GENNAIO -FEBBRAIO 1981

ANNO XXXIII N. l 

RASSEGNA 


DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 



Pubblicazione bimestrale di servizio 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 

ROMA 1981 



ABBONAMENTI 

ANNO 

L. 20.000 
UN NUMERO SEPARATO ...�................ � 3.500 
Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 
Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma 
e/e postale n. 387001 

Stampato in Italia -Printed in ltaly 
Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 


(2219181) Roma, 1981 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato P.V. 



INDIC.E 

Parte prima: GIURISPRUDENZA 

Sezione prima: GIU.RISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura 

dell'avv. Franco Favara) pag. 
Sezione seconda: GIURISPRUDENZA 
ZIONALE (a cura 
COMUNITARIA 
del/'avv. Oscar 
E INTERNA-
Fiumara} . � 47 
Sezione terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 
(a cura degli avvocati Carlo Carbone, 
Carlo Sica e Antonio Cingolo} � � 54 
Sezione quarta: GIURISPRUDENZA CIVILE (a cura degli avvocati 
Adriano Rossi e Antonio Catrical�} � 73 
Sezione quinta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 
del/'avv. Raffaele Tamiozzo} . 
(a cura 
� 92 
Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 
vocato Carlo Baf�le} . 
(a cura dell'av
� 99 
Sezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED 
APPALTI PUBBLICI (a cura degli avvocati Sergio 
La Porta, Piergiorgio Ferri e Paolo VittoriCJ} . � 133 
Sezione ottava: GIURISPRUDENZA PENALE (a cura degli avv.ti 
Paolo Di Tarsia Di Be/monte e Nicola Bruni} . � 142 

Parte seconda: QUESTIONI -LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO 
CONSULTAZIONI -NOTIZIARIO 


LEGISLAZIONE � . � . . . � � � . � . � � . � � . � pag. 

La pubblicazione � diretta dall'avvocato: 
UGO GARGIULO 



CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA 
DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AVVOCATURE 


Avvocati 

Glauco NoRI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Michele DIPACE, Bologna; 
Giovanni CoNTU, Cagliari; Francesco GuICCIARDI, Genova; Marcello DELLA 
VALLE, Milano; Carlo BAFILE, L'Aquila; Giuseppe Orazio Russo, Lecce; Raffaele 
CANANZI, Napoli; Nicasio MANcuso, Palermo; Rocco BERARDI, Potenza; 
Francesco ARGAN, Torino; Maurizio DE FRANCHIS, Trento; Paolo SCOTTI, 
Trieste; Giancarlo MAND�, Venezia. 


ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI 

c. BAFILE, Nuove prospettive per il giudizio di �terzo grado? I, 109 
N. BRUNI, Correlazione tra sentenza ed accusa contestata I, 142 
E. 
SERNICOLA, Il divieto di interposizione nei rapporti di lavoro con 
riguardo alle Amministrazioni dello Stato I, 54 
R. 
TAMIOZZO, Effetti della costituzione in giudizio dell'Amministrazione 
in caso di irrituale notificazione del ricorso giurisdizionale 
amminis.trativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I, 94 

sa � V� riferita all'intera prestazio� 
ne e non ai singoli lavori, 134. 
-Sorpresa geologica -Equo compenso 
-Prestazione notevolmente pi� 
onerosa -Limite del decimo del 
prezzo fissato per la revisione prezzi 
-Inapplicabilit� per la s�rpresa 
geologica, 133. 
-Sorpresa geologica -Equo compenso 
-Prestazione notevolmente pi� 
onerosa -Non � tale qualsiasi aggravio 
o qualsiasi difficolt� sopraggiunta 
o riscontrata nell'esecuzione -
� tale un aggravio qualificato dalla 
entit� delle sue ripercussioni sulla 
prestazione dell'appaltatore, 133. 
-Sorpresa geologica -Equo compenso 
-Prestazione notevolmente pi� 
onerosa -Va riferita all'intera prestazione 
e non ai singoli lavori, 133. 
-So11presa geologica -Presupposto -
ImprevedibiHt� de1lie cause geologiche 
1idriiche e simiLi'. 134. 
BORSA 
-Violazione delle norme valutarie -
Esportazioni di assegni, senza data 
e senza luogo di emissione illecita 
-Esportazione di valuta -Sussiste, 
90. 
COMPETENZA CIVILE 
-Divieto di intermediazione nei rapporti 
di lavoro -Pretesa del lavoratore 
in ordine all'applicazione, nei 
diretta di servizi prima affidati in 
appalto ad imprenditore privato ed 
inquadramento nei ruoli dell'Azienda 
dei lavoratori dipendenti dell'appaltatore 
-Controversia tra lavoratori 
ed imprenditori concernente 
le qualifiche da attribuire per il 
lavoro prestato prima dell'inquadramento 
-Intervento coatto dell'Azienda 
nel processo -Inammissibilit� 
dell'intervento non potendo la sentenza 
del giudice ordinario spiegare 
effetti sugli atti di inquadramento 
la cui illegittimit� potrebbe essere 
denunciata soltanto al giudice 
amministrativo, 57. 
-Giurisdizione ordinaria ed amministrativa 
-Impiego pubblico -Assunzione 
di lavoratore in violazione 
del divieto di intermediazione 
nel rapporto di lavoro -Azienda autonoma 
dello Stato -Giurisdizione 
del giudice amministrativo, 56. 
COMUNITA EUROPEA 
-Libera circolazione delle merci -Disposizioni 
fiscali interne discrimi� 
natorie � Regime fiscale dell'alcool 
denaturato � Insussistenza, 47. 
CORTE COSTITUZIONALE 
-Impugnazione diretta di leggi statali 
� Doglianza di ingiustificata disparit� 
di trattamento � Onere di 
indicare specificamente le ragioni 
di doglianza � Omessa indicazione di 
tali ragioni � Inammissibilit�, 2. 
sa � V� riferita all'intera prestazio� 
ne e non ai singoli lavori, 134. 
-Sorpresa geologica -Equo compenso 
-Prestazione notevolmente pi� 
onerosa -Limite del decimo del 
prezzo fissato per la revisione prezzi 
-Inapplicabilit� per la s�rpresa 
geologica, 133. 
-Sorpresa geologica -Equo compenso 
-Prestazione notevolmente pi� 
onerosa -Non � tale qualsiasi aggravio 
o qualsiasi difficolt� sopraggiunta 
o riscontrata nell'esecuzione -
� tale un aggravio qualificato dalla 
entit� delle sue ripercussioni sulla 
prestazione dell'appaltatore, 133. 
-Sorpresa geologica -Equo compenso 
-Prestazione notevolmente pi� 
onerosa -Va riferita all'intera prestazione 
e non ai singoli lavori, 133. 
-So11presa geologica -Presupposto -
ImprevedibiHt� de1lie cause geologiche 
1idriiche e simiLi'. 134. 
BORSA 
-Violazione delle norme valutarie -
Esportazioni di assegni, senza data 
e senza luogo di emissione illecita 
-Esportazione di valuta -Sussiste, 
90. 
COMPETENZA CIVILE 
-Divieto di intermediazione nei rapporti 
di lavoro -Pretesa del lavoratore 
in ordine all'applicazione, nei 
diretta di servizi prima affidati in 
appalto ad imprenditore privato ed 
inquadramento nei ruoli dell'Azienda 
dei lavoratori dipendenti dell'appaltatore 
-Controversia tra lavoratori 
ed imprenditori concernente 
le qualifiche da attribuire per il 
lavoro prestato prima dell'inquadramento 
-Intervento coatto dell'Azienda 
nel processo -Inammissibilit� 
dell'intervento non potendo la sentenza 
del giudice ordinario spiegare 
effetti sugli atti di inquadramento 
la cui illegittimit� potrebbe essere 
denunciata soltanto al giudice 
amministrativo, 57. 
-Giurisdizione ordinaria ed amministrativa 
-Impiego pubblico -Assunzione 
di lavoratore in violazione 
del divieto di intermediazione 
nel rapporto di lavoro -Azienda autonoma 
dello Stato -Giurisdizione 
del giudice amministrativo, 56. 
COMUNITA EUROPEA 
-Libera circolazione delle merci -Disposizioni 
fiscali interne discrimi� 
natorie � Regime fiscale dell'alcool 
denaturato � Insussistenza, 47. 
CORTE COSTITUZIONALE 
-Impugnazione diretta di leggi statali 
� Doglianza di ingiustificata disparit� 
di trattamento � Onere di 
indicare specificamente le ragioni 
di doglianza � Omessa indicazione di 
tali ragioni � Inammissibilit�, 2. 
PARTE PRIMA 
INDICE ANALITICO -ALFABETICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 
APPALTO 

-Appalto di opere pubbliche -Sorpresa 
geologica -Prestazione notevolmente 
pi� onerosa -� tale 
se supera il quinto dell'importo 
totale del contratto, 134. 

-Contratto di appalto -Sorpresa 
geologica -Equo compenso -Pre� 
stazione notevolmente pi� onero� 

confronti di Amministrazione dello 
Stato, delle disposizioni della legge 
23 ottobre 1960, n. 1369 -Improponibilit� 
della domanda per difetto 
assoluto di giurisdizione, con nota 
di E. SERNICOLA, 54. 

-Giurisdizione ordinaria ed amministrativa 
-Azienda autonoma dello 
Stato -Assunzione della gestione 


INDICE DELLA GIURISPRUDENZA 

-Impugnazione diretta di leggi statali 
� Sicilia -Deliberazione della 
Giunta regionale autorizzativa del 
ricorso � Motivi del ricorso � Non 
previsti dalla deliberazione della 
Giunta regionale � Inammissibilit�, 3. 

DEMANIO 

-Costruzione � Nozione � Terrapieno 
cintato da muri, 73. 

-Strade -Strade ordinarie e strade 
ferr~te � Funzione � Autonoma disciplina, 
73. 

EDILIZIA ECONOMICA E POPOLARE 

-Assegnatari di alloggi cooperativi � 
Stipulazione di mutui individuali Nulla-
osta Ministero Lavori Pubblici 
� Natura, con nota di R. TAMIOZ� 
ZO, 93. 

ELEZIONI 

-Elettorato attivo e passivo � Qualificazione 
come di diritto soggettivo 
� Presupposti, 66. 

ENTI PUBBLICI 

-Enti Ospedalieri � Atti � Controllo � 
Controllo affidato alle Regioni ex legge 
n. 132/1968 -Effetti, con nota 
di R. TAMIOZZO, 92. 

ESPROPRIAZIONE PER P.U. 

-Area da espropriare � Criteri di 
scelta -Destinazione diversa � Possibilit� 
-Sussiste, 97. 

-Competenza -Trasferimento alle Regioni 
� Effetti � Espropri di competenza 
dei Consorzi delle aree industriali 
� Estensione della competenza 
regionale � Sussiste � Effetti, 
con nota di R. TAMIOZZO, 95. 

-Delegazione per p.u. � Delegazione 
intersoggettiva � Obbligo di espro


prio a carico del delegato � Occupazione 
ultrabiennale non seguita da 
espropriazione � Atto illecito del delegato 
� Rimborsabilit� del risarcimento 
pagato al terzo � Non sussiste, 
88. 

-Determinazione della indennit� � 
Necessit� � Non sussiste � Effetti, 

97. 
FALLIMENTO 

-Decreto di chiusura del fallimento � 
Termine per il reclamo � Dies a 
quo � Data di �affissione del decreto 
� Legittimit� costituzionale, 30. 

-Liquidazione coatta amministrativa 
� Stato passivo � Opposizione 
del creditore in tutto o in parte 
escluso � Termine � Dies a quo Data 
del deposito in cancelleria � 
Illegittimit� costituzionale, 30. 

-Sentenza dichiarativa -Opposizione 
del fallito � Termine � Dies a quo Data 
di affissione della sentenza � 
Illegittimit� costituzionale, 29. 

-Sentenza sulle opposizioni a stato 
passivo � Appello e ricorso per cas� 
sazione � Termine � Dies a quo 
Data di affissione della sentenza 
Illegittimit� costituzionale, 29. 

FONTI DEL DIRITTO 

-Legge � Ambito riservato alla con� 
trattazione collettiva � Non sussiste, 
finch� perdura la inattuazione dell'art. 
39 Cost., 15. 

GIURISDIZIONE CIVILE 

-Poteri della Corte di Cassazione in 
ordine alla interpretazione della domanda 
giudiziale � Azienda autonoma 
dello Stato -Violazione del divieto 
di intermediazione nei rapporti 
di lavoro � Pretesa del lavoratore 
di esser considerato quale 
dipendente dell'Azienda � Giurisdizione 
del giudice amministrativo � 
Mancanza di una specifica domanda 
in tal senso � Giurisdizione del giu� 
dice ordinario, 55. 


VIll RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA 

-Ricorso giurisdizionale -Appello Censure 
disattese in primo grado Forma 
di riproposizione -Semplice 
memoria Inammissibilit� 
Sussiste, 97. 

-Ricorso giurisdizionale -Formalit� 
-Deposito -Termine � Effetti 
della scadenza in termine festivo Possibilit� 
della proroga � Sussiste, 
con nota di R. TAMIOZZO, 92. 

-Ricorso giurisdizionale -Limiti della 
pronuncia -Poteri del Giudice Principio 
dell'assorbimento � Natura 
-Effetti, con nota di R. TAMIOZzo, 
93. 

-Ricorso giurisdizionale -Notificazione 
-Notificazione diretta all'Autorit� 
emanante presso l'Awocatura 
dello Stato -Situazione ante 
legge numero 103/1979 � Costituzione 
in giudizio -Effetti, con nota di 

R. TAMIOZZO, 93, 
IMPIEGO PUBBLICO 

-Persona!~ degli enti locali -Accordi 
sindacali nazionali a scadenza 
triennale -Decreti presidenziali di 
approvazione degli accordi ~ ,Non 
sono decreti legislativi, 1. 

INDUSTRIA 

-Invenzioni industriali � Brevetti Requisirti 
-Vari tipi di invenzione 
(di combinazione, di perfezionamento, 
di traslazione), 90. 

J : 
ISTRUZIONE 

-Elezioni scolastiche -Elettorato Qualificazione 
come diritto '!;oggettivo 
-Giurisdizione ordinaria, 66. 

LAVORO 

-Retribuzione del lavoratore � Remissione 
forzata del debito del datore 
di lavoro � Legittimit� costituzionale, 
15. 

-Retribuzione � Indennit� di anzianit� 
-Divieto di conglobamento dei 
miglioramenti dipendenti da varia


zioni del costo della vita (cos� detta 
�scala mobile�) � Legittimit� costituzionale, 
J6. 

OBBLIGAZIONI E CONTRATTI 

-Datio in solutum � Prestito forzoso 
� Non � misura ablatoria � t1. prestazione 
imposta, 15. 

ORDINAMENTO GIUDIZIARIO 

-Ausiliari del magistrato � Tutela 
della indipendenza � Non si estende, 
44. 

ORDINE E SICUREZZA PUBBLICA 

-Misure di prevenzione � Fattispecie 
legali predeterminate � Necessit�, 

34. 
PROCEDIMENTO PENALE 

-Riunione di giudizi � Mancanza di 
eccezioni della difesa � Acquiescenza 
� Riunione di giudizi � Provvedimento 
che la dispone � Impugnabilit� 
� Esclusione, con nota di N. 
BRUNI, 142. 

PROPRIET� 

-Immobili adibiti ad albergo, pensione 
o locanda � Vinc@lo alberghiero 
� Compatibilit� con la Costituzfone 
� Proroga ex art. 5 del d.l. 
27 giugno 1967, n. 460 � Irragionevolezza, 
44. 

REATO 

-Reato continuato � Richiesta di riconoscimento 
della continuazione 
in sede di legittimit� � Inammissibilit� 
se la continuazione era allegabile 
in sede di merito, con nota 
di N. BRUNI, 142. 

REGIONI A STATUTO ORDINARIO 

-Ordinamento degli uffici � Stato 
giuridico e trattamento economico 
del personale 'addetto -Legge regio




INDICE DELLA GIURISPRUDENZA 

nale anteriore -Legge statale successiva 
Illegittimit� costituzionale, 
2. 

-Passaggio alle regioni di uffici e 
personale di ente pubblico nazionale 
-Ripartizione del personale 
della sede centrale secondo quote 
proporzionali -Legittimit� costituzionale, 
2. 

STAMPA 

-Segreto giornalistico -Esonero dal 
dovere di testimonianza -Insussistenza, 
39. 

TRENTINO ALTO-ADIGE 

-Ambito riservato ai decreti legislativi 
di attuazione degli statuti regionali 
-Include il passaggio alla 
regione di uffici e personale di enti 
pubblici nazionali, nonch� delle relative 
funzioni e dei beni ad esse 
destinati -Legge ordinaria statale 
incidente in tale ambito -Illegittimit� 
costituzionale 31. 

-Ordinamento del personale dei comuni 
-Competenza legislativa regionale 
-Decreto presidenziale di 
approvazione di accordo sindacale 
nazionale -�!. illegittimo, 1. 

TRIBUTI ERARIALI DIRETTI 

-Accertamento -Motivazione -Analiticit� 
-Nozione -Fattispecie, 125. 

-Dichiarazione -Natura confessoria Esclusione 
-Effetti, 125. 

-Imposta di ricchezza mobile -Accertamento 
-Sinteticit� -Dichiarazione 
apparentemente analitica -Legittimit�, 
123. 

-Imposta di ricchezza mobile -Imposta 
sulla societ� � Autonomia Principio 
di conseguenzialit� -Limiti, 
102. 

TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI 

-Esenzione ed agevolazioni -Esclusione 
per le opere eseguite senza licenza 
edilizia -Presupposti, 130. 

-Imposte di fabbricazione -Spiriti � 
Sottrazione di spiriti al pagamento 
dei prescritti diritti erariali -Contestazione 
dell'art. 107 legge doganale 
25 settembre 1940, n. 1424 e 
non dell'art. 10 d.l. 30 ottobre 11952, 

n. 1322 -Sentenza di condanna per 
l'art. 107 legge doganale del 1940 � 
Nullit� per violazione dell'art. 477 
cod. proc. pen. -Insussistenza, con 
nota di N. Bruni, 142. 
-Prescrizione e decadenza -Privilegio 
speciale -Imposta di negoziazione 
-Termine quinquennale, 100. 

TRIBUTI IN GENERE 

-Contenzioso tributario -Condono Ultima 
pronuncia di merito -t!. 
quella della Commissione centrale 
resa in materia di estimazione complessa, 
104. 

-Contenzioso tributario -Giudizio di 
terzo grado -Estensione -Art. 26 

d.P.R. 26 ottobre .1972, n. 636 -Questione 
di illegittimit� costituzionale 
non manifestamente infondata, 
con nota di C. Bafile, lJO. 
-Contenzjoso tributario -Giudizio di 
terzo grado -Estensione -Determinazione 
del domicilio fiscale -Deducibilit�, 
con nota di C. Bafile, 110. 

-Contenzioso tributario -Giudizio di 
terzo grado -Estensione -Questione 
sulla natura agricola o edificatoria 
di suoli -Deducibilit�, con nota di 

C. Bafile, 109. 
-Contenzioso tributario -Giudizio di 
terzo grado -Estensione -Questione 
sulla natura dell'accertamento 
Deducibilit�, 125. 

-Contenzioso tributario -Procedimento 
innanzi alla Commissione 
centrale -Rinvio della decisione Necessit� 
di comunicazione alle 
parti -Esclusione, 125. 

-Contenzioso tributario -Ricorso per 
Cassazione Ricorso cumulativo 
contro� pi� decisioni -Inammissibilit�, 
99. 


-� -� 
INDICE CRONOLOGICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


CORTE COSTITUZIONALE 

25 giugno 1980, n. 100 pag. 1 
30 luglio 1980, n. 141 .. )) 15 
30 luglio 1980, n. 142 .. � 16 
27 novembre .1980, n. 151 

� 29 

27 novembre 1980, n. 152 � 

29 

27 novembre 1980, n. 153 )) 30 

2 dicembre 1980, n. 155 � 30 

22 dicembre 1980, n. 177 � 34 

22 dicembre 1980, n. 179 � 2 

22 dicembre 1980, n. 180 � 3 

28 gennaio 1981, n. ,1 )) 39 

28 gennaio 1981, n. 2 .. � 44 

28 gennaio 1981, n. 4 .. � 44 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA, EUROPEE 

14 gennaio 1981, nella causa 140/79 . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 47 

GIURISDIZIONI CIVILI 

CORTE DI CASSAZIONE 

Sez. I, 27 gennaio �1980, n. 492 

pag. 73 

Sez. I, 14 febbraio 1980, n. 1061 

� 99 

Sez. I, 14 febbraio 1980, n. 1070 

� 100 

Sez. I, 19 febbraio 1980, n. 1211 

� 102 

Sez. I, 21 febbraio .1980, n. 1241 

� 104 

Sez. I, 25 febbraio 1980, n. 1307 

� 109 

Sez. I, 3 marzo 1980, n. 1403 . . � 

123 

Sez. I, 6 marzo 1980, n. 1500 . . 

� 125 

Sez. I, 13 marzo 1980, n. 1684 . 

� BO 

Sez. I, .14 maggio ,1980, n. 3176 . 

� 110 

Sez. Un., 14 giugno 1980, n. 3805 � 54 
Sez. I, Ord. 19 giugno 1980, n. 337 � 110 
Sez. I, 24 giugno �1980, n. 3951 . . � 88 
Sez. Un., 22 luglio 1980, n. 4789 . . � 55 
Sez. Un., 16 settembre 1980, n. 5262 

� 66 

Sez. I, 16 ottobre 1980, n. 5570 . . )) 90 
Sez. Un., 22 ottobre 1980, n. 5684 � 

56 
Sez. I, 25 novembre 1980, n. 6268 )) 90 

CORTE DI APPELLO DI ROMA 

Sez. I civ., 6 ottobre 1980, n. 1932 . . . . pag. 134 


INDICE DELLA GIURISPRUDENZA Xl 

TRIBUNALE DI ROMA 
Sez. I, 30 settembre 1977, n. 10185 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 133 

PRETURA DI ROMA 
Sez. Lav., 19 dicembre 1979 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 57 

GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE 

CONSIGLIO DI STATO 

Ad Pl., 2 dicembre 1980, n. 51 pag. 92 
Ad PI., 16 dicembre 1980, n. 52 )) 93 
Sez. IV, 9 dicembre 1980, n. 1161 )) 95 
Sez. IV, 16 dicembre 1980, n. 1214 )) 97 

GIURISDIZIONI PENALI 

CORTE DI CASSAZIONE 
Sez. III, 1� ottobre 1980, n. 1194 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pt1;g. 142 


PARTE SECONDA 
LEGISLAZIONE 
QUESTIONI DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE 
I. -Norme dichiarate incostituzionali 
II. -Questioni non fondate 
III. -Questioni proposte 
pag. 
)) 
)) 
1 
3 


PARTE PRIMA 



G IURISPRUDENZA 


SEZIONE PRIMA 

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

CORTE COSTITUZIONALE, 25 giugno 1980, n. 100 -Pres. Amadei -Rel. Paladin 
-Regione Trentino-Alto Adige (avv. Guarino) e Presidente Consi1Ilio 
dei Ministri (avv. Stato Azzariti). 

Impiego pubblico -Personale degli enti locali -Accordi sindacali nazionali 
a scadenza triennale -. Decreti presidenziali di approvazione de.gli accordi 
-Non sono decreti legislativi. 

Trentino-Alto Adige -Ordinamento del personale dei comuni -Competenza 
legislativa regionale -Decreto presidenziale di approvazione di accordo 
sindacale nazionale -il: illegittimo. 
(Statuto Trentino-Alto Adige, artt. 5 e 65; legge reg. Trentino-Alto Adige 11 dicembre 1975, 

n. 11; d.P.R. t� giugno 1979, n. 191). 
I decreti presidenziali (di approvazione di accordi sindacali nazionali 
con scadenza triennale) emanati ai sensi dell'art. 6 del d.l. 29 dicembre 
1977, n. 946, convertito con modificazioni con la legge 27 febbraio 1978, 

n. 43, sono atti amministrativi e non decreti delegati aventi forza di legge 
(1). 
Un decreto presidenziale di approvazione di accordo sindacale nazionale, 
oltretutto non dotato della forza di legge, non pu� abrogare o contraddire 
una legge emanata dalla Regione Trentino-Alto Adige ai sensi dell'art. 65 
del relativo Statuto speciale (2). 

(1) Nello stesso senso, Corte cost., 27 febbraio 1980, n. 21. 
(2-4) Le tre sentenze in esame . dello stesso estensore manifestano un� comune 
tendenza a porre limiti al legislatore ordinario statale mediante la . separazione, 
che francamente appare troppo netta, di materie riservate ad altra fonte 
normativa. Cos� il dispositivo della sentenza n. 100 finisce per riconoscere carattere 
accentuatamente esclusivo alla competenza legislativa prevista dal � singolare 
� art. 65 dello Statuto Trentino-Alto Adige, malgrado la motivazione della 
stessa sentenza onestamente si faccia carico, senza per� superarle appieno, delle 
molteplici considerazioni che avrebbero potuto condurre ad una pronuncia opposta, 
e, per di pi�; valorizzi la circostanza che la competenza legislativa fosse stata 



2 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 
II 
CORTE COSTITUZIONALE, 22 dicembre 1980, n. 179 -Pres. Amadei . 
Rel. Paladin -Regione Lazio (avv. Guarino) e Presidente Consiglio dei 
Ministri (avv. Stato Azzarit�). 
Corte Costituzionale � Impugnazione diretta di leggi statali . Doglianza di 
ingiustificata disparit� di trattamento � Onere di indicare specificamente 
le ragoni di doglianza -Omessa indicazione di tali ragioni . 
Inammissibilit� del motivo. 
Regioni a statuto ordinario � Passaggio alle regioni di uffici e personale 
di ente pubblico nazionale � Ripartizione del personale della sede 
centrale secondo quote proporzionali � Legittimit� costituzionale. 
(Cost., art. 117 e disp. att. VIII; legge 18 novembre 1975, n. 764, art. 3). 
Regioni a statuto ordinario � Ordinamento degli uffici . Stato giuridico 
e trattamento economico del personale addetto � Legge regionale anteriore 
� Legge statale successiva � Illegittimit� costituzionale. 
(Cost., art. 117; legge 18 novembre 1975, n. 764, artt. 6 e 7). 
La Regione che, ricorrendo avverso una legge statale, lamenta una ingiustificata 
disparit� di trattamento rispetto alle altre regioni, ha l'onere 
-a pena di inammissibilit� della doglianza -di precisarne le ragioni 
concrete. 
� costituzionalmente legittima la disposizione che ripartisce tra le regioni 
secondo un criterio proporzionale il personale della sede centrale di 
un ente pubblico nazionale soppresso. 
Nelle materie elencate dall'art. 117 Cost., il legislatore statale ordinario 
non pu� salva 
la competenza ad emanare leggi contenenti i princ�pi fondamentali 
-modificare le leggi regionali vigenti, o anche solo novarle ripetendone 
le disposizioni (3). 
"gi� esercitata da parte regionale� (cfr., in diverso senso, Corte cost., 20 aprile 
1978, n. 45, in questa Rassegna, 1978, 405, e BRONZE1TI, Le potest� legislative ed 
amministrative della regione Trentino-Alto Adige e delle provincie di Trento e 
Bolzano, 1979, 51). Quest'ultimo criterio del limite derivante al legislatore statale 
ordinario dalla esistenza di disposizioni regionali anteriori ed incompatibili, � 
utilizzato nella sentenza n. 179, in relazione a materia attribuita al legislatore 
regionale -nella specie, del Lazio -in via concorrente (sui rapporti tra legge 
statale e legge regionale in materia di pubblico impiego, cfr. Corte cost., 20 marzo 
1978, n. 21; 20 aprile 1978, n. 45 e 30 gennaio 1980, n. 10, in questa Rassegna, 
1978, I, 291 e 405, e 1980, I, 30; cfr. anche BELLINI, L'impiego pubblico nell'ordinamento 
regionale, 1977, 15). 
Quanto alla sentenza n. 180, essa d� una interPretazione sostanzialmente estensiva 
all'art. 43 Statuto Sicilia e all'art. 56 Statuto Sardegna, senza dar rilievo al 
carattere eccezionale e " transitorio � di tali disposizioni (cfr. peraltro, sull'argo~= 
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3

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

III 

CORTE COSTITUZIONALE, 22 dicembre 1980, n. 180 -Pres. Amadei ~ 
Rel. Paladin -Regione Sicilia (avv. Vmaxi), Regione Sardegna (avv. 
Guarino) e Presidente, Consiglio dei Ministri (avv. Stato Azzariti). 

Corte Costituzionale -Impugnazione diretta di leggi statali -Sicilia -Deliberazione 
della Giunta regionale autorizzativa del ricorso -Motivi del 
ricorso -Non previsti dalla deliberazione della Giunta regionale -Inammissibilit�. 


(legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 32). 

Trentino-Alto Adige -Ambito riservato ai decreti legislativi di attuazione 
degli statuti regionali � Include il passaggio alla regione di 
uffici e personale di enti pubblici nazionali, nonch� delle relative fun. 
zioni e dei beni ad esse destinati -Legge ordinaria statale incidente in 
tale ambito -Illegittimit� costituzionale. 
(Cost., disp. trans. VIII; Statuto Sicilia, art. 43; Statuto Sardegna, art. 56; legge 18 no


vembre 1975, n. 764, artt. 2 e 3). 

La disposizione secondo cui le impugnazioni regionali di leggi dello 
Stato sono promosse dal presidente della giunta regionale previa deliberazione 
della giunta stessa verrebbe elusa, qualora si ammettesse che il ricorso 
possa denunciare vizi diversi da quelli prefigurati nella relativa delibera 
della giunta. 

La competenza conferita ai decreti legislativi di attuazione statutaria 
(necessariamente preceduti dalle proposte o dai pareri di una commissione 
paritetica, composta da rappresentanti dello Stato e della Regione 
interessata) � separata e riservata, rispetto a quella esercitabile -in applicazione 
dell'ottava disp. trans. Cost. -dalle ordinarie leggi della Repubblica. 
L"espressione � passaggio degli uffici e del personale dello Stato 
alfa Regione� contenuta nell'art. 43 Statuto Sicilia e nell'art. 56 Statuto 
Sardegna include il passaggio alla Regione di uffici e personale di enti 
pubblici nazionali; essa include, inoltre, necessariamente, il passaggio delle 
relative funzioni e dei beni ad esse destinati. � costituzionalmente illegittima 
1a legge ordinaria statale che invade l'ambito riservato ai decreti 
legislativi di attuazione degli Statuti speciali (4). 

mento, Corte cost., 15 luglio 1975, n. 206, in Foro it., 1976, I, 23; cfr. anche P1zz0Russo, 
Delle fonti del diritto, in Comm. Scialoja Branca, sub art. 2 preleggi, 270). 

Invero, sembra debba affermarsi come fondamentale per la nostra Repubblica 
il principio del primato del Parlamento nazionale e del carattere tendenzialmente 
� pieno � della sua potest� legislativa; le disposizioni anche di livello 
costituzionale, limitative di detta potest� dovrebbero quindi essere interpretate 
in modo per quanto possibile restrittivo. Del resto, l'anzidetto principio � riconosciuto 
nelle sentenze n. 100 e n. 179, laddove esse affermano che le autonomie 

2 



4 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

I 

(omissis) L'Avvocatura dello Stato ha preliminarmente chiesto che il' 
ricorso venga dichiarato inammissibile, in quanto il conflitto di attribu-zione 
sollevato daHa Regione Trentino-Alto Adige concernerebbe un atto� 
statale avente forza di legge. 

Tuttavia, anche al caso in esame sono riferibili le considerazioni svoltedalla 
Corte -nella sentenza n. 21 di questo anno -per escludere cheavesse 
forza di legge l'analogo decreto presidenziale !Il. 411 del 1976, di 
approvazione di un accordo riguardante la � disciplina del �rapporto di la-voro 
del personale degli enti pubblici di cui alla legge 20 marzo 1975,.. 

n. 70 �, In primo luogo, cio�, nemmeno il d.P.R. 1� giugno 1979, n. 191, si 
qualifica affatto come fogge delegata. In secondo Juogo, dall'art. 6 del decreto-
legge 29 dicembre 1977, n. 946 (convertito e modificato dalla legge� 
27 febbraio 1978, n. 43), ai sensi del quale J'atto impugnato ha provvedutoad 
emanare la � disciplina del rapporto di lavoro del persO!llale degli enti 
locali�, non si desume l'intenzione di operare alcuna delega di potest� 
legislativa dal �ParJamento al Governo. In terzo luogo, qui pure si prospetta 
senza limiti di tempo, come gi� neUa legge n. 70 del 1975, una 
reiterazione trie!llnale degli accordi e delle conseguenti deliberazioni del 
Consiglio dei ministri; per cui va comunque �respinta la pretesa che i decreti 
presidenziali di approvazione degli accordi stessi costituiscano il frutto 
di una delegazione, giacch� diversamente ne �discenderebbe una sicura. 
legislative regionali non determinano, di regola, pregiudiziali limiti alla compe


tenza del Parlamento nazionale, ma si traducono in limiti per il legislatore ordi


nario statale solo quando e per quanto effettivamente e concretamente esercitate,. 

solo cio� quando e per quanto le singole regioni abbiano emanato propri testi 

legislativi incompatibili con la legge statale (anteriore o successiva). E ci� -pu�


ritenersi -senza distinzione tra normativa di princ�pi e normativa di dettaglio. 

Non � chi non veda come la problematica qui sommariamente accennata me-


riti di essere approfondita e sviluppata. Nei nove anni trascorsi dalla istituzione 

delle regioni a statuto ordinario si � assistito ad un dispendio di attivit� legislative 

(cui � seguito e seguir� un dispendio di attivit� conoscitive ed ermeneutiche): i 

Consigli regionali si sono spesso trovati nella � necessit� di produrre leggi per� 

ottemperare a leggi statali � che non pare azzardato denominare di � delega legi


slativa alle regioni � (ad esempio, in tema di contabilit� regionale e di assistenza. 

sanitaria ed ospedaliera). Ne � derivato che parte considerevole della produzione 

di leggi regionali � stata �di serie�, si � cio� concretata in testi sostanzialmente 

identici sulle diverse regioni. 

Parrebbe quindi opportuno anche per salvaguardare la dignit� della � legge� 

(e il termine � usato senza distinguere tra legge statale e legge regionale), affian


care in avvenire, alla legislazione statale �di princ�pi �, una produzione di testi 

legislativi statali per cos� dire � dispositivi �, che valgano per quanto non derogati 

da specifiche leggi regionali. E non pare precluso che alla produzione di siffatti 

testi legislativi si proceda, ove del caso, anche mediante decreti legislativi ex 

art. 76 Cost., alla cui elaborazione potrebbero partecipare -con idonee modalit� e 

collegialmente -le stesse regioni attribuite dell'autonomia legislativa. 


PARTE I, SBZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

violazione dell'art.� 76 Cost., venendo a difettare -come la Corte ha dichiarato 
nella predetta sentenza -�fa previsione del momento finale 
del termine per l'esercizio della potest� delegata�. 

Ci� posto, il ricorso dev'�essere accolto. 

Lo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige non si limita ad attribuire 
alla Regione -ex art. 5 n. 1 -potest� legislativa in tema di � ordinamento 
dei comuni�, come pure si riscontra nello Statuto per il FriuliVenezia 
Giulia e, pi� largamente, ne11o Statuto siciliano; ma stabilisce al-
tres�, mediante il singolarissimo disposto dell'art. 65, che �l'ordinamento 
del personale dei comuni � regolato dai comuni stessi, salva l'osservanza 
dei princ�pi generali che potranno essere stabiliti da una legge regionale 
�. Su questa base s'� appunto fondata la legge regionale 11 dicembre 
1975, n. 11, contenente �disposizioni generali sullo stato giuridico e 
sul trattamento economico dei dipendenti dei Comuni e dei segretari comunali 
della Regione �. E i regolamenti comunali hanno quindi recepito, 
in forza dell'art. 28 apv. di tale legge, gli accordi stipulati dalle organizzazioni 
rappresentative dei Comuni appartenenti alle Province di Trento 
e di Bolzano con le organizzazioni sindacali provinciali del personale interessato, 
per la determinazione dei relativi trattamenti economici. 

Ora, estendendo -ne1l'art. 1, primo comma -il campo della propria 
applicazione � a tutto il personale dipendente dai comuni, dalle province e 
dai loro consorzi sia delle regioni a statuto ordinario che di quelle a statuto 
speciale�, Trentino-Alto Adige incluso, l'accordo approvato per mezzo dell'impugnato 
decreto presidenziale n. 191 del 1979 concreta indubbiamente 
un'invasione della sfera di competenza che l'art. 65 dello Statuto speciale 
assegna a1la Regione ricorrente. Nel secondo comma dell'art. 1 s� precisa, 
infatti, che� non � consentito alcun accordo integrativo in sede locale, salvo 
che ci� sia espressamente previsto dal presente accordo; e l'art. 30 specifica 
in proposito, che � le disposizioni regolamentari vigenti negli enti locali � 
valgono solo � per quanto non previsto dal presente accordo � e � in 
quanto compatibili con l'accordo medesimo �. Senonch� la disciplina stabilita 
dall'acco:vdo nazionale � cos� dettagliata da non far residuare ambiti 
in .cui possa svolgersi, con esiti significativi, l'autonomia spettante 
ai Comuni del Trentino-Alto Ad!ige circa il complessivo ordinamento del 
loro personale; e non riserva comunque uno spazio -ci� che pi� conta in 
un conflitto di attribuzione vertente fra Regione e Stato -alla legislazione 
regionale cui l'art. 65 dello Statuto speciale affida il compito di fissare 
i � princ�pi generali� del settore. Il d.P.R. n. 191 del 1979 si pone 
anzi in diretto contrasto con Ja legge regionale n. 11 del 1975, anche al 
di l� di quanto riguarda la definizione dei � livelli retributivo-funzionali � 
e dei correlativi trattamenti economici: basti citare ad esempio l'accesso 
alle singole qualifiche dei vari livelli, che in base all'art. 3 del!'accordo 
nazionale non pu� avvenire se non per concorso, laddove l'art. 4 della 
ricordata legge regionale consente, sia pure in certi casi o a certe con



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

dizioni, � la chiamata diretta � nonch� il � contratto a tempo determinato'" 


Se dunque si considera che il d.P.R. n. 191 del .1979, non essendo 
neanche dotato della forza di legge, non ha di per se stesso nessun 
titolo per abrogare o per contraddire una fonte legislativa locale in 
materia statutariamente attribuita alla Regione, ne segue che tale atto 
va annullato, in quanto, nell'approvare la disciplina del rapporto di 
lavoro del personale degli enti Jocali contenuta nel menzionato accordo, 
non detta alcuna clausola di salvaguardia della competenza regionale in 
ordine al personale dipendente dai Comuni del Trentino-Alto Adige. 

Vanamente si obietta, da parte dell'Avvocatura dello Stato, che la 
legge 27 febbraio 1978, n. 43, persegue un intento perequativo che non 
potrebbe non ricevere attuazione su tutto il territorio nazionale; che 
trattasi, inoltre, di una �grande riforma� della finanza locale, come tale 
vincolante per tutte le Regioni, ordinarie e differenziate; che la legge 
stessa detta, in ogni caso, � i princ�pi fondamentali delle materie � dell'ordinamento 
del personale dei Comuni; e che, pertanto, nell'estendere alle 
Regioni a statuto speciale il campo della propria applicazione, il d.P.R. 

n. 191 del 1979 ha semplicemente espresso quanto era gi� implicito nella 
norma legislativa che ne ha imposto l'adozione. 
Per prima cosa, non � contestabile che la legge n. 43 del 1978 come 
gi� risulta dai lavori preparatori ed � confermato dall'ultimo comma 
dell'art. 6 -miri a superare Je precedenti �disparit� di trattamento 
economico del personale�; ma ci� non basta per considerare ~mmune 
da vizi l'atto impugnato. In effetti, la giurisprudenza di questa Corte ritiene 
che alle stesse Regioni differenziate, nell'esercizio della Joro particolare 
autonomia, siano precluse le arbitrarie discriminazioni, lesive dell'art. 
3 Cost. Ma il principio di eguaglianza non rappresenta in tal senso 
null'altro che un limite, non gi� il presupposto giustificativo d'una quasi 
totale compressione delle autonomie locali, come quella che si produce 
nel caso in esame (e non per effetto della legge n. 43 del 1978, bens� 
per espresso disposto del d.P.R. n. 191 del 1979). 

Secondariamente, nella specie non � dato ipotizzare una �grande 
riforma '" in presenza di una legge di conversione d'un decreto-legge intitolato 
e contenente �provvedimenti urgenti per :la finanza locale�. N� va 
trascurato, d'altra parte, che anche in tema di finanza Jocale il TrentinoAlto 
Adige si trova in una condizione peculiare, dato il trasferimento delle 
relative funzioni a favore delle Province di Trento e di Bolzano, che il 

d.P.R. 28 marzo 1975, n. 473, ha recentemente disposto prendendo spunto 
dall'art. 81 dello Statuto speciale. 
Infule, � vero che la potest� Jegislativa regionale previista dall'art. 65 
dello Statuto speciale, non essendo dissociabile dalla pi� ampia potest� 
conferita nell'art. 5, n. 1 dello Statuto medesimo (quanto all'ordinamento 
dei Comuni), subisce anche essa il limite dei princ�pi stabiliti in materia 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

dalle leggi dello Stato; e non va escluso a priori che principi siffatti siano 
ricavabili dalla stessa legge 27 .febbraio 1978, n. 43, malgrado essa non 
abbia la struttura di una legge-cornice. Ma giova ricordare che l'attuale 
controversia non ha per oggetto la violazione di un principio fondamentale 
stabilito da una legge dello Stato, ad opera del legislatore locale; 
bens� riguarda J'invasione della competenza attribuita alla Regi01!-e, da 
parte di un dettagliatiss.imo accordo recepito mediiante un decreto presidenziale, 
che oltre tutto non pu� porre pr�nc�.pi suscettibili di vincolare 
la legislazione regionale, essendo carente della forza di legge. 

Le considerazioni ora esposte contribuiscono, dunque, a�' far concludere 
che il diciassettesimo comma dell'art. 6 del decreto legge n. 946 
del 1977, tintrodotto dalla legge n. 43 del 1978 (per cui �il trattamento 
giuridico ed economico del personale dei comuni, delle province e dei 
loro consorzi viene determinato in conformit� a� principi, ai criteri ed ai 
livelli retributivi, risultanti da accordi nazionali a scadenza triennale�), 
non � riferibile ad una Regione speciale come i.I Trenttine-Alto Adige, 
dotata in tal campo di un'autonomia statutariamente garantita � gi� 
esercitata da parte regionale. In mancanza di un'apposita clausola applicativa, 
tale comma va invece tinterpretato -come si suol ritenere in 
tutti i casi del genere -nel senso che esso non sia destinato ad attuarsi 
anche nell'ambito della Regione ricorrente. E se ne ricava una recente 
specifica conferma dall'art. 41 cpv. del decreto legge 7 maggio 1980, n. 153 
(contenente � Norme per l'attivit� gestionale e finanziari.a degli enti locali 
per l'anno 1980 �): in cui si � ritenuto necessario precisare che le 
norme stesse (( sono applicabili nelle regioni a statuto speciale e nelle 
province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le norme 
dei rispettivi statuti�. 

P. Q. M. 
non spetta allo Stato il potere di dettare la disciplina del rapporto 
di lavoro del personale degli enti locali, senza far salve le attribuzioni 
spettanti alla Regione Trentino-Alto Adige, in base all'art. 65 dello Statuto 
speciale; e di conseguenza annulla, nella parte concernente la Regione 
stessa, l'art. 1, primo comma, dell'accordo approvato con il d.P.R. 1� giugno 
1979, n. 19L 

II 

(omissis) La Regione Lazio ha promosso, impugnando Ja legge statale 
18 novembre 1975, n. 764 (sulla soppressione dell'ente �Giovent� 
italiana�), tre ordini di questioni. di legittimit� costituzionale. 

In primo luogo, il ricorso .regionale censura le disposizioni che hanno 
trasferito alla Regione parte del personale gi� posto alle dipendenze dell'ente 
soppresso. Stando alle premesse del ricorso, l'impugnazione par



8 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO 

vebbe coinvolgere tanto il primo quanto il secondo comma dell'art. 3, 
disciplinanti -rispettivamente -il trasferimento del personale in servizio 
presso le sedi periferiche e quello del personale pertinente alla sede 
centrale deHa �Giovent� italiana�; ma le argomentazioni del ricorso 
insistono -in realt� -sui soli dipendenti della sede centrale, considerando 
lesivo dell'art. 117 (nonch� dell'ottava disp. trans. Cost.) il fatto 
che un tale personale sia stato trasferito, laddove lo Stato avrebbe trattenuto, 
con particolare riguardo alla Regione Lazio, i corrispondenti beni 
immobili elencati nella tabella A, allegata alla legge n. 764 del 1975. 

In see<;mdo luogo, iJ ricorso prospetta -in viia alternativa -l'illegittimit� 
del capoverso dell'art. 2, nella parte in cui riserva allo 
Stato � i beni individuati nella tabella A"� Da un >lato, infatti, il mancato 
trasferimento dei ben.i stessi dalla �Giovent� ritaliana � alla Regioni si 
dimostrerebbe contrastante con l'art. 117 Cost., se correlato al trasferimento 
del rispettrivo personale; d'altro lato, esso determinerebbe �una 
specifica causa di incostituzionalit�, per disparit� di trattamento e viola2lione 
dell'art. 3 Cost., nei confronttl della Regione Lazio�, che sarebbe 
stata in questo senso privata dei mezzi materiali per far fronte ai compiti 
gi� svolti dall'ente soppresso. 

In terzo luogo, il ricorso considera �autonomamente illegittimi� 
-per invasione della competenza regionale in tema di stato giuridico 
ed economico del personale della Regione -le disposizioni degli artt. 6 
e 7 della legge impugnata sul trattamento assistenziale e di quiescenza 
del personale trasferito. 

Ma la prima questione deve ritenersi non fondata, sotto entrambi i 
suoi aspetti. 

Circa il personale dripendente dalle sedi periferiche della �Giovent� 
italiana�, lo stesso ricorso riconosce che �il trasferimento pu� giustificarsi
�, in vista del principio per cui �il personale segue i beni�. N� la 
difesa regionale ha approfondito l'assunto, adombrato tipoteticamente 
nella parte iniziale del ricorso, �che l'ottava disposizione transitoria costituzionale 
debba essere -letteralmente -riferita al solo passaggio 
di funzionari e dipendenttl dello Stato inteso in senso stretto, ad esclusione 
degli altri enti pubblici. Piuttosto, le argomentazioni della Regione 
ricorrente sottolineano l'esigenza che il passaggio sia sorretto da un � idoneo 
fondamento�: riscontrabile per il personale delle sedi periferiche 
ma invece carente per l'attribuzione del �personale centrale�, lin quanto 
non collegata al trasferimento dei beni cui tali dipendenti sarebbero stati 
specificamente addetti. 

Senonch�, su questo punto, il ricorso cade in un equivoco interpretativo, 
dal momento che !il personale della sede centrale dell'ente 
-<< Giovent� italiana� -trasferito per effetto dell'art. 3, secondo comma 
-differiva nettamente dal personale addetto ai singoli beni, che era 
comunque al servizio delle sedi periferiche, sia che si trattasse del pa




PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

trimonio passato alle Regioni, sia che venissero in questione i beni individuati 
nella tabella A. Di pi�: disponendo che il personale della sede 
<:entrale � viene trasferito alle regioni in misura proporzionale a quello 
delle sedi periferiche addetto ai beni ceduti�, il secondo comma dell'art. 
3 (letto in collegamento con il primo comma) non contraddice ma 
anzi viafferma il principio di eguaglianza nel trasferimento del personale 
statale, o di altri enti pubblici, alle amministrazioni regionali: quanto 
minore � la quota dei beni ceduti, della quale ciascuna regione sia destinataria, 
di tanto si riduce -infatti -.la quota del personale della sede 
centrale, che va trasferita ~Ila Regione stessa. 

In altre parole, J'art. 3, secondo comma, della legge n. 764 del 1975 
non ha nulla in comune con l'art. 18, quinto comma, del ,1.l.P.R. 30 dicembre 
1972, n. 1036 (sullo scioglimento di enti operanti nel settore edilizio). 
Quest'ultima disposi2'lione � stata annullata dalla Corte -con la 
sentenza n. 243 del 1974 -appunto peoch� individuava nella Regione 
Lazio l'unica Amministrazione regionale destinata a vedersi trasferire 
il personale degli enti edilizi. Viceversa, alla base della disposizione 
attualmente impugnata sta l'intento -messo in evidenza nel corso dei 
lavora preparatori -di suddividere proporzionalmente fra tutte le Regioni 
interessate i vantaggi inerenti al trasferimento dei beni e gli oneri 
determinati dal trasferimento del personale addetto alla sede centrale 
della �Giovent� italiana�. 

L'infondatezza della premessa sulla quale si regge l'dmpugnativa del


l'art. 3, secondo comma, svuota la parallela impugnativa promossa 


alternativamente -quanto alla tabella A di cui al capoverso dell'art. 2. 

In questo stesso senso, infatti, non � sostenibile la tesi che il mancato 

trasferimento di determinati beni sia stato accompagnato dal passaggio 

del relativo personale, e debba perci� ritenersi illegittimo. 

Tuttavia, la Regione Lazio ha impugnato Ja tabella A (contenente 

l'elenco dei � beni immobili di propriet� della Giovent� italiana trasferiti 

allo Stato ai sensi dell'art. 2 �), anche in vista della pretesa discri


mmazione cui sarebbe stata ingiustamente sottoposta, al confronto con i 

trasferimenti del patrimonio immobiliare della �Giovent� italiana�, ope


rati a favore di altre Regioni. Ma tale motivo del ricorso, cos� formulato, 

si rivela inammissibile. 

Vero � che ben undici dei quattordici beni (o complessi di beni), 

individuati nella tabella A, sono localizzati nel Lazio, ed anzi situati nella 

citt� di Roma. Ma si tratta di beni eterogenei, Je cui destinazioni erano 

molto diverse, gi� prima che l'ente in questione fosse stato soppresso: 

basti pensare -da un lato -alle attivit� musicali che si svolgevano e 

si svolgono mediante l'Auditorium presso il Foro italico e -d'altro lato 

-alle attivit� sportive organizzate dal CONI, cui sono strumentali lo 

Stadio olimpico, le piscine del Foro italico, g1i attigui campi di tennis, 

e via discorrendo. Ora, la Regione ricorrente non precisa sotto quali pro



10 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

fili Ja riserva di simili beni a favore dello Stato verrebbe a porla in una 
situazione d'ingiustificata disparit� di trattamento rispetto alle altre 
Regioni; e merto ancora chiarisce a quali titoli, e con quali conseguenze, 
il legislatore statale avrebbe invece dovuto trasferirle i beni stessi, in 
applicazione dell'art. 117 Cost. Perci� va dichiarata J'inammissibilit� 
della questione di legittimit� costituzionale, specificamente proposta nei 
riguardi della tabella A, allegata alla legge n. 764 del 1975. 

Fondata si palesa, invece, l'impugnazione degli articoli 6 e 7 della 
legge che ha soppresso la �Giovent� italiana�. 

Per meglio dire, alcune fra le disposizioni contenute in questi articoli 
non si prestano ad essere censurate, per invasione della competenza 
regionale sulJo stato giuridico ed economico del personale addetto alla 
Regione: sia perch� si tratta di una disciplina che riguarda iJ trattamento 
assistenziale e di quiescenza dei dipendenti trasferitii. dalla � Giovent� 
italiana�, quanto al periodo pcecedente il trasferimento (come si 
verifica per la seconda fase dell'art. 6, primo comma, ovvero per l'ultima 
parte del capoverso dell'art. 7); sia perch� si tratta di norme concernenti 
l'avvenire, ma riferite al solo personale trasferito allo Stato 
(come si riscontra -per esempio -nel secondo comma dell'art. 6). 
Ma altre disposizioni concernono :invece -senza dubbio -il trattamento 
di pensione, l'assistenza malattie e l'indennit� di buonuscita, relativi 
al periodo di servizio da prestare presso ciascuna Regione, successivamente 
al passaggio dei dipendenH interessati. � questo, in particolar 
modo, il caso della prima frase deJ comma 'iniziale dell'art. 6 ( � Il personale 
trasferito alla regioni � iscJ:1itto, ai fini del trattamento di pen� 
sione, alla C.P.D.E.L. �), come pure della prima frase del comma iniziale 
dell'art. 7 (�Il personale trasferito alle Regioni � iscritto, ai fini 
dell'assistenza malattie e della buonuscita, all'I.N.A.D.E.L. �): dove 11 
legislatore non ha avuto cura di fare testualmente salva l'ipotesi che le 
singole Regioni disponessero diversamente, nell'esercizio de1la potest� 
legislativa sull'ordinamento dei propri uffici e sul trattamento del proprio 
personale. 

Ci� che pi� conta, gli articoli 6 e 7 della legge n. 764 del 1975 non 
hanno eccettuato nemmeno l'ipotesi che Ie Regioni avessero gi� legiferato 
in materia, dettando apposite norme relative al regime assistenziale 
e di quiescenza di tutto .U personale regionale, suscettibili dunque di 
applicarsi -anche in termini diversi da quelli previsti nelle disposizioni 
impugnate -allo stesso personale loro trasferito dalla �Giovent� italiana 
�. Ma precisamente mquesta situazione si trovava la Regione Lazio, 
almeno per quanto riguarda l'art. 80, primo comma della legge regionale 
29 maggio 1973, n. 20, sostituito dall'art. 3 della legge regionale 20 febbraio 
1974, n. 17: che nel testo originario prevedeva genericamente l'iscrizione 
del personale regionale, �ai fini del trattamento di quiescenza, 
delle prestazioni assistenziali e previdenziali, ad idonei Enti�, con i 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

quali sarebbe stata stipulata �apposita convenzione�; mentre il testo 
inserito dalla legge n. 17 del 1974 dispone in modo specifico che il 
personale stesso venga iscritto alla C.P.D.E.L., �ai fini del trattamento 
pensionistico� all'E.N.P.D.E.P., �ai fini dell'erogazione dell'assistenza malattie 
�, all'I.N.A.D.E.L., � ai fini del trattamento di fine servizio �. 

Su tutti questi punti, allorch� la legge n. 764 del 1975 � entrata in 
vigore, la legislazione del Lazio dettava pertanto una compiuta disciplina, 
la fonte della quale non poteva e non pu� essere legittimamente 
novata dal Jegislatore statale ordinario, non solo nena parte in cui le 
norme dettate daHa legge stessa si discostano dalle corrispondenti norme 
regionali gi� vigenti, ma anche nella parte in cui -sostanzialmente esse 
ne ripetono Je disposizioni. Di conseguenza, va dichiarata l'illegittimit� 
costituzionale degli articoli 6 e 7 della legge che ha soppresso 
la �Giovent� italiana�, iin quanto regolano il periodo di servizio che il 
personale trasferito dall'ente in questione � destinato a prestare presso 
la Regione Lazio. (omissis) 

III 

(omissis) Peraltro, la Corte non pu� non riscontrare che il ricorso si 
presenta per molteplici aspetti inammissibile. Nella premessa di tale 
atto si richiama espressamente la previa deliberazione della Giunta regionale 
siciliana, che � stata in effetti adottata il 23 gennaio 1976. Senonch� 
la Giunta, nell'autorizzare la proposizione del ricorso stesso, lamentava 
soltanto che la legge n. 7.64 del 1975, �statuendo unilateralmente il trasferimento 
dei compiti del soppresso Ente Giovent� Italiana alla Regione, 
senza dar modo a questa di farsi sentire � in proposito, concretasse � una 
lesione immediata dalle prerogative regionali costituzionalmente garantite, 
sotto il profilo della violazione dell'art. 43 dello Statuto Regionale �. 
Ci� comporta che il sindacato sulla pretesa lesione di tutti i parametri 
diversi dall'articolo 43 dello Statuto debba essere escluso dall'attuale 
giudizio. Ed effettivamente l'esigenza che le impugnazioni regionali di 
leggi dello Stato siano promosse dal Presidente della Giunta� stessa in 
base al disposto dell'art. 32, secondo comma della Jegge 11 marzo 1953, 

n. 87, di cui questa Corte ha imposto Ja puntuale applicazione, fin 
dalla sentenza n. 15 del 1957 -verrebbe elusa qualora si ammettesse 
che il ,ricorso del Presidente possa denunciare vizi diversi da quelli prefigurati 
nella relativa delibera della Giunta. 
Ma la delimitazione del giudizio, in vista dell'unico parametro che la 
Regione ricorrente � legittimata ad invocare, comporta una corrispondente 
riduzione dell'impugnativa, per quanto concerne la disposizioni 
della legge n. 764 del 1975, sindacabili in questa sede dalla Corte. Fra 
di ,esse rientrano, sicuramente, primo e secondo comma dell'art. 3, attinenti 
al trasferimento del personale gi� in servizio presso le sedi peri



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

feriche e la sede centrale dell'ente � Giovent� italiana�. Inoltre, il complesso 
delle argomentazioni addotte dal ricorso, in co1legamento con la 
-citata delibera della Giunta regionale, impone di pervenire alla stessa 
conclusione, circa la disciplina dettata per trasferire alle Regioni il patrimonio 
gi� proprio dell'ente soppresso. Infine, analoga questione di 
legittimit� costituzionale, in riferimento alla mancata osservanza della 
procedura prescritta dallo Statuto per il � passaggio degli uffici e del personale 
dallo Stato alla Regione�, dev'essere decisa dalla Corte nei riguardi 
del primo comma dell'art. 2, con cui la legge impugnata ha disposto 
il trasferimento dei compiti istituzionali � e delle � attivit� in atto svolte 
dall'Ente giovent� italiana�. Anche in tal senso, difatti, nel ricorso si 

chiede -pur senza citare espressamente l'art. 43 dello Statuto -che 
la Corte precisi il valore da attribuire alle norme di attuazione previste 
dagli Statuti delle regioni ad autonomia differenziata�. 

Entro questi Jimiti, il ricorso dev'essere accolto. 

I dati ricavabili dall'esame dei contributi dottrinali, delle norme 
statali sul passaggio delle funzioni e degli uffici alle Regioni, della stessa 
giurisprudenza di questa Corte, sono concordi nel senso di far riconoscere 
all'art. 43 dello Statuto siciliano (come pure ai consimili disposti 
degli Statuti speciali della Sardegna, del Trentino-Alto Adige e del FriuliVenezia 
Giulia) H significato attribuitogli dalla difesa regionale. In dottrina, 
� dominante l'avviso che la competenza conferita agli appositi decreti 
legisJativi di attuazione statutaria (necessariamente preceduti dalle 
proposte o dai pareri di una commissione paritetica, composta da 
rappresentanti dello Stato e della Regione interessata) sia separata e 
riservata, rispetto a quella esercitabile -in applicazione dell'ottava disp. 
trans. Cost. -dalle ordinarie leggi della Repubblica. 

Del pari, allo stesso criterio si dimostrano informate -nella loro 
generalit� -le leggi statali di trasferimento, �entrate in vigore nello 
scorso decennio. Ci� vale, anzitutto, per il primo passaggio di funzioni, 
uffici e personale dallo Stato alle Regioni di diritto comune, disposto 
dagli undici decreti presidenziali del 14-15 gennaio 1972; tanto � vero che 
si sono resi (o si renderanno) indispensabili -per conseguire i medesimi 
effetti in Sicilia, in Sardegna, nel Trentino-Alto Adige e nel FriuliVenezia 
Giulia -specifici atti statali con forza di Jegge, adottati nelle 
forme previste per le discipldne di attuazione dei relativi Statuti speciali. 
Ma non diverso � il caso del d.P.R. n. 616 del 1977, il quale stabilisce 
anzi espressamente -nell'art. 119 -che le funzioni amministrative 
degli enti pubblici estinti, gi� trasferiti alle Regioni ordinarie in virt� 
del contestuale art. 113, continuino �ad essere esercitate nelle regioni a 
statuto speciale mediante uffici stralcio, fino a quando non sar� diversamente 
disposto con le norme di attuazione degli statuti speciali o di 
altre 1leggi dello Stato�. Del resto. la previsione che il passaggio delle 
rispettive funzioni (nonch� degli uffici, del personale e dei beni in 


-


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

-questione) venga operato a favore delle stesse Regioni differenziate, ma 
con le procedure prescritte da ogni singolo Statuto, si rinviene in varie 
disposizioni dettate da leggi statali di settore: a partire dall'art. 2, primo 
comma, della legge n. 698 del 1975 (sul trasferimento delle fun2lioni 
dell'Opera nazionale per la protezione della maternit� e dell'infanzia), 
�ovvero dall'art. l, primo comma, della fogge n. 745 del 1975 (sul trasferimento 
delle funzioni concernenti gH istituti zooprofilattici sperimentali), 
.fino all'art. 80, secondo comma, della legge n. 833 del 1978 (istitutiva del 
servizio sanitario nazionale). 

Ci� che. pi� conta, nel risolvere una controversia analoga a quella in 
esame, la Corte ha gi� dichiarato -con la sentenza n. 206 del 1975 che 
il trasferimento alla Regione siciliana del personale dei soppressi 
enti edilizi, previsto dall'art. 18 del d.P;R. n. 1036 del 1972, dovesse �aver 
luogo secondo le norme all'uopo determinate dalla commissione paritetica 
di cui all'art. 43 dello Statuto�. N� giova rispondere, per evitare 
<.:he un tale precedente si applichi anche alla legge soppressiva dell'ente 
�Giovent� italiana�, che le denunciate previsioni di trasferimento non 
opererebbero immediatamente, ma richiederebbero provvedimenti ulteriori, 
senza dunque escludere le cosiddette norme di attuazione statutaria. 
Sebbene la tesd cos� sostenuta dall'Avvocatura dello Stato trovi un 
qualche riscontro nei lavori preparatori della legge stessa (nel corso dei 
quali fu sottolineata l'esigenza di sentire le competenti commissioni. paritetiche, 
senza di che la legge sarebbe risultata incostituzionale), sta di 
fatto che il testo degli articoli 2 e 3, primo e secondo comma, non 
distingue per nulla fra Regioni a statuto ordinario e speciale, ma le considera 
unitariamente allorch� trasferisce -con effetto immediato compiti, 
beni e personale dell'ente. Non a caso, l'ultimo comma de1l'art. 3 
stabilisce senz'altro che, sino all'inquadramento nei ruoli (destinato ad 
operare -in base al precedente comma -dalla data di entrata in 
vigore della legge in questione), �al personale trasferito viene corri.
sposto a carico della regione, il trattamento economico in godimento �; 
e che qui si tratti di qualunque Regione (Sidlia compresa) viene con


fermato dalla serie d!i leggi regionali siciliane con cui si � provveduto 
in via provvisoria (a cominciare dalla legge 5 marzo 1976, n. 17) ad atltidpare 
una parte di tali spettanze. 

S'impone, perci�, l'annullamento dell'art. 2, secondo comma, e dell'art. 
3, primo e secondo comma, della legge n. 764 del 1975, nella parte 
in cui trasferiscono alla Regione Sicilia beni e personale dell'ente � Giovent� 
italiana�: al di l� della lettera dell'art. 43 dello Statuto siciliano, 
la procedura di trasferimento che tale norma prescrive dev'essere osservata, 
.infatti, non solo ;per quanto riguavda il passaggio di strutture 
pertinenti allo Stato in senso stretto, ma anche nelle ipotesi di soppressione 
e regionalizzazione degli enti pubblici nazionali sul mpo della 
~< Giovent� italiana�. 


14 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Corrispondentemente, va inoltre dichiarata l'illegittimit� costituzionale 
del primo comma dell'art. 2, malgrado l'art. 43 dello Statuto siciliano 
-a differenza dell'ottava disp. trans. Cost. -si riferisca soltanto 
al passaggio degli uffici e del personale, non gi� al trasferimento delle 
funzioni per s� considerate. Nel caso dell'ente � Giovent� italiana� non 
potrebbero valere le argomentazioni con cui questa Corte ha sostenuto 
(cfr. le sentt. n. 136 del 1969, n. 95 e n. 108 del 1971) che �non sempre� 
si richiedono apposite norme di attuazione statutaria, affinch� le Regioni 
differenziate possano esercitare le proprie competenze, individ�ate e garantite 
dai rispettivi Statuti. Non va dimenticato, infatti, che fa fogge 

n. 764 del 1975 ha per oggetto un'istituzione i oui compiti erano stati 
deferiti -sia pure sulla carta -ad altre amministrazioni pubbliche, 
gi� in forza dell'art. 6 del r.d.l. 2 agosto 1943, n. 704; che nel successivo 
quarantennio l'ente � Giovent� italiana� � tuttavia sopravvissuto, solo 
perch� non venne approvato e reso esecutivo il piano di ripartizione dei 
suoi compiti, previsto dal decreto 19 agosto 1944 del Presidente del 
Consiglio dei ministri; che il capoverso dell'art. 1 della stessa legge soppressiva 
presuppone -l� dove richiama le � modalit� � e le � procedure 
stabilite dalla legge 4 dicembre 1956, n. 1404 � -che gli scopi dell'ente 
soppresso siano cessati: cosicch� nel primo comma dell'art. 2 J'accento 
non cade sui �compiti istituzionali�, ma sulle �attivit� in atto svolte�, 
da intendersi come attivit� residue, la sorte delle quali non potrebbe essere 
scissa da quella del patrimonio gi� proprio della � Giovent� italiana � e 
del personale addetto ai beni medesimi. 
Al pari che in Sicilia, anche per quanto conceme la Sardegna le 
norme relative al passaggio degli uffici e del personale devono essere 
emanate -in base all'art. 56 dello Statuto speciale -�con decreto 
legislativo �, su proposta di un'apposita � Commiss!i.one paritetica ,,: Il 
ricorso di tale Regione va pertanto accolto, nella parte in cui censura 
la violazione dell'art. 56, per effetto del primo e del secondo comma 
dell'art. 3 della legge 18 novembre 1975, n. 764, disciplinanti il trasferimento 
alle Regioni del personale dell'ente �Giovent� italiana�. E ne 
risultano assorbite le ulteriori censure che il ricorso prospetta -con 
particolare riguardo agli articoli 6 e 7 della legge impugnata -asstimento 
che lo Stato avrebbe invaso una sfera di competenza riservata 
al legisJatore regionale, quale l'� ordinamento degld uffici e degli enti 
amministrativi della Regione � (ivi compreso lo � stato giuridico ed economico 
del personale�), di cui all'art. 3, lett. a, dello Statuto speciale. 

A questo punto, per�, la Corte deve rilevare che .l'annullamento 
dell'art. 3, primo e secondo comma, della legge impugnata determina in 
applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 -l'illegittimit� 
conseguenziale dello stesso art. 2, primo e secondo comma. Sebbene 
l'impugnativa della Regione Sardegna, diversamente da quella della Regione 
Sicilia, non coinvolga le norme sul trasferimento dei compiti e. 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 15 

dei beni gi� spettanti alla � Giovent� italiana�, le norme st~sse sono state 
pur sempre approvate in vista di un'unica ed indivisibile serie di operazioni 
di liquidazione: che non si presta a venire suddivisa in pi� segmenti, 
annullando i disposti relativi al trasferimento del personale, per 
mantenere in vigore -circa la sola Sardegna -quelli relativi al parallelo 
trasferimento delle funzioni e dei beni. Gi� si � notato, al contrario, 
come � i compiti istituzionali e le attivit� in atto svolte dall'Ente giovent� 
italiana� debbano subire la sorte delle corrispondenti strutture. 
Ma, anche nei rapporti fra il patrimonio e il personale, il nesso stabilito 
dalla legge n. 764 del 1975 si dimostra dnscindibile, tanto � vero che 
l'art. 3 ha trasferito alle Regioni il personale delle sedi periferiche della 
� Giovent� italiana �, in quanto �destinatarie�dei beni ceduti�; mentre il 
personale della sede centrale � stato a sua volta trasferito � in misura 
proporzionale a quello delle sedi periferiche addetto ai beni ceduti �. E 
non pare accidentale, sotto quest'aspetto, che la Giunta regionale della 
Sardegna -nella seduta del 28 gennaio 1976 -avesse deliberato l'impugnazione 
dell'intera Jegge n. 764 del 1975, in riferimento alla violazione 
dell'art. 56 St., che tale legge avrebbe congiuntamente concretato � nel 
trasferimento dei beni e del personale�. (omissis) 

I 

CORTE COSTITUZIONALE, 30 luglio 1980, n. 141 -Pres. Amadei -Rel. 
Andrioli -Berrino ed altri (avv. Romano e Zangari), Banco di Napoli 
(avv. Prosperetti), Banco di Roma (avv. Cassandra) e Presidente 
Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Albisinni). 

Fonti del diritto -Legge -Ambito riservato alla contrattazione collettiva Non 
sussiste, finch� perdura la inattuazione dell'art. 39 Cost. 

Obbligazioni e contratti -� Datio in solutum � -Prestito forzoso -Non � 

misura ablatoria -ii: prestazione imposta. 

(Cost., artt. 1, 3, 4, 23, 36, 39 e 53; d.l. 11 ottobre, 1976 n. 699, artt. 1 e segg., conv. 

nella legge 10 dicembre 1976, n. 797). 

Lavoro -Retribuzione del lavoratore -Remissione forzata del debito del 

datore di lavoro -Legittimit� costituzionale. 

(Cost., artt. 1, 3, 4, 23, 36, 39 e 53; d.l. 1� febbraio 1977, n. 12, artt. 2, 4 e 6, conv. nella 

legge 31 marzo 1977, n. 91). 

Finch� perdura la mancata attuazione dell'art. 39 Cost., non pu� 
essere riconosciuta un'area riservata all'autonomia normativa delle associazioni 
sindacali, e non pu� quindi aversi, tra la legge e il contratto 
collettivo, un conflitto sottoponibile alla giurisdizione della Corte costi



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

tuzionale. La legge pu� modificare in pejus (per il lavoratore) la disciplina 
contrattuale dei rapporti di lavoro. (1) 

La disposizione legislativa che stabilisce una datio in so1utum (consegna 
di buoni del tesoro pluriennali non trasferibili in luogo del pagamento 
di somme di danaro dovute a titoli di retribuzione e di pensione) 
non deve essere confrontata con l'art. 53 Cost., non producendo essa un 
effetto ablatorio, ma deve essere confrontata con l'art. 23 Cost., imponendo 
essa una prestazione coattiva. Gli artt. 1 e segg. del d.l. 11 ottobre 
1976, n. 699, convertito con modificazioni nella legge 10 dicembre 1976, 

n. 797, nell.a parte in cui stabiliscono che aumenti derivanti da variazioni 
del costo della vita vengono corrisposti in buoni del tesoro poliennali' 
non trasferibili, non contrastano con gli articoli l, 3, 4, 23, 36, 39 e 
53 Cost. 
Gli articoli 2, 4 e 6 del d.l. 1� febbraio 1977, n. 12 (convertito con 
modificazioni nella legge 31 marza 1977, n. 91), ove si stabilisce che gli 
aumenti retributivi derivanti da variazioni del costo della vita non possono 
essere superiori a quanto stabilito dagli accordi interconfederali 
operanti nel settore dell'industria (del 25 gennaio 1975) e non possono 
essere corrisposti con periodicit� diversa da quella prevista da detti 
accordi, non contrastano con gli articoli l, 3, 4, 23, 36, 39 e 53 Cost. (2} 

II 

CORTE COSTITUZIONALE, 30 luglio 1980, n. 142 -Pres. Amadei -ReL 
Andrioli -Gullino ed altri (n.p.), Credito Italiano S.p.A. (avv. Fazzolari) 
e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Albisinni). 


Lavoro -Retribuzione -Indennit� di anzianit� -Divieto di conglobament& 
dei miglioramenti dipendenti da variazioni del costo della vita (cos�. 
detta � scala mobile �) -Legittimit� costituzionale. 
(Cost. artt. 3, 4, 36, 38, 39, 45 e 53; d.l. 1� febbraio 1977, n. 12, artt. 1, 2 e 3; d.L 

11 ottobre 1976, n. 699, artt. 1, 2, 3 e 4). 

(1-2) La sentenza n. 141 appare di grande interesse, sopratutto laddove essa 
esclude che -almeno al presente -si abbia un'area riservata alla contrattazione 
collettiva, ed un correlato limite costituzionale alla potest� del legislatoreordinario; 
n� una � riserva di contratto collettivo � pu� ritenersi introdotta in 
modo indiretto, attraverso una sorta di � rafforzamento � delle disposizioni con� 
tenute nel codice civile enunciative del principio -bisogna ora aggiungere dero� 
gabile dallo stesso legislatore ordinario -di prevalenza delle condizioni � pi� 
favorevoli al lavoratore �. 

Sull'argomento, cfr., tra gli scritti pi� recenti, GRECO, Diritto del lavoro del� 
l'emergenza e libert� di azione sindacale, in Foro it., 1981, I, 9; MENGONI, Un nuovo 
modello di rapporti tra legge e sindacato, in jus, 1979, 120; GIUGNI, Parlamento e: 
sindacati, in Pol. diritto, 1978, 365, e DE LucA TAMAJO, Leggi sul costo del lavoro e: 
limite all'autonomia collettiva, in Il diritto del lavoro nell'emergenza, 1979, 153. 

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k 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Non � precluso al legislatore ordinario di ristrutturare l'indennit� dt 
anzianit�, la quale non pu� essere ridotta ad unum ma si fraziona in 
numerose specie disegnate dalla contrattazione; pertanto, l'eliminazione� 

o il ridimensionamento di particolari componenti dell'indennit� stessa, 
se tengono conto della quantit� e della qualit� del .Zavoro, non contra-stano 
con gli articoli 3, 36 e 38 Cost. Gli articoli 1, 2 e 3 del d.l. 1� feb-� 
braio 1977, n. 12, secondo il testo risultante dalla legge 31 marzo 1977~ 
n. 91 e gli articoli l, 2, 3 e 4 d.l. 11 ottobre 1976, n. 699, secondo il testodella 
legge 10 dicembre 1976, n. 797, non contrastano con gli articoli 3, 4, 
36, 38, 39, 45 e 53 Cost. 
I 

(omissis) Per il d.l. 11 ottobre 1976, n. 699, entrato iin vigore il successivo 
13, i maggiori "compensi dovuti per effetto di variazioni del 
costo della vita, determinatesi successivamente al 30 settembre 1976 efino 
al 30 settembre 1978, erano da corrispondersi ai lavoratori dipendenti 
con tmttamento mensile -�comprensivo di tutti gli emolumenti 
a carattere continuativo (ratei di mensilit� aggiuntive, premi di rendimento, 
!indennit� e compensi della stessa natura) al netto delle ritenute 
previdenziali e assistenziali -corrispondente ad un importo superiore 
a lire otto milioni annui mediante obbligazioni nominative emesse dal-l'Istituto 
centrale per il credito a medio termine (Mediocredito centrale)~ 

Per i dipendenti, il cui trattamento annuo complessivo fosse superiore 
ai sei milioni ma inferiore agli otto milioni di lire, la corre-� 
sponsione dei maggiori compensi doveva effettuarsi sempre mediante 
obbligazioni, ma limitatamente al cinquanta per cento sino al raggiungimento 
del limite di otto milioni. 

Per i dipendenti con trattamento annuo complessivo inferiore ai 
sei milioni di lir~ il descritto modo di soluzione era da praticarsi dal 
momento in cui il trattamento compless�ivo sup\!rasse il limite dei sei. 
milioni li lire e per la parte eccedente. 

Non solo i lavoratori dipendenti, ma anche i titolari di trattamenti. 
pensionistici _erano soggetti alla riassunta disciplina dettata nei primi 
cinque commi dell'art. l, J'ultimo comma del quale non mancava di pre-cisare 
che le somme, corrisposte in obbligazioni, erano comprese nel 
trattamento retributivo in godimento ai fini della commisurazione dei 
contributi previdenziali e assistenziali ai sensi dell'art. 3 della legge 
31 .Juglio 1975, n. 364 e per la-determinazione del trattamento di quiescenza 
e di fine rapporto; il che -mette conto di chiosarlo -scaturiva. 
dalla natura di (parziale) prestazione in luogo di adempimento, propria. 
del meccanismo posto in essere dal Govevno del tempo. 

Per Ia contestualit� della esposizione va anticipata la descrizione 
del contenuto dell'art. 6 d.l. 1� febbraio 1977, n. 12, modificato nella legge 


18 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

di conversione, a mente del quale i maggiori compensi dovuti ai lavoratori 
dipendenti per effetto di variazioni del costo della vita, corrisposti 
in buoni del tesoro a sensi dell'art. 1 d.l. 699/1976, cos� come sostituito 
per l'art. 1 della legge di conversione 797/1976, non sono soggetti a 
ritenute fiscali e non costituiscono reddito imponibile agli effetti delle 
imposte sul reddito. Esenzione -sia rilevato per inciso -non desumibile 
dalla evidenziata natura di prestazione parziale in luogo di adempimento, 
ma non contrastante con la causa economico-giuridica di retribuzione 
propria dei maggiori compensi e trattamenti pensionistici. (omissis) 

(omissis) Se il d.l. fosse stato in tutto convertito, della sostanza economico-
finanziaria del meccanismo, costretto nei limiti "di tempo: 30 settembre 
1976 a 30 settembre 1978, sarebbe stata assai piana la comprensione: 
lavoratori dipendenti e titolari di trattamenti pensionistici, nella 
misura segnata dall'art. l, fornivano al Mediocredito i mezzi finanziari 
necessari per incentivare medie e piccole industrie senza posisibilit� di 
restituzioni anticipate e sotto la garanzia dello Stato, ma, poich� il mutuo 
assumeva la forma di prestito obbligazionario, .lo schema del mutuo pi� 
non era, sul piano giuridico, utilizzabile, talch� sarebbe apparso lecito 
por mente allo schema� della (parziale) prestazione in luogo di adempimento, 
realizzata mediante titoli nominativi non rimborsabili e trasferibili 
se non alla scadenza del quinquennio dalle emissioni. (omissis) 

(omissis) In pi� complessa visione, la manovra del Governo si articolava 
nel senso che non solo veniva �ridotto in misura seppure minima 
il costo del lavoro, ma veniva compressa la liquidit� del medio circolante 
e che il diverso e forse pi� ampio sacrificio, sopportato nei precisati 
termini da la:voratori dipendenti e pensionati, ridondava a favore delle 
piccole e medie industrie, le quali finivano, quindi, con essere privilegiate 
rispetto agli altri imprenditori. 

Poich� il d.l. 699/1976, nel modo in cui � stato costruito, ha avuto 
in misura minima pratica attuazione in pregiudizio dei lavoratori e dei 
pensionati (non dei datori di lavoro e degli enti erogatori dei trattamenti 
pensionistici) non gi� a favore del Mediocredito e delle piccole e medie 
industrie, nessuna questione di costituzionalit� � stata in effetti, con 
esclusivo riferimento al d.l. 699/1976, prospettata. 

Peraltro la considerazione che del d.l. � stata svolta non � superflua 
perch� giova a cogliere le modificazioni delle linee di tendenza, apportate 
dal Parlamento, in sede di conversione con .la legge 10 dicempre 1976, 

n. 797, entrata in vigore il successivo 26. 
In primo luogo, ai lavoratori dipendenti e ai pensionati si aggiungono 
�coloro che beneficiano di un meccanismo automatico di adeguamenti 
dei compensi alle variazioni degli 1indici del costo della vita � e correlativamente 
avvantaggiati ne risultano anche coloro, che, pur non essendo 
datori di lavoro dipendente n� gestori di trattamenti pensionistici, ab



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

biano ancorato !i debiti di compensi a indici di variazione del costo della 
vita. 

In secondo luogo, mentre i tempi finali delle operazioni sono anti� 
cipati al 30 aprile 1978, il finanziamento alle piccole e medie industrie, 
realizzato tramite il Mediocredito, sfuma nell'incentivazione di attivit� 
produttiva, a gestire la quale � legittimato lo Stato; correlativamente la 
datio in solutum viene attuata non mediante titoli obbligazionari del 
Mediocredito, sibbene mediante buoni del tesoro poliennali al portatore, 
da emettersi alla pari e con il rispetto delle ulteriori modalit� di emissione 
e di consegna, poi fissate dal Ministro per il tesoro con decreto 
22 aprile 1977, ma, se identici rimangono tempi e modalit� di versamento 
delle somme corrispondenti all'ammontare dei maggiori compensi e le 
sanzioni per l'omesso, tardivo o incompleto versamento di dette somme 
alla tesoreria dello Stato, tali somme sono numerate al netto dei contributi 
previdenzfali e assistenziali per le quote a carico del lavoratore, che 
continuano ad essere versate a enti e gestioni competenti; gli interessi 
prodotti dai buoni vengono pagati posticipatamente. 

Il decreto 22 aprile 1977, emanato dal Ministro per il tesoro di concerto 
con il Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, pone in chiaro 
che la normativa del 1976 continua ad applicarsi sino al 30 aprile 1978 
malgrado il d.l. 1� febbraio 1977, n. 12, entrato in vigore lo stesso giorno, 
che � richiamato nelle premesse; il tasso d'interesse, fissato in lire 
quattordici per ogni cento lire di capitale nominale, pagabile in cinque 
annualit� posticipate al 1� luglio di ciascuno degli anni dal 1978 al 1982 
compresi per i soli buoni del tesoro iscritti nel Gran libro con decorrenza 
dal 1� luglio 1977, di scadenza 1� luglio 1982, iscritti nel Gran libro con 
decorrenza dal 1� luglio 1978, � stato fissato nella misura del 13 % con 
il d.m. 20 dicembre 1977, e il tasso d'interesse per i buoni del tesoro, 
di scadenza 1� luglio 1983, iscritti nel Gran libro con decorrenza dal 
1� luglio 1978, nel 13 % con il d.m. 10 giugno 1978; si precisa che buoni 
del tesoro e relativi interessi sono esenti da ogni imposta reale presente 
e futura e dall'imposta sulle cessioni, e, pur essendo anche al portatore 
(a differenza delle sero.pre nominative obbligazioni del Mediocredito), non 
sono trasferibili per un quinquennio dall'emissione. (omissis) 

(omissis) Poich� non rientra nei compiti di questa Corte controllare 
in quale sorta di incentivazione di attivit� produttive siano stati investiti 
i versamenti dei maggiori corrispettivi, n� verificare in qual modo siano 
stati identificati -e, quindi, astretti al rispetto della legge -i debitori 
dei beneficiari di meccanismi automatici di adeguamento di compenso 
alle variazioni degli indici del costo della vita, � da affermare che le 
norme del 1976, nella forma assunta nella legge di conversione, non 
prestino il fianco a censure, che siano contenute nel campo del giudizio 
di costituzionalit�, e, per contro, non travalichino in valutazioni di ordine 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO 

politico-sociale e si convertano in dubbi sulla funzionalit� economico-finanziaria 
della manovra disposta dal Parlamento. 

Manovra, della quale vanno sottolineate la temporaneit� resa ancor 
pi� evidente in sede di conversione, la incidenza su fasce di redditi di 
lavoro e no, rispetto alle quali il sacrificio imposto ai destinatari non incide 
sul minimo vitale (il che emerge anche da scritti difensivi redatti nell'interesse 
di taluni destinatari avanti la Corte), la sostanziale convenienza dell'investimento 
del prelievo la quale non deve essere saggiata sulla base 
di raffronti con investimenti in attivit� produttive (spesso di non sicuro 
esito finale e sempre di difficile conduzione). Dati, che rientrano nella 
comune esperienza e, pertanto, non egent probatione. 

Il sacrificio dei destinatari delle norme del 1976, in tal guisa identificato, 
non costituisce materia di applicabilit� dell'art. 53 Cost. perch� 
� carente l'effetto ablatorio che di detta norma rappresenta la fattispecie. 


L'insussistenza di tale effetto non giova al fine di neutralizzare i 
sospetti d'illegittimit� delle norme impugnate alla� stregua dell'art. 23, 
del quale ricorre la fattispecie dappoich� � innegabile il carattere di 
prestazione proprio del sacrificio, seppure non definitivo, imposto ai 
destinatari, ma del parametro � rispettato. il precetto; si vuol dire l'esigenza 
della riserva di legge vuoi perch�, in guisa seppure meno puntuale 
di quanto non fosse riuscito di statuire con il decreto-legge, si identificano 
il requisito della causa della prestazione (cio� la finalit� dell'incentivazione 
di attivit� produttive) e la entit� del corrispettivo, la cui 
definizione ha il potere legislativo affidato ai Ministri per il tesoro e 
per il lavoro e la previdenza sociale, dei settori cio� dell'Amministrazione 
cui competono esperienze tecniche nella materia (esperienze, che 
hanno indotto a fissare il tasso per le tre emissioni nelle sopraricordate 
misure, secondo un criterio di giusta remunerazione dei prelievi in esame, 
che deve considerarsi implicito nel corpo di norme del 1976). 

L'art. 36, in s� considerato, non sembra violato perch�, se i criteri 
della qualit� e della quantit� del lavoro non vengono in considerazione, 
neppure acquisisce spessore al livello di giudizio di legittimit� costituzionale 
delle norme il criterio della sufficienza della retribuzione ad 
assicurare al lavoratore e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa 
la cui verifica in concreto spetta al giudice di controversia individuale 
investito della conformit� a detto criterio del salario del singolo lavoratore. 


Dell'art. 3 si � lamentata la violazione sotto varii aspetti -interni 
ed esterni al mondo del lavoro, subordinato e no -dei quali colpisce 
in pi� incisivo modo il rilievo che al finanziamento dell'incentivazione 
delle attivit� produttive sono chiamate a contribuire le tre categorie di 
�colpiti � dalla normativa del 1976 e non anche gli imprenditori e i titolari 
di redditi reali, e neppure l'universalit� dei dipendenti, pensionati 

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

e aventi diritto a compensi nel senso a quest'ultima categoria assegnato 

dalla legislazione tributaria, ma soltanto coloro che fruiscono di indici.7 

zazioni coordinate alle variazioni del costo della vita. 

Si � obiettato dalla Presidenza del Consiglio e dalle difese dei datori 
di lavoro che, non essendo identiche le situazioni dei �colpiti� e degli 
indenni, l'art. 3 sarebbe non a proposito invocato, e l'obiezione sembra 
colpire nel segno sia per quel che concerne la discriminazione tra le varie 
forme di indicizzazione per essere diverse le finalit� pratiche, cui sono 
indirizzati i meccanismi in esame, ed altre clausole, che mirano in vario 
modo a salvaguardare il potere d'acquisto della moneta legale, sia perch� 
sono diversi gli ambienti economico-finanziari, nei quali operano da un 
lato le tre categorie di destinatari e dall'altro lato le categorie non chiamate 
a far le sp~se dell'incentivazione di attivit� produttive. 

Certo, la tendenza del Parlamento a battere le vie di sempre e 


per uscire di metafora -a non muovere alla ricerca di � ricchezze 

novelle � meno agevolmente identificabili pu� non essere disconosciuta, 

ma trattasi di giudizio politico, riservato agli elettori e alle forze sociali, 

cui la Corte non pu� sostituirsi. Il qual rilievo giova a dire non opportu


namente invocato l'art. 1 Cost., cui i giudici, che della denuncia si sono 

resi portatori, hanno attribuito un significato di esclusivit�, che � smen


tito dal complesso della Costituzione, dappoich� alla Carta sono ben 

presenti anche valori diversi dal lavoro. 

Il senso dell'art. 4 Cost., poi, si presta, vuoi nella lettera vuoi nello 

spirito, ad essere, nei presenti incidenti, capovolto perch� al fine di as


sicurare il diritto al lavoro non tanto pu� quanto deve essere perseguita 

l'incentivazione delle attivit� produttive. 

Rimane la censura di violazione dell'art. 39 o (a voler essere pi� 
�puntuali) di attentato all'ul1lima sua parte, riflettente l'autonomia nor


mativa dei sindacati, ma, a tacere che il testo costituzionale non � stato 

ancora attuato nel momento strutturale della registrazione, quale presup


posto della personalit� giuridica dei sindacati, la normativa ordinaria del 

1959, sulla quale si. � pronunciata questa Corte con sentenze, da cui, nei 

presenti incidenti, si � in utroque argomentato, aveva di mira l'assicu


razione del minimo trattamento economico e normativo, che nella �specie 

non viene in considerazione. Sino a quando l'art. 39 non sar� attuato, 

non si pu� n� si deve ipotizzare -nei termini proposti -conflitto tra 

attivit� normativa dei sindacati e attivit� legislativa del Parlamento 

e chiamare questa Corte ad arbitrarlo. 

Dei due temi del corpo di norme del 1977 viene -lo si ripete 


verificata in questa sentenza la conformit� ai dettami costituzionali della 

disciplina dell'esclusione dalle retribuzioni dei miglioramenti descritti 

nell'art. 1 d.l. 1� febbraio 1977, n. 12, laddove ad altro documento 

decisorio � riservato il giudizio sulla parziale novellazione degli articoli 

2121, secondo comma, e.e. e degli articoli 361. e 923 codice navigazione. 


22 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Ribadito che la normativa del 1976 continua ad applicarsi nell'area 
temporale che le � propria malgrado l'entrata in vigore del dl. del 1977, 
� da rilevare in primo luogo che il dJ. del 1977 colpisce i lavoratori 
dipendenti e i lavoratori del settore pubblico e non anche il personale 
statale e degli enti pubblici, .di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70, n� le due 
altre categorie dei destinatari della normativa del 1976; in secondo luogo 
che trattasi non di una prestazione (parziale) in luogo di adempimento, 
realizzata mediante titoli del debito pubblico (art. l, commi terzo e 
quarto), ma a) del divieto di conglobamento, nella retribuzione a partire 
dal 1� febbraio 1977, di tutti i migLioramenti retributivi, per effetto 
di variazioni del costo della vita o di altre forme di indicizzazione, corrisposti 
in misura non superiore e in applic~ione dei criteri di calcolo, 
nonch� con la periodicit� stabiliti dagli accordi interconfederali operanti 
nel settore dell'industria, b) della incomputabilit� degli effetti delle variazioni 
del costo della vita o di forma di indicizzazione su qualsiasi 
elemento della retribuzione in difformit� della normativa prevalente 
prevista dagli anzidetti accordi interconfederali e dai contratti del detto 
settore per i corrispondenti elementi retributivi e limitatamente a tali 
elementi (art. 2 comma primo); in terzo luogo che �ai lavoratori 
occupati in settori non industriali continuano ad essere applicate le 
disposizioni dei rispettivi accordi e contratti collettivi che determinano 
il valore mensile del punto di contingenza in misura inferiore a quella 
stabilita dall'accordo interconfederale di cui al primo comma � (art. 2, 
comma secondo); in quarto luogo che le somme non pi� dovute ai lavoratori 
per effetto dell'art. 1 sarebbero devolute alla riduzione di costi 
aziendali o alla copertura di oneri pubblici (art. 3); in quihto luogo 
che veniva abrogata ogni disposizione in contrasto con le norme contenute 
nel decreto ed erano definite nulle di pieno diritto norme regolamentari 
e clausole contrattuali contrastanti con il decreto medesimo 
(art. 4); in sesto ed ultimo luogo che gli articoli 2 e segg. del decreto 
restavano in vigore fino al 31 gennaio 1979 (art. 5). 

Proprio il carattere temporaneo, che accomunava il d.I. del 1976 
alla normativa del 1977, � stato cancellato con la legge 31 marzo 1977, 

n. 91 di conversione (entrata in vigore il successivo 17 aprile), con la 
quale il Parlamento, in sostituzione del soppresso art. 3, che -si ripete destinava 
le somme non pi� percepite dai lavoratori alla riduzione di costi 
aziendali o alla copertura di oneri pubblici, ha autorizzato con l'art. 2 
il Governo della Repubblica a determinare, nel termine di due mesi dall'entrata 
in vigore della legge stessa, la utilizzazione delle somme derivanti 
nell'anno 1977 dalle differenze tra i trattamenti discendenti dalle 
regolamentazioni modificate con il d.I. 12/1977, e quelle dovute per effetto 
delle disposizioni di cui all'art. 2 decreto stesso, nonch� a regolare le 
modalit� di riscossione. 

PARIB I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Non si esauriscono nella soppressione degli artt. 5 e 3, sostituito con 
la tecnica della legge di delegazione e del decveto legislativo, le modificazioni 
apportate con la legge di conversione: in disparte il chiarimento 
del gi� richiamato art. 6, al divieto di conglobamento dei miglioramenti 
contributivi si .aggiunge la irricalcolabilit� nei tempi differiti, 
e degli accordi interconfederali operanti nel settore dell'industria sono 
puntualizzate le date di stipulazione del 15 gennaio 1957 e del 25 gennaio 
1975. 

La normativa del 1977 va integrata con il d.P.R. 6 giugno 1977, 

n. 384, entrato in vigore il successivo 27 luglio, il quale, limitatamente 
all'anno 1977, indica i modi di utilizzazione delle somme non corri" 
sposte ai lavoratori dipendenti; soggiungendo che, se non utilizzate nello 
esercizio 1977, possono essere impegnate nell'esercizio successivo; precisa 
che dette somme vanno versate dai datori di lavoro, entro quindici 
giorni dalla fine di ciascun trimestre, in un apposito conto corrente infruttifero 
aperto presso la Tesoreria centrale, intestato al Ministero del 
tesoro e denominato � Fondo speciale di cui all'articolo 2 della legge 
31 marzo 1977, n. 91 �, al quale affluiscono, alla fine del secondo mese 
successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore del decreto 
(e cio� al 30 settembre 1977), anche le somme dovute dal 1� febbraio a:l 
30 giugno 1977 (art. 1), e prevede, infine, le sanzioni a carico dei datori 
di lavoro in caso di omesso e incompleto versamento (art. 2). 
Nel procedere al raffronto tra la normativa del 1977 e la normativa 
che l'ha preceduta, non pu� questa Corte lasciare in ombra la circostanza 
[...] che, mentre le somme non corrisposte ai lavoratori dipendenti 
dal 1� febbraio al 31 dicembre 1977, sono destinate al conseguimento 
delle finalit� specificate nel d.P.R. 384/1977, le somme non corrisposte 
in tempo successivo al 1� gennaio 1978 rimangono nel patrimonio dei 
datori di lavoro, ai quali non � imposto alcun obbligo, neppur generico, 
di destinazione delle stesse per aver la legge di conversione (art. 1) soppresso 
l'art. 3 d1. 12/1977, per il quale le somme, non pi� dovute ai 
lavoratori, erano devolute alla riduzione di costi aziendali e alla copertura 
di oneri pubblici. Talch� il � vuoto � di destinazionii diverse dalla 
permanenza del numerario nei patrimoni dei datori di lavoro, consecutiva 
alla limitazione del d.P.R. 384/1977 al 1977, rappresenta -almeno 
allo stato attuale della legislazione ordinaria -il traguardo della disciplina 
normativa in materia, della quale � stato punto di partenza 
l'art. 5 d.l. 699/1976: si prendono le mosse dal prestito forzoso, il cui 
ricavo � destinato all'incentivazione delle piccole e medie industrie, 
e, traverso l'ablazione definitiva di parte della retribuzione, dapprima 
destinata alla incentivazione delle attivit� produttive e poi alla triplice 
finalit�, espressa nel d.P.R. 384/1977, si perviene alla conservazione -senza 
vincolo di sorta -delle somme, non versate ai lavoratori dipendenti, 
nei patrimoni dei datori di lavoro. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

24 

L'ultima tappa della metamorfosi non pu� essere stimata irrilevante 
dalla Corte, perch� dal �vuoto�, proyocato dalla limitazione temporale 
dell'art. 2 della legge di conversione del 1977 e del d.P.R. 384/1977, sono 
incise le pretese di Vito Corsello, dipendente della Cassa di risparmio 
di Torino, il cui ricorso porta la data del 10 febbraio 1978 ed ha dato 
luogo, traverso l'ordinanza 1 � giugno 1978, all'incidente iscritto al n. 453 
Reg. ord. 1978; incidente che -lo si ripete -offre il pi� ricco mosaico 
di norme impugnate e di parametri di costituzionalit�. 

Ci� precisato, l'attenzione della Corte si indirizza alle questioni di 
costituzionalit� del d.l. 12/1977, cosl come modificato nella legge di 
conversione, ma non inciso dal ripetuto � vuoto �, in riferimento agli 
artt. l, 3, 4, 23, 36, 39 e 53 Cost. 

La destinazione delle somme non corrisposte ai lavoratori nel periodo 
di tempo 1� febbraio-31 dicembre 1977 non diverge dalla destinazione 
avvisata nella normativa del 1976 in guisa tale da comportare diverso 
scioglimento, da parte della Corte, della questione sorta dal sospetto 
di violazione dell'art. 53 sulla quale la destinazione pu� in qualche 
misura incidere, seppur non � consentito porre in rilievo la maggiore 
puntualit�, di cui il pi� volte menzionato d.P.R. 384 del 1977, d� prova. 

A ben pi� delicate indagini aprono il varco sia il carattere definitivo 
del sacrificio dei lavoratori dipendenti non esteso ai titolari di trattamenti 
pensionistici n� ai creditori di compensi di altra natura, sia la maggiore 
ampiezza subiettiva del sacrificio, che coinvolge tutti i dipendenti 
e non i lavoratori titolari di compensi. elevati. 

La Corte ha piena coscienza della gravit� delle conseguenze economiche 
della duplice scelta, cui sono pervenuti il Governo e il Parlamento, 
e fa sua la espressione ricorrente nel corso delle discussioni parlamentari 
-correre cio� la legge di conversione del 1977 sul filo della incostituzionalit� 
-, ma non ritiene che il giudizio reso a proposito della 
normativa del 1976 sia da modificare. 

Certo, alla ampliatio dei lavoratori dipendenti colpiti si aggiunge la 
liberazione, dall'obbligo del prelievo, dei creditori di compensi di altro 
genere ma, a parte il non agevole reperimento di costoro, va tenuto 
conto della esclusione dal prelievo dei titolari di trattamenti pensionistici; 
esclusione, di cui non possono non giovarsi i dipendenti, per i 
quali venga ad un tempo meno il rapporto di lavoro e sorga il presupposto 
del rapporto pensionistico. 

Vero � che il prelievo non opera con identico �peso� sulle fasce 

dei redditi di lavoro, sibbene provoca in concreto sacrifici che crescono 

con la compressione dei redditi, ma la reazione a tali conseguenze, di cui 

non va dissimulata la estrema gravit�, pu� essere attuata nei giudizi, in 

cui il singolo lavoratore ben potr� nei confronti del datore invocare il 

rispetto del minimo vitale in conformit� di ben consolidati orientamenti 

giurisprudenziali. N� va dimenticato che -almeno nei limiti di concor



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 25 

rente vigenza delle due normative -i compensi elevati sono colpiti non 
solo dal prelievo definitivo, ma anche dall'onere del prestito forzoso. 

(omissis) 
(omissis) Peraltro giova, per quel che concerne l'art. 3 (considerato 
in s� e congiuntamente con gli artt. 1 e 4) porre in evidenza che l'assorbimento, 
nella normativa del 1977, della contrattazione del settore industriale 
rappresenta un passo verso l'attuazione del principio di uguaglianza 
nella materia disciplinata, contro il quale non giova opporre l'interdipendenza 
dei vari elementi obiettivi del rapporto di lavoro perch� 
ben potranno, se lo credono, le categorie, lese dall'appiattimento, riva:
lersi -traverso la contrattazione e, pi� a monte, l'esercizio del diritto 
di sciopero nei modi consentiti dal mos interpretato da questa Corte e 
dal giudice, cui spetta la funzione di nomofilachia -, sui dati, estranei 
alla misura della retribuzione, attingendo le auspicate � compensazioni 
>>, alle quali ben potranno i datori di lavoro opporsi con i mezzi delineati 
negli artt. 3 e 11 legge 604/1966. Che poi l'appiattimento operi in 
peius e non in melius ponendosi in contrasto con l'ordinamento della 
derogabilit� a favore del solo lavoratore, recepito nell'art. 12 legge 604/ 
1966, � proposizione, che, non essendo detto principio generale (non 
assoluto n� ancor meno fondamentale) assicurato dalla Costituzione, 
non coinvolge l'attivit� della Corte, che non pu� n� deve farsi carico delle. 
offese a detto principio inferte dalle norme impugnate. 
Le riflessioni, che ne scaturiscono, sono di ordine politico, mentre 
i conflitti pratici, che possono derivarne, rientrano nella competenza dei 
giudici delle controversie individuali e, in ipotesi (art. 28 legge 300/1970), 
sindacali. 
In ordine agli artt. 23 e 53 � da osservare in via preliminare che 
non l'art. 23, ma l'art. 53 assume ipotetico rilievo nei procedimenti, aventi 
per oggetto i maggiori corrispettivi relativi al periodo 1 � febbraio31 
dicembre 1977, poich� destinatario delle somme non corrisposte ai 
lavoratori � il Tesoro dello Stato, non gi� il contraente datore; ma 

l'art. 53 non pu� dirsi violato nel senso denunciato da alcune ordinanze 
di rimessione perch� la delega a determinare l'utilizzazione delle somme, 
di cui all'art. 2, primo comma, legge 91/1977, costituisce la conseguenza, 

e non la premessa, delle disposizioni sulle somme non pi� dovute ai 
lavoratori da parte dei datori di lavoro. 

Rimane l'art. �39, su cui hanno insistentemente discusso le parti con 
argomenti a proposito dei quali � sufficiente sul piano costituzionale 
osservare, in aggiunta alla motivazione spesa in punto alla normativa 
del 1976, che, sino a quando non sar� disciplinata la loro registrazione, 
l'individuazione dei sindacati legittimati alla contrattazione collettiva (collettiva 
nel senso che alla parola pu� essere riconosciuto a seguito della 


26 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

soppressione dell'ordinamento corporativo) non pu� non essere affidata al 
gioco delle forze sociali, che, al di l� dei non sempre sussistenti vincoli 
associativi, si trovano a rappresentare di fatto, e che di cotale esigenza 
sono stati consapevoli Governo e Parlamento nel dare vita alla normativa 
del 1977 la quale presta -e non pu� non prestare -il fianco a valutazioni, 
critiche o favorevoli, di estrazione economica, finanziaria e sociale, 
e fornir� motivi di contesa sul quomodo della realizzazione normativa 
e della concreta attuazione nelle controversie processuali individuali 
e sindacali, ma non apre utile adito a incidenti di costituzionalit� fondati 
sull'asserito ostracismo decretato alle forze sociali. (omissis) 

(omissis) La peculiarit� dell'incidente, iscritto al n. 453 Reg. ord. 1978, 
che si � posta in rilievo, impone di verificarne l'incidenza sulla fondatezza 
delle prospettate questioni di costituzionalit� in riferimento ai soli 
artt. 23 e 53 dei quali l'appropriazione senza vincolo di destinazione, da 
parte dei datori di lavoro, delle somme non corrisposte ai lavoratori dipendenti 
pone fuori gioco il secondo dappoich� beneficiari della operazione 
sono e, se non �interverranno norme di diverso segno, saranno i datori 
di lavoro, non gi� lo Stato al quale le relative somme sono affluite 
per soli undici mesi (febbraio a dicembre) del 1977. 

A proposito dell'art. 23, limitatamente -si ripete -ai mesi del 
1978 ai quali � limitato il giudizio di merito, � da osservare che il sacrificio 
dei lavoratori d� luogo ad una sorta di (parziale) rimessione forzata 
del debito (tacitamente, ma sicuramente accettata dai datori di lavoro; 
art. 1236 e.e.) e non alla vicenda della datio in solutum, che costituisce 
la normale fattispecie del testo costituzionale in esame, ma la Corte 
-a parte la natura formalistica della qualificazione in merito alla 
quale potrebbesi obiettare che il bene rimesso rimane nel patrimonio 
del debitore e non va ad impinguare la cassa del creditore -non pu� 
non farsi carico di ci� che l'assenza di un qualsiasi vincolo di destinazione 
delle somme, di cui i datori di lavoro non si spogliano, fornisce materia 
a dubbi sulla razionalit� della normativa, in ordine ai quali lo spartiacque 
tra il politico-sociale e il giuridico non � di ,agevole individuazione. 
Dubbi, che questa Corte scioglie, allo stato, in senso negativo, anche �in 
considerazione del fatto che l'intervallo di cinque mesi, nei quali � costretto 
il suo giudizio, non permette d'identificare le misure normative. 
che in qualche guisa siansi in ipotesi sostituite alla carenza di vincoli 
di destinazione, e, ancor pi�, di ponderarne eventu�li effetti. Canone 
di prudenza che ha indotto il giudice delle leggi a non disporre verificazioni 
e altri mezzi istruttori (artt. 26 a 35 r.d. 27 agosto 1907, n. 642, 
richiamati, in quanto applicabili, nell'art. 22 legge 11 marzo 1953, n. 87), 
la cui opportunit� si � pur profilata nel corso della deliberazione della 
presente sentenza. (omissis) 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Il 

(omissis) I tre giudici non solo sottopongono alla Corte questioni 
riflettenti le normative del 1977 e, per l'ordinanza iscritta al n. 444 R.O. 
1977, del 1976, relative al divieto di conglobamento nella retribuzione 
e di ricalcolo in tempi differiti dei miglioramenti retributivi dei lavoratori 
dipendenti per effetto di variazioni del costo della vita e di altre 
forme di indicizzazione per la massima parte esaminate con sentenza 

n. 141/1980 e giudicate infondate, ma denunciano altres� l'illegittimft� 
dell'art. 1 del d.l. 1� febbraio 1977, n. 12, convertito, con modificazioni 
che non interessano l'art. 2121 e.e., nella legge 91/1977 per aver aggiunto 
nel secondo comma dell'or menzionato testo la frase (�a partire dal 
1� febbraio 1977, di quanto dovuto come ulteriori aumenti di indennit� 
di contingenza e di emolumenti di analoga natura scattati posteriormente 
al 31 gennaio 1977 '>); novellazione, la quale fa s� che tali entit� 
pi� non faccian parte della indennit� di anzianit�, disciplinata dall'art. 
2120 e.e. e da successive disposizioni normative. (omissis) 
(omissis) Prendendo l'avvio dalla prospettazione da ultimo riassunta, 
rileva la Corte che il pretore di Messina ha mosso accusa all'art. 1 d.l. 
699/1976, cos� come convertito nella legge 797/1976, di violazione degli 
artt. 4, primo comma, 38 e 45 Cost., per ci� che � lungi dal promuovere 
le condizioni che rendono effettivo il diritto al lavoro, l'assistenza sodale 
e la mutualit�, mortifica tali diritti perch� snatura per i soli redditi 
di puro lavoro, in tutto quanto a quelli di importo lordo annuo superiore 
a lire 8.000.000, o in parte quanto a quelli di importo superiore a 

6.000.000 ma non a 8.000.000, la natura retributiva degli aumenti collegati 
al costo della vita ai quali la recente legge 11 agosto 1973 n. 533, modificativa 
del procedimento del lavoro ha dato con l'art. 429 c.p.c. una particolare 
tutela, redditi per i quali le leggi restrittive denunciate di incostituzionalit� 
impongono con un sistema di imposizione fiscale occulta 
a carico delle forze attive del lavoro subordinato una imposizione di 
trattenuta totale o parziale del 50% delle quote di indennit� di contingenza 
e di indennit� integrativa speciale a vantaggio congiunto della 
generalit� dei cittadini ed a vantaggio particolare aggiunto e specifico 
della speculazione privata dei datori di lavoro, che in Telazione agli 
esborsi per liquidazione dell'indennit� di buonuscita -che per giurisprudenza 
costante ha natura previdenziale ed assistenziale e che come 
tale non pu� essere oggetto di limitazione o di esproprio -alla cessazione 
del rapporto di lavoro sono soggetti a minori aggravi �. 
Queste argomentazioni, sebbene siano state precedute dalla denuncia 
di violazione degli artt. 38 e 45 Cost., pongono mente all'art. 1 d.l. 
12/1977 assai pi� che alla normativa del 1976, e comunque non traggono 
dagli artt. 38 e 45, che vorrebbero rappresentare il novum rispetto ai parametri, 
con la menzionata sentenza n. 141/1980 giudicati indenni da 


28 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

violazione, ragioni, che si aggiungano alle altre, che questa Corte non 
ha reputato idonee a dire offesi gli artt. 1, 3, 4, 23, 36, 39, 53 della Costituzione. 
(omissis) 

(omissis) IL pi� ampio ventaglio di parametri � stato prospettato 
nell'incidente iscritto al n. 444/1977, in cui sono posti a base della censura 
d'illegittimit� dell'art. 1 dl. 12/1977 gli artt. 3, 4, 36, 38, 39, 45 e 53, sebbene 
-lo si � or ora rilevato -gli artt. 38 e 45 siano invocati per giustificare 
il sospetto d'illegittimit� dell'art. 1 dl. 699/1976 e sol nel dispositivo 
della ordinanza vengano collegati all'art. 1 d.l. 12/1977. 

Nelle difese. delle parti, che hanno affrontato il merito della questione 
di legittimit�, molto si � discusso sulla natura -se retributiva 

o indennitaria -della indennit� di anzianit�, e non si � mancato di trarre 
da sentenze di questa Corte, nelle quali risuona la eco della pi� che semisecolare 
disputa, argomenti agli opposti mulini, ma la Corte non pu� 
n� deve ancorare la decisione della questione, che pi� di ogni altra 
� stata fonte di preoccupazioni, all'accoglimento dell'una o dell'altra delle 
qualificazioni (qualificazioni, tra le quali si sono assai di recente avanzate 
proposte di contemperamento; il che � assai significativo), senza dire 
che l'indagine qualificatoria si svolge su diverse direttrici a seconda 
che essa sia riferita alle retribuzioni di carattere continuativo ovvero 
ad attribuzioni di fine rapporto. 
N� pu� la Corte accontentarsi della ricorrente constatazione della 
progressiva sostituzione, anche al di l� dei patrii confini, di altri istituti 
pi� idonei ad adempiez:e alla funzione dell'indennt�, ma deve prendere 
atto di ci� che questa non pu� essere ridotta ad unum, perch�, per 
contro, si fraziona in numerose specie disegnate nella contrattazione 
in pi� o meno vasta misura collettiva, la cui valutazione rappresenta il 
quotidiano ministero dei giudici delle controversie individuali di lavoro 
e, non sempre di rimbalzo, delle controversie previdenziali e assistenziali 
(esempio perspicuo � offerto dalle indennit� calcolate a scaglioni). 

In s� varia fenomenologia la Corte, richiamato quanto motivato e 
deciso in riferimento alle retribuzioni nella sentenza n. 141/1980 con 
la quale sono stati presi in esame parametri di legittimit� comuni alla 
presente vicenda (artt. 3, 36, 39, 53 Cost.) reputa che non sia precluso 
al legislatore di ristrutturare l'indennit� di anzianit� per cui l'eliminazione 
o il ridimensionamento di particolari componenti dell'indennit� 
stessa non concretano di per s� soli lesione dell'art. 36 Cost. Resta fermo 
per� che innovazioni del genere debbono tener conto della quantit� 
e della qualit� del lavoro prestato dagli interessati, agli effetti del combinato 
disposto degli ;:irtt. 3 e 36 Cost. Ora la progressiva esclusione dal 
computo dell'indennit� del punto di contingenza, ad un triennio dalla 
entrata in vigore della normativa del 1977 che l'ha sancita, non arreca 
offesa in misura censurabile da questa Corte al criterio della quantit� 
dd lavoro, assunto come durata del rapporto a componente di calcolo 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

del quantum dell'indennit�, in tali sensi garantito dall'art. 36. Nel futuro 
l'esclusione stessa, in difetto di congrue compensazioni, rischierebbe di 
determinare squilibri pi� gravi di quelli gi� in atto. Ci� persuader� i reggitori 
della cosa pubblica a por mano in domani anche non mediato 
ad adeguati bilanciamenti al fine di evitare offesa non solo agli artt. 3 
e 36, ma anche all'art. 38, opportunamente richiamato dal pretore di 
Messina (sent. n. 26/1980). 

�, insomma, la progressivit� del novellato art. 2121, comma secondo, 
e.e., che pu� e deve suonare allarme per i conditores legum anche in relazione 
alle diverse conseguenze che potrebbero prodursi a carico dei 
lavoratori penalizzando coloro che percepiscono retribuzioni meno 
elevate. (omissis) 

I 

CORTE COSTITUZIONALE, 27 novembre 1980 n. 151 -Pres. Amadei -
Rel. Andrioli -De Blasis (avv. Di Gravio), Soc. ASIS (avv. Pentimalli) 
e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Carafa). 

Fallimento -Sentenza dichiarativa -Opposizione del fallito � Termine 
� Dies a quo � -Data di affissione della sentenza -Illegittimit� costi� 
tuzionale. 
(Cost., artt. 3 e 24; r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 18). 

L'art. 18, primo comma, del r.d. 16 marzn 1942, n. 267, nella parte 
in cui prevede che il termine di quindici giorni per fare opposizione decorra 
per il debitore dalla affissione della sentenza che ne dichiara 
il fallimento, contrasta con gli artt. 3 e 24 Cast. 

Il 

CORTE COSTITUZIONALE, 27 novembre 1980, n. 152 -Pres. Amadei � 
Rel. Andrioli -Fall. Edilcentro Appia Nuova (avv. Marrapese). 

Fallimento -Sentenza sulle opposizioni a stato passivo -Appello e ricorso 
per cassazione � Termine -� Dies a quo � -Data di affissione della 
sentenza -Illegittimit� costituzionale. 
(Cost., art. 24; r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 99). 

L'art. 99, quinto comma, del r.d. 16 marza 1942, n. 267, nella parte 
in cui fa decorrere i termini per appellare e per il ricorso in Cassazione 
dalla affissione della sentenza resa su opposizioni allo stato passivo, 
contrasta con l'art. 24 Cast. 


30 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

III 

CORTE COSTITUZIONALE, 27 novembre 1980, n. 153 -Pres. Amadei -
Rel. Andrioli -Soc. l.A.S.M. (avv. Di Gravio). 

Fallimento -Decreto di chiusura del fallimento -Termine per il reclamo 
� Dies a quo � -Data di affissione del decreto -Legittimit� costituzionale. 
(Cost., art. 24; r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 119). 

L'art. 119, secondo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, nella parte 
in cui fa decorrere il termine per la proposizione del reclamo dalla data 
di affissione del decreto di chiusura del fallimento, non contrasta con 
l'art. 24 Cost. 

IV 

CORTE COSTITUZIONALE, 2 dicembre 1980, n. 155 -Pres. Amadei -
Rel. Andrioli -Bonfanti ~avv. Costa), Mediterranea di assicurazioni 
(avv. Scognamiglio) e Banca Privata Italiana (avv. Guarino). 

Fallimento -Liquidazione coatta amministrativa -Stato passivo -Opposizione 
del creditore in tutto o in parte escluso -Termine -� Dies a 
quo � -Data del deposito in cancelleria -Illegittimit� costituzionale. 
(Cost., art. 24; r.d. 16 marzo 1942, n. 167, art. 209). 

L'art. 209, secondo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, nella parte 
in cui prevede che il termine per le opposizioni dei creditori in tutto 

o in parte esclusi decorra dalla data del deposito, nella cancelleria del 
tribunale del luogo dove l'impresa in liquidazione coatta amministrativa 
ha la sede principale, dell'elenco dei crediti ammessi o respinti, formato 
dal commissario liquidatore, anzich� dalle date di ricezione delle raccomandate 
con avviso di ricevimento, con le quali il commissario liquidatore 
d� notizia dell'avvenuto deposito ai creditori le cui pretese non sono 
state in tutto o in parte ammesse, contrasta con l'art. 24 Cost. 
I 

(omissis) La circostanza che tutte le ordinanze di rimessione pongono 
in forse la legittimit� dell'art. 18, primo comma, r.d. 16 marzo 1942, 

n. 267 in quanto fissa il dies a quo del termine di quindici giorni per 
l'opposizione del fallito alla sentenza dichiarativa per un verso giustifica 
la riunione dei quattro procedimenti e per altro verso limita il compito 
della Corte alla verifica della conformit� della norma impugnata ai para

, ��. 

PARTE I, SEZ, I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 31 

metri ravvisati dal Tribunale di Roma negli artt. 3 e 24 Cost. (gli altri 
giudici han fatto capo al solo art. 24) per la opposizione del solo fallito. 
_:g per vero estraneo all'attuale dibattito lo scrutinio dell'art. 18 nella 
parte in cui fa decorrere dall'affissione il termine per l'opposizione di 
interessi diversi dal fallito, della vasta congerie, cio�, di coloro a carico 
dei quali operano gli effetti della dichiarazione di fallimento (autori di 
atti pregiudizievoli ai creditori, parti di rapporti pendenti, creditori 

non istanti). 

La precisazione avvia l'indagine intesa a dire fondata 1a questione 
per violazione degli artt. 3 e 24, secondo comma Cost.: invero, la necessit� 
di trattazione e decisione unitarie della pluralit� di opposizioni, in 
ipotesi proposte da vari legittimati non identificabili a priori, spiega 
perch� nel sistema della legge il termine iniziale sia uno ed unico e ne sia 
la messa in moto sottratta alla iniziativa degli interessati a rendere irretrattabili 
gli effetti del fallimento dichiarato. Senonch� il diritto di dife� 
sa del debitore, il quale � destinatario degli effetti del fallimento in assai 
maggior misura degli altri interessati alla revoca della sentenza dichiarativa, 
se non riceve offesa dalla seconda delle ragioni giustificatrici 
della norma in esame (si vuol dire l'impulso d'ufficio), riesce colpito 
dalla difficolt� della conoscenza effettiva della pronuncia somministrata 
al debitore dalla affissione, dalla quale pur prende a decorrere il termine 
di quindici giorni. 

Allargare, come da questa Corte si � giudicato con precedenti pro


nunce (sent. 93/1962; sent. 141/1970; ord. 59/1971), l'adagio: vigilantibus, 

non dormientibus iura suscurrunt non convince, perch� tutto sta a ve


dere se sia da reputarsi dormiens il debitore che non rispetta il termine 

decorrente dall'affissione, e la esperienza insegna che la risposta affer


mativa � quanto meno azzardata. 

La inidentificabilit�, poi, degli altri interessati, se legittima la scelta 

del legislatore nei limiti in cui ricorre la ripetuta inconoscibilit�, non 

sommnistra utile supporto al dettato normativo nell'ipotesi del debitore, 

talch� ben pu� concludersi che la individuazione del dies a quo nella 

affissione dell'estratto della sentenza �, per quel che concerne l'oppo


sizione del debitore, priva di razionale fondamento. 

Infine, la celerit� della procedura fallimentare nel suo complesso 

intesa e la tutela degli interessi dei creditori sono a torto invocate, per 

poco si consideri che tutti gli effetti del fallimento si producono -a 

prescindere dalla affissione -a far tempo dalla pronuncia (e cio� dalla 

pubblicazione mediante deposito in cancelleria) della sentenza dichia


rativa, la quale � esecutiva di diritto e insuscettibile di sospensione, e 

che la sua revoca non impinge sulla validit� degli effetti degli atti legal


mente compiuti dagli organi del fallimento. (omissis) 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

II 

(omissis) La denunda, con l� quale si pone in forse il dies a quo 
e non la durata dei termini, di cui all'art. 99, quinto comma, � fondata 
perch� la gi� avvenuta identificazione delle parti soccombenti e _,_ si 
aggiunga -vincitrici priva di giustificazione la scelta dell'affissione, 
quale atto idoneo a far decorrere il termine per l'impugnazione; affissione, 
la quale spiega il prezzo, imposto al soccombente, della non agevole 
conoscenza del dies a quo che tale forma di propalazione � idonea a 
somministrare, anche se sorretta da immediata comunicazione del dispositivo 
non incidente sul corso del termine, sol in processi in cui per un 
verso le parti -per dirla con l'art. 150 c.p.c. -sono difficilmente i.dentifioabili 
e per altro verso incalza la necessit� di non frazionare la trattazione 
e la decisione su di una pluralit� di pretese in vario modo 
connesse. Esigenze, che non si avvertono nei giudizi di opposizione allo 
stato passivo vuoi in secondo vuoi in terzo grado, anche perch� la opportunit� 
di riunire ix:i unico processo pi� impugnazioni di sentenze di merito 
potr� essere soddisfatta con l'applicazione di ben note norme del 
codice di procedura civile sino a quando non riterr� il legislatore di 
dettare altra speciale disciplina. 

Pertanto, l'applicazione della disposizione impugnata si risolve in 

una menomazione del diritto di difesa priva di giustificazione. (omi$sis) 

III 

(omissis) La difficolt� di identificare coloro che hanno interesse a 
proporre reclamo contro il decreto di chiusura, ragione sulla quale non 
incide la sentenza n. 255/1974, resa dalla Corte sul termine per proporre 
appello avverso sentenza di omologazione o di rigetto della proposta 
di concordato, pronunciata tra parti costituite, esclusivamente legittimate 
all'impugnazione), in una con la esigenza di riunire in unica trattazione 
camerale .pi� reclami � di per s� sufficiente a non dire lesiva 
del diritto di difesa degli interessati alla� continuazione della procedura 
fallimentare la scelta del legislatore. Ma non � inopportuno soggiungere 
che nella ipotesi di chiusura, della quale si presenta come possibile 
alternativa la continuazione della procedura fallimentare (si vuol dire 
la ipotesi descritta nel n. 4 dell'art. 118), l'art. 121 somministra il rimedio 
della riapertura a chi si sente pregiudicato dal mancato reclamo avverso 
il decreto di chiusura. (omissis) 

IV 

(omissis) Cos� giudicando, la Corte non si pone in contrasto con la 
sent. 157/1971, con la quale ebbe a dichiarare infondata la questione 
di costituzionalit� dell'art. 98, primo comma, che fissa nella data del 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 33 

deposito dello stato passivo fallimentare in cancelleria il dies a quo 
per le opposizioni dei creditori in tutto o in parte esclusi. 

Non soccorre, per vero, tra l'art. 98, primo comma e l'art. 201, secondo 
comma, la identit� di ratio, che valga a trasferire a questo le ragioni 
di conformit� di quello al precetto costituzionale. 

Invero il difetto di natura giurisdizionale della fase riservata alla 
formazione dell'elenco affidata al liquidatore, non si risolve in diatriba 
definitoria vuoi perch� per un verso l'atto d'insinuazione al passivo 
fallimentare produce, a sensi dell'art. 94 r.d. 267/1942, gli effetti della 
domanda giudiziale (a produrre i quali sono inidonee le domande dei 
creditori dell'impresa in I.e.a., cui l'art. 207, primo comma, riconosce 
soltanto il significato di mere denunce), vuoi perch� il procedimento 
amministrativo di formazione dello stato passivo, descritto nel combinato 
disposto degli artt. 207 e 209, prim� comma, � privo delle garanzie 
del contraddittorio orale, che assistono l'accertamento del passivo, il 
quale si articola nella prima fase della formazione dello stato passivo 
provvisorio (art. 95) e dell'adunanza di sua verificazione (art. 96). 

Il fatto si � che le opposizioni (e le impugnazioni) di cui all'art. 209, 
secondo comma -a differenza delle opposizioni e delle impugnazioni allo 
stato passivo fallimentare, la cui affinit� con taluni processi a cognizione 
sommaria � stata sottolineata -non rappresentano il secondo 
stadio di un procedimento uno ed unico, n� possono essere �inquadrate 
nello schema della giurisdizione condizionata per non essere l'inserzione' 
nell'elenco subordinata ad un atto del creditore, ma si definiscono come 
l'unica sollecitazione dell'esercizio della funzione giurisdizionale a garanzia 
dei creditori dell'impresa in I.e.a., che si caratterizza per il potere 
attribuito, in deroga all'art. 4 legge 20 marzo 1865, n. 2248 ali. E, al giudice 
ordinario di annullare atti dell'autorit� amministrativa lesivi di diritti. 

La circostanza che il mancato esercizio giudiziale del diritto di credito 
finirebbe con l'attribuire all'atto dell'autorit� amministrativa, che 
lo comprime, efficacia estintiva del diritto stesso, conferma l'esigenza 
che non all'affissione dell'elenco, ma alla notizia della esclusione totale 

o parziale del credito comunicata al singolo creditore con lettera raccomandata 
con avviso di ricevimento, sia riservata la capacit� di porre in 
moto il termine, alla cui inosservanza � alla fin fine collegata la perdita 
del diritto. 
D'altro canto, la sostituzione di una pluralit� di dies a quibus allo 
unico dies a quo, indicato nell'art. 209, secondo comma, non soffoca la 
aspirazione del legislatore a riunire la pluralit� di opposizioni in unico 
processo, perch�, a �differenza delle opposizioni di interessati diversi dal 
fallito alla revoca della sentenza dichiarativa di fallimento, che si sperimentano 
mediante atti di citazione ad udienza fissa che pongono le 
opposizioni stesse a contatto prima dei legittimati passivi (curatore e, 
se vi siano, cTeditori istanti) e poi dell'autorit� giudiziaria competente,� 


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34 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

le opposizioni dei creditori in tutto o in parte esclusi dall'elenco hanno 
forma di ricorso al presidente del tribunale, al quale -ammonisce il 
terzo comma dell'art. 209 -compete la nomina di un giudice per l'istruzione 
e per i provvedimenti ulteriori, nel rispetto degli articoli 98 e 103 
in quanto applicabili. Forma del ricorso, che consentir� al presidente 
di tribunale di procedere alla nomina del giudice istruttore sol dopo 
la restituzione alla cancelleria del tribunale degli avvisi di ricevimento. 

Certo -non se lo dissimula la Corte -il dispositivo, che si va ad 
enunciare, potr� dar luogo a non lievi difficolt� nella ipotesi, nella specie 
non ricorrente, di opposizioni e di impugnazioni, per le quali ultime rimane 
ferma la data del deposito come dies a quo del termine di quindici 
giorni, ma il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato 
e il rispetto delle prerogative del potere legislativo inibiscono di 
escogitare i rimedi alla Corte, la quale, peraltro, non pu� non segnalare 
i non tanto eventuali inconvenienti al legislatore perch� ponga mano 
agli opportuni rimedi. (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 22 dicembre 1980, n. 177 -Pres. Amadei -
Rel. Malagugini -Miliucci (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri 
(avv. Stato Azzariti). 

Ordine e sicurezza pubblica � Misure di prevenzione � Fattispecie legali predeterminate 
� Necessit�. 
(Cost., artt. 13 e 25; legge 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 1; legge 22 maggio 1975, n. 152, 

art. 18). 

Anche per le misure di prevenzione la fattispecie legale deve permettere 
di individuare la o le condotte dal cui accertamento nel caso concreto 
possa fondatamente dedursi un giudizio prognostico, per ci� stesso 
rivolto all'avvenire. Inoltre, le condotte presupposte per l'applicazione 
delle misure di prevenzione, poich� si tratta di prevenire reati, non 
possono non involgere il riferimento, esplicito o implicito, al o ai reati o 
alle categorie di reati della cui prevenzione si tratta. Contrasta pertanto 
con l'art. 25 Cast. l'art. 1 n. 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, nella 
parte in cui elenca tra i soggetti passibili delle misure di prevenzione 
previste dalla legge medesima coloro che � per le manifestazioni cui 
abbiano dato luogo diano fondato motivo di ritenere che siano proclivi a 
delinquere�. Non contrasta invece con l'art. 25 Cost. l'art. 18, n. l, della 
legge 22 maggio 1975, n. 152, nella parte in cui prevede l'applicabilit� 
delle disposizioni della legge 31 maggio 1965, n. 575 � anche a coloro che 
operanti in gruppo o isolatamente pongano in essere atti preparatori, 
obiettivamente rilevanti, diretti a sovvertire l'ordinamento dello Stato, 
con la commissione di uno dei reati previsti dal capo I, titolo VI del 
libro II del codice penale o dagli articoli 284, 285, 286, 306, 438, 439, 605 
e 630 dello stesso codice �. 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

(omissis) La tematica delle misure di prevenzione ed i relativi problemi 
sono stati posti all'attenzione di questa Corte sin dall'inizio della 
sua attivit�. 

Gi� con la sentenza n. 2 del 1956, la Corte ebbe ad annunciare alc~i 
importanti principi, quali l'obbligo della garanzia giurisdizionale per 
ogni provvedimento limitativo della libert� personale e il netto rifiuto 
del sospetto come presupposto per l'applicazione di siffatti provvedimenti, 
in tanto legittimi in quanto motivati da fatti specifici. 

Con la successiva sentenza n. 11 del medesimo anno 1956, la Corte 
afferm� che � Il grave problema di assi.curare il contemperamento tra le 
due fondamentali esigenze di non frapporre ostacoli all'attivit� di prevenzione 
dei reati e di garantire il rispetto degli inviolabili diritti della 
personalit� umana, appare... risoluto attraverso il riconoscimento dei 
tradizionali diritti di habeas corpus nell'ambito del principio di stretta 
legalit��. �Correlativamente�, prosegue la Corte nella citata sentenza, 
�in nessun caso l'uomo potr� essere priVlato o limitato nella sua libert� 
(personale) se questa privazione o restrizione non risulti astrattamente 
prevista dalla legge, se un regolare giudizio non sia a tal fine instaurato, 
se non vi sia provvedimento dell'autorit� giudiziaria che ne dia le 
ragioni�. 

La legittimit� costituzionale di � un sistema di misure di prevenzione 
dei fatti illeciti�, a garanzia �dell'ordinato e pacifico svolgimento dei 
rapporti, fra i cittadini� � sempre stata ribadita dalle successive sentenze 
della Corte (sentenze: n. 27 del 1959; n. 45 del 1960; n. 126 del 1962; 

n. 23 e n. 68 del 1964; n. 32 del 1969 e n. 76 del 1970) con riferimento agli 
artt. 13, 16, 17 e 25, terzo comma, Cost.; ora sottolineando ora attenuando 
il parallelismo con le misure di sicurezza (di cui appunto allo 
art. 25, terzo comma, Cost.) e perci�, ora richiamando l'identit� del 
fine -di prevenzione di reati -perseguito da entrambe le misure che 
hanno per oggetto la pericolosit� sociale del soggetto, ora marcando, 
invece, le differenze che si vogliono intercorrenti tra di esse. 
Soprattutto occorre qui ricordare, non tanto l'inciso contenuto nella 
sentenza n. 27 del 1959, che definisce �ristrette e qualificate� le � categorie 
di individui cui fa sorveglianza speciale pu� essere applicata (art. 1 
della legge)� (n. 1423 del 1956), quanto la sentenza n. 23 del 1964 di questa 
Corte, che ha dichiarato non fondata � la questione di legittimit� 
costituzionale dell'art. 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, in riferimento 
agli artt. 13, 25 e 27 Cost. �. Nella parte motiva di questa sentenza 

.si legge che �nella descrizione delle fattispecie (di prevenzione) il legislatore 
debba normalmente procedere con diversi criteri da quelli con 
cui procede nella determinazione degli elementi costitutivi di una figura 
criminosa, e possa far riferimento anche a elementi presuntivi, corrispondenti, 
per�, sempre, a comportamenti" obiettivamente identificabili. 
Il che non vuol dire minor rigore, ma diverso rigore nella previsione 


�ASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

e nella adozione delle misure di prevenzione rispetto alla prev1s1one dei 
reati ed alla irrogazione delle pene�. Con riferimento specifico ai numeri 
2, 3 e 4 dell'art. 1 della legge n. 1423 del 1956, la Corte ha escluso 
che �le misure di prevenzione possano essere adottate sul fondamento 
di semplici sospetti �, richiedendosi, invece, � una oggettiva valutazione 
di fatti da cui risulti la condotta abituale e il tenore di vita della persona 

o che siano manifestazione concreta della sua proclivit� al delitto e che 
siano state accertate in modo da escludere valutazioni puramente soggettive 
e incontrollabili da parte di chi promuove o applica le misure di 
prevenzione �. 
In coerenza con le precedenti decisioni di questa Corte, va ribadito 
che la legittimit� costituzionale delle misure di prevenzione -in quanto 
limitative, a diversi gradi di intensit�, della libert� personale -� necessariamente 
subordinata all'osservanza del principio di legalit� e alla 
esistenza della garanzia giurisdizionale (sent. n. 11 del 1956). Si tratta 
di due requisiti ugualmente essenziali ed intimamente connessi, perch� 
la mancanzanza dell'uno vanifica l'altro, rendendolo meramente illusorio. 

Il principio di legalit� in materia di prevenzione, il riferimento, cio�, 
ai �casi previsti dalla legge�, lo si ancori all'art. 13 ovvero all'art. 25, 
terzo comma, Cost., implica che la applicazione della misura, ancorch� 
legata, nella maggioranza dei casi, ad un giudizio prognostico, trovi il 
presupposto necessario in � fattispecie di pericolosit� �, previste -descritte 
-dalla legge; fattispecie destinate a costituire il parametro dell'accertamento 
giudiziale e, insieme, il fondamento di una prognosi di 
pericolosit�, che solo su questa base pu� dirsi legalmente fondata. 

Invero, se giurisdizione in materia penale significa applicazione della 
legge mediante l'accertamento dei presupposti di fatto per la sua applicazione 
attraverso un procedimento che abbia le necessarie garanzie, 
tra l'altro di seriet� probatoria, non si pu� dubitare che anche nel processo 
di prevenzione la prognosi di pericolosit� (demandata al giudice e nella 
cui formulazione sono certamente presenti elementi di discrezionalit�) 
non pu� che poggiare su presupposti di fatto � previsti dalla legge � e, 
perci�, passibili di accertamento giudiziale. 

L'intervento del giudice (e la presenza della difesa, la cui necessit� 
� stata affermata senza riserve) nel procedimento per l'applicazione 
delle misure di prevenzione non avrebbe significato sostanziale (o ne 
avrebbe uno pericolosamente distorcente la funzione giurisdizionale nel 
campo della libert� personale) se non fosse preordinato a garantire, nel 
contraddittorio tra le parti, l'a�certamento di fattispecie legali predeterminate. 


Si pu�, infine, ricordare che l'applicazione delle misure di sicurezza 
personali, finalizzate anche esse a prevenire la commissione di (ulteriori) 
reati (e che non sempre presuppongono la commissione di un -precedente 
-reato: art. 49, secondo e quarto comma e art. 115, secondo 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

e quarto comma del codice penale), talch� possono considerarsi una 
delle due species di un unico genus, � vincolata all'accertamento delle 
fattispecie legali dal quale dipende il giudizio di pericolosit�, sia tale 
pericolosit� presunta o da accertare in concreto. 

L'accento, anche per le misure di prevenzione, cade dunque sul sufficiente 
o insufficiente grado di determinatezza della descrizione legislativa 
dei presupposti di fatto dal cui �accertamento dedurre il giudizio, 
prognostico, sulla pericolosit� sociale del soggetto. 

Le questioni decidende esigono che questa Corte verifichi la sufficienza 
nel senso anzidetto degli �indici di pericolosit� sociale�, per usare 
la terminologia corrente in letteratura, descritti nelle disposizioni di 
legge denunziate. 

Al proposito, � bene accennare che, sotto il profilo della determinatezza, 
non � affatto rilevante che la descrizione normativa abbia ad oggetto 
una condotta singola ovvero una pluralit� di condotte, posto che 
apprezzabile pu� essere sempre e soltanto il comportamento o contegno 
di un soggetto nei confronti del mondo esterno, come si esprime 
attraverso le sue azioni od omissioni. 

Decisivo � che anche per le misure di prevenzione, la descrizione 
legislativa, la fattispecie legale, permetta di individuare la o le condotte 
dal cui accertamento nel caso concreto possa fondatamente dedursi un 
giudizio prognostico, per ci� stesso rivolto all'avvenire. 

Si deve ancora osservare che le condotte presupposte per l'applicazione 
delle misure di prevenzione, poich� si tratta di prevenire reati, non 
possono non involgere il riferimento, esplicito o implicito, al o ai reati 

o alle categorie di reati della cui prevenzione si tratta, talch� la descrizione 
della o delle condotte considerate acquista tanto maggiore determinatezza 
in quanto consenta di dedurre dal �loro verificarsi nel caso 
concreto la ragionevole previsione (del pericolo) che quei reati potrebbero 
venire consumati ad opera di quei soggetti. 
Alla stregua delle considerazioni sin qui svolte, deve dichiararsi fondata 
la questione di legittimit� costituzionale dell'art. l, n. 3 ultima 
ipotesi, della legge n. 1423 del 1956. 

La .disposizione di legge in esame (a differenza ad esempio di quella 
di cui al n. 1 del medesimo art. 1), non descrive, infatti, n� una o pi� 
condotte, n� alcuna � manifestazione � cui riferire, senza mediazioni, un 
accertamento giudiziale. Quali � manifestazioni � vengano in rilievo � rimesso 
al giudice (e, prima di lui, al pubblico ministero ed alla autorit� 
di polizia proponenti e segnalanti) gi� sul piano della definizione della 
fattispecie, prima che su quello dell'accertamento. I presupposti del giudizio 
di � proclivit� a delinquere� non hanno qui alcuna autonomia concettuale 
dal giudizio stesso. La formula legale non svolge, pertanto, la 
funzione di una autentica fattispecie, di individuazione, cio�, dei � casi � 


38 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

(come vogliono sia l'art. 13, che l'art. 25, terzo comma, Cost.), ma offre 

agli operatori uno spazio di incontrollabile discrezionalit�. 

N� per la ricostruzione della fattispecie pu� sovvenire il riferimento 
al o ai reati della cui prevenzione si tratterebbe. La espressione � proclivi 
a delinquere� usata dal legislatore del 1956 sembrerebbe richiamare 
l'istituto della � tendenza a delinquere � di cui all'art. 108 del codice penale, 
ma l'accostamento sul piano sostanziale non regge, posto che la 
dichiarazione prevista da quest'ultima norma presuppone l'avvenuto accertamento 
di un delitto non colposo contro la vita o l'incolumit� individuale 
e dei motivi a delinquere, tali da far emergere una speciale inclinazione 
al delitto; e l'indole particolarmente malvagia del colpevole. 
Nel caso in esame la � proclivit� a delinquere � deve, invece, essete intesa 
come sinonimo di pericolosit� sociale, con la conseguenza che fintera 
disposizione normativa, consentendo-l'adozione di misure restrittive della 
libert� personale senza l'individuazione n� dei presupposti n� dei fini 
specifici che le giustificano, si deve dichiarare costituizonalmente ilJegittima. 


Le stesse considerazioni di cui ai punti 4 e 5, conducono a dichiarare, 
invece, non fondata la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 18, 

n. 1, della legge 22 maggio 1975, n. 152. (omissis) 
(omissis) Se � vero, infatti, che il legislatore del 1930, obbedendo a 
sollecitazioni .Politiche dell'epoca, aveva ritenuto di allargare l'area del 
tentativo punibile redigendo il testo dell'art. 56 del codice penale, non � 
meno vero che gran parte della dottrina e della giurisprudenza hanno 
dimostrato l'illusoriet� del proposito che, con quel mezzo, si intendeva 
attuare. 

Ci� perch� � atti idonei diretti in modo non equivoco a commettere 
un delitto� possono essere esclusivamente atti esecutivi, in quanto se 
l'idoneit� di un atto pu� denotare al pi� la potenzialit� dell'atto a conseguire 
una pluralit� di risultati, soltanto dall'inizio di esecuzione di una 
fattispecie delittuosa pu� dedursi la direzione univoca dell'atto stesso a 
provocare proprio il risultato criminoso voluto dall'agente. 

Dottrina e giurisprudenza indicano nell'art. 115 del codice penale la 
disposizione che integra, ovvero conferma l'anzidetta interpretazione dell'art. 
56 del codice penale, per quanto attiene alle condizioni e ai limiti 
di rilevanza del tentativo punibile. 

Dal medesimo art. 115 del codice penale, d'altra parte, si deduce anche 
la (possibile) rilevanza per l'ordinamento di atti che ancora non sono 
esecutivi di una fattispecie criminosa, ma che, a partire dalla prima manifestazione 
esterna del proposito delittuoso, predispongono i mezzi e 
creano le condizioni per il delitto. Si tratta, appunto, degli atti preparatori, 
che vengono presi in considerazione dal citato art. 115 cod. pen. in 

via normale per l'applicazione di misure di sicurezza, fatti salvi i casi 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

in cui, in via di eccezione, la legge li preveda come figure autonome 

di reato. 

Si pu� dunque dire che la distinzione tra tentativo punibile ed atto 
preparatorio � certamente percepibile e che l'atto preparatorio consiste 
in una manifestazione esterna del proposito delittuoso che abbia un carattere 
strumentale rispetto alla realizzazione, non ancora iniziata, di 
una figura di reato. 

Se cos� �, � difficile negare che le fattispecie descritte dall'art. 18, 

n. l, della legge n. 152 del 1975 abbiano i necessari requisiti di determinatezza. 
Gli atti preparatori, infatti sono riferiti ad una pluralit� di figure 
di reato tassativamente indicate, sottolineandosi in tal modo l'accennato 
carattere strumentale dell'atto preparatorio medesimo, sottolineatura 
ulteriormente ribadita con l'inciso �obiettivamente rilevanti �, che richiama 
non solo e non tanto il dato, ovvio, della rilevanza esterna dell'atto 
quanto la sua significativit� rispetto al fine delittuoso perseguito dallo 
agente. Infine, gli atti preparatori devono essere finalizzati al sovvertimento 
dell'ordinamento dello Stato e della sussistenza di questo requisito 
dovr� darsi la prova nel caso concreto. 
Deve, quindi, ritenersi sufficientemente determinata la fattispecie di 

pericolosit� di cui all'art. 18, n. l, della legge n. 152 del 1975, la cui latitu


dine rispecchia una scelta che compete solo al legislatore. 

Quanto alle difficolt� che possono insorgere nell'applicazione di questa 
come di altre disposizioni normative, non spetta a questa Corte n� 
proporne una sistemazione n� indicarne la soluzione. :�:, peraltro, evidente 
che gli atti preparatori di cui all'art. 18, n. l, della legge n. 152 del 
1975 in tanto possono venire in considerazione per l'applicazione di misure 
di prevenzione in quanto non costituiscano figure autonome di reato 
(ci si riferisce, in particolare, ai reati associativi) e che il materiale probatorio 
ritenuto inidoneo o insufficiente per fondare una affermazione 
di responsabilit� in ordine a taluna di siffatte figure di reato non pu� 
essere diversamente valutato quando si tratti di accertare, per l'appli


�cazione di misure di prevenzione, la sussistenza del medesimo atto preparatorio. 
(omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 28 gennaio 1981, n. 1 -Pres. Amadei -Rel. 
Gionfrida -Massa ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri 
(avv. Stato Azzariti). 

Stampa -Segreto giornalistico -Esonero dal dovere di testimonianza -Insussistenza. 
(Cost., artt. 3 e 21; cod. proc. pen., artt. 348, 351 e 372; legge 3 febbraio 1963, n. 69, 

art. 2). 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Le situazioni di esonero dal dovere di testimonianza trovano giustificazione 
nell'esigenza di salvaguardare interessi di rango costituzionale 
ritenuti dal legislatore ordinario prevalenti, in esito a giudizio di bilanciamento, 
rispetto al contrapposto interesse della giustizia; l'interesse 
protetto dall'art. 21 Cast. non � in astratto superiore a quello parimenti 
fondamentale della giustizia. D'altro canto, il �segreto giornalistico� 
si differenzia dai segreti elencati nell'art. 351 cod. proc. pen. in quanto 
protegge la sola fonte e non anche la notizia, ed in quanto tende solo al 
miglioramento delle possibilit� info~mative, presenti e future, di chi la 
notizie raccoglie. 

(omissis) Il punto di iniziale riferimento � rappresentato dal codice 
di procedura penale del 1913 (art. 248) che innov� il sistema del precedente 
codice di procedura penale del 1865, il quale, escludendo dall'obbligo 
di testimoniare anche �ogni altra persona a cui per ragioni del suo 
stato o della sua professione od ufficio fu fatta confidenza di qualche 
segreto � (art. 288), attuava la coincidenza tra la disciplina processuale 
e quella sostanziale. 

Il citato art. 248 del codice del 1913 restrinse invece (ai soli ministri 
di culto; notai, avvocati, procuratori; medici, chirurghi; farmacisti, levatrici 
e � ogni ,altro ufficiale sanitario�) i soggetti esonerati dall'obbligo 
di testimoniare, rispetto ai soggetti passibili della violazione della norma 
di diritto sostantivo (art. 163 cod. pen. 1889) relativa .alla violazione 
del segreto professionale. 

Come si osserv� in sede di lavori preparatori (v. Relazione Ministeriale 
al progetto del 1905) si volle, infatti, con tale sistema detto � della 
specificazione �, che fosse � escluso che possano invocare il segreto testimoni 
venuti a notizia di fatti determinati nell'esercizio delle loro 
professioni od occupazioni, ma non gi� nell'esercizio di funzioni o professioni 
per le quali il segreto sia caratteristico ed anzi necessario a 
vantaggio di chi, a tutela della sua coscienza e dell'onor suo e degli altri, 
� costretto a confidarsi �. Sottolineandosi che � le confidenze determinate� 
da ragioni diverse da queste (segreti di arte, d'industria, o dipendenti 
da qualsiasi :altra relazione) avranno protezione nei rapporti sociali, giusta 
disposizione di cavattere penale, ma non dinanzi alle esigenze della giustizia 
e al dovere di testimonianza, che, nel conflitto, deve ritenersi prevalente
�. 

I codici del 1930 hanno appunto conservato tale differenziazione. 
Cosicch�, mentre nell'art. 622 cod. pen. ha 'ribadito la punibilit� di chiunque, 
avendo notizia, per ragione del proprio stato od ufficio o della 
propria profesisone o arte, di un segreto lo rivela senza giusta causa�, 
l'art. 351, cod. proc. pen., ha sostanzialmente ripetuto J.'elencazione li


fj~

mitativa (di cui gi� al citato art. 248 del vecchio cod. proc. pen.) delle 
ili 

i:= 

I' 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

categorie esonerate dal dovere di testimonianza sancito dall'art. 348 
cod. proc. pen. 

I fondamentali criteri ispiratori della disciplina cos� articolata non 
appaiono in contrasto con i precetti della sopravvenuta Costituzione 
repubblicana. 

Per un verso, il dovere di testimonianza � in funzione dell'interesse 
generale alla realizzazione della giustizia, il cui rilievo costituzionale 
questa Corte ha pi� volte riconosciuto (cfr. sentenze n. 18 del 1966; 
114 del 1968; 175 del 1980), e per altro verso le situazioni di esonero 
ex art. 351 cit. si fondano, come appresso sar� chiarito, su una comune 
esigenza di riservatezza attinente a sfere di interessi pure di rango 
costituzionale che, nelle fattispecie considerate, il legislatore ritiene prevalenti, 
nel giudizio di bilanciamento, rispetto al contrapposto interesse 
della giustizia. 

Emerge dunque con evidenza da tale ricostruzione il carattere tassativo 
delle ipotesi eccezionali �di esonero dal dovere della testimonianza 
ora elencate nell'art. 351 cod. proc. pen. 

E si delinea ail.tres� con analoga chiarezza la regola valevole per 
tutti gli altri tipi ,di segreto professionale non considerati dall'art. 351 
cod. proc. pen. -non solo quindi per il segreto giornalistico -della 
non opponibilit� in sede processuale. Configurandosi, quindi la testimonianza 
sui fatti confidati non gi� come violazione, sibbene come giusta 
causa di rivelazione del segreto, che come tale esonera da qualsiasi responsabilit� 
anche giuridica. 

In tale contesto normativo -quale, del resto, anche dai pretori 
remittenti correttamente interpretato -si pone il problema di legittimit� 
della disciplina del segreto giornalistico, quanto alla sua mancata 
proiezione sul piano processuale. 

Dei profili di costituzionalit� prospettati, e di cui � innanzi fatto 
cenno, precede, in ordine logico, quello relativo alla ipotizzata violazione 
del precetto dell'eguaglianza. 

La questione cos� posta, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, 
non pu� dirsi, di per s� considerata, avere fondamento, poich� le situazioni 
comparate non sono eguali e neppure latamente omogenee, ma 
invece diverse sotto pi� profili, strutturali e funzionali. 

Ed, invero, gi� sul piano strutturale il segreto giornalistico si differenzia 
dai segreti elencati nell'iart. 351 cod. proc. pen., in quanto protegge 
la sola fonte e non anche la notizia: che anzi viene confidata al giornalista 
proprio perch� egli la divulghi. 

Di modo c~e l'eventuale riconoscimento di un diritto del giornalista 
a non rivelare anche in sede processuale l'identit� del confidente realizzerebbe 
una situazione ben diversa da quella prevista dall'art. 351 cit. 

Si avrebbe piuttosto un'assimilazione alla disciplina processuale del 

c.d. segreto di polizia di cui all'art. 349, ultimo comma, cod. proc. pen. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

42 

Per altro, le due situazioni -degli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, 
da un lato, e dei giornalisti professionisti e degli editori dall'altro resterebbero 
pur sempre differenti, sia per la diversit� degli interessi 
che si vorrebbero tutelare, sia perch� la disciplina del segreto di polizia 
� caratterizzata dal divieto di acquisizione della notizia di cui non si intende 
rivelare la fonte, mentre, nel caso del giornalista, la notizia normalmente 
� gi� stata divulgata. 

Anche sotto il profilo funzionale non ha consistenza il paragone del 
segreto giornalistico con i casi previsti dall'art. 351 cod. proc. pen. 

In questi si riscontra, come si � accennato, la considerazione della 
esigenza di riservatezza in correlazione a quella del soddisfacimento di 
interessi fondamentali di chi fornisce la notizia; ;nel senso che la conoscenza 
di questa � strumentale per la prestazione in favore di colui che 
ne ha bisogno. Il quale non potrebbe non confidarsi senza sacrificare di 
regola interessi costituzionalmente garantiti. E la normativa in esame 
� appunto dettata per assicurare in pari tempo il soddisfacimento di 
questi ultimi e la tutela della riservatezza. 

Il segreto giornalistico, invece, non coinvolge esigenze del genere. 

L'informazione del confidente non ha carattere strumentale nell'ambito 
di un rapporto avente per oggetto prestazioni che il giornalista debba 
fornirgli, ma tende al miglioramento delle possibilit� informative, presenti 
e future, di chi la notizia raccoglie. 

Di fronte a tali plurimi elementi di diversificazione, non pu� dirsi 
di per s� irrazionale la diversit� di tutela sul piano processuale tra 
il segreto giornalistico e gli altri segreti previsti nell'art. 351 cit. 

Quanto al rilievo dei pretori di Roma e Cagliari -che il diritto 
di informarsi, quale presupposto della libert� di manifestazione del 
pensiero, alla cui pi� completa attuazione il segreto giornalistico appare 
finalizzato, si pone, rispetto all'esigenza contrapposta di giustizia, con 
peso non minore di quello attribuibile agli interessi relativi ai segreti 
tutelati dall'art. 351 cod. proc. pen. -� da osservare che il problema, 
cos� posto, non pu� essere visto se non in correlazione al ruolo del 
segreto giornalistico rispetto al diritto di informazione ed alla posizione 
di quest'ultimo nel giudizio di bilanciamento con l'interesse della giustizia. 
Vale a dire con riguardo all'ulteriore profilo di costituzionalit� 
relativo all'asserita violazione dell'art. 21 della Costituzione. 

In quest'ottica viene appunto prospettato che il segreto giornalistico 
trovi Ja sua copertura nel diritto all'informazione, presupposto della 
libert� di manifestazione del pensiero, in quanto destinato ad ampliare 
i canali informativi ed a garantire le condizioni migliori per la loro 
continuit� e fluidit�. 

In considerazione di tale copertura costituzionale, collegata per di 
pi� ad un valore cardine del sistema democratico, il principio di segretezza 
si collocherebbe nella specie su un piano superiore rispetto alle esi



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

genze di giustizia; ove alternativamente non si ritenga che la funzione 
di informazione assolta dall� stampa -ed appunto agevolata dal meccanismo 
di tutela dell'anonimato delle fonti fiduciarie -si ponga rispetto 
alla detta funzione di giustizia in rapporto non di antagonismo 
ma di collaborazione. 

In ogni caso, prevalente o coordinato che sia con l'interesse di giustizia, 
il diritto all'informazione, aspetto della pi� ampia libert� garantita 
dall'art. 21 della Costituzione, resterebb� vulnerato ove il segreto giornalistico 
non ricevesse riconoscimento e tutela in sede processuale, in deroga 
al dovere di cui all'art. 348 cod. proc. pen. 

Anche sotto tale profilo la questione non � fondata. 

Non si vuole invero disconoscere l'esistenza di una vera e propria 
libert� di cronaca dei giornalisti (comprensiva dell'acquisizione delle 
notizie) e di un comune interesse all'informazione, quale risvolto passivo 
della libert� di manifestazione del pensiero (sul che v. gi� implicitamente 
le decisioni di questa Corte n. 105 del 1972; 225 del 1974; 94 del 
1977), n� il ruolo (anch' esso gi� posto in luce: nelle sentenze n. 172 del 
1972 e 122 del 1970) svolto dalla stampa come strumento essenziale di 
quella libert�; che �, a sua volta, cardine del regime di democrazia 
garantito dalla Costituzione. 

Sta di fatto, per�, che J'interesse protetto dall'art. 21 della Costituzione 
non � in astratto superiore a quello parimenti fondamentale della 
giustizia: nei cui confronti � stato anzi ritenuto cedevole nelle concrete 
situazioni giuridiche esaminate dalla precedenti sentenze n. 25 del 1965 
e n. 18 del 1966. 

Di talch�, nel conflitto tra tali due istanze (conflitto non certo denegabile 
nel momento in cui l'accertamento della verit� di dati fatti � 
suscettibile di essere ostacolato se non impedito dal segreto che potesse 
essere mantenuto dal giornalista sulla fonte di notizie in suo possesso 
in ordine ai fatti stessi), deve essere appunto il legislatore nella sua 
discrezionalit� a realizzare la ragionevole ed equilibrata composizione 
degli opposti interessi. 

Spetta, cio� al legislatore valutare se il segreto giornalistico sia 
talmente essenziale o di effettiva utilit� strumentale alle esigenze dell'informazione 
al punto da prevalere -e in quali limiti -sugli interessi 
della giustizia, tanto pi� che tra questi va considerato, oltre J'interesse 
all'accertamento della verit�, anche quello alla difesa da parte dei 
soggetti attinti dalle notizie divulgate, e che, per altro verso, le esigenze 
dell'informazione involgono anche un interesse alla controllabilit� delle 
notizie giornalistiche sia da parte dei lettori che degli altri operatori 
della stampa, la cui possibilit� di concorrente accesso alle notizie stesse 
� condizione di un effettivo pluralismo dell'informazione. 

Pertanto le questioni sollevate non sono fondate, n� con riguardo 
all'art. 3 n� all'art. 21 della Costituzione. 


44 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

P. Q. M. 
dichiara non fondate le questioni (...) di legittimit� costituzionale: 

-del combinato disposto degli articoli 2 della legge 3 febbraio 1963, 

n. 69 (Ordinamento della professione di giornalista), 348, secondo comma, 
e 351 del codice di procedura penale, �nella parte in cui esclude il 
giornalista dall'esenzione di testimoniare �, in riferimento all'art. 21 della 
Costituzione; 
-dell'art. 351 cod. proc. pen., � nella parte in cui non enumera fra 
le persone che hanno il diritto di astenersi dal testimoniare i giornalisti 
e gli editori�, in riferimento agli articoli 3 e 21 della Costituzione; 

-dell'art. 372 codice penale, � nella parte in cui punisce chi, avendo 
diffuso notizie attraverso la stampa ed altri mezzi di comunicazione, 
si rifiuta di deporre sulla fonte di quelle notizie�, in riferimento all'art. 
21 della Costituzione. 

CORTE COSTITUZIONALE, 28 gennaio 1981, n. 2 -Pres. Amadei -Rei. 
Bucciarelli Ducci. Pacco (n.p.). 

Ordinamento giudiziario -Ausiliari del magistrato -Tutela della indipendenza 
-Non si estende. 
(Cost. art. 108; legge 1� dicembre 1956. n. 1426, artt. 2, 3 e 4). 

La tutela dell'indipendenza dei giudici sancita dall'art. 108 non si 
estende agli ausiliari del magistrato, applicandosi invece solo a quegli 
� estranei � che siano chiamati a partecipare alla funzione giurisdizionale 
(come ad esempio i componenti �laici� delle corti d'assise, dei tribunali 
dei minorenni, delle sezioni specializzate agrarie, ecc.) (1). 

CORTE COSTITUZIONALE, 28 gennaio 1981, n. 4 -Pres. Amadei -Rei. 
La Pergola-Torlonia (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato 
Azzariti). 

Propriet� -Immobili adibiti ad albergo, pensione o locanda -Vincolo alberghiero 
-Compatibilit� con la Costituzione -Proroga ex art. 5 del d.l. 
27 giugno 1967, n. 460 -Irragionevolezza. 
(Cost., art. 3; d.1. 27 giugno 1967, n. 460, art. 5). 

(1) Il principio affermato dalla Corte (con riguardo ai consulenti tecnici, 
agli interpreti e ai traduttori) conduce a superare le perplessit� da taluno manifestate 
in ordine alla legittimit� costituzionale di quelle disposizioni che -specie 
nei processi amministrativi e tributari -consentono al giudice di avvalersi, 
ai fini istruttori, dell'operato di organi della amministrazione. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Sconfina oltre il ragionevole esercizio della discrezionalit� legislativa 
un'ulteriore proroga di vincolo alberghiero disposta in epoca nella 
quale erano venute meno le esigenze che avevano giustificato l'introduzione 
del vincolo stesso; l'art. 5 del d.l. 27 giugno 1967, n. 460, convertito 
nella legge 28 luglio 1967, n. 628, contrasta con l'art. 3 Cast. 

(omissis) Quale esso � configurato nella legislazione che lo ha originariamente 
previsto ed � stata successivamente prorogata, il vincoJo 
in questione grava sugli immobili adibiti ad albergo per destinazione del 
proprietario o per concessione risultante dal contratto d'affitto; tale 
destinazione � fissata dalla legge col prescrivere che l'immobile non possa 
essere n� venduto n� dato in locazione per uso diverso da quello 
alberghiero senza l'autorizzazione degli organi competenti, l'autorizzazione 
� concessa solo se risulti accertato che la destinazione alberghiera 
non sia necessaria alle esigenze del movimento turistico (analoga disposizione 
� dettata per il caso, contemplato nell'art. 2 del r.d.l. 16 giugno 
1938, n. 1280, in cui l'albergo si trovi in un edificio che non abbia 
prevalente destinazione alberghiera); dove si accerta, invece, che la destinazione 
alberghiera � necessaria per i fini considerati dalla legge, la 
pubblica autorit�, alla quale compete la suddetta autorizzazione, viene 

� investita di altri poteri, diretti ad assicurare che ogni eventuale trasferimento 
o locazione dell'immobile avvenga nel rispetto del regime vincolistico. 
Sempre in conformit� degli intenti perseguiti dal legislatore, locatori 
e locatari degli immobili interamente o prevalentemente destinati 
ad aJbergo sono, dal canto loro, assoggettati ad oneri di vario contenuto. 

Ora, nell'ordinanza di rinvio non si nega -al contrario, si riconosce 
pienamente -che l'incidenza della disciplina test� descritta nella sfera 
spettante all'iniziativa economica o alla propriet� privata possa trovare 
qualche idoneo supporto nella Costituzione. La previsione del vincolo alberghiero 
-ritiene, precisamente, il giudice a quo -sarebbe, per un 
verso, riconducibile ai programmi e ai controlli che la Jegge determina, 
ai sensi dell'art. 41, terzo comma, Cost., per indirizzare l'attivit� economica, 
non importa se pubblica o privata, e coordinarla ai fini sociali; 
per altro verso -se si guarda all'immobile adibito ad albergo non 
gi� �come elemento dell'azienda alberghiera�, ma come <<bene in s� 
considerato, rispetto al proprietario � -saremmo di fronte ad un limite 
del tipo prefigurato dall'art. 42, secondo comma, Cost., che serve a garantire 
ed attuare la funzione sociale della propriet�. Simili configurazioni 
verrebbero, del resto, suffragate dal grande ed evidente rilievo socioeconomico 
dell'industria alberghiera, indispensabile al turismo di qualit� 
e di massa, e al decisivo apporto che ne consegue per la bilancia valutaria. 
Le censure mosse alla norma in esame s'incentrano invece sulla 
violazione dell'art. 3, primo comma, Cost. A questo proposito, il giudice 
a quo risale al punto in cui, nelle vicende della legislazione, le disposi



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

46 

zioni di proroga hanno, s�, mantenuto in vigore il precedente regime vincolistico, 
ma in un ambito pi� ridotto rispetto a quello dell'iniziale applicazione, 
lasciando ad esso sottoposti solo certi determinati immobili 
(nonch�, s'intende, i soggetti che di questi sono proprietari o affittuari), 

e d'altro canto eccettuandone tutti i rimanenti altri. Il criterio discretivo 
al riguardo adottato -sebbene, si dice, giustificato nel momento in 
cui � stato sancito dal legislatore -avrebbe, con l'evolvere delle circostanze, 
perduto il suo razionale fondamento. Questo, in definitiva, � 
anzi l'unico assunto sul quale la Corte debba pronunciarsi, giacch� necessariamente 
ed esclusivamente in base ad esso � anche argomentata 
la lesione degli altri parametri costituzionali invocati nell'ordinanza di 
rinvio. La disciplina del vincolo alberghiero -si assume invero -� 
rimessa al prudente apprezzamento del legislatore, che pu� e deve adeguarla 
al mutare delle condizioni di fatto; ci� -si osserva d'altra 
parte -sempre in aderenza ai canoni di utilit� pubblica e sociale, che 
ex articoli 41, terzo comma e 42, secondo comma, Cost. governano le 
limitazioni dell'iniziativa e della propriet� private. Ma, appunto, da questi 
canoni la norma censurata sarebbe venuta a divergere, sotto il riflesso 
dell'arbitrariet� della proroga, dedotta in riferimento all'art. 3, primo 
comma, Cost. (omissis) 

(omissis) Disposizioni di legge intervenute tra il decreto da ultimo~ 
citato (n. 117 del 1945) e il d.lg. Capo provvisorio dello Stato n. 424 del 
1946, accolgono, nel prevedere cospicue provvidenze a favore delle industrie 
turistiche, il principio -anch'esso, d'altronde, operante nell'esperienza 
legislativa pre-bellica -di istituire un vincolo alberghiero (venticinquennale, 
in questo caso, e soggetto a pubblicit�), sui fabbricati 
che fossero ricostituiti, costruiti, ed ampliati con i contributi statali 
(art. 16 r.d.lg. 29 maggio 1946, n. 452: cfr. art. 1 r.d.l. 6 giugno 1938, 

n. 1280). � un diverso approccio del legislatore al modo di vincolare 
l'uso dell'immobile, e di instaurare quel controllo sulla propriet� e l'iniziativa 
private, che costituisce il riflesso dell'interesse, e qui dello stesso 
aiuto pubblico, all'espansione e al miglioramento dei servizi turistici. 
Ora, il vincolo in questione sopravvive accanto alla coeva soluzione 
cos� adottata, e grava di un onere in pi� gli immobili che avevano 
in precedenza ricevuto la destinazione prescritta. Questo si spiega nelle 
circostanze del dopoguerra, e alla luce delle conseguenti scelte del 
legislatore, che la Corte ha ricordato -solo per la necessit� di non 
diminuire le ridotte ed insostituibili attrezzature turistiche allora esistenti. 
Ma una tale esigenza; pressante per quanto fosse a suo tempo, 
� venuta affievolendosi, a misura che si � FJ.ccresciuto ed ammodernato 
il patrimonio alberghiero; mentre la discriminazione introdotta nel regime 
vincolistico � troppo a lungo trascorsa da una proroga all'altra, 

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sconfinando oltre il ragionevole esercizio della discrezionalit� legislativa. t 
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SEZIONE SECONDA 

GIURISPRUDENZA COMUNITARIA 
E INTERNAZIONALE 


CORTE. DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 14 gennaio 1981, 
nella causa 140/79 -Pres. Mertens de Wilmars -Avv. Gen. Mayras Domanda 
di pronuncia pregiudiziale proposta dal Pretore di Castell'Arquato 
nella causa Chemial Farmaceutici S.p.A. (avv. Ubertazzi e Capelli) 
c. Daf S.p.A. Interv.: Governo italiano (avv. Stato Conti) e Commissione 
delle CC.BE. (ag. Abate). 

Comunit� europea -Libera circolazione delle merci -Disposizioni fiscali 
interne discriminatorie -Regime fiscale dell'alcool denaturato -Insussistenza. 
(Trattato e.E.E., art. 95; d.l. 6 ottobre 1948, n. 1200; d.l. 16 settembre 1955, n. 836; 

legge 18 agosto 1978, n. 506, art. 3). 

Non contrasta con l'art. 95, primo comma, del trattato C.E.E. un 
sistema fiscale che consista nel tassare l'alcool sintetico denaturato in 
misura maggiore dell'alcool di fermentazione denaturato, in funzione 
della materia prima e dei procedimenti impiegati per la fabbricazione 
dell'uno o dell'altro prodotto, purch� tali disposizioni siano applicate 
in maniera identica a queste due categorie di alcool originario degli 
altri Stati membri. L'applicazione di un siffatto sistema impositivo 
non pu� essere considerata come una protezione indiretta della produzione 
nazionale di alcool di fermentazione, ai sensi dell'art. 95, secondo 
comma, per il solo fatto che essa ha come conseguenza che il prodotto 
tassato in misura maggiore �, in pratica, un prodotto esclusivamente 
importato dagli altri Stati membri della Comunit� qualora, a causa della 
tassazione dell'acool sintetico, non abbia potuto svilupparsi nel territorio 
nazionale una produzione redditizia di questo tipo di alcool (1). 

(omissis) 1. -Con ordinanza 6 settembre 1979, pervenuta in cancelleria 
il 10 settembre successivo, il Pretore di Castell'Arquato ha sottoposto 
alla Corte di giustizia due questioni relative all'interpretazione 

(lJ Nello stesso senso la sentenza in pari data nella causa 46/80, S. A. VINAL 

c. s. A. 0RBAT. 
Nel commentare la sentenza della Corte di Giustizia del 27 febbraio 1980 
nella causa 169/78 (in questa Rassegna, 1980, I, 272), si osserv� che appariva necessario 
un ulteriore approfondimento della questione relativa alla determinazione 
dei criteri in base ai quali pu� ritenersi conforme ai principi dell'art. 95 del 



48 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

dell'art. 95 del Trattato C.E.E., al fine di poter valutare la compatibilit� 
con gli imperativi del Trattato del regime d'imposizione diferenziata 
applicato, in forza del decreto legge 6 ottobre 1948, n. 1200, modificato 
dal decreto legge 16 settembre 1955, n. 836, e dell'art. 3 della legge 
18 agosto 1978, n. 506, all'acool etilico sintetico denaturato e all'acool etilico 
di fermentazione denaturato. 

2. -Dette questioni sono state sollevate nell'ambito di una causa 
civile vertente sull'esecuzione di un contratto stipulato il 18-27 luglio 1978 
fra l'attrice, la S.p.A. Chemial Farmaceutici, ed un'impresa produttriceimportatrice 
di alcool, la S.p.A. DAF, e avente ad oggetto la fornitura 
di una partita di alcool sintetico denaturato importato. 
3. -Risulta dal fascicolo che nel luglio 1978 la Chemial ordinava 
alla DAF un piccolo quantitativo di alcool sintetico denaturato. La DAF 
attirava l'attenzione della Chemial sul fatto che l'acool di sintesi era 
soggetto a un diritto erariale speciale di L. 6.000 l'ettanidro, mentre 
sull'alcool di fermentazione da essa prodotto, perfettamente fungibile 
con l'alcool sintetico richiesto, gravava un diritto erariale di sole 1.000 
lire l'ettanidro. Poich�, tuttavia, la Chemial insisteva nel chiedere, per 
ragioni tecniche, alcool di origine sintetica, la DAF le offriva, con lettera 
18 luglio 1978, tale merce al �prezzo (di) Lire 30.000 per ettanidro comprensivo 
del Diritto Erariale Speciale (Lire 6.000 per ettanidro) �. La 
Chemial accettava l'offerta con lett�ra 27 luglio 1978, in cui si faceva 
riferimento al �prezzo Lit. 30.000 per ettanidro comprensivo del Diritto 
Erariale Speciale�. In base al contratto, la merce andava ritirata entro il 
15 settembre 1978. 
trattato CEE un regime fiscale che, in luogo di stabilire, per un determinato prodotto, 
un'aliquota unica e indifferenziata, preveda aliquote discriminate in funzione, 
ad esempio, della materia prima impiegata o dei procedimenti di fabbricazione. 


La sentenza in rassegna offre un contributo di rilevante importanza al definitivo 
chiarimento del problema. 

Viene ribadito, anzitutto, in termini nettissimi, che il diritto comunitario 
non limita la libert� di ciascuno Stato membro di istituire sistemi impositivi differenziati 
per taluni prodotti in funzione di criteri obiettivi, come le condizioni di 
produzione e i componenti impiegati. 

Un sistema di questo genere pu�, peraltro, risultare incompatibile, in singoli 
casi, con l'ordinamento della Comunit�. Ma ci� pu� accadere soltanto se esso 
persegue scopi di politica economica in conflitto con specifici imperativi del 
trattato o del diritto derivato, ovvero se esso sia tale, per le sue concrete modalit� 
di applicazione, da realizzare, in maniera diretta o indiretta, una forma di 
discriminazione nei confronti dei prodotti importati dagli altri Stati membri, 
ovvero una forma di protezione dei prodotti nazionali concorrenti. 

Applicando tali principi al caso di specie, � stato riconosciuto, per quanto 
attiene al primo punto, che la scelta del legislatore italiano di incentivare la disti!




PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

49 

4. -� assodato che, con la legge 18 agosto 1978, il diritto erariale 
sull'alcool sintetico denaturato veniva aumentato a 12.000 lire l'ettanidro. 
Con lettera 7 settembre 1978, la DAF ne informava la Chemial, 
pregandola di considerare annullata l'offerta del 18 luglio 1978, a meno 
che non intendesse sobbarcarsi l'onere della maggiore imposta. La Chemial 
insisteva per l'esecuzione del contratto secondo i termini convenuti, 
rilevando che l'aumerrto dell'imposta, trattandosi nella fattispecie di 
alcool sintetico importato, era illegittimo perch� contrastante con le disposizioni 
della Comunit� Europea. Successivamente, essa esperiva dinanzi 
al giudice civile competente un'azione intesa ad ottenere l'esecuzione 
del contratto. 
5. -Dinanzi al giudice nazionale, la Chemial sviluppava gli argomenti 
relativi all'asserita incompatibilit� dell'imposta controversa con 
il Trattato C.E.E., richiamandosi in particolare alla sentenza della Corte 
10 ottobre 1978 (causa 148/77, Hansen & Balle; Racc. pag. 1787). La DAF 
si difendeva sostenendo che, siccome il contratto poneva espressamente 
l'onere tributario a carico del compratore, quest'ultimo doveva, secondo 
i termini convenuti, sopportare qualsiasi aumento intervenuto tra la 
conclusione e l'esecuzione del contratto. Quanto all'asserita illegittimit� 
della riscossione dell'imposta di cui trattasi, la DAF sottolineava che 
toccava alla Chemial dedurre tale illegittimit� dinanzi alle autorit� competenti 
onde ottenere il rimborso del tributo. 
6. -Il Pretore, dopo aver constatato la differenza di trattamento 
fiscale istituita dalla legge italiana tra l'acool sintetico, prodotto importato 
che non viene fabbricato in misura rilevante in Italia e, l'alcool 
!azione dei prodotti agricoli rispetto alla fabbricazione di alcool sintetico (a base 
di derivati del petrolio) non contrasta con alcuna norma del diritto comunitario, 
n� con le esigenze di alcuna politica decisa nell'ambito della Comunit�. 

Per quanto attiene, poi, al secondo punto, � da sottolineare partic�larmente 
l'affermazione della Corte secondo cui non pu� dedursi il carattere discriminatorio 

o protezionistico di un sistema di tassazione ad aliquote differenziate dalla semplice 
circostanza che, all'interno, il prodotto tassato in maniera pi� onerosa non 
venga di fatto fabbricato. Tale circostanza, infatti, pu� ben costituire (come nella 
specie costituisce) il semplice effetto di legittime scelte di politica economica 
attuale per mezzo dello strumento fiscale. Ed �, evidentemente, da escludere che 
la legittimit� o la illegittimit� di una misura fiscale possa dipendere dal successo 
odall'insuccesso della manovra di politica economica nella quale la misura stessa 
si inserisce. Sarebbe veramente paradossale, infatti, assumere che un certo regime 
di tassazione volto a disincentivare una determinata produzione sia legittimo 
soltanto se fallisca almeno in parte il suo scopo, ossia se lascia sussistere una 
notevole parte della produzione che s'intendeva ostacolare. 
La disposizione dell'art. 95 del trattato certamente esclude che uno Stato 
membro possa imporre un tributo pi� elevato su gruppi di prodotti che, per 
ragioni oggettive (naturali, climatiche, tecniche o d'altro genere), siano di impos




RASSEGNA DELL'AVVOCATURA J>ELLO STATO 

di fermentazione, ha considerato che la soluzione preliminare della questione 
relativa alla compatibilit� di detta legge con il Trattato C.E.E. 
pu� avere importanza determinante ai fini della decisione della causa 
dinanzi ad esso pendente. Esso ha pertanto deciso di sottoporre alla 
Corte due questioni pregiudiziali cos� formulate: 

1) A. Se l'art. 95, primo comma, del Trattato di Roma, debba 
essere interpertato in modo da far ritenere illecito, e quindi vietato, un 
sistema di tassazione nazionale che preveda l'applicazione, su un prodotto 
importato dalla C.E.E. (alcool etilico sintetico esclusivamente destinato, 
dopo la sua denaturazione, ad uso chimico-industriale e quindi non atto 
all'alimentazione umana) di una tassa speciale di gran lunga superiore 
a quella applicata su un prodotto nazionale avente uguali caratteristiche 
e la stessa posizione doganale (22.08/300) (alcool etilico di fermentazione, 
ugualmente destinato dopo la sua denaturazione ad uso chimicoindustriale 
e non atto all'alimentazione umana) per il solo fatto che la 
materia prima, da cui i due tipi di alcool sono rispettivamente estratti, 
� diversa e quindi diverso il metodo di estrazione. 

B. Se l'eventuale illegittimit� segnalata nel quesito di cui sopra, 
sussista anche se il sistema di tassazione nazionale non colpisca teoricamente 
in modo discriminatorio lo stesso prodotto con riferimento alla 
materia prima da cui � estratto, per cui sia l'alcool etilico sintetico di 
importazione sia quello di produzione nazionale sono tassati nella stessa 
misura, e analogamente, tanto l'alcool etilico di fermetazione importato 
quanto quello di produzione nazionale dovrebbero scontare la medesima 
tassa. 
sibile o difficilissima fabbricazione nel proprio territorio. L'introduzione, nella 
classificazione fiscale, di una sottocategoria di questo genere potrebbe effettivamente 
giustificare un'accusa di discriminazione illecita. Ma ci� riguarda, appunto, 
il solo caso di produzioni obiettivarrfonte impossibili, per ragioni tecniche o anche 
soltanto economiche. In ogni caso deve restar fermo, invece, che, poich� l'art. 95 
non limita l'autonomia fiscale degli Stati membri, questi ben possono riservare 
un diverso trattamento a prodotti (tutti di potenziale o effettiva produzione nazionale) 
che possano considerarsi fra loro identici o similari. Ci� pu� costituire, 
infatti, lo strumento di una legittima manovra di politica economica, intesa a 
distinguere, fra le varie possibili produzioni nazionali, quelle da aiutare e quelle, 
invece, da disincentivare. Naturalmente, poi, il concreto conseguimento dello 
scopo perseguito, e cio� l'effettivo rarefarsi della produzione disincentivata nop 
pu� tradursi in un motivo di critica per il sistema o di accusa di discriminazione. 
� ben chiaro, infatti, che l'imposizione differenziata ostacola, in primo luogo, 
proprio la possibile produzione nazionale e, quindi, non crea alcun problema di 
parit� di trattamento con la prodt�Zione di altri Paesi comunitari, che viene ad 
incontrare, nel suo tentativo di penetrare nel mercato interno, lo stesso identico 
ostacolo che incontra la corrispondente produzione nazionale, e non un ostacolo 
pi� elevato o, comunque, pi� oneroso. 

M. CONTI 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

2) In caso di risposta negativa aJ quesito n. 1 e in via subordinata, 
se l'art. 95, secondo comma, del Trattato di Roma, debba essere interpretato 
in modo da far ritenere i1lecito e quindi vietato -perch� protettivo 
della produzione nazionale ai danni di quella comunitaria un 
sistema nazionaile di tassazione applicato secondo i criteri di cui al 
aJ quesito n. 1 e sui prodotti menzionati in detto quesito, tenuto conto 
che il prodotto pi� gravemente tassato (alcool etilico sintetico) viene 
esclusivamente importato da~i altri Paesi della C.E.E., mentre quello 
meno tassato (alcool etilico di fermentazione) viene prodotto in Italia 
ed � in concorrenza con il primo. (omissis) 

(omissis) 10. -L'attrice nella causa principale assume che l'applicazione 
di un'aliquota d'imposta differenziata all'alcool di fermentazione 
e, rispettivamente, all'alcool sintetico il quale, in assenza di qualsiasi 
produzione in Itailia, viene esclusivamente importato, costituisce una manifesta 
discriminazione fiscale, vietata dall'art. 95 del Trattato. In effetti, 
si tratterebbe di prodotti non solo similari ai sensi di detto articolo, 
ma addirittura identici e quindi fungibili, di guisa da poter essere 
usati l'uno al posto dell'altro senza alcuna difficolt�. Secondo l'attrice, 
tale trattamento fiscaile differenziato � stato istituito dalla legge italiana 
unicamente per servire una politica protezionistica incompatibile con il 
mercato comune. Essa ricorda a questo proposito il criterio stabilito 
dalla Corte nella sentenza 17 febbraio 1976 (causa 45/75, Rewe-Zentrale; 
Racc. pag. 181), nella quale � dichiarato che il rapporto di similarit�, ai 
sensi de11'art. 95, sussiste tra i prodotti che �nella stessa fase produttiva 

o distributiva, [...] abbian,o agli occhi del consumatore propriet� analoghe 
e rispondano alle medesime esigenze �. 
11. -Il punto di vista de11'attrice � condiviso dalla Commissione, 
secondo cui i due tipi di cui trattasi, nonostante fa loro diversa origine 
-l'alcool sintetico deriva, in particolare, dal petrolio, mentre ~'alcool 
di fermentazione si ottiene mediante distillazione di prodotti del suolo 
(cereali, vino, frutta, patate, barbabietole e melasse) -sono chimicamente 
identici e perfettamente fungibili. Questi due prodotti sarebbero 
pertanto non solo similari, ma addirittura identici tra loro sotto il profilo 
dei bisogni ch'essi sono idonei a soddisfare. Entrambi i tipi d'alcool 
sarebbero peraltro compresi nella stessa sottovoce doganale, 22.08 A, con la 
designazione �alcool etilico denaturato di qualsiasi gradazione�. La differenza 
nell'aliquota d'imposta contemplata dalla Jegge italiana per l'alcool 
sintetico denaturato, da un lato, e l'alcool di fermentazione denaturato, 
dall'altro, avrebbe l'effetto, poich� in Italia non si produce alcool 
sintetico, di impedire praticamente I'importazione di questo prodotto dagli 
altri Stati membri e di privilegiare direttamente la produzione nazionale 
di alcool di fermentazione. La Commissione ritiene pertanto che 
l'alcool sintetico denaturato importato dagli altri Stati membri dovrebbe, 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

52 

in quanto prodotto simhle all'alcool di fermentazione denaturato, fruire 
della stessa aliquota d'imposta applicata a quest'ultimo. 

12. -Il Governo italiano ricorda che, in numerose sentenze, la Corte 
ha dichiarato che gli stati membri possono istituire sistemi impositivi 
differenziati, anche per prodotti identici, in funzione di criteri obiettivi, 
come Ie condizioni di produzione e le materie prime impiegate (sentenza 
22 giugno 1976, causa 127/75, Bobie, Racc. pag. 1079; sentenza 
10 ottobre 1978, causa 148/77, Hansen, Race, pag. 1787; sentenza 8 gennaio 
1980, causa 21/79, Commissione e/ Italia, Racc. pag. 8). Secondo la 
giurisprudenza della Corte, siffatti regimi sarebbero compatibili col Trattato 
se stabiliti in funzione di elementi oggettivi e privi di carattere discriminatorio 
o protezionistico. 
13. ::__ Orbene, il regime contestato dinanzi al giudice nazionale 
avrebbe tali requisiti. Infatti, l'imposizione differenziata dell'alcool sintetico 
e dell'ailcool di fermentazione in Italia sarebbe dovuta ad una scelta 
economica consistente nel favorire la produzione di alcool ottenuto da 
prodotti agricoli, e, correlativamente, nel frenare la trasformazione in 
alcool dell'etilene, derivato del petrolio, allo scopo. di riservare questa 
materia prima ad altri impieghi economici prioritari. Si tratterebbe pertanto 
di U111a legittima �scelta di politica economica, realizzata mediante lo 
strumento fiscale. L'attuazione di questa politica non provocherebbe alcuna 
discriminazione, poich�, se ha l'effetto di scoraggiare fimportazione 
in Italia di alcool sintetico, ha nel contempo come conseguenza d'impedire 
lo sviluppo nell'Italia stessa, della produzione di alcool a base di 
etilene la quale, dai! punto cli vista tecnico, sarebbe del tutto possibile. 
14. -Come la Corte ha ripetutamente affermato, in particolare nelle 
sentenze citate dal Governo italiano, i,l diritto comunitario non limita, 
nello stadio attuale della sua evoluzione, fa libert� di ciascuno Stato membro 
di istituire sistemi impositivi differenziati per taluni prodotti in funzione 
di criteri obiettivi, quali la natura delle materie prime impiegate o i 
procedimenti di fabbricazione seguiti. Siffatte differenziazioni sono compatibili 
col 1diritto comunitario purch� perseguano scopi di politica economica 
compatibili, anch'essi, con gli imperativi del Trattato e del diritto 
derivato e le loro modalit� siano tali da evitare qualsiasi forma di discriminazione, 
diretta e indiretta, nei confronti dei prodotti importati dagli 
altri Stati membri, e di protezione a favore di prodotti nazionali concorrenti. 
15. -Un'imposizione differenziata come quella applicata in Italia all'alcool 
denaturato, da un fato, e all'alcool di fermentazione denaturato, 
dall'altro, soddisfa tali condizioni. Risulta infatti che questo regime fi

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

scale persegue un legittimo scopo di politica industriale, in quanto � idoneo 
ad incentivare la distillazione di prodotti agricoli rispetto a1la fabbricazione 
di alcool a_base idi derivati del petrolio. Tale scelta non contrasta 
n� con le norme del diritto comunitario n� con le esigenze di una 
politica decisa nell'ambito della Comunit�. 

16. -Le modalit� della normativa contestata dinanzi al giudice nazionale 
non possono essere considerate discriminatorie sia perch� non � 
contestato che l'alcool di fermentazione importato dagli altri Stati membri 
gode dello stesso trattamento fiscale riservato all'alcool di fermentazione 
italiano, sia perch� l'aliquota d'imposta contemplata per l'alcool 
sintetico, se ha a'effetto di frenare l'importazione di questo prodotto dagli 
altri Stati membri, produce un effetto economico equivalente nel territorio 
nazionale in quanto frena del pari la creazione di una produzione redditizia 
del medesimo prodotto da parte dell'industria italiana. 
17. -Le questioni sollevate dal giudice nazionale Van!l.10 pertanto risolte 
nel senso che non contrasta con l'art. 95, 1� comma, dcl Trattato CEE, 
un sistema fiscale che consista nel tassare l'alcool sintetico denaturato 
in misura maggiore dell'alcool di fermentazione denaturato, in funzione 
della materia prima e dei procedimenti impiegati per fa fabbricazione dell'uno 
e dehl'altro prodotto, purch� tali disposizioni siano applicate in maniera 
identica a queste due categorie di alcool originario degli altri Stati 
membri. 
18. -L'applicazione di un siffatto sistema impositivo non pu� essere 
considerata come una protezione indiretta della produzione nazionale 
di alcool di fermentazione, ai sensi dell'art. 95, secondo comma, per il 
solo fatto che essa ha come conseguenza che il prodotto tassato in misura 
maggiore �, in pratica, un prodotto esclusivamente importato dagli altri 
Stati membri de1la Comunit� qualora, a causa della tassazione dell'alcool 
sintetico, non abbia potuto svilupparsi nel territorio nazionale una 
produzione redditizia di questo tipo di alcool. (omissis) 

SEZIONE TERZA 
GIURISPRUDENZA 
SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 
SEZIONE TERZA 
GIURISPRUDENZA 
SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 
I 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 14 giugno 1980, n. 3805 -Pres. Rossi -
Rel. Buffoni -P. M. Silocchi (cono!. parz. diff.). Ministero del Lavoro 
e della Previdenza Sociale (avv. Stato Ferri) De Monaco Abaldo (avv. 
Pasini) ed Ente italiano di servizio sociale. 

Competenza civile -Divieto di intermediazione nei rapporti di lavoro Pretesa 
del lavoratore in ordine all'applicazione, nei confronti di 
Amministrazione dello Stato, delle disposizioni della legge 23 ottobre 
1960, n. 1369 -Improponibilit� della domanda per difetto assoluto di 
giurisdizione. 
(Regolamento di giurisdizione). 

E' improponibile per difetto assoluto di giurisdizione la domanda del 
lavoratore tendente ad ottenere l'applicazione delle sanzioni previste dall'art. 
1 ovvero dell'art. 3 della legge 23 ottobre 1960, n. 1369, nei confronti 
di Amministrazione dello Stato �. 

Il divieto di interposizione nei rapporti di lavoro nei riguardi delle Amministrazioni 
dello Stato. 

1. -Confermando con una norma di pi� ampia portata e con pi� efficaci 
sanzioni il divieto della interposizione ed intermediazione nei rapporti di lavoro, 
gi� posto dall'art. 2127 del cod. civ., l'art. 1 della legge 23 ottobre 1960, n. 1369, 
considera varie ipotesi di affidamento in appalto, subappalto ed in qualsiasi altra 
forma dell'esecuzione di mere prestazioni di lavoro, ed indica quale elemento 
rivelatore della interposizione fittizia nel rapporto l'impiego di capitali, macchine 
ed attrezzature fornite dal committente. 
Come riconosce la Corte di Cassazione nella sentenza di cui sopra sub 1, 
rimangono estranee alle previsioni della legge le amministrazioni dello Stato, 
nei confronti delle quali � improponibile, per difetto assoluto di giurisdizione, la 
domanda del lavoratore tendente ad ottenere l'applicazione delle sanzioni previste 
dall'ultimo comma dell'art. 3 della legge medesima. Invero, il terzo comma 
dell'art. 1 estende l'applicazione delle � disposizioni dei precedenti commi � soltanto 
alle �aziende dello Stato� ed agli altri Enti pubblici, �anche se gestiti in 
forma autonoma�. 

Appare discutibile se tale estensione � alle disposizioni dei precedenti commi 
� e facendo � salvo quanto disposto dal successivo articolo 8 � comprenda la 
sanzione prevista dall'ultimo comma dello stesso art. 1 che dispone che i lavoratori 
occupati in violazione della norma vengano � considerati, a tutti gli effetti, 
alle dipendenze dell'imprenditore che effettivamente abbia utilizzato le loro pre




PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTION! DI GIURISDIZIONE 

55 

Il 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 22 luglio 1980, n. 4789 -Pres. Novelli -
Rel. Vela -P. M. Berri (concl. conf.) -Azienda autonoma delle Ferrovie 
dello Stato (avv. Stato Sernicola) c. Caleo ed altri (avv: Tiby) e 
nei confronti della Soc. Cooperativa Navigazione Garibaldi (avv. Romanelli). 


Giurisdizione civile -Poteri della Corte di Cassazione in ordine alla interpretazione 
della domanda giudiziale -Azienda autonoma dello Stato Violazione 
del divieto di intermediazione nei rapporti di lavoro -Pretesa 
del lavoratore di esser considerato quale dipendente dell'Azienda Giurisdizione 
del giudice amministrativo -Mancanza di una specifica 
domanda in tal senso -Giurisdizione del giudice ordinario. 
(Regolamento di giurisdizione). 

In materia di giurisdizione la Corte di cassazione � giudice anche del 
fatto ed ha potere di valutare direttamente il comportamento processuale 
delle parti e di interpretarne le domande. � 

La pretesa del lavoratore che affermi di essere stato assunto in violazione 
del divieto previsto dall'art. 1 della legge 23 ottobre 1960, n. 1369, 
di essere considerato quale tiipendente da Azienda autonoma dello Stato 
rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo. 

stazioni �; ma l'interpretazione accolta dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione 
� nel senso che tale sanzione sia applicabile anche nei confronti delle Aziende 
autonome e degli enti suindicati (vedasi Cass., Sez. Un., 5 agosto 1974, n. 2330, in 
Foro it., 1974, I, 3334 e segg. e giurisp. in nota). 

2. -La cit. sentenza n. 2330 del 1974 aveva per� attribuito al giudice ordinario 
la cognizione delle controversie concernenti la violazione del divieto in considerazione 
da parte di ente pubblico e la conseguente pretesa dei lavoratori di esser 
considerati alle dirette dipendenze dell'ente. 
Tale orientamento � stato poi abbandonato dalle Sezioni Unite della Corte 
di Cassazione e con la sentenza del 1� ottobre 1979, n. 5019 (Giust. civ., .1980, I, 
pagg. 122 e segg.) � stata riconosciuta la giurisdizione del giudice amministrativo 
in ordine a domande del genere. 

Il nuovo indirizzo giurisprudenziale nella motivazione della cit. sentenza 

n. 5019 del 1979, viene giustificato con le seguenti considerazioni: 
-che, � ai fini della distinzione fra rapporto d'impiego pubblico e rapporto 
di lavoro privato in funzione di riparto delle giurisdizioni � ormai affermato il 
criterio secondo cui decisiva � la natura dell'ente datore di lavoro, non rilevando 
n� la forma dell'atto costitutivo del rapporto (provvedimento o atto negoziale), 
n� la disciplina del rapporto, che ben pu� essere privatistica senza che per questo 
il rapporto muti il carattere impressogli dall'essere parte di esso un ente (non 
economico) ... �; 

-che secondo le norme della legge sopra citata � il rapporto si costituisce 
[...] ope legis, e tale costituzione, anche se accertata giudizialmente a distanza di 



56 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la domanda del lavoratore 
dipendente da appaltatore di ottenere dalla appaltante da Azienda 
autonoma dello Stato il pagamento del corrispettivo dovuto per l'opera 
prestata ai sensi dell'art. 1676 cod. civ. 

III 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 22 ottobre 1980, n. 5684 -Pres. Rossi -
Rel. Santosuosso � P. M. Saja (concl. conf.) -Azienda autonoma delJe 
ferrovie dello Stato (avv. Stato De Francisci) c. Girandoli ed altri 
(avv. Paoli) e nei confronti de11a Soc. r.I. Cooperativa tra lavoratori 

� G. Tortiolo � (n.c.). 
Competenza civile � Giurisdizione ordinaria ed amministrativa -Impiego 
pubblico � Assunzione di lavoratore in violazione del divieto di !Intermediazione 
nel rapporto di lavoro � Azienda autonoma dello Stato Giurisdizione 
del giudice amministrat!lvo. 

Rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo la domanda di 
lavoratori inquadrati nei ruoli di azienda autonoma dello Stato, in conseguenza 
dell'assunzione da parte della medesima della gestione diretta di 
servizi prima affidati in appalto ad imprese private, tendente ad ottenere 
il riconoscimento nei confronti dell'Azienda, per l'asserita violazione del 
divieto di intermediazione nei rapporti di lavoro, del diritto ad ulteriori 
compensi per l'attivit� prestata prima dell'inquadramento alle dipendenze 
dell'impresa appaltatrice. 

tempo, deve ritenersi riferita al momento in cui � stato posto in essere il congegno 
elusivo del divieto di interposizione: invero, ci� che determina la costituzione 
del rapporto � la effettiva utilizzazione, da parte dell'interponente o appaltante, 
delle prestazioni svolte dai lavoratori occupati in violazione dei divieti posti 
dalla legge: e tale fatto viene da quello stesso momento [...] dalla legge valutato 
come idoneo a trasformare soggettivamente il rapporto, mediante sostituzione 
del datore di lavoro effettivo a quello apparente �; 

-che si tratta di un atto �di per s� neutro, ma ci� che conta � l'effetto 
legale da esso dipendente, e questo �, appunto, la costituzione di un rapporto 
di lavoro subordinato [...] alle dipendenze, nel caso, di un ente pubblico non 
economico �; 

-che a tale rapporto deve attribuirsi un carattere pubblicistico se attua 
una � inserzione del prestatore d'opera... nella organizzazione propria dell'ente� 
(e non �nell'eventuale impresa da esso gestita per perseguire fini esclusivamente 
economici�); �e ci� alla stregua della recente acquisizione, secondo cui elemento 
caratterizzante del rapJ?orto � apJ?unto l'inserimento del diJ;>endente nell'organizzazione 
J?Ubblicistica dell'ente, cos� abbandonandosi l'indirizzo che quell'elemento 
ravvisava nella correlazione tra la prestazione lavorativa e i fini istituzionali 
(Cass., 10 novembre 1977, n. 4838; 19 dicembre 1977, n. 5523) "� 

" Punto di arrivo di tale evoluzione -aggiunge la motivazione della c1t. sentenza 
-� l'abbandono, siccome incongruo e privo di una razionale giustificazione, 


PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 57 

IV 

PRETURA DI ROMA, Sez. Lav., 19 dicembre 1979 -Est. Curcuruto -Boccaccini 
ed altri (avv. Antonucci e Andreozzi) c. Soc. Magneti Marelli (avv. 
Trifir�, A.!lldreotti e Mancuso) ed Azienda Autonoma delle Fer:rovie dello 
Stato (avv. Sernicola). 

Competenza civile -Giurisdizione ordinaria ed amministrativa -Azienda 
autonoma dello Stato -Assunzione della gestione diretta di servizi 
prima affidati in appalto ad imprenditore privato ed inquadramento 
nei ruoli dell'Azienda dei lavoratori dipendenti dell'appaltatore Controversia 
tra lavoratori ed imprenditori concernenti le qualifiche 
da attribuire per il lavoro prestato prima dell'inquadramento -Intervento 
coatto dell'Azienda nel processo -Inammissibilit� dell'intervento 
non potendo la sentenza del giudice ordinario spiegare effetti sugli atti 
di inquadramento la cui illegittimit� potrebbe essere denunciata soltanto 
al giudice amministrativo. 

Rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo la pronunzia 
circa la legittimit� degli atti di inquadramento nei ruoli di azienda autonoma 
dello Stato, disposto in seguito all'assunzione da parte della medesima 
della gestione diretta di servizi prima affidati in appalto ad imprese 
private. 

E' inammissibile per difetto del requisito della comunanza della lite 
l'intervento coatto della predetta azienda nel giudizio che venga promosso 
dai lavoratori contro l'appaltatore per il riconoscimento del diritto a determinate 
qualifiche e maggiori retribuzioni per il lavoro prestato p_rima 
dell'inquadramento. 

del criterio discretivo della giurisdizione nelle controversie di pubblico impiego 
sulla base della forma dell'atto istitutivo del rapporto, per ritenere costituito 
il rapporto stesso quando questo abbia in concreto spiegato i suoi effetti attraverso 
le rispettive prestazioni, date e ricevute nell'ambito dell'organizzazione e 
per i fini pubblicistici dell'amministrazione (sent. 26 maggio 1979, n. 3070) �. 

3. -L'art. 8 della cit. legge n. 1369 del 1960 disponeva che con decreto del 
Presidente della Repubblica, su proposta dei Ministri per le finanze, per i trasporti, 
per le poste e le telecomunicazioni e per il lavoro e la previdenza sociale, 
sarebbero state emanate � le norme per la disciplina dell'impiego di manodopera 
negli appalti concessi dalle Amministrazioni autonome delle Ferrovie dello Stato, 
dei Monopoli di Stato e delle Poste e Telecomunicazioni [...], tenendo conto 
delle esigenze tecniche delle Amministrazioni stesse [...]. Con d.P .R. 22 settembre 
1961, n. 1192, � stata confermata l'estensione (art. 1) alle predette Amministrazioni 
del divieto di cui all'art. 1 della cit. legge del 1960 ed in relazione alla 
disposizione dell'art. 3 della medesima � stata prevista (art. 2 del d.P.R.) l'inserzione 
nei contratti di una particolare clausola che garantisca un equo trattamento 
ai lavoratori. 
Il legislatore ha poi proceduto ad una ricognizione della situazione concernente 
i vari servizi, prima affidati ad imprese appaltatrici, determinando quelli 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

I 

(omissis) La De Monaco sostiene che � estranea alla decisione di questo 
incidente la questione sollevata dal ricorrente in mdine a1l'interpretazione 
della 1legge 25 ottobre 1960, n. 1369, artt. 1 e 3 e quindi alla costituzione 
o meno di un rapporto di lavoro con 11 Ministero. Questo Collegio, 
secondo l'assunto della resistente, dovrebbe limitarsi a stabilire se il rapporto 
abbia natura pubblica o pri.vata in base alla situazione di fatto e di 
diritto da lei indicata. 

La tesi si riporta alla teoria della prospettazione che queste S.U. hanno 
da tempo abbandonato per adottare l'indirizzo secondo iJ quale la decisione 
della questione di giurisdizione � data dall'oggetto della domanda 
valutata con il criterio del c.d. petitum sostanziale, il quale esige la verifica 
della effettiva consistenza che la posizione soggettiva prospettata o il 
rapporto dedotto assumono nell'ordinamento giuri.dico. La prima fase 
della verifica riguarda la qualificabilit� della situazione soggettiva vantata 
come diritto o interesse ovvero la esistenza di una norma da cui possa 
sorgere il rapporto sul quale la domanda � fondata. Il risultato negativo di 
tale indagine si �risolve � nella constatazione della inesistenza di una 
qualsiasi astratta volont� di Jegge, che esclude ogni possibilit� per il 
giudice di estrarre una volont� concreta dall'ordinamento� sicch� la domanda 
� improponibile per assoluto diretto di giurisdizione. 

Pertanto la decisione da adottare in questa sede, passa, innanzi tutto, 
sul punto dell'applicabilit� dalla legge n. 1369/1960 allo Stato, applicabi1it� 
che il Ministero contesta con fondamento. 

che possono essere assunti � in gestione diretta� dall'Azienda autonoma delle 
ferrovie dello Stato (vedansi le leggi 29 ottobre 1971, n. 880, con l'allegata tabella 
contenente l'indicazione di 26 categorie di servizi; 7 gennaio 1974, n. 5, per il 
servizio di carica, manutenzione, ecc., di accumulatori; 6 giugno 1975, n. 197, per 
i lavori di manipolazione di traverse presso i cantieri delle ferrovie ed altri indicati 
dalla stessa legge; per la gestione di mense aziendali � stata, invece, ammessa 
la concessione a ditte private ovvero la gestione diretta od, infine, l'affidamento 
del . servizio alle sezioni del Dopolavoro ferroviario: art. 5 della legge 5 giugno 
1973, n. 348). 

In senso conforme al nuovo orientamento della giurisprudenza di cui sopra 
sub 2 la sentenza 22 ottobre 1980 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione 
ha cassato senza rinvio la impugnata sentenza del Tribunale di Firenze, dichiarando 
che rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo la domanda 
di lavoratori gi� dipendenti di Societ� cooperativa che eseguiva in appalto saldature 
di rotaie ed altri lavori (dei quali � stata poi assunta la gestione diretta 
prevista dalla cit. legge n. 180 del 1971) tendente ad ottenere ai sensi della 
cit. legge n. 1369 del 1960 la condanna dell'Azienda autonoma delle ferrovie 
dello Stato al pagamento di varie somme per retribuzioni ed indennit� dovute 
per il periodo anteriore all'inquadramento nei ruoli del personale dell'Azienda. 

Analogo criterio � enunciato nella motivazione della sentenza n. 4789 del 
22 luglio 19~0, emessa su ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, che 


PARTE I, SBZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

59 

Le norme direttamente coinvolte sono quelle dehl'art. 1 (in relazione 
alla domanda principale) e dell'art. 3 (in relazione alla subo:ridinata). 

La prima al quarto comma stabi.lisce che il divieto di intermediazione 
e di interposizione di cui ai precedenti comma, �si applica altres� aLla 
azienda dello Stato ed agli enti pubblici, anche se gestiti in fo11ma autonoma
�, ed al quinto comma dispone che i prestatori d'opera, occupati 
in violazione di tale divieto, � sono considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze 
de]l'imprenditore che effettivamente abbia utilizzato le loro 
prestazioni �. 

L'art. 3,con riferimento ad appalti leciti di opere o servizi, da eseguirsi 
all'interno delle aziende con organizzazione e gestione propria dell'appaltatore, 
prevede per i lavoratori da esso dipendenti un trattamento 
retributivo e normativo non inferiore a quello spettante ai 'dipendenti dell'imprenditore; 
e di questo e dell'appaltatore stabilisce la solidariet� per 
l'adempimento dei detti obblighi e di quelli derivanti dalle Jeggi di previdenza 
ed assistenza. 

Va premesso che, sebbene l'art. 3 non contenga una norma analoga 
a quella del quarto comma dell'art. 1, i destinatari della normativa in 
esame sono gli stessi. 

Va pure precisato che, diversamente da quanto sostiene hl ricorrente, 
il congegno di cui al quinto comma dello stesso art. 1, ha portata sanzionatoria 
del divieto posto in via generale (S.U., n. 2330/1974). 

Peraltro, l'applicazione indiscriminata del:le predette disposizioni a 
tutte le amministrazioni statali � esclusa dal chiaro testo legislativo. 

tuttavia riconosce la giurisdizione del giudice ordinario nella particolare fattispecie, 
escludendo, in seguito ad una interpetazione della domanda giudiziale, 
che nel giudizio sia stata chiesta l'applicazione della sanzione prevista dall'ultimo 
comma dell'art. 1 della legge del 1960 sopra citata. 

In fine, nella sentenza del 19 dicembre 1979 emessa del Pretore di Roma 
� stata riconosciuta la giurisdizione del giudice amministrativo in ordine ad 
ogni eventuale questione concernente la legittimit� degli atti di assunzione dai 
sensi della cit. legge n. 5 del 1974 di lavoratori prima impiegati da Societ� appaltatrice 
di servizi di manutenzione di accumulatori che avevano chiesto l'attribuzione 
di qualifiche superiori affermando di aver svolto le mansioni corrispondenti. 

In tale giudizio il contraddittorio era stato in un primo tempo esteso alla 
Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato, ma, con la sentenza suindicata, il 
Pretore ha riconosciuto che i ricorrenti, � divenuti parte di un rapporto di pubblico 
impiego a seguito degli atti normalmente costitutivi del medesimo�, 
avrebbero dovuto denunciare tempestivamente al giudice amministrativo la 
eventuale illegittimit� dell'inquadramento ove non fosse stata rispettata la corrispondenza 
delle mansioni ed ha aggiunto che in nessun caso la stessa sentenza 
�potrebbe esplicare effetti sugli atti che costituiscono il rapporto di impiego 
pubblico dei ricorrenti >>, escludendo � l'ipotesi di comi.inanza di causa e... di 
necessario litisconsorzio �. 

EMILIO SERNICOLA 



60 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

IJ fatto che Je aziende dello stato e gli enti pubblici siano considerati 

separatamente ed in questo ordine, palesa che ,la seconda categoria non 

pu� essere comprensiva anche dello Stato, come i,l primo degli enti 

pubblici, poich� esso � contemplato distintamente in precedenza e limi


tatamente alle sue aziende. Il che impone di individuarle alla stregua 

della Joro precisa identit�. � 

Esse, anche quando sono istituite presso i Ministeri, sono svincolate 

dalla organizzazione di questi ed il complesso dei mezzi materiali e per


sonali di cui dispongono, pur facendo parte dell'amministrazione statale 

lato sensu, assume sul piano organizzativo una configurazione aziendale 

di tipo privatistico in funzione di un'attivit� imprenditoriale indirizzata 

a conseguire fini economici. 

L'ambito di applicazione della legge � perci� circoscritto ail.le aziende 

di Stato cos� identificate. Tale 'risultato interpretativo si consoHda sul 

piano logico considerando che l'estensione della normativa trova giustifi


cazione razionale solo rispetto ad entit� che abbiano caratteristiche e fina


lit� omogenee alJa naturale categoria soggettiva destinataria della nor


mativa medesima (imprenditori). 

Argomento di conferma della tesi che si espone si trae dall'art. 8 

della legge che ha operato riduttivamente nel campo applicativo del set


tore delle aziende di Stato includendovi le Aziende autonome deihle Fer


rovie, dei Monopoli e delle Poste e telecomunicazioni nella sola ipotesi che 

entro sei mesi non fosse attuata la delega al Governo per l'emanazione 

di disposizioni particolari (in effetti emanati con il d. pres. n. 1152/1961). 

Pertanto, essendo insussistente nella Jegge 1360/1960 una previsione 
astratta che consenta di attuare in concreto le situazioni soggettive vantate 
dagli attori (rapporto di Iavoro diretto con Jo Stato o responsabilit� 
solidale di esso per l'adempimento delle obbligazioni su precisate), le 
correlative domande debbono dichiararsi improponibili per difetto assoluto 
di giurisdizione. 

Le questioni di costituzionalit� proposte dalla De Monaco, per le 
esposte considerazioni, difettano del rloro presupposto (sussistenza della 
giurisdizione ordinaria e amministrativa per la stessa controversia). 

La controversia, relativa al rapporto di impiego costituito tra la De 
Monaco e l'EISS, persona giuridica privata, appartiene al giudice ordinario. 
(omissis) 

II 

(omissis) L'Amministrazione propone due questioni. 

Essa sostiene, anzitutto, che le domande sono nei suoi confronti 
improponibiH per difetto assoluto di giurisdizione, in quanto non esiste 
alcu~a norma che dia tutela alla situazione donde esse traggono origine, 
essendo inapplicabili alle Amministrazioni dello Stato sia l'art. 1, quin



PARm I, SBZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

to comma, legge 23 ottobre 1960, n. 1369, il quale, in caso di violazione 
del divieto di interposizione fittizia nei rapporti di lavoro, impone di 
considerare i lavoratori a tutti gli effetti dipendenti dell'imprenditore che 
ne abbia utilizzato la prestazione; sia il successivo art. 3, che obbliga in 
solido committente ed appaltatore di opere o servizi da eseguirsi con 
organizzazione e gestione dell'appaltatore stesso, a corrispondere ai lavoratori 
da costui assunti un trattamento minimo inferiore a quello spettante 
ai dipendenti del committente. Infatti, sostiene l'Azienda ferroviaria, 
non � un caso che l'art. 8 dellla legge stessa prevedesse l'emanazione di apposite 
norme per Ja disciplina dell'impiego di manodopera negli appalti 
concessi dalle Amministrazioni delle Ferrovie, dei monopoli e delle poste 
e telecomunicazioni, poich� la possibilit� di una pronuncia costitutiva di 
rapporti di favoro con tali organismi implicherebbe un'inammissibhle ingerenza 
del giudice ordinario nell'attivit� amministrativa: �tanto ci� � vero 
che venne poi emanato il d.P.R. 22 novembre 1961, n. 1192, cui fecero seguito 
la legge 3 novembre 1963, n. 1443, Ja quale consent� l'inquadramento 
in ruolo soltanto a quei Javoratori che avessero presentato tempestiva 
domanda in tal senso, nonch� le leggi 29 ottobre 1971, n. 8�80, 5 giugno 1973, 

n. 343, 6 giugno 1975, n. 197, le quali determinarono i servizi che essa 
Azienda pu� assumere in gestione diretta. 
Aggiunge la ricorrente che comunque, poich� la Societ� �Garibaldi � 
gestisce un servizio pubblico in base ad una concessione e poich� gli attori 
denunciano violazioni di norme giuridiche incidenti sulla legittimit� 
di detta concessione, la causa avrebbe dovuto promuoversi innanzi al giudice 
amministrativo, giusta l'art. 3 Jegge 6 dicembre 1971, n. 1034. 

Entrambe ~e questioni sono infondate. 

In 011dine a quella appena menzionata, basta dire che nell'oggetto 
della causa non rientra il rapporto tra Ferrovie dello Stato e Societ�, dal 
mo~ento che non solo nessuna di queste parti ha proposto domanda alcuna 
contro l'altra, ma la prima ha persino dichiarato di intervenire in 
giudizio per sostenere nel proprio interesse le ragioni della seconda. Quel 
rapporto � solo il � pacifico � fatto storico dal quale gli attori derivano 
la tesi della solidariet� fra Je convenute, sicch� non � neppure necessario 
darne, qui, la definizione giuridica. E se J'assetto economico in esso 
stabilito dovesse risultare alterato dall'accoglimento delle domande perch� 
provocherebbe un aumento dei costi di gestione del servizio assunto dalla 
Societ�, ci� sarebbe conseguenza non gi� del comportamento delle parti 
all'interno del rapporto, ma dell'azione � esterna � di terzi, quali sono 
gli attori. 

Quanto all'altra questione, appare evidente che se difetto assoluto di 
giurisdizione si ha quando l'irrilevanza giuridica dell'interesse sostanziale 
addotto dalla parte sia indiscutibile per la sicura mancanza di una norma, 
o di un principio che lo tuteli (SS.UU., 6 giugno 1960, n. 1434; 23 marzo 
1964, n. 659 o, pi� recentemente; 23 febbraio 1979, n. 1197; 1� dicem



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

bre 1978, n. 5678; 22 febbraio 1978, n. 863), esso non ricorre nel caso di 
specie, sia perch� gli attori hanno chiesto la condanna dell'Amministrazione 
ferrov1aria in solido con la Societ� richiamar.JJdosi -a torto o a ragione 
� quanto dovr� stabilirsi in sede di merito -aJI'art. 1676 cod. civ., che 
consente ai dipendenti dell'appaltatore di agire, entro certi limiti, direttamente 
contro il committente per conseguire quanto � loro dovuto in 
corrispettivo dell'opera prestata; sia perch� �, sotto vari profili, tutt'altro 
che incontrovertibile ed incontroversa, checch� ne pensi la resistente societ� 
� Garibaldi�, l'assoluta sottrazione del lavoro nautico alla disciplina 
risultante daJ:la legge n. 1369 del 1962 e del decreto presidenziale n. 1192 
(la possibilit� di applicare quella disciplina � stata prospettata daJlo 
stesso giudice ed ha formato oggetto di vivo dibattito fra Je parti). 

Senonch� codesti rilievi, se bastano a stroncare il tentativo di anticipare 
la trattazione innanzi a questa Corte di questioni che invece attendono 
ancora di essere affrontate dai giudici. del merito, non �esauriscono 
tutti i problemi di giurisdizione che � dato cogliere nella specie e che, 
essendo rilevabili d'ufficio (art. 37, primo comma, cod. proc. civ.), vanno 
affrontati in questa sede maJgrado non siano stati sollevati espressamente 
dalle parti. 

Se, inve.ro la ragione per cui le domande sono state rivoJte anche 
contro le Ferrovie dello Stato stesse unicamente nel fatto che queste sono 
committenti del servizio gestito dalla Societ�, e se tutto si riducesse, 
dunque, nella verifica della relazione esistente fra J'art. 1676 cod. civ. 
l'art. 3 de1la legge del 1960 e J'iart. 2 del decreto previdenziale del 1961, e nel 
giudizio sull'applicabilit� alla specie dei principi che conseguentemente 
ne sono deducibili, la giurisdizione del giudice ordinario sarebbe fuori 
discussione, noto essendo che, salvo specifiche eccezioni, a lui spetta la 
cognizione dei diritti di credito, indipendentemente dalla qualit� pubblica 
o privata dell'asserito debitore. Invece nell'atto introduttivo del giudizio 
quel1a ragione � delineata in modo ambiguo, poich� sembra che gli 
attori attribuiscano all'Amministrazione anche il �ruolo di loro effettiva 
datrice di ilavoro, per avere stipulato i contratti di arruolamento e per trarre 
utilit� dalle prestazioni che essi rendono sulle navi. E di tale secondo 
profilo non potrebbe occuparsi il giudice ordinario, in quanto il rapporto 
dei dipendenti ,dell'Amministrazione ferroviaria � da qualificare come 
impiego pubblico, e quindi assoggettato alla giurisdizione esclusiva del 
giudice amministrativo, a norma degli artt. 2, lett. a) e 7 legge 6 dicembre 
1971, n. 1034 (sent. 19 ottobre 1976, n. 3594), sia che se ne alleghi la 
diretta costituzione ad opera della pubblica amministrazione (la quale, 
peraltro, ad onta di quel che reputano gli attori, pu� provvedervi anche 
senza ricorrere a formali atti di nomina, ma inserendo con atti equipollenti 
il lavoratore nelJa propria organizzazione), sia che 1se ne chieda l'accertamento 
al giudice, in applicazione dell'art. 1 delJa citata legge n. 1369 del 


.PARTE I, SBZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

1960 (come ha ritenuto un recente innovativo orientamento, segnato dalla 
sentenza 1� ottobre 1979, n. 5019, che qui va ribadito). 

Tuttavia, ai fini di una compiuta definizii.one del regolamento non 
appare indispensabile tradurre codesto rilievo in apposita statuizione che 
distingua i profiLi delle domande proponibili innanzi al giudice ordinario 
e quelli proponibili innanzi al giudice amministrativo, perch� un attento 
esame degli atrti di causa dimostra come in realt� gli attori abbiano inteso 
prospettare solo una situazione dalla quale emergesse la corresponsabilit� 
dell'Amministrazione per un debito contratto dalla Societ�. 

Essi, correggendo l'originaria impostazione nel corso del giiudizio, 
hanno tenuto a sottolineare che le foro pretese non traggono origine dai 
contratti di arruolamento, bens� da quelli di lavoro stipulati con la � Garibaldi 
�, dalla quale vengono retribuiti (v. pagg. 10 e 11 deUa memoria 
redatta il 17 gennaio 1979, su invito del Pretore, ove viene richiamata anche 
la sentenza 15 foglio 19.64, n. 1900, con la quale questa Corte ha ritenuto 
possibile la coesistenza del contratto di arruolamento con quello 
di lavoro comune). E, dopo aver ammesso, nella stessa memoria, che l'Amministrazione 
non pu� ritenersi responsabile di violazione dell'art. 2 del 
decveto presidenziale n. 1192 del 1961, perch� �non � dato riscontrare� 
che avesse mancato di inserire nel contratto di appalto clausole dirette 
ad assicurare loro il trattamento previsto dalla contrattazione collettiva, 
hanno sostenuto che in tanto la si deve riteneve parte effettiva dei rapporti 
di favoro, in quanto essa fornisce � in gran parte�, rimanendone 
anche proprietaria �le attrezzature per l'espletamento del servizio� (v. 
pag. 7 della citata memoria). Senonch� non si sono anzitutto avveduti che 
logica conseguenza di codesta impostazione � l'inconfigurabilit� di una 
corresponsabildt� della �Garibaldi�, per cui avrebbero dovuto integrare 
l'originaria domanda di condanna solidale di entrambe le convenute con 
quella, alternativa, di condanna della sola Amministrazione ferroviaria. 

In �secondo luogo, non hanno contestato Ja veridicit� dell'affermazione 
dell'Avvocatura dello Stato -corroborata con Ja produzione dei capitolati 
d'appalto -secondo cui la Societ� fornisce Je provviste inerenti ai 
servizi di mensa e ristoro, riscuote il prezzo delle consumazioni e percepisce 
un contributo dall'Amministrazione. In base a tale comportamento 
processuale, che questa Corte pu� direttamente valutare in quanto in 
materia di giurisdizione essa � giudice anche del fatto, non pu� dirsi che 
gli attori abbiano offerto sufficienti elementi per ritenere prospettabile, 
nella specie, l'ipotesi delineata nell'art. l, comma terzo, della legge n. 1369 
del 1969, dell'appaltatore, cio�, che impieghi capitali, macchine ed attrezzature 
fornite dall'appaltante: il capitale occorrente per lo svolgimento 
del servizio sulle navi-traghetto risulta pur sempre investito dalla Societ�, 
anche se non deve estendersi a procurare alcune � attrezzature � che si 
trovano gi� a bovdo delle navi; ed � ancora la Societ� che organizza e 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

64 

gestisce a proprio rischio il servizio stesso, assumendosene la responsabilit� 
verso le Ferrovie. 
Resta dunque confermata, sotto ogni profilo, la giurisdizione del giudice 
ordinario. 

L'inammissibilit� del controricorso degli attori, la delicatezza delle 
questioni trattate, nonch� l'infondatezza delle radicali tesi sostenute dall'amministrazione 
ferroviaria e dalla Societ�, impongono di dichiarare 
integralmente compensate fra tutte Ie parti le spese del regolamento. 

(omissis) 

III 

(omissis) L'Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato censura anzitutto 
la sentenza non definitiva del Tribunale laddove non ha tenuto 
conto che, se dovesse applicarsi nella specie l'art. 1 della legge 23 ottobre 
1960, n. 1369, ci� comporterebbe una modificazione del �rapporto 
di lavoro, poich� la legge considera i lavoratori che si trovano in quelle 
condizioni �a tutti gli effetti alle dipendenze dell'imprenditore che effettivamente 
abbia utilizzato Ie loro prestazioni �. Con la conseguenza, che 
il rapporto assumerebbe carattere pubblicistico e farebbe rientrare la 
controversia nella competenza del giudice amministrativo ai sensi dello 
art. 29 n. 1 del testo unico sul Consiglio di Stato, che si estende alle pretese 
di carattere patrimoniaJe nascenti dal rapporto medesimo. 

Nel secondo motivo, la ricorrente espone una serie di considerazioni 
intese ad escludere l'applicabi.Iit�, nella specie, dell'art. 1 della legge 

n. 1369/60; ed infine, nel terzo mezzo, censura la sentenza definiti.va che 
ha Hquidato i compensi a ciascuno dei lavoratori. 
Nonostante la natura radicale ed assorbente �della questione di giurisdizione, 
appare necessario premettere l'esame di alcune delle argomentazioni 
:prospettate dalla ricorrente nel secondo motivo, volto ad escludere 
gli stessi presupposti della :predetta questione. 

Sostiene, cio�, l'Azienda che pur se in tesi fosse configurabile un 
rapporto pubblicistico quale effetto dalla vietata intermediazione del c.d. 
appalto di manodopera -il Tribunale di Firenze non avrebbe compiuto 
alcuna indagine per accertare se nella Jipecie non si trattasse di un appalto 
di opere o servizi, cui si riferisce I'art. 3 della stessa legge n. 1369/60, 
per Ia quale ipotesi non si verifica alcuna sostituzione soggettiva del 
rapporto. 

La censura �, per�, infondata, avendo il Tribunale compiuto una approfondita 
indagine in proposito, pervenendo alla conclusione che i lavori 
consistevano nel carico e nello scarico delle rotaie con l'impiego di 
capitali, macchinari ed impianti, tutti forniti da1l'Amministrazione ferroviaria; 
con esclusione, quindi, di un vero e :proprio appalto di opere 
e servizi. 



PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

La ricorrente Azienda soggiunge che, anche a configurare l'ipotesi vietata 
dall'art. 1 della legge 1369/60, questa norma non era applicabHe all'Amministrazione 
delle F.S., avendo la Jegge medesima previsto (art. 8) la 
� emanazione idi norma per la disciplina dell'impiego di manodopera negli 
appalti concessi dalle Amm~nistrazioni delle Ferrovie dello Stato�[...] 
tenendo conto delle esigenze tecniche delle stesse, ed il successivo d.P.R. 
22 settembre 1961, n. 1192, stabiliva una completa disciplina speciale per 
le Amministrazioni autonome. 

Ma anche questa argomentazione non � decisiva per escludere la giurisdizione 
amministrativa dal momento che il citato d.P.R. n. 1192/61 comincia 
proprio con il confermare per le predette Amministrazioni autonome 
il divieto di cui all'art. 1 della Iegge n. 1369, anche se contempla subito 
dopo due eccezionali deroghe al pvedetto divieto, ipotesi derogative che 
non ricorrono nella specie. Ci� viene riconosciuto dall'Azienda ricorrente, 
la quale per� sostiene che per essa il divieto dell'intermediazione di manodopera 
non comporta l'effetto di cui al quinto comma del citato art. l, 
e cio� l'instaurazione del rapporto diretto con gli effettivi titolari. 

Tale questione riporta il discovso a quella fondamentale che pi� direttamente 
ha incidenza sulla giurisdizione: a) se cio� anche nei confronti 
di pubbliche amministrazioni l'ipotesi della vietata intermediazione di manodopera, 
determinando .Ja sostituzione degli �effettivi titolari del rappor~ 
to, conferisce a questo natura pubblicistica; b) se gli interessati possano 
rinunziare a far valere questa natura del rapporto, scindendo l'aspetto 
soggettivo da quello degli effetti economici. 

Il Tribunale di Firenze ha risposto affermativamente all'uno e all'altro 
quesito, mentre questo Collegio ritiene che sul secondo punto 
debba concludersi diversamente. 

Modificando il precedente orientamento (sentenze nn. 2330/74; 355/76; 
1883/76; 1864/), le Sezioni Unite di questa Corte hanno pi� recentemente 
ritenuto (sentenza n. 5019/79) che il divieto di intermediazione nelle prestazioni 
lavorative, fissato dall'art. 1 cit. ed applicabile pure nei confronti 
degli enti pubblici, implica, in ipotesi di trasgressione, che il rapporto 
di lavoro viene a costituirsi ex lege con l'interponente, e ad� assumere la 
natura .propria di tutti gli altri rapporti originariamente e direttamente da 
esse posti in essere nell'ambito di dette attivit�. 

Da questo principio discende, non solo che, nei casi in cui il rapporto 
deve considerarsi di pubblico impiego, anche la cognizione sulle controversie 
di carattere patrimoniale ad esse connesse sono devolute a quella 
esclusiva del giudice amministrativo, ma che una diversa volont� delle 
parti non pu� avere rilevanza in una materia sottratta alla predetta volont� 
sia in quanto attinente alla giurisdizione, sia perch� le conseguenze economiche 
sono direttamente correlate aU'accertamento del titolo da cui 
discendono, e cio� alla natura del rapporto. (omissis) 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

IV 

(omissis) Quanto aHa Azienda autonoma delle FF.SS. chiamata in 
causa jussu judicis (in una fase nella quale era incaricato della trattazione 
altro giudice) essa va estromessa dal giudizio. 

Invero ai sensi dell'art. 3 legge 7 gennaio 1974, n. 5, i ricorrenti sarebbero 
stati inquadrati a seguito di concorsi speciali per titoli mediante 
nomina in prova nelle qualifiche di prima assunzione del gruppo del personale 
di ruolo corrispondente alle mansioni prevalentemente espletate nel 
periodo intercorrente rfra il 1 � marzo ed il 31 agosto 1972. 

I ricorrenti sono dunque divenuti parte di un rapporto di pubblico 
impiego a segU!ito degl� atti normalmente costitutivi del medesimo. 

Ove l'inquadramento non avesse rispettato la corrispondenza delle 
mansioni la sua eventuale illegittimit� avrebbe dovuto essere tempestivamente 
denunziata di fronte al giU!dice investito della giurisdizione su tale 
rapporto. 

In nessun caso la sentenza di questo giudice potrebbe esplicare effetti 
sugli atti che costituirono il rapporto di impiego pubblico dai ricorrenti 
e tale considerazione basta ad avviso del Pretore ad escludere l'ipotesi di 
comunanza di causa e men che meno di necessario litis consorzio. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 16 settembre 1980, n. 5262 -Pres. 
Novelli -Rel. Corasaniti -P. M. Raja -Ministero deLla P.I. (Avv. Stato 
Favara) c. Rovetta (avv. Anelli). 

Elezioni -Elettorato attivo e passivo -Qualificazione come di diritto soggettivo 
-Presupposti. 

Istruzione -Elezioni scolastiche -Elettorato -Qualificazione come diritto 
soggettivo -Giurisdizione ordinaria. 

Il diritto soggettivo di elettorato, sia attivo, sia passivo, � correlato 
al principio di democraticit� di sovranit� popolare, e ricorre soltanto 
l� dove l'elezione costituisce lo strumento mediante il quale viene tutelato 
l'interesse dei membri del corpo elettorale a partecipare da un lato alla 
formazione (elettorato attivo), dall'altro alla composizione (elettorato 
passivo) degli organi rappresentativi; ricorre, cio�, tutte le volte che 
l'elezione funga da strumento di autogoverno di una �ollettivit�, e, in 
particolare, tutte le volte che i rapporti passivi di un potere pubblico 
vengano in considerazione come coll�ttivit� e che le loro assunzioni 
negli organi di governo, con la conseguente possibilit� di orientare le 
scelte di fondo, costituisca attivazione non gi� di meri criteri di buona 


PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

67 

organizzazione o di efficienza amministrativa, bens� dei princ�pi di partecipazione 
democratica del pluralismo (1). 

Rientra pertanto nella nozione di � amministrazione partecipata � la 
istituzione degli organi collegiali scolastici, senza che possa avere, a tal 
fine, rilevanza la loro inerenza ad una amministrazione statale, con la 
conseguente qualificazione di diritto soggettivo della pretesa di essere 
ammessi a tali collegi, e le eventuali controversie rientrano nella giurisdizione 
ordinaria (2). 

(omissis). Osserva l'Amministrazione ricorrente che le operazioni elettorali 
.relative agli organi collegiali scolastioi istituiti con la legge 31 maggio 
1974, 1ri. 416, sono, ail pari di quelle Telative ai membri elettivi del 
consiglio di Amministrazione opera21ioni dirette alla provvista dei membri 
elettivi di uffici dell'amministrazione statale (quella scolastica) ed 
alla composizione degli uffici medesimi. Sicch�, sempre secondo .fa ricorrente, 
da un lato esse sono prive di autonomia, in quanto costituiscono 
sub-;procedimenti, o momenti, di procedimenti (amministrativi) di nomina 
(a differenza delle elezioni comunali, provindaili o regionali, che 
hanno autonoma rilevanza), dall'altro, in .relazione alla natura di uffici 
od organi interni dell'Amministrazione degli organi coJJegiali scolastici 
che sono dirette a formare, esse hanno (a differenza delle elezioni dirette 
alla costituzione di assemblee po1itiche) natura di operazioni amministrative, 
sia pure in buona parte vincolate, in relazione alle quali non sono 
configurabili che interessi Jegittimi. 

La tesi, volta a sostenere l'ammissibmt� in materia della sola tute1a 
giurisdizionale davanti al giudice amministrativo orientata contro il provvedimento 
J�inale di nomina degli organi collegiali di cui all'art. 23 del 

d.P.R. 
31 maggio 1974, n. 416, non � fondata. 
Anzitutto va precisato che la presente controversia non concerne la 
regolarit� formale o no delle operazioni attinenti all'elezione agli organi 
collegiali scolastici, bens� la ricorrenza o no di un requisito di attitudine 
in un candidato, anzi in un eletto quale rappresentante dei genitori, a 
partecipare a un organo collegiale elettivo scolastico (consiglio di istituto) 
vale a dire a coprire una carica politica elettiva: ricorrenza negata 

dall'Amministrazione sul.la base di un opposto divieto di cumulo rispetto 
alla contemporanea parteairpazione dell'eletto ad �altro organo colle


(1-2) Sentenza di particolare interesse che estende agli organi collegiali scolastici 
i principi, affermati, in termini generali, per qualsiasi elezione a cariche 
pubbliche (Cass., 28 aprile 1972, n. 1330, in Foro it., 2461) e in particolare, per l'elettorato 
passivo al Consiglio Nazionale del Notariato (Cass., 26 novembre 1966, 

n. 2802) ed al Consiglio Superiore della Magistratura (Cass., 7 novembre 1972, 
n. 2918, in Foro it., 1972, I, 2762). 

68 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

giale elettivo scolastico (consiglio di circolo), vale a dire di un divieto 
di cumulo fra cariche elettive pubbliche. 

L'oggetto della controversia, insomma � Ja sussistenza della situazione 
soggettiva dii elettorato passivo alla carica di rappresentante dei genitori 
di un organo collegiale scolastico. E ci� importa che, per pronunciare 
sulla giurisdizione, � necessario indagare suUa qualificabilit� della 
detta situa:llione come diritto soggettivo o invece come interesse legittimo 
(comunque poi debba essere decisa dal giudice provvisto di giudsdiz�one 
la questione del cumurlo, e quindi della fondatezza della pretesa). 
Cosicch� Je considerazioni dell'Amministrazione ricorrente dirette 
a dimostrare ~a natura amministrativa e a negare J'autonoma rilevanza 
delle operazioni elettorali non sono pertinenti se non nella misura in 
cui offrano un indice per la quafilficazione in un senso o nell'altro dello 
elettorato passivo in argomento, e non sono conducenti se non nella misura 
in cui riescano a dimostrare che in questa materia Je norme che 
prevedono o escludono requisiti di eleggibilit� o di compatibilit� rilevino 
soltanto come regola da osservare da parte di essa Amministrazione nell'organizzazione 
dei propri uffici. 

Ci� posto, va detto che la giurisprudenza di queste Sezioni Unite, 
oltre a qualificare costantemente come diritto soggettivo l'elettorato 
passivo ai consigli comunali, provinciali .e regionali, ha talora motivato 
tale qualifica:l'Jione con argomentazioni riferite all'art. 51 della Costituzione 
e svolte in termini cos� generali da v,alere per qualsiasi elezione 
a cariche pubbliche (cfr. sent. n. 1330 del 1972). In particolare, poi, essa 
ha qualificato diritto soggettivo, con argomentazioni analoghe, J'eletto-�.rato 
passivo al Consiglio nazionale del notariato (sent. n. 2802 del 1966) 
~ l'elettomto-passivo al Consiglio superiore delJa Magistratura (sent. 

n. 2918 del 1972). 
,Pi� di recente sembra essere emersa, sempre nella giurisprudenza 
di queste Se2lioni Unite, una linea pi� cauta, una esigenza di distinzione, 
essendo stata negata la configurabilit� di un diritto soggettivo di elettomto 
a proposito dell'eleggibilit� a componente del consiglio di amministrazione 
del Banco di Sioilia, in base alla considerazione che la strumentazione 
di un interesse quale diritto soggettivo non � pura e semplice 
conseguenza dell'adozione -ai fini della composizione di un ufficio 
od organo pubhlico -del sistema di scelta mediante �elezioni, ma � 
correlata al principio di democraticit� e di sovranit� popolare, nel senso 
che il diritto �soggettivo, sia come elettorato attivo sia come elettorato 
passivo, ricorre �soltanto J� dove l'elezione costituisce lo strumento mediante 
il quale viene tutelato l'interesse dei membri del corpo elettorale 
a partecipare da un lato alla forma:l'Jione (elettorato attivo) dall'altro ,,
alla composizione (elettorato passivo) degli organi rappresentativi. '

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Tuttavfa, non v'i � insanabile contmsto �foa i rilevati indirizzi, giac


I 

ch� pu� esserne individuato un punto di convergenza. E questo � l'idea f 

1 

i r. 

.. ! 


PARTE I, SBZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

che la strutturazione a diritto soggettivo �ricorre (almeno) tutte le volte 
che l'elezione funga da strumento di autogoverno. di una collettivit� (tali 
sono anche gli ordini professionaii e la magistriatum come ardo personarum) 
e cio� tutte le volte che i soggetti pasSlivi di un potere pubblico 
vengano in considerazione come collettivit� e �che la loro assunzione negli 
organi di governo, con la conseguente possibilit� �di orientarne la scelta 
di fondo, costituisca attuazione non gi� di meri criteri di buona organizzazione 
o di efficienza amministrativa, bens� dei principi della partecipazione 
democratica e del pluralismo. 

Non � il caso quri. di indagare se tali principi trovino applicazione, 
con influenza sulla strutturazione giuridica delle posizioni commesse (pur 
se non suJla giurisdizione) su un piano pi� generiale, cio� in relazione 
al modo di essere e alla dinamica dii qualsiasi forma di organizzazione 
di collettivit� (anche di diritto privato). Qui dnteressa piuttosto stabilire: 

a) se la nozione di autogovrerno di collettivit� nel senso od ai fini 
suindicati possa essere assunta (oltre che, come � ovvio in relazione alle 
assemblee politiche in senso stretto, cio� agli organi .rappresentativi dell'intera 
comUilli.t� nazionale) soltanto in relazione agli organi di governo 
delle comunit� locali a fini generali (comuni, province, regioni), organi 
costituenti assemblee politiche in senso lato, e al pi� in relazione all'organo 
di governo di un ordii.ne (magistratura) costituito in posizione di 
assoluta indipendenza, cio� come potere, per l'esercizio della giurisdizione 
(1potesi di cui alla sent. n. 2918/72) e agli organi di governo di collettivit� 
di settore (ordini professionali) provviste per tradizione risalente di particolare 
autonomia anche se organizzate ora, secondo ila pi� diffusa opinione, 
come enti pubblici a base associativa attribuitari di funzioni statuali 
(ii.potesi di cui alla sent. n. 2802/66); 

b) se invece la nozione di auto-governo di collettivit�, sempre nel 
senso e ai fini suindicati, possa essere assunta, nel nostro attuale ordinamento, 
in relazione anche ad organi i quali, oltre ad essere uffici di un 
apparato amministrativo istituito per l'esercizio di un'attivit� pubblica, 
siano, in considerazione della attinenza di tale attivit� a valori essenziali 
(costituzionalmente protetti), strutturati come centri decisionali aperti 
alla partecipazione dei destinatari diretti di essa. 

Il quesito sub b), emergente in tal modo come quello centrale del 
giudizio sulla giurisdizione, si pone ovviamente con riferimento alle cosiddette 
�amministrazioni partecipate�, delle quali quella realizzata con 
l'istituzione degli organi collegiali scolastici, ad opera del decreto 

n. 416 del 1974 in attuazione della delega data con �legge n. 477 del 1973, 
costituisce uno deghl esempi pi� importanti. Ed esso riveste una particolare 
attualit� perch� una parte della dottrina ha creduto di ravvisare 
in alcune delle cennate strutturazioni partecipative una realizzazione non 
piena del principio di partecipazione democratica sopraindicato, ovvero 

70 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

l'attuazione, anzich� di tale tipo di partecipazione, definito politico e rite


nuto esemplarmente realizzato mediante strumenti e istituzioni di demo


crazia rappresentativa o diretta e fra i primi in particolare dalle assem


blee in senso lato politiche (cio� rappresentative e di governo delle col


lettivit� ai fini generali anche locali come sopra indicate) -di un 

tipo di partecipazione diverso. Tale diverso tipo, definito amministrativo, 

specificantesi di volta in volta mediante La coopera:mone degli interessati 

ai procedimenti (partecipazione procedimentale), mediante l'inserzione 

di rappresentanze di categorie e di interessi nella composizione di organi 

collegiali dello Stato o di enti pubblici (partecipazione istituzionale), 

mediante la cogestione dei servim sociali su base territoriale (partecipa


zione utenziale), sarebbe caratterizzato, secondo la detta dottrina, da ci�: 

che la partecipazione sairebbe qui. preordinata soprattutto al soddisfaci


mento di esigenze di efficienza, al migMoramento della qualit� dei proce


dimenti e dei prodotti decisionali mediante la cooperazione delle com


ponenti professionalmente o funzionalmente interessate. Il che sarebbe 

dimostrato dalla lil111�tatezza, dal carattere prevalente di mera consu


lenza tecnica delle attribuzioni demandate a tali organi collegiali, rispet


to all'ampiezza, rilevanza e incisivit� di quelle svolte dalle assemblee 

politiche. 

Ma codesta costruzione, condivisa dall'Amministrazione ricorrente e 

impostata sull'accentuazione del carattere settoriale del modulo perseguito 

nella strutturazione degli organi collegiali scolastici, oltre ad essere re


sistita da quella data al fenomeno da altra parte del1a dottrina, orien


tata viceversa nel senso di ritenere il carattere comunitari.o e ordinamen


tale della struttura degli organi in parola e la foro natura di istituti di 

democrazia rappresentativa, si presta a gravi obiezioni di fondo. 

Premesso che l'dnerenza degli organi collegiali scolastici ad una am


ministrazione statuale non � di ostacolo per s� stessa alla considerazione 

come collettivit� territorialmente localizzata dai destinatari dell'attivit� 

che ne � oggetto -del resto proprio con riferimento a tale ipotesi, fu 

elaborato, in altri ordinamenti, il modello originario di � autogoverno � 


e premesso altres� che i princ�pi della partecipazione democratica e del 
pluralismo trovano espressione, oltre che nell'art. 1 -cui 1si collegano 
gli artt. 48 e segg. -negli artt. 2 e 3 cpv. e 5 Cost., va rilevato che l'introdumone 
nell'amministrazione scolastica del metodo democratico e la 
intrinseca connessione fra tale metodo e la considerazione anzidetta si 
desumono chiaramente dalle disposizioni di principio relative� agli organi 
�collegiali sia della legge delega n. 477 del 1973 che dal decreto n. 416 

del 1974. 

De1la legge delega basti ricordare l'art. 5 che afferma essere J'istitu


zione dei nuovi organi collegiali, definiti �di governo�, finalizzata a rea


lizzare la �partecipazione nella gestione della scuola�, pur nel rispetto 

� degli ordinamenti della scuola dello stato e delle competenze e della re



PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

sponsabilit� � del personale direttivo, ispettivo e docente, non senza 
avvertire che tale realizzazione avviene, �dando alla scuola stessa i caratteri 
di una comunit� che interagisce con Ia pi� vasta comunit� sociale 
e civica�; e del decreto delegato n. 416 del 1974 basti ricordare l'art. l, 
che riproduce Ie dette enunciazioni. E a tali enunciazioni sarebbe un 
errore negare importanza sottolineandone il carattere progmmmatico 
e astratto, laddove esse vanno riguardate, come in ogni ooso nel quale 
la legge ordinaria � diretta ad attuare il dettato costituzionale, come principi 
informatori e come criteri interpretativi idonei a conferire alla disciplina 
introdotta la maggiore portata attuativa possibile. Ma nella 
stessa chiave vanno letti e interpretati: l'art. 6 della legge delega n. 477 
del 1973 l� dove prescrive che i decreti delegati indichino le modalit� 
per la pubblicit� degld atti del consig1io di istituto o di circolo (comma 
secondo), e l� dove assicura il diritto di assemblea (comma decimo); 
l'art. 7 della stessa legge, l� dove, sottolineando la natura, nel consiglio 
distrettuale, di � organo di partecipazione democratica alla gestione della 
scuola �, prevede che esso sia composto da rappresentanti, oltre che 
del personale dell'amministrazione scolastica, dei genitori 'e degli alunni, 
nonch� da rappresentanti dei comuni compresi nel territori.o del distretto, 
delle forze sociali rnppresentative di interessi generali e delle organizzazioni 
sindacali dei lavoratoni; gli articoli 5 e 6 da un lato e 9 e 11 
dall'altro del decreto delegato n. 416 del 1974 ch� danno attuazione alle 
dette direttive lI'ispettivamente per i consigli di circolo o di istituto 
e per il consiglio scolastico distrettuale. 

Risulta innegabilmente dalle richiamate disposizioni la considera2lione 
dei destinatari diretti dell'attivit� scolastica come gruppo e la 
strutturazione degli organi scolastici come luoghi dove esso si realizza 
misurandosi con selettivit� diverse in un confronto cui la settorialit� e 
la prevalente qualit� tecnica dell'oggetto non tolgono quel carattere di 
ricerca dialettica di scelte alternative, che � il proprium della democraticit� 
e che finisce necessaniamente per involgere valutazioni attinenti 
ai fini generali, quando l'oggetto stesso si identifichi in un'attivit� pubblica 
che tocca i valori essenziali (nella specie un'attivit� diretta all'istruzione 
e quindi alla formazione culturale dei giovani). E del resto l'acquisizione 
delle componenti ideologiche e non professionali alla gestione 
della scuola � apparsa mezzo adeguato al fine di evitare in pari tempo 
l'autoritativit� e la chiusura settoriale di questa. La possibilit� di devia2lioni 
connesse a uno sterile assemblearismo d� luogo a questioni, sul 
piano politico, ed eventualmente sul piano disciplinare, concernenti il 
costume democratico, il senso di responsabilit� dei componenti gli organi, 
mentre la possibilit� di strumentalizzazioni del metodo democratico 
alla prevalenza di interessi corporativi o subcorporativci con sacrificio delle 
esigenze tecniche o di giustizia d� luogo a questioni sul piano del 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

72 

sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo (sempre promovibile 
quando non si versi in materia di esercizio della sovranit� politica 
in senso stretto), concernenti fa correttezza dell'esercizio della funziione; 
ma tali possibilit� non escludono la finalit� listituz1onale ,di autogoverno 
insita negli organi stessi. 

Tutto ci� assume particolare �evlidenza per quel che concerne il consiglio 
scolastico distrettuale, in cui sono rappresentate collettivit� per 
definiziione �a fini generali�, ma non � meno vero, comune essendo 
l'impostazione, per i consigli di circolo e di istituto. N� vale, in contrario, 
argomentare da un'asserita limitatezza o da un preteso carattere 
esclusivamente tecnico delle attribuzioni, ove si consideri che queste 
comprendono poteri organizzatori e programmatori (aventi per oggetto, 
fra l'altro, l'adozione del regolamento interno, l'adattamento del calendario 
scolastico alle specifiche esigenze ambientali, la promozione di contatti 
con altre scuole o istituti al fine di realizzare scambi di informazioni 
e di esperienze e di intraprendere eventuali iniziative di collaborazione), 
nonch� il potere di esprimere parere sull'andamento generale, didattico 
e amministrativo del circolo o dell'istituto (cfr. art. 6 decreto n. 416 del 
1974). 

Senza dire, poi, che se potesse presoindersi dalle note comunitarie 
e ordinamentali dell'organizmliione della scuola secondo la disciplina 
ora in vigore e dalle connesse caratteristiche di strumenti di autogoverno 
dei collegi scolastici, sarebbe pur sempre difficile negare qualificazione 
di diritto soggettivo alla pretesa di essere ammessi a tali collegi della 
quale fossero contestati i titoli obbiettivamente verificabili, da parte di 
soggetti (come i genitori degli studenti) non capaci di apporto tecnico 
e la cui ammissdone pertanto, una volta che si prescindesse dalla prospettiva 
comunitaria o ordinamentale, non potrebbe comunque essere riguardata 
se non nel loro esclusivo interesse. 

Va dunque ritenuto che la controversia, siccome investe un diritto 
soggettivo, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario. (omissis) 



SEZIONE QUARTA 

GIURISPRUDENZA CIVILE 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 27 gennaio 1980, n. 492 -Pres. Sandu11i 
-Rel. Lipari -P. M. Gazzarra -Bruzzoni (avv. Conta1di) c. Fer� 
rovie dello Stato (avv. Stato Sernicola). 

Demanio -Strade � Strade ordinarie e strade ferrate � Funzione � Autonoma 
disciplina. 

Demanio � Costruzione � Nozione � Terrapieno cintato da muri. 

L'art. 879, secondo comma, cod. civ., interpretato nel suo riferimento 
testuale, va applicato alle strade ordinarie (piazze e vie pubbliche) intese 
nella loro nozione tecnico-giuridica, non equiparabile, in tema di rispetto 
delle distanze delle costruzioni, alle strade ferrate in quanto fra le due 
categorie di beni demaniali stradali e ferroviari si � venuta svolgendo 
una differenziazione normativa (anche se le due categorie sono accomunate 
dalla generale funzione di consentire lo spostamento di persona 
e cose da luogo a luogo) attraverso una disciplina che, a proposito delle 
distanze e zone di rispetto, tiene conto delle peculiarit� del mezzo e quindi 
ha fonti normative e contenuti autonomi. Di conseguenza, rispetto alle 
opere ferroviarie coesistono in materia di distanze le norme dettate dal 
codice civile e quelle contenute in leggi e regolamenti speciali, rispondendo 
ciascun sistema normativo ad un diverso scopo: l'art. 873 cod. civ. 
tende ad evitare pregiudizio all'igiene ed alla sicurezza, ma pu� essere integrato 
dalle norme dei regolamenti locali che, nello stabilire una distanza 
maggiore, tengano conto di esigenze urbanistiche e ambientali; le 
limitazioni legali alla propriet� a confine con le strade ferrate sono 
imposte dalla sicurezza della normalit� del servizio (1). 

Il terrapieno cintato da muri, sostenuto cio� da opere murarie di 
contenimento, � una vera e propria costruzione agli effetti deU'art. 873 
cod. civ. e quindi deve ritenersi soggetta alla disciplina delle distanze 
stabilite dalle norme di edilizia (2). 

(omissis) L'amministrazione delle FF.SS. ha costruito un'opera ferroviaria 
(terrapieno su cui corrono i binari sostenuto da un muro) prima 

(1-2) Sulle prime massime cfr. Cass., 5 ottobre 1976, n. 3276; sulla seconda 
cfr. Cass., 24 giugno 1974, n. 1904, secondo la quale nel concetto di costruzione 
rientra ogni opera edilizia incorporata nel suolo, sia mediante muratura, sia con 
l'impiego di materiali diversi, la quale per la sua struttura e destinazione si presenti 
suscettibile di creare intercapedine ove non sia rispettato dalle opere finitime 
la distanza legale (Cass., 19 gennaio 1973, n. 188). 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

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ancora che si perfezionasse il procedimento espropriativo, definito con 
l'attribuzione di un indennizzo anche per la pevdita dell'edifioabilit� della 
parte residua del fondo. E poich� i proprietari di questo avevano ad 
opera pubblica gi� realizzata (sia pure su suolo non ancora espropriato) 
provveduto ad erigere una ca:sa di civile abitazione che non rispettava 
la distanza dal manufatto rprescritta dal regolamento comunale, ha chiesto 
ed ottenuto in giudizio la demolrizione di parte dell'edificio onde ripristinare 
tale distanza. Di questa pronuncia si dolgono i ricorrenti. 

La materia del cont�ndere attiene, dunque, al tema delle distanze 
con riguardo alle caratteristiche intrinseche del rilevato ferroviario, e 
dal muro che Jo sostiene, nonch� a:lJ,a qualit� demaniale dell'opera realizzata 
ed al correlativo regime giuridico. 

Con il primo mezzo del I'icorso si assume che per l'indiwduazione 
della disciplina applicabile alla fattispecie non si sarebbe dovuto far 
ricorso alle norme del codice civile, ma alla legis1azione speciale dettata 
~n materia ferroviaria e specificamente all'art. 67 del r.d. 9 maggio 1912, 

n. 1447, secondo cui le costruzioni debbono discostarsi ,di almeno due 
metri dal piede dei rilevati ferroviari, distanza correttamente rispettata 
nel caso di specie. 
Il motivo -pur essendo in primo approccio ammissibile -risulta 
giuridicamente infondato. 

Nel giudizi� di cassazione sono improponibili le questioni di fatto 
che non abbiano formato oggetto c�i precedente deduzione nel corso del 
giudizio di merito, ma non anche Je questioni di diritto nuove, purch� 
non implicanti accertamenti di fatto. 

Il giudice era chiamato ad applicare le norme in tema di distanze 
congrue rispetto alla situazione ad esso prospettata sicch� resta sempre 
aperto il dibattito circa il criterio giuridico di individuazione della regola 
iuris da confrontare a quella situazione ormai irretrattabilmente accertata. 


Secondo i ricorrenti l'art. 879, comma secondo, cod. civ., escluderebbe 
l'applicazione dell'art. 873 stesso codice e dell'art. 37 del regolamento 
edilizio del comune di Spotorno in quanto la linea ferroviaria � equiparabile 
ad una strada pubblica, sicch�, accantonata la disciplina dettata 
dal codice, sli. dovrebbe fare riferimento ,all'art. 67 del r.d. n. 1447 del 
1912 (ovvero in via subordinata all'art. 4 -della legge 12 novembre 1968, 

n. 1202, che l'ha sostituito senza innovare quantitativamente le prescrizioni 
sulle distanze). 
Lo scopo che attraverso questa prospettazione giuridica si persegue 
� quello di ritenere osservata la prescritta distanza di -due metri dal piede 
del rilevato, imposta dalla norma speciale, attesa la concreta situazione 
di fatto di una intevcapedine di 1larghezza di poco superiore ai tre metri. 

Ma l'interpretazione suggerita dalla norma invocata (ammessa e non 
concessa, come si dica in appresso, la sua applicabilit� alla specie con 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

esclusione delle norme civilistiche) non pu� essere condivisa e la esatta 
lettura che deve darsene porta a riflessi fattuali che conducono a qua� 
Hficare in defiillitiva Ja questione come nuova. 

Recita il cit. art. 67 (riproduttivo dell'art. 235 della legge 20 mar� 
zo 1865, n. 2248, ali. F): �� proibito a chiunque costruire muri, case, 
capanne, tettoie ed altro qualsiasi edificio e di allevare piante a distanza 
minore di m 6 dalla linea della pi� vicina rotaia di una strada ferrata, la 
quale misura deve occorrendo aumentarsi .in guisa che le suddette costruzioni 
non riescano mai a minore distanza di m 2 dal ciglio degli 
sterri o dal piede dei rilevati,,: 

La disposizione ha un duplice contenuto precettivo: in primo luogo, 
e senza possibilit� di deroga, le costruzioni devono discostarSli di almeno 
6 metri daUa pi� vicina rotaia; ulteriormente questa distanza deve essere 
aumentata se rispettandola si verrebbe a realizzare uno spazio inferiore 
a due metri dal ciglio degli sterri, o dal piede del rilevato. In altre 
parole 1a constatazione che la costruzione sorga alla distanza di pi� di 
due metri dal ciglio o piede non esaurisce il rispetto delle norme dettate 
a tutela dell'esercizio ferroviario, dovendo nel contempo accertarsi che 
sia stata osservata fa distanza di sei metri dalla pi� vicina rotaia (cfr. 
Cass., 3 febbraio 1978, n. 506). 

E poich� l'accertamento di fatto compiuto in causa riguardava la 
distanza intericorrente fra muro di sostegno del rilevato e fobbricato dei 
rkorrenti e non gi� quella relativa alla pi� vicina rotaia posta sul rilevato, 
.cos� ridimensionato il problema interpretativo si incentra l'ostacolo 
preclusivo del necessario riesame della situazione dei luoghi. 

Peraltro, il richiamo all'ordine normativo invocato, non viene fatto 
a proposito. 

2. -Pi� radica}mente, invero, i ricorrenti non possono essere seguiti 
nell'assunto da cui muovono dell'interpretazione analogica dell'art. 879, 
secondo comma, cod. civ., comportante la riconduzione delle strade fer� 
rate alla categoria delle �vie� (con conseguente applicabilit� deila legi� 
slazione speciale in materia ferroviaria). 
Mentre l'art. 572, cod. civ., del 1865 dichiarava inapplicabili agli 
edifici demaniali, nonch� ai muri confinanti con vie e 'con .le piazze 
e strade pubbliche, le disposizioni degli articoli 570, 571, relative alle 
distanze nelle costruzioni, l'art. 879, secondo comma (gi� art. 70 del 
libro III) del vigente codice non riproduce l'esenzione rispetto agli edifici 
demaniali. L'omissione fu rilevata dall'Avvocatura dello Stato nelle 
� Osservazioni � presentate sul progetto della Commissione Reale, ma 
ci� nonostante la disposizione rest� limitata alle costruzioni che si fanno 
� in confine � con vie e piazze sicch� o si sostiene che sia sotto il vecchio 
come sotto il nuovo codice gli edifici demaniali si sottraggono alla disciplina 
delle distanze (sul punto si dovr� ritornare pi� oltre nella 


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RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

confutazione del quarto e quinto mezzo del ricorso), assunto che evidentemente 
non giova ai ricorrenti, ovvero bisogna leggere l'art. 879, secondo 
comma, per quello che dice nel suo riforimento testuale alle strade 
ordinarie, non equiparabili in linea generale alle strade ferrate alla 
stregua della legislazione speciale e comunque non equiparate specificamente 
in tema di rispetto delle distanze delle costruzioni. Ed, invero, 
la giurisprudenza di questo S.C. ha interpretato la norma in senso rigoroso,_ 
precisando che la menzione di piazze o vie pubbliche � fatta con 
riguardo alla relativa nozione tecnico-giuridica (cfr. Cass, 14 dicembre 
1973, .n. 3403; 5 settembre 1%9, n. 3057; 13 ottobre 1971, n. 2779; 
30 ottobre 1973, n. 2827; 5 ottobre 1976, n. 3276, sentenze tutte pronunciate 
in fattispecie in cui si � esclusa l'applicabilit� dell'art. 879, 
secondo comma, cod. oiv., perch� non si era ancora perfezionato ti1 
procedimento di attribuzione ad un suolo della qualit� di strada pubblica, 

o destinata ad uso pubblico). 
Ci� posto il tentativo di inquadrare le strade ferrate nell'ambito 
delle � strade � in senso stretto, pur condotto con diligente viscontro 
di remoti testi legislativi, non pu� essere condiviso, essendosi venuta 
svolgendo una differenziazione normativa fra Je due categorie di beni 
demaniali stradali e ferroviari accomunati solo dalla generale funzione 
di consentire gli spostamenti di persone e cose da luogo a ,luogo, attraverso 
una disciplina che, a proposito di distanze e zone di rispetto, 
tiene conto della peculiarit� del mezzo, addirittura dettando una particolare 
normativa per ile autostrade. 

Ed infatti la disciplina specifica trova fonti normative e contenuti 
autonomi per le ferrovie e per le strade ordinarie (cfr. il r.d. 8 dicembre 
1933, n. 1740 e le molteplici disposizioni dei regolamenti edilizi dei 
centri urbani, nonch� per le autostrade la legge 6 agosto 1967, n. 765). 

In conclusione, rispetto alle opere ferroviarie coesistono in materia 
di distanze le norme dettate dal codice civile e quelle contenute in leggi 

o regolamenti spedali, rispondendo ciascun sistema nol'Illativo ad un 
diverso scopo; J'art. 873, cod. civ., tende ad evitare intercapedini cos� 
strette da pregiudicare l'igiene e la sicurezza e Tappresenta un limite 
minimo inderogabile, prevedendosi che nei regolamenti locali venga 
stabilita una distanza maggiore, eventualmente tenendo conto anche di 
esigenze urbanistiche e della tutela dell'ambiente, onde realizzare spazi 
abitativi adeguati; le limitazioni Jegali alle propriet� che si trovano al 
confine con le strade ferrate sono imposte al fine di tutelare -come 
ben rileva la difesa dell'amministrazione -la sicurezza e 1a normalit� 
del servizio. � quindi possibile che le sfere spaziali non corrispondano 
e che la costruzione compatibile con queste esigenze risulti invece vietata 
nell'ottica della sistemazione del territorio pevseguita dal regolamento 
edilizio e puntualizzata in tema di distanze fra� costruzioni. 

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PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

Se quindi il manufatto ferroviario presenta le caratteristiche della 
�costruzione�, spiegano La loro efif.icacia anche le norme civnistiche 
integrate dalile �richiamate disposizioni regolamentari che sono appunto 
quelle di cui la Corte genovese ha fatto applicazione, quantomeno per 
quanto attiene a1l'obbligo di rispettarle da parte dei privati (restando 
impregiudicata, perch� irrilevante in questa prospettiva, la reciproca). 
Il vizio, pure dedotto, di omissione di motivazione su punto decisivo non 
sussiste, non potendo assurgere a fatto decisivo l'applicabilit� di un sistema 
normativo, nemmeno invocato ex adverso, alla fattispecie, che 
d� luogo solo a questioni di violazione o falsa appHcazione di diritto 
ex art. 360, n. 3, cod. proc. civ. 

3. -Inquadrata fa controversia nell'ambito delle disposizioni sulle 
distanze da osservarsi nelle costruzioni, con i vestanti quattro motivi 
del ricorso si addebita alla sentenza di non avere corretta'mente applicato 
la legge in relazione a1la situazione di fatto che si sarebbe dovuta 
accertare. 
Si dolgono, anzitutto, i rkorrenti con il secondo motivo che sia 
stata esclusa la ricorrenza della fattispecie di cui all'art. 878, cod. civ. 

La censura � infondata. 

Gi� davanti ai giudici di merito i Bruzzoni avevano sostenuto che 
il rilevato ferroviario non poteva essere considerato una costruzione, 
dovendosi aver riguardo al muro di sostegno come tale, che, non superando 
l'altezza di 3 metri, non comportava l'obbligo del rispetto della 
distanza legale. 

La Corte d'appelo ha disatteso l'assunto con duplice or�dine di argomenti 
.ciascuno dotato di forza decisoria; ha ritenuto anzitutto che si 
trattava di una vera e propria costruzione ed ha soggiunto che comunque 
non era esatto che il muro fosse di altezza inferiore ai 3 metri, 
essendosi proceduto ad un interro del piano di distacco con l'edificio dei 
Bruzzoni. 

Sottoponendo a critica tale motivazione costoro osservano che il muro 
di cinta con funzione di sostegno e di contenimento, anche se per rispondere 
a tale scopo venga edificato in modo da supevare l'altezza di 
tre metri, � eccettuato dal computo delle distanze legali, mentre contestano 
�solo genericamente il giudizio espresso dai giudici di merito nel 
senso che il manufatto ferroviario si presentava � quale massiccia opera 
di non trascurabile portata strutturale e funzionale da includere, in conformit� 
all'avviso espresso dal consulente d'ufficio, nel novero delle costruzioni 
in senso tecnico �. 

Il relativo apprezzamento di fatto, contro il quale, come si � accennato, 
non vengono mosse puntuali contestazioni, risulta del �tutto coerente con la 
nozione di costruzione e come tate appare incensurabile in questa sede di 
legittimit� (Cass., nn. 271/1957; 1479/1971; 2681/1979). 


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RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

Anche di recente questo S.C. ha ribadito C<he il terrapieno cintato 

da muri, e cio� sostenuto da opere murarie di contenimento, � una 

vera e propria costruzione, ai sensi ed agli effetti dell'art. 873, cod. civ., 

e deve quindi ritenersi soggetto alla disciplina delle distanze stabilite 

dalle norme di edilizia (Cass., n. 1904/1974). Rientra, infatti, nel concetto 

di � costruzione� ogni opera edilizia incorporata nel suok>, sia mediante 

muratura, sia con l'impiego di materiali diversi, la quale per la sua 

struttura e destinazione si presenti suscettibile di determinare la crea


zione di intevcapedini ove non sia rispettata dalle opere finitime la di.
stanza legale (Cass, n. 188/1973). 

Resta cos� esclusa l'assimilazione della �costruzione� considerata 

al muro come tale (a prescindere dalla funzione e dimensione del mede


simo) e rettamente sono state applicate al riguruido le prescriziooi sulle 

distanze del regolamento edilizio riguardanti i fabbricati. 

4. -Non vale obiettare in contrario che tale � costruzione � non 
potrebbe comunque farsi rientrare fra quelle contemplate nell'art. 37 
del regolamento edilizio di Spotorno il quale, quando parla di � fabbricati 
�, si riferirebbe esclusivamente agli edifici di civiile abitazione (terzo 
motivo). 
Non si nega che, in linea di principio, i regolamenti edilizi comunali 

possano differenziare le varie costruzioni ed imporre l'osservanza di 

determinate distanze in considerazione del tipo e delle caratteristiche 

delle costruzioni medesime e che per quelle residuali non prese in con


siderazione dalle disposizioni regolamentari, e non riconducibili in via 

intrpretativa a taluna di esse, riprenda vigore la regola generale dell'arti


colo 873, primo comma, cod. civ., sul distacco di tre metri. 

Ed � questa appunto la tesi dei �ricorrenti, gi� prospettata nelle difese 

di merito, ma che non avrebbe integrato comunque una questione nuova 

perch� si correla all'accertamento di fatto che l'edificio sorgeva a poco 

pi� di tre metri dal rilevato :ferroviario, laddove la distanza prescritta 

dal regolamento per i (soli) fabbicati � di otto metri. Al riguardo non 

� utilmente prospettabile il vizio di motivazione poich� una motivazione 

implicita nel senso di equ1parare la costruzione al fabbricato vi � stata, 

e si tratta di vagliare se la disciplina giuridica si attagli alla fattispecie, 

e cio� specificamente di stabilire se sia corretta l'assimilazione dell'opera 

ferroviaria al � fabbricato � di cui � menzione nella norma regola


mentare. 

La conclusione positiva si impone, anche ad accedere alla interpretazione 
dell'espressione nel suo normale rife11imento, nel contesto del 
regolamento, non genericamente ad ogni costruzione, ma alle opere con 
una particolare caratteristica strutturale che presentino pareti e tetto, 
e circoscrivano lo spazio per ricavarne ambienti di specifica destinazione 
nell'interesse dell'uomo (sembra troppo restrittiva la destinazione abi




PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

tativa di cui e cenno nel ricorso). A prescindere, infatti, da un'esatta 
puntualizzazione della nozione di fabbricato nelle varie disposizioni del 
regolamento, e specificamente nell'art. 37 qui considerato, appare evidente 
la ratio di assiourare mediante cospicui distaochi un pi� ampio 
rispetto delle indeclinabili esigenze di igiene e di sicurezza per le 
costruzioni di una certa consistenza, indipendentemente dalla destinazione 
dell'opera che normalmente si evidenzia nella qualificazione aggiuntiva 
al sostantivo � fabbricato � e di cui non � invece cenno nel 
regolamento di Spotorno che assume tale espressione in senso del tutto 
generko. Non � qutndi esatto nemmeno sul piano della esegesi letterale 
che il fabbiicato di cui � menzione nel regolamento sia una casa in 
senso tecnico, un edificio con una certa destinazione ad esclusione 
di altre. L'espressione � fabbricato � di per s� � neutra e le si pu� 
attribuire solo una dimensione quantitativa cui oorrisponde correlativamente 
l'allargamento della misura di distanza imposta. 

Ma quand'anche si volesse riconoscere che nel regolamento qui considerato 
con il termine fabbricati si intendono di regola ma non esclusivamente, 
gli edifici, la conclusione resterebbe ferma. T,ale regolamento, 
invero, contemplando separatamente la costruzione di muri di notevole 
importanza; prescrivendo l'obbligo della licenza (oggi: concessione) per 
qualsiasi intervento su beni immobili, ha voluto disciplinare, secondo 
l'id quod plurumque accidit, ogni opera suscettibile di incidere in una 
qualche misura sul tessuto urbaino, rapportando l'imposizione di maggiori 
distanze all'importanza dell'opera edilizia considerata pretermettendo 
l'esplicita menzione del terrapieno ferroviario attesa Ia sua peculiarit�. 
Spetta pertanto all'inteprete ricondurre l'opera considerata al �tipo� 
nominato pi� vidno rispetto al quale � stata postulata e l'esigenza 
di assicurare spazi di rispetto pi� ampi di quelli minimi prescritti dal 
codice, esigenza che si impone dal punto di vista sistematico e razionale 
per tutte le � costruzioni �, siano esse o meno � case � in senso stretto 
(delimitanti cio� uno spazio interno utilizzabile secondo le pi� diverse 
destinazioni), che presentino caratteristiche volumetriche e strutturali 
analoghe a quelle dei fabbricati intesi come costruzioni di non minima 
entit�. 

Sol che si consideri che il rilevato ferroviario taglia la zona, su un 
terrapieno rialzato di oltre tre metri sul suolo, idoneo a sostenere la 
massicciata per il passaggio di una linea ferroviaria a doppio binario, 
non pu� dubitarsi della necessit� di estendere anche a questa costruzione, 
cos� cospicua ed ingombrante, quella misura di distacco che era stata 
assunta a parametro irriducibile dell'utilizzazione edilizia della zona per 
la pi� idonea disciplina delle norme di vicinato. 

� poi del tutto peregrino l'assunto, affacciato nell'ultima parte del 
motivo, riecheggiando l'assimilazione alla strada pubblica, che anche applicando 
il regolamento (anzich� la legislazione speciale in materia fer



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RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

roviaria), si sarebbe dovuta consentire la costruzione addirittura �in 
confine�, con la Jinea ferroviaria posto che l'arretramento rispetto alle 
vie pubbliche � previsto dall'art. 36 del medesimo 1regolamento edilizio 
comune soltanto con riguardo a talune specificate strade. 

Gi� si � visto che l'assimilazione non � giuridicamente sostenibile, 
e comunque proprio a tenore dell',art. 879, secondo comma, cod. civ., 
dovrebbero applicarsi non gi� i regolamenti edilizi, ma quelli ferroviari 
~dei quali si � fatto cenno in sede di contestazione del primo mezzo). 

5. -Le considerazioni sin qui svolte muovono dal presupposto, incontroverso 
in punto di fatto, che la costruzione ferroviaria fu eseguita 
e completata prima che i Bruzzoni procedessero a foro volta ad edificare, 
correlandosi ad un procedimento espropriativo preceduto da occupazione 
temporanea il cui scopo, come � noto, � quello di anticipare i tempi 
dell'esecuzione dell'opera di pubblica utilit� senza attendere il compimento 
dell'iter procedimentale. 
:�. pure del tutto pacifico che l'indennit� di espropriazione fu calcolata 
:in concreto riconoscendo alla parte non espropriata un deprezzamento 
del 75 % in considerazione della perouta qualit� edificatoria; si � 
discusso, invece, se il decreto di espropriazione sia intervenuto anteriormente 
all'inizio dei lavori da parte dei Bruzzoni. La Corte d'Appello ha 
ritenuto di potersi dispensare dal relativo aocertamento (gli elementi 
probatori all'uopo acquisiti non erano univoci) ponendosi in un'ottica 
pubblicistica e valorizzando la connessione dell'opera ferroviaria con il 
procedimento esprorpriativo nonch� l'irreversibilit� dell'opera stessa che 
col suo venir in essere determinava una mutazione della situazione dei 
luoghi che andava apprezzata esclusivamente con gli strumenti del diritto 
pubblico, stante gli effetti anticipatori dell'occupazione rispetto all'espropriazione, 
e la consapevolezza dei Bruzzoni di subire, per effetto della 
costruzione del rilevato ferroviario, delle limitazioni alla facolt� di costruire. 


In questo senso molto lucidamente gi� il tribunale aveva osservato 
che l'espropriazione, pur essendo stata pronunciata formalmente dal 1969, 
di fatto risultava gi� compiuta nel 1966 allorch� l'opera pubblica venne 
ultimata, sicch� non rilevava che i Bruzzoni avessero in ipotesi cominciato 
la costruzione prima del decreto, dovendosi ugualmente tener 
conto dello stato di fatto rappresentato dall'esistenza dell'opera pubblica, 
osservando la distanza imposta dal regolamento edilizio di Spotorno 
di otto metri dal piede del 1rilevato ferroviario, da considerare quale 
fabbricato. 

Nella prospettiva degli effetti anticipatori dell'occupazione rispetto 
al:la espropriazione sembra al Collegio che il problema giuridico dibattuto 
con il quarto ed il quinto motivo trovi agevole soluzione da un 
lato nel principio della prevenzione e dall'altro in quello della irrever



PARTE I, SBZ. r.v, GIURISPRUDENZA CIVILE 

sibilit� dell'opera che non appena ne sia stata iniziata la costruzione 
svuota il diritto dominicale (quantomeno nei limiti della costituzione di 
una propriet� superficiaria sottratta alla operativit� dei principi dell'accessione) 
e quindi crea contrapposizione con la parte residua del fondo, 
realizzando il presupposto per l'applicazione delle norme sulle distanze. 

L'adozione di questa linea argomentativa consente di escludere H 
detemiinante rilievo delle tesi difensive avanzate dalla dHigente difesa 
dell'Avvocatura la quale da un lato nega con l'avallo della giurisprudenza 
di questo SiC. che i beni demaniali siano soggetti alJ.a disciplina delle 
distanze e delle altezze stabiliti dai regolamenti edilizi e dall'ialtro, 
discostandosene, afferma che le norme regolamentari, ispirate come 
sono ad esigenze di pubb:lico interesse, non potrebbero essere derogate 
dai proprietari dei fondi finitimi e quindi a maggior ragione dall'unico 
proprietario, trovando applicazione anche per le costruzioni effettuate 
all'interno di una propriet� fondiaria. 

Il Collegio non condivide la tesi dell'inapplicabilit� delle norme sulle 
distanze aMe costruzioni demaniali, ed � perplesso su quella della derogabilit� 
delle disposizioni dei regolamenti urbanistici; e poich� questo 
convincimento si risolve in una scelta argomentativa ulteriore rispetto 
alle radicali deduzioni difensive dell'amministrazione genovese, non pu� 
sottrarsi all'onere di motivare al riguardo; diffusamente rispetto al 
primo problema perch� si deve dar conto del dissenso da un orientamento 
riecheggiato in numerose decisioni; .~olo di scorcio sul secondo 
poich� questa volta la tesi erariale per essere accolta comporterebbe 
l'innovazione delle posizioni giurisprudenziali alla quale non si ritiene 
di giungere potendosi ugualmente respingere i1 motivo. 

6. -I Bruzzoni, in sede di merito, per l'eventualit� che il rilevato 
ferroviario venisse equiparato ad una costruzione rientrante nella previsione 
dell'art. 37 del regolamento edilizio �di Spotorno, avevano sostenuto 
che, in base a tale norma, il muro della ferrovia risultava costruito 
in violazione della distanza di m quattro dal confine, ed avevano chiesto, 
pertanto, fa condanna dell'amministrazione ferroviaria all'arretramento 
di detto muro, ovvero in subordine al risarcimento del danno. 
La tesi � stata respinta nel merito sia dai giudici di primo che di 
secondo grado, e di tale pronuncia si dolgono i ricorrenti col quarto 
mezzo. 

L'Avvocatura obietta, sotto il profilo processuale, che la riconvenzionale 
non avrebbe potuto essere presa in considerazione perch� improponibile 
(in quanto tardivamente dedotta anzich� in sede di denuncia 
di nuova opera, solo davanti al tribunale) e perch� inammissibile 
(chiedendosi la condanna della p.a. ad un facere). Ma poich�, come 
si � appena precisato, sia il tribunale che la Corte d'Appello hanno 
respinto le domande nel merito, disattendendo implicitamente dette 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

eccezioni, l'amministrazione ferroviaria, Timasta virtualmente soccombente 
sul punto pregiudiziale, av['ebbe dovuto proporre al riguardo ricorso 
incidentale condizionato. Non � quindi sufficiente la semplice deduzione 
difensiva per investire dell'eccezione 'questo S.C. il quale deve 
limitarsi a stabilire se la fondatezza della riconvenzionale, della cui ritualit� 
non � pi� possibile discutere, resti radicalmente esclusa dall'indiscusso 
ed indiscutibile carattere demaniale dell'opera ferroviaria ove 
dovesse tuttoria ritenersi che l'obbligo delle distanze legali e di quelle 
ulteriormente fissate dai regolamenti comunali, non operi nei conftronti 
dei beni appartenenti al demanio, come sostiene l'avvocatura, richiamandosi 
all'9rientamento della giurisprudenza secondo cui i beni demaniali, 
per la loro giuridica destinazione a11a soddisfazione immediata dei bisogni 
della comunit� e ad usi di pubblico interesse, attesa la prevalenza 
di tale interesse su quello dei singoli privati, sono assoggettabili 
ad un particolare regime pubblicistico, e sottratti a gran parte dei principi 
che regolano 1a propriet� privata, e in pairticolare alle norme che disciplinano 
i limiti legali del diritto di propriet� sui beni immobili. A 
suffragio di tale soluzione si argomenta nelle decisioni di questo S.C. che, 
pur non avendo il legislatore riprodotto la disposizione defil'art. 572, 
cod. civ. 1865 relativa ag;li edifici destinati all'uso pubblico, la mancanza 
di una espressa previsione non pu� essere interpretata come volont� di 
abolire J'esenzione gi� prevista, che costituiva applicazione di principi 
generali inerenti al regime dei beni, e non gi� deroga esJ>["essa ed un 
inesistente contrario principio, e si valorizza il primo comma dell'art. 879 
cod. civ. come espressione della posizione di privilegio fatta al demanio. 

A suffragio del richiamato indirizzo non � invocabile Cass., 3 luglio 
1947, n. 1048, che, nonostante la generica enunciazione della massima, 
si riferisce ad una fattispecie di applicazione dell'art. 572 del vecchio 
codice (di cui dilata la portata applicativa, con ragionamento a fortiori, 
dalle distanze legali previste dail codice a quelle ulteriori fissate dai regolamenti 
comunali): ma l'affermazione dell'inapplicabilit� delle disposizioni 
sulle distanze, si rinviene nelle decisioni n. 2350 del 1951; 1991 e 
3670 del 1957; 2749 del 1960; 1778 del 1961; 1368 del 1964; 841 del 1965; 
2208 del 1971. 

Anzitutto pu� convenirsi che se si riconosce in principio l'esenzione 
dei beni demaniali dalle norme sulle distanze stabilite dal codice in 
ragione della loro natura e funzione, si devono ritenere esenti anche 
dalle disposizioni dettate dai regolamenti edilizi; � quindi fuori di 
dubbio che nel vigore dell'art. 572 cod. civ. del 1865 la po['tata della 
disposizione fosse stata ,estesa dalle distanze legali ex codice a quelle 
ex regolamenti comunali. 

L'enunciazione generale contenuta nell'art. 572 non � stata peraltro 

riprodotta nel nuovo codice. Di questa omissione (il cui pericolo, come 

si � accennato, era stato avvertito dall'Avvocatura dello Stato) della 


PARTE I, SEZ. IV, GIUltISPRUDENZA CIVILE 

quale non d� conto la relazione al codice, sono possibili as1Jrattamente 
due interpretazioni: potrebbe ritenersi cio�, con Ja giurisprudenza ricordata, 
-che i!l legislatore abbia ritenuta superflua l'enunciazione di un 
principio gi� immanente nel.l'ood1namento, quale corolJario dello statuto 
della propriet� pubblica, ovvero opinare che si sia inteso puntualmente 
sopprimere per gli edifici demaniali l'esenzione gi�. contenuta nel citato 
art. 572 cod. 1865. 

La tesi che il regime della propriet� pubblica comporti di per s� 
tale esenzione non regge. Dail complesso delle norme di legislazione 
speciale pu� ricavarsi il principio delta potenziale soggezione degli immobili 
che si trovano in prossimit� dei beni demaniali ad un regime 
di limitazioni, in ragione della funzione di questi; ma non � possibile enucleare 
a priori per generalia il contenuto di dette -limitazioni in misura 
determinata o predeterminab1le, dovendosi aver rigual'do, caso per caso, 
alle specifiche previsioni di ,legge in ragione del � tipo � di beni demaniali. 
Proprio in tema di distanze la ricognizione della legislazione speciale (e 
se ne � fatto cenno a proposito del primo mezzo) consente di verificare 
che in ragione della specifica demanialit� considerata si manifestano 
esigenze diverse in ordine alle stesse distanze delle costruzioni viciniori 
ai beni medesimi. 

Il regime della propriet� pubblica � quello che ,risulta dal diritto 
positivo che ha ritenuto, proprio nella materia qui considerata, di dovere 
espressamente statuire la loro esenzione dalla comunione del muro 
(art. 879, primo comma); la statuizione relativa, all'opposto �li quel che 
sembra ritenere l'orientamento giurisprudenziale da ctii si dissente, non 
� argomento rilevante per affermare che l'esenzione dal rispetto delle 
distanze sia una sorta di imprescindibile corollario della demanialit�; 
se cos� fosse H fogislatore non avrebbe ritenuto necessario dettare 
una norma ad hoc per escludere la comunione forzosa del muro che 
appare pi� direttamente incompatibile con l'essenza della demanialit�, 
di quel che non sia il rispetto delle distanze. Del resto una correlazione 
di incompatibi:lit� fra demanialit� e disciplina delle distanze ove effettivamente 
sussistente avrebbe reso superflua, o meramente ricognitiva, 
la stessa statuizione del codice del 1865 contro ogni norma di 'legislazione 
codicistica che rifugge dalle ridondanze e dalle iterazioni. 

Proprio il raffronto fra conferma espressa dall'esenzione della comunione 
forzosa e sHenzio sul'l'esenzione dall'osservanza delle distanze 
legali vale a sottolineare la avvenuta soppressione di questa ultima. 
E la conclusione esegetica in tal senso trova conferma nella ratio della 
prescrizione relativa che nasce dall'esigenza di evitare intercapedini dannose 
per tutela dell'igiene degli abitati {dilatandosi attraverso le prescrizioni 
urbanistiche a tutela di un habitat adeguato alle esigenze di 
vita ottimali dei componenti della collettivit�, da garantire nell'interesse 
di tutti e non dei soli frontisti, da far valere in maniera cogente 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

ed inderogabile man mano che la concezione della propriet� nelle convinzioni 
sociali, e nelle fondamentali espressioni normative ratificate 
dalla Costituzione, si colora di impronta pubblicistica). Ma anche nel 
loro nucleo fondamentale fo norme sulle distanze legali contenute nel 
codice e quelle dei regolamenti locali che le integrano, pur se ricondotte 
(solamente) alle esigenze igieniche, postulano il rispetto di tale esigenze 
in maniera vincolante per soggetti direttamente interessati indipendentemente 
dalla loro qualit� pubblica o privata, trattandosi di assicurare 
l'areazione a qualsiasi fabbricato, a prescindere dalla sua contiguit� con 
altro fabbricato demaniale. 

� quindi da ritenere che il legislatore del 1942 abbia giudicato, oltre 
che opportuno, necessario realizzare sul piano di eguaglianza di tutte 
le costruzioni, le scansioni spaziali ritenute imprescindibili per la tutela 
dell'interesse primario perseguito, �sopprimendo l'esenzione che lo avrebbe 
compromesso e riservando ad altri strumenti la possibilit� di ubicare 
l'opera pubblica senza �restrizioni di sorta. 

Sembra infatti al Collegio che la costruzione di opere demaniali nel


l'interesse pubblico al di qua dei limiti imposti in via generale dal 

legislatore, sia realizzabile ricovrendo all'espropriazione, che pu� signi


ficare in quailche caso demolizione degli edifici eretti sull'area espro


priata ed in altri, come quello di specie, limitazione conseguenziale della 

edificabilit� direttamente risarcibile (e concretamente risarcita) nel cal


colo dell'indennit�. 

7. -� questo il tratto saliente della situazione all'esame del Collegio, 
in cui il richiamo all'art. 46 della legge suHe espropriazioni pare fuori 
luogo perch� la riduzione di edificabilit� (correlativa all'onere del rispetto 
delle distanze daM'opera pubblica) � gi� venuta in considerazione 
come connotato essenziale della espropriazione in itinere. 
Il punto focale per la risoluzione del problema � dunque quello 

della piena equiparazione -sotto l'angolo visuale qui considerato delle 

distanze fra fabbricati da applicare con riguardo alla parte residua del 

fondo espropriato -della espropriazione in itinere, i cui effetti sono 

anticipati in forza della occupazione, alla espropriazione perfezionata 

con la emanazione del decreto. 

Il risarcimento del danno (e giammai la pretesa alla rimozione del


l'opera) � ipotizzabile rispetto ad un'opera pubblica costruita senza ri


spettare la legge, lasciando decorrere il tempo massimo di durata del


l'occupazione legittima (e salvi sempre gli effetti sananti ex nunc del 

sopravvenuto decreto espropriativo). 

NeMa commisurazione del danno si dovr� in �queste ipotesi tener 
conto anche della riduzione di attitudine edificatoria della parte residua 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

del fondo per arretramento della eventuale costruzione che ivi si volesse 
erigere. 

Ma se l'opera pubblica � sorta in costanza di un regolare procedimento 
espropriativo, indipendentemente dal riferimento temporale al 
decreto di espropriazione, il problema delle distanze va risolto alla stregua 
del principio della prevenzione operante come se la costruzione medesima 
fosse stata edificata su suolo gi� divenuto a tutti gli �effetti di 
propriet� della P.A. avendo riguardo al confine segnato d~lla estensione 
dell'area in cui la pubblica amministrazione si � immessa in virt� del 
decreto di occupazione temporanea e che verr� a coincidere 'con quella 
che former� oggetto del provvedimento espropriativo. 

Opinando diversamente si verrebbero a frustrare gli interessi ch� si 
sono voluti perseguire autorizzando l'occupazione temporanea. E d'altra 
parte non pu� sottacersi che chi subisce l'occupazione .preordinata 
a11'espropriazione � perfettamente in gr�do di conoscere le finalit� del 
procedimento e di apprezzare i riflessi �a carico del fondo residuo. 

Il principio della prevenzione gioca nel senso che l'inizio della costruzione 
dell'opera pubblica fa scattare la normativa che riguarda le 
distanze tra le costruzioni, con effetto anticipatorio de11'occupazione rispetto 
al trasferimento coattivo in itinere, paralizzando, rpur nelle more 
del procedimento ablatorio, la facolt� di costruire senza il rispetto delle 
distanze calcolate con riferimento alla costruzione� medesima ed al confine 
della zona temporaneamente occupata. 

La pretesa della pubblica amministrazione di fare arretrare l'ed1ficio 
latistante e di escludere per tale arretramento ogni risarcimento non si 
ricollega quindi alla costruzione dell'opera pubblica come tale, all'impossibilit� 
di rimuoverla in forza di pr()vvedimento giurisdizionale, ma 
discende dall'inserirsi di tale costruzione nel procedimento espropriativo, 
sicch� il suo venir in essere legittimamente, perch� a tanto fa pubblica 
amministrazione era facoltizzata, realizza �l'effetto della prevenzione 
e traduce il pregiudizio che eventualmente il privato potrebbe risentire 
in pretesa indennitaria di cui potr� tenersi conto nella liquidazione 
della indennit� di espropriazione. 

8. -Ricondotta la costruzione iniziata in pendenza di procedimento 
espropriativo giunto ritualmente al suo esito, al principio della prevenzione, 
equiparandola alla costruzione effettuata su terreno gi� diventato 
di propriet� dell'amministrazione e valorizzata la linea di tendenza finalistica 
del procedimento medesimo nella consecuzione fra occupazione 
temporanea ed espropriazione, deve coerentemente ritenersi che solo 
la pubblica amministrazione ha diritto di pretendere H rispetto delle di: 
stanze alla stregua della priorit� ubicativa di cui si � avvalsa. Pertanto 
le censure del �ricorso risultano prive di fondamento anche se la solu

86 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

zione cui la Corte � pervenuta resta confermata per un ordine di ragioni 
diverse da quelle esposte in motivazione, senza che ci� comporti il lamentato 
vizio di motivazione poich� la incongruit� eventuale degli argomenti 
addotti in sentenza per giungere ad una soluzione giuridicamente 
appagante non pu� mai tradursi nella cassazione della sentenza, implicando 
eventualmente il ricorso allo strumento integrativo-sostitutivo dell'art. 
384, secondo comma, cod. proc. civ. 

Correlativamente anche il quinto ed ultimo mezzo risulta privo di 
fondamento giuridico. Si lamenta al rigua!'do che la Corte d'Appello di 
Genova abbia omesso di esaminare e risolvere Ia questione di fatto relativa 
alla anteriorit� dell'inizio dei lavori di costruzione dell'edificio dei 
ricorrenti rispetto alla data del decreto di espropriazione, e si sostiene 
che poich� la costruzione venne iniziata quando ancora l'espropriazione 
non era stata pronunciata, appartenendo tutto il suolo ai Bruzzoni, male 
era stato applicato l'art. 873 cod. civ. 

Il Collegio osserva, anzitutto, che il vizio di motivazione non sussiste 
perch� nell'economia della decisione il relativo accertamento era stato 
giudicato superfluo: invero dal contesto della impugnata sentenza risultano 
le cir:costanze che preme ai ricorrenti mettere in evidenza: se non 
la anteriorit� dell'inizio dei lavori relativi al loro edificio rispetto alla 
emanazione del decreto di espropriazione, quantomeno rispetto al rilascio 
della licenza edilizia. Si da atto, infatti, che l'opera pubblica venne 
ultimata nel 1966, che la licenza � del 1968 e la espropriazione del 1969, 
ma non si ritiene necessario stabilire quando ebbero effettivamente inizio 
i lavori attribuendo decisivo rilievo all'ultimazione in tale epoca dell'opera 
pubblica di cui si deve necessariamente tener conto ai fini delle distanze 
previste dal piano regolatore. 

In verit� se fosse stato provato in causa che i lavori di costruzione 
dell'edificio dei Bruzzoni avevano avuto inizio posteriormente all'emanazione 
del decreto di espropriazione, l'operativit� del principio di prevenzione 
si sarebbe avuta senz'altro rispetto ad opera pubblica eretta 
sul terreno delle pubbliche amministrazioni e non su terreno ancora 
formalmente intestato ai ricorrenti, sicch� il richiamo alle norme sulle 
distanze in linea di principio sarebbe stato fuor di discussione con riferimento 
al requisito della contiguit� di fondi appartenenti a diversi proprietari 
(nel presupposto che non vi restassero invece soggette le costruzioni 
interne ad uno stesso immobile). 

Sotto questo aspetto, quindi, potrebbe revocarsi in dubbio l'esattezza 
del giudizio espresso dalla Corte che ha ritenuto superflua l'indagine. 


Ma, a ben vedere, si � trattato di una scelta fra l'apprezzamento di 

una prova non lineare, e l'applicazione di un principio giuridico che 



���>. 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

al giudice � sembrato indiscutibile: doversi considerare l'opera iniziata 
a seguito di occupazione temporanea come opera insistente su suolo ormai 
definitivamente sottratto alla sfera di disponibilit� del proprietario, 
e quindi equiparabile ad finitima altrui in senso proprio, nell'ottica dei 
rapporti di vicinato. 

In definitiva si tratta, anche a questi fini, di dare rilievo anticipatorio 
alla costruzione, effettuata in fase di occupazione preordinata 
all'espropriazione, rispetto al trasferimento coattivo della propriet� del 
suolo, non ancora perfezionato. Attraverso il medesimo procedimento 
logico-giuridico, messo pi� sopra in luce, si � ritenuto che bastasse l'inizio 
della costruzione dell'opera, nella pendenza di una 6ocupazione legittima, 
preordinata all'espropriazione, tempestivamente realizzatasi, a 
rendere operanti le norme sulle distanze come se si trattasse di costruzioni 
effettuate su suoli finitimi appartenenti a proprietari diversi, 
prescindendosi dalla risoluzione del problema se tali norme si applichino 
rispetto a costruzioni erette all'interno del medesimo fondo. 

Il .ragionamento svolto daHa Corte del merito che recepisce l'impostazione 
del tribunale, con le puntualizzazioni cui si � fatto cenno, sembra 
coIIdividibile al Collegio. L'avvenuta costruzione dell'opera pubblica 
crea effettivamente un hiatus fra propriet� residua e propriet� esproprianda, 
consentendo la valutazione giuridica autonoma della porzione oc


cupata, e su .cui si � .realizzata tale opera, quale area di incidenza della 
espropriazione in corso, contrapponibile come tale alla propriet� residua, 
sicch� si rendono operanti le norme sulle distanze e scatta lo strumento 
della prevenzione. 

Pu� quindi essere accantonato come si � premesso il problema della 
derogabilit� o inderogabilit� della disciplina legale (ed integrativa regolamentare) 
sulle costruzioni che consentirebbe un approccio ancor pi� 
diretto per giustificare la soluzione cui questa Corte � pervenuta. 

Non sembra opportuno infatti affrontare e risolvere un problema 
sul quale la giurisprudenza si � espressa negativamente (cfr. nn. 2955/68; 
634/72; 503/75). ._ 

Mentre in tema di �esenzione degli edifici demaniali � stato necessario 
dar conto della disapplicazione di un orientamento giurisprudenziale 
espressamente invocato dalla parte, perch� la inderogabilit� delle 
norme sulle distanze cui Ia difesa dell'Avvocatura si richiama (verso la 
quale il Collegio manifesta la sua propensione, stante la dimensione 
pubblicistica di tutti gli interessi sottesi dalle norme sulle distanze legali) 
dovrebbe essere affermata provocando un mutamento di giurisprudenza 
non essenziale per il rigetto del ricorso, sembra sufficiente 
rilevare che Ia tesi difensiva avanzata si scontra con il richiesto accertamento 
ma che, nonostante le circostanze, per altra via il motivo di 
ricorso deve essere ugualmente respinto. (omissis) 


88 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 24 giugno 1980, n. 3951 -Pres. Marchetti Est. 
Sandulli -P. M. Cantagalli (conf.). -Istituto Autonomo per le Case 
Popolari della Provincia di Messina (avv. Brancati) c. Ministero dei 
Lavori Pubblici (avv. Stato Viola). 

Espropriazione per p.u. -Delegazione per p.u. -Delegazione intersoggettiva Obbligo 
di esproprio a carico del delegato -Occupazione ultrabiennale 
non seguita da espropriazione � Atto illecito del delegato -Rimborsabilit� 
del risarcimento pagato al terzo -Non sussiste. 

L'ente delegato a provvedere all'occupazione d'urgenza ed all'espropriazione 
non ha diritto di richiedere all'ente delegante il rimborso delle 
somme erogate a titolo di risarcimento del danno per fatto illecito causato 
senza il concorso del delegante (1). 

(omissis) Con il primo, il ricorrente -denunciata la violazione o la 
falsa applicazione dell'art. 4 della legge 9 agosto 1954, n. 640 e degli 
artt. 1387, 1388, 1704, 1719, 1720 e 2043 cod. civ., e dell'art. 132 n. 4 cod. 
proc. civ. -sostiene che la delega conferitagli dal Ministero dei lavori 
pubblici per la costruzione dei due fabbricati non ricomprendesse la 
espropriazione dei suoli e che, quindi, dovessero porsi a carico del Ministero 
i danni conseguenti alla occupazione ultrabiennale. 

Con il secondo, il ricorrente -denunciata la violazione degli artt. 
2041 cod. civ. e 132 n. 4 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360 n. 3 e 5 
cod. proc. civ. -assume che il Ministero avrebbe dovuto rimborsargli, a 
titolo di indebito arricchimento, quanto da esso corrisposto al terzo espropriato 
per l'occupazione illegittima del terreno. 

Con il terzo, il ricorrente -denunciata la violazione degli artt. 2043 
cod. civ. e 132 Il. 4 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360 n. 3 e 5 
cod. proc. civ. -lamenta che la Corte del merito abbia escluso la concorrente 
responsabilit� del Ministero per la protrazione dell'occupazione 
oltre il biennio. 

Le censure, in cui si articolano i riassunti motivi, sono prive di fondamento. 
La Corte del merito -dopo aver premesso che la ,legge 9 agosto 
1954, n. 640 (provvedimenti per la eliminazione delle abitazioni malsane) 

(1) Si conferma esattamente il principio enunciato dalla Cassazione in altri 
precedenti e, da ultimo, nel giudizio tra le stesse parti deciso con sent. 10 gennaio 
1979, n. 156, in Mass. Foro it., 1979. 
� considerata ipotesi di concorso nella causazione del danno per illegittima 
occupazione la circostanza che l'Amministrazione delegante non abbia con 
tempestivit� fornito i mezzi finanziari occorrenti all'espropriazione, sempre che 
tale impegno, che non nasce automaticamente dalla delegazione intersoggettiva, 
sia stato espressamente assunto nell'atto di delega. 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

attribuisce al Ministero dei lavori pubblici il potere di delegare, per la 
progettazione e l'esecuzione dei lavori di costruzione di alloggi destinati 
ad accogliere le famiglie allocate in abitazioni malsane ed insalubri, le 
proprie attribuzioni agli Istituti per le Case popolari (art. 4) e dopo 
aver rammentato, con richiamo ai princ�pi affermati da questa Corte in 
tema di delegazione amministrativa intersoggettiva, che di regola e salvo 
che l'atto di conferimento non disponga altrimenti, l'ente delegato � 
investito del potere di provvedere, rispetto all'oggetto della delega, in 
nome proprio e non in veste di rappresentante del soggetto delegante, anche 
se agisce per conto e nell'interesse di quest'ultimo -ha proceduto 
ad una approfondita indagine circa il contenuto e l'estensione della delega 
conferita dal Ministero all'Istituto per le Case popolari, al fine di 
accertare se l'attivit� dell'ente avesse o meno esorbitato dai limiti ad essa 
imposti. 

Da tale indagine, la Corte d'appello -avendo accertato (con giudizio 
di fatto, incensurabile in questa sede per avere a supporto una motivazione 
adeguata e corretta, immune da vizi logici ed errori giuridici) 
che la delega amministrativa si estendeva al procedimento di occupazione 
e di espropriazione e che l'Istituto, nel procedere aH'occupazione 
del terreno aveva agito ne1la veste di delegato del Ministero -ha correttamente 
tratto la conclusione che l'Istituto dovesse essere tenuto a 
rispondere, in via esclusiva (non ricorrendo alcuna responsabilit� del 
Ministero a titolo di concorso nell'illecito), direttamente nei confronti 
del terzo, (oltre che dell'indennit� di espropriazione e di occupazione legittima) 
dei danni dovuti per l'occupazione illegittima, ultrabiennale. 

E -se, in base al criterio direttivo desumibile dall'art. 4 della cit. 
legge n. 640 del 1954 e dai princ�pi generali in materia di delegazione 
amministrativa. � obbligo del delegante rimborsare al delegato le spese 
occorse per l'esecuzione della delega -tale obbligo non pu� ritenersi 
esteso a quelli esborsi che trovino la loro causa in un illecito, a meno 
che non vi sia stato concorso del primo nell'illecito commesso dal secondo 
(nei rapporti esterni) o che l'illecito commesso da quest'ultimo 
sia dipeso da un comportamento illecito del primo (nei rapporti interni). 

Per modo che, nel caso di specie -escluso, in punto di fatto, con 
accertamento insindacabile in questa sede, che il Ministero abbia concorso 
nell'illecito o abbia determinato l'tillecito di cui l'Istituto si � reso 
responsabile di fronte al terzo -deve ritenersi che il rimborso dei danni 
a quest'ultimo dovuti per il periodo di occupazione illegittima potrebbe 
trovare giustificazione soltanto in presenza di un comportamento di inadempienza 
del Ministero rispetto ad un obbligo (interno) (la cui esistenza, 
nel caso di specie, non risulta) � di anticipazione delle spese al 
delegato, sul riflesso che tale inadempienza potesse aver'Ile determinato 
il comportamento illecito (cfr., in tal senso, Cass., sent. 10 gennaio 1979, 

n. 156; sent. 2 febbraio 1977, n. 469; sent. 6 agosto 1975, n. 2988). 

90 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

N� pu� ritenersi che il Ministero abbia tratto vantaggio dalla condotta 
antigiuridica dell'Istituto, in quanto l'utilit� derivata al delegante 
attiene al rapporto interno (dii delegazione) e non a quello esterno (fra 
delegato e terzo), in ordine al quale il delegato avrebbe dovuto operare 
nel rispetto della legge senza incorrere (nel procedere all'espropriazione 
del suolo) nell'illecito causativo del danno. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 16 ottobre 1980, n. 5570 -Pres. Sposato Est. 
Gualtieri -P. M. Morozzo della Rocca -Balfour Beattj Limited 
(avv. Ferri) c. Ministero per l'Industria (avv. Stato Favara). 

Industria � Invenzioni industriali � Brevetti �Requisiti . Vari tipi di invenzione 
(di combinazione, di perfezionamento, di traslazione). 

Il requisito della novit� intrinseca, al fine della brevettabilit�, come 
invenzioni industriali, anche delle realizzazioni derivanti da altre cognizioni 
od invenzioni, non richiede un grado di creativit� ed originalit� 
assoluta rispetto a qualsiasi precedente nozione, ma si concretizza pure 
in un progresso di idee, in un miglioramento della tecnica preesistente, 
in modo idoneo a risolvere problemi e a soddisfare interessi industriali 
prima non risolti e non soddisfatti, come si verifica nel caso di coordinamento 
originale ed ingegnoso di elementi e mezzi gi� conosciuti, da 
cui derivi un risultato tecnicamente nuovo ed economicamente utile ( cosiddetta 
invenzione di cQmbinazione), ovvero nel caso della risoluzione in 
forme diverse e pi� convenienti di problemi tecnici gi� risolti in altro 
modo (cosidetta invenzione di perfezionamento) ovvero nel caso di trasposizione 
di un principio opposto o di una precedente invenzione in un 
diverso settore e con un diverso risultato finale (cosiddetta invenzione 
di traslazione). 

(1) Cfr., in termini, Cass., 4 agosto 1979, n. 4528. 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 25 novembre 1980, n. 6268 -Pres. Granata 
-Est. Sensale -P. M. Morozzo della Rocca -Giambartolomei 
(avv. Criscuoli) c. Ministero del Tesoro (avv. Stato Cavalli). 

Borsa � Violazione delle norme valutarie � Esportazioni di assegni, senza 
data e senza luogo di emissione illecita -Esportazione di valuta � 
Sussiste. 

La esportazfone ed il tentativo di esportazione di titoli di credito 
(assegni bancari di conto corrente) senza la prescritta autorizzazione 


91

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

ministeriale configurano l'infrazione dell'art. 6 del d.l. 6 giugno 1956, 

n. 476, costituendo strumento idoneo all'illecita esportazione di valuta, 
anche se gli assegni bancari, che portino la sottoscrizione dell'emittente, 
possano per legge circolare soltanto in Italia e siano privi del 
luogo e della data di emissione in quanto essi possono essere riscossi, 
una volta pervenuti all'estero, senza necessit� di intervento dell'emittente 
(1). 
(1) Giurisprudenza pacifica: cfr. Cass., 20 gennaio 1979, n. 433; Cass., 3 luglio 
1979, n. 3734; Cass., 3 dicembre 1979, n. 6291. 

SEZIONE QUINTA 

GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

CONSIGLIO DI STATO, Ad PI., 2 dicembre 1980, n:. 51 -Pres. Levi Sandri 
-Est. Petriocione -Regione Sardegna (avv. Stato Azzariti) c. 
Bazzoni ed altri (n.c.) -Appello T.A.R. Sardegna 19 aprile 1978, 

n. 168. 
Giustizia amministrativa -Ricorso giurisdizionale -Formalit� -Deposito Termine 
-Effetti della scadenza in termine festivo -Possibilit� della 
proroga -Sussiste. 

Enti Pubblici -Enti Ospedalieri -Atti -Controllo -Controllo affidato alle 
Regioni ex legge n. 132/1968 -Effetti. 

Qualora il termine per il deposito del ricorso giurisdizionale amministrativo 
(trenta giorni) scada in un giorno festivo, esso si considera 
prorogato al primo giorno successivo non festivo, dovendosi ritenere 
abrogata la norma regolamentare interpretativa, contenuta nell'art. 
18 del d.P.R. 17 agosto 1907, n. 642, ci� in relazione a quanto 
disposto dagli artt. 2963, terzo comma, cod. civ. e 155, terzo comma, 
cod. proc. civ. (1). 

(1) Giover� rico:rdare che la giurisprudenza del Consiglio di Stato si era 
sempre espressa nel senso di ritenere senz'altro operante la proroga in questione 
(cfr. ad es. Sez. V, 30 ottobre 1956, n. 906, in Il Consiglio di Stato, 1956, 
I, 1919; Sez. VI, 28 dicembre 1951, n. 732, ivi, 1951, I, 1494; Sez. VI, 8 giugno 1960, 
n. 414, ivi, 1960, I, 1350; Sez. IV, 26 febbraio 1964, n. 99, ivi, 1964, I, 266). 
La questione � stata rimessa all'Adunanza Plenaria dalla Sez. IV con ordinanza 
18 dicembre 1979, n. 1189 (ivi, 1979, I, 1803) e si ricollega sostanzialmente 
alla indagine sui limiti di attuale vigenza della norma contenuta nel secondo 
comma dell'art. 18 del r.d. 17 agosto 1907 n. 642, secondo cui il deposito del 
ricorso al Consiglio di Stato va effettuato entro il trentesimo giorno, pur se 
festivo. 

Con motivazione chiara e pienamente accettabile l'Ad. Pl. precisa che 
� l'art. 28 del t.u. 17 agosto 1907, n. 638 (poi trasfuso nell'art. 36 del r.d. 26 giugno 
1924, n. 1054) a contenere il precetto primario, che peraltro prescrive solo 
il deposito dell'originale del ricorso �entro trenta giorni successivi alle notificazioni, 
a pena di decadenza�. 

L'art. 18 del Regolamento per la procedura dinanzi al Consiglio di Stato 
(approvato con il citato r.d. 642/1907) cos� recitava: �Il termine stabilito 
dall'art. 28, terzo capoverso, della legge per fare il deposito, si intende scaduto 
nel momento in cui si chiude la segreteria della Sezione, nell'ultimo giorno del 
termine ancorch� festivo �. 

Orbene, in forza degli innegabili, radicali mutamenti della struttura sociale 
e della disciplina del lavoro in ispecie dei pubblici dipendenti che, come esattamente 
rileva la decisione all'esame, �hanno attuato un completo disimpegno 


93

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA: 

La competenza al sindacato, da parte dei Comitati regionali di controllo, 
sugli atti degli Enti ospedalieri risale alla data di entrata in vigore 
della legge 12 febbraio 1968, n. 132 e non alla successiva data di entrata in 
vigore del d.P.R. 12 gennaio 1972, n. 4, con il quale si � attuato il trasferimento 
aUe Regioni a statuto ordinario delle funzioni in materia di 
assistenza sanitaria. 

da ogni attivit� lavorativa... nelle giornate festive�, il precetto contenuto nel� 
l'art. 28 sopra richiamato va raccordato con il principio generale che trova la 
sua sanzione nell'art. 2963 cod. civ. (relativo al computo dei termini della prescrizione) 
laddove recita: � se il termine scade in giorno festivo, � prorogato di 
diritto al giorno seguente non festivo�, principio confermato anche dall'art. 155, 
ultimo comma, cod. proc. civ., dall'art. 180 cod. proc. pen., dall'art. 39 della 
nuova disciplina sul processo tributario (d.P.R. n. 636/1972), dalla sentenza 
15 giugno 1960, n. 39, della Corte costituzionale per il processo innanzi alla 
medesima (cfr. anche le leggi 24 gennaio 1962, n. 13 e 24 febbraio 1965, n. 92, 
sulla proroga di termini scadenti in giorni feriali di chiusura delle aziende ed 
istituti di credito). 

RAFFAELE TAMIOZZO 

CONSIGLIO DI STATO, Ad Pl., 16 dicembre 1980, n. 52 -Pres. Levi 
Sandri -Est. Berruti -Soc. coop. edil. Medaglia d'oro L. Masi ed 
altro (avv. Gaeta) c. Ministero lavori pubblici (avv. Stato Freni) e 
Bizzarri (avv. Lubrano) -Appello T.A.R. Lazio, III Sez., 5 giugno 
1978, n. 456. 

Giustizia amministrativa -Ricorso giurisdizionale -Limiti della pronuncia 
-Poteri del Giudice -Principio dell'assorbimento � Natura -Effetti. 

Giustizia amministrativa -Ricorso giurisdizionale � Notificazione -Notificazione 
diretta all'Autorit� emanante presso l'Avvocatura dello 
Stato -Situazione ante legge n. 103/1979 -Costituzione in giudizio � 
Effetti. 

Edilizia economica e popolare -Assegnatari di alloggi cooperativi -Stipulazione 
di mutui individuali -Nulla-osta Ministero Lavori Pubblici Natura. 


Fermo il principio dell'assorbimento, secondo cui il Giudice Ammi


nistrativo pu� evidenziare l'esistenza di nessi logici per ragioni di pre� 

giudizialit� o di dipendenza nelle questioni sottoposte al suo esame, devr


ritenersi peraltro preclusa la possibilit� di prescindere dalla pronuncia 

su una questione autonoma (pregiudiziale o preliminare), non incidendo 

sulla stessa le valutazioni inerenti alla sua irrilevanza in relazione alla 

pronuncia di merito. 

Il vizio della irrituale notificazione del ricorso giurisdizionale am


ministrativo all'autorit� emanante presso l'Avvocatura dello Stato, an


zich� presso la sede della stessa Amministrazione ai sensi degli artt. 45 

t.u. 26 giugno 1924, n. 1054 e 52 t.u. 30 ottobre 1933, n. 1611 (beninteso 

94 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

per i ricorsi anteriori alla entrata in vigore della legge 3 aprile 1979, 

n. 103) � sanato, con effetti ex tunc, dall'avvenuta costituzione in giudizio 
della Amministrazione statale convenuta, anche qualora detta costituzione 
sia intervenuta dopo la scadenza del termine per la tempestiva 
proposizione del ricorso stesso (1). 
Il nulla-osta rilasciato dal Ministero dei lavori pubblici ai sensi degli 
articoli 125 e 139 del t.u. 28 aprile 1938, n. 1165, per la stipulazione dei 

Effetti della costituzione in giudizio dell'Amministrazione in caso di irrituale 
notificazione del ricorso giurisdizionale amministrativo. 

(1) La fattispecie esaminata dalla Adunanza Plenaria si riferisce ad un 
ricorso giurisdizionale amministrativo irritualmente notificato -in vigenza 
della disciplina precedente all'entrata in vigore della legge 103/1979 -all'autorit� 
emanante presso l'Avvocatura dello Stato anzich� presso la sede della stessa 
amministrazione: appare, peraltro, di tutta evidenza che il principio pu� e deve 
trovare piena applicazione nel nuovo sistema vigente ogni qualvolta si versi in 
ipotesi di notificazione irrituale in quanto effettuata direttamente presso la sede 
dell'Amministrazione, anzich� presso gli Uffici dell'Avvocatura dello Stato ex lege 
domiciliataria ad ogni effetto. 
Non priva di interesse risulta una, sia pur rapida, disamina del criterio 
seguito dalla Adunanza Plenaria nella motivazione della decisione de qua per 
arrivare alla affermazione del principio sopra enucleato quanto agli effetti 
(ripetesi: ex tunc) della spontanea costituzione in giudizio dell'Amministrazione, 
indipendentemente da ogni considerazione del momento (anteriore o successivo 
alla scadenza del termine per la tempestiva proposizione del ricorso) in cui la 
stessa spontanea costituzione risulti effettuata. 

Il punto risolto dalla Adunanza Plenaria concerne l'esistenza o meno di un 
diritto quesito della parte resistente per effetto della eventuale decadenza dalla 
proposizione tempestiva del ricorso giurisdizionale amministrativo (che risulti 
affetto da nullit� di notificazione), in relazione al momento della comparizione 
in giudizio dell'Amministrazione e, pi� precisamente, a seconda che tale momento 
sia avvenuto in pendenza del termine a ricorrere, (e cio� entro il periodo di 
tempo in cui doveva essere eseguita la notificazione del ricorso), ovvero dopo la 
scadenza del termine a ricorrere. 

In passato la giurisprudenza amministrativa era oscillante, ritenendosi in 
talune decisioni (cfr. ad es. Sez. IV, 26 gennaio 1971, n. 49, in Il Consiglio di Stato, 
1971, I, 31; 23 novembre 1973, n. 947, ivi; 1973, I, 1704; Sez. V, 22 ottobre 1968, 

n. 1258, ivi, 1968, I, 1539) che l'effetto sanante della costituzione in giudizio del 
soggetto destinatario di una notificazione affetta da nullit� avesse decorrenza 
ex nunc, laddove in altre decisioni (cfr. ad es. Sez. IV, 11 giugno 1974, n. 439, ivi, 
1974, I, 868; 6 dicembre 1977, n. 1145, ivi, 1977, I, 1081; Sez. VI, 1� dicembre 1977, 
n. 936, ivi, 1977, I, 1851; Cons. Giust. Reg. Sic., 17 giugno 1977, n. 120, ivi, 1977, I, 
1985) l'effetto sanante era stato riconosciuto con decorrenza ex tunc in considera2:
ione del pieno raggiungimento dello scopo dell'atto per effetto della avvenuta 
costituzione in giudizio. 
Sulla premessa che alla questione in esame � estranea l'ipotesi della nullit� 
del ricorso per difetto di elementi essenziali (ipotesi alla quale � applicabile 
il principio della sanatoria dei vizi di nullit� con effetto ex nunc ai sensi 
dell'art. 17 del Regolamento di procedura, che trova il suo parallelo nell'art. 164 
cod. proc. civ. relativo alle ipotesi di nullit� della citazione e cio� dell'atto 
introduttivo del giudizio civile), l'Adunanza Plenaria riconduce esattamente la 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

95 

mutui individuali da parte degli assegnatari di alloggi cooperativi si 
inserisce nell'attivit� di controllo e vigilanza sulle cooperative edilizie a 
contributo statale, quali enti operanti per la realizzazione di fini espressamente 
dichiarati pubblici, ed � manifestazione del potere di intervento 
al fine di accertare l'esistenza di situazioni idonee a turbare le 
essenziali finalit� dell'intervento statale nel settore dell'edilizia abitativa 
popolare. 

soluzione del problema nell'ambito di applicazione delle norme generali in materia 
di notificazione, contemplate nel codice di procedura civile agli artt. 156 e 160 
e ispirate al noto principio della irrilevanza delle nullit� qualora lo scopo della 
notificazione risulti raggiunto con l'effettiva comparizione in giudizio della 
parte intimata. 

E se � pur vero che la notificazione � un procedimento avente lo scop~ della 
ricezione dell'atto che ne forma oggetto, al fine di garantire il rispetto del contradditorio 
e della tutela . giurisdizionale, esigenza costituzionalmente sancita 
(cfr. art. 24 Cost.}, non va d'altro canto trascurato che nessuna nullit� per inosservanza 
di forme nel processo pu� essere pronunciata se l'atto ha raggiunto 
Io scopo a cui � destinato (cfr. citato art. 156 cod. proc. civ.) scopo che -secondo 
l'esatta motivazione della decisione all'esame -deve per l'appunto ritenersi 
compiutamente realizzato ogniqualvolta la parte destinataria dell'atto � ��.dimostri 
con l'adempimento dell'onere della costituzione in giudizio, aver avuto dell'atto 
notificato ricezione, in misura idonea all'esercizio della difesa �. 

In relazione alla ontologica diversit� che caratterizza le due fattispecie 
considerate: da un lato nullit� afferente all'atto introduttivo del giudizio (citazione 
o ricorso), dall'altro nullit� afferente alla notificazione; nonch� in relazione 
alla espressa, diversa disciplina normativa delle due ipotesi esaminate, la 
prima sottoposta al trattamento previsto dagli artt. 17 del regolamento di procedura 
dinanzi al Consiglio di Stato e 164 cod. proc. civ., la seconda al trattamento 
di cui all'art. 160 cod. proc. civ., si giustifica cos, e ampiamente, la diversa disciplina 
della decorrenza degli effetti della costituzione in giudizio, ex tunc nella 
seconda ipotesi ed ex nunc (cio� con salvezza dei diritti quesiti) nella prima 
ipotesi, quella cio� relativa alla nullit�, per difetto di elementi essenziali, della 
citazione o del ricorso. 

RAFFAELE T AMIOZZO 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 9 dicembre 1980, n. 1161 -Pres. Santaniello 
-Est. Giovannini -Ricciuti ed altri (avv. Giuliani) c. Prefetto 
di Potenza (avv. Stato Laporta) e Consorzio area industriale di Potenza 
ed altri (n.c.) -Appello avverso dee. T.A.R. � Basilicata 21 dicembre 
1978, nn. 297 e 298. 

Espropriazione per p.u. -Competenza -Trasferimento alle Regioni -Effetti 
-Espropri di competenza dei Consorzi delle aree industriali -Estensione 
della competenza regionale -Sussiste -Effetti. 

Anche le espropriazioni di competenza degli Enti facenti capo alle 
Regioni, come i Consorzi delle aree industriali, sono disciplinate dall'art. 
3 del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8, con il quale � stato disposto il tra




RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

96 

sferimento alle Regioni delle funzioni amministrative in tema di espropriazione 
per pubblica utilit�; va conseguentemente pronunciata l'illegittimit� 
di un decreto prefettizio di espropriazione di suoli per realiz


, (1) Gi� con d~cisione 19 ~ei:naio 1979, n. 1 (in Il Cons~glio d~ Stato, 1979, I, 1) 
1 Adunanza Plenaria aveva chiarito che la competenza reg10nale m tema di espropriazione 
di aree per la realizzazione di opere pubbliche di edilizia scolastica 
poteva considerarsi derogata ai sensi dell'art. 10 del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8, 
nelle sole ipotesi in cui risultasse confermato che i relativi impegni di spesa 
erano stati assunti dallo Stato e che l'inizio del procedimento espropriativo era 
avvenuto in epoca anteriore al 1� aprile 1972, epoca in cui � avvenuto il trasferimento 
alle Regioni delle relative materie: solo in tali casi, dunque, permaneva 
la competenza prefettizia alla emanazione di provvedimenti in materia di occupazione 
temporanea e d'urgenza, concernenti le suddette opere pubbliche in 
materia di edilizia scolastica. � 

La stessa Sezione IV, con decisione 1� aprile 1980, n. 322 (ivi, 1980, I, 419) 
ha avuto modo di chiarire il contenuto e la portata dell'art. 8 lett. m) del 

d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8, nel senso cio� che non pu� ritenersi comunque riservato 
alla competenza statale lo svolgimento delle funzioni pubbliche relative alle 
opere da costruire con lavori pubblici direttamente connessi all'attuazione di 
piani e programmi statali diretti al soddisfacimento di interessi nazionali o 
di pi� Regioni, ma che � necessario volta per volta indagare, ai fini di stabilire 
l'esatta competenza (statale o regionale) in tema di provvedimenti espropriativi, 
se l'opera, pur rientrando in un piano statale, non debba considerarsi soprattutto 
opera la cui realizzazione sia diretta principalmente al soddisfacimento di 
un interesse regionale (cfr. al riguardo anche Sez. IV 26 ottobre 1976, n. 967, ivi, 
1976, I, 1034; 20 dicembre 1977, n. 1281, ivi, 1977, I, 1926; 11 aprile 1978, n. 307, ivi, 1978, 
I, 596; 4 luglio 1978, n. 694, ivi, 1978, I, 1040; .12 dicembre 1978, n. 1220, ivi, 1978, I, 
1838; 9 maggio 1978, n. 397, ivi, 1978, I, 770). 
Nella decisione in rassegna viene in particolare precisato che non basta che 
in una data materia ineriscano interessi propri della intera collettivit� statale a 
radicare automaticamente la competenza dello Stato, essendo invece necessario 
verificare sempre se non sussista anche una concorrenza o preminenza di interessi 
locali; e, con espresso riferimento alla attivit� dei Consorzi per le aree ed 
i nuclei di sviluppo industriale costituiti ai sensi della legislazione sul Mezzogiorno, 
viene evidenziato che, proprio in relazione all'espresso affidamento alle 
Regioni dei compiti attinenti ai Consorzi stessi, gi� di pertinenza degli organi 
ministeriali statali, detta attivit� deve ritenersi inerire direttamente ad interessi 
locali e, come tale, deve comportare l'attribuzione della relativa competenza 
alle Regioni, irrilevante essendo, sotto il profilo in considerazione, la circostanz� 
che i Consorzi agiscano per il perseguimento di una finalit� -quale l'industrializzazione 
del Mezzogiorno -che, ai sensi dell'art. 1, primo comma, della legge 
6 ottobre 1971, n. 853, costituisce obiettivo fondamentale del programma economico 
nazionale: �, infatti, non tanto il fine, quanto la materia su cui incidono i 
provvedimenti volti a realizzare il fine, decisiva allo scopo di determinare la 
relativa competenza. 

Del resto anche la Corte di Cassazione ha ribadito il principio secondo cui 
l'art. 3 del citato d.P.R. n. 8/1972 va interpretato, anche in relazione alla successiva 
legislazione, nel senso che il potere ablatorio riconosciuto alle Regioni in 
materia di urbanistica e viabilit� non � riferibile solo alle opere al cui compimento 
le stesse Regioni debbono provvedere direttamente, ma inerisce a tutto il 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

97 

zazione di infrastrutture o di attrezzature industriali nel Mezzogiorno 
che sia stato pronunciato a favore di un Consorzio di aree industriali e 
cio� di un Ente relativamente al quale le Regioni hanno assorbito la 
competenza in materia, gi� spettante agli organi dello Stato (1). 

complesso delle espropriazioni per opere inerenti alle materie indicate e devolute 
alla competenza -propria o delegata -delle Regioni, ivi comprese le opere 
che riguardano altri Enti pubblici, escluse solo quelle a carattere statale o 
ultraregionale (cfr. Cass., 17 novembre 1978. n. 5343, ivi, 1979, Il, 180; Cass., 6 agosto 
1977, n. 3581, ivi, 1978, Il, 159). 

RAFFAELE TAMIOZZO 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 16 dicembre 1980, n. 1214 -Pres. Pescatore 
-Est. Noccelli -Soc. Diodoro (avv.ti Sorrentino e Mamnucci) 

c. Prefetto di Teramo (avv. Stato Vittoria) e Pistocchi ed altro (avv. 
Liguori) -Appello avverso dee. T.A.R. Abruzzo, L'Aquila, 28 novembre 
1979, n. 461. 
Giustizia amministrativa -Ricorso giurisdizionale . Appello . Censure 
disattese in rprimo grado -Forma di riproposizione . Semplice memoria 
� Inammissibilit� -Sussiste. 

Espropriazione per p.u. � Area da espropriare � Criteri di scelta -Destinazione 
diversa � Possibilit� � Sussiste. 

Espropriazione per p.u. � Determinazione della indennit� . Necessit� . Non 
sussiste � Effetti. 

Qualora il Tribunale amministrativo regionale abbia esaminato ex 
professo tutti e ciascuno dei motivi di impugnazione, i'eventuale incompletezza 
di motivazione relativamente a specifici profili difensivi si risolve 
inevitabilmente in un vizio logico della sentenza sul punto e pertanto 
la riproposizione, in sede di appello, degli identici profili difensivi 
non pu� ammettersi se non nella forma di impugnazione del relativo 
capo della sentenza, e cio� come critica rivolta a contestare la ratio decidendi 
che giustifica e sorregge la sentenza; tale forma deve identificarsi 
nella proposizione di appello incidentale (1). 

Il decreto relativo all'esproprio di aree per l'industrializzazione del 
Mezzogiorno � pienamente legittimo anche se investe aree collocate in 
zone non industriali dagli strumenti urbanistici generali, e ci� in quanto, 

(1) Principio esatto e da condividere; cfr. in termini Sez. IV, 18 dicembre 
1979, n. 1196, in Il Consiglio di Stato, 1979, I, 1811; Sez. V, 16 novembre 1979, 
n. 688, ivi, 1979, I, 1649; 12 gennaio 1979, n. 1, ivi, 1979, I, 33. 

98 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

se � pur vero che l'opera di pubblico interesse cui � preordinata l'espropriazione 
deve comunque inserirsi in una attivit� programmata di gestione 
e uso del territorio, non va peraltro trascurata l'autonomia delle 
due sfere di incidenza degli interessi pubblici sottesi rispettivamente 
dall'esercizio del potere espropriativo e dalla potest� di disciplina urbanistica. 


La mancata determinazione della indennit� provvisoria in tema di 
espropriazione per pubblica utilit� non � destinata ad incidere sulla regolarit� 
degli atti espropriativi. 

.. ... jf. 


SEZIONE SESTA 

GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 14 febbraio 1980, n. 1061 -Pres. Sandulli Est. 
Gualtieri -P. M. Commarota (conf.) -Barillari c. Ministero delle 
Finanze (avv. Stato Rossi). 

Tributi in genere -Contenzioso tributario -Ricorso per Cassazione -Ricorso 
cumulativo contro pi� decisioni -Inammissibilit�. 

� inammissibile il ricorso per Cassazion~ cumulativo contro pi� decisioni 
autonome anche se pronunciate fra le stesse parti e nella stessa 
data (1). 

(omissis) Devesi preliminarmente rilevare l'inammissibilit� del presente 
ricorso, avendo la soc. I.L.E.S. impugnato con un unico ricorso ben 
16 decisioni della Commissione tributaria centrale emesse s� fra le stesse 
parti e nella stessa data, ma in distinte controversie d'imposta, relative 
a periodi contributivi diversi, e in distinti procedimenti. 

Ed invero, a parte la considerazione che la ricorrente ha impugnato 
cumulativamente tutte le decisioni suindicate, per cui non vi � alcuna 
possibilit� di individuarne neppure una alla quale il ricorso sia direttamente 
riferibile (cfr. Cass., 25 maggio 1971, n. 1537), devesi osservare 
che la legge prevede espressamente e tassativamente i casi in cui pu� 
essere iniziato un unico giudizio rispetto a domande separte -casi di 
litisconsorzio (artt. 102 e 103 cod. proc. civ.) oppure casi in cui due giudizi 
separati possono essere riuniti con provvedimento del giudice (artt. 273, 
274, 350 cod. proc. civ.) o casi di intervento. Pertanto, mentre � possibile 
ricorrere per cassazione contro pi� sentenze di un unico procedimento, 
non � ammissibile un ricorso unico rispetto a pi� procedimenti, ciascuno 
deciso separatamente (cfr. Cass., Sez. Un., 28 aprile 1975, n. 1616). (omissis) 

(1) Giurisprudenza non del tutto costante (v. Cass., 9 febbraio 1979, n. 901, 
in Riv. leg. fisc., 1979, 1543). 
8 



100 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO 

CORTE DI CASSAZIONE, 14 febbraio 1980, n. 1070 -Pres. Mirabelli Est. 
Cantillo -P. M. Ferraiolo (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato 
Cavalli) c. Biaggi. 

Tributi erariali indiretti -Prescrizione e decadenza -Privilegio speciale Imposta 
di negoziazione -Termine quinquennale. 
(d.!. 5 settembre 1947, n. 1173, art. 21; r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 97). 

Il termine di validit� del privilegio speciale verso il terzo possessore 
non � quello, pi� frequente, di tre anni, ma quello stesso eventualmente 
pi� lungo, stabilito per la prescrizione del diritto al pagamento del tributo. 
Di conseguenza per l'abolita imposta di negoziazione il termine quinquennale 
di prescrizione del diritto al tributo era applicabile, in mancanza 
di espresse norme di diverso contenuto, alla validit� del privilegio 

I

speciale (1). ~ 

(omissis) Con l'unico motivo di ricorso, denunziando la violazione 

I 

degli artt. 97 r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, 21 e 22 d.l. 5 settembre 1947, 

n. 1173, l'Amministrazione finanziaria sostiene che l'azione esecutiva per la 
riscossione del credito privilegiato per imposta di negoziazione, nei conI 


fronti del terzo acquirente del bene oggetto del privilegio, dovesse essere "' 
proposta nel termine di cinque anni specificamente previsto per tale 
tributo, e non in quello di tre anni stabilito per l'imposta di registro, 


II

come erroneamente ritenuto dalla sentenza impugnata, con la conseguenza 

che, nella specie, l'azione medesima era stata esercitata tempestivamente. 
La censura � fondata. 
L'art. 21 del d.l. n. 1173 del 1947, disciplinante l'imposta di negoziazione 

sui titoli azionari (abolita dagli artt. 26 e 27 della legge 5 agosto 1954, 

I

n. 603, istitutiva dell'imposta sulle societ�), stabiliva che l'azione della ~~ 
Finanza per richiedere al debitore �il pagamento del tributo (e delle refil 
lative soprattasse) si prescriveva nel termine di cinque anni dal giorno 
in cui fu eseguito o avrebbe dovuto essere eseguito il pagamento {a seconda 
che la pretesa riguardasse, rispettivamente, il tributo complementare 
ovvero quello principale). 
I

Il decreto non si occupava, invece, dell'azione esecutiva nei confronti 
del terzo acquirente di un bene oggetto del privilegio posto a garanzia 
dell'adempimento dell'obbligazione tributaria (com'� noto, l'imposta era 
assistita, ai sensi degli artt. 2758 e 2778 cod. civ., da privilegio speciale 
mobiliare e immobiliare comprendente, oltre alle azioni, tutti i beni co-


I

@ 

1 

(1) Decisione da condividere pienamente. :_
(;,,l,:.__� 

Anche per l'ipotesi di prescrizione trentennale della imposta (di registro) � . 
stato ritenuto applicabile questo termine al privilegio (Cass., 3 aprile 1979, n. 1878, 
in questa Rassegna, 1979, I, 554). {' 

.. . I 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA� 101 

stituenti il patrimonio della societ�), ma l'ultimo comma del successivo 
art. 22, ai fini dell'esazione coattiva dell'imposta ed accessori, dichiarava 
applicabili le disposizioni della legge di registro allora vigente (r.d. n. 3269 
del 1923), alla quale rinviava, quindi, sia quanto al modulo procedimentale 
dell'esecuzione coattiva contro il debitore e sia quanto alla disciplina dell'azione 
esecutiva sui beni del terzo. 

In proposito, l'art. 97 dell'abrogata legge di registro stabiliva che 
l'azione del fisco si estingueva nei termini previsti da quella stessa legge 
�per domandare il pagamento della tassa o del suo supplemento�, cio� 
per l'azione nei confronti del debitore (principale); e poich� il termine 
era -di regola -di tre anni {variamente decorrente, a seconda delle 
modalit� della registrazione: art. 136 e 137), si poneva il problema riproposto 
con il presente ricorso -se lo stesso termine fosse operante 
anche per l'imposta di negoziazione oppure dovesse farsi capo a quello 
quinquennale di cui all'art. 21 cit. 

Questa Corte Suprema, inizialmente orientata nel primo senso (cfr., fra 
l'altro, sent. n. 2921 del 1973) ha poi adottato la seconda soluzione (sent. 

n. 3388 del 1973 e n. 3331 del 1974), la quale scaturisce con maggior fondamento 
dall'esegesi letterale e sistematica dell'art. 97, risultante dal coordinamento 
con la disciplina propria dell'imposta in questione. 
La disposizione, infatti, nell'ambito del sistema della legge di registro, 
non prevedeva -come si � detto -un autonomo termine per l'azione 
verso il terzo proprietario, ma si limitava a rinviare a quello stabilito per 
agire contro il debitore principale; e tale formulazione consentiva di individuare 
l'essenza del precetto normativo nella previsione di un costante 
parallelismo fra l'azione privilegiata e quella personale contro gli autori 
dell'atto, di modo che, quando per quest'ultima fosse previsto un termine 
diverso da quello triennale, tale maggior termine doveva intendersi riferito 
anche alla corrispondente azione privilegiata (cfr., Cass., n. 2573 
del 1973). 

Questo principio, vigente all'interno dello stesso tributo di registro, 
a maggior ragione doveva essere ritenuto valido quando l'art. 97, per 
effetto del richiamo di cui all'art. 22 cit., andava inquadrato nel sistema 
di un tributo diverso, qual'era l'imposta di negoziazione. 

Anzitutto, la rilevata correlazione posta dalla norma fra i due termini 
-quello per agire contro il debitore e quello per agire contro il 
terzo -di per s� imponeva di intendere il significato del riferimento al 
primo termine nel senso che andava applicato quello specificamente stabilito 
dall'artfl 21 del d.l. n. 1173 del 1954 per la riscossione dell'imposta 
di negoziazione nei confronti del debitore. 

In secondo luogo, l'art. 22 dello stesso decreto prevedeva un rinvio 
generico alla disciplina della legge di registro, la quale era utilizzabile, 
quindi, in quanto compatibile con la speciale normativa dettata per 
l'imposta di negoziazione. E ci� escludeva la possibilit� di recepire per 


102 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

tale tributo, sia pure ai fini dell'azione contro il terzo proprietario, il 
termine triennale stabilito dalla legge di registro per agire contro il debitore, 
posto che la durata di quest'ultimo termine era autonomamente 
prevista in modo diverso dalla specifica disciplina dell'imposta in 
questione. 

� appena il caso di sottolineare, infine, la grave anomalia che 
avrebbe comportato la previsione di termini diversi per le due azioni, 
posto che la finanza sarebbe stata costretta ad agire nei confronti del 
terzo in tempo pi� breve di quello per agire contro il contribuente. 

In definitiva, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata deve 
essere cassata con rinvio ad altro giudice, che si designa in una diversa 
sezione della Corte di appello di Milano, la quale proceder� a nuovo 
esame della controversia attenendosi al seguente principio di diritto: �Ai 
sensi del combinato disposto degli artt. 97 r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, 
21 e 22 d.I. 5 settembre 1947, n. 1173, l'azione esecutiva della Finanza diretta 
a far valere, nei confronti del terzo acquirente del bene, il privilegio 
speciale mobiliare o immobiliare per la riscossione della soppressa imposta 
di negoziazione, si estingueva per decadenza nel termine di cinque anni 
previsto dall'art. 21 cit., computabile dal giorno in cui il pagamento fu 
eseguito o avrebbe dovuto essere eseguito� .. (omissis) 

CORTE, DI CASSAZIONE, Sez. I, 19 febbraio 1980, n. 1211; Pres. Mirabelli Est. 
Corda -P. M. Leo (conf.) -Ente Fiera di Trieste .(avv. Asquini) 

c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Gargiulo). 
Tributi erariali diretti -Imposta di ricchezza mobile -Imposta sulla societ� 
-Autonomia -Principio di conseguenzialit� -Limiti. 

(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 150). 
Il principio di conseguenzialit� stabilito nell'art. 150 del t.u. de.ZZe 
imposte dirette, in forza del quale l'accertamento del reddito soggetto 
all'imposta di ricchezza mobile spiega autonoma efficacia ai fini dell'imposta 
sulle societ�, � limitato alla determinazione della base imponibile 
e non tocca tutti gli altri elementi dell'imposizione,� tale conseguenzialit� 
non esclude comunque l'autonomia dei due tributi (1). 

(1) Decisione di evidente esattezza sul punto che l'omogeneit� della base 
imponibile dei due tributi non si riflette su tutti gli altri elementi e particolarmente 
sulle agevolazioni che possono riguardare uno soltanto di essi. 
Ben pi� difficile in rapporto alla autonomia, � il problema dell'impugnazione 
degli accertamenti, della possibile difformit� di giudicati e quindi dell'effetto che 
produce l'impugnazione di un solo accertamento. � 


PARTE I, SEZ. VI, GIURJSPRUDENZA TRIBUTARIA'. 

(omissis) Con la prima di tali censure, il ricorrente sostiene che il 
giudicato formatosi sulle decisioni della Commissione di secondo grado 
in ordine alla imposta di ricchezza mobile (e giova, a tal proposito, ricordare 
che l'Ufficio, nel proporre l'impugnazione contro la decisione della 
Commissione predetta, aveva dichiarato solo di impugnare il capo relativo 
all'imposta sulle societ�) spiegherebbe effetto anche nei rapporti relativi 
a quest'ultima imposta. Secondo il ricorrente, cio�, non potrebbe pi� 
essere ritenuta l'assoggettabilit� all'imposta sulle societ�, una volta che 
sia formato il giudicato sulla dichiarata non assoggettabilit� all'imposta 
di ricchezza mobile. 

Tale censura � priva di fondamento giuridico. 

Come esattamente osservato dalla Commissione tributaria centrale, 
infatti, il giudicato formatosi in ordine alla non assoggettabilit� all'imposta 
di ricchezza mobile dispiega efficacia unicamente per quest'ultimo 
tributo, non gi� per quello sulle societ� che � autonomo rispetto al primo 
ed � fondato su presupposti diversi. 

Gi� nella precedente fase processuale, il contribuente aveva sostenuto 
che l'annullamento degli avvisi di accertamento relativi all'imposta di 
ricchezza mobile avrebbero determinato l'impossibilit� di assumere il 
relativo reddito fra le componenti dell'imposta sulle societ�; e tale conclusione 
aveva fatto discendere da una non puntuale interpretazione del 
principio di conseguenzialit� desumibile dal disposto dell'art. 150, secondo 
comma, del t.u. sulle imposte dirette del 1958. Com'� noto, tale norma 
dispone che l'accertamento dei redditi soggetti all'imposta di ricchezza 
mobile spiega a�tomatica efficacia ai fini dell'imp�sta s��le -,~oci��; ma 
� chiaro che il ricorrente, prop~nendo quell'impos~ipil/ interp;et~zione, 
omette di considerare che il collegamento tra le <l��_ imposte (espresso 
in termini di automatica efficacia dell'accertamento) � dalla legge stabilito 
solo per evitare una duplicazione dell'accertamento meclesimo, con la 
conseguenza che lo stesso non scalfisce :minimamente l'autonomia dell'imposta 
sulle societ�. Il c.ollegamento. dell'accertamento. rispetto alle 
due imposte, cio�, concerne -solo la quantit� della base imponibile, non 
gi� l'imponibilit�: di modo che un giudicato concernente J'imposta di 
ricchezza mobile pu� dispiegare effetti sull'imposta in esame sol� se 
riguarda il quantum dell'accertamento,_ non, quindi, se attiene all'imponibilit�. 


Gli effetti del ritenuto assoggettamento, invero, non sono dissimili 

da quelli che produrrebbe la dichiarata esistenza di una causa di esen


zione del tributo (in ricchezza mobile): in entrambi i casi, cio�, la pro


nuncia non riguarderebbe affatto l'accertamento della quantit� della 

base imponibile, ossia del reddito, ma la sussistenza dell'obbligo di 

corresponsione del tributo medesimo. E come per il_ caso della esenzione 

(dall'imposta di ricchezza mobile) vale il principio -sancito dall'art. 148, 

lettera g, del t.u. -della permanente soggezione alla imposta sulle so



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

104 

ciet�, analogo principio deve valere per il caso della dichiarata non assoggetfabilit� 
(sempre all'imposta di ricchezza mobile), non essendovi 
tra le due fattispecie differenze tali da condurre a conclusione diversa, 
una volta ritenuta l'autonomia dell'imposta sulle societ� rispetto all'imposta 
sui redditi di ricchezza mobile. 

' 

D'altra parte, non pu� non rilevarsi -come, del resto, l'attenta difesa 
dell'Amministrazione fa notare -che l'indipendenza delle due imposte, 
le quali abbiano dato luogo a due decisioni, certamente consente che i 
relativi giudizi si svolgano indipendentemente, sia pure per concludersi 
con statuizioni non concordanti; e, sicuramente, ,l'omessa impugnazione 

della decisione sulla ricchezza mobile non pu� costituire preclusione per 
l'autonoma impugnazione relativa all'imposta sulle societ�, anche perch� 
l'imponibile, per quest'ultima, non riguarda sc�tanto lo stesso reddito 
assoggettabile al tributo mobiliare, ma anche il patrimonio: di modo che 
non sarebbe concepibile una dilatazione degli effetti del giudicato a materia 
del tutto estranea alla decisione. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 21 febbraio 1980, n. 1241 � Pres. Sandulli 
-Est. Gualtieri -P. M. Cammarota (conf.). -Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Angelini Rota) c. Cassa di Risparmio di Pesaro 
(avv. Micheli). 

Tributi in genere -Contenzioso tributario -Condono -Ultima pronuncia di 
merito -� quella della Commissione centrale resa in materia di estimazione 
complessa. 

(d.l. 5 novembre 1973, n. 660, art. 2). 
Agli effetti dell'art. 2 lett. e) del d.l. 5 novembre 1973, n. 660, per ultima 
pronuncia di merito deve intendersi quella della Commissione centrale 
pronunziata in materia di estimazione complessa (1). 

(1) Decisione di elevato interesse non solo per la risoluzione di uno specifico 
problema in materia di condono, ma soprattutto per l'affermazione che anche 
prima della riforma la Commissione centrale era giudice di merito e � aveva il 
potere di conoscere di questioni di fatto negli stessi limiti e con la stessa estensione 
in cui l'ordinamento riconosce al giudice ordinario poteri, in materia tributaria, 
rispetto alle medesime questioni >>, restandole precluso soltanto l'esame delle 
questioni di fatto relative alla estimazione quantitativa del presupposto del 
tributo, cio� delle questioni di estimazione semplice. 
Questo rilievo, soprattutto perch� nascente da un problema concreto, si 
rivela assai utile per riaffermare la continuit� dal vecchio al nuovo contenzioso 

del giudizio di terzo grado e per escludere che le (supposte) innovazioni della 
riforma vadano oltre i limiti della delega. Degna di nota � anche la precisazione 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

105 

(omissis) Devesi preliminarmente disporre la riunione del ricorso principale 
e di quello incidentale perch� proposti contro la stessa sentenza, 
ai sensi dell'art. 335 cod. proc. civ. 

Con l'unico motivo del ricorso principale, l'Amministrazione delle 
Finanze dello Stato, denunziando violazione e falsa applicazione dell'art. 
2 lett. e) d.l. 5 novembre 1973, n. 660, convertito nella legge 19 dicembre 
1973, n. 823, in relazione all'art. 12 delle disposizioni sulla legge in 
generale, con riferimento all'art. 360 n. 3) codice di rito, critica la sentenza 
impugnata per avere la Commissione tributaria centrale errato nel 
ritenere che, ai fini dell'applicazione del condono, a norma del citato 
art. 2 lett. e), secondo cui l'imposta � determinata assumendo come imponibile 
quello risultante �dall'ultima pronuncia di merito", non si potesse 
considerare come �ultima pronuncia di merito� la decisione della 
Commissione centrale, la quale � giudice di legittimit�, bens� la decisione 
della Commissione provinciale, annullata dalla stessa Commissione 
centrale, con la conseguenza che l'ufficio I.I.D.D. non avrebbe potuto 
iscrivere a ruolo l'imposta calcolata sull'imponibile che avrebbe dovuto 
essere stabilito dalla Commissione provinciale in sede di rinvio, una volta 
che il giudizio di rinvio non avesse avuto luogo per la sopravvenienza 
della legge sul condono. 

Ed invero, deduce la ricorrente, la formula �ultima pronuncia di 
merito � non deve essere intesa come ultima decisione della Commissione 
di merito (distrettuale o provinciale), ma come ultima decisione intervenuta 
in merito alla determinazione dell'imponibile, per cui, nel caso di 
estimazione complessa, ricorrente nella fattispecie in esame, anche la decisione 
della Commissione Centrale andava considerata, in quanto pronuncia 
in materia di estimazione, come pronuncia di merito, con la conseguenza 
che la determinazione dell'imponibile agevolato doveva, nella 
specie, essere effettuata dall'ufficio l.I.D.D. in conformit� dei criteri stabiliti 
dalla commissione centrale; e l'attivit� dell'ufficio non poteva considerarsi 
discrezionale ed era comunque soggetta al normale sindacato giurisdizionaile. 


che la decisione della Commissione centrale, come quella del giudice ordinario, 
non perde il suo carattere di decisione di merito per il fatto che non determina 
la base imponibile lasciando che questa sia ricostruita nelle singole componenti, 
sulla base dei principi di diritto affermati, dall'ufficio che compie una funzione 
simile a quella del giudice di rinvio. Tutto questo, all'infuori della estimazione 
semplice, era ed � normale e riconferma che la pronunzia del giudice (ordinario 

o speciale che sia) non costituisce il titolo n� per la liquidazione dell'imposta, 
n� per la condanna al pagamento o al rimborso (sui vari problemi connessi 
cfr. C. BAFILE, Nuove riflessioni sul giudizio di terzo grado nel nuovo processo 
tributario, in questa Rassegna, 1980, I, 429, nonch� Nuove prospettive per il giudizio 
di terzo grado?, in questo fascicolo, pag. 109). 

" 


106 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA D:ilLLo STATO 

A sostegno della sua tesi la ricorrente deduce che, avendo la formula 

usata dal legislatore � se siano state notificate altre decisioni o sentenze � 

anche la sentenza dell'autorit� giudiziaria ordinaria, dovrebbe tenersi conto, 

ai fini della determinazione dell'imponibile agevolato, pure delle sentenze 

del tribunale e della corte d'appello, che sono giudici di merito; ma poich� 

tali sentenze non possono mai riguardare la semplice estimazione, bens� 

solo quella complessa, le stesse non possono contenere la concreta quanti


ficazione del reddito imponibile, ma ci� non impedisce che anche per esse 

la f9rmula �ultima pronuncia di merito� debba essere necessariamente 

intesa come ultima pronuncia intervenuta in meriito alla determinazione 

dell'imponibile. 

Quale ulteriore argomento per dimostrare l'erroneit� della decisione 

impugnata, la ricorrente deduce che, qualora la disposizione della lett. e) 

non fosse riferita all'imponibile risultante dalla decisione della commis


sione centrale, ma alla decisione della Commissione provinciale di Pesaro, 

essendo questa totalmente favorevole al contribuente, si determinerebbe 

la definizione della controversia senza la realizzazione di alcuna entrata 

da parte della Finanza, il che � in contrasto con ;le finalit� della legge 

sul condono, intesa ad eliminare le controversie pf!ndenti, ma anche a con


sent<ire il realizzo di una sia pur :rtidotta entrata tributaria. 

La complessa censura � sostanzialmente fondata. 

Devesi premettere che il d.l. 5 novembre 1973, n. 660, convertito nella 
legge 19 dicembre 1973, n. 660, recante norme per agevolare la definizione 
delle pendenze in materia tributaria (cosiddetta legge sul condono}, � 
ispirata ad una duplice esigenza, di eliminare, da un lato, le. numerose 
controversie pendenti prima dell'entrata in vigore della riforma tributaria 
e di .realizzare, dall'altro, una, sia pur ridotta, entrata tributaria attraverso 
l'immediata riscossione del tributo (cfr. Cass.,. 27 ottobre 1978, 
IL 4091). 

In conformit� di tale ratio, l'art. 2 di detta legge, per la definizione 
agevolata delle controversie in materia di imposte dirette, stabilisce la 
relativa base imponibile, tenendo conto, nelle lettere da a) a f), del diverso 
sviluppo del relativo contenzioso e, in particolare, dopo i casi in cui non 
sia intervenuta, alla data del 31 ottobre 1973, alcuna decisione in sede 
contenziosa (lett. a) e quelli in cui sia intervenuta la sola decisione di 
primo grado (lettere b), e) e d), considera le ipotesi di una pluralit� di 
decisioni o sentenze, distinguendo il caso in cui l'ultima di queste sia 
stata o possa essere ancora impugnata in via principale da entrambe-le 
parti o soltanto dal contribuente (lettera e) oppure in via principale 
soltanto dall'Ufficio (lettera f), e stabilendo, per quanto riguarda l'ipotesi 
della lettera e), che si assume come �imponibile quello risultante dall'ultima 
pronuncia di merito �. 

Tanto premesso, devesi ritenere che la Commissione Tributaria Centrale 
abbia errato nel considerare come base imponibile per la liquida




PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA! 

zione dell'imposta agevolata, anzich� quella risultante dalle pronunce 
emesse nel luglio e nel settembre 1973 dalla CQmmissione centrale (che, 
in parziale accoglimento dei ricorsi dell'ufficio, annull� le decisioni della 
Commissione provinciale di Pesaro, rinviando gli atti alla Commissione 
provinciale di Ancona, la quale, peraltro, non pot� procedere al giudizio 
di rinvio per la sopravvenienza della legge sul condono), la base imponibile 
risultante dalla pronuncia della Commissione Provinciale di Pesaro, 
interamente favorevole alla contribuente. 

A tale conclusione la Commissione tributaria centrale � pervenuta 
sulla considerazione che la Commissione centrale delle Imposte era giudice 
di legittimit� e non di merito, tanto � vero che le sue decisioni erano 
nella specie di �annullamento per quanto di ragione�, con rinvio ad 
altra C�mmissione provinciale. 

Orbene, tale conclusione non pu� essere, per varie ragioni, condivisa. 

Devesi anzitutto rilevare che non � accettabile la contrapposiZione 
dei poteri della Commissione centrale, quale giudice di legittimit� (cui 
spetterebbero, come lascia intendere la decisione impugnata, gli stessi 
poteri attribuiti alla Cassazione) ai poteri della Commissione distrettuale 
e della Commissione provinciale, quale giudice di merito. 

Ed invero, la giurisprudenza di questa Corte Suprema, in tema di 
poteri della Commissione centrale delle imposte, anteriormente alla riforma 
attuata con l'entrata in vigore del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, sulla 
disciplina del contenzioso tributario, era prevalentemente orientata nel 
senso' di ritenere che i poteri di detta Commissione non coincidessero con 
quelli che, nell'esercizio della giurisdizione ordinaria, spettano alla Corte 
di Cassazione, ma si estendessero anche all'accertamento dei fatti costituenti 
la premessa necessaria per l'applicazione della legge, senza sclusione, 
quindi, di quelle questioni di fatto che, comportando una qualificazione 
di natura giuridica ed essendo perci� strettamente connesse con 
questioni giuridiche {e non fossero, cio� di estimazione semplice) involgessero 
la necessit� di indagini di merito sui presupposti di fatto costituenti 
lo strumento indispensabile per la corretta applicazione deila 
norma tributaria (cfr. da ultimo, sent. 19 settembre 1978, n. 4129; 22 novembre 
1977, n. 5086). 

Pertanto, la Commissione centrale -oltre che dei vizi di motivazione 
della decisione impugnata quali errores in procedendo, analogamente 
a quanto dispone l'art. 360 n. 5 cod. proc. civ. per il giudizio di cassazione 
-aveva il potere di conoscere di questioni di fatto negli stessi 
limiti e con la stessa estensione in cui l'ordinamento riconosce al giudice 
ordinario poteri, in materia tributaria, rispetto alle medesime questioni, 
restandole perci� escluso soltanto l'esame delle questioni di fatto relative 
all'estimazione quantitativa del presupposto del tributo, cio� delle questioni 
di estimazione semplice. 


108 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

Alla stregua dei suesposti principi, devesi, quindi, ritenere che con le 
locuzioni � ultima decisione di merito, ultima pronuncia di merito �, usate 
nella lett. e) dell'art. 2 della legge sul condono, il legislatore ha inteso 
fare riferimento, non solo alle decisioni e pronunce della Commissione 
distrettuale e della Commissione provinciale, ma anche a quelle emesse 
dalla Commissione centrale delle Imposte in materia di estimazione complessa, 
e poich�, nella specie, le decisioni della Commissione centrale 
hanno avuto per oggetto questioni di estimazione complessa, esse devono 
essere considerate come pronunce di merito ai fini della determinazione 
dell'imponibile agevolato su cui liquidare l'imposta. 

In verit�, con la decisione ora impugnata la Commissione tributaria 
centrale ha escluso che la formula �ultima pronuncia di merito�, da 
prendere a base per tale determinazione, sia stata usata dal legislatore 
�nel senso proprio della teoria processualistica �; ma, dopo tale precisazione, 
ha aggiunto che, ai fini dell'applicazione della disposizione in 
esame, deve necessariamente ricorrere � il presupposto che la pronuncia 
in questione produca direttamente ed immediatamente effetto risolutivo 
della con~roversia quanto alle dimensioni quantitative del controverso 
rapporto tributario �. 

Orbene, � evidente la contraddizione, in cui � caduta la Commissione, 
tra la premessa e la conclusione del suo ragionamento e tale contraddizione 
acquista maggior rilievo per le conseguenze che ne ha tratto, ove 
si consideri che, secondo la stessa decisione, l'ufficio I.I.D.D., per poter 
pervenire alla determinazione dell'imponibile, ha dovuto, nella specie, 
ricostruire le singole componenti dell'imponibile sulla base di principi di 
diritto, affermati dalla Commissione centrale delle imposte, con un'attivit� 
di ordine logico o interpretativo, operando quell'indagine di fatto indispensabile 
per la loro realizzazione, di guisa che l'Ufficio si � sostituito al 
giudice di rinvio, il quale �, invece, l'unico organo competente ad operare 
quella ricostruzione con la sua decisione libera, autonoma e discrezionale, 
che non pu� essere rimessa all'Ufficio. In contrario, � sufficiente rilevare 
che l'attivit� di interpretazione dell'Ufficio, dovendo essere svolta in conformit� 
dei criteri legali, non � un'attivit� discrezionale ed �, comunque, 
soggetta al normale sindacato giurisdizionale. 

Consegue che con la locuzione � ultima decisione di merito, ultima 
pronuncia di merito� il legislatore ha inteso indicare l'ultima decisione 
e l'ultima pronuncia intervenuta in merito alla determinazione dell'imponibile 
e, quindi, anche la decisione della Commissione centrale, emessa in 
materia di estimazione complessa, dev'essere considerata come ultima 
pronuncia di merito per i fini di cui si discute. 

Diversamente opinando, si perverrebbe all'aberrante conclusione, 
evidenziata dalla difesa dell'Amministrazione ricorrente, che anche le sentenze 
di Tribunale e di Corte d'appello (che sono emesse da giudici di 
merito), non potendo mai riguardare la semplice estimazione e contenere, 



109

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

quindi, la concreta quantificazione del reddito imponibile, dovrebbero 
ritenersi escluse dalla formula �ultima sentenza di merito, ultima pronuncia 
di merito>>, il che certamente non corrisponde alla intenzione del 
legislatore. 

Aggiungasi che, nella specie, qualora si considerasse come ultima 
pronuncia di merito la decisione della Commissione provinciale di Pesaro, 
essendo essa interamente favorevole alla contribuente, questa .finirebbe 
per ottenere l'applicazione del condono senza dover pagare la bench� 
minima somma a titolo di imposte, in quanto detta Commissione determin� 
un imponibile agevolato pari a zero; ma ci� contrasterebbe con il 
principio, affermato in premessa, secondo cui la ratio della legge sul 
condono � ispirata alla duplice esigenza di eliminare, da un lato, le numerose 
controversie pendenti prima dell'entrata in vigore della riforma 
tributaria, e di realizzare, dall'altro, una, sia pur ridotta, entrata tributaria. 
(omissis) 

I 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 25 febbraio 1980, n. 1307 -Pres. Falcone Est. 
Cantillo -P. M. Minetti (conf.) -Fautrero (avv. Micheili) c. Ministero 
delle Finanze (avv. Stato Gargiulo). 

Tributi in genere -Contenzioso tributario -Giudizio di terzo grado -Estensione 
-Questione sulla natura agricola o edificatoria di suoli -Deducibilit�. 


(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636. artt. 26 e 40). 
L'impugnazione di terza grado � un mezzo di gravame illimitato in 
fatto e in diritto con la sola eccezione della valutazione estimativa; non 
avendo pi� ragione di esistere la distinzione fra estimazione semplice ed 
estimazione complessa, � conoscibile dal giudice di terza grado la que.~ 
stione sulla natura agricola e edificatoria dei suoli ai fini della c.d. valutazione 
automatica (1). 

(1-3) Nuove prospettive per il giudizio di terzo grado? 
Dopo che la Corte Suprema con varie fondamentali pronunzie aveva fissato 
i cardini per la caratterizzazione del giudizio di terzo grado, fugando i sospetti 
di illegittimit� costituzionale della riforma, sta affiorando nel tempo pi� recente 
un diverso orientamento la cui pericolosit� si � subito manifestata con una 
ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale. 
Giova ricordare che con la sentenza 22 novembre 1977, n. 5086 (in questa 
Rassegna, 1977, I, 874 con nota di C. BAFILE) furono approfonditi tutti i problemi 
del giudizio di terzo grado e mentre venne riconosciuta la manifesta infondatezza 
di ogni questione di illegittimit� costituzionale, si afferm� che questa 
particolare impugnazione, identica per i due organi giurisdizionali alternativa




RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

110 

II 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 14 maggio 1980, n. 3176 -Pres. Marchetti Est. 
Battimelli -P. M. Grimaildi (diff.). -Lattanzi (avv. Frappicini) 

c. Ministero delle Finanze (.avv. Onufrio). 
Tributi in genere . Contenzioso tributario � Giudizio di terzo grado � Estensione 
� Determinazione del domicilio fiscale � Deducibilit�. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 26 e 40). 
A seguito della riforma tributaria i poteri della Commissione centrale, 
che non sono rimasti identici a quelli ad essa attribuiti in precedenza, 
sono estesi ad ogni questione di fatto diversa dalla valutazione 
estimativa. � pertanto deducibile innanzi al giudice di terzo grado, anche 
in fatto, la questione dell'individuazione del domicilio fiscale dalla quale 
discende la regolarit� delta dichiarazione (2). 

III 

CORTE DI CASSAZI~ONE, Sez. I, Ord. 19 giugno 1980, n. 337. � Pres. Mirabelli 
� Est. Battimelli � P. M. Caristo (conf.) � Micangeli (avv. Serio) 

c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). 
Tributi in genere . Contenzioso tributario '" Giudizio di terzo grado � Estensione 
�Art. 26 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 -Questione di illegittimit� 
costituzionale non manifestamente infondata. 
(Legge 9 ottobre 1971, n. 825, art. 10, n. 14; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 26)> 

Non � manifestamente infondata Ja questione di illegittimit� costituzionale 
per eccesso di d.elega d.ell'art. 26 del d.P . .R. 26 ottobre 1972, n, 636 
che attribuisce alla Commi~sione centrale la potest� di decidere; allo stesso 
modo della corte di appello, questioni di fatto, ben oUre limiti del giudizio 
di legittimit� definito nella norma delegante (3). 

mente preposti, doveva essere definita coerentemente con la tradizione, intendendo 
la �valutazione estimativa�, che segna il limite alla giurisdizione di merito, in 
senso sostanzialmente coincidente con la estimazione semplice. 

Tale proposizione aveva gi� trovato numerose conferme (Cass., 19 settembre 
1978, n. 4195, ivi, 1978, I, 189; 12 maggio 1979, n. 2739, ivi, 1979, I, 763 ed anche 
19 febbraio 1979, n. 2046, ivi, 1979, I, 719). Qualche altra pronunzia sul tema, pur 
evftando di prendere una troppo netta posizione, non aveva smentito i precedenti 
(10 aprile 1979, n. 2046, ivi, 1979, I, 719; 19 novembre 1979 n. 6022; ivi, 1980, 
I, 429, con nota di C. BAFILE). 

La dottrina si era invece mostrata prevalentemente critica su questo orien� 
tamento da alcuni definito �conservatore� (GLENDI, Ancora sui limiti di cogni


-



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 111 

I 

(omissis) Ai fini dei tributi successori relativi all'eredit� di Ettore 
Fautrero, deceduto il 29 marzo 1966, insorse controversia in ordine alla 
valutazione di due terreni siti in Carmagnola, i quali erano stati indicati 
nella denuncia di successione come suoli agricoli e secondo il valore 
risultante in base ai criteri tabellari di cui alla legge 20 ottobre 1954, 

n. 1054. 
La finanza ritenne trattarsi di terreni edificatori e notific� avviso di 
accertamento con il quale elev� il valore del primo suolo da 10.950.000 
(circa undicimilioni) a lire 80.000.000 e quello del secondo da lire 250.000 a 

lire 15.000.000. 
Il ricorso dell'erede Giorgio Fautrero fu accolto dalla commissione 
distrettuale. 

La commissione provinciale, invece, ritenne legittimo l'operato dell'ufficio, 
escludendo l'applicabilit� dei coefficienti automatici e confermando 
il valore venale degli immobili come sopra accertato. 

Essendo entrato in vigore il nuovo contenzioso tributario, il Fautrero 
impugn� la decisione innanzi alla corte di appello deducendo il vizio di 
insufficiente motivazione e il travisamento dei fatti; nel merito, chiese 
che fosse accertata la natura agricola dei due suoli. 

La corte di appello di Torino, con la sentenza oggi in esame, dichiarava 
inammissibile il gravame. Premesso che, ai sensi dell'art. 40 del 

zione della corte di appello e della Commissione centrale dopo la riforma, in 
Dir. e prat. trib., 1978, II, 351; TESAURO, Osservazioni sulla nozione di valutazione 
estimativa, in Riv. dir. finanz., 1978, II, 11; MORELLI, L'inerenza della valutazione 
estimativa come � discrimen � tra questioni di fatto sottratte e non alla cognizione 
del giudice ordinario e della Commissione centrale tributaria, in Giust. 
civ., 1978, I, 493; FLORIO Con, Ancora sulle questioni di fatto nel giudizio tributario, 
ivi, 1979, IV, 187; DI SALVO, Questioni sulla competenza della Commissione 
tributaria centrale e della Corte di appello, ivi, 1980, I, 215). 

Improwisamente in qualche pronunzia pi� recente � emersa la tendenza ad 
allargare i confini dell'impugnazione di terzo grado, a vedere in essa qualcosa 
di completamente diverso dalla tradizione, intendendo la valutazione estimativa 
come assai pi� limitata della estimazione semplice. Ed � singolare che con motivazioni 
piuttosto brevi ed a volte assertive la Suprema Corte si � posta in 
contrasto con pronunzie ben pi� meditate e robustamente motivate. 

La prima delle sentenze ora intervenute ha riesaminato la questione, un 
tempo molto consueta, della natura agricola o edificatoria di un suolo ai fini 
della c.d. valutazione automatica, nella quale non si presentavano particolari 
questioni. Come si ricorcler�, una consolidata giurisprudenza anteriforma riteneva 
che una tale questione, se di mero fatto, era di estimazione semplice e come 
tale riservata al giudizio della commissione distrettuale di valutazione ed a quello 
definitivo della commissione provinciale contro la quale era proponibile soltanto 
il ricorso per cassazione (v. Relazione Avv. Stato, 1970-75, II, 570). Valorizzando 
gli stessi criteri si dovrebbe ritenere che nel nuovo sistema una tale questione 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

112 

d.P.R. n. 636 del 1972, le decisioni della Commissione di secondo grado 
sono impugnabili davanti alla Corte di appello per violazione di legge e 
per questioni di fatto non relative a valutazione estimativa, la corte ha 
ritenuto che l'ambito concettuale dell'espressione �violazione di legge� 
debba trarsi dal n. 3 dell'art. 360 del codice processuale e che perci� la 
norma debba essere intesa nel senso che consente l'impugnativa per il 
vizio di � violazione o falsa applicazione di norma di diritto � e non anche 
per vizi della motivazione, che formano oggetto di apposita previsione al 
n. 5 dello stesso art. 360. E poich� il Fautrero non aveva denunziato errori 
del giudizio, ma appunto soltanto vizi della motivazione, 'ha ritenuto inammissibile 
il primo motivo di appello. 
Quanto al secondo motivo, ha osservato che il nuovo contenzioso 
tributario ha tenuto ferma la distinzione, elaborata nel precedente ordinamento, 
fra estimazione semplice ed estimazione complessa, sottraendo 
alla cognizione della corte di appello, con l'espressione �questioni di 
fatto relative a valutazione estimativa � tutte le questioni rientranti 
nell'area dell'estimazione semplice, nelle quali l'accertamento sia limitato 
alla valutazione discrezionale di dati o elementi di puro fatto, prescindendo 
da ogni indagine di diritto. 

Muovendo da questa premessa, ha rilevato che nella specie non vi era 
contestazione in ordine agli atti giuridici rilevanti per la qualificazione 
agricola o edificatoria dei suoli e perci� l'indagine non involgeva questioni 
di diritto, idonee ad attribuire la controversia all'area dell'estimazione 

non pu� essere decisa nel merito dal giudice di terzo grado innanzi al quale la 
decisione di secondo grado pu� essere impugnata soltanto per vizi del procedimento. 
Ma di fronte ad una decisione della corte di appello che, con evidente 
eccesso, aveva dichiarato integralmente inammissibile il ricorso, la suprema corte 
non solo ha affermato che contro la decisione della commissione di secondo grado 
di valutazione estimativa sono deducibili tutti i vizi di motivazione (e del 
procedimento in genere), ma anche che, essendo stata superata la distinzione 
tra estimazione semplice ed estimazione complessa, anche le questioni di �mero 
fatto, purch� non estimative, rientrano nella giurisdizione del giudice di terzo 
grado, si che anche l'accertamento della natura agricola od edificatoria di un 
terreno non sarebbe sottratta al giudizio della Commissione centrale o della 
corte di appello. In verit� la suprema corte ha annullato la sentenza impugnata 
per difetto di motivazione sul punto se la controversia importasse o meno una 
questione di valutazione estimativa; ma sembrerebbe di poter intendere che la 
questione sia stata ritenuta senz'altro deducibile in terzo grado. 

La sentenza � invero contraddittoria, perch� ritiene che il giudice di terzo 

grado avesse allo stesso tempo il potere di annullare (giudizio di mera legitti


mit�) la decisione impugnata per vizi del procedimento, ed il potere (giudizio di 

merito) di decidere in fatto e in via definitiva la questione controversa. L'una e 

l'altra cosa non sembra possano verificarsi perch� se la questione � di valuta


zione estimativa il ricorso in terzo grado sar� ammissibile solo per vizi del 

procedimento e potr� dar luogo soltanto ad annullamento con rinvio, se invece 

la questione esorbita dalla valutazione estimativa sar� ammissibile il ricorso di 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 113 

complessa, sicch� anche sotto questo profilo la domanda era inammissibile. 


Avverso questa sentenza il Fautrero ha proposto ricorso affidato a 
due mezzi di annullamento. 

Resiste l'Amministrazione con controricorso. 

MOTIVI DELLA DECISIONE 

Con i due motivi di ricorso, che possono essere esaminati insieme 
perch� strettamente connessi, il ricorrente denunzia la violazione dell'art. 40 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, nonch� vizi della motivazione, e critica la 
sentenza impugnata per avere erroneamente escluso che con il rimedio 
dell'appello possano essere dedotti vizi di motivazione della decisione della 
commissione tributaria di secondo grado e, altres�, per avere qualificato 
come di semplice estimazione la questione sulla natura agricola o edificatoria 
dei suoli oggetto dell'accertamento fiscale in contestazione. 
Entrambe le censure sono fondate. 

Questa Corte Suprema ha pi� volte chiarito che, ai sensi degli 
artt. 26 e 40 del d.P.R. cit., la commissione centrale e la corte di appello 
hanno competenza piena, in fatto e in diritto, su tutte le questioni, ad 
eccezione di quelle di mero fatto relative alla valutazione estimativa (e 
alla misura delle pene pecuniarie), sicch� i due rimedi si configurano come 
mezzi di gravame illimitato della sentenza impugnata, proponibili per 

merito che si potr� concludere con una decisione che, sostituendosi a quella impugnata, 
statuisca sul rapporto, mentre non avrebbe ragione d'essere una decisione 
di mero annullamento. 

Ma quel che pi� importa sottolineare � che questa pronunzia, pur riallacciandosi 
esplicitamente a quella n. 5086 del 1977, dichiara superata la distinzione 
tra estimazione semplice ed estimazione complessa, immagina la odierna valutazione 
estim,ativa come qualcosa di diverso (e pi� ristretto) della estimazione 
semplice e quindi riconosce come deducibile oggi in terzo grado una questione 
che nel previgente sistema si riteneva pacificamente sottratta alla Commissione 
centrale e al giudice ordinario. 

� pericoloso trarre troppo indirette illazioni da questa ancora isolata pronunzia 
che � del resto circoscritta ad una questione ormai in esaurimento, dopo 
l'abolizione del sistema di valutazione automatica; ma non si pu� nascondere 
il valore di novit� della pronunzia. 

La seconda sentenza della S.C. risolve un problema assai semplice: non 
poteva seriamente mettersi in dubbio che sia nel vecchio che nel nuovo ordinamento 
fosse deducibile in terzo grado la questione sulla individuazione del 
domicilio fiscale connessa a quella della regolarit� della dichiarazione e dell'accertamento 
in ragione �della competenza dell'ufficio tributario; senza dubbio 
questa questione di applicazione della legge pu� essere decisa anche in fatto in 
terzo grado. )\fa la esatta pronunzia della S.C. si � preoccupata di premettere 
nella motivazione che dopo la riforma del contenzioso i poteri della Commissione 
centrale non sono rimasti identici a quelli ad essa in precedenza attribuiti, 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

114 

violazione di legge ed errata risoluzione di questioni di fatto, eccettuate. le 
statuizioni attinenti a valutazione estimativa, che possono essere impugnate 
solo per violazione di leggi processuali o sostanziali (cfr., sent. 

n. 5086 del 1977; n. 4168 e 4154 del 1978; n. 1636 del 1979). 
Pertanto, con l'impugnazione innanzi alla Corte di appello (e con il 
ricorso alla commissione centrale) sono deducibili tutti i vizi di motivazione 
della decisione; e il principio � valido anche per le statuizioni di valutazione 
estimativa, sol che in tal caso, ove si riscontri un vizio di motivazione 
che comporti la necessit� di procedere a nuova stima, fa corte di 
appello non pu� pronunziare nel merito, ma deve limitarsi ad annullare 
la decisione e rinviare la controversia ad altra sezione della commissione 
di secondo grado, ex art. 29 (cfr. sent. n. 1636 del 1979). 

Inoltre, come pure ha avuto modo di precisare questa Corte Suprema 
(sent. n. 5086 del 1977), nel nuovo. contenzioso tributario non ha pi� ragione 
di essere la distinzione fra estimazione semplice ed estimazione complessa, 
elaborata nel vigore della precedente disciplina, dal momento che sono 
indistintamente attribuite alla competenza piena della commissione centrale 
e della corte di appello sia le questioni di diritto e sia quelle di 
fatto estranee alla valutazione estimativa. 

La competenza in fatto dei due organi non pu� essere individuata, 
quindi, con riferimento alla nozione di estimazione complessa, ricercando, 
cio� se la questione implichi o non implichi la soluzione di problemi di 

si che oggi la questione, manifestamente non di valutazione estimativa, pu� essere 
decisa senza limitazioni. 

:�. questa una ulteriore e quasi inconsapevole espressione di una persuasione 
che sta acquistando terreno, secondo la quale il giudizio di terzo grado si 
sarebbe notevolmente ampliato rispetto al passato e che la valutazione estimativa 
intesa in senso, assai restrittivo, di mero apprezzamento di stima, sottragga 
concretamente al terzo grado un settore assai limitato. Soprattutto, abbandonando 
la tradizionale contrapposizione tra estimazione semplice ed estimazione complessa, 
sembrerebbe che ci si voglia liberare da quella sorta di condanna, che 
ha afflitto pi� generazioni nella ricerca di una distinzione sempre sfuggente, per 
cercare un criterio del tutto nuovo per una facile definizione del giudizio di terzo 
grado che comprenderebbe tutto, ad eccezione delle sole questioni sul quantum 
della base imponibile. Ne risulterebbe cos� un giudizio assai diverso da quello 
tradizionale, veramente di merito, salvo una ristretta limitazione, poco o nulla 
differenziato da quello di secondo grado. 

Ma ecco che a questo punto � proprio la S.C. ad accorgersi che la conce


zione di un tale giudizio sarebbe scappata di mano al legislatore delegato mentre 

l'idea della legge delegante era piuttosto per la conservazione del giudizio 

tradizionale. 

Senza affrontare in questa sede in tutta la sua ampiezza il problema del 

giudizio di terzo grado e della questione di legittimit� costituzionale, riteniamo 

utile esporre alcune considerazioni. 

La questione di legittimit� costituzionale era stata diffusamente trattata 

nella menzionata sentenza n. 5086 del 1977 le cui argomentazioni erano pi� 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA� 115 

carattere giuridico: anche le questioni di mero fatto non estimativo rientrano 
nella giurisdizione dei medesimi organi e, per converso, la necessit� 
di risolvere problemi di diritto non vale ad attrarre in essa, oltre a 
questi, anche la valutazione estimativa, riservata alle commissioni tributarie 
di primo e di secondo grado. 

In effetti, solo le questioni di quest'ultimo tipo sono sottratte alla 
competenza in esame e perci�, per stabilire in concreto se una questione 
esuli dalla cognizione di fatto della commissione centrale o della corte di 
appello, occorre avere riguardo esclusivamente alla sua inerenza, o meno, 
all'area della valutazione estimativa (il cui ambito concettuale � stato 
precisato con la cit. sent. n. 5086 del 1977). 

Nella specie, la corte di appello ha anzitutto negato, con palese errore 
di diritto, il suo potere di controllare la congruit� logico-giuridica della 
motivazione della decisione della commissione di secondo grado, potere 
ad essa spettante, invece, in ogni caso, cio� anche in presenza di una statuizione 
limitata alla mera determinazione del valore venale dei beni. 

In secondo luogo, fuorviata dalla erronea premessa che la competenza 
della corte di appello sia limitata, in sostanza, alle questioni di estimazione 
complessa, non ha motivato correttamente la pronunzia di improponibilit� 
della questione circa la natura agricola o edificatoria dei suoli. 
Essa si � limitata ad affermare, infatti, che l'indagine richiesta in proposito 
non comportava la soluzione di questioni giuridiche, il quale rilievo, 
come si � detto, non � sufficiente ad escludere la competenza della corte 

persuasive di quelle della ordinanza sia sul punto (che sembrerebbe il pm 
debole) della necessaria diversit� dei due giudizi alternativi della Commissione 
centrale e della corte di appello, sia sul punto della nozione di giudizio di 
legittimit� contenuta nella legge delegante. 

Sul primo profilo si pu� aggiungere che la diversit� fra i due giudizi alternativamente 
dati porterebbe a ritenere al c�i l� della delega anche il giudizio della 
corte di appello qualora si intendesse per valutazione estimativa qualcosa di 
diverso e pi� ristretto della estimazione semplice. Se infatti nel pensiero del 
delegante l'estimazione semplice doveva rimanere �in ogni caso esclusa � dalla 
competenza della corte di appello, se ne deve dedurre o che la valutazione 
estimativa � sinonimo dell'estimazione semplice o che il decreto delegato ha 
escluso di meno (ed ha attribuito di pi�) di quanto la legge delegante prevedeva. 

� allora ragionevole pensare che i due giudizi di terzo grado siano stati 
concepiti uguali per l'oggetto, come lo erano sempre stati quello della Commissione 
centrale e quello dell'A.G.O. e soprattutto che la legge delegante che certamente, 
mantenendo la stessa espressione ha lasciato tal quale il giudizio della 
corte di appello, non ha inteso, usando espressione diversa, restringere l'ambito 
tradizionale del giudizio della Commissione centrale. 

Ora, allontanandosi dai binari tracciati dalla S.C. con le meno recenti pronunzie, 
si va incontro a strane contraddizioni: da un lato la dottrina prevalente 
tende a concepire il giudizio di terzo grado come un ordinario gravame di merito 
dal quale � sottratta solo la modestissima fetta dell'� attribuzione di uno pi� 
che altro valore monetario di un determinato fatto o oggetto � (GLENDI, op. cit); 

9 



-,., -,., 
116 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

cli appello, occorrendo ulteriormente accert~re che non si debbano risolvere 
questioni di fatto estranee alla valutazione estimativa. 

Il ricorso va perci� accolto e, in conseguenza, la sentenza impugnata 
deve essere cassata con rinvio ad altra sezione della stessa corte di 
appello di Torino, la quale proceder� a nuovo esame della controversia 
attenendosi ai principi cli diritto e ai rilievi sopra svolti. (omissis) 

II 

(omissis) Virgilio Lattanzi esercente attivit� edilizia in Macerata present� 
la denunzia unitaria dei redditi per l'anno 1961 all'ufficio di Castelnuovo 
di Porto, nel cui distretto � compreso il comune di Rignano Flaminio, 
dove egli assumeva di essersi trasferito. L'ufficio, assunte informazioni e 
ritenuto che il contribuente continuava a svolgere la propria attivit� in 
Macerata, trasmise la denunzia all'ufficio di detta citt�, dove la denunzia 
pervenne dopo la scadenza dei termini di legge. Conseguentemente, l'ufficio 
di Macerata accert� il reddito nei confronti del Lattanzi, oltre le penalit� 
per tardiva dichiarazione. 

Il Lattanzi ricorse alla commissione distrettuale cli Macerata, sostenendo 
che egli aveva presentato denuncia di mutamento di residenza 
prima del termine di scadenza per la presentazione della denuncia dei 
redditi, per cui contest� la competenza territoriale dell'ufficio di Macerata; 
nel merito, denunci� l'eccessivit� dell'accertamento e l'illegittimit� della 
applicazione di penalit� per omessa denuncia. 

contemporaneamente la S.C., mentre asseconda questa tendenza, si accorge che 
proprio in conseguenza della proposta estensione nasce un sospetto di eccesso 
di delega; ma intanto propone una netta differenziazione tra il giudizio della 
corte di appello e quello della commissione centrale, il primo allargato e il 
secondo ristretto rispetto alla tradizione. 

Si toccano con mano i pericoli che possono comportare interpretazioni 
troppo unilaterali che non tengano sotto controllo il problema complessivo: si 
rischia di paralizzare il contenzioso facendo venire a mancare il riferimento 
fondamentale per l'attivit� del giudice. Diventa allora necessario ritrovare un 
punto fermo. 

Il problema forse deve incentrarsi, pi� che sui molti elementi interpretativi 
sui quali si � molto discusso, sulla individuazione di un intento innovativo o 
conservatore del legislatore della riforma. 

Ripetutamente la S.C. nelle pronunzie citate all'inizio ha affermato, senza 
arrossire, che per una corretta interpretazione delle norme della riforma deve 
farsi ricorso al contenuto concettuale che le locuzioni impiegate �avevano acquistato 
nel sistema del precedente contenzioso � e che in base � alla pregressa 
esperienza giuridica � si poteva ritenere che il legislatore della riforma aveva 
recepito �i capisaldi dell'interpretazione giurisprudenziale della precedente normativa 
in ordine alla competenza della Commissione centrale �; in definitiva si 
stabilisce una linea di continuit� dal vecchio al nuovo ordinamento nelle attribuzioni 
della Commissione centrale e parallelamente del giudice ordinario rispetto 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 117 

La commissione adita, ritenuto che il domicilio fiscale del Lattanzi 
fosse quello di Rignano Flaminio, annull� l'accertamento, ma la decisione 
fu riformata dalla commissione di secondo grado, la quale accert�, sulla 
base di documentazione proveniente dai due comuni (di Macerata e di 
Rignano Flaminio), che il Lattanzi aveva conservato la propria residenza 
nel primo di detti comuni fino all'anno 1963; riconosciuta quindi la competenza 
dell'ufficio di Macerata, la Commissione determin� la misura dei 
redditi assoggettati all'imposta di R.M., cat. B, e all'imposta sui fabbricati, 
nonch� la conseguente imposta complementare. 

Su ricorso cos� dell'ufficio che del contribuente la commissione tributaria 
centrale, con decisione n. 10289/76 depositata il 30 settembre 1976, 
dato atto che la commissione di secondo grado aveva omesso di determinare 
i redditi di R.M. cat. A), accolse l'impugnazione dell'ufficio, rinviando 
alla detta commissione perch� completasse la propria pronuncia; rigett� 
invece il ricorso del contribuente. 

La commissione afferm� che, per quanto atteneva alla competenza 
dell'uf�ficio accertatore, il giudizio espresso dalla commissione di secondo 
grado era basato su valutazioni di prove incontrovertibili e costituiva un 
giudizio di merito insindacabile in sede di legittimit�; ritenne inoltre priva 
di fondamento la tesi del ricorrente circa la decadenza dell'ufficio dal 
diritto di effettuare l'accertamento, notificato oltre il termine di tre anni, 
in quanto nel caso di specie si doveva applicare il pi� lungo termine 
quadriennale previsto dall'art. 32 del t.u. n. 645 del 1958, come modificato 

alla Corte di appello, cosicch� la valutazione estimativa viene intesa in modo 
sostanzialmente coincidente con l'estimazione semplice. 

Gran parte della dottrina giudica questo orientamento � conservatore � in 
senso dispregiativo e vuole ad ogni costo trovare nella riforma un processo 
nuovo, svincolato dalla tradizione, con un giudizio di terzo grado _qg~_s_i_t_ot_alme_n:t.e 
identico a quello di appello. 

� evidente che l'interpretazione deve essere condotta senza pregiudizi n� 
di assoluta conservazione n� di necessaria innovazione e senza la convinzione 
che ci� che � tradizionale � sempre negativo e ci� che � innovativo � sempre 
lodevole. Occorre solo sforzarsi di individuare, quale che sia, la mens legis. 

Ora sembra incontestabile che sulle norme della riforma la tradizione abbia 
un peso determinante, quasi ineluttabile. La stessa Commissione centrale, che 
giudica in alternativa alla corte di appello alla quale sono in ogni caso sottratte 
le questioni di estimazione semplice, non potr� non riapparire con una fisionomia 
non troppo dissimile dal passato. Ma soprattutto non sarebbe spiegabile, 
se non con il peso della tradizione, la costruzione di un singolare processo tributario 
in quattro gradi, unico esempio dell'esperienza di tutti i tempi; ed � proprio 
il giudizio di terzo grado quello che maggiormente � caratterizzato da una 
lunga esperienza. Come sarebbe possibile costruire con spirito innovativo un 
giudizio di terzo grado che o � una duplicazione dell'appello o � una duplicazione 
del ricorso per cassazione o addirittura � alternativamente l'una o l'altra 
cosa? Non potrebbe mai giustificarsi l'idea di una impugnazione duplicata, 
introdotta oggi con una riforma pensata per razionalizzare una giurisdizione 



118 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

dall'art. 1 della legge 31 ottobre 1966, n. 958, essendo la dichiarazione pervenuta 
all'ufficio competente dopo la scedenza dei termini di legge. 

Il Lattanzi ricorse per cassazione contro questa decisione deducendo 
i seguenti motivi: 

l� motivo: Omessa motivazione su punto decisivo. 
La commissione centrale ha ritenuto che il giudizio effettuato dalla 
Commissione di secondo grado si basasse su elementi di fatto non sindacabili 
in sede di legittimit�, mentre invece la questione sollevata dal 
contribuente riguardava eccezioni di diritto e violazione di norme di legge, 
su cui la commissione centrale avrebbe dovuto motivare, il che non 
ha fatto. 

2� motivo: Violazione ed errata applicazione di norme di legge. 
La commissione centrale ha errato nel ritenere che la questione del 
domicilio fiscale costituisse questione di merito non sollevabile innanzi 
ad essa. Il ricorrente, infatti, lamentava, come lamenta, la violazione degli 
artt. 9 e 10 del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, ed in particolare la carenza, 
nel caso di specie, di ogni provvedimento dell'Intendente di Finanza o del 
Ministro circa la determinazione del suo domicilio fiscale. Si trattava di 
una questione di diritto, che la Commissione avrebbe dovuto affrontare 
e decidere. 

3� motivo: Omessa motivazione su di un punto della controversia. 
Il Lattanzi aveva denunziato, fra l'altro, alla commissione centrale la 
violazione dell'art. 7 del t.u. n. 645 del 1958 per duplicazione di imposta 
nei suoi confronti; su tale punto, la Commissione centrale ha omesso 
completamente di decidere e di motivare. 
L'Amministrazione delle Finanze dello Stato resiste con controricorso. 

speciale. E se il giudizio di terzo grado fosse veramente un gravame di merito 
non dissimile dall'appello, con il solo limite della determinazione monetaria, 
come si potrebbe spiegare la sua devoluzione alla Commissione centrale che � 
composta da elementi di elevatissima qualificazione soltanto giuridica e che 
non pu� esercitare poteri istruttori? All'inverso l'ipotesi di due impugnazioni 
successive di stretta legittimit� � ancor meno credibile. 

L'esistenza del terzo grado � spiegabile solo con quel carattere particolarissimo 
ed irriducibile che si � costruito faticosamente nel tempo e che una 
tradizione ritenuta irripudiabile ha consegnato al legislatore della riforma: il 
giudizio che si basa sull'ostico ma ineliminabile concetto di estimazione complessa. 
i?. questo un giudizio di fatto ma non soltanto di fatto e che comporta 
questioni di applicazione della legge pur non essendo di stretta legittimit�; in 
ci� si differenzia sia dall'appello che dal ricorso per cassazione, e solo in quanto 
tale se ne giustifica la sopravvivenza. La tradizionale contrapposizione tra estimazione 
semplice e complessa, � la sola spiegazione possibile dell'esistenza del 
giudizio di terzo grado; il problema non � allora di conservazione o innovazione, 
ma di abolizione o sopravvivenza del terzo grado. Ma una volta che la legge 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 119 

l\fOTIVI DELLA DECISIONE 

I primi due motivi di ricorso, che trattano, sia pure sotto una diversa 
visuale (in quanto il secondo sviluppa anche la questione di merito della 
fissazione del domicilio fiscale), la stessa questione, vanno esaminati 
congiuntamente e vanno accolti. 

A parte infatti ogni questione di merito, in entrambi i motivi il ricorrente 
lamenta che illegittimamente la commissione centrale abbia omesso 
di decidere la questione di merito relativa all'accertamento del domicilio 
fiscale e alla validit� e opponibilit� all'Amministrazione dell'asserito cambiamento 
di residenza, e la doglianza � fondata. 

La decisione impugnata, infatti, si � limitata sul punto, come in precedenza 
esposto, ad affermare che la decisione di secondo grado si basava 
su accertamenti e valutazioni di prove incontrovertibili e costituiva un 
giudizio di merito non sindacabile innanzi ad essa commssione. Il che, 
mentre non costituisce, per assoluta genericit� di motivazione, alcuna 
valutazione, positiva sulla soluzione adottata nella decisione impugnata, 
comporta una ingiustificata declinazione di competenza da parte della 
commissione centrale, che erroneamente ha ritenuto che, dopo la riforma 
del contenzioso tributario, i suoi poteri fossero rimasti identici a quelli 
che le erano attribuiti in precedenza. Il che � errato, in quanto per 
l'art. 26 del d.P.R~ 26 ottobre 1972, n. 636, alla commissione centrale pu� 
devolversi, con l'impugnazione, non solo qualsiasi questione di legittimit�, 

delega ha voluto il terzo grado ancorandolo alla estimazione complessa, diventa 
impossibile pensare ad un giudizio disancorato dalla tradizione. 

Forse in favore di una pi� ampia delimitazione del giudizio di terzo grado 
milita l'illusione di stabilire un criterio pi� semplice e sicuro di separazione delle 
competenze; tutto ci� che non � puro e semplice apprezzamento di quantit� � 
devoluto al giudice di terzo grado il quale emette una pronunzia di merito pieno 
(o di gravame illimitato). Ma questa � una illusione, perch� la determinazione di 
ci� che � pura valutazione estimativa sfugge, allo stesso modo dell'estimazione 
semplice, ad una lineare demarcazione. L'esistenza del presupposto e l'apprezzamento 
della relativa prova non rientrerebbe nella valutazione (� questo per 
l'appunto il settore ove si manifesterebbe maggiormente la differenza di ampiezza 
tra estimazione semplice e valutazione estimativa) e, su questa stessa linea, lo 
stabilire se un suolo � agricolo o edificatorio non rientrerebbe nella valutazione. 
Ma, come bene mise in luce la sentenza n. 5086 del 1977, � l'identico procedimento 
logico condotto con gli stessi poteri e gli stessi mezzi probatori che porta a 
stabilire sia il se sia il quanto di un fenomeno tributariamente rilevante. E se 
si considera che a seguito della riforma si � esteso e rafforzato il principio 
dell'accertamento analitico, ben si vede che � l'unico inscindibile giudizio che 
porta a concludere (specie nelle imposte dirette) se un reddito netto � stato 
prodotto e nell'affermativa a determinarne la quantit�; non si vede come nell'esame 
analitico di una dichiarazione o di un bilancio si possa fare una distinzione 
fra l'operazione che porta a concludere che l'attivit� del periodo di imposta 
ha prodotto un� reddito netto di una quantit� determinata e quella che porta a 



120 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO 

Ima altres� qualsiasi questione di fatto, escluse solo quelle attinenti a 

i',j

valutazioni estimative ed alla misura delle pene pecuniarie. Nel caso di 
specie, pertanto, in cui non si discuteva della misura delle pene pecuniari� 
per omessa denunzia, ma della legittimit� della loro applicazione, ed in 
cui il problema del domicilio fiscale comportava indagini di fatto non 

I attinenti a valutazione estimativa, nonch� indagini di diritto sulla normativa 
della residenza e sui suoi effetti sul domicilio fiscale, la commissione 
centrale bene era competente ad esaminare il merito del ricorso, per cui 
la decisione, su tale punto, va cassata, con rinvio alla stessa commissione 
perch� si pronunzi: il che esclude che possano essere prese in esame, allo 
stato, in questa sede le questioni sollevate nel merito dal contribunte. 
(omissis) 

III 

(omissis) Nel corso di U�l giudizio innanzi alle commissioni tributarie, 
promosso da Lamberto Micangeli per contestare la pretesa tributaria 
azionata dall'ufficio distrettuale imposte dirette di Roma, che aveva 
tassato con imposta di R.M., cat. B, ai sensi dell'art. 81, ultimo comma, 
del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, il plusvalore ricavato dalla vendita di un 
suolo edificatorio, la commissione di secondo grado respinse l'appello 
dell'ufficio, negando l'esistenza di un'operazione speculativa. 

concludere che nell'attivit� del periodo di imposta gli elementi positivi sono 
pareggiati dagli elementi negativi; stabilire la quantit� del reddito in una cifra 

o costatare che il reddito � uguale a zero o che vi � stata perdita non sono 
giudizi diversificabili in modo da determinare distinte competenze. E, per tornare 
al caso della prima delle sentenze in esame, Io stabilire se un suolo � agricolo 
o edificatorio � un apprezzamento che fa parte del giudizio di stima e non � 
da esso separabile. Non sembra cio� sostenibile che una decisione di secondo 
grado, che sicuramente non pu� essere impugnata per far determinare un minor 
reddito o un minor valore, possa esserlo per far affermare che il reddito � zero 
o che il terreno non � edificatorio. 
In base ad analoghe considerazioni si dovr� dire che l'elemento di fatto che 
qualifica il fenomeno tributario (quale l'intento di speculazione che fa diventare 
un reddito da plusvalenza un evento altrimenti irrilevante o pi� in generale le 
questioni di valutazione della prova sul fatto che determina il presupposto dell'imposizione) 
� da ricomprendere nella valutai:ione estimativa come era ricompreso 
nella estimazione semplice. Quando poi si procede all'accertamento con 
metodo induttivo � ancor pi� evidente la inseparabilit� dell'apprezzamento sul 
se da quello sul quanto. 

In definitiva la valutazione estimativa non elimina le difficolt� che presentava 
l'estimazione semplice, cosicch� non sarebbe saggio abbandonare una tradizione 
che offre molti punti di riferimento, anche se non riesce ad offrire un 
criterio assolutamente sicuro. 

Un'ultima considerazione. Se l'art. 40, come presuppone l'ordinanza, � 
legittimo, vuol dire che la valutazione estimativa ivi contemplata non � nulla 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 121 

Su ricorso principale dell'ufficio e su ricorso incidentale del contribuente, 
la commissione tributaria centrale, esaminando prima il ricorso 
incidentale, dichiar� valido e legittimo l'accertamento e, quanto al merito, 
in riforma della decisione impugnata, riconobbe l'esistenza di una plusvalenza 
tassabile, ravvisando l'esistenza di un'operazione speculativa nella 
rivendita di un terreno di rilevante estensione, non potendosi ipotizzare 
che fosse stata immobilizzata nell'acquisto di detto terreno, del tutto 
improduttivo, una rilevante somma di denaro senza intento speculativo, 
dovendosi ritenere che l'acquisto era stato preordinato alla rivendita in 
un momento favorevole di mercato, e dovendosi altres� ritenere che la 
vendita fosse stata effettuata a solo scopo di lucrn, e non, come sostenuto 
dal contribuente, che essa fosse stata necessitata per far fronte al pagamento 
di ingenti somme dovute per imposte. 

Contro questa decisione ha proposto ricorso per cassazione il Micangeli, 
deducendo i seguenti motivi: 

1) illegittimit� costituzionale dell'art. 26 del d.P.R. n. 636 del 1972; 
2) subordinatamente, violazione, da parte della commissione centrale, 
delle norme sulla propria competenza; 
3) difetto di motivazione in ordine alla riconosciuta illegittimit� 
dell'accertamento; 
4) violazione dell'art. 81 del t.u. n. 645 del 1958 per l'avvenuto riconoscimento, 
nel caso di specie, di una plusvalenza tassabile; di detti motivi 
� pregiudiziale il terzo, in quanto, una volta riconosciuta l'illegittimit� 
dell'accertamento, verrebbe meno ogni possibilit� di discutere, in sede 

di diverso dalla estimazione semplice della legge di delega (l'ipotesi che la nozione 
di estimazione semplice assunta nella legge delega sia diversa da quella a quel 
tempo di uso corrente secondo l'interpretazione tradizionale non pu� essere 
presa in seria considerazione). Se questa coincidenza esiste per la corte di 
appello, sarebbe veramente difficile non ritrovarla anche per la Commissione 
centrale, a meno che non si voglia ammettere, ma sembra assai arduo, che la 
legge delega abbia voluto espressamente ristringere il potere della Commissione 
centrale per farne un giudice di stretta legittimit�, duplicato alla Corte di 
Cassazione. 

Potrebbe allora pensarsi che tanto l'art. 26 quanto� 1�art. 40, fra loro identici, 

siano illegittimi per eccesso di delega; ed � per l'app4nto quello che si rischia 

costruendo la valutazione estimativa come un assai ristretto campo di determi


nazione monetaria che lascia al giudice di terzo grado una parte di ci� che 

apparteneva un tempo alla estimazione semplice. 

Ma cos� facendo si va a fare uno sforzo interpretativo prnprio con il risul


tato di creare un eccesso di delega; il che � doppiamente irragionevole perch� 

nel dubbio deve essere preferita l'interpretazione conforme alla delega che non 

da occasione a sospetti di illegittimit� costituzionale e perch� la diversa interpre


tazione importerebbe un eccesso di delega cos� frontale e palese da sembrare 

poco verosimilmente commesso dal legislatore delegato. 

CARLO BAFILE 



122 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

giurisdizionale, sulla fondatezza, nel merito, della pretesa tributaria; detto 
motivo, pertanto, � stato esaminato per primo da questa Corte, che l'ha 
riconosciuto infondato con sentenza non definitiva in data odierna. 

Ci� comporta che � necessario esaminare la questione di illegittimit� 
costituzionale, pregiudiziale rispetto all'altra di incompetenza (derivando 
la competenza della commissione centrale proprio dalla norma di cui si 
denuncia l'illegittimit�), nonch� alla questione di merito, avendo la commissione 
centrale deciso il merito della causa risolvendo (come risulta 
dall'esposizione fatta in precedenza) questioni di fatto, il che si contesta 
dal ricorrente che essa potesse fare. 

Pertanto occorre esaminare se debba, o meno, essere rimessa alla 

decisione della corte costituzionale la questione di illegittimit� costituzionale 
sollevata dal ricorrente, che denunzia l'esistenza di un eccesso di 
delega, e quindi la violazione dell'art. 76 della Costituzione, da parte del 
Governo nella formulazione dell'art. 36 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, 
norma che, attribuendo alla commissione tributaria centrale una competenza, 
oltrech� di legittimit�, anche di merito, avrebbe superato i limiti 
imposti dal legislatore con la legge di delega 9 ottobre 1971, n. 825. 

In proposito si osserva che all'art. 10, secondo comma, n. 14), di detta 
legge si previde che avrebbe dovuto essere stabilita dal Governo, nell'esercizio 
dei poteri delegatigli dall'art. 1 per la riforma del sistema tributario, 
�la revisione della composizione, del funzionamento e delle competenze 
funzionali e territoriali delle commissioni tributarie [...] prevedendosi 
che l'azione giudiziaria possa essere esperita avanti la corte di appello, 
con esclusione in ogni caso delle questioni di semplice estimazione, dopo 
che sia decorso il termine per il ricorso alla commissione centrale, proponibile 
quest'ultimo in via alternativa e per soli motivi di legittimit��. 

Nell'esercizio dei poteri delegatigli il Governo, all'art. 26 del citato 

d.P.R. n. 636 del 1972, sanc� che �il ricorso alla commissione centrale � 
proponibile soltanto per violazione di legge e 'per questioni di fatto, 
escluse quelle relative a valutazione estimativa ed alla misura delle pene 
pecuniarie�, e all'art. 40 previde che �decorso inutilmente per tutte le 
parti il termine per ricorrere alla commissione centrale, la decisione della 
commissione di secondo grado pu� essere impugnata entro novanta giorni 
avanti la corte di appello per violazione di legge o per questioni di fatto, -~ 
escluse quelle relative a valutazione estimativa ed alla misura delle pene 
pecuniarie. 
Le due norme, quanto all'attribuzione di competenza, sono perfettamente 
identiche, s� che in base ad esse non si diversificano affatto le due 
impugnazioni proponibili innanzi alla commissione centrale e alla corte 
di appello, in evidente contrasto con quanto previsto dalla legge di delega, 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

che aveva ipotizzato una alternativit� dei rimedi (e quindi implicitamente 
una loro diversit� sostanziale), alternativit� che non trova pi� alcuna 
ragione di essere per l'assoluta identit� di contenuto delle due impugnazioni 
che, invece, secondo la dizione della norma delegante, erano previste 
come aventi diverso contenuto. 

Inoltre, mentre per quanto attiene alla competenza della corte di 
appello appaiono formalmente rispettati i limiti della legge delega, per 
cui nessuna illegittimit� .costituzionale � ipotizzabile quanto al suddetto 
art. 40, al contrario, con l'art. 26, il Governo ha attribuito alla commissione 
centrale non solo la competenza a decidere su motivi di legittimit� 
(in ci� conformandosi alla legge di delega), ma altres� quella a decidere su 
questioni di fatto, per nulla ipotizzata nella norma delegante, la quale, al 
contrario, aveva chiaramente indicato i limiti della delega, ipotizzando 
che alla commissione centrale, a differenza che alla corte d'appello, fosse 
attribuita competenza � per soli � motivi di legittimit�, il che induce a 
ritenere che fosse inibita l'attribuzione di competenza su qualsiasi altra 
questione. 

Avvalendosi dei poteri cos� attribuitile, la commissione centrale, nel 
caso di specie, ha risolto, riformando la decisione di secondo grado, questioni 
sull'esistenza di una operazione speculativa che, per quanto innanzi 
chiarito, non erano di legittimit�, bens� di fatto, per cui la questione di 
illegittimit� costituzionale appare rilevante ai fini della decisione della 
causa. 

Oltre che rilevante, la questione si appalesa anche non manifestamente 
infondata, in quanto, per decidere sul rispetto o meno da parte 
del Governo dei limiti impostigli dal legislatore delegante, � necessaria 
una lunga ed approfondita indagine sul concetto di �legittimit��, laddove 
ictu oculi dalla lettura delle due norme e dal loro confronto appare, per 
quanto rilevato, un evidente contrasto. 

La questione va pertanto rimessa alla decisione della corte costituzionale, 
sospendendosi, conseguentemente, di decidere sul primo, secondo 
e quarto motivo del ricorso pendente innanzi a questa Corte. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 3 marzo 1980, n. 1403; Pres. Granata Est. 
Martinelli -P. M. Commarota (conf.). Camerani (avv. Modafferi) 

c. Ministero delle Finanze (avv. Stato D'Avanzo). 
Tributi erariali diretti � Imposta di ricchezza mobile � Accertamento � Sin� 
teticit� � Dichiarazione apparentemente analitica � Legittimit�. 

(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art.. 24 e 37). 

124 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

� legittimo l'accertamento sintetico dei redditi quando la dichiarazione 
sia solo apparentemente analitica (1). 

(omissis) Con i tre motivi del ricorso, che stante la loro interdipendenza 
logica vanno congiuntamente esaminati, la ricorrente, lamentando 
la violazione degli artt. 32, 37, 38, 39, 42, 110, 117, 119 t.u. n. 645 del 1958 
in relazione all'art. 360 n. 3 e 5 cod. proc. civ., censura l'impugnata decisione: 
a) per aver, erroneamente, ritenuto legittimo il ricorso all'accertamento 
sintetico da parte dell'ufficio distrettuale delle imposte, bench� la 
denuncia .dei redditi, presentata tempestivamente dalla ricorrente, fosse 
stata analiticamente formulata ed avesse trovato puntuale riscontro nelle 
indagini espletate dalla Guardia di finanza, delle quali l'ufficio era venuto 
a conoscenza; b) per essere incorsa in difetto di motivazione in ordine 
alla determinazione dei redditi. 


Le censure sono destituite di fondamento. 

Invero, la commissione centrale con apprezzamento di fatto insindacabile 
in questa sede, in quanto congruamente motivato ed immune da vizi 
logici e di diritto, ha ritenuto la denuncia dei redditi, presentata dalla 
contribuente, soltanto apparentemente analitica, in quanto riferentisi ad 
elementi contabili privi di ogni giustificazione, e, quindi, in maniera non 
sufficientemente analitica (ex art. 24 t.u. cit.). 

Questa corte con giurispntdenza, ormai, costante, ha affermato la 
legittimit� del ricorso all'accertamento induttivo -sintetico del reddito 
non soltanto nel caso in cui difetti o sia incompleta la denuncia dei red


l I

diti o la medesima non abbia carattere analitico, ma ogni qualvolta tale 
carattere analitico -come nella specie -sia esclusivamente apparente, 
in quanto riferentesi ad elementi contabili sprovvisti di ogni giustificazione. ~ 
� inoltre, del tutto pacifico che nel caso di denuncia dei redditi, presentata 
da un contribuente non soggetto a tassazione in base a bilancio (come 
nella fattispecie), l'Amministrazione finanziaria possa procedere ad accertamento 
induttivo e sintetico, anche se la denuncia � formulata in modo 
analitico, qualora difettino i documenti giustificativi o quanto meno i 
riferimenti ai medesimi, cosicch� l'ufficio non possa essere in grado di 
effettuare i necessari controlli (arg. ex art. 37, 117, 118 t.u. n. 645 del 1958). 
Va, inoltre, tenuto presente che il ricorso al metodo induttivo e sintetico 
� legittimo qualora ne ricorrono i presupposti all'atto dell'accertamento 
d'ufficio, non rilevando la circostanza della successiva acquisizione da 
parte dell'ufficio dagli elementi di riscontro in ordine al reddito denun


(1) 1: ormai consolidata la giurisprudenza che riconosce un rapporto di 
corrispondenza tra analiticit� della dichiarazione e analiticit� dell'accertamento 
(cfr. da ultimo Cass., 10 aprile 1979, n. 2046, in questa Rassegna, 1979, I, 
719, con richiami). Degna di nota � l'affermazione che l'analiticit� della dichiarazione 
va verificata in modo non semplicemente formale. 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 125 

ciato attraverso le indagini espletate dalla polizia tributaria. Peraltro, va 
rilevato che nel caso concreto la Commissione centrale ha escluso l'esistenza 
e l'acquisizione di una adeguata documentazione giustificativa della 
denuncia dei redditi con motivazione congrua ed immune da vizi logici e 
di diritto, e come tale insindacabile in questa sede. D'altra parte, neppure 
possono essere prese in considerazione in questa sede le censure di travisamento 
dei fatti, che non concretizzandosi in un difetto di motivazione 

o di omesso esame di punti decisivi, possono essere fatte valere, esclusivamente, 
con ricorso al giudizio di revocazione. (omissis) 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 6 marzo 1980, n. 1500 -Pres. Vigorita Est. 
Cantillo -P. M. Minetti (conf.) -Soc. Sideritalia (avv. Romanelli) 

c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Soprano). 
Tributi in genere -Contenzioso tributario -Procedimento innanzi alla Commissione 
centrale -Rinvio della decisione -Necessit� di comunicazione 
alle parti -Esclusione. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 28). 
Tributi in genere -Contenzioso tributario -Giudizio di terzo grado -Estensione 
-Questione sulla natura dell'accertamento -Deducibilit�. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 26). 
Tributi erariali diretti -Accertamento -Motivazione -Analiticit� -Nozione Fattispecie. 


(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 24 e 118; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 38 e 39). 
Tributi diretti -Dichiarazione -Natura confessoria -Esclusione -Effetti. 

Non deve essere data comunicazione alle parti del giorno al quale 
la commissione centrale ha rinviato la decisione a norma dell'art. 26 del 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (1). 
Il giudice di terzo grado del nuovo contenzioso tributario pu� conoscere 
nel merito sulla legittimit� di un accertamento di cui sia controversa 
la natura sintetica o analitica (2). 

(1-4) La prima massima � da condividere pienamente. Alle parti deve essere 

data la comunicazione della data della seduta della commissione, affinch� pos


sano, oltre che presentare le memorie, verificare la composizione del collegio 

ai fini di possibili ricusazioni. In quella data il ricorso viene assunto in deci


sione. Pu� essere stabilito altro giorno (non necessariamente una ordinaria 

seduta) per continuare o rinviare �l'esame� (che deve comunque cominciare 

per accertare i motivi che suggeriscono di non decidere immediatamente); ma 

ci� riguarda le modalit� della camera di consiglio ed � ovvio che non ne va 

dato avviso alle parti. 

La seconda massima � da condividere sul punto che spetta al giudice di 

terzo grado decidere nel merito sulla questione della legittimit� dell'accerta




126 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STAID 

L'ufficio tributario pu� avvalersi nell'accertamento di due rimedi di 
intensit� crescente: se le carenze della dichiarazione sono circoscritte a 
determinati elementi, possono essere corretti, anche in via indiretta, gli 
elementi inattendibili mediante un accertamento che nel suo complesso f: 


resta analitico,quando 
invece le deficienze della dichiarazione (o la f 
totale omissione) investano l'intera rappresentazione dei fatti aziendali ~ 
deve necessariamente procedersi all'accertamento sintetico,-di conseguenza 
deve ritenersi analitico un accertamento con il quale si sia modificata la 
voce riguardante gli acquisti e, lasciando ferme tutte le altre poste attive 
e passive, sia stato determinato il maggior reddito calcolando l'utile netto 
in base alla percentuale risultante dalla dichiarazione (3). 
Bench� la dichiarazione del contribuente non abbia valore confessorio, 
� consentito all'ufficio utilizzare i dati risultanti dalla dichiarazione come 
indizi validi, in mancanza di prove contrarie, per sostenere l'accertamento 
(4). 
(omissis) La S.n.c. Sideritalia di Cesare e Carlo Magnaschi, esercente 
il commercio all'ingrosso di prodotti siderurgici, nella dichiarazione dei 
redditi relativa all'anno 1965 denunzi� un reddito netto, assoggettabile 
all'imposta di ricchezza mobile, di circa quattordici milioni, che fu elevato 
dall'ufficio a quarantacinquemilioni sulla base di ulteriori acquisti per 
lire 311.030.935, non evidenziati dalla dichiarante e accertati dalla polizia 
tributaria. Alla determinazione di tale maggior reddito la finanza pervenne 
tenendo ferme le altre poste della dichiarazione ed applicando la stessa 
percentuale di utile lordo, pari al 10 %, risultante dall'analisi della dichiarazione 
medesima. 
Sul ricorso della societ�, la commissione distrettuale delle imposte 
ridusse il reddito netto a lire 24.500.000, individuando l'utile netto nella 
percentuale dell'l,83 %; e la commissione provinciale, respingendo il gramento 
che si discute se sia analitico o sintetico, questione che � sempre stata 
considerata di estimazione complessa (Cass., 9 gennaio 1978, n. 48, in Riv. Leg. 
fisc., 1978, 807; 10 aprile 1979, n. 2-046, in questa Rassegna, 1979, I, 719). Desta 
peraltro perplessit� la formula della decisione della Commissione centrale di 
annullamento senza rinvio, nell'ipotesi che si riconosca legittimo l'accertamento; 
sembrerebbe che il giudice di terzo grado, che pronunzia in queste 
ipotesi sul merito, debba emettere una decisione sul rapporto che si sostituisce 
a quella impugnata. 
Sulla terza massima la giurisprudenza pu� dirsi pacifica (Cass., 10 aprile 
1979, n. 2046, gi� citata). 
L'ultima massima, toccando il tormentato problema degli effetti della dichiarazione, 
ne nega il carattere confessorio pur ammettendo che l'ufficio possa 
basarvi l'accertamento; in senso contrario, da ultimo, Cass., 24 gennaio 1980, 
n. 579 e 19 febbraio 1980, n. 1219, in questa Rassegna, 1980, I, 815 e 823; sull'argomento 
v. C. BAFILE, Osservazioni sulla natura giuridica della dichiarazione tributaria, 
ivi, 1980, I, 361. 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

vame dell'Amministrazione e accogliendo quello della contribuente, ridusse 
ancora il reddito a lire 20.000.000, in base ad una percentuale di utile 
dell'l,60 %. 

La commissione tributaria centrale, con decisione del 9 luglio 1975, ha 
condiviso l'operato dell'ufficio, annullando senza rinvio la pronunzia della 
commissione provinciale. 

Essa ha osservato che l'accertamento in questione doveva ritenersi 
analitico, in quanto circoscritto alla rettifica di un'unica posta della denunzia, 
cio� dell'ammontare degli acquisti, sicch� erano incorse in errore le 
commissioni di merito per avere accertato il reddito con metodo sintetico, 
ipotizzando una percentuale di utile lordo inferiore a quello dichiarato 
dalla contribuente, che noh poteva essere modificato, stante l'irretrattabilit� 
della denunzia. 

E poich� la societ� non aveva contestato l'ammontare degli acquisti 
occultati, l'accertamento risultava legittimo sia quanto agli elementi di 
fatto considerati che ai criteri seguiti per il calcolo del reddito, e andava, 
quindi, interamente confermato, senza necessit� di rinviare gli atti alla 
commissione tributaria di secondo grado, perch� non occorreva procedere 
ad una nuova valutazione estimativa. 

Avverso questa decisione la Soc. Sideritalia ha proposto ricorso affidato 
a cinque motivi. 
Resiste con controricorso l'Amministrazione finanziaria dello Stato. 

l\llOTIVI DELLA DECISIONE 

1. -Nell'ordine logico-giuridico deve essere esaminato per primo il 
quinto mezzo di annullamento, con il quale la ricorrente denunzia la violazione 
degli artt. 26 e 28 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 e deduce la nullit� 
della decisione impugnata sul rilievo che essa � stata deliberata dalla 
commissione tributaria centrale in udienza diversa da quella inizialmente 
stabilita, rinviata ad altra data senza dare notizia del rinvio alle parti. 
La censura � infondata. 

Anche nel nuovo contenzioso tributario, nel giudizio innanzi alla 

commissione centrale non � prevista la discussione orale e la data del


l'udienza di trattazione deve essere comunicata alle parti allo scopo di 

consentire ad esse di presentare le difese scritte ed altres� di rendere possi


bile il controllo sulla conformit� del collegio che ha reso la decisione con 

quello designato ex art. 27 per la trattazione del ricorso (posto che in 

questo giudizio, proprio perch� non vi � comparizione delle parti, la com


posizione del collegio deve eessere stabilita e resa nota con notevole 

anticipo rispetto alla data fissata per la decisione, onde consentire alle 

parti medesime l'esercizio del potere di ricusazione). 

Pertanto, il rinvio della decisione del ricorso ad altra udienza, ancorch� 
non comunicato alle parti, non produce alcuna conseguenza sulla validit� 


128 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO 

I

della pronuncia, tranne che, per effetto del medesimo rinvio, si sia verifi~:: 
cata difformit� fra il collegio che ha deciso il ricorso e quello pr_edisposto 
ex art. 27; ipotesi, questa, non ricorrente nella specie. 


II

2. -Con il primo e il quarto motivo, che vanno esaminati insieme e.� . 
perch� strettamente connessi, la ricorrente critica sotto tre profili la decil


sione impugnata nella parte in cui si � pronunziata sulla natura giuridica 
dell'accertamento in questione, qualificandolo analitico invece che sinte


I 
tico, come avevano affermato le commissioni di merito. Sostiene che: 
a) la Commissione centrale ha travalicato i limiti del proprio potere giuri~ 
sdizionale, compiendo in tal modo, in violazione degli artt. 26 e 29 del 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, un'indagine di fatto riservata alle commissioni 
di merito; b) la questione non era stata riproposta dall'Amministrazione, 
la quale si era limitata a denunziare l'insufficiente motivazione 
della decisione della commissione provinciale; e) l'esame della questione 
era precluso dal giudicato formatosi sulla statuizione resa sul punto 
dalla commissione distrettuale, non impugnata dalla finanza. 
Le censure non sono fondate. 

Sub a), questa corte suprema ha altre volte chiarito che, ai sensi 
dell'art. 26 del d.P.R. n. 636 del 1972, la commissione centrale ha competenza 
piena, in fatto e in diritto, su tutte le questioni, ad eccezione di 
quelle di mero fatto attinenti alla valutazione estimativa (cfr., sent. n. 5086 
del 1977). E fra queste ultime non rientra, manifestamente, la questione in 
ordine alla natura giuridica di un accertamento tributario, in particolare se 
debba qualificarsi induttivo o analitico, in quanto essa attiene al metodo 
seguito dall'amministrazione per il rilevamento della materia imponibile 
e implica un'indagine ermeneutica sul contenuto dell'avviso di accertamento, 
cio� dell'atto amministrativo terminale del procedimento, nonch� 
sulle attivit� e le operazioni in cui questo consiste (nello stesso senso, con 
riguardo ai criteri per l'accertamento del reddito, cfr. Cass., n. 1835 
del 1979). 

Sub b), poi, va detto che l'Amministrazione, con il ricorso alla commissione 
centrale, lament� l'arbitraria sostituzione, operata nei precedenti 
gradi del giudizio, del metodo analitico, seguito nell'accertamento, con 
quello induttivo, e dedusse il difetto di motivazione proprio in funzione 
di questo assunto. 

Infine, all'argomento sub c) � agevole obiettare -alla stregua degli 
atti (il cui diretto esame � consentito a questa corte suprema, trattandosi 
di accertare l'esistenza di un giudicato interno) -che la decisione della 
commissione distrettuale di Genova fu impugnata nel suo complesso dalla 
finanza, perci� su tutti i punti che avevano determinato la sua soccombenza; 
n� essa aveva l'onere di riproporre espressamente, con l'atto di 
impugnazione, la questione suddetta, giacch� l'art. 346 cod. proc. civ., nel 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 129 

vigore della disciplina del contenzioso tributario precedente alla riforma, 
non era applicabile al processo di appello innanzi alle commissioni (non 
� richiamato, per altro, neppure dalla normativa di cui al d.P.R. n. 636 
del 1972) e, comunque, l'onere dell'espressa riproposizione � imposto dalla 
norma per le domande ed eccezioni vere e proprie, non anche per le singole 
argomentazioni e prospettazioni giuridiche addotte a sostegno delle stesse 
(cfr., Cass., n. 5578 del 1978). 

3. -Con il secondo e il terzo motivo, denunziando la violazione degli 
artt. 24, 117 e 118 t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, nonch� vizi della motivazione, 
la ricorrente muove due censure alla decisione impugnata per avere rite� 
nuto legittimo l'operato dell'ufficio, sostenendo che essa abbia erronea� 
mente qualificato analitico l'accertamento, senza considerare che il maggior 
reddito era stato determinato in via induttiva, ed altres� che, anche 
per effetto di questo errore, abbia ritenuto vincolante il dato relativo alla 
percentuale di utile emergente dalla dichiarazione, attribuendo cos� a 
quest'ultima efficacia confessoria, in contrasto con la legge. 
Anche queste critiche sono destituite di fondamento. 

Quanto alla prima, va anzitutto previsato che, nel sistema dell'abrogato 
t.u. n. 645 del 1958, per le imprese commerciali individuali e collettive 
non rientranti, ai fini dell'imposta di ricchezza mobile, fra i soggetti 
tassabili in base a bilancio, l'amministrazione era abilitata a procedere al 
controllo di merito della dichiarazione del contribuente sulla base delle 
scritture contabili tenute dal medesimo e di elementi raccolti aliunde, 
nell'esercizio dei poteri di indagine ad essa conferiti (art. 118); e, in caso 
di incompletezza, inesattezza e infedelt� dei dati e degli elementi esposti 
nella denunzia e nelle scritture contabili, erano previsti due rimedi di intensit� 
crescente: quando tali carenze nell'esposizione degli elementi attivi e 
passivi, e, in genere, dei fatti aziendali (art. 24), pur conducendo ad un risul� 
tata diverso da quello emergente dalla dichiarazione, erano circoscritte a 
determinati elementi, l'Ufficio era tenuto ad operare una rettifica di carat� 
tere analitico, incentrata sulla contabilit� esposta dal contribuente, deter� 
minando voce per voce il maggior reddito conseguito o le indebite detra� 
zioni effettuate; quando, invece, per l'irregolare tenuta delle scritture 
contabili (art. 118, secondo comma) e per la gravit� delle infedelt� e delle 
inesattezze riscontrate, la contabilit� risultava inattendibile, l'ufficio era 
abilitato a procedere a rettifica extracontabile, prescindendo dalla dichia� 
razione e utilizzando, in tutto o in parte, notizie e dati comunque in suo 

possesso. 

Anche nella prima ipotesi, per�, era consentito all'ufficio di avvalersi 
di presunzioni ai fini della rettifica, accertando l'esistenza di attivit� 
non dichiarate o l'inesistenza di passivit� in base ad elementi indiziari, 
nel qual caso si aveva, quindi, l'inserimento del metodo induttivo in un 


130 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

accertamento in rettifica eseguito con criterio analitico (inserimento 
espressamente previsto dagli artt. 38 e 39 del d.P.R. n. 600 del 29 settembre 
1973). 

Nella specie, la decisione impugnata ha osservato che la finanza si era 
limitata a modificare la voce riguardante gli acquisti effettuati dall'impresa, 
da questa occultati per un importo di oltre trecento milioni; e lasciando 
ferme tutte le altre poste attive e passive -aveva determinato 
il conseguenziale maggior reddito applicando la percentuale di utile risultante 
dalla dichiarazione, supponendo che la societ� avesse ricavato 
proporzionalmente lo stesso utile sui quantitativi non dichiarati. 

In base a queste caratteristiche, la commissione ha correttamente 
argomentato la natura analitica dell'accertamento, essendo stato determinato 
mediante presunzione solo il maggior �ricavo riferibile all'elemento 
suddetto; e questo apprezzamento di fatto, cos� sorretto da congrua e 
logica motivazione, risulta incensurabile in sede di legittimit�. 

L'altra censura, prima che infondata, � inammissibile, in quanto presuppone 
una ratio decidendi diversa da quella risultante dalla motivazione 
in esame. 

~ esatto che la dichiarazione dei redditi (e, in linea generale, la dichiarazione 
tributaria) non ha natura confessoria, configurando, invece, 
una dichiarazione di scienza, la quale adempie alla funzione di rendere 
noto all'amministrazione il presupposto di fatto dell'obbligazione tributaria, 
nonch� i dati e gli elementi dai quali esso � scaturito (cfr., da ultimo, 
Cass., 24 aprile 1979, n. 2318, in tema di denunzia di successione). 

La decisione impugnata, per�, non ha affatto attribuito valore confessorio 
alla dichiarazione di cui si discute, essendosi limitata ad affermare, 
come si � visto, che correttamente l'Amministrazione aveva fatto 
riferimento alla percentuale di utile, dichiarata (implicitamente) dalla 
contribuente, per determinare l'ammontare dei maggiori ricavi, utilizzando, 
cio�, il dato in questione non gi� quale fatto oggetto di confessione, perci� 
avente diretta efficacia probatoria in relazione al maggior volume di 
affari non denunziato, bens� quale elemento idoneo a presumere, in difetto 
di prova contraria, ricavi costanti per l'intero volume di affari. 

(omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 13 marzo 1980, n. 1684 -Pres. Vigorita Est. 
Virgilio -P. M. Antoci (conf.) Soc. Boscoquattro (avv. Biondolillo) 

c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Viola). 
Tributi erariali indiretti -Esenzione ed agevolazioni -Esclusione per le opere 
eseguite senza licenza edilizia -Presupposti. 
(legge 6 agosto 1967, n. 765, art. 15). 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 131 

L'esclusione delle agevolazioni per le opere edilizie eseguite senza 
licenza o in contrasto con essa, secondo quanto dispone l'art. 15 della 
legge 6 agosto 1967, n. 765, presuppone che l'opera sia iniziata dopo l'entrata 
in vigore della legge e che essa abbia carattere di autonomia rispetto 
a strutture preesistenti, tale da richiedere la licenza edilizia. Pertanto, 
mentre incorrono nella esclusione opere di ampliamento o di trasformazione 
di edifici preesistenti, non vi sono soggette le opere di completamento 
o di rifinitura di edifici la cui costruzione era gi� iniziata al momento 
�dell'entrata in vigore della legge (1). 

(omissis) La ricorrente deduce che i contratti della cui tassazione si 
discute riguardavano lavori di rifinitura di fabbricati gi� completi nelle 
loro strutture essenziali, e che per tali lavori non era quindi necessaria 
la licenza edilizia; che la legge 6 agosto 1967, n. 765, si applica alle costruzioni 
iniziate do_P,o la data della sua entrata in vigore, ma non con 
riferimento a lavori successivi a tale data, che siano eUettuati in fabbricati 
la cui costruzione risulti iniziata prima della data medesima; che 
ai fini della decadenza dai benefici fiscali ai sensi dell'art. 15 della legge 

n. 765 del 1967 occorre quindi far riferimento alla data di inizio della 
costruzione per la quale sono stati stipulati i contratti di appalto relativi 
alle rifiniture o al completamento di parti o impianti accessori, non 
avendo tali opere carattere di autonomia. 
Le censure sono fondate. 

L'art. 41-ter della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150 (aggiunto 
con l'art. 15 della legge 6 agosto 1967, n. 765), con disposizione di carattere 
dichiaratamente innovativo, ha stabilito che �le opere iniziate dopo l'entrata 
in vigore della presente legge (cio� della legge del 1967) senza la 
licenza o in contrasto con la stessa, ovvero sulla base di licenza successivamente 
annullata, non beneficiano delle agevolazioni fiscali previste 
dalle norme vigenti �. 

L'art. 31 della stessa legge n. 1150 del 1942, come sostituito dall'art. 10 
della legge n. 765 del 1967, dispone a sua volta che la licenza del sindaco 
� necessaria per � eseguire nuove costruzioni, ampliare, modificare o demolire 
quelle esistenti ovvero procedere all'esecuzione di opere di urbanizzazione 
del terreno �. 

Dal coordinamento delle disposizioni della nuova normativa in tema 
di godimento di agevolazioni tributarie risulta chiaramente, per la questione 
che interessa nella fattispecie concreta, che l'operativit� della sanzione 
di esclusione dai benefici fiscali � limitata alle opere, iniziate dopo 
l'entrata in vigore della legge del 1967, aventi carattere di autonomia (ri


(1) Identica � l'altra sentenza in pari data n. 1685. Non constano precedenti 
specifici. 
10 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

spetto a precedenti fabbricati) per le quali sia richiesta, a norma del 
citato art. 31, licenza edilizia. 

La sanzione �, invece, inapplicabile alle opere che, pur se iniziate 
dopo l'entrata in vigore della legge del 1967, costituiscano completamento 

o rifiniture di edifici o fabbricati in corso di costruzione al momento 
dell'entrata in vigore della disciplina innovativa. 
In quest'ultimo caso le opere di completamento o di rifinitura delle 
dette costruzioni non hanno, come si � accennato, carattere di autonomia, 
in quanto costituiscono il naturale sviluppo delle costruzioni stesse, le 
quali -essendo state iniziate nel vigore del precedente regime -non 
possono essere assoggettate alla sanzione del � non godimento � dei benefici 
fiscali, o della decadenza da essi, n� per quanto riguarda l'intera 
costruzione, n� per la parte dei benefici stessi che attiene a singoli contratti 
relativi ad opere di completamento o rifiniture. 

Nell'ambito di applicabilit� della norma sanzionatoria rientrano invece 
quelle opere che non siano funzionalmente preordinate al completamento 
di una costruzione in corso di esecuzione al momento dell'entrata 
in vigore della nuova disciplina, e se le dette opere siano state iniziate 
dopo tale momento saranno soggette alla sanzione nell'ipotesi contemplata 
dall'art. 41-ter citato. 

Queste ultime opere possono ovviamente consistere anche in ampliamenti, 
modificazioni o demolizioni di fabbricati gi� esistenti (anche per 
esse � previsto l'obbligo della licenza), ma in tali casi le opere stesse assumono 
carattere di autonomia completa rispetto ai fabbricati cui si riferiscono, 
in quanto questi ultimi si configurano come entit� costruttive 
gi� compiute in tutte le componenti, sicch� gli � ampliamenti, le modificazioni 
e le demolizioni�, costituenti oggetto della nuova attivit� da compiere, 
non svolgono la funzione di loro completamento, sotto qualsiasi 
aspetto, ma si qualificano come un quid novi che, prescindendo da programmi 
gi� realizzati, viene ad incidere sul preesistente assetto costruttivourbanistico, 
e come tale � conseguentemente assoggettato alla nuova 
normativa. (omissis) 


SEZIONE SETTIMA 

GIURISPRUDENZA IN MATERIA 
DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 


I 

TRIBUNALE DI ROMA, Sez. I, 30 settembre 1977, n. 10185 -Pres. Amatucci 
-Est. Izzo -Societ� italiana nuove costruzioni idrauliche edili 
stradali Chiementin e C. (avv. Vacchelli) c. Azienda Nazionale Autonoma 
delle Strade (avv. Stato Albisinni). 

Appalto -Sorpresa geologica -Equo compenso -Prestazione notevolmente 
pi� onerosa -Limite del decimo del prezzo fissato per la revisione 
prezzi -Inapplicabilit� per la sorpresa geologica. 
(Cod. civ., art. 1664, primo e secondo comma). 

Appalto -Sorpresa geologica -Equo compenso -Prestazione notevolmente 
pi� onerosa -Non � tale qualsiasi aggravio o qualsiasi diffi. 
colt� sopraggiunta o riscontrata nell'esecuzione -:I! tale un aggravio 
qualificato dalla entit� delle sue ripercussioni sulla prestazione dell'appaltatore. 
(Cod. civ., art. 1664, secondo comma). 

Appalto -Sorpresa geologica -Equo compenso -Prestazione notevolmente 
pi� onerosa -Va riferita all'intera prestazione e non ai singoli 
lavori. 
(Cod. civ., art. 1664, secondo comma). 

Il limite del decimo del prezza, fissato nel primo comma dell'art. 1664 
cod. civ. non� � applicabile alla sorpresa geologica, di cui al second� comma 
dello stesso articolo. 

L'espressione� notevolmente pi� onerosa�, contenuta nel secondo comma 
dell'art. 1664 cod. civ., fa riferimento non ad un qualsiasi aggravio 

o ad una qualsiasi difficolt� sopraggiunta o riscontrata nell'esecuzione, 
ma ad un aggravio qualificato dalla entit� delle sue r�percussioni sulla 
prestazione dell'appaltatore. (� stato ritenuto che i maggiori oneri, incontrati 
dall'impresa, valutati in lire 154.317.560, non abbiano reso notevolmente 
pi� onerosa una prestazione dell'importo di lire 7.102.913.633). 
La maggiore onerosit� derivante da causa geologiche gi� esistenti al 
tempo del contratto, ma non previste, deve essere riferita all'intera prestazione 
e non ai singoli lavori. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

134 

II 

CORTE DI APPELLO DI ROMA, Sez. I, 6 ottobre 1980, n. 1932 -Pres. 
Pittiruti -Est. Rocchi -Societ� italiana nuove costruzioni idrauliche 
edili stradali Chiementin e C. (avv. Vacchelli) c. Azienda Nazionale 
Autonoma delle Strade (avv. Stato Albisinni). 

Appalto -Sor:presa geologica -Presupposto -Imprevedibilit� delle cause 
geologiche idriche e simili. 
(Cod. civ., artt. 1467 e 1664). 

Appalto -Appalto di opere pubbliche -Sorpresa geologica -Prestazione 
notevolmente pi� onerosa -� tale se sup.era il quinto dell'importo . 
totale del contratto. 
(Cod. civ., art. 1664, secondo comma; d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, artt. 13 e 14). 

Appalto -Contratto di appalto -Sorpresa geologica -Equo compenso -Prestazione 
notevolmente pi� onerosa -Va riferita all'intera prestazione e 
non ai singoli lavori. 

Per l'applicabilit� dell'art. 1664, secondo comma, cod. civ. occorre la 
imprevedibilit� della circostanza, causa o fatto sopravvenuti a rendere 
notevolmente pi� onerosa la prestazione. La norma ha il medesimo fondamento 
dell'art. 1467 cod. civ., relativo alla eccessiva onerosit� e imperniato 
sulla imprevedibilit� dell'onere, e ne costituisce la specifica applicazione 
in tema di appalto. 

In tema di appalto di opere pubbliche l'onerosit� diventa �notevole� 
quando superi il quinto dell'importo totale del contratto di appalto, come 
� dato inferire dalla normativa di cui agli artt. 13 (variazioni qualitative ai 
lavori) e 14 (variazione quantitativa) del capitolato generale del 1962 (1). 

La onerosit� deve essere riferita all'intera prestazione dell'appaltatore, 
all'intero importo del contratto, come rivelano univocamente la 

(1) La corte di appello ha, per la prima volta, stabilito un criterio per determinare 
in quale caso l'onerosit� diventa notevole, per gli effetti di cui all'art. 1664, 
secondo comma, cod. civ. 
Sulla questione sussiste un solo precedente, di carattere generico, richiamato 
nella sentenza del tribunale, la sent. Cass. Sez. I, n. 3398 del 23 novembre 
1971, la quale ha affermato che il diritto all'equo compenso previsto dall'art. 
1664, secondo comma, cod. civ., non � soggetto al limite del decimo del 



PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 135 

lettera e la ratio dell'art. 1664, secondo comma, cod. civ. e la norma in 
tema di variazioni quantitative, contenuta nell'art. 14 del capitolato generale 
1962. 

prezzo stabilito dal primo comma della stessa disposizione ai fini della revisione 
del prezzo. 

Il tribunale aveva risolto la questione in termini di fatto e, quindi, di specie. 
Non vi �, peraltro dubbio, che la valutazione della onerosit� eccessiva o notevole 
sia rimessa ad apprezzamenti di fatto. 

Il criterio, seguito dalla corte di appello, pur involgendo, nella sostanza, 
apprezzamenti di fatto, perch� gli artt. 13 e 14 del capitolato generale per le 
00.PP., approvato con d.P.R. n. 1063 del 1962, hanno riferimento a diverse situazioni 
che si verifichino nel corso di esecuzione di un contratto di appalto, potrebbe 
indicare una utile traccia al fine di stabilire in quali casi la onerosit� debba 
considerarsi notevole. 

Avverso la sentenza della corte di appello � !>tato proposto ricorso in Cassazione, 
che non investe, per�, il punto esaminato. 

I 

(omissis) � pacifico tra le parti che nel corso della costruzione del 
viadotto Rago si manifestarono difficolt� di esecuzione derivanti dalla 
natura del terreno e non previste al momento della stipula del contratto 
di appalto. � rimasto invero accertato, anche attraverso la disposta consulenza 
tecnica, che la zona particolarmente impervia interessata dai 
lavori, con le conseguenti difficolt� di accesso, consent� l'effettuazione 
di indagini preliminari necessariamente superficiali, per cui soltanto la 
diretta osservazione degli scavi, resa possibile con l'accesso alle fondazioni 
mediante la costruzione di lunghe strade di servizio e con la effettuazione 
di ulteriori sondaggi, consent� di accertare che le formazioni 
rocciose interessate, costituite da calcari dolomitici, presentavano una 
fratturazione, la quale proseguiva intensa anche oltre gli strati superficiali 
e le previste quote di imposta delle fondazioni. Tale natura del terreno 
impose, per la sicurezza del costruendo viadotto, una variazione 
sia nel tipo delle fondazioni, realizzate con tecnica particolare e con 
strutture a pozzo ed ancoraggi, sia nella luce della campata centrale. 

Non pu� quindi negarsi che si sia trattato di � difficolt� di esecuzione 

derivanti da cause geologiche � non previste dalle parti, e che la fatti


specie rientri nella previsione di cui all'art. 1664, secondo comma, cod. 

civ. (c.d. �sorpresa geologica�). 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

136 

Circa gli effetti di tale sorpresa geologica, ritiene il Collegio ch'essi 
vadano ristretti e limitati ai soli maggiori lavori di fondazione, con 
esclusione degli scavi di sbancamento. 

Se invero � pacifico che a causa della natura del �terreno e della 
notevole profondit� della fratturazione riscontrata nella roccia, si � 
avuta una difficolt� di esecuzione nei lavori, che ha comportato diverse 
e maggiori opere di fondazione -la cui esecuzione, al momento 
del progetto, non era assolutamente prevedibile -, diverso discorso � a 
farsi per i maggiori lavori di sbancamento che vengono, com'� noto, 
eseguiti, per l'impianto delle fondazioni vere e proprie, i cui scavi sono 
invece di maggiore profondit�. 

Detti scavi di sbancamento, effettuati dalla impresa per la realizzazione 
del viadotto, hanno assommato in totale a mc. 173.898.09, mentre 
il quantitativo previsto nella stima allegata all'offerta per l'appaltoconcorso 
era di appena mc. 12.768. 

La insufficienza di tale previsione � da ricollegare al modo del tutto 
sommario con il quale l'impresa ha valutato il quantitativo di scavi 
occorrente, ed � ascrivibile quindi a negligenza dell'impresa stessa, mentre 
non � assolutamente provato che tale maggior quantitativo sia dipeso 
dalla sorpresa geologica. 

La conferma di tale assunto si ha proprio dalla lettura della riserva 
iscritta nel registro di contabilit� (vedi doc. n. 10, pag. 4-5), laddove 
l'impresa� fa presente che � con l'apertura degli scavi di sbancamento � 
ha potuto rendersi conto che i terreni interessanti la zona di fondazione 
del viadotto Rago risultavano geologicamente differenti dalle previsioni, 
ribadendo, pi� avanti, che �lo stato di detti terreni� si � potuto riscontrare 
� nella completa realt� solo e soltanto a totale apertura degli 
scavi �. Tali asserzioni risultano particolarmente significative, proprio 
per la loro provenienza ex parte actoris, e confermano non solo che la 
sopresa geologica si � manifestata soltanto dopo la effettuazione degli 
scavi di sbancamento, ma che il maggior quantitativo di detti scavi non 
� affatto derivato dalle indicate cause geologiche. 

Queste, ripetesi, hanno imposto maggiori oneri per i successivi lavori 
di fondazione, ma non potevano logicamente esplicare alcuna influenza 
:sugli scavi di sbancamento, gi� effettuati al momento della loro insorgenza. 


Ne consegue che i maggiori oneri sopportati dall'impresa relativamente 
ai lavori di sbancamento, siccome del tutto indipendenti da cause 
geologiche, sono fuori della previsione di cui all'art. 1664, secondo comma, 
cod. civ., e, trattandosi di evento del tutto prevedibile all'epoca della 



PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 137 

stipulazione del contratto, rientrano nella normale alea contrattuale e 
devono restare a carico dell'impresa appaltatrice. 

Limitati gli effetti della sorpresa geologica soltanto ai maggiori lavori 
di fondazione, occorre ora stabilire se tale sorpresa possa dar 
luogo all'equo compenso previsto dal citato art. 1664, secondo comma, 
cod. civ. 

Com'� noto l'effetto delle cause naturali di cui � cenno in tale disposizione, 
ai fini del diritto all'equo compenso, dev'essere tale da rendere 
� notevolmente pi� onerosa � la prestazione dell'appaltatore. Anche se si 
� escluso che il limite del decimo del prezzo, fissato nel primo comma 
dell'art. 1664, sia applicabile alla sorpresa geologica (vedi Cass., 23 novembre 
1971, n. 3398), non v'� dubbio che con l'espressione � notevolmente 
pi� onerosa " si sia voluto fare riferimento non ad un qualsiasi 
aggravio o ad una qualsiasi difficolt� sopraggiunta o riscontrata nell'esecuzione, 
ma ad un aggravio qualificato dalla entit� delle sue ripercussioni 
sulle prestazioni dell'appaltatore. Ora non pu� certo dirsi che 
i maggiori oneri incontrati dall'impresa per i lavori di fondazione e 
valutati dal consulente tecnico in lire 160.058.870, ridotte, con il ribasso 
contrattuale, a lire 154.317.560 abbiano reso notevolmente pi� onerosa per 
l'appaltatore la prestazione relativa ad un contratto di appalto dell'importo 
netto complessivo di lire 7.102.913.633 (inizialmente di lire 4 miliardi 
339.838.900, di cui lire 1.392.984.300 per i lavori a forfait relativi 
ai due viadotti e lire 2.946.855.600 per i lavori a misura; passato, poi, 
per la stipula con l'impresa di sei atti aggiuntivi al contratto principale, 
alla maggiore cifra sopra indicata). Il maggior onere, valutato in percentuale 
rispetto all'intera prestazione, � di entit� tutt'altro che gravosa, 
� rientra nella normale alea contrattuale. 

N� pu� accedersi alla t�si dell'impresa di riferire tali maggiori oneri 
ai soli lavori di costruzione dei due viadotti, perch� la maggiore onerosit� 
derivante da cause geologiche gi� esistenti al tempo del contratto, 
ma non previste, dev'essere riferita all'intera prestazione e non ai singoli 
lavori (vedi Cass., 18 febbraio 1972, n. 434). (omissis) 

II 

(omissis) Il primo punto, che viene all'esame della corte, concerne 
la pronunzia resa dal Tribunale in ordine ai lavori (scavi) di sbancamento 
che hanno preceduto le opere di fondazione vere e proprie e che 
si assumono anch'essi influenzati dalla natura e dall'entit� della sorpresa 
geologica, nel corso delle opere di costruzione del viadotto Raga. 


138 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Ha ritenuto, sul punto, il tribunale che la maggiore onerosit� connessa 
all'esecuzione degli scavi suddetti non doveva considerarsi � imprevedibile
� ai sensi dell'art. 1664, secondo comma, cod. civ., specie in 
relazione alla insufficienza dei meccanismi previsionali adottati dall'hnpresa 
in sede di offerta, con riferimento alla valutazione del quantitativo 
degli scavi occorrenti, nonoh� in base alla considerazione che, in ogni 
caso, �non �(ra) assolutamente provato che tale maggior quantitativo sia 
dipeso dalla sorpresa geologica �. 

Assume, in contrario, l'appaltatore l'imprevedibilit� del fenomeno 
geologico e la non ipotizzabilit� della sua esclusione causale nei confronti 
dello sbancamento in oggetto. 

Ci� posto, vale premettere alcune considerazioni di ordine generale. 

La gestione a proprio rischio, che l'appaltatore assume nel compimento 
delf'opus o del servizi?, sottopone l'assuntore al c.d. rischio 
economico, derivante dalla impossibilit� di stabilire, al momento della 
conclusione del contratto e della determinazione del prezzo, il preciso 
costo dell'opera o del servizio promesso dall'appaltatore, il quale, quindi, 
potr� guadagnare o perdere nell'affare a seconda che detto costo sia 
inferiore o superiore al corrispettivo pattuito, salve le modificazioni 
consentite in presenza di particolari circostanze (tra le tante: Cass., 3 
luglio 1979, n. 3754). 

Queste circostanze, queste modificazioni, sostanzialmente si esauriscono 
nella duplice previsione dell'art. 1664 cod. civ.: 1) revisione dei 
prezzi (che qui non interessa); 2) �difficolt� di esecuzione derivanti da 
cause geologiche, idriche e simili, non previste dalle parti, che rendono 
notevolmente pi� onerosa la prestazione dell'appaltatore... �, 

Ma per l'applicabilit� dell'art. 1664, secondo comma, occorre anche 
un ulteriore presupposto, cio� l'imprevedibilit� della circostanza, causa 

o fatto sopravvenuti, a rendere notevolmente pi� onerosa la prestazione.. 
Infatti, la norma ha il medesimo fondamento dell'art. 1467 cod. civ., 
relativo alla eccessiva onerosit� e imperniato sulla imprevedibilit� dell'onere, 
e ne costituisce la specifica applicazione in tema di appalto {Relazione 
al codice civile, par. 702, primo e secondo comma), differendone 
soltanto per il contenuto meno grave del rimedio apprestato. Ne consegue 
che il dfritto all'equo compenso non pu� sorgere se non in presenza 
di circostanze, cause naturali o fatti umani, che siano imprevedibili 
al momento della conclusione del contratto, rimanendo invece 
escluse quelle prevedibili con l'ordinaria diligenza e la normale �perizia, 
anche se concretamente non previste (Cass., 12 luglio 1974, n. 2082, 
in motivazione; Corte appello Roma, 8 novembre 1972, Ministero dei 
LL.PP. c. Ditta Sgaravatti, in Arb. app., 1972, 353). 

In conclusione, il diritto all'equo compenso � subordinato al concorso 
dei requisiti della sopravvenienza di una causa non prevista, della impre




PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

vedibilit� di detta causa, della notevole onerosit� dell'aggravio conseguente 
rispetto all'intera prestazione prevista dall'appalto. 

Orbene, tornando specificamente al primo punto controverso, nota 
la corte che il C.T. d'ufficio ha testualmente ritenuto che �se i progettisti 
avessero disposto, fin dall'ini.zio, delle informazioni tecniche reali circa 
la natura del terreno nel sottosuolo, molto verosimilmente avrebbero 
stimato e progettato per lo attraversamento sul vallone Rago le stesse 
strutture in seguito realizzate. La qual cosa avrebbe significato un'offerta 
iniziale comprensiva del prezzo di quei lavori successivamente considerati 
in pi� �. 

Lo stesso consulente ha, poi, concluso la sua analisi {la cui elaborazione, 
frutto di un'indagine tecnica particolarmente approfondita e di 
una articolata motivazione, risulta pienamente attendibile) nel senso che 
� data la natura dei terreni, riscontrabile solo a totale apertura degli 
scavi di sbancamento, � stato necessario operare una variante nel tipo 
delle fondazioni e nella luce della campata centrale: per tali diversi 
lavori, che comportano maggiori quantit� e qualit� di scavi (omissis), si 
ritengono provate le quantit� contabilizzate in contraddittorio delle 
parti, che, a termine di capitolato speciale e applicando i prezzi unitari 
contrattuali dell'epoca, ammontano a lire 279.256.350 �. 

In tale prospetto, la corte ritiene che -anche a voler concedere 
all'impresa il preteso errore del tribunale nel considerare la previsione 
del quantitativo degli scavi di sbancamento, operata nella stima allegata 
all'offerta, di mc. 12.768, anzich� di mc. 25.068; il divario tra lo sbancamento 
previsto e quello necessario rimane notevole: circostanza, questa, 
che, in coerenza con la riportata conclusione sul punto del consulente d'ufficio, 
circa la verosimile prevedibilit� della �natura del terreno nel sottosuolo
�, nonch� del tipo di �strutture in seguito realizzate�, appare indicativa 
di una palese negligenza dell'impresa nella predisposizione di opportuni 
meccanismi previsionali, la cui adeguata utilizzazione � avrebbe significato 
un'offerta iniziale comprensiva del prezzo di quei lavori successivamente 
considerati in pi� �. 

D'altronde, per ammissione della stessa impresa (cfr. la riserva 

iscritta nel registro di contabilit�, doc. n. 10, pagg. 4, 5, laddove l'impresa 

fa presente che � con l'apertura degli scavi di sbancamento� ha potuto 

rendersi conto che i terreni interessanti la zona di fondazione del viadotto 

Rago risultavano geologicamente differenti dalle previsioni, ribadendo, 

pi� avanti, che � lo stato di detti terreni � si � potuto riscontrare � nella 

completa realt� solo e soltanto a totale apertura degli scavi�) risulta 

non solo che la sorpresa geologica si � manifestata soltanto dopo l'intera 

effettuazione degli scavi di sbancamento, ma che il maggior quantitativo 

di detti scavi non � conseguentemente affatto derivato dalle indicate 

cause geologiche; le quali -come esattamente osservato dal Tribunale 


hanno imposto soltanto maggiori oneri per i successivi lavori di fonda



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

zione, e � non potevano logicamente esplicare alcuna influenza sugli 
scavi di sbancamento, gi� effettuati al momento della loro insorgenza�. 

Il primo motivo non merita, dunque, accoglimento. Il secondo aspetto 
della decisione del Tribunale coinvolto dalla impugnazione riguarda il 
problema del se il riconosciuto maggior onere subito dall'impresa, in 
relazione alle (sole) opere di fondazione, doveva essere commisurato 
-al fine di valutarne la incidenza -all'importo complessivo dell'appalto, 
oppure al prezzo a corpo pattuito per il viadotto in questione, in 
presenza del contratto a sistema misto concluso dalle .parti. 

Anche per la soluzione di tale seconda questione, devoluta alla corte, 
operano i criteri di massima dianzi ripetuti. 

In particolare, deve ritenersi che, in tema di appalto di opere pubbliche, 
l'onerosit� diventa �notevole� quando superi il quinto dell'importo 
totale del contratto di appalto, come � dato inferire dalla normativa 
di cui all'art. 13 (variazioni qualitative ai lavori) del capitolato generale 
del 1962, il quale prevede che � le modifiche non si considerano 
influenti [ ...] se non superino il quinto in pi� o in meno delle corrispondenti 
quantit� originarie�, nonch� dalla normativa di cui all'art. 14 
(variazione� quantitativa) dello stesso capitolo generale del 1962, il quale 
prevede che l'Amministrazione pu� ordinare, durante l'esecuzione dei 
lavori, un aumento o una diminuzione delle opere � fino alla concorrenza 
di un quinto in pi� o in meno dell'importo del contratto, senza che 
perci� spetti indennit� alcuna all'appaltatore �, � da ritenere, inoltre, 
che la onerosit� -ai fine che ci occupa -deve essere rapportata all'intera 
prestazione dell'appaltatore, all'intero importo del contratto, come 
rivelano univocamente la lettera e la ratio dell'art. 1664 cod. civ., secondo 
comma (� che rendono notevolmente pi� onerosa la prestazione dell'appaltatore
�) e la gi� citata analoga norma in tema di variazioni quantitative 
(art. 14 cap. gen.), la quale ultima testualmente dispone: �Ai fini 
del presente articolo, l'importo dell'appalto � formato dalla somma 
risultante dall'aggiudicazione o dal contratto, aumentata dall'importo 
degli atti di sottomissione per varianti o lavori suppletivi quando non 
sia pattuito diversamente, nonch� dell'ammontare dei compensi eventualmente 
assegnati all'appaltatore in aggiunta al corrispettivo contrattuale, 
escluse le variazioni dipendenti da revisione dei prezzi �. 

In tale quadro, anche a voler assumere a dato di base le conclusioni 
del C.T. d'ufficio, circa i maggiori oneri complessivamente derivati dalla 
sorpresa geologica, devesi pur sempre pervenire alla conclusione che tali 
maggiori oneri, tenuto conto dell'importo complessivo dell'appalto (lire 
7.102.913.633) e della relativa alea contrattuale, non potrebbero in alcun 
caso aver determinato una prestazione, da parte dell'appaltatore, pi� 
onerosa. 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

Non potrebbe, cio�, in alcun caso, ritenersi applicabile lo strumento 
previsto e regolato dall'art. 1664, secondo comma, cod. civ., invocato dall'impresa, 
in quanto il maggior onere, valutato in percentuale rispetto 
all'intera prestazione, risulta di entit� tutt'altro che gravosa e rientra 
nella normale alea contrattuale. 

Anche il secondo motivo di appello si appalesa, quindi, privo di 
pregio, e va disatteso. (omissis) 


SEZIONE OTTAVA 

GIURISPRUDENZA PENALE 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III, 1� ottobre 1980, n. 1194 -Pres. Clemente 
di S. Luca -Rel. Mele -P. G. Guasco (conf.) -Rie. Pievani 
Beniamino e altri -Parte civile Amministrazione .finanziaria dello 
Stato (avv. dello Stato Bruni). 

Procedimento penale -Riunione di giudizi -Mancanza di eccezioni della 
difesa � Acquiescenza. 
Procedimento penale � Riunione di giudizi -Provvedimento che la dispone 
-Impugnabilit� -Esclusione. 

Imposte di fabbricazione -Spiriti -Sottrazione di spiriti al pagamento dei 
prescritti diritti erariali -Contestazione dell'art. 107 legge doganale 
25 settembre 1940, n. 1424 e non dell'art. 10 d.l. 30 ottobre 1952, n. 1322 � 
Sentenza di condanna per l'art. 107 legge doganale del 1940 -Nullit� 
per violazione dell'art. 477 cod. proc. pen. -Insussistenza. 

Reato -Reato continuato -Richiesta di riconoseimento della continuazione 
in sede di legittimit� -Inammissibilit� se la continuazione era allegabile 
in sede di merito. 

Qualora in dibattimento venga dal giudice disposta la riunione di 
altro procedimento e la difesa non sollevi eccezioni, svolgendo poi la 
sua attivit� e le sue conclusioni anche in ordine al processo riunito, � 
da ritenersi che la difesa abbia di fatto accettato la riunione e fatto alla 
stessa acquiescenza. 

Il provvedimento che dispone la riunione dei giudizi non � impugnabile 
sia per il principio della tassativit� delle impugnazioni sia per il contenuto 
ordinatorio che esso assume. 

Qualora, per la sottrazione di spiriti al pagamento dei prescritti 
diritti erariali, venga contestata la violazione dell'art. 107 della legge 
doganale 25 settembre 1940, n. 1424 e non dell'art. 10-del d.l. 30 ottobre 
1952, n. 1322, e, immutato restando il fatto contestato, venga pronunziata 
sentenza di condanna con riferimento all'art. 107, non sussiste violazione 
dell'art. 477 cod. proc. pen. attesa la identit� delle pene previste 
dall'art. 107 e dall'art. 10 (1). 

(1) Correlazione tra sentenza ed accusa contestata. 
Nella fattispecie sottoposta al suo esame il Supremo Collegio ha ritenuto non 
sussistere la violazione dell'art. 477 cod. proc. pen. dedotta dalla difesa degli imputati 
nei motivi di ricorso, sia per la piena identit� tra fatto oggettivamente 
contestato e fatto per il quale � stata emessa la pronunzia di condanna, sia per 



PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 143 

Il riconoscimento del vincolo della continuazione pu� essere richiesto 
per la prima volta in Cassazione solo quando non sia stato possibile 
fare la relativa richiesta nel corso dei giudizi di merito. 

(omissis) La sera dell'8 marzo 1973 una pattuglia della Guardia di 
finanza di Bergamo scopriva in Grumello del Monte un deposito di alcool 
etilico a 96� di illecita provenienza, contenuto in 158 recipienti metallici, 
per l'ammontare complessivo di lt. 31.600, rinvenuti parte in un capannone 
di propriet� di certo Bezzi Giovanni e parte in un camion l� davanti 
parcheggiato, intestato a Girelli Giuseppe. Le persone presenti all'arrivo 
della Guardia di Finanza si davano alla fuga. 

Trovandosi poco discosto il liquorificio Libern gestito da Patelli Ida, 
i militari vi accedevano e fermavano il marito della Patelli, Pievani 
Beniamino, i fratelli di costui, Romano e Giuseppe ed un nipote, certo 
Pedemonti Federico. Il liquodficio era stato gi� oggetto di precedenti 
accertamenti di illiceit� in contrabbando, per cui la Guardia di finanza 
identificava in costoro, che non avevano dato spiegazioni della loro 
presenza ivi a quell'ora, gli autori del contrabbando e, come tali, li denunciavano, 
insieme con le persone innanzi menzionate alla Procura della 
Repubblica di Bergamo. 

Dopo alcuni giorni altro accertamento della Guardia di finanza 
consentiva di stabilire che, nello stesso liquorificio, i germani predetti, per 

essere stata regolarmente contestata la norma incriminatrice violata: l'art. 107 
della legge doganale 25 settembre 1940, n. 1424. 
La decisione della S.C. offre l'occasione per soffermarsi sul delicato problema 
della correlazione fra sentenza e accusa contestata. 

In proposito, la disciplina prevista dal nostro codice di procedura penale � 
la seguente: al giudice � consentito definire in modo diverso il fatto contestato 
nella ordinanza di rinvio a giudizio, nella richiesta o nel decreto di citazione, purch� 
il fatto ritenuto non sia diverso da quello contestato, e purch� non appartenga 
alla competenza di un giudice superiore o speciale: ricorrendo tali condizioni, 
� autorizzato a rettificare il titolo del reato. Se tuttavia risulta dal dibattimento 
che il fatto � diverso da quello contestato, il giudice, fuori dei casi contemplati 
nell'art. 445 cod. proc. pen. (concernente le ipotesi in cui nel dibattimento 
risulti un reato concorrente o la continuazione di reato ovvero una circostanza 
aggravante), � tenuto a disporre la trasmissione degli atti al pubblico 
ministero. 

Sembra opportuno, quindi, richiamare in primo luogo l'esegesi che la giurisprudenza 
offre dei concetti di � fatto contestato � e di � fatto diverso �. 

Con orientamento ormai pacifico e consolidato il Supremo Collegio ritiene 
che per � fatto contestato� deve intendersi non solo quello indicato specificamente 
ma sinteticamente nel capo di imputazione, bens� tutto il complesso degli 
elementi portati a conoscenza dell'imputato e sui quali, quindi, egli � stato posto 
in condizione di difendersi. 

Il fatto, in relazione all'oggetto dell'accusa, non va individuato soltanto con 

riferimento alle contestazioni compiute con gli atti (ordinanza di rinvio a giu� 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

144 

applicare etichette sulle bottiglie di liquore prodotto, adoperavano un 
collante non autorizzato, il Kartex, mentre l'UTI di Bergamo aveva 
disposto l'uso del collante Pecacol. E ci� per un totale di lt. 9482. Venivano 
quindi tutti tratti a giudizio dello stesso Tribunale. 

Il processo veniva rinviato due volte e nell'udienza successiva del 
21 marzo 1977, il tribunale, verificata l'esistenza sul ruolo di altro processo. 
contro i Pievani e la Patelli, li trattava congiuntamente, pervenendo con 
sentenza del 21 marzo 1977 alla affermazione di responsabilit� dei fratelli 
Pievani per contrabbando continuato e, ritenuta la recidiva per il Beniamino 
ed H Romano, infliggeva a costoro pene detentive e pecuniarie e al 
Giuseppe la sola pena pecuniaria. 

Su impugnazione degli stessi, la corte di appello di Brescia, con 
sentenza del 25 maggio 1978, concesse le attenuanti generiche ritenute 

dizio, richiesta o decreto di citazione) indicati nell'art. 477 del codice di rito, ma 
anche a quelle effettuate negli atti di polizia giudiziaria o negli interrogatori, con 
riferimento cio� alla cosiddetta � contestazione sostanziale '" sempre che sia stata 
garantita quella esigenza del diritto di difesa, il quale impone che all'imputato, 
siano rese note tutte le circostanze del fatto storico che gli viene attribuito e dal 
quale deve difendersi (Cass., sez. Il, 3 maggio 1980, n. 5537, in Riv. pen., 1980, 892; 
Cass., sez. I, 28 maggio 1979, rie. Colurcio, in Giust. pen., 1981, III, 23, 43; Cass.� 
sez. V, 15 ottobre 1979, rie. Bonaffini, ibidem; Cass., sez. I, 29 ottobre .1979, rie. 
Bellizzi, ibidem; Cass., sez. Il, 19 aprile 1979, rie. Pernechele, in Giust. pen., III, 
307, 250; Cass., sez. IV, 19 marzo 1979, rie. Baroni, ivi, ,1980, III, 307, 251; Cass., 
sez. I, 19 aprile 1978, rie. Berini; Cass., sez. I, 28 aprile 1978, rie. Maiorino, ivi, 
1979, III, 476, 450; Cass., sez. V, 24 maggio 1977, rie. Pardini, ivi, 1978, III, 321, 251). 

Quando pu� parlarsi di � fatto diverso � da quello contestato con conseguente 
obbligo del giudice di trasmettere gli atti al pubblico ministero? 

Sul punto il Supremo Collegio ha fissato principi ben precisi: non pu� parlarsi 
di diversit� del fatto allorch� in dibattimento siano effettuate mere precisazioni 
o rettifiche di modalit� di esecuzione o emergano elementi secondari o. 
marginali che lascino integro il nucleo essenziale della imputazione e non menomino 
il diritto di difesa dell'imputato (Cass., sez. Il, 6 novembre 1979, rie. Costantini; 
Cass., sez. IV, 26 ottobre 1979, rie. Schonsberg, in Giust. pen., 1981, III,. 
22, 40; Cass., sez. V, 21 marzo 1979, rie. Gilli, ibidem; Cass., sez. Il, 8 giugno 1978, 
ivi, 1980, Ili, 272, rie. Romano). 

In tanto quindi pu� parlarsi di � fatto diverso � in quanto nel corso del dibattimento 
si verifichi un mutamento sostanziale del fatto in relazione all'oggetto 
dell'accusa (da individuarsi, come rilevato, con riferimento alla contestazione� 
sostanziale) e al triplice elemento della condotta, dell'evento e dell'elemento 
psicologico, per cui sul piano contenutistico venga a risultare una diversit� tra 
il fatto quale emerso nel dibattimento e il fatto -da intendersi quale episodio� 
della vita umana -come enunciato nell'ordinanza di rinvio a giudizio, nella 
richiesta o nel decreto di citazione, con la conseguenza che, qualora, emersa tale� 
diversit�, non si rimettessero gli atti al pubblico ministero ne deriverebbe per la 
difesa una oggettiva menomazione (Cass., sez. I, 11 giugno 1980, n. 7364, in Riv. 
pen., 1980, 990; Cass., sez. IV, 24 maggio 1980, n. 6615, ibidem; Cass., sez. Il, 3 mag�gio 
1980, n. 5537, ivi, 892; Cass., sez. I, 22 aprile 1980, n. 5291, ibidem; GALLO, Identit� 
e diversit� del fatto in tema di correlazione tra accusa e sentenza, in Giur. it., 1952,.. 



PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 145 

equivalenti alla recidiva contestata, rideterminava le pene in lire 

150.000.000 di multa per i primi due e in lire 100.000.000 per il terzo, 
ferma restando la condanna al risarcimento dei danni verso l'amministrazione 
delle finanze, costituitasi parte civile, in lire 49.753.125, importo 
dei tributi evasi. 
Hanno proposto ricorso per cassazione tutti e tre gl'imputati. Mentre 
per tutti e tre si deduce una generica insussistenza della responsabilit�, 
il Beniamino propone cinque specifici motivi di ricorso. 

Con il primo lamenta carenza di motivazione in ordine alla loro 
responsabilit�. Secondo il ricorrente il tribunale avrebbe disinvoltamente 
ritenuto calunniosa la dichiarazione del Balini Franco, che si 
era presentato alla Guardia di finanza, assumendo su di s�, anche se con 
ovvi temperamenti, la responsabilit� dei fatti. 

II, 303; BRIGHETTI, Nuove considerazioni critiche sulle modificazioni e sull'ampliamento 
dell'accusa nel giudizio penale, in Riv. pen. 1959, I, 715; De LucA, Considerazioni 
intorno all'art. 477 cod. proc. pen., in Scuola positiva, 1964, 238; 

P. DI TARSIA in nota a sent. Cass., sez. VI, 8 luglio 1969, n. 1637 e Cass., sez. II, 9 dicembre 
1969, n. 1143, in Rass. Avv. Stato, 1970, I, 493 e segg.; G. DoNADIO in nota 
a sent. Cass., sez. VI, 8 luglio 1969, n. 1637, in Rass. Avv. Stato, 1969, I, 1211) 
trovando il principio della relazione fra sentenza e accusa contestata il suo 
fondamento nell'esigenza del diritto di difesa, in quanto tende ad evitare che 
l'imputato �possa essere condannato per un fatto rispetto al quale non abbia 
potuto difendersi. 
Ha precisato ancora il Supremo Collegio che ai fini della applicabilit� della 
disposizione che impone al giudice di trasmettere gli atti al pubblico ministero 
quando risulti che il fatto � diverso da quello contestato, non � necessario che 
gli elementi determinanti la diversit� dall'episodio criminoso emergano per la 
prima volta in sede dibattimentale, ma � sufficiente che egli valorizzi, sub specie 
iuris, anche circostanze gi� note, in virt� del compito che � chiamato ad assolvere. 

La norma, in sostanza, non pone una cos� rigorosa limitazione temporale per 
l'acquisizione del fatto diverso, potendo questo risultare tale non in base ad elementi 
nuovi, ma in base a nuova e pi� approfondita valutazione (Cass., sez. I, 
11 giugno 1980, n. 7364). 

Volendo esemplificare con riferimento ad alcune delle pronunzie pi� recenti 
e significative del Supremo Collegio pu� dirsi che, coerentemente a quanto sopra 
evidenziato, � stato ritenuto che: 

-qualora un elemento normalmente secondario come il tempo o il luogo 
del fatto assurga a dato sostanziale di contestazione, se sia stato del tutto omesso 
nella imputazione o erroneamente indicato negli atti compiuti in presenza dello 
imputato o a lui comunicati, si verificher� la mancata correlazione fra accusa e 
sentenza con conseguente relativa nullit� (Cass., sez. III, 21 gennaio 1980, rie. Labalestra, 
in Giust. pen., ,1981, III, 171, 149; Cass., sez. IV, 18 aprile 1980, rie. Di Stefano, 
in Riv. pen., 1980, 632; Cass., sez. III, 20 aprile 1979, rie. Zampi, in Giust. pen., 
1980, III, 306, 249; Cass., sez. I, 11 aprile 1979, rie. Pernechele; Cass., sez. VI, 14 aprile 
1978, rie. Melli); 

-nei procedimenti per reati colposi l'affermazione di responsabilit� per 
un'ipotesi di colpa non indicata espressamente nel capo di imputazione rientra 
pur sempre nella generica contestazione di colpa, e pertanto lasciando inalterato 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

146 

Con un secondo motivo si deduce che il collante era stato adoperato 
dai fratelli Pievani dopo averne dato notizia alla Amministrazione finanziaria, 
la quale non aveva sollevato alcun rilievo, in situazione di evidente 
incertezza perch� non era stato prescritto alcun collante dagli uffici finanziari 
competenti, per cui avrebbe dovuto in ogni caso ritenersi la buona 
fede degl'imputati. 

Con un terzo motivo la nullit� della riunione dei procedimenti, 
effettuata in concreto senza un formale provvedimento e senza l'audizione 
delle parti come esplicitamente prescrive l'art. 413 cod. proc. pen. 

Con un quarto motivo deduce travisamento del fatto e contraddittoriet� 
della motivazione per avere la sentenza affermato che tra il luogo 
di rinvenimento dell'alcool di contrabbando e il liquorificio vi erano solo 
100 metri di distanza, laddove si tratta di distanza di circa 200 metri 
e nell'avere prosciolto l'imputato Pedemonti ritenendo giustificata la sua 
presenza e non quella di esso ricorrente che era il gestore di fatto del 

il fatto storico, non viola il principio dell'immutabilit� dell'accusa (Cass., sez. V, 
21 febbraio 1979, rie. Miccoli, in Giust. pen., 1980, III, 439, 351; Cass., sez. IV, 

15 febbraio 1979, rie. Bati, in Giust. pen., 1980, III, 307, 252); 

-non si verifica mutamento del fatto nel caso in cui sia ritenuta in sentenza, 
anzich� la formazione materiale di una scrittura falsa, contestata con il 
mandato di comparizione, l'istigazione a formarla (Cass., sez. V, 1� marzo 1979, 
rie. Scarcinella); 

-non sussiste violazione dell'art. 477 cod. proc. pen. nel passaggio dall'accusa 
contestata di falsit� materiale in atto pubblico (art. 476, primo comma, cod. pen.) 
alla condanna per l'ipotesi pi� grave di falso materiale in atto pubblico facente 
fede fino a querela di falso (art. 476, secondo comma, cod. pen.) (Cass., sez VI, 
25 novembre 1974, rie. Biagini); 

-non esiste immutazione del fatto nel caso in cui il giudice ritenga sussi


stente l'ipotesi del reato di corruzione invece di quello di concussione (Cass., 

sez. VI, 13 giugno 1979, rie. Carriero, in Giust. pen., III, 440, 352); 

-l'art. 589, terzo comma, cod. pen., disciplina una ipotesi di plurime viola� 

zioni di legge (morte di pi� persone ovvero morte di una o pi� persone e 

lesioni di una o pi� persone) unificate soltanto quoad poenam. Pertanto, qualora 

in caso di morte di una persona e lesioni riportate da altri sia stata richiamata 

nel capo di imputazione la sola disposizione sopra citata, non si ha difetto di 

contestazione per l'omessa indicazione della violazione dell'art. 590 cod. pen. 

(Cass., sez. VI, 25 maggio 1979, rie. Nanni, in Giust. pen., 1981, III, 23, 42); 

-in tema di sequestro di persona si � giudicata irrilevante ai fini della corre


lazione fra accusa e sentenza l'omessa specificazione nella imputazione della 

circostanza della consegna da parte del prevenuto della sua autovettura ai 

rapitori, rilevandosi che in relazione a tale circostanza vi era stata piena espli


cazione del diritto di difesa in seCie di interrogatorio ed affermandosi che, in 

ogni caso, la contestazione formale dell'accusa era stata integrata dal suddetto 

interrogatorio compiuto nel rispetto di tutte le norme relative alle garanzie 

difensive (Cass., sez. I, 22 aprile 1980, n. 5291, in Riv. pen., 1980, 892); 

-non pu� ritenersi violato il principio della correlazione fra la sentenza 

e l'accusa contestata quando il reato non sia stato modificato nei suoi elementi 

essenziali, come � nel caso in cui l'imputato di un reato quale autore diretto 



PARTE I, SBZ. VIIl, GIURISPRUDENZA PENALB 147 

liquorificio intestato alla moglie. Inoltre il rintraccio di un'etichetta della 
ditta Libero nel capannone poteva essere dovuta all'uso in loco di una 
bottiglia legittimamente confezion�ta. 

Con un quinto motivo deduce che non potevano essere essi condannati 
anche al pagamento dei diritti erariali, non essendo stata contestata 
nel decreto di citazione la norma di cui all'art. 10 del d.l. 30 ottobre 
1952 convertito nella legge 20 dicembre 1952, n. 2384, che � norma 
perfetta, indicante sia �I precetto che la sanzione. 

Con motivi aggiunti, presentati il 2 maggio 1980, si chiede nullarsi la 
sentenza per violazione dell'art. 81 cod. pen. 

Si fa rilevare che, con decisione di questa corte suprema del 16 marzo 
1979 era passato in giudicato altro procedimento per �ontrabbando di 
alcool contro i fratelli Pievani e la Patelli conclusosi con la condanna 
degli imputati ad un miliardo di multa. 

Il relativo motivo non aveva potuto essere proposto n� in sede di 
appello, n� con la presentazione dei motivi di ricorso non essendosi 
anc�ra verificato il giudicato della precedente sentenza. Essa � relativa 
a fatti commessi nell'agostO 1971. 

del fatto sia stato condannato per essersi servito di altri per la realizzazione 

del fatto medesimo (Cass., sez. III, 4 aprile 1980, n. 4610, in Riv. pen., 1980, 782); 

-l'ordinanza con la quale il giudice di primo grado dispone la trasmissione 
degli atti al pubblico ministero ex art. 477 cod. proc. pen. � inoppugnabile a 
meno che non si risolva in un provvedimento abnorme (Cass., sez. II, 13 ottobre 
1979, rie. Bella), cos� come � inoppugnabile il capo della sentenza che disponga 
la trasmissione degli atti al P.M. per l'esercizio dell'azione penale relativamente 
ad una determinata ipotesi criminosa, potendo l'imputato esperire ogni suo 
diritto di difesa nel tempo e nella sede opportuna (Cass., sez. III, 24 ottobre 1979, 
in Riv. pen., 1980, 229); 

-non viola il principio della relazione tra la sentenza e l'accusa l'immuta


zione della qualificazione giuridica del fatto dall'art. 71 all'art. 72 della legge 

22 dicembre 1975, n. 685 (Cass., sez. I, 6 agosto 1979, n. 7231, in Riv. pen., 1980, 189); 

-non viola il principio della correlazione fra la sentenza e l'accusa conte


stata il giudice che condanna per colpa comune l'imputato al quale era stata 

contestata l'accusa per inosservanza di una norma regolamentare (Cass., sez. V, 

5 ottobre 1979, n. 7844, in Riv. pen., 1980, 189); 

-non � ravvisabile la violazione dell'art. 477 cod. proc. pen. quando, essendo 

stata contestata la cooperazione colposa nella produzione di un evento, sia poi 

ritenuta la sussistenza di un concorso di cause autonome (Cass., sez. IV, 24 mag


gio 1980, n. 6615, in Riv. pen., 1980, 990); 

-quando in dibattimento il fatto risulta diverso da quello contestato, il 

giudice di appello deve annullare la sentenza di primo grado e trasmettere gli 

atti al P.M. affinch� l'azione penale sia iniziata ex novo per il reato configurabile 

nel fatto diverso. N�, in tal caso, pu� venire in considerazione il divieto della 

reformatio in peius, quando appellante sia il solo imputato, perch�, mutando 

il fatto, il giudice di appello deve astenersi dal giudizio e trasmettere gli atti 

al P.M., e l'eventuale peggioramento della posizione dell'imputato, unico appel


lante, � conseguenza diretta del nuovo giudizio che verr� instaurato. Nella 

li 



148 .. RASSEG.'l!A DELL'AVVOCATURA l>EU:.O STATO' i 

~OTIVI DELLA DECISIONE 

Occorre esaminare preliminarmente i motivi di ordine processuale, 
il secondo dei quali � stato gi� illustrato nei motivi di appello. 

La riunione dei procedimenti � atto ordinatorio che pu� ess.ere disposto 
discrezionalmente dal giudice del dibattimento ogni volta .che se ne 
ravvisi l'opportunit� per ragioni di connessione nori solo oggettiva, ma 
anche soggettiva. Sicch� nel merito non vi pu� essere alcun rilievQ .. sulla 
opportunit� di un siffatto provvedimento. 

Si sostiene per� dal ricorrente la irregolarit� del procedimento per 
non essere state sentite le parti prima della concreta riunione degli !ltessi 
non disposta con fonnale ordinanza. 

~ vero che l'art. 413 prescrive che le parti debbano essere sentite. 
previamente e non vi � dubbio che sarebbe colpito da nullit� il provve


specie vi era stata condanna in primo grado per il delitto di lesioni persomili e. 
la sentenza era stata impugnata dal solo hriputatp; senonch� nelle more del 
giudizio di appello il ferito era deceduto in conseguenza del fatto inizialmente 
contestato (Cass., sez. I, 28 luglio 1980, rie. Pagano, in Riv. pen., 1980, 799); 

-non si ha mutamento del fatto, ai sensi dell'art. 477, comma secondo, 
�od. p,i:oc. pen. allorquando,. contestato il delitto di peculato o concussione, il 
giudiCe .1-:itenga msentenza, in difetto di appropriazione o distrazione di pub-� 
blico denaro o di costrizione o induzione del privato a dare o promettere qualche 
utiljt�,,. il. reato di interesse privato in. atti di ufficiq. Infatti, ques.to ultimo � un 
r~to siissid�ario che ricorre quai:\(\~ la violazione dei doveri di. ufficio non costi�: 
t�isce iina sp�cifica ipotesi crmtlnosa (Cass., sez. VI, 16 aprile 1980, n. 4907, in: 
Riv. peri., 1980, 892); 

-ove all'imputato sia stato wntestato il reato di truffa commesso ai danni 
di un ente p�bblico rivestendo la, qt;\alit� di pubblico ufficiale, non viola il' 
principio della correlazione tra accusa e sentenza il giudice che pronunci condanna 
per il delitto di peculato, trattandosi di una tipica ipotesi di mutamento del 
titolo del reato che resta invaril.\tO negli estremi essenziali del fatto, , gia�ch� il 
peculato non � altro che una appropriazione indebita qualificata, che ben pu� 
essere ritent;tta, senza violare il predetto principio, rispetto alla contestazione 
della truffa i. quanto fattispecie in rapporto di minus. ad maius: identica ratio 
sussiste in quello tra peculato e truffa aggravata dalle indicate circostanze 
(Cass., sez. I, 27 giugno 1978, imp. Picciotti; in .Giust. pen., 1979, 11, 681). 

Nel progetto di codice di procedura penale elaborato dalla com:inissione 
ministeriale nominata con d.m. 18 settembre 1974 e presieduta dal prof. Gian 
Domenico Pisapia (ed. Istituto Poligrafico. dello Stato, 1978), la disciplina 
dell'istituto della correlazione fra sentenza e� .accusa: contestata presenta alcune 
innovazioni. 

Ferma restando la distinzione tra �fatto [...] diverso da come [ ...]descritto� 
nell'ordinanza di giudizio immediato o di rinvio a� giudizio �. e �fatto nuovo 
non enunciato nell'ordinanza di giudizio immediato o di rinvio a giudizio '" le 
novit� degne di rilievo appaiono le seguenti: . ' 

1) qualora nel corso del dibattimento il fatto venga a risultare diverso 
da come descritto nell'ordinanza di giudizio immediato o di rinvio a giudizio, 



PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 149 

di:tnento che fosse preso di iniziativa del giudice senza il contraddittorio 
dovuto, ma � evidente del pari che nel processo dinanzi al tribunale le 
parti accettarono di fatto la riunione, senza sollevare alcuna eccezione. 
Non solo, ma la difesa e l'accusa espressero le loro conclusioni e la 
difesa svolse tutta quanta l� sua attivit� anche in or:dine al processo 
informalmente riunito; c�me � agevole riscontrare in ogni parte degli atti 
del dibattimento a 'partire d�lla �contestazione delle imputazioni e dall'interrogatorio 
degl'imputati. Ci� tanto pi� che la riunione si risolse, 
c.ome era ovvio sin dall'inizio, a favore degli imputati, ai quali fu ricono


sciuta la continuazione tra� i fatti predetti, � con una sensibile diminu_
zione della pena che avrebbero potuto riportare se i procedimenti non 
fossero stati riuniti. 

Sicch� quel consenso inizi�le che non vi era stato si � tradotto in una 
form�le e sostanziale acquiescenza da parte-della difesa, preserite al 
processo senza eccepire �lcunch�. Va infine ricordato che trattasi;� contra-

il presidente (o il pretore nell'ipotesi di giudizio pretorile), purch��-1a-cognizio-ne 
non appartenga a un giudice di competenza superiore o speciale, procede, a 
richiesta del pubblico ministero, alla relativa contestazione; 

2) qualora nel corso del dibattimento emerga a carico dell'imputato un 
� fatto nuovo � non enunciato nella ordinanza di giudizio immediato o di rinvio 
a giudizio, per il 'q.ale si debba proced�re di ufficio e non si tratti di reato 
'concorrente a norma del primo comma dell'art. 81 del todice penale, il sec~ndo 
~onixna dell;art. 491' del progetto cori.sente al ptes�d�nte (o al pretore), qualora 
il pubblico ministero�ne facci.a richiesta e vi sia �:consenso dell'imputato presente, 
alla� �mn:i.ediata contestazion�, salvo il diritto dell'imputato di richiedere un 

terr�line a difesa; ' ' . 

3) quando il� pubblico ministero chiede che siano contestati all'imputato 
contumace o assente un reato concorrente a norma dei primo comn�a dell'art. 81 
del codice penale ovvero una circostanza aggravante o il fatto risultato diverso 
da come descritto nell'ordinanza di giudizio immediato o �di rinvio a giudizio, 
il presidente (o il pretore) provvede alla contestazione disponendo che all'imputato 
sia notificato l'estratto del verbale del dibattimento da 'cui risultano la 
richiesta del pubblico ministero ed il provvedimento� emesso in udienza.� 

Nel progetto la normativa dell'istituto in esame � contenuta negli articoli 
dal 489 al 494 del capo IV (�Nuove contestazioni�), -titolo II, del libro VIU. 
Essi dispongono: 

art. 489 (diversit� del fatto risultante dal dibattimento). 

Se -nel corso del dibattimento il fatto risulta diverso da come � descritto 
nell'ordinanza� di giudizio immediato o di rinvio a giudizio, il presidente, purch� 
la� cognizione non appartenga a un giudice di competenza superiore o speciale., 
procede, a richiesta del pubblico ministero, alla refativa contestazione. � 

art. �490 (reato concorrente e circostanze. aggravanti risultanti dal dibattimento). 

Qualora nel corso del dibattimento emerga un reato concorrente a norma 
del primo comma dell'art. 81 del codice penale ovvero una circostanza aggra" 
vante e non ve ne sia menzione nell'ordinanza di giudizio immediato o di rinvio 
a giudizio, il presidente, a richiesta del pubblico ministero, contesta. il rea-to 



150 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

riamente a quanto assume la difesa, di provvedimento non ricorribile, 
sia per il principio della tassativit� delle impugnazioni, sia per il 
contenuto ordinatorio che esso assume, diretto alla sollecita definizione 
dei processi ed alla economia dei giudizi. 

Infondato � anche il secondo motivo di ricorso con il quale si eccepisce 
la violazione dell'art. 477 cod. proc. pen. L'art. 10 della legge n. 1322 
del 1952 (che peraltro non risulta richiamato) si colloca come norma di 
applicazione di tipo sanzionatorio, rispetto a fattispecie gi� esistenti, 
tanto che, a leggerla attentamente, si comprende come essa sia stata posta 
per fissare le conseguenze ulteriori ed imprescindibili della affermazione 
di responsabilit�, sia dal punto di vista pi� strettamente penalistico, 
quali la sanzione e la confisca, sia dal punto di vista patrimoniale, come 
recupero maggiorato dei diritti erariali evasi. 

E non � possibile parlare di violazione dell'art. 477 cod. proc. pen., 
sia perch� risulta contestata regolarmente la norma incriminatrice violata, 
l'art. 107 della legge doganale, sia perch� l'art. 10 della legge n. 1322, 

o la circostanza all'imputato, purch� la cognizione non appartenga a un giudice 
di competenza superiore o speciale. 
art. 491 (fatto nuovo risultante dal dibattimento). 

Fuori dei casi previsti dagli articoli precedenti il pubblico ministero 
procede nelle forme ordinarie se nel corso del dibattimento risulta.. a carico 
dell'imputato un fatto nuovo non enunciato nell'ordinanza di giudizio� immediato 
o di rinvio a giudizio e per il quale si debba procedere di ufficio. 

Tuttavia, qu�lora il pubblico ministero ne faccia richiesta, il presidente, se 
v� � consenso dell'imputato presente e non ne deriva pregiudizio per la speditezza 
dei procedimenti, provvede a norma degli artt. 490 e 492. 

art. 492 (diritti delle parti). 

Fuori del caso in cui la contestazione prevista dagli articoli precedenti abbia 
per oggetto la recidiva, il presidente informa l'imputato che pu� chiedere un 
termine a difesa. 

Se l'imputato ne fa richiesta, il presidente sospende il dibattimento per 
un tempo inferiore a cinque giorni. 
Nei casi previsti negli articoli precedenti, il presidente dispone la citazione 
della persona offesa osservando un termine non inferiore a cinque giorni. 

art. 493 (nuove contestazioni all'imputato contumace o assente). 

Quando il pubblico ministero chiede che siano contestati all'imputato contumace 
o assente fatti o circostanze indicati negli artt. 489 e 490, il presidente 
provvede alla contestazione disponendo che all'imputato sia notificato l'estratto 
del verbale del dibattimento da cui risultano la richiesta del pubblico ministero 
ed il provvedimento in udienza. 

In tal caso il presidente sospende il dibattimento e fissa una nuova udienza 
per la prosecuzione, osservando i termini indicati nell'articolo precedente. 

art. 494 (nullit� della sentenza per difetto di contestazione). 

L'inosservanza delle disposizioni previste in questo capo � causa di nullit� 
della sentenza. 



PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

151 

tra l'altro, ripete pedissequamente la sanzione contenuta gi� nell'art. 107 
della legge doganale. L'espressione �dal doppio al decuplo dei diritti 
evasi � � equivalente a quella � non minore di due e non maggiore di 
dieci volte � della legge doganale. Sicch�, anche senza far riferimento 
alla nuova legge del 1952, le sanzioni sarebbero state le medesime. 

Va aggiunto inoltre che, anche senza la contestazione della norma 
sanzionatoria, non vi sarebbe violazione dell'art. 477, essendo necessaria 
e sufficiente la contestazione dell'addebito, del fatto costituente reato, 
per porre in grado la difesa di esercitare compiutamente il suo mandato. 

Ci� che interessa ai fini della contestazione � la descrizione concreta 
del fatto ipotizzato come reato dal legislatore, non delle conseguenze 
penali, che sono ricavabili dalla stessa legge una volta che sia stata 
verificata la corrispondenza del fatto incriminato alla ipotesi legale 
contestata regolarmente all'imputato. Ci si difende invero dall'accusa di 
avere commesso un determinato fatto e dalla sua descrizione giuridica, 

La sentenza di condanna pronunciata per un fatto nuovo, per un reato 
concorrente o per una circostanza aggravante senza che siano state osservate le 
disposizioni degli articoli precedenti � nulla soltanto nella parte relativa al 
fatto nuovo, al reato concorrente e alla circostanza aggravante. 

Sull'argomento nella relazione della commissione al progetto si legge: 
� Da un lato, si � tenuto conto della esigenza di accentuare il divieto di 
retrocessione del processo a fasi o stati antecedenti, secondo una linea di tendenza 
gi� affermatasi sotto il codice vigente e resa ancor pi� attuale dal nuovo 
valore attribuito dalla legge delega al passaggio dalle fasi precedenti del processo 
a quella del dibattimento. g stata cos� -entro i limiti che saranno chiariti 
pi� avanti -inserita, tra le ipotesi di contestazione dibattimentale, anche quella 
del fatto diverso, che nel codice vigente � disciplinata nel capoverso dell'art. 
477 �. 
�Dall'altro lato, si � 'tenuto conto della esigenza, ugualmente avvertita, di 
non appesantire l'indagine dibattimentale con l'introduzione. di nuovi temi di 
decisione accanto a quelli pervenuti attraverso le vie ordinarie. se non quando 
ci� risultasse indispensabile per la inscindibilit� delle questioni o comunque 
-senza pregiudizio per la difesa -vantaggioso per l'economia processuale. In 
questa prospettiva vanno lette le norme che disciplinano la contestazione del 
reato concorrente nel cui ambito una collocazione nuova � stata anche assegnata 
al reato continuato, per la diversa configurazione data a tale istituto con la 
legge n. 220 del 7 giugno 1974 "� 
� Si � tenuto conto, infine, della necessit� di assicurare spazio adeguato 
all'intervento della difesa, seguendo le direttive indicate dalla Corte costituzionale 
con la sentenza n. 11 del 29 gennaio 1971 e della opportunit� di dare una 
.esplicita regolamentazione all'ipotesi della contestazione all'imputato contumace 

o assente, in ordine alla quale, come � noto, sono state prospettate in dottrina e 
in giurisprudenza soluzioni contrastanti�. 
� Nell'art. 489 si prevede l'ipotesi in cui nel corso del dibattimento il fatto 
risulti diverso da come descritto nell'ordinanza di giudizio immediato o di rinvio 
a giudizio e se ne disciplina la contestazione da parte del presidente su richiesta 
del pubblico ministero �. � 



152 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELW STATO 

non dalle sue conseguenze, che non costituiscono materia imprescindibile 
della contestazione, sicch� non vi sarebbe in ogni caso 'nullit�. La 
nullit� desumibile dall'�rt. 412 segnala l'ipotesi dell'incertezza del titolo di 
reato contestato, non delle conseguenze sanzionatorie di esso, tant'� che 
anche ai sensi dell'art. 477 � consentito perfino dare una definizione 
giuridica pi� grave di quella ipotizzata, immutabile dovendo essere 
esclusivamente la descrizione del fatto oggettivamente contestato. 

Superate quindi le eccezioni di car�ttere processuale proposte con 

il-terzo ed �il quinto motivo di ricorso, pu� passarsi all'esame dei motivi 
che attengono alla motivazione della sentenza. Al riguardo non si riscontrano 
le lamentate carenze di motivazione della sentenza impugnata. 
I giudici di merito hanno infatti, con ragionamento immune da vizi 
logici e giuridici, indicato le ragioni per le quali non era credibile in 
alcun modo l'assunto del Bellini e comunque chiarito come in' ogni caso 
non potesse essere esclusa la disponibilit� del capannone da parte dei 
fratelli Pievani. 

� La n�rma riflette una scelta raggiunta non senza dissensi in seno alla 
Commissione, parte della quale si � espressa per �il mantenimento della disciplina 
vigente, cos� come suggerito anche dalla Coi:nmissione consultiva, . secondo 
cui in caso di diversit� del fatto gli atti vanno restituiti al pubblico ministero 
perch� proceda con le forme ordinarie (art. 477, secondo comma, del codice 
vigente). A fondamento di questa tesi � stato soprattutto posto in rilievo il 
particolare valore che assume nella struttura del nuovo processo, tutto imperniato 
sul dibattimento; la preventiva precisazione della imputazione e la sua 
stabilit�. � sembrata, tuttavia, prevalente la considerazione che un ritorno del 
processo� alle � fasi anteriori nessun vantaggio avrebbe apportato n� ai fini 
dell'accertamento n� .ai fini della garanzia difensiva, attese le possibilit� limitatissime 
di acquisire materiale probatorio prima del dibattimento e la possibilit� 
di assicurare in questa fase un concreto intervento della difesa "� 

�La nuova disciplina non si riferisce, ovviamente, a quelle ipot�si di diversit� 
assoluta del fatto, nelle quali� si � in presenza di un " altro fatto " e non di 
uh " fatto diverso" in alcuno dei suoi elementi. Comunque, per eliminare incertezze 
al riguardo � stata adottata una form�la meno lata �di quella contenuta 
nell'art. 477: con la locuzione "fatto diverso da come descritto" si � inteso 
appunto porre l'accento sulla necessit�, per l'applicazi�ne della norma, che il 
fatto originariamente contestato all'imputato, in �seguito al dibattimento, resti 
inalterato. nel suo nucleo essenziale. Tale formulazione � stata, sia pure 
a maggioranza dei componenti della Coi:nmissione, ritenuta idonea a sup�rare le 
difficolt� logiche di una precisa distinzione tra le varie ipotesi di diversit� del 
fatto, sottolineate dalla Commissione consultiva"� 

� Con l'art. 490, corrispondente al vigente art. 445, si � inteso risolvere in 
senso restrittivo il contrasto affiorato in dottrina ed in giurisprudenza sulla 
interpretazione della formula vigente che si riferisce genericamente al reato 
concorrente. Si � esplicitamente limitata, infatti, la contestazione dibattimentale 
al solo caso del concorso formale. La disciplina � rimasta nella restante parte 
inalterata, con la sola esclusione della continuazione di reato, assimilata al 
concorso materiale, in considerazione della diversa fisionomia assunta dall'istituto 
con la legge n. 220 del 1974, richiamata in premessa '" 

I 

I 


PARTE I, SBZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 15'3 

Per quanto attiene all'uso di un collante non autorizzato, la critica 
mossa alla sentenza impugnata non ha fondamento perch� si muove dal 
presupposto che l'amministrazione �finanziaria non avesse prescritto l'uso 
di alcun collante, circostanza che la sentenza dimostra come non vera, 
facendo riferimento a precise istruzioni degli uffici finanziari e alla prescrizione 
di un collante, il Pecacol, al quale si � gi~ accenn�to in narrativa. 
Ngn costitaj$�e poi; travisamento del fatto l'avere� i giudici in sentenza 
detto che il �apannone distava dallo stabilimento 100 metri, mentre si 
assume trattarsi di . duecento metri. Ci� perch�, a prescindere da ogrii 
accertamento sulla reale misura, nella sentenza si parla di distanza in 
linea d'aria;. che � cosa . ovviamente non solo. ben diversa, ma. anche 
collhn.ante con le affep:nazioni contenute in sentenza.. N� � smontabile 
l'affermazione che .nessuno. poteva sfuggire dalla zona �con il rilievo che 
a,~c.ne persone fuggirono all'a.tt9 dell'intervento della Guardia di finanza, 
perch�, la tesi dell'accusa ..� p.�oprio che le persone fuggite trovarono 
ricetto nello stabilimento per liquori, di fatto condotto dal Pievani 
:Qeniamino. 

;'�l'art. 491 ~nsta di due distinti commi; nel primo, � sta~a, ripro,dotta la 
formula dell'art. 444 codice vigente, secondo cui quando risulta nel dibattimento 
un nuovo fatto preveduto dalla legge come reato il pubblico ministero procede 
nelle forme ordinarie. A questa, che costituisce la regola generare; sono �sfate 
introdotte due eccezioni: una riguarda il caso in cui il nuovo fatto configuri una. 
it)otesi di concorso formale, al quale � riservata apposita disciplina con l'articolo. 
precedente; l'altra eccezione, disciplinata nel secondo comma, concerne la possibilit� 
della� contestazione dibattimentale anche in �aso di concorso materiale di 
reati, purch�, oltre alla richiesta del pubblico ministero, vi sia il consen5o 
dell'imputato e l'assenza di un pregiudizio alla speditezza del procedimento "� 

Tprnando alla sentenza che si annota, il Supremo Collegio afferma essere' 
stata, nella fattispecie, esattamente contestata la norma incriminatrice. 

Siffatta affermazione, se, come appresso si dir�, . in considerazione del 
risultato pratico, non� pu� che essere condivisa, suscita qualche perplessit� se 
considerata su un piano di assoluta ortodossia di riferimento normativo. 

Vero � infatti che, come accennato, secondo il principio informatore della 
contestazione dell'accusa� si .deve avere riguardo alla specificazione del" �fatto 
co.n:tenuta nel capo di imputazione e a tutto il complesso degli elementi portati 
a C()I).Oscenza dall'imputato pi� che alla enunciazione deUe norme legislative che 
si assumono violate, per cui l'omessa o erronea indicazione di tali norme non 
produce nullit� del decreto di citazione quando il fatto sia stato contestato nel 
suo esatto contenuto materiale in modo che su di esso e. sulle sue caratteristiche 
non possa essere insorto equivoco (Cass., sez. V, 12 giugno 1979, rie.� Garau in 
Giust. pen., 1980, III, 431, 318; Cass., sez. IV, 24 maggio '1978, rie. Gualezzi ivi, 
1979, III, 459, 394; Cass., sez. III, 26 ottobre 1976, rie. Tombacco; Cass., sez. VI, 
1� dicembre 1975, n. 2117). 

Per�~ su un piano di rigore formale e .di stretta aderenza ad una ricerca 

normaliva �specifica�. per la fattispecie, deve osservarsi che la contestazione, 

quale norma incriminatrice, dell'art. 107 della legge doganale -del 1940 non� ap


pare . del tutto esatta sia perch� tale norma contempla una figura di delitta 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

154 

Che poi tra costoro vi fosse anche il Pedemonti, assolto per insufficienza 
di prove dal tribunale, � cosa che non rileva n� sotto il profilo 
processuale, n� sotto quella della contraddizione. La sentenza di appello 
(non va dimenticato che la sentenza non era stata impugnata dal P.M.) 
d� atto dell'impossibilit� di pervenire alla assoluzione con formula ampia 
di costui, sottolineando gli elementi di accusa assai rilevanti, per effetto 
dei quali il giudizio della Corte di appello appare assai severo.-Da tale 
discorso non si pu� desumere alcun serio elemento che possa portare 
al proscioglimento del Pievani, sicch� sul piano logico il relativo discorso 
non pu� essere opposto in questa sede. 

Tutto ci� senza considerare che le censure mosse alla sentenza 
impugnata rimangono per buona parte allo stadio di apprezzamento della 
prova (cos� dicasi per il rintraccio dell'etichetta, ben diversamente e 
sagacemente valutato in sentenza) e non sono ammissibili in questa sede 
di legittimit�, per cui � discutibile addirittura la proponibilit� delle 
stesse. 

Per questo e per altre ragioni innanzi esposte, il ricorso deve ritenersi 
infondato e va rigettato. 
Rimane da ultimo la questione della continuazione proposta con i 
motivi aggiunti. 

di contrabbando doganale a condotta libera avente per elemento materiale la 
sottrazione della merce estera al sistema di controllo istituito per l'accerta� 
mento dei diritti di confine, sia perch� all'epoca del fatto contestato (8 marzo 
1973) non era pi� vigente essendo entrato in vigore il testo unico delle disposizioni 
legislative in materia doganale approvato con d.P.R. 23 gennaio 1973, 

n. 43, sia perch� in materia di sottrazione di spiriti al pagamento dei diritti 
erariali previsti, andava tenuta presente la disposizione contenuta nell'art. 10 
del dl. 30 ottobre 1952, n. 1322 (vigilanza sulla produzione e sul commercio 
delle materie prime alcooligene e modifica di alcune disposizioni sulla produ� 
zione dei liquori) convertito con modifiche nella legge 20 dicembre 1952, n. 2384. 
Comunque, in considerazione del risultato pratico sotto il profilo delle conseguenze 
del fatto criminoso contestato, cui conducono le norme indicate per 
la identit� delle previsioni sanzionatorie, pu� convenirsi con la S.C. circa l'insussistenza 
di violazione dell'art. 477 cod. proc. pen., atteso che, come osserva 
la stessa Corte � ci si difende dall'accusa di avere commesso un determinato 
fatto e dalla sua descrizione giuridica, non dalle sue conseguenze, che non costituiscono 
materia imprescindibile della contestazione �. 

Circa le conseguenze sanzionatorie sussiste effettivamente identit� delle 
pene e delle misure di sicurezza patrimoniali previste .negli artt.-107 e segg. legge 
doganale del 1940, negli artt. 292 e segg. del t.u. delle disposizioni doganali del 
1973 e nell'art. 10 del d.I. 30 ottobre 1952, n. 1322 (l'espressione � dal doppio 
al decuplo dei diritti evasi� equivale a quella �non minore di due e non maggiore 
di dieci volte�, e sia la violazione dell'art. 107 (ora 292) che quella dell'art. 
10 comportano sia la confisca della merce sequestrata e dei mezzi adoperati 
per porre in essere o tentare di porre in essere la sottrazione delle 
stesse al pagamento dei prescritti diritti erariali, salvo il caso della loro appar




PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 155 

Al riguardo deve essere osservato che, come hanno ritenuto le 
sezioni unite di questa suprema corte, non � possibile addurre in sede 
di legittimit� la continuazione quando essa era allegabile in sede di 
merito. 

Ferma questa premessa, deve rilevarsi che le sentenze dei due gradi 
di giudizio relativi al presente procedimento e a quello in ordine al quale 
si vorrebbe applicata la continuazione sono in sostanza pressoch� coeve. 
Quella del tribunale di Bergamo sono rispettivamente del 21 marzo e 
del 22 aprile 1977, quelle della corte di appello di Brescia rispettivamente 
del 31 marzo e del 25 maggio 1978, sicch� i processi sono stati svolti nella 
stessa fase e per congrui periodi di tempo. 

Ci� non senza considerare che � lo stesso ricorrente a far presente 
che, dinanzi al Tribunale e prima della riunione contestata il presente 
procedimento era di fatto riunito ad altro processo. 

Ultimo e definitivo argomento la distanza di tempo notevole tra i 
due fatti che, almeno in via preliminare, rende assai problematica l'esistenza 
dei presupposti della continuazione. 

I ricorsi vanno pertanto rigettati con le conseguenze di legge anche 
civilistiche. (omissis) 

tenenza a persone estranee al reato, che l'obbligo del pagamento dei tributi 
evasi). Inoltre, sia il t.u. del 1973 (come la legge doganale del 1940) sia l'art. 10 
del d.l. 30 ottobre 1952, n. 1322, 'stabiliscono l'equiparazione del contrabbando 
tentato a quello consumato. 

Non si pu� infine condividere l'affermazione della S.C. secondo cui l'art. 10 
citato si pone come norma di tipo esclusivamente sanzionatorio. 

L'art. 10 � del seguente tenore: � Chiunque sottrae o tenta di sottrarre con 
qualunque mezzo lo spirito al pagamento dei prescritti diritti erariali � punito 
con la multa dal doppio al decuplo dell'importo dei diritti dovuti. 

� Lo spirito sottratto o che si tenti di sottrarre e i mezzi adoperati per 
commettere la frode sono soggetti a confisca, a termini della legge doganale e in 
deroga alle disposizioni dell'art. 240 del codice penale�. 

1'. di tutta evidenza quindi che non ci troviamo di fronte ad una norma 
imperfetta, ma ad una vera e propria norma incriminatrice, ad una norma cio� 
che col vietare un'azione, con la minaccia della pena, � incrimina � tale azione, 
conferendole il carattere di reato, con le relative conseguenze giuridiche. Si 
tratta altres� di una norma che si innesta in un contesto di natura specializzante, 
da ritenersi rimasto in vigore dopo l'approvazione del t.u. n. 43 del 1973. 

(2) Il S.C., a Sezioni Unite, con la decisione 18 giugno 1979, n. 5519, oltre 
al principio enunciato nella massima, ha anche affermato che la richiesta di 
applicazione in sede di legittimit� della continuazione implica l'onere dell'imputato 
di allegare gli elementi soggettivi ed oggettivi che consentano di stabilire 
la sussistenza o meno della unicit� del disegno criminoso. 
NICOLA BRUNI 

12 



PARTE SECONDA 



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LEGISLAZIONE 


I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI 

Codice civile, art. 314/17, primo comma, nella parte in cui anche quando 
l'adozione ordin�ria � prommdata da giudice diverso da quello competente 
per l'adozione speciale, dispone che lo stato di adottabilit� cessa per adozione 
ordinaria. . . .. ., 

Sentenza lQ.febbraio 1981, n. )l; G. U. 13 febbraio -1981, I).. 44. 

.. d.l. 27 giugno 1967, n. 4~0, art. 5 [co11y. ~ legge: 2~ luglio 1967,,.n; ~28]. 

Sentenza n. 4 d�l 28 �gennaio 1981; G. U: 4 febbraio �1981, n~ 34. 

legge reg. toscana 4 luglio 1974, n. 35, art. 51, quarto comma, nella parte 
i. cui demanda alle amministrazioni .comunali l'esercizio. del .potere di ritiro 
d�ila licenza di cacda. . . . .. 

Sentenza 10 febbraio 1981,, .n. 14. �' 

legge reg. toscana 5 settemqre�l978, n. 60, nella parte in .cui, sostituendo il 
quarto comma dell;art. 51 della l�gge regionale ri. 35 del 1974, d�manda alle -amministrazioni 
comunali l'eserciziCJ del potere di ritiro della licenza di caccia; � 

Sentenza 10 febbraio 1981, n. 14, G. U. 13 febbraio 1981, n. 44. 

~-~-~--~-'' ~-. 

II -QUESTIONI NON FONDATE 

Codice civile, art. 2948, n. 4 (art. 136 della Costituzione). 

Sentenza 10 febbraio 1981,-n: �1'3'; �: U. i3 febbraio 1981, n. 13. 

codice penale, art. 372 (ar.t.� 21 della: .Costituzione). ". 

Sentenz~ 28 gennaio 198:1, re 1 G. U � .4 febbraio.. 1981, .n.. 34. 

codice penale art. 684 (artt. 3 e 21 della Costituzione). 

Sentenza 10 febbraio 1981, m 16, G. U.' 1J febbr�io 1981, n. 44. 

codice penale art. 684 (artt. 3 e 21 della �ostittizione). � 

Sentenza 10 febbraio 1981, n. 18, G. U. 13 febbraio 19~'1. n. 44. 

��codice di pr�cedura penale� art. 164� (�ttt. 3 e � 21 della Costituzione):� 

� Sentenza 10 febbraio 1981, ri. 18, G. U. 13 febbtaio '1981, n. 44. 

codice di procedura penale, art. 164, n. 3 (artt. 3 e 21 della Costituzione). 

Sentenza 10 febbraio 1981, n. 16, G. U. 13 febbraio 1981, n. 44. 

codice di procedura penale, artt. 348, comma secondo, e 351 (art. 21 della 
Costituzione). 

Sentenza 28 gennaio 1981, n. 1, G. U. 4 febbraio 1981, n. 34. 



2 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

codice di procedura penale, art. 351 (artt. 3 e 21 della Costituzione). 

Sentenza 28 gennaio 1981, n. l, G. U. 4 febbraio 1981, n. 34. 

codice di procedura penale, art. 425, comma primo (artt. 1, comma secondo, 
2, comma primo, 3, comma primo, e 31, comma secondo, d�lla Costituzione). 

Sentenza 10 febbraio 1981, n. 17, G. U. 13 febbraio 1981, n. 44. 

r.dJ. 20 luglio 1934, n. 1404, art. 16 (artt. 3 e 21 della Costituzione). 

Sentenza 10 febbraio 1981, n. 16, G. U. 13 febbraio 1981, n. 44. 

r.d.I. 20 luglio 934, n. 1404, art. 16 (artt. 1, comma secondo, 2, comma primo, 
3, comma primo, e 31, comma secondo, della Costituzione). 
Sentenza 10 febbraio 1981, n. 17, G. U. 13 febbraio 1981, n. 44. 

legge 1� dicembre 1956, n. 1426, artt. 2, 3 e 4 (artt. 53, primo comma, e 108, 
secondo comma, della Costituzione). 

(Sentenza 28 gennaio 1981, n. 2, G. U. 4 febbraio 1981, n. 34. 

legge 3 febbraio 1963, n. 69, art. 2 (art. 21 della Costituzione). 

Sentenza 28 gennaio 1981, n. 1, G. U. 4 febbraio 1981, n. 34. 

d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1079, tabella unica degli stipendi, quadro II, 
sezione D (art. 76 della Costituzione). 
(Sentenza 10 febbraio 1981, n. 12. 

III -QUESTIONI PROPOSTE 

Codice civile, art. 244 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Tribunale di Bolzano, ordinanza 30 luglio 1980, n. 794, G. U. 21 gennaio 1981, 

n. 20. 
codice civile, art. 301, commi primo e terzo (artt. 2, 29, primo comma, e 
30, primo e terzo comma della Costituzione). 

Tribunale per i minorenni di Firenze, ordinanza 14 ottobre 1980, n. 835, G. U. 
17 febbraio 1981, n. 48. 

codice di procedura civile, art. 429, comma terzo (art. 36 della Costituzione). 

Corte di cassazione, sezioni unite civili, ordinanza 20 maggio 1980, n. 855, 

G. U. 7 gennaio 1981, n. 6. 
Corte di cassazione, sezione unite civili, ordinanza 20 maggio 1980, n. 856, 
G. U. 7 gennaio 1981, n. 6. 
codice penale, art. 163 [modif. da d.I. 11 aprile 1974, 11. 99, art. 11, conv. in 
legge 7 giugno 1974, n. 220] (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Bologna, ordinanza 14 novembre 1980, n. 916, G. U. 17 febbraio 
1981, n. 48. 


PARTE II, LEGISLAZIONE ; 

codice penale, art. 164 (artt. 3 e 27 della Costituzione). 

Pretore di Pistoia ordinanza 25 luglio 1980, n. 793, G. U. 21 gennaio 1981, 

n. 20. 
codice di procedura penale, art. 108, prima parte (artt. 3 e 24 della Costituzione). 


Tribunale di Catania, ordinanza 9 ottobre 1980, n. 802, G. U. 21 gennaio 1981, 

n. 20. 
codice di procedura penale, art. 513, n. 2 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 7 luglio 1980, n. 864, G. U. 4 febbraio 1981, 

n. 34. 
r.d.l. 27 maggio 1923, n. 1324, art. 12 [conv. in legge 17 aprile 1925, n. 473] 
(art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Roma, ordinanza 3 novembre 1980, n. 918, G. U. 17 febbraio 1981, 

n. 48. 
legge 16 giu.gno 1927, n. 1766, artt. 27 e 28 (artt. 102, 103, 104 e 105 della 
Costituzione e VI disposizione di attuazione della Costituzione). 

Pretore di Montefiascone, ordinanza 7 maggio 1980, n. 805, G U. 4 febbraio 
1981, n. 34. 

legge 16 giugno 1927, n. 1766, artt. 29 e 31 (artt. 3, 24, 41, 42, 43, 44, 101, 102, 
104, 105 e 108 della Costituzione e VI disposizione di attuazione della Costi� 
tuzione). 

Pretore di Montefiascone, ordinanza 7 maggio 1980, n. 805, G. U. 4 febbraio 
1981, n. 34. 

legge 10 luglio 1930, n. 1078, art. 1 (artt. 102, 103, 104 e 105 della Costituzione 
e VI disposizione di attuazione della Costituzione). 

Pretore di Montefiascone, ordinanza 7 maggio 1980, n. 805, G. U. 4 febbraio 
1981, n. 34. 

r.d. 18 giugno 1931, n. 773, art. 38 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Macerata, ordinanza 3 ottobre 1980, n. 807, G. U. 21 gennaio 1981, 

n. 20. 
r.d. 18 giugno 1931, n. 773, art. 156 (artt. 3, primo comma, 19, 20 e 21 della 
Costituzione). 
Pretore di Portoferraio, ordinanza 15 aprile 1980, n. 837 G. U. 17 febbraio 
1981, n. 48. 

r.d. 20 luglio 1934, n. 1404, art. 9 (artt. 3, comma primo e secondo, 24, comma 
secondo, e 31 della Costituzione). 
Tribunale di Genova, ordinanza 16 settembre 1980, n. 858, G. U. 25 febbraio 
1981, n. 56. 


4 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 59 (art. 36 della Costituzione),. 
Corte cli cassazione, sezioni unite civili, ordinanza 20 maggio 1980, n. 855, 

G. U. 7 gennaio 1981, n. 6. 
Corte di cassazione, sezioni unite civili, ordinanza 20 maggio 1980, n. 856, 
G. U. 7 genn~io 1981, n. 6. 
r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 99, comma quinto (art. 24 della Costituzione). 
Corte d'appello di Roma, ordinanza 9 aprile 1980, n. 811, G. U. 4 febbraio 
1981, n. 34. 

legge 31. gennaio 1949, n. 21; attt.: 1 e 2 (art. 3 della C�~tituzione). 

Pretore di 'Reggio �milia, ordinanza 28 ottobre 11980, Ii. 851, G. U. 13. febbraio 
1981, n. 44, 

.. � legge�:4 marzi>: 1952, li;�� 131, artt. 1 e2 (art." 3 della Costit�zione). 

Pretore di Milano, . ordinanza 18 luglio 1980, n. 816, G. U. 4 febbraio 1981, 

n. �34. 
d.P.R. 28 dicembre 1952, n. 4160 (artt. 76 e 77 della Costituzione). 
Tribunale di Nuoro, ordinanz� 18 aprile -i979, n. 711/1980, G. U. 14 gennaio 
1981, n. 13. 

d.l. pres. reg. sic. 29 ottobre 1955, n. 6, artt. 121 e 122 [conv. con legge regionale 
15 marzo 1963, n. 16] (artt. 3, 103, comma secondo, e ,J08, comma primo, della 
Co_stituzione). 
. 

' 

� ,Co~te. dei conti, S;ezione. gi.m:i!ldizionale per: la �.regione . siciliana, or�finanza 
5 dicembre .1979, n. 804/1980, G. U. 11 febbraio 1981, n. 41. 

.'I . .� 

d.P.R. 18 luglio 1957, art. 5 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Reggio Emilia, ordinanza 28 ottobre 1980, n. 851, G. U. 13 febbraip 
t981, n. 44. . :~ 

d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 29, ultimo comma, :e.-~~' (artt. 3 e 2;J .della 
Costituzione). � 
Tribunale di Udine, ordinanza 29 ottobre 1980, n. 852, G. U. 25 febbraio ,1981, 

n. 56. 
d.PJt. 29 gennaio i958, 11. M5, ari:. 184 bis (artt 3 e�� 53 de�~ Costituzione). 

Commissione tributaria di 2� grado di Teramo, ordinanza 4 aprile 1980, 

n. 776, G. U. _14 gennaio 1981, n. 13. 
d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 121 [modif. da legge 5 maggio 1976, n. 3�, 
art. 5] (art. 3 della Costituzione).' 
Tribunale di Sassari, ordinanze (quattro) 5 marzo, 12 febbraio, 19 marzo 
e 4 aprile :1980, nn. 795, 796, 797 e 798, G. U. 21 gennaio 1981, n. 20. 

.Pretore di Arona, ordinanza 13 settembre 1980, n. 806, G. U. 21 gennaio �1981, 

n. 20. 
Pretore di Campobasso, ordinanza 17 settembre 1980, n. 873, G. U. 17 febbraio 
�1981, n. 48. 


PARTE II, LEGISLAZIONE 

d.�P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 121 [modif. da. legge 5 maggio 1976, n. 313, 
art. 5] (artt. 3 'e 27 della Costituzione). � 

Pretore di Orvieto, ordinanza 18 ottobre 1980, n. 875, G. U. 17 febbraio 1981, 

n. 48. � 
d.P.R. 15 giugno 1959, n. 3931 art. �121 -[modif. da legge' 5 maggio 1976, rl; 313, 
art. 5] (artt. 3 e 1101 della Costituzione). � 
� Pretore di Casteltermini, ordinanza. 28 giugno -1980, n. 893, G. U. 17 fobbraio 
1981, n. 48. 

d.P.R. 12 febbraio 1962, n. 162, art. 76 (art. 3 della Costituzi~ne).' 
Corte d'appello di Brescia, .ordinanza' 19 giugno 1980, n. 778, G. U. 7 ge.naio 
1981, n. 6. 

r�.,. 

legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 1, secondo comma (art. 3 della Costituzione). 


Pretore di Larino, ordinanza 26 settembre 1980, n. 841, G. U. 25 febbraio'1:981, 

n. 56. 
Pretore di Larino, ordinania 26 settembre 1980, n. 842,. G. U. 2!i ..febbraio �1981, 
n, 56. 

legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, comma secondo, lettera a) (art. 3 della 
Costituzio!l-e}, � � :' l ;


Pretore di Torino, ordinanza 24 ott�bi:e i980, n. 843,� G. �. 25� febbr~i6. 198'1. 
n;c56. ., ...


. _ l~gg~ 12 _agos.to }962'. n�. 1~8,.."art. , 13,, co~~.~uinto. ~arJ;t.. 3, corpmi. primo 
e�secon�lo, 2~; comnn pnmo e secondo, 38, commi secondo e quarto, e 36; comma 
primo;'aella Costituziohe). . ...:.�.�.� .� �:��� �-:.� � . ':�:~:_�.=� 

Tribunale di Torino, orqinanza 22_ ottobre 1980, .. 827, _G._ U~ 25 febbra~q ,1981,
n�: 56. � � �� �� �� �� � . . . �� . 

, . ; ,d�.P.R. 12. f"1bbr3l0: 1965, �nd62, .~i:t. 16 {arti. 3,' 11 ~ 41 della .Costittftzi<m~). 

Tribunale-tli Ravenna~: ordi.i��iiz� �o ott�bre 1980; n. 814, G. u:' 11 febbraio 
1981,_ n. Al. ; ' �� 
Tribunale di Ravenna, ordinanze (cinque) 24 ottobre 1980, ml. 8:18, 819; �820, 
821 e 822, G. U. 11 febbraio 1981, n. 41. 
TribunW.e di Ravenna, :0rdinanl'la�A novembre 1980; � n.,.867, :G:U.� .~. febbraio 
1981, n. 56.. ... 

d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, art. 76 (artt. 76, 77 e 3 della Costituzione). 
Corte d'appello di Lecce, ordinanza 10 ottobre 1980, n. 815, G. U. 7 gennaio 
�1981, n. 6. 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 3 (art. 3 .della Costituzione). 
Pretore di Milano, ordinanza 22. ottobre �1980, n. 859, G. U. 25 febbraio 1981, 

n. 56. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

6 


legge 2 ottobre 1967, n. 895, artt. 2 e 7 [sost. da legge 14 ottobre 1974, n. 497, 
artt. 10 e 14] (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Macerata, ordinanza 3 ottobre 1980, n. 807, G. U. 21 gennaio 
1981, n. 20. 

legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 2, comma primo, lettera c) (artt. 3 e 36 della 
Costituzione). 

Consiglio di Stato, sezione sesta giurisdizionale, ordinanza 11 aprile 1980, 

n. 770, G. U. 14 gennaio 1981, n. 13. 
legge 2 aprile 1968, n. 482, art. 1 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Milano, ordinanza 18 luglio 1980, n. 816, G. U. 4 febbraio 1981, 
Il. 34. 

legge 25 ottobre 1968, n. 1089, art. 18 (art. 81, comma quarto, della Costituzione). 


Pretore di Venezia, ordinanza 5 febbraio 1980, n. 829, G. U. 13 febbraio 1981, 

n. 44. 
legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 23 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Torino, ordinanza 24 ottobre 1980, n. 843, G. U. 25 febbraio 1981, 
Il. 56. 

d.l. 28 agosto 1970, n. 622, art. 4, comma secondo [conv. in legge 19 ottobre 
1970, n. 744) (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Milano, ordinanza 18 luglio 1980, n. 816, G. U. 4 febbraio ,1981, 
Il. 34. 

legge 9 ottobre 1971, n. 824, art. 6, comma primo e terzo (artt. 3, primo 
comma, 36 primo comma, 52, primo comma, 53 e 81, quarto comma, della Costituzione). 


Pretore di Pistoia, ordinanza 23 settembre 1980, n. 813, G. U. 11 febbraio 
1981, n. 41. 

legge 9 ottobre 1971, n 824, art. 6, commi primo e terzo (artt. 3, comma 
primo, 52, comma primo, 53 e 81, comma quarto, della Costituzione). 

Pretore di Pistoia, ordinanza 23 settembre 1980, n. 774, G. U. 14 gennaio 1981, 
Il. 13. 

legge 29 ottobre 1971, n. 889, art. 17, comma terzo (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Genova, ordinanza 1� settembre 1980, n. 735, G. U. 7 gennaio 
1981, n. 6. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 58 (art. 3 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Massa Carrara, ordinanza 3 febbraio 
1977, n. 823/1980, G. U. 28 gennaio 1981, n. 27. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, 11. 634, art. 54 (artt. 3, 24 e 113 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Padova, ordinanza 10 giugno 
1980, n. 808, G. U. 21 gennaio 1981, n. 20. 



PARTE II, LEGISLAZIONE 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 26 (art. 76 della Costituzione). 
Corte di Cassazione, ordinanza 12 giugno 1980, n. 828, G. V. 25 febbraio 1981, 

n. 56. 
d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 39 (artt. 3, 24 e 113 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Padova, ordinanza 10 giugno 
1980, n. 808, G. V. 21 gennaio 1981, n. 20. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 39, comma primo (artt. 24 e 113 della 
Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Bari, ordinanze (due) 1� marzo 
1980, nn. 780 e 781, G. V. 14 gennaio 1981, n. 13. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 44 (artt. 3, 24 e 76 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Massa Carrara, ordinanza 7 ottobre 
1976, n. 785/1980, G. V. 21 gennaio 1981, n. 20. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 6, comma secondo (art. 53, comma primo, 
della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Pordenone, ordinanza lU giugno 
1980, n. 825, G. V. 28 gennaio 1981, n. 27. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, artt. 6 e 14 [modif. da d.P.R. 23 dicembre 1974, 
n. 688] (art. 53, primo comma, della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Massa Carrara, ordinanza l 0 giugno 
1977, n. 824/1980, G. V. 11 febbraio 1981, n. 41. 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 1, 183 e 195 (artt. 3, 21 e 43 della Costituzione). 
� 
Pretore di Roma, ordinanza 18 novembre 1980, n. 37/1981, G. V. 28 gennaio 
1981, n. 27. 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195, 334 [modif. da legge 14 aprile 1975, 
n. 103, art. 45] (artt. 3 e 27 della Costituzione). 
Pretore di Modena, ordinanza 12 giugno 1980, n. 838, G. V. 25 febbraio 1981, 

n. 56. 
legge 16 aprile 1973, n. 171, artt. 23 e 25 (art. 81, comma quarto, della Costituzione). 


Pretore di Venezia, ordinanza 5 febbraio 1980, n. 829, G. V. 13 febbraio 1981, 

n. 44. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 10 e 15 (3, 29, 30, 31 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Roma, ordinanza 26 aprile 1980, 

n. 898, G. V. 11 febbraio 1981, n. 41. 

8 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, (artt. 3 e. 53� della Costituzione); 
Commissione tribut.aria di primo grado di Larino, ordinanza 29 febbraio 1980, 

n. 
784, G. U. 21 gennaio 1981, n. 20. . 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, art. 1 (artt. 3, 35 'e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Larino, ordinanze (tre) 7 novembre 
,1979, nn; 761, 762 e 763/1980, G: U. 7 gennaio 1980, n. 6. �. � ' 

j ' 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, artt. 1, 4, 7, commi primo, secondo e quarto 
~� 11 (artt. 3 e 53� della Costituzione). �' . : � . � � ) ' 
Commissione tributaria di primo grado di Pistoia, ordinanze (sette) 12 gi~gno-
1979, nn. 844, 845, 846, 847, 848, 849 e 850/1980~ G. u, 11 febbraio: 1981,.n. 41. 

~.P.I~.. 29 settembre 1973, n. 602, art. 39, comma primo (artt. 24 e 113 della 
Cost1tuz1one). . _

' . 
�� . �� ~� � t' ., � . ,', 

. CommJssioII~ tributaria di primo grado di Bari, 9rdinanze (due) 1� .marzo 
1980, nn. 780 e 781, G. U. �14 gennaio 1981, n,)3. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 42 (art. 3 della Costituzione). 
, Commissione tribufatiii 'centrale di Rom� ordinanz~: 11 febbr~io' 19S�.~n. 8.4.D_..�' 
G. U. 25 febbraio 1981, n. 56. ' 
. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, �rtt. 4�i e 41 (ari:t. ~3, 76 e 77 della' Costftuz1one). 


Y: Coro:mi.ssiorre tributaria d�:-�primo grado di Ivrea .0rdinanza 12�marzo,�}980, 
n. 782, G. U. 28 gennaio 1981, n.. 27' � . ._ , : .. ' 
, , 
( 
.'. �: ;, .. � I. ..: .' ~� ,,_::/ �\ � l, -:.:-"\ ' � 

legge 27 ottobre 1973, n. 628~ .artt. 8; -9 e �.10 �(art. 3 della: Costitui�one). � :. < 

Corte dei conti, sezione quarta giurisdizionale ordinanza 8 gennaio 1980, 

n. 
817, G. U. 4 febbraio 1981 n. 34 . ' 
� � . � � �.� ':~t ~� :.xi. --� _~-~ 

,. legge 12 dicembr~ 1973, n._ ,922, ar~. 1 (art. 3 4ell!l Costituzione). 
Pr~tore di Milano, ordinanza 18 luglio 1986 . 816 G U . � Hl81,

n. 34. 
, n. , . . 4: febbraio 
' legge.'!IVdic�mbr� 197~; n, 871 (artt. 70; 72 e 73 della c:ostifo:lioue) .. 

n. 
s.re~ore di ~reviglio, ordinanz!;l 1~ .lu~li(i 19S�:j1. 775, G:_ U. }4 ,~enn;io 1981, 
n. 
2~~rte di cassazione, ordinanza 28 maggio 1980, n. 783, G. U. 21 gennaio 1981, 
.. Pretore di Trevjglio, .ordinanza �29 setteml;>re 1980 n. 810 G u 28

na10 1981, n. 27. 
� ' ' � � . gen


n. 
i_retore di Piacenza, ordinanz_a 13 ottobre 1980, n. 833, G. U. 11 febbraio 1981, 
4 
Pretore di Pistoia, ordinanza 5 novembre 1980, n. 886, G. U. 17 febbraio 1981, 

n. 48. 
legge reg. lombarda 12 agosto 1974, n. 45, art. 1 (art. 117 della Costituzione). 

Consiglio di Stato, sezione sesta giurisdizionale ordinanza 18 maggio 1979, 

n. 
773/1980, G. U. 7 gennaio 1981, n. 6. ' 

PARTE II, LEGISLAZIONE 9 

legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 4 comma secondo (art. 25 d�lla Costituiitme). 

Tribunale di Milano, ordinanza 5 novembre 1979, n. 786/19SO, G. U. 21 g~~naio 
1981, n. 20. 

legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 5, commi 9-uarto e sesto (art. 3 della Costituzione).. 


Pretore di Poggibonsi, ordinanza 17 luglio 1980, n. 826, G. U. H � febbraio 
..1981, n, 41. 

. ~. 

legge 19 maggio 1975, n. 151, art. 95 (artt. 3 e 24 della Costituzivne). 

Tribiill:�le di Bolzano, oraina~i~ 30 foglio �980'. n~ 794, 'G. V. 21 g�nn~ici' J9~1, 

n. 20. 
legge 18 luglio 1975, n. 356, art. 1 (art. 3 della "Costituzione). 

)'retore di Milano, ?rdinan~a 18 luglio ,_19&0, 1~, &16, 4-!l: 4 f~bprai~: '1981, 

n: 34 � 
legge 2 dicembre i975, n. '516;' ~rt: 8 (artt. 3, 29 � 5.3 ci.ella Cos~ituzione).

� :~ I. ,. � � � ' " . �. ' .. . '. . � � . � . � 

Corte d'appello di Roma, ordinan:i:a 4 ,giugno 1980, 11. 812, G. u, 21 gennaio 
1981, n. 20. 

legge reg. Emilia:Romagri.a '26 geri.naio t976, n: s; ai-~~. 4; f'1, 9 e �10j\D~di(,
da legge reg. 26 gennaio 1977, n. 4] (art. 117 della Costituzione). � � � � �� �� 

Triburiale df B��log~a. �ordinanza 30 s~tt~rrilire 19so; xL �ll63, � G.'U. .25 �febbraio 
1981, n. 56. 

: legge' .s-:maggio 1976, n. 313, art. 5" (art. 3 derfa Cpstit�ziorie) . 

. . Pretore di Treviglio, ordinanza 2 aprile 1980, 11. 769, G. U. ,7 gennaio 1981, n. 6 . 
. �Pretore di Asti, ordinanza 19 settembre 1980, ri. 189, �G.' U. 21 gennaio 1981, 

n. 20. � � � 
Pretore di Piana degli Albanesi, ordinanza 25 marzo 1980, 11�.790, G. U. 
21 gennaio 1981, n; 20. 
Pretore di Montepulciano, ordinanza 13 ottobre 1980, n. 836, G. U. � 11 febbraio 
1981, n. 41. 
Pretore di Civitavecchia, ordinanza 14 novembre 1980, n. 892, G. U. 17 febb~
aio 1981, n. 48. 

legge _ 10 maggio 1976, n. 319, art. 25 (art. 27 della Costituzione). 

Tribunale di Como, ordinanza 31 marzo 1980, n. 803, G. U. 21 gennaio 1981. 

n. 20. 
legge 19 maggio 1976, n. 326, art. 1 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Milano, ordinanza 18 luglio 1980, n. 816, G.U. 4 febbraio 1981, 

n. 34. 
legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 1, commi primo e secondo (artt. 3 e 25 
della Costituzione). 

Commissione tributaria di 1� grado di Pistoia; ordinanza 13 marzo 1979, 

n. 839, G. U. 25 febbraio 1981, n. 56. 

10 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 1, comma terzo (artt. 3, 29, 30, 31 e 53 
della Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Roma, ordinanza 26 aprile 1980, 

n. 898, G. U. 11 febbraio 1981, n. 41. 
legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 1, n.c. (artt. 3, 29, 31 e 53 della Costituzione). 


Commissione tributaria di secondo grado di Massa Carrara, ordinanza 
29 giugno 1979, n. 865/1980, G. U. 11 febbraio 1981, n. 41. 

legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 1, n. c. (artt. 3, 31 e 53 della Costituzione). 


Commissione tributaria di primo grado di Napoli, ordinanza 20 maggio 
1980, n. 772, G. U. 14 gennaio 1981, n. 13. 

legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 1, n. c. (artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Piacenza, ordinanze (due) 16 e 
15 novembre ,1979, nn. 860 e 861/1980, G. U. 11 febbraio 1981, n. 41. 
Commissione tributaria di primo grado di Piacenza, ordinanza 15 novembre 
1979, n. 862/1980, G. U. 11 febbraio 1981, n. 41. 

legge 12 novembre 1976, n. 751, artt. 1, n. c., e 3, n. c. (artt. 2, 3, 29, 31 e 53 
della Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Novara, ordinanza 20 aprile 1979, 

n. 834/1980, G. U. 11 febbraio 1981, n. 41. 
cl.I. 10 dicembre 1976, n. 798, art. 1, comma terzo [conv. In legge 8 febbraio 
1977, n. 16] (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Cagliari, ordinanza 19 luglio 1980, 

n. 869, G. U. 25 febbraio 1981, n. 56. 
legge 28 gennaio 1977, n. 10, artt. 1 e 4 (art. 42 della Costituzione). 

Tribunale di Livorno, ordinanza 14 novembre 1980, n. 894, G. U. 4 febbraio 
1981, n. 34. 

legge 13 aprile 1977, n. 114, artt. 4, 5, comma primo, 17 e 20 (artt. 3, 29, 30, 
31 e 53 della Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Roma, ordinanza 26 aprile 1980, 

n. 898, G. U. 11 febbraio 1981, n. 41. 
d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, artt. 22, 113, 114, tabella B n. 2 (artt. 76, 117 
e 118 della Costituzione). 
Corte di cassazione, ordinanza 3 luglio 1980, n. 857), G. U. 28 gennaio 1981, 

n. 27. 
legge 8 agosto 1977, n. 513, artt. 27, comma secondo, e 28 (art. 3 della Costituzione). 


Tribunale di Piacenza, ordinanza 18 settembre 1980, n. 768, G. U. 7 gennaio 
1981, n. 6. 


11

PARTE II, LEGISLAZIONE 

legge 3 gennaio 1978, n. 1, art. 5, ultimo comma (artt. 3, 24, 100, primo comma, 
'103, primo comma, .113 e 125, secondo comma, della Costituzione). 

Consiglio di Stato, sezione quinta giurisdizionale, ordinanza 4 luglio 1980, 

n. 866, G. U. 23 febbraio 1981, n. 56. 
legge 10 maggio 1978, n. 176, art. 1, commi primo, secondo e terzo (artt. 3 e 
42 della Costituzione). 
Tribunale di Roma, ordinanza 8 ottobre 1980, n. 809, G. U. 4 febbraio 1981, 

n. 34. 
legge 22 maggio 1978, n. 194, artt. 22, comma terzo, 4, 5, commi terzo e 
quarto, 8, ultimo comma (artt. 2, 30 primo comma, 31 secondo comma e 32 
primo comma della Costituzione). 

Corte d'appello di Firenze, sezione istruttoria, ordinanza 14 ottobre 1980, 

n. 868, G. U. 17 febbraio 1981, n. 48. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 13, penultimo comma (art. 3 della Costituzione). 


Giudice conciliatore di Grugliasco, ordinanza 31 luglio 1980, n. 792, G. U. 
21 gennaio .1931, n. 20. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 59 (art. 3 della Costituzione). 

Giudice conciliatore di Pescasseroli, ordinanza 3 ottobre 1980, n. 801, G. U. 
14 gennaio 1981, n. 13. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 59, n. 1 (artt. 3, 35 e 41 della Costituzione). 

Giudice conciliatore di Diano Marina, ordinanza 18 giugno 1980, n. 779, 

G. U. 14 gennaio 1981, n. 13. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 73 [modif. da d.l. 30 gennaio 1979, n. 21, 
art. l�bis] (art. 3 della Costituzione). � 

Pretore di Castrovillari, ordinanze (due) 21 ottobre 1980, nn. 830 e 831, G. U. 
28 gennaio 1981, n. 27. 

legge 3 agosto 1978, n. 405 (artt. 55 e segg., 70 e segg., 79 e segg., 83 e segg., 
101 e segg., e 3 della Costituzione). 

Pretore di Nard�, ordinanza 30 agosto 1980, n. 800, G. U. 11 febbraio 1981, 

n. 4). 
d.P.R. 4 agosto 1978, n. 413, art. 2, lettera c) (artt. 55 e segg., 7G e segg., 
79 e segg., 83 e segg., 101 e segg., e 3 della Costituzione). 
Pretore di Nard�, ordinanza 30 agosto 1980, n. 800, G. U. 11 febbraio .1981, 

n. 41. 
d.P.R. 4 agosto 1978, n. 413, art. 3, lettera d) (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Modena, ordinanza 3 luglio 1980, n. 788, G. U. 21 gennaio 1981, 

n. 20. 

12 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge reg. Abruzzo 28 di�em�re 1978; n. 87, art. f B (art. 117" �del.lit. Costituzione). 
� 

Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzio, o~dinanza 7 dicembre 
1979, n. 872/1980, G. U. 25 febbraio 1981, n. 56. � 

legge reg. Sicilia.14 settembre 1979, n; 212,..art. "24, conUna pt.imo (�ttt: :fil"e 3 
della Costituzione). � . : . . � .. 

�:�Tribunale di Catania;' ordinanza�..;10 ottobre 1980, n; 832, G. U ..:. 25 �febbraio 
1981, n. 56. 

, . 1t;gie ?Or ;lllarz? 1~80, n .. 77,, ar.t. 6, ~9mm~ secondo i(-artt... ~24, 1Q2, :iepmma 
pnmo, .104, com;ma .prime, fle1la Co.stituzione). ,. �~ ..1:.::. ~� � ' �,. 
Pretore di La Spezia, ordinanza 20 maggio 1980; �n: 177; G.'r.;.:� 14 �g'enn:
jl;~ _19.81, .n: 13. . ; . ': ' . ,r,�. � 

legge reg. Veneto appr. 2 aprile 1980, riappr. il 18 dicembre 1980 (artt. 3, 36, 
9~,,.e.11~: <l,ella Cos,tit1:1z~~pel� c._-;: "'�:�~ e: �I . � o: .~ '�' 
Presidente del Consiglio dei Ministri, ricorso 10 gennaio 1981, n . .1, �G�. U. 
21_ .gennaip 1981, IJ.. 20. 

~: ... �:l 

legge reg. Campania appr. il 23 aprile 1980, riappr. il 30 dicembre 1980 
(art. 117 della Costituzione). 

Presidente del Cori~�gli~ de1 Ministri; :i~on�o 26 gennaio 19Si, n. 3; G. U. 
11 f�bbfaio 'l98J, n. �41. � �� ~-� ��� 

legge reg. siciliana 23 dicembre 1980 (artt. 51 e 97 della Costituzione). 

Commissario dello-� Stato per la regione siciliana, tic�rsb �-10.. gennaio:�l981, 
n.. 2i G. U. 21-gennafo .1981, n. 20.. 

legge reg. siciliana appr. il 22 gennaio 1981, artt. 9, 10 e 11 (artt. 51, 97 e 
128 della Costituzione). 

Commissario delio � Stato 'per la regione siciliana, ricorso 6 febb.raio � �1981, 

n. 4, G. U. 17 febbraio .1981, n. 48.