricola e impresa com� merciaie cfr. 14 dicembre 1979, n. 6520, ivi, 1980, I, 603 (per la coltivazione dei funghi); 16 aprile 1973, n. 1075, ivi, 1974, I, 715 (per gli ostovivaisti). 124 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I Izione della quota parte dei premi vinti dai cavalli nelle corse, di spettanza dell'allevatore, anche se non proprietario del Cavallo �al momento della corsa. E poich� � pacifico che l'attivit� diretta all'allevamento di cavalli da corsa non pu� essere compresa nell'esercizio normale dell'impresa agricola e pertanto non pu� considerarsi atta a produrre un reddito di natura agraria, ma va compresa nel quadro economico delle attivit� industriali e commerciali, produttive di redditi di ricchezza mobile di categoria b) (Cass. 20 maggio 1969 n. 1755), non merita alcuna censura la decisione impugnata che nella soluzione del caso di specie con motivazione ineccepibile si � attenuta a!?J]i accennati criteri. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 16 febbraio 1981, n. 939 -Pres. Falcone Est. Caturani -P. M. Palladino (diff.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota) c. Vaglio. Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Accertamento di valore Termine -Registrazione a imposta fissa -Successiva abrogazione con effetto retroattivo della agevolazione -Decorrenza dal pagamento dell'imposta proporzionale. (R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 7; d.l., 7 agosto 1936, n. 1639, art. 21). Qualora un atto sia stato registrato ad imposta fissa in base alla legge del tempo e venga successivamente sottoposto ad imposta proporzionale non in via di supplemento ma in conseguenza della abrogazione con effetto retroattivo della norma di agevolazione, il termine di decadenza dello accertamento decorre non gi� dal pagamento in sede di registrazione dell'imposta fissa, ma dal pagamento dell'imposta proporzionale (1). (omissis) Con l'unico motivo del suo ricorso l'Amministrazione delle finanze, denunziando violazione e falsa applicazione dell'art. 21 D.L. 7 agosto 1936 n. 1639 e dell'art. 7 r.d. 30 dicembre 1923 n. 3269, sostiene che il termine perentorio, previsto dall'art. 21 della citata legge, di un anno daJ pagamento dell'imposta di registro per la notifica al contribuente dell'accertamento di valore decorreva, nella specie, non gi� dal pagamento dell'imposta fissa eseguito dall'atto della registrazione, ma dal successivo pagamento della imposta proporzionale a seguito della (1) Risoluzione corretta di un caso assai singolare. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA sopravvenuta abrogazione con effetto retroattivo della legge che aveva consentito l'applicazione della imposta fissa. La censura � fondata. La sentenza impugnata ha affermato che il princ1p10 -gi� accolto da questa Corte (sent. 17 gennaio 1966 n. 238, 13 febbraio 1969 n. 488 15 marzo 1972 n. 749; 25 ottobre 1972 n. 3216) -secondo cui il termine annuale di decadenza, per l'accertamento da parte dell'Amministrazione finanziaria del maggiore valore dei beni sottoposti ad imposta di registro, di cui all'art. 34 del R.D. 30 dicembre 1923 n. 3269, sostituito dall'art. 21 del r.d. 7 .agosto 1936 n. 1639, decorre dalla data del pagamento della imposta principale e non da quella del pagamento di una eventuale, suc� cessiva imposta suppletiva di registro, sarebbe applicabile anche nel caso -oggetto del presente giudizio -in cui un atto registrato con la sola percezione dell'imposta fissa sia successivamente sottoposto ad imposta proporzionale di registro in dipendenza non gi� di un iniziale errore dell'Ufficio, ma della sopravvenuta inapplicabilit� dell'imposta fissa a seguito della sucessiva abrogazione con effetto retroattivo delle norme di legge che avevano concretato uno dei presupposti richiesti all'epoca per l'applicazione di quella imposta. La tesi non pu� essere condivisa dal Collegio. La Corte del merito � pervenuta alla soluzione accennata in base ad un duplice ordine di 'considerazioni: a) l'imposta proporzionale non � l'imposta principale �cui l'atto � soggetto ma esplica una funzione integrativa rispetto alla prima tassazione a cui la registrazione ha dato luogo; b) l'art. 7 della abrogata legge di registro del 1923 attribuisce in via del tutto eccezionale il carattere di imposta principale anche all'imposta applicata tardivamente su di un atto registrato, soltanto nel caso in cui questa venga pretesa su di un atto gi� registrato per errore gratuitamente. Pu� subito osservarsi, invertendo l'ordine delle suddette argomentazioni che l'art. 7 citato non reca alcun contributo ailla tesi accolta dalla impugnata sentenza, giacch� esso prevede una fattispecie in cui, essendo immutata la disciplina giuridica del rapporto tributario, si � ritenuto opportuno far salvo alla Amministrazione il potere di procedere allo accertame~to di maggior valore nonostante l'errore dell'Ufficio circa la presunta gratuit� dell'atto. Nel caso in esame invece trattasi di risolvere un problema di successione di leggi nel tempo e la relativa soluzione pu� essere agevolata considerando che nello stesso sistema della legge la coincidenza tra registrazione dell'attore e decorrenza del termine per l'aocertamento di valore ex art. 21 del d.l. 7 agosto 1936 n. 1639 non � assoluta e non si verifica allorch� non essendoci stato -sia pure per errore dell'Ufficio -un pagamento dell'imposta all'atto della registrazione, non poteva ovviamente RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO � decorrere il termine perentorio in questione ai fini del giudizio di congruit� dei valori imponibili dalla legge devoluto al:l'Amministrazione finanziaria. Ma la Corte di appello � caduta in errore anche in base all'argomentazione sub a) non avendo posto mente al fatto che l'abrogazione con efficacia retroattiva della legge che aveva consentito la soggezione dell'atto all'imposta fissa di registro pagata al momento della sua registrazione, aveva nella specie eliminato dal mondo giuridico la originaria pretesa dell'Amministrazione, alla quale si era sostituita ope legis la pretesa attinente ~l pagamento dell'imposta proporzionale di registro, cui esclusivamente l'atto doveva ritenersi soggetto. Vero � che la legge (art. 7 dell'abrogata legge di registro) qualifica -sia pure implicitamente -come imposta principale l'imposta richiesta al momento della registrazione dell'atto, ma ci� � strettamente connesso al principio (art. 91 della stessa legge) secondo cui �per gli atti tra vivi il pagamento della tassa deve essere contemporaneo alla registrazione e risultare da questa �. Quando invece si realizza ape legis una fattispecie del tutto diversa per cui si verifica uno sganciamento della registrazione del pagamento dell'unica imposta (proporzionale nella specie) cui l'atto � soggetto, non vi � motivo per negare al tributo richiesto dall'amministrazione iJ. carattere di imposta principale. Il che trova conferma anche ragionando per esclusione, sulla base delle nozioni di imposta complementare e imposta suppletiva, che non ricorrono per il tributo in esame. N� pu� sostenersi che in tal modo l'efficacia retroattiva della legge sopravvenuta verrebbe a travolgere una decadenza ormai verificatasi sotto l'impero della legge precedente, poich� non pu� discorrersi della decadenza da un diritto che sotto l'impero della legge anteriore non poteva essere esercitato dail soggetto, non essendo logicamente ammissibile un giudizio, di congruit� rispetto alla imposta fissa cui l'atto era, all'epoca, soggetto in base alla legge che lo regolava e non in virt� di un errore dell'Amministrazione. Devesi quindi concludere che allorquando un atto registrato con la sola percezione dell'imposta fissa in base alla legge del tempo, sia successivamente sottoposto ad imposta proporzionale di registro in dipendenza non gi� di un iniziale errore dell'Ufficio ma della sopravvenuta inapplicabilit� dell'imposta fissa a seguito della successiva abrogazione con effetto retroattivo delle norme di legge che avevaino concretato uno dei presupposti occorrenti per l'applicazione di quella imposta, il termine di decadenza �per l'accertamento di valore ex art. 21 del d.l. 7 agosto 1936 n. 1639 decorre non gi� dal pagamento, in sede di registrazione, dell'imposta fissa, ma dal successivo pagamento dell'imposta proporzionale di registro cui l'atto � retroattivamente soggetto in maniera esclusiva (omissis) f, ~ f f f ! I � I I 127 PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 28 marzo 1981, n. 1786 -Pres. Sandulli Est. Martinelli -P. M. Cecere (diff.) Savio (avv. Uckmar) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). Tributi (in genere) -Contenzioso tributario -Procedimento innanzi alla Commissione centrale -Domande ed eccezioni non riproposte con le deduzioni del resistente -Devono essere esaminate d'ufficio � Art. 346 c.p.c. -Inapplicabilit�. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 25 e 27; c.p.c. artt. 190 e 346). Le eccezioni e difese riproposte dalla parte resistente nel procedimento innanzi alla Commissione centrale con la memoria di cui all'art. 29 del d.P.R. n. 636/1972 debbono essere esaminate anche se non contenute nelle deduzioni di cui all'art. 25 (1). (omissis) Tuttavia, la pronuncia impugnata merita censura sotto altro profilo. Infatti, � fondata la censura prospettata nel terzo mezzo, con la quale si rimprovera alla decisione de quo di non aver proceduto aH'esame delle difese dei contribuenti, dichiarate assorbite nella pronuncia di II grado (che aveva accolto il ricorso dei contribuenti con riferimento a questioni aventi carattere pregiudiziale), ritenendole precluse in quanto non riproposte nelle deduzioni di cui all'art. 25 IV comma d.P.R. 29 ottobre 1972 n. 636, ma soltanto, formulate nella memoria illustrativa di cui all'art. 27 d.P.R. citato. La fondatezza di tale censura � evidente, ove si consideri che questa Corte gi� in precedenza (cfr. Cass. Sez. I, 6 marzo 1980 n. 1500) ha affermato che l'art. 346 cod. proc. civ., non richiamato in modo espresso dal (1) La pronunzia desta molta perplessit�. Innanzi tutto non pu� essere condivisa l'affermazione che nessuna norma o principio del rito civile non contenuto nel primo libro del cod. proc. civ. sia inapplicabile al procedimento innanzi alle commissioni; i principi in materia di impugnazione non sono meno fondamentali di tante regole del primo libro. La statuizione della sentenza � affidata alla duplice affermazione che in ogni caso debbono essere riesaminate d'ufficio tutte le eccezioni e difese indi� pendentemente dalla riproposizione e che comunque la memoria presentata per l'udienza (art. 29) non ha la funzione strettamente difensionale tipica della comparsa conclusionale (art. 190 cod. proc. civ.), ma pu� contenere, data la concentrazione del procedimento, anche nuove eccezioni e difese. Sul primo punto sembra evidente che il principio enunciato nell'art. 346 cod. proc. civ. sia essen~ale a qualunque impugnazione; non si pu� ragionevolmente pretendere che il giudice sia tenuto a spingere il suo esame al di l� di quanto la parte intende devolvere al suo esame. Le eccezioni rigettate ed assorbite devono essere riproposte, anche se non nella forma dell'impugnazione incidentale, quando la pronunzia sia stata egualmente favorevole. 128 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.P.R. n. 636 del 1972 (il quale fa riferimento esclusivamente alle norme del primo libro del cod. proc. civ.) non pu� trovare applicazione nel giudizio innanzi alle Commissioni tributarie, di guisa che le eccezioni, e a maggior ragione le mere difese, rigettate od assorbite nella pron�ncia favorevole alla parte, non debbono essere espressamente riproposte da quest'ultima con atto di impugnazione incidentale, n� con qualunque altro processuale, ivi compreso quello previsto dall'art. 25 IV comma d.P.R. cit., dovendo le medesime essere rilevate di ufficio dal giudice dell'impugnazione neLl'ambito delle statuizioni investite dall'impugnazione. Peraltro, va rilevato che la memoria di cui all'art. 27 legge cit., non pu�, del tutto, essere assimilata, stante la sua particolare struttura e funzione, alla comparsa conclusionale e alla memoria, previste dall'art. 180 cod. proc. civ., le quali, avendo natura meramente iLlustrativa deHe difese, non possono contenere la proposizione di nuove eccezioni e difese. Tale principio non pu� ritenersi in alCUIIl modo vulnerato dalla considerazione che per il giudizio innanzi alla Commissione Centrale non sia contemplato il richiamo all'art. 19 IV comma, come, invece, � previsto per il procedimento innanzi alla Commissione di II grado. Infatti, tale limitazione opera, in modo esclusivo, con riferimento al:la possibilit� di proposizione di motivi aggiuntivi, ma non pone alcuna discriminazione in ordine alla loro natura. Ino1tre, non pu� non rilevarsi che il richiamo alle norme del codice di procedura civile, per quanto riguarda il procedimento innanzi alle Commissioni Tributarie, fa esclusivo riferimento a1le norme del primo libro del codice di procedura civile, cosicch�, stante la diversit� ontologica e funzionale esistente tra i due procedimenti, non pu� trovare applicazione nel giudizio tributario l'art. 346 cod. proc. civ. Non avrebbe senso il principio della devoluzione e la necessit� della motivazione dell'impugnazione se poi (per la parte resistente) si afferma la regola che il giudice deve esaminare d'ufficio le domande e le eccezioni non riproposte. Ancor meno persuade la seconda proposizione. Le deduzioni ex art. 25 hanno la precipua funzione di determinare l'ambito del giudizio d'impugnazione per consentire all'altra parte di esercitare le sue difese. Sarebbe manifestamente pregiudizievole per il diritto di difesa la possibilit� della proposizione di domande ed eccezioni con la memoria ex art. 29. E oi� particolarmente nel procedimento innanzi alla Commissione centrale nel quale lo scambio degli atti che delimitano i termini dell'impugnazione deve avvenire presso la segreteria della commissione di 'secondo grado, proprio perch� il laborioso ritiro della copia della memoria che viene depositata presso la Commissione centrale pu� anche essere trascurato senza grave pregiudizio. Non esiste poi la possibilit� di chiedere un rinvio della discussione ex art. 19 ultimo comma. L'unicit� dell'udienza e la concentrazione non giustificano la conclusione che la memoria ex art. 27 non abbia natura di mero svolgimento difensivo di conclusioni anteriormente presentate. Al contrario non pu� essere resa inutile i la presentazione delle deduzioni ex art. 25. i i f ~ � t ! PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 129 Lo stesso carattere di concentrazione processuale che assume il procedimento innanzi alle Commissioni Tributarie, il cui svolgimento tende, in via normale a coincidere con un unica udienza, a diversit� di quanto avviene per il processo civile, fa ritenere, sul piano logico e giuridico, che pure la memoria illustrativa di cui all'art. 29 legge citata (cos� come quella prevista dall'art. 27 in ordine alla quale non possono sorgere dubbi di sorta), che viene formulata per questa unica udienza (normalmente non seguita da altre), non debba assumere quel carattere restrittivo proprio degli atti previsti dagli artt. 190 e 359 cod. proc. civ. Alla luce del suesposto principio emerige in modo chiaro l'errore in cui � incorsa l!a Commiss[one centria:le, aHorch�, affrontando e msolvendo la questione giuridica circa la possibilit� di costituzione di societ� semplice o in nome collettivo con la partecipazione, quale socia di una p�rsona giuridica, ha omesso di esaminare le eccezioni e difese dei contribuenti dirette ad escludere che nella fattispecie concreta, rientrante nell'ipotesi normativa di cui all'art. 81 t.u. abrog. n. 645 del 1958 (soggetto non tassabile in base a bilancio), concorressero il presupposto soggettivo dell'intento speculativo, e quello dell'incremento patrimoniale, ritenendo, in modo erroneo, dette eccezioni e difese precluse, in quanto non riproposte dai contribuenti nelle deduzioni di cui all'art. 25 d.P.R. cit., ma, soltanto, con la memoria illustrativa (ex art. 27 IV comma). (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 1� aprile 1981, n. 1850 -Pres. Sandulli Est. Gualtieri -P. M. Silocchi (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Sa,Iimei) c. Lancellotti (avv. Marrullo). Tributi (in genere) Contenzioso tributario -Giudicato parziale -Statui zione che costituisce il necessario presupposto di altra -Impugna zione -Si estende -Impugnazione sull'accertamento del reddito -Si estende alla statuizione sulle sanzioni per infedele dichiarazione. (C.p.c., art. 329). L'impugnazione parziale comporta acquiescienza alle parti della pronunzia non impugnata soltanto quando le diverse parti siano tra loro indipendenti in modo che l'una possa passare in giudicato separatamente dall'altra, non anche quando la parte non impugnata ha per necessario presupposto o antecedente logico-giuridico la parte impugnata; conseguentemente ove l'Ufficio abbia impugnato una decisione che riduce l'ammontare del reddito chiedendo la conferma dell'accertamento, non si verifica acquiescienza sulla parte della decisione che dichiara non dovute le sanzioni per infedele dichiarazione (1). (1) Decisione da condividere che fa esatta applicazione di principi generali. IO RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ~ ill (omissis) Con l'unico motivo, denunziando falsa applicazione dell'articolo 329 cod. proc. civ. e violaz:ione degli artt. 245 e 248 t.u. 29 gennaio 1958, fi n. 645, l'Amministrazione ricorrente deduce che ha errato la Commissione Tributaria Centrale, nel riformare le decisioni rese dalla Commis- I iisione di secondo grado in sede di rinvio, dichiarando non dovute le sopratasse sul rilievo che avverso la mancata pronuncia, da parte della. Commissione distrettuale; sull'applicabilit� deMe sopratasse, l'Ufficio avrebbe dovuto proporre appello e che, in difetto di tale impugnativa, si sarebbe verificata sul punto acquiscenza, a norma dell'art. 329 cod. proc. civ. Invero la Commissione non avrebbe considerato il carattere accessorio della sopratassa per infedele dichiarazione rispetto all'accertamento del reddito. La censura � fondata. I Questa.. Corte ha affermato che, in caso di impugnazione parziale, l'acquiscenza alle parti non impugnate della sentenza si verifica soltanto quando le diverse parti di questa, non essendo astrattamente connesse e collegate tra loro e concernendo questioni che potrebbero in astratto I essere decise �l.J. separati giudizi, siano tra di loro indipendenti, in modo ;:. fil che l'una possa sussistere (e passare in giudicato) venendo meno l'altra, ili I ~ ma non anche quando una parte della �sentenza costituisca una conseguenza dell'altra, cio� una situazione che abbia per necessario presup-i' posto la statuizione impugnata ovvero ne costituisca essa medesima l'anm ~; tecedente logico-giuridico (cfr. sent. 24 gennaio 1979, n. 533; 4 giugno 1979, f' n. 3151; 6 marzo 1974, n. 599; 9 luglio 1973, n. 1980; 3 ottobre 1972, n. 2829, fil ed altre). ~: Nelil'ambito di tali principi questa Corte ha anche ritenuto che capo di pronuncia suscettibile di formare oggetto di giudicato � quello che I != risolve una questione controversa avente una propria individualit� ed @ autonomia s� da integrare astrattamente una decisione del tutto indipen-& ['. dente e che, per converso, l'autonomia non sussiste quando si verta in tema di presupposto necessario di un unico capo di pronuncia, e che, i quindi, esc:;o concorra a formare (sent. 16 ottobre 1976, n. 3498). Nella specie, la questione della sopratassa, prevista dall'art. 245 t.u. I I.I.D.D. del 1958 per infedele dichiarazione, la quale discende direttamente dalla legge ogni qualvolta si sia in presenza di un imponibile definitivamente iaccertato che superi di un quarto quello d:ichiiararto, trova il suo presupposto necessario sotto il profilo logico e giuridico, nella que- I ~ stione dell'accertamento definitivo del reddito; del pari, la questione della ~ inapplicabilit� delle sanzioni, prevista dall'art. 248 del citato t.u. per il ! ~ caso che l'obbligo di dichiarazione fosse fondatamente contestabile per ~ f obbiettiva incertezza sull'esistenza dei presupposti dell'obbligazione tri� f butaria, ha il suo antecedente logico-giuridico proprio nella questione l del1a infedele dichiamzione e quindi, dell'accertamento definitivo del l i reddito. 1 I I \ ! .-:.�-:.��-:.�..--.�-�.��;�-�.�.�.��.�.�.���)�.��.�.�).��.��.�.�.��.�.�.��.�--.�.�.�.�.�.��.�.���.�.�.��.���.�.����.�.�.��.�.�.��.-�.��.�.�-���.�.�.�.� �-----------,.-, . . . "'"'. ! 131 PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Orbene, l'Ufficio finanziario notific� al contribuente le decisioni della Commissione distrettuale con le quali era stato ridotto l'ammontare del presunto reddito accertato, e chiese alla Commissione provinciale la conferma degli accertamenti. In tale situazione, il problema dell'applicabilit� o meno della sopratassa ex art. 244 e 248 poteva porsi soltanto sulla premessa di detta conferma. In conclusione, l'Ufficio, chiedendo alla Commissione Provinciale la conferma degli accertamenti, con ci� stesso domand� anche la conferma dell'applicazione della conseguente sopratassa, il che esclude che si fosse verificata l'acquiescenza parziale ritenuta dalla sentenza impugnata. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 13 aprile 1981, n. 2180 -Pres. Marchetti Est. Pannella -P. M. Minetti (diff.) Ministero delle Finanze (avv. Stato Viola) c. Soc. Comcarbo (avv. Vaccaro). Tributi (in genere) � Accertamento tributario � Notificazione � Persona giuridica � Consegna a persona rinvenuta presso la sede � Si presume incaricata della ricezione dell'atto. (C.p.c., art. 145). La pC1�sona rinvenuta presso la sede di una persona giuridica e che abbia ricevuto la consegna dell'atto, si presume addetta alla sede anche nel caso che la persona giuridica abbia la sua sede in comune con altro soggetto. Per �vincere la presunzione al fine di invalidare la notificazione occorre dimostrare con prova rigorosa non solo l'inesistenza di un vero e proprio ;�apporto di dipendenza, ma anche l'inesistenza di un qualsiasi rapporto (1). (omissis) La Corte di Appello di Roma dedusse la nullit� delle notifiche dell'avviso di accertamento di reddito e della relativa cartella esattoriale, eseguite nelle mani di Nicola D'Ambrosio, sulla considerazione che esso consegnatario non era dipendente della s.r.l. Comcarbo, destinataria degli atti, cos� come risultava pacifico tra le parti e dall'esame dell'inserto processuale. Aggiunse, poi, che non era stato provato n� che il D'Ambrosio fosse un dipendente dello studio Pacaccio (nella decisione della Commissione (1) Decisione esatta e saggia; cfr. Cass. 10 luglio 1979, n. 3959, in Giust. Civ., 1980, I, 1550. La Giurisprudenza in materia resta sempre incerta: non � pacifica la soluzione che si d� alla questione analoga della persona di famiglia non convi� vente (Cass. 26 aprile 1979, n. 2416, in questa Rassegna, .1979, I, 750). 132 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO provinciale si d� atto che quegli eseguiva soltanto lavori saltuarii per conto del Pacaccio) n� che la soc. Comcarbo, avesse eletto domicilio presso quello studio, per dedurne un rafforzato convincimento della suddetta nullit�. Contro tale pronuncia l'Amministrazione delle Finanze con un solo motivo -art. 360 n. 4 cod. proc. civ. -denuncia un errore in procedendo, relativo ad erronea applicazione dell'art. 145 cod. proc. civ., in combinato disposto con gli artt. 38 t.u. n. 645/1958 e 160 cod. proc. civ. Sostiene che iJ precetto. legislativo, insito nella locuzione �persona addetta alla sede � ebbe puntuale realizzazione con la consegna degli atti a Michele D'Ambrosia, sia perch� fu rinvenuto nella sede della soc. Comcarbo; sia perch� egli, qualificandosi impiegato, indic� un rapporto di servizio con la societ� stessa, sia perch� la soc. Comcarbo aveva eletto domicilio fissando la sua sede presso lo studio del commercialista dott. Roberto Pacaccio, del quale il D'Ambrosio era dipendente. La censura deve ritenersi fondata. Questa Corte (Cass. 21 dicembre 1971 n. 3729 -Cass. 10 luglio 1979 n. 3959) ha deciso che la notifica di atti fatta a persona giuridica nella I sede sociale, con consegna del documento a persona che si trova nella f: sede medesima, deve ritenersi validamente eseguit~, sulla presun~ione ~~ che la persona consegnataria sia addetta alla sede della societ�, anche se da questa non dipendente. I Il principio trova conforto in una presunzione legale relativa, che nell'ipotesi di notificazione alle persone giuridiche (art. 145 cod. proc. civ:), I si' rinviene nella locuzion� norm�ativa: �consegna dell'atto a persona ~ addetta alla sede �. ~ Questa espressione postula la necessit� della conoscenza di fatti noti, I cui si collega, per normale e ragionevole conseguenzialit� logica, l'esistenza di altri fatti, dai quali scaturisca l'effetto giuridico finale, quale � la qualificazione di �incaricato alla ricezione dell'atto� nella persona fisica, I alla quale viene consegnato materialmente il documento contenente l'atto stesso. :B di tutta evidenza che quanto pi� e diversi sono i fatti noti, purch� I precisi e convergenti, tanto pi� si allargano le ipotesi dei fatti ignorati ciascuna delle quali pu� anche autonomamente condurre all'affermazione Ii della qualificazione suindicata. :B quanto si � verificato nella fattispecie in esame. Secondo quanto hanno accertato i giudici del merito la s.r.l. Comcarbo I aveva trasferito la sua sede negli stessi locali in cui trovavasi lo studio I professionale del dott. Roberto Pacaccio, commercialista; in quei locali fu rinvenuto Nicola D'Ambrosio; che per ben due volte accett� la consegna l degli atti dichiarando di essere impiegato. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Orbene, alcune delle ipotesi logiche riconducibili a tali fatti possono essere le seguenti: a) che il D'Ambrosio fosse un dipendente della s.r.l. Comcarbo; b) che fosse un dipendente anche ed esclusivamente del dott. Pacaccio; e) che sussistesse un'organizzazione comune tra lo studio professionale e la soc. Comcarbo; d) che comunque vi ~osse un vincolo di servizio o di collaborazione tra il D'Ambrosio, il dott: Pacaccio e la soc. Comcarbo, tale da abilitare il primo a qualificarsi impiegato e ad accettare la consegna degli atti, promiscuamente, sia per l'uno che per l'altra. L'attendibilit� di ciascuna di queste ipotesi, che riposa anche sui principi della correttezza e dell'affidamento, imponeva alla soc. Comcarbo -stante l'inversione dell'onere della prova -di dimostrare non soltanto che il D'Ambrosio non era suo dipendente, come sembra abbia fatto, ma di provare anche quelle circostanze che, escludendo tutte le ipotesi suindicate, valessero a negare il fatto presuntivo finale della idoneit� del D'Ambrosio ad accettare la notificazione degli atti. :� in questa insufficienza di indagine del giudice di merito che va riscontrato il vizio della sentenza impugnata: nel senso che, nonostante la mancanza di una prova completa rigorosa e contraria alla presunzione della validit� della notifica, esso giudice ha dichiarato la nullit� della notifica stessa. Pertanto, la sentenza va cassata con rinvio della causa ad altra sezione della Corte di Appello di Roma, che si uniformer� al principio di diritto secondo il quale: nell'ipotesi di notificazione di atti a persona giuridic�, la cui sede � fissata in locali utilizzati in comune con altre societ�, con uno studio professionale, se il documento � consegnato nelle mani di persona che si qualifica impiegato e accetta la consegna, per vincere la presunzione legale che trattasi di persona addetta alla sede occorre una prova completa e rigorosa atta ad escludere non solo l'esistenza di un rapporto di dipendenza tra la societ� destinataria dell'atto e la persona fisica consegnataria del documento, ma altres�, l'esistenza di qualsiasi rapporto in base al quale l'atto notificato venga portato a conoscenza della persona giuridica destinataria. (omissis) I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 4 maggio 1981, n. 2704 -Pres. Vigorita . Est. D'Orsi -P. M. Antoci (conf.) La Mesa c. Ministero de1le Finanze (avv. Stato Salimei). Tributi (in genere) -Contenzioso tributario -Ricorso per Cassazione . Ricorso cumulativo � Ammissibilit�. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Tributi (in genere) � Contenzioso tributario � Ricorso per Cassazione � Termine � Art. 327 c.p.c. � Mancata partecipazione al giudizio per nul� lit� delle comunicazioni -Inapplicabilit�. (C.p.c. art. 327; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 27). � ammissibile un solo ricorso per cassazione contro pi� decisioni della Commissione centrale quando risulti con chiarezza l'oggetto dell'impugnazione in relazione a tutte le decisioni (ipotesi di impugnazione di tutte le decisioni omogenee riferite a diversi periodi di imposta) (1). Il termine di un anno dalla pubblicazione della decisione della Commissione centrale non � applicabile, secondo quanto dispone l'art. 327 cpv. cod. proc. civ., quando il ricorrente dimostri di non aver partecipato al' processo a causa della nullit� della comunicazione della data dell'adunanza della Commissione (nella specie era stata data una sola comunicazione a pi� parti aventi diverso domicilio) (2). II CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 10 giugno 1981, n. 3756 -Pres. Sandulli � Est. Corda -P. M. Morozzo Della Rocca (conf.). COMARPEL c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Salinei). Tributi (in genere) � Contenzioso Tributario -Ricorso per cassazione -Ri� corso cumulativo � Inammissibilit�. � inammissibile un unico ricorso per cassazione contro distinte decisioni della Commissione centrale (3). I (omissis) I due ricorsi vanno riuniti, in quanto proposti avverso le medesime decisioni. Essi sottopongono innanzi tutto a questa Corte alcune questioni di carattere preliminare. La prima riguarda l'ammissibilit� dei ricorsi stessi, in quanto eia� scuno di essi censura cinque decisioni della Commissione tributaria cen (1-3) Sul ricorso cumulativo intervengono due pronunz1e in netto contrasto. Sembra prevalente l'orientamento che nega l'ammissibilit� (Cass. 14 febbraio 1980, n. 1061, in questa Rassegna, 1981, I, 99). La seconda �massima fa applicazione dell'art. 327 cod. proc. civ. del quale deve ormai ritenersi open1nte l'intero testo. Per l'essenzialit� della comunicazione della data dell'adunanza della Commissione centrale e del relativo termine v. la sentenza 2 luglio 1981, n. 4287, in questo fascicolo pag. 155. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA trale di identico contenuto, relative a1l'assoggettabilit� all'imposta di ricchezza mobile di pretesi redditi di interessi relativamente agli anni 1961, 1962, 1963, 1964 e 1965. Allorch� il soccombente impugni per cassazione con un unico ricorso pi� decisioni emesse in diversi processi,� occorre distinguere l'ipotesi in cui non sia possibile desumere con certezza avverso quale decisione si rivolgano i motivi di impugnazione, da quella in cui tale incertezza non sussista e appaia chiaro il rapporto tra decisioni impugnate e censure. Solo nel primo caso il ricorso � inammissibile, Jaddove nel secondo il ricorso � ,ammissibile, pur sussistendo una contravvenzione a11a 1legge sul bollo e residuando, ai sensi dell'art. 19 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 642, a carico del cancelliere l'obbligo di trasmettere copia autentica dell'atto all'Ufficio del registro. Ne11a specie il contenuto dei ricorsi � chiaro e investe tutte e cinque le decisioni della Commissione centrale. Sotto tale profilo i ricorsi sono pertanto ammissibili. La seconda questione riguarda la tempestivit� delle impugnazioni. Essa nasce dal fatto che, mentre le decisioni emesse il 18 febbraio 1977 sono state depositate il 5 aprile 1977, i ricorsi per cassazione sono stati notificati il 15 e il 18 dicembre 1978, entro i sessanta giorni dalla notifica dell'estratto delle decisioni avvenuta il 18 ottobre 1978, ma oltre l'anno dal deposito delle decisioni stesse. Va in proposito precisato che questa Corte ha gi� affermato che la disposizione dell'art. 327 cod. proc. civ., secondo cui l'impugnazione non pu� essere pi� proposta dopo il decorso di un anno dalla pubblicazione della sentenza, si applica anche al ricorso per cassazione avverso le decisioni dei giudici speciali (allorch� il sistema proprio di esse preveda forme di pubblicit� analoghe a quelle che il codice di procedura civile stabilisce per le sentenze dei giudici ordinari). Il principio inizialmente enunciato con riferimento alle decisioni del Consiglio di Stato (sentenze 26 gennaio 1978 n. 351; 17 febbraio 1979 n. 1050) � stato riaffermato anche con riferimento alle decisioni delila Commis sione tributaria centrale (sentenza 21 luglio 1979 n. 4373). Nella specie, per�, la questione � superata dal fatto che l'art. 327 cod. proc. civ. deve trovare applicazione nella sua interezza, anche, cio�, nel secondo comma, relativo all'inapplicabilit� del termine (Jungo) quando la parte che non ha partecipato al processo dimostri di non aver avuto conoscenza del processo medesimo per nullit� della citazione o della notificazione. Ed � proprio questo il caso di specie. Infatti con il primo mezzo Sebastiano La Mesa, Gaetano La Mesa, Emanuele La Mesa e Sebastiano Lo Pizzo lamentano la violazione del l'art. 27 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, anche in relazione all'art. 327 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO cod. proc. civ., e sostengono di non aver avuto comunicazione della data di discussione dei ricorsi e di non aver potuto conseguentemente presentare memorie. Essi documentano la loro asserzione con la produzione della busta recante c.mulativamente i nomi dei tre La Mesa e contenente un unico avviso dell'udienza intestato a Sebastiano La Mesa. Orbene, posto che la produzione di tali documenti � possibile (art. 372 cod. proc. civ.) perch� si tratta di documenti relativi alla nullit� della sentenza impugnata e all'ammissibilit� del ricorso, questa Corte ritiene che dal loro esame appare la fondatezza della doglianza. L'art. 27 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, sulla revisione della disciplina del contenzioso tributario, prescrive nel terzo comma che la data fissata per la decisione del ricorso davanti alla Commissione tributaria centrale deve essere comunicata alle parti almeno sessanta giorni prima. Queste (art. 27, quarto comma) possono prendere visione del fascicolo e depositare in segreterie memorie fino a trenta giorni prima della data fissata per la decisione e repliche fino a dieci giorni prima. Le parti, inoltre (art. 27, sesto comma) hanno diritto di conoscere la composizione della sezione e possono proporre istanza di ricusazione fino al giorno prima della data fissata per la decisione. Nel caso di pluralit� di parti, secondo i principi generali discendenti dagli artt. 136 e segg. cod. proc. civ., ciascuna di esse ha diritto ad avere la comunicazione, dovendosi negare tra coobbligati l'esistenza di una sorta di reciproca rappresentanza processuale (cfr. Corte Cast. 16 maggio 1968 n. 48). Nella specie, invece, come si � detto, la segreteria della Commissione Tributaria centrale invi� ai ricorrenti un'unica busta intestata ai tre La Mesa recante un indirizzo con tre numeri civici, per altro in parte inesatti, e contenente un unico avviso intestato a La Mesa Sebastiano. Viceversa era necessario che ciascuno dei contribuenti ricevesse l'avviso della data fissata per la decisione. La mancanza di tale avviso, cui � seguita la mancata esplicazione di attivit� difensiva da parte di quattro dei cinque contdbuenti davanti alla Commissione tributaria centrale, ha comportato la nuHit� delle decisioni della commissione medesima. (omissis) II (omissis) Il ricorso � inammissibile perch� proposto, con un unico atto, contro due distinte decisioni, relative a due distinti procedimenti. L'inammissibilit� del ricorso, in tal modo proposto, � stata ripetutamente affermata dalle Sezioni Unite di questa Corte Suprema (sentenza 28 aprile 1975 n. 1616 e 25 maggio 1971 n. 1537), con la precisazione che la legge processuale regola i casi in cui, ad iniziativa della parte, pu� 137 PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA essere iniziato un giudizio unico rispetto a domande separate (casi di liti:scO�llsorzio: a;:rticoli 102 e 103 cod. proc. civ.), oppure due giudizi separati possono essere riuniti per provvedimento del giudice (articoli 273, 274 e 350) o in caso di intervento; e che, pertanto, fuori di questi casi specifici, non rientra nei poteri della parte il dar luogo, inizialmente, ad unico giudizio, cos� come in corso di causa non pu�, di sua iniziativa, provocare la riunione di giudizi separati. � ben vero, peraltro, che da tale impostazione si � discostata la successiva sentenza 6 novembre 1976 n. 4037, la quale ha affermato che l'inammissibilit� del ricorso per cassazione contenuto in un unico atto e diretto contro sentenze pronunciate in giudizi autonomi e diversi, vertenti fra le stesse persone, deve essere esclusa ogni qualvolta siano osservati i termini e gli altri oneri sanciti dalla legge, quali, tra gli altri, quello relativo all'effettuazione dei depositi per il caso di soccombenza (allora prescritto) in numero e di importo corrispondente alle sentenze denunciate. E ci� con la precisazione che, in tale caso, alla eventuale violazione del bollo (iart. 13 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 642) supplisce il rimedio, meramente fiscale, della rimessione degli atti al competente ufficio del registro (art. 31). Non sussistono, per�, valide ragioni per seguire questa seconda impostazione, soprattutto perch� la sentenza predetta non si � data alcun carico di esaminare gli argomenti giuridici gi� addotti dalle Sezioni Unite, i quali, per vero, non appaiono facilmente superabili. Prima della promulgazione della legge 18 ottobre 1977 n. 793 (che. abrogando l'art. 364 cod. proc. civ., ha soppresso l'istituto del deposito per soccombenza), il problema dell'ammissibilit� dell'unico ricorso contro pi� sentenze trovava, nei singoli casi concreti, soluzione negativa sul solo rilievo dell'insufficienza del deposito predetto, essendo pressoch� normale l'effettuazione di un solo deposito da parte di chi, pur impugnando pi� sentenze (pronunciate in giudizi e distinti), presentava un solo ricorso (v., ad es., la sent. 30 maggio 1965 n. 1924). E questa, evidentemente, � la ragione che spiega il motivo della scarsa elaborazione giurisprudenziale sull'argomento. Numerose, invece, sono le sentenze che affermano l'ammissibilit� dell'unico ricorso contro pi� sentenze emesse, per�, nello stesso giudizio (v., fra le tante, le sent. 25 ottobre 1976 n. 3837, 12 agosto 1976 n. 3036 e 29 ottobre 1963 n. 2862); ma proprio dall'argomento addotto per la dimostiiazione di tale ammissib11it�, incentrato sull'unitariet� del rapporto processuale pu� sicuramente trarsi spunto per ritenere che quaindo manchi quel oarattere unitario venga meno anche il carattere unitario dell'impugnazione, la cui inammissibilit�, quindi, poteva gi� essere �dichiarata anche prescindendo dall. rilievo dell'insufficienza dei depositi per soccombenza. � ovvio, infatti, che la parte non pu�, con unico atto di impugnazione 111111r1111r�11111111111111r1111111111111114r1M111111�111~11�11111 138 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO rispetto a diversi procedimenti, fuori dei casi consentiti dalla legge (come, peraltro, prevedeva il secondo comma dello stesso art. 364 cod. proc. civ.), far s� che la ulteriore trattazione di tali distinti processi avvenga congiuntamente, sovvertendosi l'ordinario andamento dei giudizi. Pi� di recente, infine, le stesse Sezioni Unite di questa Corte hanno ribadito il loro orientamento, con la sentenza 9 ottobre 1979 n. 2151, seguite, poi, dalla sentenza 14 febbraio 1980 n. 1061 (I Sez.), relativa, proprio, al caso di un unico ricorso contro due distinte decisioni della Commissione Tributaria Centrale. A questo consolidato indirizzo il Collegio intende uniformarsi, ritenendo pienamente valide le ragioni giuridiche che lo giustificano. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 7 maggio 1981 n. 2967 -Pres. Marchetti Est. Martinelli -P. M. Antoci (conf.) -Di Paolo c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Viola). Tributi (in genere) -Contenzioso tributario -Ricorso alla Commissione centrale -Motivazione -Necessit� -Motivazione � per relazionem � Inidoneit�. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 25). Il ricorso alla Com.missione centrale � inammissibile se non contiene la enunciazione dei motivi; non soddisfa l'esigenza della motivazione il richiamo ad altro ricorso, nemmeno quando esista una stretta correlazione come nel caso d'imposta di ricchezza mobile e sulle societ� (1). (omissis) Con il primo e secondo motivo, che stante la loro interdipendenza logica, vanno congiuntamente esaminati, il ricorrente, lamentando la violazione dell'art. 25 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 in relazione (1) L'esatta pronunzia ha messo in chiaro la diversa rilevanza della motivazione del ricorso alla Commissione centrale rispetto ai motivi del ricorso in primo e secondo grado; per questi era ammesso il ricorso interruttivo, per il ricorso alla Centrale tale possibilit� era esclusa. Tale distintlone conserva importanza anche oggi, dopo che con la novella del d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739, � stato eliminato il ricorso interruttivo: la motivazione considerata nell'art. 25 � qualcosa di pi� dei motivi dell'art. 15 giacch� il ricorso alla Commissione centrale � una impugnazione limitata e attraverso i motivi deve poter essere verificata l'ammissibilit� del ricorso (Cass. 9 marzo .1981, n. :1316, in questa Rassegna, 1981, I, 818). Corretta deve ritenersi anche la precisazione che il ricorso, che non � necessariamente legato ad altri, non pu� essere motivato per relationem nemi : I meno nei casi in cui tale motivazione � ammessa per le decisioni pronunciate contemporaneamente. ! i i I ! i i '."."."."N.".".".".W.�.�.�.-.�.-.-.-.-.w.-.-.-.w.! PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA all'art. 360 n. 3 e 4 cod. proc. civ., censura l'impugnata decisione per aver dichiarato l'inammissibilit� del ricorso, sotto l'errato presupposto del difetto di specificit� dei motivi, omettendo di considerare che l'art. 25 legge cit. non prevede espressamente tale tipo di inammissibilit�; e che, comunque, nel ricorso �de quo� vi era il richiamo �per relationem � ai motivi, formulati, in modo specifico nei ricorsi presentati in ordine alle decisioni della Commissione Tributaria di seconda istanza riguardanti l'accertamento dell'imposta di ricchezza mobile cat. B, attinente allo stesso reddito, che aveva dato luogo all'accertamento dell'imposta sulle societ�, oggetto della causa in esame. La censura � destituita di fondamento. Invero, � principio di carattere generale che l'atto con il quale � proposta l'impugnazione avverso un provvedimento giurisdizionale deve contenere le indicazioni necessarie all'individuazione della statuizione o del � punto � della medesima, investita dall'impugnazione, nonch� delle ragioni di diritto e di merito poste a fondamento della censura. Tale principio anche se in alcune ipotesi di impugnazione non assume carattere rigoroso in ordine alla specificit� di motivi, e consente la produzione di nuovi motivi nel prosieguo del giudizio, tuttavia richiede, pur sempre, che i motivi, contenuti nell'atto introduttivo siano idonei ad individuare l'oggetto e fa ragione dell'impugnazione. Tale principio trova applicazione anche per quanto riguarda il ricor� so innanzi alla Commissione Tributaria Centrale. N� pu� dedursi in contrario che l'art. 25, con il richiamare il secondo comma dell'art. 15, non preveda la inammissibilit� del ricorso in caso di mancata indicazione dei motivi. Infatti, pur essendo esatto che la citata disposizione non prevede la inammissibilit� in caso di mancata indicazione dei motivi, ci� trova spiegazione nella norma del quarto comma dell'art. 19 (applicabile anche nel procedimento di appello), secondo la quale il contribuente pu� dedurre motivi ed eccezioni, ancorch� non indicati nel ricorso, fino a dieci giorni precedenti la prima udienza. Nel procedimento dinanzi alla commissione tributaria centrale, invece, il secondo comma dell'art. 25 prescrive espressamente fa enunciazione dei motivi di ricorso, cos� che dalla mancata enunciazione non pu� non derivare (secondo i princ�pi generali) la inammissibilit� dell'impugnazione. N� � possibile accogliere la tesi, secondo la quale la norma deve ritenersi osservata mediante il richiamo �per relationem � ad altri atti, facenti parte dello stesso o di altro procedimento, dovendosi osservare �n contrario che l'atto con il quale si propone l'impugnazione (salvo diversa espressa disposizione, che, come gi� rilevato, nella specie non sussiste) deve essere completo ex se; cosicch� non pu� farsi luogo a una sua integrazione con il contenuto di altri atti. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Neppure, � in subiecta materia�, possono ricavarsi validi argomenti dall'orientamento giurisprudenziale secondo il quale, in materia di accertamento di redditi rilevanti contemporaneamente a fini dell'imposta di ricchezza mobile e di quelal sulle societ�, � consentita per quest'ultimo tributo, la motivazione per relationem con il mero riferimento a quello riguardante l'imposta di ricchezza mobile e alle conclusioni a cui l'organo giurisdizionale sia pervenuto in proposito circa l'accertamento e la quantificazione del reddito. Infatti, tale riferimento in detta ipotesi trova giustificazione nel carattere necessariamente conseguenziale che riveste l'accertamento del reddito soggetto a imposta sulle societ� rispetto all'accertamento dello stesso reddito rilevante ai fini dell'imposta di ricchezza mobile, anche se trattasi di tributi oggettivamente diversi. Nesso questo che, invece, non pu� avere rilevanza per l'atto di impugnazione, data la rkocdata esigenza di completezza dell'atto di impugnazione, e della sua autonomia rispetto ad altri atti del procedimento. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 21 maggio 1981 n. 3329 -Pres. Vigorita Est. Granata -P. M. Grimaldi (conf.) -Carboni (avv. Gallo) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Gargiulo). Tributi (in genere) � Contenzioso tributario -Giudizio di terzo grado Estimazione semplice � Fattispecie. '" .P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 26 e 40). Le questioni sulla esistenza e quantificazione del reddito, in quanto rientranti nella P.stimazione semplice, sono sottratte al giudizio di merito del giudice di ierzo grado che, potendo esclusivamente controllare la legittimit� della decisione impugnata, � chiamato soltanto a valutare l'astratta idoneit� degli indici utilizzati per l'accertamento induttivo (1). (omissis) Con l'unico motivo di ricorso, il Carboni denunzia, in reiazione all'art. 360 n. 3 e n. 5 cod. proc. civ., omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, (1) Conforme � la sentenza in pari data n. 3330. Sul punto della non deducibilit� in terzo grado dell'impugnazione concernente la sostanza dell'accertamento induttivo, mentre � deducibile la questione della legittimit� dell'accertamento con il ricorso al metodo induttivo, la giurisprudenza � pacifica (Cass. 10 aprile 1979, n. 2046, in questa Rassegna, 1979, I, 719, con richiami). Merita tuttavia di essere segnalata la sentenza sia perch� riporta il problema della delimitazione dei poteri del giudice di terzo grado alla dicotomia estimazione semplice-estimazione complessa e sia perch� ricomprende nell'estimazione semplice le questioni relative all'esistenza del reddito; v. sull'argomento anche l'altra sentenza 27 giugno 1981, n. 4185, in questo fascicolo pag. 152. ~ � i i ! I ; PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 141 nonch� violazione e falsa applicazione dell'art. 137 t.u. del 1958 n. 645. E sotto un primo profilo rimprovera alla decisione impugnata di avere fatto riferimento, quale indice concreto di capacit� contributiva, alla � redditivit� � delle societ� cui egli partecipava, dimenticando essere in punto di fatto pacifico che ,1e societ� stesse non avevano, nell'esercizio dell'anno considerato, realizzato alcun reddito, chiudendo anzi in perdita: orbene, venuto meno questo indice, il semplice riferimento al tenore di vita, non adeguatamente motivato, del contribuente, non avrebbe di per s� legittimato l'accertamento induttivo. Ricorda poi che la Commissione centrale, per superare la proposta le censura di difetto di motivazione addebitata alla Commissione provinciale relativamente alla statuizione con cui questa aveva ritenuto ingiustificata la riduzione dell'imponibile operata dalla Commissione di primo grado, ha affermato che �doveva il contribuente dimostrare la inesistenza e la minore entit� del reddito� attribuitogli, e che, avendo egli, nel caso, semplicemente reiterato gli argomenti gi� esposti e valutati in primo grado, �i secondi giudici... (avevano) implicitamente ritenuto che tali argomenti valessero per quantificare il reddito nella misura da essi determinata'" Obietta il ricorrente che, prima ancora di attribuire siffatto onere al contribuente, � necessario che gli elementi di fatto forniti dall'ufficio per la determinazione sintetica del reddito devono essere di per s� concreti ed attuali, tratti da dati certi e concordanti, laddove non sarebbe soddisfacente a tal fine il semplice riferimento al tenore di vita ed alle partecipazioni societarie, quando come nella specie nulla di concreto sarebbe stato detto sul primo elemento e d'altro canto la partecipazione a societ� con bilancio in perdita pu� solo significare l'effetto di una condizione passata e di un benessere non pi� in atto. Ad avviso del ricorrente, inoltre, la Commissione centrale avrebbe arbitrariamente fornito alla decisione della Commissione provinciale una motivazione facendo riferimento, per implicito e per relationem, a quella della Commissione distrettuale, peraltro dimenticando anche che questa aveva determinato il reddito in una misura largamente minore (7 milioni) a quella poi fissata dalla Pr�vinciale (16 milioni). La complessa censura � infondata. Essa investe, nella sostanza, problemi di esistenza e di quantificazione del reddito; problemi, quindi, di estimazione �semplice, rispetto ai quali il controllo esperibile dalla Commissione centrale � di mera legittimit�, e dunque limitato alla sola verifica della motivazione addotta dalla Commissione di II grado a giustificazione della quanti:ijcazione da essa medesima adottata. Ed a propria volta il controllo di legittimit� demandato a questa Corte Suprema pu� avere per oggetto soltanto la conseguenza della motivazione addotta sul punto dalla Commissione Centrale. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 142 Alla stregua di tale impostazione, si deve qui l'indagine limitare alla constatazione non essere vero che la Commissione Centrale abbia riconosciuto legittima una motivazione per relationem; al contrario essa, valutando la motivazione della Commissione provinciale, come doveva, nel suo complesso, ha ritenuto che questa avesse, sia pure per implicito, apprezzato la idoneit� degli �indici�, tenuti presenti dai giudici di appello, a condurre alla qualificazione del reddito nella misura dai medesimi stabilita. N� pu� dubitarsi della � astratta idoneit� � di tali indici (non limita: ti alle partecipazioni societarie, ma includenti il possesso di una scuderia di cavalli, il possesso di una autovettura di apprezzabile valore, il compimento di viaggi all'estero) a giustificare il metodo sintetico ed i risultati in concreto con esso raggiunti, ove si consideri l'indubbio valore sintomatico che ciascuno di essi, astrattamente riguardato, esplica, ed inoltre si ricordi che i giudici di appello avevano anche sottolineato la qualit� di amministratore unico o di accomandatario, rivestita dal Car-' boni in alcune delle societ� alle quali partecipava, cos� mettendo in luce una potenziale fonte di reddito indipendente dalla passivit� del bilancio. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 4 giugno 1981 n. 3609 -Pres. Granata Est. Falcone -P. M. Grimaldi (conf.) -Bennati (avv. Carboni Carner) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). Tributi erariali diretti � Accertamento � Motivazione � Metodo induttivo Preliminare verifica analitica dei redditi dichiarati � Non � necessaria. (T.U. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 137). Tributi (in genere) � Contenzioso tributario � Giudizio di terzo grado � Accertamento induttivo -Verifica della idoneit� astratta dei fatti indice � Cognizione dei fatti accertati dalle commissioni di primo e secondo grado -Esclusione. (d.P.R. 26 ottobre 1936, n. 636, art. 40). Se nell'iter per giungere alla determinazione sintetica del reddito la preventiva verifica analitica del reddito dichiarato rappresenta un momento ineliminabile, questa verifica non deve necessariamente essere portata a conoscenza del contribuente attraverso la motivazione, essendo sufficiente l'esposizione delle ragioni poste a base del criterio induttivo adottato (1) .. (1-2) Conformi sono le sentenze in pari data nn. 3610, 3611 e 3612. Nella casistica ormai ricca della ammissibilit� dell'accertamento con metodo induttivo si inserisce una ulteriore precisazione: non � necessario esporre una dimostrazione analitica della inattendibilit� della dichiarazione, quando fatti- I I I 'i: f. f. I: ' f ' --" �--'--."B 143 PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Il Giudice di terzo grado (nella specie Corte d'appello), come nell'abrogato sistema il giudice ordinario, ove la contestazione cada sulla legittimit� dell'accertamento induttivo, ha soltanto il potere di verificare l'avvenuta specificazione dei fatti indice posti a base dell'accertamento, l'avvenuta contestazione .dei medesimi al contribuente e l'astratta idoneit� di tali fatti a legittimare nel caso concreto il ricorso al metodo induttivo. Esula dai poteri del giudice di terzo grado estendere l'indagine sulla portata significativa dei fatti indice per delinearne una valutazione e interpretazione diverse da quelle compiute dalle Commissioni di primo e secondo grado e concludere con un apprezzamento difforme (2). (omissis) Con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata perch�, dopo avere ammesso che intanto pu� aversi determinazione sintetica del reddito imponibile in quanto sia stata previamente effettuata dall'Ufficio la determinazione analitica (rispetto alla quale i fatti-indice valorizzati lasciano presumere un reddito superiore), ha poi respinto rimpugnativa di nullit� degli avv.isi di aocertamento, per difetto di motivazione al riguardo, affermando che detto presupposto ricorre quando l'Ufficio, ritenuta per analitica la dichiarazione del contribuente, proceda, quindi, alla rettificazione della stessa in via induttiva. L'art. 137 del d.P.R. 29 gennaio 1958 n. 645, invece, ad avviso del ricorrente, impone all'ufficio: di verificare che siano state dichiarate tutte le fonti di reddito e tutti i redditi da esse provenienti; di confrontare il tenore di vita del contribuente con il reddito cos� determinato in via analitica; di quantificare, infine, il reddito sulla base degli indizi di maggior reddito, dando conto di questo iter logico nell'avviso di accertamento. indice affidabili facciano emergere che il reddito presumibile � superiore a quello accertabile analiticamente; in sostanza la motivazione che si richiede � quella essenziale che si basa sui fatti (che � tipica dell'atto amministrativo) non quella argomentativa che � piuttosto caratteristica della sentenza. Per un precedente specifico v. Cass. 5 marzo 1979, n. 1363, in Riv. Leg. fisc., 1980, 216; pi� in generale sulla ammissibilit� (anzi doverosit�) della correzione in via induttiva del risultato dell'accertamento analitico, Cass. 2 ottobre 1980, n. 5349, in questa Rassegna, 1981, I, 554. La seconda massima riconferma un concetto ormai ben fermo sul punto della deducibilit� innanzi al giudice di terzo gmdo dell'inadeguatezza dell'accer tamento sintetico. � pacifico che pu� essere dedotta soltanto la nullit� del� l'accertamento per illegittimo ricorso al metodo induttivo o insufficiente moti vazione sul punto (il che si risolve in una questione di applicazione della legge) mentre � preclusa ogni impugnazione sulla sostanza dell'accertamento (che si concreta in una questione di semplice estimazione). Ma quel che maggiormente interessa � il problema della valutazione della prova; gi� con la sentenza 9 gennaio 1978, n. 48 (in Riv. Leg. Fisc., 1978, 808) RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 144 La sentenza impugnata si presenterebbe, inoltre, non motivata in ordine alla questione se gli avvisi di accertamento contenessero una motivazione idonea a dar conto della sussistenza dei presupposti per 'l'adozione del metodo sintetico. La censura sostanzialmente unica -poich� l'addebito di difetto di motivazione � diretto a cogliere, sotto l'aspetto della mancata esposizione delle fasi logico-giuridiche necessarie per giungere dalla dichiarazione dei redditi all'accertamento sintetico di essi, la violazione dei princ�pi che, secondo l'assunto critico, impongono tale iter -non � fondata. L'avviso di accertamento, come risulta dalla sentenza impugnata, non era affatto immotivato, ma conteneva la precisa esposizione di numerosi e specifici fatti-indici della disponibilit� da parte del contribuente, dichiaratosi privo di un reddito tassabile, di una capacit� economica tale da giustificare la sussistenza di un reddito superiore a quello analiticamente accertabile sulla base degli elementi forniti con fa dichiarazione; ci� che era sufficiente, non essendo richiesto, contrariamente a quanto si assume, che l'accertamento contenga la preliminare esposizione della verifica analitica dei redditi dichiarati, seguita dall'indicazione delle ragioni poste a fondamento della determinazione induttiva del reddito (sent. 5 marzo 1979 n. 1363). L'art. 137 del t.u. cit., nel disporre che se il tenore di vita del contribuente od altri elementi o circostanze di fatto lasciano presumere un reddito netto superiore a quello risultante dalla determinazione analitica, il reddito netto viene determinato sinteticamente con riferimento al tenore di vita del contribuente o ad altri elementi o circostanze di fatto, non pone la regola che il ricorrente assume essere stata violata. Perch�, se nell'iter per giungere alla determinazione sintetica del reddito la preventiva verifica analitica del reddito dichiarato rappresenta un momento ineliminabile, tuttavia questa verifica pu� ben essere quella effettuata era stato messo in luce che al giudice ordinario spettava soltanto una � valuta zione logico-giuridica della astratta idoneit� dc: fatti contestati al contribuente con esclusione di ogni apprezzamento in ordine alla loro materiale esistenza e portata quantitativa� (nello stesso senso la sentt!nza 21 maggio .19&1, n. 3329 in questo fascicolo pag. 140). La sentenza ora intervenuta va ancora oltre e precisa che al giudice di terzo grado non � consentito l'apprezzamento dei fatti per trarne una valutazione o interpretazione diverse da quelle compiute dalle commissioni di primo e secondo grado; il igiudice di terzo grado conosce il fatto per emettere una pronunzia di merito, ma lo assume cos� come � stato rappresentato nella decisione impugnata. E' questo uno spunto molto rilevante ch� deve essere collegato con la r,egola che esclude che il giudice di terzo grado (o almeno la Commiss1one centrale) possa esercitare poteri istruttori. La sentenza merita d'essere segnalata anche perch� riafferma che i poteri attuali del giudice di terzo grado corrispondono a quelli anteriormente riconosciuti al giudice ordinario: su questo punto si veda anche la gi� citata sentenza 21 maggio 198.1, n. 3329. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 14.S dall'ufficio ai fini propri interni di controllo, verifica che non � necessario, poi, portare a conoscenza del contribuente, la cui garanzia di tutela giurisdizionale dei propri diritti non esige la pretesa estrinsecazione di quel momento del procedimento di accertamento. La contestazione dell'accertamento, infatti, nell'ipotesi di cui trattasi, va effettuata con riguardo alla legittimit� del metodo induttivo seguito, ed alla congruit� del reddito accertato rispetto ai fatti-indici posti a base del criterio (induttivo) adottato, indipendentemente da ogni possibilit� di ricorso ad una valutazione analitica, con la conseguenza che se risulti illegittimo il ricorso al metodo induttivo, resta ferma la dichiarazione analitica del contribuente, mentre, se il sistema di accertamento risulta legittimo, ma errato nei risultati, il reddito accertato pu� essere ridotto, ma sempre in via induttiva (v. sent. 1363 del 1979 cit.). Con il secondo motivo si addebita, in particolare, alla Corte del merito di aver preso le mosse dall'affermazione di essere chiamata a valutare soltanto idoneit� e non fa reale esistenza in concreto dei fatti-indice. posti a base dell'accertamento sintetico, e di avere, quindi, violato l'art. 4(} del d.P.R. n. 636/1972, precludendosi una valutazione che l'avrebbe condotta alla conclusione che la polizza di assicurazione sulla vita e la riserva di caccia a disposizione del contribuente rappresentavano non gi� � indici di una elevata redditivit� attuale, ma residui di un'agiatezza oramai passata � e che, nel periodo dal 1966 al 1969, non c'era stata la persistenza di un patrimonio del contribuente con redditivit� di 100 milioni annui, ma il progressivo vanicarsi di un patrimonio assolutamente improduttivo. La censura non � fondata. Come questa Corte ha avuto gi� occasione di precisare, in materia di imposta complementare, qualora l'amministrazione finanziaria abbia adottato, in sede di accertamento, in luogo del metodo analitico quello sintetico, il potere del giudice ordinario rimane circoscritto all'accertamento dell'avvenuta specificazione dei fatti-indice posti a base dell'accertamento sintetico, dell'avvenuta contestazione dei medesimi al contribuente e dell'astratta idoneit� di tali fatti a legittimare nel caso concreto il ricorso al metodo in parola (S.U. 9 gennaio 1978 n. 48). N�, come il ricorrente tenta di accreditare, richiamandosi ad una ulteriore specificazione dell'ambito dei poteri attribuiti al giudice ordinario, � stata denunciata la mancata cognizione dei fatti accertati dalle commissioni tributarie di primo e di secondo grado ai fini di un apprezzamento dei medesimi tale da esaurirsi nel raffronto di essi con la fattispecie astratta dell'accertamento induttivo e nel controllo della correttezza e congn1it� dell'applicazione fatta di tale accertamento (sent. 30 marzo 1979 n. 1835), perch�, in realt�, senza contestare la ricorrenza dei fatti-indice valorizzati in sede di accertamento e l'astratta idoneit� di essi a sorreggere l'accertamento in via induttiva, si pretende di addebitare alla sentenza impu- Il 146 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO gnata di non avere compiuto il giudizio sulla portata significativa di quei fatti ai fini dell'entit� del reddito accertato, delineandone una valutazione ed interpretazione diverse da quelle compiute dalle commissioni. e ad esse riservate, per concludere con un apprezzamento, sotto tale profilo, difforme da quello cui le stesse sono pervenute. Deve essere, invece condivisa, al riguardo, la conclusione cui � pervenuta la Corte d'appello, di non poter estendere l'indagine sul se quei determinati fatti giustificassero Ja presunzione di un reddito di cento milioni di. lire o pi� adeguatamente si attagliassero ad una redditivit� inferiore o .comunque diversa, una volta riconosciuto che il procedimento di accertamento sintetico fu legittimamente introdotto secondo il paradigma legislativo. Con il terzo e quarto motivo, sotto il profilo dell'ulteriore violazione e falsa applicazione degli artt. 37 e 137 del t.u. n. 645 del 1958 (terzo motivo) e degli artt. 37, 29 terzo comma e 40 d.P.R. n. 636 del 1972 (quarto motivo), il ricorrente sostiene che � stato assunto, come idoneo fattoindice del suo reddito, il possesso di quote od azioni di partecipazione a societ� collegate, senza procedere ad accertamento analitico del reddito di esse e senza tenere conto che egli aveva dimostrato la sua estraneit� a quasi tutte le societ� in questione. Solo in conseguenza dell'obliterazione di questo maiterfail.e probatorio, fa Corte d'appeHo -continua 11 ricorrente -ha potuto considerare valido per il 1969 un accertamento fondato sul presupposto che il reinvestimento di 600 milioni (realizzati nel 1966per coprire delle perdite) abbia prodotto un reddito pari ad un sesto del capitale. La stessa Corte -prosegue il ricorrente -ha erroneamente disatteso il motivo di impugnazione della decisione della commissione di secondo grado, in cui �non v'� una sola parola sulla questione delle partecipazioni azionarie� e si accenna (soltanto) alla destinazione di �600 milioni ricavati dalla vendita (nel 1966) di partecipazioni azionarie; � caduta in contraddizione per avere affermato, da un lato, che esso Bennati aveva venduto nel 1966 tutte le sue partecipazioni, realizzando cos� seicento milioni ed avere supposto, dall'altro, la persistenza, negli anni successivi, di tali partecipazioni; per avere, in altre parole, presunto il reddito derivante dal reinvestimento dei 600 milioni e ritenuto la persistenza delle partecipazioni gi� vendute. Le censure che, nel loro nucleo essenziale, muovono da una lettura �della decisione della commissione di secondo grado e quindi di quella dei giudici di appello che non ne rispecchia l'esatta portata e, di conse guenza, la coerente ed esatta motivazione sui punti di cui ancora si discute, non possono essere accolte. La partecipazione del contribuente a societ� collegate � stata consi <Clerata un indice del reddito di cui egli godeva, in connessione degli altri. fatti-indice valorizzati; n�, ritenuta la legittimit� del ricorso all'accerta mento induttivo per la presunzione di un maggiore reddito, rispetto ' ; i ~ I I I I I I - PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA a quello accertabile sulla base degli elementi offerti dalla dichiarazione resa, derivante dal tenore di vita e dagli altri elementi e circostanze di fatto presi in considerazione, poteva essere richiesta in proposito una determinazione analitica. La commissione tributaria, la cui decisione la Corte d'appello ha confermato con una lunga, articolata e complessa motivazione che, proprio per queste sue caratteristiche, ha potuto offrire il pretesto a spunti critici di apparente consistenza, ha tenuto conto della documentazione presentata dal contribuente per ridimensionare il numero delle partecipazioni azionarie che gli era stato attribuito dall'ufficio, ma ha giudicato che le risultanze di essa non erano tali da elidere le conclusioni cui era giunto l'ufficio, posto che, come lo stesso contribuente riconosce ancora in questa sede, egli aveva dimostrato la sua estraneit� �a quasi tutte (cio� non a tutte) le societ� in questione �. � decisivo, poi, ricordare che la commissione tributaria di secondo grado, fa cui decisione era impugnata per virio di motivazione ed omesso esame delle questioni sollevate dal Bennati, ha tenuto conto delle (residue) partecipazioni azionarie di lui, precisando che esse non si esaurivano in quelle cui l'ufficio aveva fatto riferimento analiticamente ed in 01dine alle quali non era risultata provata la sua asserita totale estraneit�, ma ne comprendeva anche altre che erano state da lui cedute soltanto nel 1969. Non collimano, pertanto, con i risultati cui le commissioni tributarie sono giunte in punto di accertamento dei fatti e delle circostanze da cui hanno induttivamente quantificato il maggior reddito del contribuente, le premesse da cui muovono le censure: che sia stato cio� affermato un reinvestimento nel 1969 della somma di 600 milioni realizzati con le alienazioni di partecipazioni a2lionarie poste in essere nel 1966 e sia stata ritenuta l'avvenuta vendita delle partecipazioni azionarie nel 1966 per 600 milioni e (contraddittoriamente) la persistenza di tali partecipazioni negli anni successivi. La commissione di secondo grado e la corte d'appello, hanno, in realt�, tenuto ben distinto il complesso di partecipa2lioni azionarie di cui il Bennati era titolare e che in gran parte fu da lui alienato nel 1966 (per una cifra da essi giudici non indicata), dall'ulteriore �pacchetto � azionario da lui posseduto nello stesso periodo di tempo (posto che lo stesso ricorrente, sia pure assumendo di avere alienato le partecipazioni nell'anno 1966 per ripianare passivit� di societ� in cui era interessato, escludeva che l'operazione fosse avvenuta come disinvestimento in vista di impiego dei capitali ricavati in partecipazioni azionarie diverse dalle prime) e che risult� venduto per un importo di 600 milioni nel 1969, circostanza quest'ultima che le stesse commissioni, le quali ne avevano acquisito la documentazione bancaria, affermarono non essere stata mai contestata. (omissis) RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 10 giugno 1981, n. 3750 -Pres. Marchetti Est. Corda -P. M. Minetti (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Gargiulo) c. Partito Democrazia Cristiana (avv. Fanti). Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Simulazione -Sentenza � Tassabilit� come retrocessione -Ulteriore trasferimento a favore di terzo -Autonoma tassazione. (R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269, artt. 8, 11, 14 e 62). La sentenza che dichiara la simulazione, assoluta o relativa, di un atto di trasferimento opera una retrocessione a sua volta soggetta alla imposta; se poi, in caso di simulazione soggettiva, il negozio dissimulato produce effetto a favore di un terzo (interponente) � dovuta una terza imposta (1). (omissis) Con l'unico motivo di censura, la ricorrente Amministrazione :Eilnanziwia denuncia, ai sensi dell'art. 360 n. 3 e 5 cod. proc. civ., la violazione degli articoli 8, 10, 11, 12, 62 e 72 della legge organica di registro (r.d. 30 dicembre 1923 n. 3269) e critica la pronuncia impugnata nel punto in cui ha affermato: 1) che la sentenza presentata alla registrazione aveva accertato un caso di interposizione fittizia di persona (non gi� un caso di interposizione reale); 2) che, pertanto, la stessa sentenza non aveva operato alcun �trasferimento� (dei titoli azionari oggetto del negozio soggettivamente simulato); 3) che, quindi, nessuna imposta proporzionale di registro era dovuta in base a quella � enunciazione �. Chiarisce, anzitutto, che la sentenza in questione, anche se non ha (essa stessa) comportato alcun trasferimento, ha, per�, individuato e, quindi, �enunciato� un trasferimento dal prestanome all'interponente, per il quale non era stata pagata alcuna imposta di registro; e, altres�, che quest'ultima � dovuta non solo per il caso che il trasferimento sia disposto dalla sentenza presentata alla registrazione, ma anche per il caso che la sentenza predetta pronunci � su domande che si basano su convenzioni non ridotte per iscritto o per le quali non siano stati enunciati titoli registrati � (nel qual caso, oltre alla tassa dovuta sulla sentenza, � dovuta anche l'imposta alla quale la convenzione avrebbe dovuto assoggettarsi, secondo la sua natura, se fosse stata precedentemente registrata). Con riferimento al caso concreto, quindi, sostiene che '1a sentenza in questione, per poter accertare e dichiarare che la vendita dei titoli azio nari non era avvenuta nei confronti del Loi (prestanome), bens� del Par tito D.C. (interponente), aveva dovuto riconoscere (e, perci�, �enunciare�) � un trasferimento di azioni dagli originali possessori alla D.C., per il quale (1) Giurisprudenza costante: Cass. 6 luglio .1971, n. 1230; 28 gennaio 1974, n. 229; 6 gennaio 1979 n. 53, in questa Rassegna, 1971, I, 1220; 1974, I, 48,8; 1979, I, 305. I I Ii I I PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA nessuna imposta era stata corrisposta, senza possibilit� di confonderla con quella pagata dal Loi, attinente a un contratto formalmente concluso con esso Loi e non con la D.C.; di modo che la declaratoria giudiziale della simulazione doveva intendersi come innovativa rispetto alla titolarit� dei diritti ,tale da mutare la situazione preesistente con effetm ex nunc. La censura � fondata. La questione sottoposta all'esame della Corte ha gi� formato oggetto di una precedente pronuncia, con la quale si � affermato che, una volta dichiarata (con sentenza) la nullit� di un atto di trasferimento, o per simulazione assoluta, ovvero per simulazione relativa, l'Amministrazione finanziaria ha diritto a una nuova imposta proporzionale di registro, oltre a quella gi� corrisposta sull'atto annullato per simulazione, in quanto la legge fiscale presume un ulteriore ritrasferimento del bene (sent. 6 luglio 1971, n. 2097). Tale pronuncia, per la verit�, esprime un principio ancora pi� rigoroso, poich� dalla dichiarazione di nullit� dell'atto di trasferimento (per simulazione anche relativa) fa discendere la conseguenza del � ritrasferimento � del bene dal simulato acquirente all'alienante, il quale � soggetto all'imposta di registro, al pari del trasferimento simulato; di modo che, risultando un ulteriore � ritrasferimento � dal venditore a . un terzo (che, in caso di simulazione soggettiva � l'interponente}, � dovuta l'imposta una terza volta. Ai fini tributari, infatti, si configurano, in tale ipotesi, tre distinti negozi (l'atto simulato di vendita al prestanome, la retrocessione e, infine, la vendita all'interponente) autonomamente tassabili al momento della sottoposizione a registrazione, rispettivamente, del primo atto (simulato), dclda sentenza dichiamtiva de11a simulazione e della controdichiarazione. Ora, nel caso di specie, il contenuto della controdichiarazione �, evidentemente, trasfuso nella sentenza che ha, da un lato, accertato la simulazione e, dall'altro, dichiarato l'ulteriore � ritrasferimento � all'interponente; la domanda, per�, non concerne l'imposizione di due � ritrasferimenti �, ma solo dell'ultimo (cio� di quello del venditore all'interponente), di modo che la pronuncia � rimasta limitata al petitum. Il richiamo della citata sentenza, tuttavia, si � reso opportuno per render chiaro il meccanismo dei � ritrasferimenti � (come considerati dalla norma fiscale) e, in particolare, per far risaltare che la ratio della tassabilit� dell'ultimo di essi va individuata non gi� nella dichiarazione di nullit� (per simulazione}, bens� nel fatto del trasferimento del bene dal venditore al terzo acquirente (che, nel negozio soggettivamente simulato, era l'interponente). � chiaro, pertanto, che di fronte a tale impostazione perdono di efficacia le considerazioni fatte dalla pronuncia impugnata circa gli effetti �civili� della simulazione relativa. Se, infatti, agli effetti predetti, non 150. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO occorre, nel caso di interposizione fittizia di persona, un nuovo atto formale di trasferimento dall'alienante all'interponente (poich� l'alienante � consapevole dell'intervento del prestanome, che non ha acquistato alcun diritto, di modo che il negozio deve intendersi concluso direttamente tra l'alienante e l'interponente), agli effetti tributari la situazione � sostanzialmente diversa, una volta ricordato che l'imposta di registro � � imposta di atto � e che le convenzioni tassabili sono non solo quelle risultanti da atti formali, ma altres� quelle semplicemente � enunciate�. Di modo che, se � tassabile il negozio soggettivamente simulato (stante l'insensibilit� della legge di registro ai �vizi� dell'atto), altrettanto � tassabile la convenzione che attua il trasferimento dall'alienante all'interponente, anche se non contenuta in alcun atto formale. Del tutto privo di fondamento �, infine, il rilievo mosso dal contro: ricorrente, �secondo cui nella sentenza in questione (que11a presentata alla registrazione) non si sarebbe potuta ravvisare alcuna �enunciazione� del negozio dissimulato, poich� al relativo giudizio non avevano preso parte gli alienanti: la tassazione dei negozi o convenzioni �enunciati� in una sentenza presentata alla registrazione (art. 62 della legge di registro), infatti, prescinde totalmente dai vizi che, eventualmente, inficino la sentenza predetta, salva la restituzione, nei casi previsti (articoli 11 e 14 della legge citata)~ (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 25 giugno 1981, n. 4128 -Pres. Vigorita Est. Zappulli -P. M. Grimaldi (conf.) -Soc. S. Barnaba (avv. Manzini) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). Tributi (in genere). Contenzioso tributario -Ricorso alla Commissione cen� trale . Spedizione a mezzo posta . E' rilevante la data di ricevimento. (d.P.R. 26 gennaio 1972, n. 636, artt. 17, 22 e 25). Il ricorso alla Commissione centrale deve pervenire nel termine stabilito alla segreteria, s� che in caso di spedizione a mezza posta � rilevante la data di ricezione, non quella di spedizione (1). (1) Viene riconfermato l'orientamento della sent. 26 settembre 1978, n. 4319 (in questa Rassegna, 1979, I, 200). La diversa disciplina del ricorso alla Commissione centrale pu� trovare la sua quantificazione nella necessit� di conoscere tempestivamente se il termine per ricorrere alla Commdssione centrale � scaduto infruttuosamente, onde stabilire se' pu� essere proposta l'impugnazione alla corte d'appello; si verificherebbe una situazione difficoltosa se dopo la impugnazione innanzi alla corte d'appello legittimamente proposta a seguito della costatazione, certificata anche dalla segreteria, che nessun ricorso alla Commissione centrale � pervenuto alla segreteria nel termine ormai scaduto, venisse recapitato per posta un ricorso alla Centrale tempestivamente spedito e del quale si ignorava l'esistenza. - 151 PARTE I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (omissis) La societ� ricorrente, con il primo motivo del ricorso, ha lamentato la violazione nella decisione impugnata dell'art. 25 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 per essere stata ritenuta la tempestivit� del ricorso alla Commissione tributaria centrale da parte dell'ufficio finanziario sebbene pervenuto per questo alla segreteria della Commissione di Secondo Grado il 4 marzo 1975 e cio� nel sessantunesimo giorno dalla notifica della decisione. L'amministrezione finanziaria, a sua volta, ha recepito l'applicabilit� della proroga dei termini prevista dal d.l. 10 giugno 1974 n. 237 e la tempestivit� in ogni caso, della presentazione di quel ricorso per avere gli artt. 17 e 22 del citato d.P.R. n. 636 del 1972 stabilito che nel caso di sua spedizione a mezzo di raccomandata (come nella specie) �si considera come data di presentazione quella di spedizione � avvenuta il 27 febbraio 1975. Il ricorso va accolto per essere infondate entrambe �le eccezioni del:la Ammimstrazione rii.corrente, risultando la dedotta tardivit�, per ,essere riconosciuto dalle parti la recezione del ricorso nel sessantunesimo giorno della notifica della decisione. !!Il.vero, droa la dedotta proroga del �termine previsto dal dl. 19 giugno 1974 n. 237 con riferimento alle disposizioni contenute nel precedente d.l. 18 dicembre 1972 n. 788 convertito nella L. 15 febbraio 1973 n. 9, � facile osservare che il citato d.l. n. 788 del 1972, nel titolo e nel suo art. 1 disponeva la proroga suddetta esclusivamente � in materia di tasse e imposte indirette sugli affari � senza che nessuna norma l'avesse estesa alle imposte dirette, tra le quali � quella in questione. Per quanto concerne la presentazione del ricorso va posto in rilievo che la sopra riportata norma contenuta nella parte finale del primo comma del citato art. 17 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 viale iper il ricorso alla commissione tributaria di primo grado, al quale si riferisce espressamente lo stesso art. 17 insieme alle altre norme comprese nella medesima sezione prima, avente come titolo il � procedimento di primo grado � e per quello alla commissione di secondo grado, per il quaie l'art. 22, compreso nella sezione successiva relativa al procedimento di appello, dispone espressamente che per esso si applicano le disposizioni dell'art. 17 primo e secondo comma. Invece, per H ricorso alla Commissione tributaria centrale, previsto e regolato dalla sezione terza, l'art. 25 dispone nel primo comma che � si applica il secondo comma dell'art. 15 � e nel successivo sesto comma che, in caso di mancanza delle copie previste per il ricorso, si applica il secondo comma dell'art. 17, senza che alcuna sua disposizione rinvii alle altre norme sul procedimento innanzi le commissioni di primo grado n�, ancor meno, al citato primo comma del suddetto art. 17. 111111111w11111111!111111-11t1;11111111lr1;111111��1111111111l,�t1 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO " I Nella \l1ilevata assenza di una norma che consenta quella diversa valutazione della data di spedizione non pu� non tenersi presente il principio generale in virt� del quale la scelta di un mezzo di notificazione, quale ~~~!~ ~:~laild~::!~:, d:~a~~~~::~a!~:t~ein~!;t:,r;;:n:: ~~0::0~n~:~v~~ notificando provveda ai propri adempimenti e quello della effettiva recezione dell'atto da parte del destinatario della notifica, importa che il notificante stesso deve adeguare la propria condotta a tale difformit� senza che la scelta del mezzo giustifichi una situazione di incertezza, sia pure temporanea, per la controparte. Questa Suprema Corte, proprio in tal materia, ha affermato, sulla base della disposizione espressa contenuta negli artt. 17 e 22, insuscettibile di applicazione analogica, che nel caso di spedizione alla Commissione tributaria ceintrafo deve farsti. dfedmento alla data di arrivo del ricorso (Cass. 26 settembre 1978 n. 4319) spiegando la diversit� della relativa regolamentazione sia nel diverso contenuto della impugnazione innanzi la suddetta commissione centrale sia nella alternativit� dell'impugnazione stessa rispetto a quella che, secondo l'art. 40, pu� essere proposta alla corte di appello e che � soggetta alle fanne pi� rigorose del- l'ordi.tnario rito civile. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un. 27 giugno 1981, n. 4185 -Pres. La Farina -Est. Zappulli -P. M. Saja (conf.). Signori (avv. Marzolo) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Imponente). Tributi (in genere) -Contenzioso tributarlo -Estimazione semplice -Nozione -Sussistenza del presupposto -Vi � compresa. Rientrano nella categoria dell'estimazione semplice, oggi pi� esattamente definita valutazione estimativa, le questioni nelle quali l'indagine sulla sussistenza ed entit� del presupposto impositivo si traduce in una mera valutazione di dati ed elementi di fatto, prescindendo dalla soluzione di questioni giuridiche ovvero dalla interpretazione di leggi, regolamenti, atti e negozi (1). (1) Massima apparentemente ripetitiva ma che contiene due jmportanti enunciati: la sostanziale equivalenza tra estimazione semplice e valutazione estimativa (che poi la odierna valutazione estimativa sia espressione pi� esatta di estimazione semplice � soltanto una opinione di contorno); la ricomprensione nella estimazione semplice delle questioni sulla esistenza, oltre che sulla entit�, del presupposto e quindi anche, con riferimento al caso controverso, sulla riferibilit� del fatto presupposto ad uno o ad altro soggetto (ovviamente la questione pu� diventare di estimazione complessa ove sul punto dell'esistenza del presupposto e della sua riferibilit� venga in discussione la applicazione della legge). f i~: il 153 PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (omissis) La ricorrente Signori ha lamentato, con il primo motivo del ricorso, la violazione, nella sentenza impugnata, dell'art. 53 dcl r.d. 24 agosto 1877 n. 4021 e dell'art. 40 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, per avere la Corte di merito definito quale controversia di estimazione semplice, come tale sottratta alla giurisdizione del giudice ordinario, e attriibuita aHe commissioni tributarie, quella sulla inesistenza della sua obbligazione tributaria per l'assenza di un corrispondente reddito sebbene si t�'attasse di una questione per la quale vi erano state indagini per un decennio nelle sedi amministrativa, civile e penale su elementi apparenti e non reali quali la titolarit� degli effetti cambiari e le procedure esecutive. Si doveva accertare, secondo la ricorrente, se vi fosse stato un negozio v:ero o simulato e chi fosse :i:l reaile percettore del reddito, e cio� la stessa ricorrente, al cui nome erano stati rilasciati i titoli, o la effettiva mutuante e creditrice Azzi, alla quale gli stessi, per precedente accordo, erano stati consegnati con girata in bianco e che aveva promosso l'esecuzione. Con il secondo motivo, sostanzialmente connesso, � stata lamentata la mancata presa in considerazione da parte del giudice di merito del documento relativo all'attribuzione alla suddetta Azzi della somma ricavata dalla vendita all'asta dei beni della Signori in base alle cambiali ipotecarie, non persistendo deposito della somma medesima in seguito al decesso della stessa Azzi, e della sentenza istruttoria di proscioglimento della ricorrente dall'attribuitole reato di omissione di denunzia del reddito in questione (art. 17 e 244 del T.U. sulle imposte dirette approvato con d.P.R. 29 gennaio 1958 n. 645) �perch� il fatto non sussiste�. I due motivi sono fondati. Pur se sono impropri e irrilevanti i richiami della ricorrente alle difficolt� e lunghezze degli accertamenti, le quali possono sussistere anche per le questioni di estimazione semplice, pi� esattamente definite di �valutazione estimativa� secondo l'art. 40 del citato d.P.R. n. 636 del 1972, occovre, peraltro, tem:r presente la fondamentale distinzione posta al riguardo dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte. Secondo la stessa rientrano in quella categoria, in contrapposizione alle controversie di estimazione complessa, e sono come tali sottratte alla giurisdizione del giudice ordinario, quelle nelle quali L'una e l'alt11a proposizione, che erano state infinite volte riaffermate in tempi recenti e remoti sono state messe in dubbio per riservare alla valutazione estimativa un'area pi� ristretta di quella tradizionalmente riconosciuta all'estimazione semplice e di conseguenza allargare l'oggetto dell'impugnazione di terzo grado. Sull'articolato problema V. BAFILE, Osservazioni sul giudizio di terzo grado nel nuovo contenzioso tributario, in questa Rassegna, .1977, I, 874; Nuove riflessioni sul giudizio di terzo grado nel nuovo processo tributario, ivi 1980, I 429; Nuove prospettive per il giudizio di terzo grado? ivi, 1981, l, 109. 111.1mr11r11r11~111:111111111.1111111~r111rr1111i111:11111111111111r11111111111 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO l'indagine sulla sussistenza ed entit� dei presupposti impositivi si traduce in una mera valutazione di dati ed elementi di fatto, prescindendo dalla soluzione di questioni giuridiche ovvero dalla inte:rpretazione di leggi, regolamenti, atti o negozi (Sez. Un. 4 agosto 1977 n. 3465). Invece, sono di estimazione complessa quelle nelle quali, la determinazione della base imponibile dipenda, insieme o no, alle prime, dall'interpretazione suddetta. Secondo la stessa Suprema Corte esula dall'ambito dell'estimazione semplice la questione inerente alla valutazione degli elementi probatori offerti ove essa importi necessariamente anche l'interpretazione del significato e della portata di norme di legge (Sez. Un. 26 gennaio 1978 n. 356). In base a questi principi, non pu� sfuggire che nella specie non sono in contestazione meramente l'esistenza e la entit� del reddito imponibile dipendente dai titoli cambiari garantiti con l'ipoteca, ma la loro appartenenza all'uno o all'altro dei soggetti indicati, e cio� la Signori o la defunta Azzi, non gi� per una indagine sulla percezione di fatto dei relativi interessi, ma sulla loro spettanza effettiva secondo il valore e gli effetti di quei titoli cambiari e di quel trasferimento mediante la predisposta girata in bianco, per la quale � stata prospettata una simulazione soggettiva. N� � fuori luogo rilevare che anche la sentenza penale di proscioglimento, pur se non avente iil ~alore di giudicato perch� emessa in sede istrut<toria, determina nuovi problemi giuridici per �iil suo contenuto e fa formula � perch� il fatto non sussiste � in riferimento a quell'obbligo di denunzia di un reddito del quale vi � stato affermato che la imputata non l'aveva percepito, per essere stato �riscosso dalla Azzi � alla quale i titoli pervennero con girata in bianco e che di fatto fu la reale mutuante e la reale creditrice dei titoli in narrativa. Circa tale sentenza � da rilevare che essa, pur riguardando un mero fatto, e cio� la mancata percezione del reddito da parte della Signori, costituiva, peraltro, uno dei vari elementi di carattere giuridico il cui esame era suscettibile di influenza sulla valutazione e definizione del rapporto giuridico posto in essere fra i tre interessati, e quindi sia al fine del riconoscimento o meno della giurisdizione del giudice ordinario sia per la definizione della controversia tributaria. Indubbiamente, non spetta a questa Corte pronunziare sulla fonda tezza o meno delle eccezioni della Signori sulla assenza del suo obbligo tributario in relazione agli interessi per le somme indicate nei titoli indi cati, ma deve ben riconoscersi che l'indagine necessaria non riguarda solo l'entit� e la percezione di quel reddito, ma anche i suoi conc<;>rrenti ele menti di carattere giuridico sopra indicati per i negozi intervenuti tra i tre interessati in relazione alle caratteristiche di legge di quei titoli e alle conseguenze da valutare pure in relazione alla pronuncia peraltro non vincolante, del giudice penale .(omissis) PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 155 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 2 luglio 1981, n. 4287 -Pres. Granata -Est. Cochetti -P. M. Silocchi (conf.). Minghetti ed altri (avv. Cogliati Dezza) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Carbone). Tributi (in genere) -Contenzioso tributarlo � Procedimento innanzi alla Commissione centrale -Avviso di fissazione d'udienza� Termine � Inos servanza -Nullit� della decisione. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 27). Il termine di almeno 60 gg. stabilito dall'art. 27 del d.P.R. n. 636/1972 per la comunicazione della data della adunanza della Commissione centrale � essenziale e la sua inosservanza comporta la nullit� della �decisione, a meno che la parte che ha ricevuto la comunicazione� tardivamente non abbia esercitato il suo diritto di difesa senza eccepire il difetto del termine (1). (omissis) Con l'unico motivo i ricorrenti hanno censurato la decisione per violia2lione dell'art. 27, terzo e quarto comma, del d.P.R. n. 636 del 1972, lamentando il mancato rispetto, nel procedimento innanzi la Commissione Centrale del termine di sessanta giorni previsto dalla norma citata. Essi hanno sostenuto che gli avvisi per raccomandata -da essi prodotti in questa sede -della data di decisione del ricorso tributario (fissata per il 10 luglio 1970) sarebbero stati spediti soltanto il 25 maggio 1970 -come risulterebbe dal timbro postale -e, quindi, meno di sessanta giorni prima della data medesima. Poich� l'indagine sul fondamento della censura, in relazione al dedotto errar in procedendo, pu� essere� compiuta da questa Corte esaminando direttamente gli atti del processo tributario, pu� prescindersi dalla deci sione circa l'ammissibilit� in questa sede di legittimit�, ai sensi del l'art. 372 cod. proc. civ., della produzione dei documenti depositati dai ricorrenti, tendenti a corroborare la tesi dai medesimi sostenuta della nullit� del procedimento svoltosi innanzi alla Commissione Centrale. (t!. noto che numerose sentenze di questa Corte hanno ritenuto -in con (1) Eta pacifico che, anche innanzi alla Commissione centrale, � sempre essenziale la comunicazione della data della adunanza giacch� la parte, pur non potendo assistere alla udienza, pu� presentare difese scritte ed ha diritto di conoscere la composizione della Commissione ai fini della proposizione dell'istanza di ricusazione. Ora si aggiunge che anche il termine per la comunicazione � essenziale. La stessa sentenza per� precisa che l'inosservanza del termine comporta la nullit� della decisione soltanto ove la parte resti passiva. Se infatti la parte esercita egualmente il suo diritto di difesa presentando la memoria e nulla eccepisce, nessuna nullit� pu� essere dichiarata. Se poi la parte eccepisce innanzi alla Commissione l'inosservanza del termine, questa dovrebbe fissare altra data eliminando cos� ogni irregolarit�. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO trasto con altre decisioni -che la locuzione �nullit� della sentenza� di cu iall'art. 372, primo comma, cod. proc. civ. -che pone limiti alla produzione di documenti in Cassazione, deve essere intesa in senso restrittivo, come comprensiva delle sole nullit� direttamente derivanti da vizi propri di tale atto, di ordine sia formale che sostanziale (art. 132, 156, cpv., 158, 161, secondo comma, cod. proc. civ.) con esclusione della nullit� che possa, per via riflessa e mediata, scaturire da vizi propri del procedimento (v. sent. n. 3876/80; n. 6542/79; n. 4657/79; n. 962/79; n. 6096/78; contra: sent. n. 705/80; n. 4891/77; n. 3503/77; n. 3506/72). Tanto premesso, si osserva in merito alla dedotta inosservanza del termine previsto dal citato art. 27, terzo comma, che nel giudizio innanzi la Commiss!ione centrale il'obbligo della comunicazione ,alle parti, al.meno sessanta giorni prima, della data fissata per la decisione del ricorso (che avviene in Camera di Consiglio, senza discussione e senza la presenza delle parti, essendo previsto solo un contraddittorio scritto) � stabilito in relazione al diritto delle parti medesime di presentare memorie e repliche entro certi termini e per consentire loro di conoscere la composizione della Commissione o di proporre un'eventuale istanza di ricusazione. Nel caso in esame, agli atti della Commissione centrale non vi � traccia della copia dell'avviso di fissazione della decisione, n� tampoco della ricezione da parte degli odierni ricorrenti della relativa comunicazione. La mancanza di prova della regolarit� e della tempestivit� della comunicazione importa la violazione del contraddittorio e, conseguentemente, la nullit� dell'impugnata decisione. N� pu� ritenersi, come si fa dalla resistente amministrazione finanziaria, che poich� l'avviso sarebbe pervenuto ai contribuenti -secondo il loro assunto -tardivamente ma, comunque, prima della data in cui � stata pronunciata la decisione impugnata, l'eccezione di nullit� derivante dall'inosservanza del termine di cui all'art. 27 sarebbe preclusa per mancata deduzione nel processo tributario, potendo la predetta nullit� essere dichiarata -come questa Corte ha affermato con la sentenza n. 2880/77 -soltanto se la parte interessata l'abbia dedotta nella prima istanza o difesa successiva, ai sensi dell'art. 157, secondo comma, cod. proc. civ. La citata disposizione del codice di procedura civile (applicabile al procedimento innanzi alle Commissioni tributarie in virt� della norma di rinvio contenuta nell'art. 39 del decreto presidenziale n. 636 del 1972) la quale impone alla parte che vi abbia interesse di eccepire la nullit� di un atto processuale nella prima istanza o difesa che, nullitate cognita, essa rivolga al giudice, postula infatti -come � reso palese dall'interpretazione letterale e logica della norma -un comportamento processuale attivo e positivo, non gi� meramente passivo, nel quale deve inserirsi f ! f f. f. f f f f ' PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 157 l'omissione dell'eccezione di nullit� relativa, non potendo ravvisarsi una rinuncia tacita a far valere le nullit� verificatesi nel corso del processo nella mera inattivit� processuale della parte (v. in argomento: sentenze n. 1994/80; n. 3475/79; n. 1757/74; n. 1497/69). Pertanto, non trova aderenza con la fattispecie in decisione il richiamo alla sentenza di questa Corte n. 2880/77, concernente una fattispecie processuale in cui le parti avevano presentato alla Commissione centrale memorie e repliche contenenti difese di merito, nelle quali nulla era stato dedotto sull'irregolarit� dell'avviso. Nel caso in esame, per converso, risuha dal fascicolo di ufficio trasmesso dalla Commissione centmle che gli odierni ricorrenti non hanno presentato, successivamente alla comunicazione intempestiva, alcuna istanza o difesa alla predetta commissione, di modo che, essendo mancata l'accettazione del contraddittorio, non ha operato la fattispecie convalidatrice di cui al citato art. 157, secondo comma, cod. proc. civ. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 2 luglio 1981, n. 4289 -Pres. Marchetti Est. Zappulli -P. M. Gazzarra (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Palatiello) c. I.A.C.P. di Ravenna. Tributi focali -Imposta focale sui redditi -Immobili strumentali per l'esercizio di attivit� commerciali -Case costruite dagli I.A.C.P. -Sono tali -Assoggettamento all'ILOR -Esclusione. (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, artt. 4 e 6; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 21, 40 e 52; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598, art. 5). Le case costruite dagli l.A.C.P. per i propri fini istituzionali e destinate alla locazione sono beni strumentali per l'attivit� commerciale da essi svolta. I redditi prodotti da tali immobili sono pertanto componente del reddito di impresa e non costituiscono redditi fondiari soggetti separatamente all'l.L.O.R. (1). (1) Sulla natura (oggettivamente) commerciale dell'attivit� istituzionale degli I.A.C.P. v. Cass. 9 marzo 1979 n. 1479 e 9 luglio 1979 n. 3915, in questa Rassegna, 1979, I, 524 e 1980, I, 173. In base allo stesso prinoipio � stato pure affermato che i proventi della cessione in propriet� degli alloggi costituiscono ricavi, ossia corrispettivi di operaziorni dentranti nell'ordinaria attivit� istituzionale e non plusvalenze (Cass. 22 settembre 1978 n. 4248, ivi, 1979, I, 193). Se dunque le case destinate alla cessione in propriet� sono (secondo l'espressione dell'art. 53 del d.P.R. n. 597/73) � beni alla cui produzione o al cui scambio � diretta l'attivit� dell'impresa � sembra coerente l'affermazione che le case destinate alla locazione siano beni strumentali per la prestazione del servizio consistente nell'offerta di uso di alloggi dietro corrispE'ttivo secondo l'attivit� di istituto degli I.A.C.P., anch'essa rientrante nell'esercizio di impresa. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO (omissis) Con l'unico motivo del ricorso avverso la decisione della Commissione tribu1lruria centraile, l'Amministrazione finanziaria ha lamentato la violazione, nella medesima, degli artt. 4 e 6 dei d.P.R. 29 settembre 1973 n. 599, 21, 40 e 52 del d.P.R. in pari data n. 597 e dell'art. 5 del d.P.R. ~n uguail data n. 598 per avere erroneamente Ja suddetta commissione ritenuto che gli alloggi dati in locazione dall'Istituto costituivano �beni strumentali per l'esercizio di imprese commerciali� da parte sua e che rientravano, come tali, nell'ipotesi prevista dall'art. 40 del menzionato decreto n. 597, istitutivo dell'IRPEF, richiamato, a sua volta, nel quinto comma dell'art. 6 del D.P. n. 599, relativo all'imposta locale sui redditi (ILOR), in virt� del quale, per quei beni, era esclusa l'iscrizione a ruolo, con conseguente esenzione dall'imposta. Invece, secondo il Ministero ricorrente, l'attivit� commerciale degli Istituti per le Case Popolari si esauriva con la costruzione delle case, non avendo ugual natura la successiva gestione del patrimonio mediante i contratti di locazione, i quali davano luogo ad una fonte autonoma di redditi fondiari, come tali soggetti all'ILOR, mentre quegli immobili non avevano il carattere di strumentalit� rispetto all'esercizio dell'impresa. Il motivo � infondato. Invero, sotto l'aspetto dell'attivit� commerciale l'Amministrazione fiinanziaria ha �riconosciuto che anche gli enti rpubblici, tra i quali l'Istituto suddetto, possono svolgere un'attivit� commerciale che non � identificabile necessariamente con quella svolta a fine speculativo (come anche nel campo dei soggetti privati: es. le cooperative di consumo, ecc.) e la limitazione affermata dal Ministero per la sola attivit� di costruzione � del tutto infondata e ingiustificata. Non si pu�, infatti, per la stretta correlazione, separare, con conseguente contrapposizione, Uattivit� di �provvista�, e cio� di costruzione degli alloggi da destinarsi secondo i La sentenza ha per� avuto cura di bene distinguere l'attivit� di impresa consistente nell'intervento sul mercato edilizio con quella � meramente patrimoniale � che svolgono gli immobili � diretti solo a fornire un reddito occasiona!� mente connesso all'attivit� imprenditoriale del possessore�. Tale distinzione � di molto rilievo ai fini della interpretazione dell'art. 40 del d.P.R. n. 597/1973; si esclude cio� che tutti gli immobili relativi all'impresa e quelli posseduti da societ� siano sempre beni strumentali, come tali non soggetti separatamente all'ILOR a norma dell'art. 4 del d.P.R. n. 599/11973, perch� nell'ambito dei beni immobili, tutti relativi alla impresa, occorre distinguere fra beni che costituiscono il fine dell'attivit� dell'impresa (che producono ricavi), beni strumentali veri e propri (che se ceduti producono plusvalenze) e beni patrimoniali che producono un reddito di natura fondiaria; quest'ultimo va sempre determinato secondo le risultanze catastali (o transitoriamente, per i fabbricati, in base alla legge 23 febbraio 1960, n. 131) e concorre a formare il reddito complessivo dell'impresa ai fini dell'IRPEF (art. 52 secondo comma d.P.R. n. 597/1973), ma � soggetto separatamente all'ILOR (art. 4, comma quinto, d.P.R. n. 599/1973). PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA noti fini istituzionali alle categorie meno abbienti dalla loro sistematica e generale locazione (fuori dei casi di vendita previsti separatamente). Quest'ultima costituisce non una mera gestione di beni incidentalmente appartenenti all'istituto ma l'attivit� istituzionale dell'ente, sorto con quel fine, e si estende, nell'attuazione del medesimo, all'assoluta maggioranza dei suoi beni immobili, con la immissione dei singoli appartamenti nel mercato locatizio e con scambio della prestazione del loro godimento contro un corrispettivo. Quest'ultimo, pur se determinato con particolari criteri e senza fini speculativi, non sfugge all'esigenza di assicurare all'ente la copertura dei suoi oneri e delle spese gi� sostenute. Il fatto, poi, che i conduttori siano scelti con speciali procedure entro particolari categorie e che il rapporto locatizio sorga in seguito all'atto amministrativo relativo a tale scelta e con determinate condizioni, connesse ai fini istituzionali gi� considerati, non esclude che quella generale attivit� di locazione sia di carattere commerciale perch� anche nel comune commercio vi possono essere, per legge o per pattuizione, particolari limitazioni soggettive e discipline diverse da quelle comuni, con sottrazione al libero scambio e alla generale libert� di mercato. Il concorso di questa attivit� commerciale dell'attivit� locatizia e della identificabilit� di quest'ultima con il fine istituzionale dell'ente, salvo che per le vendite specificamente previste, conferma il carattere stru mentale degli immobili locati per abitazioni perch� � attraverso la sud detta attivit� che si realizza il menzionato fine e senza la stessa gli istituti non avrebbero ragione d'essere. Non sembra che la generica intitolazione del citato art. 40 � immobili destinati ad attivit� commerciali� per la sua genericit� sia tale da contrastare o limitare il riconoscimento del carattere strumentale dei beni che nella pi� precisa e decisiva statuizione contenuta nell'articolo sono indicati con preciso riferimento al loro im piego � per l'esercizio di imprese commerciali �. N� pu� trascurarsi la diversit� del suddetto art. 40 rispetto all'art. 72 del t.u. sulle imposte dirette approvato con d.P.R. 28 gennaio 1958 n. 645 relativo all'imposta fabbricati, perch� quella precedente norma escludeva la suddetta imposta, e quindi il carattere fondiario dei beni, solo per �le costruzioni destinate specificamente all'esercizio di attivit� commer ciali e non suscettibili di altra destinazione senza radicale trasformazione... se il possessore esercita direttamente l'a.ttivit� cui la costruzione � desti nata� con una rigorosa limitazione relativa ad elementi oggettivi e sog gettivi che non possono ritenersi necessari nella delimitazione della nuova legge per la pi� generica strumentalit� prevista con diversa formula. Non � dubbio che il citato art. 40, attraverso la statuizione negativa (�non sono considerati redditi fondiari�) per quei beni immobili strumentali in esso menzionati, ha posto in rilievo la sottintesa contrappo 160 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sizione tra la funzione meramente patrimoniale di quelli che siano diretti solo a fornire un reddito occasionalmente connesso all'attivit� imprenditoriale del possessore pur se concorrono, nella economia dell'impresa, ad assicurare mezzi finanziari per la sua attivit�, e quelli che non rientrano in una gestione meramente incidentale ma formano il mezzo diretto per l'attivit� imprenditoriale. In base a questa distinzione le locazioni delle abitazioni degli istituti considerati sono necessariamente destinati, con scambio di prestazioni e di corrispettivi pecuniari, a far conseguire, attraverso l'immissione sul mercato edilizio con effetti anche di calmiere, da un lato il soddisfacimento dei bisogni di abitazioni delle categorie meno abbienti e dall'altro quei mezzi pecuniari necessari per il mantenimento dei beni stessi e delle connesse attivit� nel perseguimento dei fini istituzionali, mentre senza quelle locazioni rimarrebbe vana ed economicamente passiva la precedente attivit� edilizia. Non possono, pertanto, quei beni immobili considerarsi per gli istituti suddetti una mera dotazione patrimoniale o un supporto economico estraneo alle loro finalit�. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 11 luglio 1981, n. 4508 -Pres. Marchetti Est. Lipari -P. M. Leo (diff.) Ministero delle Finanze (avv. Stato Tamiozzo) c. A.C.I. Tributi (in genere) � Contenzioso tributario -Ricorso per Cassazione Termine � Art. 327 c.p.c. -Si applica -Notifica della decisione a cura della segreteria -Effetto incerto. (C.p.c. art. 327; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 38). Al ricorso per cassazione contro decisione della Commissione centrale � sempre applicabile l'art. 327 cod. proc. civ. in base al quale l'impugnazione non pu� essere proposta dopo il decorso di un anno dalla pubblicazione. Quanto al termine breve di 60 giorni, a parte l'ipotesi della notifica della decisione integrale ad istanza di parte, sussistono perplessit� ed incertezze non ancora superate a proposito della idoneit� a far decorrere il termine dalla notificazione o dalla comunicazione del solo dispositivo a cura della segreteria (1). (1) Sulla prima parte della massima la giurisprudenza � ormai consolidata, ma sempre pi� grave � l'incertezza sull'effetto che produce sul termine la notificazione (a.lla parte privata) e la comunicazione (all'ufficio) che del dispositivo della decisione �fa la segreteria a norma dell'art. 38 del d.P.R. 636/1972 (v. fra le pi� recenti discordanti pronunzie Cass. 24 gennaio 1981, n. 542 e 27 gennaio 1981 n. 624, in questa Rassegna, 1981, I, 589 e 590). A complicare il problema � sopravvenuta la novella sul contenzioso (d.P.R. 3 novembre 1981 n. 739) che ha modificato l'art. 38 sopprimendo (apparentemen ! f 'f f I f. r 161 PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRmUTARIA (omissis) Preliminarmente si deve verificare d'ufficio la tempestivit� del ricorso. Al riguardo va premesso in fatto che la decisione della Commissione centrale delle :imposte impugnata, dell'll giugno 1977, risulta depositata H 30 luglio 1977, e comunicata 1all'Ufficio 1i!l 29 �luglio 1978 e che il ricorso � stato notificato in data 8 novembre 1978. Alla stregua delle disposizioni del nuovo contenzioso tributario, di cui al d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, la disciplina della pubblicazione, comunicazione e notificazione delle decisioni, risultante dall'art. 38, cui si correlano i termini per le impugnazioni (cfr. art. 22 per il ricorso alla Commissione di secondo grado ed art. 25 per il ricorso alla Corte di appello) e la decisione delle Commissioni sono rese pubbliche mediante deposito in segreteria {primo comma), dl dispositivo delle decisioni medesime � noti.fj.cato, a cura della segreteria, al contribuente entro dieci giorni dal deposito e nello stesso termine � comunicato all'ufficio con elenco in duplice esemplare, uno <;lei quali, datato e sottoscritto dall'ufficio ricevente, � restituito alla segreteria della commissione e tenuto a disposizione del contribuente. Nell'interpretare tale norma si � ritenuto costantemente che la pubblicazione, tipologicamente unitaria secondo i princ�pi generali, si concreta nel deposito della decisione (vale a dire dell'intero testo della pronuncia giurisdizionale comprensivo della motivazione e del dispositivo formato in precedenza ai sensi dell'art. 20 terzo comma, immediatamente te) la notificazione per estratto della decisione. Nel nuovo testo si stabilisce (terzo comma) che il dispositivo � � comunicato alle parti �; non si parla pi� di no1ificazioni a cura della segreteria. A sua volta nel nuovo testo dell'art. 32 (primo comma) si stabilisce che le comunica2'Jioni sono fatte mediante avviso consegnato alle parti o spedito in plico senza busta raccomandata con avviso di ricevimento e si aggiunge che all'ufficio le � comunicazioni � possono essere fatte mediante trasmissione di elenco in duplice esemplare; questa trasmissione con elenco che era dichiarata equivalente alla notificazione � oggi esplicita� mente definita una comunicazione. Potrebbe quindi pensarsi che la novella, raccogliendo l'eco delle pi� recenti pronunzie, abbia inteso stabilire che, per far decorrere il termine breve sia necessaria la notifica integrale della decisione ad istanza di parte, posto che la segreteria non provvede mai alla notifica. Tutto questo potrebbe sembrare ragionevole se si discutesse soltanto del ricorso .per cassazione, come hanno fatto le molte pronunzie della S.C., sulla pre messa che il d.P.R. sul contenzioso non ha disciplinato questa impugnazione. Ma i menzionati artt. 32 e 38 sono norme generali che riguardano tutte le notifi cazioni e si riferiscono a tutte le decisioni di ogni grado. Sotto questa prospet� tiva non � pi� ragionevole che ogni decisione debba essere notificata ad istanza di parte se si: vuole evitare una lunga stasi dopo ogni decisione (come se non fossero gi� abbastanza lunghi i tempi del .processo tributario), e semprech� si riconosca (e ci� potrebbe essere sostenibile) che anche per l'appello e ricorso in terzo grado sia applicabile l'art. 327 c.p.c., che altrimenti si avrebbe una impugnabilit� senza limiti di tempo. Ma se continuiamo a leggere l'art. 32 ve 12 162 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dopo la deliberazione). Questa scissione tra formazione (e deposito) del dispositivo e formazione (e deposito) della decisione si riverbera sulle forme di conoscenza all'uopo predisposte in relazione alla iniziativa relativa, ai contenuti ed alle forme eventualmente suscettibili di riflettersi sulla decorrenza dei termini. All'iniziativa della segreteria della Commissione � affidato il compito di provvedere a portare a conoscenza rispettivamente del contribuente e dell'ufficio il dispositivo. All'uopo il legislatore adotta distinta terminologia, parlando di notificazione rispetto al primo e di comunicazione rispetto al secondo, caratterizzata dalla pluralit� delle decisioni che, volta a volta, ne formano oggetto. La notificazione dell'intera decisione rimane, invece, affidata alla iniziativa facoltativa della parte, che pu�, a tale scopo, richiedere copia autentica, che la segreteria � tenuta a rilasciare, provvedendo quindi ai conseguenziali adempimenti notificatori. Nel sistema del contenzioso tributario, ai fini del termine per le impugnazioni, non rileva, quindi, in principio n� la pubblicazione della decisione, n� la sua notificazione in extenso, ma soltanto la conoscenza correlata per l'ufficio e per la parte risoettivamente alla comunicazione ed alla notificazione del solo dispositivo, con l'effetto che detto termine non ha decorrenza unica, tanto per l'amministrazione che per �l contribuente (cfr. sent. 3242/77). diamo (rerzo comma) che le notificazioni possono essere fatte direttamente (non si sa se anche dal privato ma sicuramente dalla segreteria) mediante plico senza busta raccomandata con avviso di ricevimento. Cosicch� l'operazione che fa la segreteria consistente nello spedire il dispo sitivo in plico senza busta raccomandato con avviso di ricevimento � allo stesso tempo una comunicazione (primo comma) e una notificazione (terzo comma). Siamo cos� tornati al punto di partenza. Bisogna allora vedere se a far decorrere il termine sia idonea una comunica zione-notificazione del solo dispositivo. Per quel che riguarda l'impugnazione in secondo e in terzo grado non sembra dubbio che valga a far decorrere il termine la notificazione del solo dispositivo; l'art. 22, non modificato per la parte che interessa e poco coordinato oggi con gli artt. 32 e 38, stabilisce ancora che il termine di 60 gg. a decorrere � rispettiv�amente dalla notifica o dalla comunica zione prevista dal terzo comma dell'art. 38 � e l'art. 25, del pari ignorato dalla riforma, ancor pi� esplicitamente fa decorrere il termine � rispettivamente dalla notificazione e comunicazione del dispositivo della decisione impugnata�. In questa confusione che si � creata per il mancato collegamento tra gli artt. 22 e 25 con gli artt. 32 e 38, una delle poche certezze che risultano � proprio la idoneit� del solo dispositivo a dare inizio alla decorrenza del termine nell'am bito del processo speciale. Si torna cos� al problema iniziale se la disciplina speciale (ed unitaria) sulla notifica delle decisioni sia applicabile anche per la notifica della decisione della Commissione centrale che si collegia al :riicorso per cassazione. I I I f:~ I I ! !" I I PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Nessun dubbio sussiste circa l'operativit� del sistema all'interno del processo tributario davanti aiHe Commissioni, cos� come risulta discipHnato dal d.P.R. n. 636. Perplessit� ed incertezza interpretative, non ancora definitivamente superate, sono sorte, invece, rispetto alla possibilit� di far capo al suddetto sistema anche ai fini dell'identificazione dei termini per ricorrere in cassazione ex art. 111 Cost., specificamente a proposito della idoneit� della comunicazione, e rispettivamente della notificazione, del solo dispositivo a far decorrere il termine base ex artt. 325, 326 cod. proc. civ. Ritiene H coMegio che nella situaz;ione di �Specie non sia necessario prendere posizione sul punto, giacch� anche accogliendo la soluzione, in via di superamento, che porta a considerare sufficiente a far scattare il termine breve la notificazione, ovvero la comunicazione del solo dispositivo, il ricorso risulterebbe ugualmente inammissibile per tardivit�. La regola di cui all'art. 327 ha, invero, carattere assolutamente generale, fissando, per ragioni di certezza, un termine di per s� invalicabile (salva l'incidenza di norme che comportino in linea di massima la proroga del termine stesso), sicch� sulla sua decorrenza non pu� innestarsi, scavalcando, il termine breve per effetto di notificazione avvenuta nell'imminenza del suo operare poich� tale notificazione risponde ad una ratio di accelerazione, ed opera quindi esclusivamente all'interno del periodo considerato, in senso riduttivo. Per esprimere questo concetto la norma dell'art. 327 cod. proc. civ. sottolinea che l'impugnazione non pu� essere proposta �indipendentemente dalla notificazione�, dopo il decorso di un anno dalla pubblicazione della sentenza, sicch� deve essere dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione, pur se proposto entro i sessanta giorni dalla notificazione della sentenza, non soltanto qualora tale notificazione sia stata effettuata dopo il decorso di un anno dalla pubblicazione della sentenza stessa (cfr. sent. 5286/79), ma anche se il ricorso medesimo risulti notificato oltre l'anno (e correlative proroghe eventuali), essendo ancora pendente il termine di sessanta giorni agganciato ad una precedente notificazione della decisione compiuta entro l'anno (sentt. 3721/69, 2268/74, 5344/79, 1321/80). Ne consegue che anche il ricorso per cassazione avverso le decisioni della commissione tributaria centrale, al quale sicuramente si applicava come si � gi� osservato la disposizione dell'art. 327 cod. proc. civ., estensibile a tutte le giurisdizioni speciali che presentino una disciplina della pubblicazione della decisione riconducibile fondamentalmente agli schemi del codice di rito (cfr. ad esempio innovativamente rispetto al Consiglio di Stato sentt. 351/78, 391/79, 1583/80) incontra il limite di decadenza per decorso del termine annuale, e pertanto tale ricorso deve essere dichiarato inammissibile, pur essendo stato notificato entro sessanta RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 164 giorni dalla notifica:zJione della decisione della Commissione tributaria centrale, ma dopo oltre un anno dalla pubblicazione della decisione medesima che va individuata nel deposito in segreteria ai sensi dell'art. 38 del d.P.R. n. 636 del 1972, tenendo conto ovviamente della sospensione dei termini nel periodo feriale e quand'anche si trattasse non gi�, come nella specie, della comunicazione del mero dispositivo, ma della notificazione della decisione in extenso (sentt. 1213/81, 658/80). Pertanto. la comunicazione all'ufficio del solo dispositivo, anche ad ammettere la idoneit� a mettere in moto il termine breve, non renderebbe utilmente esperibile il gravame, scavalcando l'anno della pubblicazione che rappresenta, di per s�, nel sistema del1a impugnazione ,l'insuperabile termine finia:l.e, suscettdbfile di essere ridotto per effetto della notificazione acceleratoria, ma mai di essere superato. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 11 luglio 1981 n. 4510 � Pres. Mazzacane Est. Borruso -P. M. Ferraiolo (conf.). Niccoli c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Viola). Tributi (bi genere) � Soggetti passivi � Responsabile di imposta � Socio illimitatamente responsabile di societ� di persone � Trasformazione: della Societ� � Permane la responsabilit� del socio. (e.e., artt. 2498, 2499). Tributi (in genere) -Soggetti passivi -Responsabile di imposta -Socio illlmitatamente responsabile di societ� di persone � Trasfonnazione della societ� � Consenso dei creditori � Art. 2499 e.e. � Inapplicabilit� alla Finanza. (e.e., art. 2499). Poich� la trasformazione della societ� non produce nessuna trasformazione dei rapporti giuridici esistenti in quanto non viene mutata la unicit� del soggetto trasformato, legittimamente viene notificato al legale rappresentante della nuova societ� l'avviso di accertamento di un'imposta riferibile al tempo anteriore alla trasformazione e validamente tale atto pu� essere opposto al socio illimitatamente responsabile della societ� originaria la cui responsabilit� non viene meno con la trasformazione {1). La norma dell'art. 2499 e.e. che prevede il consenso dei creditori sociali alla trasformazione della societ� di persone in una societ� di capitali presuppone la disponibilit� del credito e di conseguenza � inapplicabile per i crediti tributari dell'Amministrazione (2). (1-2) Conformi sono le senten:re .in pa.11i data nn. 4511 e 4512. La prima massima fa un'applicazione ineccepibile di diversi principi giuridk.i civili e tributari. La societ� successiva alla trasformazione � sicuramente il soggetto destinatario 165 PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (omissis) Col primo motivo il ricorrente sostiene che, essendo stato notificato l'accertamento tributario soltanto alla societ� di capitale dopo che in essa si era trasformata la preesistente societ� in accomandita e non anche ad esso Niccoli, che era cos� rimasto estraneo a tutto il successivo procedimento avanti alle Commissioni tributarie, la Finanza non poteva pi� far valere nei suoi confronti alcun diritto per le imposte dovute dalla societ� in accomandita semplice, in quanto essa, quando intende chiamare al pagamento di tributi arretrati di una societ� i soci al tempo illimitatamente responsabili ma ormai estranei ad essa, deve notificare l'avviso d'accertamento personalmente anche a questi ultimi. Il motivo � infondato. L'inequivoca disposizione contenuta nello art. 2498 cod. civ. secondo cui � la societ� conserva i diritti e gli obblighi anteriori alla trasformazione � ha posto fine alla vecchia disputa se la trasformazione comportasse l'estinzione della vecchia societ� e la creazione di una nuova; oggi, infatti, dottrina e giurisprudenza assolutamente prevalenti sono concordi nel ritenere che con la trasformazione si determina un semplice mutamento organizzativo della societ�, un cambiamento, cio�, della sua disciplina normativa, senza introdurre alcuna modificazione soggettiva nei rapporti giuridici esistenti (cfr. in tal senso Cass. 2722 e 953 del 1977; 2657 del 1972, 1287 del 1970; 1070 del 1967). Ne consegue che, nonostante la trasformazione, il soggetto passivo della obbligazione tributaria di cui trattasi � rimasto identico e unico, sicch� esattamente la Finanza ha notificato l'avviso di accertamento relativo ad una imposta concernente un anno anteriore alla trasformazione esclusivamente a chi risultava legale rappresentante della societ� dopo la trasformazione stessa. Ci� ovviamente non esclude che del debito d'imposta conseguente possa essere chiamato a rispondere dalla Finanza anche il Niccoli, come egualmente sarebbe potuto avvenire se non si fosse verificata la trasformazione e la societ� fosse rimasta in acco dell'accertamento anche per i rapporti facenti capo alla societ� trasformt\ta sia che essa sia lo stesso soggetto in nuova veste, come � ai fini civi1i, sia che essa sia il successore a titolo universale, come sembrerebbe doversi ritenere ai fini tributari essendo prevista la estinzione del soggetto trasformato come dispongono gli artt. 73 d.P.R. 597/1973 e 11 d.P.R. n. 600/1973 (v. annotazione a Cass. 2 ~iugno 1980 n. 3596 in questa Rassegna, 1981, I, 366). Pi� rilevante � l'affermazione che l'accertamento notificato alla societ�, nella persona del suo legale rappresentante, � opponibile al socio illimitatamente re� sponsabile, che non � un comune debitore solidale, ma un responsabile di imposta che risponde delle obbligazioni altrui (della societ�), tributarie e non, "per un particolare rapporto organico che lo lega al so~getto passivo � (Cass. 28 luglio 1977 n. 1616 in questa Rassegna, 11977, I, 457). Per l'espressa previsione dello art. 2499 la responsabilit� illimitata del socio non viene meno con la trasformazione della societ�. L'esattezza della seconda massima � di tutta evidenza. 166 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO mandita semplice, ma il suo amministratore e rappresentante fosse stato per atto costitutivo un aocomandatario diverso dai! Niccoli. Anche in ta:l caso, infatti, sarebbe stato ben sufficiente notificare l'avviso di accertamento soltanto al legale rappresentante della societ�, anche se poi, per una norma, peraltro inerente non al diritto tributario ma a quello della societ�, il Niccoli, quale socio accomandatario, dovendo rispondere illi� mitatamente dei debiti della societ�� (art. 2323 cod. civ.), avrebbe potuto essere chiamato a pagare anche i debiti tributari della societ�. Invero, il principio affermato dalla Corte Costituzionale che tra condebitori solidali di un tributo non c'� rappresentanza processuale, sicch� la Finanza non pu� pretenderne il pagamento se non da quelli verso i quali ha agito dando a ciascuno di essi la possibilit� di difendersi, certamente non si applica nei confronti di chi sia chiamato al pagamento di un tributo non perch� ne sia il soggetto passivo (e, nella specie, neppure perch� ne debba rispondere solidalmente con lui per effetto di una speciale norma di diritto tributario avente lo scopo di rafforzare la garanzia dei crediti della Finanza), ma semplicemente perch�, per un particolare rapporto organico che lo lega al soggetto passivo del tibuto, egli debba per legge rispondere in solido di tutti i debiti di quest'ultimo, siano o non siano di carattere tributario (vedi Cass. sent. n. 824 del 1973). Col secondo motivo di ricorso il Niccoli sostiene che la Commissione Centrale avrebbe violato nella specie il secondo comma dell'art. 2499 cod. civ., in quanto avrebbe dovuto considerare equipollente alla comunicazione per raccomandata al creditore ivi previsto dell'avvenuta trasformazione dd1a societ� la registmzione del relativo atto pubblico presso l'Ufficio del Registro e ci� non soltanto perch� sia tale ufficio, sia quello delle Imposte sono uffici finanziari, ma soprattutto perch�, avendo lo stes'So Ufficio delle Imposte lllotificato .l"avv1iso d',accertamento e coltivato il relativo procedimento tributario, che riguardava un'imposta dovuta dalla societ� in accomandita, nei confronti della societ� di capitale in cui la prima si era trasformata, era certo che lo stesso Ufficio delle Imposte avesse avuto piena ed ufficiale conoscenza dell'atto registrato recante l'avvenuta trasformazione sicch�, per conservare la garanzia costituita dal permanere della responsabilit� illimitata dei soci che l'avevano prima della trasformazione, avrebbe dovuto negare espressamente la sua adesione nel termine di trenta giorni dalla dimostrata conoscenza della trasformazione stessa. Anche questo motivo � infondato per l'assorbente considerazione che l'art. 2499 cod. civ. nella parte in cui prevede che i creditori possano consentire alla trasformazione della societ� e in tal modo perdere la garanzia costituita dal permanere dell'obbligo dei soci a responsabilit� illimitata di rispondere dei debiti sociali anteriori alla trasformazione non pu� applicarsi alla Finanza in quanto tale consenso -spiegabile solo in una 167 PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA ottica esclusivamente privatistica e come tale insindacabile dei propri interessi -presuppone ovviamente la disponibilit� del credito, disponibilit� che, invece, -com'� pacifico -la Finanza assolutamente non ha per i crediti nascenti dai tributi e per le garanzie del loro soddisfacimento che danno luogo a rapporti di diritto pubblico inderogabilmente regolati dalla legge. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 14 luglio 1981 n. 4582 -Pres. Rossi Est. Caturani -P. M. Fabi (diff.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Braguglia) c. Bologna. Tributi (in genere) � Contenzioso tributario � Amone di mero accertamento � Imposte indirette -Improponibilit� anteriormente all'accertamento � Sopravvenienza dell'accertamento � Conversione della doman� da -Decadenza per decorso del termine -Non si verifica. � improponibile la domanda di accertamento negativo anteriormente all'emanazione del provvedimento amministrativo con il quale si manifesta e si rende riconoscibile la pretesa di percepire l'imposta, anche se siano gi� intervenuti atti preparatori o intermedi (nella specie il verbale di contestazione nel procedimento dell'art. 55 della legge 7 gennaio 1929 n. 4). Tuttavia ove in corso di causa sopravviene l'atto di accertamento l'azione originariamente improponibile si converte nell'impugnazione dell'accertamento s� che viene meno l'onere di autonoma impugnazione nel termine di decadenza stabilito (1). (omissis) Nell'ordine logico � pregiudiziale l'esame della seconda censura contenuta nel primo motivo dei ricorsi, con cui l'amministrazione ricorrente assume che nella specie la domanda di accertamento negativo del debito tributario proposta dai contribuenti innanzi al giudice ordinario dovevct dichiararsi improponibile per difetto di giurisdizione, in quanto era in corso il procedimento amministrativo di accertamento della infrazione, e sostiene poi che, intervenuta nel corso del giudizio di primo grado l'ordinanza intendentizia che aveva determinato la imposta evasa e la pena pecuniaria, la quale non era stata impugnata, (1) Anche se riferita alla normativa anteriore alla riforma del contenzioso (per l'attuale improponibilit� dell'azione di mero accertamento v. Cass. 8 marzo 1977 n. 942, in questa Rassegna, 1977, I, 302 con nota di C. BAFILE), � molto interessante la motivazione della sentenza che ha eliminato ogni dubbio sulla questione dell'mone di mero accertamento. In passato era stata ammessa, nelle imposte indirette, la proponibilit� di una tale domanda quando l'incertezza oggettiva o la situazione di pregiudizio era provocata da atti dell'amministra RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 168 la pretesa tributaria sarebbe divenuta definitiva e quindi non modificabile dal giudice con la pronuncia di accertamento (negativo). La censura � infondata. Il problema -che riflette il nucleo centrale dei ricorsi -va risolto in base alle seguenti considerazioni. Il carattere di per s� generale dell'azione di mero accertamento non ha impedito che anche in epoca anteriore alla recente riforma del contenzioso, si discutesse in giurisprudenza ed in dottrina circa la proponibilit� di una tale azione nel diritto tributario. Il contrasto degli opposti orientamenti fu reso ancor pi� vivo dalle diverse concezioni circa la natura giuridica dell'accertamento tributario, essendosi osservato da alcuni giuristi che se il rapporto giuridico di imposta si costituisce soltanto con l'atto di imposizione, non pu� concepirsi una azione di accertamento di una obbligazione nondum nata; argomento che, peraltro, veniva superato dai fautori della natura meramente dichiarativa dell'imposizione tributaria. L'indirizzo seguito da questa Corte in detto periodo si adegu� al prin cipio secondo cui mentre rispetto alle imposte dirette, ai sensi dell'art. 6 della fogge 20 marzo 1865 n. 2248 a:11. E, l'azione dirnanzi al!l'A.G.O. non poteva proporsi se non dopo la pubblicazione dei ruoli e l'esperimento almeno in un grado del ricorso alle commissioni tributarie, nelle contro versie in materia di imposte indirette, l'azione di accertamento negativo, davanti al giudice ordinario era proponibile prima ed indipendentemente dall'esperimento dei ricorsi amministrativi. Si osservava, invero, che, salvo limitazioni poste da leggi speciali, la giurisdizione dell'A.G.O. non incontra nella legge alcun limite in dipendenza dello stato cui sia perve nuta l'attivit� della pubblica amministrazione tendente all'accertamento del tributo ed alla relativa ingiunzione di .pagamento, purch� sussistano gli altri requisiti per la proponibilit� della domanda, giustificata dal dub bio circa l'esistenza dell'obbligazione tributaria e quindi possa profilarsi zione preliminari all'accertamento o anche da affermazioni di massima contenute in circolari o risoluzioni (v. Relazione avv. Stato, 1971, 75, II, 597 e segg.). Oggi si ritorna sull'argomento per escludere la proponibilit� dell'azione eh.e venga introdotta prima della notifica dello accertamento. E sono certamente di molto interesse le considerazioni contenute nella motivazione in linea con una , tesi sempre sostenuta dall'Avvocatura: l'azione avrebbe ad oggetto l'accertamento negativo non di una obbligazione ma dell'esistenza del potere dell'Amministrazione di eseguire l'accertamento e di conseguenza essa comporterebbe l'invasione di una sfera di attivit� che la legge riserva in via 'esclusiva ai poteri della autorit� amministrativa. Con queste premesse contrasta sorprendentemente la seconda parte della massima. Dopo aver ben puntualizzato che prima dell'accertamento la domanda � im proponibile in quanto usurperebbe una potest� riservata all'Amministrazione, si passa poi a considerare, in modo ingiustificatamente riduttivo, la mancanza 169 PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA un interesse concreto ed attuale dell'attore ad ottenere dal giudice una pronuncia (S.U. 24 giugno 1972 n. 2134; 8 giugno 1968 n. 1751; 16 marzo 1966 n. 752; 7 novembre 1957 n. 4259; 15 luglio 1957, n. 2901). Ora, non pu� contestarsi che, in linea di principio, l'azione di mero accertamento, come azione generale che si fa valere innanzi al giudice ordinario per la tutela dei diritti soggettivi allorch� se ne verifichino i presupposti, non possa essere negata in materia di imposte �indirette, per il periodo anteriore alla recente riforma del contenzioso tributario. Questo, tuttavia, non esclude, ma anzi implica che occorra poi stabilire quando una tale azione sia in concreto proponibile e, con particolare riferimento alle infrazioni all'l.G.E. previste dalla legge 19 giugno 1940 n. 762 (che interessano il presente giudizio), se avuto riguardo al particolare procedimento ivi adottato per l'accertamento della violazione tributaria attraverso cui si realizza 1a funziOllle imposWva dello Stato, ,sia configurabile prima e durante il corso del procedimento un diritto soggettivo del contribuente e comunque un rapporto giuridico che possa dar luogo ad una azione di mero accertamento in prevenzione innanzi al giudice ordinario. Il problema di fondo risiede quindi nell'esaminare se la suddetta azione, la quale � stata in generale considerata, per quanto attiene ai suoi presupposti in relazione a controversie tra privati, non debba eventualmente subire degli adattamenti quando si sia in presenza di una controversia tributaria. In tal caso, anche a prescindere dal problema della configurabilit� o meno del rapporto tributario prima che sia intervenuto un atto ad hoc dell'amministrazione finanziaria, assume indubbio e decisivo rilievo la considerazione che si � pur seinpre in presenza di una potest� pubblica del preventivo accertamento come un difetto d'interesse la cui sopravvenienza rende successiivamente proponibile l'azione con efficacia retroattiva. Ma non si tratta semipl<icemente di urna dmprocedibilit� che possa essere rimossa in corso di causa, bens� di una improponibilit� (difetto di giurisdizione), che se pure temporanea, � assoluta. La giurisdizione mancante non pu� essere riacquistata con efficacia retroat� tiva (art. 5 c.p.c.), e del resto non si era mai dubitato che nell'analoga situazione, riferita alle imposte dirette, di difetto temporaneo di giurisdizione dell'A.G.O. fino alla pronunda definitiva della commissione almeno in un grado, l'origina� ria improponibilit� non fosse superata dalla sopravvenienza della decisione della commissione. Neppure sembra accettabile la prospettata conversione della domanda (improponibile) di accertamento negativo nella normale azione successiva all'accertamento con l'effetto di eludere la decadenza per decorso del termine. L'azione improponibile non � mai convertibile; per di pi� le due azioni sono diverse anche nel contenuto giacch� la prima � rivolta ad eliminare una semplice incertezza e la seconda a contestare la pretesa in concreto vantata. Forse come esempio di conversione � stato tenuto presente quello della domanda di risarcimento per occupazione illegittima che si trasforma nella impu� RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 170 il cui esercizio si attua attraverso un procedimento predeterminato e specificamente regolato dalla legge. Ed � appunto in funzione di tale disciplina che si deve stabilire se l'azione di accertamento negativo sia o meno compatibile con la struttura e le finalit� del procedimento stesso nonch� con i vari atti o .momenti in cui esso si articola, e quando -con riferimento a tali dati -possano ritenersi sussistenti in concreto i presupposti che condizionano l'ammissibilit� della detta azione (incert~zza oggettiva, situazione di pregiudizio, interesse ad agire). In realt�, l'indirizzo seguito da queste Sezioni Unite per il periodo accennato si ispirava alla regola secondo cui l'incertezza oggettiva e attuale della situazione giuridica si verifica in materia di imposte indirette quando la p.a. attraverso il suo comportamento -risultante da scambi di lettere fra le parti o da circolari -rifiuti di accogliere la tesi del contribuente circa la debenza del tributo che questi voglia escludere, anche con riferimento a manifestazioni future (ofr. sent. 24 giugno 1972 n. 2134 cit., in tema di imposta sui pubblici spettacoli). A tale orientamento pu� tuttavia obiettarsi che la valutazione della incertezza oggettiva la quale susciti un interesse ad agire (che non sia di mero fatto) non pu� prescindere dal tipo di procedimento che la legge prevede, onde si tratta di stabilire se possano valere ad integrare gli estremi della �pretesa contestata�, mere affermazioni formulate in via di massima o contenute in atti prodromici o intermedi del procedimento all'uopo previsto dalla legge (come circolari amministrative, risoluzioni in merito a quesiti, contestazione della violazione attraverso la notifica di apposito verbale etc.). Orbene, a norma dell'art. 52 della legge suH'I.G.E., per l'accertamento, la cognizione e la definizione delle violazioni ivi previste, sono applicabili gnazione del decreto di espropriazione per la misura della indennit�. Ma in questo caso la prima domanda � perfettamente proponibile e non se ne pu� am mettere la successiva integrale caducazione in conseguenza della (tardiva) emissione del decreto di espropriazione; ed ancora si comprende la ragionevo lezza della affermazione volta ad impedire che dopo la legittima proposizione di una domanda di risarcimento possa sopravvenire una decadenza ove non venga successivamente impugnato il decreto di e51propriazione; per di pi� la con� versione corrisponde alla sostituzione ad una domanda del tutto proponibile che viene troncata da un fatto successivo, la corrispondente domanda che da quel fatto � originata. Ma nel caso ora deciso si ha una domanda improponibile e nessuna valida ragione per salvarla e nulla giustifica la elusione della operativit� del termine di decadenza stabilito per proporre una domanda che non � legata con un nesso di necessaria conseguenziariet� alla precedente. Sarebbe pericoloso se questa pronuncia riaprisse il discorso, che sembre rebbe chiuso, della azione di mero accertamento innanzi alla commissione che diventa proponibile con effetto retroattivo con il sopravvenuto accertamento. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA le norme contenute nella legge 7 gennaio 1929 n. 4, concernente le norme generali per 1a repressione del:le violazioni delle Ieggi finanziarie. In base all'art. 55 di tale legge, l'intendente di finanza, nella cui circoscrizione la violazione � stata accertata, notifica al trasgressore il verbale di accertamento e lo invita a presentare le sue deduzioni entro il termine di quindici giorni. Decorso tale termine, l'intendente, qualora in base agli atti raccolti e alle deduzioni che siano state presentate, accerti l'esistenza della violazione e la responsabilit� del trasgressore, determina con provvedimento motivato, sotto forma di ordinanza, l'ammontare della pena pecuniaria. Dalla disciplina giuridica, si trae quindi la deduzione logica che il procedimento amministrativo diretto all'accertamento dell'infrazione all'IGE e alla determinazione della corrispondente pena pecuniaria si svolge attraverso una serie collegata di atti i quali sono tutti preordinati alla emanazione dell'ordinanza intendentizia, che sostituisce non solo il momento conclusivo di tutto il procedimento, ma si configura come l'atto attraverso cui si esercita il potere-dovere della p.a. e si mani.festa la sua pretesa nelle forme previste dalla legge. Trattandosi dello svolgimento di una potest� pubblica ne consegue che la valutazione degli atti intermedi che seguano i singoli momenti del relativo procedimento, non pu� essere compiuta alla stessa stregua dei criteri adottati rispetto ai rapporti tra privati. Il che � particolarmente significativo per la soluzione del problema proposto, ove si consideri la posizione del contribuente rispetto alla notifica del verbale di accertamento dell'infrazione redatto dalla guardia di finanza (art. 55 della legge n. 4/1929). Non soltanto quella notificazione deve essere inquadrata nell'ambito dello stesso procedimento amministrativo, ma non pu� in alcun modo essere assimilata o confusa con il comportamento del creditore, il quale contesti al (preteso) debitore in un rapporto di diritto privato che costui risulta obbligato ad eseguire una data prestazione nei suoi confronti. Mentre, infatti, quest'ultimo atto si esaurisce nel manifestare una condotta che costituisce mero vanto nei confronti del preteso obbligato, la contestazione della violazione tributaria mediante la notifica del verbale � intimamente connessa alle successive fasi del procedimento ed esplica la funzione di porre il destinatario in grado di svolgere le proprie difese in qu.ella sede e di condizionare in tal guisa il contenuto del successivo provvedimento dell'intendente. Non pu� profilarsi quindi alcun interesse giuridicamente tutelato del contribuente di anticipare senz'altro la controversia (potenziale) innanzi aH'A.G.O., giacch� H procedimento amministrativo, cos� 'come articolato, ha essenziailmente scopo istruttorio e finalit� garantistiche per il contri buente, essendo rivolto ad acquisire, anche con la sua partecipazione e collaborazione, tutti gli elementi necessari ed utili di giudizio e di valuta 172 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO zione, ed assicura quindi allo stesso contribuente adeguati mezzi di tutela pur nella fase amministrativa. N� pu� sostenersi che l'azione di 1aocerta:rnento negativo innanzi al giudice avrebbe ad oggetto soltanto liii contrO!Llo circa la esistenza dei presuppostii de11'obbligazione tributaria e quindi non inciderebbe su i poteri spettanti in materia all'autorit� amministrativa, in quanto non pu� isolarsi, dal punto di vista giuridico il potere di mero accertamento dell'obbligo ili col'rispondere fi.G.E., dal potere sanzionatorio che la legge conferisce all'intendente di finanza. La disciplina giuridica dimostra che nella materia di cui si tratta i poteri dell'intendente non sono meramente sanzionatori, ma l'accerta mento dell'infrazione e l'irrogazione della sanzione presuppone che l'auto rit� amministrativa proceda pregiudizialmente all'accertamento concreto che sussistono i presupposti della obbligazione tributaria, la quale si . ritiene inadempiuta dal contribuente. Anche da questo punto di vista risulta quindi confermato che, se in pendenza del procedimento rivolto all'accertamento dell'infrazione, il contribuente volesse -anticipando in prevenzione la pronuncia dell'in tendente di finanza -adire il giudice ordinario, per sentire accertare che il suo obbligo tributario non sussiste, sarebbe inevitabilmente invasa una sfera di attivit� che la legge riserva in via esclusiva ai poteri della autorit� amministrativa. D'altronde, appunto in considerazione della predetta disciplina e delle peculiarit� del procedimento da essa previsto per le infrazioni all'IGE, si � indotti altres� a rilevare che -in mancanza di una in�ziativa di autotassazione e di un atto giuridicamente rilevante dell'organo della amministrazione finantlaria come sopra investito del potere di accerta mento -non risulta ancora obiettivamente e chiaramente delineato n� comunque presenta attuale e giuridica evidenza (pur se eventualmente configurabile ed esistente) un concreto rapporto giuridico tra contri buente e amministrazione finanziaria che dovrebbe costituire oggetto del giudizio di mero accertamento innanzi all'A,G.O. E pertrunto, l'azione di accertamento negativo avrebbe ad oggetto in definitiva la inesistenza del potere della finanza, onde urterebbe contro il principio secondo cui il giudice ordinario pirQIVVede a tutelare rapporti di diiritto ed obbligo, non meri stati di soggezione di fronte ai pubblici poteri. N� potrebbe obiettarsi che la negazione della tutela preventiva in funzione di mero accertamento iinnanzi aill'A.G.O. postulerebbe un ritorno al principio del � salve et repete �, potendo la finanza riscuotere il tributo in pendenza del procedimento amministrativo. Una tale possibilit�, in vero, attiene al diverso principio della esecutoriet� delle pretese della p.a., il cui fondamento, com'� noto, risiede nel carattere pubblico del PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA potere che la stessa esercita e nella esigenza -specifica alla materia in esame -che i tributi siano prontamente riscossi, salva la successiva tutela giurisdizionale dei diritti del contribuente. Deve quindi ritenersi che soltanto con l'emanazione dell'ordinanza intendentizia si manifesta e rende riconoscibile la pretesa della finanza di percepire l'imposta evasa e la pena pecuniaria e si determina il sopravvenire dell'interesse giuridico, concreto ed attuale del contribuente, ai sensi dell'art. 100 cod. proc. civ., poich� soltanto allora si profila giuridicamente la possibilit� di una lesione della sua sfera giuridica. Si spiega quindi come solo attraverso la impugnativa di tale atto il medesimo possa far �valere la propria tutela giuridica nei confronti dell'amministrazione finanziaria, non essendo compatibile con la stessa struttura e funzione del procedimento amministrativo previsto in tema di infrazioni aH'I.G.E. che il contribuente 1aidisca direttamente l'A.G.O. per la (dedotta) minaccia, peraltro non ancora attuale, di una imposizione ingiusta. La costruzione accolta dall'azione giudiziaria di mero accertamento (negativo) in materia di IGE come azione di impugnazione di un provvedimento amministrativo � inoltre in sintonia con il nuovo orientamento espresso da queste Sezioni Unite in tema di interpretazione dell'art. 16 della legge 26 ottobre 1972 n. 636 sulla riforma del contenzioso tributario (sent. 8 marzo 1977 n. 942), secondo cui la nuova disciplina esclude la proponibilit� delle azioni di accertamento negativo, prima della emanazione del provvedimento (esplicito o implicito) ivi previsto, essendo stata la azione giudiziaria anche in tal caso costruita come impugnativa di un atto della rp.a. m cui si esplica e rende manifesto il potere impositivo alla stessa devoluto dalla legge. Ed invero, le ragioni che, rispetto alla fattispecie legale in esame, integrano il fondamento logico e sistematico della ritenuta incompatibilit� tra il procedimento amministrativo e la azione preventiva di accertamento negativo corrispondono, nella sostanza, alla ratio che -secondo la citata pronuncia -sta a base della nuova disciplina. Del resto i principi che le precedenti considerazioni presuppongono, vale a dire che in materia tributaria quando la legge attribuisce alla p.a. un potere-dovere procedimentale il cui esercizio si risolve in un provvedimento decisorio della competente autorit�, si verifica una improponibilit� temporanea della domanda innanzi al giudice ordinario, in difetto di un interesse attuale del contribuente che potr� assumere giuridica consistenza e rilevanza solo dopo la definizione della controversia amministrativa -sono stati applicati da queste Sezioni Unite in diverse occasioni (cfr. sent. 8 marzo 1974 n. 631 in tema di controversie doganali; sent. 10 giugno 1968 n. 1766 in tema di imposizione di ricchezza mobile). RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Alla luce delle precedenti considerazioni, non pu� accogliersi il principio affermato dalla Corte d'Appello, secondo cui deve ritenersi proponibille m materia di iITTfrazione all'I.G.E. una azione di accertamento (negativo) del contribuente in pendenza del procedimento rivolto ad accertare la esistenza della violazione, quando sia intervenuta la notifica del verbale di contestazione degli addebiti. Tuttavia, la conclusione cui in concreto � poi pervenuta la Corte (circa la proponibilit� dell'azione) � conforme al diritto, in quanto in pendenza del giudizio di primo grado � intervenuta l'ordinanza intendentizia prevista dia!ll'rart. 55 della legge sull'I.G.E., onde, anche se al momento in cui fu introdotta l'azione giudiziaria l'interesse ad agire era inesistente, lo stesso, potendo intervenire, quale condizione dell'azione, anche in sede di decisione della causa, ha reso successivamente proponibile l'azione di accertamento con efficacia retroattiva. N�, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa dell'amministrazione, sussisteva a carico degli attori alcun onere di impugnativa del I suddetto provvedimento ex art. 52 della legge sull'IGE, poich�, trovandosi i i contribuenti gi� in causa con l'amministrazione finanziaria e persistendo ~ nelle loro istanze anche dopo la notifica dell'ordinanza intendentizia, la ~ azione giudiziaria di accertamento si era convertita ope legis nella impuE: I f: gnativa del suddetto provvedimento. D'altra parte, ben potevano gli istanti impugnare direttamente l'ord�- I ~ nanza dell'intendente, costituendo indirizzo ormai costante nella giurisprur: f; denza di questa Corte, il principio secondo cui, quando si lamenta la lesione di un diritto soggettivo, posta l'autonomia del processo ordinario rispetto a quello di accertamento tributario, alla stregua della regola fondamentale che assicura contro gli atti della p.a. la tutela dei diritti I innanzi all'A.G.0. (art. 113 Cost.), l'esperimento o meno del ricorso gerarchico, tranne espressa disposizione in contrario, non pu� costituire I condizione o presupposto di proponibilit� dell'azione giudiziaria in ordine alla questione sostanziale sul debito di imposta (S.U. 2 marzo 1964 n. 473; 17 febbraio 1975 n. 624, quest'ultima a sezione semplice). Pertanto, non rileva in contrario che, a norma dell'art. 56 della legge n. 4 del 1929, contro l'ordinanza intendentizia sia previsto nel termine di giorni trenta dalla sua notificazione ricorso al Ministero delle Finanze, ben potendo I ~ l'interessato rinunziare al ricorso gerarchico e proporre direttamente la 1 ~ azione giudiziaria innanzi al giudice. Devesi quindi conclusivamente affermare che, pur corretta la motivazione dell'impugnata sentenza nei termini innanzi precisati, non merita alcuna censura il decisum con cui la Corte di Appello ha, nel caso con I creto, riconosciuto la proponibilit� dell'azione giudiziaria proposta dai resistenti innanzi al Tribunale di Roma. I I I 175 PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 12 ottobre 1981, n. 5338 -Pres. La Farina Est. Falcone -P. M. Catelani (conf.) -Bragonzi (avv. Allorio) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Gargiulo). Tributi erariali diretti -Accertamento tributario -Motivazione -Metodo induttivo -Utilizzllione di. elementi analitici -Illegittimit�. (T.U. 29 gennaio 1948, n. 645, art. 137). Tributi (in genere) -Contenzioso Tributario -Onere della prova -Fatto presupposto dell'obbligazione -E' a carico dell'Amministrazione. (e.e., art. 2697). Nel procedere all'accertamento con metodo induttivo non � consentito utilizzare, assieme ai fatti indice che fanno presumere le disponibilit� di un reddito complessivo, anche elementi diretti di dimostrazione dei redditi, dichiarati o accertati, rilevanti soltanto ai fini dell'accertamento analitico (1). Grava sull'Amministrazione finanziaria l'onere di provare il fatto sul quale � fondata la sua pretesa (2). (omissis) Con il primo motivo, il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 24, 37, 86, 87, 137 t.u. 29 gennaio 1958 n. 645, critica la sentenza impugnata per avere ritenuto legittima l'adozione del (1-2) La prima massima (che ha un precedente nella sentenza 4 giugno 1981, n. 3608, di cui si omette la pubblicazione) non pu� essere interamente condivisa. Evidentemente non � possibile determinare il reddito complessivo in base a dati induttivi (tenore di vita ecc.) ed a questo aggiungere l'ammontare di singoli redditi direttamente accertati in via analitica; si farebbe una duplicazione. Ma questo non significa che nel procedere all'accertamento induttivo si debba necessariamente rinunciare a quella parte di acquisizione diretta di dati che costituisce una base di certezza. In particolare se singoli redditi (fondiari, di capitale ecc.) sono dimostrati con certezza, ma si hanno elementi induttivi che fanno presumere il possesso di altri redditi di cui non pu� determinarsene con eguale certezza l'origine, non sembra che sia inibita la commistione del metodo sintetico e del metodo analitico, semprech� nel risultato finale si tenga conto delle quantit� certe per dedurle dal complesso determinato induttivamente, onde evitare sovrapposizioni. E' del resto pacifico che � ben possibile apportare con metodo induttivo rettifiche e correzioni al bilancio, che resta pur sempre la base emolitica dell'accertamento, secondo quanto dispongono l'art. 119 del T.U. delle imposte dirette e l'art. 39 del d.P.R. n. 600/1973. (Cass. 6 marzo 1980 n. 1500, in questa Rassegna, 1981 I, 125, conforme a numerosissime altre); questo principio, che � invero riferito all'accertamento eseguito sulla base del bilancio, non � incompatibile con l'accertamento sulla base della sola dichiarazione, che ha anche una analiticit� che pu� (o deve), finch� � possibile, essere conservata. Sul problema della seconda massima v. le sentenze 23 maggio 1979, n. 2996 e 15 novembre .1979, n. 5951, in questa Rassegna 1980, I, 377, con nota di C. BAFILE, cui adde 4-2-1980 n. 774 ivi 819. 176 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO metodo sintetico di accertamento sulla base di erronee considerazioni quali: la mancata indicazione, nella dichiarazione dei redditi presentata, degli elementi attivi e passivi dei redditi dichiarati; l'omessa denuncia di alcune fonti di reddito, quali i fabbricati intestati alla s.a.s. Risorgimento nonch� le azioni della s.p.a. Finanziaria Loi1atese e della societ� Finparte; il difetto di enunciazione degli indici dimostrativi del possesso del maggior reddito attribuito, tale non potendo essere considerato il mero riferimento all'ottimo tenore di vita del contribuente. Con il secondo motivo, lamentando il difetto di motivazione, la violazione delle norme :in tema di onere probatorio (art. 2697 cod. dv.) e dell'art. 135 t.u. 29 gennaio 1958 n. 645, il ricorrente si duole che, nel procectere all'esame della legittimit� sostanziale dell'accertamento, la sentenza impugnata: abbia ritenuto esattamente attribuito a lui un reddito derivante dai cespiti immobiliari della s.a.s. Immobiliare Risorgimento, senza considerare che� 1a qualit� di socio non � sufficiente a dimostrare l'avvenuta percezione di dividendi e che nella specie era fatto riferimento non a redditi da partecipazione a tale societ�, ma a redditi di fabbricati posseduti dall'anzidetta societ�; abbia riconosciuto corretta l'attribuzione di utili percepiti dalla s.p.a. Finanziaria Lonatese, derivanti dalla quota di partecipazione di detta societ� nella s.p.a. Bragonzi, senza dimostrare che esso contribuente fosse socio di detta finanziaria e che la stessa avesse distribuito utili; abbia giudicato essere state esattamente valorizzate asserite sottoscrizioni di obbligazioni emesse dalla s.p.a. Bragonzi, ai fini della determinazione del reddito complessivo del contribuente, senza alcuna motivazione circa la prova di dette sottoscrizioni e con inversione dell'onere della prova. Con il terzo motivo, infine, il ricorrente assume violati gli artt. 37 e 40 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 in relazione all'art. 360 n. 3 e n. 5 cod. � proc. civ., in conseguenza del rigetto, senza motivazione, della doglianza mossa alla decisione della Commissione tributaria di secondo grado in ordine alla motivazione circa la stima del reddito. Il ricorso, le cui articolazioni critiche si palesano connesse, in quanto dirette, in via principale, a contestare la legittimit� dell'adozione del metodo sintetico di accertamento e la legittimit� sostanziale di questo, e che, pertanto, suggeriscono un esame congiunto dalle questioni prospettate, risulta fondato e meritevole di accoglimento, per le ragioni, nei limiti e con le conseguenze che seguono. Conviene ricordare che, mentre a norma dell'art. 37, secondo comma, t.u. n. 645 del 1958, la motivazione analitica dell'accertamento non � richiesta n� per l'accertamento dei redditi che il contribuente abbia omesso di dichiarare, n� quando la dichiarazione manchi dell'indicazione analitica degli elementi attivi e passivi, d'altra parte la determinazione sintetica del reddito complessivo netto � consentita, dall'art. 137 dello PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA stesso t.u., qualora il tenore di vita del contribuente od altri elementi o circostanze di fatto facciano presumere un reddito netto superiore a quello risultante dalla determinazione analitica. Nell'ipotesi di omessa dichiarazione di un reddito posseduto dal contribuente � consentito pertanto, all'amministrazione che, procedendo all'accertamento d'ufficio, riesca ad individuarne l'esistenza, di ricorrere ad una motivazione non analitica, proprio in conseguenza della violazione, da parte del contribuente, del dovere di rendere la dichiarazione di tutti i redditi soggetti ad imposta da lui posseduti (art. 17 d.P.R. n. 645 del 1958) e della correlativa difficolt� per l'amministrazione stessa di procedere alla determinazione analitica dell'ammontare di redditi per i quali difettino allegazioni nonch� elementi di fatto e documentazione. E tale determinazione, la quale contrariamente a quanto il ricorrente sostiene, era quindi consentita, nella specie, sia pure limitatamente ai redditi non compresi nella dichiarazione e che venivano accertati d'ufficio, deve considerarsi legittima, per quanto attiene alla motivazione, quando l'atto ponga il contribuente in grado di conoscere la pretesa fiscale in tutti i suoi elementi essenziali ai fini di una eventuale efficace contesta� zione sull'an e sul quantum (v. Cass. 23 settembre 1976 n. 3162). In tal caso, peraltro, il reddito accertato con motivazione non analitica concorre insieme con gli altri dichiarati dal contribuente (rettificati o meno d'ufficio) a costituire il reddito imponibile. Soltanto all'esito di questa fase pu� subentrare il controllo circa la congruenza tra il reddito globale cos� determinato e quello che deve ritenersi essere stato complessivamente a disposizione del contribuente, in considerazione del tenore di vita da lui condotto o di altre circostanze o fatti espressivi di un maggior reddito. � opportuno, a questo riguardo, precisare che l'art. 137 cit., tuttavia, nel consentire l'accertamento sintetico del reddito complessivo netto, non esige che l'avviso di accertamento contenga la preliminare esposizione della verifica analitica dei redditi dichiarati, seguita dall'indicazione delle ragioni poste a fondamento della determinazione sintetica, o induttiva, del reddito (v. Cass. 5 marzo 1979 n. 1363). Quando, pertanto, l'ufficio ritenga che l'ammontare complessivo dei redditi dichiarati (rettificati o meno) e di quelli accertati d'ufficio con motivazione non analitica perch� non denunciati, non sia tale da giustificare il tenore di vita e gli atti dimostrativi di disponibilit� di un maggior reddito goduto dal contribuente, pu�, nell'avviso di accertamento, trascurare cos� il calcolo dell'imponibile complessivo risultante incongruo, come la specifica determinazione in via non analitica dei redditi non denunciati, posto che i fatti-indici di una maggiore redditivit�, gli permettono -a suo giudizio -di prescindere, come la legge consente, dalla individuazione dei singoli redditi. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 178 � evidente, infatti, che l'ufficio, giudicando che il reddito che � possibile legittimamente dedurre dagli elementi in suo possesso, non � congruente con la disponibilit� di redditi da parte del contribuente, quale � data presumere dai fatti-indici di essa, supera la valutazione dei singoli redditi, specificati o meno nel loro distinto ammontare, per individuare la redditivit� complessiva del soggetto, a formare la quale ritiene, quindi, che concorrano redditi non dichiarati e di cui non � stato possibile accertare n� la fonte, n�, tanto meno, il concreto specifico ammontare. Consegue che, quando l'ufficio ritenga di potere procedere all'accertamento sintetico, a norma dell'art. 137 cit., di un reddito complessivo adeguato a quello rivelato dal tenore di vita del contribuente (disponibilit� di una o pi� resid~nze secondarie e caratteristiche di esse, di aerei, di navi da diporto, di riserve di caccia, di cavalli da corsa; entit� del personale domestico; viaggi, villeggiature ecc ... v. art. 2 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600) ovvero anche da circostanze o da elementi di fatto espressivi di disponibilit� di reddito (incremento del patrimonio mediante acquisto di nuovi beni, erogazioni di cospicue entit�, ecc.), non pu� assumere come elemento rivelatore del reddito complessivo che intende accertare (sinteticamente) il possesso di specifici redditi (dichiarati o accertati d'ulificio), ma deve, invece, accertare i fatti e le, circostanze, cio� i fatti-indici, che provando un certo ammontare di spese presuppongono la disponibilit� di un reddito complessivo spendibile superiore a quello accertabile analiticamente e proporzionato all'entit� delle erogazioni complessivamente effettuate dal contribuente. Il tenore di vita risultante da fatti indici e gli altri elementi di fatto e circostanze che consentono di presumere un reddito complessivo maggiore di quello accertabile attraver~o il (reddito o il) cumulo dei redditi la cui fonte sia stata denunciata o accertata d'ufficio, non possono essere utilizzati a quel fine insieme con il risultato raggiunto in via analitica pi cui � emersa l'incongruenza attraverso la dimostrata maggiore capacit� tributaria del contribuente, proprio perch� possono essere considerati significativi soltanto quando siano dimostrativi di un reddito superiore a quello accertabile analiticamente, restando altrimenti assorbiti da quel risultato, nei cui limiti sono privi di significato perch� giustificati. Le considerazioni esposte, se da un lato consentono di disattendere la censura rivolta alla sentenza impugnata in punto di riconosciuta legittimit� del ricorso dell'amministrazione finanziaria all'accertamento del reddito complessivo con metodo sintetico, impongono, dall'altro, di accogliere le conclusioni critiche in punto di legittimit� sostanziale e di motivazione dell'accertamento. La sentenza impugnata, dopo avere esattamente affermato che per il ricorso all'accertamento complessivo in via sintetica non � necessario che sussista, come elemento indispensabile, anche un elevato tenore di ' PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA vita del contribuente (elemento riconosciuto nella sp�cie non valorizzabile per essere stato �non bene messo in evidenza dall'ufficio�), ma che pu� essere sufficiente la sussistenza di uno o pi� dati di fatto di per s� idonei a lasciare presumere un maggior reddito, poteva ritenere legittimamente compiuto, nell'adozione di tale metodo, il ricorso alla sola circostanza valutabile come denotativa di un maggior reddito, cio� all'erogazione di capitali per la sottoscrizione di prestiti obbligazionari della S.p.A. Bragonzi, ma non anche il riferimento all'ammontare dei redditi non dichiarati dal contribuente ed individuati dall'ufficio, come quelli derivanti dall'affermata partecipazione azionaria di lui alle societ� Immobiliare Risorgimento, Bragonzi e Finanziaria Lonatese. Inoltre nel procedere al controllo della decisione della commissione tributaria sul punto, ha ritenuto a torto che sia stato esattamente valoriz2lato il ricordato fatto-indice, ed ha adottato in proposito una motivazione non soltanto generica e priva di ogni concreto riferimento alla specie (tempo, ammontare ed altre caratteristiche del prestito obbligazionario ed entit� della sottoscrizione), ma viziata anche da una vera e propria inversione dell'onere della prova, col rilevare la sufficienza, ai fini probatori, dell'affermazione (peraltro generica) dell'Ufficio circa la sussistenza della ricordata circostanza, in quanto non smentita documentalmente dal contribuente. Senza che sia necessario ripetere le ragioni diffusamente svolte in altre decisioni che hanno approfonditamente esaminato il problema (v. Cass. 23 maggio 1979 n. 2990; 15 novembre 1979 n. 5951), � sufficiente qui ribadire le conclusioni cui la richiamata giurisprudenza di questa Corte � per venuta, nel senso che l'autorit� amministrativa deve' accertare, prima di emettere il provvedimento impositivo, il presupposto di fatto di esso, e, posto che oggetto del giudizio � l'effettiva esistenza del credito vantato dall'amministrazione, senza che rilevi la circostanza che l'iniziativa del d'azione nella massima parte dei casi sia presa dall'obbligato, stante la immediata esecutoriet� delle pretese amministrative, la verifica {positiva) di tale presupposto va compiuta dal giudice (in giudizio) con onere proba torio a carico dell'amministrazione medesima secondo la regola generale dettata dall'art. 2697 cod. civ. L'operata inversione dell'onere della prova e la mancanza di motivazione in ordine alla valutazione del fatto-indice ai fini della determinazione del reddito complessivo accertato, impongono la cassazione della sentenza impugnata con assorbimento di tutti gli altri motivi di censura, restando devoluto alla Corte di rinvio, nell'osservanza della regola dell'onere della prova e con adeguata motivazione, il riesame del materiale probatorio offerto dall'amministrazione in proposito, con l'avvertenza che essa non deve giudicare solo astrattamente sull'attitudine o meno del fatto-indice a giustificare il metodo accertativo adottato, ma deve in 180 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO concreto statuire sulla correttezza o meno del suo impiego nel caso di specie. All'esito eventualmente negativo di tale giudizio, nel senso che il metodo sintetico non consenta di pervenire, nel caso concreto, alla determinazione del reddito imponibile complessivo, le questioni rimaste assorbite e che rilevano ai fini della determinazione analitica del reddito nelle diverse componenti (dichiarate dal contribuente o accertate d'ufficio) non potranno non formare oggetto d'esame, ma all'uopo dovr� essere disposto il rinvio alla commissione di secondo grado, competente in materia estimativa. Poich�, infatti, la controversia d'imposta ha per oggetto la sussistenza sostanziale dell'obbligazione e non l'impugnazione dell'accertamento, non tende quindi a rinnovare tale provvedimento (il quale d'altra parte ne rappresenta l'antecedente necessario: giurisdizione condizionata), ma ad accertare l'effettiva esistenza del credito vantato dall'amministrazione finanziaria, dovr� procedersi alla determinazione del credito tributario preteso dinanzi alla commissione di secondo grado. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 ottobre 1981, n. 5698 -Pres. La Farina Est. Granata -P. M. Leo (conf.) AIACA (avv. Barone) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). Tributi (in genere) -Contenzioso tributari.o� Ricorso alla Corte d'appello � Anteriore proposizione di ricorso tardivo alla Commissione centrale � Non preclude la proponibilit�. (d-.P.R,. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 40). Tributi' (in genere) � Contenzioso tributario � 1lmpugnazione di terzo grado . Altemativit� � Ricorso alla Commissione centrale sospetto di inammissibilit� ed impugnazione alla Corte d'appello . Necessit� di sospendere il giudizio innanzi alla Corte d'appello. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 40; c.p.c. art. 295). La proponibilit� della impugnazione innanzi alla Corte d'appello ex art. 40 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 non � impedita dalla anteriore proposizione di un ricorso tardivo alla Commissione centrale (1). (1-2) La sentenza, che affronta un problema irto di difficolt�, lascia alquanto perplessi. Essa segue un indirizzo che non sembra consonante con quello della precedente sentenza 2 luglio 1980, n. 4189 (in questa Rassegna, 1981, I, 375) secondo la quale la rinuncia al ricorso gi� proposto innanzi alla Commissione centrale non � idonea a rendere proponib!ile la impugna:lJione dnnamJi alla Corte d'appello. La questione � in parte diversa (sebbene il principio possa ritenersi estensibile 181 PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Ove sorga questione sulla proponibilit� dell'impugnazione innanzi alla Corte di appello in relazione alla tempestivit� del ricorso proposto alla Commissione centrale, il giudizio innanzi alla Corte d'appello deve essere sospeso ex art. 295 cod. proc. civ. fino alla conclusione di quello pendente davanti alla Commissione centrale, la cui decisione sul punto sar� stato nel giudizio innanzi alla Corte d'appello (2). (omissis) 1. -La sentenza impugnata ha ritenuto che anche la proposizione intempestiva, e quindi tardiva, del ricorso in Commissione tributaria centrale, come tale inammissibile, faccia scattare la preclusione di cui all'art. 40 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 e renda per l'effetto improponibile l'impugnazione davanti alla Corte , di appello. I cinque mezzi di annullamento formulati dalla ricorrente propongono, come motivo di fondo, la opposta interpretazione del citato art. 40, e confortano tale tesi con il sussidio di argomentazioni collaterali, volte a confermare, sotto profili ed angolazioni diverse, la sua rispondenza a legge. 2. -Con il primo motivo, infatti, che denunzia, in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell'art. 10 n. 14 legge 9 ottobre 1971 n. 825, 40 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, 12 disposizioni sulla legge in generale, la ricorrente deduce che l'art. 10 n. 14 della legge delega n. 825 del 1971 ha previsto l'alternativit� dei due rimedi non per privilegiare il ricorso alla Commissione centrale rispetto all'appello, come afferanche alla rh:mncia a ricorso inammissibile), ma significativa della considerazione che ai fini dell'alternativa qualunque ricorso alla Commissione centrale preclude a quella parte la proposizione della impugnazione alla corte d'appello. Le altre parti hanno diritto a considerare la scelta della Commissione centrale come definitiva, a proporre in questo giudizio le proprie impugnazioni e a considerare come ormai impossibile per iniziativa della stessa parte l'impugnazione innanzi alla Corte d'appello. Potranno se mai le altre parti, se vi hanno interesse, rivendicare il proprio diritto ad adire la Corte d'appello sul p:riesupposto che n termine per ricorrere alla Centrale era gi� scaduto per tutte le parti. Ma non sembra che la stessa parte che ha proposto una delle impugnazioni alternativamente ammesse possa proporre anche l'altra impugnazione e colti varle entrambe nella fiducia che una delle due possa andare a buon fine; e poich� di ricorso non pu� mai dirsi tardivo fino a quando non sar� dichiarato inammis sibile, sarebbe sempre possibile proporre ambedue le impugnazioni in pieno dispregio del principio della alternativit�. E come devono in tale situazione comportarsi le altre parti sia per la sem plice resistenza sia per la prnposimone di dmpugnazioni incidentali? II confronto storico con il superato contenzioso non � pertinente per la diversit� delle situazioni. Neppure ha valore determinante l'eventualit� che una delle parti con una impugnazione tardiva pretestuosa alla Commissione centrale impedisca all'altra di ricorrere alla Corte d'appello; si � visto che la scelta del RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO mato dal1a Corte bolognese, ma per por.re a disposizione delle pairti, accanto allo strumento tradizionale, un mezzo di impugnazione nuovo, appunto l'appello al giudice ordinario, idoneo ad assicurare maggiori e pi� ampie garanzie, con ci� intendendo ampliare la sfera delle garanzie difensive delle parti e non gi� introdurre un ostacolo alla tutela giurisdizionale ordinaria. Pertanto la sentenza impugnata, nell'accogliere l'opposta opinione, ha attribuito all'art. 40 del d.P.R. 1972 n. 636 una portata tale da renderlo viziato da eccesso di delega. Con il secondo motivo, che denunzia, in relazione agli artt. 2909 con. civ., 43, 295. e 360 n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 10 n. 14 legge 9 ottobre 1971 n. 825, 25 e 40 d.P.R. 26 ottobre 1972 n.. 636, 34, 112, 324, 348, 350 cod. proc. civ., 1~ disposizioni sulla legge in generale, la ricorrente deduce che la Corte bolognese nell'affermare che anche '1a proposizione del Ticorso 1aHa Commissione centrale oltre il termine di legge rende improponibile l'impugnazione davanti ailla Corte di appel.Jo, non ha tenuto presente che I'art. 40 d.P.R. 1972 n. 636, subordinando l'esperimento dell'appello a11'inutile .decorso dd te11mine per ricor~ fil rere alla Commissione centrale, non ha voluto precludere la proposizione fil del primo rimedio per �effetto della semplice presentazione del secondo, E:. t ma ha inteso consentire di avvalersi de11'appello tutte le volte che il ricorso " alla Commissione non sia stato proposto o lo sia stato tardivamente: in )j ta1 senso depongono, secondo la ricorrente, 1a lettera e la ratio dell'art. 40. Ai fini deMa cui corretta applica:lli.one la Corte di appello avrebbe potuto 11 e dovuto deliberare incidenter tantum fa tardivit� del ricorso aMa Com-f missione centrale �al limitato scopo di accertare 1a proponibilit� delfimpu il i I ~~ giudice di terzo grado fatta tardivamente non � vincolante per le altre parti (ma lo � per �a parte che la propone). Dovrebbe pertanto ritenersi che il ricorso alla Centrale anche se sospetto d'inammissibilit� per decorso del termine, per la parte che lo propone consuma l'impugnazione. Ci� non esclude, come si � visto, che le altre parti facendo valere la sca~ denza del termine propongono le loro impugnazioni innanzi alla Corte d'appello. ~ Solo in questo modo pu� presentarsi il problema della doppia pendenza, og ~ getto della seconda massima. t La soluzione -proposta non pu� essere condivisa per la ipotesi che la stessa r: parte abbia proposto le due impugnazioni; � infatti evidente che in questo caso la decisione della Commissione centrale non ha natura pregiudiziale rispetto alla I pronunzia del1a Corte d'appello. La commdss~one centrale se riconosce H 11icorso r. I tempestivo lo decide nel merito, con il che � definita l'impugnazione di terzo grado. i � evidentemente inconcepibile che una decisione che pu� decidere il merito possa allo stesso tempo, se 1sfavorevole, costituire una condizione per riproporre la stessa impugnazione innanzi ad altro giudice? L'impugnazione di terzo grado � una soltanto e dopo che � stata dichiarata inammissibile � certamente consumata. � d'altra parte inaccettabile che la parte ricorrente possa trovarsi nella condizione di particolare vantaggio, di ottenere o una decisione favorevole ! :~-~ 183 PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA gnazione ad essa corte presentato, se del caso sospendendo il giudizio alla stregua dei principi desumibili dagli airtt. 295 e 43 cod. proc. 'Civ., app~icabili nella specie. Con particolare riferimento ,all'art. 295 citato, infatti, la rcicorrente, con il successivo motivo, sostiene che tale novma, volta ad evitare il <::ontrasto di giudicati, trova applicazione nel giudizio tanto di primo quanto di secondo grado; e poich� l'art. 40, quinto comma, d.P.R. citato fa espresso rinvio alle disposizioni del codice di procedura civile sul giu� dizio di appello, non solo non esistono ostacoli per invocare la norma de qua nel procedimento di impugnazione di cui si discute, ma si rinviene addirittura una esplicita indicazione testuale che quella applicazione impone, indipendentemente da ogni considerazione sulla qualificazione giuridica del � presupposto � per Tivolgevsi alla Corte di appello .in materia tributaria (terzo motivo, con cui si denunzia, in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione sotto altro profilo degli artt. 25 e 40 d.P.R. 1972 n. 636 e 295 cod. proc. civ., nonch� omessa o quanto meno insufficiente motivazione). Come pure erroneamente -prosegue la ricorrente con il quarto motivo, che denunzia, in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 25, 26 e 40 d.P.R. 1972 n. 636, 358 e 373 cod. proc. civ. -la Corte di appello ha negato l'applicabilit� alla specie, che concernerebbe due gravami proposti davanti a due giudici diversi, degli artt. 358 e 373 cod. proc. civ., i quali invece, secondo la stessa Corte della Commissione centrale o la possiibilit� di riproporre l'impugnazione allia C�rte d'appello. Nel caso in cui le altre parti abbiano adito la Corte d'appello sostenendo la intempestivit� del ricorso proposto alla Commissione centrale la situazione � evidentemente diversa, perch� non � la stessa parte che gioca su due campi Tuttavia � egualmente difficile configurare una sospensione ex art. 295 c.p.c. perch� anche in questo caso la decisione della Commissione centrale, se ritiene il ricorso tempestivo decide l'impugnazione nel merito cosicch� resta travolto il giudizli.o della Corte d'appello anche per ci� che conoerne le impugnazioni delle altre parti che dovevano essere proposte innanzi alla Commissione centrale tempestivamente adita. E' poi evidente la macchinosit� della sospensione e il grave ritardo che essa comporta ove, come nel caso deciso, la decisione della Centrale venga impugnata con ricorso per cassazione. A ben riflettere non esiste alcuna pregiudizialit�, perch� la questione sul punto se il termine per ricorrere alla Commissione centrale sia infruttuosamente scaduto nonostante la presen1lazione di un ricorso, � egualmente preliminare sia per l'ammiss[bdl!it� del ricorso alla Centrale sia per la proponibilit� dell'impugnazione alla Corte d'appello. Ambedue i giudici hanno eguale legittimazione a decidere una tale questione e non esiste preferenza per uno sull'attro come non esiste prevalenza di un giudicato sull'altro. E poich� ambedue gli organi giudicanti in potenziale conflitto fanno parte dello stesso processo e sono posti ;nello stesso grado ed in alternativa, non sembra azzardato ipotizzare che possa valere sull'argomento il criterio della RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO di merito, riguarderebbero l'ipotesi della duplicazione di un solo gravame davanti lo stesso giudice: cos� argomentando, ad avviso della ricorrente, la sentenza impugnata non ha tenuto presente che nel processo tributario la Commissione centrale e la Corte di appello, pur essendo organi giurisdizionali diversi, sono posti sullo stesso piano dagli artt. 26 e 40 d.P.R. 1972 n. 636, che stabiliscono inoltre una perfetta equipollenza, quanto al contenuto ed agli effetti, delle impugnazioni indirizzate all'una ed all'altra. Sostiene infine la ricorrente con il quinto ed ultimo motivo (con cui denunzia illegittimit� costituzionale dell'art. 40 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 in relazione all'art. 10 n. 14 legge 9 ottobre 1971 n. 825, ed agli artt. 24, 76, 102, 115 Costituzione) che la eventuale conferma della interpretazione adottata dalla corte di merito imporrebbe a questa Corte Suprema di disporre la rimessione degli atti alla Corte Costituzionale: in tal caso, infatti, la garanzia di una tutela giurisdizionale effettiva sarebbe vanificata, perch� nessuno dei due organi giurisdizionali potrebbe pronunziarsi sul merito delle impugnazioni, stante la dichiarazione di tardivit� della Commissione centrale e quella di improponibilit� della Corte di appello. 3. -Il ricorso � fondato. prevenzione: la decisione che interverr� per prima far� stato in ambedue i giudizi, o nel senso che nel giudizio deciso si assorbe l'impugnazione di merito o nel senso della inammissibilit� o improcedibilit� di quel giudizio che possibile la prosecuzione dell'altro (salvo a distinguere la posizione delle diverse parti a seconda che abbiano o meno proposto una impugnazione inammissibile). Si deve osservare che in tal modo non si fa decidere da un giudice la ritualit� di una impugnazione rivolta ad un giudice diverso; a tal proposito pu� soccorrere l'esperienza passata che aveva insegnato come la proposizione di una impugnaz!ione inammissibile ab origine cli una decisione di Commis�sione non influiva sul decorso del termine semestrale per proporre l'azione ordinaria, sicch� n giudice ordinario, che non era giudice d'impugnazione dspetto alle commissioni e non poteva sindacare gli errores in procedendo, ben poteva verificare, come presupposto della proponibilit� della domanda ad esso rivolta, se la decisione della Commissione era diventata inoppugnabile nonostante la proposizione di un ricorso intempestivo o non ammesso nel sistema processuale; non poteva invece il giudice ordinario verificare la ammissibilit� di tin ricorso alla Commissione a causa di altri ostacoli rpreclusivd dell'esame del merJ.to trattandosi in questo caso di questione attinente alla: ritualit� del procedimento innanzi alla Commissione (Cass. 12 luglio 1978, n. 3115, in questa Rassegna, 1978, I, 744, citata nel testo sotto un diverso profilo). Certamente an:che il criterio della prevenzione !POrta con s� altre difficolt� ed incertezze, eliminabili soltanto con un affinamento interpretativo; sembra tuttavia che la soluzione sia pi� aderente alla norma specifica ed ai principi. C. BAFILE f. f� r: f PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 4. -La legge di delega n. 825 del 1971, all'art. 10 n. 14, stabilisce doversi dalle emanande norme delegate prevedere � che l'azione giudiziaria possa essere esperita avanti le corti di appello... dopo che sia decorso il termine per il ricorso alla Commissione centra!le �. E in attuazione cli tale delega il d.P.R. 1972 n. 636, all'art. 40 primo comma, statuisce che � decorso inutilmente per tutte le parti il termine per ricorrere alla Commissione centrale, la decisione della commissione di secondo grado pu� essere impugnata entro novanta giorni avanti la corte di appello�. Il senso letterale di entrambe le disposizioni normative riferite � chiarissimo: esse assumono, a presupposto di proponibilit� della impugnazione in Corte di appello, Ia decorrenza del termine, fissato per fa presentazione del ricorso in Commissione centrale, senza che questa presentazione vi sia stata. Tanto inequivocabilmente esprime la locuzione � dopo che sia decorso il t�rmine per il ricorso alla Commissione centrale�, di cui al citato art. 10 n. 14; altrettanto, con pari univocit�, esprime il riferimento all'inutile decorso dello .stesso termine (trascorso �inutilmente�, appunto se ed in quanto spirato senza che durante la sua pendenza il ricorso alla Commissione centrale sia� stato presentato). � quindi contraria alla lettera della legge la interpretazione adottata dalla sentenza impugnata, che quel presupposto, invece, ravvisa non nella mancata proposizione entro il termine del menzionato ricorso, ma nella omissione di siffatta iniziativa processuale senza alcun limite di tempo, e specularmente eleva la proposizione tardiva del ricorso a motivo di preclusione della impugnazione in Corte di appello, !laddove il legislatore -come esattamente notato nella discussione orale dalla difesa della ricorrente -quando ha voluto adottare un simile tipo cronologicamente indifferenziato di presupposto (e, al negativo, di preclusione) nei rapporti fra due rimedi impugnatori configurati in sequenza eventuale, e subordinata, dell'uno rispetto all'altro, ha impiegato formule verbali ben diverse, idonee a significare con tutta chiarezza che, come elemento della fattispecie legale, veniva assunto l'esperimento -in s� e per s� considerato, indipendentemente da qualsiasi sua connotazione cronologica dalla data impugnazione (cos�, ad esempio, nell'art. 34, secondo comma, r.d. 26 giugno 1924 n. 1054, sul quale cfr. Cass. Sez. Un. 24 gennaio 1967 n. 210). Storicamente, poi, l'inserimento nella disciplina dei rapporti fra azione davanti alle Commissioni ed azione davanti al Giudice ordinario, dettata dal nuovo contenzioso tributario, di una figura della prima predicata dal connotato dell'ammissibilit� (non solo quanto a tipicit�, ma anche) quanto a tempestivit� dell'esercizio, � perfettamente in linea con il sistema previgente, nel quale -come la giurisprudenza di questa Corte Suprema ha fer~amente puntualizzato (cfr. da ultimo, per l'applicazione del principio, Cass. Sez. Un. 12 luglio 1978 n. 3511; cfr. inoltre Cass. 4 agosto 1977 (� 186 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO n. 3474; Cass. 25 febbraio 1975 n. 40) -il momento della definitivit� della decisione in sede di Commissione, fungente da dies a quo della decorrenza del termine utile per proporre l'azione giudiziaria, non veniva in alcun modo influenzato dalla eventuale proposizione di una tardiva impugnazione contro quella decisione. Da ultimo, ma non certo quanto a decisivit�, soccorre, a conforto del ripudio della interpretazione adottata dalla corte di merito, il rilievo (dalla corte stessa percepito, senza peraltro cogliere le indicazioni ermeneutiche che ne scaturivano in senso contrario alla soluzione ad essa accolta) che, alla sua stregua, il diritto di ciascuna delle parti (e non del solo contri� buente, come riduttivamente avvertito da un autore, gi� in sede di primo commento al decreto delegato n. 636 del 1972) sarebbe rimesso alla merc� della controparte, la quale decorso il termine per ricorrere alla Commissione, potrebbe immediatamente dopo artatamente proporre un infondato, �d in ogni caso inammissibile -perch� tardivo -ricorso alla Commissione stessa, con ci� solo precludendo all'altra la possibilit� di impugnare 1n Corte di appello. Con la conseguenza che ciascuna delle pavti, ove volesse con certezza garantirsi contro una simile evenienza, dovrebbe o preoccuparsi di battere sul tempo la possibile iniziativa fraudolenta dell'aivversrarfo, proponendo ['impugnazione davanti alla Corte di appello nel primo momento utile immediatamente successivo allo spirare del termine per !ricorrere in Commis�sione centrale (ammesso che la prevenzione fosse ritenuta idonea ad impedire l'operare della regola fissata dalla sentenza impugnata), oppure rinunziare �a priori� al gravame davanti al Giudice ordinario e necessariamente adire nel termine, la suddetta Commissione. Donde l'inevitabile sospetto di incostituzionalit� della norma cos� interpretata. 5. -Deve dunque affermarsi che, ai sensi dell'art. 10 n. 14 legge 1971 n. 825, la proposizione tardiva del ricorso alla Commissione centrale non preclude Ia possibilit� �di esperire !'.impugnazione in Corte di appeUo. Perde cos� rilevanza la questione (sulla quale non vi � uniformit� di indirizzo nella giurisprudenza di questa Corte Suprema: cfr. in sensi diversi, infatti, Cass. S.U. 8 luglio 1957 n. 2707 e Cass. 21 maggio 1957 n. 1834) dei limiti, entro i quali opera la regola della �consumazione� dell'impugnazione. Quanto, poi, al preteso inconveniente del pericolo di giudicati contraddittori -a_ddotto dalla sentenza impugnata quasi per giustificare in termini di ineluttabilit� la opposta soluzione da essa accolta -va rilevato che esso non solo, quando anche effettivamente sussistesse, non costituirebbe un argomento dirimente, e dovrebbe recedere di fronte alle argomentazioni sopra svolte, ma neppure in realt� ricorre. L'eventualit� di giudicati contraddittori � ben possibile nel nostro ordinamento (cfr. Cass. 27 luglio 1973 n. 2217) in presenza tanto di situa PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA zioni patologiche (appello e ricorso per cassazione contro sentenza soggetta per legge ad una sola delle due impugnazioni -c.d. concorso anomalo: Cass. n. 1834 del 1957 cit. -le quali, una volta proposte non creano litispendenza -Cass. n. 2217 del 1973 cit.; Cass. 16 maggio 1977 n. 1966 ,._ sicch� debbono proseguire ciascuna per suo conto: Cass. 8 ottobre 1965 n. 2109; Cass. n. 1834 del 1957 cit.), quanto di situazioni previste dall'ordinamento (ad esempio reiterazione della impugnazione inammissibile o improcedibile, prima della relativa dichiarazione giudiziale, rispetto alla quale nessun raccordo � espressamente apprestato dalla legge; ipotesi della sentenza di conciliazione impugnabile direttamente per cassazione ex art. 111 Cost. e proponibilit� anche di ricorso ordinario contro la sentenza sulla prima emessa dal pretore in sede di appello, per la problematica del cui raccordo cfr., obiter, Cass. S.U. 10 settembre 1976 n. 3130). Proprio in tema di art. 40 d.P.R. 1972 n. 636, poi, la eventualit� di giudicati contraddittori sarebbe, secondo autorevole dottrina, la ineluttabile conseguenza del potere conferito e alla Commissione centrale e alla Corte di appello di giudicare autonomamente, e quindi anche diversamente -in via diretta la prima, indiretta la seconda -della validit�, o meno, della comunicazione e della notificazione della decisione di II grado (eventualit�, peraltro, dalla stessa dottrina negata sul presupposto dell'applicabilit� alla specie dell'art. 295 cod. proc. civ., di cui si sta per dire). Ma in realt� l'inconveniente cos� addotto non sussiste, ad esso potendo e dovendo la corte di appello, avvertita della proposizione di un ricorso in Commissione centrale, sospendere il giudizio pendente davanti a s� fino alla definizione dell'altro, ai sensi dell'art. 295 cod. proc. civ. La sentenza impugnata ci� nega, sul rilievo che nella ipotesi considerata si tratterebbe della stessa causa e della stessa impugnazione. Che per diritto positivo conforme a Costituzione ricorso in Commissione centrale e ricorso in Corte di appello siano impugnazioni -quanto a possibile contenuto -identiche �, come ben noto, sub iudice (Cass. ord. 19 giugno 1980 n. 337). Ma, a parte ci�, sta il fatto che l'art. 295 cod. proc. civ., e la regola della sospensione del giudizio pregiudicato in pendenza del giudizio pregiudicante da esso dettata, esprimono un principio generale del nostro ordinamento processuale, al quale si riconducono le specifiche statuizioni di contenuto sostanzialmente identico, che riguardano anche i casi di sdoppiamento di identica causa davanti ad identico giudice (ad esempio, a prescindere dall'espediente empirico della trattazione contestuale: ricorso per cassazione contro la sentenza emessa in giudizio di revocazione e ricorso per cassazione contro la sentenza oggetto della revocazione: cfr. Cass. 14 novembre 1979 n. 5918; cfr. anche Cass. 24 gennaio 1977 n. 348; Cass. 31 luglio 1967 n. 2039; ricorso ordinario per cassazione e regolamento di competenza: cfr. Cass. 20 giugno 1962 n. 1586). 188 A maggior ragione l'art. 295 cod. proc. civ. torna applicabile quando la diversit� del giudice rispetto alle diverse questioni, presenti in un'unica causa, crea un rapporto di � alterit� � (fra i processi) e di � pregiudizialit� � (fra le decisioni), che rende pertinente e puntuale il rimedio della sospensione: proprio jn materia tributaria era questa l'ipotesi, nella vigenza del vecchio contenzioso, della sospensione del giudizio di estimazione in pendenza di quello di diritto (Cass. 19 giugno 1972 n. 1941; Cass. 26 luglio 1971 n. 2494; Cass. 20 luglio 1971 n. 2364; Cass. S.U. 19 settembre 1967 n. 2182; Cass. S.U. 6 giugno 1967 n. 1241). Orbene, nell'ipotesi che ne occupa, l'identica causa, che contemporaneamente viene a pendere in Commissione centrale ed in Corte di appello, presenta nel primo processo una questione (quella relativa alla tempesti� vit� o meno del ricorso in Commissione) che costituisce l'antecedente logico :giU!fidico di altm questione, piresente nel secondo processo i(quelJa concernente la proponibilit� dell'impugnazione in Corte di appello): questione, la prima, della quale la Commissione centrale non pu� non conoscere principaliter e non efficacia in giudicato, laddove la Corte di appello ne dovrebbe conoscere incidenter, donde la necessit� per questa di sospendere in attesa che quella renda la sua decisione. Pregiudizialit�, infatti, pu� aversi -e quando ricorre non pu� non rilevare come tale a tutti gli effetti -non soltanto sul merito, ma anche sul processo. 6. -Non sembra ultronea una ultima riflessione. Alla diversit� del rapporto fra giudizio amministrativo e giudizio ordinario, istituito dal nuovo contenzioso tributario in sostituzione di quello fissato dal vecchio, corrisponde la diversit� del meccanismo di coordinamento e di raccoirdo fra i due processi. Identica, come gi� si � notato, � la irrilevanza della impugnazione tardiva nel giudizio davanti alle � Commissioni rispetto alla esperibilit� dell'azione davanti al Giudice ordinario. Ieri, per�, il raccordo fra le due sedi giurisdizionali era assicurato dalla �prevalenza� dell'azione in A.G.O. rispetto a quella davanti alle Commissioni, in ragione della quale l'esercizio della prima comportava � rinunzia � alla seconda, sicch� per il Giudice ordinario -una volta adito -non si poneva il problema di � sospendere � la propria decisione in attesa di quella delle Commissioni, perch�, delle due l'una: o davanti alle Commissioni era gi� intervenuto un giudicato (sul momento in cui una decisione fosse, in quel processo, divenuta definitiva per eventuale tardivit� dell'impugnazione contro di essa esperita), e ad esso, allora, il Giudice ordinario irimaneva vincolato (Cass. S,U. n. 3511 del 1978); o, invece, a quel momento un giudicato non era ancora inteirVenuto, ed allora non avrebbe pi� potuto formarsi (Cass. 22 settembre 1978 n. 4249; Cass. 17 ottobre 1973 n. 2609) onde di quel problema (tempestivit�, o no, dell'impugnazione nel processo davanti alle Commissioni al fine di indivi PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA duare il dies a quo di decorrenza del termine utile per proporre l'azione giudiziaria conosceva direttamente ed autonomamente il giudice ordinario. Oggi, invece, il racordo fra le due sedi si realizza attraverso il meccanismo della sospensione, ex art. 295 cod. proc. civ., del processo davanti alla Corte d"appefilo fino aHa definizione di quetlo dava1IJ.ti alla Commissione centrale, con la successiva ricezione, in quello, degli effetti del giudicato formatosi in questo. 7. -In conclusione, il ricorso va accolto e, cassata la sentenza impugnata, la causa va rimessa ad altro giudice di pari grado, ai�finch� ne rinnovi l'esame e la decisione in base al principio di diritto, secondo cui la proponibilit� dell'impugnazione davanti alla Corte di appello, ex art. 40, primo comma, d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, in relazione all'art. 10 n. 14 legge 9 ottobre 1971 n. 825, non � impedita dalla proposizione di un ricorso tardivo alla Commissione centrale. Ove sorga questione sulla proponibilit� della prima in relazione alla tempestivit� del secondo, il processo in Corte di appello deve essere sospeso ex art. 295 cod. proc. civ. fino alla conclusione di quello pendente davanti alla Commissione centrale, la cui decisione sul punto, una volta divenuta definitiva, fa stato nel processo davanti alla Corte di appello. Il giudice di rinvio -che stimasi opportuno designare in altra sezione della stessa Corte di appello di Bologna -terr� peraltro conto che, nella specie, � stata gi� resa da questa Corte Suprema decisione di rigetto (deliberata alla udienza odierna) del ricorso dalla stessa AIACA proposto contro la decisione con cui la Commissione centrale aveva dichiarato inammissibile, per tardivit�, l'impugnazione ad essa proposta dalla medesima ricorrente. (omissis) CORTE DI CASSAZIIONE, Sez. I, 27 febbraio 1982, n. 1267 -Pres. Miele - Rel. Battimelli -P. M. La Valva -Ministero del Tesoro (avv. Stato Viola) c. Malugani ed altri (avv. Campi). Tributi in genere -Violazione di leggi finanziarie e valutarie -Pena pecuniaria -Partecipazione in societ� estere senza la preventiva autorizzazione ed omessa notizia ai competenti organi valutari -Prescrizione Decorrenza. La partecipazione in societ� estere senza la preventiva autorizzazione e la omessa notizia di tale partecipazione ai competenti organi valutari vanno considerati, ai fini del dies a quo della prescrizione del diritto dello Stato di applicare le relative sanzioni, in modo distinto, nel senso cio� che per la prima infrazione si � in presenza di un illecito compiuto in un momento preciso, ossia nella data in cui era stata assunta la partecipazione, e da tale data inizia a decorrere la prescrizione; per la seconda, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO trattandosi di un fatto omissivo, l'illecito (sotto forma di omissione di dichiarazione dovuta) permane fino a quando non si sia adempiuto l'obbligo (e cio� o con la cessazione della partecipazione o per avvenuta comunicazione di essa agli organi competenti) e di conseguenza, prima di tale adempimento, il termine di prescrizione, ipotizzato dall'art. 17 della legge del 1929 n. 4, non inizia a decorrere (1). Il ricorso dell'Amministrazione va deciso partendo dalla precisa identificazione dell'illecito contestato dalla Banfi, in quanto solo in funzione del fatto ipotizzato nel decreto ministeriale di accertamento dell'infrazione in relazione alla quale fu comminata la pena pecuniaria pu� risolversi il problema della prescrizione; prescrizione che, come correttamente ha affermato la sentenza impugnata, � da intendersi disciplinata dalle norme sulla prescrizione del diritto alla riscossione della pena corrispondente alla pena inflitta, senza che possa tenersi conto della problematica relativa alla prescrizione dell'illecito in genere (cos� come, con motivazione pr�ssoch� identica a quella contenuta nella sentenza impugnata, si � pronunziata questa Corte nella sentenza n. 1502 del 3 aprile 1978). E, a tal fine, non va dimenticato che il problema in s� e per s� � testualmente risolto dal disposto dell'art. 17 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, contenente norme generali per la repressione delle leggi finanziarie (applicabile, in quanto legge generale regolatrice delle repressioni degli illeciti pecuniari e finanziari, anche al caso di specie); in base a detta norma, come ha gi� ricordato questa Corte nella sentenza innanzi citata, il diritto dello Stato alla riscossione della pena pecuniaria si prescrive col decorso di cinque anni dal giorno della commessa violazione. Il caso di specie va pertanto risolto prendendo, come dies a quo del computo della prescrizione quinquennale, la data del fatto illecito contestato nel decreto di condanna, cos� come in esso ipotizzato. Ci� posto, va chiarito che detto iHecito � da tidentifioarsi, indiipendentemente da quanto risulta dal processo verbale di accertamento e dal parere della Commissione consultiva, nella contestazione del fotto contenuta nel decreto mt�inisteriale; e in detto decreto, come testualmente .risulta nella sentenza impugnata, fu contestata la violazione degli artt. 2 e 5 della legge 25 luglio 1956, n. 786, di conversione del d.l. 6 giugno 1956, n. 476, per' �omessa denuncia agli organi valutari di una partecipazione all'estero, in societ� svizzera, assunta arbitrariamente �. In effetti, la sentenza impugn�ta, nell'effettuare il calcolo della prescrizione, si � riportata al contenuto di detto decreto e, in conformit� a quanto ipotizzato nel decreto (col quale in sostanza furono addebitate alla Banfi due infrazioni, e cio� (1) Sentenza di particolare interesse che completa ed integra i principi enunciati in tema di prescrizione per violazione alle leggi valutarie dalla Cassazione con la sentenza 3 aprile 1978, n. 1502, in questa Rassegna, 1978, I, 593, con nota. 191 PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA la partecipazione arbitraria, non autorizzata preventivamente, in una societ� estera, e l'omessa denuncia dell'assunzione di tale partecipazione), ha identificato i termini iniziali di decorrenza della prescrizione nella data in cui fu assunta la partecipazione, e in quella successiva entro cui, secondo la motivazione della sentenza, sarebbe scaduto il termine ultimo per la denuncia di tale fatto; ma, proprio in relazione a tale secondo termine, la decisione appare errata. Ed invero la Corte di appello ha ipotizzato che la partecipazione a societ� estera dovesse essere denunciata entro il termine di trenta giorni, sull'affermazione che l'Amministrazione non aveva indicato nelle sue difese un termine diverso e che �letto termine era l'unico ricavabile dal d.m. del 26 ottobre 1967, emanato appunto per l'attuazione della normativa del d.l. n. 476 del 1976. Questa soluzione � errata, sia perch� il fatto che l'Amministrazione non avesse precisato quale fosse il termine da applicare non esonerava la Corte, per il principio secondo cui iura novit Curia, a identificare da s� detto termine, sia perch� l'identificazione che ne � stata fatta non pu� condividersi. L'art. 1 del suddetto d.m. del 1967, infatti, stabilisce il termine di trenta giorni solo per la dichiarazione dei �crediti costituiti a favore di residenti in Italia nei confronti di non residenti, come ipotizzato nel secondo comma dell'art. 2 del d.l. n. 476, ipotesi questa ben diversa da quella di specie, essendo stata contestata alla Banfi la infrazione al disposto daihl'art. 5 del d.l., ossia il fatto, !ipotizzato nel secondo comma di detto articolo, di aver assunto una partecipazione in societ� estera senza preventiva autorizzazione, e di non averne dato notizia ai competenti organi valutari. E, mentre per la prima di dette infrazioni si era in presenza di un illecito compiuto in un momento preciso, e ben noto, ossia nella data in cui era stata assunta la partecipazione, per la seconda, trattandosi di un fatto omissivo, doveva essere chiaramente precisato il momento entro cui la violazione della norma potesse dirsi compiuta, e ci� non poteva certo farsi cos� come ha ritenuto la sentenza impugnata. Il te;rrrtlrne fissato dal Ministro per il commeroio con l'estero, di cui al secondo comma dell'art. 5 in esame, non pu� essere, infatti, quello generale di cui all'art. 1 del decreto ministeriale del 1967, bens� quehlo di volta in volta stabHHo dal Ministro al momento di concedere ~�autorizzazione all'assunzione di partecipa:zJione in societ� estere, previsita dal primo comma dello stes.so art. 5; pertanto, nel caso di specie, .in cui 1a partecipazione era stata assunta senza alcuna autor.izzazione, non sussisteva un termine prefissato ad hoc e la comunicazione dell'avvenuta partecipazione, anche ai fini di ottenere una sanatoria postuma, doveva farsi fino a quando persisteva la situazione cui si era dato luogo illecitamente. La conseguenza da ricavarsi era pertanto che, fino a quando non si fosse adempiuto l'obbligo, peI'Illaneva l'illecito (sotto forma di omissione di dichiamzione RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dovuta), e di conseguenza non poteVia cominciare 1a decorrere il termine di prescrizione ~potizzato dall'art. 17 della legge del 1929, n. 4: detto termine, pertanto, avrebbe dovuto fissarsi iITT. relazione al momento :in cui, per la cessazione della partecipazione, o per avvenuta comunicazione di essa agli organi competenti, fosse cessato il comportamento omissivo e in questi sensi va 1riconosoiuta e:rirata la sentenza impugnata, che ha Titenuto fissare detto termine, come gi� detto, in un momento diverso. La sentenza, pertanto, va cassata sul punto, con rinvio ad altira Sezione della �stessa Co11te, che decider� la questione della prescrizione in conformit� ai principi innanzi enunciati, accertando se sia identificabile, in base a detti pr1ncipi, un diverso termine iniziale di prescrizione e se Jia prescrizione quinquenna!le possa di11si compiuta in funzione del tempo decorso fra il termine ozia.le oos� identilficato e gli eventu:aili atti interruttivi e il momento termdnat1li.vo della procedura amministrativa di accertarrnento. L'accoglimento idel iricorso principale oomporta, di conseguenza, che debba essere esaminato :il ricorso proposto irn via incidentale e condizionata dai resistenti, che hanno lamentato che la sentenza impugnata abbia ritenuto non aprplicabi:le la sanzione nei loro confronti per effetto della normativa della legge 8 ottobre 1976, n. 689, in considerazione del fatto che le somme investite all'estero sarebbero rientrate in Italia anteriormente all'entrata in vigore della legge suddetta. Questa Corte ha gi� esaminato in precedenti pronunzie la questione cos� sollevata, riconoscendo infondata la tesi dei ricorrenti, n� sussistono ragioni per discostarsi c}alle precedenti decisioni, non essendo stati opposti, contro di esse, argomenti diversi da quelli gi� esaminati. Ed invero, la normativa degli,artt. 2 e 2 bis della legge 30 aprile 1976, n. 159, � chiaramente diretta a coloro che spontaneamente, entro un determinato termine, possedendo all'estero disponibilit� valutarie o attivit� di qualsiasi genere, ne avessero fatto dichiarazione all'Ufficio cambi entro un determinato termine, sia pure, come previsto dall'articolo della legge 8 ottobre 1976, n. 689, prima dell'entrata in vigore della legge stessa. A parte l'interpretazione che pu� darsi di quest'ultima norma, se cio� intesa a regolare solo le fattispecie verificatesi nell'intervallo fra la legge n. 689 e la precedente legge n. 159, oppure qualsiasi fatto verificatosi anteriormente, non vi � dubbio che la normativa preveda la preclusione di ogni accertamento di infrazioni valutarie solo nei confronti di coloro che avessero effettuato il versamento di una somma pari al 15 % dell'ammontare delle disponibilit� o delle attivit� possedute all'estero; e ci� rende la normativa inapplicabile al caso di specie, non risultando affatto che sia stato effettuat� alcun versamento; inoltre la normativa in questione � intervenuta quando la procedura di accertamento e di applicazione della sanzione era gi� esaurita, per cui senza dubbio essa non pu� trovare applicazione. SEZIONE SETTIMA GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 26 ottobre 1981, n. 5~76; Pres. Rossi; Est. C~leca A.; P. M. Silocchi (conf.) -Ministeri 11.pp., agricoltura e fo. reste, bilancio, tesoro, finanze e sanit� (avv. Stato Imponente) c. Comune �at ::s. .Pietro in Cariano ed altri (n.c.). Acque -Ricorsi avverso il piano regolatore generale degli acquedotti -Giurisdizione del Tribunale superiore AA.PP. (R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 143; d.P.R. 3 agosto 1968). Spetta al Tribunale superiore delle acque pubbliche, a sensi dell'ar� ticolo 143, lett. a) del r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, la cognizione dei ricor� si avverso il piano regolatore generale degli acquedotti ( approvato con d.P.R. 3 agosto 1968) che non contiene soltanto prescrizioni di carattere programmatico, ma, altres�, disposizioni concrete direttamente incidenti sull'effettiva utilizzazione delle acque pubbliche da parte dei singoli Comuni interessati {1). Con -l'unico motivo svolto Je Amministrazioni 1ricoriren1li sostengono che, contrariamente a quanto ritenuto �con �1a sentenza impugnata, la. cognizione della contiroversia spetta �al Tribunale Superiore delle aoque pubbliche 1e non al Consiglio di Stato. Rilevando, in proposMo, che la giurisdizione del Trribunale sussiste aHorch� la �Oausa investa, diret� tamente o indirettamente, interessi pubblici in ordine al regime delle acque, che, pertanto, non sembra possibile negare che, quanto meno in (1) Con l'intervento della Corte regolatrice dovrebbe avviarsi a soluzione il contrasto di vedute delineatosi, sullo specifico argomento, tra il Tribunale superfore ed il Consiglio di Stato. La decisione, ora cassata, della IV Sezione del Consiglio di Stato (17 dicem� bre 1974, n. 1042) si legge in Cons. St., 11974, I, 1610 e in Giust. civ., 1975 Il, 210. Per il carattere generale e programmatico delle prescrizioni del piano regolatore generale degli acquedotti si era pronunciato, ma agli effetti della decorrenza del termine per l'impugnazione dell'atto, il Tribunale superiore con sentenza .15 luglio 1975, n. 19 (in questa Rassegna, 1975, I, U39), risolvendo peraltro, implicitamente, la questione di giurisdizione nel senso delle Sezioni Unite. Dal suo canto, Cons. St., Sez. IV, 30 marzo 1976, n. 227, in questa Rassegna, 1976, I, 1048, aveva riaffermato il proprio orientamento escludendo che, agli effetti della giurisdizione, il piano regolatore potesse ritenersi atto della p.a. direttamente ed immediatamente incidente sull'utilizzazione di acque pubbliche. 14 RASSEC.NA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO direttamente il piano regolatore generale degli acquedotti incida su interessi relativi ad acque pubbliche; tanto pi� se si considera che, per espressa previsione legislativa (art. 3 legge .4 febbraio 1963 n. 129), gi� col progetto di piano, approvato con l'impugnato decreto presidenziale, si verifica la riserva di utilizzazione di acque ai sensi deltl'art. 51 del testo unico n. 1175 del 1933. Il che costituirebbe la insuperabile conferma che, nella specie, si ha una sicura incidenza diretta del provvedimento su interessi pubblici in ordine al regime delle acque. Il ricorso � fondato. L'art. 143, lett. a) del R.D. 11 dicembre 1933 n. 1775 (che approva il testo unico delle disposizioni di legge sUJlle acque e gli impianti elettrici) stabilisce che appartengono alla cognizione diretta del Tribunale Superiore delle acque pubbliche i � ricorsi per incompetenza, per eccesso di potere e per violazione di legge avverso i provvedimenti definitivi presi dall'Amministrazione in materia di acque pubbliche�. Se ne deve dedurre che tale controllo di legittimit� spetta al detto Tribunale, quale organo di giustizia amministrativa in unico grado, sotto un duplice presupposto che il singolo ricorso sia direttamente proposto contro un atto amministrativo definitivo che incida nella specifica materia delle acque pubbliche, o che, comunque, interferisca sotto il profilo del suo riferimento ad un'opem necessaria rper [a utilizzazione delle acque medesime; e che, in ogni caso, si versi in tema di interessi (cfr. tra le numerose sentenze, Sez. Un. 5 giugno 1965 n. 1115). Sulla sussistenza, nel caso .in esame, della giurisdizione del menzio nato Tribunale il Consiglio di Stato si � pronunciato negativamente, avendo ritenuto che l'art. 143 lett. a) del citato testo umico, nel devol vere al Tribunale Superiore i ricorsi contro i provvedimenti definitivi dell'Amministrazione in materia di acque pubbliche, si riferisce solo a quei provvedimenti che hanno come oggetto, diretto e immediato, fa derivazione e la utilizzazione delle acque medesime; nella specie, invece, il provvedimento impugnato si sarebbe limitato ad approvare il progetto di piano senza adottare, al riguardo, provvedimenti concreti. Queste Sezioni Unite ritengono di dovere dissentire dalla detta inter pretazione. Occorre, in proposito, premettere che il decreto presidenziale in oggetto ha approvato, apportandovi alcune modifiche di ufficio e conse guenti alle osservazioni accolte, il menzionato piano regolatore generale degli acquedotti � nella forma risultante dal progetto deliberato con de creto ministeriale del 16 marzo 1967 �: progetto questo che, a sua volta, era stato predisposto, dalle competenti Amministrazioni, sulla base della legge delega 4 febbraio 1963 n. 129. Ora il detto piano, come anche si evince dalla relativa � relazione introduttiva � e dai prospetti a questa allegati, contiene disposizioni pre PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 195 cise, con le quali, in applicazione dei criteri dettati da:ll'art. 2 della citata legge delega, ha considerato, con riferimento a tutto. il territorio nazionale, le esigenze idriche dei singoli agglomerati urbani e rurali, ragguagliandole all'incremento demografico prevedibile per il successivo cinquantennio, e tenendo conto, altres�, dello sviluppo economico delle singole zone. Con le suddette disposizioni � stato, infatti, provveduto, tra l'altro, alla compilazione di una serie di schede riguardanti la situazione idrica attuale per comune, e la integrazione della necessit� idro-potabile, sempre per comune, sino all'anno 2015; 1alla compilazione altres� dei nuovi schemi degli aoquedott:i ,da riattare; alla determinazione del fabbisogno idrico rper uso �civile nelle vaa:-ie Regioni, commismandolo a dota:ziiOiil� di aoqua �pro capite�, e, per le grandi citt�, all'aumento delle relative dotazioni in irelazione a!Lle particolari esigenze locali � fino ad un massimo di litri 750/a;b./g. �; alla maggi.orazione deJt1a dotazione iddca deHe zone dove si manifestano rpa;rticolari tendenze di incremento industriale, iinsoindibili dal complesso de11a distribuzione urbana. � stato anche proweduto a1la compilazione deM'elenco delle acque �da riservare�, con un !indice, per ciascun comune, riepillogativo delle caratteristiche essenzi8li: ci� in applicazione della disposizione di cui al comma secondo deli'wt. 3 della legge delega (n. 129 del 1963), la quale stabilisce 'che dalla data ili delibe razione del progetto di rpiano e sino alla data di entrata in vigore delle norme di 1attuazione 1e aoque che il piano avrebbe previsto di utilizzare dovevano essere �riservate� ai sensi delllart. 51 del testo unico n. 1775 del 1933. Quanto esposto rivela che il piano in esame, come appunto si de sume dal relativo contenuto e dai documenti che dello stesso costitui scono parte integrante, non contiene soltanto norme di carattere mera mente programmatico; ma anche disposizioni precise e concrete, impe gnative e quindi obbligatorie; avuto soprattutto riguardo: a) alla determinazione, per ciascuna zona, del fabbisogno idrico per uso potabile, industriale ed irriguo e, correlativamente, alla indicazione dello specifico quantitativo di acqua da destinare alle zone medesime per il successivo cinquanteillilio; b) nonch�, alla compilazione dell'elenco delle acque �riservate� per l'immediata loro utilizzazione. Tanto � sufficiente a fare ritenere che la cogmz1one della controversia non pu� che spettare al Tribunale Superiore delle acque, avendo per oggetto l'impugnazione, per eccesso di potere e per violazione di legge, di un provvedimento amministrativo definitivo che, contenendo anche precise e concrete disposizioni in materia di acque pubbliche, incide, direttamente, su interessi dei singoli comuni. (omissis) 196 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 5 novembre 1981, n. 5817 -Pres. Mazza. cane -Rel. Caturani -P. M. Dettori -Raviele (Avv. A. SanduHi) c. Ministero delle Finanze (Avv. Stato Cosentino). Demanio � Demanio marittimo � Contestazione sulla natura e sui confini Poteri del giudice ordinario. Demani.o -Demani.o marittimo � Lido e spiaggia � Nozione. Nell'indagine rivolta a riconoscere l'appartenenza di un bene, nella sua attuale consistenza, al demanio marittimo, il giudice ha il poteredovere di accertare i criteri obbiettivi con i quali il bene si presenta al momento della decisione, per effetto dei quali esso rientra nella categoria prevista dalla legge e di accertare altres� se ricorre la sdemanializ� zazione tacita, generalmente ammessa i(e perci� il provvedimento di sclassificazione ha carattere puramente dichiarativo), tranne per i beni del demanio marittimo (art. 35 cod. nav.) (1). Il lido del mare � quella porzione di riva a contatto diretto con le acque del mare da cui resta normalmente coperta a mezzo delle mareggiate ordinarie sicch� ne riesce impossibile ogni altro uso che non sia quello marittimo; la spiaggia � costituita non sol.o da quei tratti di terra prossimi al mare che siano sottoposti alle mareggiate straordinarie, ma comprende anche l'arenile, cio� quel tratto di terra che risulti relitto in seguito al naturale ritirarsi delle acque restando idoneo ai pubblici usi del mare (2). Non pu� accogliersi anzitutto la impostazione difensiva del ricor.,' rente principale che vorrebbe contrastare gli accertamenti di fatto circa la natura dell'area in contestazione sulla base (esclusiva) di titoli di an I tica provenienza come il verbale di conciliazione del 1866 stipulato dal comune di Oapaocio con i remoti danti oausa di esso Raviele e la mappa ivi annessa. I Se infatti quel verbale e quella mappa -come la sentenza impu~ gnata ha dato atto -segnavano col lido del mare uno dei confini del ~ fondo concesso in enfiteusi dal comune ai detti soggetti, tale fatto non II pu� essere considerato decisivo nel senso di riconoscere la propriet� (attuale) dei beni compresi in quei confini, i quali, secondo la legislazione vigente, presentino caratteri intrinseci che li comprendono tra i beni del demanio marittimo. Non solo, invero, il lido del mare non pu� essere confuso con la spiaggia, come vorrebbe la difesa del Raviele, ma deve ribadirsi in questa I ~ (1-2) Sulla prima massima cfr. Cass. 22 gennaio 1969, n. 147; sulla seconda ,.i cfr. Cass. 2 giugno 1979, n. 2756 e 6 maggio ,1980, n. 2995. f: �����........�... I PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI sede che qualora venga in discussione l'appartenenza di un bene nella sua attuale consistenza, al demanio marittimo, il giudice del merito ha il potere-dovere di accertare i caratteri obbiettivi con i quali il bene si presenta al momento della decisione, per effetto dei quali esso rientra nella categoria prevista dalla legge (cfr. per il principio generale, Cass. 22 gennaio 1969 n. 147). In un giudizio come il presente, in cui si tratta di individuare il confine della propriet� privata rispetto ai beni del demanio marittimo, non si pu� prescindere dall'accertamento diretto dei beni in contestazione secondo la loro attuale consistenza, mentre i titoli esibiti dalle parti possono costituire soltanto utili e concreti elementi di giudizio, al fine di stabilire non solo la originaria consistenza dei beni stessi, ma anche se eventualmente possano riscontrarsi in essi gli estremi di una sdema . nializzazione tacita, ammessa generalmente per il codice civile del 1865 (art. 429). Nella interpretazione di questa norma -secondo cui i beni demaniali che cessavano di essere destinati all'uso pubblico ed alla difesa nazionale, passavano dal demanio pubblico al patrimonio dello Stato -giurisprudenza e dottrina erano concordi nel ritenere che il provvedimento di sclassificazione avesse valore puramente dichiarativo e che pertanto la cessazione della demanialit� potesse avvenire anche tacitamente con efficacia sin dal momento in cui il bene avesse perduto le sue originarie attitudini a servire agli usi pubblici del mare; diversamente da quanto poi statuito in tema di sclassificazione espressa dai beni del demanio marittimo dall'art. 157 del codice della marina mercantile del 1877 e dall'art. 35 cod. nav. L'impugnata sentenza �, pertanto, censurabile in primo luogo sul piano della motivazione, essendo caduta in una palese contraddittoriet� nella interpretazione del titolo anzidetto, poich� mentre nell'esame della domanda principale � partita dal presupposto della persistente validit� ed efficacia della �regalia sovrana del tiro di balestra� previsto dall'articolo 463 del codice del regno delle due Sicilie, nel prendere poi in considerazione la riconvenzionale del Ministero ha invece negato che la p.a. potesse invocare con successo le �regalie sovrane� al rf�ne di determinare l'attuale estensione della zona demaniale, avendo riconosciuto (esattamente) che le regalie medesime erano state abolite dall'art. 48 disp. prel. al codice civile del 1865, cio� da una norma gi� vigente quando fu redatto il verbale di conciliazione del 1866. Ma a parte questo rilievo che gi� inficia l'iter logico della motivazione adottata dall'impugnata sentenza, i[ decisus cui la stessa � pervenuta si fonda su di una lacunosa ed incompleta indagine circa la qualifica di arenile attribuita all'area di cui si contende. Questa Corte, con una giurisprudenza ormai costante, ha posto in rilievo che, mentre il lido del mare � quella porzione di riva a contatto 198 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO diretto con le acque del mare da cui resta normalmente coperta a mezzo delle ordinarie mareggiate sicch� ne riesce impossibile ogni altro uso che non sia quello marittimo, la spiaggia (art. 822 cod. civ.; 28 cod. nav.) � costituita non solo da quei tratti di terra prossimi al mare, che siano sottoposti alle mareggiate straordinarie, ma comprende anche l'arenile cio� quel tratto di terraferma che risulti relitto dal naturale ritirarsi delle acque, restando idoneo ai pubblici usi del mare (sent. 5 agosto 1949 n. 2231; S.U. 2 maggio 1962 n. 849; 2 giugno 1978 n. 2756), anche se in via soltanto potenziale e non attuale (sent. 6 maggio 1980 n. 2995). Orbene, anche se i testi normativi non hanno mai espressamente compreso gli arenili tra i beni demaniali, l'interpretazione generalmente accolta in passato poneva in evidenza che essi costituiscono un ampliamento deHo stesso concetto di spiaggia, inteso come tratto di terra che si estende oltre il lido verso la terraferma senza certi confini, per modo che, a seconda che il mare si avanzi o si ritiri, la sua estensione diminuisce o cresce; in quest'ultimo caso si determina la formazione di un relitto del mare o arenile. Cos� come la spiaggia, l'arenile � quindi caratterizzato da tre requisiti essenziali: a) deve trattarsi di un'area contigua alla spiaggia che una volta era toccata dal mare, il che importa che esso, come del resto la spiaggia, non ha confini fissi, ma variabili in relazione alla natura dei luoghi; b) il terreno pu� essere della pi� diversa natura geologica; c) esso deve essere idoneo per la realizzazione dei pubblici usi del mare (Cass. 6 maggio 1980 n. 2995 cit.). Nella fattispecie, la Corte d'Appello, nell'accertare la natura dema niale dell'ar-ea in contestazione non soltanto non ha motivato :anche su quella parte di area rivendicata dal Ministero con subordine riferimento alla particella 10 ma si � limitata ad evidenziare il criterio delle ca ratteristiche geofisiche del suolo, onde ha ritenuto � arenile � tutta la zona di terreno che geofisicamente � risultata essere stata abbandonata dal mare. Senonch�, per quanto riguarda il requisito innan:zJi menzionato con la lettera e), � mancata nel caso concreto qualsiasi indagine rivolta a stabilire se sussistesse -ed eventualmente in quali limiti -la idoneit� del bene, anche se soltanto potenziale a realizzare i pubblici usi del mare, essendosi la Corte limitata ad osservare che soltanto un provvedimento di sclassificazione avrebbe potuto sottrarre la zona medesima a tali usi. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 199 In altri termini, il provvedimento di sclassificazione espressa richiesto dall'art. 157 del codice della marina mercantile del 1877 e dall'art. 35 cod. nav., in tema di beni del demanio marittimo presuppone in ogni caso ohe si tratti di uno di quei beni compreso nella relativa categoria giuridica e a tal fine la mera derivazione dell'area dall'abbandono del mare se � necessaria, non � tuttavia sufficiente. Deve invece dimostrarsi in concreto che l'area abbia l'accennata attitudine potenziale ed m che modo essa si sia fil concreto maniifesta.ta; soltanto in tal caso [a inclusione della medesima tra ri. beni del demanio marittimo rende indispensabile il provvedimento di sclassificazione al fine di farla passare dal demanio al patrimonio dello Stato. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 10 dicembre 1981, n. 6518 � Pres. Mirabelli; Est. Caturani; P. M. Saja (conf.) -Ente Sviluppo in Puglia e Lucania (avv. Stato Del Greco) c. Fasano (avv. Mitolo). Arbitrato � Rapporto tra arbitri e giudice amministrativo � Questione di giurisdizione -Configurabilit�. Arbitrato -Compromesso e clausola compromissoria � Controversie deferibili agli arbitri � Riforma agraria � Controversia sul recesso dal rapporto di assegnazione di terreni � Clausola compromissoria � Nullit�. (Cod. civ., art. 806; legge 6 dicembre 19�l, n. 1034, art. 5). La delimitazione dei poteri di cognizione degli arbitri rispetto a quelli del giudice amministrativo involge una questione di giurisdizione (1). La controversia in ordine ai presupposti ed agli effetti del recesso dell'assegnatario dal contratto di vendita di terreni di riforma agraria rientra nella giurisdizione esclusiva dei tribunali amministrativi regionali e non �, quindi, compromettibile in arbitri {2). Con il primo motivo del ricorso l'ente di sviluppo in Puglia e Lucania, denunziando difetto di giurisdizione, violazione e falsa applicazione dell'art. 5 della legge 6 .dicembre 1971 n. 1034, degli art. 16 e segg. della legge 12 maggio 1950 n. 230, della legge 21 ottobre 1950 n. 841, (1-2) Cass., S.U., 4 luglio 1981, n. 4360, citata in motivazione, si legge in Foro it., 1981, I, 1860, con nota d� C.M. Barone. Sul tema della compromettibilit� ad arbitri delle controversie attinenti a contratti di assegnazione di terre, cfr. Finocchiaro M., in Giust. civ., 1979, I, 1800. Nel senso che a base dell'assegnazione di terre da parte di un ente di riforma debba ravvisarsi una concessione amministrativa, cfr. Cass. 7 otto bre 1972, n. 2914, in Giust. civ., 1973, I, 95. 200 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO degli articoli 808 e 829 n. 1 c.p.c., in relazione -all'art. 360 n. l, 3 e 5 c.p.c., assume che contrariamente a quanto ritenuto dall'impugnata sentenza, deve riconoscersi la nullit� della clausola compromissoria prevista nel contratto di vendita con patto di riservato dominio di terreni assegnati nel quadro della riforma fondiaria, in quanto l'art. 5 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034 ha introdotto una nuova fattispecie di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in tema di concessione di beni pubblici onde, non riflettendo la controversia in esame �indennit�, canoni ed altri corrispettivi� per i quali sussiste la riserva del giudice ordinario, ai sensi dell'art. 5 comma 2 della legge, il collegio arbitrale mancava assolutamente di potere decisorio, cos� come privo di giurisdizione in materia sarebbe stato il giudice ordinario. La censura � fondata. Non � dubbio, anzitutto che si versa nella specie in questioni attinenti alla giurisdizione, poich� se i poteri decisori degJi arbitri sono considerati daiHa legge come sostitutivi della competenza dell'autoI'it� giudiziaria, tanto che nei rapporti tra arbitri e giudice ordinario si � soliti configurare problemi di competenza, la questione di competenza diventa necessariamente questione di giurisdizione, tra arbitri e giudice amministrativo, cos� come di giurisdizione sono i rapporti che intercorrono tra giudice ordinario e giudice amministrativo (S.U. 4 luglio 1981 n. 4360). D'altra parte � evidente che, per la soluzione del problema interpretativo proposto, non pu� utilizzarsi il precedente di queste Sezioni Unite (cfr. S.U. 12 marzo 1980 n. 1641), che � stato pronunciato in tema di riscatto anticipato degli assegnatari delle terre della riforma fondiaria, ai sensi della legge 30 aprile 1976 n. 386, in quanto, in quella sede non sorse alcuna questione circa l'applicazione della nuova legge, la quale non � applicabile indiscriminatamente ai rapporti pregressi, ma secondo i criteri previsti dalla disposizione transitoria contenuta nell'art. 38 de1la legge. Quale sia l'indirizzo seguito in proposito da queste Sezioni Unite, con esplicito riferimento alla legge istitutiva dei TAR, risulta invece dalla sentenza 2 maggio 1979, n. 2522 che ha statuito il principio secondo cui la domanda con la quale il concessionario di un pubblico servizio nel territorio comunale (distribuzione del gas) insorga avverso il provvedimento 'di iriscatto della concessione adottata dal comune concedente, pur rientrando nella giurisdizione dell'a.go. per l'epoca anteriore, � stata devoluta alla competenza giurisdizionale dei TAR, ai sensi degli artt. 5 e 7 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, in forza dei quali la giurisdizione del giudice ordinario resta limitata alle cause riguardanti indennit�, canoni ed altri corrispettivi. j ! ! f f. f f. I ! PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 201 Poich�, nel caso concreto, � pacifica tra Je parti l'applicabilit� in astratto alla fattispecie in esame dei nuovi criteri di giurisdizione introdotti dalla legge n. 1034 del 1971, � necessario prendere le mosse dalla testuale formulazione dell'art. 5 che � cos� concepito: � Sono devoluti alla competenza dei Tribunali amministrativi regionali i ricorsi contro atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni o di servizi pubblici... Resta saJva la giurisdizione dell'autorit� giudiziaria ordinaria le controversie concernenti indennit�, canoni ed altri corrispettivi �. Anzitutto non pu� revocarsi in dubbio che nel caso in esame si sia in presenza di una concessione amministrativa (concessione-contratto), secondo la ricostruzione della complessa materia che queste Sezioni Unite elaborarono con la sentenza 7 ottobre 1972 n. 2914. Si osserv� in quella sede che gli enti di riforma (ora enti di sviluppo) sono enti pubblici e sono pubblici i beni oggetto della assegnazione. I terreni provenienti da espropriazioni in danno di privati proprietari sono infatti trasferiti agli enti anzidetti per il raggiungimento di fini di interesse pubblico e cio� dei fini propri della riforma fondiaria ed agraria, che sono fondamentalmente quelli della migliore ripartizione della propriet� fondiaria e della valorizzazione delle terre, attraverso una trasformazione delle colture. N� pu� sostenersi -secondo la tesi fatta valere dalla difesa degli assegnatari nella discussione orale -che non si ver~erebbe in materia di beni pubblici indisponibili in senso tecnico, giacch� per questi non vige, come per i beni demaniali, una tipicit� normativa nel senso che possono appartenere soltanto allo Stato, con la estensione del relativo regime alle provin~ie ed ai comuni per i beni indicati nell'art. 822 cpv. c.p.c., se appartengono a tali enti (art. 824 e.e.). I beni pubblici indisponibili, invero, in quanto destinati ad un pubblico servizio (come pu� affermarsi per i beni della riforma fondiaria) ove appartengano ad enti pubblici non territoriali, sono egualmente soggetti alla disposizione contenuta nell'art. 828 comma secondo e.e., e non possono quindi essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano. Si comprende poi come non esplichi, ai fini che si considerano, alcun rilievo la circostanza che, al termine del rapporto giuridico costi� tuito tra le parti, i beni si trasferiscono dal patrimonio dell'ente all'assegnatario in propriet�, poich� la disciplina speciale propria della concessione- contratto ha modo di esplicarsi egualmente in tal caso durante tutto il periodo in cui opera tra le parti, l'atto di assegnazione. Non ha pregio inoltre l'altra obiezione secondo cui l'art. 5 sarebbe inapplicabile alla fattispecie perch� la controversia non presuppone la RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO impugnativa di un atto o provvedimento della p.a. In tema di giurisdi� zione esclusiva, pur non potendosi disconoscere che il processo che si svolge innanzi al giudice amministrativo rimane un processo da ricorso, non pu� tuttavia essere sottovalutato che il giudice, per la intima compenetrazione che sussiste fra .il diritto soggettivo e l'interesse legittimo, esamina l'intero rapporto giuridico sostanziale e non si limita a riscontrare la legittimit� del provvedimento amministrativo, ohe, in ipotesi, pu� anche mancare. Sono note, invero, le discussioni insorte in proposito circa la necessit� di rispettare anche in tal caso i termini di decadenza per la impugnativa e come si sia consolidato l'orientamento espresso in senso nettamente contrario, sotto il profilo che, scendendo il giudice amministrntivo all'esame di situazioni qualificabili come diritti soggettivi, la loro tutela deve ritenersi ammessa per tutto il periodo di prescrizione del diritto. Ci� premesso, non vi sono perci� ostacoli di carattere pregiudiziale che si frappongano alla applicazione dell'art. 5 della legge alla fattispecie concreta, la quale rientra nella competenza giurisdizionale del Tribunale amministrativo regionale, ai sensi del primo comma della citata disposizione. Come risulta dall'impugnata sentenza, nella specie, l'assegnatario, senza pervenire previamente ad alcun accordo con l'ente di sviluppo, ha ritenuto unilateralmente di recedere dal rapporto, abbandonando il fondo e quindi ha adito il collegio arbitrale, ai sensi dell'art. 19 del contratto, per far valere sulla base della affermata cessazione del rapporto il suo diritto alla indennit� per i miglioramenti. Ne consegue che la controversia che si agita tra le parti non attiene al. mero profilo patrimoniale che riguarda � l'indennit� � prevista dall'art. 5 comma secondo della legge, ma si estende al controllo circa la esistenza dei presupposti che potevano indurre, nel caso concreto, ad una risoluzione del rapporto ad iniziativa dell'assegnatario ed alla in� terpretazione del complesso contratto accessivo alla concessione; il che importa che sia applicabile la regola, di cui al primo comma dell'art. 5, che devolve la controversia alla giurisdizione del TAR. Poich� nel caso in esame la questione di giurisdizione (risolta nel senso del difetto di giurisdizione del giudice ordinario) � stata solle vata dal ricorrente come mezzo al fine di ottenere il riconoscimento giudiziale della non compromettibilit� in arbitri della presente con troversia � necessario stabilire se ed in quali limiti il difetto di giu risdizione dell'a.go. in materia incida sui poteri decisivi degli arbitri. L'indirizzo gi� accolto da queste Sezioni Unite (sent. 2 maggio 1979 n. 2522; 24 febbraio 1981 n. 1112; 4 luglio 1981 n. 4360), che va confermato in questa sede, non essendo stati addotti in senso con trario argomenti che valgano a modificarlo, � nel senso che ove si PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI tratti di controversia relativa a diritti soggettivi, gi� devoluta al giudice ordinario, ma attualmente rientrante nella giurisdizione esclusiva del TAR (in quanto non compresa nella riserva di giurisdizione deH'a.go., limitata alle indennit�, canoni ed altri corrispettivi delle concessioni di beni o di servizi pubblici, ai sensi dell'art. 5 comma terzo della legge), in difetto di contraria previsione normativa deve escludersi la facolt�� di compromettere in arbitri. A sostegno di tale orientamento s1 sono addotti due argomenti fondamentali, dei quali l'uno attiene alla funzione propria del compromesso che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, � sostitutivo od equivalente della giurisdizione ordinaria e quindi deroga convenzionalmente soltanto alla giurisdizione dell'a.go., mentre l'altro pone l'accento sugli effetti giuridici che si verificano allorch� determinate materie sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice speciale in relazione ai diritti soggettivi delle parti, i quali subendo necessariamente le conseguenze che sono connesse all'intimo intreccio con gli interessi legittimi, perdono o riducono la loro disponibilit�, onde non so:np pi� suscettibili di essere compromessi in arbitri (art. 806 cpc.). D'altra parte, si � sottolineato che ammettere la deferibilit� ad arbitri delle controversie relative a diritti che si pretendono lesi dal provvedimento concessorio, non soltanto importerebbe che le controversie circa la distinzione tra diritti e interessi permarrebbe nella materia, in: violazione della legge n. 1034 del 1971, che � provvedimento d'ordine e di interesse pubblico, ma autorizzerebbe una deroga alla concentrazione di tutte le controversie nella giurisdizione amministrativa, che � stata ritenuta la pi� idonea, in materia di concessioni amministrative, alla pi� completa e penetrante tutela delle situazioni giuridiche soggettive lese dall'autorit� amministrativa. Devesi quindi dichiarare che, essendo la controversia insorta tra le parti devoluta alla giurisdizione esclusiva del TAR, ex art. 5, comma primo, della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, la controversia medesima non � compromettibile in arbitri. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 16 dicembre 1981, n. 6651 -Pres. Sandulli; Est. Gualtieri; P. M. Morozzo della Rocca (conf.) -Ente Autonomo Tirrenia (avv. Lorenzoni) c. Ministeri Finanze e Marina Mercantile (avv. Stato Bruni). Procedimento civile -Ricorso per cassazione -Motivi -Violazione di norme statutarie di ente pubblico -Deducibilit� � Esclusione. (Cod. proc. civ., art. 360, n. 3). Demanio -Canoni di concessione -Natura patrimoniale -Prescrizione triennale -Inapplicabilit�. (d.P.R. 20 marzo 1953, n. 112, art. 16). 204 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Demanio � Demanio marittimo � Concessioni destinate a costruzioni di durata ultrannuale � Canone � Determinazione. (Legge 21 dicembre 1961, n. 1501, art. 2). La violazione delle norme dei regolamenti interni e degli Statuti degli Enti pubblici non pu� essere dedotta come motivo di ricorso per cassazione a sensi dell'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., quelle disposizioni esaurendo la loro efficacia nell'ambito dell'attivit� interna degli enti medesimi (1). La prescrizione triennale prevista dall'art. 16 del D.P.R. 20 marza 1953, n. 112 riguarda le tasse di concessione governativa e non � applicabile alla riscossione del canone di concessione per l'uso di un bene demaniale (2). Agli effetti della determinazione del canone di concessione, l'art. 2 della legge 21 dicembre 1961, n. 1501 ha riguardo non alla durata della concessione stessa bens� alle caratteristiche delle opere realizzate sul I bene demaniale (3). I Con il primo motivo, denunziando violazione dell'art. 6 r.d.l. 3 novembre 1932, n. 1466, convertito nella legge 27 dicembre 1932, n. 1990, e del;, I l'art. 4 dello Statuto dell'Ente Autonomo Tirrenia approvato con d.m. ~~ 7 febbraio 1934, in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., il ricorrente deduce che ha errato la Corte del merito nel ritenere che il rappresentante dell'Ente avesse il potere di stipulare Ja concessione senza la preventiva deliberazione del Consiglio di amministrazione, richiesta, invece, . dall'art. 4 n. 4 dello Statuto per tutti i contratti e non soJtanto, come I ritenuto dalla Corte, per i contratti di appalto, senza ~onsiderare, inoltre, che la legge costitutiva dell'Ente dispone che l'Amministrazione, senza I distinguere tra ordinaria e straordinaria, � affidata al Consiglio di Amministrazione. Aggiunge il ricorrente che, anche se l'interpretazione della Corte I fiorentina fosse esatta, la deduzione dell'Ente medesimo sarebbe fondata poich� una simile limitazione dei poteri del Consiglio di Amministrazione, o meglio l'attribuzione ail Presidente dell'ordinaria amministrazione di cui all'art. 7 dello Statuto, nel senso pi� ampio riconosciutogli dalla Corte, sarebbe illegittima perch� contrastante con la legge istitutiva. (1) Nello stesso senso, cfr. Cass., 7 ottobre 1972, n. 2927, in Giust. civ. Mass., 1972, fase. 17�18. (2) La natura patrimoniale e non tributaria dei canoni di concessione di beni demaniali � stata, pi� di recente, riaffermata da Trib. Sup. acque, 15 ottobre 1974, n. 17, in questa Rassegna, 1975, I, 769 e 8 novembre 1975, n. 23, ivi, 1976, I, 295. (3) Applicazione puntuale del dato normativo. �-.-I: - PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI In ordine alla prima censura, che deve ritenersi infondata, si rileva che i regolamenti interni nonch� gli Statuti degli enti pubblici esauriscono la loro efficacia e la loro operativit� nell'ambito dell'attivit� interna degli enti medesimi, di guisa che, non potendo le norme dei regolamenti e dello Statuto assumere il vigore e la forza cogente di norme giuridiche -anche se costituiscono indiretta emanazione della volont� dello Stato, che nella formazione dell'Ente pubblico ha provveduto a disciplinare ,la finalit�, l'organizzazione e le foDme di attiv,it� -la vadazi0tne o la falsa interpretazione delle disposizioni in essi contenute non sono deducibiH come motivo di ricorso per cassazione, risolvendosi l'indagine sul loro contenuto e sulla loro eventuale inosservanza in una indagine di fatto non sindacabile in sede di legittimit�, se non in relazione alla violazione o alla falsa applicazione delle norme sull'interpretazione dei contratti (le quali, in quanto applicabili, si estendono anche all'interpretazione degli atti amministrativi) oppure ai vizi di motivazione (cfr. sent. 7 ottobre 1972 n. 2927; 15 maggio 1976 n. 1723; 4 novembre 1980, n. 5904). Orbene, non avendo il ricorrente denunziato la violazione delle regole valevoli in tema di ermeneutica contrattuale ed essendo l'interpretazione della Corte fiorentina sorretta da motivazione corretta e adeguata e condotta nel rispetto delle emanate regole, la sentenza impugnata non merita censura. Quanto alla seconda doglianza, la stessa � inammissibile, avendo per oggetto una questione mai prospettata nei precedenti gradi nel giudizio e dovendo, pertanto, trovare applicazione il principio che i motivi di ricorso per cassazione devono investire questioni che hanno formato oggetto di gravame con l'atto di appello (il che, nella specie, non � avvenuto), sicch� nel giudizio di legittimit� non possono essere prospettate per la prima volta questioni nuove o temi nuovi di contestazione, implicanti (come nel caso in esame) un radicale mutamento del sistema difensivo (da ultimo, cfr. sent. 8 agosto 1979, n. 4623). Con il secondo motivo, denunziando violazione dell'art. 12 d.m. 7 febbraio 1934, in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., il ricorrente deduce che la Corte del merito avrebbe omesso di rilevare che mancava, in ogni caso, una deliberazione del Presidente per la stipulazione del contratto e che questo non era stato sottoposto al visto prefettizio. La censura deve ritenersi infondata alla stregua dei su esposti princ�pi sopra affermati in tema di interpretazione dei regolamenti interni e degli Statuti degli enti pubblici. Con il terzo motivo, denunziando violazione dell'art. 2948 n. 3 e 4 cod. civ., in relazione agli articoli 3 e 5 cod. proc. civ., il ricorrente si duole che la Corte del merito abbia rigettata l'eccezione di prescrizione fondata 206 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO sull'articolo 2948 cod. civ., erroneamente e contraddittoriamente ritenendo che l'obbligo di pagamento del canone derivasse non da un unico rapporto di concessione con durata pluriennale e con rate singole annuali, ma da vari e autonomi atti di concessione con durrata annuale e ciascuno con un apposito canone da corrispondersi in unica soluzione, e che abbia trascurato l'ul1:eriore profilo deM'eccezione sofilevata con :riferimento all'art. 2948 n. 3 cod. ciiv., attesa l'assimifazione della concessione-contratto ad un contratto di locazione. Le censure sono prive di fondamento. Quanto alla prima, non pu� negarsi che la fattispecie prevista e rego lata dal n. 4 dell'art. 2948 cod. civ. (si prescrivono in cinque anni gli interessi e, in generale tutto ci� che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini pi� 'brevi) differisce completamente, come ha 'rilevato 1a Corte fiorentina, da quella in discussione fra le parti. Essa ha, infatti, correttamente ritenuto che la norma in esame trova�� applicazione nel caso in cui da un unico rapporto giuridico derivino obbligazioni con scadenza periodica non superiore ad un anno e che, nella specie, si era in presenza non di un unico atto di concessione, con durata pluriennale e con singole rate annuali, ma di tanti autonomi atti di concessione aventi durata annuale e ciascuno con apposito canone, da pagarsi in unica soluzione. Quanto poi alla mancata considerazione, da parte dei giudici di appello, dell'equiparabilit� della concessione -contratto alla locazione, devesi ritenere che gli stessi abbiano implicitamente escluso, sostenendo la tesi sopra indicata, la possibilit�, sul piano giuridico, di assimilare alla locazione la concessione -contratto, che costituisce lo strumento normale �~ attraverso il quale si suole consentire al privato la utilizzazione dei beni t del demanio o del patrimonio indisponibile ed � una forma di concessione amministrativa, nella quale l'atto convenzionale privato resta sempre connesso e subordinato all'atto unilaterale e autoritativo di concessione, di cui costituisce mera attuazione. I Con il quarto motivo, denunziando violazione e falsa applicazione dell'art. 16 d.P:R. 20 marzo 1953, n. 112, il ricorrente deduce che se fosse I esclusa l'applicabilit� dell'art. 2948 n. 3 cod. civ., al canone dovrebbe rico II noscersi natura giuridica di tassa, soggetta, quindi, alla prescrizione trien 1 nale stabilita dall'art. 18 su indicato, al comma 2. I Neppure questa censura pu� essere condivisa. � ! In.fotti, tale norma regola la prescrizione in matevia di riscossione i della tassa di concessione governativa, che � un'imposta, mentre la pre ! sente controversia ha ad oggetto la riscossione di conguaglio dovuto sul I f ): f f PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI canone di concessione per l'uso di un bene demaniale e tale canone non pu� evidentemente identificarsi con l'imposta sulla concessione governativa. Con il quinto motivo, denunziando violazione e falsa applicazione dell'art. 39 codice navigazione, in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., il ricorrente deduce che hanno errato i giudici del merito nel ritenere che, avendo esso subconcesso a privati il tratto di arenile avuto in concessione, dovevasi escludere che si fosse trattato di una concessione per fini di pubblico interesse, per la quale fosse dovuto, a norma del citato articolo 39, un canone meramente ricognitivo della natura demaniale del bene. concesso. Secondo il ricorrente, la Corte non avrebbe considerato che l'utilizzazione dell'arenile a mezzo di privati non sarebbe stata in contraddizione con i fini costituzionali dell'Ente, volti alla valorizzazione della zona, mentre nessun rilievo avrebbe la circostanza che nell'atto di concessione l'Ente avesse accettato il canone �salvo conguaglio�. -La censura non coglie nel segno. -Invero, la Corte fiorentina ha interpretato la norma, negandone la applicabilit� al caso di specie, in base all'assorbente rilievo che l'EAT, pur essendo una persona giuridica pubblica avente lo scopo di valorizzare una determinata zona della nostra Toscana, non aveva ottenuto la concessione ai fini del citato art. 29, e tale apprezzamento di fatto non � certamente sindacabile in questa sede, non avendo il ricorrente dedotto alcun vizio di motivazione dlela decisione impugnata. Con il sesto motivo, denunziando violazione e falsa applicazione dell'art. 2, comma 3, legge 21 dicembre 1961, n. 1501, in relazione all'art. 360 n. 3 e 5 cod. proc. civ., drl ricorrente deduce che erroneamente e con1Jraddittoriamente la Corte del merito, sul rilievo che nell'arenile in concessione erano stati installati manufatti non rimossi al termine del rapporto, ha ritenuto legittima la determinazione del canone operata a norma dell'articolo 2, comma 3, della legge n. 1501 del 1961, pur .avendo accertato che si trattava di concessione limitata ad un solo anno. Anche questo motivo � infondato. La Corte fiorentina ha correttamente interpretato la normativa in esame nel senso che questa non prende in considerazione fa durata della concessione, come pretende il ricorrente, ma le caratteristiche delle opere realizzate sul suolo demaniale, che devono consistere in costruzioni con durata superiore ad un anno. N� � censurabile Ja applicazione di taJ.e principio al caso di specie, avendo la Corte posto a sostegno del suo giudizio uno svolgimento motivazionale adeguato ed esente da errori logici e giuridici. (omissis) RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 18 gennaio 1982, n. 300 -Pres. Mazzacane; Est. Caturani; P. M. Grimaldi (conf.). -Valenza (avv. Pignatone) c. Assessorato ll.pp. Regione siciliana (avv. Stato Del Greco). Appalto -Concorso di Enti nell'esecuzione dell'opera pubblica -Aggiudicazione -Approvazione da :parte dell'Ente affidante -Scadenza del termine -Diritto di recesso dell'aggiudicatario -Insussistenza. (R.D. 23 maggio 1924, n. 827, art, 114; d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 4). In ipotesi di affidamento dell'esecuzione di un'opera pubblica da uno ad altro ente pubblico, la prevista approvazione, da parte dell'affi� dante, dell'aggiudicazione della gara d'appalto espletata dall'ente affida� tario assolve ad una funzione diversa dall'atto di approvazione che, secondo la disciplina generale dei contratti della P.A., condiziona la mera efficacia del contratto d'appalto concluso oon l'aggiudicazione. In tale ipotesi, pertanto, l'aggiudicatario non pu� recedere dal contratto, a sensi dell'art. 4 del Cap. gen. d'appalto di cui al d.P.R. n. 1063 del 1962, adducendone la mancata approvazione nel termine di sessanta giorni dalla stipulazione (1). (omissis) Con� i primi due motivi del ricorso che affrontando sotto diversi profili la stessa questione, quella centrale della causa, possono esaminarsi congiuntamente, il ricorrente, denunziando violazione e falsa applicazione dell'art. 4 del capitolato generale d'appalto per le opere pubbliche approvato con D.P.R. 16 luglio 1962 n. 1063, dell'art. 114 r.d. 23 maggio 1924 n. 827 nonch� difetto di motivazione (art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.), sostiene che la Corte d'Appello � caduta in errore allorch� ha affermato che il termine di trenta giorni per la stipula del contratto di appalto di cui all'art. 4 comma primo del capitolato generale d'appalto del 1962 � ordinario per la P.A. e che l'aggiudicatario, pertanto, non ha facolt� di svincolarsi dal suo impegno per l'inutile decorso di tale termine. Al con� trario, la mancata stipula del contratto di appalto nel termine di trenta giorni dall'aggiudicazione non approvata comporta il diritto dell'aggiu (.1) Non constano precedenti specifici. Con riguardo allo schema procedimentale tipico, la natura conclusiva del verbale di aggiudicazione, col quale si perfeziona il vincolo contrattuale, � costan� temente affermata in giurisprudenza, che da tale principio si �, alle volte, discostata nei peraltro ram casi in cui abbia mtenuto accertato l'dntento della P .A. di rinviare la costituzione del vincolo contrattuale al successivo momento della stipulazione del contratto, avente di norma natura di formalit� ulteriore, mera� mente riproduttiva di un vfacolo gi� perfezionatosi. Per la rilevanza soltanto pattizia delle norme del Cap. gen. d'appalto richiamato nei contrat1li della Regione Sliciliana anteriori alla legge reg. 26 maggio 1973, n. 21, cfr. Cass., 24 novembre 1978, n. 5522, in questa Rassegna, 1980, I, 211. I t 1:: i: @ PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE. ED APPALTI PUBBLICI 20!) dicatario di recedere dal rapporto, notificando la sua determinazione, a norma dell'art. 114 del regolamento sulla contabilit� dello Stato. Le riassunte censure sono infondate. Il thema decidendum riflette le aggiudicazioni di opere pubbliche di competenza dell'amministrazione regionale siciliana, per le quali � applicabile obbligatoriamente il capitolato generale di appalto approvato con d.P.R. 16 luglio 1962 n. 1063, a norma della legge regionale siciliana 26 maggio 1973 n. 21. Occorre premettere che, in linea di principio, l'aggiudicazione contiene la dichiarazione negoziale della P.A., cui si ricollega l'effetto della prestazione del consenso. L'art. 16 comma 4 de1la legge su~1a contabilit� generale dello Stato (R.D. 18 novembre 1923 n. 2440), dispone, invero, che i processi verbali di aggiudicazione �definitiva� in seguito ad incanti pubblici o a private licitazioni, equivalgono per ogni effetto legale al contratto. In tal caso (quando cio� la legge non prevede una successiva stipulazione del contratto) gli atti di aggiudicazione �definitiva� non sono efficaci finch� non siano approvati (art. 19 R.D. 1923 n. 2440) ed essi integrano l'unico atto costitutivo del vincolo giuridico al quale, dopo intervenuta l'approvazione prevista dall'art. 19, deve darsi esecuzione. Quando � invece previsto che all'aggiudicazione debba seguire la stipulazione formale del contratto, entrambe ~e parti sono tenute a prestarvisi. Anche in questo caso, tuttavia, in mancanza di una diversa volont� contrattuale, il vincolo giuridico si costituisce con l'aggiudicazione �definitiva� mentre la successiva stipulazione (formale) ha il valore di una riproduzione del precedente negozio giuridico che pu� anche contenere dichiarazioni circa la esecuzione di obblighi preliminari assunti dalle parti e indicazioni secondarie (Cass. 24 marzo 1979 n. 1695; 7 dicembre 1977 IIl.. 5295). In tal caso � necessarria .I'approv:azione del contratto (formale) stipulato perch� si produca la fase della efficacia e della possibile esecuzione delle prestazioni. Per quanto concerne, in particolare, gli appalti di opere pubbliche, la regola generale � che all'aggiudicazione debba seguire la stipula del contratto (art. 325 e 332 legge sui lavori pubblici del 1865 n. 2248 all. F; art. 4 cap. gen. Ministero dei Lavori Pubblici del 1962 n. 1063). In questa ipotesi, quindi, la distinzione tra aggiudicazione � definitiva � e stipulazione del contratto risulta dalla legge, onde non ha pregio il rilievo (svolto dal ricorrente) che le due fasi in sostanza coincidono. Ora ai sensi dell'art. 4 comma primo del Cap. Gen. del 1962 n. 1063, � prescritto che la stipulazione del contratto di appalto, deve aver luogo entro trenta giorni dalla data del deliberamento (aggiudicazione). E tale termine, mentre � perentorio per l'aggiudicatario, potendo la P.A. in caso 210 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO di mancata stipula imputabile al contraente privato -procedere a nuovo incanto a spese del medesimo (art. 332 della legge sui lavori pubblici 1865 n. 2248 all. F richiamato dall'art. 4 comma terzo del capitolato generale del 1962), ha carattere non essenziale, ma ordinatorio per la P.A., che pu� pertanto invitare l'altra parte a stipulare il contratto anche dopo la sua scadenza. Questa impostazione che prende le mosse dalla natura ordinatoria del termine dei trenta giorni prevista dall'art. 4 comma primo Cap. Gen. del 1962, per la stipula (formale) del contratto di appalto di opere pubbliche, � coerente con quanto le sezioni unite di questa ('.orte (sentenza 16 maggio 1977 n. 1962) hanno ritenuto circa la interpretazione della norma. Si � osservato, infatti, che l'art. 4 comma quarto del suddetto capitolato generale, ove prevede il diritto dell'aggiudicatario di svincolarsi da ogni impegno e, quindi, di conseguire la restituzione della cauzione eventualmente versata per il. caso di manoata approvazione del contratto nel termine di sessanta giorni dalla stipulazione, comporta che detto diritto dell'aggiudicatario va a maggior ragione riconosciuto nel caso di mancata stipulazione del contratto medesimo entro quel termine. Pure in tale ipotesi, pertanto, ai sensi della citata norma, il recesso dell'ag-� giudicatario richiede la sola notificazione all'ente appaltante della dichiarazione di volont� di sciogliersi dagli impegni assunti, ai sensi dell'art. 114 del regolamento di contabilit� generale dello Stato (approvato con r.d. 23 maggio 1924 n. 827), e non anche una preventiva intimazione per la stipula del contratto, secondo la disciplina prevista dall'art. 1454 e.e. A sostegno di tale indirizzo le Sezioni Unite hanno sottolineato che se per far scattare il potere di recesso dell'aggiudicatario basta che nel termine di sessanta giorni dalla stipulazione del contratto non intervenga il decreto di approvazione, ci� vuol dire che non si � inteso tener vincolato l'aggiudicatario al di l� di un certo periodo di incertezza circa la efficacia del contratto anche nei confronti della P.A. per motivi di carattere economico. A maggior ragione si � quindi ritenuto che l'aggiudicatario possa svincolarsi da ogni suo impegno quando i sessanta giorni siano trascorsi dopo la scadenza del termine di trenta giorni previsto dall'art. 4 comma primo del Capitolato Generale, senza che si sia proceduto alla stipula del contratto. Ora l'applicazione dei principi accennati alla fattispecie concreta esige una precisazione circa le modalit� della fattispecie esaminata dai giudici del merito. Pur essendo mancata al riguardo una indagine specifica da parte della Corte d'Appello, costituisce punto pacifico della controversia (cui entrambe le parti si sono richiamate sia pure per trarne conseguenze diametralmente opposte, a sostegno delle rispettive ragioni), che -es PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 211 sendo stati i lavori affidati in esecuzione dall'Assessorato regionale all'I.S.E.S. -fu previsto nel bando di concorso e quindi ricevuto nel contratto di appalto, che l'Assessorato si riservava la facolt� di approvazione dell'aggiudicazione, Ja quale doveva pertanto ritenersi del tutto provvisoria. Il che si spiega ove si rifletta che, mentre la materiale esecuzione dell'appa!lto fu affidata aU'I.S.E.S., il Htolare dell'mteresse pubblico che la esecuzione delle opere mirava a realizzare era la regione, per modo che la definitiva determinazione circa la efficacia vincolante del rapporto giuridico, quale atto di amministrazione attiva, non poteva non essere riconosciuta all'ente pubblico affidante. Ora una tale approvazione (che non costituisce .il tipico atto emanato in sede di esercizio dei poteri di controllo) non pu� confondersi come invece sostenuto dal ricorrente -n� pu� sostituire l'atto di approvazione vero e proprio che condiziona dall'esterno la efficacia del contratto gi� perfetto. E poich� la operativit� della aggiudicazione ne postula ovviamente la definitivit�, anche agli effetti dell'applicazione dell'art. 4 commi 1 e 2 D.P.R. 1962 n. 1063, data l'impossibilit� di ipotizzare un obbligo di stipulazione, con apposizione del relativo termine, rispetto ad un atto ancora imperfetto, ne consegue che nel caso in esame i novanta giorni per la stipulazione (e la successiva approvazione) del contratto non potevano decorrere che dal giorno in cui 1l'aggiudioazione -in seguito alla cosiddetta approvazione dell'Assessorato regionaile divenne definitiva e oio� a far tempo dal 24 agosto 1971. Pertanto, il 16 ottobre 1971, allorch� fu notificata dall'aggiudicatario la dichiarazione di recesso, i novanta giorni entro cui doveva essere (formalmente) stipulato il contratto non erano ancora decorsi, onde giustamente la Corte del merito ha ritenuto inefficace il recesso dell'aggiudicatario e legittimo l'invito a stipulare in data 21 ottobre 1971 da parte dell'Assessorato. (omissis) SEZIONE OTTAVA GIURISPRUDENZA PENALE SEZIONE OTTAVA GIURISPRUDENZA PENALE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III, 5 gennaio 1982, n. 36 -Pres. Radae1li Est. Sacchetti -Rie. Grimaldi (avv. dello Stato Nicola Bruni). Reato -Obbligo di denunzia all'autorit� di P;S. di infortunio sul lavoro Contrasto nella prognosi tra certificato di pronto soccorso ospedaliero e quello di sanitario dell'INAIL -�Prevale quest'ultimo. Qualora, a seguito di infortunio sul lavoro, vi sia contrasto nella prognosi tra certificato di pronto soccorso ospedaliero e certificato di sanitario dell'INAIL, al fine di stabilire la sussistenza o meno dell'obbligo di denunzia dell'infortunio stesso all'autorit� di P.S., devesi tenere I I ~ conto del certificato dell'INAIL (1). (1) Non risultano precedenti pronunzie del S.C. in cui siano state esaminate I fattispecie relative all'obbligo di denunzia all'autorit� di P.S. di infortunio sul lavoro caratterizzate dalla esistenza di duplice certificazione, di pronto soccorso ospedaliero e di sanitario dell'INAIL. I I TRIBUNALE DI VITERBO, 20 novembre 1981 -Pres. est. Caliento -Imp. Archibusacci Giovanni pi� 3 -Parte civile: Azienda per gli interventi sul mercato agricolo (A.I.M.A.) (Avv. Stato Nicola Bruni). I I Reato -Truffa ai danni dell'A.I.M.A. -Integrazione prezzo olio di oliva Olio licavato da olive acquistate presso terzi -Non compete. Reato -Truffa ai danni dell'A.I.M.A. -Integrazione prezzo olio di oliva Asservimento delle strutture di cooperativa tra produttori di olive e utilizzazione delle domande dei soci a fini climinosi -Punibilit� ai sensi dell'art. 640 C.P. e non dell'art. 9, comma terzo, del D.L. 21 novembre 1967, n. 1051. Reato -Falsit� in atti -Registro di lavorazione previsto dal D.L. 21 novembre 1967 n. 1051 -E' atto pubblico formalmente delivativo ma sostanzialmente oliginale. PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 213 Reato � � Falsit� in atti � Presidente, vicepresidente e direttore amministra� tivo di cooperativa tra produttori di olio .di oliva che procedono alle annotazioni nel registro di lavorazione previsto dal DL. 2-11-1967 n. 1051 � Sono pubblici ufficiali. In virt� dei regolamenti emessi dalla Comunit� economica Europea in materia di integrazione prezzo dell'olio di oliva n. 2132-69, 2212-70, 2311-71, 1360-78, 1562-78, 2753-78, 3134-78, 1211-79), detta integrazione compete ai produttori di olive e non ai fabbricanti dell'olio di oliva. Risponde pertanto del reato di truffa ai danni dell'A.1.M.A. colui che richiede l'integrazione prezzo per olio ricavato da olive non prodotte direttamente ma acquistate presso terzi (1). Il presidente, il vice-presidente e il direttore amministrativo di cooperativa tra produttori di olive che asservono le strutture della stessa e utilizzano le domande dei soci a fini criminosi sono punibili ai sensi dell'art. 640 C.P. e non dell'art. 9, comma terzo, del D.L. 21-11-1967 n. 1051 (2). Il registro di lavorazione previsto dagli artt. 5 e 7 del D.L. 21-11-1967 n. 1051 non � semplice certificato amministrativo ma atto pubblico sia per la sua provenienza ed intestazione al Ministero dell'Agricoltura e delle Foreste, per la preventiva vidimazione e timbratura da parte degli ispettori provinciali sia perch�, inserendosi come elemento essenziale nel procedimento amministrativo per la concessione dell'integrazione prezzo olio di oliva, � fornito di rilevanza esterna nei rapporti tra i privati e la (1-2�3'4) In ordine alla prima massima non risultano precedenti specifici della Cassazione Penale. Comunque, l'assunto del Tribunale, fondato sulla normativa contenuta nei regolamenti comunitari concernenti I'� aiuto alla produzione di olio di oliva � (� questa l'espressione usata dai pi� recenti regolamenti comunitari in materia) � senz'altro da condividersi. Quanto alla seconda massima, va osservato che il Tribunale, accogliendo la tesi dell'Avvocatura, � andata in contrario avviso della Suprema Corte. ed ha ritenuto i fatti ascritti agli imputati punibili ai sensi dell'art. 640 cod. pen. e non dell'art. 9, terzo comma, del d.l. 21 novembre 1%7, n. 1051. L'efficacia temporanea di tale disposizione (limitata alla produzione 1967-68) trova valida conferma in quanto � stato rilevato e ritenuto dalla Corte Costituzionale nella decisione 24 giugno 1976, n. 157 e, inoltre, la sua inapplicabilit� alla fattispecie sottoposta all'esame del Tribunale di Viterbo discendeva anche dalla considerazione che la fattispecie stessa era ben pi� complessa e diversa da quelle esaminate dal S.C. Invero, quelle delibate dalla S.C. riguardavano singoli produttori che avevano effettuato alcune indicazioni non esatte nelle loro domande di integrazione prezzo. In quella esaminata dal Tribunale di Viterbo (alla quale per altro ben si sarebbe attagliata anche la contestazione del reato di assooia:filone per delinquere, art. 416 cod. pen.) vi erano s;;ate per anni, come esattamente osservato in sentenza, l'asservimento delle strutture della cooperativa S,C.O.C. (Societ� Cooperativa Olearia Castrense) s. a r.l., costituita tra produttori di olive, e 214 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO P.A. che se ne avvale facendolo proprio per verificare la regolarit� della domanda di integrazione, ed appartiene alla categoria di quei documenti che sono formalmente derivativi, in quanto riproducono fatti giuridici emergenti da altri documenti, ma sostanzialmente originali, in quanto, sia pure a mezzo dei fatti riprodotti, comprovano e rappresentano a loro volta un fatto giuridico nuovo, avente una propria autonomia non� ch� effetti giuridici propri (3). Il presidente, il vice-presidente e il direttore amministrativo di cooperativa tra produttori di olive, nell'effettuare le annotazioni nel registro di lavorazione previsto dal d.l. 21 novembre 1967 n. 1051, svolgono una pubblica funzione in quanto, compiendo un atto essenziale del procedimento amministrativo relativo alla integrazione prezzo per l'olio di oliva, partecipano alla formazione della volont� della P.A. (4). (omissis) Ritiene il Tribuniale, alla luce del:le 'acquisite .risultanze processuali, di affermare la penale responsabilit� degli imputati Archi� busacci Giovanni, Filiberto ed Arturo in ordine ai delitti loro ascritti e di assolvere Gentili Enzo per insufficienza di prove. 1) delitto sub a): sussistenza e qualificazione giuridica. -Osserva il Collegio che gli Archibusacci dopo avere assunto nel primo interro� gatorio, reso al P.M. in data 2 aprile 1981, la perfetta corrispondenza dei dati trascriitti nel registro di lavorazione ai quantitativ:i di olive realmente �ccxnrferiti dai singoli soci e di olio effettivamente estratto, attribuendo le contrarie dichiarazioni, rese sino a quel momento da l'utilizzazione delle domande dei soci a fini criminosi, diretti a procurare lucri e profitti al presidente, al vice-presidente ed al direttore amministrativo. La terza massima � perfettamente aderente all;orientamento costante della giurisprudenza del S.C. (v. tra le pi� :rncenti: Sez. VI, 13 febbraio 1979 rie. Corda; Sez. V, 5 maggio 1976 rie. Di Falco) che ha ritenuto tra gli atti pubblici originari e quelli derivativi, una terza categoria di atti che, pur formalmente derivativi, sono sostanzialmente originari in quanto, sia pure a mezzo di fatti riprodotti da altri documenti, comprovano o rappresentano a loro volta un fatto giuridico nuovo avente una propria autonomia ed effetti giuridici propri, come nelle ipotesi del libretto di circolazione (Cass. V, 5 aprile 1978 rie. Traversone), della scheda del casellario giudiziale (Cass. VI, 18 gennaio 1974, rie. Moroni), dei verbali di esame e dei cosiddetti � statini � (Cass. VI, 20 febbraio 1968, rie. Mazzarella), della cartella clinica redatta da un medico addetto ad un ospedale I (Cass. V, 2 aprile 11971, rie. Scope!) ecc ... Anche la quarta massima � conforme all'indirizzo giurisprudenziale della I Suprema Corte che, anche con pronunzie recenti (Sez. V, 21 marzo 1980, rie. Guidobaldi) ha ribadito che ai fini della sussistenza del reato di cui all'art. 479 !i cod. pen. � irrilevante la collocazione del soggetto in una determinata posizione i: i: formale della struttura impiegatizia dell'ente pubblico, essendo sufficiente il io fatto obiettivo della sua attivit� funzionale, anche se prestata in modo occa� i sionale. I l NICOLA BRUNI ~. f PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 215 alcuni soci e, segnatamente, da Bartolini Francesco e Franceschetti Pietro, ad errore, confusione e malvolenza degli stessi nei loro confronti, hanno poi ammesso, nel secondo interrogatorio reso al P.M. in data 29 aprile 1981, che surl registro di lavorazione erano stati � alterati � i predetti quantitativi. In udienza hanno confermato quest'ultima versione. Gli stessi hanno, altresi, rivelato il meccanismo adottato per procedere alla falsificazione. Al momento del conferimento delle olive, al socio veniva consegnato un buono di consegna, redatto in duplice copia, nel quale veniva indicato il quantitativo reale. La seconda copia restava in possesso degli Archibusacci, i quali provvedevano, a questo punto, a predisporre una duplice contabilit� dei quantitativi: una occulta, contenuta in un brogliaccio a loro esclusiva disposizione, mai lasciata in ufficio e sempre gelosamente custodita, ove annotavano i quantitativi reali per i conteggi che sarebbe stato necessario fare con il socio (calcolo dell'integrazione, pagamento di acconti, versamento del saldo, resa dell'olio); l'altra ufficiale, risultante dal registro di lavorazione, caratterizzata dalla metodica. maggiorazione dei dati reali, al fine di predisporre le schede riassuntive e i prospetti riepilogativi, in base alle quali compilare le domande di integrazione, firmate in bianco dai soci. Nell'effettuare le maggiorazioni gli Archibusacci tenevano conto, al fine di non destare sospetti negli organi di controllo dell'estensione dei terreni di ciascun socio, del numero delle piante che vi insistevano, fossero o meno in produzione, e delle rese massime (piante -olive; olive -olio) fissate per J'annata agrairia in corso. Le dichiarazioni rese dalle centinaia dei soci della cooperativa, i chiaI1imenti tecnici forniti, oltre ohe dagli imputati, da alcuni testi, quali Rancini Ubai1clo {fol. 22' e 49) e Laghi Pier Giuseppe (fol. 19, 493) non lasciano dubbi sulla sussistenza, sulle caratteristiche e sull'imponenza del fenomeno. Ammesso il fatto, gli Archibusacci hanno, peraltro, assunto una linea difensiva mirante a provare che, nonostante l'alterazione dei dati riportati nel registro di lavorazione, la quantit� di olive effettivamente molite dal frantoio e la quantit� di olio complessivamente ottenuto 1sarebbero, comunque, corrispondenti a quelle denunciate nelle domande di integrazione, di tal che nessun danno, inteso questo nella corretta accezione di diminutio patrimonii, sarebbe derivato allo Stato. Non della truffa contestata, pertanto, avrebbero dovuto rispondere, n� del delitto di cui all'art. 9 co. 3� D,L. 21-11-1967 n. 1051; ma della pi� lieve ipotesi criminosa prevista dal 1� co. del cit. art. 9. Sotto altro profilo hanno dedotto poi l'assoluta inidoneit� degli artifici usati, a concretizzare la fattispecie criminosa di cui all'art. 640 c.p., atteso che il corretto esercizio delle fun. zioni demandate agli organi di vigilanza e di controllo in materia avrebbe consentito di evidenziare il carattere menzognero dei documenti presentati. La &ea difensiva cosi assunta, � peraltro, :infondata, in fatto 216 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO .STATO ed in diritto e deve essere disattesa. Ed invero, ove avessero voluto, gli Archibusacci avrebbero potuto offrire la prova certa dei quantitativi reali e di quelli denunciati, producendo i buoni di consegna ed il brogliaccio della contabilit� occulta, non essendo credibile che l'abbiano distrutto; ma si sono astenuti dal farlo perch� consapevoli che, attraverso l"esame di quei documenti, sarebbe 1emersa con assoluta ;previsione la prova del divario tra i due quantitativi e, quindi, d;ell'ammontare del danno provocato all'AIMA. Hanno, invece, creduto di dare consistenza al loro assunto indicando tre elementi di prova, definiti di carattere documentale e, cio�, il consumo di energia elettrica del frantoio, che sarebbe :proporzionale al!la molitura denunciata; il quantitativo di sansa dallo stesso ottenuto, analogamente proporzionale al quantitativo complessivamente denunciato; il verbale di accertamento della G. di F. iniziato il 5-5-1981, che ha considerato come effettivamente prodotti i quantitativi risultanti dal registro di lavorazione, nonch�, attraverso le deposizioni del teste Morosini Augusto (f. 529 e 543) autista della cooperativa, e del teste Perfetti Sergio, escusso a discarico nell'udienza del 13-11-1981, frantoiano della cooperativa. Peraltro, �gli argomenti desunti dal consumo di energia elettrica, proposti senza nessun elemento chiarificatore circa l'entit� dello stesso, le caratteristiche dell'impianto molitorio e la sua potenzialit� funzionale, non sono minimamente utilizzabili neppure nella prospettiva di un accertamento tecnico e si rivelano quali meri espedienti difensivi. Analogamente inutilizzabili sono gli argomenti relativi alla produzione di sansa, proposti anche essi senza elementi chiarificatori, comunque, non suffragati da alcun documento certo. Neppure il verbale della G. di F. � utilizzabile nella considerazione che lo stesso � preordinato al fine esclusivo di accertare l'evasione di imposta in relazione al maggiore quantitativo del prodotto, comunque dichiarato dal contribuente. Per quanto riguarda la deposizione del teste Morosini, il Collegio nutre gravi sospetti sulla sua attendibilit�, tanto � vero che del relativo verbale, su richiesta del P.M., � stata trasmessa copia alla Procura per la determinazione di competenza. Degli asseriti acquisti di olive nel Sud, in realt�, gli Archibusacci avrebbero potuto offrire 1a prova rigorosa producendo le relative fratture, le bollette di carico, i buoni di consegna, gli assegni' dati in pagamento (v. deposizione del teste a discarico Perfetti Bruno, che ha smentito la circostanza di pagamenti in contanti asserita nell'ud. 13-11-1981 da Archibusaoci Giovanni) e, principalmente, indicando i nomi dei vOOJditori. L'omessa indicazione di quest'ultimo dato induce, anzi, il Collegio a condividere il sospetto, espresso dal P.M., che per gli stessi quantitativi di olive possa essere stata richiesta integrazione sia dal produttore-venditore sia dagli Archibusacci, sotto i nomi dei soci, avvalendosi eia PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE scuno delle bene differenziate procedure e, comunque, determina il sicuro convincimento che, ove alcuni quantitativi di olive siano stati acquistati, si � pur sempre trattato di quantitativi del tutto trascurabili rispetto all'entit� del fatto cos� come contestato. La conferma di ci� viene daJle stesse deposizioni del Morosini e del Perfetti. Iil :primo ha dichiarato in udienza di essersi recato nel Sud durante i mesi della campagna olearia e cio� dal novembre al gennaio-febbraio (al massimo 16' settimane) a scadenze settimanali con un autocarro da q.li .100, per cui, ove, pure, gli acquisti effettuati potrebbero essere stati dell'ordine di q.li 1.500 circa. Siccome, secondo il teste Perfetti Sergio, il quantitativo di olive acquistato direttamente sulla piazza di Canino sarebbe stato di pari entit�, a tutto concedere si potrebbe pensare ad acquisti da terzi per circa q.li 3.000 di olive, neppure sufficienti a �giustificare�, secondo la tesi degli imputati, le maggiorazioni, sicuramente .operate, dei quantitativi indicati nelle domande loro, dei loro parenti e di Brenciaglia Luigi (il quale ha precisato che l'anno precedente aveva ottenuto circa 600 q.li contro i 1629,73 indicati nella denuncia presentata dagli Archibusacci l'anno successivo, nonostante le rese indicative siano rimaste invariate nei due anni secondo la nota fatta pervenire dopo l'udienza 13-11-1981 dal dr. f.erruccio Fusari Pres1dente Commissione Prov.le Integrazione Olio di Oliva). Non � assolutamente credibile, infatti, che gli Archibusacci, dopo avere maggiorato le domande dei soci col rischio di essere scoperti, non abbiano fatto altrettanto con le proprie, pur non correndo rischi e potendo lucrare somme ben maggiori. D'altra parte l'imputato Gentili Enzo ha fornito la prova del contrario dell'assunto degli Archibusacci, rilevando che le maggiorazioni dovevano essere, a suo avviso, effettuate per i soci che avevano un maggior numero di piante, cio�, per gli Archibusacci e per i loro parenti. Riepilogando, se si considera che i quantitativi di olive denunciati all'AIMA ammontano a q.li 29.802,91 e, ai quantitativi di olive dichiarati dai soci come realmente conferiti (q.li 10.441,18) si aggiungono quelli che potrebbero essere stati acquistati dagli Archibusacci presso terzi e denunciati come prodotti da loro e da parenti, risulta ampiamente superato il limite necessario a mantenere ferma la contest�zione originana relativa all'ammontare del profitto e del danno. Ha, peraltro, osservato la costituita P.C. AIMA che l'indagine relativa ai quantitativi eventualmente acquistati, sarebbe comunque, irrilevante in quanto la integrazione relativa sarebbe stata comunque richiesta al di fuori dei limiti dei regolamenti CEE. L'osservazione introduce, il problema della qualificazione giuridica del fatto, problema che, essendosi sicuramente verificato un danno per le ragioni sopra esposte ed esclusa, conseguentemente, l'ipotesi di applicabilit� del l0co. dell'art. 9 D.L. 1051/ 218 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 1967, come sostenuto dalla d:iifesa di Archiibusacci GioV1anni e Filiberto, resta circoscritto all'ipotesi criminosa delineata dall'art. 640 n. 1 c.p. e di quella delineata dall'art. 9 3�co. D.L. 1051 cit. L'avvocatura dello Stato ha sostenuto che il D.L. citato avrebbe efficacia temporanea dettando norme per l'erogazione dell'integrazione del prezzo dell'olio di oliva di produzione 1967-68. Infatti, preceduto dal D.L. 9-11-66 n. 912, convertito in L. 23-12-1966 n. 912, per disciplinare la integrazione di olio prodotto, nel 1966-67, � stato seguito dal D.L. 18 dicembre 1968 n. 1234, convertito in L. 12-2-1969 n. 5, che ha esteso le disposizioni del D.L. 1051-67 a!H'olio di oliva prodotto nella campagna 1968-69. Con L. 13-10-1969 n. 740 il Parlamento concedeva delega al Governo ad emanare le norme per assicurare !'-esecuzione degli obblighi derivanti dai regolamenti CEE gi� operanti nel nostro ordinamento e per sanzionare penalmente le relative infrazioni nei limiti dell'ammenda fino a L. 2.000.000 e deHlarresto fino ad un �anno, applicab11i congiuntamente o alternativamente. A seguito della legge di delegazione veniva emanato il D.P.R. 24 dicembre 1969 n. 1053 e la Corte Costituzionale con sentenza 24 giugno 1976 n. 157 dichiarava l'illegittimit� costituzionale dell'art. 1, per violazione degli artt. 76 e 77 Cost., per avere superato i limiti posti dalla legge delega nella parte in cui, richiamando in vigore il D.L. 18-12-1968 n. 1324, prevedeva �i reati punibiH con la reclusione e con la multa: Osservava la Corte che tutte le norme contenute nei DD.LL. n. 912-66, 1051-67 e 1234-68 e rispettive leggi di conversione erano speciali e temporanee con efficacia circoscritta alla campagna olearia, per le quali erano espressamente emanate. Di poco posteriori erano i regolamenti comunitari n. 2132-69 e 2309-69, obbligatori in tutti i loro elementi e direttamente applicabili in tutti gli Stati membri. Tali regolamenti non prevedevano sanzioni, ma impegnavano ciascuno Stato produttore di olio ad instaurare un regime di verifiche e di controlli intesi ad assicurare la sussistenza dei requisiti per l'integrazione. Dichiarata l'illegittimit� della norma, la Corte affermava essere del tutto ovvio che i comportamenti illeciti attinenti al regime dell'integrazione del prezzo dell'olio, se altrimenti previsti come delitti, n� degradavano a fatti contravvenzionali n�, esclusi dalla sfera di applicabi.lit� del decreto delegato, dichiarato illegittimo, cessavano di essere delitti: essi restavano punibili alla stregua del codice penaJe sotto i titoli di falso e truffa. Era compito del giudice accertare se vi rientrasse la fattispecie concreta. Accingendosi a tale compito, senza ignomr~ che la S.C. ha ripetutamente affermato che l'art. 9 D.L. 1051-67 non ha efficacia limitata all'annata agraria 1967-68, ma si estende alle richieste per le annate successive (Cass. 8-10-1976, Stiscia; Cass. 1-7-1977 Manzari) e che il comma terzo del cit. art. 9 prevale nell'applicazione dell'art. 640 c.p. per il principio di specialit� sancito dall'art. 15 cod. pen. (Cass. 20-10-1975 PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE Crocetta ed altro) il Collegio ritiene di ravvisare, comunque, nel fatto il delitto contestato di cui all'art. 640 c.p. Infatti, perch� possa operare il principio di specialit� � necessario che una delJ.e norme (c.d. speciale) presenti nella sua struttura tutti gli elementi propri dell'altra (c.d. generale) oltre a quelli caratteristici della specializzazione. In altri termini, le due disposizioni debbono presentarsi come cerchi concentrici di raggio diverso, per cui quello pi� ampio abbracc�a interamente in s� quello minore presentando, inoltre, un settore residuo destinato ad accogliere i requisiti aggiuntivi della specialit� (Cass. 11-11-1959 Agostinelli ed altri). Ci� non si verifica nel caso in esame in quanto il comportamento degli imputati travalica i limiti dell'art. 9 comma terzo D.L. 1051 cit. ( � false dichiarazioni � nei documenti !Previsti negli artt. 3, 4 e 10 D.L. cit.) per contenere �quel quid pluris fotografato nel capo di imputazione e consistente nell'asservire le strutture della cooperativa ed utilizzare le domande dei soci a fini criminosi, creando cos� un meccanismo truffaldino ben pi� complesso dal carattere menzognero della dichiarazione. Sembra al Collegio che la profonda differenza possa essere colta osservando che il delitto di cui all'art. 9 comma terzo D.L. 1851-67 resta pur sempre un delitto di falso e non di truffa. Alla luce delle considerazioni che precedono pu� essere facilmente risolto in maniera positiva il problema dell'idoneit� degli artifici usati, che, per fa verit�, potrebbe aoquistare rilevanza solo in tema �di tentativo di truffa, ma non quando questa sia ~tata consumata con l'effettiva induzione in errore. In tal caso non pu�, infatti, dubitarsi di detta idoneit�, che appare dimostrata dall'effetto raggiunto (Cass. sez. terza 5-2-1965, Romanigo e altro). Non si � trattato di semplice menzogna; comunque, � agevole ricordare che anche la menzogna pu� integrare l'estremo dell'artificio e raggiro (Cass. 18-2-1960, Bono) e l'insegnamento sarebbe particolarmente da seguire nel caso in esame perch� i dati, di cui alla menzogna, dovevano essere comunicati per legge. Anche la colpa degli organi dello Stato, affermata dalla difesa e cio� la Joro mancanza di diligenza o l'inosservanza di norme giuridiche, non �, comunque circostanza in base alla quale si possa escludere l'idoneit� del mezzo, non solo perch� si risolve in una deficienza di attenzione ma altres� perch� il pi� delle volte, come � stato osservato da un'autorevole dottrina, � determinato dalla fiducia che sa suscitare il truffatore. Resta da esaminare il problema se l'integrazione del prezzo dell'olio di oliva possa essere richiesto dal!l'olivicoltore o dal fabbricante di olio, problema l'ilevante al fine di stabilire se gli A:rchi:busacci chiedendo, sia pure con un meccanismo truffaldino, l'integrazione di quantitativi di olive acquistati presso terzi, acquisto per il quale valgono tutte le considerazioni gi� svolte, abbiano procurato a s� un profitto ingiusto ed RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 220 allo Stato un danno. Accogliendo la tesi svolta dall'Avvocatura dello Stato, il Collegio ritiene che solo gli olivicoltori siano legittimati a chiedere l'integrazione. Per la verit�, chiamata a chiarire dalla nostra Corte Suprema di Cassazione, con ord. 9-12-1976 nella causa AIMA c. Greco, il significato dell'espressione �produttori di olive� figurante nell'art. 10 D.L. 1051-67, la Corte di Giustizia della Comunit� Europea, con decisione 9-11-1977, stabiliva che fa stessa doveva interpretarsi nel senso che essa si riferiva ai fabbricanti del prodotto trasformato, costituito dall'olio di oliva, ai quali spetta, quindi l'integrazione concessa per l'olio di oliva. Applicando il principio statuito dalla Corte di Giustizia della CEE, la Oassazione ha fissato l'indirizzo che l'integrazione del prezzo Spetta ai fabbricanti dell'olio (Cass. civ. 11-7-1979 n. 3998). Per altro, la sentenza, richiamata anche da1la difesa degli imputati, si riferisce alla oampagm.a olearia 1967-68. Per le stagioni olearie successive, questa interpretazione non � pi� accettabile; infatti, gi� per la campagna olearia 1969-70 il Reg. CEE n. 2132/69 del 28-10-1969 introduceva l'obbligo di presentare una dichiarazione di coltivazione (ofr. anche per le annate successive i reg. CEE 2212-70, 2311-71, 2753-78, 3134-78) obbligo, che non potrebbe trovare giustificazione alcuna se non fossero gli stessi produttori di olive i soggetti legittimati a presentare la domanda di integrazione facendo riferimento ai dati di coltivazione (estensfone del terreno, piante in produzione). L'istituzione del sistema di accertamento presuntivo con riferimento alle determinazioni di rese indicative in olive e in olio per zone omogenee conforta il convincimento del Collegio. Cos� in maniera esplicita il Reg. CEE n. 1562/78 del 29-6-1978, che sostituiva gli articoli da 1 a 20 del primo Reg. CEE in materia n. 136/66, precisava che l'aiuto era concesso agli olivicoltori soci di una �associazione riconosciuta di produttori in applicazione del Reg. CEE 1360/78 in funzione delle quantit� di olio effettivamente prodotto e agli altri olivicoltori in funzione del numero, del potenziale produttivo degli olivi da loro coltivati e delle rese fissate forfettariamente e a condizione che le olive prodotte fossero state effettivamente raccolte. Il Reg. CEE n. 3134/78 del 28-12-1978, recante modalit� di applicazione del regime di aiuto alla produzione di olio di oliva per la campagna 1978/79, estese alla campagna 1979/80 dal Reg. CEE 193/79 del 12-11-1979, tornava :a ribadire che 1e domande di olio di oliva per la campagna 1978/79, estese a11a campagna 1979/80 dal Reg. CEE 193/79 del 1979, tornava a ribadire che le domande di aiuto tramite l'organizzazione di appartenenza, dovevano essere fatte dai produttori, secondo modalit� diverse a secondo che avessero portato le olive direttamente alla molitura o le avessero vendute sulle piante o per quantitativi determinati (art. 2). PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 4) Delitto sub D). La confessione degli imputati rende incontrovertibile la prova del fatto a base del delitto contestato al capo D, valutata detta confessione alla luce delle dichiarazioni dei soci della cooperativa. � sorta, invece, controversia circa 1a qualificazione giuridica dello stesso, avendo la P.C. e, in particolare, l'avvocatura dello Stato, sostenuto doversi qualificare il fatto cos� come contestato; il P.M. ha proposto la diversa qualificazione di falsit� ideologica commessa dal P.U. in certificati o in autorizzazioni amministrative (art. 480 cod. pen.), e la difesa di quella di omessa o inregolare tenuta dei registri di lavorazione, prevista dal quarto comma dell'art. 9 d.l. n. 1051/67 come fatto contravvenzionale, ormai punibile, a seguito della legge di depenalizzazione n. 75/76, con una semrpl.tice sanzione amministrativa. Il Collegio ritiene di mantenere ferma la originaria qualificazione ex art. 479, cod. pen., essendo attribuibile agli autori della falsificazione la qualit� soggettiva di p.u. e al registro di 1lavorazione il carattere oggettivo di atto pubblico. �, infatti. apnena il caso di osservare. contrariamente a auanto sostenuto dagli imputati, che, nella terminologia legislativa, l'espressione � omessa o irregolare tenuta � non � interscambiabile con quella di � falsificazione �, in quanto la prima si riferisce alla violazione isolata e occasionale dei requisiti formali propri del documento e la seconda alla cosciente e volontaria immutatio veri. L'assoluta diversit� delle due espressioni ben pu� cogliersi comparando l'art. 216, primo comma, n. 2, r.d. 16 marzo 1942, n. 267 ed il capoverso del successivo art. 217. Neppure la qualificazione proposta dal P.M. in udienza si attaglia al caso di specie in quanto i registri di lavorazione, minuziosamente disciplinati negli artt. 5 e 7 del d.l. 1051/67 nei requisiti formali e negli elementi sostanziali (provenienza diretta ed intestazione del Ministero dell'Agricoltura e Foreste, preventiva vidimazione e timbratura da parte degli Ispettori provinciali), non sono semplici certificati, cio�, mere attestazioni di verit� o di scienza, che siano estranee alla documentazione di attivit� direttamente esercitata dal p.u. ovvero alla prova di atti o di fatti, che abbiano avuto luogo alla sua presenza (Cass. Sez. 3" 12 marzo 1962, Boldrin), ma veri atti pubblici. Precisamente, inserendosi come elementi essenziali nel procedimento amministrativo relativo alla concessione dell'integrazione del prezzo dell'olio e forniti di rilevanza esterna nei rapporti tria i ~ivati e la pubblica amministmz:ione, che se ne vale, facendoli propri, per verificare La regolarit� delle domande di integrazione (v. deposizione in udienza del teste di Laghi), essi appartengono alla categoria di quei documenti, individuati dalla Suprema Corte (Cass. 14 aprile 1956, P.M. c. Grassi), che sono formalmente derivatiV'i, iin quanto riproducono futti giuridici emergenti da altri docu 222 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO menti, ma sostanzialmente originari, in quanto, sia pure a mezzo dei fatti riprodotti, comprovano e rappresentano a loro volta un fatto giuridico nuovo, avente una propria autonomia nonch� propri effetti giuridici. Nessun dubbio poi pu� fondatamente prospettarsi circa l'attribuibilit� agli autori della falsificazione della qualit� di pubblici ufficiali. Ed invero, indipendentemente dall'inquadramento organico e funzionale nell'ambito della pubblica amministrazione, ai sensi del n. 2 dell'art. 357, cod. pen., sono pubblici ufficiali tutti coloro che esercitano anche temporaneamente e gratuitamente, volontariamente o per obbligo, una pubblica ~unzione amministrativa. Procedendo alle annotazioni nel registro di lavorazione, cio�, come sopra si .� detto, in un atto essenziale di un procedmento amministrativo, gli imputati hanno partecipato alla formazione de1la volont� della P.A. <(omissis). PARTE SECONDA QUE.STIONI IL PRIMO CENTENARIO DELL'AVVOCATURA DELLO STATO SPAGNOLA Dedicato al tema delle attivit� di consulenza legale prestate a favore dello Stato e degli altri soggetti pubblici, si � svolto a Madrid tra il 9' ed il 13 novembre 1981 -in occasione del primo centenario del Corpo. degli avvocati dello Stato spagnoli -il secondo congresso internazionale degli istituzioni pubbliche cu� sono affidate, nei diversi Paesi, le. funzioni di assistenza legale e di patrocinio in giudizio degli Stati. Al congresso hanno partecipato qualificate delegazioni provenienti da tutti i continenti '(compresa l'Australia); significativa la partecipazione anche della Com�nit� economica europea. Com'� noto, il precedente congresso si era svolto a Roma nel 1976,. in occasione del centenario dell'Avvocatura dello Stato italiana. In quell'occasione si era gi� preso coscienza della simiglianza, spesso sostanziale identit�, delle funzioni svolte dalle istituzioni partecipanti, pur nella diversit� dei connotati organizzatori. Tale indicazione � stata confermata e pi� specificamente esaminata nel congresso di Madrid, a presiedere il quale � stato chiamato -in apertura dei lavori -l'Avvocato generale italiano Giuseppe Manzari. Durante le giornate del congresso -organizzato con stile impeccabile e costantemente assistito dalle calorose premure dei colleghi ospitanti -ciascuna delegazione ha avuto modo di svolgere un intervento su punti essenziali del tema all'ordine del giorno, di sintesi della relazione scritta in precedenza inviata e ad integrazione di essa. Gli interventi hanno sovente stimolati vivaci dibattiti tra i partecipanti. L'insieme delle relazioni e degli interventi ha consentito di evidenziare: a) che in tutti gli Stati, in parallelo con l'affermarsi del primato del diritto, v'� una crescente necessit� di consulenza legale a favore defle amministrazioni pubbliche e dei soggetti ad esse collegati; b) che la anzidetta funzione di consulenza legale va dovunque acquisendo una propria individualit� e dignit�, differenziandosi essa sempre pi� dalle funzioni amministrative e da quelle giurisdizionali, al punto che pu� ormai proclamarsi che per la realizzazione di un vero � Stato di diritto � sono necessarie sia la presenza di giudici indipendenti dal potere esecutivo sia una adeguata ed autonoma organizzazione della funzione di consulenza giuridica a fianco di detto potere; 16 2 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO e) che � auspicabile una piena presa di coscienza della peculiarit� e della rilevanza politica e giuridica della funzione in questione; d) che nella maggior parte degli Stati la funzione di consulenza legale con � competenza generale � per tutte le amministrazioni pubbliche � attribuita dalla legge o dalla prassi ad una sola istituzione pubblica variamente denominata e articolata; ed anche laddove ci� non avviene, una istituzione va emergendo nei fatti come organo di consulenza per gli affari pi� importanti e per le questioni di carattere generale o di massima; per il che gli uffici legali o del contenzioso aventi competenza settoriale (ad esempio, presso singoli ministeri) tendono, ovunque essi esistano, ad assumere un ruolo ausiliario in coerenza con indicazioni di coordinamento provenienti dalla istHuzione avente � competenza generale �; e) che in tutti gli Stati all'istituzione che, per legge, per prassi o di fatto, esercita con competenza generale la funzione di consulenza legale � assicurata una autonom�a, anche sul piano dell'organizzazione, dalle amministrazioni e dai soggetti pubblici assistiti; f) che tale autonomia � ovunque contemperata con l'esigenza di mantenere un permanente raccordo istituzionale con l'autorit� politica di Governo, raccordo che si concreta nella nomina governativa (sovente a tempo determinato) della persona preposta alla istituzione attributaria delJ.a funzione consultiva della quale si tratta; g) che in non pochi Stati tale raccordo trova enfasi nella partecipazione del preposto alla istituzione consulente alle riunioni del Governo, a volte con rango di Ministro pleno jure, a volte con presenza solo consultiva; h) che la necessit� del predetto raccordo istituzionale e -al tempo stesso -la necessit� di salvaguardare la reciproca separazione del potere giudiziario da quello esecutivo e la indipendenza dei giudici anche dagli avvisi da loro stessi espressi conducono ad attribuire carattere eccezionale alle disposizioni che attribuiscono compiti consultivi ad organi giurisdizionali; i) che invece pressoch� in tutti gli Stati (come del resto nel settore privato) si � affermato o si va affermando come del tutto razionale il collegamento tra la funzione di consulenza legale a favore delle amministrazioni e soggetti pubblici e la funzione di loro patrocinio nei giudizi; Z) anche in quegli Stati -e trattasi degli Stati retti o influenzati dalla tradizione giuridico-costituzionale inglese -ove non si � avuta la separazione (coeva, ad esempio, alla nascita della Avvocatura dello Stato italiana) tra la pubblica accusa nei processi penali, e consulenza e patrocinio negli affari non penali (costituzionali, civili, tributari, ecc.), :anche in quegli Stati -ripetesi -si riscontra una separazione di PARTE II, QUESTIONI J dette funzioni all'interno dell'unitaria struttura (ufficio dell'Attorney generai) che di esse tutte � attributaria; m) che l'essenziale autonomia della funzione di consulenza legale necessariamente esalta ed affina la sensibilit�, l'equilibrio e la responsabilit� degli individui concretamente addetti a tale funzione, e valorizza -nel rispetto di una deontologia professionale rigorosa -la � scienza e coscienza � e l'onest� intellettuale e morale di ciascuno di loro, richiedendo una quotidiana attenzione sia per le esigenze politiche della collettivit� sia per le posizioni garantite dal diritto. In chiusura del congresso � stato approvato all'unanimit� il seguente documento: Les institutions charg�es, dans les divers pays participant au H�me Congr�s Juridique International tenu � Madrid du 9 au 13 novembre 1981, de l'assistance juridique aux administrations publiques par le moyen de l'exercice de la fonction consultative, AFFIRMENT que l'�change des informations contenues dans les rapports present�s au Congr�s a �t� tr�s utile pour la comparaison des syst�mes de conseil juridique et la connaissance des analogies et des diff�rences existant entre ces syst�mes, ce qui pourra permettre un perfectionnement et un enrichissement des fonctions d'assistance juridique, SOULIGNENT que la m�thode de la comparaison peut aider � mettre � profit, autant que possible, les exp�riences v�cues dans divers pays, CONSTATENT le r�le important que les institutions participant peuvent et doivent jouer pour une am�lioration de l'action des administra� tion publiques, des communant�es europ�ennes et des organisations internationales, CONFIRMENT que l'action de toute administration publique dans la poursuite de ses objectifs doit s'effectuer dans le respect scrupuleux de la loi, respect qu'il y a fa�on de favoriser pr�cis�ment grace aux fonctions de conseil attribu�es aux institutions d'assistance juridique, soulignant sp�cial�ment l'importance du conseil juridique pr�alable aux d�cisions politiques, SOUHAITENT que les travaux r�alis�s et les contacts maintenus au cours de ce H�me Congr�s Juridique International, joints aux pr�c�dents du Congr�s de Rome tenu en 1976, puissent servir de base et directive � � une organisation internationale charg�e de promouvoir d'une mani�re fr�quente et institutionalis�e les �changes des esp�riences et la recherche des moyens propres � accroitre l'�fficacit� des fonctions d'assistance juridique, et de servir de centre d'informations et d'�tude: pour cela INVI RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 4 TENT � utiliser le bureau existant chez l'Avvocatura dello Stato a Rome, qui recevra les propositions de tous les pays dans le but d'organiser des rencontres internationales ou r�gionales, c�l�brer des �v�nements, ou constituer une possible organisation internationale, REMERCIENT Sa Majest� le Roi d'Espagne d'avoir accept� la Pr�sidence d'honneur du Congr�s, en lui pr�sentant l'hommage des d�l�gations pour ses efforts dans fa d�fense des droits de l'homme et de la paix pour la voie de la Justice. Con tale documento all'Avvocatura dello Stato italiana � stato assegnato il compito, non solamente di potenziare il centro. di collegamento istituito nel 1976, ma anche di promuov�re la costituzione di una � possibile � associazione internazionale delle istituzioni rappresentate nei congressi di Roma e di Madrid o parimenti impegnate nelle funzioni di assistenza legale a favore di Stati e soggetti pubblici ad essi collegati. Trattasi di compito di grande rilievo anche politico, tenuto conto delle dimensioni mondiali assunte dai congressi anzidetti e del rango d� molte delle istituzioni partecipanti; di compito che -se efficacemente assolto -potr� condurre a riconoscimenti anche da parte dell'OrganizZAzione delle Nazioni Unite, in considerazione dei contributi che, da un concorde operare delle istituzioni associate, potranno venire all'affermazione del primato del diritto anche nelle relazioni tra gli Stati. FRANCO FAVARA 5 PARTE II, QUESTIONI CONSIDERAZIONI SUL DIRITIO DI PROPRIETA' NELLA NORMATIVA SULL'EDIFICABILITA' DEI SUOLI 1) Lo stratificato complesso delle norme che regolano Ia disciplina della edificabilit� dei suo1i pone l'interprete innanzi al compito di procedere ad una ricomposizione organica e coerente del sistema. A tale fine � necessario dare atto dei contrastanti interessi coinvolti s� da giungere a prospettare delle soluzioni anche riguardo al dibattuto problema della configurabilit� del c.d. jus aedificandi quale situazione soggettiva autonoma, nonch� individuare quale funzione svolgono all'interno del sistema i criteri di determinazione dell'indennit� di esproprio. Quest'ultimo risul� tato � poi di particolare interesse pratico ai fini dell'individuazione dei principi che il legislatore deve seguire nella determinazione dei nuovi criteri di indennizzo a seguito della pronuncia di illegittimit� costituzionale di cui alla sentenza n. 5/1980 (1). Nel compiere tale indagine non pu� prescindersi dall'esame della posizione della Corte Costituzionale, che ha avuto pfo volte occasione di pronunciarsi in materia e, in particolare, delle .decisioni n. 55 del 1968 (2) e n. 5 del 1980. 2) La pronuncia del 1980, nella quale si afferma che �il diritto di edificare continua ad inerire alla propriet� e alle altre situazioni che comprendono la legittimazione a costruire�, ha infatti riproposto all'ip.terprete i problemi gi� sollevati dalla sentenza n. 55 del 1968 che si era ritenuto di poter superare suggerendo di sottrarre dal contenuto del diritto di propriet� la c.d. facultas aedificandi. Allora l'intervento del giudice costituzionale era stato determinato dalla previsione, di cui all'art. 40 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, della non necessariet� di un indennizzo per l'imposizione, a tempo indeterminato, dei vincoli previsti dall'art. 7, n. 2, 3 e 4, della stessa legge. In quell'occasione la Corte dichiar� l'illegittimit� delle predette norme, osservando che le (1) Corte Costituzionale 30 gennaio 1980, n. 5, in Rass. dir. civ., 1980, p. 514 ss. Per un'analisi delle concezioni accolte e delle argomentazioni svolte nella pronuncia cfr. P. BoNACCORSI-G. D'ANGELO, Corte costituzionale ed indennit� di esproprio, in Riv. giur. edil., 1980, II, p. 3 ss.; G. LoMBARDI, Espropriazione dei suoli urbani e criterio del Due Process of Law, in Giur. cost., 11980, I, p. 181 ss.; ALBISINNI, La concessione ad aedificandum, in questa Rassegna, 1980, I, 487; F. LuCARELLI, Principio di eguaglianza e indennit� di esproprio, in Rass. dir. civ., 1980, p. 515 ss.; L. MAZZAROLLI, Considerazioni sull'indennit� di espropriazione alla luce della pi� recente giurisprudenza costituzionale, in Giur. cast., 1980, p. 1254 ss.; V. PoroTSCHNING, Commento alla sentenza n. 5/1980, in Leggi civ. comm., 1980, p. 600 ss.; A. TRABUCCHI, La facolt� di edificare tra diritto pubblico e diritto privato, in Riv. dir. civ., 1980. II p. 42 ss. (2) Corte Costituzionale, 29 maggio 1968, n. 55, in Foro it., 1968, I, c. 1361 ss. 6 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO imposizioni in questione incidevano sul bene �oltre ci� che � connaturale al diritto dominicale nell'attuale momento storico� e che pertanto la mancata preV'~sione di un indennizzo contrastava con H disposto dell'articolo 42, terzo comma, Cost. Il legislatore, nel tentativo di superare la situazione di stallo creatasi, che incideva negativamente soprattutto sulla attivit� di pianificazione (3), eman� un provvedimento legislativo col quale si prevedeva un limite temporale all'operativit� dei predetti vincoli, che successivamente veniva pi� volte prorogato (4). Questa, peraltro, non poteva essere che una soluzione di ripiego e� temporanea (5). Quale soluzione di fondo e definitiva da pi� parti (6) si indic� la via della separazione della facultas aedificandi dal contenuto del diritto di propriet� e della sua configura II zione quale posizione soggettiva autonoma. Tale suggerimento fu accolto dal .legislatore con l'emanazione della legge 28 gennaio 1977, n. 10, che poneva termine a quel regime temporaneo (7). Tale orientamento si era gi� manifestato al momento dell'adozione, con la legge 22 ottobre 1971, n. 865, di criteri di determinazione dell'indennit� di esproprio commi1 surati al valore agricolo del bene da espropriare, modificati poi con la legge n. 10/1977, la cui applicazione, dapprima limitata ad una serie di J f,' ipotesi determinate (art. 9, legge n. 865/1971), successivamente, con la & legge 27 giugno 1974, n. 247, veniva estesa �a tutte le espropriazioni & comunque preordinate a qualsiasi tipo di opere o di interventi da parte I dello Stato, Regioni, Provincie, Comuni o di altri enti pubblici o di diritto pubblico anche non territoriali�. Non � anzi mancato chi ha rilevato che gi� sulla base di queste norme si poteva giungere alla conclusione che il c.d. jus aedificandi non ineriva pi� al diritto di propriet� (8). ! (3) V. relazione alla legge 19 novembre 1968, n. 1187, tenuta alla Camera I dall'on. Natoli, in Le leggi, 1968, p. 1898 ss., ove, in particolare, si sottolinea �il pericolo di una impostazione dei piani condizionata dall'ipotesi dell'indennizzo dei vincoli � (p. 1899). (4) V. art. 2 legge 19 novembre 1968, n. 1187 (che prevedeva un termine di efficacia di cinque anni); legge 30 novembre '1973, n. 756 (che prorogava di un biennio quel termine); d.l. 28 novembre 1975, n. 562, conv. con legge 22 dicembre 1975, n. 686 (contenente un'ulteriore proroga di un anno); d.l. 26 novembre 1976, n. 7'81, conv. con legge 24 gennaio 1977, n. 6 (che prorogava per altri due mesi l'operativit� dei vincoli). (5) V. Relazione alla legge 19 novembre 1968, n. 1187, cit., p. 1899. (6) V. per tutti P. BONACCORSI-M. PALLOTTINO, La riforma del regime d'uso dei suoli edificabili, Milano, 1975. (7) Circa l'incidenza della sentenza n. 5/1980 sull'efficacia di quei vincoli v. V. PoTOTSCHING, Commento, cit., p. 604, e M. BoRGATTO PAGOTTO, I vincoli urbanistici dopo la sentenza 5/1980 della Corte Costituzionale, in Riv. dir. civ., 1981, II, p. 17 s. (8) V. P. BONACCORSI-M. PALLOTTINO, op. cit., p. 7 s. PARTE II, QUESTIONI Senza dubbio questo era il risultato cui si voleva giungere nel predisporre la nuova disciplina sull'edificabilit� dei suoli di cui alla legge 28 gennaio 1977, n. 10; non pu� per� d1rsi che H legislatore nel tradurre in pratica tale intenzione sfa stato partdco1armente felice. La sentenza n. 5 del 1980, che ha riproposto all'attenzione il problema della ricostruzione. del regime giuridico dei suoli e della natura giuridica del c.d. jus aedi� ficandi, lo conferma. Alle difficolt� presentate dalla soluzione accolta si �, infatti, spesso aggiunta la mancanza di una loro adeguata considerazione e di una ponderata riflessione sulle conseguenze delle innovazioni introdotte. Si � cos� stabilito che ogni attivit� urbanistica ed edilizia � subordinata al rilascio da parte del sindaco di una concessione edilizia in luogo della licenza, come previsto nella previgente normativa, ma se n'� poi stabilita la irrevocabilit� (art. 4, settimo comma, legge n. 10/1977). Nella pronuncia n. 5/1980 la Corte costituzionale � ora giunta ad affermare che il �proprietario dell'area... ha diritto ad ottenere la concessione edilizia �. Invero se � indubbio che la concessione amministrativa � un provvedimento additivo (a �titolo costitutivo originario o costitutivo traslativo), � per� anche vero che suo carattere essenziale � queHo di ess�ere volta a tutelare un interesse pubblico preminente rispetto a quello del privato concessionario. Di questa preminenza, � stato osservato, �costituisce risvolto quaJl.ificante il a'.'.equisito del1a revocabilit�� (9). Ora, una volta� esclusa questa possibilit�, anzi affermata l'esistenza di un diritto ad ottenere l:i;i concessione edilizia, appare giustificato il dubbio su1la natura giuridica di questa. Per di pi� i1 legislatore ha anche espressamente disposto, .all'art. 4, primo comma, che �Ja concessione � � data dal sindaco al proprietario o a chi ha titolo per richiederla... con gli effetti di cui all'art. 31 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 � (10). La presenza di questi elementi contraddittori ha contribuito al formarsi di due differenti orientamenti di pensiero. Secondo il primo anche nel nuovo sistema (9) L. MoSCARINI, Propriet� dei suoli, jus aedificandi, licenza e concessione edilizia �in sanatoria'" in Consiglio di Stato, 1979, p. 573 ss.; v. anche AM. SANDULLI, Nuovo regime dei suoli e Costituzione, in Riv. dir. civ., 1978, I, p. 288 ss.; E. SILVESTRI, Concessione amministrativa, in Enc. dir., VIII, Milano, 1%1, p. 384 s.; C. VITTA, Concessioni (diritto amministrativo), in Noviss. dig. it., III, Torino, 1959, p. 928, s.; sulla revoca dell'atto amministrativo in generale v. P. VIRGA, Il provvedimento amministrativo, Milano, 1972, IV ed., p. 457 ss.; A.M. SANDULLI, Manuale di diritt� amministrativo, Napoli 1974, XII ed., p. 498 ss. (10) Infatti l'attribuzione della legittimazione a richiedere la concessione al �proprietario o a chi abbia titolo per richiederla�, confermando l'esistenza di un collegamento tra diritto di propriet� �e diritto di edificare, offre argomento per sostenere che quest'ultimo rientra ancora nel contenuto del diritto di propriet�. In questo senso induce anche quel richiamo agli �effetti di cud all'art. 31 � della legge n. 1150/1942, che disciplinava gli effetti della licenza edilizia. 8 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO la concessione continua a svolgere la stessa funzione prima assolta dalla licenza e, di conseguenza, si ritiene che il c.d. jus aedificandi costituisca ancora parte integrante del contenuto del diritto di propriet� sulle aree edificabili (11); per <l'altro, �invece, la legge n. 10/1977 avrebbe effettivamente determinato la separazione tra diritto di propriet� e diritto di edificare; questo sarebbe quindi di volta in volta attribuito ai privati con il singolo provvedimento di concessiione (12). Entrambi gli orientamenti, in tal modo, finiscono per inquadrare i.I problema nell'ottica dello studio del contenuto dei poteri spettanti al proprietario di un'area edificabile (13). L'osservazione secondo cui nella nuova disciplina, diversamente che nella legge urbanistica del 1942, l'attenzione � accentrata sulla figura del proprietario e sui poteri ad esso spettami (14) pu� essere pertanto (11) V. in particolare R. ALESSI, Primi rilievi sulla legge 28 gennaio 1977 n. IO sull'edificabilit� dei suoli, in Il Consiglio di Stato, 1976, II, p. 1387 ss.; G. PATF.RN�, Le modifiche introdotte dalla legge n. 10 del 1977 al titolo 2� della legge sulla casa in Riv. giur. edil., 1977, Il, p. 91; F. DELFINO, La concessione a edificare nella nuovd legge sui suoli, in Riv. giur. edil., 1976, II, p. 197 s. � (12) V. in particolare A. PREDIERI, La legge 28 gennaio 1977 n. 10 sulla edifi� cabilit� dei suoli, Milano, 1977, specie, pp. 47 ss., '115 ss.; F. BOTTINO-V. BJtUNETTI. Il nuovo regime dei suoli, Roma, 1977, in part. p. 40 ss.; A. D1 AMATO-S. DI AMAmA. FRENI�F. VERDE, Il regime dei suoli edificabili, Roma, 1977; M. ANNUNZIATA, La legge sull'edificabilit� dei suoli e le opere per cui occorre la concessione, in Riv. giur. edil., 1977, III, p. 3 ss.; P. DE LISE, Edificabilit� dei suoli secondo le norme contenute nella legge 28 gennaio 1977 n. 10, in Nuova Rassegna, 1977, p. 2392 ss.; A. CuTRERA, Concessione edilizia e pianificazione urbanistica, Milano, 1977. (13) Innumerevole � la letteratura in tema di diritto di propriet�. Ricordiamo senza pretesa alcuna di completezza alcuni dei pi� significativi orientamenti dottrinali: C. MoRTATI, La costituzione e la propriet� terriera, in Riv. dir. agr., 1952, I, p. 479 ss.; S. RoDOT�, Note critiche in tema di propriet�, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1960 ss. e Propriet� (diritto vigente), in Noviss. dig. it., XIV, Torino, 1968, p. 125 ss.; S. ROMANO, Sulla nozione di propriet�, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1960, p. 337 ss.; S. PuGLIATTI, La propriet� e le propriet�, in La propriet� del nuovo diritto, Milano, rist., 1964, p. 260 ss.; G.S. Coco, Crisi ed evoluzione nel diritto di propriet�, Milano, 1965; M. COSTANTINO, Contributo alla teoria della propriet�, Nap�li, 1967; F. ROMANO, Diritto e obbligo nella teoria del diritto reale, Napoli, 1967; M.S. GIANNINI, Basi costituzionali della propriet� privata, in Pol. dir., 1971, p. 443 ss.; P. PERLINGIERI, Introduzione alla problematica della �propriet��, Napoli, 1971; A.M. SANDULLI, Profili costituzionali della propriet� privata, in Riv. trim., 1972, p, 465 ss.; F. SANTORO-PASSARELLI, Propriet� privata e Costituzione, in Riv. Trim., 1972, p. 958 ss.; AA.VV., Propriet� privata e funzionale sociale, Seminario diretto dal prof. Santoro Passarelli, Padova, 1976, ed ivi, in part. G. PALERMO, Impresa e propriet� nella disciplina delle fonti di energia, p. 61 ss.; P. REscIGNO, Per uno studio sulla propriet�, in Riv. dir. civ., 1972, I, p. 20 ss.; F. LUCARELLI, La propriet� pianificata, Napoli, 1974, A. IANNELLI, La propriet� costi� tuzionale, Napoli, 1980. (14) V.A.M. SANDULLI, Nuovo regime dei suoli, cit., p. 283. 9 PARTB II, QUESTIONI rivolta anche agli studiosi che hanno dedicato la propria attenzione all'esame della stessa. Questi sono stati attenti nel cogliere gli elementi testuali da addurre a sostegno delile proprie argomenta2lioni, traendo, a seconda della diversa soluzione accolta, differenti conseguenze riguardo al regime giuridico del diritto di propriet� (15). Peraltro, riteniamo che quegli elementi, di per s�, non siano decisivi; potendo, invero, condurre, col mutare della ratio di volta in volta posta dall'interprete a fondamento dell'analisi, anche ad opposte conclusioni. Tale impostazione, ricollegantesi alle concezioni tradizionali del diritto di propriet�, ha fatto s� che l'interprete abbia limitato la propria attenzione (e \l'osservazione vale anche per il giudice costituzionale) solo a quello che si pu� considerare come un � aspetto individualistico � e non abbia invece dedicato sufficiente attenzione all'�aspetto sociale � (16) della nuova normativa. Solo la considerazione di quest'ultima, invero, consente l'identificazione degli interessi coinvolti e, conseguentemente, una sua ricostruzione coerente ed unitaria. Alla progressiva � depatrimonializza2lione � del diritto privato non �, invero, sfuggito neppure il concetto di propriet�, che si tende ad emancipare dalla logica eminentemente individualistica dell'� avere� (17) a vantaggio della logica dell' � essere �. Il pieno sviluppo della persona umana, peraltro, pu� realizzarsi solo attraverso uno sviluppo, a quello finalizzato, della comunit� nella quale confluiscono e vengono contempe (15) L. MoscARINI, Propriet� dei suoli, cit., p. 572, individua una insufficienza di questi orientamenti nel non aver soddisfacentemente approfondito l'interrelazione � tra il pr.oblema dogmatico della natura giuridica della licenza edilizia e quello, pure di indole dogmatica, dell'individuazione del contenuto del diritto di propriet� sulle aree edificabili�. (16) � Questo indirizzo metodologico trova la sua giustificazione, seppure ve ne sia bisogno, col solo tener presente che il diritto oggettivo non � un complesso di norme astratte, avulse dalla vita sociale, alla quale si sovrappongono quasi come ordine che la trascende e che le si impone dall'alto: il diritto trova, anzi, il suo fondamento, la sua ragione di esistenza nella stessa umana vita di relazione, in quel complesso di rapporti che legano gli uomini nello svolgimento di ogni loro attivit�, rapporti che si ricollegano ad interessi tipici spesso conflig. genti, alcune volte paralleli, ma reciprocamente limitantisi, sempre interessi comunque dai quali l'interprete non pu� prescindere nello studio degli istituti giuridici e delle norme proprie perch� in queste essi, come entit� sociali stori� camente determinate, so:qo rispecchiati'" testualmente E. BETTI, Teoria generale delle obbligazioni, I, Milano, 1971, pp. 9-10; v. �anche Interpretazione della legge e degli atti giuridici, Milano, 1971, pp. 102 ss., 108 ss. (17) Al riguardo v C. DoNISI, Verso la � depatrimonializzazione � del diritto privato, in Rass. dir. civ., 1980, pp. 644 ss. Rileva, inoltre, l'Autore che la specifica connotazione che ha assunto, in seno alla stessa propriet� immobiliare, la propriet� c.d. urbana, in virt� della legge 28 gennaio 1977, n. 10, nonch� della legge 27 luglio 1978, n. ~92, non solo conferma ma sembra, anzi imporre l'esigenza di uno studio, non unificante dell'istituto (p. 656). 10 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO rati gli interessi confliggenti di cui sono portatori i singoli individui r.= o aggregati di individui. A tale scopo la Carta costituzionale ritiene di I {:: !: poter sacrificare le posizioni di potere individuale (18). La funzionalizzazione delle situazioni soggettive patrimoniali alle situazioni esistenziali risponde, dunque, all'esigenza di garantire le condizioni primarie ed imprescindibili per lo sviluppo e la tutela deMa personaiit� umana intesa come entit� unitaria (19). I (.18) La Carta Costituzionale ha preso dunque atto della presenza nella comunit� di interessi facenti capo ad individui singoli o ad aggregati di individui e tra le diverse soluzioni (1ndividualistica, collettiva, corporativa, solidale) che si presentavano per risolvere il conflitto, ha scelto quella solidaristica. Questa non era una soluzione necessaria: si rinvengono infatti sia in una prospettiva diacronica sia !in una sincroni.ca, ordinamenti che hanno adottato un'altra soluzione. Sul principio di solidariet� v. per tutti P. PERLINGIERI, La personalit� umana nell'ordinamento giuridico, Napoli, 1972, pp. 18 ss., 161 ss.; A. BARBERA, Principi fondamentali, in Commentario della Costituzione a cura di G. Branca, Bologna, 1975, p. 85 ss. Lo stretto collegamento intercorrente tra principio di solidariet� e di uguaglianza � rilevato da P. PERLINGIERI, La personalit� umana, p. 164 ss., il quale afferma che questi �sono aspetti .di uno stesso valore che il legislatore si propone di attuare: il pieno sviluppo della persona umana� (p. 164). Sul principio di eguaglianza, da ultimo F. LUCARELLI, Principio di .eguaglianza, cit., p. 515 ss. II legislatore deve quindi contemperare, alla luce del principio accolto, gli interessi contrastanti allo scopo di realizzare il p!ieno sviluppo della persona umana e non, ad es. di assicurare l'efficientismo della gestione e della produzione. In tal senso P. PERLINGIERI, La personalit� umana, cit., p. 164; cfr. pure P. PERLINGIERI, Eguaglianza, capacit� contribuita e diritto civile, in Rass. dir. civ., 1980, p. 724 ss. L'interveI\tO dello Stato nell'economia, sia in qualit� di imprenditore sia attraverso sovvenzioni alle imprese private in difficolt� reso necessario dalla situazione di crisi, � appunto volto ad attuare quel valore. La presenza di uqa conflittualit� tra quegli interessi � stata colta anche dalla Corte Costituzionale nelle sentenze del 9 maggio 1972 e del 15 gennaio 1976 n. 2; sul punto cfr. P. BARCELLONA, Diritto privato e processo economico, Napoli, 1977, p. 143 ss. Contra v. A. IANNELLI, La propriet�, cit., p, 56, il quale, nell'ambito di una pi� vasta critica, afferma che nella previsione della Corte vi � un �errore di prospettiva consistente nel ravvisare nei rapportii sociali non un vincolo di solidariet� ma una latente conflittualit��. A nostro avviso tale critica, alla luce di quanto sopra affermato (in part. v. nota 13), non � condivisibile. (19) V. P. PERLINGIERI, La personalit� umana, cit., in part. p. 174 ss., lil quale rileva che � la persona umana � valore che non pu� essere scisso in tanti interessi, in tanti beni in tante isolate situazioni soggettive� (175); la necessit� di una tutela unitaria della persona umana � affermata anche da G. GIAMPICCOLO, La tutela giuridica della persona umana e il c.d. diritto alla riservatezza, in Riv. trim., 1958, p. 465 ss. Questa considerazione unitaria conduce ad affermare il carattere immediatamente precettivo del disposto dell'art. 2 Cost. e porta a concepire d. diritti della personalit� come elenco non chiuso (P. PERLINGIERI, o.Lu.e.); questo carattere � confermato dal riconoscimento operato dalla giurisprudenza del diritto alla riservatezza pur in mancanza di una espressa previ~ ione normativa (v. T.A. AULETTA, Riservatezza e tutela della personalit�, Milano, 1978, p. 62 ss.). Questa opinione � per� contrastante con l'orientamento tradi 11 PARTE II, ,QUESTIONI La prev1s10ne dell'art. 42, secondo comma, Cost., per cui la legge deve assicurare che la propriet� assolva una funzione sociale (20), vuol significare appunto che questa � tutelata fin tanto che il suo regime giuridico non entri in conflitto con un altro interesse che la legge ordinaria ritenga prevalente rispetto a quello del proprietario. Ove tale situazione si verifichi si rende necessario un intervento legislativo che conformi il regime giuridico in modo da contemperarlo con l'altro interesse a valore contrastante. Per realizzare tale risultato il legislatore ha iJ potere-dovere di conformare il regime giuridico della propriet�, determinandone i modi di acquisto, di godimento e i limiti (21), e nel far ci� pu� arrivare a sopprimere per determinate categorie di beni (art. 43 Cost.), taluna delle facolt� del privato proprietario (22). Da taluno, peraltro, si � detto che l'intervento conformativo del legislatore troverebbe un limite sostanziale nel dovere di rispettare il c.d. contenuto minimo del diritto di propriet� (23) nel quale sarebbe ricompresa la fa.cultas aedificandi. Cos� nella pronuncia della Corte costituzionale n. 55 del 1968 il diritto di edifi zionale iiI quale non riconosce quel carattere precettivo all'art. 2, Cost., e afferma che � � giuridicamente corretta, invece, la costruzione di tanti singoli .diritti della personalit�, quante sono le utilit�, insite nell'essere umano, che sono riconosciute realmente degne di prote21ione giuridica dalla coscienza contemporanea e dalle norme positive che ne sono il riflesso �. (A. DE CuPls, I diritti della personalit�, I, in Tratt. di dir. civ. e comm. Cicu e Messineo, Milano, 1959, p. 40); in questo senso, in giurisprudenza, v. Corte Costituzionale, 1 agosto 1979, n. 98, in Foro it., 1979, I, c. 1929 s., e Cass., sez. un., 6 ottobre 11979, n. 5172, in Giur. it., 1980, I, 1, c. 464 ss. (20) Sulla funzione sociale v. per tutti S. RODOT�, Note critiche, cit., p. 1252 ss.; P. BARCELLONA, Diritto privato e processo economico, cit., cap. IV; P. PERLINGIERI, Introduzione alla problematica della � propriet� �, oit. in part. p. T!:i ss., e da ultimo A. IANNELLI, La propriet�, cit., in part. 63, 128 e 257 ss. (21) Afferma A. IANNELLI, La propriet�, cit., in part. p. 33 ss., che nella Carta Cost. non � pi� rinvenibile una formula attributiva di tutti i poteri non esclusi espressamente dall'ordinamento, ma, al contrario, si ritrova altra formula che demanda al legislatore ordinario il compito di determinare i modi di acquisto, di godimento e i limiti della propriet�. Il limite, cio�, non � considerato pi� un posterius rispetto ai poteri proprietari, un qualcosa che riduce dall'esterno l'ambito del diritto: poteri e limiti sono posti sullo stesso piano, per significare che � con la fissazione dei limiti che si determina il contenuto del di:dtto �. (22) Per un approfondito esame della norma v. G. PALERMO, Impresa a propriet�, cit., p. 61 ss., il quale afferma la tassativit� delle ipotesi previste dal l'art. 43 Cost.; in senso contrario A. PREDIERI, Collettivizzazione, municipalizza. zione e sindacato della Corte Costituzionale, in Giust. civ., 1%0, III, p. 61. (23) In tal senso F. SANTORO-PASSARELLI, Propriet� privata e Costituzione, cit.. p. 958 s.; Propriet� e lavoro in agricoltura, in Iustitia, 1953, p. 475; L BARASSI, Propriet� e compropriet�, Milano, 1951, p. 461 ss.; BALLADORE PALLIERI, Diritto Costituzionale, 10 ed., Milano, 1972, p. 441 s.; C. MoRTATI, La costituzione e la propriet� terriera, in Riv. dir. agr., 1952, I, p. 484 s.; da ultimo, G. FILANTI, Profili di costituzionalit� dell'equo canone nell'affitto di fondo rustico, in Propriet� privata e funzione sociale, cit., p. 346; in senso contrario v., tra gli altri, RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 12 care � considerato come �connaturale al diritto dominicale, quale viene riconosciuto nell'attuale momento storico �, in quella del 1980, invece, pur continuandosi a considerare il diritto di edificare inerente alla propriet�, non si rinviene alcuna affermazione in tal senso, vi � anzi un implicito riconoscimento de1la possibilit� di un eventuale intervento conformativo (24). Quell'assunto, che si ricollega intimamente alla concezione che considera la funzione sociale come limite operante dall'esterno sul diritto di propriet�, perde peraltro di significato ove si intenda la funzione sociale come criterio che deve guidare il legislatore nel contemperamento dei contrastanti interessi o va!lorJ incidenti sul diritto di propriet� (25). In relazione ad ogni specifica situazione soggettiva fa facultas M.S. GIANNINI, Basi costituzionali, cit., p. 466 ss.; S. PUGLIATTI, La propriet� e le propriet�, cit., p. 277; MoTZo-A. PIRAS, Espropriazione e �pubblica utilit��, in Giur. cost., 1959, p. 220 ss.; S. CASSESE, I beni pubblici, Milano, 1969, p. 22. (24) La Corte, infatti, presso atto dell'intenzione del legislatore di voler separare H c.d. jus aedificandi dal qiritto di propriet�, non afferma l'impossibilit� di realizzare questo risultato perch� il diritto di edificare � � connaturale al diritto dominicale, quale viene riconosciuto nell'attuale momento storico �, come aveva detto nella sentenza n. 55/1968, che sarebbe stata una considerazione assorbente ogni altro rilievo, ma passa ad esaminare la disciplina di cui alla legge n. 10/1977 per vedere se questa giustifichi quell'afferma7lione e, dopo una sommaria analisi, conclude che � il diritto di edificare continua ad inerire alla propriet� � La mancanza del primo rilievo e la stessa terminolo~a utilizzata ( � continua ad inerire�) confermano la nostra considerazione. (25) La tesi del contenuto minimo viene infatti accolta dalla dottrina nel tentativo di conservare gli clementi tradizionali di assolutezza del diritto di propriet� di fronte all'estendersi del numero delle c.d. � limitazioni � di diritto amministrativo, v. A. CuTRERA, Concessione �edilizia, oit., pp. 27 ss, 33 ss.; sul rapporto tra diritto di propriet� e �limitazioni� v. M.S. GIANNINI, Basi costitu� zionali, cit., p. 447 ss., il quale sottolinea l'insufficienza della prospettiva che spiega la normativa di diritto amministrativo in chiave di �limitazioni�; S. PUGLIATTI, La propriet� e le propriet�, cit., p. 286; P. PERLINGIERI, Introduzione alla problematica della �propriet��, cit., pp. 59 ss., 1�35 ss. I.D. Profili istituzionali di diritto civile, II ed., Napoli, 1979, p. 178 ss., il quale rileva che nel� l'ordinamento giuridico esiste non un diritto soggettivo attribuito nell'esclusivo interesse del soggetto, sul quale poi incidono limiti, ma �una situazione giuridica soggettiva avente gi� in s� limitazioni per il titolare del c.d. diritto soggettivo � (o u.c., p. 179). In questa prospettiva la garanzia della propriet� � assicurata dalla possibilit� di un controllo della rispondenza ai principi costituzionali dell'intervento conformativo, il quale, peraltro, non deve limitarsi alla ricerca degli interessi o valoni la cui soddisfazione ha indotto l'intervento del legislatore, ma deve estendersi anche al controllo dell'adeguatezza al fine perseguito del mezzo prescelto. Al riguardo v. L. MAZZAROLLI, Sul nuovo regime della propriet� immobiliare, in Riv. dir. civ., 1978, I, p. 15. La necessit� che l'intervento conformativo sia giustificato dalla presenza di un interesse o valore costituzionalmente protetto e prevalente riduce poi notevolmente la discrezionalit� concessa al legislatore. Al riguardo cfr. gli acuti rilievi di G. PALERMO, Impresa e propriet�, cit., p. 72, secondo il quale �nessuna discrezionalit� �... consentita quando si incide sul fondamentale sistema dei rapporti economici �. I l f I PARTE II, QUESTIONI ager,di riconosciuta al titolare del diritto si colorer� diversamente a seconda del vario atteggiarsi del conflitto di interessi in gioco (26). 3) Per individuare gli interessi e i valori coinvolti nella disciplina sull'edificabilit� dei suoli non � sufficiente l'analisi della legge 28 gennaio 1977, n. 10, ma � necessario tenere presente anche, tra le altre, la legge 27 luglio 1978, n. 392 (disciplina delle locazioni di immobili urbani), e la legge 5 agosto 1978, n. 457 (norme per l'edilizia residenziale), le quali insieme concorrono alla conformazione del regime giuridico dei suoli e degli immobili urbani, nonch� la legge 13 luglio 1976, n. 615 (norme contro l'inquinamento dell'aria), e la legge 10 maggio 1976, n. 319 (norme per la tutela delle acque dall'inquinamento) (27). Da una considerazione complessiva si rileva, infatti, che questa normativa � volta a regolare anche l'esercizio della potest� (di diritto pubblico) di dare un assetto (26) Rileva A. IANNELLI La propriet�, cit., p. 60 che �per quanti sforzi dia� lettici si possono fare, invero, si finisce pur sempre col concepire � la � propriet� costituzionale come un diritto soggettivo tendenzialmente pieno, caratterizzato dalla capacit� di adattarsi alle mutevoli esigenze sociali dei rapporti in cui � inserito. La natura e contenuto del diritto, cio�, diventerebbero variabili in rela� zione all'assetto degli interessi e la sua tutela presenterebbe caratteri di rela� tivit� in vista della destinazione sociale del bene oggetto del rapporto. In tal modo, per�, a prescindere dal fatto che -come appresso vedremo -le � esigenze sociali � fungerebbero da limite esterno e non interno del diritto, si torna al gi� ripudiato concetto del contenuto normale della propriet�, avendo ogni situazione di propriet� la possibilit� potenziale di riprendere la totalit� di con� tenuto una volta venute meno le esigenze sociali che ne avevano determinato la compressione �. Peraltro, a nostro avviso, una volta superato il principio secondo cui � al proprietario... � permesso qualsiasi comportamento che non sia stato espressamente vietato dall'ordinamento giuridico� (p. 40) ed affermato, per contro, che il titolare del diritto � si vede attribuire soltanto quei poteri capaci di soddisfare insieme ai suoi interessi personali, anche quelli pi� generali riferibili alla societ� nel suo complesso� (pp. 248-249), la �variabilit�� del diritto si risolve nella predeterminazione di discipline differenti di volta in volta appli� cabili col mutare dell'assetto di interessi. L'� esigenze sociali�, opererebbero, dunque, non come li�nite esterno che comprime il diritto di propriet� (e da qui il problema del c.d. � contenuto normale � della propriet�) ma come ragione giustificatrice del potere conformativo esercitato dal legislatore con il dettare la disciplina differenziata; il problema del �contenuto normale �, in tale con� testo, si risolve in quello della identificazione dei limiti che incontra l'esercizio del potere conformativo. -Al riguardo v. retro n. 25. (27) L'esigenza di un collegamento tra i vari settori di norme � rilevata da G. PALERMO, L'art. 26 della legge sull'equo canone, in Giust. civ., 1979, p. 54; v. anche A. CUTRERA, Concessione edilizia, cit. p. 84 s., il quale sottolinea in par� ticolare il collegamento tra le leggi n. 615/1966, 319/1976 e 10/1977, che discipltinano �l'attivit� amministrativa nelle tre componenti fondamentali dell'ambiente'" 14 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO al territorio (art. 44 Cost.) (28). A tal fine l'art. 13, legge n. 10/1977, introduce un nuovo strumento di pianificazione: il programma pluriennale di attuazione (29). Il compito di stabilire il contenuto e il procedimento di formazione del p.p.a., nel quale devono essere delimitate le aree e le zone in cui debbono realizzarsi le previsioni degli strumenti urbanistici generali nonch� individuato il momento, � demandato al legislatore regionale, al quale compete anche di ind.ividuare i comuni obbligati e quelli esonerati dal dotarsi dei programmi di attuazione. Questa scelta deve compiersi � anche in relazione alla dimensione, all'andamento demografico ed alle caratteristiche geografiche, storiche ed ambientali -fatta comunque eccezione per quelli di particolare espansione industriale e turistica� (art. 13, terzo <:ornma), che 111on possono essere esonerati. Questi criteri appaiono dettati dall'esigenza di tutelare l'interesse all'ambiente, ad un ordinato ed armonico sviluppo della citt�, comprensivo dell'interesse alla tutela del paesaggio e del patrimonio storico ed artistico (art. 9, secondo comma, Cost.). Particolarmente significativo l'ultimo inciso secondo il quale i comuni di � particolare espansione industriale e turistica� non possono essere esonerati dall'obbligo di dotarsi del programma di attuazione. Sono questi infatti i casi in cui il pericolo di un depauperamento e di una degradazione dell'ambiente � maggiore e, di conseguenza, l'esigenza di tutela � pi� sentita. Pure alla tutela del predetto interesse appare volto l'obbligo di costruire con rispetto degli standards fissati dagli strumenti urbanistici e dai regolamenti edilizi (art. 4, primo comma), o, nei comuni che ne siano sprovvisti, fino al 31 dicembre 1978, di. quelli fissati dall'art. 4, primo comma, e, dal 1� gennaio 1979, dall'ultimo comma dello stesso articolo. L'esigenza di tutelare l'interesse all'ambiente � presente anche nella nuova disciplina sulle sanzioni amministrative introdotte dall'art. 15. �, infatti, previsto che l'opera eseguita in totale difformit� o in assenza della concessione, la quale � contrasti con rilevanti interessi urbanistici e ambientali ovvero (28) La norma pur facendo riferimento solo 1ail.la propriet� terriere (espressione questa coincidente con quella di propriet� rurale) pone come fine da conseguire quello del � razionale sfruttamento del suolo �. Questa � per� una finalit� generale da perseguire non limitata alle sole ipotesi di cui all'art. 44 cost., ma riferentesi in generale a tutto il territorio. In tal senso A. CuTRERA, Concessione edilizia, cit., p. 66 ss., il quale, sul presupposto dell'avvenuta separazione del jus aedificandi dal contenuto del diritto di propriet�, giunge a configurare un diritto demaniale parziario del comune sul suo territorio (o.e., cap. Il), v. anche F. LUCARELLI, Principio di eguaglianza, cit., p. 516. (29) Sui programmi di attuazione v. G. Puccr, Il programma pluriennale. di attuazione, in R. BAJNO-A. CUTRERA � V. lTALIA-G. Puccr-P. G. TORRANI-M. VIVIANI, La nuova legge sui suoli, Milano, 1977, p. 143 ss., A. PREDIERI, La legge 28 gennaio 1977 n. 10 sulla edificabilit� dei suoli, Milano, 1977, p. 336 ss.; A. CUTRERA, Concessione edilizia, cit., p. 166 ss. PARTE II, QUESTIONI 1J non poss.a essere utilizzata per fini pubblici�, deve essere demolita a spese del costruttore (art. 15, ottavo e tredicesimo comma). Ci� in contrasto con la precedente disciplina, di cui all'art. 41, legge n. 1150 del 1942, modificata dall'art. 13, legge 6 agosto 1967, n. 765, che prevedeva, in alternativa, una sanzione pecuniaria. Alla tutela di questo interesse si� rivolgono anche le ricordate leggi n. 615 del 1966 e n. 319 del 1976, che hanno riguardo alla tutela contro l'inquinamento l'una dell'aria e l'altra � delle acque (30). L'esercizio della potest� pubblica di dare un assetto al territorio deve dunque indirizzarsi alla realizzazione di questo risultato: la tutela dell'interesse all'ambiente. � questa una condizione primaria e imprescindibile, visto il particolare legame che si stabilisce tra individuo e ambiente circostante, per il pieno sviluppo della persona umana, tanto che si � affermata la configurabilit� di questo interesse come diritto fondamentale ed inviolabile dell'individuo (31). La razionalizzazione dell'assetto del territorio, contrapposto allo sviluppo disorganico, si presenta dunque come interesse fondamentale da tutelare (32). Peraltro, la disciplina introdotta dalla legge n. 10/1977 non appare volta alla tutela solo dell'interesse all'ambiente. Dal collegamento con te leggi 27 luglio 1978, n. 392, e 5 agosto 1978, n. 457, nonch� da alcune disposizioni contenute nella stessa traspare infatti che con questa normativa si � cercato di riconoscere e garantire anche il diritto all'abitazione, che, come il diritto all'ambiente � configurabile, in base al disposto dell'art. 2 Cost., quale diritto fondamentale ed inviolabile dell'indivi (30) In tal senso A. CUTRERA, Concessione edilizia, cit. p. 84 s. Riteniamo che non possa negarsi che in quel complesso normativo vi sia contenuto un rico� nascimento del diritto all'ambiente e che. pertanto anche ove non si accetti la teoria che attribuisce natura immediatamente precettiva all'art. 2 Cost. non possa negarsi al diritto all'ambiente tale natura (v. retro nota n. 19). (31) V. Cass., sez. un., 6 ottobre 1979 n. 5172, cit., 858 ss., con nota di S. PATTI, Diritto all'ambiente e tutela della persona, ib., c. 859 ss., e C. SALVI, La tutela civile dell'ambiente: diritto individuale o interesse collettivo?, �ib., c. 868 ss.; di quest'ultimo v. anche Le immissioni industriali. Rapporti di vicinato e tutela dell'ambiente, Milano, 1979; M. S. GIANNINI, �Ambiente�: saggio sui diversi suoi aspetti giuridici, in Riv. trim. dir. pubbl., 1973> p. 15 ss.; G. REccHIA, Considerazioni sulla tutela degli interessi diffusi nella Costituzione, dn AA.VV., La tutela degli interessi diffusi nel diritto comparato con particolare riguardo alla protezione dell'ambiente e dei consumatori, Milano, 1976, p. 27 ss. (in part. p. 33); A. CoRASANTI, Profili generali di tutela giurisdizionale contro il danno ecologico, in La responsabilit� dell'impresa per i danni all'ambiente e ai consumatori, Milano, 1978; da ultimo v. ancora S. PATTI, Ambiente (tutela civilistica), in Dizionario di diritto civile a cura di Irti, Milano, 1980, p. 29 ss. e La tutela civile della persona, Padova, 1979. (32) Cfr. F. LucARELLI, Principio di eguaglianza, cit., p. 522 s., il quale afferma che alla base delle leggi n. 865/1971 e 10/1977 vi sono finalit� urbanistiche, finalit� di carattere sociale e finalit� di carattere economico-finanziario. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO duo (33), costituisce dunque anch'esso una delle condizioni primarie ed imprescindibili per il pieno sviluppo defila personalit� (34). Cos� l'art. 7, primo comma, legge n. 10/1977, prevede che �per gli interventi di edilizia abitativa ivi compresi quelli sugli edifici esistenti, il contributo di cui al precedente art. 3 � ridotto alla sola quota di cui all'art. 5 qualora il concessionario si impe~, a mezzo di una convenzione con il comune, ad applicare prezzi di vendita e canoni di Jocazione determinati ai sensi della convenzione-tipo prevista dal successivo art. 8 �; egualmente l'art. 9 lett. b) stabilisce che la concessione � gratuita quando si tratti di interventi di restauro di risanamento conservativo e di ristrutturazione che non comportino aumento delle superfici utili di calpestio e mutamento della desti!Ilazione di uso e vi sia fimpegno di cui all'art. 7, primo comma, nonch� quello di concorrere negli oneri di urbanizzazione (35). Per l'edilizia non convenzionata interviene invece la normativa dettata dalla legge n. 392 del 1978 (36). Si garantisce cos� �la finalit� (33) Anche a voler negare carattere immediatamente precettivo all'art. 2 (sul punto v. retro nota 19), il diritto all'ambiente ed all'abitazione sarebbero egualmente configurabili quali diritti della personalit�. Invero, questi sono un presupposto imprescindibile per assicurare un'esistenza libera e dignitosa � (art. 36 �Cost.) e la � tutela � della salute (art. 32 Cost.). In tal modo prima ancora che dalle norme di legislazione ordinaria, tali �interessi sono espressa� mente riconosciuti degni di protezione giuridica dalla Carta Costituzionale ove vengano qualificati come �diritti�. Sul punto cfr. pi� ampiamente in part. F. LucAREU.I, Diritto all'abitazione e preesistenze urbane.�, Napoli, 1976. La salva� guardia del territorio e, pi� in generale dell'ambiente, assieme alla concreta realizzazione del diritto all'abitazione, costituiscono, poi, condizioni necessarie per evitare di arrecare pregiudizio al diritto alla salute. V. C. DoNISI, Verso la � depatrimonializzazione �, cit. in part. p. 686 ss., il quale rileva che oramai, anche nella pi� recente legislazione (1. n. 833/1978), il diritto alla salute viene inteso � non pi� nel senso tradizionale, ossia come diritto alla (mera) integrit� fisica, ma come diritto ad uno stato di benessere fisico-psichico direttamente correlato al (e, per ci� stesso, anche condizionato dal) mondo esterno� (ib., p. 689). (34) G. PALERMO, L'art. 26 della legge sull'equo canone, cit. p. 54 ss.; F. LUCARELLI, Regime dei suoli e progetto di equo canone, in Riv. trim., 1977, p. 1164ss. e Principio di eguaglianza, cit., p. 521; D. SoRACE, A proposito di �propriet� dell'abitazione�, �diritto d'abitazione� e �propriet� (civilistica) della casa�, in Riv. trim., 1977, p. 1186 ss.; U. BRECCIA, Il diritto all'abitazione, Milano, 1980. (35) Sulla possibilit� che l'edilizia convenzionata possa assumere un. ruolo alternativo e sulla sussistenza di un reale interesse dell'industria edilizia privata per tali iniziative esprime dubbi F. LUCARELLI, Regime dei suoli e progetto dt equo canone cit. p. 1156. (36) Riguardo alla disciplina contenuta nella legge n. 392/1978 ed, in particolare, nel capo I concernente la locazione di immobili urbani adibiti ad uso di abitazione, v. per tutti G. PALERMO, L'art. 26 della legge sull'equo canone, cit., p. 54ss. 17 PARTE II, QUESlIONI di rendere pi� agevole l'accesso alla casa come strumento dehla normale vita di relazione e, per converso, quella di riequilibrare la diversa forza contrattuale che il proprietario ha rispetto all'inquilino� (37). Da un lato vi � dunque il diritto all'ambiente e all'abitazione, dall'altro il diritto di propriet�, tutelato ex artt. 42 e seguenti Cost. L'equilibrio tra questi due diritti poi varia quando alla propriet� � connesso lo �svolgimento� della iniziativa economica privata (art. 41, Cost.) e/o diritto-dovere al lavoro (art. 4, Cost.). Peraltro, mentre la prima rientra pur sempre tra i rappoti economici e, quindi, l'esigenza di tutelare un interesse fondamentale pu� giustificare una sua eventuale �compressione� (38), ben diversa � invece la situazione quando si � in presenza del diritto-dovere al lavoro, il quale costituisce principio cardine del nostro ordinamento ed � anch'esso condizione primaria ed imprescindibile per il pieno sviluppo della persona umana; si pone quindi sullo stesso piano di quegli altri interessi (39). Nel contemperare i contrapposti valori e nel conformare il nuovo regime giuridico dei �suoli il legislatore non pu� pertanto prescindere dalla presenza di questi ultimi. Gli interessi che sottostanno alla nuova normativa, invero, non sembra siano stati presi in considerazione nella pronuncia n. 5/1980 della Corte Costituzionale, la quale, soffermando la propria attenzione unicamente sui problemi connessi alla disciplina della concessione edilizia, giunge ad affermare che � diritto di edificare continua ad inerire alla propriet� �. 4) L'individuazione della ratio legis consente di procedere ad una ricostruzione organica e coerente della disciplina sull'edificabilit� dei suoli che, come si � detto, � incentrata sulla regolamentazione dei modi di esercizio della potest� pubblica di dare un assetto al territorio e dei rapporti di questa con il potere privato. Pertanto, individuato il punto focale della legge n. 10/1977 nel problema della natura giuridica della concessione edilizi<l, si coglie solo una faccia del significato della nuova normativa, come conferma anche la lettura dell'art. 1 della legge il quale prevede che la disciplina in questione � volta a 'regolare � ogni. attivit� comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale � (40). A tale rilievo non pare sottrarsi neanche la Corte costituzionale (37) G. PALERMO, L'art. 26 della legge sull'equo canone, cit., p. 55. (38) Sull'iniziativa economica privata e sui limiti della compressione di essa, v. G. PALERMO, Impresa e propriet�, cit. p. 61 ss. Parlando di �compressione� intendiamo, pi� precisamente, riferirci alla conformazione di regimi giuridici differenti; v. al riguardo retro nota 25. (39) Cfr. G. MANCINI, Principi fondamentali, in Commentario della Costituzione a cura di G. Branca, cit. p. 199 ss. C. ANGELICI, Impresa, societ� e � cogestione � secondo il bundesverfassungericht, in Giur. comm. 1979, II, 945, ss. (40) Afferma A. CUTRERA, Concessione edilizia, cit. p. 91 s., che oggetto della trasformazione urbanistica � il territorio, �bene protetto� della legge n. 10/1977. 17 18 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO la quale prende atto che spetta al potere pubblico ogni determinazione sul se, sul come, sul quando, e che l'edificabilit� dei suoli discende dalla � destinazione � a tale scopo ad opera degli smumenti urbanistici, ma poi non svolge compiutamente il rilievo e sulla base della considerazione che il proprietario dell'area � ha diritto ad ottenere la concessione � giunge alla conclusione che � il diritto di edificare continua ad inerire alla propriet�... �, senza soffermarsi ulteriormente ad esaminare la corrispondenza di quella c�nsiderazione al nuovo sistema normativo attuato con la 1. n. 10/1977. In una felice prospettiva si inquadra invece quella dottrina (41) la quale afferma che il jus aedificandi costituisce � un dippi� che si aggiunge al diritto di propriet�... in virt� e in conseguenza di un provvedimento dell'autorit�, costituito, di volta in volta, dall'inclusione, a opera del comune dell'area interessata in un �programma di attuazione� dello �strumento urbanistico oppure dalla (contingente) !disposizione regionale, utilizzata dal comune, di esonero del comune dall'obbligo di dotarsi di un simile programma �. Peraltro, gi� prima dell'introduzione dei programmi di attuazione non era mancato chi (42) aveva riconosciuto tale valore conformativo agli strumenti urbanistici aventi carattere precettivo. Questa tesi, invero, se pur felice e, al momento della sua formulazione, precorritrice dei tempi per la prospettiva in cui si muoveva, non pu� essere accolta perch� conduce ad attribuire natura sostanzialmente normativa a,gli strumenti urbanistici in contrasto con la loro natura (43). Sono dunque previsti due differenti regimi giuridici di utilizzazione dei suoli a seconda della diversa intensit� con cui si pu� presentare l'esigenza di tutelare quegli interessi. Una �distinzione di tail. genere � presente anche nella l. 27 luglio 1978, n. 392, la quale prevede all'art. 26, ult.co., che le disposizioni sulla determinazione dell'equo canone (arti� coli 12-25) non si applicano alle locazioni concernenti gli immobili siti nei comuni minori. Anche in questo oaso J.a minore intensit� con cui si presenta nella situazione concreta la esigenza abitativa ha indotto il legislatore a considerare non giustificata la compressione delle ragioni della propriet� e la Jimitazione posta all'autonomia privata. Nelle ipotesi in cui maggiore � l'intensit� con cui si presenta quella esigenza ed, in particolare, quella abitativa, il legislatori!, al fine di assicurare la realizzazione delle prescrizioni, ha introdotto un elemento di (41) A. M. SANDULLI, Nuovo regime dei suoli, cit. p. 285; in tale prospettiva v. anche A. TRABUCCHI, La facolt� di edificare, cit., p. 42 ss. (42) M. S. GIANNINI, Basi costituzionali, cit, p. 496 ss. (43) Per una approfondita critica si rinvia a A. CuTRERA, Concessione edilizia, cit. p. 37 ss. 19 PARTE II, QUESTIONI � doverosit� �, ponendo a carico degli �aventi titolo� (44) l'onere (45) di domandare la concessione entro i tempi indicati nel programma. In difetto � previsto che il comune debba espropriare le aree in questione �sulla base delle disposizioni della legge 22 ottobre 1971, n. 865, come modificate dalla presente legge� (art. 13, VI co.). In tal modo, � stato osservato, viene sottratto al privato, oltre al potere di decidere se costruire, quello di scegliere il momento in cui farlo; sul rilievo poi che questi poteri costituivano � lo strumento fondamentale per la conservazione, in capo al privato, della c.d. �rendita di posizione�, si afferma la soppressione di quest'ultima (46). Peraltro, se � vero che l'introduzione di questo elemento di � doverosit� � nella sJtuazione reale, che cos� si conferma essere una posizione soggettiva complessa (47), costituisce un momento innovativo di notevole ;rilevanza che � idoneo a porre un limite, almeno temporale, alla speculazione edilizia, non sembra per� che sia anche sufficiente a realizzare quel risultato. Nonostante la sua introduzione permane infatti una diversit�, sotto il profilo economico, tra la posizione del proprietario che, sia pure entro quei limiti, pu� edificare e quella del soggetto che, invece, non lo pu�, essendo l'area di sua propriet� destinata dagli strumenti urbanistici generali all'espropriazione (48). Sotto questo profilo � esatto il rilievo della Corte costituzionale che sussiste una disparit� di trattamento tra le due situazioni, anche se le (44) L'art. 13, IV co., 1. n. 10/1977, dispone che in questa ipotesi la concessione � � data solo per le aree incluse nei programmi di attuazione e al di fuori di esse, per le opere e gli interventi previsti dal precedente articolo 9, semprech� non siano in contrasto con le prescrizioni degli� strumenti urbanistici generali �; il VI co. poi dispone che � qualora... gli aventi titolo non presentino istanza di concessione... H comune espropria le aree... �, non precisa per� il legislatore chi siano gli aventi titolo (al riguardo� v. A. PREDIERI, La legge 28 gennaio 1977, n. 10, cit p 315, il quale ritiene che dovr� provvedere la legislazione regionale a precisare tale dato). Peraltro tale dizione � utilizzata anche dall'art. 4 nell'individuare coloro che sono legittimati a domandare la concessione ( � la concessione � data dal sindaco al proprietario o a chi abbia titolo per richiederla�); riteniamo quindi che servendo11i di quella espressione riassuntiva (�aventi titolo�) il legislatore abbia voluto indicare gli stessi soggetti in entrambe le ipotesi. Pertanto, anche riguardo l'art. .13, IV co., tra gli �aventi titolo � rientra, ad es., il beneficiario dell'occupazione d'urgenza, con la conseguenza che in tal caso l'onere di domandare la concessione graver� su di questi e non gi� sul proprietario dell'area. (45) Tra gli altr.i qualificano questo elemento come onere L. MoscARINI, Propriet� dei suoli, cit. p. 597; A. M. SANDUI..LI, Nuovo regime dei suoli, cit., p. 283 (46) L. MOSCARINI, Propriet� dei suoli, cit., p. 597. (47) v. retro, nota n. 25. (48) In quest'ultima ipotesi, infatti � avente titolo � non � il proprietario dell'area; quindi l'onere di cui all'art. 13, IV co. 1. n. 10/1977, non grava su di lui, v. retro nota n. 45. 20 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO argomentazioni addotte a sostegno si limitano, nell'incompleta prospettiva suindicata a considerare solo il carattere dell'onerosit� della concessione e non anche questo elemento di � doverosit� �. Peraltro, pur non accettando la tesi che ricollega all'introduzione dell'onere di domandare la concessione la soppressione della c.d. rendita di posizione, non si pu� negare che questo elemento conservi egualmente notevole importanza. Infatti esso caratterizza il nuovo regime giuridico dell'edificabilit� dei suoli in senso attivistico (49). Questa conformazione � l'effetto di un complesso procedimento (SO) che si conclude con l'approvazione del programma di attuazione, il quale si pone come atto esecutivo di una legge regionale. Peraltro questa conformazione � �contingente�: da un lato, la �realizzazione� del programma di attuazione che deve essere formulata in riferimento ad un periodo di tempo prefissato (non inferiore a tre e non superiore a cinque anni) determina il venir meno dell'assetto di interessi realizzato con quello e la necessit� della formulazione di un altro programma (51); dall'altro la (49) Sulla concezione attivistica del diritto di propriiet� v. P. PERLINGIERI, Introduzione alla problematica della �propriet�'" cit., p. 44 ss.; B. TR01s1, La prescrizione come procedimento, Napoli 1980, p. 138 ss., ed ivi ulteriore bi� bliografia. (50) In tal senso A. CUTRERA, Concessione edilizia, cit., cap. IV. La configura invece come fattispecie A. M. SANDULLI, Nuovo regime dei suoli, cit. p. 283, il quale afferma che � l'autentico momento concessorio � st�..., sul piano sostanziale, a monte del provvedimento di cui all'art. 1 della legge, e precisamente nelle diverse articolate fattispecie in cui l'attributo del jus aedificandi viene conferito alle singole propriet� " (p. 287) e configura la concessione come condizione sospensiva del suo esercizio; circa quella configurazione della concessione v. infra nota n. 51. (51) L'affermazione va ben intesa. Parlando di � realizzazione � si intende pi� precisamente, riferirsi alla predeterminazione di quanto necessario per la effet tiva realizzazione del programma. Ci� � confermato dalla previsione dell'art. 13 1. n. 10/1977 che stabilisce l'onere di domandare la concessione (e non gi� di costruire) entro i �tempi indicati dai programmi di attuazione�. In tal senso L. MAZZAROLLI, Sul nuovo regime dei suoli, cit., p. 257. Ecco che a questo punto si evidenzia la funzione svolta dalla concessione edilizia. Infatti l'art. 4, legge n . .10/1977, al III co. stabilisce che nell'atto di concessione devono indicarsi, i termini di inizio e di ultimazione dei lavori; al IV co. � che � il termine di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere abitabile o agibile, non pu� essere superiore a tre anni, e pu� essere prorogato, con provvedimento motivato, solo per fatti estranei alla volont� del concessionario, che siano. sopravvenuti a ritardare i lavori durante la loro esecuzione; al V co. prevede invece la possibilit� di concedere un termine pi� lungo per l'ultimazione dei lavori in considerazione della mole dell'opera da realizzare, delle sue particolari carat� teristiche tecnico-costruttive, ovvero se si tratti di opere pubbliche il cui� finanziamento sia previsto in pi� esercizi finanziari, e, infine, al VI co. che quando i lavori non siano ultimati nel termine stabilito, per la parte non ultimata, deve essere richiesta una nuova concessione. Appare evidente che in tal modo, ���,.,,,,,����,,,,,.,,,,����,,,��� 21 PARTE II, QUESTIONI disposizione della legge regionale che obbliga il comune a dotarsi del programma (o, viceversa, che lo esonera) � suscettibile di essere modificata qualora il legislatore regionale, in base a quei criteri, ritenga che per la realizzazione dell'interesse perseguito sia adeguato l'altro regime di utilizzazione delJe aree edificabili. Da quanto detto discende che ove i comuni esonerati decidessero di deliberare a mezzo di programmi di attuazione, come � previsto da alcune leggi regionali (52), questi non potrebbero assumere quel valore conformativo in quanto il procedimento in questo caso si � concluso con l'emanazione della legge regionale che ha esonerato il comune. L'assunto � confeJ:1Jllato dalla considerazione che ne11'ipotesi non sussiste la ratio che giustiifica la conformazione del regime giuridico eh~ si realizza nei comuni dotati dei programmi di attuazione. La minore .intensit� con cui si presentano quelle esigenze di tutela ha indotto il legislatore a ritenere sufficiente per la loro soddisfazione la fissazione dei limiti, i c.d. standards, entro cui pu� esercitarsi la facolt� di edificare. Solo nelle ipotesi in cui maggiore � l'intensit� � giustificata con la possibilit� rimessa al sindaco di stabilire il termine di ultimazione dei lavori, e, sfa pure entro quei IJimiti, con quella di prorogarlo, m relazione al venir meno del programma di attuazi�ne che aveva attribuito il jus aedi� ficandi all'area, viene lasciato a questi un ambito di incidenza notevole. Tale ambito � poi maggiore se si riconosce ammissibile la possibilit� di una concessione in sanatoria (in tal senso v. A. lANNELLI, Le violazioni edilizie ammini� strative, civili e penali, Milano, 1977, p. 80; contra L. MosCARINI, Propriet� dei suoli, cit., in part. p. 584 s.). In tal modo la concessione si caratterizza come tecnica di controllo e partecipa di quel carattere concessorio che � proprio del procedimento attributivo del diritto di edificare. Non pu� quindi essere accettata la tesi che configura la concessione come condizione sospensiva (v. retro nota n. 51) perch� � riduttiva della funzione effettivamente svolta da questa. Egualmente non pu� essere condivisa l'affermazione della Corte Costituzionale secondo la quale questa � non adempie a funzione sostanzialmente diversa da quella dell'antica licenza, avendo lo scopo di accertare la 11icorrenza delle condizioni previste dall'ordinamento per l'esercizio del �diritto�. Per giungere a tale conclusione la Corte si � fondata su quegli elementi contraddittori presenti nel sistema da noi evidenziati nel � 2, pervenendo cos� ad attribuire alla concessione una funzione diversa da quella che, alla luce di quella ratio, risulta essere dnvece la sua. Di qui l'affermazione secondo cui � il diritto di edificare continua ad iner.ire alla propriet�... �, che per� non pu� essere accettata perch�, come appare ormai evidente non corrisponde alla complessit� del sistema. Tale insufficienza era gi� stata avvertita da una parte della dottrina, la quale aveva avvicinato la licenza edilizia alla concessione, proponendo per essa il nome di atto di consenso, v. F. BENVENUTI, Limiti dello � jus aedificandi � e la natura giuridica della licenza edilizia, in Atti del II Convegno di diritto amministrativo in materia di licenza edilizia, Sanremo 14-16 dicembre 1956, Roma, 1957, p. 25 ss. v. anche dello stesso A. Dal Consenso al consenso in Profili giuridici e prospettive della nuova normativa sulla edificabilit� dei suoli, Milano, 1978, p. 9 ss. (52) v. A. M. SANDULLI, Nuovo regime dei suoli, cit., p. 284. 18 22 RASSEGNA DBLU'AVVO<!:ATURA IJELLO STATO Ja conformazione del regime giuridico caratterizzato clall'hrl!roduzioHe di quell'elemento di � doverosit� � riguardo� alle aree e alle zone; individuate dal p.d.a., clotate di jus aeaifif:rilindi. Dunque, il potere pubblico ha il compito di programmare le opere e gli .iinterventi ritenuti � necessal'i �, in un arco� di tempo determinate, e� di individuare le aree e le wne in cui questi debbono essere realizzati; � p0i lasciato� agli � aventi titolo � il eompito di realizzare ile previsioni. Ove p0i1 questi non provvedano a domandare la ccmcessione� ediliZiia enitiro� il termine� stabilito nel programma di attuaziooe, in�terviene nuovamente il potere pubblico che si sostituisce al privato ed espropria l'area i~ questione. Ecco che in questa ipotesi l'esigenza di reaMzzaTe quelle previ~� siOni rende opportuno un ulteriore intervento sostilcrtivo del potere pub� blico; diversamente sarebbe disattesa Ja funzione della nuova disdplina di soddisfare gli interessi che ne� costituiscono il fondamento (SJJ. Ad evitare che quella espmpriazione diventi strumento di afflizione dei ceti meno aibbie:nti, a tutto� vantaggio deJla speeulazione edilizia, e si1 riveli inidonea a realizzare la funzione che le � attribuita, il legislatore � inter , I venuto con la legge 5 agosto 1978 n. 457 che detta norme per l'edilizia residenziale, prevedendo sovvenzioni e benefic� (es. mutui agevolati), in I modo tale da assicurare che il sistema possa assoJvere al' suo compito. ~: Peraltro le stesse esigenze che giustificano il sorgere di questo dovere in f: capo al privato, richiedono che anche il potere pubblico eserciti le facolt� ad esso spettanti e cio� provveda alla formazione del programma di attuazione e utilizzi Ie aree espropriate ai sensi dcl V co. dell'art. 13. A tai fine � demandato alla legge regionale iI compito di determinare le forme e le modalit� di esercizio dei poteri sosrbitutivi nei con:f�ronti dei comuni iinadempienti (art. 13, terzo comma) e le modalit� di utilizzazione delle aree espropriate (art. 13, ottavo comma). Il legislatore cos� ha proceduto alla conformazione di due differenti regimi, in uno dei quali permane la facultas aedificandi, sia pure compressa e limitata da quelli standards, mentre ne11'<a:ltro il jus aedificandi viene attribuito solo relativamente a determinate aree; questa conformazione, si � per� detto, � contingente. Orbene, la presenza, nella situazione concreta, dell'iniziativa economica privata e/o. del diritto-dbvere al; lavoro, fa s� che questa conformazione oltre che contingente, sia anche � varia ~53) � stato� peraltro osservato da A. PREDIERI, La Legge 28 gennaio 1977' n. IO, cit., p. 183, che � invece di farsi espropriare per non aver presentato la domanda nei termini previsti dal programma pluriennale� di attuazione, il proprietar;io potrebbe presentarla, ottenere la concessione� e decaderne, Avrebbe il vantaggio, innamiitutto, di non essere espropriato e pOI� di contare sull'alea� del � chi vivr� vedr�.�. Segnaliamo l'incongruenza limitandoci a rilevare che tale pericolo � reso improbal!>ile dal carattere oneroso della concessione. 23 PARTE 11, QUESllIONI �bile��.. Infatti l'art. 13, quarto comma, 1. n. 10/1977, prevede che �nei ,comurrl obbliga;ti ai sensi del terzo comma la concessione di cui all'arti-� �colo 1 della presente legge � data solo p.er le aree incluse nei programmi .cli attuazione e, al di fuori di esse, per le opere e gli interventi previsti .(}a:I precedente articolo 9, semprech� non siano in contrasto con le prescl'. irioni �degli �strumenti urbanistici �. Dunque nelle ipotesi previste dall'art. 9 la concessione, per giunta gratuita, pu� essere data, anche per opere oo interventi da realfizzarsi in �aree non incluse nei programmi di ITTtmrzione. Deve per� trattarsi di opere � da realizzare nelle zone agricole ivi comprese le residenze in 'funzione detla conduzione del fondo e delle esigenze delJ'imprenditore ag.ricolo a titolo prinCipale, ai sensi dell'articolo 12 della legge 9 maggio 1975, n . .153 � (art. 9 lett. a) (54). In aueste ipotesi, permanendo in capo al privato proprietario il potere di decidere se e quando edificare, pu� affermarsi che al diritto di pr.opriet� si accompa@ la .il c.d. jus aedificandi, sia pure con l~obbUgo 'Cdi conformarsi alle previsioni degli altri strumenti urbanistici {55). La conformazione idei regime giuridico avente ad -0ggetit0 i suoli attuata con la 1. n. 10/1977 si .ca:ratterizza dU111que per essere �c<mt�ingente e variabile a seconda del mutare e della diversa intensit� con cui si presentano gli j,nteressi m giooo �e ci@ pienamente !rispondente al concetto di funzione sociale .che si � .enm.tdato. 5) In questo sistema significativa � ila previsione �di cui al sesto comma dell'art. 13, I. n. 10/1977, secondo Ja quale qualora gli aventi titolo non presentino fa domanda volta ad ottenere La con.cessione entro i �termini indicati nel programma� di attuazione �il comune espropria le aree sulla base deHe �disposizioni de11a .legge 22 ottobre 1971, n. 865, come (54) Invero anche nell'ipotesi di cui alla lett. f) dell'art. 9 (concernente impianti, attrezzature, opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti nonch� opere di urbanizzazione, eseguite an�he .c:la privati, in .a:ttuazicme di strumenti urbanii>tici) vi � il jus aedi:ficandi e non. � dovute ,iJ c0nt11i1mto, di cui all'art..3, per 'il rilascio de:l:la concessione. Nei casi invece .di costruziohi o impianti destinati ad attivit� industriali o artigianali ovvero di costruzioni o impianti destinati ad attivit� turistiche, commerciali e direzionali, l'art. 10, I. n. 10/1977, prevede una riduzione del contributo, stabilita in base ai criteri (che confermano la esattezza della ratio individuata) espressamente :indicati nella morma. (D) �Cfr. L. MosCARINI, Propri.et� dei suoli, cit., p. 593, il quale afferma che .fin taE.to che il pmprietario dell'area resta libero d!i. scegliere �se e .quando edi �fkare, continua a sussistere :la c.d. � renrlita di posizione "� Appare poi evidente che in ogni c�so vanno osservate anche tutte le altre nor.me di legge, cos� ci s� dDVJ:� a:tmenere alle disposiziomi degli artt. 41 sexies l.n. 1150/1942; 41 septies della .stessa 1e :il d;m. n. 3518/196&; 38 I. .n. U65/1934, etc., v. al riguardo A. PRElnER'.I, La 1kegge 28 .gennaiw Jl!Y17 n. 10 sull'edificabilit� dei suoli, cit., p. 166. 24 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO modificata dalla presente legge �. Questa infatti, collegata al disposto dell'art. 12 della stessa, il quale prevede ohe i proventi de11e c0111cessioni s1ano destinati anche �all'acquisizione delle aree da espropriare per la realizzazione dei prog.rommi pluriennali�, evidenzia 1a funzione svolta nell'ambito del nuovo sistema normativo di edificabillit� dei suoli dai criteri di determinazione dell'indennit� di esproprio che cos� s~ rivelano essere una componente essenziale di questo sistema. Si pu� quindi affermare che anche :i criteri di �indennizzo sono pM"tecipi della ratio propria del sistema. Afla Juce dei principi di solidariet� e di eguaglianza sostanziale, gli interessi fil precedenza indiv>iduati appaiono come principi giustificatori anche di questa parte delta disciplina. Con la previsione dell'art. 13, sesto comma, H legislatore ha appunto voluto dire ci�, doven� dosi e potendosi appHca;re quei criteri anche in mancanza di quest'ulte� riore espressa previsione. Queste finalit� alla cui soddisfazione � volto il complesso sistema di determinazione dell'indennit� di esproprio, � stato osservato, non sono state tenute presenti dalla decisione della Corte Costituzionale che, invece, ha assunto �la parit� formale a criterio ispiratore del giudicato� (56). Questo rilievo appare, invero, giustificato se si sofferma l'attenzione solo sulla motivazione della pronuncia. Noo pu�, peraltro, non rilevarsi che al momento di trarre le conclusioni la Corte ha dichiarato l'illegittimit� costituzionale non di tutto l'art. 16 1. n. 865/1971, come modificato dall'art. 14 1. n. 10/1977, ma solo dei commi cinque, sei o sette, lasciando in tal modo in vigore la disposizione di cui al nono comma la quale prevede che nella determinazione dell'indennizzo �non deve tenersi alcun conto dell'utilizzabilit� dell'area ai fini dell'edificazione nonch� dell'incremento di valore derivante dalla esistenza nella stessa zona di opere di urbanizzazione primaria e secondaria e di qualunque altra opera o impianto pubblico�. In questo senso si esprime pure J'art. 38 t n. 1150/1942 (57). Dunque � s� illegittimo far riferimento ail valore agricolo medio quale criterio di determinazione dell'indennizzo, in quanto questo introduce un elemento di valutazione del tutto astratto, ma ci� non significa necessit� di un ritorno al sistema di cui all'art. 39 1. 25 giugno 1865, n. 2359, e, quindi, ad un criterio di determinazione dell'indennizzo rapportato al �valore venale� del bene (58). La considerazione della �destinazione� 56) F. LucARELLI, Principio di eguaglianza, cit., p. 517. 57) R:ileva ci� PoTOTSCHNIG, Commento, cit. p. 602, il quale afferma che � come si accordino con l'affermazione della corte queste due disposizioni, en� trambe tuttora vigenti (perch� non ricomprese fra quelle dichiarate incostituzionali), rimane un mistero�; sul punto v. infra nota 58. 58) Ritiene V. PoTorscHING, Commento, cit., p. 601, che essep.do stato di� chiarato illegittimo anche l'art. 4 del d.1. 2 maggio 1974, n. 115, conv. dalla I. 27 giugno 1974, n. 247, che aveva esteso l'applicabilit� dei criteri di indennizzo PARTE II, QUESTIONI 2f edilizia del bene e il riferimento al valore agricolo medio, non sono considerati dati dn alternativa di modo che, escluso il primo, vi � l'altro. Come non � rispondente a quei principi di solidariet� e di parit� sostanziale tener conto del primo, egualmente non � equo far riferimento al secondo. Si prospetta in tal modo l'esigenza di giungere alJa formulazione di un altro criterio di determinazione dell'indennit�, che nella pronuncia � stato individuato solo negativamente da questi due dati. La Corte, pertanto, se pure argomenta in termini di parit� formale, riconoscendo legittima la disposizione di cui al nono comma dell'art. 16, realizza, invero, un risultato corrispondente alle esigenze dettate dal principio di parit� sostanziale. L'aver mantenuto in vita quella disposizione, in connessione col fatto che alla Corte non � sfuggito che l'edificabilit� dei suoli � deriva� dalla loro destinazione a tale scopo ad opera degli strumenti urbanistici, anche se poi il rilievo non � stato compiutamente svolto, ha dunque un ben preciso significato. Risulta cos� tracciata la strada da seguire per la fissazione dei nuovi criteri. In attesa di elaborare la nuova disciplina, il legislatore � intervenuto dettando una normatiVia provvisoria (59), in base alla quale per determinare l'indennit� di esproprio deve aversi riguardo al valore agricolo medio � determinato a norma dell'art. 16 quarto comma, della stessa legge (n. 865/1971) come-modificata dall'art. 14 della Jegge 28 gennaio 1977, 10. corrispondente al tipo di coltura in atto nell'area da espropriare� (art. 1, di cui al titolo II della 1. n. 865/1971, dovranno ora app1icarsi nuovamente le disposizioni contenute nella legge del 1865. Al riguardo rileviamo che l'art. 4 � stato dichiarato illegittimo solo nella parte in cui ha esteso � l'applicazione delle disposizioni dell'art. 16, commi cinque, sei e sette della legge n. 865 del 197,1 a TUTTE le espropriazioni �, e non anche nella parte in cui ha esteso quella della rimanente disciplina e, in particolare, del comma nono; pertanto, essendo quest'ultimo in contrasto .con le disposizioni della 1. n. 2359/1865 e, in parti colare dell'art. 39, queste non potranno trovare app1icazione. In ogni caso a risolvere il problema � intervenuto il legislatore con la 1. 29 luglio 1980 n. 385, ove sono previste norme provvisorie per la determinazione dell'indennit� di esproprio. 59) v. L. 29 luglio 1980 n. 385, nella quale si prevedeva che la � legge sosti tutiva delle norme dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale con sentenza n. 5 del 1980 � (art. 1, co. I) avrebbe dovuto essere emanata �entro un anno dall'entrata in vigore della presente legge� (recte 1. n. 385/1980). Tale termine, � rimasto purtroppo inosservato ed � stato ora prorogato con il d.l. 28 luglio 1981 n. 396 conv. in 1. 25 settembre 1981 n. 535. g prevedibile che tale proroga dar� luogo ad ulteriori eccezioni di illegittimit� costituzionale, con conseguente rimessione degli atti alla Corte Costituzionale. Invero, numerose ordinanze hanno gi� portato all'attenzione della Suprema Corte la discip1ina di cui alla citata legge n. 385/80 della quale viene affermata la illegittimit� sotto diversi profili; v. per tutti ord. Corte Appello Genova, 11 novembre 1980, in Giust. Civ., 1981, I, 377 ss.. �lett. a), 'l. �n. 385/l98ll'), per le aree esterne ai centri edificati, e sul valore agricolo medio � della coltura pi� redditizia tria que1le che nella regione :agraria in cui ricade J.'area da �espropriare, coprono una SC!perficie snperiore al 'S per cento di quella coltivata dalla regione agraria stessa � ~art. l, lett. b, 11. cit;), per 1e aree �Comprese �nei centri edificati. Per �queste Ultime, .poi, ta1e valore � moltip'licato per tl1'l coefficiente che varia .a sec<OO!lda della pop0laziio:a:e del Comune in cui si trova J'.area. ~ poi, espressamente :previsto cbe tale indennif� � soggetta a oonguaglio �secondo rq:man:t:o sar� previsto 1nella normafiva defu.titiva. Con questa disoip1ina i~ 1egis1J.atore ha, dunque, mal!�temrto in vita, sia :ptaT prmnvisoriamcmte, il sistema :in �cui si ~nserivano le norme diclriat'a.-' te :illegivtime i!laMa :.C001te 1Costituziona4e con sentenza n. S del 198�1. Al di .l� rl:eif!e crit��he cui questa �so'luzione si presta, importa qui rilevare che I ila 1. n. 38511:1980 l'i:v:ela esp!:icitamente che intendimento de'l legis1ate>re inon � di Dipensare ab imis i .c:r�teri determh11a:1livi �deIT~il'ldlel'lnit'� �di espre I prio, ma quello di limitarsi a dettare norme sosti1ltl!ti~ di .qiuel1e di�hiarate il:legit:llime. Presumibilmente tale risultato sar� reailiizzato modificando I in .aumento i coefficieB.ti per �cui moltiplicare il vail:ore base. Se <e'Hiettiva. mente do:vesse .trov.a.re accoglimento lma soluzio:ae del .geneve, � verosi I mile ritenere .che ben presto .anche :queste n@rme saranno desttinare ad esse.ne .sottoposte al .giudizi<i> .al.ella Corte Costitwtlo.JJ:aile. I Appare evidente, infattL, ,che una nor.mativ.a quale quella ;prospettata non sarebbe idonea a superare i rilievi gi� mossi alle precedenti norme e, I soprattutto, a dare atto della complessit� del sistema quale sopra � stato tratte_ggiato. :ffi Gml.IO Sn!RI < l * LEGISLAZIONE I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI Codice di procedura penale, art. 428, prime comma, nella parte in cui norr consente la sospensione o il rinvio del dibattimento ove l'imputato, gi� interrogato, si astenga dal comparire o si allontani dall'udienza per legittimo impedimento. Sentenza 1" febbraio 1982, n. 9, G. U. 3 febbraio 1982, n. 33. codice di procedura penale, art. 428, secondo comma, limitatamente all'avverbio � soltanto �, Sentenza 1� febbraio 1982, n. 9, G. U. 3' febbraio 1982, n. 33. legge 27 maggio� 1929, n. 81-0, art. 1, limitatamente all'esecuzione data all'articolo 34, quarto, quinto e sesto comma, del Concordato, e delrart. 17 della legge 27 maggio 1929, n. 847, nella parte in cui le suddette norme prevedono che la corte d'appello possa� rendere esecutivo agli effetti civili il provvedimento ecclesiastico, col quale � accordata la dispensa dal matrimonio rato e non consumato, e ordinare l'annotazione nei registri dello s.tato civile a. margine dell'atto d� matrimonio. Sentenza 2 febbraio 1982, n. 18, G. U. 10 febbraio 1982, n. 40. legge 27 maggio 1929, n. 810,. art. 1, limitatamente all'esecuzione data all'articolo 34, sesto comma, del Concordato, e dell'art. 17, secondo comma, della legge 27 maggii;� 1929; n. 847, nella parte in cui le� norme suddette non prevedono che alla corte di appello, all'atto di rendere esecutiva la sentenza del tribunale ecclesiastico, che pronuncia la nullit� del matrimonio, spetta accertare che nel procedimento innanzi ai tribunali ecclesiastici sia stato assicurato alle parti il diritto di agire e resistere in giudizio a cl'ifesa dei propri ci'iritti, e che la sentenza medesima non contenga disposizioni contrarie all'ordine pubblico italiano. Sentenza 2 febbraio 1982, n. 18, G. U. 10 febbraio 1982, n. 40. legge 27 maggio 1929, n. 847, art. 7, ultimo comma, nella parte in cui non dispone che l'autorit� giudiziaria decida sull'opposizione anche quando questa sia fondata sulla causa indicata nell'art. 84 del codice civile. Sentenza 2 febbraio 1982, n. 16, G. U. 10 febbraio 1982, n. 40. legge 27 maggio 1929, n. 847, art. 12, nella parte in cui non dispone che non si faccia luogo, alla trascrizione anche� nel caso di matrimonio canonico contratto da minore infrasedicenne o da minore che abbia compiuto gli anni sedici ma non sia stato ammesso al matrimonio ai sensi dell'art. 84 del codice civile. Sentenza 2 febbraio l98Z; n. 1'6, G. U. 10 febbraio 1982, n; 40. 28 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO l)TATO legge 22 febbraio i934, n. 370, art.-i;' secondo. comma, nn. 1, 2, 3, 4, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13 e 14, nella parte in cui consente che il riposo settimanale dovuto al personale dipendente corrisponda a ventiquattro ore non consecutive. Sentenza 4 febbraio 1982, n. 23, G.U. 10 febbraio 1982, n. 40. legge 22 febbraio 1934, n. 370, art. 1, secondo comma, n. 5, nella parte in cui consente che il riposo settimanale, dovuto al personale navigante, corrisponda a ventiquattro ore non consecutive. Sentenza 4 febbraio 1982, n. 23, G.U. 10 febbraio 1982, n. 40. legge regione Sardegna 17 maggio 1957, n. 20, ~t. 6. Sentenza 16 febbraio 1982, n. 43, G. U. 24 febbraio 1982, n. 54. legge regione Trentino-Alto Adige 24 giugno 1957, n. 11, art. 7. Sentenza 16 febbraio 1982, n. 43, G. U. 24 febbraio 1982, n. 54. legge regione Trentino-Alto Adige 24 giugno 1957, n. 11, art. 22, nella parte in cui estende ai tribunali ivi previsti le funzioni di cui all'art. 7 della legge medesima. Sentenza 16 febbraio 1982, n. 43, G. U. 24 febbraio 1982, n. 54. d.P.R. 31 dicembre 1971, n. 1432, artt. 9 e 14, nella parte in cui non consente la riliquidazione della pensione in forma retributiva a carico dell'assicurazione generale obbligatoria, sulla base dei nuovi criteri dalle stesse norme dettati per la valutazione dei contributi volontari, anche ai titolari di pensioni liquidate in forma contributiva, con decorrenza successiva al 30 aprile 1968 ed anteriore all'entrata in vigore delle norme medesime. Sentenza 16 febbraio 1982, n. 37, G. U. 24 febbraio 1982, n. 54. legge 21 febbraio 1973, n. 7, della regione Campania. Sentenza 29 dicembre 1981, n. 204, G. U. 13 gennaio .1982, n. 12. d.I. 1� ottobre 1973, n. 580, art. 3, primo comma [nel testo risultante dalla legge di conversione 30 novembre 1973, n. 766], nella parte in cui consente che siano collocati nel ruolo dei professori con qualifica di straordinario � gli aggregati clinici di cui al r.d.l. 8 febbraio 1937, n. 794 >>, convertito nella legge 2 giugno 1939, n. 739. Sentenza 4 febbraio 1982, n. 20, G.U. 10 febbraio .1982, n. 40. legge regionale Toscana 2 settembre 1974, n. 55, limitatamente alle parole � in agricoltura �. Sentenza 16 febbraio 1982, n. 41, G. U. 24 febbraio 1982, n. 54. legge 3 gem1aio 1978, n. 1, art. 5, ultimo comma. Sentenza 1� febbraio 1982, n. 8, G. U. 3 febbraio 1982, n. 33. PARTE II, LEGISLAZIONE II � QUESTIONI DICHIARATE NON� FONDATE Codice di procedura penale, artt. 23 e 489 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 16 febbraio 1982, n. 39, G. U. 24 febbraio 1982, n. 54. codice di procedura penale, artt. 107 e 110 (art. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 16 febbraio 1982, n. 38, G. U. 24 febbraio 1982, n. 54. codice di procedura penale, art. 137, prlmo comma (artt. 3 e 6 della Costituzione e art. 3 statuto speciale regione Friuli-Venezia Giulia). Sentenza 11 febbraio 1982, n. 28, G. U. 17 febbraio 1982, n. 47. codice di procedura penale, art. 137, terzo comma (artt. 3 e 6 della Costituzione e art. 3 statuto speciale regione Friuli-Venezia Giulia). Sentenza 11 febbraio 1982, n. 28, G. U. 17 febbraio 1982, n. 47. codice di procedura penale, art. 544, terzo comma (art. 24, secondo comma, della Costituzione). . . Sentenza 4 febbraio 1982, n. 21, G. U. 10 febbraio 1982, n. 40. codice penale militare di pace, artt. 14 (art. 3 della Costituzione) e 182 (art. 21, primo comma, della Costituzione). Sentenza 11 febbraio 1982, n. 30, G. U. 17 febbraio 1982, n. 47. codice penale militare di pace, art. 184, secondo �comma, ultima parte (artt. 17 e 21 della Costituzione). Sentenza 11 febbraio 1982, n. 31, G. U. li febbraio 1982, n. 47. legge 27 maggio 1929, n. 810, art. 1 (artt. 2, 3, 7, 24, 25, 101 e 102 della Costituzione). Sentenza 2 febbr~io 1982, n..18, e'. U. 10 febbraio 1982, n. 40. legge 27 maggio 1929, n. 847, art. 17 (artt. 2, 3, 7, 24, 25, 101 e 102 della Costituzione). Sentenza 2 febbraio 1982, n. 18, G. U. 10 febbraio 1982, n. 40. legge 20 dicembre 1951, n. 1564, art. 1 (art. 3 e 38 della Costituzione). Sentenza 1� febbraio 1982, n. 11, G. U. 10 febbraio 1982, n. 40. legge 30 aprile 1962, n. 283, artt. 5, lettera g) e 6 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 14 gennaio 1982, n. 1, G. U. 20 gennaio 1982, n. 19. legge 28 marzo .1968, n. 370, artt. 3, 6, 11, 12 e 15 (artt. 3, 18 e 24 della Costituzione). Sentenza 16 febbraio 1982, n. 40, G. U. 24 febbraio 1982, n. 54. !O RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO legge 13 giugno 1969, n. 282, art. 6, secondo comma (art. 3, 18 e 24 della Costituzione). Sentenza 16 febbraio 1982, n. 40, G. U. 24 febbraio 1982, n. 54. legge 24 dicembre 1969, n. 990, art. 21, primo, secondo e terzo comma (artt. 3, 24 e 32 della Costituzione). Sentenza 29 dicembre 1981, n. 202, G. U. 6 gennaio 1982, n. 5. cLP.R. 28 dicembre 1970, n. 1434, art. 7, secondo comma (art. 76 della Costituzione). Sentenza 16 febbraio 1982, n. 42, G. U. 24 febbraio ,1982, n. 54. d.P.R. 23 giugno 1972, n. 749, artt. 21 e 23 (artt. 3 e 76 della Costituzione). Sentenza 1� febbraio 1982, n. 12, G.U. 10 febbraio 1982, n. 40. d.l. 1� ottobre 1973, n. 580, art. 3 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 4 febbraio 1982, n, 20, G. U. 10 febbraio 1982, n. 40. d.P.R. 31 maggio 1974, n. 417, art. 26, lettera a), ultima parte (art. 3 della Costituzione). Sentenza 14 gennaio 1982, n. 2, G. U. 20 gennaio 1982, n. 19. legge regione Veneto 17 aprile 1975, n. 36, artt. 1, 5,. ultimo comma, e 16� (art. 117, primo comma, della Costituzione). Sentenza 1� febbraio 1982,, n. 7, G. U. 10 febbraio ,1982, n. 40. legge regione Veneto 17 aprile 1975, n. 36, art. 18 (art. 42 e 117 della. Costituzione). Sentenza 1� febbraio 1982, n. 7, G. U. 10 febbraio 1982, n. 40. legge regione Lombardia 14 giugno 1975, n. 92, artt. 2, 3 e 22 (art. 117, prime� comma della Costituzione). � Sentenza 1� febbraio 1982, n. 7, G. U. 10 febbraio 1982, n. 40. I legge 3 gennaio 1978, n. 1, art. 5, penultimo comma (artt. 3, 24, 97, 103� e 113 della Costituzione). Sentenza 1� febbraio 1982, n. 8, G. U. 3 febbraio 1982, n. 33. I legge regione siciliana 13 gennaio 1978, n. 1, art. 1, primo e terzo comma (artt. 3, 33, e 34 della Costituzione). Sentenza 16 febbraio 1982, n. 36, G. U. 24 febbraio 1982, n. 54. I d.J. 15 dicembre 1979, n. 625, art. 10 [convertito, con modificazioni, nella legge t 6, febbraio 1980, n. 15] (artt. 13, primo, secondo e quinto comma, e 27, secondo� comma, della Costituzione). ( Sentenza 1� febbraio 1982, n. 15, G. U. 10 febbraio 1982, n. 40. PARTE II, LEGISLAZIONE d.l. 15 dicembre 1979, n. 625, art. 11 (artt. 13, primo, secondo e quinto comma, 25, secondo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione). Sentenza 1� febbraio 1982, n. 15, G. U. 10 febbraio 1982, n. 40. III -QUESTIONI PROPOSTE codice civile, art. 419, primo comma (art. 24 della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 8 maggio 1981, n. 662, G. U. 13 gennaio 1982, n. 12. codice di procedura civile, art. 429, terzo comma (artt. 1, 3 capoverso, 4, 34, 36 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 7 novembre 1980, n. 668/81, G. U. 27 gennaio 1982, n. 26. codice di. procedura civile, art. 648, secondo coinma (art. 24 della Costituzione). Giudice istruttore Tribunale Novara, ordinanza 8 luglio 1981, n. 631, G. U. 6 gennaio 1982, n. 5. codice penale, art. 57 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanze (quattro) 8 luglio, 17 �giugno e 4 luglio 1981, nn. da 641 a 644, G. U. 13 gennaio 1982, n. 12. Tribunale di Roma, ordinanza 24 giugno 1981, n. 669, G.U. 27 gennaio 1982, n. 26. codice penale, art. 147, primo comma, n. 1, e secondo comma (artt. 25, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione). Pretore di Pietrasanta, ordinanza 9 aprile 1980, n. 666/81, G. U. � 13 gennaio 1982, n. 12. codice penale, artt. 314, 357 e 358 (artt. 3 e 47 della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 27 marzo 1981, n. 636, G. U. 6 gennaio 1982, n. 5. Tribunale di Roma, ordinanza 28 settembre 1981, n. 681, G. U. 20 gennaio 1982, n. 19. codice penale, art. 650 (art. 3, primo comma, della Costituzione). �Pretore di Finale Ligure, ordinanza 13 marzo 1981, n. 671, G. U. 27 gennaio 1982, n. 26. codice penale, art. 688 �� (artt. 3, 27 e 32 della Costituzione). Tribunale di Venezia, ordinanza 10 giugno 1981, n. 712, G. U. 17 febbraio 1982, n. 47. II 32 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I ~ codice penale, art. 688 (artt. 3 e 32 della Costituzione). Pretore di Venezia, ordinanza 12 febbraio 1981, n. 713, G. U. 17 febbraio 1982, n. 47. I fof: codice di procedura penale, art. 102 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Locri, ordinanza 14 luglio 1981, n. 685, G. U. 3 febbraio 1982, n. 33. codice di procedura penale, artt. 107 e 110 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Voltri, ordinanza 18 giugno 1981, n. 604, G. U. 13 gennaio 1982, n. 12. codice di procedura penale, art. 589, terzo comma, ultima parte (artt. 24, primo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione). Pretore di Pietrasanta, ordinanza 9 aprile 1980, n. 666/81, G. U. 13 gennaio 1982, n. 12. codice penale militare di pace, art. 186, ultimo comma, ultima ipotesi (art. 3 della Costituzione). Tribunale militare territoriale di Torino, ordinanza 30 settembre 1981, n. 727, G. U. 17 febbraio 1982, n. 47. codice penale militare di pace, art. 189, primo comma, prima ipotesi (art. 3 della Costituzione). Trib�nale militare territoriale di Torino, ordinanza 16 settembre 1981, n. 725, G. U. 17 febbraio 1982, n. 47. I I �: legge 7 luglio 1901, n. 283, artt. 6, 7, 8 e 9 (artt. 24, secondo comma, e 33, quinto comma, della Costituzione). Pretore di Padova, ordinanza 25 giugno 1981, n. 673, G. U. 27 gennaio 1982, n. 26. legge 28 giugno 1928, n. 1415 (artt. 24, secondo comma, e 33, quinto. comma, IIdella Costituzione). Pretore di Padova, ordinanza 25 giugno 1981, n. 673, G. U. 27 gennai-O 1982, n. 26. legge 27 maggio 1929, n. 810, art. 1 (artt. 1, 2, 3, 7, 10, 11, 24, 29, 101 e 102 della Costituzione). Corte d'appello di Roma, ordinanza 26 marzo 1981, n. 693, G. U. 27 gennaio 1982, n. 26. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 100 (art. 24 della Costituzione). Tribunale di Ferrara, ordinanz� 26 giugno 1981, n. 610, G. U. 13 gennaio 1982, n. 12. PARTE II, LEGISLAZIONE dJ.l. 21 novembre 1945, n. 722, art. 3, primo comma (artt. 3; 29, 31 e 37 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria, ordinanza 5 novembre 1980, n. 670/81, G. U. 20 gennaio 1982, n, 19. legge 8 febbraio 1948, n. 47, artt. 1, 9 e 13 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 3 giugno 1981, n. 606, G. U. 13 gennaio 1982, n. 12. Tribunale di Roma, ordinanze (quattro) 8 luglio, 17 giugno e 4 luglio 1981, nn. da 641 a 644, G. U. 13 gennaio 1982, n. 12. Tribunale di Roma, ordinanza 24 giugno 1981, n. 669, G. U. 27 gennaio 1982, n. 26. legge 29 aprile 1949, n. 264, art. 14 (artt. 3 e 4 della Costituzione). Pretore di Vigevano, ordinanza 30 giugno 1981, n. 639, G. U. 6 gennaio 1982, n. 5. legge 11 aprile 1950, n. 130, art. 4, quinto comma [sostituito dalla legge 8 aprile 1952, n. 212, art. 8) (artt. 3, 36, 37 e 38 della .Costituzione). Tribunale amministrativo regionale Emiila Romagna, ordinanza 11 febbraio 1981, n. 674, G. U. 20 gennaio 1982, n. 19. legge 10 agosto 1950, n. 648, artt. 10 e 22, primo comma (artt. 2 e 3 della Costituzione). Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale, ordinanza 11 marzo 1981, n. 653, G.U. 3 febbraio 1982, n. 33. d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, artt. 7, 41, 115, 389, lettera a), 389, lettera c) e 390 (artt. 3 e 27 della Costituzione). � -� : Pretore di Lugo, ordinanza 211 settembre 1981, n. 716, G. U. 17 febbraio 1982, n. 47. d.P.R. 19 .. marzo 1956, n. 303, art. 24 (artt. 3, 25 e 70 della Costituzione). Pretore di Desio, ordinanza 18 giugno 1981, n. 608, G. U. 6 gennaio 1982, n. 5. d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 23, 29 e 123 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Imperia, ordinanze (tre) 5 marzo 1981, nn. 619, 620 e 621, G. U. 13 gennaio 1982, n. 12. legge 20 febbraio 1958, 11. 93, art. 2, secondo comma (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 6 luglio 1981, n. 601, G. U. IO febbraio 1982, n. 40. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 24 marzo 1958, n. 195, art. 23, secondo comma [come sostituito dalla legge 22 dicembre 1975, n. 695, art. 3] (artt. 3, primo comma, 104, quarto comma e 107, terzo comma, della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 9 luglio 1981, n. 744, G. U. 20 gennaio 1982, n. 19. Corte di cassazione, ordinanza 9 luglio 1981, n. 745, G. U. 20 gennaio 1982,. n. 19. Corte di cassazione, ordinanza 9 luglio 1981, n. 746, G. U. 20 gennaio 1982, n.19. Corte di cassazione, ordinanza 16 luglio 1981, n. 747, G. U. 20 gennaio 1982, Il. 19. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 80, dodicesimo comma [come modif. dalla legge 14 febbraio 1974, n. 62] (artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione). Pretore di Alatri, ordinanza 4 febbraio 1981, n. 607, G. U. 20 gennaio 1982, 11. 19. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 88, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Caltanissetta, ordinanza 24 luglio 1981, n. 718, G. U. 17 febbraio 1982, n. 47. legge 14 marzo 1961, n. 132, art. 1 . (art. 3 della Costituzione). Corte dei conti, sez. terza giurisdizionale, ordinanza 29 ottobre 1976, n. 581/81, G. U. 6 gennaio 1982, n. 5. legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 13 (artt. 3, 24 e 38 della Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 27 maggio 1981, n. 599, G. U. 13 gennaio 1982, n. 12. d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, art. 76 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Lecce, ordinanze (due) 22 maggio e 22 giugno 1981, nn. 613 e 614, G. U. 13 gennaio' 1982, n. 12. Corte d'appello di Torino, ordinanza 12 giugno 1981, n. 625, G. U. 20 gennaio 1982, n. 19. Tribunale di Mantova, ordinanza 9 luglio 1981, n. 678, G. U. 27 gennaio 1982, n. 26. Corte d'appello di Bologna, ordinanza 7 ottobre 1981, n. 719, G. U. 17 febbraio 1982, n. 47. PARTE II, LEGISLAZIONE d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 3 (artt. 3, 35 e 38 della Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 8 maggio 1981, n. 600, G. U. 20 gennaio 1982, n. 19. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 10 e 11 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Nuoro, ordinanza 22 luglio 1981, n. 714, G. U. 13 gennaio 1982, n. 12. d.P.R. 30 giugno 1965, n, 1124, art. 134, secondo comma (art. 38, secondo comma, della Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 8 maggio 1981, n. 600, G. U. 20 gennaio 1982, n. 19. legge 14 luglio 1965, n. 963, art. 26, lettera e) (artt. 25, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione). Pretore di Pietrasanta, ordinanza 9 aprile 1980, n. 666/81, G. U. 13 gennaio 1982, n. 12. legge 26 luglio 1965, n. 966, artt. 2 e 4 (art. 3, primo comma, della Costituzione). Pretore di Finale Ligure, ordinanza 13 marzo 1981, n. 671, G. U. 27 gennaio 1982, n. 26. legge 22 luglio 1966, n. 613, art. 19 (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Genova, ordinanza 1 ottobre 1981, n. 715, G. U. 17 febbraio 1982, n. 47. legge 8 marzo 1968, n. 151, art. 2 (art. 3, primo comma, e 36, primo comma, della Costituzione). Pretore di Bassano del . Grappa, ordinanza 13 luglio .1981, n. 691, G. U. 27 gennaio 1982, n. 26. legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 3 (art. 3, primo comma, 29 e 38 della �Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 29 settembre 1981, n. 682, G.U. 17 febbraio 1982, n. 47. legge 13 marzo 1968, n. 313, artt. 9 e 11, primo comma (artt. 2 e 3 della Costituzione). Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale, ordinanza 11 marzo 1981, n. 653, G. U. 3 febbraio 1982, n. 33. d.P.R. 2 ottobre 1968, n. 1639, art. 111 (artt. 3, 35 e 41 della Costituzione). Pretore di Ancona, ordinanza 16 ottobre 1979, n. 709/81, G. U. l7 febbraio 1982, n. 47. 36 RASSEGNA DEL!.'AWOCATURA DELLO STATO legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 8, ultimo comma (artt.. 3, primo comma, e 38 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 29 settembre 1981, n. 683, G. U. 20 gennaio 1982, n. 19. legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 19, lettera a) (art. 39, primo e terzo comma della Costituzione). Pretore di La Spezia, ordinanza 15 luglio 1981, n. 699, G. U. 10 febbraio 1982, n. 40. legge 20 maggio 1970, . n. 300, art. 33 (artt. 3 e 4 della Costituzione}. Pretore di Vigevano, ordinanza 30 giugno 1981, n. 639, G. U. 6 gennaio 1982, n. 5. legge 9 ottobre 1971, n. 825, artt. 10, secondo comma, 14 e 15 (artt. 3, 24 e 76 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Torino, ordinanza 30 giugno 1980, n. 687/81, G. U. 27 gennaio 1982, n. 26. legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 12 (artt. 3 e 42 della Co~tituzione). Corte d'appello di Trento, ordinanza 24 giugno 1981, n. 708, G. U. 10 febbraio 1982, n. 40. �� d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634; art. 42 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Rovereto, ordinanza 1 giugno 1981, n. 635, G. U. 13 gennaio 1982, n. l2. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 54 (art. 3 della Costituzione). Commissione tributaria di primp grado di Rovereto, ordinanza 24 giugno 1981, n. 711, G. U. 17 febbraio 1982, n. 47. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 17, secondo comma (artt. 3, 24, 53 e 97 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Rieti, ordinanza 4 febbraio 1981, n. 624, G. U. 20 gennaio 1982, n. 19. �d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 17, secondo comma (artt. 53, 97 e 113 della Costituzione). , Commissione tributaria di secondo grado� di Cagliari, ordinanza ,19 giugno 1981, n. 616, G. V. 20 gennaio 1982, n. 19. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 44 (artt. 3, 24 e 76 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Torino, ordinanza 30 giugno 1980, n. 687/81, G. U. 27 gennaio 1982, n. 26. PARTE II, LEGISLAZIONE 37 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, art. 39 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Roma, ordinanza 11 maggi� 1981, n. 630, G. U. 3 febbraio 1982, n. 33. legge prov. di Trento 30 dicembre 1972, n. 31, art. 28, primo e quinto comma (artt. 42, terzo comma, e 3 della Costituzione). Corte d'appello di Trento, ordinanza 7 luglio 1981, n. 703, G. U. 10 febbraio 1982, n. 40. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 334 [modificato dalla legge 14 aprile 1975, n. 603, art. 45] -(art. 3 della Costituzione). Pretore di Susa, ordinanza 15 maggio 1981, n. 698, G. U. 3 febbraio 1982, n. 33. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 334� [modificato <}alla legge 14 aprile 1975, n. 603, art. 45] (artt. 3 e 27 della Costituzione). ., Pretore di Reggio Emilia, ordinanze {due) 5 ottobre 1981, nn. 704 e 705, G. U. 3 febbraio 1982, n. 33. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 4, 5, 10 e 15 (artt. �3, 29, 30, 31 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo� grado di Roma, ordinanza 26 marzo 1981, n. 659, G. U. 13 gennaio 1982, n. 12. d.P.R. ~ settembre 1973, n. 597, art. 10/c [come modificato dalla legge 13 aprile 1977, n. 114, art. 5] (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria� df primo� grado di Lucera, ordina;;ze (tre) ]S dicembre 1980, nn. 813, 814 e 815/81, G. U. 24 febbraio 1982, n. 54. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 10, lettera f) (artt. 3, 32 e 77 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di La Spezia, ordinanza 18 maggio 1981, n. 672, G. U. 27 gennaio 1982, n. 26. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 10 e 15 (artt. 3, 32, 38 e 53 della C6stituzione). Commissione tributaria di primo grado di Rovereto, ordinanza 13 maggio 1981, n. 710, G. U. 17 febbraio 1982, n. 47. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 74, secondo e terzo comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Verona, ordinanza 30 ottobre 1981, n. 9/82, G. U. 24 febbraio 1982, n. 54. 38 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 9, ultimo comma, 12, quarto comma, e 47, primo comma (art. 3, primo comma, della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Ancona, ordinanza 7 novembre 1980, n. 677/81, G. U. 27 gennaio 1982, n. 26. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 47 e 55 (artt. 3, 76 e 77 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Imperia, ordinanza 25 giugno 1981, n. 690, G. U. 27 gennaio 1982, n. 26. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 100 e .104 (art. 3 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Foggia, ordinanza 3 gennaio 1980, n. 749/81, G. U. 24 febbraio 1982, n. 54. legge 18 dicembre 1973, n. 877 (artt. 70, 72 e 73 della Costituzione). Pretore di Pistoia, ordinanze (tre) 19 maggio 1981, n. 627, 628 e 629, G. U. 20 gennaio 1982, n. 19. Pretore di Arezzo, ordinanza 8 luglio 1981, n. 679, G. U. 27 gennaio 1982, n. 26. Pretore di Pistoia, ordinanza 30 luglio 1981, n. 700, G. U. 10 febbraio 1982, n. 40. Pretore di Pistoia, ordinanza 24 giugno 1981, n. 701, G.U. 10 febbraio 1982, n. 40. Pretore di Pistoia, ordinanza 11 luglio 1981, n. 702, G. U. 10 febbraio 1982, n. 40. legge 14 febbraio 1974, n. 62, art. 2, quindicesimo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Soave, ordinanza 5 giugno 1981, n. 654, G. U. 13 gennaio 1982, n. 12. d.P.R. 31 mtlggio 19~4, n. 416, art. 24 (artt. 76 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 21 aprile 1980, n. 667/81, G. U. 13 gennaio .1982, n. 12. d.I. 8 luglio 1974, n. 264, art. 7, terzo comma, lett. a) [conv. in legge 17 agosto 1974, n. 386) (art. 39 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, ordinanza 8 gennaio 1981, n. 602, G. U. 6 gennaio 1982, n. 5. legge reg. Toscana 20 marzo 1975, n. 22, art. 11 (artt. 3 e 24, primo comma della Costituzione). Pretore di Firenze, ordinanza 30 luglio 1981, n. 740, G. U. 17 febbraio 1982, n. 47. PARTE Il, LEGISLAZIONE legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, terzo comma (art. 25, secondo comma della Costituzione). Tribunale di Vigevano, ordinanza 19 marzo 1981, n. 638, G. U. 6 gennaio 1982, n. 5. Tribunale di Vigevano, ordinanza 9 aprile 1981, n. 612, G. U. 20 gennaio 1982, n. 19. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 23 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Rovigo, ordinanza 24 settembre 1981, n. 692, G. U. 3 febbraio 1982, n. 33. legge 18 aprile 1975, n. HO, art. 23, terzo comma (art. 3 della Costi� tuzione). Tribunale di Tolmezzo, ordinanza 30 gennaio 1981, n. 590, G. U. 3 febbraio 1982, Il. 33. Tribunale di Rovigo, ordinanza 1 ottohre 1981. n. 717, G. U. 17 febbraio 1982, Il. 47. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 25, terzo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Bassano del Grappa, ordinanza 2 luglio 1981, n. 657, G. U. 13 gennaio 1982, n. 12. legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 50, secondo comma (art. 27, secondo comma, della Costituzione). Corte d'appello di Firenze, ordinanza 26 novembre 1980, n. 651/81, G. U. 13 ,gennaio 1982, n. 12. legge 2 dicembre 1975, �n. 576, art. 19 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Termini Imerese, ordinanze (tre) :?3 marzo e 14 marzo 1981, nn. 646, 647 e 648, G. U. 10 febbraio 1982, n. 40. legge 22 dicembre 1975, n. 685, artt. 26, 28 e 71 (art. 3 della Costituzione). 1'rib.nale di Macerata, ordinanza 26 giugno 1981, n. 637, G. U. 6 gennaio 1982, n. 5. legge 5 maggio 1976, n. 313, art. 5 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Biella, ordinanza 14 ottobre 1981, n. 729, G. U. 13 gennaio 1982, n. 12. d.I. 10 dicembre 1976, n. 798, art. 1, terzo comma [convertito nella legge ti febbraio 1977, n. 16] (artt. 3 e 24 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Santa Maria Capua Vetere, orainanza 13 giugno 1981, n. 722, G. U. 17 febbraio 1982, n. 47. 40 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.l. 28 ottobre 1977, n. 778, art. 1, secondo comma [convertito con. modif. nella legge 23 dicembre 1977, n. 928] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 12 maggio 1981, n. 663, G. U. 6 gennaio 1982, n. 5 legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 7 (artt. 3, 29, 30, 31 e 37 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 19 marzo 1981, n. 676, G. U. 27 gennaio 1982, n. 26. d.I. 23 dicembre 1977, n. 942, art. 1 [convertito con modif. nella legge 27 febbraio 1978, n. 41] (artt. 3, primo comma, 36 e 38 della Costituzione). Pretore di Imperia, ordinanza 28 aprile 1981, n. 591', G. U. 3 febbraio 1982, n. 33. legge 27 dicembre 1977, n. 968, art. 8, quarto capoverso (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Ravenna, ordinanze (due) 6 luglio 1981, nn..649 e 650, G. U. 13 gennaio 1982, n. 12. legge 10 maggio 1978, n. 176, art. 1, primo e secondo comma (aitt. 3, 4, 42 e 44 della Costituzione). Tribunale di Brindisi, ordinanza 1 luglio 1981, n. 605, G. U. 13 gennaio 1982, n. 12. legge 27 luglio 1978, n�. 392, artt. 1, 3 e 4, ultimo comma . (art. 3 della Costituzione). Giudice conciliatore di Castellammare di Stabia, qrdinanza 12 ottobre 1981, n. 721,. G. U. 17 febbraio 1982, n. 47. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 4, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Gragnano, ordinanza 26 giugno 1981, n. 688, G. U. 20 gennaio 1982, n. 19. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69, settimo comma (artt. 3 e 42 della Costituzione). Tribunale di Reggio Calabria, ordinanza 22 maggio 1981, n. 664, G. U. 13 gennaio 1982, n. 12. Pretore di Vasto, ordinanza 11 giugno 1981, � n. 623, G. U. 20 gennaio 1982, n. 19. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69, settimo e ottavo comma (artt. 3 e 24, primo comma della Costituzione). Pretore di Civitanova Marche, ordinanza 21 luglio 1981, n. 684, G. U. 27 gennaio 1982, n. 26. . I PARTE II, LEGISLAZIONE legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69, settimo comma, e 73 (artt. 3, primo comma, 41, primo comma, e 42, secondo comma della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 7 aprile 1981, n. 645, G. U. 13 gennaio 1982, n. 12. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 69, settimo e ottavo comma, e 73 (artt. 3 e 42 della Costituzione). Pretore di Vigevano, ordinanza 31 luglio 1981, n. 694, G. U. 27 gennaio 1981, n. 26. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 73 [modificato dalla legge 31 marzo 1979, n. 93, art. I-bis] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Poggibonsi, ordinanza 28 marzo 1981, n. 739, G. U. 17 febbraio 1982, n. 47. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 73 [come novellato dalla legge 31 marzo 1979, n. 93] (artt. 3 e 42 della Costituzione). Tribunale di Gorizia, ordinanza 25 giugno 1981, n. 592, G.U. 20 gennaio 1982, n. 19. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 74 (art. 3 della Costituzione); Pretore di Brindisi, ordinanze �(due) 27 luglio 1981, nn. 695 e 696, G. U. 27 gennaio 1982, n. 26. d.P.R. 4 agosto 1978, n. 413, art. 4 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Napoli, ordinanza 29 giugno 1981, n. 706, G. U. 27 gennaio 1982, n. 26. d.l. 26 settembre 1978, n. 576, art. 2 [convertito nella legge 24 novembre 1978, 11. 738] (artt. 3 e 41 della Costituzione). Giudice conciliatore di Roma, ordinanza 12 settembre 1981, n. 697, G. U. 27 gennaio 1982, n. 26. legge 21 dicembre 1978, n. 843, artt. 16 e 18 (artt. 3, primo comma, 36 e 38 della Costituzione). Pretore di Imperia, ordinanza 28 aprile .1981, n. 591, G. U. 3 febbraio 1982, n. 33. d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, artt. 1, primo comma, 8, primo comma, 11, primo comma, e 83 (artt. 2 e 3 della Costituzione). Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale, ordinanza 11 marzo 1981, n. 653, G. U. 3 febbraio 1982, n. 33. legge 9 febbraio 1979, n. 49, art. 4, primo comma (art. 3, primo comma della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale Emilia-Romagna, ordinanza 28 gennaio 1981, n. 675, G. U. 13 gennaio 1982, n. 12. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 23 novembre 1979, n. 595 (artt. 3, 4, 42 e 44 della Costituzione). Tribunale di Brindisi, ordinanza 1 luglio 1981, n. 605, G. U. 13 gennaio 1982, n. 12. legge 23 novembre 1979, n. 597, art. 6, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 28 febbraio 1981, n. 686, G. U. 27 gennaio 1982, n. 26. legge 20 marzo 1980, n. 75, art. 6, primo comma (artt. 3, primo comma, 24, primo comma, e 103, primo comma della Costituzione). Pretore di Modena, ordinanza 9 giugno 1981, n. 589, G. U. 6 gennaio 1982, , n: 5. I I ffi legge reg. Veneto 2 maggio 1980, n. 40, art. 93 (artt. 3, 25 e 134 della Costituzione). Pretore di Portogruaro, ordinanza 16 giugno 1981, n. 689, G. U. 27 gennaio 1982, n. 26. legge 29 luglio 1980, n. 385, art. 1 (art. 42, tei;zo comma della Costituzione). Corte d'appello di Torino, ordinanza 19 giugno 1981, n. 609, G. U. 20 gennaio 1982, n. 19. legge 29 luglio 1980, 11. 385, artt. 1, 2 e 3 (artt. 3, 42, terzo comma, e 53 della Costituzione). Corte d'appello di Lecce, ordinanza 4 maggio 1981, n. 665, G. U. 20 gennaio 1982, n. 19. legge 20 settembre 1980, n. 576, art. 22 (artt. 2, 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Lucca, ordinanza 17 ottobre 1981, n. 731, G. U. 17 febbraio 1982, n. 47. legge 16 dicembre 1980, n. 858 (art. 25 della Costituzione). Pretore di Pistoia, ordinanze (tre) 19 maggio 1981, nn. 627, 628 e 629, G. U. 20 gennaio 1982, n. 19. legge 16 dicembre 1980, n. 858 (art. 25, secondo comma della Costituzione). Pretore di Arezzo, ordinanza 8 luglio 1981, n. 679, G. U. 27 gennaio 1982, n. 26. legge 16 dicembre 1980, n. 858, artt. 1 e 3, primo comma (art. 25, secondo comma della Costituzione). Pretore di Pistoia, ordinanza 24 giugno 1981, n. 701, G. U. 10 febbraio 1982, n. 40. PARTE II, LEGISLAZIONE 4J Pretore di Pistoia, ordinanza 11 luglio 1981, n. 702, G. U. 10 febbraio 1982, Il. 40. Pretore di Pistoia, ordinanza 30 luglio 1981, n. 700, G. U. 10 febbraio 1982, n. 40. legge 12 marzo 1981, n. 58, art. 2 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Napoli, ordinanza 20 maggio 1981, n. 652, G. U. 13 gennaio 1982; Il. 12. legge 14 novembre 1981, n. 648, art. 3 (!. costit. n. 3/48, art. 3, lett. p). Presidente giunta regionale Friuli-Venezia Giulia, ricorso i8 dicembre 1981, n. 67, G. U. 6 gennaio 1982, �l. 5. legge 14 novembre 1981, n. 648, art. 3, secondo, terzo, quarto, quinto e sesto comma. Presidente giunta regionale Sardegna, ricorso 24 dicembre 1981, n. 68. G. U. 20 gennaio 1982, n. 19. d.I. 20 novembre 1981, n. 663, artt. 6, 7, 8 e 9 (art. 3, lettera f), Statuto sneciale Sardegna). Presidente giunta regionale Sardegna, ricorso 29 dicembre 1981, n. 70, G. U. 20 gennaio 1982, n: 19. d.I. 20 novembre 1981, n. 663, artt. 6, 7, 8 e 9 (artt. 77, 97 e 117 della Costituzione). Presidente giunta regionale Emilia-Romagna, ricorso 2 gennaio 1982, n. 1, G. U. 20 gennaio 1982, n. 19. d.l. 26 novembre 1981, n. 677, art. 2, primo comma (artt. 117, 119 e 123 della Costituzione). Presidente giunta regionale Liguria, ricorso 6 gennaio 1982, n. 4, G. U. 20 gennaio 1982, n. 19. d.l. 26 novembre 1981, n. 677, artt. 2 e 4 (artt. 115 e 119 della Costituzione). Presidente giunta regionale Lombardia, ricorso 8 febbraio 1982, n. 9, G. U. 24 febbraio 1982, n. 54. d.l. 26 novembre 1981, n. 677, artt. 2, 4 e 5 (artt. 119, 117 e 118 della Costituzione). Regione Emilia-Romagna, ricorso 25 gennaio 1982, n. 6, G. U. 10 febbraio 1982, n. 40. d.I. 26 novembre 1981, n. 677, art. 3 (artt. 7, 8, 54, quarto comma, Statuto speciale Sardegna e art. 77 della Costituzione). Presidente giunta regionale Sardegna, ricorso 29 dicembre 1981, n. 69, G. U. 20 gennaio 1982, n. 19. x�~,� .;' :=:::-: X . .. 44 RASSEGNA DELL'i\VVOCATURA DELLO STATO d.I. 26 novembre 1981, 11. 678, artt. 1 e 6 (artt. 117, 118, 119 e 3 della Costi� tuzione). Regione Emilia-Romagna, ricorso 25 gennaio 1982, n. 5, G. V. 10 febbraio 1982, n. 40. disegno di legge approvato dall'Assemblea regionale della Sicilia il 18 dl� eembre 1981 (art. 17, lettera f), Statuto speciale regione Sicilia e artt. 3, 51 e 97 della Costituzione). Commissario dello Stato per la regione siciliana, ricorso 5 gennaio 1982, n. 2, G. V. 20 gennaio 1982, n. 19. disegno di legge n. 142 approvato dall'Assemblea regionale della Sicilia il 18 dicembre 1981 (artt. 3 e 97 della Costituzione e art. 17, lettera f). dello statuto speciale). Commissario dello Stato per la regione siciliana, ricorso 5 gennaio 1982, n. 3, G. V. 20 gennaio 1982, n. 19. d.I. 22 dicembre 1981, n. 786, artt. 26, secondo e terzo comma, 27, secondo comma, 28, primo comma, 29 e 34 (art. 119 della Costituzione). Presidente giunta regionale Lombardia, ricorso 8 febbraio 1982, n. 10, G. V. 24 febbraio 1982, n. 54. d.I. 22 dicembre 1981, 11. 786, art. 34 (artt. 77 e 117 della Costituzione). Presidente giunta regionale Toscana, ricorso� 6 febbraio 1982, n. 8, G. V. 24 febbraio 1982, n. 54. legge riapprovata il 23 dicembre 1981 dal consiglio regionale della regione Abruzzo (artt. 3, 97, 117 e 128 della Costituzione). Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 2 febbraio 1982, n. 7, G. V. 10 febbraio 1982, n. 40. legge riapprovata il 15 gennaio 1982 dai consiglio provinciale della provincia di Bolzano (art. 9 dello Statuto speciale). Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 9 febbraio 1982, n. 11, G. V. 24 febbraio 1982, n. 54.