ANNO XXXII N. 1 GENNAIO-FEBBRAIO ANNO XXXII N. 1 GENNAIO-FEBBRAIO 
RASSEGNA 


DELL'AVVOCATURA .DELLO STATO 



Pubblicazione bimestrale di servizio 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 

ROMA 1980 



ABBONAMENTI ANNO 1980 

ANNO .............................. L. '20.000 
UN Nl.'MERO SEPARATO ��� � � �� � � ��� � � � 3.500 


Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: 

ISTITUTO POLIGRAFICO E��ZECCA DELLO STATO 
Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma 
e/e postale n. 387001 

Stampato in Italia -Printed in Ital v 
Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n 110.89 del 13 luglio 1966 


(1219110) Roma, 1980 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato P. V. 



Sezione prima: 
Sezione seconda: 
Sezione terza: 

Sezione quarta: 
Sezione quinta: 
Sezione sesta: 
Sezione settima: 

Sezione ottava: 

INDICE 

Parte prima: GIURISPRUDENZA 

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura 
del/'avv. Franco Favara) � 

GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNA. 
.ZIONALE (a cura del/'avv. Oscar Fiumara) . 

GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 
(a cura degli avvocati Carlo Carbone, 
Carlo Sica e Antonio Cingolo) . 

GIURISPRUDENZA CIVILE (a cura degli avvoc�tti 
Adriano Rossi e Antonio Catrical�) 

GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura 
del/'ovv. Raffaele Tamiozzo) � 

GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA {a cura dell'avvocato 
Carlo Bofile) � 

GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED 
APPALTI PUBBLICI (o curo degli avvocati Sergio 
Lo Porto, Piergiorgio Ferri e Paolo Vittorio} . 

GIURISPRUDENZA PENALE (o curo del/'ovv. Paolo 
Di Tarsio Di Be/monte) . 

pag. 

� 41 

� 80 
� 92 
� I I 8 
� 129 

� 200 
� 222 

Parte seconda: QUESTIONI -LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO 
CONSULTAZIONI -NOTIZIARIO 


LEGISLAZIONE pag. 
CONSULTAZIONI � 22 
INDICE BIBLIOGRAFICO � 37 

La pubblicazione � diretta dall'avvocato: 
UGO GARGIULO 



CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA 
DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AVVOCATURE 


Avvocati 


Glauco NoRI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Michele DIPA�E, Bologna; 
Giovanni CONTU, Cagliari; Francesco GUICCIARDI, Genova; Marcello DELLA 
VALLE, Milano; Carlo BAFILE, L'Aquila; Giuseppe Orazio Russo, Lecce; Raf� 
faele CoNANZI, Napoli; Nicasio MANcuso, Palermo; Rocco BERARDI, Potenza; 
Francesco ARGAN, Torino; Mauri2lio DE FRANCHIS, Trento; �Paolo SCOTTI, 
Trieste; Gi~ncartlo MANo�, Venezia. 


DiSCORSO DEL PRESIDEN'.fE DEL CONSIGLIO, 

. ONOREVOLE FRANCESCO COSSIGA, 

IN OCCASIONE DELLA CERIMONIA UFFICIALE 
D'INSEDIAMENTO DELL'AVVOCATO GENERALE DELLO STATO, 
GIUSEPPE . :(\fANZARI 


Signor Presidente delJa Repubblica, 
Onorevole Presidente .della Camera dei Deputati, 
Onorevole Vice Presidente del Senato della Repubblica, 
Signor Rappresentante della Corte Costituzionale, 
Signori Magistrati, 
Signore, Signori, 


poco pi� di tre anni fa espressi, in questa stessa sala Vanvitelli, 
a nome del Governo e mio personale, il compiacimento pi� vivo per 
la felice ricorrenza del centenario della fondazione dell'Avvocatura 
dello Stato. Ricordai allora come, in un secolo .di vita, l'Istituto 
avesse ampliato il suo respiro, �passando dalle vesti. � erariali � di 
patrocinatore del patrimonio dello Stato, in nome di un diritto privato 
di tradizione bimillenaria, alle pi� differenziate dimensioni di 
difensore dello Stato in tutte le sue maggiori articolazioni, dinanzi 
a tutte le Corti ed in nome di tutte fo leggi. 

Mi sia consentita una parentesi, che forse � solo retoricamente 
una parentesi. In realt� nel contesto di un discorso sulle istituzioni, 
nulla di quanto attiene al funzionamento delle istituzioni medesime 
e alla difesa dello Stato pu� essere considerato parentetico. 

Lo Stato di cui discorriamo non � n� la proiezione fiscale di un 
sovrano assoluto, n� la dimensione autoritaria di una oligarchia, n� 
lo strumento di una tirannide, n� l'apparato gestionale di una classe 
dominante. � lo Stato democratico, la comunit� civile e libera dei 
cittadini eguali, � lo strumento per la pace, la libera convivenza, lo 
sviluppo del popolo. Le leggi di questo Stato non sono la manifestazione 
dell'arbitrio ma del Parlamento, espressione della sovranit� 
popolare. Le istituzioni di questo Stato sono i cardini della vita giuridica, 
.amministrativa, civile della Comunit�. 


VI 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

L'offesa allo Stato, alle sue leggi, alle sue istituzioni, agli uomini 
che le difendono, che difendono la pace e l'ordin<;Lta convivenza civile, 
non sono crimini di lesa maest�; sono crimini contro il popolo e 
contro la democrazia. 

Ed un altro crimine contro il Popolo, contro la democrazia, � 
stato perpetrato con ferocia, questa mattina, quando un gruppo di 
banditi -perch� di banditi si tratta, essendo per essi ormai consumato 
persino il nome di terroristi, se come sembra al terrorismo il 
fatto delittuoso sia da ascrivere -ha ucciso due carabinieri a Sampierdarena. 


La �ommozione profonda in me � sopraffatta dalla violenza dello 
sdegno. 

Credo di interpretare il sentimento di voi tutti, e soprattutte il 
Suo sentimento, Signor Presidente della Repubblica, cos� sempre vi-. 
cino alle istituzioni dello Stato e agli uomini che per esso .combattono, 
chiedendo un momento di raccoglimento, quale atto di solidariet� 
all'Arma dei Carabinieri e a tutte le forze dell'ordine. 

Da questo raccoglimento troviamo tutti vigore nel compiere il 
nostro dovere per il Paese, come essi oggi l'hanno compi�to. 
Il Governo continuer� nella sua lotta contro il terrore e il crimine, 
lotta che non � n� breve, n� facile. 

Lotta che richiede una reale solidariet� nazionale, al di l� delle 
posizioni anche conflittuali, ordinatamente conflittuali, delle forze 
politiche e delle forze sociali. 

Che nessuno, per nostra imprudenza o per nostra disattenzione, 
per qualche nostro atteggiamento non meditato, possa pensare sia 
possibile aprire brecce nell'unit� morale e civile dei cittadini, degli 
intellettuali, degli operai, dei contadini, degli imprenditori, dei lavoratori, 
di tutti, dei giovani e delle donne, nell'unit� morale e civile 
del popolo itaUano attorno alla Repubblica. e alle sue istituzioni. 

Sono lieto, anche se questo mio sentimento � �certamente offuscato 
dai fatti dolorosi di questa mattina, e sono profondamente 
onorato oggi di rinnovare l'incontro con l'Avvocatura in occasione 
dell'insediamento dell'Avvocato Generale dello Stato, chiamato all'alto 
incarico dal Governo che ho qui l:onore di rappresentare. 

Questa Istituzione -l'Avvocatura dello Stato -� nata da una 
delle prime riforme democratiche e progressiste dell'Italia unit�; 
ed � per questo che essa ha saputo adeguarsi di volta in volta alle 
nuove realt� di un Paese sempre in trasformazione. 
, Prova della sua vitalit� � l'avere con coerenza cercato di inter


pretare. il sistema normativo superando 
� lettera � -propria di qualunque legge riattivazione 
del suo valore-simbolo, allo 
attuali esigenze. � 

una certa opacit� della 
e ci� per giungere alla 
scopo di ancorarlo alle ., 

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DISCORSO DEL PRESIDENTE DEL CONSlGLIO, ON. FRANCESCO cOSSIGA 

La nomina dell'Avvocato Generale, che oggi ho il piacere di salutare 
---.. anche per i sentimenti di amicizia e di stima personale che 
a lui da tanto tempo mi legano e per il lungo periodo di collaborazione, 
periodo che io considero fondamentale per la mia vita politica 
e di uomo -segue di poco l'approvazione, ad opera del Parlamento, 

di. ima legge di riforma dell'ordinamento dell'Avvocatura. 

Si tratta di una legge che, ponendosi nella linea di tendenza 
dell'ultimo trentennio e nel solco dei principi ispiratori della Costituzione 
repubblicana, amplia notevolmente i compiti dell'Istituto e 
ne modernizza l'organizzazione. 

Vintroduzione del principio di collegialit�, 4,nfatti, mette in sintonia 
l'Istituto con quelle strutture democratiche che vedono la libert� 
come la risultante di un saper rendersi liberi. Questa � compe-. 
tenza � alla libert� si acquista solo tramite un continuo esercizio cognitivo 
interindividuale, che assume spesso anche la forma del confronto. 


E la nuova normativa, nata dal ttavaglio di pi� legislature, nel 
riaffermare il caratter� professionale dell'Istituto, gli offre la possibilit� 
di rapportarsi a se stesso ed allo Stato in un modo molto 
pi� sofisticato ed efficace. . 

L'Avvocatura dello Stato si pone nel nostro ordinamento come 
organo dello Stato-persona (per accettare quella distinzione che viene 
fatta dai giuristi moderni). Stato-persona e Stato-Comunit� che non 
sono entit� antitetiche fra loro, ma sono due modi di essere ugualmente 
.necessari perch� la vita della Comunit� possa procedere su 
basi di libert� e di uguaglianza. Libert� e uguaglianza che hanno il 
loro ancoraggio pi� profondo nella certezza del diritto. Essere organo 
dello Stato-persona non significa essere di per s� in antitesi con 
lo Stato-Comunit�, n� significa essere preda deltarbitrio dei governanti. 
Nella nostra organizzazione dello Stato-persona ha il suo ruolo 
primario �il Parlamento, �hanno un toro ruolo importante il Governo, 
la Pubblica Amministrazione e in essa l'Avvocatura .dello Stato, come 
momento necessario ad ogni .societ� che voglia progredire, come momento 
di proposta, di attuazione, di iniziativa e di stimolo, nella 
insostituibile funzione di Governo. 

Dire queste cose significa nori voler rivendicare al potere esecutivo 
una qualsiasi competenza, ma la competenza che in un ordinato 
svolgimento della vita democratica gli � fatta propria della 
Costituzione della Repubblica. 

L'Avvocatura dello Stato, un corpo professionale di giuristi al 
servizio dello Stato, � organ� insostituibile per l'attivit� del Governo. 
E il Governo di essa, peraltro rispettando quelle che sono altre competenze 
istituzionali in materia consultiva, deve avvalersi nel momento 
interno della formazione della sua attivit� amministrativa. 


VIII 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Al. Presidente Manzari -che oggi viene formalmente insediato 
nell'alta carica di Avvocato Generale -spetter� l'impegftativo compito 
di guidare l'Avvocatura dello Stato nel periodo delicato della 
prima applicazione della legge di� riforma. 

Dalla conoscenza che ritengo di avere dell'uno e dell'altra traggo 
sicuro auspicio di successo e garanzia per il Governo della Repubblica 
di poter trovare nell'Istituto la giusta e tempestiv� risposta 
ad ogni domanda di ausilio tecnico che il rapido divenire della 
societ� render� di volta in volta necessario. 

Al Presidente Manzari, a tutti gli appartenenti all'Avvocatura 
dello Stato, rivolgo 1,1n pensiero di fiducia da parte del Governo e 
formulo l'augurio di una sempre pi� intensa, capace attivit� al servizio 
delle nostre istituzioni. 

21 novembre 1979 


DISCORSO PRONUNCIATO 
DALL'AVVOCATO GENERALE DELLO STATO GIUSEPPE MANZARI 
NELLA CERIMONIA D'INSEDIAMENTO 


Signor Presidente della Repubblica, 

mi consenta innanzitutto di associarmi alle parole pronunciate 
dal Presidente del Consiglio dei Ministri per l'efferato crimine bggi 
commesso, con il quale si � voluto ancora una volta colpire lo Stato 
e ledere il bene della pacifica convivenza. 

Intendo esprimere a nome mio personale e dell'Avvocatura dello 
Stato, la pi� profonda commozione per le vite umane stroncate, 
la pi� ferma condanna per il delitto commesso e insieme la fiducia 
che il Paese sapr� trovare nel diritto e nelle civili istituzioni la forza 
di vincere sanguinarie ed insensate spinte eversive. 

Desidero quindi, Signor Presidente della Repubblica, rivolgere 
a Lei, anche a nome dei colleghi e del personale dell'Avvocatura dello 
Stato, il pi� vivo e profondo ringraziamento per aver voluto onorare 
con la Sua presenza questo Istituto in occasione del mio insediamento 
ufficiale nell'alta responsabilit� della carica di Avvocato Generale 
dello Stato. 

Lo stesso ringraziamento rivolgo al Signor Vice Presidente del 
Senato della Repubblica, alla Signora Presidente della Camera dei 
Deputati, al Signor Presidente del Consiglio dei Ministri, al rappresentante 
della Corte Costituzionale, ai Signori Ministri, al Signor 
Presidente del Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro, ai 
Signori Presidenti della Suprema Corte di Cassazione, del Consiglio 
di Stato, della Corte dei Conti, ai rappresentanti del Consiglio Nazionale. 
delle Ricerche, dei Tribunali Amministrativi Regionali, delle 
Forze Armate, della Pubblica Amministrazione, dei Corpi Accademiei, 
ai colleghi dell'Avvocatura dello Stato e degli ordini forensi ed 
a tutti coloro che hanno voluto, con la loro partecipazione, onorare 
questo Istituto. Un saluto particolare desidero rivolgere a nome di 
tutti gli avvocati dello Stato a Sua Eccellenza l'Avvocato Giovanni 
Zappal�, che per tanti anni ha prestigiosamente retto il nostro I stituto, 
ed al quale ho l'onore ed il privilegio di succedere. 


.,. 

X 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Nella solennit� che a questa cerimonia conferisce la presenza 
del Capo dello Stato, nelle parole che il Presidente del Consiglio 
-cui devo il mio profondo ringraziamento per la fiducia accordatami 
-si � compiaciuto indirizzarmi, nella partecipazione di cos� 
alte rappresentanze delle Supreme magistrature, di tanti illustri personaggi 
e colleghi, mi sia consentito cogliere un augurio di � buon 
lavoro �. Un augurio che mi � particolarmente gradito p�r. la cpnsapevolezza 
che ho della gravit� dei miei compiti e delle responsabilit� 
che assumo verso le Istituzioni dello Stato, verso la Comunit� nazionale; 
verso i colleghi ed il personale dell'Istituto, tra i quali torno, 
con non celata commozione, per riprendere un gi� consueto e , 
comune lavoro. 

A questo intendo dedicare tutto il mio impegno, che mi auguro 
pari alle mie nuove e maggiori responsabilit�, con l'entusiasmo, 
la volont� e la fiducia con cui, nel lontano 1946, al termine di un 
quinquennio di servizio militare, contraevo con l'Istituto il vincolo 
di appartenenza attraverso il concorso a procuratore e successiva-� 
mente ad avvocato dello Stato. 

Nel riannodare questo vincolo, il mio animo � commosso da due 
ricordi. 

Ebbi la ventura di avere come mio esaminatore, nel con�orso 
ad avvocato, Arturo Carlo ]emolo. Al termine della discussione orale 
della tesi assegnatami, egli, pur elogiando la mia dissertazione ed 
approvandone gli. spunti critici, mi esort� ad accostarmi sempre con 
attenta riverenza alla pronuncia del Magistrato, che deve trarre dalla 
tensione dialettica del contraddittorio la sofferta ed ardua sintesi del 
giudizio, nell'esercizio di una altissima funzione. 

L'altro mio ricordo si volge a tanti, il cui nome desidero custodire 
nella �memoria e che nell'Istituto allora mi accolsero comunicandomi, 
con lo ~tile professionale e l'esempio di vita, il senso profondo 
e incancellabile di una prestigiosa tradizione, fatta di alta levatura 
dottrinale e di grande dignit� morale. 

Una tradizione che � mio supremo dovere concorrere a custodire 
ed a trasmettere ai pi� giovani colleghi. E' proprio l'incontro 
con questi che m'incoraggia nel mio impegno, grazie anche al generoso 
apporto di alcuni dei colleghi valerosissimi, che ho ricordato, a 
cui si aggiungono i molti altri che hanno via via arricchito il patrimonio 
umano dell'Istituto. � 


Ho sentito dai giovani l'attesa e la fiducia, che mi carica di una 
ulteriore pi� pesante responsabilit�, che si realizzino le condizioni 
per compiere con pienezza di risultati il loro lavoro, nell'assolvimento 
del loro impegno e nel rispetto della loro dignit� professionale, 
che vogliono esercitare negli stimolanti incontri e confronti 
dell'attivit� forense e della consulenza legale. 


DISCORSO PRONUNCIATO DALL'AVV. GIUSEPPE MANZARI XI 

Una felice apertura su questa prospettiva offre la legge n. 103 
del 1979, recante modifiche all'ordinamento dell'Avvocatura, la quale 
ha opportunamente accentuato l'affrancamento dai riflessi burocra.tici 
della composita figura dell'avvocato dello Stato. Questa non � pi� 

�ordinata in un complesso gerarchico di qualifiche, ma � unitariamente 
concepita in ragione dell'identit� .della funz�one. Correlativamente 
la capacit� di intuizioni e di apporti personali viene esaltata 
dalla previsione di forme di collegialit� che, sostituendosi all'incongruo 
strumento della subordinazione gerarchica, mantengono la di
�gnit� del connotato professionale, pur assicurando la necessaria e razionale 
unitariet� di guida e di' indirizzo, tanto da garantire il costante 
riferimento di tale connotato all'altro, che dell'Istituto � proprio, 
e che si esprime nel vincolo istituzionale del pubblico servizio, 
quale momento differenziale e tipizzante rispetto alla libera attivit� 
professionale. Uso a ragion veduta questa espressione �libera attivit� 
professionale �, invece di quella corrente di attivit� del � libero 
Foro�, che ni1 ha sempre colpito per la sua involontaria tautologia. 
Quando, infatti, il �Foro � -come deve essere e come � fortunatamente 
per noi ~terreno di incontro e di scontro di opposte opiniOni, 
sottopo.ste all'esame di� un giudice indipendente ed imparziale, la 
libert� � valore con esso coessenziale, perch�, ad un tempo, lo presuppone 
e. ne � corollario. 

Il difensore dello Stato � portatore, rispetto a questa �libert� 
professional� � di una limitazione e di un arricchimento: non solo, 
infatti, egli deve� assolvere il suo dovere sul piano professionale, ma 
deve anche integrare tale compito con l'adempimento dell'ulteriore 
dovere, che gli deriva dall'appartenenza ad una pubblica istituzione, 
qual �, nel suo attuale ordinamento, l'Avvocatura dello Stato. 

Questa �, oggi, costruita in posizione di autonomia e indipendenza 
funzionale di fronte ad ogni singola amministrazione. Essa, �os�, 
adempiendo �lla difesa degli organi dell'apparato dello Stato (inteso 
in senso lato, comprensivo di altre istituzioni pubbliche e di articolazioni 
costituzionali come le Regioni), deve sempre cercare la collimanza 
degli interessi secondari e settoriali, affidati alle sue cur� con � 
gli interessi primari ed essenziali della Comunit�, al cui servizio l'Avvocatura 
dello Stato � posta dalla legge nel sistema unitario e indivisibile 
in cui si compendia lo Stato-ordinamento. 

Non pu�, dunque; mai preval�re nell'attivit� di difesa dell'Av� 
vocatura l'interesse contingente, secondario e settoriale, su quello generale 
e primario di realizzazione della giustizia. 

Rispetto alla difesa privata, l'Avvocatura dello Stato adempie, 
dunque, a un ulteriore e pi� grave compito, quello di attiva collaborazione 
alla realizzazione della giustizia nell'amministrazione. 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

XII 

La matrice lorenese dell'Istituto, di schietta ispirazione illuministica, 
lo finalizza, infatti, ad una garanzia di legalit� dell'azione 
amministrativa: l'Avvocato Regio di Toscana aveva la funzione di 
tutelare in veste neutra ed imparziale l'osservanza della legge, sia in 
sede di giustizia ritenuta che in sede di giustizia delegata. Tanto, poi, 
nel nome di una � morale della cosa pubblica � che lo accomunava 
all'Ombudsman scandinavo nella� simile matrice etico-religiosa: giansenista 
l'una, protestante l'altra. 

E l'Avvocatura dello Stato Italiano, innestandosi direttamente 
sul ceppo toscano, eredit� -pur nella diversit� delle istituzioni una 
vocazione spiccatamente legalitaria e giustiziale. E questa esercit� 
anche negli anni difficili in cui lo spirito autoritario dei tempi 
tendeva a privilegiare gli interessi contingenti dello Stato-apparato. 

L'Istituto trov� sempre modo di tutelare, accanto e al di sopra 
di esso, quello immanente della giustizia. Non v'� dubbio, poi, che 
la Costituzione repubblicana e l'evolversi dell'ordinamento interno 
ed internazionale nel periodo postbellico, hanno istituzionalizzato e 
potenziato questa vocazione giustiziale. 

Ci� non significa certamente che l'avvocato dello Stato possa 
trasformarsi in giudice, compromettendo o disertan.do il dovere di 
assicurare la normale dialettica processuale, o sovrapponendo le sue 
valutazioni a quelle di competenza del potere esecutivo, il quale � peraltro 
nelle sue varie articolazioni il primo destinatario e protagonista 
del dovere �di osservanza della giustizia nell'azione amministrativa. 

La verit� � che ad una soddisfacente visione dei compiti e delle 
funzioni dell'Avvocatura non pu� p�rvenirsi se si concentra l'attenzione 
sul momento contenzioso. L'attivit� dell'Avvocatura si svolge, 
invero, in un arco molto pi� vasto, che va considerato unitariamente, 
se!'lza possibilit� di fratture tra funzione contenziosa e funzione consultiva, 
L'una e l'altra devono concorrere a garantire la tutela degli 
interessi di cui sono portatori gli organi della Pubblica Amministrazione 
nel rispetto della ragione, immanente e primaria, della giustizia. 


E' questo il problema centrale, che continuamente si ripropone: 
quello del contemporaneo ed equilibrato soddisfacimento dell'esigenza 
di tutela tanto degli interessi pubblici settoriali o secondari 
quanto dell'interesse primario di giustizia. Non si tratta di una questione 
astrattamente suscettibile di soluzioni definitorie, ma del costante 
quotidiano travaglio nel quale devono affinarsi la coscienza 
e l'impegno dell'Avvocato dello Stato. Una linea di continua ricerca 
nella quale lo strumento di convinzion.e sar� sempre' e soltanto la 
logica del sapere e l'onest� del volere, mai l'esercizio del potere. 

Vi sono, nella storia, forme istituzionali che realizzano felici intui


zioni che il processo del tempo e l'evoluzione della coscienza sociale 

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DISCORSO PRONUNCIATO DALL'AVV. GIUSEPPE MANZARI Xlll 

vanno via via scoprendo in tutta la loro potenziale ricchezza. E' un 
processo inverso a quello dell'archeologia, attenendo non alla riscoperta 
del passato ma ad una sorta di predeterminazione del modo 
di farsi del futuro. L'Avvocatura � stata felicemente concepita con 
questa sua anima, con questa sua aristotelica �entelechia�, che la 
rende capace di crescere insieme con� la crescita della societ�, in modo 
da rispondere all'esigenza tecnica della difesa legale dell'apparapo 
dello Stato e da dare, al tempo stesso, una risposta leale ed appagante 
alla domanda di giustizia nell'azione pubblica. Una domanda che, 
quanto pi� l'azione pubblica si estende a permeare tutto il tessuto 
della vita sociale ed economica del Paese, pi� � imperiosamente e 
diffusamente radicata nella coscienza civile, non soltanto sul piano 
interno ma anche internazionale. 

L'Avvocatura dello Stato non detiene il potere: n� quello esecutivo, 
che appartiene al Governo e all'apparato dell'Amministrazione, 
n� quello giurisdit.ionale, che appartiene alle Magistrature. E 
tuttavia esercita un ruolo di altissima dignit�, quello della persuasione, 
che 'il difensore dello Stato pu� trarre, in sede contenziosa, 
come in sede consultiva, solo dalla sua scienza ed esperienza professionale 
e dall'indipendenza ed imparzialit� della sua coscienza. 

Un'attivit� di consulenza svolta in spirito di obbiettivit� e d'imparzialit� 
pu� valere a garantire l'efficacia e la tempestivit� dell'azione 
amministrativa, indirizzandola in concreto verso gli obbiettivi del 
pubblico bene nel rispetto della libert� e delle ragioni che l'ordinamento 
assicura agli altri soggetti. Ci� consente di utilizzare, secondo 
le pi� moderne pratiche ed intuizioni, lo strumento della prevenzione 
per ridurre la litigiosit� e rendere pi� efficace la difesa dello Stato 
quando sia inevitabile giungere alla contestazione, alla soluzione litigiosa. 


La consulenza dell'Avvocatura pu� essere meglio aderente al 
caso per caso, la sua posizione pu� essere, nei limiti della disponibilit� 
dei diritti, pi� flessibile e compromissoria. Ed anche a prescindere 
dall'utilit� di coltivare, in via preventiva, la soluzione amichevole, 
l'abbandono di una pretesa ingiusta o, al contrario l'insistenza senza 
debolezza in quella ritenuta giusta, sono scelte di cui l'organo legale 
dello Stato deve assumere la responsabilit� in vista del compito 
che ad esso necessariamente compete della difesa in sede giudiziaria, 
tanto che il parere tecnico giuridico dell'Avvocato Generale deve 
prevalere su quello dell'Amministrazione interessata. 

Nel senso indicato, la funzione si diversifica dall'intervento consultivo, 
altrettanto essenziale, di altri organi, primo tra tutti il Consiglio 
di Stato, in quelle che sono le sue caratteristiche connotazioni, 


Xl V RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

sottolineate nella sua lucida e precisa allocuzione dal Presidente Levi 
Sandri. A Lui mi � grato esprimere in questa occasione il mio fervido 
attaccamento all'Istituto, che egli con tanta dignit� rappresenta, 

. ed al quale mi onoro di aver appartenuto. Vi ho contratto un debito 
di cui serbo viva e profonda gratitudine, per l'arricchimento intellet-. 
tuale e spirituale ricevuto da colleghi valorosissimi, di cui ho portato 
con me il gradito ed ammirato ricordo. In quest� spirito desidero 
sviluppare la pi� rispettosa e proficua collaborazione con quella 
e con ogni altra magistratura, cui l'Avvocatura � chiamata a dare 
il contributo del suo servizio in sede defensionale. 
In relazione a quanto considerato al riguardo delle responsabilit� 
dell'organo legale dello Stato in materia consultiva e contenziosa, 
risulta posto in luce come il parere tecnico giuri<j.ico dell'Avvocato 
Generale debba prevalere su quello dell'Amministrazione interessata. 
Ci� ribadisce la nuova legge, la quale, per�ltro, al tempo stesso 
precisa che la decisione finale, ove permanga il dissenso, spetta, sen


. za possibilit� di delega, al responsabile politico -cio� al Ministro o 
all'organo politico regionale, fermo peraltro il rispetto dei principi 
della deontologia professionale. 
In questo senso, dunque, l'Avvocatura dello Stato, che non � 
dotata di autogoverno ma dipende organizzativamente dalla Presidenza 
del Consiglio, � ragionevolmente subordinata alle decis.ioni del 
potere politico, senza che da ci� derivi menomazione della autonomia 
funzionale e del potere-dovere dell'avvocato di operare secondo la 
sua scienza e coscienza. 
A conferma della posizione spesso distaccata da specifici interessi 
di parte, ma volta alla realizzazione dei fini primari di giustizia 
dell'ordinamento, sta la funzione che l'Avvocatura dello Stato 
svolge, in particolare, davanti alla Corte Costituzionale e in alcuni 
giudizi davanti alla Corte di. Giustizia delle Comunit� Europee. 
Questo distacco dall'interesse tipicamente di parte �si esprime 
(pi� particolarmente in sede di esercizio dell'attivit� generale di consulenza) 
anche nell'ipotesi del conflitto di attribuzioni. 
In questa nuova sorta di � actio finium regundorum �, che investe 
non pi� i campi del recessivo mondo della ragione privata, ma 
quelli dell'espansivo mondo della ragione pubblica, l'Avvocatura dello 
Stato interviene davanti alla Corte Costituzionale solo in funzione 
di garantire l'obbiettivo, costituzionalmente protetto, del contenimento 
di ciascun potere nel proprio confine. 
Ancora pi� significativa � la posizion� dell'Avvocatura nei giudizi 
di legittimit� costituzionale delle leggi, nei quali assume una 
funzione per tanti versi dssimiiabile a quella del Pubblico Ministero 
che interviene in giudizio in veste �di difensore della legge. .Analo



DISCORSO PRONUNCIATO DALL'AW. GIUSEPPE MANZARI 

ghe situazioni si verificano nelle controversie relative all'interpreta


zione dei trattati e delle norme comunitarie dinanzi alla Corte di Giu


stizia delle Comunit� Europee -o ad altri collegi internazionali. 

Si pu� cos� con sicurezza affermare che l'attivit� dell'Istituto 

va ben oltre i confini di un servizio reso allo Stato-amministrazione 

per qualificarsi a pieno titolo come attivit� svolta ne.ll'interesse del


l'ordinamento e di tutti i suoi soggetti, primi fra tutti i cittadini. 

Ed un nuovo significativo compito, in tal senso, � quello -af


fidato all'Avvocato Generale dalla nuova legge -di stimolare l'ini


ziativa del Governo per superare carenze legislative e problemi in


terpretativi che l'Istituto incontra nell'esercizio della sua attivit�. 

Sono questi nelle loro grandi linee, i prestigiosi compiti dell'Isti


.tuto, che hanno meritato, io credo, l'onore della presenza a questa 

cerimonia del Capo dello Stato, del Pr.esidente Sandro Pertini, il quale 

reca tra noi -ed io desidero a nome di tutta l'Avvocatura rendergli 

il pi� sentito e profondo omaggio -insieme all'alta �dignit� della 

sua carica la testimonianza di un'esemplarit� di vita da cui ciascuno 

di noi potr�, nel proprio servizio, trarre ispirazione di fermezza 

e dirittura. 

Con l'intuizione della suprema autorit� politica del Paese e del


1'eminente giurispubblicista, Ella Signor Presidente del Consiglio, 

ha individuato, rriolto incisivamente, il problema di fondo dell'Istitu


to in quello del suo adeguamento alla nuova legge, che ho pi� volte 

richiamato, n. 103 del 1979. 

Ella ebbe occasione, Signor Presidente del Consiglio, nel cele


brare pochi anni or sono, il centenario dell'Istituto, di rilevare la ne


cessit� di revisione di un ordinamento legislativo vecchio ormai di 

quasi mezzo secolo. 

Gi� in quell'occasione ebbi l'onore di stare vicino a Lei in que


sta sala. � un ricordo che suscita nel mio spirito -e ne sono �er


to -anche nel suo, un senso di tragico incolmabile vuoto: la scom


parsa di chi Lei allora rappresentava, la scomparsa di un Amico illu-� 

stre al quale io davo la mia modesta; ma devota, leale, costante col


laborazione sul piano amministrativo ogni volta che egli assumeva 

un imp_egno di governo. 

Mi sia consentito rivolgere un commosso, riverente pensiero alla 
� levatura e delicatezza del suo animo, alla sua illuminata intelligenza, 

che si esprimeva in superiori intuizioni politiche, alla sua fermezza 

e dirittura morale, al suo senso dello. Stato, se questo �, come io 

ritengo che sia, in regime democratico, rispetto della legge, rispetto 

delle istituzioni, rispetto degli uomini, delle loro libert�, delle loro 

opinioni, della loro personalit�, del loro .diritto a conseguire con tutti 

i mezzi consentiti i beni della vita garantiti dall'ordinamento. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

XVI 

La nuova legge, Signor Presidente, ad onta del riduttivo titolo 
di �Modifiche all'ordinamento dell'Avvocatura�, rinnova l'Istituto 
dalle fondamenta, potenziandolo sia sul piano delle funzioni commessegli, 
che vengono ampliate e pi� adeguatamente qualificate, sia su 
quello strutturale dell'organizzazione, incrementando il numero (in 
misura peraltro modesta e non prontamente realizzabile), la qualificazione 
e la dignit�, in termini di funzione, degli avvocati e .procuratori 
dello Stato. 

Restano tuttavia allarmanti carenze, che rischiano di vanificare la 
sostanziale bont� del nuovo ordinamento. 

Si tratta della totale insufficienza degli strumenti di supporto, 
materiali e personali, dell'attivit� professionale dell'Istituto. Sul piano 
materiale devo subito dare atto che � stata da tempo avviata l'organizzazione 
di strumenti sofisticati (ma non ancora adeguatamente 
operanti e su cui desidero rimeditare in termini realistici e di produttivit�), 
ma occorre realizzare ex novo un'adeguata rete di stru


menti indispensabili per l'esercizio proprio dei compiti di istituto. 
Sull'altro piano occorre provvedere senza indugio ad un riassetto dell'ordinamento 
del personale che, a diversi livelli, presta la sua collaborazione 
ad avvocati e procuratori dello Stato. E' un problema 
troppo spesso rinviato che non pu� risolversi senza un congruo ampiamento 
dell'organico ed una riqualificazione delle mansioni per 
adeguarle a specifiche esigenze dell'Istituto. 

Mi permetto osservare che se tempestivit� ed efficienza devono 
essere, in via generale, connotati essenziali dell'azione amministrativa, 
tale carattere deve a pi� forte ragione improntare la funzione 
ausiliaria che � propria dell'Avvocatura. 

Essa si svuoterebbe di contenuto se la consulenza non intervenisse 
in tempo utile ad orientare l'amministrazione e se la difesa in 
giudizio (a parte i problemi dell'osservanza di rigorosi termini) non 
fosse tanto sollecita da stimolare con validi impulsi il gi� faticoso e 
lento meccanismo del procedimento giudiziario, in modo da evitare 
la vanificazione -per il solo effetto della lunga durata della vertenza 
-dell'azione della Pubblica Amm.inistrazione che l'Avvocatura �� 
chiamata a presidiare. 

Le difficolt� che da tali carenze derivano sono proporzionali ai 
compiti d'istituto. Questi sono enormemente .cresciuti, mentre le 
strutture di supporto sono le stesse da tempi ormai remoti. Basti 
pensare all'estendersi alle Regioni anche del patrocinio previsto dall'art. 
10 della nuova legge, che differisce dal patrocinio facoltativo, 
a mio avviso ancora_ consentito, per l'effetto che produce di rendere 
applicabili le norme speciali sulla difesa in giudizio dello Stato. E 
tale rapporto tra Avvocatura dello Stato e Regioni caratterizza ulte


~ 


DISCORSO PRONUNCIATO DALL'AVV. GIUSEPPE MANZARI XVII 

riormente, nel senso che si � precisato; la nuova connotazione assunta 
dall'Istituto. 

Oltre a ci� si consideri l'assunzione necessaria della difesa di
�nanzi ai collegi internazionali o comunitari. E' un settore, quest'ultimo, 
al quale mi ha reso particolarmente sensibile la fruttuosa esperienza 
di lavoro vissuta presso il Ministero degli Esteri, per la quale 
desidero esprimere al Ministro Malfatti, al quale invio auguri di 
pronta guarigione, ed ai rappresentanti della Farnesina il mio ringraziamento 
e dare atto dell'impegno e della competenza con cui vengono 
da quel Ministero �seguiti complessi problemi interdisciplinari, 
spesso caratterizzati da una forte incidenza di profili politici. Questo 
saluto e questo apprezzamento si estendono, attraverso i rappresentanti 
del Governo che ci onorano della loro presenza, a tutta la Pubblica 
Amministrazione, la cui preziosa opera al servizio del Paese 
� ben conosciuta dall'Avvocatura, che all'Amministrazione � legata 
da una antica tradizione di collaborazione, che � mio dovere ed auspicio 
rendere, nel futuro, ancora pi� fruttuosa e proficua. 

E vengo ai doveri che sono propri dell'Avvocat� Generale. Io 
ho il compito di viverli, non di parlarne. Desidero solo -dichiarare 
che rispetter� rigorosamente non solo la lettera ma lo spirito del 

programma tracciato dalla nuova legge. I o mi trovo nella fortunata 
ma difficile condizione di intraprenderne l'attuazione. Ho gi� detto� 
quali sono i principi cardine ai quali mi atterr�. Rispetto della di


-gnit� e della deontologia professionale, nei rapporti interni e nelle 
relazioni esterne di esercizio delle attivit� istituzionali. Ampio ricorso, 
per l'esercizio dell'azione di guida e di coordinamento, al principio 
della collegialit�, ben oltre le prescrizioni della strutturazione legislativa. 
Questa prevede istituti del livello e dell'importanza del consiglio 
degli avvocati e procuratori e del comitato consultivo, ma non 
preclude forme ulteriori di aggregazione, rispondenti allo spirito innovativo 
e moderno che pervade la nuova legge e che deve penetrare la 
vita dell'Istituto. 

Ci� potr� comportare un non lieve prezzo da pagare in termini 
personali da parte di tutti gli avvocati dello Stato, essendo, com'� 
noto, quello della convinzione strumento di lavoro tra i pi� faticosi. 
Ma anche tra i pi� dignitosi, stimolanti e produttivi, come sa chi ha 
vestito la toga dell'dvvocato e per una causa, per giunta, cos� alta 
come � quella sempre mirat� alla tutela del generale interesse, cui 
� finalizzato il servizio dell'Avvocatura. 

Mi propongo altres� di promuovere la continuit� del collegamento 
operativo; all'interno dell'Istituto, tra avvocati e procuratori 
in modo che questi non si sentano emarginati dall'esercizio della professione 
e possano beneficiare di un lavoro di (( �quipe � capace di 


XVIII RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

organizzare lo scambio e l'integrazione di specificit� di attribuzioni, 
di competenze ed esperienze interdisciplinari, col supporto della razionale 
utilizzazione degli strumenti disponibili idonei ad evitare che 
l'Avvocato si senta frustrato e dimezzato nell'esercizio della sua attivit� 
professionale dall'applicazione ad incombenze ben lontane dalla 
sua qualificazione. 

E, soprattutto, stimoler� lo spirito di solidariet� e di colleganza 
che � la prima condizione di funzionalit� dell'Istituto. 

Colgo l'occasione per ringraziare della loro collaborazione i Vice 
Avvocati Generali e gli Avvocati Distrettuali, e per rinnovare per il 
loro tramite il mio cordiale saluto ai collaboratori delle sedi Distrettuali, 
in attesa degli incontri che presto, sede per sede, mi propongo 
di effettuare. Desidero riaffermare che l'Istituto pu� realizzare l'unitariet� 
e l'univocit� della sua funzione, ed attingere il pieno successo, 
a tutti .comune, della sua azione, solo utilizzando la totalit� delle 
sue forze. Queste, nella necessaria articolazione territoriale, sono indissolubilmente 
unite ed associate, con pari livello di dignit� e capacit�, 
al perseguimento di comuni obbiettivi funzionali. 

* * * 

E' giunto, ormai, il momento di concludere, anche se molto resterebbe 
da dire. Vorrei solo aggiungere, tirando le fila del discorso 
sin qui svolto, che la linea di tendenza tracciata dalle tradizioni dell'Istituto 
e di recente incisivamente riaffermata dalla legge di riforma, 
consente ormai anche a noi di dire -come l'Attorney General americano 
-che la Repubblica vince la sua causa ogni qualvolta venga 
resa giustizia in uno dei suoi Tribunali. 

Tale tendenza �, peraltro, ben lungi dall'aver dato tutti i positivi 
frutti di cui � capace: credo, invero, che un ampliamento dei profili 
�giustiziali� della funzione dell'Istituto corrisponderebbe -oltre 
che ad una precisa vocazione storica -a nuove esigenze che vanno 
maturando e precisandosi. 

Sono 'consapevole che allo stato della disponibilit� dei mezzi materiali 
e dell'organico del personale, a livello professionale e di collaborazione, 
pu� apparire futile se non contraddittorio pensare a 
programmi di espansione di compiti gi� troppo gravosi. Ritengo 
tuttavia di dover brevemente formulare qualche proposta relativamente 
a due problemi che dovrebbero, coerentemente con lo spirito 
dei tempi, trovare una non lontana soluzione, alla quale desidero 
recare un contributo che potr� almeno avere il pregio di un invito 
allo studio e alla riflessione. 



DISCORSO PRONUNCIATO DALL'AVV. GIUSEPPE MANZARI 

Il primo attiene al potenziamento della funzione preventiva svolta 
in sede consultiva: sull'esempio del Cancelliere di Giustizia svedese 
potrebbe commettersi all'Avvocatura dello Stato il compito di 
condurre un tentativo di conciliazione pregiudiziale ad ogni lite con 
la pubblica Amministrazione, riducendo, cos�, la litigiosit� e favorendo 
lo smaltimento dell'arretrato. Il modo di strutturare senza pesantezza 
questa funzione resta per ora affidato alla riflessione e alla 
fantasia del giusto momento. 

Il secondo attiene all'esigenza, propria dei nostri tempi, di rendere 
concrete le garanzie formali offerte dalla legge. 

Esso presenta due profili. Il primo, pi� cogente, riguarda il diritto 
alla difesa in giudizio degli indigenti. E' un principio sacrosanto, 
garantito dalla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo e dalla 
Costituzione repubblicana, la cui attuazione piena ed effettiva non 
� stata, peraltro, raggiunta, nell'ordinamento italiano. Si tratta dell'adempimento 
di un dovere dello Stato nel campo dell'assistenza 
giuridico-legale che tocca l'altra componente dello Stato ordinamento, 
i .cittadini (e nella specie quelli indigenti) ai quali tutti � finalizzata 
la funzione giustiziale che � specifica dell'Avvocatura dello Stato. 

L'altro profilo riguarda, in prospettiva, l'esigenza di completare 
l'assistenza degli indigenti nella linea di tendenza diretta a rendere 
effettivo il godimento delle garanzie formali dell'ordinamento. E' in 
corso di elaborazione davanti al Consiglio d'Europa, nel quale l'Italia 
� attivamente presente, una convenzione volta a rendere gratuito non 
solo il patrocinio ma anche la consulenza legale, affinch� i diritti fondamentali 
della persona umana, oltre che riconosciuti dall'ordinamento, 
siano conosciuti da tutti i cittadini. 

Del resto la direzione di sviluppo di questo secondo obbiettivo 
riconverge sul primo punto avanti indicato. 

Anche riguardo al problema del patrocinio e in prospettiva, 
della consulenza gratuita agli indigenti devo rinviare all'approfondimento 
della giusta sede e del giusto momento. Credo che l'Avvocatura 
dovrebbe limitarsi a una funzione di impulso e di coordinamento: 
essa, cio�, previo, forse, un vaglio orientativo sull'ammissibilit� 
in punto di diritto, dovrebbe smistare gli affari ad altri soggetti 
dotati di affidabilit� e di competenza, secondo moduli strutturali e 
funzionali da costruire attentamente. Tra questi potrebbe anche es� 
sere ripreso in considerazione, debitamente ridimensiona(o, il vecchio 
istituto dei cos� detti � delegati "� 

In tempi di rivalutazione di studi Vichiani, sollecitati dalla riscoperta 
della verit� della sua dottrina (che � poi la dottrina della 
verit� del � verum ipsum factum �), questo tipo di ricorso storico 
potrebbe forse utilmente accogliersi nella visione e nell'auspicio di 
una dialettica di progresso e di positive evoluzioni. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

E un altro auspicio, nella stessa prospettiva, vorrei formulare. 
Ho parlato del Cancelliere di Giustizia. svedese, che esercita funzioni 
molto vicine a quelle dell'Avvocato Generale dello Stato. Ho citato 
l'Attorney Generai che svolge analoghe funzioni. Desidero ancora 
ricordare che vi sono, in numerosi Paesi, organismi che al nostro, 
in modo pi� o meno immediato, corrispondono. 

Mi sia consentito inviare a questi Colleghi, con i quali abbiamo 
continui scambi d'informazioni e periodici incontri internazionali, il 
mio solidale ed augurale saluto nello spirito della comune vocazione 
di giustizia, ed espFimere l'augurio che, sul fondamento della giustizia, 
nella costruttiva dialettiva dell'evoluzione e del progresso, si possa 
insieme validamente contribuire al raggiungimento del bene supremo 
della pace in ogni Paese e fra tutti i Paesi. 

21 noveinbre 1979 


ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI 

G. 
ALBISINNI, Demolizione di argini effettuata, a norma dell'art. 2 T.V. 
sulle opere idrauliche, per la tutela dei buon regime delle acque 
pubbliche: applicabilit� dell'art. 46 legge 25 giugno 1865, n. 2359 I,. 200 
A. 
MARZANO, Regime fiscale differenziato e art. 95 del Trattata CEE I, 56 
E. 
VITALIANI, Ritrovamento di cose di interesse storico ed artistico 
ed istituto del tesoro I, 92 

PARTE PRIMA 

INDICE ANALITICO -ALFABETICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


ACQUE 

-Opere idrauliche -Provvedimenti 
per la tutela del buon regime delle 
acque Attivit� legittima della 

P.A. -Ammissibilit� dell'indennizzo 
ex art. 46 legge 2 giugno 1865, 
n. 2359 -Sussiste, con nota di G. 
ALBISINNI, 200. 
APPALTO 

-Appalto di o'pere pubbliche -Opere 
nella Regione Sicilia -Contratti anteriori 
alla L. reg. 26 maggio 1973, 

n. 21 -Capitolato generale dello 
Stato -Obbligatoriet� -Esclusione Richiamo 
-Rilevanza pattizia, 21.1. 
- 
Appalto di opere pubbliche -Opere 
nella Regione Sicilia -Contratti anteriori 
alla L. reg. 26 maggio �1973, 

n. 21 -Giudizio arbitrale in corso Impugnazione 
di nullit� del lodo Art. 
51 del capitolato generale del 
1962 -Applicabilit�, 212. 
- 
Appalto di opere pubbliche -Opere 
nella Regione Sicilia -Contratti anteriori 
alla L. reg. 26 maggio 1973, 

n. 21 " Lodo arbitrale -Errores in 
indicando -Clausola di riferimento 
all'art. 49 del capitolato generale del 
1895 -Valore Rinunzia -Compatibilit� 
su l'art. 51 del Capitolato generale 
del 1962 -Sussiste, 212. 
- 
Appalto di opere pubbliche -Opere 
statali -Capitolati genera.li -Natura 
-Regolamenti di organizzazione, 

209. 
ARBITRATO 

-Arbitrato obbligatorio -Clausola 
contrattuale modificatrice della 
composizione dei collegi -Modificazione 
in arbitrato volontario -Esclusione, 
209. 

-Condizioni generali per l'ap'palto dei 
lavori del Genio Militare -Arbitrato 

obbligatorio -Norma che Jo prevede 
-ILiegittimit� -Disapplicazione, 

209. 
ATTO AMMINISTRATIVO 

-Criteri di interpretazione -Riferimento 
alle determinazioni concrete 
in essi contenute -Necessit� -Sussiste, 
126. � 

-Ingiunzione -Esecutivit� -Visto 
pretorile -Non necessit�, 1. 

AVVOCATURA DELLO STATO 

- 
Notifiche -Ricorso avverso deci


�sioni del Consigl!io di Stato -Termine 
-Decorrenza --Notificazione Forma 
-Notificazione presso la 
.competente Avvocatura dello Stato Necessit� 
-Sussiste -Effetti, 117. 
COMPETENZA E GIURISDIZIONE 

-Controversie obbligatoriamente deferite 
alla competenza di arbitri -Domanda 
proposta al giudice ordinario 
-Competenza arbitrale -Esclusione, 
209. 

COMUNIT� EUROPEA 

-Agricoltura -Organizzazione comune 
dei mercati nel settore della 
carne suina e nel settore delle carni 
bovine -Regime nazionale dei prezzi 
al consumo -Compatibilit� -Limiti, 
42. 

-Agricoltura -Organizzazione comune 
dei mercati nel settore del latte 
e dei prodotti .lattiero-caseari -Regime 
nazionale di prezzi alla .produzione 
-Incompatibilit�, 41. 

-Direttiva del Consiglio 16 giugno 
1975, n. 75/439 -Oli usati -Raccolta, 
eliminazione e reimpiego -Incentivi 
-Armonizzazione -Poteri degli 
Stati membri, con nota di A. MARZANO, 
55. 


INDICE ANALITICO-ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA 

-Libera circolazione delle merci -Dis'posizioni 
fiscali interne discriminatorie 
-Oli rigenerati -Imposta di 
fabbricazione e sovrimposta di confine, 
con nota di A. MAR9ANO, 55. 

-Prezzi -Discipilina -Blocco dei prezzi 
di beni di Jargo consumo -Normativa 
comunitaria -Organizzazione 
comune di mercato -Compatibilit� 
-Limiti -Fattispecie (olio di 
semi), con nota di O. FIUMARA, 43. 

-Risorse proprie della Comunit� Accertamento 
e messa a disposizione 
-Poteri di controilo della 
Commissione -Limiti -Associazione 
ai controlli effettuati dai servizi 
amministrativi degli Stati membri Rapporti 
con l'autorit� giudiziaria Segreto 
istruttorio: op'ponibilit�, 73. 

-Risorse proprie della Comunit� Accertamento 
e messa a disposizione 
-Poteri di controllo della 
Commissione -Momento a partire 
dal quale possono essere esercitati, 
73. 

CORTE COSTITUZIONALE 

-Principio di eguaglianza -Presupposti 
e limiti di applicazione, 30. 

-Sindacato di legittimit� costituzionale 
-Codice di procedura penale Giudizio 
incidentale -Questione di 
legittimit� Costituzionale -Art. 359 Manifesta 
infondatezza -In genere Violazione 
dell'art. 24 della Costituzione 
nel caso di proscioglimento 
del falso testimone per ritrattazione 
-Esclusione, 222. 

DANNO CIVILE 

-Danni aUa salute -Risarcibilit�, 7. 
-Danni non patr1moniali -R.isarcibiLit� 
-Lhniti -Legittimit� costituzionale, 
7. 

DEMANIO 

-Demanio portuale -Marina mercantile 
-Concessione per utilizzazione 
di aree del demanio portuale per 
carico e scarico merci -Autorizzazione 
per la sola attivit� in conto 
proprio del titolare -Esigenza di 
espressa 'previsione nel provvedimento 
-Sussiste -Effetti, 126. 

-Demanio storico -Rinvenimento Premio 
-Omissione di denuncia Non 
spetta, con nota di E. VITALIANI, 
92. 

-Demanio storico e artistico -Vincoli 
ex art. 21 I. n. 1089/1939 -Incostituzionalit� 
per contrasto con 
.l'art. 42 della Costituzione -Manifesta 
infondatezza, 124. 

-Demanio storico e artistico -Vincoli 
storico-artistici -Vincolo indiretto 
ex art. 21 l. 1089/1939 -Inedificabilit� 
assoluta -Necessit� di 
congrua motivazione -Sussiste, 124. 

-Demanio storico e artistico -Vincoli 
storico-artistici -Vincolo indiretto 
ex art. 21 I. 1089/1939 -Necessit� 
di motivazione -Sussiste Criteri, 
124. 

EDILIZIA POPOLARE ED ECONOMICA 


-Legittimit� dei piani di zona -Riferimento 
aHa situazione di fatto 
es1stente alL'atto dell'emanazione Necessit� 
-Sussistenza, 127. 

-Piani di zona -Piano approvato in 
mancanza di un piano regolatore 
generale -Sopravvenuta approvazione 
del piano regolatore -Non 
sana, 127. 

ESPROPRIAZIONE PER P.U. 

-Occupazione d'urgenza -Accertamento 
preventivo dello stato dei 
luoghi e delle condizioni dei beni 
da occupare -Ammissibilit�, 113. 

FORZE ARMATE 

-Militare -Servizio di leva -Esercito 
-Domanda di esonero -Esonero 
d'autorit� ex art. 100 d.P.R. 

n. 237/1964 -Rapporto -Motivazione 
-Rilevanza -Effetti, con nota di 
R. TAMIOZZO, 123. 
GIURISDIZIONE CIVILE 

-Controversia di impiego pubblico 
attinenti a diritti patrimoniali con' 
seguenziali -Spettano al Pretore 
quale giudice del lavoro, 110. 

-Difetto di giurisdizione -Limiti alla 
sua eccepibilit�, 116. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

XXIV 

-Giurisdizione ordinaria ed amm1mstrativa 
-Concessione amministrativa 
in uso di bene 'pubblico appartenente 
al patrimonio indisponibile 
-Giurisdizione esclusiva del 
giudice amministrativo, 80. 

-Giurisdizione ordinaria ed amministrativa 
-Controversie patrimoniali 
connesse con il pubblico impiego Azione 
proposta .dall'Ente pubblico 
con procedimento monitorio ordinario 
-Difetto di giurisdizione del-
J'A.G.O., 88. . 

-Giurisdizione ordinaria ed amministrativa 
-Enti Autonomi lirici Natura 
di enti pubblici non economici 
-Giurisdizione del giudice amministrativo, 
83. 

-Giurisdizione ordinaria ed amministrativa 
-Espropriazione per p.u. Scadenza 
del termine fissato per il 
compimento dell'espropriazione 
Cessazione del potere espropriativo 
-Riespansione del diritto di 
propriet� -Giurisdizione dell'A.G.O., 

84. 
-Rapporti di impiego con enti pubblici 
-Atto di nomina -Modalit�, 84. 

-Regolamento preventivo di giurisdizione 
-Istruzione preventiva -Ammissione 
del mezzo istruttorio Non 
preclude la proposizione del 
regolamento, 113. 

-Ricorso per cassazione avverso decisioni 
del Consiglio di Stato -Limiti 
-Deducibilit� dell'erronea interpretazione 
e falsa applicazione di 
legge -Preclusione ex art. 362 cod. 
proc. pen., 117. 

- 
Sentenza riguardante la giurisdizione 
-Decorso del termine per l'impugnazione 
-Regolamento preventivo 
di giurisdizione Inammissibilit�, 
80. 

GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA 

-Appello -Ricorso -Ammissibilit� 
Procura speciale -Necessit� -Sussiste 
-Effetti, 122. 

-Autorizzazione a stare in giudizio Giudizio 
di impugnazione -Sindaco 
-Deliberazione in via di urgenza 
della Giunta comunale -Deliberazione 
di ratifica del Consiglio co


-Giurisdizione esclusiva -Inesistenza 
di un atto formale -Censurabilit� 
di un mero comportamento omissivo 
della P.A. -Ammissibilit�, 122. 

-Interesse legittimo -Interessi diffusi 
-Criteri -Presupposti -Natura, 
con nota di R. TAMIOZZO, 118. 

-Interesse legittimo -Interessi diffusi 
-Tutela del paesaggio -Bellezze 
naturali -Tutela di. interessi diffusi 
appartenenti ad una collettivit� 
-Presupposti, con nota di R. 
TAMIOZZO, 118. 

-Legittimazione sostanziale e processuale 
-Associazione Italia Nostra Tutela 
di interessi costituenti finalit� 
statutaria -Legittimazione -Limiti, 
c<:m nota di R. TAMIOZZO, 118. 

-Legittimazione sostanziale e processuale 
-Associazioni -Italia Nostra Riconoscimento 
governativo -Effetti 
-Limiti, con nota di R. TAMIOZZO, 
118. 

-Legittimazione sostanziale e processuale 
-Associazioni -Italia Nostra Tutela 
di interessi costituenti finalit� 
statutaria -Configurabilit� di 
interessi legittimo -Irrilevanza, con 
nota di R. TAMIOZZO, 118. 

-Ricorso giurisdizionale � Autorizzazione 
a stare in giudizio -Giudizio 
di impugnazione -Sindaco -Deliberazione 
in via di urgenza della 
Giunta comunale -Deliberazione di 
ratifica dcl Consiglio comunale -Necessit� 
-Sussiste a pena di inammissibi1it�, 
126. 

-Ricorso giurisdizionale -Controinteressati 
-Criteri di individuazione, 

124. 
-Ricorso giurisdizionale -Controinteressati 
-Criteri di individuazione Posizione 
giuridica rivestita al momento 
dell'emanazione dell'atto -Rilevanza 
-Effetti, 127. 

-Ricorso giurisdizionale -Controinteressato 
-Individuazione -Vincoli 
indiretti a tutela di beni di interesse 
storico e artistico � Proprietari del 
bene . � Carenza di posizione di controinteressati 
� Difetto di interesse 
diretto al vincolp imposto, 124. 

- 
Ricorso giurisdizionale -Controinteressato 
� Criteri di individuazio


munale -Necessit� -Sussiste a pena ne -Edilizia economica e popolare di 
inammissibilit�, 127. Impugnativa di .piano di zona � 

! 

I i 

-. I 


INDICE ANALITICO-ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA 

Provvedimento a carattere generale 
e programmatico -Inconfigurabilit� 
di controinteressati, 127. 

-Ricorso giurisdizionale -Controinteressato 
-Criteri di individuazione 
-Sussistenza di un interesse qualificato 
alla conserva2:ione dell'atto Sussiste 
-Effetti, 125. 

-Ricorso giurisdizionale -Interesse 
all'impugnazione -Attualit� -Duplice 
riferimento alla proposizione dell'appello 
e alla decisione -Necessit�, 
con nota di R. TAMIOZZO, 120. 

-Ricorso giurisdizionale -Interesse 
all'impugnazione -Sopravvenuta carenza 
di interesse -Improcedibilit� Sussiste 
-Effetti -Annullamento 
senza rinvio, con nota di R. TAMIOZZO, 
121. 

IMPIEGO PUBBLICO 

-Ingegneri dell'A.N.A.S. -Compensi 
per collaudi di opere pubbliche per 
conto dell'Amministrazione di appartenenza 
-Diniego -Legittimit�, 

122. 
- 
Qualifica funzionale Contrasto 
con i principi fondamentali stabili 
dalle leggi dello Stato e con i criteri 
di buon andamento e di impar;
i:ialit� -Non sussiste, 30. 

ISTRUZIONE 

-Universit� -Assegno annuo -Incompatibilit� 
con trattamenti eco. 
nomici omnicomprensivi, 25. 

-Universit� -Incarichi di insegnamento 
-Equiparazione dei lavoratori 
dipendenti ai lavoratori autonomi, 
26. 

LAVORO 

-Rapporti di lavoro -Indennit� di 
anzianit� -Computo del lavoro 
straordinario -Condizioni, 116. 

LEGGI E REGOLAMENTI 

-Regolamento -Contrasto con norme 
costituzionali -Disapplicazione Ammissibilit�, 
209. 

LOCAZIONE 

-Necessit� del locator� -Diversit� 
di disciplina a seconda delle condizioni 
economiche dei conduttori Illegittimit� 
costituzionale, 39. 

ORDINAMENTO GIUDIZIARIO 

-Pubblico ministero -T�itolarit� ed 
obbligatoriet� dell'azione penale, 5. 

PENA 

-Pene pecuniarie -Conversione in 
pene detentive -I1legittimit� costituzionale, 
21. 

PENSIONI 

-Garanzia costituzionale -Sussistenza 
-Riduzione e ripartizione della 
pensione durante espiazione di pena 
detentiva -Illegittimit� costituzionale, 
5. 

POSTE E TELECOMUNICAZIONI 

. -Inoltro di stampe pornografiche Divieto 
Legittimit� costituzionale, 
9. 

PREVIDENZA 
-Pensione I.N.P.S. -Pensione di riversibilit� 
per le figlie a carico inabili 
al lavoro -Cessazione per susseg~
nte matrimonio -I1legittimit� 
costituzionaJe, 25. 
-Personale degli enti focali -Trattamenti 
supplementari di fine servizio 
-Soppressione daL l 0 marzo 1966 Limiti 
-Legittimit� costituzionale, 24. 

PROCEDIMENTO PENALE 

-Atti istruttori -Atti pr�liminari 
all'istruzione (preistruzione) In 
genere -Nozione di atto istruttorio 
-Obbligo della comunicazione 
giudiziaria all'indiziato limitata ai 
soli atti istruttori in senso stretto, 

222. 
-Mancanza di querela -Diritto dell'imputato 
prosciolto di proporre 
appello -Non sussiste, 4. 
-Persona non imputabile -Ricovero 
in manicomio -Competenza del giudice 
istruttore -Legittimit� costituzionale, 
20. 


XXVI RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

-Reato -Prescrizione del reato per 
concessione di attenuanti -Diritto 
dell'imputato prosciolto di proporre 
appello -Sussiste, 4. 

REATO 

-Falsit� in atti -Atto pubblico o privato: 
nozione -Libro giornale delle 
girate -� atto privato, 222. 

-Falsit� in atti -Falsit� ideologica In 
certificati� -Commessa da pubblico 
ufficiale -� Differenza, 222. 

-Ingiuria e diffamazione -In scritti 
dei consulenti tecnici di parte Punibilit�, 
20. 

-Truffa -Circostanze aggravanti Truffa 
in danno dello Stato o altro 
ente pubblico -Frode fiscale -Fat. 
tispecie, 222. 

REQUISIZIONE 

-Requisizioni ex art. 7 I. 20 marzo 
1865, n. 2248, all. E -Competenza 
sussidiaria del Sindaco -Condizioni, 

127. 
RISCOSSIONE DELLE ENTRATE 
PATRIMONIALI 

-Entrate patrimoniali Visto pretorile 
-Non necessit�, 1. 

SUCCESSIONI 

-Coniuge del binubo -Limite della 
capacit� di ricevere per testamento 
-Illegittimit� costituzionale, 29. 

TRIBUTI ERARIALI DIRETTI. 

-Imposta di ricchezza mobile -Istituto 
Autonomo Case Popolari 
Redditi derivanti da costruzione e 
gestione di immobili di altri soggetti 
-Tassabilit� -Distinzione, 173. 

-Imposta di ricchezza mobile -Plusvalenza 
-Permuta -Non costituisce 
realizzo -Esclusione di plusvalenza 
tassabile, con nota di C. BAFILE, 
184. 

-Imposta sui redditi di ricchezza 
mobile -Sopravvenienze attive Versamenti 
dei soci in proporzione 
alle quote di partecipazione nella 

societ� -Conferimento anomalo nel 
patrimonio -Non costituisce reddito 
per la societ�, 163. 

-Imposte fondiarie -Imposta sui fabbricati 
-Agevolazione per le case 
di abitazione non di lusso -Legislazione 
della Regione siciliana -Conformit� 
della costruzione della licenza 
edilizia -:B necessaria, 150. 

TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI 

-Imposta di registro -Agevolazione 
per le case di abitazione non di 
lusso -Appalto -Risoluzione prima 
dell'inizio dell'opera -Realizzazione 
della costruzione con altre iniziative 
-Decadenza, 170. 

-Imposta di registro -Agevolazione 
per le case di abitazione non di 
lusso -Rapporto fra superfici Piani 
sopraterra -Nozione, 181. 

-Imposta di registro -Agevolazione 
per le case di abitazione non di 
lusso -Rapporto fra superfici destinate 
ad abitazioni e negozi -Criteri 
-Concetto di destinazione, 181. 

-Imposta di registro -Agevolazione 
per il Mezzogiorno -Fattore territorio 
-Societ� operante esclusivamente 
nel Mezzogiorno -Determinazione 
nello statuto successivamente 
all'atto da registrare -Esclusione 
dell'agevolazione, 132. 

-Imposta di registro -Enunciazione 
-Societ� di fatto -Ammontare 
dei conferimenti -�Momento di riferimento 
-Si presume la data della 
enunciazione salvo prova contraria 
inoppugnabile, 154. 

-Imposta di registro -Mezzi di prova 
-Prova testimoniale -Inammissibilit�, 
154. 

-Imposta di registro -Societ� -Aumento 
di capitale -Sovrapprezzo 
azioni -Conferimento nel patrimonio 
-Agevolazione del Mezzogiorno 
sull'aumento di capitale -Esclusione, 
132. 

-Imposta sull'entrata -Acque gassate 
-Aliquote o quote condensate Decreto 
dell'intendente di finanza 
per la determinazione del prezzo 
medio -Legge 31 ottobre 1966, 

n. 941 -Legittimit�, con nota di 
C. BAFILE, 156. 
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INDICE ANALITICO-ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA 

-Imposte di fabbricazione -Spiriti Prescrizione 
-Fatto costituente reato 
-Decorrenza dalla � data della 
sentenza penale anche se di proscioglimento, 
137. 

-Imposte di fabbricazione -Spiriti Testo 
unico 8 luglio 1924 -Natura Fonti 
normative, 137. 

-Imposte doganali -Prescrizione Fatto 
costituente reato -Decorrenza 
dalla data della sentenza penale Morte 
dell'imputato -Applicabilit� 
della regola generale, 136. 

-Imposte in surrogazione del bollo 
e del registro -Credito a medio e 
lungo termine -Regime sostitutivo Operazioni 
su cambiali -Sono ricomprese, 
176. 

-Imposte sull'entrata -Compenso 
corrisposto alle banche per il deposito 
vincolato di buoni ordinari 
del tesoro presso l'Istituto di emissione. 
Interesse derivante ,da puro 
impiego di capitale -Esclusione 
Soggezione all'imposta, 129. 

TRIBUTI IN GENERE 

-Potest� tributaria di imposlZlone Regione 
Siciliana -Potest� legislativa 
concorrente -Concetto -Limiti, 

150. 
-Potest� tributaria di imposizione Riserva 
di legge relativa -Normativa 
rimessa al Ministro delle Finanze 
e per sua delega agli intendenti 
di finanza -Imposta sull'entrata 
-Legge 31 ottobre 1966, n. 941 Illegittimit� 
costituzionale -Manifesta 
infondatezza, con nota di 

C. BAFILE, 156. 
TRIBUTI LOCALI 

-Imposta sull'incremento di valore 
degli immobili -Base imponibile Mancata 
depurazione degli incrementi 
dipendenti dalla svalutazione 
della moneta -Illegittimit� costituzionale 
-Esclusione, 11. 

-Imposta sull'incremento di valore 
degli immobili -Base imponibile Sistema 
delle detrazioni -Illegfttimit� 
costituzionale, 11. 


INDICE CRONOLOGICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


CORTE COSTITUZIONALE 

4 luglio 1979, n. 62 
16 luglio 1979, n. 72 
26 luglio 1979, n. 83 
26 luglio 1979, n. 84 
26 luglio 1979, n. 87 
26 luglio 1979, n. 88 
26 luglio 1979, n. 92 
10 agosto 1979, .n. 100 
10 ottobre 1979, n. 118 

8 novembre 1979, n. 126 
14 novembre 1979, n. 127 
14 n.ovembre 1979, n. 128 
21 novembre 1979, n. 131 
6 dicembre 1979, n. 138 
6 dicembre 1979, n. 140 
6 dicembre 1979, n. 141 

20 dicembre �1979, n. 153 
30 gennaio 1980, n. 10 
12 febbraio 1980, n. 16 
27 febbraio 1980, n. 22 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE 

6 novembre 1979, ne1la causa 10/79 . 

8 gennaio 1980, nella causa 21/79 
10 gennaio 1980, nella causa 267/78 
17 gennaio 1980, nelle cause riunite 95 e 96/79 


GIURISDIZIONI CIVILI 

CORTE DI CASSAZIONE 

Sez. Un. Civ., 9 gennaio 1978, n. 57 
Sez. I, 24 novembre 1978, n. 5522 
Sez. I, 12 maggio 1979, n. 2737 
Sez. I. 17 maggio 1979, n. 2821 
Sez. I, 25 maggio 1979, n. 3033 
Sez. I, 28 maggio 1979, n. 3079 
Sez. I, 28 maggio 1979; n. 3085 


pag. 1 
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pag. 41 
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� 42 

pag. 200 

)) 211 

)) 129 
)) 

132 
)) 136 

)) 137 

)) 150 



INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA 

Sez. I, 6 giugno 1979, n. 3202 
Sez. I, 8 giugno 1979, n. 3249 
Sez. I, 8 giugno 1979, n. 3253 
Sez. I, 18 giugno 19'79, n. 3417 
Sez. I, 9 luglio 1979, n. 3915 
Sez. I, 10 luglio 1979, n. 3955 . 
Sez. I, 13 luglio 11979, n. 4081 . 
Sez. I, 21 luglio 1979, n. 4375 . 
Sez. Un., lo ottobre 1979, n. 5037 
Sez. Un., 9 ottobre 1979, n. 5220 
Sez. Un., 11 ottobre 1979, n. 5265 
Sez. Un., 11 ottobre 1979, n. 5267 
Sez. Un. Givili, 2 novembre 1979, n. 5687 
Sez. I, 15 novembre 1979, n. 5946 . 
Sez. Un., 119 novembre 1979, n. 6011 
Sez. I, 20 novembre 1979, n. 6055 . 
Sez. Un., 26 novembre 1979, n. 6171 
Sez. Un., 26 novembre 1979, n. 6178 
Sez. Un., .11 dicembre 1979, n. 6442 
Sez. Un., 13 dicembre 1979, n. 6496 
Sez. I, 28 gennaio 1980, n. 658 . . 


GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE 

CONSIGLIO DI STATO 

� Ad. PI., 19 ottobre 1979, n. 24 

Sez. IV, 22 giugno 1979, n. 514 

Sez. IV, 6 luglio 1979, n. 570 

Sez. IV, 30 ottobre 1979, n. 877 

Sez. IV, 9 novembre 1979, n. %7 

Sez. IV, 13 novembre 1979, n. 985 

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 

LAZIO, Sez. Il, 20 giugno 197~, n. 508 
TOSCANA, 26 ottobre 1979, n. 1061 


GIURISDIZIONI PENALI 

CORTE DI CA!SSAZIONE 
Sez. II, 30 gennaio 1979, n. 157 . . . . . . . . . . . . . . . 


pag. 154 
� 156 
� 163 
� '170 
� 173 
� 176 
� 92 
� 181 
� 80 

� . 184 
� 80 
� 83 
� 117 
� 43 
� 84 
)} 110 
� 84 
� 113 
� 88 
� 116 
209

" 

pag. 118 
� 123 
� 120 
� 127 
� 122 
� 127 

pag. 124 
� 125 

pag. 222 


PARTE SECONDA 
INDICE ANALITICO -ALFABETICO 
PARTE SECONDA 
INDICE ANALITICO -ALFABETICO 
DELLE CONSULTAZIONI 


rizzazioni e approvazioni Organi 
competenti, 23. 
dio o di furto -Assicurazione -
Ammissibilit�, 25. 
AERONAUTICA E AEROMOBILI 

-Navigazione aerea -Diritti aeroportuali 
partenza -Approdo -Ricovero 
-Agevolazioni previste per gli 
aeromobili da turismo -Abrogazione 
-Configurabilit�, 22. 

AGRICOLTURA 

-Imposta di fabbricazione -Carburante 
agevolato per l'agricoltura Cooperative 
agricole -Limiti� di utilizzazione, 
22. 

APPALTO 

-Contratto per la costruzione di una 
gru mobile su binari infissi nella 
banchina di un arsenale militare 
marittimo -Natura -Revisione dei 
prezzi -Disciplina, 22. 

-Contratto per la costruzione di una 
nave o per l'esecuzione di lavori 
nella medesima -Natura -Revisione 
prezzi -Disciplina, 22. 

ASSICURAZIONE 

-Demanio artistico -Rischio di incendio 
o di furto -Assicurazione Ammissibilit�, 
23. 

AUTOVEICOLI 

-Esercizio di funzioni di polizia da 
parte del privato cittadino -Danni 
sopportati in tali circostanze -Risarcibilit�, 
23. 

BONIFICA 

-Consorzio di bonifica -Contributi 
Per servit� telegrafica, 23. 

COMUNI E PROVINCE 

-Comuni e provincie -Mutui -Auto


-Lavoro subordinato -Trattamento 
del prestatore di lavoro investito di 
funzioni pubbliche elettive -'Partecipazione 
a riunioni di consigli comunali 
o provinciali -Assenza dal 
lavoro -Retribuzione, 23. 

CONCORSI 

-Impiego pubblico -Concorso per 
esami -Ammissibilit� di candidato 
non vedente -Costituzione, 23. 

CONTABILIT� GENERALE DELLO 
STATO 

-Associazione nazionale controllo 
combustione -Corrispettivo servizi 
espletati -Ritardo nel pagamento 
da parte di P.A. -Indennit� di 
mora -Applicabilit�, 24. 

CONTRIBUTI E FINANZIAMENTI 

-Edilizia scolastica -Contributi statali 
per scuole materne -Riscatto 
anticipato, 24. 

COOPERATIVE 

-Cooperative -Ispezioni ordinarie 
delle associazioni nazionali -Contributi 
-Riscossione coattiva, 24. 

-Imposta di fabbricazione -Carburante 
agevolato per l'agricoltura Cooperative 
agricole -Limiti di utilizzazione, 
24. 

DANNI 

-Manifestazioni e tumulti -Danneggiamenti 
e furti -Mancato intervento 
della polizia -Responsabilit�, 
24. 

DEMANIO 

-Demanio artistico -Rischio di incen



INDICE DELLE CONSULTAZIONI 

-Edifici pubblici -Edifici scolastici Abbellimento 
, con opere d'arte Abolizione 
del relativo obbligo Eseguibilit� 
di opere d'arte gi� progettate, 
25. 

ENTI E BENI ECCLESIASTICI 

-Imposta sulle societ� -Enti morali Esenzione 
-Limiti, 25. 

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA 
UTILIT� 

-Espropriazione per pubblica utilit� Industrializzazione 
del Mezzogiorno 
-Espropriazione a favore di privati 
-Criteri di determinazione dell'indennit�, 
25. 

-Espropriazione per pubblica utilit� Opere 
da realizzarsi dalla cassa per 
il mezzogiorno in Sicilia -Competenza 
in ordine agli atti della procedura 
di occupazione d'urgenza e 
di espropriazione, 25. 

-Espropriazione per pubblica utilit� Opere 
statali nel territorio della 
provincia di Bolzano -Determinazione 
dell'indennit� -Applicabilit� 
di leggi provinciali, 26. 

FALLIMENTO 

-Fallimento -Piano di riparto -Decreto 
di approvazione -Ricorso per 
cassazione -Ammissibilit�, 26. 

IDROCARBURI 

-Imposta di fabbricazione -Carburante 
agevolato per l'agricoltura Cooperative 
agricole -Limiti di utilizzazione, 
26. 

-Imposte di fabbricazione -Concessioni 
di impianti carburanti -Responsabilit� 
del gestore -Responsabilit� 
solidale del concessionario, 26. 

IMPIEGO PRIVATO 

-Lavoro subordinato -Trattamento 
del prestatore di lavoro investito di 
funzioni pubbliche elettive -Partecipazione 
a riunioni di consigli comunali 
o �provinciali -Assenza dal 
lavoro -Retribuzione, 26. 

IMPIEGO PUBBLICO 

-Impiego pubblico -Concorso per 
esami -Ammissibilit� di candidato 
non vedente, 27. 

-Lavoro subordinato -Trattamento 
del prestatore di lavoro investito di 
funzioni pubbliche elettive -Partecipazione 
a riunioni di consigli comunali 
o provinciali -Assenza dal 
lavoro -Retribuzione, 27. 

-Opere pubbliche -Direzione lavori 
e collaudo di opere in cemento 
armato e a struttura metalliva Ufficiali 
del genio militare -Equiparabilit� 
agli ingegneri ed architetti, 
27. 

-Universit� -Concorsi per assistente 
universitario -Limiti di et� per 
l'ammissione -Configurabilit�, 27. 

IMPOSTA GENERALE SULL'ENTRATA 


-Violazioni tributarie -Pena pecuniaria 
per comportamento conforme 
a legge regionale derogatrice di 
quella statuale e dichiarata incostituzionale, 
27. 

IMPOSTE DI FABBRICAZIONE 

-Imposta di fabbricazione oli minerali 
-Revoca autorizzazione e rilascio 
certificati di provenienza per 
illeciti commessi da rappresentante 
di societ� -Concedibilit� dell'autorizzazione 
e nuovo rappresentante, 
28. 

-Imposta fabbricazione oli minerali 
-Societ� titolare di licenza di 
deposito revocata -Nuovo rappresentante 
-Rilascio di nuova licenza, 
28. 

-Imposta di fabbricazione oli minerali 
-Titolare di pluralit� di licenze 
di depositi -Revoca per violazioni 
compiute nell'esercizio di un solo 
deposito, 28. 

IMPOSTE DIRETTE 

-Imposta sulle societ� -Enti morali Esenzione 
-Limiti, 28. 
-Imposte dirette sui redditi -Cartella 
di pagamento -Notifica, 28. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

XXXII 

-Imposte sui redditi -Notifica atti Affissione 
avviso a deposito -Ambito 
di applicazione, 29. 

-Imposte sui redditi -Notifica atti Sottoscrizione 
del consegnatario, 29. 

IMPOSTE E TASSE 

-Imposta sulle societ� -Enti morali Esenzione 
-Limiti, 29. 

-Imposte e tasse -Applicabilit� della 
normativa generale sulla semplifi�
azione dei procedimenti in materia 
di ricorsi amministrativi, 29. 

-Imposte e tasse -Tributi soppressi 
in attuazione della riforma tributaria 
-Normativa applicabile ai relativi 
ricorsi amministrativi, 29. 

IMPOSTE VARIE 

-Cooperative -Ispezioni ordinarie 
delle associazioni nazionali -Contributi 
-Riscossione coattiva, 30. 

ISTRUZIONE 

-Edifici pubblici -Edifici scolastici Abbellimento 
con opere d'arte Abolizione 
del relativo obbligo Eseguibilit� 
di opere d'arte gi� progettate, 
30. 

-Edilizia scolastica -Contributi statali 
per scuole materne -Riscatto 
anticipato,. 30. 

.,..-Universit� -Concorsi per assistente 
universitario -Limiti di et� per 
l'ammissione -Configurabilit�, 30. 

LAVORO 

-Lavoro subordinato -Trattamento 
del prestatore di lavoro investito 
di funzioni pubbliche elettive � Partecipazioni 
a riunioni di consigli comunali 
o provinciali -Assenza dal 
lavoro -Retribuzione. 

MEZZOGIORNO 

-Espropriazione per pubblica utilit� 
-Industrializzazione del Mezzogiorno 
-Espropriazione a favore di 

privati � Criteri di determinazione 

dell'indennit�, 31. 

-Espropriazione per pubblica utilit� 
� Opere da realizzarsi dalla 
Cassa per il mezzogiorno in Sicilia Competenza 
in ordine agli atti della 
procedura di occupazione d'urgenza 
e di espropriazione, 31. 

NAVI E NAVIGAZIONE 

-Contratto per la costruzione di una 
nave o per l'esecuzione� di lavori 
nella medesima � Natura -Revisione 
prezzi -Disciplina, 31. 

NOTIFICAZIONI 

-Imposte dirette sui redditi � Cartella 
di pagamento � Notifica, 31. 

-Imposte sui redditi � Notifica atti � 
Affissione avviso a deposito � Ambito. 
di applicazione, 32. 

-Imposte sui redditi � Notifica atti � 
Sottoscrizione del consegnatario, 32. 

OBBLIGAZIONI E CONTRATTI 

-Contratti a pubblica fornitura � Eccessiva 
onerosit� sopravvenuta � Risolubilit�, 
32. 

OPERE PUBBLICHE 

-Contratto per la costruzione di una 
gru mobile su binari infissi nella 
banchina di un arsenale militare 
marittimo -Natura � Revisione dei 
prezzi -Disciplina, 32. 

-Contratto per la costruzione di una 
nave o per l'esecuzione di lavori 
nella medesima -Natura � Revisione 
prezzi -Disciplina, 32. 

-Edifici pubblici -Edifici scolastici � 
Abbellimento con opere d'arte Abolizione 
del relativo obbligo � 
Eseguibilit� di opere d'arte gi� progettate, 
33. 


-Opere pubbliche -Direzione lavori 
e collaudo di opere in cemento 
armato e a struttura metallica � 
Ufficiale del genio militare � Equiparabilit� 
agli ingegneri ed archi., 
tetti, 33. 


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I 

I 

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INDICE DELLE CONSULTAZIONI 

XXXIII 

POLIZIA 

-Esercizio di funzioni di polizia da 
parte del privato cittadino -Danni 
sopportati in tali circostanze -Risarcibilit�, 
33. 

-Manifestazioni e tumulti -Danneggiamenti 
e furti -Mancato intervento 
della polizia -Responsabilit�, 
33. 

PORTI 

-Demanio -Porti e approdi turistici 
realizzati in lagune -Classificabilit� 
nel demanio marittimo o nel demanio 
idrico, 33. 

-Demanio marittimo -Porti turistici 
-Concessioni d'esercizio -Ammissibilit�, 
33. 

PROFESSIONI 

-Opere pubbliche -Direzioni lavori 
e collaudo di opere in cemento 
armato e a struttura metallica Ufficiali 
del genio militare -Equiparabilit� 
agli ingegneri ed archi� 
tetti, 34. 

REGIONE SICILIA 

-Espropriazione per pubblica utilit� 
-Opere da realizzarsi dalla 
cassa per il Mezzogiorno in Sicilia Competenza 
in ordine agli atti della 
procedura di occupazione d'urgenza 
e di espropriazione, 34. 

REGIONI 

-Violazioni tributarie -Pena pecuniaria 
per comportamento conforme 
a legge regionale derogatrice di 
quella statuale e dichiarata incostituzionale, 
34. 

RESPONSABILIT� CIVILE 

-Esercizio di funzioni di polizia da 
parte del privato cittadino -Danni 
sopportati in tali circostanze -Risarcibilit�, 
34. 

-Manifestazioni e tumulti -Danneggiamenti 
e furti -Mancato intervento 
della polizia -Responsabilit�, 
34. 

RISCOSSIONE 

-Imposte dirette sui redditi -Cartella 
di pagamento -Notifica, 35. 

SERVIT� 

-Servit� militari -Contravvenzioni Ordine 
di ripristino dello Stato dei 
luoghi -Presupposti in ipotesi di 
giudicato penale di condanna, 35. 

-Servit� militari -Decreto di asservimento 
-Errore materiale nell'indicazione 
dei fondi interessati -Entrata 
in vigore della legge 24 dicembre 
1976, n. 898 -Rettifica del 
decreto anteriormente emanato Possibilit�, 
35. 

-Servit� militari -Limitazioni non 
ancora definite -Entrata in vigore 
della legge 24 dicembre 1976, n. 898 Rinnovazione 
della procedura di imposizione, 
35. 

STRADE 

-Strade -Varianti del tracciato decise 
dall'ente proprietario -Conseguente 
spostamento cavi telefonici Sopportazione 
della spesa, 36. 

TELEFONO 

-Strade -Varianti del tracciato decise 
dall'ente proprietario -Conseguente 
spostamento cavi telefonici Sopportazione 
della spesa, 36. 

TRIBUTI LOCALI 

-Imposte e tasse -Applicabilit� della 
normativa generale sulla semplificazione 
dei procedimenti in materia 
di ricorsi amministrativi, 36. 

-Imposte e tasse -Tributi soppressi 
in attuazione della riforma tributaria 
-Normativa applicabile ai relativi 
ricorsi amministrativi, 36. 

VIOLAZIONI TRIBUTARIE 

-Violazioni tributarie -Pena pecuniaria 
per comportamento conforme 
a legge regionale derogatrice di 
quella statuale e dichiarata incosti� 
tuzionale, 36. 


XXXIV RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
LEGISLAZIONE 
I. -Norme dichiarate incostituzionali . 
II. -Questioni dichiarate non fondate . 
III. -Questioni proposte 
pag. 
)) 
)) 
1 
2 
4 
INDICE BIBLIOGRAFICO . . . . . . . . . . . . . . . . . . )) 37 



PARTE PRIMA 



GIURISPRUDENZA 


SEZIONE PRIMA 

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

I 

CORTE COSTITUZIONALE, 4 luglio 1979, n. 62 -Pres. Amadei -Rel. Paladin 
-Bellandi (n.p.). 

Riscossione delle entrate patrimoniali � Entrate patrimoniali � Visto pretorile 
� Non nec:essit�. 
(Cost., artt. 3 e 117; legge reg. Toscana 4 luglio 1974, n. 35, art. 51). 

I princ�pi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato (art. 117 Cast.) 
in materia di formazione ad opera della p.a. e di efficacia di titoli esecutivi 
ed ingiunzioni per la riscossione delle sanzioni pecuniarie amministrative 
debbono essere desunti non solamente dal r.d. 14 aprile 1910, 

n. 639, ma anche dalle leggi 3 maggio 1967, n. 317 (art. 9) e 24 dicembre 
1975, n. 706 (art. 8) (1). 
II 

CORTE COSTITUZIONALE, 1� agosto 1979, n. 100 -Pres. Amadei -Rel. 
Paladin -Boni ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri 
(avv. Stato Angelini Rota). 

Atto amministrativo -Ingiunzione � Esecutivit� � Visto pretorile -Non 
necessit�. 
(Cost., artt. 3, 24, 76 e 102; d.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035, artt. 17 e 18). 

Il regime delle ingiunzioni amministrative � stato profondamente 
rinnovato negli ultimi anni, a partire dall'art. 9 della legge 3 maggio 1967, 

n. 317; non fondate sono le questioni di legittimit� costituzionale degli 
artt. 17 e 18 del d.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035 (2). 
(1-2) Com'� noto, il visto pretorile sulle ingiunzioni ha, in passato, impegnato 
dottrina e giuPisprudenza; positivo � il riconoscimento della sostanziale hrntilit� 
di detto visto. 

Sulle sanzioni pecuniarie amministrative, cfr. CAPACCIOLI, Principi in tema di 
sanzioni amministrative, in Atti del Convegno di Sanremo 21 ottobre 1978, su 
�Le sanzioni in materia tributaria�, nonch� fa ricca nota di richiami in calce 
alla sentenza Cass., 24 febbraio 1978, n. 926, in Giust. civ., 1978, I, 612. 

Con l'occasione si rammenta che la Corte di cassazione, neHia test� citata sentenza 
(in questa Rassegna, 1978, I, 321) ha distinto tra: 



2 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

I 

(omissis) Il giudice a quo sostiene, in primo luogo, che l'art. 51, 
settimo ed ottavo comma, della legge toscana n. 35 del 1974 (intitolata 
� Difesa della fauna e regolamentazione dell'attivit� venatoria �) violerebbe 
gli artt. 3 e 117 Cost., non prevedendo che le ingiunzioni comunali 
di pagamento delle somme dovute per le infrazioni alle norme regionali 
sulla caccia siano vidimate e rese esecutiv�e dal pretore. 

(omissis) Non contrasta con fa norma generale d'eguaglianza, n� 
con i princ�pi informatori delle leggi statali vigenti in materia, nemmeno 
il disposto per cui � l'ingiunzione costituisce titolo esecutivo �, contenuto 
nell'ottavo comma dell'art. 51 (che il pretore di Grosseto impugna 
in collegamento con il comma precedente). A torto, infatti, il giudice 
a quo presuppone che l'intera disciplina legislativa fondamentale, in 
tema di assolvimento delle sanzioni pecuniarie, debba essere tuttora 
ricercata nel regio decreto 14 aprile 1910, n. 639: con particolare riguardo 
al principio stabilito dall'art. 2 cpv., secondo cui � la ingiunzione � vidimata 
e resa esecutoria dal pretore�. Nell'esaminare quali siano gli attuali 
princ�pi del settore, non si pu� non tener conto che l'immediata esecutivit� 
delle ingiunzioni � stata affermata dall'art. 9, terzo comma, della 
legge 3 maggio 1967, n. 317, quanto al �sistema sanzionatorio delle norme 
in tema di circolazione stradale e delle norme dei regolamenti locali�; 
ed � ribadita, quanto al �sistema sanzionatorio delle norme che prevedono 
contravvenzioni punibili con l'ammenda�, dall'art. 8, terzo comma, 
della legge 24 dicembre 1975, n. 706 (cui ora fa espresso richiamo l'art. 32 
della legge n. 968 del 1977, quanto alle �infrazioni amministrative� per 
violazione delle leggi sulla caccia). Queste nuove norme legislative, la cui 
legittimit� costituzionale non � qui in discussione, alterano completamente 
i termini ed escludono l'attualit� della questione proposta dal pretore 
di Grosseto, con riferimento agli artt. 3 e 117 della Costituzione. 

A torto, inoltre, l'ordinanza di rimessione asserisce che la disciplina 
in esame avrebbe reso incontestabile l'esecutivit� delle ingiunzioni stesse, 
senza attribuire nessun peso ai ricorsi eventualmente proposti in sede 

1) sanzioni amministrative cosiddette � ripristinatorie �, dirette a realizzare 

� i:n modo diretto � la cura dell'interesse pubb1ico; fa potest� �amministrativa di 
irrogazione di tali sanzioni � � accessoria � ad altre � funzioni amministrative di 
cura e governo di determinate aree di pubb1ico I�JUteresse �, e cio� non � da dette 
funzioni distaccata; 
2) sanzioni amministrative aventi un �ruolo meramente punitivo, soltanto 
indirettamente ordinato alla realizzazione de1l'interesse pubblico curato dalla funzione 
sussidiata�; 1a potest� amministrativa di irrogazione di tali sanzioni � separata 
dalle funzioni di amministrazione attiva, anche se atti di � autarchia � (nel 
significato -contrapposto ad � autotutela � -a tale parola assegnato dal Benvenuti) 
possono assumere �rilevanza e far parte deHa �fattispecie ;illecita� (come, 
del resto, pu� accadere per �fattispecie penali�); 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 3 

giurisdizionale. Nell'impugnare in tal senso il sesto, il settimo e l'ottavo 
comma dell'art. 51, il giudice a quo non ha considerato che tali disposizioni 
non possono venir correttamente interpretate e valutate, separandole 
dal nono comma: a11a stregua del quale, �entro il termine ultimo 
previsto per il pagamento, l'interessato pu� ricorrere dinanzi all'autorit� 
giudiziaria competente ai sensi dell'art. 3 del t.u. 14 aprile 1910, n. 639 �. 
Ci� significa che la legge regionale Toscana sulla caccia non ha inteso 
interferire per nulla nel procedimento giurisdizionale di opposizione alle 
ingiunzioni di pagamento; e, specificamente, non ha derogato in nessun 
modo all'art. 3, secondo comma, del regio decreto in questione, per cui 
� l'autorit� adita ha facolt� di sospendere il procedimento coattivo �. 

(omissis). 

II 

(omissis) Nella legislazione gi� vigente in materia, che il d.P.R. 

n. 1035 del 1972 ha riordinato e unificato, veniva previsto espressamente 
che i provvedimenti o le ordinanze, da emettere contro gli assegnatari 
che avessero violato le norme sulla �concessione� degli alloggi (o fossero 
incorsi in altri motivi di risoluzione dei contratti di affitto) o contro 
gli occupanti illegittimi o abusivi, avessero � forza di titolo esecutivo 
a tutti gli effetti di legge�: come appunto disponevano gli artt. 263, 264 
e 386 del testo unico sull'edilizia popolare ed economica n. 1165 del 1938, 
nonch� l'art. 6 d.l.lt. n. 387 del 1945 e l'articolo unico della legge 16 maggio 
1956, n. 503. E non va trascurato che il regime delle ingiunzioni amministrative, 
l'esecutoriet� delle quali veniva fatta dipendere dal visto pretorile 
in forza dell'art. 2 del r.d. 14 aprile 1910, n. 639, � stato profondamente 
rinnovato negli ultimi anni: a partire dall'art. 9 della legge 
3 maggio 1967, n. 317. Anche di questi nuovi dati normativi, in parte 
precedenti la delega operata dalla legge n. 865 del 1971, il legislatore 
delegato ha legittimamente potuto tener conto, nel ridisciplinare i decreti 
di revoca e di rilascio degli alloggi, in materia di edilizia residenziale 
pubblica (conformemente all'art. 474, n. l, c.p.c., sui provvedimenti ai 
quali la legge attribuisce efficacia esecutiva). (omissis). 
3) sanzioni ammintstrative non ripristinatorie, �alternative� per� a sanzioni 
ripristinatorie, nel senso che 1a scelta tra le due modalit� di reazione � 
rimessa ad una valutazione p�� o meno discrezionale (cfr. Cons. Stato, Ad. plen. 
17 maggio 1974, n. 5) de11a p.a.; 1a omogeneit� funzionale della potest� amministrativa 
di irrogazione di tali sanzioni con la potest� amministrativa di irrogare 
di tali sanzioni con la potest� amministrativa di irrogare misure ripristinatorie 
determina una � attriazione ne11a stessa area del potere di governo e tutela dello 
interesse pubblico direttamente curato da11a misura Dipristinatoria �. 

La contrapposizione tra potest� amministrative sanzionatorie � accessorie� 

alle funzioni di ammin!i:stmzione attiva o neLl'area di queste � attratte � (ipotesi 

1 e 3) e potest� ammtnistrative sanzionatorie � meramente punttive � (ipotesi 2) 

appare valida e praticabile. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

4 

I 

CORTE COSTITUZIONALE, 16 luglio 1979, n. 72 -Pres. Amadei -Rel. 
Roehrssen -Subinagh ed altri (n.p.). 

Procedimento penale � Reato � Prescrizione del reato per concessione 
di attenuanti � Diritto dell'imputato prosciolto di proporre appello � 
Sussiste. 
(Cost., artt. 3 e 24; c.p.p., artt. 512 e 513). 

Sono costituzionalmente illegittimi, per contrasto con gli artt. 3 e 24 
Cast., gli artt. 512 e 513, n. 2, del codice di procedura penale, nella parte 
in cui escludono il diritto dell'imputato di proporre appello avverso la 
sentenza (rispettivamente del pretore e del tribunale) che l'abbia prosciolto 
per estinzione del reato per prescrizione a seguito della concessione 
di circostanze attenuanti (1). 

(1) La sentenza espliicitamente si cohlega alle precedenti n. 70 del 1975 e 
n. 73 del 1978. La Corte, dopo aver osservato che m generale, la esclusione deHa 
appellabilit� della sentenza di non doversi procedere per prestazione del reato non 
viola n� l'art. 3 n� 1'art. 24 della Costituzione, ha osservato: �peraltro, poich� i 
termini di prescrizione, a norma dehl'art. 157 del codice penale, possono essere 
influenzati daJia presenza di circostanze aggravanti o attenuanti, pu� verificarsi 
che alla declaratoria di estinzione del reato per prescrizione si giunga a seguito 
di un giudizio dibattimentale, previo accertamento della colpevolezza dell'imputato 
e concessione di circostanze attenuanti, con o senza giudizio di comparazione 
con le aggravanti; in taile ipotesi, presupponendo Ja sentenza di proscioglimento 
per estinzione de1 reato un accertamento sulla sussistenza del fatto e sulla 
colpevolezza dell',imputato di un mezzo generale d'esercizio del diritto di di.fesa 
quale � ,l'appelo, violi gJi artt. 3 e 24 dela Costituzione. 
II 

CORTE COSTITUZIONALE, 10 ottobre 1979, n. 118 -Pres. Amadei -Rel. 
Roehrssen-Massimi {n.p.). 

Procedimento penale � Mancanza di querela � Diritto dell'imputato prosciolto 
di proporre appello � Non sussiste. 
(Cost., artt. 3 e 24; c.p.p., art. 512). 

Le sentenze di proscioglimento per mancanza di querela producono 
effetti meramente processuali, tanto che, ai sensi dell'art. 17 c.p.p., ancorch� 
siano divenute irrevocabili, non impediscono l'esercizio dell'azione 
penale contro la stessa persona, ove la querela sia proposta successivamente 
ed in termini; e gli eventuali accertamenti di fatti materiali in esse 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

5 

contenuti hanno carattere incidentale e non costituiscono l'oggetto immediato 
e diretto del procedimento penale, cosicch� -secondo le affermazioni 
della dottrina in materia -non possono acquistare efficacia 
di giudicato in altri giudizi civili o amminstrativi. Pertanto non � fondata 
la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 512, n. 2, c.p.p., sollevata 
in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione. 

CORTE COSTITUZIONALE, 26 luglio 1979, n. 83 -Pres. Amadei -Rel. 
Elia -Gentile (n.p.). 

Pensioni -Garanzia costituzionale -Sussistenza -Riduzione e ripartizione 
della pensione duran~e espiazione di pena detentiva -Illegittimit� 
costituzionale. 
(Cost., art. 36; r.d. 21 febbraio 1895, n. 70, art. 184). 

L'art. 36, primo comma, Cast. assicura una particolare protezione 
alla retribuzione dei lavoratori in ogni suo aspetto, protezione che non 
pu� non estendersi al trattamento di quiescenza spettante al termine del 
rapporto, perch� tale trattamento � conseguito attraverso la prestazione 
dell'attivit� lavorativa e come frutto di questa. Pertanto, � costituzionalmente 
illegittimo, per contrasto con l'art. 36 Cast., l'art. 184, secondo 
e terzo comma, del t.u. delle leggi sulle pensioni civili e militari 21 f ebbraio 
1895, n. 70, che prevedeva, fra l'altro, la riduzione di un terza della 
pensione e la ripartizione della medesima nella misura di un quarto a 
colui che ha prestato servizio e dei rimanenti tre quarti alla famiglia, 
durante l'espiazione di pena restrittivi della libert� personale, esclusi gli 
arresti, che non importi perdita del diritto relativo, protrattasi per un 
periodo di tempo superiore ad un anno (1). 

(1) Rilevante � l'affermazione di cui alla prima parte della massima, dal 
momento che le disposizioni dichiarate 1ncostituzionali sono state abrogate dall'art. 
1 deI1a Jegge 8 giugno 1966, n. 424. 
CORTE COSTITUZIONALE, 26 luglio 1979, n. 84 -Pres. Amadei -Rel. 
Malagugini -Pinzi (n.p.). 

Ordinamento giudiziario -Pubblico ministero -Titolarit� ed obbliga� 
toriet� dell'azione penale. 
(Cost., art. 112; !. 20 marzo 1865, n. 2248, al!. F, art. 378). 

L'ordinamento pu� prevedere azioni penali sussidiarie o concorrenti 
rispetto a quella obbligatoriamente esercitanda dal Pubblico Ministero, 
ma sono senza dubbio confliggenti con gli artt. 3 e 112 Cast. quelle dispo




6 

RASSEGNA DELl.'AVVOCATURA DELLO STATO 

sizioni normative che, attribuendo ad altri organi diversi dal pubblico 
ministero la titolarit� esclusiva dell'azione penale per taluni reati, ne 
inibiscono l'esercizio al pubblico ministero medesimo. � pertanto illegittimo, 
per violazione dell'art. 112 Cost., l'art. 378, terza comma, della legge 
20 marzo 1865, n. 2248, all. F, come modificato dall'art. 1 del r.d. 19 novembre 
1921, n. 1688, nella parte in cui riserva all'ingegnere capo del genio 
civile il compito di promuovere l'azione penale per le contravvenzioni 
di cui alla legge predetta (1). 

(omissis) Interpretato secondo il suo tenore letterale, l'art. 378, 
terzo comma, della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, contrasta con 
l'art. 112 Cost., che attribuisce al pubblico ministero (salve le eccezioni 
costituzionalmente previste) l'esercizio dell'azione penale, senza consentirgli 
alcun margine di discrezionalit� nell'adempimento di tale doveroso 
ufficio. L'obbligatoriet� dell'esercizio dell'azione penale ad opera del pubblico 
ministero, gi� reintrodotta nell'ordinamento con il d.l.l. 14 novembre 
1944, n. 288 (art. 6), � stata costituzionalmente .affermata come elemento 
che concorre a garantire, da un lato, l'indipendenza del pubblico 
ministero nell'esercizio della propria funzione e, dall'altro, l'uguaglianza 
dei cittadini di fronte alla legge penale. 

Il disposto costituzionale facendo obbligo al pubblico ministero di 
esercitare l'azione penale non vuole escludere, come risulta anche dai 
lavori prepariatori, che ad altri soggetti possa essere conferito analogo 
potere. Ci� che lia ratio della norma esclude � che al pubblico ministero 
possa essere sottratta la titolarit� dell'azione penale in ordine a determinati 
reati (salvo che nelle ipotesi costituzionalmente previste); con 
la conseguenza che la titolarit� dell'azione penale in tanto pu� essere 
legittimamente conferita anche a soggetti diversi dal pubblico ministero 
in quanto con ci� non si venga a vanificare l'obbligo del pubblico 
ministero medesimo di esercitarla. In altre parole, l'ordinamento ben 
pu� prevedere azioni penali sussidiarie o concorrenti rispetto a quella 
obbligatoriamente esercitanda dal pubblico ministero, ma sono senza 
dubbio confliggenti con l'art. 112 e, per quanto si � detto con l'art. 3 Cost. 
quelle disposizioni normative che, attribuendo ad altri organi diversi dal 
pubblico ministero la titolarit� esclusiva dell'azione penale per taluni reati, 
n� inibiscono l'esercizio al pubblico ministero medesimo. 

(1) Di notevole interesse appare la affermazione riportata nella prima parte 
della massima; con essa si consente al legislatore ordinario di riconoscere ad entit� 
soggettive diverse dagH uffici del p.m. la possibilit� di esercitare l'amone 
penale. 
Sul pubblico ministero, cfr. anche le sentenze Corte cost., 16 marzo 1976, 

n. 50 e n. 52, in questa Rassegna, 1976, I, 321, con nota di rkhiami. 
i 


' 


I 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

7 

L'obbligo dell'esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero 
esige che egli sia titolare di tale azione in relazione a qualunque 
fatto di reato, comunque conosciuto, mentre soltanto il carattere sussidiario 
dell'azione penale conferita a privati o ad organi statali diversi dal 
pubblico ministero ne potrebbe giustificare, sul piano costituzionale, 
la discrezionalit� nell'esercizio. (omissis). 

I 

CORTE COSTITUZIONALE, 26 luglio 1979, n. 87 -Pres. Amadei -Rel. 
Maccarone -Giacomazzi (avv. Pogliani) e Presidente Consiglio dei 
Ministri (avv. Stato Azzariti). 

Danno cjvile -Danni non patrimoniali -Risarcibilit� -Limiti -Legittimit� 
costituzionale. 
(Cost., artt. 3 e 24; cod. civ., art. 2059). 

L'art. 2059 cod. civ., nel disporre che il danno non patrimoniale deve 
essere risarcito solo nei casi previsti dalla legge, lungi dal riconoscere 
l'esistenza di un diritto a tale risarcimento, limitando poi la facolt� 
di agire ai casi stabiliti dalla legge, prevede al contrario che il diritto 
stesso sorga solo nei casi da questa determinati; non vi � quindi contrasto 
con l'art. 24 Cost. N� la disposizione menzionata contrasta con l'art. 3 
Cost., l'ammontare e la stessa sussistenza di un credito per risarcimento 
potendo dipendere da elementi che riguardino esclusivamente il danneggiato. 


II 

CORTE COSTITUZIONALE, 26 luglio 1979, n. 88 -Pres. Amadei -Rel. 
Maccarone -Nalli (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato 
Azzariti). 

Danno civile -Danni alla salute -Risarcibilit�. 
(Cost., artt. 3, 24 e 32; cod. civ., artt. 2043 e 2059). 

L'ambito di applicazione degli artt. 2059 del codice civile e 185 del 
codice penale si estende fino a ricomprendere ogni danno non suscettibile 
direttamente di valutazione economica, compreso quello della salute. 

(1-2) Queste sentenze (per un precedente in tema di diritto alla salute cfr. 
Corte cost., 23 luglio 1974, n. 247) vanno a collegarsi con le sentenze -di prossima 
pubblicazione su questa Rassegna (ma gi� pubblicate in Foro it. 1979, I, 939 



8 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

Il bene a questa afferente � tutelato dall'art. 32 Cost. non solo come interesse 
della collettivit�, ma anche e soprattutto come diritto fondamentale 
dell'individuo, sicch� si configura come un diritto primario ed assoluto, 
pienamente operante anche nei rapporti tra privati (1). 

I 

<(omissis) A non divers�e �conclusioni deve giungersi per quanto concerne 
la dedotta violazione del principio di uguaglianza. Nella ordinanza 
non si nega la differenza sostanziale tra fatto produttivo di danno 
costituente reato e fatto dannoso consistente in illecito meramente civile, 
ma si sostiene che tale differenza riguarderebbe soltanto l'autore dell'illecito 
e non pure il danneggiato, per il quale sarebbe del tutto irrilevante 
la qualificazione del fatto come reato; da tale circostanza si fa dipendere 
la irrazionalit� del trattamento differenziato delle due situazioni. 

L'assunto non pu� essere condiviso. 

Posta, infiatti, la sostanziale diversit�, per presupposti e gravit�, delle 
due situazioni, rientra nella discrezionalit� del legislatore adottare un 
trattamento differenziato, ove non vengono in considerazione situazioni 
soggettive costituzionalmente garantite. 

N� appare incongrua o priva di ragionevole fondamento la considerazione 
di quei particolari elementi che attribuiscono qualificazione criminosa 
alla condotta lesiva, anche al fine di rendere pi� intensa la sanzione 
civile estendendola 1al risarcimento del danno non patrimoniale. 

L'evento dannoso, invero, non pu� non essere collegato alle cause 
che lo hanno determinato ed in effetti nel nostro ordinamento si rinvengono 
ipotesi nelle quali il risarcimento � influenzato dalla condizione 
soggettiva dell'autore dell'illecito. Cos� � per le previsioni contenute 
negli artt. 2044, 2045, 2046 e 2047, ultimo comma, cod. civ., nelle quali 
l'ammontare e 1a stessa sussistenza del credito del danneggiato sono 
fatti dipendere da elementi che riguardano esclusivamente il danneggiato. 
(omissis). 

II 

(omissis) Invero gli artt. 2059 del codice civile e 185 del codice 
penale, nel loro combinato disposto, espressamente stabiliscono che, 
ove un reato sia commesso, il colpevole � tenuto anche al risarcimento 

e 2302 con note di GALLO e di A. LENER e, la prima Giur. it. con nota di MoNTESANO) 
-9 marzo 1979 n. 1493 e 6 ottobre 1979 n. 5172 delle Sezioni unite dehla Corte 
di cassazione. La Corte costiituzionale sembra inquadrare la risarcibHdt� del 
danno alla salute nell'ambito -e quindi nei limiti -dell'art. 2059 cod. civ.; nel 
senso di una qualificazione del danno alla salute come n� patrimoniale n� 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

9 

dei danni non patrimoniali. L'espressione �danno non patrimoniale�, 
adottata dal legislatore, � ampia e generale e tale da riferirsi, senza 
ombra di dubbio, a qualsiasi pregiudizio che si contrapponga, in via 
negativa, a quello patrimoniale, caratterizzato dalla economicit� dell'interesse 
leso. Il che porta a ritenere che l'ambito di applicazione dei sopra 
richiamati artt. 2059 del codice civile e 185 del codice penale -contrariamente 
a quanto affermato nell'ordinanza di rimessione -si estende 
fino a ricomprendere ogni danno non suscettibile direttamente di valutazione 
economica, compreso quello alla salute. 

Il bene a questa afferente � tutelato dall'art. 32 Cost. non sol� come 
interesse della collettivit�, ma anche e soprattutto come diritto fondamentale 
dell'individuo, sicch� si configura come un diritto primario ed 
assoluto, pienamente opeiiante anche nei rapporti tra privati. Esso certamente 
� da ricomprendere tra le posizioni soggettive direttamente tutelate 
dalla Costituzione e non sempre dubbia la sussistenza dell'illecito, 
con conseguente obbligo della riparazione, in caso di violazione del 
diritto stesso. 

Da tale qualificazione deriva che la indennizzabilit� non pu� essere 
limitata alle conseguenze della violazione incidenti sull'attitudine a produrre 
reddito ma deve comprendere anche gli effetti della lesione al diritto, 
considerato come posizione soggettiva autonoma, indipendentemente da 
ogni altra circostanza e conseguenza. Ci� deriva dalla protezione primaria 
accordata dalla Costituzione al diritto alla salute come a tutte le 
altre posizioni soggettive_ a contenuto essenzialmente non patrimoniale, 
direttamente tutelate. (omissis). 

�non patrimoniale>>, ScoGNAMIGLIO, Il danno morale, in Riv. dir. civ., 1957, 
I, m. SuJ1'argomento, cfr., da ultimo, REFERZA, Cenni sul danno biologico, in 
Riv. trim. dir. proc. civ., 1979, 407. 

CORTE COSTITUZIONALE, 26 luglio 1979, n. 92 -Pres. Amadei -Rel. 
Buociarelli Uucci -Battistini (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri 
(avv. Stato Carafa). 

Poste e t;elecomunicazioni � Inoltro di stampe pornografiche � Divieto � 
Legittimit� costituzionale. 
(Cost., art. 21; d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 11). 

Il legislatore non pu� ignorare di dover provvedere, in ordine alla 
organizzazione del servizio postale e nello stabilire le condizioni perch� 
i singoli possano valersene, a tutelare l'interesse della collettivit� al fine 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

10 

di impedire che il servizio pubblico costituisca uno strumento che faciliti 
la consumazione di reati; l'art. 11 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, non 
contrasta pertanto con l'art. 21 Cost . 

.(omissis) La Co:rite � chiamata a .decidere se l'art. 11 del d.P.R. 
del 29 marzo 1973, n. 156, contenente la nuova disciplina del non inoltro 
delle corrispondenze postali vietate, contrasti o meno con l'art. 21, secondo, 
terzo, quarto e sesto comma della Costituzione. La norma impugnata, 
equiparando alla corrispondenza la stampa inviata per mezzo del servizio 
postale, e assoggettando questa ultima, quando � aperta, ad un controllo, 
devoluto all'autorit� giudiziaria, in ordine alla non ammissione al servizio 
stesso dell'utente che intenda valersene per recapitare stampe contrarie 
al buon costume, potrebbe rappresentare, secondo il giudice a quo, una 
limitazione alla diffusione della stampa e pertanto verrebbe a contrastare 
con il divieto di autorizzazioni o di censure stabilito dal secondo comma 
dell'art. 21 Cost. 

La questione non � fondata. 

Va innanzitutto rilevato che la norma impugnata, contenuta nel testo 
unico delle leggi in materia postale, di bancoposta e di telecomunica~ 
zioni, si inserisce in un complesso normativo volto a disciplinare le condizioni 
cui i privati devono sottostare per poter fruire di un pubblico servizio, 
svolto dallo Stato nell'interesse della collettivit�. 

Se pertanto devono essere prese nella debita considerazione le 
domande del cittadino che chiede di fruire del servizio stesso, il legislatore 
non pu� ignorare di dover nel contempo provvedere, in ordine alla 
organizzazione del servizio e nello stabilire le condizioni perch� i singoli 
possano valersene, a tutelare l'interesse della collettivit� al fine evidente 
e giustificato di impedire che il servizio pubblico costituisca uno strumento 
che faciliti la consumazione di reati, di attentati alla sicurezza 
pubblica, o un mezzo di diffusione (a tariffa agevolata), di pubblicazioni 
di per s� vietate dall'ordinamento perch� contrarie al buon costume. 
N� pu� tralasciarsi, in proposito, che l'Italia si � impegnata internazionalmente, 
per effetto della Convenzione postale universale, a non inoltrare 
oggetti osceni o immorali, la cui spedizione � espressamente vietata 
(cfr. da ultimo art. 33 del d.P.R. 5 dicembre 1975, n. 684, che l'ha resa esecutiva 
all'interno), come pure, per effetto di successive convenzioni internazionali 
in materia di telecomunicazioni, l'Amministrazione pubblica 
� obbligata a fermare la trasmissione dei telegrammi contrari, tra l'altro, 
al buon costume (cfr. art. 19 legge 7 ottobre 1977, n. 790). 

La disposizione impugnata va pertanto inquadrata nell'ambito della 
disciplina di un pubblico servizio. Il godimento di tale servizio pu� essere 
legittimamente negato soltanto con riferimento a pubblicazioni vietate 
dalla stessa Costituzione ed a seguito di una complessa procedura giurisdizionale 
-posta a garanzia delle libert� individuali -articolantesi in 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 11 

un decreto del pretore, reclamabile innanzi al tribunale, che decide, in 
contraddittorio degli interessi, con sentenza, suscettibile, a sua volta, di 
ricorso in Cassazione. 

Che tale complessa procedura giudiziaria relativa al �non inoltro, 
di una singola copia, o di pi� copie, di giornali o stampe inviate per corrispondenza, 
possa rientrare tra le autorizzazioni o le censure, vietate dall'art. 
21 Cost., sembra assai difficile ammettere, costituendo detti ultimi 
provvedimenti discrezionali istituti ben noti e tipici del diritto pubblico, 
le cui caratteristiche essenziali sono state da tempo illustrate dalla prevalente 
dottrina e dalla stessa giurisprudenza di questa Corte. Neppure 
� configurabile una assimilazione, in via di fatto, del � non inoltro � di 
una o pi� copie dello stampato a tali provvedimenti, sol che si consideri 
l'amplissima portata connaturale a questi ultimi, che � preclusiva 
di ogni libert� di stampa. 

Da quanto precede risulta altres� l'estraneit� alla norma impugnata 
delle altre disposizioni costituzionali di raffronto, che non sono pertinenti 
alla disciplina censurata -concernente la regolamentazione di un pubblico 
servizio -e non risultano quindi violate. (omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 8 novembre 1979, n. 126 -Pres. Amadei -
Rel. Astuti -Blasich ed altri (n.p.) c. Ministero delle Finanze e Presidente 
del Consiglio dei Ministri (avv. Stato Angelini Rota). 

Tributi locali -Imposta sull'incremento di valore degli immobili -Base 
imponibile -Mancata depurazione degli incrementi dipendenti dalla 
svalutazione della moneta -IIJ.egittimit� costituzionale -Esclusione. 
(Cast., art. 53; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, artt. 2, 4, 6, 7, 15 e 16). 

Tributi locali -Imposta sull'incremento di valore degli immobili -Base 

imponibile -Sistema delle detrazioni -Illegittimit� costituzionale. 

(Cast. art. 3; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 14; I. 16 dicembre 1977, n. 904, art. 8). 

Non � fondata, con riferimento all'art. 53 della Costituzione, la questione 
di legittimit� costituzionale dei criteri legali di applicazione della 
imposta sull'incremento di valore degli immobili, pur in mancanza di 
formule di indicizzazione o rivalutazione idonee a depurare la base imponibile 
netta dell'incremento dovuto alla svalutazione della moneta (1). 

(1-2) iSi tratta deMa nota sentenza con cui la Corte Costituzionale ha deciso 
Je numerosissime questioni di costuzionalit� sollevate daHe Commissioni triibutanie 
nei confronti de11'I.N.V.I.M. per effetto deL1a svalutazione monetaria 
in atto. La afferma.�one contenuta :ne1Ia prima massima e la relativa motivazione 
hanno un rilievo che trascende la particolarit� de1I'imposta in discussione 
ed anche :LL pi� generale problema della imposizione suHe plusvalenze. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

12 

Sono costituzionalmente illegittime, in relazione all'art. 3 della Costituzione, 
le norme dell'art. 14 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, e dell'art. 8 
della legge 16 dicembre 1977, n. 904, le quali, per la determinazione del 
valore imponibile netto soggetto alla imposta sull'incremento di valore 
degli immobili stabiliscono un sistema di detrazioni percentuali fisse 
commisurate al numero degli anni o frazioni d'anno considerati per il 
calcolo della differenza fra valore finale e valore iniziale (2). 

(omissis) Scendendo all'esame delle diverse questioni, giova premettere 
qualche considerazione circa l'oggetto e i presupposti del tributo, 
per un corretto approccio di fronte a taluni rilievi critici tanto banali 
quanto diffusi, che in alcune ordinanze di rimessione hanno trovato immeritato 
accoglimento. 

L'esigenza della imposizione fiscale sull'incremento di valore degli 
immobili non � certo una novit�, n� una singolarit� del vigente sistema 
tributario italiano. Oltre al rilievo attribuito alle plusvalenze in genere, 
all'atto della realizzazione o della iscrizione in bilancio ai fini delle imposte 
dirette, in quanto esse siano ricollegabili a finalit� speculative, reali 

o presunte, in molti Paesi � stata largamente riconosciuta, fin dal secolo 
scorso, l'esigenza di assoggettare a prelievo fiscale l'effettiva v:ariazione del 
valore di mercato dei beni immobili, e in specie dei terreni fabbricabili, 
in quanto non ricollegabile ad iniziative, attivit� ed investimenti dei proprietari, 
ma derivante dalla espansione degli agglomerati urbani, da nuovi 
insediamenti industriali o turistici, e dal complesso delle opere pubbliche 
connesse a tali sviluppi, nonch� da contingenti e spesso imponenti fenomeni 
di speculazione immobiliare. 
La Cotte ha infatti tenuto fermo, pur in una situazione di non lieve infilazione, 
il principio per cui giuridicamente rilevante �, salva diversa e speciale 
disposizione di Jegge, dl �valore nominale� (art. 1277 cod. civ.) de11a moneta 
avente corso legale nello Stato (esplicito � il richiamo allo �intero regime 
de11e obbligazioni pecuniarie�); e su tale principio ha basato la sentenza 
~n rassegna (che avrebbe potuto essere basata anche su diverse considerazioni 
quali quelle rimvenibi:li nella necessit� di una perequazione tra beni immobili, 
al riparo dalla inflazione, e capitaLi espressi in moneta). Conseguenzialmente 
la Corte ha riconosciuto al legislatore ordinario una ampia discrezionalit� nel 
�governo� de1la moneta, discrezionalit� che pera1tro si vuole temperata dal 
� dov.ere � -in situazioni di � particoJare gravit�� -di �correggere o e1iminare 
conseguenze inique o eccessivamente onerose � non solo nella imposizione tributaria 
ma anche � nella discip1ina dei rapporti tra soggetti privati � (frase questa 
ultima che sembra comprendere anche li rapporti di lavoro). 

A1la dichiarazione di incostituzionalit� del sistema de11e detrazioni, disci


plinato dall'art. 14 del decreto n. 643 del 1972 e dall'art. 8 della legge n. 904 

del 1977, � stato prontamente ovviato, con efficacia anche retroattiva, me


diante ,i} d.l. 21 novembre 1979 n. 571, convertito con modificazioni nella legge 

12 gennaio 1980 n. 2, che ha investito il precedente regime de1le aliquote 

e comportato La totale modifica anche dell'art. 15 del decreto n. 643. 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Sen2la ricordare altri esempi ben noti nella legislazione straniera ed 
anche italiana, sar� qui sufficiente far richiamo agli immediati precedenti 
dell'imposta ora in vigore: il contributo di miglioria generica, disciplinato 
dagli artt. 236 e seguenti del t.u. per la finanza locale, approvato 
con r.d. 14 settembre 1931, n. 1175, e la imposta sull'incremento di valore 
delle aree fabbricabili, istituita con Ira legge 5 marzo 1963, n. 246, in correlazione 
con l'accelerata espansione urbanistica verificatasi nel nostro 
Paese nel periodo della ricostruzione post-bellica e con i connessi cospicui 
fatti speculativi, spesso contrastanti con le esigenze di sviluppo dell'edilizia 
economica e popolare. 

Non � quindi possibile porre in dubbio la giustificazione fondamentale 
dell'imposta di cui � causa, diretta a colpire incrementi di valore 
non di rado vistosi, dovuti al concorso di fattori oggettivi, o esterni, indipendenti 
da iniziative dei singoli soggetti privati, e in larga misura legati 
all'insieme dei lavori e servizi pubblici eseguiti a spese dello Stato e 
degli enti locali, talch� gli incrementi in questione sono stati qualificati 
da autorevoli studiosi dell'economia politica come �valore pubblico�, 
pertinente alla collettivit� e non ai privati proprietari che pur ne traggono 
gratuito beneficio. 

Questo incremento dei valori immobiliari, che di per s� costituisce 
sicuro indice di capacit� contributiva, riceve ulteriore impulso dalla svalutazione 
della moneta, impulso tanto maggiore quanto pi� intenso e 
rapido si manifesta il processo inflattivo. Ed � ovvio che l'incidenza della 
svalutazione assume particolare rilievo, in rapporto ,alla pressione fisoale, 
sia quando trattisi di imposte caratterizzate da progressivit� di aliquote, 
sia soprattutto quando il tributo, come accade appunto per l'INVIM, 
venga applicato sulla base di un valore imponibile determinato dalla 
differenza tra due valori monetari accertati in tempi diversi, ossia corrispondenti 
1a monete aventi diverso potere d'acquisto. 

Da questa constatazione non consegue tuttavia che la presenza del 
fattore inflattivo debba costituire ostacolo all'applicazione d'una imposta 
sul plusvalore degli immobili, n� che il legislatore possa essere tenuto 
a depurare gli incrementi di valore imponibile della componente imputabile 
alla svalutazione della moneta, mediante formule di indicizzazione 

o di integrale rivalutazione, in contrasto con i princ�pi a cui si ispira 
non solo il vigente sistema tributario, ma l'intero regime delle obbligazioni 
pecuniarie, corrispondente 1alle esigenze di una economia sviluppata 
in cui la moneta � indispensabile misura dei valori di mercato. 
Con ci� non si intende ovviamente escludere che il legislatore possa 
o, in casi di particolare gravit�, debba tener conto degli effetti conseguenti 
ai processi di svalutazione monetaria, per correggere o eliminare 
conseguenze inique o eccessivamente onerose, sia nella disciplina dei 
rapporti tra soggetti privati, sia in quella relativa alle obbligazioni tribu



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

tarie. Questo � di fatto avvenuto anche nel nostro Paese, e non occorre 
ricordare qui esempi ben noti di interventi legislativi pi� o meno recenti, 
diretti a ricondurre ad equit� rapporti giuridici pubblici e privati, o almeno 
ad attenuare talune conseguenze pi� gravi del deprezzamento della 
moneta avente corso legale. Ma questi interventi sono stati sempre il 
frutto di scelte politiche, riservate alla discrezionalit� del potere legislativo, 
al quale compete di provvedere in s� delicata materia, sulla base di 
valutazioni di ordine politico, sociale, economico, finanziario, che sfuggono 
di massima al sindacato di legittimit� affidato a questa Corte. 

Anche nel campo della legislazione tributaria questa discrezionalit� 
di scelte politiche non � contestabile, sia sul piiano generale della distribuzione 
del carico fiscale tra le diverse categorie di contribuenti, sia 
su quello settoriale dell'applicazione delle diverse imposte dirette e indirette. 
E per quanto concerne in specie il tributo di cui � causa, mentre 
appare incontestabile la piena legittimit� della imposizione diretta a colpire 
gli effettivi incrementi di valore degli immobili, deve altres� ritenersi 
non sindacabile in questa sede la disciplina normativa dei presupposti 
e criteri di applicazione del tributo, in relazione agli effetti della svalutazione 
della moneta, nemmeno sotto il profilo di una sopravvenuta incostituzionalit�. 
Del resto, il legislatore nel1a statuizione dei criteri per la 
determinazione dell'incremento di valore imponibile non ha ignorato il 
fenomeno della svalutazione, anzi, -come risulta dai lavori parlamentari 
e in specie dalle relazioni sul decreto delegato istitutivo del tributo e sulla 
successiva legge n. 904 del 1977 -, ha introdotto le detrazioni del 4% 
e poi del 10% annuo, anche nel fine, seppure non esclusivo, di � assorbire 
gli incrementi attribuibili allo strumento della moneta �. 

Cos� stando le cose, deve ritenersi non fondata la questione di costituzionalit� 
proposta in riferimento all'art. 53 Cost., sotto il profilo della 
mancanza di un congegno di integrale conguaglio monetario tra valore 
iniziale e valore finale, idoneo a depurare la base imponibile netta dell'incremento 
dovuto alla svalutazione. Il principio sancito dal Costituente, 
per cui � tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione 
del1a loro capacit� contributiva �, -principio che si ricollega ad una 
solenne enunciativa contenuta gi� nell'art. 25 dello Statuto albertino, 
e di cui questa Corte ha pi� volte chiarito il significato -, non pu� sicuramente 
dirsi violato solo per il fatto che una fluttuazione del valore della 
moneta abbia accresciuto l'incidenza fiscale di un tributo, pur nella incontestabile 
presenza di una effettiva capacit� del contribuente. Anche la 
semplice sussistenza di effetti distorsivi nell'applicazione di una imposta, 
imputabile alla svalutazione monetaria, non pu�, di regola, considerarsi 
di per s� costituzionalmente rilevante e quindi sindacabile, semprech� tali 
effetti non comportino la violazione di qualche principio costituzionale, 
ovvero non determinino un sicuro travalicamento del normale ambito 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

di discrezionalit� che la Costituzione riserva alle scelte del legislatore 
ordinario. 

Infondata sotto il profilo dianzi esaminato, in riferimento al parametro 
fornito dall'art. 53 Cost., la questione deve peraltro dichiararsi 
fondata sotto il secondo e diverso profilo della violazione del principio 
di eguaglianza, comunemente prospettata dalle ordinanze di rimessione 
nei termini gi� sopra riferiti al n. 2, e con espresso richiamo a diverse 
concrete situazioni di disparit� di trattamento. 

Se, come gi� si � ricordato, spetta al legislatore di valutare quando 
e come si debba tener conto della incidenza della svalutazione della 
moneta nell'applicazione di un tributo, non v'� dubbio che, effettuata 
una scelta politica nell'esercizio della sua discrezionalit�, logica vuole 
che il legislatore stesso attui poi con coerenza il criterio prescelto, 
medi;ante una disciplina normativa idonea al conseguimento del fine voluto. 
Diversamente, ove l'incoerenza fosse tale da determinare irrazionali 
discriminazioni, la legge risulterebbe viziata non solo nel merito, ma 
anche sotto il profilo della legittimit� costituzionale. 

Ora, per quanto concerne in specie l'imposta in esame, non sussiste 
incertezza tanto sullo scopo perseguito, di colpire incrementi di valore 
dipendenti da fattori obbiettivi estranei all'attivit� dei proprietari, quanto 
sulla fondamentale esigenza di assicurare una corretta applicazione del 
tributo, conforme non solo al principio della capacit� contributiva ma 
anche a quello della parit� di trattamento dei diversi soggetti passivi. 
Ci� emerge con particolare evidenza trattandosi di un tributo che, a differenza 
dalla generalit� delle imposte dirette e indirette, le quali colpiscono 
con esclusivo riferimento a valori attuali al momento della concreta 
applicazione, assume quale presupposto, o almeno quale base imponibile, 
un incremento di valore, considerato come fatto continuo delimitato da 
due termini di riferimento nel tempo. 

Senza indugiare qui sulla non facile identificazione della natura e dei 
presupposti dell'INVIM, in relazione al suo ambito di applicazione soggettivo 
ed oggettivo, sar� sufficiente sottolineare come accanto ai diversi 
eventi (alienazione, acquisto, possesso decennale) che rendono ardua una 
definizione unitaria del presupposto, l'incremento di valore degli immobili 
assuma fondamentale rilevanza nella struttura del tributo, per quanto attiene 
alla determinazione dell'imponibile sulla base dell'oggettiva variazione 
di valore nel tempo. In altre parole, l'INVIM, non solo nell'applicazione 
periodica in base al possesso decennale, ma anche rispetto alle ipotesi 
di alienazione-acquisto degli immobili, sebbene applicata in occasione 
del trasferimento, non � configurabile come imposta sui trasferimenti, bens� 
come imposta sugli incrementi di valore. 

Dovendosi individuare l'incremento imponibile come valore differenziale, 
costituito dalla differenza tra un valore iniziale e un valore finale, 
era anzitutto necessario stabilire un punto di riferimento temporale 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

a quo per gli acquisti verifioatisi oltre un decennio prima dell'entrata 
in vigore del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643 (1� gennaio 1973). Il criterio 
di non risalire oltre il decennio era gi� stato accolto dal legislatore 
nella precedente legge n. 246 del 1963, concernente l'imposta sugli incrementi 
di valore delle aree fabbricabili: ove era stato stabilito che la dat_a 
di riferimento alLa quale i singoli comuni intende~sero risalire per la 
determinazione dell'incremento tassabile non poteva, per regola generale, 
essere fissata anteriormente al 1� gennaio del terzo anno antecedente 
a quello di adozione della deliberazione istitutiva dell'imposta (art. 5), 
disponendo per� che i comuni obbligati ad applicare l'imposta, nonch� 
gli altri comuni qualora ubicati in prossimit� di un comune con pi� di 

30.000 abitanti, e compresi nella zona di espansione urbanistica o in un 
piano intercomunale di quel comune, potevano fissare la data di riferimento 
fino al 1� gennaio del decimo anno antecedente a quello nel quale 
avessero adottato la deliberazione istitutiva dell'imposta (art. 25: e si 
cfr. altres� le norme transitorie dettate con gli artt. 48 e 49 per i comuni 
in cui fosse gi� stata in precedenza stabilita l'istituzione del contributo 
di miglioria generioa). 
Movendo da queste premesse, l'art. 6, terzo comma, del d.P.R. 643/1972 
(modificato dal d.P.R. n. 688/1974), stabilisce che per gli acquisti verificatisi 
oltre un decennio prima del 1� gennaio 1973 �il valore iniziale � 
quello venale che i beni avevano al 1� gennaio 1963 (nel dettato originario: 
�al decimo anno anteriore�), ovvero, nel caso di beni per i quali 
erano applicabili le disposizioni della legge 5 marzo 1963, n. 246, quello 
che essi avevano alla diversa data stabilita con le deliberazioni previste 
dagli artt. 5 e 25 della predetta legge�. Anche per l'applicazione periodica 
dell'imposta nei confronti dei soggetti indicati all'art. 3 (e successive 
modificazioni), analogamente a quanto gi� disposto dall'art. 3 della legge 

n. 246/1963, � stato stabilito che essa deve aver luogo � al compimento 
di ciascun decennio dalla data dell'acquisto � (art. 3, primo comma, modificato 
dal d.P.R. n. 688/1974), e l'art. 6, quinto comma, nel testo integrato 
dal d.P.R. n. 688/1974, aggiunge: �Per gli immobili che al 1� gennaio 1975 
appartengano alle societ� da oltre dieci anni si assumono come valore 
iniziale e come valore finale i valori venali al 1� gennaio 1965 e al 1� gennaio 
1975 �. 
Assunto un periodo di dieci anni quale presupposto temporale per 
la determinazione dell'incremento di valore imponibile, sia nel caso di 
alienazione-acquisto, sia nell'applicazione periodica dell'imposta alle societ�, 
rispondeva ad un criterio logico, nel provvedimento istitutivo dell'imposta, 
fissare l'estremo dies a quo, per gli acquisti risalenti oltre un 
decennio prima della sua entrata in vigore alla data del 1� gennaio 1963. 
questo termine iniziale fisso e poi rimasto immutato negli anni, cos� 
d'aver prodotto, e pi� ancora da prestarsi a produrre in avvenire, nella 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

applicazione dell'imposta, una abnorme diversa incidenza dell'elemento 
temporale, creando tra i contribuenti sperequazioni rilevanti, e tanto pi� 
gravi in relazione alla progressivit� delle aliquote. Il legislatore ha bens� 
tenuta presente il fattore tempo, ed ha previsto, con riguardo alla diversa 
ampiezza dell'arco temporale considerato per la determinazione della 
differenza tra valore finale e valore iniziale, la detrazione dall'incremento 
di valore -per ogni anno o frazione d'anno superiore al semestre -di 
una somma pari al 4 % del valore iniziale, maggiorato delle spese di 
acquisto, di costruzione ed incrementative riferibili al periodo considerato 
(art. 14 d.P.R. n. 643/1972); detrazione elevata al 10 % per il periodo 
1� gennaio 1973-31 dicembre 1979 (art. 8 legge n. 904/1977). Ma queste 
detrazioni, a prescindere da altri rilievi sul loro regime, che saranno 
esposti nel seguito, se possono apparire idonee e congrue per correggere 
le disparit� di trattamento nell'ambito di un limitato periodo, risultano 
inadeguate al fine voluto dal legislatore nel riferimento a pi� ampi 
periodi di tempo. 

Invero, l'imposta pu� ormai essere applicata ad incrementi di valore 
formatisi nel corso di diciassette anni, o anche pi�, nel caso di beni gi� 
soggetti all'applicazione della fogge 5 marzo 1963, n. 246, in evidente difformit� 
dal criterio generale adottato dal legislatore di colpire, di regola, 
incrementi non pi� che decennali, e in sicuro contrasto con il canone 
della ragionevolezza, la cui inosservanza integra disparit� di trattamento, 
con violazione del principio di eguaglianza, principio di cui anche il principio 
della capacit� contributiva rappresenta, sotto questo profilo, univoco 
e specifico sviluppo. Rispetto ad incrementi di valore formatisi in 
cos� lunghi periodi, la legge avrebbe dovuto introdurre correttivi adeguati 
alla diversit� dei periodi di formazione, e ci� anche per ovviare 
alle conseguenze palesemente inique che, nel lungo periodo, sarebbero 
derivate da una pi� ampia variazione del metro monetario. 

Altro difetto strutturale del sistema di determinazione dell'incremento 
imponibile netto, nella logica del meccanismo di questa legge, � 
costituito dal regime delle detrazioni. Come gi� si � ricordato, le detrazioni 
dall'incremento di valore (nonch� dall'importo delle spese ammesse, 
secondo quanto stabilito dagli artt. 11-13 del provvedimento istitutivo 
del tributo), in misura percentuale del valore iniziale, sono state introdotte 
per attenuare il naturale aggravio delle aliquote progressive della 
imposta destinato a prodursi con il decorso degli anni. Ed a ci� si collega, 
soprattutto dopo l'aumento della misura percentuale della detrazione 
annua dal 4 al 10 %, -aumento che ovviamente di per s� non comporta 
la disparit� di trattamento denunciata senza motivo da qualche ordinanza 
-, il dichiarato fine di correggere o ridurre gli effetti della svalutazione 
della moneta, in correlazione al tempo intercorso tra gli eventi 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

considerati per determinare l'incremento di valore in base alla differenza 
tria valore iniziale e valore finale. 

Adottato in tale senso, come unico correttivo, il sistema delle detrazioni 
annue, in relazione al periodo considerato per la determinazione 
dell'incremento di valore imponibile netto, esigenze di coerenza e congruit� 
al fine voluto avrebbero richiesto una diversa commisurazione 
delle detrazioni riferita al graduale aumento del valore dell'immobile nel 
corso del tempo. Invece l'incidenza delle detrazioni fissate in misura 
costante risulta inadeguata, in quanto non � proporzionata all'effettivo 
incremento, e nemmeno alla parte di esso ascrivibile alla progressiva 
diminuzione del potere d'acquisto della moneta, ma al contrario agisce 
in misura via via decrescente, e quindi con efficacia correttiva tanto 
minore quanto pi� ampio � il periodo di tempo intercorso tra i due 
termini di riaffronto, ancorato come �, si tratti del 4 o del 10 %, al valore 
iniziale, che nel tempo risulta sempre meno comparabile con quello 
finale. 

Anche sotto questo profilo, � palese la irrazionalit� del regime delle 
detrazioni, la cui applicazione determina in concreto ingiustificate disparit� 
di trattamento, laddove il legislatore si era proposto di eliminarle. 

I difetti strutturali del sistema di calcolo dell'incremento di valore, 
in relazione al regime delle detrazioni e alla formazione dell'imponibile 
netto, si rilevano con ancor maggiore evidenza considerando la progressivit� 
delle 1aliquote che, a norma dell'art. 15 del d.P.R. n. 643/1972, come 
modificato dall'art. 1 del d.P.R. n. 688/1974, sono applicate per scaglioni 
d'incremento imponibile (determinati con riferimento al valore iniziale 
dell'immobile, maggiorato delle spese di acquisto, incrementative e di 
costruzione), in misura crescente dal 3-5 % fino al 30 %. 

Il meccanismo di liquidazione dell'imposta, per effetto della pro~ 
gressivit� delle aliquote, rispetto alla cui applicazione l'elemento temporale 
esercita incidenza minima, essendo considerato unicamente nel 
calcolo delle detrazioni percentuali annue, comporta in concreto un 
trattamento differenziato e palesemente discriminatorio, tra coloro che 
alienano immobili a diversa distanza di tempo dall'acquisto, con un 
onere tributario notevolmente pi� gravoso per chi aliena dopo un pi� 
lungo periodo di possesso; e ci� in quanto determinandosi gli scaglioni 
d'incremento con riferimento al valore iniziale e all'importo delle spese 
ammesse, ed applicandosi le aliquote alla base imponibile netta, lo 
scatto delle aliquote pi� elevate tende a verificarsi in misura non ragguagliata 
alla durata del periodo considerato per il calcolo del valore differenziale. 


La riprova di questi rilievi � offerta dalla constatazione di fatto che 
per uno stesso immobile, o per due immobili di eguale valore, oggetto 
nel corso di un decennio di successive alienazioni, ovvero di una sola 

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

alienazione al termine del decennio medesimo, pur essendo identici il 
primo valore iniziale e l'ultimo valore finale, e quindi eguale il complessivo 
incremento di valore, l'incidenza dell'imposta applicata al termine 
del decennio pu� risultare ben superiore a quella del1a somma 
delle imposte applicate ai passaggi di propriet� v�erificatisi nello stesso 
arco di tempo. N� trattasi di meri pregiudizi di fatto, bens� di ingiustificate 
conseguenze dei criteri tecnici adottati dal legislatore. E d'altra 
parte non si scorgono ragioni che possano giustificare un trattamento 
meno favorevole per chi aliena dopo avere a lungo goduto il possesso 
d'un immobile, specie se destinato all'abitazione del nucleo familiare. 

Con questi rilievi non si intende ovviamente porre in discussione il 
criterio di progressivit� a cui si informa il tributo, ma unicamente constatare 
le conseguenze aberranti che, -nell'applicazione delle aliquote progressive, 
in s� pienamente legittime -, derivano dal sistema normativo 
adottato per il calcolo dell'incremento imponibile netto e per la determinazione 
dei relativi scaglioni con riferimento al valore iniziale maggiorato 
delle spese; sistema veramente inadeguato all'esigenza di una 
coerente e congrua considerazione dell'elemento temporale, indispensabile 
per una corretta imposizione degli oggettivi incrementi di valore 
con trattamento uniforme nei confronti dei soggetti passivi del tributo. 

Esorbita dal compito istituzionale di questa Corte formulare indicazioni 
o suggerimenti circa i rimedi che il legislatore vorr� adottare, nella 
sua piena discrezionalit�, per eliminare gli inconvenienti che, sotto i 
diversi profili qui prospettati, dipendono dai difetti strutturali del 
sistema di questa legge. Varie possono essere le vie di una riforma 
correttiva, idonea a rendere l'imposta sull'incremento di valore degli 
immobili corrispondente allo scopo perseguito con la sua istituzione, e 
ad evitare la possibilit� di applicazioni distorte e lesive della parit� 
tributaria. Le ordinanze di rimessione hanno denunciato le disposizioni 
degli artt. 6, 14 e 15 del d.P.R. n. 643/1972, e dell'art. 8 della legge 

n. 904/1977, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione: questa 
Corte ritiene di dover dichiarare l'illegittimit� delle sole disposizioni che 
concernono la determinazione definitiva della base imponibile, ossia la 
formazione del valore imponibile netto, mediante detrazioni percentuali 
fisse commisurate al numero degli anni, o frazioni d'anno, considerati 
per il calcolo della differenza tra valore finale e valore iniziale. Sono 
infatti le disposizioni dell'art. 14 del d.P.R. del 1972 e dell'art. 8 della 
legge del 1977 quelle che direttamente regolano la misura delle detrazioni 
annue in rapporto al periodo considerato per la determinazione 
del valore differenziale, e pertanto solo queste disposizioni possono 
essere investite dalla pronuncia di incostituzionalit�, pur rimanendo 
ovviamente in facolt� del legislatore di attuare una pi� congrua disci

20 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

plina normativa in ordine alla incidenza dell'elemento temporale con 
eventuale intervento anche su altre disposizioni della legge. 

Non occorre, infine, ripetere qui le considerazioni gi� svolte per 
cui la Corte ritiene di dover riferire la pronuncia di incostituzionalit� al 
pdncipio enunciato dall'art. 3, primo comma, della Costituzione. (omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 14 novembre 1979 n. 127 -Pres. Amadei -
Rel. Rossano -Bernoldi (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice 
avv. gen. Stato Chiarotti). 

Procedimento penale -Persona non imputabile -Ricovero in manicomio Competenza 
del giudice istruttore � Legittimit� costituzionale. 
(Cost. artt. 3, 24 e 25; cod. proc. pen., artt. 378 e 381). 

Gli artt. 378, comma primo, parte prima, e 381, comma secondo, parte 
ultima, cod. proc. pen. -nella parte in cui dispongono che il giudice 
istruttore e non il giudice del dibattimento deve dichiarare non doversi 
procedere nei confronti di persona non imputabile, perch� incapace di 
intendere e di volere per infermit� psichica, e ordinare il suo ricovero 
in manicomio giudiziario -non contrastano con gli artt. 3, 24 e 25 Cast. 

CORTE COSTITUZIONALE, 14 novembre 1979 n. 128 -Pres. Amadei -
Rel. Rossano -Balletta (n.p). 

Reato -Ingiuria e diffamazione -In scritti dei consulenti ~cnici di 
parte -Punibilit�. 
(Cost., artt. 3 e 24; cod. pen., art. 598). 

Non contrasta con gli artt. 3 e 24 Cast. l'art. 598, comma primo, 
cod. pen., nella parte in cui non prevede la non punibilit� delle offese 
contenute negli scritti e nei discorsi dei consulenti tecnici di parte in 
procedimenti davanti all'autorit� giudiziaria o amministrativa. 

(omissis) Detti limiti consentono di affermare, con la pi� recente 
giurisprudenza della Corte di cassazione, che la non punibilit� delle 
offese prevista dall'art. 598 c.p. ha fondamento nella libert� di discussione 
delle parti contendenti sia nel caso di offesa strettamente necessaria, 
sia nel caso di offesa non necessaria che s'inserisce nel sistema difensivo 
dei procedimenti con funzione strumentale E in proposito va consi


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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

21 

derato che la norma non attribuisce un diritto all'ingiuria e quindi alla 
non punibilit�, ma tutela la libert� della difesa, che sarebbe non efficiente 
e quindi non libera da preoccupazioni di possibili incriminazioni 
per offese all'altrui onere e decoro. Ci� posto, senza che occorra soffermarsi 
ulteriormente sulla non punibilit� delle offese ai termini dell'art. 
598 c.p., deveescludersi che la garanzia dell'art. 24, secondo comma, 
Cost. possa estendersi al consulente tecnico, che non � legittimato allo 
esercizio del patrocinio e svolge attivit� di consulenza concernente cognizioni 
tecniche e quindi un'attivit� obiettivamente diversa da quella 
tecnica giuridica, che i patrocinatori, nell'esercizio professionale, debbono 
svolgere nella dinamica dei procedimenti con riguardo all'oggetto 
del giudizio. (omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 21 novembre 1979 n. 131 -Pres. Amedei -
Rel. Malagugini -Sorrentino (n.p.). 

Pena -Pene pecuniarie -Conversione in pene detentive -Illegittimit� 

costituzionale. 

(Cast., artt. 3 e 27; cod. pen., art. 136; cod. proc. pen., art. 586). 

La doverosa salvaguardia del fondamentale interesse dello Stato 
ad una uguale possibilit� di funzionamento del sistema penale nei confronti 
di tutti i destinatari presuppone una (tendenzialmente) uguale possibilit� 
di applicazione della sanzione prevista dalla legge a carico di 
tutti gli autori del medesimo illecito, e, quindi, che la sanzione stessa 
sia di tal contenuto da potersi attuare su di un bene sicuramente posseduto 
da tutti i destinatari. Contrastano pertanto con gli artt. 3 e 27 Cast. 
gli artt. 136 cod. pen. e 586 quarto comma cod. proc. pen. (1). 

(omissis) In effett:i, il complesso normativo disciplinal!lte Ie pene 
pecuniarie e la loro esecuzione, presenta una serie di disarmonie che 

(1) La sentenza, diffusa nel testimoniare (persino con accenti � fabiani �) 
solidariet� ai non abbienti, limita a poche parole -J.'ultimo dei capoversi qui 
riportati -le indicazioni � ricostruttive�; ed invero, posto che appare diffi. 
cile rinunciare a11o strumento delle pene pecuniarie, appare necessario ewtare 
che J.a e1iminazione di una diseguaglianza a danno del non abbiente si traduca 
nella introduzione di una diseguagliruiza a suo favore, ed evitare che al non 
abbiente si affianchino -dn una situazione di sostanziale esenzione da pena coloro 
che, pi� o meno ca1lidamente, preferiscono omettere di pagare la pena 

22 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

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rendono arduo configurarne la piena aderenza alle norme costituzionali 
cui deve conformarsi il diritto penale. 
Anzitutto, il contenuto della pena pecuniaria consente l'adempimento 

1

dell'obbligazione pecuniaria verso lo Stato, in che essa consiste, anche ad 
opera di un terzo, che pu� sostituirsi al condannato nel pagamneto 
ovvero fornirgliene i mezzi, e ci� in ogni caso, ranche a prescindere d~lla 
esistenza di un soggetto civilmente responsabile per l'ammenda o dal 
ricorrere della ipotesi prevista dall'art. 237 della � Tariffa Penale �. Ap


Ipare cos� scalfito il principio della personalit� della responsabilit� penale. 

In secondo luogo, nel momento in cui, esclusivamente per l'accertata 
insolvibilit� del condannato, si deve procedere, in sede di esecuzione, 
indifferibilmente ed in modo automatico, alla riconversione della 
pena pecuniaria in pena detentiva, viene a prospettarsi una lesione del 
principio di eguaglianza in mater~a penale. 

La conversione comporta, infatti e senza dubbio, un aggravamento 
della pena inflitta dal giudice ed altera, perci�, il rapporto di proporzionalit� 
tra la griavit� del reato e la capacit� a delinquere del colpevole, 
da un lato, e la specie e quantit� della pena irrogata, dall'~ltro, quale 
determinato discrezionalmente, nei limiti e secondo i parametri di legge, 
dal giudice stesso. Con il risultato di far deriV1are, per effetto delle 
condizioni economiche del condannato, disuguali conseguenze sanzionatorie 
da responsabilit� ritenute di pari intensit� nella violazione della 
medesima norma incriminatrice, sino a far scontare al condannato insolvibile, 
quando i fatti di reato siano punibili con la sola pena pecuniaria, 
una pena di specie diversa e pi� grave di quella comminata nella previsione 
generale ed astratta del legislatore. 

Osservare che la conversione della pena pecuniaria in pena detentiva, 
essendo prevista dalla legge, �, perci�, da ritenersi implicita nella 
sentenza di condanna, prospettabile, quindi, per questo aspetto, come 
condizionatamente alternativa, non rileva -e giustamente lo afferma la 
sentenza n. 29 del 1962 -per la soluzione del1a questione proposta, ma 
conduce soltanto ad una diversa formulazione di essa. 

Vero � che la doverosa salvaguardia del fondamentale interesse 
dello Stato ad una uguale possibilit� di funzionamento del sistema penale 
nei confronti di tutti i destinatari presuppone una (tendenzialmente) 
uguale possibilit� di applicazione della sanzione prevista dalla legge a 

pecuniaria, pur disponendo di mezzi (ovviamente non iscritti nei registI'i immobili:
ari). 

Appare quindi opportuno non attenuare eccessivamente 1a differenza tra 
sanzioni pecuniarie penali e sanzioni pecunarie amministrative, pur tenendo 
conto deHe vigorose tendenze -gi� in atto -alla � decriminalizzazione"� 


-


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 23 

carico di tutti gli autori del medesimo illecito, e, quindi, che la sanzione 
stessa sia di tal contenuto da potersi attuare su di un bene 
sicuramente posseduto da tutti i destinatari. 
Tale � la libert� personale, bene primario posseduto da ogni essere 
vivente, a prescindere dalle diverse possibilit� di godimento, mentre il 
patrimonio (1al pari del reddito) non inerisce naturalmente alla persona 
umana, quanto meno in misura uguale. Perci� l'adozione di pene pecuniarie, 
accanto ad indubbi vantaggi -minore incidenza sulla posizione 
ed inserimento sociali del condannato -comporta l'inconveniente di una 
disuguale afflittivit� e al limite, dell'impossibilit� di applicarla, in funzione 
delle diverse condizioni economiche dei soggetti condannati. Di 
qui la ricerca di rimedi, atti a salvaguardare l'efficacia e la concreta uguaglianza 
dell'effetto della pena pecuniada, mediante meccanismi d'adeguamento 
alle concrete condizioni economiche dei condannati. Nel codice 
penale vigente, tale adeguamento � limitato alla previsione (artt. 24, 
ultimo comma, e 26, ultimo comma, cod. pen.) dell'aumento fino al 
triplo, quando anche l'applicazione del massimo edittale � pu� presumersi 
inefficace � � per le condizioni economiche del reo �. Proprio la 
previsione che taluno dei destinatari della pena possa (quale ne sia la 
causa) versare in condizioni di insolvibilit�, che lo rendono incapace della 
prestazione pecuniaria il cui a�empimento costituisce l'esecuzione della 
pena stessa, ha suggerito la convertibilit� della pena pecuniaria in pena 

detentiva negli ordinamenti che, per una fascia pi� o meno estesa di reati 
hanno introdotto, vila via allargandone il campo di applicazione, la prima 
in sostituzione o in alternativa alla seconda, soprattutto per le pene 
detentive di breve durata. La minaccia di conversione della pena pecuniaria 
in pena detentiva � stata, cio�, ritenuta necessaria, in considerazione 
della efficacia comparativamente maggiore della seconda rispetto 
alla prima, a fine di prevenzione generale e speciale ed 1anche per impedire 
che il condannato possa essere indotto a precostituire volontaria


mente una situazione di insolvenza. 

Mentre la previsione di un fatto diverso da quello per il quale � 
comminata ed � stata irrogata la pena pecuniaria, potrebbe, se mai, 
dare luogo ad una figura autonoma di reato (in analogia a quanto disposto 
dall'art. 388 del codice penale -mancata esecuzione dolosa di un 
provvedimento del giudice) si deve riconoscere che l'argomentazione 
generalmente addotta, confortata dall'esperienza maturata in numerosi 
Paesi, sarebbe certamente stringente al fine di orientare libere scelte 
di politica criminale, quando si discutesse della sempre opinabile giustizia 
o ingiustizila di un complesso normativo, e dell'opportunit� di accettare 
quelle che il Beccaria chiamava � utili ingiustizie �. Quando per�, 
in un ordinamento vincolato alla osservanza dei parametri costituzionali, 
l'alternativa tra pena pecuniaria e pena detentiva si pone e si scioglie 
esclusivamente in funzione della insolvibilit� del condannato, accertata 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

al momento dell'esecuzione, appare insanabilmente contraddittorio pretendere 
di fondare la soddisfazione del principio di uguaglianza di fronte 
al reato e alla pena, proprio sul sacrificio dell'uguaglianza stessa, introducendo 
una discriminazione determinata unicamente dalle condizioni 
economiche del condannato. 

Nella traslazione della pena dai beni alla persona del condannato insolvibile 
� evidente il retaggio di concezioni arcaiche, basate sulla fungibilit� 
tra libert� e patrimonio personali. 

Siffatte concezioni, esplicitamente proclamate fino all'abrogazione 
della prigione per debiti, contrastano per� seccamente con la tavola dei 
valori costituzionali. Ci� non soltanto per la posizione preminente ivi 
assicurata alla libert� personale, compresa tra quei diritti inviolabili 
dell'uomo che la Repubblioa riconosce e garantisce, restandone cos� 
esclusa ogni possibilit� di monetizzazione, ma anche perch� Io stato 
di insolvibilit�, comunque motivato e normalmente incolpevole, dal quale, 
nella fattispecie considerata, si fa derivare la privazione della libert� 
personale, denuncia la persistenza di ostacoli di ordine economico e 
sociale al conseguimento dell'uguaglianza -nel caso, di fronte alla legge 
penale -; ostacoli che per�, lungi dal suggerire l'adozione di misure 
atte al loro superamento, vengono assunti a causa esclusiva dell'innegabile 
aggravamento deHa sanzione penale inflitta. {omissis). 

Con ci� non si vuole certamente escludere la possibilit� di garantire 
l'effettiva uguaglianza dei cittadini di fronte alla sanzione penale, in 
particolare pecuniaria. Spetter� al legislatore assicurarla, adottando, nella 
sua discrezionalit�, gli opportuni strumenti normativi, ad esempio secondo 
le linee di tendenza sopra richiamate e che il legislatore stesso ha 
gi� dimostrato di voler prendere in �considerazione. (omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 6 dicembre 1979 n. 138 -Pres. Amadei Est. 
Roehrssen -Mazzoni e altri c. Comune di Foligno. 

Previdenza -Personale degli enti locali -Trattamenti supplementari di 
fine servizio . Soppressione dal 1� marzo 1966 � Limiti -Legittimit� 
costituzionale. 
(Cost., art. 3; l. 8 marzo 1968, n. 152, art. 17; l. 5 ottobre 1969, n. 746, art. unico). 

Non � fondata, con riferimento all'art. 3 della Costituzione, la questione 
di legittimit� costituzionale del combinato disposto dagli artt. 17 
della legge 8 marza 1968 n. 152 e unico della legge 5 ottobre 1969 n. 746, 
per aver distinto fra personale a riposo e personale in servizio alla 
data del 1" marzo 1966, e per aver applicato soltanto al secondo la 
soppressione di ogni trattamento previdenziale supplementare. 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

25 

CORTE COSTITUZIONALE, 6 dicembre 1979 n. 140 -Pres. Amadei -
Rel. Bucciarelli Ducci -Maggiani e altri c. INPS e Presidente del 
Consiglio dei Ministri (avv. Stato Angelini Rota). 

Previdenza -Pensione I.N.P.S. � Pensione di riversibilit� per le figlie 
a carico inabili al lavoro � Cessazione per susse~ente matrimonio . 
Illegittimit� costituzionale. 
(Cost., art. 3; d.lgs.lgt. 18 gennaio 1945, n. 39, art. 3). 

� costituzionalmente illegittimo, in relazione all'art. 3 Cast., (l'art. 3 
lett. a) del d. lgs. lgt. 18 gennaio 1945 _n. 39 secondo cui il diritto a pensione 
di riversibitit� I.N.P.S., spettante, nel concorso dei requisiti di 
legge, alle figlie dell'assicurato o del pensionato defunto, cessa per effetto 
di susseguente matrimonio (1). 

(1) Con la sentenza dn esame la Corte Costituzionale ha fatto applicazione, 
anche nehla particolare fattispecie, dei principi gi� affermati con la 
sentenza 26 giugno 1975, n. 164 relativamente all'art. 2, secondo comma, deLlo 
stesso decreto n. 39 del 1945. 
I 

CORTE COSTITUZIONALE, 6 dicembre 1979 n. 141 -Pres. Amadei � 
Rel. Reale � Guglielmucci (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri 
(avv. Stato Azzariti): 

Istruzione � Universit� -Assegno annuo -Incompatibilit� con trattamenti 
economici omnicomprensivi. 
(Cost., artt. 3 e 36; d.!. 1 ottobre 1973, n. 580, art. 12). 

La non cumulabilit� dell'assegno annuo di cui all'art. 12 comma primo 
del d.l. 1 ottobre 1973 n. 580 con altri assegni o indennit� di analoga 
natura o con trattamenti economici omnicomprensivi non contrasta 
n� con l'art. 3 Cast. n� con l'art. 36 Cast.; in particolare quest'ultima 
norma costituzionale deve essere riferita alla globalit� delle retribuzioni 
percepite da un soggetto (1). 

(1) L'art. 12, commi primo, secondo e terzo sono stati, oom'� noto, clichtarati 
costituzionalmente iihlegittimi, �per J:a parte concernente i docenti 
universitari con parametro 825 �, dalla ,sentenza Corte Cost. 17 Juglio 1975, 
n. 219 (:ill1 Foto it., 1975, I, 1881), iLa quale peraltro non ha ritenuto assorbito 
nel trattamento om:nicomprensivo anche fo �assegno speciale� di cui ai commi 

26 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 
II 
CORTE COSTITUZIONALE, 12 febbraio 1980 n. 16 -Pres. Amadei -Rel. 
Rossano -Mathis ed altro (n.p.) Politecnico di Torino e Presidente 
Consiglio dei Ministri (avv. Stato Caraf�a). 
Istruzione -Universit� � Incarichi di insegnamento 
lavoratori dipendenti ai lavoratori autonomi. 
(Cost., art. 3; d.l. 1 ottobre 1973, n. 580, art. 4). 
� Equiparazione dei 
L'art. 4, comma primo, n. 1 del d.l. 1 ottobre 1973 n. 580 � costituzionalmente 
illegittimo nella parte in cui non comprende tra coloro che 
esercitano attivit� professionale o consulenza professionale retribuita 
anche i dipendenti pubblici e privati. 
I 
1(omissis) Il giudice a quo dubita della costituzionalit� del terzo 
comma dell'art. 12 del d.I. 1� ottobre 1973, n. 580 (convertito nella legge 
30 novembre 1973, n. 766). Il citato articolo al primo comma attribuisce 
al personale insegnante universitario di ruolo, fuori ruolo e incaricato 
un assegno annuo pensionabile e utile ai fini dell'indennit� di buonuscita 
e al terzo comma stabilisce che il detto assegno � non � comulabile 
con altri assegni o indennit� di analoga natura n� con trattamenti economici 
onnicomprensivi �. 
Un primo profilo di incostituzionalit� (per violazione dell'art. 3 della 
Costituzione) che il giudice a quo sottopone alla Corte � quello della 
diversit� di trattamento �nell'ambito delle categorie dei professori incaricati 
universitari interni, fra coloro che non godano, nel diverso rapporto 
di impiego che li vincola, di trattamento economico onnicomprensivo'" 
i quali tutti � devono svolgere (nell'Universit�) prestazioni e possedere 
requisiti del tutto identici �. 
La questione non � fondata. 
La denunciata e soprariprodott1a disposizione, infatti, esclude il 
cumulo dell'assegno di cui trattasi non solo con i trattamenti economici 
�onnicomprensivi�, ma anche �con altri assegni e indennit� di analoga 
natura�. 
La generalit� degli �interni>>, cio� degli incarioati con altro rapporto 
di impiego pubblico, o appartengono a categorie il cui trattamento � 
onnicomprensivo (come i magistrati, fra i quali � il ricorrente), oppure 
quarto e quinti dello stesso art 12. Di tale uLtimo assegno -esso pure poco 
compatibile con un trattamento omnicomprensivo -fa sentenza in rassegna 
non ha potuto occuparsi. 
i 
II 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

godono dell'assegno perequativo pensionabile introdotto per gli statali 
dall'art. 1 della legge 15 novembre 1973, n. 734, o di altro trattamento 
equipollente. Il detto assegno perequativo fu appunto introdotto -come 
osserva l'Avvocatura citando un parere del Consiglio di Stato -per 
restituire l'equilibrio dei vari trattamenti dei dipendenti statali dopo 
l'introduzione dei trattamenti differenziati per le categorie dirigenziali. 
E infatti il secondo comma del citato art. 1 della legge n. 734/1973 
esclude dalla corresponsione dell'assegno disposto nel primo comma i 
funzionari con qualifica di dirigente e il personale di cui alla legge 
24 maggio 1951, n. 392, cio� i magistmti. 

Ora, quando il citato d.l. 1� ottobre 1973, n. 580, parla di � altri assegni 
e indennit� di analoga natura � � evidente che il riferimento si 
estende all'assegno perequativo introdotto col disegno di legge presentato 
alla Camera quasi contemporaneamente dallo stesso governo e approvato 
(legge n. 734/1973) prima della conversione in legge del d.l. n. 580. 

Pertanto gli incaricati universitari �interni�, sia che usufruiscano 
del trattamento onnicomprensivo, sia che godano dell'assegno perequativo 
introdotto dalla legge n. 734/1973 o di altro tr;attamento equipollente, 
sono esclusi, in virt� del terzo comma dell'art. 12 del d.l. n. 580/1973 
convertito nella legge n. 766/1973, dal godimento dell'assegno annuo 
pensionabile concesso con il primo comma del detto art. 12 al personale 
insegnante dell'Universit�. Non esiste quindi la denunciata diversit� di 
trattamento per le due categorie di �interni�. 

Del pari non fondata � la questione sotto il profilo della pretesa violazione 
dell'art. 36 della Costituzione, che si verificherebbe -secondo 
il giudice a quo -per l'inadeguatezza della retribuzione prevista per 
le prestazioni di un professore incaricato, quando essa non sia integrata 
dall'assegno disposto dall'art. 12 del d.l. n. 580. La invocata norma 
costituzionale, infatti, nel proclamare il diritto del lavoratore a una 
retribuzione proporzionata: al suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad 
assicurare un'esistenza libera e dignitosa, non pu� essere riferita alle 
singole fonti della retribuzione del lavoratore, ma alla sua globalit� 
(confr. sent. n. 88 del 1970). Ora il professore incaricato interno insieme 
e oltre alla remunerazione per l'incarico, percepisce uno stipendio per 
il suo rapporto di impiego pubblico: nella specie cui si riferisce la oausa 
lo stipendio di magistrato. 

Non pu� quindi nemmeno ipotizzarsi una violazione dell'art. 36 della 
Costituzione. (omissis). 

II 

(omissis) Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Pieirn0111te 
sostiene, inoltre, che la normativa dell'art. 4, comma sesto, d.l. n. 580 del 
1973, oltre ad essere illegittima nel suo insieme, attuerebbe una irragio



ZB RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

nevale discriminazione fra categorie di candidati in quanto le attivit� 
professionali o la consulenza professionale retribuita, che precludono il 
conferimento preferenziale ai gi� incaricati o assistenti di ruolo, sono 
soltanto le attivit� professionali libere o di consulenza professionale 
autonoma e non le attivit� svolte da pubblici dipendenti. La normativa 
sarebbe illegittima in quanto collocata alla quarta categoria (n. 4) i liberi 
professionisti e consulenti professionisti autonomi in base ad una presunzione 
di un minore impegno e di una minore disponibilit� di tempo 
dei professionisti rispetto ai pubblici dipendenti, presunzione che potrebbe 
non trovare conferma nei fatti. 

La censura � fondata. 

Questa Corte ritiene esatta l'interpretazione data dal Tribunale Amministrativo 
al termine �attivit� professionale� contenuto nel numero 1 
della norma impugnata. L'attivit� professionale, che impedisce il conferimento 
preferenziale dell'incarico, � soltanto quella professionale libera. 
La distinzione, nello stesso n. 1 della norma impugnata, tra esercizio 
di attivit� professionale e consulenza professionale retribuita si spiega 
considerando che il legislatore ha voluto vietare il conferimento degli 
incarichi sia a coloro che esercitano un'attivit� professionale condizionata 
all'iscrizione in albo o elenco, sia a coloro che svolgono attivit� 
professionali non subordinate all'iscrizione in particolare albo, le quali, 
secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, sono attivit� professionali 
libere. 

La norma dell'art. 4, n. l, d.l. n. 580 del 1973, cos� interpretata, determina 
tra la categoria dei dipendenti pubblici e privati e quella dei liberi 
professionisti una disparit� di trattamento priva di razionale giustificazione 
poich� le due categorie si trovano in situazioni da ritenere oggettivamente 
eguali. 

Nella citata relazione al Senato sul disegno di legge n. 1267, concer


nente la conversione in legge del d.l. n. 580 del 1973, si afferma che punto 

saliente della nuova disciplina per il conferimento degli incarichi di inse


gnamento nelle Universit� si identifica nelle preferenze attribuite a coloro 

che non esercitano private attivit� professionali. Nella relazione non sono 

specifioati i motivi delle preferenze. Questi motivi, secondo la giurispru


denza amministrativa, consisterebbero nella maggiore disponibilit� di 

tempo, da dedicare all'insegnamento universitario, del dipendente pub


blico o privato rispetto al libero professionista. 

L'incarico universitario consente margini di autonomia per lo svol


gimento di altre attivit�, che restano consentite e, anzi, di fatto agevolate 

nei limiti in cui la titolarit� dell'incarico pu� tradursi in ulteriore quali


ficazione professionale. Queste considerazioni valgono per i professio


nisti, non meno che per i dipendenti. 

D'altronde il dipendente deve adempiere, in stato di subordinazione, 

i numerosi, gravosi doveri del rapporto di impiego, che influiscono note




PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

volmente sulla quantit� di tempo libero. Al riguardo va considerato che 
spesso il dipendente, che ha titolo per assumere l'incarico di insegnamento 
universitario, occupa, nell'ordinaria attivit�, una posizione di rilievo, 
con i conseguenti oneri, che riducono notevolmente il tempo per 
svolgere altra attivit�. Lo stesso dipendente, in generale, � soggetto 
ad orario di ufficio e, per assumere quialsiasi incarico, ha l'obbligo di 
ottenere l'autorizzazione del superiore gerarchico, che deve accertare 
la compatibilit� dell'incarico con gli impegni derivanti dalle funzioni 
esercitate. Al contrario il professionista, non soggetto a vincoli di subordinazione 
e di orario, ha la possibilit� di scegliere e dedioare all'insegnamento 
il tempo che liberamente ritiene di sottrarre alla sua normale 
attivit�. 

La mancata predeterminazione di un certo periodo di tempo non 
pu�, quindi, far presumere che il professionista non sia in grado di 
assolvere con il necessario impegno l'incarico di insegnamento universitario; 
n� pu�, per converso, far ritenere che i dipendenti pubblici e 
privati debbano essere preposti ai liberi professionisti, anzich� venire 
anch'essi collocati, se gi� incaricati, al 4� posto della graduatoria per il 
conferimento degli incarichi. 

E, poich� mancano criteri logici da assumere quiali ragioni giustificatrici 
del trattamento differenziato, sussiste la denunciata violazione del 
principio di eguaglianza. (omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 20 dicembre 1979, n. 153 -Pres. Amadei -
Rel. Volterra-Barletta (avv. Panunzio) e F1abiano (avv. Giannuli e 
Lipari). 

Successioni -Coniuge del binubo -Limiti della capacit� di ricevere per 

testamento � Illegittimit� costituzionale. 

(Cost., artt. 3 e 29; cod. civ., artt, 595 e 599). 

Contrastano con gli artt. 3 e 29 Cast. l'art. 595 del codice civile nel 
testo abrogato dall'art. 196 della legge 19 maggio 1975, n. 151, e l'art. 599 
del codice civile nella parte in cui richiama il predetto art. 595. 

(omissis) Il motivo invocato da �taluni che il divieto di cui all'art. 
595 fosse esclusivamente diretto a tutelare gli interessi dei figli 
di primo letto, se poteva avere un'apparenza di veridicit� per le pi� 
antiche legislazioni, appariva in gran parte inconsistente e ormai superato 
una volta introdotto l'istituto della quota disponibile e della riserva 
ereditaria e data la possibilit� di impugnare le disposizioni testamentarie 
affette di violenza, dolo od errore (art. 624 codice civile). 


30 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

La norma denunziata, stabilendo che la condizione di colui che aveva 
contratto successivamente pi� matrimoni, costituisce un elemento discriminante 
rispetto alla capacit� di qualunque altro cittadino celibe o 
coniugato una sola volta di disporre della quota disponibile dei suoi 
beni nei confronti del proprio coniuge e, correlativamente, rispetto alla 
capacit� di questo coniuge di ricevere sulla quota disponibile, violiava il 
principio costituzionale di. uguaglianza di cui all'art. 3. 

La differenza di trattamento fatto ai binubi, in confronto degli altri 
coniugati e in genere degli altri cittadini, non solo non trova"\na alcuna 
ragionevole giustificazione in motivi che comunque potessero identificarsi 
con i principi e i valori della Costituzione, soprattutto dell'art. 29, ma 
appariva rispondere a concetti del tutto superati e addirittura contrastanti 
con lia logica del sistema creando una serie di situazioni palesemente 
assurda. 

Infatti, mentre qualunque cittadino poteva disporre liberamente dei 
propri beni nei limiti della propria quota disponibile e poteva liberamente 
ricevere entro la quota disponibile di altri liberalit� a proprio 
favore, ci� era vietato ai binubi e ai coniugi di questi per il solo fatto 
che esisteva fra loro un rapporto giuridico di matrimonio legittimo.� I 
vedovi e i divorziati, come tutti gli altri cittadini, potevano invece disporre 
della loro quota disponibile a favore di qualsivoglia altra persona 
anche se con loro convivente more uxorio, o unit� da vincolo di matrimonio 
religioso non trascritto, o unita da matrimonio legittimo successivamente 
annullato prima della morte del binubo, situazioni queste 
nelle quali i pericoli a danno dei figli di matrimoni anteriori di circumvenzione, 
di dolo o di violenza che si affermava volere impedire potevano 
esistere con assai maggiore incidenza e frequenza e con conseguenze assai 
pi� gravi. .(omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 30 gennaio 1980, n. 10 -Pres. Amadei -Rel. 
Paladin-Ventola (avv. Piras e Paoletti), Amoroso (avv. Panunzio), e 
Regioni Lazio e Campania (avv. Abbamonte). 

Impiago pubblico � Qualifica funzionale � Contrasto con i princ�pi fon


damentali stabili dalle leggi dello Stato e con i criteri di buon 

andamento e di imparzialit� � Non sussiste. 

(Cost., artt. 97 e 117; legge reg. Lazio 29 maggio 1973, n. 20 e n. 21; legge reg. Campania 

16 marzo 1974 n. 11 e 9 settembre 1974, n. 52). 

Corte costituzionale -Principio di eguaglianza � Presupposti e limiti di 

applicazio~. 

(Cost., art. 3; leggi reg. Lazio e Campania predette). 

In tema di pubblico impiego, mancando una apposita legge-cornice, 
le norme-principio sono desumibili non dal solo statuto degli impiegati 

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II 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 31 

civili dello Stato (d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3) ma da tutte le leggi statali 
succedutesi nel disciplinare i pi� vari rapporti di impiego facenti capo 
allo Stato-apparato come anche agli altri enti pubblici. La suddivisione 
del personale in � qualifiche funzionali � non contrasta n� con i principi 
fondamentali cui si informa la legislazione dello Stato (in relazione all'art. 
117 Cast.) n� con i criteri di buon andamento e di imparzialit� 
dell'amministrazione (di cui all'art. 97 Cast.) (1). 

Le valutazioni di legittimit� costituzionale sul rispetto del principio 
di eguaglianza comportano per definizione che la normativa impugnata 
venga posta a raffronto con un'altra o con altre normative per stabilire 
in tal modo se il legislatore abbia dettato disposizioni cos� poco ragionevoli 
da doversi ritenere costituzionalmente illegittime. Una tale comparazione 
� consentita solo quando i termini da raffrontare sono omogenei 
(2). 

'(omissis) Con tre contemporanee ordinanze -emesse il 18 febbraio 
1976 -il tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha sollevato 
questione di legittimit� costituzionale degli artt. 40 e 72 della 
legge 29 maggio 1973, n. 20, della Regione Lazio, nonch� degli artt. 76, 
sesto comma, ed 81, terzo, quarto e sesto comma, della legge medesima, 
cos� come modificati dalla legge regionale 29 maggio 1973, n. 21. I tre 
giudizi erano stati introdotti da numerosi ricorsi di ex dipendenti dei 
Ministeri dell'agricoltura e foreste, dei lavori pubblici, della sanit�, trasferiti 
alla Regione Lazio ed inquadrati nei ruoli dell'Amministrazione 
regionale con le � qualifiche funzioni � di � funzionario direttivo >>, di 
� collaboratore � oppure di � assistente >>, secondo le diverse ipotesi. 
Tutti i ricorrenti deducevano l'illegittimit� dei rispettivi decre!i di inquadramento, 
lamentando di essere stati immessi nei ruoli regionali con 
il riconoscimento della sola anzianit� maturata e non anche delle posizioni 
gi� raggiunte nell'Amministrazione dello Stato, alla medesima stregua 
di altri dipendenti � con qualifica iniziale �. Ma il tribunale ha 
ritenuto che i decreti di inquadramento avessero applicato rettamente 
le leggi regionali n. 20 e n. 21 del 1973; ed ha per� messo in dubbio, sotto 
vari aspetti, la legittimit� delle stesse norme legislative in questione. 

(1) Le affermazioni contenute nella sentenza in rassegna superano le dimensioni 
delJe controversie nel cui ambito le questioni cli legittimit� sono 
emerse. La sentenza Corte Cost. 12 aprile 1978, n. 27 � pubblicata in Foro It., 
1978, I, 1347. 
Si richiamano Je annotazioni aJ,le sentenze Corte Cost. 20 marzo 1978, n. 21 
e 20 aprile 1978, n. 45 (in questa Rassegna, 1978, I, 291 e 405). 

(2) Significativa � la esplicita indicazione dei presupposti e dell'iter logico 
da seguire per l'applicazione del principio di eguaglianza. La sentenza 
sembra configurare, a carico del giudice a quo, un onere di indicazione del 
tertium comparationis. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

32 

In primo luogo, nelle ordinanze di rimessione si prospetta la lesione 
dell'art. 3 Cost. da parte dell'art. 81, terzo, quarto e sesto comma, della 
ricordata legge regionale n. 20, modificata dalla legge regionale n. 21 del 
1973: dal momento che, in forza di tali norme, �tutti i pubblici dipendenti 
della stessa oarriera e con pari anzianit� subiscono � -si afferma 
-�identico trattamento all'atto dell'inquadramento, senza alcuna differenziazione 
in relazione alla qualifica gi� rivestita nel ruolo di provenienza 
�, cos� violando il principio costituzionale che vieta di trattare 
egualmente situazioni diverse. L'irrazionalit� delle norme impugnate sarebbe 
anzi accentuata dalla previsione dell'art. 81, sesto comma, per cui 
i dipendenti muniti di titolo di studio superiore ovvero che abbiano 
svolto per almeno quattro 1anni mansioni superiori sono inquadrabili 
�nella qualifica immediatamente superiore a quella di appartenenza�, 
venendo in tal modo preposti ai dipendenti meno anziani ma pi� qualificati. 
N� le conseguenti ingiustizie di ordine economico sarebbero 
sanate dall'art. 81, decimo comma: poich� il mantenimento del trattamento 
superiore gi� eventualmente goduto presso l'amministrazione di 
provenienza esaurirebbe ben presto la propria funzione, del resto marginale, 
per effetto dell'� ordinaria progressione economica�. 

In secondo luogo, l'art. 81 violerebbe anche gli artt. 35 e 36 Cost., 
negando � il giusto riconoscimento alla qualit� del lavoro �, che nel 
pubblico impiego sarebbe viceversa assicurata da qualifiche tali da consentire 
�la migliore valutazione dei meriti e delle capacit� individuali�. 

In terzo luogo, le norme impugnate sarebbero inoltre in contrasto 
con l'art. 117, nonch� con l'ottava disp. trans. Cost. Il giudice a quo 
sostiene, infatti, che il livellamento del personale proveniente da una 
medesima carrieria non si armonizzerebbe con il principio della salvaguardia 
delle � posizioni di carriera ed economiche gi� acquisite... nel 
ruolo statale di provenienza'" affermato dai decreti legislativi del 1415 
gennaio 1972, in vista del primo trasferimento delle funzioni amministrative 
statali ialle Regioni a statuto ordinario. A sua volta, attribuendo 
al personale trasferito la qualifica superiore a quella goduta all'atto del 
trasferimento (con l'alternativa di cinque aumenti periodici di stipendio, 
ma limitatamente ai soli dipendenti che avessero raggiunto il vertice della 
propria carriera), l'art. 68 del d.P.R. n. 748 del 1972 confermerebbe -:-secondo 
le ordinanze di rimessione -che la legislazione regionale deve 
tener ferme le mansioni gi� svolte dal personale proveniente dalle amministrazioni 
statali, conservando a ciascuno lia posizione spettantegli 
rispetto ai dipendenti della stessa carriera, senza dunque operare gli 
ingiustificati � scavalcamenti � resi possibili dalla legislazione regionale 
del Lazio. 

In quarto luogo, del resto, le stesse norme regionali di princ1p10 in 
materia di rapporto d'impiego potrebbero considerarsi lesive dell'art. 117 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Cost. Premessa una sintetica motivazione sulla rilevanza di tali questioni, 
in quanto pregiudiziali rispetto a quelle gi� sollevate, il giudice a quo 
sostiene anzitutto che nell'� 1attuale assetto della corrispondente legislazione 
statale� sarebbe fondamentale la valutazione del merito ai fini 
dell'avanzamento; laddove l'art. 76, sesto comma, della legge regionale 

n. 20, modificato dalla legge n. 21 del 1973, non prevederebbe � un accertamento 
specifico ed imparziale del merito � stesso, poich� subordinerebbe 
la progressione economica ai soli giudizi annuali di merito o di 
non demerito, per di pi� espressi � da titolari di organi elettivi o da 
funzionari... legati ai primi da un rapporto fiduciario�. Inoltre, il TAR 
del Lazio osserva che il sistema statale, in antitesi a quello regionale, 
si ispira al principio dell' � articolazione delle carriere in qualifiche �. 
Nonch� con l'art. 117 Cost., la previsione di qualifiche uniche per ciascuna 
carriera, contenuta nell'art. 40 della legge regionale n. 20 del 1973, si 
porrebbe d'altronde in contrasto con l'art. 49, secondo comma, lett. b), 
dello Statuto della Regione Lazio, che richiede invece l'adozione di � qualifiche 
funzionali �, esigendo con ci� stesso -secondo il giudice a quo 
�una determinazione di mansioni sufficientemente specifica� e non 
� l'artificiosa riduzione ad unit� di mansioni notevolmente diverse fra 
loro�. 
Da ultimo, non operando una � sufficiente specificazione delle funzioni'" 
gli artt. 40 e 72 della legge regionale n. 20 del 1973, come pure i 
citati artt. 76, sesto comma, ed 81, terzo, quarto e sesto comma, contrasterebbero 
anche con le esigenze di � buon andamento � e � d'imparzialit� 
dell'amministrazione�, sancite dal primo e dal secondo comma 
dell'art. 97 Cost. Da un lato, infatti, l'individuazione delle responsabilit� 
presupporrebbe mansioni ben specificate. D'altro lato, l'efficienza dell'apparato 
amministrativo richiederebbe �un adeguato sistema di incentivi, 
morali o economici �, che invece sarebbero stati trascurati -illegittimamente 
-da parte del legislatore regionale. 

Con ordinanza del 23 marzo 1976, il tribunale amministrativo regionale 
per la Campania ha sollevato questione di legittimit� costituzionale 
degli artt. 36, secondo, terzo, quarto, quinto e sesto comma, e 39, primo, 
secondo e terzo comma, della legge 16 marzo 1974, n. 11, della Regione 
Campania, cos� come modificata dalla legge regionale 9 settembre 1974, 

n. 52. 
Per prima cosa, nell'ordinanza di rimessione vien fatto notare che i 
vari livelli di inquadramento del personale regionale non sono a loro 
volta articolati in qualifiche, ma implicano solo uno � sviluppo orizzontale 
�; sicch� � non pu� impedirsi � -in contrasto con il principio costituzionale 
di eguaglianza a trovarsi in una posizione deteriore rispetto 
ad altro impiegato gi� di qualifica inferiore e tuttavia con una maggiore 
anzianit� di servizio, con ovvie ripercussioni non solo sul trattamento 
economico ma anche sulla posizione in carriera... �. 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

34 

Il tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha per� messo in 
dubbio la costituzionalit� delle norme sul rapporto d'impiego dei dipendenti 
di quella Regione, anche in riferimento all'art. 117 Cost., per violazione 
dei principi fondamentali cui s'informa la legislazione dello Stato 
in materia di pubblico impiego. A questa stregua, precisamente, il giudice 
a quo ha considerato rilevanti e non manifestamente infondate le questioni 
di legittimit� dell'art. 40 (sulla �classificazione delle qualifiche 
funzionali�), dell'art. 76, sesto comma (sulla �progressione economica 
nell'ambito di ciascuna qualifioa �) ed ancora dell'art. 81 della legge 
regionale n. 20 (come sostituito dall'articolo unico della legge n. 21). 

Di tali questioni � certamente ammissibile quella che concerne 
l'art. 40 in collegamento con l'art. 81: dal momento che per valutare la 
legittimit� dei provvedimenti di inquadramento impugnati nei giudizi 
pendenti dinanzi al tribunale amministrativo regionale per il Lazio, che 
tale giudice ha ritenuto conformi alle norme regionali sull'inquadramento 
stesso, � pregiudiziale l'indagine sulla costituzionalit� dell'intera disciplina 
legisliativa delle qualifiche, nel cui ambito i ricorrenti sono stati 
inquadrati. Ma la censura non � fondata. 

Le ordinanze in esame assumono che le norme regionali non avrebbero 
osservato il principio di �articolazione delle carriere in qualifiche�, 
configurando invece un ristrettissimo numero di qualifiche uniche (funzionario 
direttivo, colliaboratore, assistente, ausiliario specializzato, ausiliario 
qualicato, ausiliario), equivalenti in sostanza alle tradizionali carriere 
del pubblico impiego statale (direttiva, di concetto, esecutiva, ausiliaria, 
per non dire delle distinte funzioni dirigenziali). Senonch� la 
visione del limite dei principi, che emerge da questa impugnativa, si 
dimostra troppo rigida: tanto da circoscrivere eccessivamente l'autonomia 
spettante alle Regioni di diritto comune, non solo per ci� che 
riguarda lo stato giuridico dei dipendenti regionali, ma ianche -di 
riflesso -quanto all'ordinamento dei rispettivi uffici. Non a caso, il 
giudice a quo ritiene indispensabile che il legislatore regionale adotti 
un �modello organizzativo� non troppo dissimile da quello statale, 
proprio perch� possa essere conservata -nel passaggio dallo Stato 
alla Regione -� la sostanza della posizione raggiunta � dai singoli 
dipendenti trasferiti dall'uno all'altro ente. Cos� ragionando, tuttavia, il 
tribunale non avverte che lo stato giuridico dei dipendenti regionali non 
pu� esser valutato per s� solo, ma va considerato in funzione dell'ordinamento 
degli uffici e delle complessive caratteristiche dell'ente Regionale. 
Al di l� della lettera dell'art. 117 Cost., che l'ordinamneto degli uffici si 
ponga -se non altro in sede logica -come un prius e non come un 
posterius, risulta infatti dalle peculiarit� dell'amministrazione regionale, 
a partire dalle direttive sul carattere necessariamente indiretto dell'amministrazione 
stessa, contenute nel primo e nel terzo comma dell'articolo 
118 Cost., che il d.P.R. n. 616 del 1977 ha poi specificato e varia



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 35 

mente attuato: peculiarit� che rischierebbero di esser compromesse 
qualora la Regione dovesse conformarsi all'apparato statale, organizzandosi 
secondo le esigenze di una parte del personale trasferito. 

A ci� si deve aggiungere che in tema di pubblico impiego, mancando 
un'apposita legge-cornice in cui siano fissati ed eventualmente 
novati i principi fondamentali del settore, le norme -principio non 
vanno ricavate -come sembra credere il giudice a quo -dal solo 
statuto degli impiegati civili dello Stato, contenuto nel d.P.R. 10 gennaio 
1957, n. 3; ma sono desumibili da tutte le leggi statali succedutesi 
nel disciplinare i pi� vari rapporti d'impiego, facenti capo allo Statoapparato 
come anche agli altri enti pubblici, comprese le stesse Regioni: 
secondo un criterio che questa Corte ha affermato -sia pure sinteticamente 
-nella sentenza n. 40 del 1972. 

Da un lato, pertanto, non possono venir trascurate quelle norme principio 
sul pubblico impiego regionale, che si ritrovano negli Statuti 
delle Regioni di diritto comune e in particolar modo nello Statuto del 
Lazio. Seguendo una linea divergente dai criteri informatori del tradizionale 
assetto del pubblico impiego statale, tutti gli Statuti hanno infatti 
previsto un solo ruolo organico del personale (per l'intera Regione 
o -quanto meno -per gli uffici dipendenti dalla Giunta, fatta eccezione 
per il distinto ruolo del personale del Consiglio); e svariate norme statutarie 
-fra le quali si colloca, appunto, l'art. 49 dello Statuto laziale 
-hanno inoltre disposto che un tale ruolo non sia suddiviso in carriere 
ma, immediatamente, in qualifiche funzionali cui si accede mediante concorso, 
per poi beneficiare al loro interno di una progressione esclusivamente 
economica. 

D'a~tro lato, � comunque decisivo che anche le ordinarie leggi dello 
Stato sul pubblico impiego si siano discostate, progressivamente, dallo � 
schema di articolazione delle carriere e delle relative qualifiche, gi� tracciato 
nello statuto degli impiegati civili dello Stato. In primo luogo, una 
sistematica riorganizzazione delle carriere degli impiegati statali, intesa 
a ridurre le qualifiche in atto, � stata avviata dall'art. 11 della legge-delega 
18 marzo 1968, n. 249 (prorogata e integrata dalla legge 28 ottobre 1970, 

n. 775), cui ha fatto seguito il d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1077: in parziale 
attuazione delle proposte avanzate nel 1963 dalla Commissione per 
la riforma dell'amministrazione dello Stato, che miravano gi� a far 
coincidere qualifiche, attribuzioni e responsabilit�. In secondo luogo, 
un altro passo di determinante importanza � stato compiuto con l'entrata 
in vigore della legge 20 marzo 1975, n. 70, sul riordinamento degli 
enti pubblici e del rapporto di lavoro del personale dipendente: che 
negli artt. 15 e 16 ha bens� previsto tre distinti ruoli del personale stesso 
(amministrativo, tecnico e professionale), limitando per� 'a dieci le relative 
qualifiche funzionali. Il che suona conferma -anche senza dover 
prendere in esame le vicende legislative pi� recenti -di una linea di 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

sviluppo dell'intero ordinamento del pubblico impiego, dalla quale discende 
l'infondatezza della questione di legittimit� del combinato disposto 
degli artt. 40 ed 81 della legge laziale n. 20 del 1973 (come modificata 
dalla legge n. 21), in riferimento all'art. 117 Cast. 

Entrambi i tribunali amministrativi regionali, per il Lazio e per la 
Campania, hanno d'altra parte sollevato la questione di legittimit� delle 
rispettive norme regionali sull'inquadramento del personale statale trasferito, 
in riferimento all'articolo 3 Cost. Premesso che, in base al principio 
costituzionale di eguaglianza, situazioni fra loro diverse non potrebbero 
subire un'identica regolamentazione, tutte le ordinanze di rimessione 
lamentano che i dipendenti inquadrati in una medesima qualifica 
oppure in un medesimo livello funzionale sarebbero stati indiscriminatamente 
pareggiati, salva soltanto la diversa anzianit� di servizio: con 
la prevedibile conseguenza che, difettando idonei correttivi, il personale 
gi� dotato di una qualifica pi� elevata nel ruolo di provenienza potrebbe 
vedersi proposto ad altro personale inferiore per qualifica d'origine, 
venendone pregiudicato -come precisa il tribunale amministrativo regionale 
per la Campania -non solo nel trattamento economico ma anche 
nella posizione in carriera. Ed anzi l'irrazionalit� di una tale disciplina 
si rivelerebbe ancora pi� palese, in vista di quelle norme di favore rispettivamente 
contenute nell'art. 81, quarto comma, della legge laziale 

n. 20 del 1973 (corrispondente all'art. 81, sesto comma, del nuovo testo 
introdotto dalla legge n. 21) e negli 1artt. 36, terzo comma, e 39, primo, 
secondo e terzo comma, della legge campana n. 11 del 1974 (come modificata 
dalla legge n. 52 del medesimo anno) -che consentono l'inquadramento 
nella qualifica o nel livello funzionale immediatamente superiori 
,a quelli di appartenenza, a beneficio dei dipendenti in possesso di un 
titolo di studio superiore a quello richiesto o che abbiano gi� svolto 
mansioni proprie della carriera superiore oppure provengano -nel caso 
della Regione Campania -da ruoli atipici o contraddistinti da parametri 
comunque differenziati od abbiano, ancora, diretto per almeno 
cinque anni i disciolti centri I.N.A.P.L.I., E.N.A.L.C. ed I.N.I.A.S.A. 
La necessit� di giungere sul punto ad una decisione di rigetto deriva, 
in prima linea, dal tipo stesso di sindacato e di giudizio che entrambi 
i tribunali richiedono alla Corte. In effetti, le valutazioni di legittimit� 
costituzionali sul rispetto del principio di eguaglianza, sebbene operabili 
e concretamente operate nelle forme pi� diverse e nei pi� vari settori 
dell'ordinamento giuridico, comportano per definizione che la normativa 
impugnata venga posta a raffronto con un'altra o con altre normative 
(sia pure estendendo l'indagine alle difettose� previsioni ovvero alle lacune 
dell'ordinamento giuridico), per stabilire in tal modo se il legislatore 
abbia dettato disposizioni cos� poco mgionevoli da doversi ritenere 
costituzionalmente illegittime. Nelle ordinanze di rimessione, viceversa, 

l: 
nessun raffronto del genere � proposto, fatta soltanto eccezione per 1: 

1: 
! r: 
~ 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

l'accenno conclusivo dell'argomentazione svolta �ial tribunale amm1mstrativo 
regionale per il Lazio: l� dove si prospetta un'ingiustifioata di� 
sparit� di trattamento fra il personale tuttora inserito nei ruoli delle 
amministrazioni statali ed il personale trasferito alla Regione. Ma � 
chiaro che una tale comparazione non consente di mettere in luce 
alcuna violazione del principio di eguaglianza: sia perch� i due termini 
da comparare non sono omogenei; sia perch� l'autonomia legislativa 
regionale sull'ordinamento degli uffici e sullo stato giuridico dei relativi 
dipendenti, in vista della quale � stata gi� respinta la questione di 
legittimit� delle norme sull'inquadramento nei ruoli della Regione 
Lazio, sollevata in relazione all'art. 117, esige -a pi� forte ragione 
che sia dichiarata l'infondatezza della connessa questione proposta in 
riferimento all'art. 3 Cost. 

Al di l� di questo, ci� che i due tribunali vorrebbero che la Corte 
valutasse, non consiste affatto nel divario fra la disciplina in esame ed 
un tertium costituito da una differente disciplina legislativa, statale o 
regionale; ma invece si risolve nelle rispettive posizioni che singolarmente 
sono state attribuite ai dipendenti regionali inquadrati in una 
certa qualifica o in un certo livello, sulla base di provvedimenti che 
hanno puntualmente applicato -nei loro confronti -la legis1azione 
delle Regioni Lazio e Campania. Simili valutazioni comportano, per�, 
un immediato giudizio sulla giustizia delle leggi (o delle conseguenze che 
ne possano discendere in sede applicativa): che spetta alla Corte di effettuare, 
ma solo entro gli schemi del sindacato di legittimit� costituzionale 
sulle violazioni del principio di eguaglianza. 

Ci� basta per precludere l'accoglimento dell'impugnativa; anche 
se potrebbe aggiungersi, in considerazione dei casi specifici, che ai 
ricorrenti dev'esser garantita -in questa sede -� solo la posizione 
giuridica ed economica acquisita da ciascuno, senza riguardo alle rispettive 
posizioni di altri dipendenti� (come la Corte ha precisato nella 
sentenza n. 27 del 1978, circa la cosiddetta � commassazione � delle carriere 
del personale delle poste e telecomunicazioni. 

Resta da stabilire se le impugnate norme sulle qualifiche funzionali 
e sulla tabella organica del personale della Regione Lazio, nonch� sul 
relativo inquadramento dei dipendenti statali trasferiti, tanto nei ruoli 
del Lazio quanto in quelli della Campania, non abbiano violato l'art. 97, 
primo e secondo comma, della Costituzione. Entrambi i tribunali propongono 
alla Corte la questione, in base ad un triplice ordine di considerazioni: 
primo, che il descritto sistema delle qualifiche o dei livelli 
funzionali, non comportando una sufficiente individuazione delle corrispondenti 
funzioni (e non ricollegandosi a un adeguato complesso di 
incentivi, morali ed economici, che assicurino il migliore svolgimento 
dei relativi compiti), darebbe luogo ad una irmzionale organizzazione 
degli uffici, violando l'esigenza di buon andamento dell'amministrazione; 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

secondo, che parallelamente sarebbe stato leso -pur senza che i due 
tribunali forniscano in proposito alcuna motivazione specifica -il principio 
dell'imparzialit� dell'amministrazione stessa; terzo, che le normative 
regionali in discussione contrasterebbero anche con il capoverso 
dell'art. 97, l� dove s'impone che nell'ordinamento degli uffici (e dunque 
nell'inquadramento del personale ad essi addetto) vengano determinate 
�le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilit� proprie dei 
funzionari �. Ma in tutti i suoi profili, cos� ricostruiti, la questione � 
comunque infondata. 

In verit�, la Corte ha dovuto prender atto che le scelte effettuate dai 
legislatori del Lazio e della Campania, nell'inquadramento del personale 
di tali Regioni, sono state contestate da vari studiosi della pubblica 
amministrazione. Si � infatti notato che i cinque livelli previsti in Campania 
e le sei qualifiche funzionali configurate nel Lazio hanno prodotto 
un eccessivo schiacciamento delle diverse posizioni di partenza, specie 
per quanto riguarda l'unico livello o l'unica qualifica di funzionario 
direttivo; e ci�, precisamente, in due Regioni per le quali � stato disposto 
un massiccio trasferimento di tali funzionari, ben pi� consistente di 
quello registratosi in altre amministrazioni regionali di diritto comune. 
Per contro, l'accordo concluso il 17 ottobre 1972 fra le segreterie confederali 
CGIL-CISL-UIL e gli assessori al personale delle Regioni a statuto 
ordinario prevedeva l'introduzione di sette livelli, due dei quali direttivi; 
mentre il primo contratto dei dipendenti regionali, siglato il 14 settembre 
1978 e quindi integriato d'intesa fra i rappresentanti sindacali e delle 
Regioni a statuto ordinario, ha aggiunto un ottavo livello funzionale, 
fatta sempre eccezione per gli appositi incarichi di coordinatore. 

Senonch�, nella sede di un giudizio sulla legittimit� costituzionale 
delle leggi, la violazione del principio di buon andamento dell'amministrazione 
non pu� essere invocata, se non quando si assuma l'arbitrariet� 

o la manifesta irragionevolezza della disciplina impugnata, rispetto al 
fine indicato dall'articolo 97, primo comma, Cost. Con tutta evidenza, 
tale non � il caso delle norme in questione. Il sistema dei livelli o delle 
qualifiche funzionali, sebbene semplificati all'estremo come si � verificato 
in Campania e nel Lazio, implica pur sempre almeno due ordini di 
vantaggi: vale a dire, da un lato, la perequazione retributiva che in tal 
modo si attua per classi di prestazioni considerate omogenee od affini; 
e, d'altro lato, la mobilit� del personale inquadrato nel medesimo livello 
o nella medesima qualica funzionale, che ne consegue non solo all'interno 
di ciascun apparato regionale ma anche nell'ambito dei vari rapporti 
di collaborazione fra Regioni ed enti locali (come ora � previsto 
espressamente nel ricordato contratto dei dipendenti delle Regioni a 
statuto ordinario). Il che vale ad escludere che sussista il vizio di legittimit� 
costituzionale, ipotizzato in t,al senso dalle ordinanze di rimessione. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Infine, le motivazioni gi� svolte fanno ritenere che non sia stato 
leso neppure il capoverso dell'art. 97, richiamato dalle ordinanze di 
rimessione in collegamento con gli scopi di buon andamento e d'imparzialit� 
dell'amministrazione, prescritti dal primo comma dell'articolo 
stesso. '(omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 27 febbraio 1980, n. 22 -Pres. Amadei -

Rel. Bucciarelli Ducci-Tommasino (avv. Parlato) e Presidente Con


siglio dei Ministri (avv. Stato Carafa). 

Locazione -Necessit� del locatore -Diversit� di disciplina a seconda delle 
condizioni economiche dei conduttori � Illegittimit� costituzionale. 

(Cost., art. 3; I. 27 luglio 1978 ,n. 392, artt. 58, 59 e 65). 

La disciplina vincolistica delle locazioni di immobili urbani � im� 
prontata alla maggior tutela del contraente pi� debole ed � compatibile 
con gli artt. 3 e 42 della Costituzione sul presupposto del suo carattere 
straordinario e provvisorio ed in una armonica composizione dei contrapposti 
interessi. Contrasta con l'art. 3 Cast. il combinato disposto 
degli artt. 58, 59, n. l, 65 della legge sull'equo canone 27 luglio 1978, 

n. 392, nella parte in cui esclude il diritto di recesso per necessit� del 
locatore dai contratti in corso alla data del 30 luglio 1978 e non soggetti 
a proroga. 
(omissis) In primo .luogo va rilevato che la diversit� di disciplina 
posta in luce dalla difesa dello Stato non scalfisce l'elemento fondamentale, 
comune alle due ipotesi prese in comparazione -quello della pari 
necessit� di tutti i locatori che versino nelle ipotesi di legge -di ottenere 
la disponibilit� dell'immobile dato in locazione a prescindere dalle condizioni 
economiche dei rispettivi conduttori e delle conseguenti diversit� 
di disciplina contrattuale, irrilevante rispetto allo stato di necessit�. 

(omissis) Invero nel complesso sistema vincolistico -improntato 
alla maggior tutela del contraente pi� debole, e considerato da questa 
Corte compatibile con gli artt. 3 e 42 della Costituzione sul presupposto 
del suo carattere straordinario e provvisorio ed in un'armonica composizione 
dei contrapposti interessi -l'istituto della necessit� come causa 
di cessazione della proroga legale ha assunto, nella comune interpretazione 
adeguatrice (cfr. sentenza di questa Corte n. 132/1972), carattere 
strumentale per la composizione dei contrapposti interessi, prevalendo 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

40 

di regola quelli dei conduttori, che rimangono sacrificati di fronte alla 
esigenza del locatore-proprietario di ottenere la disponibilit� dell'immobile 
in caso di necessit�. 

Appare invece intrinsecamente contrastante con il principio di eguaglianza 
e di ragionevolezza che la legge sull'equo canone, nel disporre 
un'ulteriore proroga generalizzata di tutti i contratti di locazione di beni 
ad uso di abitazione, preveda il diritto di recesso nei confronti dei 
conduttori meno iabbienti, e lo escluda verso quelli pi� abbienti, che 
appaiono, in ipotesi, meno meritevoli di tutela. Con la conseguenza 
definita da taluni sul piano pratico aberrante, e verificatasi spesso nella 
realt�, che il conduttore nei cui confronti � ammessa azione di recesso 
non pu� esercitare lo stesso diritto, fondato sulla conseguenziale necessit�, 
per riottenere, in quanto proprietario, la disponibilit� del proprio 
appartamento dato in locazione ad un conduttore che abbia un reddito 
superiore agli otto milioni annui. (omissis). 



SEZIONE SECONDA 

GIURISPRUDENZA COMUNITARIA 
E INTERNAZIONALE 


I 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 6 novembre 1979, 
nella causa 10/79 -Pres. Kutscher -Avv. Gen. Reischl -Domanda di 
pronuncia pregiudiz1ale proposta dal Tribunale amministrativo regionale 
per il Veneto nella causa fra Gaetano Toffoli e la Regione 
V�eneto -Interv.: Govemo italiano (avv. Stato Braguglia) e Commissione 
delle Comunit� europee (ag. Campogrande). 

Comunit� europea � Agricoltura � Organizzazione comune dei mercati 
nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari � Regime nazionale 
di prezzi alla produzione � Incompatibilit�. 
(Regolamenti CEE del Consiglio 27 giugno 1968, n. 804 e �12 maggio 1978, n. 998; 

l. 8 luglio 1975, n. 306). 
La determinazione, in via diretta o indiretta, da parte di uno Stato 
membro, del prezzo del latte alla produzione � incompatibile con l'organizzazione 
comune dei mercati nel settore del latte e dei prodotti lattiero-
caseari, istituita dal regolamento del Consiglio 27 giugno 1968 

n. 804 (1). 
(1-2) Nella seconda sentenza annotata la Corte di Giustizia ricorda di 
aver costantemente affermato nella sua precedente giurisprudenza che "nei 
campi in cui esiste un'organizzazione comune dei mercati, a maggior ragione 
quando detta organizzazione � basata su un regime comune dei prezzi, gli 
Stati membri non possono pi� intervenire con disposizioni nazionali, adottate 
unilateralmente, nel coillgegno di formazione dei prezzi, quale � determinato 
daLI'organizzazione comune�; � da questa stessa giudsprudenza -aggiunge 
fa Corte -� stato precisato che le disposizioni di un regolamento agricoJo 
comunitario che implichino un regime di prezzi che si applichi negli stadi 
de1la produzioille e del commercio all'ingrosso, �lasciano intatto i1 potere degli 
Stati membri, salvo restando altre disposizioni del trattato, di adottare gli 
opportuni provvedimenti in fatto di formazione dei prezzi negli stadi del 
commercio aJ minuto e del consumo, purch� essi non mettano in pericolo gli 
scopi o il fun2iionamento de1l'organizzazione comune dei mercati, in particolare 
del suo regime dei p11ezzi �. 

Invero l1a giurisprudenza della Corte di Giustizia sull'ambito di competenza 
degli Stati membri in materia di fissazione dei p11ezzi dei prodotti agd




RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

42 

II 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 17 gennaio 1980, 
nelle cause riunite 95 e 96/79 -Pres. Kutscher -Avv. Gen. Mayras Domanda 
di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale di prima 
istanza di Namur, nelle cause Procuratore del Re c. Kefer e Delmelle 
-Interv.: Governo belga {avv. Knops) e Commissione delle 
Comunit� europee (ag. Delmoly). 

Comunit� europea -Agricoltura -Organizzazione comune dei mercati nel 
settore della carne suina e nel settore delle carni boVine -Regime 
nazionale dei prezzi al consumo -Compatibilit� -Limiti. 
(Regolamenti CEE del Consiglio 13 giugno 1967, n. 121 e 27 giugno 1968, n. 805). 

Il regolamento del Consiglio 13 giugno 1967 n. 121, relativo all'organizzazione 
comune dei mercati nel settore della carne suina, e il regolamento 
del Consiglio 27 giugno 1968 n. 805, relativo all'organizzazione 
comune dei mercati nel settore delle carni bovine, non ostano alla fissazione 
unilaterale da parte di uno Stato membro di un margine di utile 
massimo per la vendita al dettaglio delle carni suine o bovine, margine 
calcolato essenzialmente a partire dai prezzi d'acquisto, quali sono praticati 
negli stadi commerciali anteriori, e variabile in funzione di detti 
prezzi, purch� i prezzi di acquisto che servono al calcolo del margine 
siano maggiorati delle spese commerciali e d'importazione effettivamente 
sostenute dal dettagliante nello stadio dell'approvvigionamento e 
della vendita al consumo e purch� il margine venga fissato ad un livello 
che non ostacoli gli scambi intracomunitari (2). 

coli non sembra affatto univoca come il richiamo sopra riportato Jascerebbe 
pensare. 

Con 1a sentenza 23 gennaio 1975, nelle cause 31/74, GALLI (in Racc., 1975, 
pag. 47, e in questa Rassegna, 1975, I, 312, con nota di MARZANO) la Corte aveva 
enunciato ,effettivamente ~l principio che � nei settoni regolati da una organizzazione 
comune di mercato (nella specie si trattava dei settori dei cereali 

e dei grassi di cui aii regolamenti nn. 120/67 e 136/66) -e a pi� forte ragione 
quando l'organizzazione poggia su un regime comune dei prezzi -gili Stati 
membri non possono pi� intervenire con atti unilaterali nel sistema dQ formazione 
dei prezzi determinato dall'organizzazione comune�; tuttavia, era 
stato precisato, poich� il regime dei prezzi instaurato dai regolamenti n. 120/67 
e n. 136/66 si applica esclusivamente nelle fasi dclila produzione e del commercio 
all'ingrosso, � glg, Stati membl:'i rimangono liberi di emanare i provvedimenti 
che ritengono necessari in materi'a di formazione dei prezzi nclle 
fasi del commercio al minuto e del consumo, purch� non mettano in pericolo 
g-1i obiettivi od H funzionamento dell'organizzazione comune di mercato�. 

Questa sentenza metteva in ,evidenza, dunque, la struttura concreta della 
organizzazione comune di mel:'cato di un certo settore: poich� il regime comune 

..........,~~ 



PARTE I, SEZ. II, GHJRIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

43 

III 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 15 novembre 1979, n. 5946, Pres. Vigo


rita � Est. Battimelli � P. M. La Valva (conf.). -Crivellaro c. Prefetto 
di Padova (avv. Stato Fiumara). 
Comunit� europea � Prezzi � Disciplina � Blocco dei prezzi di beni di 

largo consumo � Normativa comunitaria -Organizzazione comun.e di 
mercato� Compatibilit�� Limiti� Fattispecie (olio di semi). 

(d.I. 24 luglio 1973, n. 427, conv. in legge 4 agosto 1973, n. 496, artt. 1 e 2; regolamento 
CEE del Consiglio 21 settembre 1966, n. 136). 
In tema di disciplina dei prezzi di beni di largo consumo, introdotta 
dal d.l. 24 luglio 1973 n. 427, conv. in legge 4 agosto 1973 n. 496, un 
contrasto fra il regime di blocco del prezzo di beni appartenenti a settori 
regolati da un'organizzazione comune di mercato e la normativa in 
materia della CEE pu� configurarsi solo se si possa ipotizzare che il 
vincolo posto dalla norma nazionale possa produrre, come conseguenza, 
una turbativa ed una violazione degli obiettivi di mercato, valutabili 
tenendo conto della maggiore o minore incisivit� sul regime di scambio 
dei singoli beni della disciplina comunitaria (nella specie, per gli oli di 
semi, poich� per essi la normativa comunitaria non ha istituito un 

dei prezzi riguarda solo le fasi della produzione e del consumo all'ingrosso, 
nulla osta a che g1i Stati membri discipLiinill.o i prezzi per la fase del commercio 
al minuto o del consumo, purch�, per�, non mettano in pericolo gli 
obiettivi e il funzionamento dell'organizzazione comune di mercato. 

Intervenivano, quindi,, le sentenze 26 febbraio ,1976, neUa causa 65/75, 
TASCA (in Racc. 1976, 291) e ne1le cause riunite 88-90/75, 1SADAM (in Racc. 1976, 
323, e in questa Rassegna, 1976, I, 498, con nota di BRAGUGLIA). In esse Ia Corte 
osservava ,che � una disciplina nazionale in materia di prezzi agricoli, la quale 
si riferisca alle stesse fasi commerciali contemplate dal regime dei prezzi 
vigente ne11'ambito delil'organizzazione comune di mercato avr� maggiori probabilU� 
di trovarsi in conflitto con questo regime che non una disciplina 
da applicare esclusivamente in altre fasi commerciali �, per cui, � indipendentemente 
dalla fase commerciale considerata, la fissazione unilatemle, da 
parte di uno Stato membro, di prezzi massimi per la vendita di zucchero � 
incompatibile con il regolamento 1009/67 (che crea una organizzazione comune 
di mercato nel settore dello zucchero), qualora metta dn per.icolo gli obiettivi 
ed il funzionamento della suddetta organizzazdone, e in ispecie del suo regime 
di prezzi�. 

Anche queste sentenze ponevano in evidenza �Ia necessit� di valutare in concreto 
il rapporto fra struttura dell'organizzazione e poteri residui degli Stati. 
Ma in esse si sottolineava che quando gli interventi comunitario e statale riguardano 
la stessa fase della commercializzazione, sar� pi� probabile, ma 
non inevitabile, che il regime interno venga a trovarsi in conflitto con quell.o 
comunitario: il che significava, in maniera inequivoca, riconoscere che agli 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

44 

regime di prezzi, ma ha previsto solo la possibilit� di una protezione 
doganale nei confronti dei paesi terzi, il contrasto potrebbe sussistere 
solo se il vincolo costituisse causa di perturbazione dell'intero mercato 
comune) (3). 

I 

(omissis) In diritto. 1. -Con ordinanza 28 novembre 1978, pervenuta 
alla Corte il 19 gennaio 1979, il Tribunale amministrativo regionale 
per il Veneto ha sottoposto, a norma dell'art. 77 del Trattato CEE, 
una questione vertente sull'interpretazione del regolamento del Consiglio 
27 giugno 1968, n. 804, relativo all'organizzazione comune dei mercati 
nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari (G.U. n. legge 148 del 
28 giugno 1968, pag. 13). 

2. -Tale questione � sorta in seguito al ricorso proposto da alcune 
imprese italiane del settore lattiero-caseario per l'1annullamento, in particolare, 
della deliberazione adottata 1'11 aprile 1978, ai sensi dell'art. 11 
della legge italiana 8 luglio 1975, n. 306 (Gazzetta Ufficiale n. 194 del 
23 luglio 1975), da una commissione nominata dal Presidente della Giunta 
regionale del Veneto, con la quale si fissava in 260 lire il litro, I.V.A. 
Stati membri � rimasto &I potere di fissare i prezzi mass1m1 m modo unilaterale, 
in qualunque fose commerciale (compresa la produzione e il commercio 
ahl'ingrosso) con l'unico e comune limite che tale fissazione, cio� l'esercizio 
di tale potere, non metta in pericolo gli obiettivi e il funzionamento della 
organizzazione di mercato, ed in specie il suo regime dei prezzi. Per un'ampia 
analisi dei due orientamenti del1a Corte, seguiti l'uno nella sentenza GALLI, 
l'altro neJJe sentenze TASCA e 'SADAM, cfr. le conclusioni de1l'Avvocato Generale 
della Corte CAPOTORTI nella causa 50/76, AMSTERDAM BULB B.V., � 6 (in 
Racc., 1977, 155), dove vengono ritenute espressione del primo orientamento, 
oltre la sentenza GALLI, la sentenza 21 marzo 1972, ne1la causa 82/71, SAIL (in 
Raoc. 1972, J19), e del secondo, oltre ~e sentenze TASCA e SADAM, 1e sentenze 
12 luglio 1973, nella causa 2/73, GEnoo (in Racc., 1973, 865), 30 ottobre 1974, 
'!lella causa 190/73, VAN HAASTER (in Racc. 1974, 1123), 23 gennaio 1975, nella 
causa 51/74, VAN DER HULST (~n Racc. 1975, 79), 14 Juglio 1976, nelle cause munite 
3-4 e 6/76, KRAMER (in Racc., 1976, 1280); cfr. anche 1e conclusioni del medesimo 
Avvocato Generale nella causa 223/78, GROSOLI. 

Con le successive sentenze 3 febbraio 1977, nella causa 52/76, BENEDETTI 
(in Racc., 1977, 163), 29 giugno 1978, nella causa 154/77, DECHMANN (in Racc., 
1978, 1573) e 12 luglio 1979, nella causa 223/78, GROSOLI (in questa Rassegna, 1979, 
I, 418, con nota di BRAGUGLIA), 1a Corte confermava che gli Stati membri possono 
regolamentare i prezzi nelle fasi del commercio al minuto e cte1 consumo, 
purch� non siano messi in pericolo gli obiettivi o il funzionamento 
de!J'organizzazione comune di mercato. Ma gi� nelle ultime due sentenze 1a 
Corte, pur occupandosi soltanto dehle fasi del commercio al minuto e del 



PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

45 

inclusa, il prezzo regionale del latte vaccino alla produzione fino al 
31 dicembre 1978. 

3. -Prima di passare all'esame dei termini precisi e della portata 
della questione sottoposta, � opportuno ricordare i tratti essenziali, da 
un lato, della normativa comunitaria e, dall'altro, della legislazione 
nazionale in materia. 
4. -Ai sensi dell'art. 3, n. 1, del regolamento n. 804/68 ogni anno 
viene fissato per la Comunit�, anteriormente ial 1� agosto, un prezzo indicativo 
del latte per la campagna lattiera che inizia l'anno successivo. Il 
prezzo indicativo, ad termini dell'art. 3, n. 2, � il prezzo che si tende ad 
assicurare per la totalit� del latte venduto dai produttori durante la 
campagna lattiera, compatibilmente con le possibilit� di smercio esistenti 
sul mercato della Comunit� e sui mercati esterni. Il prezzo indicativo 
� fissato, secondo la procedura di cui all'art. 43, n. 2, del Trattato, 
per latte contenente il 3,7% di materie grasse franco latteria (art. 3, 
nn. 3 e 4). 
5. -In mancanza di misure d'intervento dirette per il latte il prezzo 
di questo prodotto viene sostenuto, in particolare, mediante un sistema 
di prezzi d'intervento, istituito dall'art. 5, per determinati prodotti derivati, 
cio� il burro, il latte scremato in polvere ed i formaggi Grana-
consumo, per le quald ribadiva il riconoscimento deUa astratta compatibilit� 
con ~'orgrum:zazione comune di mercato dei regimi nazionali dei prezzi, 
mostrava chiaramente di partire dalle premesse deLla sentenza GALLI anzich� 
da quelle delle sentenze TASCA e 1SADAM, anche se si riferiva dndistintamente 
aH'una e alle altre (ancora in tema di prezzi mininti e massimi fissati 
dagli Stati membri, sotto alJtri ma analoghi profili, cfr. le sentenze 
2 febbraio 1977, neLla causa 50/76, .AMSTERDAM BULB B.V., !Lu Racc., 1977, 137; 
16 novembre 1<J77, nella causa 13/77, INN<>-B.M., in Racc., 11977, 2115; 24 gennaio 
1978, 111e11a causa 82/77, VAN TIGGELE, in Racc., 1978, 25). 

Infine ila Corte, prima con la sentenza 18 ottobre 1979, nelila causa 5/79, 
BUYs, richiamata la sua precedente giurisprudenza, ha affermato che �il 
regolamento del Consiglio 27 giugno 1968, n. 804 va interpretato nel senso 
che esso osta ad una disciplina nazionale... di blocco dei prezzi, nella fase 
della distribuzione dei prodotti per l'allattamento dei viteLli compresi nelirorganizzazione 
comune di mercato istituita dal1o stesso regolamento, qualora 
'1'appliicazione di detta disoipldna metta in pericolo gli ob~ettivi o il funzionamento 
di tale organizzazione, ed in �ispecie dcl suo regime .dei prezzi � 
(ne11a specie la disciplina nazionale bloccava i prezzi sia aHa produzione che 
ne1le diverse fasi della distribuzione); e poi con la prima delle due sentenze 
annotate ha esplicitamente statuito, dopo la consueta premessa di principio sui 
J.ima.ti dei poteri degli Stati membri riguardo ai prezzi dei prodotti soggetti ad 
un'organizzazione comune di mercato, che �una legislazione naziona1e intesa 
a promuovere ed a favorire la formazione con qualsivoglia metodo, di un 
prezzo uniforme del fatte a:lla produzione, consensualmente o d'autorit�, a 



46 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEI.LO STATO 

Padano e Parmigiano-Reggiano. Scopo di tali prezzi d'intervento � di 
assicurare il raggiungimento del prezzo indicativo alle condizioni di 
cui all'art. 3, cio�, essenzialmente, in conformit� alle leggi di mercato 
nell'ambito comunitario. Per il conseguimento di tale fine, il regolamento 
prevede anche un sistema di protezione a11a frontiera comunitaria comprendente, 
in particolare, prelievi destinati a colmare la differenza fra 
il prezzo di entrata ed il prezzo franco frontiera di un determinato 
prodotto lattiero-caseario. Tali prezzi sono fissati per ciascuno dei �prodotti 
pilota�, di cui all'art. 14 del regolamento del Consiglio 28 giugno 
1968, n. 804, specificamente determinati nell'allegato I del regolamento 
del Consiglio 28 giugno 1968, n. 823, che determina i gruppi dei prodotti 
e le disposizioni speciali relative al calcolo dei prelievi nel settore del 
latte e dei prodotti lattiero-caseari (G.U. n. L. 151 del 30 giugno 1968, 
pag. 3). � il caso di ricordare anche che il regolamento n. 804/68 prevede 
la possibilit� di concedere restituzioni all'esportazione d'importo uniforme 
per tutta la Comunit�, ma diversificate a seconda del paese terzo 
destinatario. 

6. -Per la campagna lattiera di cui si tratta nella controversia sul 
merito, il prezzo indicativo per il Jatte � stato fissato con regolamento 
del Consiglio 12 maggio 1978. n. 998 (G.U. n. L 130 del 18 maggio 1978, 
pag. 5) in 17,70 u.c. per 100 kg. (204,26 lire per kg.) dal 22 maggio 1978, 
liveUo nazionale o regionale, si situa di per se stessa al di fuori del1'ambito delle 
competenze riservate agli Stati membri� (cfr. anche la coeva sentenza nelle 
cause riunite 16-20/79, DANIS, per i prezzi dei cereali -reg. n. 120/67 -nelle fasi 
della produzione e del commercio all'1ngrosso): con queste sentenze il ritorno 
aU'orientamento di cui era espressione Ja sentenza GALLI appare indiscutibile. La 
seconda sentenza annotata si riferisce, pi. limitatamente, ad un caso di regolamentazione 
nazionale di prezzi aL consumo. 

(3) La sentenza della Corte di Cassazione � conseguenziale all'orienta. 
mento espresso dalla Corte di Giustizia neLle sentenze TASCA e SADAM: e poich� 
gli olri di semi, -pur rientrnndo fra i prodotti soggetti aLl'organizzazione comune 
di mercato nel settore dei grassi -, nOl!l godono di un regime di prezzi 
comunitario, ma fruiscono semp1icemente di una protezione doganale negli 
scambi con ri paesi terzi e possono costituire oggetto di misure di salvaguardia 
in caso di perturbazione del mercato, un contrasto fra regime naziornale 
dei prezzi, dettato anche per la fase del commercio aill'ing.rosso, con fa normativa 
comunitaria potrebbe sussistere solo se tale regime costituisse causa 
di perturbazione dell'intera organizzazione di mercato. 
Si noti come in motivazione la Corte Suprema abbia riaffermato che � il 
giudice naziionale, nel caso in cui si ravvisi difformit� fra la normativa naziona1e 
e quella comunitaria (anteriore), s� che l'applicazione deHa prima porti a 
risultati contrastanti con queHi voluti e ipotizzati dalla seconda, (pu�) unicamente 
sospendere la decisione del caso concreto e provocare un giudizio 
di costituzionaJit� della norma nazionale�. Per i precedenti cfr. questa Rassegna, 
1978, I, 179. 

O.F. 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

dopo che il regolamento del Consiglio 27 aprile 1978, n. 910 (G.U. n. L 117 
del 29 aprile 1978, pag. 84) aveva prorogato fino al 21 maggio 1978 1a 
campagna lattiera 1977/1978 e, di conseguenza, il prezzo indicativo del 
latte fissato per detta campagna dal regolamento del Consiglio 26 aprile 
1977, n. 872 (G.U. n. L 106 del 29 aprile 1977, pag. 17). 

7. -Dal fascicolo risulta che la legge italiana 8 luglio 1975, contenente, 
fra l'altro, norme per la determiil!azione del prezzo del latte alla 
produzione, all'art. 2 prevede che la produzione e la vendita del latte da 
parte dei produttori associati sono disciplinate da regole e da programmi 
stabiliti dall'Associazione. I produttori associati sono, inoltre, tenuti a 
vendere il latte tramite la loro associazione. Ai sensi dell'art. 8, il prezzo 
del latte alla produzione, indipendentemente dall'uso cui esso � destinato, 
� fissato, per ogni annata agraria e per ogni regione, mediante negoziazione 
collettiva con la partecipazione delle diverse categorie interessate 
(produttori, associazioni, trasformatori e centrali del latte) e secondo 
�i criteri definiti dagli artt. 8 e 9. A norma dell'art. 10, l'accordo raggiunto 
tra le parti, eventualmente con l'intervento del comitato economico regionale 
di cui all'art. 3, � pubblicato a cura di detto comitato nel Bollettino 
ufficiale della Regione ed � vincolante per le parti. Se l'accordo di cui 
all'art. 10 non viene raggiunto nel termine di trenta giorni dall'inizio 
dell'annata agraria, il prezzo del latte alla produzione � determinato, 
a norma dell'art. 11, da una commissione nominata con decreto del Presidente 
della regione. Detta commissione, presieduta dall'assessore regionale 
all'agricoltura o da un suo delegato, � composta da cinque rappresentanti 
dei produttori di latte, due rappresentanti delle cooperative 
lattiero-casearie, quattro rappresentanti dell'industria di trasformazione, 
un rappresentante delle centrali del latte e due esperti del settore lattierocaseario. 
La deliberazione della commissione, presa a maggioranza, � vincolante 
fra le parti dal momento della sua pubblicazione nel Bollettino 
ufficiale. 

8. -Come si � gi� indicato, all'origine della controversia sul merito 
� una deliberazione adottata a norma dell'art. 11 della legge 8 luglio 1975. 
9. -A sostegno del ricorso proposto dinanzi al giudice nazionale, i 
ricorrenti deducono l'incompatibilit� della legge sopra citata con il regolamento 
del Consiglio n. 804/68. Da parte sua, la Regione Veneto, resistente 
nel procedimento principale, ha negato che sussista un conflitto 
del genere: in primo luogo, perch� non si pu� constatare un contrasto 
fra legge nazionale e regolamento comunitario prima che gli organi comunit1ari 
abbiano dato concreta attuazione alle disposizioni del regolamento, 
in secondo luogo, perch� l'eventuale determinazione di un prezzo indicativo 
da parte di tali organi ha valore di direttiva e non sottrae, quindi, 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

al legislatore nazionale il potere di intervento nella determinazione concreta 
del prezzo. 

10. -Con ordinanza in data 28 novembre 1978 il giudice nazionale 
ha sospeso il procedimento ed ha sottoposto alla Corte la seguente questione 
pregiudiziale: 
� Se la normativa comunitaria, e precisamente il regolamento n. 804 
del 1968 (Organizzazione comune dei mercati nel settore del latte e dei 
prodotti lattiero-oaseari), in relazione all'art. 189, 2� comma, del Trattato 
CEE, impedisca allo Stato italiano di attribuire con legge alle sue autorit� 
amministrative il potere di determinare il prezzo del latte alla produzione, 
anche quando fa Comunit� non abbia fissato il prezzo indiaativo 
del latte a norma dell'art. 3 del regolamento n. 804/68 �. 

11. -Come sopra esposto, uno degli obiettivi principali dell'organizzazione 
di cui trattasi � quello di assicurare ai produttori di Latte un 
prezzo che tenda verso quello indicativo. I menzionati dispositivi allo 
scopo istituiti dal regolamento restano sotto l'esclusivo controllo della 
Comunit�. 
12. -Nei settori disciplinati da un'organizzazione comune dei mercati, 
a maggior mgione quando tale organizzazione si basi su un regime 
comune dei prezzi, gli Stati membri non possono pi� intervenire, con 
disposizioni nazionali adottate unilateralmente, nel processo di formazione 
dei prezzi disciplinati, per il medesimo stadio di produzione o di 
messa in commercio, dall'organizzazione comune. Di conseguenza, una 
legislazione nazioniale intesa a promuovere ed a favorire la formazione, 
con qualsivoglia metodo, di un prezzo uniforme del latte alla produzione, 
consensualmente o d'autorit�, a livello na:zJionale o regionale, si situa di 
per se stessa, al di fuori dell'ambito delle competenze riservate agli Stati 
membri e contrasta col principio della realizzazione di un prezzo indicativo 
alla produzione per il latte venduto dai produttori comunitari nel 
corso della campagna lattiera, compatibilmente con le possibilit� di smercio 
esistenti sul mercato della Comunit� e sui mercati esterni, principio 
posto dal regolamento n. 804/68, in particolare dal suo art. 3. � da notare, 
inoltre, che l'incompatibilit� di una legislazione del genere con l'organizzazione 
comune dei mercati non � affatto messa in discussione dalla 
mancanza di sanzioni per l'inosservanm del prezzo stabilito in base alla 
legislazione stessa. 
13. -� poi il caso di rilevare che la supposizione dalla quale partiva 
la questione proposta, cio� che la Comunit� non avesse fissato il prezzo 
indicativo del latte per il periodo in parola, non corrisponde alla situazione 
allora esistente a livello comunitario. In effetti, pur terminando la 
campagna precedente, ai sensi della normativa in vigore, il 31 marzo 1978. 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 49 

per evitare una soluzione di continuit� l'applicazione del prezzo indicativo 
continuava fino aH'entrata in vigore del regolamento del Consiglio 27 aprile 
1978, n. 910, che prorogava formalmente la precedente campagna fino 
a,I 21 maggio 1978, data dalla quale il prezzo indicativo del latte � stato 
fissato dal regolamento del Consiglio 12 maggio 1978, n. 998. 

14. -La questione sottoposta va quindi risolta nel senso che la determinazione, 
in via diretta o indiretta, da parte di uno Stato membro, del 
prezzo del latte alla produzione � incompatibile con l'organizzazione 
comune dei mercati nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari. 
(omissis). 

II 

(omissis) In diritto. -1. -Con sentenze 7 e 30 maggio 1979, pervenute 
alla Corte i.il 15 e, rispettivamente, il 19 giugno 1979, il Tribuna! 
de premi�re instance di Namur (Sezione penale) ha sottoposto alla Corte 
di giustizia, a norma dell'art. 177 del Trattato CEE, delle questioni pregiudiziali 
vertenti sull'interpretazione del regolamento del Consiglio 27 giugno 
1968, n. 805, relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore 
delle carni bovine (G.U. 1968, n. L 148/24), e del regolamento del Consiglio 
13 giugno 1967, n. 121, relativo all'organizzazione comune dei mercati nel 
settore della carne suina (G.U. 1967, n. L 117/66). 

2. -Dette questioni sono state sollevate in occasione di cause penali 
promosse a carico di due dettaglianti di carne di Andenne (causa 95/79) 
e di Namur (causa 96/79), imputati di aver maggiorato, il 14 ottobre 1976 
e, rispettivamente, il 13 aprile 1977, i prezzi di vendita al dettaglio delle 
carni bovine e suine, in misura incompatibile col Decreto Ministeriale 
belga 27 marzo 1975 (Moniteur belge del 29 marzo 1975) il quale, agli articoli 
1 e 2, stabilisce che i prezzi di vendita al consumo delle carni bovine 
e, rispettivamente, delle carni suine praticati. dai dettaglianti di carne non 
possono superare gli importi ottenuti aggiungendo al prezzo d'acquisto 
medio ponderato un utile massimo di FB 22 il kg nonch� l'importo dell'IVA. 
A tale scopo l'art. 2, n. 4, del Decreto, precisa che il prezzo d'acquisto 
medio ponderato viene calcolato dividendo il totale delle fatture per 
tipo d'acquisto, esclusa l'IVA, durante le quattro settimane precedenti, 
per il numero di chili corrispondente, meno il 2,5%. 
3. -I due imputati hanno eccepito che le disposizioni sopra menzionate 
sono incompatibili coi regolamenti comunitari che hanno istituito 
le organizzazioni comuni dei mercati nel settore della carne suina e in 
quello della carne bovina e non possono quindi costituire il fondamento 
legale delle due cause promosse a loro carico. 
r11r���r11111111;;111&r1111gr1111111111111111111s111111111r11111 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

50 

4. -Per chiarire il problema, il giudice nazionale ha sottoposto alla 
Corte di giustizia, nella causa 95/79, le seguenti questioni: 
�Se �1 Decreto Ministeriale 27 marzo 1975, concernente la fissazione 
del prezzo di vendita al consumo delle carni bovine o suine fosse in contrasto: 


1) Con d.l regolamento (CEE) del Consiglio 27 giugno 1968, n. 805, 
relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore delle carni 
bovine; in particolare, se l'art. 5, 3, 1, del suddetto Decreto fosse in contrasto 
con l'art. 6, n. l, lettere a) e b), di tale regolamento nonch� con 
i regolamenti relativi alla fissazione del prezzo di base delle carni bovine, 
ed in particoLare con la disciplina attuata dai regolamenti: 

-31 luglio 1972, n. 1652; 

-8 maggio 1973, n. 1192; 

-28 marzo 1974, n. 667; 

2) Con il regolamento (CEE) del Consiglio 13 giugno 1967, n. 121, relativo 
all'organizzazione comune dei mercati nel settore delle carni suine; 
in particolare, se l'art. 3, 4, 1, del suddetto Decreto fosse in contrasto 
con l'art. 5, n. 1, 2� comma, di tale regolamento nonch� con i regolamenti 
relativi alLa fissazione del prezzo di base delle carni suine, e in particolare 
con la disciplina attuata dai regolamenti: 

-29 ottobre 1971, n. 2305; 

-15 maggio 1973, n. 1351; 

-29 aprile 1974, n. 1133 �. 

Nella causa 96/76, detto giudice ha sottoposto alla Corte di giustizia 
la seguente questione: 

�Se il Decreto Miniosteriale 27 marzo 1975, reLativo alla fissazione 
del prezzo di vendita al consumo delle carni bovine e suine, sia in contrasto 
con il regolamento (CEE) del Consiglio 27 giugno 1968, n. 805, 
relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore delle carni 
bovine�. 

5. -La Corte, bench� non le spetti pronunziarsi, nell'ambito di un 
procedimento promosso in forza dell'art. 17 del Trattato CEE, suUa compatibilit� 
di norme di diritto nazionale con disposizioni di diritto comunitario, 
� viceversa competente a fornire al giudice nazionale tutti gli 
elementi d'interpretazione che rientrino nel diritto comunitario e che 
consentano a detto giudice di pronunziarsi sulla compatibilit� di tali 
norme con La disposizione comunitaria presa in esame. Le questioni sollevate 
vanno quindi considerate come intese ad accertare se ed entro quali 
limiti il regolamento CEE del Consiglio 13 giugno 1967, n. 121, relativo 
all'organizzazione comune dei mercati nel settore dalla carne suina, e il 
regolamento CEE del Consiglio 27 giugno 1968, n. 805, relativo all'organiz

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

z,azione comune dei mercati nel settore delle carni bovine, lascino sussistere 
il potere degli Stati membri di disciplinare, mediante norme nazionali, 
i prez:lii di vendita al consumo nei settori sopra menzionati. Data 
la connessione esistente fra le questioni, � opportuno esaminarle congiuntamente. 


6. -Nella fattispecie, dagli artt. 1 e 2 del Decreto Ministeriale 27 marzo 
1975, cui si riferisce il giudice na:tJionale, si desume che i provvedimenti 
nazionali di cui � causa riguardano la formazione dei prezzi allo stadio 
della vendita al consumo. � d'altro canto assodato che i prodotti i cui 
prezzi sono toccati dai detti provvedimenti sono disciplinati dall'organizzazione 
comune istituita dal regolamento n. 121/67 nel settore della carne 
suina e dal regolamento n. 805/68 nel settore delle carni bovine. 
7. -Come la Corte ha indicato nella sentenza 29 giugno 1978 (Dechman, 
153/77, Racc. pag. 1573), per quanto riguarda il regolamento n. 121/67, 
e nella sentenza 12 luglio 1979 (Grosoli, 223/78), per quanto riguarda 
il regolamento n. 805/68, le organizzazioni comuni . dei mercati istituiti 
da detti regolamenti hanno lo scopo di realizzare nel settore della carne 
suina e, rispettivamente, delle carni bovine, un mercato unico per la 
Comunit�, soggetto ad una gestione comune. Onde giungere a questa unit� 
dei mercati, detti regolamenti hanno istituito un sistema di norme ed 
un'organizzazione in cui ha primaria importanza il �regime dei prezzi� 
da applicarsi agli stadi della produzione e del commercio all'ingrosso. 
Queste particolarit� delle organizzazioni comuni dei mercati istituite dai 
regolamenti n. 121/67 e n. 805/68 non sono sminuite n� dai regolamenti 
adottati in seguito dal Consiglio e presi in considerazione dal giudice 
nazionale, i quali hanno unicamente lo scopo di dare attuazione ai regolamenti 
di base sopra menzionati, determinando, per ciascun periodo 
preso in considerazione, determinati elementi del loro regime dei prezzi 
o determinate condizioni di smercio, n�, per quanto riguarda pi� precisamente 
il regolamento n. 121/67, dal regolamento del Consiglio 29 ottobre 
1975, n. 2759 (G.U. 1975, n. L 282/1), il quale si limita a codificare il 
regolamento n. 121/67 ed i suoi successivi emendamenti. 
8. -Come la Corte ha inoltre affermato nella propria giurisprudenza 
-sentenza 23 gennaio 1975 (Galli, 31/74, Racc. pag. 47), sentenze 29 febbraio 
1976 (Tasca, 65/75 e Sadam, 88-90/75, Racc. pag. 291 e pag. 323), 
sentenza 29 giugno 1978 (Dechmann, 154/77, Racc. pag. 1573), sentenza del 
12 luglio 1979 (Grosoli, 223/78), sentenza del 18 ottobre 1979 (Buys, 5/9) 
e sentenza 11 novembre 1979 (Danis, 16-20/79) -nei campi in cui esiste 
un'organizzazione comune dei mercati, a maggior ragione quando detta 
organizzazione � basata su un regime comune dei prezzi, gli Stati membri 
non possono pi� intervenire con disposizioni nazionali, adottate unilateralmente, 
nel congegno di formazione dei prezzi, quale � determinato dal

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLo STATO

52 

l'organizzazione comune. Da questa stessa giurisprudenza � stato precisato 
che le disposizioni di un regolamento agricolo comunitario che implichino 
un regime di prezzi che si applichi negli stadi della produzione e del commercio 
all'ingrosso, lasciando intatto il potere degli Stati membri, salve 
restando altre disposizioni del Trattato -di adottare gli opportuni provvedimenti 
in fatto di formazione dei prezzi negli stadi del commercio 
al minuto e del consumo, purch� essi non mettano in pericolo gli scopi 

o il funzionamento dell'organizzazione comune dei mercati, in particolare 
del suo regime dei prezzi. 
9. -La determinazione cli un margine di utile massimo consentito 
al dettagliante nella vendita al consumo non �, in linea di principio, 
atto a mettere in pericolo gli scopi o il funzionamento di un'organizzazione 
del genere, purch� detto margine sia essenmalmente calcolato a 
partire dai prezzi d'acquisto, quali vengono praticati nello stadio della 
produzione e del commercio all'ingrosso, ed in modo da non ledere il 
funzionamento del regime di prezzi sul quale � fondata l'organizzazione 
comune dei mercati di cui trattasi. 
10. -Ci� tuttavia non avviene qualora i prezzi d'acquisto presi m 
considerazione non tengano conto de1le spese commerciai.ii. e d'importazione 
che il dettagliante ha effettivamente sostenuto sia nella fase dell'approvvigionamento 
sia in quella della vendita al consumo, ovvero qualora 
lo stesso margine di utile sia fissato ad un livello il quale, tenuto conto 
delle modalit� di calcolo e dei prezzi d'acquisto, non � atto a garantire 
al dettagliante l'equa remunerazione della sua attivit�. Un margine di 
utile che non soddisfi queste condizioni potrebbe infatti implicare il blocco 
dei prezzi massimi di vendita al dettaglio, il quale potrebbe pregiudicare 
il congegno di fissazione dei prezzi negli stadi commerciiali anteriori, 
quale � determinato dall'organizzazione comune dei mercati, ovvero pregiudicare 
glii scambi intracomunitari con una rilevante diminuzione delle 
importazioni. 
11. -Per queste ragioni, il complesso delle questioni sollevate va 
risolta nel senso che il regolamento del Consiglio 13 giugno 1967, n. 121, 
relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore della carne 
smna, e il regolamento del Consiglio 27 giugno 1968, n. 805, relativo all'organizzazione 
comune dei mercati nel settore delle carni bovine, considerati 
entrambi alla luce degli altri regolamenti menzionati dal giudice 
nazionale, non ostano alla fissazione unilaterale da parte di uno Stato 
membro cli un margine di utile massimo per la vendita al dettaglio delle 
carni suine o bovine, margine calcolato essenzialmente a partire dai 
prezzi d'acquisto, quali sono praticati negli stadi commerciali anteriori, 
e variabile ii.n funzione di detti prezzi, purch� i prezzi d'acquisto che servono 
al calcolo del margine siano maggiorati delle spese commerciali e 

PARTE I, SEZ. II, GIURI$. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

d'importazione effettivamente sostenute dal dettagliante nello stadio dell'approvvigionamento 
e della vendita al consumo e purch� il margine 
venga fissato ad un livel!lo che non ostacoli gli scambi intracomunitari. 

(omissis). 

III 

(omissis) Con il primo motivo di ricorso, con cui si sostiene la 
non assoggettabilit�, in concreto, del ricorrente alla disciplina vincolistica 
dei prezzi imposta col D.P.R. n. 427 del 1973, in quanto contrastante 
con la normativa comunitaria della C.E.E. in materia di determinazione 
di prezzi di mercato, � fondato. 

Premesso, infatti che, contrariamente a quanto si fa col secondo 
motivo, il ricorrente non prospetta una ipotesi di incostituzionalit� del 
decreto in questione (per contrasto ,con la direttiva comuruitaria), ma pi� 
semplicemente sostiene la tesi dell'inapplicabilit� diretta di detto decreto 
in determina1li casi concreti, va osservato che tale modo di impostazione 
del problema � del tutto errato, in quanto non � ipotizzabile una commissione 
fra legge nazionale e norma comunitaria, s� da trarne una sorta di 
normativa composita, nel1a quale la norma comunitaria si introduca 
direttamente come correttiva dii quella nazionale per determinate specifiche 
fattispecie concrete, con conseguente disapplicazione diretta, da parte 
del giudice nazionale, di alcune norme della legge nazionale per la parte 
!in cui esse appaiono ilil contrasto, in relazione al caso di specie, con la 
normativa comunitaria. Un'operazione del genere � impossibile, potendo 
il giudice nazionale, nel caso in cui si ravvisi una difformit� fra 1a normativa 
nazionale e quella comunitaria, s� che l'applicazione della prima 
porti a risultati contrastanti con quelli volumi e ipotizzati dalla seconda, 
unicamente sospendere la decisione del caso concreto e provocare un 
giudizio di costituzionalit� della norma nazionale, previo, se necessario 
un giudizio della Corte di giustizia della Comunit� per l'interpretazione 
esatta della disciplina comunitaria, in funzione della quale debba valutarsi, 
dal giudice costituzionale, la legittimit� costituzionale in astratto 
della norma nazionale, e, prima ancora, dal giudice ordinario la infondatezZ!
a o meno di una eventuale questione di costituzionalit�. 

Una questiOIIle del genere non � <stata sollevata dal ricorrente, che 
non ha denunciato, sotto tale profilo, l'illegittimit� costituzionale del 
decreto in esame, ma si � lhnitato a sostenerne l'inapplicabilit� nei suoi 
confronti, e su tale punto il motivo dii ricorso, per quanto innanzi detto, 
va senz'altro disatteso; n� ritiene questa Corte di dover sollevare d'ufficio, 
in funzione del motivo di ricorso, un giudizio di costituzionalit�, essendo 
stata la questione gi� affrontata cos� dalla Corte Costituzionale che dalla 


54 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Corte di giustizia della Comunit�, con pronun:zJie che convincono della 
infondatezza della questione. 

Quanto alla Corte di Giustizia, questia, dopo fa sentenza del 23 gennaio 
1975, invocata dal ricorrente, � tornata nuovamente sull'argomento 
con successive sentenze (26 febbraio 1976, ~n ricorso SADAM, e 3 febbraio 
1977, in ricorso Munari), con le quali, nell'interpretare i limiti e gli 
effetti de11a normativa comunitaria relativa alla fissazione di prezzi di 
mercato e alla disciplina dei prezzi ,stessi, e i limiti che tale normativa 
impone al legislatore nazionale, ha chiarito il proprio pensiero affermando, 
da un lato, che l'attivH� del legislatore nazionale in tale settore � 
incompatibile con la disciplina comunitaria solo quando possa mettere 
in pericolo l'organiz:zJazione comune del mercato, dall'altro che essa Corte 
non � competente ad interpretare il diritto interno ed a valutare gli effetti 
che esso pu� produrre su detta organizzazione, compito, quest'ultimo, 
che spetta al giudice nazionale: Jl che significa, contrariamente a quanto 
sostenuto dal ricorrente, che il legislatore nazionale ben pu� fissare determinati 
prezzi di mercato, e che un limite alla legittimit� di tale potere 
� dato unicamente dal pericolo che tali provvedimentd possano rappresentare 
per l'organizzazione comunitaria, pericolo da accertarsi non in 
astratto, ma di volta in volta nel caso concreto. 

A sua volta la Corte Costituzionale, investita della questione, con 
ordinanza n. 206 del 1976 ha rimesso gli attd al giudice di merito, affermando 
che essa Corte avrebbe potuto pronunciarsi sulla legittimit� deJ 
provvedimento legislativo denunciato solo dopo risolto il contrasto interpretativo 
sulla norma comunitaria, contrasto risolto nei sensi su indicati. 

Ne consegue, da un lato, che non pu� affermarsi che il legislatore italiano 
non poteva emanare il decreto n. 427 del 1973, n� tanto meno che 
detto decreto non possa trovare applicazione nei confronti di determinati 
operazioni commeroiali, come invece sostenuto dal ricorrente; che, 
ai fini di accertare o meno La illegittimit� costituzionale del decreto in 
questione � necessario accertare, caso per caso, se il vincolo da esso 
apposto a determinati prezzi possa produrre, come conseguenza, una 
turbativa ed una violazione degli obiettivi e del funzionamento dell'organizzazione 
comuni di mercato; che, in particolare, per quanto riguarda 
il commercio di olii di semi, la possibilit� di un contrasto fra 1a legislazione 
nazionale e quella comunitaria � difficilmente configurabile in 
astratto, posto che, come la stessa Corte di Giustizia ha affermato (sentenza 
del 23 gennaio 1975 su ricorso Galli n. 41/74, ossia proprio la sentenza 
invocata dal ricorrent�), il regolamento C.E.E. n. 136/66 su1la disciplina 
di mercato dei grassi vegetali ha istituito un particolare regime di 
prezzi solo per i prodotti pi� soggetti a variazioni di prezzi, quale l'oliio 
di oliva, mentre per gli altri (e fra questi quindi anche l'olio di semi), 
ha previsto soltanto La possibilit� di una protezione doganale nei con


i 

i 

I 
~ 
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1 
..... .... ................ ... ........... I 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

fronti dei paesi terzi, prevedendo per essi misura di salvaguardia solo 
in caso di perturbazioni di mercato. Pertanto, ila normativa del decreto 

n. 427/73, per quanto si attiene in particolare all'olio di semi (che � ci� 
che interessa ai fini del presente giudizio) potrebbe apparire incostituzionale 
solo se potesse ipotizzarsi che essa costituisse causa di perturbazione 
dell'intero mercato comune: il che dovrebbe accertarsi dal giudice 
di merito come dato di fatto, e oonseguentemente non pu� essere 
accertato in questa sede, n� � ipotiz2labile un rinvrio ad altro giudice di 
merito, posto che il ricorrente, su cui gravava il relativo onere deUa prova, 
non ha indicato alcun �elemento di fatto concreto da cui potrebbe 
dedursi una situazione di pericolo per l'organizzazione del mercato comune, 
in conseguenza del provvedimento denunciato (pericolo che, comunque, 
in astratto � ben difficilmente ipotizzabile, non essendosi avuto la 
fissazione di un prezzo di !�.mperio, ma unicamente il blooco, per un breve 
periodo di tempo, di prezzi liberamente determinati sul mercato, ed 
avendo lo stesso legislatore prevristo, all'art. 2 del decreto, la possibilit� 
di una anticipata revisione dei prezZJi in considerazione della normativa 
comunitaria e dei prezzi da questa fissati, in relazione a prodotti maggiormente 
esposti a variazioni di mercato; e ci� fa ritenere che la mancata 
inclusione dei prezzi degli olH di semi in tale eccezione alla regola 
generale, da parte di un legislatore �che si era posto il problema della 
conformit� ai prezzi comunitari e alla relativa normativa, sia dovuta alla 
constatata non necessit� di una particolare regolamentazione, in base a 
dati di fatto sulla situazione di mercato cogniti al legislatore medesimo). 
(omissis). 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 8 gennaio 1980, 
nella causa 21/79 -Pres. Kutscher -Avv. Gen. Mayras -Commissione 
delle Comunit� europee (ag. Abate) c. Repubblica italiana (avv. Stato 
Marzano). 

Comunit� europea -Libera circolazione delle merci -Disposizioni fiscali 
interne discriminatorie -Oli rigenerati -Imposta di fabbricazione e 
sovrimposta di confine. 
(Trattato CEE, art. 95; I. 28 febbraio 1939, n. 334 e succ. mod.; !. 31 dicembre 1962, 

n. 1852, art. 12). 
Comunit� 1europea -Direttiva del Consiglio 16 giugno 1975, n. 75/439 -Oli 
usati -Raccolta, .eliminazione e reimpiego -Incentivi -Armonizzazione 
-Poteri degli Stati membri. 
(Direttiva del Consiglio 16 giugno 1975, n. 75/439, artt. 13, 14). 

La riscossione, in base alla legge 31 dicembre 1962, n. 1852, che modifica 
il regime fiscale dei prodotti petroliferi, sugli oli minerali rigenerati 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

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prodotti in Italia, di un'imposta di fabbricazione meno gravosa della corrispondente 
sovrimposta di confine applicabile agli .oli rigenerati provenienti 
da altri Stati membri, � in contrasto con l'art. 95 del Trattato. 
Tuttavia il divieto di discriminazione posto da tale norma del trattato 
non impone la soppressione dell'agevolazione fiscale concessa agli oli 
rigenerati in Italia, ben potendo tale agevolazione restare in vigore a condizione 
che essa sia applicabile anche agli oli rigenerati provenienti dagli 
altri Stati membri e dei quali venga provata la rigenerazione (1). 

Per perseguire gli scopi della direttiva del Consiglio 16 giugno 1975, 

n. 75/439, di agevolare cio� il reimpiego degli oli usati, gli Stati membri 
sono liberi o di versare direttamente un'indennit� �lle imprese che procedono 
alle operazioni di rigenerazione o di far fruire gli oli rigenerati 
di un regime fiscale pi� vantaggioso o perfino di applicare cumulativamente 
i due sistemi; ma, nel caso che optino per un sistema di riduzione 
delle imposte interne, essi sono tenuti a non discriminare, sotto il profilo 
fiscale, i prodotti importati (2). 
(1-2) Regime fiscale differenziato e art. 95 del trattato CEE. 

Con la sentenza in rassegna la Corte di giustizia ha espressamente affermato 
che �gli importatori di oli minerali provenienti da altri Stati membri, 
che intendano usufruire dell'aliquota ridotta, sono tenuti a provare che i 
prodotti che essi importano in Italia sono oli rigenerati�, e che �l'amministrazione 
italiana, dal canto suo, sebbene non possa rendere tale prova pi� 
onerosa del necessario, ha il diritto di esigere ch'essa sia fornita secondo modalit� 
tali da eliminare i rischi di frode, in particolare mediante produzione di 
certificati rilasciati dalle autorit� o da altri enti competenti dello Stato membro 
esportatore, che consentano l'identificazione dell'olio rigenerato a partire dallo 
stabilimento in cui � stata effettuata la rigenerazione �. 

Tale impostazione di principio, indicata dalla Corte in replica a talune 
delle argomentazioni difensive dedotte nel controricorso, � proprio quella sostenuta 
nell'interesse del Governo italiano, nella fase orale del giudizio, come 
l'unica possibile per evitare gli inconvenienti denunciati con altre argomentazioni 
difensive. 

Con riguardo alle stesse riprodotte affermazioni di principio sorprende, 
quindi, tanto pi� che la stessa Corte di giustizia rileva che � il commercio 
intracomunitario di oli minerali �, se non inesistente, quanto meno molto ridotto 
�, che un �inadempimento � sia stato di fatto rav:visato, dato che la 
ipotesi stessa di oli rigenerati muniti delle prescritte certificazioni, e per i quali 
fosse stata chiesta e negata l'applicazione dell'aliquota ridotta, non era stata 
nemmeno dedotta dalla Commissione delle Comunit� europee (e non sarebbe 
stata del resto in concreto ipotizzabile); ed appare invero sintomatica, in argomento, 
la divergenza tra la pronuncia adottata nel dispositivo della decisione 
(con la quale la violazione viene ravvisata nell'aver la Repubblica italiana riscosso 
�sugli oli minerali rigenerati prodotti in Italia l'imposta di fabbricazione 
in un'aliquota diversa da quella gravante sugli oli rigenerati provenienti 
dagli altri Stati membri�) e la domanda proposta nelle conclusioni 
dalla Commissione delle Comunit� europee (e volta a far dichiarare l'inadempimento 
agli obblighi imposti dall'art. 95 del trattato CEE per la riscossione 
di �un'imposta differenziata svantaggiosa sui prodotti petroliferi rige


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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

57 

(omissis) In diritto. -1. -Con atto 31 gennaio ,1979, la Commissione 
ha proposto dinan~i a questa Corte, in forza de1l'art. 169 del Trattato 
CEE, un ricorso inteso a far dichiarare che la Repubhlica italiana, 
�riscuotendo un'imposta differenziata svantaggiosa sui prodotti petroliferi 
rigenerati !importati dagli altri Stati membri in virt� della legge 31 dicembre 
1962, n. 1852 >>, � venuta meno agli obblighi :incombentile a norma 
dell'art. 95 del Trattato CEE. 

Considerazioni generali 

2. -In base al diritto italiano -e in particolare a norma del decreto 
legge 28 febbraio 1939, n. 334, ne1la versione vigente nel 1978 -gli oli minerali 
e i prodotti derivanti dalla loro trasformazione soggiacciono ad una 
imposta interna di fabbricazione, fissata dn un determinato importo in 
lire per quintale, variabile a seconda dei prodotti. Gli stessi prodotti provenienti 
dall'estero sono assoggettati, alla frontiera, ad un'imposta identdca, 
denominata � sovrimposta di confine �. 
nerati importati dagli altri Stati membri�): domanda che la Corte di giustizia, 
proprio per quanto osservato nella motivazione della sentenza, non 
avrebbe potuto evidentemente accogliere cos� come formulata. 

A commento della decisione, con la quale � stata in definitiva disattesa 
la pretesa della Commissione delle Comunit� europee di far abolire il regime 
differenziato, e che si conclude con una declaratoria di inadempimento priva 
in effetti di concreto contenuto (e riferita comunque a fatti invece non accaduti, 
e allo stato nemmeno ipotizzabili), pu� essere utile riprodurre qui di 
seguito parte delle memorie difensive depositate per il Governo italiano. 

(Omissis). -� 1. -L'Italia � stata la prima nazione europea a prevedere e 
disciplinare, gi� nel 1940, il riutilizzo degli oli usati; cos� come � stata la prima 
nazione ad incentivare, per evidenti ragioni di politica ecologca ed energetica, 
l'industria della rigenerazione dei prodotti petroliferi usati. 

Nella relativa normativa � stato necessario prevedere, ovviamente, una 
rigida disciplina dei controlli, sia per evitare doppie imposizioni sia per prevenire 
possibili frodi fiscali. 

Con l'art. 12 della legge 31 dicembre 1962, n. 1852, in particolare, � stata 
disciplinata l'attivit� di � chiunque intende ottenere, con qualsiasi mezzo o 
processo, prodotti petroliferi da prodotti dalla stessa natura, gi� usati nell'interno 
dello Stato �. 

Per l'esercizio di tale attivit� � prescritta una �preventiva� autorizzazione 
ministeriale, ed occorre specificare � oltre il nome della ditta e di chi la rappresenta, 
la localit� nella quale si trova l'opificio, i locali di cui si compone, 
il tipo e la potenzialit� degli impianti, i processi di lavorazione nonch� la qualit� 
e la quantit� delle materie prime da trattare e dei prodotti finiti da immettere 
in consumo �; ed � uguale autorizzazione preventiva debbono ottenere 
coloro i quali intendano comunque modificare i propri impianti, variare la qualit� 
od aumentare la quantit� delle materie prime e dei prodotti finiti >>. 



58 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

3. -Allo scopo di favorire, per motivi ad un tempo economici ed ecologici, 
il recupero ed il reimpiego degli oli usati, la legge italiana 31 dicembre 
1962, n. 1852, (G.U.R.I. n. 26 del 29 gennaio 1963, pag. 458) contempla, 
all'art. 12, un insieme di provvedimenti che disdplinano la raccolta, il 
recupero ed il reimpiego dei prodotti petroliferi, concedendo alle imprese 
che effettuano tali operazioni in territorio >italiano agevolazioni fiscali 
per quanto concerne l'imposta di fabbricazione. 
4. -Le disposizioni di cui trattasi distinguono tra il recupero e la 
rigenerazione dei prodotti petroliferi usati e trattano queste due situazioni 
in modo diverso, anche sotto il profilo fiscale. 
5. -Il recupero degli oli usati consiste nel riutilizzare taluni prodotti 
petroliferi gi� impiegati una pnima volta e che siano riutilizzabili, nello 
stato in cui si trovano, per gli stessi fini o per altri scopi, oppure che, 
prima del reimpiego, debbano essere puliti o depurati, in particolare 
mediante decantazione, filtrazione o essiccamento. Gli oli lubrificanti cos� 
recuperati sono esenti dall'imposta di fabbricazione purch� il recupero 
�Sui prodotti ottenuti � dovuta l'imposta di fabbricazione ragguagliata al 
25 per cento dell'aliquota fissata per ciascuna specie dei prodotti stessi�, sempre 
che alla produzione sia stato provveduto con la prescritta autorizzazione 
ministeriale; ed � infatti stabilito, con il quinto comma della stessa disposizione, 
che � per la immissione in consumo, senza la predetta autorizzazione, 
di prodotti petroliferi ottenuti ai sensi del primo comma, dovr� essere corrisposta 
l'imposta di fabbricazione ad aliquota intera�. 

Per quanto concerne i prodotti petroliferi recuperati e reimpiegati, la 
norma prevede l'esenzione dell'imposta di fabbricazione per � gli oli minerali 
lubrificanti ricuperati, mediante operazioni, anche congiunte di decantazione, 
filtrazione od essiccamento, negli stabilimenti industriali, quando il ricupero, 
le operazioni anzidette ed il reimpiego avvengono nello stesso stabilimento in 
cui essi furono usati �; e la stessa esenzione � prevista anche per �la benzina 
ricuperata nelle smacchiatorie o lavanderie dopo i lavori in cui sia stata impiegata 
� e per � i prodotti petroliferi, esclusi i lubrificanti, ricuperati negli 
stabilimenti industriali per il diretto reimpiego nei processi di lavorazione in 
cui furono usati�. 

2. -La iniziale contestazione della Commissione delle Comunit� europee si 
riferiva sia al trattamento fiscale dei prodotti petroliferi rigenerati (applicazione 
di imposta con aliquota ridotta) sia a quello dei prodotti recuperati e 
reimpiegati (esenzione dall'imposta). 
Alla Commissione delle Comunit� europee era sembrato, infatti, che in 
entrambe le ipotesi fosse da ravvisare un contrasto con l'art. 95, primo comma, 
del trattato CEE; e ad entrambe le ipotesi si riferisce invero il parere motivato 
del 10 gennaio 1978 (nel quale si assumeva, pur apprezzandosi � nel loro 
giusto valore gli argomenti di ordine economico ed ecologico addotti dal governo 
italiano'" che tali argomenti �non sono tuttavia suscettibili di modifi� 
care sia pur minimamente le valutazioni giuridiche tratte dall'art. 85 �). 

Nel ricorso proposto in sede contenziosa, peraltro, la Commissione delle 
Comunit� europee ha invece gi� ammesso che � con lettera del 29 luglio 1976 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

59 

ed ril reimpiego avvengano milio stesso st1abilimento nel quale detti oli 
sono stati usati la prima volta (art. 12, 7� comma, della legge n. 1852). 

6. -La rigenerazione consiste invece in un complesso procedimento 
chimico che richiede impianti a carattere indust11iale e serve a restituire 
agli olii. minerali usati tutte le caratterJstkhe ch'essi possedevano prima 
di venire impii.egati. La Commissione ed il Governo italiano sono d'accordo 
nell'ammettere che non � possibile distinguere l'olio rigenerato dall'olio 
di prima raffinazione non ancora usato. 
7. -A norme dell'art. 12, 2� comma, della legge italiana precitata, 
gli oli rigenerata. sono assoggettati all'imposta di fabbricazione in misura 
pari al 25% dell'aliquota intera. Quest'aliquota ridotta si applica ai prodotti 
rigenerati non solo quando vengono mesisi in commercio, ma anche 
qualora vengano riutilizmtii. dall'impresa che li ha impiegati fa prima volta. 
�8. -Il diritto [taliano non contempla l'applicazione dell'aliquota 
ridotta agli oli importati, siano essi recuperati o rigenerati; questi sono 
assoggettati alla sovrimposta di confine, corrispondente all'imposta di 

(che pur � di data anteriore a quella del parere motivato) il Governo italiano 
ha fornito ragguagli esaurienti sulle modalit� di applicazione del regime di 
imposta sui prodotti "recuperati " e "reimpiegati "�; e la domanda giudiziale 
risulta infatti limitata, con parziale desistenza della richiesta inizialmente avanzata 
con il parere motivato, alla sola ipotesi dei prodotti � rigenerati �. 

3. -Prima di commentare tale residua domanda sono opportune talune 
precisazioni e rettifiche. 
Non � esatto, infatti, che �il governo italiano non contesta che le predette 
disposizioni sono incompatibili con l'art. 95, paragrafo 1, del trattato� 
(come si assumeva invece nel parere motivato); cos� come non � esatto che 
� per quanto attiene invece ai prodotti rigenerati, il Governo italiano non ha 
contestato la discriminazione fiscale � o che � il Governo italiano (ha) riconosciuta 
la fondatezza del parere motivato� (come si assume invece nel ricorso). 

Gi� nella prima lettera del 29 luglio 1976, invero, � stato espressamente rilevato 
che � le suesposte situazioni impositive non possono configurare alcuna discriminazione 
nei confronti dei prodo1ti comunitari importati� (replica riferita, 
come risulta dalla successiva motivazione, a tutte le ipotesi in discussione); e dagli 
atti della fase precontenziosa, gi� ex adverso prodotti in giudizio, risulta evidente, 
inoltre, che il manifestato proposito di provvedere a modifiche legislative non � 
determinato dalla ipotizzata fondatezza del parere motivato, ma soltanto dal fatto 
che l'attuazione della direttiva del Consiglio CEE 16 giugno 1975, n. 439 (con la 
quale la segnalata possibilit� di modifica risulta in stretta correlazione) consentir� 
di sostituire l'attuale regime fiscale. 

E' gi� stato espressamente rilevato, infatti, che �adeguamento da parte italiana 
at parere motivato in argomento creerebbe distorsioni sino a quando forme 
incentivazione attuate in applicazione suddetta direttiva non saranno uguali in 
tutti Stati membri �; cos� come � stato segnalato che l'attuale riduzione di imposta 
sugli oli rigenerati �sar� sostituita con applicazione indennit� prevista da 
direttiva 75/439/CEE �; ed � nell'ambito di tale prospettiva, quindi, che va inteso 
il proposito delle autorit� italiane di � conformarsi at parere motivato 10 gen




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60 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

fabbricazione ad aliquota intera. Va tuttavia osservato che l'importazione 
di oli recuperati da altri Stati membri semb:ria un'!ipotesi teorica 
e che ianche il commercio intracomunitaruo di oli rigenerati �, se non 
inesistente, quanto meno molto ridotto, pur se suscettibile di sviluppo 
a causa dell'andamento del mercato dei prodotti petroliferi. 

9. -In risposta 'alla lettera 24 giugno 1976, in cui la Commissione 
dichiarava di ravvisare nella normativa di cui trattasi una violazione dell'art. 
95, 1� comma, del Trattato, fa Repubblica italiana osservava che, 
per quanto concerne gli oJ.i recuperati, l'esenzione -subordinata alla 
condizione che il recupero ed il reimpiego venissero effettuati nello stesso 
opificio -icostituiva applicmone del principio fiscale � non bis in idem �. 
A suo avviso, il fatto che, per definizione, detta condizione non potesse 
essere soddisfatta dai prodotti importati non signkavia assolutamente che 
l'esenzione non fosse conforme al Trattato. Per quel che riguarda gli oli 
rigenerati, la Repubblica italiana sosteneva, sostanzialmente, che non susnaio 
1978 � (in quanto cio� l'attuazione della. direttiva_ comunitaria consentir� comunque 
di risolvere la questione), e non certo per un presupposto riconoscimento 
che l'attuale regime fiscale degli oli rigenerati possa assumersi incompatibile 
con l'art. 95, primo comma, del Trattato. 

4. -Quanto al merito del ricorso, la sua infondatezza va dedotta, anzitutto, 
sulla base delle stesse argomentazioni che hanno gi� indotto la Commissione delle 
Comunit� europee a desistere, in questa sede, dall'analoga domanda relativa alla 
ipotesi dei prodotti � ricuperati � e � reimpiegati �. 
L'esenzione fiscale prevista per tali prodotti (ed applicabile oltretutto � sotto 
l'osservanza delle modalit� da stabilirsi con decreto del Ministro delle finanze �, e 
sempre che il recupero, le relative operazioni, ed il reimpiego � avvengono nello 
stesso stabilimento � in cui i prodotti sono stati gi� usati) � stata giustificata, infatti, 
rilevandosi che tutti i prodotti recuperati e reimpiegati, in quanto � gi� 
usati nell'interno dello Stato >>, hanno gi� assolto la normale ed intera imposta di 
fabbricazione (s� che la esenzione � in effetti dovuta alla esigenza di evitare una 
doppia imposizione), e che tale condizionante presupposto non si verifica invece, 
ovviamente, per gli analoghi prodotti importati dagli altri Stati membri; e tale 
rilievo, di per s� idoneo ad escludere la ipotesi stessa di una discriminazione 
incompatibile con l'art. 95, primo comma, del trattato CEE, � stato gi� condiviso 
dalla Commissione delle Comunit� europee. 

Analoga considerazione assume rilievo, peraltro, anche per quanto concerne 
l'ipotesi dei prodotti petroliferi � rigenerati >>, anche in tal caso trattandosi di 
prodotti ottenuti con la rigenerazione di prodotti che se � gi� usati nell'interno 
dello Stato� (e soltanto in tal caso) sono stati comunque gi� assoggettati alla 
normale ed intera imposta di fabbricazione. 

Ai fini della comparazione da fare per gli effetti di cui all'art. 95 del trattato 
CEE, e tenuto anche presente il carattere � fiscale � dell'imposta di fabbricazione, 
non pu� non essere considerato, cio�, che l'imposta � ridotta � dovuta sugli oli 
rigenerati si aggiunge in effetti alla normale imposta gi� pagata sui prodotti 
�usati nell'interno dello Stato�; ed � sintomatico anzi, a tale proposito, che in 
altri Stati membri (come ad esempio in Francia ed in Inghilterra) nessuna autonoma 
(ed ulteriore) imposta di consumo sia dovuta sugli oli rigenerati, e pro



PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 61 

sisteva aloUJlla discniminazione nei confronti dei prodotti stranieri poich� 
l'appLicazione dell'aliquota ridotta -giustifioata dal costo di produzione 
estremamente 'elevato dell'olio rigenerato rispetto a queHo del prodotto 
nuovo -eria legata ad un severo controllo del procedimento di rigenerazione, 
che consentiva l'identificazione dei quantitativi di oli rigenerati 
da produrre. Poich� tale controllo non poteva essere effettuato sui prodotti 
importati, il diverso trattamento a questi riservato non era in contrasto 
con l'art. 95 del T:vattato. Il Governo italiano, inoltre, attirava 
l'attenzione della Commissione sul fatto che le agevolazioni fiscali di cui 
trattasi erano, di fatto, conformi alle finalit� perseguite dalla direttiva 
del Consiglio 16 giugno 1975 n. 75/439, concernente l'eliminazione degli 
oli usati, la quale contempla l'istituzione, da parte degli Stati membri, 
di un sistema armonizzato di raccolta, di eliminazione o di reimpiego 
deg1i oli usati e consente, 1agli artt. 13 e 14, il versamento di indennit� 
alle imprese che provvedono ad effettuare tali operazioni. Le agevolazioni 
fiscali critioate .costituivano, �in realt�, una forma di sovvenzione, come 
quelle autorizzate dalla direttiva, la quale, peraltro, non era ancora stata 

prio in base al principio secondo cui lo stesso prodotto non pu� essere soggetto a 
duplicazione di imposta quando sia destinato allo stesso impiego. 

Gi� sotto questo primo profilo, si spiega e si giustifica, quindi, che gli oli 
rigenerati importati siano assoggettati alla normale imposizione tributaria � interna 
�; e nessuna ingiustificata discriminazione pu� essere di conseguenza ravvisata, 
nel regime tributario in discussione, specialmente quando si consideri che 
il riferimento alla precedente utilizzazione, � nell'interno dello Stato >>, dei prodotti 
da rigenerare, non �� dovuto al proposito di discriminare prodotti nazionali da 
prodotti importati, ma giustificato dal solo �fatto che soltanto i prod�tti � gi� 
usati nell'interno dello Stato�, e non quelli utilizzati all'estero, hanno gi� scontato, 
e per intero, la normale imposta interna. 

5. -Va pure tenuto presente, inoltre, che uria ingiustificata discriminazione si 
verifica non soltanto quando situazioni uguali siano differentemente disciplinate, 
ma anche quando uno stesso trattamento sia applicato a differenziate situazioni. 
� Va tenuto presente, cio�, che l'imposta ridotta in discussione in tanto pu� 
applicarsi in quanto gli oli rigenerati siano ottenuti nelle condizioni prescritte 
dalla legge, sotto il controllo previsto, e nell'esercizio di attivit� per la quale sia 
stata chiesta ed ottenuta preventiva autorizzazione. 

La rigenerazione degli oli minerali si ottiene invero con un procedimento 
tecnologico diretto a riprodurre e rinnovare lo stato e le propriet� iniziali dei 
prodotti da rigenerare; ed � evidente che un regime tributario dei prodotti rigenerati 
diverso e pi� favorevole di quello applicabile ai prodotti petroliferi originari 
pu� ammettersi soltanto quando sia in concreto possibile verificare e controllare 
il procedimento di rigenerazione, la quantit� e qualit� dei prodotti utilizzati, 
l'effettivo precedente utilizzo degli oli impiegati, lo specifico processo di 
lavorazione adottato, ed il quantitativo dei prodotti ottenuti. 

Il raffronto dei prodotti importati pu� quindi assumere rilievo soltanto rispetto 
ai corrispondenti prodotti nazionali ottenuti senza l'osservanza delle condizioni 
prescritte; e nessuna discriminazione pu� essere quindi ravvisata, nella 
specie, quando si consideri che anche per tali prodotti l'imposta di fabbrica


7 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

62 

attuata dalla maggior parte degli Stati membri. Il Governo italiano 
aggiungeva di star comunque studiando la possibilit� di sostituire le agevolazioni 
fiscali con gli a[uti diretti di cui la direttiva consente il versamento. 


10. -Nel parere motivato emesso iI 10 gennaio 1978 la Commissione, 
dopo aver constatato � che il Governo italiano non contesta che le predette 
disposizioni sono incompatibili con l'art. 95, paragrafo 1, del Trattato 
� -ci� che costituisce un'interpretazione inesatta del punto di vista 
italiano -dichiarava che � la Repubblica italiana � venuta meno agli 
obbhighi che le incombono in virt� di tale Trattato colpendo i prodotti 
petroliferi rigenerati, :importati da altri Stati membri, con l'accisa ad 
aliquota piena mentre gli stessi prodotti importa1li � (leggasi: nazionali) 
� beneficiano di un'esenzione, parziale o totale, secondo il caso �. La 
Commissione, men2li.onando espressamente i prodotti nazionali fruenti 
di esenzione totale, si riferiva -o comunque dava ad intendere di rifersi 
-sia al regime fiscale degli oli recuperati e reimpiegati nello stesso 
zione � dovuta, come espressamente disposto con l'art. 12, sesto comma, della 
legge 31 dicembre 1962, n. 1852, �ad aliquota intera�, 

6. -La infondatezza della domanda proposta dalla Commissione delle Comunit� 
europee pu� essere evidenziata anche sotto un ulteriore profilo, con riguardo 
cio� alla sostanziale portata della normativa nazionale in discussione ed in particolare 
alla sua sostanziale aderenza ai princ�pi ispiratori della direttiva del Consiglio 
CEE 16 giugno 1975, n. 439. 
Come si � gi� sopra ricordato, invero, l'Italia � stata la prima nazione europea 
a prendere in considerazione e a disciplinare il riutilizzo degli oli usati, incentivando 
per motivi di ordine ecologico ed energetico la rigenerazione dei prodotti 
petroliferi. 

Quale sia l'attuale situazione negli altri Stati � stata gi� altre volte oggetto 
di discussione; ed � sufficiente richiamare, a tale proposito, le risultanze della 
riunione tenuta il 3 novembre 1977 dalla Commission europeenne de regeneration � 
della � Union europeenne des independants en lubrifiants �: riunione il cui verbale 
si ritiene opportuno allegare al presente controricorso, per utile riferimento. 

La rilevanza della questione concernel).te la eliminazione e la riutilizzazione 
degli oli usati non poteva non essere avvertita, evidentemente, a livello comunitario; 
e con la direttiva del Consiglio 16 giugno 1975, n. 439 � stato appunto previsto 
un sistema volto a favorire la rigenerazione dei prodotti usati, contemplandosi 
la necessit� di una autorizzazione delle autorit� statali per l'esercizio 
dell'attivit� di rigenerazione, la vigilanza ed il controllo sulle imprese e 
sui quantitativi da rigenerare, e la corresponsione di una � indennit� � che 
copra le spese sostenute dalle imprese autorizzate ad esercitare l'attivit� di 
rigenerazione degli oli usati: indennit� che � possono essere tra l'altro finanziate 
mediante una tassa riscossa sui prodotti che, dopo la loro utilizzazione, sono 
trasformati in oli usati, o sugli oli usati �. 

Con tale direttiva, cio�, sono stati recepiti a livello comunitario princ�pi 

ed istanze del tutto analoghi a quelli ai quali � gi� in sostanza ispirata la 
normativa nazionale italiana (necessariamente riferita al solo ambito territoriale 
interno); ed � proprio e soltanto in vista dell'attuazione di tale direttiva di 

PARTE J, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 63 

stabilimento sia a quello degli oli rigenerati. Il 5 luglio 1978 il Governo 
italiano annunciava di aver deciso di conformarsi al parere motivato elaborando, 
per i prodotti rigenerati, un provvedimento Jegislativo inteso a 
sostituire le agevola:llioni fiscail.i criticate con le indennit� contemplate 
dalla direttiva n. 75/439. 

11. -Nel ricorso proposto il 31 gennaio 1979 la Commissione si riferisce 
ai soli prodotti rigenerati e nella replica, nonch� nella risposta 
ai quesiti della Corte, ha precisato e confermato espressamente che i 
suoi addebiti concernono unicamente iii regime fiscale vigente per i prodotti 
petroliferi rigenerati menzionati aH'art. 12, 2� comma, della legge 
italiana n. 1852. 
12. -La Co:rte prende atto di tale dichiarazione, che elimina un'ambiguit� 
presente sia nelle osservazioni indirizzate al Governo italiano il 
24 giugno 1976 sia nel parere motivato; il suo esame pu� pertanto limitarsi 
al regime fiscale degli o1i rigenerati. 
�ravvicinamento� che � stata gi� nella fase precontenziosa segnalata la possibilit� 
di sopprimere la riduzione d'imposta applicabile ai prodotti ottenuti 
con la rigenerazione di oli gi� usati in ambito nazionale. 

E' stato infatti evidenziato l'analogo effetto sostanziale determinato dalla 
prevista corresponsione di una indennit� in favore delle imprese autorizzate 
all'esercizio dell'attivit� di rigenerazione; cos� come � stato espressamente precisato 
che l'attuale riduzione d'imposta � sar� sostituita con applicazione indennit� 
prevista da direttiva 75/439/CEE �. 

In questa sede non si discute, d'altra parte, di una mancata tempestiva 
attuazione della direttiva comunitaria (che per quanto consta non � stata finora 
recepita da nessuno degli Stati membri); ed � noto alla Commissione delle 
Comunit� europee, del resto, che � gi� venuta in evidenza la necessit� di rivedere 
l� direttiva comunitaria, che � stata predisposta in funzione di finalit� 
quasi esclusivamente ecologiche, e sembra non pi� corrispondere, per la mutata 
situazione energetica degli Stati delle Comunit� europee, all'interesse generale 
secondo cui gli oli usati sono da considerare materia prima pregiata e da 
destinare quindi esclusivamente alla rigenerazione. 

Con riguardo a tali premesse, e considerata quindi la sostanziale coincidenza 
delle finalit� perseguite con la direttiva comunitaria con quelle tenute 
presenti nella normativa nazionale in discussione, appare quanto meno prematura, 
in definitiva, l'iniziativa che la Commissione delle Comunit� europee 
ha ritenuto di dover assumere in questa sede; e ci� specialmente quando si 
consideri che un determinato � effetto � non pu� essere o no consentito a seconda 
della fonte che lo rende possibile. 

Certamente, una uniformit� di regolamentazione pu� essere garantita soltanto 
a livello comunitario, e sar� in concreto possibile soltanto con l'attuazione 
della direttiva comunitaria da parte di tutti gli Stati membri. 

Ci� non significa, per�, che prima ed indipendentemente dall'attuazione 
della direttiva comunitaria possa ravvisarsi nella normativa nazionale italiana 
un contrasto con l'art. 95, primo comma, del trattato CEE, dovendosi invece 
ammettere che inammissibili distorsioni negli scambi e nella concorrenza si 
verificherebbero proprio e soltanto se la riduzione d'imposta applicata sugli 



64 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 
Sul regime fiscale degli oli rigenerati 
13. -Nel corso della fase orale la Commissione ha insistito sul fatto 
che l'olio rigenerato e l'olio di prima raffinazione �sono prodotti non 
soltanto siimilari ai sensi dell'art. 95, ma addirittura identici�. Tale identicit� 
non � contestata dalla Repubblica italiana. L'osservazione della 
Commissione sembra per� suggerire che il regime fiscale degH oli importati, 
siano essi di prima raffinazione o rigenerati, debba essere identico 
a quello degli oli rigenerati italiani. Ci� spiega, a quanto pare, il punto 
di vista, esposto dalla Commissione sempre nel �corso della fase orale, 
secondo cui, per conforma11si all'art. 95, il Governo italiano dovrebbe sopprimere 
l'agevolazione fiscale della quale godono gli oli rigenerati italiani 
anzich� estendere tale agevolazione agli oli rigenerati importati dagli 
altri Stati membri. 
14. -Questo punto. di vista, a parte iil fatto che non �� espresso n� 
nel parere motivato n� nell'atto introduttivo, entrambi basati sul raffronto 
tra l'imposizione degli oJi rigenerali nazionali e quella degli oli rigenerati 
importati dagli Stati membri, non pu� essere condiviso. Risulta 
infatti dalla sentenza pronunziata da questa Corte il 10 ottobre 1978 nella 
oli rigenerati ottenuti da prodotti gi� assoggettati alla intera e normale imposta 
di fabbricazione venisse eliminata prima dell'attuazione della direttiva comunitaria: 
inammissibili distorsioni che risulterebbero ancora pi� gravi, del 
resto, se la riduzione dovesse essere applicata anche ai prodotti importati (come 
sembra pretendere la Commissione delle Comunit� europee), e quindi, eventualmente, 
anche a prodotti per i quali potrebbe essere stata in ipotesi corrisposta, 
nello Stato membro di provenienza, l'� indennit�� prevista dalla direttiva 
comunitaria. 
7. -Tutte le argomentazioni sopra riassunte concorrono ad escludere, in 
definitiva, e sotto molteplici differenti profili, che il regime fiscale in discussione 
possa assumersi incompatibile con l'art. 95, primo comma, del trattato 
CEE. 
La stessa corrispondenza o _similarit� dei prodotti in questione va del resto 
contestata, considerato che soltanto con l'assoggettamento dell'intero ciclo produttivo 
a vigilanza fiscale permanente � tecnicamene possibile l'identificazione 
stessa del prodotto rigenerato: preclusione la cui rilevanza risulta ancora pi� 
evidente, ai fini in esame, quando si consideri che la disciplina nazionale italiana 
del procedimento di rigenerazione, oos� come le condizioni prescritte ed 
i controlli imposti, non trovano alcuna corrispondenza, allo stato, nelle legislazioni 
degli altri Stati membri. 
Anche a prescindere da tale ulteriore e pur risolutiva contestazione di 
merito, non pu� non essere considerato, comunque, che l'art. 95, primo comma, 
del trattato di Roma, volto tra l'altro a garantire il normale gioco della concorrenza 
(e non certo ad avvantaggiare i prodotti importati rispetto a quelli 
nazionali), non potrebbe essere applicato in contrasto con la sua portata e con 
le sue finalit�. 
La effettiva portata e le specifiche finalit� dell'art. 95 del trattato CEE costituiscono 
infatti, necessariamente, e come per qualsiasi altra norma giuridica, i !!
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65

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

causa 148/77 (Hansen c/ Hauptzollant Flensburg; Racc. pagg. 1806-1807) 
che, nello stadio atrtuale della ,sua evoluzione ed in mancanza di unificazione 
o armondzza2lione delle norme rilevanti in materia, il diritto comunitario 
non vieta agli Stati membri di concedere, per legittimi motivi 
economioi e sociali, agevolazioni fiscali, sotto forma di esenzione da tributi 
o riduz;ione di questi, a taluni prodotti o a talune categorie di produttori, 
II Trattato non vieta pertanto, nell'ambito delle legislazi01JJi fiscali 
nazionali, che vengano imposti oneni tributari diversi su prodotti idonei 
a .servire ai medesimi fini economlici, soprattutto quando risulti, come 
nel caso degli oli minerali rigenerati, che i costi di produzione sono 
oggettivamente molto diversi da quelli degli oli di prima raffi.inazione. 

15. -Per contro, l'art. 95, 1� comma, esige che le agevolazioni fiscali 
di cui trattasi vengano estese senza discriminazione alle merci provenienti 
da~l,ii altrli Stati. membri ed aventi gli stessi requisiti dei prodotti nazionali 
che godono delle esenzioni o riduzioni consentite dal diritto nazioil 
limite stesso della sua concreta operativit�, tale limite essendo imposto dal 
noto principio secondo cui cessante ratione legis cessat et ipsa lex. 

La rilevanza, nella specie, ed anche a voler in ipotesi prescindere da quanto 
altro sopra osservato, di tale principio non pu� non essere avvertita, invero, 
quando �siano considerate le conseguenze che deriverebbero dalla soluzione 
sostenuta dalla Commissione delle Comunit� europee, quando si tengano presenti, 
cio�, l'alterazione della� concorrenza e l'artificiosa e strumentale deviazione 
negli scambi intracomunitari che sarebbero determinate da una attuale 
modifica del regime fiscale in discussione. 

Sia che la riduzione d'imposta venisse soppressa, sia se la � sua applicazione 
venisse estesa anche agli oli rigenerati importati, le imprese nazionali 
autorizzate a rigenerare i prodotti gi� usati nell'interno dello Stato sarebbero 
infatti costrette a chiudere le raffinerie generatrici, con gravi implicazioni di 
ordine economico e sociale per le categorie interessate, e negative ripercussioni 
sui livelli occupazionali; e ci� proprio per le mutate condizioni concorrenziali 
che le indicate innovazioni determinerebbero, se disposte prima della 
attuazione della direttiva comunitaria. 

8. ".'Gi� nella fase precontenziosa si � osservato, peraltro, che la questione in 
esame risulter� del tutto superata con il recepimento nella normativa nazionale 
della direttiva del Consiglio CEE 16 giugno 1975, n. 439, per l'attuazione 
della quale � stato gi� presentato specifico disegno di legge, contenente delega 
al Governo per l'adeguamento della normativa nazionale a numerose direttive 
comunitarie; ed � quindi prevedibile che venga nelle more del procedimento 
a cessare la stessa materia del contendere. 
Allo Stato, peraltro, deve chiedersi il rigetto della domanda proposta dalla 
Commissione delle Comunit� europee. (Omissis). 

(Omissis). Gi� nel controricorso, comunque, � stato osservato che l'art. 95 
del trattato CEE, cos� come qualsiasi altra norma giuridica, non pu� e non 
deve essere interpretato ed applicato se non in coerenza con la sua ratio e 
con le sue finalit�. 

Assume quindi determinante rilievo, ai fini in esame, il fatto stesso che la 
imposta ridotta applicata agli oli rigenerati nazionali (e pi� esattamente a 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

nale. L'art. 95, 1� comma -il quale mira ad evitare che le norme del 
Trattato relative all'abolizione dei dazi doganali e delle misure d'effetto 
equivalente possano essere aggirate o neutralizzate mediante l'istituzione 
di imposte nazionali ,che colpiscano le meroi importate irn modo discriminatorio 
rispetto a quelle di produzione nazionale -d� 1attuazione ad un 
prinoipio fondamentale del meI1Cato comune. Di conseguenza, le disparit� 
da esso vietate devono essere eliminate nonostante i delioati problemi 
di raffronto cui pu� dar iluogo l'equiparazione tra il prodotto importato 
e i vari prodotti na21ionali -tassati m modo diverso -con i quali esso 
pu� trovarsi in relazione di similarit�. 

16. -L'art. 95, 1 � comma, fa pertanto obbligo agli Stati membr.i di 
estendere le agevolazioni fiscali di cui fruiscono le merci nazionali alle 
merci similari importate dagli altri Stati membri, qualora tal!i merci 
posseggano i requisiti cui � .subordinata la concessione di un'aliquota 
ridotta o dell'esonero; .esso non li obbliga per� ad abolire le differenze 
oggettivamente giustificate che il diritto nazionale stabilisca eventualquella 
sola parte degli oli rigenerati nazionali la cui produzione sia ottenuta 
e controlla secondo le prescrizioni imposte dalla legge) non ha alcuno scopo 
protettivo o protezionistico, e non � quindi finalizzata a favorire la produzione 
nazionale rispetto a quella degli altri Stati membri, ma � prevista per 
rendere possibile la eliminazione non dannosa degli oli usati, per rendere possibile, 
cio�, una rigenerazione degli oli usati alla quale altrimenti, per l'alto 
costo del procedimento richiesto, nessuno provvederebbe. 

Va tenuto presente, cio�, che il costo di produzione da sostenere per la 
rigenerazione degli oli usati (lire 123 al chilogrammo nel 1978, v. allegata analisi) 
� oltre quattro volte maggiore di quello richiesto per ottenere gli oli 
�nuovi� dalla materia prima (lire 30 circa al chilogrammo), e che il risultato 
di eliminare, con la rigenerazione, gli oli usati non pu� essere conseguito, 
quindi, se non riducendo in qualche modo il costo di produzione a carico 
dell'imprenditore. 

A tali finalit�, ispirate a ragioni di carattere ecologico ed energetico (e la 
cui rilevanza � stata riconosciuta anche dalle Comunit� europee), sono del tutto 
estranee, evidentemente, la ratio e le finalit� dell'art. 95 del trattato CEE; e tale 
norma non pu� essere alterata nella sua stessa funzione per ricomprendere 
nel suo ambito di operativit�, in contrasto con fondamentali princ�pi di ermeneutica 
giuridica, ipotesi e fattispecie estranee invece alle sue finalit� ed al suo 
campo di applicazione. 

5. -La estraneit� dell'art. 95 del trattato CEE al tema in discussione pu� 
essere avvertita, del resto, anche sotto un ulteriore profilo, verificandosi, cio�, le 
concrete conseguenze della soluzione auspicata dalla Commissione CEE, e 
quanto tali conseguenze sarebbero aderenti alle finalit� perseguite con l'art. 95 
del trattato CEE. 
A tal fine utili elementi di valutazione sar� possibile desumere, anzitutto, 
dai fatti in possesso della Commissione CEE sulla produzione degli oli rigenerati 
(e di quelli ottenuti dalle materie prime), sul volume dei traffici negli 
scambi intracomunitari, sulla localizzazione degli impianti di rigenerazione 
sul territorio comunitario, e sui consumi in ciascuno degli Stati membri (con 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. C01\1UNJTARIA E INTERNAZIONALE 67 

mente fva le imposte interne gravanti su prodotti nazionali, a meno che 
l'abolizione di taLi differenze non sia l'unico mezzo che consenta di evitare 
la discriminazione, diretta o indiretta, delle merci importate. 

17. -Va del pari disatteso l'argomento della Commissione secondo 
cui la soppressione de1le agevolazioni fiscali di cui trattasi costituisce 
l'unica forma di applicazione oorretta dell'art. 95, 1� comma, del Trattato, 
tenuto conto del fatto che la menzionata direttiva del Consiglio n. 75/439 
ha stabilito che ie imprese che raccolgono, eliminano o rigenerano gli oH 
usati devono ottenere un'apposita, autorizzazione e possono ricevere 
dalle autorit� degJ;i Stati membri indem�t� per servizi resi purch� tali 
indennit� non creino � distoilsioni di concorrenza di un certo rilievo n� 
correnti artificiali di scambi di prodotti�. 
18. -Questa direttiva, ispirata da preoccupazioni di natura ecologica 
e da considerazioni attinenti alfa politica d'approvvigionamento di coml'indicazione 
del rapporto tra prodotti nazionali e prodotti importati): elementi 
che la Commissione vorr� quindi acquisire agli atti del processo, ad integrazione 
dei dati rilevabili dal documento allegato al controricorso, perch� la 
Corte possa verificare, anche in concreto, se il regime fiscale in discussione 
possa incidere negli scambi intracomunitari, se gli indifferenziati criteri dedotti 
dalla Commissione rispondano a concrete esigenze delle relazioni intracomunitarie 
o si risolvano in sterili ed inapplicate affermazioni di principio, 
se possano o no derivarne strumenti ed artificiose deviazioni nei traffici commerciali, 
se la normativa possa effettivamente assumersi discriminatoria nei 
confronti degli oli rigenerati importati, e se e quanto di strumentale e specioso 
possa ra\'Visarsi, in definitiva, nella contestazione promossa in questa 
sede dalla Commissione CEE. 

Quanto alle conseguenze della soluzione ex adverso sollecitata, � evidente 
che se una ingiustificata discriminazione fosse nella specie ravvisabile, 
e se potesse tale ipotizzata discriminazione assumersi incompatibile con l'articolo 
95, primo comma, del trattato CEE, si dovrebbe o assoggettare tutti gli 
oli rigenerati nazionali alla normale ed intera imposizione tributaria (e non 
soltanto quelli per i quali non � possibile accertare la effettiva derivazione 
da prodotti �gi� usati�), oppure applicare l'aliquota ridotta anche agli oli 
rigenerati importati. 

Per verificare le conseguenze di tali due possibili soluzioni occorre peraltro 
tener presente, anzitutto, che l'olio �rigenerato� presenta le stesse 
caratteristiche merceologiche e le stesse qualit� dell'olio �nuovo� (quello 
ottenuto, cio�, dalla materia prima), e che non � in alcun modo possibile 
distinguere, quindi, l'olio � rigenerato � dall'olio � nuovo �. 

Va tenuto presente, inoltre, che il criterio della �utilizzazione� non � 
sempre determinante ai fini in esame, e non lo � certamente, in particolare 
quando i due prodotti a raffronto non possono in alcun modo distinguersi, 
come nella specie, se non in base al prodotto dal quale sono ottenuti (rispettivamente, 
materia prima e oli gi� usati) ed al differente costo di produzione. 


La stessa Commissione, infatti, non pretende che gli oli rigenerati siano 
assoggettati allo stesso regime degli oli originali, ma soltanto che uno stesso 



68 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

bustihili, non � intesa ad armonizz.are le norme vigenti negli Stati membri 
in materia di imposte di consumo ed altre imposte indirette cui si :riifePisce 
l'art. 99 del Trattato. Essa, pertanto, lascia intatte le competenze 
degli Stati membri per quanto concerne le imposte interne, purch� siano 
rispettati, in particolare, gli obblighi imposti dagli artt. 95-98 del Trattato. 

19. -� assodato -n� � contestato dalla Repubblica italiana -che 
gli oli rugenerati importati e queLli nazionali costituiscono prodotti non 
solo similari, ma addi:riittura identici, sicch� le relazioni tra di essi rientrano 
incontestabilmente nella sfera d'applicazione dell'art. 95, 1� comma, 
del Trattato. 
~O. -Per giustificare il mantenimento in vigore del sistema che esclude 
gli oli rigenerati importati dal godimento dell'aliquota d'imposta rudotta 
applicata agli oli rigenerati nazionali, il Governo della Repubblica italiana 

regime fiscale sia applicato sia agli oli rigenerati nazionali sia a quelli importati: 
impostazione che presuppone, necessariamente, la possibilit� di applicare 
.differenti regimi fiscali agli oli oli �originali� ed a quelli �rigenerati� 
(e presuppone, quindi, una distinzione non ipotizzabile, invece, sotto il profilo 
della utilizzazione), e con la quale appare non coerente, perci�, l'affermazione 
secondo cui sarebbe determinante, ai fini in esame, la identit� di utilizzazione, 
e sarebbero del tutto irrilevanti, anche nella specie, le materie prime 
impiegate e il procedimento di fabbricazione. 

Sulla base di tali premesse,.e tenendosi sempre presente che l'aliquota 
ridotta � applicata, quando ricorrano le condizioni prescritte dalla legge, soltanto 
per ottenere in concreto la eliminazione non dannosa degli oli usati e 
non per proteggere i prodotti nazionali (e che nessuno altrimenti avrebbe interesse 
a promuovere la rigenerazione degli oli usati), occorre quindi verificare 
quali conseguenze si verificherebbero nelle due ipotesi sopra specificate, 
e quanto tali conseguenze potrebbero assumersi aderenti alle finalit� specifiche 
perseguite con l'art. 95 del trattato CEE. 

Se si estendesse la riduzione d'imposta agli oli � rigenerati � importati si 
verificherebbe, anzitutto, un anomalo afflusso di prodotti � rigenerati �, specialmente 
dagli Stati nei quali fosse stata gi� attuata la direttiva comunitaria 
(e nei quali gli imprenditori avrebbero quindi gi� usufruito del rimbors� 
dei maggiori costi di produzione), in contrasto con le finalit� di carattere 
ecologico ed energetico perseguite dalla normativa nazionale e dalla 
stessa direttiva� comunitaria, e con tutte le ulteriori pregiudizievoli conseguenze 
di ordine �sociale gi� evidenziate nel controricorso. 

Agli oli recuperati (e che potrebbero essi stessi essere utilizzati per la 
rig�neraziorte) .rimarrebbe applicabile, inoltre, come agli oli recuperati � nazionali
� non reimpiegati �nello stesso stabilimento>>, la normale ed intera 
imposizione tributaria, con l'assurda conseguenza di una tassazione, per il 
prodotto �finito�, pi� onerosa di quella relativa al prodotto utilizzato. 

Considerato che gli oli di prima utilizzazione e quelli � rigenerati � non 
possono essere in alcun modo distinti (se non attraverso il controllo del 
procedimento produttivo), � ovvio, poi, che tutti gli oli minerali importati 
sarebbero presentati come �rigenerati� (per usufruire della riduzione d'imposta), 
senza alcuna possibilit� di accertarne la effettiva derivazione da oli 
�gi� usati>>, e senza alcuna possibilit� di evitare evasioni fiscali; ed anche di 

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PARTE I, SEZ. Il, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

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deduce in sostanza tre argomenti, e cio�: 1) l'impossibiliit� di distinguere, 
anche mediante anaJilisi, gli oli rigenerati da quelli di prima raffinazione, 
il che pu� dar luogo a frodi all'atto dell'importazione dei prodotti considerati; 
2) i1l fatto che l'agevolazione fiscale � giustificare da.i costi di produzione 
estremamente elevati dagli oli rigenerati, per cui, in sua assenza, 
questi prodotti non potrebbero far concorrenza ag1i oli di prima raffinazione; 
3) il fatto ,che gli scopi deHa ridu:ziione d'imposta coinddono con 
quelli della direttiva n. 75/439 e che tale agevolaziO!lle fiscale costituisce, 
1n pratica, l'indennit� che gli Stati memb11i possono concedere in forza 
degli artt. 13 e 14 della stessa direttiva. 

21. -Il primo argomento non pu� essere considerato atto a giustificare 
la differen:zia di trattamento criticata. Gli importatori di oli minerali 
provenienti da altri Stati membri, che intendano fruire dell'aliquota 
ridotta, sono tenuti a provare che i prodotti che essi importano in Italia 
tale assurda quanto inevitabile conseguenza appare superfluo ogni commento, 
specialmente quando si consideri che allo stato, ed in mancanza negli altri 
Stati dei severi controlli previsti in argomento dalla normativa italiana, nessuna 
attendibile certificazione potrebbe essere fornita dagli importatori sulla 
effettiva utilizzazione, negli oli �rigenerati� importati, di oli gi� usati. 

Una volta ammessa una ridotta tassazione dei prodotti importati, si determinerebbe 
inoltre, evidentemente, una ingiustificata discriminazione a danno 
dei prodotti nazionali ottenuti senza l'autorizzazione ed i controlli prescritti 
dalle disposizioni legislative riprodotte nel controricorso, a danno di quei 
prodotti nazionali, cio�, che gi� adesso sono assoggettati alla normale ed 
intera imposizione tributaria.. 

Sarebbe perci� necessario estendere l'applicabilit� dell'aliquota ridotta anche 
a tali prodotti nazionali, con l'ulteriore quanto ovvia conseguenza di sopprimere 
del tutto il regime di controllo diretto a verificare la effettiva utilizzazione 
di prodotti gi� usati (regime al quale nessuno pi� avrebbe motivo 
di assoggettarsi), e di non consentire in alcun modo di prevenire ed evitare, 
anche nell'ambito del territorio nazionale, la evasione del tributo dovuto 
sui prodotti originali. 

Analoghe ed altrettanto assurde conseguenze si verificherebbero, d'altra 
parte, anche adottandosi la seconda delle soluzioni sopra ipotizzate, se si 
applicasse, cio�, l'aliquota intera anche agli oli rigenerati prodotti sotto controllo. 

Anche in tal caso, infatti, verrebbe necessariamente meno ogni concreta 
possibilit� di verificare l'effettiva riutilizzazione degli oli gi� usati e di prevenire 
ed evitare evasioni del tributo dovuto sugli oli �nuovi�. 

Le stesse finalit� di natura ecologica ed energetiche perseguite dalla normativa 
nazionale e dalla stessa direttiva comunitaria risulterebbero, anzi, definitivamente 
ed irreversibilmente compromesse; e ci� in quanto nessun imprenditore, 
dato l'elevato costo di produzione degli oli rigenerati (oltre quattro 
volte maggiore, come si � detto, di quello richiesto per ottenere oli minerali 
di prima utilizzazione), avrebbe pi� alcun interesse a rigenerare gli 
oli usati. 

Con riguardo a tali conseguenze, dovrebbe quindi la Commissione chiarire 
sotto qual profilo possa venire in rilievo, relativamente a regime applicato 
per ragioni di carattere ecologico ed energetico (e non certo per proteggere 
la produzione nazionale), l'art. 95 del trattato CEE (se non per il 

111t11111111111r11a11111111111111111111111111111111111r"�t1r��� 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

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sono oli rigenerati; l'amministrazione italiana, dal oanto suo, sebbene non 
possa rendere tale prova pi� onerosa del necessario, ha il diritto di 
esigere ch'essa sia fornita 1secondo modalit� tali da eliminare i rischi 
di frode, in particolare mediante produzione di certificati rilasciati dalle 
auto11it� o da altri enti competenti dello Stato membro espor.tatore, che 
consentano l'identificazione del.l'olio rigenemto a partire dallo stabili� 
mento in cui � stata effettuata la rigenera2lione. La prassi comunitaria, 
soprattutto per quanto concerne l'abolizione dei 1controlli sanitari alle 
frontiere intracomunitarie, offre tllumerosi esempi di siffatte legittime 
forme di controllo. 

22. -Le considerazioni che precedono costituiscono anche una risposta 
all'argomento della Commissione secondo cui all'asserita infrazione 
dell'art. 95, 1� comma, pu� essere posta fitlle solo .con la soppressione 
dell'aliquota ridotta nell'ambito nazionale. La Repubblica italiana pu� 
scegliere tra la soppressione di tale agevolazione e il suo mantenimento 
in vigore, alla sola condizione che, qualora opti per la seconda soluzione, 
essa deve applicare la stessa aliquota ridotta agli oli rigenerati provenienti 
dagli altri Stati membri e dci quali sia stata provata la rigenera-
vieto ed astratto formalismo al quale appare ispirata l'avversa impostazione 
difensiva), e quanto le evidenziate conseguenze potrebbero assumersi imposte 
dalla norma del Trattato e coerenti con le finalit�, del tutto diverse, che la 
norma � rivolta a conseguire. 

6. -Anche per quanto concerne la portata della direttiva del Consiglio 
16 giugno 1975, n. 439 pu� essere utile un breve commento delle argomentazioni 
svolte dalla Commissione in sede di replica, specialmente a proposito 
della contestata correlazione tra il regime fiscale in discussione e l'attuazione 
tra il regime fiscale in discussione e l'attuazione della direttiva comunitaria. 
Gi� altre volte si � avuta occasione di rilevare, invero, che lo strumento 
della direttiva, previsto dall'art. 189, terzo comma, del trattato CEE come 
mezzo per vincolare gli Stati membri al conseguimento di predeterminate 
finalit�, � salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla 
forma e ai mezzi �, appare talora snaturato ed alterato nella corrente prassi 
comunitaria, risultando le direttive prive, in concreto, del loro sostanziale 
carattere di indicazioni di massima, e nessun � mezzo � apparendo consentito 
agli Stati membri, n� negli ordinamenti interni di tutte le singole ed analitiche 
disposizioni gi� predisposte e specificate a livello comunitario; e potrebbe 
invero dirsi che le direttive comunitarie, condizionate nella loro stessa 
analitica formulazione dalle trattative tra i membri del Consiglio CEE, hanno 
in effetti la portata di � trattati internazionali �, destinati ad incidere negli 
ordinamenti interni non con i normali mezzi di ricezione ma attraverso il 
meccanismo della direttiva comunitaria: considerazione la cui rilevanza risulta 
a maggior ragione evidente quando si tenga presente che la Corte di 
giustizia ha gi� pi� volte avuto occasione di affermare che anche le direttive, 
quando contemplino obblighi incondizionati e sufficientemente chiari e precisi, 
possano essere direttamente efficaci ed idonee ad attribuire ai singoli 
diritti suscettibili di tutela in sede giurisdizionale. 

Anche a prescindere dalla mancata applicazione dell'art. 101 del Trattato, 
dai limiti previsti dall'art. 100 quanto alla richiesta � � diretta � incidenza sul 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 71 

zione, in modo da evitare qualsiasi forma di discriminazione tra prodotto 
importato e prodotto nazionale similare. 

23. -Il secondo e il terw argomento sono connessi e vanno esaminati 
congiuntamente. Il risultato de1l'esame � che entrambi vanno disattesi. 
24. -� esatto che la riduzione deLrnmposta di fabb11icazione � giustificata 
dal costo della rigenera:lJione pi� elevato di quello della prima raffinazione; 
tuttavia, questo regime fiscale pi� vantaggioso non � compromesso, 
sotto nessun aspetto, dall'obbligo di applicarlo nell'osservanza del-
1',art. 95 del Trattato. Infutti, l'agevolazione fiscale di cui vengono in tal 
modo a godere le imprese 'che dgenerano l'olio minerale non � messa 
a repentaglio dall'obbligo di farne fruire gli oli rigenerati importati dagli 
altri Stati membri. 
25. -D'altra parte, non si pu� accogliere l'argomento del Governo 
italiano secondo cui il sistema istituito dalla Legge italiana del 1962, e in 
particolare dal suo art. 12, costituisce, in pratica, un'applicazione anticipata 
della direttiva 16 giugno 1975, n. 75/439 e la riduzione dell'imposta 
di fabbricazione costituisce l'indennit� che gli Stati membri, �a norma 
dell'art. 13 della direttiva, possono concedere alle dmprese che provvedono 
al recupero, all'eliminazione o alla rigenerazione degli oli usati. 
funzionamento del mercato comune, e dalla elastica interpretazione dell'articolo 
235, si verifica quindi talora, di fatto, che le direttive abbiano in concreto 
la stessa portata e gli stessi effetti dei regolamenti, pur risultando 
adottate in materie non trasferite alla competenza delle Comunit� europee. 

Non appare sempre considerato, inoltre, che lo scopo precipuo della 
direttiva � il �ravvicinamento�, l'armonizzazione delle legislazioni nazionali, 
da ciascuna delle quali possono quindi risultare recepiti e mutuati determinati 
princ�pi e criteri, ed in ciascuna delle quali pu� in ipotesi risultare 
gi� conseguito, perci�, il risultato che con la direttiva s'intende conseguire, 
quel � risultato � concreto, cio�, al quale soltanto dovrebbe aver riguardo la 
direttiva comunitaria, indipendentemente dai mezzi e dalle forme posti in 
essere per conseguirlo. 

Per quanto concerne la specie in esame, si � gi� nel controricorso segnalato 
che l'Italia � stata la prima nazione europea a prevedere e disciplinare, 
gi� nel 1940, il riutilizzo degli oli usati, e ad incentivare, per ragioni di politica 
ecologica ed energetica, la rigenerazione dei prodotti petroliferi usati. 

La rilevanza e la portata delle perseguite finalit� non poteva non essere 
avvertita, evidentemente, anche a livello comunitario, ed hanno appunto dato 
origine alla direttiva del Consiglio 16 giugno 1975, n. 439, che ha lo stesso. 
scopo ed � diretta a conseguire lo stesso � risultato � voluto dalla normativa 
nazionale gi� in argomento adottata. 

� stata perci� la Commissione, in effetti, e non il Governo italiano, a 
mutare il nomen juris dell'incentivazione, costruendo come rimborso spese 
la forma d'incentivazione gi� prima prevista, nella normativa nazionale italiana, 
sub specie di riduzione d'imposta; e se sono innegabili la maggiore 
rilevanza ed i vantaggi relativi ad un uniformato sistema di incentivazione 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

72 

26. -Senza che occorra pronunziarsi sulla questione se Ja Repubblica 
italiana abbia o no attuato la direttiva n. 75/439, � su:ffiiciente considerare 
che tale direttiva, come si � gi� rilevato, fa salvo il diritto degli 
Statimembri di istituire un sistema di tributi interni implicante aliquote 
ridotte. L'art. 13 della direttiva autorizza gH Stati membri a concedere 
le indennit� -pur senza obbligarveli -ma precisa che tali indennit�, 
qualora vengano concesse, non devono ostacolare la libera circolazione 
del1e merci. Ne consegue che gli Stati membri, nel dare attuazione alla 
direttiva, sono liberi di versare direttamente indennit� alle imprese di 
cui trattasi, oppure di far fruire gli o1i rigenerati di un rngime fiscale 
pi� vantaggioso, o perfino di applicare oumulativamente i due sistemi. 
Tuttavia, essi, nel caso in cui, esercitando il potere di valutazione loro 
spettante 'in materna, optino per un sistema di riduzione delle imposte 
interne, sono tenuti ad aocettare le conseguenze di tale sceUa e di vegliare 
a che il sistema prescelto sia conforme al principio fondamentale, enunciato 
all'art. 95 del Trattato, che vieta di discriminare, sotto il profilo 
fiscale, le merci importate. 
27. -Dalle considerazioni che precedono consegue che la Repubblica 
italiana, riscuotendo, in base alla legge 31 dicembre 1962, n. 1852, che 
modifica il regime fiscale dei prodotti petroliferi, sugli oU minerali rigenerati 
prodotti in Italia, l'imposta di fabbricazione in un'aliquota diversa 
da queUa della sovrimposta di confine gravante sugli oli rigenerati provenienti 
dagli altri Stati membri, � venuta meno agli obblighi impostile 
dall'art. 95, 1� comma, del Trattato CEE. {omissis). 
sull'intero territorio delle Comunit� europee, � altrettanto innegabile, evidentemente, 
che il �risultato� concreto voluto dalla direttiva comunitaria (quello 
cio� che solo dovrebbe assumere rilievo ai fini in esame) � del tutto identico, 
nella sostanza, a quello gi� assicurato dalla vigente normativa italiana. 

L'elevato costo di rigenerazione dei prodotti petroliferi usati rende infatti 
necessario, se si vuol ottenere per ragioni di carattere ecologico ed energetico 
la riutilizzazione degli oli usati, la riduzione del costo di produzione a carico 
dell'imprenditore; ed � evidente che la sostanza non cambia se tale necessario 
� risparmio � viene consentito quando di una stessa somma sia evitata la 
spesa oppure ottenuta la restituzione. 

Certamente, potrebbe discutersi della corrispondenza dell'imposta evitata 

con il rimborso consentito dalla direttiva comunitaria. 

A parte il manifestato e confermato proposito delle competenti autorit� 
italiane di dare quanto prima specifica attuazione alla direttiva comunitaria 
(con disposizione legislativa gi� da tempo predisposta ed alla quale numerose 
difficolt� hanno finora impedito di dare tempestivo seguito), � comunque 
evidente che l'ipotizzata discussione � del tutto estranea al thema decidendum 
rilevante nella presente causa; e soltanto per completezza di informazione, 
quindi, pu� essere utile segnalare che il risparmio d'imposta, pari a lire 112,50 
al chilogrammo, risulta comunque minore del costo di produzione, pari a 
lire -123 al chilogrammo. (omissis). 

ARTURO MARZANO 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 73 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 10 gennaio 1980, 
nella 'Causa 267/7.S -Pres. f.f. O'Keeffe -Avv. Gen. Warner -Commissione 
delle Comunit� europee (ag. Olmi e Campogrande, avv.ti Gregori 
e Gia11da) c. Repubblica irtaHana (avv. Stato Fiumara). 

Comunit� europea -Risorse proprie delle Comunit� -Accertamento e 
messa a disposizione -Potjeri di controllo della Commissione -Momento 
a partire dal quale possono essere esercitati. 

(Decisione del Consiglio 21 aprile 1970; regolamenti C.E.E. del Consiglio 2 gennaio 
1971, n. 2, 21 gennaio 1974, n. 165, 19 dicembre 1977, n. 2891). 

Comunit� europea -Risorse proprie delle Comunit� -Accertamento e 
messa a disposizione -Po~eri di controllo della Commissione -Limiti 
� Associazione ai controlli effettuati dai servizi amministrativi 
degli Stati membri -Rapporti con l'autorit� giudiziaria -Segreto 
istruttorio: opponibilit�. 

(Decisione del Consiglio 21 aprile 1970; regolamenti e.E.E. del Consiglio 2 gennaio 
1971, n. 2, 21 gennaio 1974, n. _165, 19 dicembre 1977, n. 2891, artt. 230, 307 cod. proc. pen.). 

Il diritto della Commissione_ di chiedere di essere associata ai controlli 
degli Stati membri relativi all'accertamento e alla messa a disposizione 
delle risorse proprie e di chiedere che si proceda a controlli supplementari 
pu� essere esercitato fin dalla fase di accertamento delle 
risorse da parte del competente organismo dello Stato membro interessato 
(1). 

Allo stato attuale del diritto comunitario, i controlli che la Commissione 
pu� chiedere ed ai quali deve essere associata comprendono tutti 

(1) In tema di accertamento e riscossione delle risorse proprie da parte 
degli Stati membri per conto delle Comunit�, dr. Corte di Giustizia 25 ottobre 
1972, nella causa 92/71, HAEGELAN (in Racc., 1972, 1005), dove � stato affermato 
che l'accertamento delle risorse proprie e il controllo sulla loro riscossione 
spettano agli uffici competenti degli Stati membri, per cui le controversie 
relative alla loro imposizione ai singoli vanno risolte, a norma del diritto 
comunitario, dalle autorit� nazionali, secondo le modalit� stabilite dal diritto 
degli Stati membri; questi, e non la Comunit�, -ha ancora precisato la 
Corte, prima con la sentenza 4 aprile 1974, nelle cause riunite 178-179-180/73, 
MERTENS (in Racc., 1974, 383, e in questa Rassegna, 1974, I, 589, con nota), 
e poi con la sentenza 5 maggio �1977, nella causa 110/76, in Racc., 1977, 851, 
e in questa Rassegna, 1977, I, 615, con nota di BRAGUGLIA -, sono legittimati 
ad agire davanti ai giudici nazionali nei confronti dei singoli per chiedere 
il pagamento dei prelievi e il recupero delle somme indebitamente corrisposte 
per retribuzioni. Con la sentenza in rassegna la Corte ha riconosciuto 
che la Commissione pu� esercitare i suoi poteri di controllo sulle risorse 
proprie, attribuite dai reg. 2/71 (ora 2891/77) e 165/74, sin dall'inizio della fase 
di accertamento delle risorse da parte dell'amministrazione nazionale, disattendendo 
la tesi per la quale il potere di controllo sorge in concreto solo 
dopo che i servizi amministrativi nazionali abbiano compiuto l'accertamento 
della risorsa e l'abbiano messa a disposizione della Commissione. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

74 

quelli cui le amministrazioni nazionali possono procedere, senza che cw 
implichi alcuna modifica dei rapporti fra amministrazione e potere giudiziario. 
Si possono quindi far valere nei confronti della Commissione le 
norme che, nelle legislazioni nazionali di carattere penale, impediscono 
la comunicazione a determinate persone di atti del procedimento penale, 
in quanto le stesse restrizioni siano opponibili all'amministrazione nazionale 
(2). 

(omissis) In diritto. -1. -Con istanza in data 21 dicembre 1978, registrata 
iln cancelleria 11 giorno seguente, fa Commissione, ai sensi dell'art. 
169, 2� comma, del Trattato CEE, mtende far dichiarare che la 
Repubblica italiana, rifiutando di associare la Commissione a contirolli 
sull'accertamento e la messa a disposizione delle I1isorse proprie delle 
Comunit� e di comunicarle i risultati acquisiH, � venuta meno agH 
obblighi impostile dall'art. 5 del Trattato e dall'art. 14 del regolamento 
del Consiglio 2 gennaio 1971, n. 2, recante applicazione della decisione 
del 21 ap:riiil.e 1970 relativa alla sostituzione dei contributi finanziari degli 
Stati membri con risorse proprie delle Comunit� (G.U. n. L. 3, pag. 1), 
ora sostituito dal regolamento del Consiglio 19 dicembre 1977, n. 2891 

(G.U. n. L 336, pag. 1). 
2. -Nell'aprile 1976 la Commissione veniva a conoscenza di operazioni 
fraudolente effettuate nell'ambito degli scambi intracomunitari e 
relative a 6.000 tonnellate di burro proveniente da paesi terzi. La merce 
veniva trasportata in autocarro da un deposito di Rotterdam in Italia. 
Le spedizioni dal porto venivano effettuate regolarmente in regime di 
(2) La Corte ha precisato che il controllo della Commissione � un controllo 
� associato � a quello cui procedono le amministrazioni nazionali, per 
cui le sono opponibili tutte quelle norme che nelle legislazioni nazionali di 
carattere penale sarebbero opponibili all'amministrazione nazionale. 
La Corte ha .cos� disatteso le tesi della Commissione, secondo le quali 

i suoi poteri di controllo avrebbero per oggetto ,; l'attivit� di tutti gli organi 

degli Stati membri in qualche modo responsabili in ordine all'accertamento 

delle risorse � (e quindi anche l'attivit� giurisdizionale) e non sarebbero oppo


nibili agli organi comunitari le norme nazionali sul segreto istruttorio. 

Il Governo italiano aveva obiettato quanto al primo punto che� la Com


missione pu� chiedere il controllo solo agli organi amministrativi e non 

anche agli organi giurisdizionali e che l'oggetto del controllo pu� essere solo 

l'attivit� amministrativa e non quella giurisdizionale. Dal punto di vista sog


gettivo si era rilevato che il controllo della Commissione pu� svolgersi in 

associazione con quello cui provvedono i servizi nazionali, i quali sono servizi 

amministrativi e non organi giudiziari; e sotto il profilo oggettivo si era 

evidenziata la palese inammissibilit�, in qualsiasi ordinamento giuridico, di 

un controllo di servizi amministrativi sull'attivit� giurisdizionale. 

Quanto all'opponibilit� delle norme sul segreto istruttorio, il Governo 
italiano aveva osservato che � non si poneva neanche una questione di pre



-


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

75 

transito comunitario estero. I documenti relativi a questo regime (detti 
� Tl �) venivano tuttavia appurati kregolarmente, sia durante il viaggio, 
sia in Italia, mediante documenti di transito comunitario interno falsi 

o falsificati. Ci� permetteva di eludere considerevo~i importi di prelievi 
agricoli. 
3. -Con lettera del 26 Juglio 1976, la Commissione faceva sapere al 
Rappresentante permanente dell'Italia che le � informazioni � di cui 
essa disponeva giustificavano � una richiesta di controlfo supplementare 
ai sensi dell'art. 14 del r�golamento n. 2/71 �. Si chiedeva non solo 
che l'Italia procedesse ad un controllo supplementare, ma altres� che la 
Commisisone vi fosse associata. 
4. -L'amministrazione centrale italiana delle dogane accoglieva la 
richiesta ed un I�ncontro fra funzionari delle dogane italiane e della Commissione 
veniva organizzato a Milano ed a Como. In seguito a tale incontro 
si constatava la probabile esistenza di un collegamento fra le 
suddette operazioni fraudolente ed alcune operazioni oggetto dal 1975 
delle indagini della Guardia dii Finanza. Secondo l'amministrazione italiana, 
gli aspetti dell'iinchiesta connessi con fatti penalmente rilevanti 
sono, in ultima analisi, di competenza dell'autorit� giudiziaria. 
5. -L'amministrazione italiana delle dogane, ritenendo che sussistesse 
un nesso fra l'indagine condotta dall'Ufficio Istruzione Penale di 
Torino e le importazioni in questione richiedeva al giudJ�ce istruttore di 
Torino copia del rapporto della Guardia di Finanza. Il giudice istruttore, 
minenza di una norma comunitaria rispetto ad una norma nazionale, non 
sussistendo alcun contrasto fra l'una e l'altra. 

L'art. 6, n. 1, della decisione del Consiglio 21 aprile 1970 -si era detto precisa 
che � le risorse comunitarie sono riscosse dagli Stati membri conformemente 
alle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative nazionali ,, 
e l'art. 1 del reg. 2/71 dispone che � le risorse proprie sono accertate dagli 
Stati membri in conformit� delle loro disposizioni legislative, regolamentari e 
amministrative �. Se dunque l'accertamento della risorsa va fatto conformemente 
alla normativa nazionale, � del tutto logico e conseguenziale che anche 
il controllo nazionale, e per conseguenza quello associato della Commissione, 
vadano fatti in conformit� alla medesima normativa, salvo che non sia contrariamente 
disposto dalla normativa comunitaria. Ma questa, invero, introduce 
solo la novit� dell'obbligo dello Stato membro di disporre i controlli 
supplementari richiesti dalla Commissione e di associare ai controlli la Commissione 
stessa (e a questi effetti certamente essa prevale sulle norme nazionali 
che eventualmente non consentissero ingerenze di organi estranei ai servizi 
nazionali). Al di l� di questi punti la normativa comunitaria nessun'altra 
disposizione contiene che imponga una disapplicazione delle norme nazionali. 
Anzi v'� una norma che suona come una precisa riaffermazione del principio 
del rispetto della normativa nazionale: l'art. 3, n. 1, del reg. 165/74 dispone 
infatti che i funzionari comunitari incaricati dei controlli associati � adottano 
nel corso dei controlli un atteggiamento compatibile con le norme e (addirit




76 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

per�, respingeva la richiesta, il 2 febbraio 1977, per il motivo che il rapporto 
riguardava fatti oggetto di istruttoria penale, cosiicch� il rapporto, 
come tutti gli atti dell'istruziOiile, era coperto dal .segreto istruttorio. 

6. -Una nuova richiesta, presentata il 24 gennaio 1978 dal Ministero 
delle Finanze, veniva 1respinta dal giudice istruttore di Torino per 
gli stessi mothni. 

7. -Dato il rigetto delle menzionate richieste, <l'amministrazione 
italiana delle dogane non ha potuto conoscere gli elementi del fascicolo 
relativo al procedimento penale, n�, di c�nseguenza, darne comunicazione 
alla Commissione. 
8. -H 20 aprile 1978 la Commissione dnviava 1alla Repubblica italiana 
il parere motivato di cui all'art. 169 del Trattato. Il parere sottolinea 
in particolare il potere della Commissione di effettuare controlli 
approfonditi anche in ordine ai �fotti generatori� dell'onere fiscale 
evaso, poich� il diritto comunitario prevale sul diritto interno, nonch� 
l'obbligo degli Stati membri di collaborare con ogni mezzo a loro disposizione 
all'esercizio deJ. diritto di controllo. Ad avviso della Commissione, 

I ~ 

l'applicabilit� diretta del regolamento n. 2/71 � da intendersi nel senso 
che le norme di diritto comunitario debbono produrre effetti pieni, quali 
fonte immediata di diritti e dli obblighi per tutti �coloro ch'esse riguarf. 
dano, che si tratti di singoli o di Stati membri. Tali effetti concernono . 
' 
anche tutte ile giurisdizioni che, nel.l'ambito delle loro competenze, hanno 

lI.� 

per compito, quali organi di uno Stato membro, di rispettare i poteri 

~ 

tura) gli usi che devono rispettare i funzionari 
sono associati �. 

N� argomenti contrari -si era aggiunto 
mando il gi� citato art. 6 n. 1 della decisione 
l'art. 14 n. 2 del reg. 2/71, l'art. 223 del trattato: 

I 

~;

degli Stati membri ai quali 

~ 

[
@ 

-possono rinvenirsi richiadel 
Consiglio 21 aprile 1970, 

fil

� 

~

-la prima norma prevede la eventualit� di una modifica delle norme 
nazionali, ma solo se esse non consentissero allo Stato membro di riscuotere 
le risorse comunitarie per conto della Comunit�; 

I 

-la seconda norma dispone che gli Stati membri prendano � tutte le 
misure atte a facilitare i controlli sopra menzionati �, ma � chiaro che la 
norma stessa si riferisce alla collaborazione degli Stati e alla predisposizione 
da parte di essi di strumenti idonei a facilitare di fatto l'opera dei servizi 
di controllo; 

-infine, l'art. 223 del trattato si limita a dire che le norme comunitarie 
non potranno giammai imporre ad uno Stato membro di � fornire informa


I 

I r,
zioni la cui divulgazione da dallo stesso considerata contraria agli interessi 
ess~nziali della propria sicurezza �: non si tratta certamente di una norma 
che imponga, con efficacia diretta ed autonoma, un generale dovere di informazione 
in ogni campo e ad ogni effetto. 

La norma processuale italiana che prevede il segreto istruttorio -si era 
concluso -� pienamente compatibile con la normativa comunitaria. 

I

I 


PARTE I, SEZ. Il, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

attribuiti alle istituzioni dal diritto comunitario. Inoltre, le norme di 
diritto comuniitaTio, per iJ fatto stesso della loro entrata in viigore, rendono 
�ipso jure � inapplicabile qua1siasi disposi2fone contraria della 
legislazione nazionale anteriore, comprese !}e norme del codioe di procedura 
penale, 'che non si possono opporre al fine di escludere l'esercizio 
da parte della Commissione del potere di controllo ad essa attribuito 
dal regolamento n. 2/71. 

9. -Rispondendo al parere, iJ. Governo italiano ha sostenuto che la 
Commissione non pu� pretendere di essere associata all'attivit� giudiziaria 
(cui sono estranei anche gli organi amministrativi di controllo degli 
Stati membri, che pertanto non possono associare la Comunit� ad attivit� 
dalle qua.li sono essi 1stessi esclusi), n� quindi pu� far valere l'asserita 
violazione, nella fattispecie, dell'art. 14 del regolamento n. 2/71, per i 
ritardi risultanti dal passaggio delle verifiche dal livello amministrativo 
a quello giudiziario. 
10. -Informata, il 6 novembre 1978, della 'chiusura dell'istruttoria, 
l'amministrazione doganale italiana presentava, in data 16 dicembre 1978, 
una nuova .richiesta rail giudice istruttore. 
11. -Con ordinanza del 20 dioembre 1978, il giudice istruttore consentiva 
solta111to l'estrazione di copia dei capi d'accusa, quali risultavano 
dalla formulazione del Procuratore della Repubblica. Tale documento 
veniva inviato alla Commissione ed �. annesso al controricorso. 
12. -Il 19 gennaio 1979 la Commissione riceveva copia dei capi 
d'accusa definitivi riguardanti tutti gli imputati. 
Sul potere di controllo della Commissione 

13. -lil Governo italiano sostiene che l'esercizio del potere di controllo 
attribuito alila Commissione dal regolamento n. 2/71 � possibile 
soltanto dal momento in cui l'organismo amministrativo nazionale ha 
adempiuto al proprio compito dii accertamento delle risorse proprie, ha 
cio� definito l'ammontare del credito mettendolo a disposizione delle 
Comunit�. La procedura stabilita dalLa normativa comunitaria comprende, 
in effetti, tre fasi: quella dell'� accertamento� delle risorse 
proprie, quella della � messa a .disposizione � delle risorse accertate 
quella dell'esecuzione di �controlli�. Perch� si apra la fase del controllo, 
in oui la Commissione ha il potere di intervenire, � necessario che 
gli organi amministrativii nazionali abbiano esaurito le fasi precedenti; 
soltanto allora la Commissione pu� collaborare 'con detti organi per 
verificare che le risorse proprie siano state accertate e versate correttamente. 

78 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

14. -La Commissione ribatte a tale tesi che, per essere efficace, 
il suo controllo deve potersi esercitare dal momento in cui si constata 
la �Sussistenza di un fatto generatore di risorse proprie. Ci� risulta dalle 
disposizioni che disciplinano i controlli, in particolare dagli artt. 6 e 
14 del regolamento n. 2/71. 
15. -La Corte non pu� aocog1iere I'argomentazione del Governo 
italiano, che svuoterebbe del loro contenuto le disposizioni dei testi applicabili 
in materia. I poteri della Commissione �si ridurrebbe allora ad una 
semplice ve11ifka a posteriori della contabilit� delle risorse proprie, che 
gli Stati membri 1sono obbligati a tenere. Ora, l'art. 6 del regolamento 
n. 2/71 contempla un sistema di contabiHt� mensile e l'art. 9, n. 2, prevede 
che ogni ritardo nell'accreditamento dia luogo al pagamento di interessi 
da parte dello Sato membro in ques1li.one. Il fatto che, ai termini del 
-citato art. 6, i diritti accertati sono contabilizzati nelle scritture comunitarie 
quali entrate da riscuotere esige che il diritto della Commissione di 
chiedere. che si proceda a controlli 1supplementari sorga fin da quel 
momento e quello di essere associata ai controlli attuali dagli stessi 
Stati membri fin dal momento in cui si sarebbe dovuto effettuare l'accertamento. 
16. -Il Governo italiano non pu� quindi contestare validamente il 
potere della Commissione di esercitare il proprio controllo fin dalla 
fose di �accertamento� delle risorse proprie da parte del competente 
organismo dello Stato membro interessato. 
Sul problema del segreto istruttorio 

17. -Dall'esame degli argomenti dedotti a sostegno del ricorso risulta 
che la critica essenziale della Commissione riguarda iJ rifiuto, da parte 
dell'amministrazione italiana, di comunicare le informazioni oggetto del 
procedimento penale e coperte pertanto da segreto istruttorio. Si pone 
quindi la questione se fa normativa comunitaria in materia si possa 
interpretare nel senso che imponga agili Stati membri l'obbligo di comunicare 
informazioni del genere, derogando, se del caso, alle norme nazionali 
sulla procedura giudiziaria. 
18. -L'art. 14 del regolamento 111. 2/71, ripreso dall'art. 18 del regolamento 
n. 2891/77, recita: 
� 1. Gli Stati membri procedono alle verifiche ed iindagini relative 
all'accertamento e alla messa �a disposizione delle risorse proprie. La Commissione 
esercita le sue competenze alle condizioni previste dal presente 
articolo. 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 79 

2. In questo quadro, gli Stati membri: 
-procedendo ai controlli supplementari �che la Commissione pu� 
loro chiedere con richiesta motivata; 
-associano la Commissione, a �Sua richiesta, ai controlli da essi 
effettuati. 

Gli Stati membri prendono tutte le misure atte a facilitare tali 
c�ntrolli... �. 

19. -� il caso di rilevare anzitutto .che i testi comunitari applicabili 
in materia non autorizzano la Commissione a procedere essa stessa a 
co~trolli, ma prevedono che }a Commissdone sia � associata � ai controlli 
effettuati dagli Stati membri. Ne discende che tali testi non hanno 
l'effetto di modificare di per se stesse le procedure di controllo che si 
applicano nei diversi Stati. membri. 
20. -� opportuno ricordare inoltre che i regolamenti comunitari 
non fanno menzione di una relazione fra i poteri di controllo-� relativi 
all'accertamento delle risorse proprie da un lato, e le garanzie disposte 
dalle legislazioni nazionali per il buon svolgimento e di procedimenti pen�li, 
dall'altro. 
. 21. -Dalle considerazioni esposte .risulta che, allo stato attuale del 
diritto comunitari.o, i controlli che la Commissione pu� chiedere ed ai 
quali deve essere associata comprendono tutti quelli cui le amministrazioni 
nazionali possono procedere, ma che non si pu� dedurre dai testi 
in questione 1'11.ntenzione di modificare i rapporti fra l'amministrazione 
ed il potere giudiziario. 

22. -Si possono quindi far valere nei confronti della Commissione 
le norme che, nelle legislazioni nazionali di carattere penale, impediscono 
la comunicazione a determinate persone di atti del procedimento 
penale, in quanto le stesse restrizioni siano opponibili all'amministrazione 
nazionale. 
23. ~ Dal fascicolo risulta che il Governo italiano, dopo aver collaborato 
con la Commissione nella misura delle sue possibilit� giuridiche 
:nel corso del procedimento, ha comunicato alla Commissione gli elementi 
coperti dal segreto istruttorio non appena il giudice istruttore ha tolto 
il vincolo del segreto. 
24. -Si deve quindi constatare che l'Italia non � venuta meno agli 
,obblighi ad essa incombenti in base al Trattato. 
25. -Il ricorso va pertanto respinto. (omissis). 

-


SEZIONE TERZA 

GIURISPRUDENZA 
SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 1� ottobre 1979, n. 5037 -Pres. La Farina 
-Est. Onofrio -P. M. Gambogi (Concl. conf.) -Galip� Calogero 
(avv. D'Agostino) c. Cassa di previdenza dipendenti Enti locali (avv. 
Stato Baccari). 

Giurisdizione civile -Sentenza riguardante la giurisdizione -Decorso 
del termine ~r l'impugnazione -Regolamento preventivo di giuri� 
sdizione � Inammissibilit�, 

Avverso la sentenza di primo grado che decida soltanto una questione 
di giurisdizione � ammissibile il ricorso preventivo di giurisdizione 
solo fino a quando detta decisione non sia da considerare irrevocabile. 


Il principio affermato dal S.C. deriva dalla possibilit�, per il giudice, di 
rilevare d'ufficio il difetto di giurisdizione solo quando sulla giurisdizione 
non esista una precedente statuizione, ovvero quando la lite non sia gi� 
passata all'esame della corte di cassazione a sezioni unite; quando invece 
detta statuizione risulti gi� emessa, i giudici delle successive fasi processuali 
possono conoscere della questione di giurisdizione solo se essa sia stata riproposta 
con l'impugnazione, perch�, in caso contrario, essi sono tenuti ad applicare 
l'art. 329, secondo comma, c.p.c. ed a rilevare la formazione del giudicato 
interno sulla questione stessa (v. per tutte Cass., Sez. Un., 28 aprile 1976, 

n. 1506 in Giust. civ. 1976, l, 1283). 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 11 ottobre 1979, n. 5265 -Pres. Novelli Est. 
Sandulli -P. M. Del Grosso (conci. conf.) -Drioli Luigi (avv. De 
Luca) c. Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia (avv. Stato Cosentino). 


Giurisdizione civile � Giurisdizione ordinarla ed amministrativa � Con� 
cessione amministrativa in uso di bene pubblico appartenente al 
patrimonio indisponibile � Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. 


(I. 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 5, comma 1�). 
Quando si controverta in giudizio intorno alla cessazione di un rapporto 
insorto in forza di una concessione amministrativa di uso di un 

Com'� noto quando la P.A. si impegni contrattualmente a consentire ad 
un privato l'utilizzazione di un bene del proprio patrimonio indisponibile, 
per il perseguimento di fini compatibili con la destinazione pubblicistica del 



PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 81 

bene pubblico appartenente al patrimonio indisponibile della Regione, 
sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. 

(omissis) Il problema che si pone � se l'atto intervenuto fra le 
parti in data 12 novembre 1971 integri una concessione amministrativa 
in uso di un bene patrimoniale indisponibile o un contratto di locazione 
di un immobile rientrante nel patrimonio disponibile della Regione e, 
conseguentemente, se competente a conoscere della controversia attinente 
al rilascio dell'immobile (oggetto di concessione in uso o di locazione) 
sia il giudice amministrativo o il giudice ordinario. 

Ai fini della risoluzione del problema proposto occorre muovere 
dalle circostanze -rilevabili in questa sede, per essere le Sezioni Unite 
della Corte Suprema, nella fase incidentale �di regolamento della giurisdizione, 
giudice anche del fatto -che la Regione Friuli-Venezia Giulia 
-dopo avere acquistato dall'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale 
(I.N.P.S.) lo stabile sito in Trieste, via Carducci n. 6 -lo ha destinato 
per intero a sede dei propri uffici (attribuendo, quindi, allo stesso 
carattere di indisponibilit�) ed ha preceduto, con deliberazione della 
Giunta del 2 maggio 1967, alla regolamentazione dei rapporti con l'I.N.P.S. 
e con i beneficiari degli immobili dell'edificio, autorizzando con deliberazione 
della Giunta dell'll giugno 1968, la concessione in uso a favore 
del Drioli dell'immobile oggetto di disputa, perfezionata in data 15 novembre 
1968 e rinnovata il 15 novembre 1971. 

Per modo che -rientrando, in conseguenza della cennata destinazione, 
il bene oggetto di disputa, nella categoria dei beni (pubblici) patrimoniali 
indisponibili, per essere rivestiti della connotazione della indisponibilit� 
gli stabili appartenenti ad enti pubblic che sano destinati ad 
uffici pubblici -il quesito da risolvere, nel caso di specie, � se il rapporto 
intercorrente fra l'ente proprietario (Regione) ed il Drioli, ammesso 
all'uso particolare del bene pubblico, sia un rapporto concessorio 
(avente un sostrato pubblicistico) o un rapporto locatizio (di carattere 
privatistico). 

In ordine ai beni patrimoniali indisponibili, il rapporto, in virt� del 
quale vengono costituiti (per fini compatibili con le loro destinazioni) 

bene medesimo, in base ad un corrispettivo determinato in relazione a quell'interesse 
e non secondo criteri strettamente economici e commutativi, nonch� 
riservandosi il controllo di detta utilizzazione con possibilit� di disporne la 
cessazione, va ravvisata un'ipotesi di concessione amministrativa nei confronti 
della quale il negozio privato � da considerare quale un mero strumento di 
attuazione. Perci� su tale situazione la posizione giuridica soggettiva del privato 
diretta ad ottenere la continuazione del rapporto quando, invece, la P.A. 
ne abbia disposto l'interruzione o la cessazione, � di interesse legittimo e non 
di diritto soggettivo. 

Per un caso analogo, v. Cass., Sez. Un., 22 aprile 1976, n. 1444, Giust. Cit. 
J\Aass. 1976, 626. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

diritti personali di godimento a favore di altri soggetti -essendo instau; 
rato mediante un atto amministrativo di concessione -non � -�anche 
se regolata contrattualmente -soggetto alla mera disciplina del diritto 
privato, avendo sempre alla base un atto di diritto pubblico. 

E ci� inerisce al fatto che l'oggetto del contratto � sottoposto -dall'ordinamento 
ad un particolare regime pubblicistico. ''"; 

Invero, l'esigenza fondamentale che i beni pubblici, destinati istit�" 
zionalmente a soddisfare esigenze pubbliche, siano costantemente tenuti 
sotto il controllo e la potest� d!intervento autoritario dell'ente cui ap� 
partengono (il quale generalmente pu�, nell'interesse pubblico, . i,jroce~ 
dere, in via amministrativa, alla tutela del bene) esclude la possibilit� 
di eccezioni alla regola della necessit�, per l'uso privato particolare di 
detti beni, di un atto amministrativo di concessione. 

Per modo che -anche se possono aversi rapporti nei quali l'aspetto 
pubblicistico della disciplina: sia meno accentuato che in altri e casi Iiei 
quali all'atto di concessione segua un contratto di diritto privato ..:.. ndri 
pu� ammettersi che vi siano rapporti tra l'ente ed il singolo, attinenti 
all'uso del bene pubblico (per fini compatibili con la sua destinazione) i 
quali siano retti esclusivamente dalle norme del diritto privato. 

Pertanto, anche se alla concessione segtia un contratto di '.diritto 
privato, il rapporto instaurato fra l'ente pubblico ed il beneficiario del 
bene deve ritenersi soggetto al regime di diritto pubblico ed espos~~..a 
tutte le conseguenze della caducazione (attraverso i mezzi di auto~utela 
di diritto pubblico) dell'atto di concessione, che ne costituisce l'es$e.n� 
ziale e funzionale presupposto. 

E -poich�, nel .caso di specie, in base alle argomentazioni .che precedono, 
il titolo, in forza del quale si .� attribuito al Drioli il godi.mento 
dell'immobile oggetto di disputa, costituente bene patrimoniale indi7 
sponibile della Regione (avendo la destinazione, da parte della Presidenza 
della Regione, dell'intero stabile acquistato. dall'.I.N.P.S. a. ,;Sede 
degli uffici regionali attribuito all'edificio il carattere della indisponibi. 
lit�) deve considerarsi, formalmente e sostanzialmente, una concessione 
amministrativa in uso di un bene pubblico -deve escludersi che il 
Drioli abbia agito in giudizio in base ad un mero contratto di locazione, 
stipulato dall'ente Regione jure privatorum. 

E -contravvertendosi, quindi, in giudizio, intorno alla cessazione di 
un rapporto, insorto in forza di una concessione amministrativa:" !.n .uso 
di un bene pubblico, appartenente. al patrimonio indisponibile della ,Regione 
-non pu� non affermarsi la competenza giurisdizionale esclusiva 
del Tribunale amministrativo regionale, prevista dall'art. 5, comma 1, 
della legge 6 dicembre 1971, n. 1034. 

E ci� anche in conside.razione della circostanza che nella .vertenza 

non si fa alcuna questione in ordine a canoni o corrispettivi, riguardo 


PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI Dl GIUIUSDIZIONE 83 

alle cui controversie la giurisdizione � attributa dal secondo comma del 
citato art. 5 all'autorit� giudiziaria ordinaria. 
Pertanto, va dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo. 

(omissis), 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un. 11 ottobre 1979, n. 5267 -Pres. La Farina 
-Est. Persico -P. M. Gambogi (concl. conf.) -Ehte Autonomo Teatro 
alla Scala (avv. Stato Ferri) c. Caroppo Antonino (avv. Ardizzi). 

Giurisdizione civile -Giurisdizione ordinaria ed amministrativa -Enti Auto� 
nomi lirici -Natura di enti pubblici non economici -Giurisdizione 
del giudice amministrativo. 

Gli enti autonomi lirici sono da considerare enti pubblici non economici: 
pertanto il rapporto di impiego con loro intercorrente -anche se 
disciplinato da un contratto collettivo di lavoro -ha natura pubblica 
con conseguente giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. 

(omissis) Circa la natura pubblica non economica dell'Bnte lirico, 
� sufficiente richiamarsi ai precedenti giurisprudenziali di queste Sezioni 
Unite (sent. n. 3520/77; 158/74), fondati sul conferimento normativo (articolo 
5 1. n. 800 del 1967) della: personalit� giuridica di diritto pubblico, 
sugli scopi dell'Ente lirico, sulla composizione degli organi e sui controlli 
ai quali sono sottoposti, sugli oneri connessi al perseguimento di 
finalit� generali, sui contributi, incentivi e sovvenzioni dei quali fruiscono 
a cura del Ministero competente, sulla strumentalit� della gestione 
dei teatri, condotta senza fini di lucro ed al di fuori di rigidi criteri di 
economicit�, per il perseguimento dei detti fini generali inerenti alla 
formazione musicale, culturale e sociale della collettivit� nazionale (articolo 
11). 

N� pu� dubitarsi nella specie che le mansioni di assistenza e collaborazione 
al direttore dell'allestimento scenico siano direttamente corre. 
late con i fini di istituto dell'Ente. 

Quanto all'atto di nomin;:t (requisito che per gli Enti minori va ricercato 
senza indulgere a formalismi) esso � coI).figurabile nel proyyedimento 
col quale l'Ente lirico inseriva in realt� il prestatore d'opera nella 
propria unitaria organizzazione, anche se il provvedimento si riconduce 
allo schema contrattuale e l'inserimento � a termine. 

Escluso, perci�, che la controversia possa inquadrarsi fra quelle de


volute alla cognizione del preporre ai sensi del n. 4 dell'art. 408 c.p.c. 

novellato, neppure � congetturabile la competenza residuale contemplata 

Giurisprudenza costante. 



84 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

dal n. 5 del medesimo articolo, poich� i rapporti di impiego con gli 
Enti lirici (Enti pubblici non economici sottoposti alla. vigilanza del Ministro 
del turismo e dello spettacolo) risultano espressamente contemplati 
dal n. 1 dell'art. 29 r.d. n. 1054 del 1924 e richiamati dalla legge 

n. 1034/71. (omissis). 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un. 19 novembre 1979, n. 6011 -Pres. Rossi Est. 
Fabi -P. M. Pedace (conci. conf.) -Aurora Luigi ed altri (Ass.ti 
Cosentini, Pinto) c. Ministero del Tesoro -Ufficio Liquidazioni 

E.N.E.M. (Ente Nazionale Educazione Marinara) (avv. Stato Baccari). 
Giurisdizione civile -Rapporti di impiego con enti pubblici -Atto di 
nomina -Modalit�. 

L'atto di nomina che riveli la volont� della P.A. di inserire il dipendente 
nella propria organizzazione e di utilizzarne l'opera per la realizzazione 
dei propri fini istituzionali, pu� anche ricavarsi da atti equipollenti 

o risultare da univoci comportamenti della suddetta P.A. 
La sentenza riporta in motivazione -sia pure sinteticamente -le tappe 
fondamentali di un orientamento giurisprudenziale sempre meno rigoroso in 
ordine alle formalit� dell'atto di nomina quale elemento costitutivo del rapporto 
di pubblico impiego. 

La sentenza Cass. Sez. Un. 8 febbraio 1977 n. 542 leggesi in Foro it. 1977, 
I, 313. 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un. 26 novembre 1979, n. 6171 -Pres. Rossi 
-Est. Scanzano -P. M. Saja (conci. conf.) -Assessorato LL.PP. della 
Regione Siciliana (avv. Stato Onufrio) c. Leone Maria ed altri (avv. 
Caronna). 

Giurisdizione civile -Giurisdizione ordinaria ed amministrativa -Espropriazione 
per p.u. -Scadenza del termine fissato per il compim,ento 
dell'espropriazione -Cessazione del potere espropriativo � Riespansione 
del diritto di propriet� -Giurisdizione dell'A.G.O. 

La vana scadenza del termine fissato per il compimento dell'espropriazione 
comporta l'inefficacia della dichiarazione di pubblica utilit� anche 
se l'opera cui questa si riferisce sia stata tempestivamente ese-

La sentenza pronunziata dalla Corte di cassazione Sez. Un. 3 giugno 1978, 

n. 2774 sulla quale la difesa dello Stato aveva coerentemente fondato le proprie 
difese pu� leggersi -con ampia nota di precedenti giurisprudenziali e di 
dottrina -in Giust. civile 1978, 985. 

PAR'fE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUES'fIONI DI GIURISDIZIONE 

guita -e la cessazione del potere espropriativo, con la conseguenza che 
la propriet� riacquista la pienezza del suo contenuto ed � tutelabile 
avanti al giudice ordinario anche con l'azione di risarcimento del danno 
derivato dalla trasformazione che abbia reso irrecuperabile il bene, 
pur dopo la (tardiva) pronuncia del decreto di espropriazione. 

(Massima enunciata in sentenza ai sensi dell'art. 384 c.p.c.). 

(omissis) Col primo motivo si denuncia violazione degli artt. 13 
e 52 segg. della legge 26 giugno .1865, n. 2359; 4 e 5 della legge 20 marzo 
1865, lll. 2258 all. E, nonch� difetto di giurisdizione dell'A.G.O. e vizio 
di motivazione su punto decisivo. 

L'assessorato ricorrente, premesso che secondo il citato art. 13 
l'inefficienza della dichiarazione di pubblica utilit� deriva dall'inosservanza 
dei termini fissati per l'inizio ed il compimento delle espropriazioni 
e dei lavori, sostiene che, una volta rispettati i termini di ultimazione 
dei lavori, la sanzione comminata dalla disposizione suindicata 
non pu� pi� operare malgrado la tardiva emissione del decreto di 
espropriazione, in quanto il fine di pubblica utilit� che affievolisce il 
diritto dell'espropriato si � gi� concretamente realizzato con la costruzione 
dell'opera pubblica; in presenza della quale, una nuova dichiarazione 
di pubblica utilit�; quale richiesta dall'ultimo comma della 
stessa disposizione, non avrebbe senso perch� si risolverebbe in una 
mera proclamazione, vuota di contenuto. 

La statuizione impugnata sarebbe dunque viziata, oltre che dalla 
violazione della norma in esame, da carenza di motivazione in ordine 
al problema ermeneutico da essa posto, e da difetto di giurisdizione 
in quanto implicante, erroneamente, la reintegrata pienezza del diritto 
dominicale dell'espropriazione. 

La censura non � fondata. 

Conviene ricordare che nella specie di provvedimento che implicava 
dichiarazione di pubblica utilit� fissava l'unico termine di cinque 
anni per il compimento delle espropriazioni e dei lavori, e che 
nel detto termine si � avuta l'ultimazione dei lavori ma non anche 
l'emissione del decreto di espropriazione. Con riferimento ad una situazione 
del genere, queste Sezioni Unite con sentenza 29 aprile 1969, 

n. 1374 (seguita poi dalla sent. della prima Sezione del 17 febbraio 1977, 
n. 722) hanno affermato che, ove nel termine fissato ex art. 13 della 
legge 1865, n. 3259 non sia stato emesso il decreto di espropriazione, 
l'avvenuta esecuzione dell'opera pubblica non impedisce la decadenza 
della dichiarazione di pubblica utilit�. Il ricorso dell'Assessorato non 
prospetta argomenti che giustifichino un diverso orientamento. 
Condizione essenziale di legittimit� del decreto di espropriazione, 
ed anzi condizione della stessa potest� espropriativa, � la previa dichiarazione 
di pubblica utilit� dell'opera alla cui esecuzione l'espro



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

86 

priazione � finalizzata. Tale dichiarazione, a sua volta, non pu� essere 
emessa se non contenga, oltre che un grado minimo di completezza 
in ordine ai beni da destinare al soddisfacimento dell'interesse generale 
(art. 3 legge n. 2359), la fissazione dei termini per l'inizio ed il 
compimento delle espropriazioni e dei lavori; e ci�, sia per la necessit� 
che sia evidenziata un'ulteriore ragione di concretezza dell'interesse 
generale, sia perch� il diritto di propriet�, su cui la dichiarazione 
stessa incide, non venga a rimanere indef�nitivamente affievolito. 

Avendo riguardo alle norme degli artt. 42 cost. e 834 cod. civ.,. e 
considerando che secondo l'art. 13 della �citata legge n. 2359 (v. in particolare 
il suo ultimo comma) la determinazione ed il rispetto dei 
tempi di realizzazione delle espropriazioni condizionano rispettivamente 
il potere di emettere e l'efficacia della dichiarazione di pubblica utilit�, la 
potest� espropriativa deve ritenersi non quale potere attribuito in via generale 
alla P.A., ma quale potere definito, che nasce in presenza di precisi 
presupposti idonei a determinare l'affievolimento del diritto di propriet� sui 
beni che ne verranno incisi; affievolimento che perci� stesso non pu� 
essere un effetto permanente della detta di�hiarazione al punto che, sorto 
con essa il potere espropriativo, ogni altra attivit� della P.A. debba in ogni 
caso e senza limiti di tempo configurarsi come attinente al suo esercizio. 

In base a questi principi � da vedere se l'effetto su indicato possa derivare 
dal fatto che nel termine stabilito siano state compiute le opere cui 
la dichiarazione di p.u. si riferisce: situazione questa che pu� verificarsi 
quando, derogandosi la sequenza presupposta dal citato art. 13 (che implica 
la previa espropriazione dei fondi da utilizzare per la costruzione di quelle 
opere), il possesso di tali fondi sia stato conseguito, come nella specie, in 
forza di un decreto di occupazione d'urgenza. 

Non v'� dubbio che la pubblica utilit� dell'opera tempestivamente eseguita 
si ricollega, e rimane collegata, alla valutazione compiuta dall'autorit� 
che ha emesso la relativa dichiarazione. Ma se tale considerazione 
fosse sufficiente a risolvere il problema nel senso voluto dal ricorrente, 
non solo riuscirebbe difficile spiegare perch� il legislatore ha 
imposto, nell'art. 13, un duplice termine finale di efficacia di tale dichiarazione, 
ma risulterebbe profondamente incrinato l'intero sistema. E 
rimarrebbe soprattutto trascurata la vera essenza del problema. Non 
si tratta, invero, di stabilire se una determinata opera meriti di conservare 
l'anzidetta qualit� (cio� la idoneit� a soddisfare un interesse 
generale), ma di stabilire se tale qualit� sia, da sola, sufficiente a giustificare 
il sacrificio della propriet� privata al di fuori di quel compiuto 
schema procedimentale in cui il potere ablatorio pu� sussistere 
e deve essere esercitato. Ora, a parte il rilievo che pu� aversi un'opera 
di pubblica utilit�, ed anche una vera e propria opera pubblica, la 
cui esecuzione (quando avvenuta senza l'osservanza delle norme poste 
a tutela della propriet� privata) si risolve in un illecito che � fonte di 



PARTE I, SEZ: III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

obbligazione risarcitoria verso il proprietario del fondo illegittimamente 
utilizzato per quella esecuzione, la tesi del ricorrente postula che si 
possa assegnare a tale fatto la funzione di protrarre sine die le conseguenze 
giuridiche della dichiarazione di pubblica utilit�. Ma ci� significherebbe 
attribuire quell'effetto conservativo, che secondo l'art. 13 
pu� derivare da una legittima proroga del termine, alla mediazione dell'autore-
titolare dell'opera (cio�, eventualmente, anche di un privato) 
rendendolo quasi compartecipe dei poteri dell'autorit� competente ad 
emettere la detta dichiarazione ed a prorogarne i termini di efficacia. 
Significherebbe, in altre parole, consentire che il fatto compiuto della 
costruzione dell'opera costringa il diritto del proprietario in una situazione 
di costante ed irreversibile affievolimento dandogli il contenuto di 
una mera pretesa all'indirizzo (eventualmente determinabile con criteri 
legali che prescindono dall'effettivo valore del bene) della futura espropriazione, 
che verrebbe ad essere sempre possibile in forza dell'originaria 
dichiarazione di p.u. cristallizzata, per cos� ~ire, dal fatto compiuto. 

Si verrebbe in definitiva a determinare una sorta di equivalenza 
tra la situazione materiale costituitasi col fatto compiuto e la situazione 
derivante dalla vigenza del termine fissato, per l'espropriazione, 
dalla competente autorit�, con palese alterazione dei principi che condizionano 
la stessa esistenza del potere espropriativo. 

Deve quindi confermarsi l'orientamento secondo cui la vana scadenza 
del termine fissato per il compimento dell'espropriazione comporta 
l'inefficacia della dichiarazione di pubblica utilit� (anche se l'opera 
cui questa si riferisce sia stata tempestivamente eseguita) e la cessazione 
del potere espropriativo, con la conseguenza che la propriet� 
riacquista la pienezza del suo contenuto ed � tutelabile avanti al giudice 
ordinario anche con l'azione di risarcimento del danno derivato 
dalla trasformazione che abbia reso irrecuperabile il bene, pur dopo la 
(tardiva) pronunzia del decreto di espropriazione. 

Questa conclusione non si pone in contrasto con l'orientamento 
espresso da queste Sezioni Unite con la sentenza del 3 giugno 1978, 

n. 2774, invocata dal ricorrente. 
Tale sentenza, dopo avere confermato il principio secondo cui il 
potere espropriativo deve essere contenuto entro precisi limiti temporali 
e dopo avere individuato la funzione dei termini di cui all'art. 13 
nell'esigenza di evitare che la propriet� privata rimanga indefinitamente 
soggetta al potere della pubblica amministrazione, fa riferimento ad 
una ipotesi in cui il decreto di espropriazione sia stato emesso dopo 
la scadenza del termine fissato al riguardo ma prima della scadenza del 
termine fissato per l'ultimazione dei lavori; ed unificando la funzione 
dei due termini, sul rilievo che la dichiarazione di p.u. deve poter mantenere, 
in linea razionale, la sua efficacia fino a quando l'opera relativa 
non possa pi� compiersi a causa della scadenza del termine fissato 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

per la sua ultimazione, ha individuato il momento finale di tale efficacia 
nella scadenza dell'ultimo dei termini su indicati: cio� quello 
per l'ultimazione dei lavori, che nel caso era ancora pendente quando 
il decreto di espropriazione venne emesso. Nel caso esaminato dalla 
sentenza ora impugnata, invece, anche tale termine era scaduto, onde 
alla data del decreto di esproprio non vigeva pi� alcuno dei termini 
che delimitano l'efficacia temporale della dichiarazione di pubblica utilit�. 
(omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un. 11 dicembre 1979, n. 6442 -Pres. 
Rossi -Est. Sandulli -P. M. Saja (conci. conf.) -Istituto Tecnico 
Statale Commerciale e per Geometri � Leonardo da Vinci � di Potenza 
(avv. Stato Ciardulli) c. Giuseppe Gerardi (avv. Sarli). 

Giurisdizione civile -Giurisdizione ordinarla ed amministrativa -Controversie 
patrimoniali connesse con il pubblico impiego -Azione proposta 
dall'Ente pubblico con procedimento monitorio ordinario � 
Difetto di giurisdizione dell'A.G.O. 

Il giudice ordinario -non avendo la competenza giurisdizionale a 
conoscere la controversia nella fase promossa con l'opposizione all'ingiunzione 
-� del pari sfornito di giurisdizione nella fase monitoria, 
in quanto il legislatore, in tema di procedimento monitorio, non detta 
una disciplina speciale in ordine alla giurisdizione, riguardo alla quale 
trova applicazione la regola generale fondamentale, secondo cui competente 
relativamente all'ingiunzione � il giudice competente per il processo 
ordinario. 

(Massima enunciata in sentenza ai sensi dell'art. 385 c.p.c.). 

<(omissis) Con il primo, il ricorrente -denunciata la violazione 
e la falsa applicazione degli artt. 2, 3, 4 e 5 deMa legge 20 marzo 1865, 

n. 2248 ali. E; 29 n. 1 del t.u. 26 giugno 1924, n. 1054; 7 della legge 
6 dicembre 1971, n. 1034 e 635 cod. proc. civ. e 2033 cod. civ. -si duole 
L'interessante fattispecie riguardava un'azione di ripetizione di somme 

indebitamente corrisposte al pubblico dipendente per emolumenti non dovuti 

iniziata dall'Ente pubblico con decreto ingiuntivo richiesto al Presidente del 

Tribunale. 

La Suprema Corte ha giustamente deciso che, appartenendo la contro


versia di merito al giudice amministrativo (pubblico impiego), ad esso la 

controversia non pu� essere sottratta azionando un �tipo� di processo (quello 

monitorio) dinanzi all'A.G.O. incompetente per l'eventuale giudizio di oppo


sizione. 

Per l'ammissibilit� dell'azione dinanzi al Consiglio di Stato -ai sensi 

dell'art. 29 n. 1 del t.u. 26 giugno 1924, n. 1054 -ad iniziativa dell'Ente 

pubblico, v. Cass. SS.UU. 18 settembre 1970, n. 1580, Giust. civ. Mass. 1970, 862. 


PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

che la Corte d'appello abbia dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice 
ordinario a conoscere della domanda di restituzione �delle somme 
percepite dal pubblico dipendente a titolo di stipendio in pi� del dovuto, 
sul presupposto che l'oggetto della controversia, essendo riferibile 
al rapporto di pubblico impiego, rientrasse nella giurisdizione esclusiva 
del giudice amministrativo, in quanto, nell'ipotesi in cui, in materia di 
pubblico impiego, ad agire in giudizio sia la pubblica amministrazione, 
difetterebbe la giurisdizione del giudice amministrativo ed in quanto 
il difetto di giurisdizione del giudice ordinario sussisterebbe soltanto in 
ordine alla opposizione all'ingiunzione (diretta ad impugnare l'atto amministrativo 
di accertamento dell'indebito). 

Con il secondo, il ricorrente, -denunciando la violazione delle 
stesse norme indicate nella censura dedotta con il primo mbtivo -sostiene 
che essendosi costituito fra le parti un rapporto obbligatorio in 
forza dell'atto amministrativo di accertamento dell'indebito erogato competente 
a conoscere della controversia sia il giudice ordinario. 

La censura articolata nei riassunti motivi � priva di fondamento. 
mento. 

Secondo la costante giurisprudenza della Corte Suprema (cfr. sent. 
14 ottobre 1977, n. 4374; sent. 23 novembre 1974, n. 3806; sent. 9 gennaio 
1973, n. 6; sent. 14 ottobre 1972, n. 3061; sent. 21 ottobre 1972, n. 3061; 
sent. 21 ottobre 1971, n. 2954; sent. 28 settembre 1968, n. 2992; sent. 28 luglio 
1962, n. 2330), in tema di controversie attinenti al rapporto di impiego 
di pubblici dipendenti, a norma del coordinato disposto degli 
artt. 29, n. 1 e 30 commi 1 e 2, del t.u. delle leggi sul Consiglio di Stato, 
approvato. con r.d. 26 giugno 1924 n. 1054, e della legge 6 dicembre 1971 

n. 1034, istitutiva dei tribunali amministrativi regionali, sussiste la giurisdizione 
esclusiva del giudice amministrativo quando la domanda proposta 
trovi il suo titolo necessario del rapporto d'impiego pubblico (nel 
senso che questo, considerato nella sua costituzione e nel suo svolgimento, 
funga da momento genetico, diretto ed immediato, dei diritti 
fatti valere in giudizio dalle parti) o ad esso si riferisca o lo presupponga. 
E tale giurisdizione esclusiva -la quale non ricorre quando la 
pretesa dedotta in giudizio trovi nel rapporto d'impiego soltanto la sua 
occasione e sia in relazione meramente formale con il rapporto stesso 
(nel senso che essa non presenti alcuna intima interferenza con l'interesse 
pubblico) -si estende alle controversie di contenuto patrimoniale 
(in materia di stipendi, indennit� ed assegni dovuti in dipendenza diretta 
ed immediata del rapporto suddetto). 

N� essa viene meno -come sostiene il ricorrente -per il fatto 
che l'azione sia proposta dall'ente pubblico anzich� dal pubblico dipendente, 
in quanto, in tale caso, ai fini della ripartizione della giurisdi



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

90 

zione fra giudice ordinario e giudice amministrativo, ha giuridica rilevanza 
esclusivamente l'intrinseca materia del contendere. 

In tal senso si � espressa altra volta la Suprema Corte, la quale, con 
la sentenza 18 settembre 1970, n. 1580, ha statuito che l'ente pubblico, 
il quale agisca per la ripetizione di somme che assuma di avere indebitamente 
corrisposto al proprio dipendente in relazione al rapporto di 
impiego, deve proporre la propria istanza innanzi al Consigl�o di Stato, 
cui l'art. 29, n. 21 del t.u. 26 giugno 1924, n. 1054 attribuisce la giurisdizione 
esclusiva, non potendo desumersi dal tenore letterale della 
disposizione che la giurisdizione del giudice amministrativo si riferisca 
soltanto ai ricorsi proposti da dipendenti pubblici; e ci� in quanto -essendo 
la norma dettata con riferimento al cosiddetto contenzioso d'impugnazione 
-la dizione troverebbe la sua giustificazione nella considerazione 
che l'ente pubblico non ha bisogno di proporre l'impugnazione 
contro le proprie determinazioni, avendo il potere di modificare 
(quando lo ritenga) i propri provvedimenti; peraltro, ci� non esclude 
che l'ente pubblico, quando non possa o non voglia avvalersi della possibilit� 
di attuare coattivamente le proprie pretese, faccia ricorso agli 
ordinari rimedi giuridici, proponendo, innanzi al giudice competente, 
una domanda diretta ad ottenere un provvedimento giurisdizionale. 

Per modo che, nel caso di specie -avendo l'Istituto tecnico, mediante 
l'azione monitoria promossa innanzi al giudice ordinario, avanzato 
una pretesa in diretta ed immediata connessione con il rapporto 
di pubblico impiego -deve ritenersi che sin da tale momento sussistessero 
gli estremi per l'adizione della giurisdizione amministrativa. 

Invero, la pubblica amministrazione non avvalendosi dei numerosi 
criteri e strumenti di recupero di somme indebitamente corrisposte, offertile 
dalla legge (correzioni e variazioni dei ruoli, procedura dl. autoaccertamento 
atta a dar luogo all'ingiunzione fiscale prevista dal r.d. 
14 ottobre 1910, n. 639) avrebbe dovuto rivolgersi al giudice amministrativo, 
competente in via esclusiva a conoscere della controversia. 

E ci� in quanto, sia dal momento in cui l'amministrazione ha promosso 
l'azione monitoria -avendo la controparte sollevato questioni 
inerenti all'applicabilit� della normativa relativa alla riduzione dello 
stipendio in caso di cumulo di impieghi pubblici -si � avanzata una 
pretesa in diretta ed immediata connessione c�n il rapporto di pubblico 
impiego, costituente titolo necessario della domanda. 

In tale situazione, � indubbio che sin da tale momento -sussistendo 
gli estremi per l'adizione della giurisdizione amministrativa l'Istituto 
non avrebbe potuto adire il giudice ordinario per far valere 
innanzi ad esso una pretesa rientrante nella materia devoluta alla giurisdizione 
esclusiva del giudice amministrativo, per avere la stessa un 
preciso addentellato causale con il rapporto di impiego pubblico, attenendo 
alla questione di applicabilit� delle norme sui cumuli degli stipendi. 


PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

Invero, l'Istituto -azionando una pretesa economica direttamente conseguente 
al rapporto di pubblico impiego, per la ripartizione di stipendi 
e indennit� erogati in pi� per cumulo di retribuzioni -ha prospettato 
innanzi al giudice ordinario un problema rientrante nella giurisdizione 
esclusiva del giudice amministrativo. 

E -poich� l'accertamento se competa o meno la riduzione di stipendio 
involge una questione di misura della retribuzione, e cio� una 
questione economica intimamente (essenzialmente e causalmente) connessa 
con il rapporto d'impiego pubblico, la quale rientra nella giurisdizione 
esclusiva del giudice amministrativo -non pu� non ritenersi destituita 
di ogni giuridico fondamento la tesi secondo cui -potendo la pubblica 
amministrazione munirsi di titolo innanzi al giudice ordinario -nel caso 
di specie, si abbia -ferma la giurisdizione -la competenza giurisdizionale 
del giudice ordinario riguardo alla fase del procedimento (speciale) 
monitorio. 

Invero, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo non 
soffre limitazioni; n� la procedura monitoria si pone rispetto ad essa 
come una sorta di eccezione, al fine di far conseguire risultati particolari 
all'amministrazione. 

Per modo che -ponendosi il problema della giurisdizione in relazione 
a tutti gli stadi processuali -deve affermarsi che il giudice ordinario 
-non avendo la competenza giurisdizionale a conoscere la controversia 
nella fase promossa con l'opposizione all'ingiunzione -sia 
del pari sfornito di giurisdizione nella fase monitoria, in quanto il legislatore, 
in tema di procedimento monitorio, non detta una disciplina 
speciale in ordine alla giurisdizione, riguardo alla quale trova applicazione 
la regola generale fondamentale, secondo cui competente relativamente 
all'ingiunzione � il giudice competente per il processo ordinario. 

In conclusione, nel caso in esame, va riconosciuta e dichiarata la 
giurisdizion� esclusiva del giudice amministrativo. (omissis). 


SEZIONE QUARTA 

GIURISPRUDENZA CIVILE 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 13 luglio 1979, n. 4081 -Pres. La Farina 
-Est. Caturani -P. M. Antoci (conf.) -Fontana (avv. Cevolotto) 

c. Ministero Pubblica Istruzione (avv. Stato Gargiulo). 
Demanio � Demanio storico -Rinvenimento � Premio � Omissione di de


nuncia � Non spetta. 

(art. 48 e 49 legge 1� giugno 1939, n. 1089, art. 826, secondo comma, cod. civ.). 

Il principio fondamentale di tutta la materia dei ritrovamenti e delle 
scoperte fortuite di cose artistiche, storiche, archeologiche, disciplinata 
dal capo quinto della legge 1 giugno 1939, n. 1089 (artt. 43-50), � che le 
cose scoperte appartengono in propriet� allo Stato, mentre al proprietario 
del fondo, nel quale la scoperta � avvenuta, e allo scopritore � 
attribuito un premio (1). 

Il diritto dello scopritore al premio non poggia esclusivamente sulla 
� invenzione � della cosa d'arte, ma presuppone che lo scopritore abbia, 
adempiendo agli obblighi di denuncia e custodia, imposti dall'art. 48 
della legge, contril�uito attivamente alla verificazione di un risultato utile 
per la collettivit�, che perci� deve essere premiato, cosicch� deve negarsi 
che tale diritto abbia conseguito chi, nella duplice veste di proprietario 
del fondo e di scopritore, si sia appropriato della cosa scoperta 
(2). 

(1-2) Ritrovamento di cose di interesse storico ed artistico ed istituto 
del tesoro. 

1. -La prima sezione civile della Cassazione, confermando le decisioni dei 
giudici di merito (la sentenza di appello in questa Rassegna, 1977, I, 408, con 
nota di U. Gargiulo) ha deliberatamente modificato, a seguito �di un riesame 
del delicato problema ermeneutico �, il principio di diritto affermato dalla 
stessa sezione con la ormai lontana sentenza 12 ottobre 1954, n. 3623 (1). 
che annull� la pronuncia della Corte cli Appello di Roma 14 ottobre 1952 (2). 
(1) Integralmente pubblicata: in Foro it., 1955, I, 497, con riferimento alla sentenza 
cassata; in Giust. Civ., 1955, I, 401, con richiamo di Cass., sez. un. civ., 31 marzo 1942, 
n. 886 (Mass. Foro it., 1942, 220); in Giur. Completa Cass. Civ., 1954, VI Bim., 236, con 
nota adesiva di A. PEZZANA; in Settimana Cassazione, 1955, 11; nella sola massima: in questa 
Rassegna, 1955, 62, con nota contraria di L. TAVASSI LA GRECA. Per la tesi opposta ora 
accolta dalla Cassazione le principali trattazioni generali della materia: M. GRISOLIA, La 
tutela delle cose d'arte, Soc. Ed. Foro it., Roma, 1952, pag. 459; P.O. GERACI, La tutela del 
patrimonio d'antichit� e d'arte, Iovene�Napoli, 1956, pag. 140; T. ALIBRANOI e P. FERRI, I beni 
culturali e ambientali, Giuffr�, Milano, 1978, pag. 16. 
(2) In Giur. it., 1952, I, 2, 1023, con nota adesiva di M. GRISOLIA; in Foro it., 1953, I, 241. 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

93 

(omissis) Con l'unico motivo del ricorso Angelo Fontana 'deduce 
violazione e falsa applicazione degli artt. 48 e 49 della legge 1 giugno 
1939 n. 1089 in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. e critica la sentenza 
impugnata per avere escluso che il premio concesso al ritrovatore costituisca 
un indennizzo per il sacrificio di un diritto, giacch� esso non 
rappresenta una ricompensa per il ritrovamento e la consegna della 
cosa, dal momento che la legge attribuisce il premio anche al proprietario 
non scopritore. 

La censura non � fondata. 

Il problema proposto nel presente giudizio risulta gi� affrontato da 
questo S.C. con la sentenza 12 ottobre 1954 n. 3623, la quale statu� che 
la mancata denuncia all'autorit� competente dello scoprimento di cose 

La spettanza del premio al proprietario del fondo ed allo scopritore nonostante 
l'omessa denuncia, custodia e consegna delle cose ritrovate, a norma 
degli artt. 48, 67 e 68 della legge 1 giugno 1939, n. 1089, fu allora motivata 
sulla base di due argomenti. In primo luogo, si legge in quella sentenza, 
� non pu� esservi dubbio che la parola premio venga adoperata in senso 
improprio e che ad essa pi� esattamente vada attribuito il significato di 
indennizzo �. Inoltre, � detto sempre in quella decisione, � per quanto il ritrovamento 
di oggetto di interesse storico o artistico trovi la sua disciplina 
nelle leggi speciali, giusta l'espresso rinvio contenuto nell'ultimo comma dell'art. 
932 cod. civ., tuttavia il fatto che un tale rinvio sia stato inserito nell'articolo 
del codice concernente la disciplina del tesoro, lascia chiaramente 
intendere, se anche ci� non fosse dato desumere dalla particolare natura 
della materia, che alla disciplina medesima occorre pur sempre risalire quando 
trattisi, come nella specie, di risolvere questione per la quale non sia dato di 
rinvenire specifiche norme nella legge speciale �. 

Gli stessi argomenti, esposti sinteticamente e con cautela un po' ermetica 
per motivare quella decisione, sono ampliati ed esplicitati in una nota di 

F. De Martino ad altra precedente sentenza della Cassazione nella stessa materia, 
pur se non esattamente in termini (3), e nella gi� citata nota adesiva di 
A. Pezzana alla sentenza di cui si discute. 
Questa la tesi centrale di F. De Martino: �nel regime giuridico del tesoro, 
i puri dommi e la logica sono stati assai spesso violati per l'affermarsi delle 
pretese regalistiche dello Stato; il fenomeno � noto gi� durante l'epoca romana; 
anzi esso d� per taluni autori la chiave di volta per intendere il regime 
positivo dell'istituto. Queste pretese del Fisco tendono generalmente a sottrarre 
al privato la disponibilit� del bene ritrovato, ma allo scopo di incoraggiare 
le denuncie volontarie si promette di solito un'indennit� al ritrovatore, mentre 
le ragioni del proprietario vengono soddisfatte con un'altra indennit�. Cos� 
� anche nel regime accolto dalla legge speciale sulle antichit� e belle arti e 
ci� spiega perch� al proprietario, che ad un tempo sia ritrovatore della cosa, 
spetti un'indennit� doppia �. Quindi, � il diritto all'indennit�... rappresenta un 
compenso accordato dalla legge al dominus, come indennizzo dell'essergli 
sottratta la cosa ritrovata. Da ci� discende una conseguenza ulteriore, che 
anche quando il proprietario si rendesse colpevole della trasgressione, egli 

(3) Cass., sez. un. civ., 31 marzo 1942, n. 886, in Giur. Comparata Dir. Civ., Ed. Ist. 
It. Studi Legislativi, Min. Grazia e Giustizia, Roma, 1945, Serie 2�, voi. IX, pag. 94. 
9 



94 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

di interesse artistico o storico non toglie allo scopritore e al proprietario 
dell'immobile in cui la scoperta avvenne, il diritto al premio previsto 
dall'art. 49 della legge 1 giugno 1939 n. 1089. La ratio decidendi 
fu in quella occasione imperniata sul rilievo che sia il proprietario 
della cosa in cui avviene la scoperta che lo scopritore, per diritto civile, 
avrebbero diritto alla propriet� (totale o parziale) della cosa ritrovata 
(art. 932 commi 1 e 2 e.e.), di modo che -statuendo la legge speciale 
che la cosa di interesse storico o artistico appartiene in propriet� allo 
Stato (art. 49 della legge 1 giugno 1939 n. 1089) -il premio avrebbe 
natura riparatoria per il sacrificio che il soggetto subisce nell'interesse 
della . generalit�, venendosi a trovare, per effetto della legge speciale, 
nella impossibilit� di acquistare quella propriet� che diversamente, in 
forza di principi del diritto comune, gli sarebbe spettata. 

non potrebbe essere mai privato dell'indennit�, spettantegli come proprietario, 
ma solo di quella parte alla quale avrebbe diritto in quanto ritrovatore�. 

Ribadisce, a sua volta, A. Pezzana nel suo scritto: � � innanzitutto impossibile 
considerare la legislazione speciale sulle cose di interesse storico ed 
artistico indipendentemente dai principi generali del codice civile in materia 
di acquisto del tesoro: la coesistenza dei diritti dello Stato con quelli del 
proprietario e del ritrovatore � tradizionale nel nostro istituto... Ora questa 
coesistenza delle pretese dello Stato (prima giustificate sotto il profilo fiscale 
adesso sotto quello del patrimonio storico ed artistico della Nazione) non 
ha mai distrutto l'unit� dell'istituto, a base del quale, da Adriano in poi (4), 
nonostante le frequenti deroghe, � rimasto il principio della spettanza del 
tesoro al proprietario del fondo (a titolo di accessione) e allo scopritore 
casuale (a titolo di invenzione)... Stabilita quindi l'esistenza di un collegamento 
fra le norme della legge speciale e quelle del codice civile, il considerare 
il diritto al premio come un indennizzo appare perfettamente logico... 

I

il premio, sia nelle ipotesi di cui agli artt. 44 e 46 che in quella dell'art. 49, ~ 
non � altro che un indennizzo per quella vera e propria espropriazione, sia 
pure disposta ope legis, consistente nell'attribuire allo Stato la propriet� di ~ 
cose, che secondo la legge comune sarebbero spettate al proprietario del fondo 
e all'inventore �. 

I

Sono dunque prospettate in queste note, in modo pi� ampio ed esplicito, 
le stesse ragioni giuridiche della decisione allora pronunciata dalla Cassazione, 
cosicch� � possibile, non solo ripercorrerne la costruzione logica, ma 
intravederne anche le basi culturali, nel punto in cui la tutela dell'interesse 

I pubblico al reperimento e alla conservazione dei beni culturali e la loro 
destinazione allo studio specialistico ed alla utilizzazione collettiva � definita 
� pretesa regalistica >>, � deroga al principio della spettanza del tesoro al pro


I 

prietario del fondo � ed il precetto della legge speciale, per cui � le cose 

I

ritrovate appartengono allo Stato� (art. 44 legge 1 giugno 1939, n. 1089) viene @ 
rappresentato e qualificato come sottrazione, come � vera e propria espro�


i

priazione, sia pure disposta ope legis � ai danni del privato ritrovatore o 

! 

f 

f 

(4) Il riferimento riguarda il famoso passo delle Istituzioni: I, 2, 1, 39: � Thesauros, i 
quos quis in suo loco invenerit, divus Hadrianus naturalem aequitatem secutus ei concessi! 
l 

qui invenerit ... si quis in alieno loco non data ad hoc opera, sed fortuitu invenerit, dimidium 
domino soli concessit �. 

l 

I 

I 

I 

�st�lll1i�llllllllll�&rt1fllllrlllllllll~lllWll.I 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

95 

Da tale considerazione questa Corte dedusse che il diritto al premio, 
attesa la sua natura indennitaria, non potesse essere negativamente 
influenzato dalla osservanza o meno dell'obbligo della denuncia e custodia 
della cosa d'arte scoperta, imposto peraltro dall'art. 48 della 
legge speciale soltanto a carico dello scopritore e detentore della cosa 
scoperta fortuitamente e non anche nei confronti del proprietario della 
cosa in cui avvenne la scoperta. 

Non costituisce invece un (ulteriore) precedente in termini la sentenza 
delle Sezioni Unite di questo S.C. 27 gennaio 1977 n. 401, che esamin� 
il diverso problema della competenza giurisdizionale in tema di 
annullamento per vizio di consenso dell'accordo circa la determinazione 
del premio relativo al ritrovamento delle cose di interesse artistico o 

proprietario. Da impostazioni concettuali di questo tipo � breve il passo per 
affermare che l'attivit� dei tombaroli, perch� in definitiva di questo si tratta, 
circonfusa di un'aureola di legittimit�, quale esercizio di antico, insopprimibile 
diritto -da Adriano in poi -sia meritevole di immancabile indennizzo 
ogni qual volta � il Fisco � riesce a sottrarre dalle loro mani i reperti archeologici 
trafugati. 

Con la sentenza qui pubblicata la Cassazione ha giudicato prive di fondamento, 
le ragioni giuridiche allora prospettate, adducendone, a sostegno 
della sua decisione, altre esattamente opposte, che � utile riportare nei loro 
termini testuali: 

a) � poich� il presupposto della disciplina delle cose d'arte ritrovate 
fortuitamente � la propriet� pubblica dello Stato, ne consegue che il premio 
riconosciuto allo scopritore (sia o meno proprietario del fondo, in cui � avvenuta 
la scoperta) non pu� costituire un indennizzo per il mancato acquisto 
del diritto di propriet� sulla cosa d'arte, che per legge non gli compete �; 

b) �il fondamento della disciplina delle scoperte artistiche ed archeologiche 
� eminentemente pubblicistico e le disposizioni della legge speciale 
vigente in ordine al ritrovamento degli oggetti di interesse storico ed artistico 
(in particolare artt. 43-50) costituiscono un corpus di norme, che, attesa la 
particolarit� della materia, non pu� essere interpretato facendo riferimento 
alla disciplina che il codice civile detta in tema di ritrovamento del tesoro 
(art. 932), stante l'assoluta diversit� dei presupposti, che le norme hanno 
considerato e gli interessi posti a base della rispettiva tutela giuridica �. 

Questi, dunque, i termini concettuali e giuridici delle opposte tesi dibattute 
nei giudizi, che hanno dato luogo, a distanza di un quarto di secolo, 
alle due contrastanti decisioni della Corte Suprema. 

2. -Che al premio spettante allo scopritore e al proprietario del fondo 
non possa attribuirsi natura di indennizzo per la perdita o il mancato acquisto 
di un diritto, che per legge loro non compete, � proposizione di intuitiva 
evidenza, che trova, oltre tutto, conferma nella relazione alla Camera del 
Ministro proponente, in data 24 aprile 1939 (5). 
L'affermazione contraria venne sorretta, come si � visto, o, pi� macchinosamente, 
con la costruzione di una specie di superdiritto, nel quale regnano 

(5) � Anche quando il premio � conferito in natura, esso, appunto perch� premio, 
non � mai corrisposto a titolo di compenso di un diritto sulle cose ritrovate o scoperte, 
ma serve ad attuare un evidente criterio di giustizia retributiva� in Le leggi, 1939, pag. 894. 

RASSEGNA DELL1AWOCATURA DELLO STATO 

storico. Vero � che nel corso della motivazione le S.U. richiamarono il 
precedente del 1954 per osservare che l'attribuzione del premio svolge 
una funzione in senso lato compensativa del mancato acquisto della 
propriet� della cosa d'arte nei confronti dello scopritore e del proprietario 
del fondo, in deroga alla normativa sul tesoro di diritto comune, 
ma da tutto il contesto della motivazione si desume chiaramente che 
il problema di fondo esaminato in quella sede (consistente nel qualificare 
la posizione soggettiva del titolare del premio, se essa cio� desse 
vita ad un diritto soggettivo o ad un interesse legittimo) fu risolto nel 
senso di un diritto soggettivo al premio, ponendo in evidenza essenzialmente 
la configurazione paritaria dalla legge data al rapporto, con esclusione 
di qualsiasi posizione autoritativa della P.A. Il che � perfetta


� i puri dommi e la logica � e nel quale � da Adriano in poi... � rimasto il 
principio della spettanza del tesoro al proprietario del fondo ed allo scopritore 
casuale �, per poi servirsene come pietra di paragone per misurare e 
controllare la giustizia e la legittimit� della legge speciale; oppure pi� semplicemente 
-e questa fu la tesi della Cassazione nel 1954 -contrapponendo 
le disposizioni generali del codice civile a quelle della legge speciale. Scopo 
comune di questi procedimenti logici � avvalorare una sorta di antigiuridicit� 
della norma speciale e far quindi apparire e valere una quasi-lesione del diritto 
del privato proprietario o ritrovatore, cui sovvenga ed arrechi ristoro, a titolo 
di riparazione, il premio-indennizzo. 

Soffermarsi sulla prima tesi non sembra necessario; la seconda sar� esaminata 
nel paragrafo che segue. � opportuno rilevare, invece, che il principio 
affermato dalla Cassazione nella sentenza qui pubblicata � aderente ad una 
consolidata ed univoca giurisprudenza della Corte Costituzionale, della Cassazione 
e del Consiglio di Stato, in ordine all'art. 42 della Costituzione. 

Nella sua ultima sentenza sulla legittimit� costituzionale dell'art. 21 della 
legge per la tutela delle cose di interesse artistico e storico (legge 1 giugno 
1939, n. 1089) la Corte Costituzionale si � cos� espressa: �La Corte ha ripetutamente 
precisato che l'art. 42 della Costituzione non impone indennizzo 
quando la legge regoli in via generale i diritti dominicali in relazione a determinati 
beni al fine di assicurarne la funzione sociale e per evitare lesioni 
all'interesse pubblico �, concludendo con l'affermazione che � l'obbligo dell'indennizzo 
� imposto soltanto in caso di espropriazione per pubblico interesse
� (6). 

Si riflette in questa massima la consolidata interpretazione da parte 

della Corte Costituzionale dell'art. 42 della Costituzione, riducibile a queste 

due proposizioni: rientra nella previsione del secondo comma di tale articolo 

e non d� diritto ad indennizzo una regolamentazione stabilita per legge in 

via generale del diritto di propriet� di omogenee categorie di beni, origina


(6) Corte Cost. 4 luglio 1974, n. 202, in questa Rassegna, 1974, I, I, 1071, con nota di 
richiami; in Giur. Cast., 1974, 1692, con nota di richiami ed a pag. 2130 nota di G. ROLLA, 
In tema di vincoli su beni di interesse artistico e storico; in Giust. Civ., 1974, III, 320. 
con nota di richiami; in Cons. Stato, 1974, II, 806; in Riv. Amm., 1974, Ili, 764, con nota 
di richiami; in Foro it., 1975, I, 2245, con nota di richiami; in Foro Amm., 1975, I, 1, 22, con 
nota di richiami; in Riv. Giur. Edilizia, 1975, I, li, con nota di richiami. Un'interessante 
anticipazione in App. Napoli 2 aprile 1913, in Foro it., 1913, I, 1010, con nota di L. BIAMONTI. 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 97 

mente conciliabile con un indirizzo che avesse riconosciuto al premio 
una diversa funzione giuridica. 

Poich� le conclusioni cui questa Corte pervenne nel precedente del 
1954 sono rimesse in discussione dalla Amministrazione ricorrente, si 
impone in questa sede un ulteriore riesame del delicato problema ermeneutico, 
al fine di stabilire se le critiche mosse all'indirizzo accennato 
possano indurre una revisione dei risultati precedentemente raggiunti. 

La materia dei ritrovamenti e delle scoperte fortuite � disciplinata 
dal capo V della legge 1 giugno 1939 n. 1089 (artt. 43-50) che ha introdotto 
notevoli innovazioni rispetto alla precedente normativa contenuta 
nella legge 20 giugno 1909 n. 364. 

Il principio fondamentale ispiratore di tutta la materia -che gi� 
trov� in sede interpretativa un certo riconoscimento nella applicazione 

riamente di interesse pubblico, delle quali, allo scopo di assicurarne la funzione 
sociale, siano determinati modi di acquisto e di godimento nonch� limitazioni; 
al contrario, una disciplina legislativa, che analoghe limitazioni non 
stabilisca in via generale, ma faccia dipendere, caso per caso, da determinazioni 
amministrative, fa assumere a queste ultime carattere espropriativo, 
poich� la nozione di espropriazione non pu� essere ristretta al concetto di 
trasferimento coattivo, ma deve essere estesa ai casi, in cui, pur restandone 
intatta la titolarit�, il diritto di propriet� sia annullato o menomato senza 
indennizzo. Casi in cui si determina la violazione del terzo comma della 
disposizione costituzionale. 

Questa interpretazione � stata elaborata in una lunga serie di sentenze 
della Corte Costituzionale (7), che hanno dato luogo ad un ampio dibattito, 
di cui non � possibile n� utile in questa sede dare notizia. Ed � sulla base 
di questa stessa interpretazione che gi� con precedenti decisioni Cassazione (8) 
e Consiglio di Stato (9) avevano giudicato manifestamente infondata la dedotta 
illegittimit� costituzionale dell'art. 21 della legge 1� giugno 1939, n. 1089. 

Attribuire natura e valore di indennizzo al premio spettante allo scopritore 
ed al proprietario del fondo � certamente in contrasto con la logica 
di questa giurisprudenza, nel cui alveo si inserisce, invece, l'affermazione 
contraria dell'attuale pronuncia della Cassazione. 

3. -La sentenza qui pubblicata ha poi affermato l'applicabilit� alle scoperte 
artistiche ed archeologiche delle disposizioni della legge speciale sulla 
tutela delle cose artistiche, negando che per la loro interpretazione siano 
utilizzabili principi e regole del codice civile. Questa affermazione trascende 
(7) Corte Cost., 20 gennaio 1957, n. 24, in Giur. it., 1957, I, 1, 315; 26 novembre 1959, 
n. 58, ivi, I, 1, 235; 20 gennaio 1966, n. 6, in questa Rassegna, I, 1, 15; 9 marzo 1967, n. 20, 
ivi, 1967, I, 1, 193; 29 maggio 1968, n. 55 e 56, ivi, 1968, I, 1, 661, 662; 15 lpglio 1969, n. 136, 
ivi, 1969, I, 1, 993; 26 aprile 1971, n. 79, ivi, 1971, I, 1, 539; 27 luglio 1972, n. 155, ivi, 1972, 
I, 1, 1045; 21 dicembre 1972, n. 188, ivi, 1973, I, 1, 69; 20 febbraio 1973, n. 9, ivi, 1973, 
I, 1, 304; 6 marzo 1974, n. 58, in Giur. Cast., 1974, 239. 
(8) Cass., sez. 1 civ., 4 dicembre 1972, n. 3494, in questa Rassegna, 1973, I, 1, 148, con 
nota di G. ALBISINNI, Brevi osservazioni sul provvedimento emesso ai sensi dell'art. 21 
della legge 1� giugno 1939, n. 1089. 
(9) Cons. Stato, sez. V, 28 novembre 1969, n. 1468, in Cons. Stato, 1969, I, 2240; 
Sez. IV, 25 luglio 1970, n. 585, in questa Rassegna, 1970, I, IV, 832; Sez. IV, 30 maggio 1972, 
n. 486, ivi, I, IV, 806. 

98 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

della legge del 1909 -� che le cose scoperte appartengono in propriet� 
allo Stato, mentre al proprietario del bene nel quale la scoperta � 
avvenuta ovvero al concessionario e allo scopritore (artt. 44, 46, 49 della 
legge del 1939), � attribuito un premio in danaro o mediante rilascio 
di una parte delle cose scoperte che in ogni caso non pu� superare 
il quarto del valore delle cose stesse (o la met� nel caso che la scoperta 
sia fatta dal proprietario autorizzato: art. 47 della legge). 

Il principio della appartenenza allo Stato a titolo originario delle 
cose di interesse storico o artistico, che rientrano nel suo patrimonio 
indisponibile (art. 826 e.e.), non trova riscontro nel diritto romano 
e neppure nello Stato pontificio. 

L'editto Pacca applicava in materia il diritto comune, ritenendo 
che �nel caso fortuito l'inventore dovr� avere la met� del ritrovato, 
cedendo l'altra met� a vantaggio del padrone del fondo�. 

evidentemente la materia delle scoperte e dei ritrovamenti e si pone come 
criterio generale di applicabilit� e di interpretazione della legge speciale ed 
acquista particolare valore in rapporto ai recenti sviluppi della dottrina, che 
ha identificato la ragion d'essere e la specificit� del sistema normativo di 
tutela delle cose artistiche e storiche, stabilito con la legge 1 giugno 1939, 

n. 1089, con la costituzione di un apposito demanio pubblico (art. 822, secondo 
comma, cod. civ.) e con l'attribuzione al patrimonio indisponibile dello Stato 
dei ritrovamenti di interesse storico ed archeologico (art. 826, secondo comma, 
cod. civ.), nella particolare natura e condizione giuridica dei beni, che ne 
costituiscono oggetto, definiti dai vari autori � beni di interesse pubblico >>, 
� beni funzionali >>, � beni di propriet� collettiva demaniale � (10), superando 
in tal modo la classificazione di quel sistema normativo nella categoria generale 
delle limitazioni amministrative della propriet� privata. 
Le leggi di tutela del patrimonio artistico e storico costituiscono un 
sistema normativo e, quindi, un insieme coordinato e coerente di norme e di 
principi, applicabile a tutti i beni considerati e stabilito per la protezione 
di un interesse giuridico pubblico emerso a seguito dello sviluppo della cultura 
moderna e che non ha riscontro n� nel sistema di diritto privato n� in 
altri settori del diritto pubblico: la ricerca, la valorizzazione, la conservazione 
dei beni culturali (di propriet� pubblica o privata) e la loro destinazione 
allo studio degli specialisti (archeologi, storici dell'arte ecc.) ed alla utilizzazione 
collettiva. Il sistema normativo di tutela e le singole disposizioni, che 
ne fanno parte, acquistano, quindi, un'accentuata, autonoma valenza giuridica, 
in funzione della specificit� dell'interesse protetto e della particolare natura 


(10) M. GRISOLIA, La tutela citata, pag. 202; A. SANDULLI, Beni Pubblici in Enciclopedia 
del Diritto, Giuffr�, Milano, 1959, voi. V, pag. 279; G. PALMA, Beni di interesse pubblico e 
contenuto della propriet�, Jovene, Napoli, 1971; M.S. GIANNINI, I beni Pubblici, Roma, 1963, 
pag. 89; M.S. GIANNINI, I beni culturali in Riv. Trim. Dir. Pubblico, 1976, pag. 20. Per un 
esame degli sviluppi della dottrina: T. ALIBRANDI e P. FERRI, I beni citati pag. 16. Importanti 
anticipazioni in F. CAMMEO, Gli immobili per destinazione nella legislazione delle 
belle arti in Raccolta di scritti di diritto pubblico in onore di Giovanni Vacchel!i, Soc. Ed. 
Vita e pensiero, Milano, 1938, pag. 83; P. CALAMANDREI, Immobili per destinazione artistica 
in Foro it., 1933, I, 1715; L. BIAMONTI nota a sentenza App. Napoli 2 aprile 1913, in Foro it., 
1913, I, 1011. 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

99 

Ora gi� vigente la legge del 1909, l'opinione maggiormente seguita 

dai suoi interpreti, fu nel senso che la disciplina della scoperta for.
tuita delle cose d'arte (art. 10) costituiva una deroga completa ed 
assoluta alla normativa di diritto comune in tema di scoperta del 
tesoro (art. 714 del cod. civ. del 1865) la quale, gi� allora, regolava 
il rapporto tra proprietario e scopritore, attribuendo loro rispettivamente 
la met� del valore della cosa ritrovata, con un criterio rimasto 

sostanzialmente immutato nell'art. 932 del codice vigente. 

Orbene, mentre in ordine al tesoro non � sorta giammai alcuna 

questione circa l'adempimento di particolari obblighi da parte del ritro


vatore, affinch� costui acquistasse il diritto ad una quota in propriet� 

della cosa, la legge del 1939 pone un particolare problema circa la iden


e condizione dei beni, che ne costituiscono oggetto, con la conseguenza che 

il problema della loro applicazione ed interpretazione non � riducibile alla 

ricerca, caso per caso, di una conciliazione tendenzialmente equa, ma inevita


bilmente arbitraria della insanabile antinomia esistente in questa materia fra 

norma di tutela e codice civile e tra interesse pubblico ed interesse pri


vato (11). 

� solo sulla base di quelle leggi e dei principi giuridici di quel sistema 

normativo che, in materia di cose artistiche e storiche, va identificato il 

confine della tutela accordata all'interesse pubblico e all'interesse privato, il 

limite dei poteri spettanti alla pubblica amministrazione ed il limite ed il 

contenuto dei diritti dei soggetti privati. Non � invece consentita un'appli


cazione promiscua di disposizioni e principi della legge speciale e del codice 

civile n� il collegamento e l'integrazione dei primi con i secondi, procedimenti 

interpretativi che contrastano con l'art. 14 delle disposizioni sulla legge in 

generale, per il quale, se � vero che � le leggi che fanno eccezione ad altre 

leggi non si applicano oltre i casi considerati �, � vera anche la proposizione 

reciproca, per cui nei casi considerati non si applicano le leggi cui . � fatta 

eccezione. L'art. 14, in altri termini, pone una regola di applicazione esclusiva 

o della legge generale o della legge speciale per ogni fattispecie giuridica e 
per ogni categoria di rapporti a seconda che sia compresa o esclusa dai 
� casi considerati >>, i limiti dei quali costituiscono il confine di applicabilit� 
dei due sistemi normativi. E l'inosservanza di questa regola ha, oltre tutto, 
l'inconveniente di affidare alla sensibilit� ed alle inclinazioni personali del 
singolo magistrato o collegio giudicante il problema di come ed in che misura 
conciliare, di volta in volta, gli opposti interessi pubblico o privato e quale 
dei due privilegiare rispetto all'altro; problema che deve trovare, invece, 
(11) Antinomia e difficolt� di conciliazione avvertite anche dagli autori, che commentarono 
positivamente la sentenza della Cassazione del 1954, come appare evidente da questo 
passo della citata nota di A. PEZZANA: � La preoccupazione, messa giustamente in evidenza 
dal Grisolia, che la sola ammenda sia una sanzione insufficiente ad assicurare la tutela 
degli interessi dello Stato alla conservazione del patrimonio storico ed artistico pu� 
semmai essere tenuta presente de iure condendo. Comunque, anche ora, essendo la determinazione 
del quantum del premio rimessa ad una commissione formata, nella maggioranza, 
da rappresentanti della pubblica autorit� (giudiziaria ed amministrativa), contro le cui 
decisioni non � ammesso alcun reclamo, il contegno fraudolento del proprietario o del 
ritrovatore pu� essere efficacemente represso attribuendogli un indennizzo di modestissima 
entit��. 



100 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 
tificazione della fattispecie da cui deriva per Io scopritore il diritto al 
premio previsto dall'art. 49. 
La questione si � presentata g1a negli stessi termini in tema di 
ritrovamento di cose smarrite (art. 927 e.e,) e l'interpretazione generalmente 
seguita -nonostante che la legge nulla dica in proposito con 
esplicito precetto -� nel senso che il ritrovatore pu� vantare un diritto 
al premio soltanto se ed in quanto abbia adempiuto all'obbligo della 
consegna della cosa senza ritardo al sindaco del luogo in cui l'ha trovata, 
indicando le circostanze del ritrovamento (Cass., 17 luglio 1952, 
n. 2217). 
Non costituisce quindi un elemento ostativo la circostanza, puramente 
neutra sotto questo profilo, che manchi nel sistema della legge 
nell'ordinamento giuridico la sua soluzione obiettiva ed uguale per ogni fattispecie 
concreta. 
Per questo ordine di considerazioni, innanzitutto, era dunque errata la 
tesi prospettata nena sentenza deHa Cassazione n. 3623 del 1954, secondo cui 
si sarebbe dovuto far ricorso alla disciplina del codice civile per risolvere 
una questione (la spettanza del premio nella ipotesi di omessa denuncia), 
per la quale si sosteneva non vi fossero nella legge speciale specifiche norme: 
ma, evidentemente, si intendeva dire che mancava una specifica, espressa 
disposizione. La disciplina del codice non era infatti applicabile, perch� la 
fattispecie legale dei ritrovamenti e scoperte di cose di interesse artistico e 
storico � compresa tra � i casi considerati � dalla legge speciale e si colloca 
oltre il confine di applicabilit� del codice civile. Conseguentemente, se la norma 
regolatrice non poteva essere individuata in una espressa disposizione della 
legge speciale, avrebbe dovuto, in mancanza, desumersi dai principi generali 
della legge stessa. 
Cos� ha proceduto la Cassazione nella decisione qui pubblicata, dimostrando, 
oltre tutto, che la norma desunta dalla legge speciale, secondo cui 
il diritto dello scopritore al premio presuppone che questi abbia adempiuto 
agli obblighi stabiliti dalla legge, � comune ad altri settori del diritto ed allo 
stesso diritto privato, pur in mancanza, anche qui, di un'espressa disposizione 
in proposito (12); rappresenta, quindi, una regola generale e costante dell'ordinamento. 
Viene cos� in evidenza che l'errore della precedente sentenza consiste 
principalmente nell'aver assimilato il reperto artistico e storico, che � semplicemente 
res vacua possessionis, alla figura giuridica del tesoro, che � invece 
res nullius. 
Questo consente di passare all'esame di un altro punto delle questioni 
dibattute e decise dalla Cassazione. 

4. -Nella sentenza de1la Cassazione n. 3623 del 1954 il ricorso alla disciplina 
del tesoro (art. 932 cod. civ.) per decidere quella controversia, nell'asserita 
mancanza di una specifica norma della legge speciale, fu giustificato con 
due argomenti: il collegamento tra codice civile e legge speciale, che doveva 
desumersi dalla particolare natura della materia; il rinvio alle disposizioni 
della legge speciale, contenuto nell'ultimo comma di tale articolo. 
(12) Cass., sez. 2 civ., 20 agosto 1953, n. 2807, in Foro it., 1954, I, 168, con nota di 
richiami. 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 101 

speciale una norma esplicita che sancisca una tale disciplina, potendo 
la norma stessa ricavarsi in via di interpretazione dall'esame complessivo 
delle norme che regolano la materia, tenendo conto in particolare 
del collegamento razionale che avvince l'una disposizione all'altra nella 
disciplina della legge speciale. 

D'altronde, in situazioni pressoch� identiche a quella in esame non 
mancano norme espresse che hanno esplicitamente condizionato per il 
ritrovatore l'acquisto del diritto al premio all'adempimento di ben precisi 
obblighi giuridici. Cos� l'art. 512 cod. nav., in tema di ritrovamento 
di cetacei arenati nel litorale, riconosce al ritrovatore che ne abbia 
fatto denuncia entro tre giorni all'autorit� marittima, il diritto al premio. 

Giova premettere che la legge vigente ha innovato profondamente 
i criteri che presiedono alla liquidazione del diritto al premio, poich� 
mentre la legge 20 giugno 1909, n. 364, liquidava il premio nella sua 
totalit� in favore del proprietario del fondo, facendo salvi i diritti riconosciuti 
al ritrovatore dal codice civile verso il proprietario (art. 18), 
la legge del 1939 ha tenuto nettamente distinte la posizione dello scopritore 
rispetto a quella del proprietario della cosa in cui avviene la 
scoperta. 

Del primo argomento si � detto nel paragrafo precedente. Sul secondo 
occorre invece soffermarsi, perch� vi � implicita l'affermazione che il ritrovamento 
di oggetti di interesse artistico e storico, pur se regolato dalla legge 
speciale, dovrebbe inquadrarsi da un punto di vista sistematico nell'istituto 
giuridico del tesoro. Affermazione dogmaticamente errata, cui � possibile pervenire 
solo dimenticando che � fanno parte del patrimonio indisponibile dello 
Stato le cose d'interesse storico, archeologico, paletnologico, paleontologico e 
artistico da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo�, mentre 
l'art. 932 cod. civ., con formulazione sostanzialmente identica all'art. 714 del 
codice del 1865, mutuata dall'art. 865 del codice sardo, che �, a sua volta, la 
traduzione letterale dell'art. 716 del codice napoleonico e deriva dalle fonti 
romanistiche, definisce tesoro � qualunque cosa mobile di pregio, nascosta o 
sotterrata, di cui nessuno pu� provare di essere proprietario�. 

Una famosa sentenza della Cassazione di Roma in data 26 marzo 1918 
(presidente L. Mortara; estensore M. D'Amelio), nel decidere una controversia 
relativa ad un ritrovamento del 1906, si conclude con questa massima: �qualora 
quest'ultima evoluzione della natura giuridica della statua non risulti 
dimostrata e resti confermata, invece, la sua patrimonialit� pubblica, qualsiasi 
pretesa su di essa da parte dello scopritore, che voglia considerarla 
come tesoro dovrebbe essere respinta per la tassativa disposizione dell'art. 714 
cod. civ., in forza del quale � tesoro qualunque oggetto mobile di pregio, che 
sia nascosto o sotterrato, a condizione per�, che nessuno possa provare di 
esserne padrone � (13). 

Errore e dimendicanza gravi, dunque, quelli della sentenza del 1954, ma 
non solo da un punto di vista dogmatico, perch� il problema dell'appartenenza 
delle cose di interesse artistico e storico ritrovate ha rappresentato il fulcro 

(13) Cass. di Roma, 26 marzo 1918, in Foro it., 1918, I, 682. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Questo diritto (dello scopritore e del proprietario del fondo) si 
presenta come un diritto di credito che -alla luce di quanto risulta 
dalla relazione Romano alla legge -� appunto perch� premio non � 
mai corrisposto a titolo di compenso di un diritto sulle cose ritrovate 

o scoperte, ma serve ad attuare un evidente criterio di giustizia distributiva
�. 
Se infatti il fondamento della disciplina delle scoperte artistiche ed 
archeologiche � eminentemente pubblicistico ed -alla stregua di quanto 
risulta dalla relazione alla legge -si riporta direttamente allo Stato 
in quanto �tutore del patrimonio culturale della nazione�, � in perfetta 
coerenza con la finalit� della legge 1939 la tesi che pone in evidenza 
come il diritto al premio del ritrovatore non poggia soltanto 
ed esclusivamente sulla � invenzione � della cosa d'arte. ma presuppone 
a sua volta che lo scopritore abbia, adempiendo agli obblighi di denunzia 
e custodia, contribuito attivamente alla verificazione di un risultato 
che � riuscito utile per la generalit� e che deve perci� essere 
premiato. 

Non � quindi la mera scoperta fortuita che determina l'acquisto 
del diritto in favore dello scopritore, poich� tale comportamento se 
produce il verificarsi della fattispecie acquisitiva in favore dello Stato, 
non assicura in alcun modo che la P.A. sia messa in condizioni di venire 
in possesso della cosa d'arte, al fine della sua destinazione per scopi 

dell'evoluzione dell'ordinamento di tutela, che si � sviluppato attraverso la 
progressiva e contrastata affermazione della propriet� dello Stato, accompagnata 
da una sempre pi� rigorosa disciplina dell'attivit� di ricerca, che trovava 
nell'affermazione della propriet� pubblica dei reperti la sua legittimazione. 
E la prima disposizione che sanc� la propriet� dello Stato venne con la legge 
20 giugno 1909, n. 363 (art. 15). 

Ma anche prima di quella legge, quasi agli albori dell'unit� nazionale, 
realizzata con l'estensione all'intero territorio del nuovo Stato della legislazione 
del Regno di Sardegna, unico fra gli Stati preunitari a non avere una 
legge di tutela dei beni storici ed artistici, il problema dell'appartenenza dei 
reperti archeologici rappresent� il terreno di scontro sul quale furono sostenute 
contrapposte pretese private, relative all'attribuzione dei reperti stessi e 
del premio per il ritrovamento, e sul quale fu difeso da parte dell'allora Avvocatura 
Erariale, l'interesse pubblico alla loro tutela ed utilizzazione collettiva. 

Sia nelle liti fra privati (14) sia in quelle, nelle quali fu parte la pubblica 
amministrazione, l'identificazione fra reperto archeologico e tesoro fu contestata, 
facendo valere, di volta in volta, la natura sacra o la natura immobiliare 
del reperto per destinazione originaria; la sopravvivenza nell'ordinamento 
vigente del carattere demaniale e dell'appartenenza al patrimonio pubblico, 
che le cose ritrovate avevano avuto nel diritto romano; la demanialit� delle 

(14) Importante quella decisa da App. Firenze 23 marzo 1901, in Foro it., 1901, I, 1205 
e in Giur. it., 1901, I, 2, 563, con nota di C. GABBA; vedi in proposito: FERRARA, Il carattere 
della scoperta nell'acquisto del tesoro in Foro it., 1904, I, 54; S. GALGANO, Dell'acquisto del 
tesoro e del requisito del nascondimento in Filangieri, 1903, 1. 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 103 

di interesse generale connessi con la importanza che la cosa stessa presenta 
dal punto di vista storico ed artistico. 

Questa interpretazione � non solo confortata dalla intima connessione 
esistente tra l'art. 48 della legge speciale, che impone gli obblighi 
di denunzia e custodia allo scopritore ed il successivo art. 49 che, ricollegandosi 
immediatamente al primo, riconosce allo scopritore medesimo 
un premio, ma trova ulteriore motivo di conferma nel rilievo che il 
premio spettante per legge allo scopritore � corrisposto dal Ministero 
in via alternativa in danaro oppure mediante rilascio di una parte delle 
cose scoperte. (in ogni caso in misura non superiore al quarto del valore 
delle cose stesse). Ci dimostra che, secondo il sistema della legge, il 
diritto al premio presuppone come logica premessa della sua esistenza, 
che sussista materialmente la possibilit� di soddisfare lo scopritore 
attraverso l'attribuzione in suo favore di una parte delle cose scoperte, 
vale a dire un trasferimento di propriet� dallo Stato al medesimo 
che in tanto � ammissibile in quanto le cose stesse siano ormai 
acquisite non solo formalmente allo Stato, ma anche rientranti nella 
sua materiale disponibilit�. 

cose stesse per la natura di monumento storico; l'applicabilit�, infine, ed il 
perdurante vigore delle leggi di tutela degli Stati preunitari (15). 
Queste lontane controversie, ricordate nelle trattazioni generali della materia 
(16), indipendentemente dal giudizio, che si pu� dare oggi sulle tesi 

(15) App. Roma 18 giugno 1885 (causa Castellani -Min. Lavori Pubblici), App. Ancona 
19 maggio 1886 (causa Lazi -Min. Pubbl. Istr. ed altri) in ambedue fu affermata l'applicabilit� 
della legislazione pontificia; Appello Trani 3 febbraio 1885 (Vetrano -Molco) 
respinta domanda dell'attore per ottenere in qualit� di scopritore una quota dei reperti 
archeologici, divisi fra proprietario e pubblica amministrazione in base a convenzione anteriore 
all'inizio degli scavi, tutte indicate in Relazione'� sulle Avvocature Erariali pel biennio 
1884-85, Tip. Eredi Botta-Roma, 1886, pag. 57 e seg. e pag. 220; App. Ancona 12 ottobre 1894 
(in causa Sciarra) e Tr. Roma 1 settembre 1897, App. Roma, 23 nov. 1897 (ambedue in causa 
Accrocca -Min. Pubbi. Istr.) applicabilit� in materia di scavi editto cardinal Pacca, 
7 aprile 1820, Cass. Roma 18 maggio 1893 (causa Berlingeri) indicate in Relazione dell'Avv. 
Gen. Erariale in prosieguo alla relazione pel biennio 1884-85, Tip. Naz. G. Bertero, 
Roma, 1898, pag. 97 e seg.; parere in controversia Matrone, nel quale si afferma l'applicabilit� 
in materia di scavi del regio decreto 14 maggio 1822 del Regno di Napoli, indicato 
in Relazione dell'Avvocato Gen. Erariale per l'anno 1899, Tip. Naz. G. Bertero, Roma, 
1900, pag. 145; denuncia e rinvio a giudizio di tal Carlo Cacace, imputato dei reati previsti 
dai regi decreti 13 e 14 maggio 1822 del Regno di Napoli per aver sottratto e venduto 
reperti archeologici, indicati in Relazione dell'Avvocato Gen. Erariale per il periodo 1900-1901, 
Tip. Naz. G. Bertero-Roma, 1901, pag. 198; Tr. Genova 5 febbraio 1910 e App. Genova 
1 agosto 1910 (ambedue in causa Ottone e Bianchi -Min. Pubbl. Istr.) affermarono, in 
accoglimento tesi erariale, inapplicabilit� art. 714 cod. civ. al ritrovamento casuale di una 
gran pentola con monete d'argento � essendo sostanzialmente diverso lo spirito informatore 
di tale disposizione rispetto a quella dell'art. 14 della legge 12 giugno 1902, n. 185 �, 
indicata in Relazione sulle Avvocature Erariali per l'anno 1910, Tip. Naz. G. Bertero, 
Roma, 1901, pag. 129. 
(16) L. PARPAGI.IOLO, Codice delle antichit� e degli oggetti d'arte, Libreria dello Stato, 
Roma, 1932, 35; M. GRISOLIA, La tutela citata. 

104 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Il che � possibile soltanto presupponendo che lo Stato abbia acquistato 
la disponibilit� materiale della cosa d'arte attraverso l'adempimento 
degli specifici obblighi (di denunzia e custodia) che la legge 
impone allo scopritore ed al detentore (art. 48). Altrimenti dovrebbe 
necessariamente ammettersi che il legislatore abbia inteso riconoscere 
il diritto al premio allo scopritore, anche se costui impossessandosi 
indebitamente della cosa d'arte e disponendone (come � accaduto nella 
specie) ovvero omettendo di adempiere agli obblighi suindicati, ponga 
in essere un comportamento che non soltanto non contribuisce al recupero 
mat.eriale della cosa d'arte ad opera dello Stato, ma � di ostacolo 
a quella materiale apprensione e che in definitiva abbia voluto attribuire 
un premio a colui che invece, in base ad altri precetti contenuti 
nella stessa legge (artt. 67 e 68) � meritevole della sanzione penale (per 
impossessamento delle cose d'arte ed omessa denunzia). 

Ora una tale conclusione � contraddetta dai canoni della interpretazione 
sistematica della legge, la quale � pur sempre ispirata a criteri 
di logica coerenza nel significato che deve riconoscersi alle singole 
norme che la compongono. 

sostenute e spesso accolte dai gh:tdici, dimostrano come gi� allora fosse viva 
la consapevolezza che un reperto archeologico non � una � quaedam depositio 
pecuniae >>, caratterizzata esclusivamente dal suo valore economico e da una 
contrapposizione di omogenei interessi privati, cosicch� si ponga al legislatore 
il solo problema <;lella loro composizione come fece, a suo tempo, il 
� divus Hadrianus � (17)''. Anche in queste non frequenti, ma all'epoca clamorose 
vicende giudiziarie, negli accaniti e dotti dibattiti sostenuti nelle aule 
di giustizia e sulle riviste giuridiche da giuristi famosi, quali Perozzi, Gabba, 
Ferrara, nelle interminabili ed erudite motivazioni delle sentenze, c'� una testimonianza 
di come il livello culturale e di civilt� di gran parte dei � regnicoli � 
fosse pi� elevato di quello, espresso nella legislazione del tempo, dei governanti 
sabaudi e della ristretta e chiusa oligarchia dominante e di come fossero 
maturi i tempi per un provvedimento legislativo di tutela organica delle cose 
di interesse storico ed artistico (18), che si fece tuttavia molto attendere � per 
la resistenza che il Parlamento oppose ad una legge che sembrava, nonostante 
i ricordati precedenti, troppo drastica e negatrice di quei sacri diritti soggettivi, 
come la propriet� privata, che la concezione giuridica e politica del tempo 
attribuiva all'individuo per diritto naturale� (19). 

(17) � Vero � che una piccola schiera cupidamente audace di mercanti, nulla curante 
d'Italia, predica la dottrina del libero scambio fra un quadro e un pasticcio di Strasburgo, 
e vuol far credere che dissotterrare una statua sia il medesimo che scavare un tartufo "� 
F. MARIOTTI, La legislazione delle belle arti, Un. Coop. Ed., Roma, 1892, XL. 
(18) � Son da conservare le ruine, � da impedire che altre statue, altri quadri vadano 
a popolare altri musei e altre gallerie vecchie e nuove di Europa e di America. E veramente 
se nei tempi passati fecero danno a Roma e all'Italia i barbari stranieri e nostrali, ora 
ci fanno guerra i popoli civili per avere essi quello che abbiamo noi. E siccome in antico 
fu la Grecia dove rubaron tutti, ora � l'Italia sola, donde tutti vorrebbero portar via 
il possibile e il desiderabile. Ed � da prender guardia di gente, con o senza dottrina, 
nostrale o forestiera, che per ci� si adopera e che venderebbe Roma e l'Italia, si emptorem 
invenerit, e lo consentissero gl'ltaliani "� F. MARIOTTI, La legislazione citata, pag. XXXVII. 
(19) M. GRISOLA, La tutela citata, pag. 34. 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 105 

Inoltre, deve considerarsi che le disposizioni della legge speciale 
vigente (legge 1� giugno 1939, n. 1089) in ordine al ritrovamento degli 
oggetti di interesse storico e artistico (in particolare gli artt. 43 e 50) 
costituiscono un corpo di norme che, attesa la particolarit� della materia, 
non pu� essere interpretato facendo riferimento alla disciplina 
che il codice civile detta in tema di ritrovamento del tesoro (art. 932), 
stante anche l'assoluta diversit� dei presupposti che le norme hanno 
considerato e degli interessi posti a base della rispettiva tutela giuridica. 

L'art. 932 e.e. disciplina la invenzione del tesoro (come cosa mobile 
di pregio nascosta o sotterrata di cui nessuno pu� provare di essere 
proprietario) e regola esclusivamente il rapporto (privatistico) tra scopritore 
e proprietario del fondo sul presupposto della mera invenzione 
(che costituisce titolo autonomo di acquisto per l'inventore). La legge 
del 1939 invece realizza, al di fuori e al di sopra delle competizioni 
private tra l'inventore ed il dominus soli, un altissimo interesse collettivo 
che -sin dalle prime applicazioni della legge 1909 -si � riconosciuto 
non potersi attuare se non dallo Stato, il che pu� verificarsi 

o con norme amministrative di sorveglianza e di controllo ovvero -secondo 
il sistema esplicitamente introdotto dalla legge 1939 -con l'attri-
Il tardivo provvedimento si concret� nella legge 12 giugno 1902, n. 185, 
che disciplin� negli artt. 14, 15, 16 e 17 l'attivit� di ricerca archeologica, senza 
peraltro stabilire regole diverse da quelle del codice civile per l'acquisto della 
propriet� delle cose ritrovate. La sua insufficienza per un'adeguata tutela del 
patrimonio storico ed artistico, su questo come su altri punti fu subito manifesta 
(20), cosicch� venne presentato nel 1906 un nuovo disegno di legge, che, 
proprio perch� ne fu subito evidente la portata normativa di deroga e di 
frattura della disciplina unitaria del diritto di propriet�, dettata dal codice 
civile, incontr� le stesse resistenze in precedenza manifestatesi e, dopo un 
contrastato procedimento di approvazione (21), fu tradotto nella legge 20 giugno 
1909, n. 264, il cui art. 15 stabil� per la prima volta che � le cose scoperte 
appartengono allo Stato�. 

(20) � La legge del 1902 si � dimostrata deficiente in varie parti, per esempio nella 
tutela delle cose immobili. nella prevenzione del decadimento delle mobili, nel regime degli 
scavi, nell'istituzione del catalogo, nelle norme riguardanti gli enti morali, nella distribuzione 
delle rendite degli istituti di arte e di antichit�, nelle regole delle riproduzioni, 
negli stanziamenti finanziari e singolarmente nelle guarentigie contro l'esportazione �. 
Relazione della Commissione parlamentare (15 maggio 1909) alla legge 20 giugno 1909, 
n. 264, in L. PARPAGLIOLO, Codice citato, pag. 8. 
(21) � Des lignes essentielles du proget de loi, il apparait au contraire clairment que 
la propri�t� priv�e de chose ajant un int�r�t historique et artistique a �t� soumise � une 
discipline sp�ciale. Ce proj'et part de la conception que, dans l'int�r�t de la collectivit�, 
on �ne peut, relativement aux choses desquelles il s'occupe, considerer qu'� proprement 
parler, elles font part d'une propri�t�, et leur appliquer !es r�gles pos�es par le Code 
Civil... Les restrictions apport�es par ce projet -qui, pr�sent� en 1906, n'a �t� que 
r�cemment approuv� par la Chambre des d�put�s -sont si graves qu'il est douteux 
encore qu'il puisse �tre traduit en loi �. R. FUBINI, Revue trimestrielle de droit civil, 
1908, 198. 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

106 

buzione delle cose d'arte scoperte in propriet� allo Stato, nel cui patrimonio 
indisponibile rientrano (art. 826 e.e.). 

Poich� il presupposto della disciplina delle cose d'arte ritrovate 
fortuitamente � la propriet� pubblica dello Stato, ne consegue che il 
premio riconosciuto allo scopritore (sia o meno proprietario del fondo 
in cui � avvenuta la scoperta) non pu� costituire un indennizzo per 
il mancato acquisto del diritto di propriet� sulla cosa d'arte che per 
legge non gli compete. 

In realt� il legislatore del 1939, nel determinare i criteri di liquidazione 
del diritto al premio in favore dello scopritore e del proprietario 
del fondo � stato influenzato dai criteri applicati dal codice civile 
dell'epoca (art. 714 e.e. del 1865) nella disciplina del tesoro e quindi, 

La Commissione parlamentare nella sua relazione alla legge afferm� che 
quella disposizione poneva una deroga alla disciplina del tesoro. Nella parte 
riguardante gli scavi � detto: � Pi� singolare potrebbe parere la disposizione 
per cui lo Stato si fa proprietario della met� delle �cose scoperte a iniziativa 
e cura dei privati; ma, tenendo conto della natura giuridica non ben definita 
delle cose di scavo, le quali non partecipano della natura del tesoro n� della 
propriet� del fondo, la singolarit� viene a cessare� (22). 

Tutti i commentatdri condivisero quella interpretazione, anche se la regola 
di appartenenza allo Stato era contraddittoriamente accompagnata da disposizioni, 
che richiamavano la disciplina del tesoro (artt. 15, 17 e 18) ed imponevano 
la confisca dei reperti non denunciati (art. 35). E anche questa contraddittoriet� 
fu unanimemente rilevata e criticata. Il consenso su questo 
punto fu generale, pur nella disparit� dei giudizi sulla legge nel suo complesso, 
tra i quali spicca l'aspra critica del Perozzi al termine di un importante 
studio sull'istituto del tesoro, che aveva fatto seguito ad altro di venti 
anni prima (23). 

(22) Relazione della Commissione in L. PARPAGLIOLO, Codice citato, pag. 59. 
(23) � Mi si conceda di dire in via di appendice una parola che sia di aperto biasimo 
circa le leggi recenti italiane in materia di antichit� e belle arti... e circa i propositi, 
manifestati da certuni di una piena demanializzazione del sottosuolo archeologico... Si 
domanda in sostanza che lo Stato spogli l'inventore, il quale, o per merito o per fortuna, 
rende coll'opera sua alla societ� ci� che la societ� aveva perduto, di ci� che le ridona. 
Fra l'inventore e lo Stato si crede che il pi� forte sia questo. li. un errore. Lo Stato 
non � che il pi� violento. Il forte � l'inventore; forte dell'interesse personale che lo fa 
cercare e trovare; forte della giustizia che gli suggerisce di godere e smerciare ci� che 
ha trovato; forte dell'intelligenza acuita dall'interesse, che gli fa scorgere le vie di sfuggire 
alla violenza statale. Lo Stato di fronte a lui � un debole; lo Stato non ha per s� 
l'interesse, non ha la giustizia e quanto all'intelligenza temo molto che egli sia tra i 
pi� famosi mediocri che esistano sotto il cielo d'�talia �. S. PEROZZI, Tra la fanciulla di 
Anzio e la Niobide. Studi sul tesoro (art. 714 cod. civ.) in Riv. Dir. Comm., 1910, I, 253, 
e in Scritti Giur., Giuffr�, Milano, 1948, pag. 309; Contro l'istituto giuridico dell'acquisto 
del tesoro in Man. Trib., 1890, 705, e in Scritti Giur. citati, pag. 283; A. MusATTI, La 
nuova legge sulle antichit� e belle arti in Riv. Dir. Comm., 1909, I, 435; G. ROTONDI, I 
ritrovamenti archeologici e il regime di acquisto del tesoro, in Riv. Dir. Civ., 1910, 311. 
Vedi anche per una differenziazione obiettiva fra tesoro e reperti archelogici: A. PARRELLA, 
Signoria dello Stato sui rinvenimenti archeologici, in Riv. Beni Pubblici, 1935, 135, nota 
alle sentenze della Cass., sez. 1 � pen., 28 aprile 1934 e 28 maggio 1934. 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 107 

avendo riconosciuta in ogni caso la propriet� pubblica dello Stato sulla 
cosa d'arte, � stato indotto ad estendere il diritto al premio anche al 
proprietario. Senonch�, questo rilievo puramente estrinseco rappresenta, 
in sede di interpretazione della legge del 1939, un elemento di carattere 
puramente storico ed il motivo (od occasione) che possa avere spinto 
in questo senso il legislatore. Dal punto di vista dell'interpretazione 
logico-sistematica dell'art. 49 della legge (e degli artt. 44, 46 e 47) invece, 
il fondamento giuridico del diritto al premio mentre per lo scopritore 
risiede -a parte la funzione di stimolo e di tangibile riconoscimento 
per chi ha denunziato le cose ritrovate -nell'utile pubblico che consegue 
all'attivit� da esso svolta (scoperta della cosa d'arte seguita dalla 
denunzia e custodia della stessa), per il proprietario della cosa in cui 
� avvenuta la scoperta costituisce il residuato storico di ordinamenti 
(propri del diritto romano e dello Stato pontificio) che adottavano in 
materia una disciplina non dissimile da quella accolta in tema di invenzione 
del tesoro (con attribuzione della propriet� della cosa d'arte all'inventore-
proprietario del fondo). 

Non �costituisce valido argomento in senso contrario l'obiezione ohe 
nessun premio � previsto per il detentore delle cose scoperte (da altri) 
nono$tante che la legge sancisca anche per lui l'obbligo della denuncia 

L'Avvocatura Erariale, che aveva sostenuto la demanialit� dei reperti 
archeologici anche prima della legge del 1902, ribad� la sua tesi (24), e la 
Cassazione di Roma, presieduta da L. Mortara, con sentenza estesa dallo stesso 
presidente, decise che � la legge non ammette la demanialit� del sottosuolo 
artistico archeologico fino a che rimane ignoto e nascosto: ma conferisce 
allo Stato la propriet� dei singoli oggetti, man mano che vengono alla 
luce� (25). 

A seguito di questa autorevole sentenza l'Avvocatura corresse la sua tesi 
difensiva, sostenendo che quando un ritrovamento aveva interesse archeologico 
e numismatico � dovesse il tesoro trattarsi alla stregua della legge speciale... 
derogatrice per la materia alle comuni norme del codice civile >>. E la 
tesi fu accolta dai giudici di merito n� risulta fino alla promulgazione della 
nuova legge alcuna decisione contraria (26). 

La legge 1 giugno 1939, n. 1089, persegu� lo scopo, come si legge nella 
relazione del Ministro, estesa da Santi Romano, presidente della commissione 
ministeriale che ne cur� la redazione, di eliminare � non poche e non lievi 
lacune nonch� vari difetti sostanziali a prescindere da quelli di ordine formale 
e sistematico� (27). Tra tali difetti � stata eliminata la contraddittoriet� 

(24) Relazione sulla R. Avvocatura Erariale per gli anni 1912-1925, Provv. Gen. 
Stato-Roma, 1926, pag. 318. 
(25) Cass. di Roma 27 giugno 1918 in Giur. it., 1918, I, 1, 728. 
(26) Relazione sulla R. Avvocatura Erariale per gli anni 1926-29, Ist. Po!. Stato-Roma, 
1930; pag. 301; Relazione per gli anni 1930-41; Ist. Po!. Stato, 1945, vol. 1, pag. 735; Il 
contenzioso dello Stato negli anni 1942-50, Ist. Po!. Stato, 1953, vol. 1, pag. 383, in cui � 
indicata la sentenza della Cass., sez. un. civ., 24 maggio 1943, in Giur. it., 1943, I, 1, 384, 
che stabil� principi in tema di propriet� delle cose di interesse artistico, storico, archeologico 
rinvenuti in un fondo privato. 
(27) In Le leggi, 1939, pag. 894. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

108 

e della custodia. Infatti la fattispecie costitutiva del diritto al premio 
� una fattispecie complessa la quale, perch� si perfezioni, presuppone 
ad un tempo il fatto della scoperta fortuita della cosa d'arte e quindi 
una dichiarazione di scienza (denunzia all'autorit� competente) in una 
alla custodia delle cose rinvenute, di modo che soltanto in presenza dei 
presupposti indicati si realizza l'effetto giuridico corrispondente (acquisto 
del diritto al premio). Il quale, quindi, nel sistema della legge, non 
spetta al detentore che, pur adempiendo agli obblighi della denunzia 
e custodia non � scopritore fortuito della cosa d'arte. Il principio 
accolto era del resto espressamente riconosciuto dall'editto Pacca che 
per le scoperte fortuite delle cose d'arte cos� statuiva (art. 50 cpv.): 
� L'inventore che non adempie alle presenti disposizioni perde ogni diritto 
al premio� e fu ritenuto valido anche in sede di interpretazione 
della legge 1909, allorch� i suoi interpreti si posero il problema se, in 
seguito all'amnistia per il reato di omessa denuncia di scoperte fortuite, 
lo scopritore potesse far valere il diritto al premio e si rispose 
prevalentemente nel senso che, mentre gli oggetti rinvenuti erano di 
propriet� dello Stato, al proprietario-scopritore non spettava il diritto 

alla met� delle cose ritrovate (o al corrispondente valore). 

A maggior ragione lo stesso principio deve ritenersi applicabile in 
sede di interpretazione dell'art. 49 della legge del 1939 che ancor pi� 

delle disposizioni riguardanti l'acquisto in via ongmaria delle cose ritrovate 

o fortuitamente scoperte, le quali, poi, con l'art. 826, secondo comma, cod. civ., 
sono state attribuite al patrimonio indisponibile dello Stato. 
In base a queste nuove disposizioni, la relazione sul terzo libro del codice 
civile si espresse sull'istituto del tesoro in questi termini: � Si tratta, per altro, 
di un istituto di importanza pratica assai ridotta per effetto delle leggi speciali 
sul ritrovamento degli oggetti di interesse storico, archeologico, paletnologico, 
paleontologico ed artistico, le quali rimangono naturalmente ferme 
(art. 122, terzo comma) �. E in questo passo della'.' relazione, in primo luogo, 
� dato cogliere una sorta di giustificazione per la mancata abolizione o, quantomeno, 
modificazione dell'istituto del tesoro, postulata da parte della dottrina; 
inoltre, si desume anche che il rinvio alle leggi speciali, contenuto nel terzo 
comma dell'art. 932 (art. 122 del terzo libro), esclude nei �casi considerati� 
l'appHcabilit� di quella disposizione e non consente neppure di inquadrare .da 
un punto di vista sistematico il ritrovamento di oggetti di interesse artistico 
e storico nell'istituto giuridico del tesoro. Separa nettamente, quindi, non 
accomuna le due fattispecie giuridiche e le loro distinte discipline legislative. 
E tutti i commentatori furono concordi nell'affermare che con le nuove disposizioni 
� � definitivamente rotto ogni legame con la disciplina del tesoro del 
codice civile � (28). 

Sostenere a questo punto sulla base della normativa vigente l'inquadramento 
da un punto di vista sistematico dei ritrovamenti archeologici nell'istituto 
giuridico del tesoro � come dar vita ad un fantasma e, al di l� dell'errore 
dogmatico, muoversi, con assoluta mancanza di prospettiva storica e di valu


(28) M. GRISOLIA, La tutela citata, pag. 460; P.O. GERACI, La tutela citata, pag. 138. 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 109 

ha accentuato gli obblighi cui sono soggetti sia lo scopritore che qual� 
siasi detentore delle cose scoperte fortuitamente, sanzionando anche in 
sede penale il relativo inadempimento. 

N� potrebbe sostenersi validamente che, rivestendo il Fontana ad 
un tempo le qualit� di scopritore-proprietario della cosa in cui avvenne 
la scoperta delle monete d'oro, il diritto al premio se non gli spetta 
come scopritore, per l'inadempimento agli obblighi di cui sopra, non 
potrebbe essergli negato come proprietario del fondo, in cui avvenne 
il ritrovamento. 

Vero � che l'art. 49 della legge attribuisce �eguale premio,. non 
solo allo scopritore fortuito, ma anche al proprietario della cosa in 
cui avvenne la scoperta; ma una tale duplicit� dei diritti soggettivi in 
tanto � concepibile in quanto si tratti di soggetti diversi che facciano 
valere le distinte pretese per titoli autonomi. 

Quando invece si tratti -come nel caso in esame -dello stesso 
soggetto che ad un tempo riassume in s� la duplice veste di scopritore 
e proprietario della cosa in cui avvenne la scoperta, deve ritenersi che 
il tifolo acquisitivo del diritto al premio, costituito dalla qualit� di scopritore 
(in quanto abbia adempiuto agli obblighi di denuncia e custodia), 
assorbe in s� e rende privo di rilevanza giuridica qualsiasi altra qualit� 
che il soggetto medesimo possa presentare, giacch�, per definizione, 

tazione delle situazioni concrete, che si � inteso via via disciplinare e governare, 
in senso opposto all'evoluzione dell'ordinamento durante un secolo di 
storia, all'inizio del quale una parte autorevole della dottrina privatistica, 
primo fra tutti il Perozzi, gi� sosteneva, proponendone l'abolizione, che l'isti� 
tuto del tesoro null'altro rappresentasse che il residuo fossile di una tradizione 
giuridica superata. 

5. -Meritavano cos� diffusa disamina gli errori di una remota, isolata sentenza, 
dopo la radicale, esauriente, approfondita revisione da parte della stessa 
sezione della Cassazione dei principi di diritto allora affermati? 
Non l'avrebbero meritata in altra materia. Ma sulla legge per la tutela delle 
cose di interesse artistico e storico, forse per la scarsa frequenza delle controversie, 
non si � ancora formata una solida giurisprudenza, che sia di guida 
all'azione amministrativa. Le pronunce della Cassazione, talvolta deludenti nella 
soluzione del caso concreto, sono state spesso sorrette da motivazioni, che 
potremmo definire episodiche, non ancorate a principi generali, che rappr& 
sentino punti di riferimento per l'interpretazione ed applicazione della legge 
nel suo complesso. 

La sentenza qui pubblicata si differenzia decisamente dalla frammenta� 
riet� delle decisioni precedenti per il modo, con cui ha affrontato la soluzione 
della controversia, collegando caso concreto e norma applicabile ai principi 
generali. Per ripercorrerne le ragioni giuridiche ed approfondirne le imposta� 
zioni di principio, al di l� di quanto � possibile nei limiti obbligati della pur 
esauriente motivazione, � sembrato utile il confronto con la precedente sen� 
tenza ed il sintetico riepilogo dell'evoluzione legislativa, da cui � scaturita la 
normativa vigente. 

ENRICO VITALIANI 

IO 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

in tal caso il premio, che non pu� superare il quarto del valore delle 
cose stesse esaurisce tutte le pretese che lo scopritore possa far valere 
nei confronti dello Stato. Infatti in tal caso la unicit� del soggetto 
che ad un tempo � scopritore fortuito e proprietario del fondo non 
fa venir meno nei confronti di tale soggetto il collegamento necessario 

ed imprescindibile tra l'adempimento degli ?bblighi che gli derivano 
dalla sua qualit� di scopritore e/o detentore delle cose scoperte e 
l'acquisto del diritto al premio che la legge stessa gli riconosce, nel 
senso che l'adempimento dell'obbligo costituisce il presupposto necessario 
per l'acquisto del diritto. 

In conclusione, la sentenza impugnata, avendo negato il diritto al 
premio al Fontana nella sua duplice veste di scopritore delle monete 
antiche d'oro e di proprietario deUondo in cui � avvenuta la scoperta, 
poich� il medesimo si era indebitamente appropriato di tali cose, disponendone 
e quindi era venuto meno agli obblighi impostigli dall'art. 48 
della legge del 1939, si � attenuta ad esatti criteri giuridici e non merita 
la censura formulata con l'unico motivo del ricorso, che deve essere 
respinto. {omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 20 novembre 1979, n. 6055 -Pres. Aliotta 
-Est. Martinelli -P. M. Pedace (conf.) -Beccia c. Ministero della 
Pubblica Istruzione (avv. Stato Freni). 

Giurisdizione civile -Controversia di impiego pubblico attinenti a diritti 
patrimoniali conseguenziali -Spettano al Pretore quale giudice del 
lavoro. 

Le controversie sui diritti patrimoniali conseguenziali alla pronunzia 
di annullamento di un atto amministrativo afferente ad un rapporto di 
impiego pubblico da parte del giudice amministrativo sono riservate 
alla competenza per materia del Pretore, quale giudice del lavoro del 
luogo dove ha sede la tesoreria incaricata del pagamento del relativo 
titolo di spesa (1). 

{1) Trattasi di princ1p10, per quanto consta, nuovo. 

Prima dell'entrata in vigore della legge 11 agosto 1973, n. 533, che ha intro� 
dotto la nuova disciplina del processo del lavoro, non si dubitava che le controversie 
sui diritti patrimoniali conseguenziali all'annullamento da parte del 
giudice amministrativo di un atto afferente ai rapporti di pubblico impiego, 
avessero natum obbligatoria e pertanto soggette a1la normale regola delila 
competenza per valore, mentre per quanto rifletteva la competenza per territorio 
era pacifico il collegamento all'ufficio di tesoreria incaricato del pagamento 
del titolo di spesa (v. Cass. 10 maggio 1974, n. 1329, in questa Rassegna 
1974, I, 1187, ove richiami). 

Con la sentenza in rassegna il S.C. ha ritenuto che con l'entrata in vigore 
del nuovo processo del lavoro, ed in particolare per effetto del riferimento 

�. 

~ 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 111 

(omissis) Con unico motivo il ricorrente aooetta il criterio di 
collegamento (forum solutionis -Campobasso) ma assume che, quando 
lo Stato � convenuto, non opera lo spostamento di competenza di cui 
alla prima parte dell'art. 25 c.p.c. e, di conseguenza, contesta la competenza 
per territorio del Tribunale di Napoli e chiede che sia riaffermata 
quella del Tribunale di Compabosso. Osserva il ricorrente che, 
allorquando lAmministrazione � convenuta, il legislatore con le parole 
� tale distretto � contenuto nell'art. 25 c.p.c., non si riferisce affatto al 
foro erariale, ma a quello che si determina con riguardo non solo al 
luogo, ma essenzialmente al giudice del luogo ove � sorta o deve eseguirsi 
l'obbligazione; luogo che nella specie � Campobasso. 

L'Amministrazione sembra accogliere, anche se con qualche perplessit�, 
il criterio di collegamento posto a base della sentenza impugnata 
ed afferma che la competenza, in tal caso, spetta certamente, in conformit� 
al consolidato orientamento giurisprudenziale e della dottrina, 
al Tribunale di Napoli per effetto dell'attrazione della competenza al 
giudice del luogo ove ha sede l'ufficio dell'Avvocatura distrettuale. 

Il Procuratore Generale afferma, invece, che in subiecta matera 
questa Corte deve porsi la questione se la competenza in ordine alla 
domanda di danni dipendenti dal provvedimento annullato, e richiesti 
dopo le pronunce del giudice amministrativo, spetti al Pretore, quale 
giudice del lavoro, ex art. 409 c.p.c. 

Il rilievo, formulato dal Procuratore Generale �, pienamente fondato, 
considerato che questa Corte, in sede di regolamento di competenza, 
pu� prospettarsi d'ufficio la questione circa la competenza di 
un giudice diverso rispetto a quello indicato nel provvedimento oggetto 
del regolamento, o nell'istanza; soprattutto se trattasi, come nella specie, 
di competenza per materia. 

� esatta, inoltre, la tesi prospettata dal Procuratore Generale che 
le controversie riguardanti i diritti patrimoniali conseguenziali, discendenti 
dalla pronuncia di annullamento del provvedimento amministrativo 
da parte del Tribunale amministrativo regionale, o del Consiglio 
di Stato (ex art. 30, t.u. n. 1054 del 1924) in materia di rapporto di 
pubblico impiego, anche se riguardanti lo Stato o gli altri enti previsti 

contenuto nel n. 5 dell'art. 409 agli � altri rapporti di lavoro pubblico >>, il 
legislatore abbia assegnato alla competenza del giudice del lavoro tutte le 
controversie che comunque trovino la loro fonte nel rapporto di lavoro, anche 
se trattasi di rapporti su cui il giudice ordinario � chiamato a pronunciarsi 
in via del tutto residuale dopo che il giudice amministrativo ha conosciuto 
della legittimit� dell'operato della P.A. 

Si tratta, a ben vedere, di una interpretazione un po' forzata della lettera 
della legge, posto che i rapporti patrimoniali conseguenziali all'annullamento 
dell'atto amministrativo hanno perso quella � colorazione laburistica � che in 
base all'art. 409 c.p.c. ne consente la trattazione da parte del giudice del lavoro. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

dall'art. 29, legge cit., rientrando nella giurisdizione del giudice ordinario 
non si sottraggono ai fini della competenza per materia alla cognizione 
del Pretore, quale giudice del lavoro. In tal senso � l'ormai costante 
indirizzo di questa Corte. 

Infatti, se � pur vero che rientrano nella competenza del giudice 
del lavoro quei rapporti di lavoro di dipendenti di enti pubblici, che 
svolgono esclusivamente o prevalentemente attivit� economica (ex art. 409, 

n. 4, c.p.c.), nonch� quei rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici 
diversi, sempre che non siano devoluti, espressamente dalla legge 
ad altro giudice, � del tutto evidente che in tale competenza, per espresso 
richiamo legislativo, rientrano pure . gli altri rapporti di lavoro pubblico, 
anche se non intercorrenti con enti pubblici, sempre che per questi 
non sia, espressamente, prevista la competenza del giudice speciale. Tale 
tipo di rapporto di lavoro pubblico non pu� che essere indubbiamente 
quello esistente con l'amministrazione statuale, altrimenti non avrebbe 
senso il richiamo espresso, contenuto nel numero cinque dell'art. 409 
c.p.c., a generici rapporti di lavoro pubblico di seguito all'indicazione 
di rapporti di lavoro pubblico intercorrenti con enti pubblici. Infatti 
tale richiamo, se non dovesse riguardare rapporti diversi da quest'ultimo, 
rivestirebbe un carattere meramente tautologico. 
Da ci� consegue che le controversie riguardanti rapporti di lavoro 
pubblico, riservati alla giurisdizione del giudice amministrativo, una 
volta intervenuta la pronuncia di quest'ultimo organo, per quanto attiene 
i diritti patrimoniali conseguenziali all'annullamento dell'atto amministrativo 
non possono che rientrare nella competenza del giudice ordinario, 
e, pi� specificatamente, in. quella del Pretore, quale giudice del 
lavoro. Invero, in caso contrario si dovrebbe riconoscere l'esistenza di 
una grave anomalia nel sistema instaurato dalla nuova legge in materia 
di lavoro se si dovesse ritenere che una controversia di lavoro, quale � 
quella sui diritti patrimoniali conseguenziali all'annullamento dell'atto 
amministrativo, pur rientrando nella giurisdizione del giudice ordinario, 
non dovesse poi, soggiacere, in mancanza di un espresso richiamo legislativo, 
alle norme sulla competenza per materia, in base alle quali, 
qualunque sia il valore della causa di lavoro, questa rientra nella competenza 
del Pretore. 

Premesso quanto sopra in relazione alla competenza per materia, 
va rilevato che pure la competenza per territorio in ordine alla causa 
in oggetto spetta al Pretore di Campobasso. 

� ius receptum che nell'ipotesi di domanda di pagamento di somma 
di denaro nei confronti della P.A., la competenza per territorio spetta 
all'Autorit� giudiziaria del luogo in cui risiede il tesoriere che secondo 
le norme della pubblica contabilit� deve procedere al pagamento a 
seguito di regolare mandato (cfr. Cass., Sez. Un., n. 1329/74) l'Ufficio 

i 

I 


I1 

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PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 113 

pagatore, nel caso di specie � Campobasso, ivi trovandosi, pacificamente, 
la sede dell'ufficio di tesoreria tenuto ad effettuare, in ipotesi, il pagamento 
della somma richiesta. 

Una volta accertato che valgono le norme di competenza per materia 
di cui alla legge n. 533/73, va quindi dichiarata la competenza per 
territorio del Pretore di Campobasso, giacch� a norma dell'art. 7, r.d. 
30 ottobre 1933, n. 1611, le norme ordinarie di competenza rimangono 
ferme, anche quando sia in causa un'Amministrazione dello Stato, per i 
giudizi innanzi ai pretori. (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 26 novembre 1979, n. 6178 -Pres. 
La Farina -Est. Scanzano -P. M. Berri (conf.) -AMAS (avv. Stato 
Del Greco) c. Belberi (avv. Zilioli). 

Giurisdizione civile -Regolamento previentivo di giurisdizione � Istruzione 
preventiva � Ammissione del mezzo istruttorio � Non preclude la 
proposizione del regolamento. 

Espropriazione per p.u. � Occupazione d'urgienza � Accertamento preventivo 
dello stato dei luoghi e delle condizioni dei beni da occupare 
Ammissibilit�. 

Il regolamento preventivo di giurisdizione nei confronti di una domanda 
di istruzione preventiva � ammissibile anche se il mezzo istruttorio 
� stato dal giudice gi� disposto (1). 

A richiesta del proprietario, i cui beni sono occupati in via d'urgenza 
per la realizzazione di un'opera pubblica, il giudice competente ha il 
potere di ammettere accertamento tecnico preventivo al fine di far accertare 
lo stato dei luoghi e la qualit� dei beni occupati (2). 

(1-2) La prima massima conferma un princ1p10 pi� volte affermato dal 

S.C. accogliendo pienamente le richieste dell'Avvocatura (v. Cass. 22 marzo 1972, 
n. 878, in questa Rassegna 1972,� I, 392; Cass. 29 ottobre 1974, n. 3251, in Giust. civ. 
1975, I, 4). 
Il principio contenuto nella seconda massima conferma, a sua volta, l'affermazione 
contenuta neLla sentenza 1� ottobre 11%4, n. 2564, in questa Rassegna 
1964, I, 1046. 

Anche se il consolidarsi dell'affermazione fa ritenere l'inutilit� di riproporre 
la questione non possono non confermarsi alcune perplessit� circa l'esattezza 
del principio affermato. 

A prescindere, invero dal diverso orientamento che lo stesso S.C. ha accolto 
relativamente all'istruzione preventiva in materia tributaria (v. sent. 29 ottobre 
1974, cit.) -pur se non possono sottacersi la diversit� degli interessi che ven� 



114 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
(omissis) Secondo l'amministrazione ricorrente, l'autorH� giudiziaria 
ordinaria difetta di giurisdizione in ordine ad una domanda di accertamento 
tecnico preventivo, 1quale proposta nella specie dal Bel1eri: e ci�, 
sia per.ch� durante la procedura di �espropriazione per pubblico interesse 
(come durante quella di occupazione d'urgenza) il proprietario non ha 
un diritto, attualmente azionabile, aH'~ndennizzo {a11a cui tutela l'accertamento 
richiesto sarebbe finalizzato), sia perch� il provvedimento del 
giudice, oltre ad �essere privo di qualunque utilit�, verrebbe ad inddere 
sull'attivit� riservata alla pubblica amministrazione alla quale spetta 
compiere il medes1mo accertamento, in contraddittorio col proprietario, 
mediante ila forma.zione dello stato di consistenza. 
Il ricorso � privo di fondamento. 
Va premesso che non � controversa l'ammissibilit� del regolamento 
preventivo di giurisdizione in pendenza di un procedimento di istruzione 
preventiva, pur dopo che il mezzo istruttorio sia stato disposto (v. Sez. 
Un., 2689/72, 1977/75, 1766/68). 
Detto questo, deve rilevarsi che la giurisdizione del giudice ordinario 
riguardo ad un'istanza di accertamento tecnico preventivo sulla natura, 
sulla qualit� e sulle condizioni di un immobile soggetto a procedura 
di espropriazione per pubblico interesse, � stata gi� affermata da questa 
Suprema Corte con sentenza 10 ottobre 1964, n. 2563, e che nella relativa 
motivazione trovansi gi� confutati gli argomenti che l'A.N.A.S. ora prospetta 
in contrario. 
A parte ogni ragionevole dubbio sull'attinenza alla giurisdizione (anzich� 
all'interesse ad agire), dei primi due dei detti argomenti (pretesa 
superfluit� dell'accertamento tecnico preventivo, e pretesa non attualit� 
del diritto alla cui tutela esso � finalizzato), non pu� negarsi che rispetto 
gono coinvolti nelle due situazioni -sembra potersi osservare che appare stra� 
namente elusiva l'affermazione che � sar� solo questione di puro merito quella 
che potr� sorgere, in sede di opposizione alla stima dell'indennit�, in ordine 
alla attendibilit� dell'uno (stato di consistenza) o dell'altro (accertamento preventivo) 
in caso di eventuali divergenze tra le rispettive risultanze"� 
In realt� secondo la giurisprudenza amministrativa i vizi dello � stato di 
consistenza �, sia formali che sostanziali, debbono essere fatti valere in quella 
sede mediante impugnazione del provvedimento conclusivo del procedimento. 
E se si riconosce l'ammissibilit� di un accertamento preventivo si finisce 
per svuotare di qualsiasi significato lo stato di consistenza redatto in sede di 
procedimento amministrativo, posto che le preclusioni formatesi in quella sede 
-e che trovano la loro giustificazione in imprescindibili esigenze di certezza 
dell'attivit� amministrativa -vengono completamente superate attraverso un 
procedimento giudiziario che ne costituisce esattamente il doppione e che ha 
l'unico vantaggio, rispetto all'impugnativa dello stato di consistenza, che il momento 
della sua proposizione � rimesso alla scelta del proprietario che ha subito 
l'occupazione e non all'Amministrazione. ~= 9. 

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PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

allo stato di consistenza, che � un atto compilato a cura dell'espropriante, 
in caso di occupazione d'urgenza, senza un contraddittorio garantito 
da un organo imparziale, la consulenza tecnica preventiva realizza 
un risultato pi� rispondente alle esigenze di un fedele accertamento 
della natura e condizione dei beni, sia per la maggiore ampiezza, 
che, in relazione alla particolarit� del caso, pu� assumere la relativa 
indagine, sia per la garanzia assicurata dalla instaurazione di un formale 
contraddittorio e dalla direzione del giudice. Pu� dunque ben affermarsi, 
sotto questo profilo, che esiste materia di attivit� giurisdizionale. 

Per contestare che questa materia attenga ad un diritto soggettivo 
perfetto, non giova all'A.N.A.S. rilevare che un diritto al giusto indennizzo 
non � configurabile prima che l'espropriazione sia compiuta. In 
contrario, invero, � sufficiente osservare che con il chiesto accertamento 
preventivo il Belleri ha agito non per ottenere il soddisfacimento di 
quel diritto (che certamente. non pu� essere soddisfatto prima dell'espropriazione 
perch� non pu� coesistere -come diritto attuale -col diritto 
di propriet�), ma per ottenerne una tutela cautelare, mediante un procedimento 
che ha appunto natura cautelare. Indiscutibile essendo che 
il diritto all'indennit� costituisce un diritto soggettivo perfetto, alla connotazione 
di esso (sottolineata dall'A.N.A.S.) quale diritto futuro e condizionato 
corrisponde la caratteristica dell'accertamento tecnico preventivo 
quale mezzo istruttorio destinato a spiegare i suoi effetti in un 
processo futuro: il che per� non toglie che esistano in termini di attualit� 
gli elementi in base ai quali l'entit� di quel diritto va determinato, 
l'inerenza di essi al diritto medesimo e l'interesse ad ottenerne l'accertamento 
immediato. 

Deve infine escludersi che il provvedimento chiesto dal Belleri e gli 
atti istruttori compiuti in esecuzione di esso possano determinare alcuna 
incidenza su attivit� riservate alla pubblica amministrazione. Il detto 
provvedimento, per la diversit� della sua natura e dell'organo che l'ha 
emesso, si pone e rimane al di fuori del procedimento amministrativo 
attraverso il quale l'espropriazione si compie, e non impedisce la possibilit� 
del regolare svolgimento di alcun atto di quel procedimento. 

I risultati della consulenza tecnica si aggiungono a quelli espressi 
dallo stato di consistenza ma non li elidono, e, soprattutto, non elidono 
il valore che lo stato di consistenza ha come specifico atto del procedimento 
anzidetto, e sar� solo questione di puro merito quella che potr� 
sorgere, in sede di opposizione alla stima dell'indennit�, in ordine all'attendibilit� 
dell'uno o dell'altro atto in caso di eventuali divergenze tra 
le rispettive risultanze. 

Deve quindi conclusivamente affermarsi che si � in presenza di una 
forma di tutela cautelare di un diritto soggettivo perfetto, ed in tal 
senso deve dichiararsi la giurisdizione dell'A,G.O. (omissis). 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 13 dicembre 1979, n. 6496 -Pres. 

Rossi -Est. Vela -P. M. Berri (conf.) -Istituto Poligrafico dello Stato 

(avv. Stato Cerocchi) c. Muraglia (avv. Diana). 

Giurisdizione civile -Difetto di giurisdizione -Limiti alla sua eccepibilit�. 

Lavoro -Rapporto di lavoro -Indennit� di anzianit� -Computo del lavoro 
straordinario � Condizioni. 

La possibilit� di rilevare, d'ufficio o ad istanza di parte, in ogni stato 
e grado del processo, il difetto di giurisdizione del giudice straordinario 
� preclusa sia quando sia intervenuta una sentenza della Corte regolatrice, 
sia quando sia intervenuta una sentenza sulla giurisdizione del 
giudice di merito non impugnata, sia, infine, quando sia intervenuta una 
pronunzia su un capo di domanda passata in cosa giudicata (1). 

Deve essere computato ai fini dell'indennit� di anzianit� anche il 
compenso per lavoro straordinario quando sia dimostrato che detto compenso 
sia stato costantemente corrisposto, anche se non sia previsto in 
contratto e, pertanto, non costituisce un corrispettivo sul quale il lavoratore 
pu� contare con certezza (2). 

(1-2) L'esigenza pratica, peraltro del tutto giustificata anche alla luce di evi� 
denti esigenze di economia processuale, ha indotto il S.C. a confermare l'indirizzo, 
gi� pi� volte affermato (v. da ultimo sent. 13 luglio 1979, n. 4062) secondo 
cui, oltre ad una pronunzia definitiva sulla giurisdizione anche la pronunzia di 
una sentenza passata in giudicato su di uno dei capi di domanda su cui verte 
il giudizio esclude la possibilit� di pronunziare il difetto di giurisdizione del 
giudice ordinario a favore di un giudice speciale. Sembra, peraltro, opportuno 
rilevare che la preclusione si verifica solo quando il capo di domanda su cui si 
� formato il giudicato, rifletta lo stesso rapporto, ancora in contestazione, mentre 
non sembra che tale preclusione si verifichi relativamente ad altra domanda 
che si fonda su diverso rapporto e che per avventura sia stata proposta cumulativamente 
a quella in parte decisa. 

Il principio affermato nella seconda massima consolida l'indirizzo pi� recente 
della S.C. secondo cui il carattere della continuativit� che deve rivestire 
il compenso per essere computabile a mente dell'art. 2121 cod. civ. ai fini della 
indennit� di anzianit�, prescinde dalla natura del compenso stesso ritenendosi, 
invece, sufficiente che esso si sia mantenuto costante nel tempo (in senso conf. 
Cass. 23 giugno 1978, n. 3126, in Giust. civ. 1978, I, 1557, ove richiami). 


SEZIONE QUINTA 

GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un. Civili, 2 novembre 1979, n. 5687 -

Pres. (f.f.) Sbrocca -Rel. Fabi -P. M. Pedace (conf.) -Ministero 

Affari Esteri (avv. Stato Carafa) c. Sintini (avv. Costa e Pizzuti). 

Avvocatura dello Stato -Notifiche -Ricorso avverso decisioni del Consiglio 
di Stato -Termine � Decorrenza � Notificazione -Forma -Notificazione 
presso la competente Avvocatura dello Stato -Necessit� � 
Sussiste � Effetti. 

Giurisdiiione � Ricorso per cassazione avverso decisioni diel Consiglio di 
Stato -Limiti � Deducibilit� dell'erronea interpretazione e falsa appli� 
cazione di legge � Preclusione ex art. 362 c.p.c. 

Ai sensi dell'art. 11, primo comma, r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, come 
sostituito dalla legge 25 marza 1958, n. 260 (che ha comportato altres� 
una deroga alla disciplina di cui agli artt. 7 e 87 del Regolamento 642/1907 
e 36 del t.u. 26 giugno 1924 n. 1054), solo dalla notificazione della decisione 
del Consiglio di Stato presso l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato 
nella persona del Ministro competente inizia a decorrere il termine per 
proporre ricorso in cassazione per difetto di giurisdizione, essendo irrilevante 
a tale scopo la notificazione effettuata direttamente presso l'Amministrazione 
ancorch� essa risulti ritualmente costituita in giudizio tramite 
l'Avvocatura (1). 

La disciplina contenuta nell'art. 362 c.p.c. non consente di ritenere 
comprese fra i vizi della decisione denunciabili con ricorso alle Sez. Un. 
della Cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione anche l'erronea 
interpretazione e la falsa applicazione di legge, non trattandosi di vizi 
tipici attinenti all'esercizio del potere giurisdizionale quali l'eccesso di 

(1-2) La prima massima supera il contrasto in passato evidenziato in sede 
giurisdizionale (cfr. Sez. IV, C. Stato 20 ot~obre 1964, n. 1043, in Il Consiglio di 
Stato 1964, I, 1698; Sez. VI 11 nov. 1977, n. 850, ivi 1977, I, 1726; Sez. IV, 25 novembre 
1977, n. 1059, ivi, 1977, I, 1648; Cass. 28 luglio 1964, n. 2121, in Foro It. 
Mass. 1964, 558; Ad. Pl. C. Stato 23 marzo 1979, n. 9, in Foro lt. 1979; III, 310 
con nota di richiami) e va collegata con il terzo comma dell'art. 10 della legge 
103/1979 secondo cui l'art. 1 della legge 25 marzo 1958, n. 260, si applica anche 
nei giudizi innanzi al Consiglio di Stato e ai Tribunali Amministrativi Regionali. 

La seconda massima � conforme al costante insegnamento giurisprudenziale 
sui motivi relativi alla giurisdizione, idonei a consentire la proposizione del ricorso 
alle Sezioni Unite della Cassazione avverso le sentenze del Consiglio di 
Stato (cfr. ad es. Cass. 21 nov. 1977 n. 5061, in Foro It. Rep. 1977, voce Giustizia 
Amm.va n. 73; cfr. anche Cass. 10 gennaio 1979, n. 149, in Foro It. 1979, I, 2704). 



118 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

potere giurisdizionale, l'invasione della sfera giurisdizionale riservata all'A.
G.O. o ad altro giudice speciale, l'effettuato sindacato di merito laddove 
� consentito il mero controllo della legittimit� dell'atto amministrativo, 
il rifiuto dell'esercizio del potere giurisdizionale, la illegittima 
costituzione del Collegio (2). 

CONSIGLIO DI STATO, Ad. Pl., 19 ottobre 1979, n. 24 � Pres. (ff.) Imperatrice 
� Est. Delfino � Associazione �Italia Nostra� (avv. !annotta e 
Satta) c. Sopraintendenza ai monumenti e gallerie dell'Aquila (avv. Stato 
Tarin) e Soc. S.I.S.I.P.N.A. (avv. Sorrentino). -Appello avverso T.A.R. 
Abruzza 4 dicembre 1975 n. 232. 

Giustizia amministrativa � Interesse legittimo � Interessi diffusi -Tutela 
del paesaggio � BellezZ(e naturali -Tutela di interessi diffusi appartenenti 
ad una collettivit� -Presupposti. 

Giustizia amministrativa -Interesse legittimo -Interessi diffusi -Criteri 
� Presupposti � Natura. 

Giustizia amministrativa -Legittimazione sostanziale e proeiessuale -Associazioni 
-Italia Nostra � Riconoscimento governativo � Effetti � Limiti. 

Giustizia amministrativa -Legittimazione sostanziale e processuale Associazioni 
-Italia Nostra -Tutela di interessi costituenti finalit� 
statutaria � Configurabilit� di interesse legittimo -Irrilevanza. 

Giustizia amministrativa � Legittimazione sostanziale e processuale � Associazione 
Italia Nostra -Tutela di interessi costituenti finalit� statutaria 
-Legittimazione -Limiti. 

In considerazione della finalit� di esclusivo interesse pubblico perseguita 
dall'ordinamento nella tutela dei beni dell'ambiente naturale, il soggetto 
singolo, sia individualmente considerato, sia come componente della 
collettivit�, � portatore di interessi di mero fatto, non gi� di interessi legittimi 
al corretto esercizio dei poteri preordinati alla tutela; peraltro, 
qualora la salvaguardia del paesaggio e delle bellezze naturali inerisca al 
godimento concreto di tali beni, il singolo cittadino pu� diventare titolare 
di una posizione di interesse legittimo tutelabile in sede giurisdizionale 
non solo da esso singolo ma anche -in relazione al carattere dif � 
fuso di detto interesse -dalla formazione sociale (ad es. associazione) 
nella quale si svolge la sua personalit� ex art. 2 Cast., ferma restando peraltro 
la necessit� di una indagine preliminare caso per caso, volta a stabilire 
se l'interesse del singolo sia effettivamente differenziato rispetto a 
quello della collettivit� generale e possa qualificarsi come legittimo. (1). 

Poich� la categoria degli interessi diffusi non si esaurisce con gli interessi 
appartenenti ad una collettivit� e quindi ai suoi componenti come 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 119 

tali, rientrano in essa anche gli interessi che -pur qualificati soggettivamente 
con riferimento a tutti o a parte dei componenti di una data collettivit� 
-possono imputarsi in concreto a ciascuno di essi, individualmente 
considerati, riguardo allo stesso bene; in siffatta ipotesi l'interesse diffuso 
viene ad identificarsi con l'interesse legittimo ogni qualvolta esso risulti 
specifico, con duplice riferimento sia all'oggetto della tutela sia al rapporto 
in cui ogni componente della collettivit� venga a porsi con il bene tutelato 
e non si identifichi quindi con gli interessi pubblici generali della 
collettivit� (2). 

A norma aell'art. 36, secondo comma, e.e., anche le associazioni non riconosciute 
sono fornite di una capacit� processuale autonoma e distinta 
da quella dei singoli associati e pertanto il riconoscimento governativo 
� irrilevante sotto il duplice profilo della legittimazione sostanziale e di 
quella processuale (3). 

Il semplice fatto della assunzione nello statuto di una associazione 
come �Italia Nostra� della finalit� di tutela di un certo interesse indifferenziato 
non � sufficiente a trasformare quest'ultimo in interesse legittimo 
e a conferire conseguentemente all'associazione la legittimazione sostanziale 
a ricorrere (4). 

(1-5) La impossibilit� di individuare soggetti controinteressati in materia di 
vincoli indiretti ex art. 21 della legge di tutela dei beni culturali e artistici 
(1 giugno 1939, n. 1089) � stata ritenuta anche dal TAR del Lazio, II Sez., nella 
decisione 20 giugno 1979, n. 508 (in I Tribunali Amm.vi Regionali 1979, I, 1993). 
La presente decisione, peraltro, riveste importanza particolarmente notevole in 
quanto, nel recepire la categoria degli interessi diffusi anche con riferimento 
alla protezione delle bellezze naturali (la cui legge di tutela, del resto, n. 1497 
del 29 giugno 1939, all'art. 3 ammette espressamente a partecipare alla formazione 
degli elenchi di cui all'art. 2 chiunque, senza essere proprietario, possessore 
o detentore, ritenga di avervi interesse), ha sancito che, per quanto 
concerne le associazioni del tipo di � Italia Nostra �, e cio� le associazioni riconosciute, 
contrariamente a quanto ritenuto dalla Sez. V con dee. 9 marzo 1973, 

n. 253 (in Il Consiglio di Stato 1973, I, 419), il riconoscimento governativo non 
costituisce n� condizione sufficiente della legittimazione sostanziale, n� presupposto 
necessario di quella processuale e ci� in quanto anche le associazioni non 
riconosciute sono fornite di una capacit� processuale autonoma e distinta da 
quella dei singoli associati ex art. 36, secondo comma, c.p.c. 
L'esclusione della legittimazione dell'Associazione Italia Nostra ad esperire 
rimedi giurisdizionali contro un provvedimento che incida su interessi diffusi 
della collettivit� era stata affermata anche dalle SS.UU. della Suprema Corte 
con la decisione 8 maggio 1978, n. 2207 (in Il Consiglio di Stato 1978, II, 396) nella 
quale, fra l'altro, si legge testualmente in motivazione: �La riprova della non 
configurabilit� ne11'ordinamento vigente di una tutela giurisdiziona~e degli interessi 
diffusi come principio generale, � data dal considerare che, l� dove questa 
tutela � stata accordata con legittimazione del singolo o dell'Ente esponenziale, 
si � reso necessario l'intervento del Legislatore mediante provvedimenti di carattere 
particolare e dotati di cautele specifiche. Cos�, a parte la legittimazione 
delle associazioni riconosciute e comprese in appositi elenchi a costituirsi parti 
civili nei giudizi per frodi alimentari (r.d.l. 15 ottobre 1925, n. 2033) e quella del 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

La particolare natura dell'associazione Italia Nostra (associazione di 
privati costituitisi in gruppo organizzato allo scopo di � concorrere � alla 
tutela del patrimonio artistico, storico e naturale del Paese) e il peculiare 
interesse dalla medesima perseguito (in s� insuscettibile di differenziazione 
rispetto a quello pubblico e generale, considerato che per statuto tale 
associazione mira a ,condurre solo un'opera di fiancheggiamento e di pressione 
sul pubblico potere al fine di una pi� efficace azione da parte di 
quest'ultimo per la salvaguardia del paesaggio e delle bellezze naturali in 
genere) escludono la possibilit� di riconoscere a Italia Nostra quella funzione 
esponenziale del concreto interesse dei singoli componenti di una 
data collettivit� (portatori cio� di un interesse avente ad oggetto beni 
considerati non nella loro dimensione astratta, ma localizzati o comunque 
localizzabili in un particolare ambiente naturale pi� o meno circoscritto, 
funzione esponenziale che rappresenta il presupposto indispensabile della 
legittimazione a ricorrere di una formazione sociale (5). 

sindacato per la tutela di interessi collettivi (art. 28 legge 20 maggio 1970, n. 300), 
gli esempi pi� pertinenti, con riferimento alla tutela giurisdizionale amministra� 
tiva, sono offerti da alcune leggi speciali come la legge 3 giugno 1950, n. 375... la 
legge 17 agosto 1967, n. 765 che -all'art. 10 -abilita �chiunque� ad impugnare 
licenze edilizie illegittime (con interpretazione restrittiva da parte del Consiglio 
di Stato -cfr. ad es. Ad. PI. 7 novembre 1977, n. 23 in Riv. Amm.va 1978, 
III, 38); e infine l'art. 23 legge 17 agosto 1947, n. 530 che ripristina l'azione popolare 
a difesa degli interessi degli Enti minori in ipotesi di inerzia dei medesimi
�. 

Per riferimenti in dottrina cfr. Postiglione A., L'iniziativa dei cittadini per 
la difesa degli interessi collettivi in Il Consiglio di Stato 1978, Il, 402; BRIGNOLA F., 
La partecipazione del cittadino alla funzione amministrativa e la sua tutela giurisdizionale, 
ivi 1977, I, 158; BARONE, nota di commento della dee. 2207/78 in 
Foro It. 1978, I, 1091; RoPPO, Tutela degli interessi diffusi e modelli di controllo 
sociale dei contratti standard in Riv. Trim. dir. pubbl. 1976, 307 e segg.; VARRONE C. 
Sulla tutela degli interessi diffusi nel processo amministrativo in Riv. dir. proc. 
1976, 781 segg. 

R.T. 
CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 6 luglio 1979, n. 570 -Pres. Mezzanotte Est. 
Giovannini -Soc. S.F.O.G.G. ed altro (avv. Salmazzo e Lorenzoni) 

c. Prefetto di Rovigo (avv. Stato Terranova) ed Ente Delta Padano 
(avv. Lorelli ed Ercole) -Appello T.A.R. Veneto 31 gennaio 1978, numeri 
3 e 5. 
Giustizia amministrativa � Ricorso giurisdizionale � Interes~ all'impugnazione 
-Attualit� � Duplice riferimento alla proposizione dell'appello 
e alla decisione � Necessit�. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 121 

Giustizia amministrativa -Ricorso giurisdizionale -Interesse all'impu


gnaziollje -Sopravvenuta carenza di interesse � Improcedibilit� -Sus


siste � Effetti -Annullamento senza rinvio. 

L'interesse al giudizio di impugnazione avverso le decisioni del T.A.R. 
deve ricorrere sia nel momento della proposizione dell'impugnazione sia 
nel momento della decisione (1). 

Ove sopravvenga nel cor_so del giudizio di impugnazione la carenza di 
interesse in ordine all'annullamento del provvedimento a suo tempo impugnato 
innanzi al T.A.R., andr� dichiarata la improcedibilit� non solo 
dell'appello, ma altres� degli originari ricorsi proposti innanzi al T.A.R., 
con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata ex 
art. 34, primo comma, legge 6 dicembre 1971, n. 1034, fatte salve le ipotesi 
di vizio o difetto inficiante la sola fase di impugnazione (2). 

(1-2) Sulla prima massima cfr., in senso conforme, Sez. V 9 maggio 1975, 

n. 644 in Il Consiglio di Stato 1975, I, 623; 11 luglio 1975, n. 1016 ivi 1975, I, 888; 
Sez. IV 4 luglio 1978, n. 651, ivi, 1978, I, 1026; 28 novembre 1978, n. 1253, ivi, 
1978, I, 1791. 
Sulla seconda occorre ricordare che il Consiglio di Stato ha dichiarato: 

a) l'inammissibilit�, per difetto di interesse, del solo atto di appello ogni 
qualvolta, in relazione .alla insussistenza delle censure dedotte, l'eventuale accoglimento 
dell'appello non avrebbe determinato comunque l'annullamento della 
sentenza di primo grado, destinata a restare ferma in forza dei motivi non 
investiti dal gravame (cfr. ad es., Sez. V, 5 febbraio 1976, n. 208, ivi, 1976, I, 170; 
29 aprile 1976, n. 725, ivi, 1976, I, 370; 25 aprile 1977, n. 130, ivi, 1977, I, 116); 

b) l'improcedibilit� del solo atto di appello qualora -annullato in primo 
grado il provvedimento impugnato per meri vizi procedimentali e impugnata la 
decisione del TAR da parte dell'Amministrazione -quest'ultima nelle more abbia 
provveduto a curare l'emanazione di un nuovo provvedimento emendato dai 
vizi procedurali rilevati dal TAR (in tal caso, infatti, l'eventuale accoglimento 
dell'appello non potrebbe far riacquistare efficacia al primo provvedimento al 
quale si � sostituito definitivamente il secondo: cfr. Sez. IV, 7 febbraio 1978, 

n. 68, ivi, 1978, I, 163); 
e) l'improcedibilit� non solo dell'appello ma altres� degli originari ricorsi 
qualora sia venuto a mancare lo stesso interesse ad ottenere l'annullamento 
dei provvedimenti contro cui gli originari ricorsi al TAR erano diretti, come 
nel caso di specie in cui, impugnato un decreto prefettizio di occupazione 
d'urgenza di immobili e ottenuta la sospensiva fin dal giudizio di 1� grado, 
il decreto era venuto successivamente a perdere la sua efficacia per scadenza 
del termine finale allo stesso apposto, e ci� prima ancora della introduzione 
del giudizio di appello, di tal che l'annull�mento del decreto a seguito del giudizio 
di gravame non avrebbe comportato alcun concreto beneficio per la ricorrente 
societ�, essendo ex se insuscettibile di legittimare l'occupazione di urgenza 
e non avendo prodotto per il passato alcun concreto svantaggio per la 
ricorrente stessa, essendone stata pronunziata dal TAR la sospensione degli 
effetti �,(cfr. in termini, IV Sez. 20 dicembre 1977, n. 1284, ivi, 1977, I, 1928; 
17 gennaio 1978, n. 17, ivi, 1978, I, 29; 28 novembre 1978, n. 1102, ivi, 1978, I, 1651; 
Ad. PI. 7 luglio 1978, n. 22, ivi, 1978, I, 944; IV Sez. 22 novembre 1977, n. 1045, 
ivi, 1977, I, 1638). 

R.T. 

122 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 9 novembre 1979, n. 967 -Pres. Scarcella 


Est. Trotta -Parisi ed altri (avv. Tesauro) c. A.N.A.S. (avv. Stato Ca


merini) -Appello T.A.R. Lazio, III Sez. 10 gennaio 1977, n. 9. 

Giustizia amministrativa -Appello -Ricorso -Ammissibilit� -Procura 
speci.ale -Necessit� -Sussiste -Effetti. 

Giustizia amministrativa -Giurisdizione esclusiva -Inesistenza di un 
atto formale -Censurabilit� di un mero comportamento omissivo 
d,ella P .A. -Ammissibilit�. 

Impiego pubblico -Ingegneri dell' A.N.A.S. -Compensi per collaudi di 
opere pubbliche per conto dell'Amministrazione di appartenenza Diniego 
-Legittimit�. 

Nel giudizio amministrativo, poich� ai sensi dell'art. 29 della legge 6 dicembre 
1971, n. 1034, al giudizio di appello si applicano le norme che 
regolano il procedimento innanzi al Consiglio di Stato, ivi compreso l'articolo 
35 del t.u. 26 giugno 1924, n. 1054, l'avvocato cui sia stata rilasciata 
la procura speciale per la proposizione del ricorso al T.A.R. non � legittimato 
a proporre appello avverso le sentenze di primo grado in cui il 
mandante sia rimasto soccombente, dovendosi ritenere operante il principio 
del conferimento della delega per ogni grado del giudizio (1). 

In tema di giurisdizione esclusiva e pi� specificamente di controversie 
di carattere meramente patrimoniale fra l'Amministrazione e i suoi 
impiegati, l'oggetto del giudizio amministrativo si risolve tutto nell'accertamento 
dei reciproci diritti e obblighi delle parti derivanti dal rapporto 
di pubblico impiego, con la conseguenza che deve ritenersi pienamente 
ammissibile anche il ricorso giurisdizionale diretto nei confronti di un 
mero comportamento negativo della p.a. indipendentemente dalla concreta 
impugnazione di un provvedimento formale di rifiuto dell'Amministrazione 
(2). 

In forza delle norme che disciplinano la incompatibilit� e regolano 
la onnicomprensivit� del trattamento economico dei dipendenti delle am


(1-3) Sulla prima massima ricordiamo che l'art. 35 del T.U. 26 giugno 1924, 

n. 1054, dispone che i ricorsi debbano essere sottoscritti dalla parte e dall'avvo~
ato abilitato al patrocinio davanti alle magistrature superiori, ovvero dal 
solo avvocato con i prescritti requisiti che sia munito di mandato speciale; tale 
normativa non pu� subire deroghe con richiamo all'art. 83, quarto comma, c.p.c., 
posto che i processi innanzi alle giurisdizioni speciali (cos� come gli atti processuali 
particolarmente significativi nel giudizio ordinario come il ricorso per 
cassazione ex artt. 365 e 41 c.p.c. o il ricorso per revocazione ex art. 398 c.p.c.) 
richiedono -a pena di inammissibilit� -la procura speciale da conferirsi 
ad hoc ai fini di assicurare la riferibilit� certa dell'attivit� del difensore alla 
parte tutelata. 
Sul divieto di indennit� speciali a favore dei funzionari statali cfr. C. 
Stato, Sez. VI 15 luglio 1977, n. 746 (in Il Consiglio di Stato 1977, I, 1241). 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 123 

ministrazioni statali (con connesso divieto per i funzionari statali di percepire 
indennit� dovute a qualsiasi titolo in connessione con la carica per 
prestazioni comunque rese in rappresentanza dell'Amministrazione di appartenenza), 
di cui all'art. 50 d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, e in riferimento 
altres� all'art. 62 r.d. 23 ottobre 1925, n. 2537, legittimamente viene negata 
la corresponsione di compensi per i collaudi di opere pubbliche, effettuati 
da ingegneri dell'A.N.A.S. per conto dell'Amministrazione di appartenenza, 
trattandosi di prestazioni che, pur avendo indubbiamente carattere 
professionale, sono dai medesimi compiute quali dipendenti dello 
Stato e nel suo interesse, come organi dell'Amministrazione, pur senza 
vincoli di carattere gerarchico (3). 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 22 giugno 1979, n. 514 -Pres. Aru -Est. 
Agresti Vincenzo -Bertazzo ed altro (avv. Tacchini) c. Ministero difesa 
(avv. Stato Donadio). 

Forze armate -Militare -8,ervizio di leva -Esercito -Domanda di esonero Esonero 
d'autorit� ex art. 100 d.P.R. n. 237/1964 -Rapporto -Motivazione 
� Rilevanza -Effetti. 

In relazione alla sostanziale differenza, sotto il profilo strettamente 
giuridico, fra l'esonero �d'autorit�� contemplato dall'art. 100 del d.P.R. 
14 febbraio 1964, n. 237, e l'esonero �a domanda� previsto per ipotizzate 
situazioni soggettive, di cui all'art. 91 dello stesso d.P.R., differenza 
che si traduce in un diverso grado di discrezio_nalit� che contraddistingue 
l'azione dell'Amministrazione nelle due ipotesi legislativamente considerate, 
va ritenuto che l'obbligo di motivazione -inversamente proporzionale 
alla ampiezza della discrezionalit� riservata all'Amministrazione debba 
avere consistenza pi� attenuata nel primo caso (in cui l'Ammini


(1) Per comprendere la sostanziale differenza nel grado di discrezionalit� 
riservata all'Amministrazione nelle due ipotesi contemplate, giover� ricordare 
che l'art. 100 d.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237, al primo comma recita testualmente: 
� Il Ministro per la difesa ha facolt� di dispensare dal compiere la ferma di 
leva tutti gli arruolati o parte di essi: a) aventi statura non superiore a m. 1,54; 
b) eccedenti il fabbisogno quantitativo e qualitativo per la formazione dei contingenti 
o scaglioni da incorporare �; l'art. 91 conferisce al Ministro la stessa 
facolt� relativamente ai giovani arruolati che i consigli di leva abbiano riconosciuto 
trovarsi in una delle condizioni ivi specificate (figlio o fratello di un 
militare deceduto, figlio o fratello di pensionato di guerra o per causa di servizio 
militare, orfano di entrambi i genitori con fratelli minori, primogenito o 
figlio unico maschio di padre infermo o di madre vedova o nubile, ecc.). 
La giurisprudenza amministrativa � costantemente rigorosa nei confronti 
dell'Amministrazione ogni qualvolta il manifesto di chiamata alle armi condizioni 



124 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

straziane ha un amplissimo margine di discrezionalit�) rispetto al secondo 
(nel quale la dispensa discende da situazioni puntualmente risultanti 
dalla legge e dal bando di chiamata alla leva (1). 

la dispensa al possesso di requisiti non specificamente ed espressamente indicati 
nel citato art. 91 (cfr. ad es. C. Stato, Sez. III, 27 marzo 1974, n. 1034/73 
Rie. Straord. Ricci c. Difesa in Il Consiglio di Stato 1977, I, 1278) ed ha, in 
particolare, ritenuto ammissibile la censura, proposta sotto il profilo dell'eccesso 

di potere, con la quale il ricorrente abbia lamentato che l'Amministrazione aveva 
erroneamente valutato situazioni di famiglia e di reddito degli interessati, 
inquadrando perci� erroneamente la situazione nella fattispecie normativa; l'eccesso 
di potere in tal caso scaturisce dalla inesistenza di alcun merito tecnico 
nonch� di ogni possibile spazio della sfera di discrezionalit� amministrativa 
(cfr. C. Stato Sez. IV 19 aprile 1977, n. 396, ivi, 1977, I, 538); � altresi richiesta 
una congrua motivazione del provvedimento di reiezione della domanda di dispensa 
anche con riferimento alla incidenza che il venir meno del reddito del 
militare possa presentare in relazione all'esiguo reddito degli altri membri 
della famiglia (cfr. Sez. IV, 30 maggio 1978, n. 524, ivi, 1978, I, 839). 

R.T. 
T.A.R. LAZIO, Sez. 
Il, 20 giugno 1979, n. 508. -Pres. Bartolotta -Est. Zaccaria 
-Soc. Immobiliare Centrale (avv. Guarino e Colarizi) e Istituto 
Religiose adoratrici ancelle SS. Sacramento (avv. Merlini e Neglia) c. 
Ministero beni culturali ed ambientali (avv. Stato Tarin), con intervento 
ad opponendum di Tozzi ed altri (avv. Sorrentino). 
Giustizia amministrativa -Ricorso giurisdizionale -Controinteressati Criteri 
di individuazione. 

Giustizia amministrativa -Ricorso giurisdizionale -Controinteressati -Individuazione 
-Vincoli indiretti a tutela di beni di interesse storico e 
artistico -Proprietari del bene -Carenza di posizione di controinteressati 
-Difetto di interesse diretto al vincolo imposto. 

Demanio -Demanio storico e artistico -Vincoli ex art. 21 1. 1089/1939 Incostituzionalit� 
per contrasto con l'art. 42 della Costituzione Manifesta 
infondatezza. 

Demanio -Demanio storico e artistico -Vincoli storico-artistici -Vincolo 
indiretto ex art. 21 I. 1089/1939 -Necessit� di motivazione -Sussiste Criteri. 
,...,~ l~Jlmill 

Demanio -l)emanio storico e artistico -Vincoli storico-artistici -Vincolo 
indiretto ex art. 21 1. 1089/1939 � Inedificabilit� assoluta -Necessit� 
di congrua motivazione -Sussiste. 

Ai sensi dell'art. 21 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, nonch� dell'art. 
36 del t.u. delle leggi sul Consiglio di Stato, possono individuarsi 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

due classi di controinteressati: a) quelli espressamente individuabili attraverso 
la lettura del testo del provvedimento impugnato; b) quelli che, 
conseguendo dall'atto impugnato un vantaggio giuridicamente rilevante, 
personale e attuale, rivestono la qualit� di soggetti portatori di un interesse 
giuridicamente qualificato al mantenimento in vita del provvedimento 
(1). 

Poich� l'interesse principale e specifico per il quale l'Amministrazione 
dei beni culturali e ambientali impone vincoli al diritto dei proprietari di 
immobili (vincoli indiretti ex art. 21 legge 1089/1939) non si identifica nell'interesse 
dei proprietari della cosa tutelata, ma solo in quello proprio 
dello Stato, volto alla realizzazione della tutela e conservazione delle cose 
di interesse storico e artistico, il proprietario della cosa tutelata non � 
controinteressato in ordine al ricorso proposto dai proprietari dei beni sui 
quali ricade il vincolo indiretto, non avendo un interesse diretto e giuridicamente 
qualificato alla imposizione e al mantenimento del vincolo 
stesso (2). 

Il potere di cui all'art. 21 della legge 1089/1939 ben si giustifica alla 
luce delle disposizioni costituzionali sulla funzione sociale della propriet� 
privata e pertanto non contrasta con l'art. 42 della Costituzione (3). 

Al fine di poter ritenere congruamente motivato il provvedimento di 
imposizione di vincoli indiretti ex art. 21 legge 1089/1939 si rende indispensabile 
che esso contenga: a) la precisa individuazione dei beni colpiti 
dal vincolo; b) l'indicazione delle caratteristiche obiettive della cosa 
vincolata e degli eventi storici a cui essa � collegata (4). 

In considerazione della maggiore intensit� dell'onere della motivazione 
dei provvedimenti di imposizione del vincolo storico e artistico ove 
maggiore sia la gravit� delle prescrizioni in essi contenute, � indispensabile 
che la motivazione contenga l'indicazione specifica dei pregi del bene 
e rispetti il principio di arrecare il minor danno possibile al privato ogni 
qualvolta venga imposto il vincolo di inedificabilit� assoluta, non essendo 
sufficiente al riguardo una generica motivazione che faccia esclusivo riferimento 
al grave danno che l'opera d'arte subirebbe per effetto di eventuali 
nuove costruzioni (5). 

T.A.R. TOSCANA, 
26 ottobre 1979, n. 1061 -Pres. Fortunato -Est. Zeviani 
Pallotta -Soc. Liquigas G.I.A. (avv. Vavolo e Vincenzini) c. Capitaneria 
di porto di Livorno (avv. Stato Andronio) con intervento ad 
opponendum della Soc. Silos e Magazzini del Tirreno. 
Giustizia amministrativa -Ricorso giurisdizionale -Controinteressato . 
Criteri di individuazione � Sussistenza di un interesse qualificato alla 
conservazione dell'atto � Sussiste � Effetti. 


126 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Atto amministrativo -Criteri di interpretazione -Riferimento alle determinazioni 
concrete in essi contenute -Necessit� -Sussiste. 

Demanio -Demanio portuale -Marina m,ercantile -Concessione per 
utilizzazione di aree del demanio portuale per carico e scarico merci Autorizzazione 
per la sola attivit� in conto proprio del titolare � 
Esigenza di espressa previsione nel provvedimento -Sussiste -Effetti. 

Al fine di poter rivestire la qualit� di controinteressato, cui deve essere 
notificato necessariamente, a pena di inammissibilit�, il ricorso giurisdizionale, 
� indispensabile che il soggetto sia titolare di una posizione 
di interesse qualificato alla conservazione dell'atto impugnato, in quanto 
portatore, per effetto dell'atto stesso, di una situazione specifica di vantaggio, 
che non � propria di chiunque abbia interesse ad opporsi all'annullamento 
dell'atto stesso, in relazione al quale abbia comunque partecipato 
alla procedura di formazione in senso lato inoltrando domande o 
esposti alla p.a. per sollecitarne l'emanazione (6). 

Il criterio di interpretazione degli atti amministrativi deve far rif erimento 
costante ed esclusivo alle determinazioni concrete nell'atto contenute 
non gi� alle parti che potrebbero sottintendersi o ai soggetti che 
non ne risultino direttamente destinatari (7). 

Per il combinato disposto degli artt. 36, 38 e 50 del r.d.l. 30 marzo 
1942, n. 327 e 29 d.P.R. 15 febbraio 1952, n. 328, la concessione della utilizzazione 
di aree del demanio portuale al fine di svolgere attivit� di scarico 
e carico di merci e materiali deve contenere: a) la precisa indicazione 
delle aree e pertinenze oggetto del provvedimento; b) la specificazione 
dei materiali e delle merci; e) la durata dell'autorizzazione; d) il 
canone da corrispondere all'Amministrazione; e) gli eventuali limiti della 
portata della autorizzazione e cio� se la stessa debba essere limitata alla 
sola attivit� in conto proprio del titolare; in difetto di tale ultima indicazione, 
va ritenuta la illegittimit� di tutti i provvedimenti dell'Amministrazione 
adottati sul presupposto che l'autorizzazione sia sta_ta rilasciata 
solo per attivit� in conto proprio, presupposto che non risulti espressamente 
dal provvedimento di autorizzazione (8). 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 30 ottobre 1979, n. 877 -Pres. Mezzanotte 
-Est. Agresti Vincenzo -Comune di Limbiate (avv. Cappalunga, Mariotti 
e Geraldini) c. Istituto romano beni stabili (avv. Guarino) -Appello 
T.A.R. Lombardia 25 maggio 1977, nn. 475, 476, 477 e 478. 

Giustizia amministrativa -Ricorso giurisdizionale -Autorizzazione a stare 
in giudizio -Giudizio di impugnazione -Sindaco -Deliberazione in 
via di urgenza della Giunta comunale -Deliberazione di ratifica del 
Consiglio comunale � Necessit� -Sussiste a pena di btammissibilit�. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

Giustizia amministrativa � Ricorso giurisdizinale -Controinteressati Criteri 
di individuazione -Posizione giuridica rivestita al momento 
dell'emanazione dell'atto -Rilevanza -Effetti. 

Requisizione � Requisizioni ex art. 7 1. 20 marzo 1865, n. 2248, ali. E -Competenza 
sussidiaria del Sindaco -Condizioni. 

In difetto di produzione in giudizio della deliberazione del Consiglio 
comunale di ratifica del provvedimento di autorizzazione a stare in giudizio, 
adottata in via di urgenza dalla Giunta municipale ex art. 131, n. 5 

t.u. 4 febbraio 1915, n. 148, deve essere pronunciata la inammissibilit� del 
ricorso in appello proposto dal Sindaco avverso una decisione del 
T.A.R. (9). 
La verifica della qualit� di controinteressato al ricorso giurisdizionale 
amministrativo va fatta con riferimento alla posizione giuridica rivestita 
al momento della emanazione del provvedimento impugnato, irrilevanti 
essendo a tale scopo i fatti e le circostanze maturate in epoca successiva 
in corso di causa o collegate al merito della controversia (10). 

Sussiste la competenza sussidiaria del Sindaco nella emanazione di 
provvedimenti di requisizione ex art. 7 legge 20 marzo 1865, n. 2248 All. E, 
solo allorquando, in relazione all'urgenza di provvedere, sia preclusa in 
concreto la possibilit� di un intervento da parte del Prefetto (11). 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 13 novembre 1979, n. 985 -Pres. Santaniello 
-Est. Trotta -Ciliberto (avv. Guarino) c. Ministero lavori pubblici 
ed altro (n.c.) e Comune di Crotone (avv. Giannini). 

Giustizia amministrativa � Ricorso giurisdizionale -Controinteressato Criteri 
di individuazione � Edilizia economica e popolare -Impugnativa 
di .piano di zona -Provvedimento a carattere generale e programmatico 
� Inconfigurabilit� di controinteressati. 

Edilizia popolare ed economica -Legittimit� dei piani di zona -Riferimento 
,alla situazione di fatto esistente all'atto dell'emanazione Necessit� 
� Sussistenza, 

Edilizia popolare ed economica -Piani di zona � Piano approvato in man� 
canza di un piano regolatore generale -Sopravvenuta approvazione 
del piano regolatore -Non sana. 

La deliberazione di adozione di un piano per le zone destinate all'edilizia 
economica e popolare e il relativo decreto di approvazione costituiscono 
provvedimenti di carattere generale e programmatico e pertanto in 
sede di impugnazione di tali atti non possono ravvisarsi soggetti controinteressati; 
a tale riguardo irrilevanti sono anche gli atti latu sensu 
conseguenziali al piano che fossero emanati in un secondo tempo, come 


~ 

~ 

% 

128 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

~ 
~ 

1

ad esempio atti di espropriazione ed assegnazione di aree, provvedimenti 

~~ 

i:
dai quali non deriva alcuna estensione delle posizioni giuridiche contem\
i 

f 

plate dalla adozione del piano (12). f 
Solo l'indagine sulla situazione esistente in fatto e �diritto al momen


I

to in cui viene emanato un piano di zona per l'edilizia economica e popolare 
� rilevante ai fini di accertare la legittimit� del piano stesso (13). 

Stante la preclusione di effetti retroattivi per provvedimenti amministrativi 
sfavorevoli, resta esclusa l'efficacia sanante alla sopravvenuta approvazione 
di un piano regolatore per eliminare la illegittimit� di un 

I

piano di zona per l'edilizia economica e popolare emanato in mancanza 
di un piano regolatore generale come previsto dall'art. 3 legge 18 aprile 
1962, n. 167 (14). 

I

I 

(1-14) Le quattro decis�oni massimate costituiscono anzitutto chiari esempi 

I

di applicazione dei principi che si sono venuti consolidando in tema di con


i

trointeressati e di criteri per la loro individuazione. 

A titolo di semplice richiamo esplicativo nella� numerosa serie di pronunce ~ 
sull'argomento ricordiamo: Ad. Pl. 28 luglio 1956, n. 8 in Il Consiglio di Stato, ! 1956, I, 853; Sez. V, 29 settembre 1971, n. 831, ivi, 1971, I, 1610; 17 ottobre 1959, 

l

n. 635, ivi, 1959, I, 1349; 5 novembre 1971, n. 1020, ivi, 1971, I, 2149; VI Sez., 
~ 

2 ottobre 1971, n. 769, ivi, 1971, I, 1926; IV Sez., 21 dicembre 1971, n. 1210, ivi, 

l

1971, I, 2379; V Sez., 26 maggio 1972, n. 395, ivi, 1972, I, 1008; 28 gennaio 1972, ~ 

n. 52, ivi, 1972, I, 370; VI Sez., 26 gennaio 1973, n. 9, ivi, 1973, I, 57; V Sez., f:<
1:
26 aprile 1974, n. 301, ivi, 1974, I, 597; 24 giugno 1977, n. 675, ivi, 1977, I, 1021; <" 
IV Sez., 20 dicembre 1977, n. 1276, ivi, 1977, I, 1921; TAR Campania 13 giugno 
1979 n. 285 in I Tribunali Amm.vi Regionali 1979, I, 2891. 


ii

Per quanto concerne, in particolare, l'individuazione di controinteressati in 
tema di edilizia popolare ed economica, si segnala la dee. n. 318 in data 11 maggio 
1979 della Sez. IV del Consiglio di Stato (in Il Consiglio di Stato 1979, I, 
695) che ha stabilito che il ricorso giurisdizionale contro il decreto del Presidente 
della Giunta Regionale che autorizza l'IACP alla occupazione in via temr


I 

poranea e d'urgenza di aree vincolate dal piano di zona per l'edilizia economica � 
e popolare deve essere notificato -a pena di inammissibilit� -anche a detto ! 
Istituto, in quanto titolar� autonomo di un rapporto intersoggettivo, quale i

I

unico controinteressato. 
In tema di pubblici concorsi, costituisce inoltre principio consolidato che ~ 

1 

non possano individuarsi soggetti titolari di interessi giuridicamente protetti, r 
opposti e contrari, e quindi soggetti controinteressati, qualora venga proposto ' 
ricorso contro un provvedimento di esclusione da un pubblico concorso ant�riormente 
all'approvazione della graduatoria; in tale ipotesi, pertanto, risulter� 


I

del tutto rituale la notifica del ricorso effettuata soltanto all'Amministrazione 
(cfr. da ultimo IV Sez. 13 giugno 1978, n. 595, in Il Consiglio di Stato 1978, I, 

I

1003; 27 agosto 1979, n. 675, ivi, 1979, I, 1214). 
Quanto al principio enunciato nella seconda massima della dee. 508 del I 


i

TAR Lazio, Sez. Il, esso trova conferma, nel senso della esclusione della qualifica 
di controinteressato in capo al proprietario di un bene artistico tutelato 
con vincolo indiretto ex art. 21, legge 1089/1939, nelle dee. VI Sez., 23 ottobre 

I

1957, n. 695 in Il Consiglio di Stato 1957, I, 1300 e V Sez., 31 
ivi, 1962, I, 539. 

marzo 1962, n. 276, 

i 

I 

l 

I 

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111111r1111111=111:111111r11,1111111:1111111111111111111111111111r1a�~ 



SEZIONE SESTA 

GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 12 maggio 1979, n. 2737 -Pres. Vigorita Est. 
Scanzano -P. M. Grimaldi (diff.) -Banca Cattolica del Veneto 

c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Soprano). 
Tributi erariali indiretti -Imposta sull'entrata -Compenso corrisposto 
alle banche per il deposito vincolato di buoni ordinari diel tesoro 
presso l'Istituto di emissione. Interesse derivante da puro impiego 
di capitale -Esclusione -Soggezione all'imposta. 

(I. 19 giugno 1940, n. 762, art. 1, Iett. f; I. 7 marzo 1938, n. 141, art. 32, Iett. f). 
Il � compenso � corrisposto alle banche in corrispettivo del deposito 
vincolato presso l'Istituto di. emissione di buoni ordinari del tesoro (articolo 
32, lett. f della legge bancaria 7 marzo 1938, n. 141), costituisce entrata 
imponibile, non avendo natura di interesse derivante da puro impiego 
di capitale (1). 

(omissis) Col primo motivo la Banca iicorrente denunzia violazione 
e falsa applicazione degli artt. l, comma 3�; lett, f) della legge 19 giugno 
1940, n. 762; 5, legge 19 maggio 1950, n. 322; 32, lett. f) della legge 
7 marzo 1938, n. 141, nonch� del d.m. 8 aprile 1969 in relazione all'art. 12 
preleggi, e ripropone la tesi secondo cui il � compenso � attribuito alle 
banche in relazione ai buoni del tesoro, da esse depositati ai sensi della 
legge bancaria presso l'Istituto di emissione, costituisce un'integrazione 
del saggio d'interesse relativo ai detti titoli, concessa al fine di equiparare 
agli effetti economici, la posizione delle banche che depositano i titoli 
anzidetti a quella delle banche che versano la garanzia in denaro. 
Il detto compenso avrebbe pertanto natura di �interesse�, e come tale 
sarebbe esente da I.G.E. ai sensi dell'art. 1 lett. f) della legge 760/42. 

Tale conclusione sarebbe giustificata, ai sensi della disposizione ora 
citata, anche dal fatto che il compenso anzidetto � pur sempre un frutto 
di puro capitale investito in titoli dello Stato, nonch� dall'esigenza di assicurare 
parit� di trattamento alle banche, sia che il deposito avvenga in 
denaro sia che avvenga in titoli. 

La censura non � fondata. 

(1) Questione nuova, risolta in modo ineccepibile sulla premessa che la 
deroga alla regola generale va ricercata rigorosamente tra le norme che esclu� 
dono l'imponibilit�. 

"/ 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

130 

Secondo l'art. 1 della legge istitutiva dell'I.G.E. (legge 19 giugno 1940, 

n. 762, di conversione del r.d.l. 9 gennaio 1940, n. 2) � soggetta al relativo 
tributo l'entrata in denaro (o con mezzi sostitutivi del denaro) conseguita 
in corrispondenza di cessione beni o di prestazione di servizi effettuati 
nello Stato. 
Conviene subito dire (anche se il ricorrente non ne trae alcun argomento 
a suo favore) che il titolo, cos� precisato dalla legge, dell'entrata, 
va inteso in senso ampio, come si desume dall'elenco delle entrate non 
tassabili, indicate nel terzo comma della disposizione in esame: signifi-
cativo, in. proposito, � il riferimento alle oblazioni fatte ad istituzioni di 
religione o di beneficenza e alle entrate tributarie degli enti pubblici (entrate 
che, per essere esentate dal tributo, hanno teoricamente, secondo 
il legislatore, la stessa natura di quegli introiti per i quali l'I.G.E. � stata 
istituita). 

Se questo � il sistema della legge, un'entrata in denaro pu� sfuggire 
alla tassazione solo se rientra rigorosamente tra quelle indicate come 
esenti dalla stessa legge: e la disposizione che in proposito assume rilevanza 
� quella dell'art. 1 lett. f) della citata legge n. 762, secondo cui 
non costituiscono entrata, ai sensi di essa legge, gli interessi derivanti 
da puro impiego di capitale, classificabili agli effetti della imposta di ricchezza 
mobile in categoria A. 

Si tratta, in definitiva di stabilire se il compenso di cui si discute 

possa ricomprendersi, o non, tra gli .interessi del tipo ora indicato. 

La risposta negativa non d� luogo a dubbio. 

L'esigenza, dianzi sottolineata, di identificare le entrate esenti secondo 
un metodo di rigorosa qualificazione del loro titolo, � gi� motivo che 
svaluta il fondamentale argomento della banca ricorrente: che, cio�, il 
compenso de quo dovrebbe considerarsi � interesse � perch� sul piano economico 
esso attribuisce, ai depositanti dei B.O.T., un'utilit� assimilabile 
in concreto a quella degli � interessi >>, e sarebbe concessa allo scopo di 
equiparare, sul piano della utilit� economica, la posizione di tali depositanti 
a quelli che depositano, per la medesima finalit�, denaro contante. 

Non �, del resto, neppure esatto in linea di principio che l'attribu


zione del compenso in parola dovesse necessariamente condurre all'equi


parazione anzidetta, perch� esso compenso come si dir�, era previsto 

dalla legge come variabile, entro un limite massimo, secondo l'apprez


zamento discrezionale del Ministro del Tesoro. 

Occorre dunque, individuare sul piano giuridico -giova ripetere 


il titolo del compenso in parola. 

In proposito occorre rammentare che secondo l'art. 32 lett. f) della 
legge bancaria (legge 7 marzo 1938, n. 141) e delle disposizioni amministrative 
emanate in attuazione di esso, le banche sono tenute a versare 
all'Istituto di emissione un deposito vincolato, in denaro, o in buoni ordi




PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

nari del tesoro, di un ammontare determinato secondo un certo rapporto 
fra il loro patrimonio e la massa dei depositi da esse raccolti. 

All'epoca cui si riferisce la controversia l'interesse dovuto alle banche 
che effettuavano il deposito in denaro era del 3,75%, mentre l'interesse 
percepito (attraverso lo scarto fra il valore di emissione ed il prezzo 
di acquisto) sui B.O.T. era del 3,50%. Con l'art. 5 della legge 19 maggio 
1950, n. 322, il Ministro del Tesoro � stato autorizzato a concedere alle 
banche che effettuavano il deposito in B.O.T. un compenso nella misura 
massima dello 0,25%: ci� allo scopo di incentivare questa forma di deposito, 
nell'ambito di una politica di controllo e di contenimento della 
circolazione di quei titoli. 

Ora, se l'interesse � la remunerazione del godimento del capitale, cio� 
il frutto civile, art. 820, secondo comma cod. civ. del capitali.e investito nei 
B.O.T., sembra evidente che del tutto diverso � il titolo al quale veniva 
corrisposto il compenso in parola: il quale, infatti, ha un distinto ed autonomo 
presupposto, costituito non dall'impiego del capitale nei B.O.T., 
ma dal fatto che questi venivano utilizzati in deposito vincolato presso 
l'Istituto di emissione. Imponendo la legge tale deposito, si era inteso, 
col compenso de quo, incentivare una certa modalit� del deposito stesso 
e premiare gli operatori che la adottavano. Esso compenso costituiva 
quindi non un �interesse� in senso giuridico (che � poi il senso in cui 
il termine � usato dall'art. 1 lett. f della legge 762/40, ben preciso, al 
riguardo, anche attraverso il riferimento al �puro impiego di capitale� 
ed alla categoria A di ricchezza mobile) ma un premio concesso alle banche 
in ragione di una certa modalit� di adempimento dell'obbligo del 
deposito. 

La conclusione trae conforto da considerazioni che riguardano la disciplina 
dei B.O.T. La loro emissione autorizzata dalla legge di approvazione 
dello stato di previsione delle entrate e da leggi speciali in relazione 
alle momentanee esigenze di liquidit� del Tesoro, � regolata dagli 
articoli 71 della legge e 565 sgg. del regolamento sulla contabilit� generale 
dello Stato (r.d. del 18 gennaio 1923, n. 2440 e 23 maggio 1924, 

n. 827, e successive modificazioni) che commettono al Ministro del Tesoro 
di determinare il prezzo di emissione e, attraverso esso, il saggio 
d'interesse: il quale interesse, inteso appunto come frutto del capitale 
impiegato, non pu� che essere unico ed identico per buoni della 
medesima categoria. Non sarebbe quindi compatibile con i principi e 
con la specifica disciplina della materia l'attribuzione di una somma integrativa, 
a titolo di � interesse � a favore di taluni soggetti (le banche 
depositanti) in relazione a buoni del medesimo tipo, per il solo fatto 
di un certo impiego, che di tali buoni essi facciano. Se tale somma 
(cio� il noto �compenso�) viene tuttavia concessa, essa � destinata 
dunque non a speciale remunerazione del capitale ed in deroga al saggio 
generalmente stabilito, ma ad incentivazione di una data modalit� 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

di adempimento dell'obbligo di deposito. E con ci� rimane confutato 
anche la tesi subordinata della ricorrente, secondo cui il detto compenso 
sarebbe pur sempre un mero frutto di capitale impiegato in titoli 
di Stato. 

Non senza ragione, del resto, il legislatore ha parlato di �compenso
� anzich� di �interesse� integrativo, pur certamente consapevole 
delle diverse conseguenze, e delle possibili controversie di ordine 
fiscale. 

In termine � interesse � � stato invece adoperato nel decreto ministeriale 
dell'8 aprile 1969: non, per�, con �riferimento al compenso di 
cui si discute, ma con l'esa<tto riferimento alla remunerazione del capitale-
denaro impiegato dalle banche nei B.O.T. per i fini del loro deposito 
presso l'Istituto di emissione. Col detto provvedimento il Ministro 
del tesoro ha attribuito bens� a tali buoni un interesse (eventualmente) 
differenziato rispetto a quello dei comuni B.O.T. destinati al pubblico; ma 
ci� ha fatto in quanto ha contemporaneamente previsto due categorie di 

B.O.T. (una destinata alle banche per i fini di cui sopra, ed una alla 
generalit� del pubblico), e due distinte emissioni. In tal modo � 
stata data alla materia una nuova disciplina, che elimina in radice il problema 
di causa per il futuro, ma che non pu� trovare applicazione nella 
controversia presente, mancando ogni elemento che autorizzi a ravvisare 
in quel decreto un provvedimento di natura interpretativa. 
Fuor di luogo, infine, � il riferimento della ricorrente al princ1p10 
costituzionale della parit� di trattamento fra le varie banche, in quanto 
� chiaramente diversa la situazione di quelle che effettuano il deposito 
in denaro, cos� realizzando il presupposto tecnico-giuridico degli interessi, 
rispetto a quelle che effettuano il deposito in B.0.T. (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 17 maggio 1979, n. 2821 -Pres. SanduMi 
-Est. Zaippulli -P. M. Cammarota (conf.) -Ministero delle Finalllze 
{avv. Stato Cipparrone) c. 1Soc. Deriver (avv. Cogliati-Dezza). 

Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Soci;et� -Aumento di capitale 
-Sovrapprezzo azioni -Conferimento nel patrimonio -Agevolazione 
del Mezzogiorno sull'aumento di capitale -Esclusione. 

(I. 29 luglio 1957, n. 634, art. 36 e 38; r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, tariffa A, art. 28). 
Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Agevolazione ~r il Mezzogiorno 
-Fattore territorio -Societ� operante esclusivamente nel 
Mezzogiorno -Determinazione nello statuto successivamente all'atto 
da registrare -Esclusione della agevolazione. 

(I. 29 luglio 1957, n. 634, artt. 36 e 38). 
L'agevolazione concessa per gli aumenti di capitale nelle societ� 
operanti nel Mezzogiorno non pu� essere applicata al sovrapprezzo delle 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 133 

azioni di nuova emissione che costituiscono conferimento nel patrimonio 
e non nel capitale (1). 

L'agevolazione per il Mezzagiorno, rigorosamente riconnessa al fine 
esclusivo di sviluppare le attivit� nel territorio agevolato, e che presuppone, 
per gli atti inerenti alle societ�, che lo statuto sociale impedisca 
di svolgere attivit� fuori del territorio, non pu� essere accordata 
quando la determinazione statutaria sia successiva all'atto di cui si pretende 
la registrazione agevolata (2). 

(omissis) L'Amministrazione Finanziaria, con il primo motivo del 
ricorso, ha censurato la sentenza impugnata per violazione degli articoli 
36 e 38 della legge 29 luglio 1957, n. 634 e 28 della tariffa allegato A) 
del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, per non avere considerato che il sovrapprezzo 
delle azioni era destinato a incrementare il patrimonio soci!
alle, e non il capitale, della 1sooiet� Deriver, mentire l'art. 38 della 
citata legge prevede l'applicazione della sola imposta fissa di registro 
per gli � aumenti di capitale �, e che la sottoscrizione del medesimo 
doveva essere effettuata dagli azionisti, i quali avevano, pertanto; as


(1-2) L'affermazione che il sovrapprezzo azioni non costituisce n� utile n� 
conferimento nel capitale � ormai ben ferma. D'un canto la distribuzione del 
sovrapprezzo non costituisce reddito per i soci, come � ora precisato in modo 
chiarissimo dall'art. 45 del d.P.R. n. 597/1973, dall'altro la percezione del sovrapprezzo 
da parte della societ� non d� luogo ad aumento di capitale, tassabile 
come tale, in via normale (art. 85 tariffa A dell'abrogata legge di registro) 
ovvero in via agevolata. 

� pertanto ineccepibile l'affermazione che il regime agevolato per l'aumento 
di capitale non sia applicabile al sovrapprezzo, che � un conferimento nel 
patrimonio e non nel capitale (Cass. 26 marzo 1973, n. 833, in questa Rassegna, 
1973, I, 1149, con nota di A. Rossi: Note minime sulla tassazione degli aumenti 
del capitale .sociale nella nuova legge di registro). Resta a vedere se e come 
sia tassabile autonomamente il sovrapprezzo. In passato si escludeva che esso 
fosse soggetto all'imposta proporzionale di conferimento (se pure l'art. 81 parli 
genericamente di conferimento in societ�, non esclusivamente, a titolo di capitale), 
mentre era dovuta tale imposta sulla deliberazione di imputazione delle 
riserve, anche se costituite da sovrapprezzo, a capitale. La sentenza che si 
commenta ritiene applicabile al sovrapprezzo l'imposta d'obbligo dell'art. 28. 

La nuova legge di registro (art. 47 d.P.R. n. 634/1972) riferisce l'imposta 
ad ogni conferimento anche nel patrimonio ed espressamente dichiara che la 
base imponibile � costituita dal valore nominale e dell'eventuale sovrapprezzo. 
SuH'argomento v. la citata nota di A. Rossi e Ia precedente, Trattamento tributario 
del sovrapprezzo azionario, ivi, 1963, I, 53. 

La seconda massima � di evidente esattezza. La limitazione esclusiva al 
territorio agevolato, che per gli atti che hanno generico riferimento alla 
societ� nel suo complesso deve essere garantita da una inequivoca disposizione 
statutaria che vieti sotto qualsiasi forma l'esercizio di attivit� fuori del 
territorio, deve sussistere al momento della formazione dell'atto ed � evidentemente 
irrilevante una determinazione successiva. 



RASSEGNA DEI.L'AVVOCATURA DELLO STATO

134 

sunto una vera e propria obbligazione tassabile ai sensi del citato 
art. 28. 

Il motivo � fondato perch� la ben nota distinzione e contrapposizione 
tra capitale e patrimonio, di una societ�, per essere costituito 
quest'ultimo dal complesso dei beni e dei rapporti passivi e attivi 
dei quali essa � titolare, consegue dalle precise norme del codice 
civile sulle societ� di capitale e dalla elaborazione della dottrina e 
della giurisprudenza. Pertanto, non pu� ritenersi che, in assenza di 
specifici elementi contrari a tale interpretazione della legge speciale, 
possa attribuirsi al termine di �capitale�, di cui ai citati articoli 36 
e 38 della stessa, un significato pi� ampio di quello tecnico con una 
estensione al patrimonio sociale. 

Giova osservare che solo il prezzo delle azioni importa un aumento 
del capitale, mentre il cosiddetto sovrapprezzo riscosso dalla societ� 
sulle nuove azioni, come gi� ritenuto da questa Suprema Corte, ha. 
natura di conferimento al patrimonio sociale, e non di aumento del 
capitale stesso, al quale ultimo esclusivamente si applica l'art. 85 della 
tariffa, allegato A) della citata legge organica di registro del 1923 per 
l'imposta su quest'ultimo aumento (Cass., 11 luglio 1966, n. 1822; 7 ottobre 
1967, n. 2291; 17 aprile 1968, n. 1141). 

N� pu� condividersi l'affermazione contenuta nella sentenza impugnata 
secondo la quale il beneficio tributario � dovuto anche per 
�gli atti che siano correlati, come mezzo al fine, con l'atto che gode 
dell'agevolazione tributaria, pur non essendo connessi o derivati �. Infatti, 
la precisa norma dell'art. 38 non contiene un riferimento generico 
agli atti compiuti nel perseguimento dei fini della legge sulla 
industrializzazione del Mezzogiorno, ma indica specifiche categorie di 
negozi giuridici espressamente predeterminati a quei fini, senza, per�, 
alcuna menzione di atti analoghi o concorrenti. 

Lo stesso articolo, analogamente, nella lettera b), prevede tra gli 
atti ammessi al beneficio fiscale, l'emissione di obbligazioni che soddisfino 
alle condizioni indicate nella precedente lettera a) per .gli aumenti 
di capitale con un preciso riferimento, nella rigorosa identit� di formula, 
alle obbligazioni regolate dagli articoli 2410 e seg. e.e. senza che 
possano comprendersi, per tale disposizione, nel suo campo di applicazione 
le assunzioni, attraverso mutui e altri analoghi negozi, di obblighi 
pur diretti, genericamente o specificamente, al potenziamento 
delle attivit� industriali previste dalla stessa legge. 

Ancor meno pu� indurre in diverso avviso, sull'attuale controversia, 

il richiamo all'art. 47, 1� comma, della nuova legge di registro (D.P.R. 

26 ottobre 1972, n. 634), secondo il quale per gli aumenti di capitale 

delle societ� per azioni la base imponibile � costituita del valore 

nominale di queste ultime e �dell'eventuale sovrapprezzo� perch� � ma


nifesto il carattere innovativo di tale disposizione in contrasto con la 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

limitata norma dell'art. 85 della previggente tariffa della legge del 1923 

e con la precisata contrapposizione tra capitale e patrimonio. 

Pertanto, lo specifico uso di quei termini tecnici, il carattere ecce


zionale dei benefici fiscali previsti dalle citate disposizioni e la stessa 

indeterminabilit� dei �negozi correlati� che importerebbe una peri


colosa estensibilit� dei benefici stessi ad altre categorie di negozi pur 

diversi da quelli considerati nella specie, escludono che la norma ci


tata possa applicarsi agli incrementi del patrimonio, tra i quali vanno 

compresi i menzionati sovrapprezzi, onde il motivo deve essere accolto. 

Sempre nel quadro della particolare rigorosa destinazione delle 

somme acquisibili dalle societ� destinatarie per i benefici previsti dalla 

stessa legge, va esaminato il secondo motivo del ricorso, con il quale 

l'Amministrazione Finanziaria ha lamentato la violazione, nella sentenza 

impugnata, degli stessi articoli citati in quello precedente, nonch� insuf


ficienza e contraddittoriet� di motivazione, per avere la corte di merito 

ritenuto che le condizioni di legge circa la destinazione del citato 

sovrapprezzo al potenziamento delle attivit� industriali nei territori indi


cati dalla stessa legge (Mezzogiorno d'Italia) potevano ritenersi avverate 

in virt� della stessa deliberazione dell'assemblea del 27 aprile 1966 

circa tale destinazione e della successiva modificazione dello statuto 

sociale nel maggio 1966, mentre doveva tenersi conto dello statuto 

vigente alla data della delibera, e cio� di quello approvato nel prece


dente anno 1964. Ha sostenuto l'Amministrazione ricorrente che le condi


zioni inderogabili dell'esercizio di attivit� industriali nel territorio sud


detto dovevano desumersi con certezza dall'atto costitutivo e dallo sta


tuto della societ� senza alcun rilievo per le singole deliberazioni e le 

modifiche dello statuto stesso successive al negozio per il quale si richiede 

l'applicazione del beneficio. 

Anche questo motivo � fondato. Invero, i rigorosi limiti territoriali 

della citata ,legge del 1957, emessa al fine di potenziare e sviluppare le 
e 

attivit� industriali in quelle zone che per condizioni storiche e sociali 

erano considerate dal legislatore in stato di inferiorit� rispetto alle altre, 

nonch� la facilit� di elusioni di quelle limHazioni, impongono un rigo


roso accertamento delle condizioni di applicazione dei benefici tribu


tari in questione. 

Questi ultimi, poi, riferendosi all'imposta di registro, che � � impo


sta d'atto �, non possono riconoscersi se le condizioni suddette non 

sussistono alla data in cui � compiuto l'atto per il quale essi sono 

richiesti, salve disposizioni particolari, e solo in quanto vi sono seri e 

concreti elementi per provare che l'attivit� industriale prevista debba 

svolgersi nei territori indicati. 

In base a tali principi ed esigenze questa Suprema Corte, accen


tuando recentemente ancor pi� il rigoroso indirizzo gi� seguito da essa, 

ha affermato che l'applicazione del beneficio previsto dalle citate norme 


136 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 
pu� avere luogo solo quando l'aumento del capitale sia preordinato 
al potenziamento di attivit� industriali da effettuarsi nell'ambito dei 
territori agevolati, ed altres� quando nei medesimi la societ� abbia 
sede e svolga interamente e inderogabilmente la propria attivit�, non 
consentendole lo statuto di svolgere la stessa in zone diverse (Cass., 
18 �aprile 1978, n. 1843). Anche in precedenza era stato escluso dalla 
Suprema Corte che il beneficio suddetto potesse essere riconosciuto 
quando lo statuto sociale prevedeva la possibilit� di istituire sedi secondarie 
e succursali in altri luoghi (Cass., 19 novembre 1976, n. 4329; 29 ottobre 
1975, n. 3641; 23 novembre 1973, n. 3173) ed era stato richiesto che 
la delimitazione territoriale suddetta doveva risultare dall'atto costitutivo 
(Cass., 8 luglio 1974, n. 1983). 
E' sufficiente osservare, per l'applicazione di tali principi, che una 
mera deliberazione sulla destinazione territoriale degli incrementi cos� 
ottenuti non pu� costituire una garanzia sufficiente per la osservanza 
della legge a causa delle minori possibilit� di una loro osservanza rispetto 
a quelle maggiori poste per la obbligatoria conformit� alle norme 
dell'atto costitutivo e dello statuto dall'art. 2377 e.e. 
In virt� della menzionata natura d'imposta di atto di quella di registro, 
lo statuto da prendere in considerazione, per la verifica delle condizioni 
indicate, non pu� non essere che quello vigente alla data dell'atto 
stesso, onde anche ,questo motivo deve essere accolto. (omissis). 
I 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 25 maggio 1979, n. 3033 -Pres. ed Est. 
D'Orsi -P. M. Grimaldi (diff.) -Umer (avv. Borgna) c. Ministero delle 
Finanze (avv. Stato Cipporrone). 
Tributi .erariali indiretti -Imposte doganali -Prescrizione -Fatto costituente 
reato -Decorrenza dalla data della sentenza penale -Morte 
dell'imputato -Applicabilit� della regola generale. 
(!. 25 settembre 1940, n. 1424, art. 27; d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 84; e.e. art. 2947). 
La regola stabilita nell'art. 27 della legge doganale abrogata (corrispondente 
all'art. 84 della legge vigente) secondo la quale, quando il 
mancato pagamento dei diritti doganali abbia causa da reato il termine 
di prescrizione comincia a decorrere in ogni caso dalla data in cui la 
sentenza, anche se di assoluzione o dichiarativa dell'estinzione del reato, 
� divenuta irrevocabile, si applica anche all'ipotesi di estinzione del reato 
per morte dell'imputato (1). 
(1-3) La prima massima fa applicazione ineccepibile di un princ1p10 ben 
fermo e ribadito anche con la sentenza 28 maggio 1979, n. 3080, di cui si omette 
la pubblicazione. La regola del tutto particolare che ancora la decorrenza del 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 
II 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 28 maggio 1979, n. 3079 -Pres. Falletti Est. 
Lipari -P. M. Del Grosso {conf.) -Ravini c. Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Gargiulo). 

Tributi erariali indiretti -Imposte di fabbricazione -Spiriti -Prescrizione 
-Fatto costituente reato -Decorrenza dalla data della sentenza 
penale anche se di proscioglimento. 

(t.u. 8 luglio 1924, art. 31; e.e. artt. 2935 e 2947). 
Tributi erariali indiretti -Imposte di fabbricazione -Spiriti -Testo unico 
8 luglio 1924 -Natura -Fonti normative. 

(t.u. 8 luglio 1924, art. 31; I. 3 dicembre 1922, n. 1601; r.d. 10 maggio 1923, n. 1792; 
(t.u. 16 settembre 1909, n. 704, art. 17; 1. 20 gennaio 1896, n. 20, art. 15). 
L'art. 31 del T.U. 8 luglio 1924 sull'imposta di fabbricazione sugli spiriti, 
a differenza dell'art. 27 della legge doganale 25 settembre 1940, n. 1425, 
considera l'ipotesi di reato come causa di interruzione della prescrizione 
e non come spostamento in avanti dell'inizio del corso della prescrizione. 
Tuttavia questa diversit�, dovuta ad una imperfezione terminologica della 
norma, non modifica la sostanza giacch� nelle imposte di fabbricazione, 
come in quelle doganali, il termine della prescrizione dell'imposta decorre 
dal momento del passaggio in giudicato della sentenza penale, rilevante 
come tale dal punto di vista formale, anche se di proscioglimento o di 
dichiarazione dell'estinzione (2). 

Il T.U. 8 luglio 1924 sull'imposta di fabbricazione sugli spiriti, approvato 
con decreto ministeriale, non ha forza di legge ed ha natura di 
mera raccolta amministrativa della legislazione anteriore quale risulta 

termine di prescnz1one al passaggio in giudicato della sentenza penale, anche 
se di proscioglimento (Cass. 15 gennaio 1973, n. 177, in questa Rassegna, 1973, I, 
403), non ammette eccezioni nel caso di estinzione del reato per morte dell'imputato, 
essendo del tutto estranea la norma dell'art. 2947 e.e. Del pari' ineccepibile 
� l'affermazione che questo regime della prescrizione vale nei confronti 
di tutti gli obbligati, anche se estranei al giudizio penale i(Cass. 4 giugno 1977, 

n. 2290, ivi, 1977, I, 688) e quindi anche nei confronti degli eredi dell'imputato. 
La seconda massima coerentemente a specifici precedenti, riporta lo stesso 
principio all'imposta di fabbricazione sugli spiriti, non ostante la diversa formulazione 
testuale (interruzione della prescrizione anzich� spostamento in avanti 
dell'inizio del corso della prescrizione). Utile � la precisazione che il giudicato 
penale va considerato non per il suo contenuto ma per il suo carattere formale 
in relazione alla necessit� che sia preliminarmente definito, in qualunque modo, 
il giudizio penale; di conseguenza non soltanto la prescrizione � condizionata 
da qualunque sentenza penale anche di proscioglimento o dichiarativa dell'estinzione 
del reato, ma dalla mera esistenza di un processo penale, anche 
in mancanza di una ipotesi di reato; su questo punto viene corretta la pre




138 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

dal T.V. 1909, n. 704, che, per ci� che concerne la prescrizione, faceva 
ricezione materiale della norma al tempo vigente (art. 15 legge 20 gennaio 
1896, n. 20) della legge doganale; le successive modificazioni della 
legge doganale non si ripercuotono sulla normativa dell'imposta di fabbricazione 
sugli spiriti (3). 

I 

(omissis) Con il primo mezzo i ricorrenti denunciano la violazione 
e falsa applicazione dell'art. 27 della legge doganale (legge 25 settembre 
1940, n. 1424) in relazione all'art. 360, n. 3 cod. proc. civ. e sostengono 
che non si dovrebbe applicare all'ipotesi di estinzione del reato per 
morte del reo, la disposizione dell'ultimo comma del detto articolo 27, 
secondo cui allorch� il mancato pagamento dei diritti doganali ha causa 
da reato, il termine di prescrizione decorre dalla data in cui il decreto o 
la sentenza pronunciata nel procedimento penale sono divenuti irrevocabili. 


Tale disposizione dovrebbe essere limitata a tutti i casi in cui la 
pronuncia del giudice quale, affermativa od anche negativa, di penale 
responsabilit� sia collegata a valutazioni nascenti dal processo. Diverso 
sarebbe il caso della morte del reo, che avrebbe immediato effetto estintivo 
sicch� l'inizio della prescrizione sarebbe quella del giorno della 
morte e non quello della _pronuncia di estinzione del reato. 

Nella specie, quindi la prescrizione dei diritti doganali si sarebbe 
verificata nel 1969, oltre cio� due anni prima della notificazione dell'ingiunzione. 


N� avrebbe pregio l'argomentazione circa l'incertezza del termine iniziale 
della prescrizione per l'Amm!nistrazione doganale, costretta a seguire 
le singole vicende processuali per essere pronta a far valere in sede 
civile i diritti dogan".lli, perch� il termine quinquennale di prescrizione 
<>arebbe in proposito sufficientemente ampio. 

Con il secondo mezzo, strettamente connesso col precedente, i ricorrenti 
denunciano la violazione e falsa applicazione dell'art. 2935 cod. civ. 
con riferimento agli articoli 450 e 752, stesso codice, in relazione all'art. 
360 c.p.c. e sostengono che la norma generale posta dal. suddetto 
articolo 2935 potrebbe essere derogata dall'art. 27 legge doganale solo nei 
riguardi dell'imputato, ma non dei suoi eredi. Con la morte dell'imputato, 

cedente pronuncia '12 marzo 1973; n. 689 (in questa Rassegna, 1973, I, 599) che 

nel caso di sentenza penale che dichiara li'estinzione deL reato, aveva ritenuto che 

1a p.rescrizione potesse decorrere da tale data .solo se il> giudice civHe accerti 

in via incidentale ila sussistenza degli estremi del reato. 

L'ultima massima, con ampia disamina, chiarisce il problema delle fonti 

delle imposte di fabbricazione e da la spiegazione deLle discrepanze verificatesi 

tra la normativa di queste imposte, cristallizzata nel tempo, e quella delle im


poste doganali che si � evoluta e perfezionata. 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 139� 

infatti, si trasmetterebbe istantaneamente ai suoi eredi il debito verso 
la Finanza e verrebbe contemporaneamente meno la causa di sospensione 
costituita dal processo penale. 

I due motivi sono infondati. 

La Corte d'appello � partita dalla premessa che nella specie il mancato 
pagamento dei diritti doganali trovava la sua causa in un fatto 
costituente reato, di talch� doveva farsi richiamo all'ultimo comma dell'art. 
27 della legge doganale che in tali casi fa decorrere la prescrizione 
(quinquennale) dal giorno in cui il decreto o la sentenza pronunciati 
nel procedimento penale sono divenuti irrevocabili. Ha escluso la 
applicabilit� dell'art. 2947 cod. civ. secondo cui nel caso di danno da 
fatto illecito costituente reato estintosi per causa diversa dalla prescrizione 
il diritto al risarcimento si prescrive nel termine di cinque anni 
decorrente dalla data di estinzione del reato, perch� nella specie non si 
trattava di risarcimento del danno in senso proprio, bens� del sorgere 
di una fattispecie imponibile. 

Ha, quindi, respinto la tesi seguita dal Tribunale, secondo cui in caso 
di estinzione del reato il termine di prescrizione dovrebbe decorrere non 
dalla data della pronuncia di non procedibilit�, bens� da quella della 
morte osservando che in assenza di qualsiasi specificazione normativa, 
non era consentito porre distinzioni tra i diversi tipi di pronuncia. 

A sostegno di tale ragionamento ha anche addotto le esigenze di certezza 
e inequivocabilit� della decorrenza della prescrizione, elementi che 
mancherebbero seguendo la tesi di porre il dies a quo al momento 
della morte, e fa all'uopo rilevare come la Finanza, impossibilitata a 
riscuotere i diritti doganali durante il procedimento per l'accertamento 
del fatto penale, potrebbe non venire a conoscenza della morte dell'imputato 
al momento dell'evento. Ulteriore riprova dell'esattezza di tale 
ragionamento ha ricavato dal rilievo che il nuovo testo unico della 
legge doga.Baie 23 gennaio 1973, n. 43 nell'art. 84 relativo alla prescrizione, 
non ha introdotto alcuna specificazione, lasciando invariata la precedente 
formulazione. 

Ha, quindi, concluso che essendo la declaratoria di improcedibilit� 
..;tata emessa dal giudice istruttore il 30 agosto 1966 ed essendo state le 
ingiunzioni notificate il 18, 19 e 20 agosto 1971 l'esercizio del diritto della 
Finanza era stato tempestivo. 

Il ragionamento della Corte d'anpello � giuridicamente corretto e 

logicamente motivato e non merita le censure dei ricorrenti. 

Il terzo comma dell'art. 27 della legge doganale prescrive che se il 

mancato pagamento totale o parziale dei diritti abbia causa da un reato, 

il termine di prescrizione decorre dalla data in cui il decreto o la sen


tenza pronunciata nel procedimento penale sono divenuti inevocabili. 

La tesi che questa disposizione si riferisse unicamente a pronunce 

di concl"uma non � stata seguita dalla giurisprudenza di questa Corte, 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

la quale ha ritenuto che il terzo comma dell'art. 27 citato riguarda tutte 
le ipotesi di chiusura del procedimento penale ed anche le sentenze che 
dichiarano l'estinzione del reato, fermo restando per il giudice civile la 
possibilit� di accertare se il fatto contestato costituisce reato (sent. 18 gennaio 
1973, n. 177; 13 luglio 1968, n. 2495; 20 febbraio 1967, n. 417) senza 
che abbia rilievo la circostanza che il procedimento sia stato determinato 
da motivi non pertinenti al merito dell'azione penale (sent. 30 maggio 
1978, n. 2732). 

La formulazione della norma � cos� chiara nel richiedere per il dies 
a quo della decorrenza del termine di prescrizione l'emanazione di un 
provvedimento del giudice, che non � corretto voler prescindere da esso, 
nel caso in cui sia possibile attribuirgli natura dichiarativa, e risalire all'evento 
cui si deve il sorgere della situazione che ha dato luogo alla 
estinzione del reato. 

E tale formulazione ha anche una sua precisa ratio: rendere agevolmente 
edotta la Finanza del momento utile per la richiesta dei diritti 
spettanti e per l'inizio della prescrizione in caso di sua inerzia. 

Non � quindi possibile voler trasfondere nel detto art; 27 l'interpretazione 
data dalla giurisprudenza all'art. 2947 cod. civ. relativo alla 
prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito. 

Tale articolo stabilisce che nel caso in cui il fatto illecito costituisca 
reato e il procedimento penale si sia chiuso con declaratoria di estinzione 
per causa diversa dalla prescrizione o sia intervenuta sentenza irrevocabile 
nel giudizio penale la prescrizione decorre dalla data di estinzione del 
reato o dalla data in cui la sentenza � divenuta irrevocabile. E la giurisprudenza 
si � pi� volte pronunciata nel senso di considerare come dies 
a quo, nel caso di estinzione del reato non quello della pronuncia del giudice, 
bens� quello in cui si � verificato l'evento estintivo (sent. 11 maggio 
1971, n. 1344; 29 ottobre 1970, n. 2245; 12 marzo 1960, n. 494). 

Ma tale giurisprudenza non pu�, come gi� si � detto, essere trasfusa 
nell'interpretazione del terzo comma dell'art. 27 della legge doganale. 
Alle considerazioni gi� fatte circa il contenuto formale e la ratio della 
norma va aggiunta sia quella della diversit� ontologica tra risarcimento 
del danno e pagamento dei diritti evasi e sia soprattutto quella che 
l'art. 248 delle disposizioni transitorie e di attuazione del codice civile, 
prescrivendo che dopo l'entrata in vigore del codice civile rimanevano 
immutate le disposizioni delle leggi speciali, stabiliscono termini di prescrizione 
diversi da quello ordinario, fa salvo in sostanza, sulla base del 
principio della specialit� tutto il regime dei termini della prescrizione 
adottato dalle leggi speciali e, quindi, anche il momento della decorrenza 
dei termini stessi. 

La tesi dei ricorrenti non pu� essere condivisa neppure in ordine all'efficacia 
soggettiva della norma dell'art. 27 legge doganale, che dovrebbe 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Hl 

cio� esplicarsi nei confronti dei soli imputati e non anche in quelli di 
altri obbligati. 

Questa Corte (sent. 4 giugno 1977, n. 2290) occupandosi di un'ipotesi in 
cui vi era un obbligato in solido con l'imputato per il pagamento dei diritti 
doganali, ha ritenuto che la sospensione della decorrenza del termine di 
prescrizione si applica anche nei confronti del coobbligato con l'autore 
del reato, fermo restando per tale obbligato la poscsibilit� di porre in 
discussione nel giudizio civile i presupposti della sua responsabilit� 
solidale. 

Tale sentenza ha posto l'accento sulla natura dell'obbligazione oggettivamente 
intesa e tale natura � rilevante anche nel caso in cui all'imputato 
subentrino i suoi eredi. Questi succedono nella stessa obbligazione 
nascente da reato e l'obbligazione non pu� cambiare natura se 
al soggetto obbligato ne succede un altro. E tutto il regime dell'obbligazione 
resta immutato anche per quanto riguarda la decorrenza del 
termine di prescrizione. {omissis). 

II 

(omissis) 1. -I giudici di merito hanno ritenuto che nell'ipotesi 
di mancato pagamento di diritti doganali e di imposte di fabbricazione 
sugli spiriti, colle~ato alla commissione di reati finanziari l'azione della 
amministrazione finanziaria diretta ad ottenere il pagamento del tributo 
si prescrive nel termine di cinque anni decorrente dalla data della sentenza 
che chiude irrevocabilmente il processo penale qualunque ne sia 
il contenuto (di condanna o di proscioglimento) e quindi anche se, come 
nelle specie, il reato sia stato dichiarato estinto per prescrizione. 

Le conclusioni raggiunte nell'interpretazione rispettivamente dell'articolo 
31 del t.u. sugli spiriti dell'8 luglio 1924, e dell'art. 27 comma 3 della 
legge doganale 25 settembre 1940, n. 1424 sono in armonia con l'orientamento 
del~a giurisprudenza di questa S.C. (cfr. Cass. 689 del 1973, 
sull'art. 31 t.u. del 1924, e Cass. 2732/78, 2290/77, 177/73, 2495/68, 415/67 
sull'art. 27 legge doganale. 

Il primo motivo del ricorso deve quindi essere rigettato. Con esso 

il Razzini deduce la violazione o falsa applicazione dell'art. 31 ultimo 

comma del t.u. 8 luglio 1924, e dell'art. 27 ultimo comma. della legge 

doganale 25 settembre 1940, in relazione all'art. 2947 cod. civ. e 15 della 

legge doganale 20 gennaio 1896, n. 20 e censura l'interpretazione accolta 

dalla Corte soggiungendo che, alla sua stregua, la norma risulterebbe 

incostituzionale per contrasto con il principio di eguaglianza. 

2. -Nel procedere all'esame del mezzo occorre anzitutto richiamare 
i dati normativi che ad avviso del Collegio vanno ricondotti ad unit� 
esegetica, nonostante le difformit� testuali, per quanto attiene alla portata 
della decorrenza, pur riconoscendo che nell'un caso la decorrenza 

essere ancora e non su essere ancora e non su 
142 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

stessa attiene alla originaria proposizione dell'azione civile tributaria e 
nell'altro alla esperibilit� della medesima ex novo sia stata esercitata 
quella penale con effetto interruttivo-sospensivo. Una lettura dell'art. 31 

t.u. del 1924, che lo ponga in sintonia sistematica con l'art. 27 comma 3 
della legge n. 1424, che peraltro non spiegherebbe effetti pratici ai fini 
del decidere, non sembra possibile perch� la disposizione esprime uno 
stadio di tecnica legislativa non ancora sufficientemente raffinato nella 
prospettiva del collegamento causale della fattispecie impositiva con il 
reato fiscale. 
La dizione dell'art. 27 della legge doganale del 1940, raffrontata con 
quella dell'art. 31 del t.u. del 1924 vale comunque a cogliere la linea di 
tendenza della legislazione per quanto attiene ai riflessi, in tema di 
prescrizione, dell'indicata dipendenza. 

La situazione tenuta presente dal legislatore � quella di evasione di 
tributi per fatti costituenti reato in cui il presupposto dell'imposta non 
viene percepito normalmente dall'amministrazione finanziaria, dato che 
il comportamento del contribuente � diretto appunto ad occultarlo, 
sicch� la finanza non � in grado di attivarsi per la liquidazione e riscossione 
del credito fiscale. La notitia criminis si presenta come evento 
capace di sciogliere il nodo di commissione tra fatto reato e fatto di evasione 
fiscale, venendo ad essere o meno confermato quest'ultimo secondo 
l'esito del giudizio penale in corso, alla stregua del quale risulter�, ora 
per allora, se effettivamente venne posto in essere sia pure clandestinamente 
il presupposto del tributo. 

E poich� il collegamento causale � elemento sintomatico della impossibilit� 
per l'amministrazione di far valere in giudizio il diritto di 
cui non � potuta venire a conoscenza, in tale ipotesi il nesso di dipendenza 
tra reato fiscale e fattispecie impositiva viene valorizzato dal legislatore 
nel senso di subordinare la azionabilit� del credito tributario 
(e quindi la decorrenza della relativa prescrizione) nei confronti del 
contribuente che si � sottratto all'adempimento dell'obbligazione. 

Il momento logico di incidenza della fattispecie non consiste, dunque, 
nel sopravvenire di un processo penale, mentre � in corso il periodo 
prescrizionale rispetto ad un diritto che in principio si sarebbe potuto 
far valere in giudizio ma quello del venire in evidenza di una notitia 
criminis, e del correlativo esercizio dell'azione penale la quale, per la 
sua struttura ed il suo contenuto, mette in luce, per la prima volta, la 
possibile esistenza del presupposto di imposta, il cui occertamento � 
in forse finch� il processo penale non sia definitivamente chiuso. 

Il presupposto di imposta preesiste storicamente al processo penale, 
ma viene accertato necessariamente nel processo stesso, da ci� il nesso 
di collegamento causale che si riflette sul piano della possibilit� di far 
valere il diritto che deve accertato, quello di 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

paralizzarne l'esercizio per una vicenda che mira a contestare requisiti 
esistenziali. 

A questa ricostruzione pi� raffinata del fenomeno non si � arrivati 
peraltro immediatamente, essendosi inizialmente imboccata la strada 
dell'interruzione e della sospensione della prescrizione. L'interferenza tra 
fatto di evasione tributaria e fattispecie di reato fiscale si � considerata 
senza distinguere il momento in cui il diritto viene ad esistere da quello 
in cui il diritto pu� essere fatto valere in giudizio, mentre restava in 
ombra, nel concetto di fattispecie impositiva, l'aspetto dell'accertamento 
e quello della riscossione. 

Facendo coincidere nascita del diritto e venire in esistenza del presupposto 
di imposta, anche se sconosciuto alla finanza, si ipotizza un 
diritto solo potenzialmente suscettibile di esercizio, e quindi si configura 
l'inizio dell'azione penale, conseguente alla notitia criminis, come 
evento rivelatore del collegamento tra fattispecie penale e fattispecie 
tributaria che assume carattere interruttivo e che impedisce il decorso 
della prescrizione del processo penale. 

La dizione dell'art. 31 comma 3 messo a raffronto con il successivo 
comma cristallizza la prima formulazione normativa del fenomeno che 
si voleva disciplinare facendo decorrere la prescrizione dal giorno in cui 
avrebbe dovuto effettuarsi il pagamento del tributo, e ricostruendo la 
interferenza con il giudizio penale in chiave di interruzione. 

La dizione dell'art. 27 comma 3 della legge n. 1424, riflette una 
tecnica legislativa pi� rispondente alla realt� del fenomeno considerato 
(tanto che la disposizione � stata riprodotta nell'art. 84 comma 3 del 
nuovo testo unico: d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43) prescindendo dall'interruzione-
sospensione per incidere direttamente ed immediatamente sulla 
individuazione del termine originario di decorrenza della prescrizione. 

Nel comma 1 dell'art. 27 si stabilisce, in linea di massima, che l'azione 
per la riscossione dei diritti doganali si prescrive in cinque anni, 
e si prevedono, quindi le varie decorrenze del termine. Al comma 3 si 
precisa che �quando il mancato pagamento, totale o parziale, dei tributi 
abbia causa da reato�, detto termine decorre dalla data in cui 
il decreto o la sentenza pronunciata nel procedimento sono divenuti irrevocabili. 


Si � differito cio� il dies a quo della prescrizione, rispetto ad un presupposto 
tributario collegato con il fatto reato, coprendo tutto il tempo di 
operativit� di quel collegan;iento che viene meno nel momento in cui il 
processo penale relativo a quel fatto si chiude con un provvedimento 
irrevocabile. 

Se quindi da un lato si ha lo slittamento in avanti del termine per 
agire, a contrario finch� il processo penale non sia chiuso l'amministrazione 
non potrebbe nemmeno agire (ragionando invece in termini di 


144 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO 

interruzione-sospensione, il processo civile potrebbe esser iniziato, ma 
resterebbe sospeso in pendenza di quello penale). 

3. -Questa essendo, ad avviso del Collegio la esatta ricostruzione 
della fattispecie dell'art. 27 comma 3, non sembra possibile dubitare che 
la norma vada riferita a qualsiasi pronuncia del giudice penale definitiva 
e preclusiva della ulteriore perseguibilit� del fatto come reato, sia 
essa di condanna, ovvero di proscioglimento, riguardi o meno il merito 
dell'azione penale. 
L'azione della cui prescrizione si tratta �, e resta nonostante il collegamento 
con l'accertaimento del reato, un'azione tdbutaria e non � suscettibile 
di trasformarsi in obbligazione di risarcimento del danno. 

Con la richiesta di pagamento del tributo non si mira alla reintegrazione 
delle perdite subite a causa del fatto illecito altrui (sia pure 
costituente reato), ma si pretende il tributo che un dato soggetto deve, 
per essersi verificato nei suoi confronti il presupposto di imposta, e non 
in conseguenza di un damnum iniuria datum. 

Cade in errore, perci�, la difesa del ricorrente nel richiamarsi alla 
fattispecie dell'art. 2947 comma 3 che attiene invece al diverso collegamento 
fra reato e fattispecie risarcitoria, laddove il collegamento che 
giustifica la norma dell'art. 27 intercorre fra reato e fattispecie impositiva. 


Ogni qualvolta la finanza agisce, per il pagamento di diritti doganali 
evasi, nei confronti del contribuente coinvolto in un giudizio penale, 
si � fuori dell'ambito di applicazione dell'art. 2947 comma 3, e.e., perch� 
si aziona una pretesa tributaria, e non una pretesa risarcitoria. Ed il 
rapporto fra art. 27 comma 3 legge dog. ed art. 2947 comma 3 e.e., non va 
ricostruito in termini di deroga alle disposizioni generali del codice, 
dato che non si verifica una concorrenza di norme astrattamente applicabile 
alla medesima fattispecie, ma si hanno fattispecie del tutto autonome
� che, concernendo entrambe la decorrenza del termine prescrizionale, 
la disciplinano secondo le discrezionali valutazioni del legislatore. 

Il punto di raffronto civilistico non � dato, dunque, dall'art. 2947 
comma 3 e.e., ma dall'art. 2935 e.e. che detta la regola generale della 
decorrenza della prescrizione, sostituito, relativamente alla riscossione ~ 
dei diritti doganali, dell'art. 27 comma 3 della legge n. 1424. 

Occorre avere fondamentalmente riguardo al titolo della domanda 

I

. 1 

azionata: quando la finanza fa valere il diritto al tributo, esercitando 

I

la potest� impositiva, si applica l'art. 27 legge dog. il quale nel caso di 1 
collegamento causale tra fattispecie impositiva e reato doganale com


I 

porta lo scorrimento in avanti della decorrenza della prescrizione (al di 1 
fuori di una vicenda interruttiva-sospensiva che deve necessariamente 
radicarsi su un termine gi� in corso), sicch� di prescrizione non pu� 
parlarsi finch� il processo penale relativo a quel reato non � chiuso, con 
la pronuncia definitiva. 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Non � quindi al contenuto della pronuncia che bisogna avere riguardo, 
ma al suo carattere formale, alla sua attitudine a definire il giudizio, e 
non importa se l'imputato sia stato condannato, o prosciolto; la decorrenza, 
pertanto, opera anche rispetto alla sentenza che ha dichiarato la 
estinzione del reato e con riferimento alla data del passaggio in giudicato 
della pronuncia e non a quella in cui si � verificato il fatto estintivo. 

4. -Parzialmente diverso � il discorso da svolgere per l'imposta di 
fabbricazione, come si � gi� sommariamente anticipato, precisando che 
sul piano concreto degli effetti nel caso in esame le conclusioni non 
mutano. L'art. 31 del t.u. sugli spiriti 8 luglio 1924, al comma 3 stabilisce 
che l'azione per il recupero del credito si estingue trascorsi cinque 
anni dal giorno nel quale avrebbe dovuto eseguirsi il pagamento. 
Ed il comma settimo stabilisce che � la prescrizione per l'azione civile 
� interrotta quando venga esercitata l'azione penale�, soggiungendo: �in 
questo caso il termine utile di cinque anni per l'azione civile decorre 
dalla data della sentenza definitiva nel giudizio penale �. 

Lo strumento normativo cos� realizzato non � riconducibile alla prospettiva 
della decorrenza originaria della prescrizione all'esito del giudizio 
penale, perch� questa decorrenza � fissata, con dizione onnicomprensiva, 
al comma tre, con riferimento al giorno in cui avrebbe dovuto 
eseguirsi il pagamento, mentre il richiamo all'istituto della interruzione 
nella sua perentoriet� non sembra superabile in via di mera interpretazione. 


E' qui opportuno a questo punto brevemente accennare alla collocazione 
del decreto ministeriale (del Ministro delle Finanze) contenente 
il testo unico delle disposizioni legislative per l'imposta di fabbricazione 
degli spiriti nel sistema delle fonti. 

Con legge 3 dicembre 1922, n. 1601 il Governo fu delegato ad emanare 
fino -al 31 dicembre 1923 disposizioni aventi valore di legge per il 
riordinament� del sistema tributario ed in esecuzione di tale delega eman�, 
con r.d. 10 maggio 1923, n. 1792, norme legislative, autorizzando nel 
contempo il Ministro delle Finanze a provvedere, mediante suo decreto � al 
coordinamento ed alla pubblicazione dei testi unici delle disposizioni di 
carattere legislativo concernenti ciascuna imposta di fabbricazione �. In 
base a detta autorizzazione furono emanati, 1'8 luglio 1924, i decreti ministeriali 
relativi fra cui quello che qui interessa in materia di spiriti. 

Il primo problema che si pone al riguardo � quello della forza di 
legge del testo unico medesimo. La risposta della Corte cost. con sentenza 
n. 54 del 1957 ribadita con ordinanza n. 54 del 1965 � stata negativa. 

Ove per� si fosse ritenuta la natura legislativa del decreto esso si sarebbe 
dovuto dichiarare incostituzionale almeno per tre ordini di ragioni: 
a) la emanazione fuori del termine del 31 dicembre 1923 per l'esercizio 
della delega; b) l'essere espressione di una subdelegazione non ammessa 


146 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

all'poca cui il decreto fu emesso (Cass. S.U. 19 gennaio 1922 e 27 ottobre 
1926); e) l'attribuzione di potest� legislativa al singolo ministro anzich� 
al Governo. 

Riconosciuto che il decreto ministeriale in esame ha la natura e la 
efficacia giuridica di una mera raccolta amministrativa di norme di leggi 
precedenti, e che quindi da un lato non � da sollevare al riguardo questione 
di legittimit� costituzionale, dovendosi avere riguardo alle fonti 
normative riprodotte in testo unico come tali, rispetto all'art. 31 qui considerato 
occorre rifarsi all'art. 17 t.u. 16 settembre 1909, n. 704 ed all'art. 
15. della legge 20 gennaio 1896, n. 20, per constatare che il collegamento 
fra fattispecie impositiva e reato fiscale non viene valorizzato dal 
legislatore secondo il modello della decorrenza originaria, ma alla stregua 
dell'interruzione-sospensione. 

In effetti l'art. 17 del r.d. 16 settembre 1909, che approva l'annesso 
testo unico delle leggi sugli spiriti (emesso ai sensi dell'art. 6 della legge 
11 luglio 1909, n. 443 che autorizzava il coordinamento da parte del Governo 
delle disposizioni legislative in materia di regime fiscale degli spiriti) 
realizzando un testo unico di atti con forza di legge e di carattere 
innovativo, nel dettare il regime prescrizionale della tassa degli spiriti, 
si richiama alle disposizioni degli articoli 15 e 16 della legge doganale, 
recependoli per recetionem con riguardo cio� alla disciplina che ne risultava 
(secondo cio� lo schema del rinvio materiale o recettizio). 

Non si determina cio� un parallelismo da valere per il futuro fra la 
regolamentazione sul punto delle prescrizioni tra imposte doganali con 
imposta di fabbricazione sugli spiriti, sicch� le modificazioni normative 
dell'una vengano a ripercuotersi necessariamente sull'altra ma si uniforma 
la disciplina degli spiriti a quella doganale risultante da un puntuale 
enunciato terminale (l'art. 15 appunto, per quel che qui interessa) modificato 
solo relativamente alla durata della prescrizione portata da due 
a cinq1:1e anni. 

Su questa situazione normativa il t.u. del 1924, non poteva incidere 
con effetti innovativi (consentiti invece al Governo dal richiamato art. 6, 
legge n. 443 del 1905) ed in effetti essa si � limitata a trascrivere nell'art. 
31 il vizio dell'art. 15 della legge doganale del 1896 con le modificazioni 
apportate dall'art. 17 del r.d. n. 704. 

E poich� la legge richiamata era solo quella del 1896, le modificazioni 
intervenute in materia doganale non possono riflettersi in materia 
di imposta di fabbricazione spiriti e non � possibile l'equiparazione dei 
dati che discenderebbe solo da un rinvio formale dall'una all'altra regolamentazione 
normativa che alla stregua dei dati testuali ricordati deve 
escludersi. Da un lato dunque il testo dell'art. 31 t.u. del 1934 non � 
sostituibiJle con quello dell'art. 27 Legge doganale del 1940; dall'altro la 
interpretazione del primo non � riconducibile globalmente a quella del 
secondo. 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Ai fini del decidere peraltro, la nuova (anzich� originaria) decorrenza 
del termine quinquennale non giova al ricorrente una volta interpretata 
la locuzione �dalla data della sentenza definitiva del giudizio penale� negli 
stessi termini della dizione � dalla data in cui il decreto o la sentenza 
pronunciata nel procedimento penale sono divenuti irrevocabili �. 

E' singolare l'argomentazione testuale addotta dal ricorrente per sottrarsi 
a questo corollario di omogeneit� interpretativa fra i due testi 
circa la portata delle pronuncie penali indicate a fondamento della decorrenza 
(nuova o originaria che sia) del termine quinquennale. 

Si fa leva sulle modifiche introdotte nel testo dell'art. 15 della legge 
doganale n. 20 del 1896, con legge 29 novembre 1929, n. 2676 nel senso 
che la prescrizione restava interrotta � oltre che per le cause indicate del 
codice civile � dall'instaurazione del processo penale, per argomentare che 
l'esercizio dell'azione penale non sarebbe stato causa di interruzione se 
non in quanto prevista come tale dalla legge doganale; e poich� la legge 
doganale del 1940 pi� non parla di interruzione, almeno dal momento 
dell'entrata in vigore di tale legge dovrebbe escludersi l'operativit� della 
azione penale stessa come causa di interruzione. 

Ora le considerazioni svolte ad illustrazione della portata dell'art. 27 
della legge del 1940, quale sbocco di una linea di tendenza dell'ordinamento, 
depongono chiaramente nel senso che il ripudio legislativo dello 
strumento dell'interruzione comporta lo scorrimento in avanti dell'intero 
periodo prescrizionale. E quindi se nel testo unico del 1924 si volesse 
sostituire al disposto della legge doganale del 1896 quello della legge 
del 1940, il problema interpretativo dell'art. 31 in esame andrebbe ricondotto 
a quello dell'art. 27 con i risultati esegetici sopra raggiunti. 

Tuttavia deve escludersi, come si � appena dimostrato che le modifiche 
intervenute nella legge doganale del 1896, per la parte in cui era 
stata testualmente riferita alle imposte sugli spiriti, si siano ripercosse 
sulla legislazione medesima che per questa parte, nelle disposizioni trasfuse 
nel testo unico, ha operato una ricezione materiale di cui � espressione 
l'art. 17 del t.u. (legislativo) 16 settembre 1909, n. 704. 

Comunque l'argomento esegetico invocato, anche se nel suo rife


rimento testuale fosse applicabile alla specie non � pertinente. La dizione 

integrativa, nel ricordare che l'interruzione prevista dalla legge speciale 

opera in aggiunta alle ipotesi interruttive indicate dal codice civile non 

ha portata innovativa ma chiarisce un concetto gi� desumibile in forza 

di principi generali. Tale precisazione non significa che l'esercizio della 

azione penale in tanto si pone come fatto interruttivo in quanto sia 

previsto come tale dalla legge doganale, ma caso mai all'opposto che la 

medesima causa interruttiva prevista dalla legge doganale diventa ope


rante, per effetto del richiamo recettizio ai fini della decorrenza della 

prescrizione per le imposte di fabbricazione. 


148 
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Conclusivamente sul punto: l'impostazione in termini di interruzione 
non consente di escludere la tempestivit� dell'azione per la riscossione 
del tributo evaso esercitata nel quinquennio dalla data della sentenza 
penale dichiarativa dell'estinzione del reato, dovendosi fare applicazione 
in tal senso dell'art. 31 t.u. del 1924 e non gi� dell'art. 2947, comma 3, codice 
civ. non operante rispetto alle ipotesi di collegamento tra fattispecie 
tributaria e fattispecie penale perch� riguardante esclusivamente il diverso 
collegamento tra fattispecie risarcitoria e fattispecie penale. In proposito 
l'espressione azione civile contenuta nel citato art. 31 deve essere 
intesa non gi� in senso ristretto come azione esercitabile nel processo penale, 
previa costituzione di parte civile (come azione cio� meramente risarcitoria), 
ma va riferita anche all'azione diretta a percepire l'imposta 
evasa in caso di fabbricazione clandestina di spirito (Cass. 689/73 cit.); e 
sia che si tratti di nuova decorrenza a seguito di interruzione per effetto 
della proposizione dell'azione penale e di conseguente sospensione per 
tutta la durata del processo penale (come ha gi� ritenuto questa S.C. e 
deve ribadirsi in questa sede) sia che si tratti di decorrenza originaria rispetto 
a precedente improcedibilit� (secondo la impostazione pi� congrua 
che � stata successivamente adottata dal legislatore nel 1940 per l'imposta 
doganale) resta fermo che l'amministrazione dispone dell'intero quinquennio 
decorrente dalla data della irrevocabilit� della sentenza definitiva del 
processo sia di condanna che di proscioglimento (nella specie dichiarativa 
di estinzione del reato per prescrizione). 

5. -Contro !'accolta esegesi il ricorrente deduce: 
a) che le norme delle leggi speciali non prevedono espressamente 
l'ipotesi della estinzione per prescrizione, e che quindi si sarebbe dovuto 
applicare l'art. 2947 cod. civ., prescrivendosi l'azione per il recupero dei 
tributi evasi, al pari di quella penale, dal momento in cui il reato si 
estingu~ per prescrizione; 

b) che il collegamento fra reato e pretesa fiscale deve estrinsecarsi 
necessariamente neJ:l'accertamento gliudiziaJe che il fatto cost!ituisce reato. 


Ma 
pu� agevolmente replicarsi: 
sub a) ribadendo alla stregua delle argomentazioni gi� svolte, che, 
data l'ampia dizione della norma e la sua funzione, dal suo ambito non 
possono escludersi le sentenze di proscioglimento per estinzione del reato 
(tra cui si annovera quella che ne abbia riconosciuto la prescrizionale); 
e che l'azione per la riscossione di tributi evasi va distinta concettualmente 
da quella riguardante una pretesa meramente risarcitoria; proprio 
nella indebita equiparazione delle due ipotesi va ravvisata l'errore di 
fondo della impostazione del ricorrente. 
sub b) che il collegamento causale tra fattispecie tributaria e fattispecie 
penalistica non viene in considerazione ex post, in relazione ad 
un determinato esito, ma ex ante in quanto sia stata evidenziata una 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

possibile commistione del presupposto di imposta con una vicenda suscettibile 
di qualificazioni penalistiche, che prende rilievo come tale 
dal punto di vista formale e non sostanziale. E cio� la sussistenza di 
tale nesso che induce il legislatore ad operare lo slittamento della 
decorrenza della prescrizione per tutto il tempo di svolgimento del 
processo penale che esauritosi sul piano dell'incidenza del fatto reato 
sul presupposto tributario consente di valutarlo alla stregua della conclusione, 
qualunque essa sia, di quel processo che esaurendosi ha sciolto 
i nessi che intrecciavano e confondevano le due fattispecie collegate, 
consentendo al presupposto tributario in quanto ne sussistono gli estremi, 
di esplicare i suoi effetti, restando ribadito che � la definizione 
del processo, e non il contenuto della pronuncia conclusiva, a venire 
in considerazione. 

6. -Cos� ricostruita la portata dell'art. 31 del testo unico sugli spiriti 
del 1924 e dell'art. 27 della legge doganale del 1940 l'interpretazione 
accolta non si pone in contrasto con l'art. 3 Cost. (s� da imporne la 
verifica in termini di adeguatezza costituzionale prima ancora di sottoporre 
la relativa questione al giudizio della Corte). 
Riconoscendosi che le norme della legislazione tributaria, alla stregua 
del ravvisato collegamento tra fattispecie impositiva e reato fiscale, 
spostano 1a decoDrenza del termine iniziale di prescrizione del diritto 
dell'amministrazione alla percezione del tributo (ovvero determinano, 
attraverso lo strumento della interruzione sospensione, il nuovo decorso 
del termine con identico aggancio all'esito del processo penale) dettando 
una disciplina diversa da quella risultante dall'art. 2947, terzo comma, 
e.e., non si constata una difformit� di trattamento per situazioni uguali, 

o quantomeno assimilabili, dato che non si verifica -come si � gi� 
messo in evidenza -una concorrenza di norme astrattamente applicabili 
ad una medesima fattispecie, poich� si ha da un lato una fattispecie 
impositiva (la richiesta di pagamento di un tributo la cui evasione 
� collegata alla commissione di un reato, rispetto alla quale � 
fissato il decorso originario, ovvero differito, della prescrizione, in difformit� 
dalla regola generale dettata dall'art. 2935 e.e.), dall'altro una fattispecie 
risarcitoria, rispetto alla quale tale decorrenza trova secondo 
moduli autonomamente determinati, il dies a quo suo proprio. 
Ma il legislatore � libero di fissare termini prescrizionali pi� o 
meno lunghi di crediti di natura diversa, a seconda del diverso grado 
di tutela che ritiene di dovere assicurare a taluno di essi, essendo 
indice sufficiente di ragionevolezza dell'operata discriminazione la diversit� 
di qualificazione dei crediti considerati; nell'un caso credito d'imposta, 
nell'altro credito di risarcimento danni. Comunque tale diversit� 
di trattamento trova un suo aggancio al livello dei principi costituzionali, 
perch�, contrariamente a quanto si sostiene nel ricorso, l'interesse 


150 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

alla riscossione dei tributi � essenziale nella vita dello Stato, attenendo 
al regolare funzionamento dei servizi necessari alla comunit� nazionale 
che ne assicurano l'esistenza, assumendo rilevanza costituzionale (Corte 
cost. 32/76, 11/71, 199/70). 

La questione di legittimit� costituzionale deve essere dichiarata, 
.pevci�, manifestamente infondata. (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 28 maggio 1979, n. 3085 -Pres. Mirabelli 
-Est. Carnevale -P. M. Minetti (conf.) -Soc. Cantone e Guglielmo 
(avv. Micheli) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Viola). 

Tributi in genere -Potest� tributaria di imposizione -Regione Siciliana Potest� 
legislativa concorrente -Concetto -Limiti. 

Tributi erariali diretti -Imposte fondiarie -Imposta sui fabbricati -Agevolazione 
per le case di abitazione non di lusso -Legislazione della 
Regione Siciliana -Conformit� della costruzione alla licenza edilizia E' 
necessaria. 
(!. 2 luglio 1949, n. 408, art. 13; I. reg. Sicilia 28 aprile 1954, n. 11, art. 8). 

La potest� legislativa della Regione Siciliana in materia di tributi 
� concorrente con la legislazione statale e, se coerente ai principi e agli 
interessi a cui si ispira la legislazione dello Stato (limite di principio) 
e alla esigenza di soddisfare condizioni particolari ed interessi propri 
della Regione (limite finalistico), prevale sulla legislazione dello Stato (1). 

In base alla legislazione regionale siciliana l'agevolazione dell'imposta 
sui fabbricati per le case di abitazione non di lusso di nuova costruzione 
presuppone, oltre ai requisiti stabiliti dalla legge dello Stato, 
la conformit� della costruzione alla licenza edilizia (2). 

(omissis) Con il primo motivo -denunciando la violazione e la 
falsa applicazione degli artt. 13 della Jegge 2 'luglio 11949, n. 408, 43 del 

d.l. 15 marzo 1965, n. 124, convertito nella legge 15 maggio 1966, n. 431, 
e 14, 17 e 36 dello statuto della Regione Siciliana (r.d. 15 maggio 1946, 
n. 455), in relazione agli artt. 1 della legge regionale siciliana 18 ottobre 
1954, n. 37, 5 e 9 della legge regionale siciliana 28 aprile 1954, n. 11, 
alla legge regionale siciliana 27 novembre 1961, n. 22, e alla legge regionale 
siciliana 14 dicembre 1965, n. 41, nonch� l'omesso esame di punti 
(1-2) Una ulteriore precisazione, sia generale che specifica, sul problema 
della legislazione sici1iana in materia di case di abitazione non di lusso; cfr. 
Cass. 26 ottobre 1977, n. 4648 e 27 luglio 11978, n. 3774 (in questa Rassegna, 1978, 
I, 223 e 1979, I, 63). 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

decisivi -la societ� ricorrente si duole che la commissione tributaria 
centrale abbia ritenuto che la legge regionale siciliana n. 11 del 195i.., 
pur nell'ipotesi in cui non dovesse ritenersi di applicazione esclusiva, 
sarebbe compatibile, in quanto concorrente ed integrativa di essa, con 
la legge statale n. 408 del 1949, per la ragione che il requisito della 
conformit� della costruzione al progetto approvato da essa stabilito 
ai fini dell'esenzione venticinquennale dall'imposta sul reddito dei fabbricati, 
pur non essendo espressamente menzionato dalle leggi statali, 
� tuttavia da esse implicitamente contemplato nella disposizione che 
richiede, ai fini del riconoscimento dell'esenzione, il certificato di abitabilit�. 
Cos� decidendo -assume la societ� ricorrente -la commissione 
tributaria centrale non ha considerato che nella specie, pur non essendo 
la costruzione conforme al progetto approvato, il certificato di abitabilit� 
era stato regolarmente rilasciato; che la dichiarazione di abitabilit�, 
essendo richiesta esclusivamente a tutela della pubblica igiene, 
non postula l'accertamento della conformit� della costruzione alle prescrizioni 
delle norme urbanistiche e della licenza edilizia; che, conseguentemente, 
la legge regionale siciliana -prevedendo, ai fini� della 
concessione dell'esenzione in esame, un requisito diverso e pi� restrittivo, 
come la conformit� della costruzione al progetto approvato, di 
quello (rilascio della licenza di abitabilit�) stabilito dalla legge statale non 
� compatibile con questa e d� luogo ad una disparit� di trattamento 
tra i soggetti che costruiscono case di abitazione nel territorio 
della Regione siciliana e quelli che costruiscono nel rimanente territorio 
dello Stato: disparit� di trattamento che, non trovando fondamento 
nell'esigenza di soddisfare specifici interessi regionali, giustificherebbe 
il sospetto che la norma regionale � costituzionalmente illegittima per 
contrasto con il principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione. 


Con il secondo motivo denunciando la violazione e la falsa applicazione 
delle stesse norme richiamate nell'epigrafe del precedente mezzo 
e l'omesso same di un punto decisivo -la societ� ricorrente sostiene 
che, dovendo la legge statale prevalere su quella regionale, l'esenzione 
avrebbe dovuto essere riconosciuta in relazione all'intero edificio (in 
quanto anche il decimo piano, pur non essendo compreso nel certificato 
di abitabilit�, era effettivamente destinato ad abitazione) o, quanto 
meno, a quella parte di esso (tutti i piani fuori terra escluso il decimo) 
per la quale il detto certificato era stato rilasciato. 

I due motivi avanti riassunti -che, per la stretta connessione 
delle questioni con essi proposte, � opportuno esaminare congiuntamente 
-sono entrambi infondati. 

Essi prospettano infatti, senza che sia stato addotto alcun nuovo 
argomento idoneo ad indurre questa Corte Suprema ad un mutamento 
del proprio indirizzo giurisprudenziale, questioni gi� decise in senso sfa



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

vorevole alle tesi sostenute dalla societ� ricorrente con le recenti sentenze 
26 ottobre 1977, nn. 4648 e 4649 e 5 dicembre 1978, n. 5722. 

Come � stato posto in evidenza nelle sentenze citate, ai fini del 
riconoscimento dell'esenzione venticinquennale dall'imposta sul reddito 
dei fabbricati in relazione a edifici destinati ad abitazioni non di lusso 
costruiti nel territorio della Regione Siciliana -in epoca successiva all'entrata 
in vigore delle leggi da questa emanate in materia -deve aversi 
riguardo non gi� ai requisiti previsti dall'art. 13 della legge statale 
2 luglio 1949, n. 408, ma a quelli stabiliti dall'art. 8 della legge regionale 
siciliana 28 aprile 1954, n. 11, che subordina la concessione dell'esenzione 
alla conformit� della costruzione ai piani regolatori e di ricostruzione, 
alle leggi e ai regolamenti edilizi nonch� alle prescrizioni della 
licenza di costruzione. 

In virt� della potest� legislativa concorrente (o sussidiaria o ripartita) 
in materia tributaria, attribuitale dall'art. 36 del suo statuto, avente 
valore ed efficacia di legge costituzionale, la Regione Siciliana pu� 
-nel rispetto dei principi e degli interessi generali cui si informa la 
legislazione dello Stato in materia ed al fine di soddisfare alle condizioni 
particolari ed agli interessi propri della regione -introdurre 
infatti nelle norme tributarie da esse emanate quelle variazioni utili 
ad adattare le norme contenute nelle leggi dello Stato alle speciali necessit� 
dl suo territorio. 

Il duplice limite -posto dall'art. 17 dello stesso statuto all'esercizio 
della potest� legislativa concorrente spettante alla Regione Siciliana 
rispetto a determinate materie (tra le quali quella tributaria, con esclusione 
delle imposte di produzione) -del rispetto dei principi e degli 
intressi generali cui si informa la legislazione dello Stato (c.d. limite 
di principio) e della finalizzazione delle norme emanate a soddisfare 
condizioni particolari ed interessi propri della regione (c.d. limite finalistico) 
n�n comporta peraltro che la Regione Siciliana, quando legifera 
in materia tributaria, debba limitarsi a riprodurre pedissequamente le 
norme tributarie contenute nelle leggi statali, potendo adattare queste 
norme -nel che stanno la ragione, la portata ed il limite della legislazione 
concorrente -alle particolari esigenze del suo territorio o del 
suo corpo sociale. 

Fermo il suo dovere di umformarsi all'indirizzo ed ai principi fon


damentali della legislazione dello Stato riguardante ogni singolo tributo 

e le relative agevolazioni (appartenenti anch'essa alla materia tributa


ria), in modo che sia soddisfatta l'esigenza del coordinamento, in un 

sistema unitario, della finanza regionale con la finanza dello Stato e 

degli altri enti territoriali; la Regione Siciliana pu� disporre quindi 

un'agevolazione fiscale avente presupposti diversi da quelli previsti dalla 

norma agevolativa statale, pur che sia rispondente al tipo accolto dalla 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

legislazione dello Stato e miri a soddisfare condizioni particolari e specifici 
interessi regionali. 

La norma agevolativa regionale -sempre che esaurisca la disciplina 
dell'agevolazione e che, rispetto ad essa, non possa farsi questione 
di illegittimit� costituzionale per violazione dei limiti stabiliti dall'art. 17 
dello statuto o di altri principi e norme costituzionali -� applicabile, 
in via esclusiva, nell'ambito del territorio della Regione, non essendo 
ipotizzabile, per il carattere di specialit� proprio delle norme regionali, 
una sua applicazione alternativa o cumulativa con norme contenute in 
leggi statali. 

La norma regionale sull'esenzione venticinquennale dall'imposta sul 
reddito dei fabbricati -contenuta nell'art. 9 della legge regionale siciliana 
28 aprile 1954, n. 11 -oltre a rispettare i principi e gli interessi 
generali cui si informa la norma agevolativa contenuta nell'art. 13 della 
legge statale 2 luglio 1949, n. 408 (la quale, al pari di quella regionale, 
concede la detta esenzione al fine di incentivare la costruzione di case 
di abitazione non di lusso), tende a soddisfare anche un interesse tipicamente 
regionale, qual � indubbiamente quello inerente al razionale 
assetto urbanistico del territorio della Regione la cui disciplina legislativa 
� attribuita dall'art. 14, lett. f), dello statuto alla competenza esclusiva 
della Regione, attraverso l'imposizione dell'onere di osservare le 
prescrizioni degli strumenti urbanistici,� delle norme di legge e regolamentari 
in materia edilizia e della licenza di costruzione. 

L'introduzione di tale onere nella norma agevolativa regionale -essendo 
giustificata da una valutazione dell'interesse al razionale assetto 
urbanistico del territorio compiuta dal legislatore siciliano, nell'esercizio 
del potere discrezionale spettantegli, in modo diverso dal legislatore 
statale -non determina una disparit� di trattamento dei soggetti operanti 
nel territorio della Regione Siciliana rispetto a quelli operanti 
nel rimanente territorio dello Stato che possa far sospettare di illegittimit� 
�costituzionale la norma regionale siciliana perch� in contrasto 
con il principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione. 

Una volta che l'ordinamento costituzionale attribuisce alla Regione 

Siciliana il potere di emanare, in materia tributaria, norme aventi effi


cacia di legge formale, idonee a dettare, nel rispetto dei principi fon


damentali e degli interessi generali cui si informa la legislazione dello 

Stato, una disciplina differenziata rispetto a quella contenuta nelle norme 

di legge statali, al fine di soddisfare condizioni particolari ed interessi 

propri della Regione, la diversit� di disciplina dei rapporti tributari 

soggetti alle norme tributarie statali costituisce, infatti, una conseguenza 

-prevista e consentita dall'ordinamento -dell'esercizio della potest� 

legislativa attribuita alla Regione proprio al fine di adattare alle esigenze 

regionali le norme contenute nelle leggi dello Stato, introducendo in esse 

quelle variazioni di disciplina che non possono non comportare un trat



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

tamento differenziato di situazioni analoghe a secondo che il presupposto 
materiale dell'obbligazione tributaria venga ad emergere nell'ambito 
del territorio regionale o del rimanente territorio dello Stato. 

Conseguentemente, la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 9 
della legge regionale siciliana 28 aprile 1954, n. 11 (nella parte in cui, 
introducendo _l'ulteriore requisito della conformit� del fabbricato alle 
prescrizioni degli strumenti urbanistici, delle norme di edilizia e della 
licenza di costruzione, restringe, rispetto alle case di abitazione non 
di lusso costruite nel territorio della Regione Siciliana, l'ambito di applicabilit� 
dell'esenzione venticinquennale dall'imposta sul reddito dei fabbricati 
prevista dall'art. 13 della legge statale 2 luglio 1949, n. 408), per 
violazione del principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione, 
deve ritenersi manifestamente infondata. 

Poich� l'edificio rispetto al quale la commissione tributaria centrale 
ha ritenuto legittimo il diniego, da parte dell'Amministrazione finanziaria, 
dell'esenzione venticinquennale dall'imposta sul reddito dei fabbricati 
� stato costruito nel territorio della Regione Siciliana e, in base ai 
principi avanti enunciati, la norma agevolativa applicabile rispetto ad 
esso �, in via esclusiva, quella contenuta nel citato art. 9 della legge 
regionale siciliana 82 aprile 1954, n. 11, la decisione impugnata, essendo 
rimasto accertato che il detto edificio non era conforme alla licenza di 
costruzione, risulta perci� conforme al diritto, anche se la motivazione 
in diritto addotta dalla stessa commissione tributaria centrale, contenendo 
argomentazioni in parte erronee, deve essere corretta in conformit� 
ai principi suesposti. 

Il ricorso deve quindi essere rigettato. (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 6 giugno 1979, n. 3202 -Pres. Mirabelli 
-. Est. Zappulli -P. M. Grimaldi (conf.) -Casadei (avv. Fraccaroli) 
c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Abbignente). 

Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Enunciazione � Societ� di 
fatto -Ammontare dei conferimenti -Momento di riferimento � Si 
presume la data della enunciazione salvo prova contraria inoppugnabile. 


(r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, artt. 62 e 72). 
Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Mezzi di prova � Prova testimoniale 
� Inammissibilit�. 

(r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 18). 
Nell'ipotesi di enunciazione della societ� di fatto, l'ammontare dei 
conferimenti va determinato con riferimento al momento della costituzione 
del vincolo sociale e questo si presume coincidente con la data 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 155 

dell'enunciazione, salvo prova contraria inoppugnabile offerta con mezzi 
diversi dalla prova testimoniale (1). 

Nel sistema normativo della legge di registro, la prova testimoniale 
� inammissibile come mezza di accertamento di fatti influenti sulla determinazione 
e sulla misura del tributo (2). 

(omissis) I ricorrenti coniugi Casadei e Ghirardi hanno censurato 
ila sentenza impugnata, con l'unico motivo del ricorso, per violazione 
degli artt. 62-72 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, e 81 dell'allegato A 
del medesimo decreto, affermando che essi, quando avevano acquistato 
l'area per la successiva costruzione dell'albergo, avevano portato a conoscenza 
del Comune tale loro intenzione al fine di ottenere la licenza di 
costruzione, cos� come nell'appalto per i relativi lavori seguiti da entrambi, 
con ulteriori manifestazioni della avvenuta costituzione della societ� 
di fatto estrinsecatasi pure nella successiva gestione. Secondo essi, pertanto, 
la corte di merito ha errato nel negare l'efficacia di quelle prove 
con l'esclusione delle prove testimoniali, e quindi delle presunzioni, 
disposta dall'art. 18 della suddetta legge organica sull'imposta di registro, 
mentre, per costante giurisprudenza, nell'applicazione dell'imposta 
stessa sulle enunciazioni di societ� di fatto va considerato, per la valutazione 
dei beni conferiti, il momento della costituzione effettiva del 
rapporto sociale. 

Il motivo � infondato. 

Invero la sentenza d'appello ha chiaramente affermato, in linea di 
diritto, proprio il medesimo principio sostenuto dai ricorrenti, precisando 
nella motivazione che � l'imponibile, e cio� l'ammontare nel conferimenti 
in societ�... va determinato con riferimento al momento della 
costituzione del vincolo sociale�. Non vi �, perci�, per tale parte l'asserita 
violazione di legge n� un contrasto di tesi di diritto essendo, invece, 
controverso. quale sia stata, in linea di fatto, l'epoca dell'avvenuta costituzione 
della societ�, indicata nella sentenza, in assenza di prove diverse, 
in quella della sua enunciazione, e cio� della dichiarazione del fallimento. 


Al riguardo, nella sentenza impugnata non � stato negato che i soci 
avessero il diritto di fornire la prova contraria, ma � stato affermato 

(1-2) Su1la prima massima la giurisprudenza � pacifica (cfr. Relazione Avv. 
Stato 1970-75, Il, 712.0). 

Anche suUa seconda massima la giurisprudenza � ben ferma: Cass. 30 giu


gno 119711, n. 2053 e 117 ap1rile 11973, n. 11105, in questa Rassegna, 1971, I, 914 e 1974, 

I, 216; eguale esclUJSione � stata ritenuta rper le imposte doganali da Cass. 

29 gennaio 1979 n. 639, ivi, 1979, I, 330). Da notare che la medesima limitazione 

deUa prova ,contraria alle presunzioni che consentono ila registrazione di ufficio 

(regola estensibile aM'intero tributo di registro) si ritrova nel~',art. 115 deL vigente 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634. 

156 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

che tale prova doveva essere � inoppugnabile � e non fondata su deposizioni 
testimoniali o presunzioni, e ci� a causa del divieto posto per 
questi mezzi di prova dall'art. 18 della citata legge organica, in correlazione 
all'assimilazione tra gli stessi di cui all'art. 2729 e.e. 

Questo divieto � stato reiteratamente confermato dalla giurisprudenza 
della Suprema Corte, secondo la quale la prova testimoniale 
� ripudiata dal sistema normativo tributario in tema di applicazioni dell'imposta 
di registro perch� contraria alla natura della stessa, avente ad 
oggetto il negozio, quale risulta dal documento secondo il criterio contenutistico 
ed effettuale dell'atto ed �, perci�, inidonea come strumento di 
accertamento di fatti influenti sulla determinazione e sulla misura del tributo 
(Cass., 9 luglio 1975 n. 2675; 22 maggio 1973, n. 1847; 20 settembre 
1971, n. 2625). 

Per l'unit� della disciplina dell'imposta e per l'esigenza di una 
manifestazione diretta ed inequivoca, tale principio � applicabile anche 
quando manca il documento originario sostituito dall'enunciazione del 
corrispondente negozio giuridico. (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 8 giugno 1979, n. 3249 -Pres. Aliotta Est 
Cantillo -P. M. Valente i(conf.) -Ministero delle Finanze (avv. 
Stato Cipparrone) c. Ditta Garbarino (avv. Scognamiglio). 

Tributi erariali indiretti -Imposta sull'~ntrata -Acque gassate -Aliquote 

o quote condensate -Decreto dell'intendente di finanza per la determinazione 
del prezzo medio -Legge 31 ottobr,e 1966, n. 941 -Legittimit�. 
(1. 31 ottobre 1966, n. 941, art. un.; d.l. 19 ottobre 1944, n. 348, art. 10; 1. 4 marzo 1952, 
n. 110). 
Tributi in genere -Potest� tributaria �di imposizione -Riserva di legge 
relativa -Normativa rimessa al Ministro delle Finanze e per sua delega 
agli intendenti di finanza -Imposta sull'entrata -Legge 31 ottobre 
1966, n. 941 -Illegittimit� costituzionale -Manifesta infondatezza. 
(Cost., artt. 23, 53 e 113; 1. 31 ottobre 1966, n. 941, art. unico). 

Il conferimento agli intendendi di finanza di determinare, per delega 
del Ministro delle finanze, i prezzi medi correnti delle varie specie di 
acque e bevande gassate, gi� ritenuto illegittimo sotto il vigore dell'art. 10 
del d.l. 19 ottobre 1944, n. 348, � stato esplicitamente previsto con l'art. 
unico della legge 31 ottobre 1966, n. 941, s� che dopo la sua entrata in 
vigore � venuto meno ogni profilo di illegittimit� (1). 

(1-2) La sentenza riveste notevole interesse non tanto per l'ovvia affermazione 
della prima massima, ma per la rielaborazione del problema delle fonti 
secondarie di imposizione. 

I 


I 


-



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 157 

La potest� tributaria di imposizione consente che venga demandato 
all'autorit� amministrativa disciplinare, in base a criteri fissati nella 
legge, taluni elementi della fattispecie tributaria con atto di normazione 
secondaria o con provvedimenti amministrativi di carattere generale. 
E pertanto manifestamente infondata la questione di legittimit� costituzionale 
dell'art. unico de_lla legge 31 ottobre 1966, n. 941 (che attribuisce 
al Ministro delle finanze, e per sua delega agli intendimenti di 
finanza, il potere di determinare i prezzi medi di vendita, di acque e 
bevande gassate ai fini dell'imposta sull'entrata) per contrasto con gli 
artt. 23, 53 e 115 della Costituzione (2). 

(omissis) 2) Con il primo mezzo di annullamento l'Amministrazione 
delle finanze deduce la violazione dell'articolo unico della legge 
31 ottobre 1966, n. 941, e rimprovera alla Corte di Appello di avere 
del tutto trascurato tale disposizione, con la quale era stato espressamente 
attribuito al Ministero delle finanze, e, per sua delega, agli intendenti 
di finanza, il potere di stabilire i prezzi medi di vendita delle 
acque gassate, venendo cos� rimossa la ragione di illegittimit� della 
precedente normativa, sulla quale i giudici di merito hanno erroneamente 
fondato la pronuncia di accoglimento dell'opposizione della contribuente. 


La censura � fondata. 

Occorre ricordare che con l'art. 10 del d.l. lgt. 19 ottobre 1944, n. 348, 
in materia di imposta generale sull'entrata, fu attribuito al Ministro 
delle finanze il potere di disporre che per determinate entrate, espressamente 
indicate dalla legge, l'imposta fosse corrisposta non in relazione 
a ciascun atto economico, ma con un sistema semplificato e forfettario, 
cio� mediante il pagamento di canoni annui ragguagliati al 
volume di affari dichiarato dal contribuente ovvero mediante l'applicazione 
di �.aliquote o quote condensate� (maggiori di quelle stabilite 

Su11a legittimit� de1le fonti secondarie e sui relativi limiti � ormai abbastanza 
diffusa e omogenea la giurisprudenza costituzionale (11 luglio 1961, n. 48, 
Giur. Cost., 1961, 1010 e 31 marzo 1965, n. 16, Riv. dir. finanz., 1965, n. 16; con 
specifico riferimento a questa materia 11 luglio 1969, n. 129, Foto it., 1969, I, 2055 
e in relazione ai poteri degli enti 1ocali territori�li ai quali � riconosciuto pi�. 
ampio spazio 6 luglio 1960, n. 51, Giur. Cost., 1960, 705 e 23 maggio 1966, n. 44, 
Foro it., 1966, I, 996). La Corte di Cassazione pur accogliendo 11 principio, ha 
prevalentemente negato nei sfogoli casi l'esistenza di un potere dell'Amministrazione 
capace di influir�e sulla situazione soggettiva dei contribuenti che 
sarebbe invece interamente discia;>Hnata daUa legge, affevmando la propria giu.
risdizione sulla dkhiarazione di illegittimit� della norma secondaria;-e proprio 
in materia� di aliquote e quote concensate ai fini deH'I.G.E. ha ritenuto meramente 
diichiarativo e disapp1icabile i!l decreto ministeriale (22 giugno 1971, 

n. �1973, in questa Rassegna, 119111, I, 11195; '10 maggio 1974, n. 1341, Riv. leg. fisc., 
.1974, 2057) ed ha giud�ICato addirittura irrilevante in quanto spetta a~ giudice 
13 



158 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

per l'applicazione dell'imposta ai singoli atti) in rapporto al presunto 
numero delle operazioni imponibili. 

Questo sistema fu esteso (legge 4 marzo 1952, n. 110) alle entrate 
derivanti dal commercio di acque e bevande gassate e con successivi 
decreti annuali, emanati ai sensi dell'art. 10 cit., si stabil� che l'imponibile 
dovesse essere calcolato in base ai prezzi medi delle acque e 
bevande, venendo affidato alle intendenze di finanza il compito di determinarli 
ogni anno per ciascuna provincia (la base imponibile, cio�, si 
otteneva applicando i prezzi medi ai quantitativi presunti di prodotto 
venduto). 

Ora, con numerose pronunzie riflettenti i decreti ministeriali cos� 
emessi per gli anni dal 1962 al 1965 (sent. n. 1973 del 1971, nn. 1341 e 2888 
del 1974, n. 2176 del 1975), questa Corte Suprema ha affermato che il 
potere di determinare i prezzi medi, conferito agli intendenti con tali 
atti di normazione secondaria, non aveva fondamento nella legge fondamentale, 
che nulla dettava al riguardo; ed ha ritenuto ill~gittime -e 
perci� da disapplicare nelle concrete fattispecie -le disposizioni relative 
(art. 43 dei decreti medesimi), siccome stabilivano una modalit� 
di accertamento dell'imponibile non legislativamente prevista. 

La sentenza impugnata, in adesione a tale indirizzo, ha giudicato 
illegittimo e disapplicato il corrispondente art. 43 dei decreti ministeriali 
del 21 dicembre 1967 e 19 dicembre 1969, senza avvedersi, per�, 
che il legislatore, proprio per supplire alla rilevata carenza di potere 
dell'Amministrazione, aveva introdotto l'articolo unico della legge 31 ottobre 
1966, n. 941, con il quale veniva confermato il precedente sistema 
impositivo e si attribuiva espressamente al ministro delle finanze e, 
per sua delega, agli intendenti, � la facolt� di determinare i prezzi medi 
di ".endita delle varie specie di prodotti�, praticati dai produttori e dai 
grossisti. 

In base a questa legge, per i decreti emessi dopo la sua entrata 

in vigore � venuto meno, manifestamente, il profilo di illegittimit� ri


ordinario stabilire il valore della base imponibile, il decreto ministeriale che 

fissa in via preventiva il valore delle merci ai fini deM'I.G.E. ahl'impostazione 

(21 maggio 1973, n. 11454, Riv. leg. fisc., 1974, 79). 

NeHa specifioa materia, se poteva ammettersi che l!AiG.O. dichiarasse fa 

totale carenza di potere deg1i intendenti di finanza ad emettere provvedimenti 

generaLi mancando una norma che un tale potere conferisse, diversa era la 

questione per i1 decreto del Ministro deLle finanze espressamente previsto neLla 

legge. Ora, avendo la [egge espressamente regolamentato H 1pOtere degli inten


denti di finanza, � bens� venuta meno ogni questione di merito, ma potrebbe 

essere dubbio che spetti aWA.G.O. pronunciarsi sul legittimo uso di un potere 

che indubbiamente esiste. 

Spetta invece incontestabilmente a1 giudice ordinario pronunciarsi sull'ecce


zione di ihlegittimit� costituzionale dena norma di ,legge che abilita alla norma



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 159 

scontrato per il periodo precedente e perci� risulta del tutto errata 
la motivazione alla quale si affida la sentenza impugnata. 

3) Consapevole di ci�, con il primo motivo del ricorso incidentale 
la Ditta Garbarini chiede che questa Corte Suprema sollevi questione 
di legittimit� costituzionale di detta legge n. 941 del 1966 (caducata 
dal riuovo ordinamento tributario), sostenendo che essa sia in contrasto: 
a) con l'art. 23 Cost., perch� avrebbe demandato alla Finanza 
di stabilire un presupposto oggettivo del tributo, cio� il prezzo medio 
dei prodotti, senza indicare i criteri per l'esercizio di tale potere, in 
violazione del principio della riserva di legge vigente in materia tributaria; 
b) con l'art. 53 Cost., in quanto avrebbe ancorato la determinazione 
della base imponibile ad un presupposto che, per essere espressione 
dell'attivit� commerciale svolta da una serie indeterminata di 
soggetti, sarebbe estraneo alla potenzialit� economica e, quindi, alla 
capacit� contributiva di ciascuno di essi; e) con l'art. 113 Cost., siccome 
non avrebbe previsto alcun rimedio giurisdizionale contro il provvedimento 
amministrativo di determinazione del prezzo medio. 

Nessuno di tali argomenti ha consistenza giuridica e perci� la questione 
di legittimit� costituzionale deve ritenersi manifestamente infondata. 


Ad a), va obiettato che il principio della riserva di legge, racchiuso 
nell'art. 23 Cost., mentre impone di stabilire con atti normativi primari 
(aventi forza di legge) le condizioni di legittimit� dell'imposizione, i 
presupposti di fatto e gli altri elementi essenziali della fattispecie d'imposta 
-in modo da evitare, al riguardo, ogni facolt� discrezionale 
dell'autorit� amministrativa -non esclude affatto che venga demandato 
a questa ultima di precisare, in base a criteri fissati dalla legge, 
taluni elementi della medesima fattispecie, con atti di normazione secondaria 
o con provvedimenti amministrativi di carattere generale. Per


zione secondaria. SuJil'argomento 1a sentenza in nota contiene osservazioni che 
meritano qualche commento, anche se la questione deH'i!Jegittimit� dehlia legge 
31 ottobre 1966, n. 941 � ormai superata, perch� gi� risolta dahlia Corte Costituzionale 
con decisione di rigetto 24 maggio 1979, n. 27, Foro it., 1979, I, 1658. 

Su} contrasto con l'art. 23 Cost. la S.C., a11ienand~si a~l'indirizzo de1la Corte 
Costituzionale, si preoccUipa tuttavia di sottolineare che nel potere conferito 
aWArnministrazione manca ogni discrezionalit�, che anzi iL compito attribuito 
aWintendente, di natura eminentemente ricognitiva, rientra nella determinazione 
deHa base imponibile. Ci�, nel caso di specie, pu� essere esatto, ma emerge 
chiaramente la .preoccupazione de1la SiC. di restringere quanto ipi� � possibile 
fa potest� normativa dell'Amministrazione. NeHa potest� di �determinare elementi, 
presupposti e 1�!miti di una .prestazione imponibile ,, � normalmente, 
se non necessariamente, ricompresa una discrezionalit�, anzi quella .particolare 
di.screzionailit� normativa, che � piuttosto di merito. In ogni modo si deve 
prendere atto del1'apertura della S.C. ad ammettere la normazione secondaria 
nella stessa materia nelb quale in passato si era mostrata avversa. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEI.,LO STATO

160 

tanto, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte Costituzionale 
(sent. n. 51 del 1960; sent. n. 129 del 1969), non contrasta con il principio 
della legalit� dell'imposizione l'affidamento ad organi amministrativi 
di compiti non meramente esecutivi, ma diretti a determinare elementi, 
presupposti e limiti di una prestazione imponibile, in base a dati 
ed apprezzamenti tecnici: unica condizione � che vi sia una sufficiente 
specificazione di tali poteri, in modo da assicurare i controlli dati dall'ordinamento 
sull'esercizio degli stessi. 

Ora, il compito attribuito dalla legge n. 941 del 1966 all'Amministrazione 
delle finanze attiene -come si � detto -ad un elemento di 
quantificazione dell'imponibile e, pur dando luogo. ad un provvedimento 
di carattere generale (destinato ad incidere su una pluralit� indeterminata 
di rapporti), non esula, in effetti, dall'ambito della c.d. discrezionalit� 
tecnica della quale � istituzionalmente investita la finanza per 
accertare la base imponibile di singole obbligazioni tributarie, che si 
concreta nell'espletamento di operazioni tecnico-estimative e nella conseguente 
determinazione di certi dati numerici (valore economico di 
un bene, reddito netto, entrata lorda, etc.; in realt�, com'� stato evidenziato 
in dottrina, non si riscontra neppure una vera e propria discrezionalit� 
tecnica, trattandosi della mera applicazione di criteri e 
modalit� previsti dalla legge, quindi di un'attivit� anch'essa vincolata). 
La norma in esame, infatti, demanda al ministro e alle intendenze di 
finanza (per delega del primo) il compimento di un'attivit� essenzialmente 
ricognitiva, che si articola in una duplice operazione, la prima 
consistente nel rilevamento (di norma, attraverso le camere di commercio) 
dei prezzi in concreto praticati, nelle singole province, da produttori 
e grossisti, la seconda nell'individuazione del prezzo medio attraverso 
un'operazione aritmetica sui dati raccolti. 

Si tratta, cio�, di un procedimento idi accertamento ancorato ad 
elementi oggettivi, che deve necessariamente svolgersi nel modo sud-

Sono da condividere pienamente le osservazioni deLla sentenza in esame 
per ci� che concerne il contrasto con l'art. 53, mentre destano quak:he sospetto 
1e ragioni esposte per escludere il contrasto con l'axt. 1'13. � certamente da 
escludere fa mancanza di una garanzia giurisdizionale, ma � assai dubbio che 
questa fosse costituita da1 ricorso a11a commissione deLle imposte o, comunque, 
da1l'azione in sede ordinaria as.si!curata in materia di LG.E. anche per 
l'estimazione sempliice, quando questa non sia attribuita ad a11Jro giudice. Innanzi 
tutto non sembrano esatti i r1fedmenti giur1sprudenziali, giacch� fa 
sentenza deHe Sez. Un. 16 luglio .1973, n. 2042 (Mass. giur. it., 11973, 729) rigua1:1da 
H ricorso contro l'accertamento de1l'ufficio del registro e queLLa de1la Corte 
Costituziona!1e H 1ug1io 1969, n. 129 (gi� citata) accenna genericamente ad .una 
imprecisata tute1a giur~sdizionaile; peraLtro la Corte Costituzionale, che pure 
sulla questione non ha potere decisorio, in a1tre pronuncie sembra orientata 
a ritenere che i provvedimenti di normazione secondaria siano impugnal;>ili 
innanzi alla giurisdizione amministrativa (sent. 18 giugno 1963, n. 93 e 14 marzo 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUT,AJlll'�; 161 

detto e che non lascia spazio alla discrezionalit� dell'amministrazione, 
sicch� nessun altro criterio doveva essere fissato dalla norma. 

Quanto all'argomento sub b), va ricordato che il principio di capacit� 
contributiva, da un lato, costituisce una specificazione del principio 
di eguaglianza, nel senso che a situazioni uguali debbono corrispondere 
uguali regimi impositivi; dall'altro, deve essere inteso come espressione 
dell'�sigenza che ogni prelievo tributario abbia causa giustificativa in 
indici concretamente rivelatori di ricchezza e perci� di attitudine ai 
carichi pubblici, sicch� la capacit� contributiva designa l'attitudine soggettiva 
all'obbligazione tributaria, deducibile dagli eventi o situazioni ai 
quali il legislatore ricollega la nascita dell'obbligazione medesima e la 
commisurazione dell'ammontare del tributo (Corte Cost., sent. n. 91 del 
1972; n. 201 del 1975). 

Nel caso in esame, l'inconsistenza dell'eccezione, sotto il primo profilo, 
non ha bisogno di essere dimostrata, non configurandosi alcuna 
disparit� di trattamento fra soggetti passivi dell'imposizione. 

Sotto il secondo profilo, poi, � altrettanto evidente che nel particolare 
sistema impositivo, correlato al coacervo degli atti economici compiuti 
in un dato periodo, la rilevazione del prezzo medio � diretta ad 
agevolare la determinazione del quantum dell'entrata attraverso una 
procedura molto pi� semplice e rapida rispetto all'accertamento dei 
ricavi conseguiti effettivamente da ciascun contribuente; e trattasi di 
metodo non privo di razionalit�, in quanto il riferimento al prezzo 
medio � basato sulla presunzione che, nel complesso delle cessioni del 
periodo, ciascun contribuente abbia conseguito ricavi non inferiori a 
quelli che avrebbe ottenuto se avesse costantemente praticato quel 
prezzo (senz�a dire che le eventuali sfasature possono essere positive 

o negative sia per il contribuente che per la finanza). Pertanto la norma 
non vulnera in alcun modo il principio della capacit� contributiva, sia 
perch� intrqduce soltanto un criterio presuntivo di accertamento del 
reddito, pienamente legittimo, siccome il ricorso a presunzioni � con1964, 
n. 15, Foro it., 1963, I, 1529 e 1964, I, 652), sebbene un mutamento di indirizzo 
si riscontri nella recente sentenza 24 maggio 1979, n. 27, gi� citata. 

La questione dell'impugnazione degli atti normativi delL'Amministrazione 
� molto complessa e meriterebbe un ampio studio. Ci sembra comunque, che 
sia troppo affrettata ed assoluta, l'affermazione che �lo stesso giudice deL rapporto 
tributario (commissione o A.G.0.) adibito con ricor;so contro !l'accertamento 
;pos�sa conoscere deHa l�gittimit� dei regolamenti e degli atti amministl'ativi 
generahl.. Se cos� fosse, non avremmo degli atti di normazione secondaria, 
ma deg;ld atti di �aocertamento (collettivo) ordinariamente impugnabili, 
rispetto ai quali non potrebbe minimamente .porsi un problema di riserva di 
legge. Sembrerebbe pi� corretta una diversa impostazione che, riconosciuta la 
vera natura normativa di questi atti, e quindi L'inesistenza di un diritto soggettivo 
nei confronti della potest� normativa �che interviene anteriormente alla 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

sentito in materia fiscale (cfr. Corte Cost., sent. n. SO del 1965 e 109 del 
1967); e sia perch� venendo quel prezzo applicato al volume degli affari 
compiuti, l'ammontare dell'imposta resta proporzionale alla quantit� di 
atti economici posti in essere, che nei tributi sugli scambi � l'elemento 
al quale va commisurata la potenzialit� economica del contribuente. 

Infine, l'argomento sub e) -riguardante l'asserita violazione dell'art. 
113 per difetto di tutela giurisdizionale -� frutto di evidente 
errore, giacch� nel sistema dell'abrogato contenzioso tributario era previsto 
un apposito procedimento, stabilito con decreto legislativo 3 maggio 
1948, n. 799, per le controversie relative al pagamento dell'imposta 
sull'entrata secondo gli speciali regimi impositivi di cui all'art. 10 del 

d.l. n. 348, la cognizione delle quali era devoluta, in primo grado, ad 
una speciale sezione delle commissioni distrettuali e, in secondo grado, 
alle commissioni provinciali. 
Con riguardo all'imposta sulle acque minerali e bevande gassate, 
di cui alla legge n. 110 del 1952, l'applicabilit� di tale procedimento � 
stata ribadita dalle Sezioni Unite di questa Corte Suprema (sent. 2042 
del 1973); e non � contestabile che il ricorso alle commissioni era consentito 
per contrastare la tassazione in ordine ad entrambi gli elementi 
concorrenti alla determinazione dell'imponibile, cio� per denunziare l'eventuale 
errore della finanza sia quanto al volume di affari realizzato dal 
contribuente e sia quanto all'ammontare del prezzo medio come sopra 
stabilito (cfr. la sent. della Corte Costituzionale n. 129 del 1969). 

Ci� senza dire che, per le controversie in materia di I.G.E. diverse 
da quelle in oggetto, non attribuite, cio�, allo speciale contenzioso anzidetto, 
la tutela giurisdizionale era assicurata attraverso il ricorso al 
giudice ordinario, in tal caso competente, ai sensi dell'art. 28 r.d.l. 7 agosto 
1936, n. 1639, anche sulle questioni di estimazione semplice (Corte 
Costituzionale, sent. n. 83 del 1968). -(Omissis). 

costituzione del rapporto giuridico di imposta, ammettesse l'impugnazione in 
via principale innanzi al giudice amministrativo, alr fine deWannu1lrunento, del-
1'atto amministrativo emanato facendo cattivo uso di un potere conferito dalla 
legge. E cos� tutta la noxmazione tributaria secondaria, sia quella proveniente 
dag1i enti locati territoriaH che disciplinano i tributi ~ocali (tariffe e regolamenti) 
o stabiLiscono un elemento impositivo dei tributi eraria1i (aHquota dell'LLOR 
e de11'INVIM) sia quella proveniente dalk> Stato (sono numerose le 
norme di legge, specie per L'IVA e de imposte doganalri, che prevedono una 
integrazione normativa rimessa a1l'amministrazione) verrebbe in modo omogeneo 
ed ordinato ricondotta nel filone dell'impugnazione dei regolamenti che, 
nelle materie diverse dai tributi, � sempre stata ritenuta 1soggetta alla giurisdizione 
amministrativa. 

C. BAFILE 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 163 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 8 giugno 1979, n. 3253 -Pres. Mirabelli 
-Est. Cantillo -P. M. Caristo (conf.) -Soc. SALGA (avv. Cagliati 
Dezza) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Camerini). 

Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Sopravvenienze 
attive -Versamenti dei soci in proporzione alle quote di 
partecipazione nella societ� -Conferimento anomalo nel patrimonio Non 
costituisc,e reddito per la societ�. 

(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 81, 83 e 106). 
Non costituiscono sopravvenienza attiva i versamenti eseguiti dai 
soci in proporzione alle quote di partecipazione in societ� di capitali, 
destinati ad incrementare il patrimonio (1). 

(omissis) Con il primo motivo di ricorso la societ� S.A.L.G.A., denunziando 
la violazione dell'art. 106 t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, anche in 
riferimento all'art. 83 dello stesso t.u., nonch� difetto di motivazione, 
critica la decisione impugnata per avere ritenuto tassabili con l'imposta 
di ricchezza mobile, nei confronti della societ�, le somme alla stessa versate 
dai soci in proposizione delle rispettive quote di partecipazione. Sostiene 
che questi contributi realizzavano apporti di capitale, per giunta 
diretti non al ripianamento di per~ite dell'esercizio, ma alla formazione 
di nuovi fondi dello stato patrimoniale, e perci� non davano luogo a 
sopravvenienze tassabili come reddito. 

La censura � fondata. 

Per intendere esattamente i termini della questione che essa suscita, 
la quale attiene alla delicata problematica sull'imponibilit� delle sopravvenienze 
attive con l'abrogato tributo mobiliare, � opportuno precisare 
che -secondo quanto risulta dalla decisione impugnata -il consiglio 
di amministrazione della S.A.L.G.A., con deliberazione dell'll dicembre 1965, 
tenuto conto dei mediocri risultati della gestione e delle necessit� finanziarie 
dell'impresa, invit� gli azionisti a versare la complessiva somma di 

L. 78.000.000 in proporzione dell'ammontare delle azioni di ciascuno ed a 
fondo perduto, nel senso che i contributi erano irripetibili e � infrutti('
1) La decisione ritiene gi� contenute nel sistema normativo del t.u. del 
1958 Le regole oggi eSiIJressame~te enunciate negli artt. 55 e 64 deI d.P.R. 

n. 597/1973 e 5 del d.P.R. n. 598/,1973. 
Invero quaLche perplessit� permane sia sul1'assimilazione dei versamenti 
volontari al soprapprezzo delle azioni, sia sull'ammissibilit� di conferimenti 
anomali ne1 patrimonio (e non nel capitale) che non siano giustificati da particolari 
situazioni (quale appunto il sovrapprezzo delle azioni), sia swla distinzione, 
artificiosa e suscettibile di facili mascheramenti, fra conferimenti nel 
patrimonio e contributi nell'esercizio. La precedente sentenza 18 giugno 1973, 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

feri a tutti gli effetti�; che, in base alla medesima deliberazione, la somma 
era destinata �a far parte del patrimonio sociale�, dovendo essere 
imputata per met� al � fondo spese futuri impianti � e per l'altra met� al 
�fondo di riserva straordinaria�, salva l'eventuale destinazione a capitale 
sociale �in relazione alla futura legislazione delle societ� azionarie�; e 
che tutti i soci aderirono alla delibera e versarono i contributi, i quali 
furono contabilizzati allo stato patrimoniale nel modo stabilito. 

Ci� posto, � anzitutto agevole cogliere l'equivoco in cui � incorsa la 
Commissione centrale allorquando ha argomentato la tassabilit� della 
contribuzione con diretto riferimento alla sentenza di questa Corte Suprema 
n. 1768 del 18 giugno 1973. Nella vicenda allora considerata, infatti, 
i versamenti � a fondo perduto � erano stati effettuati dai soci nel corso 
dell'esercizio annuale e senza vincoli di destinazione, a ripianamento di 
perdite, venendo imputati al conto dei profitti e delle perdite; e costituivano, 
quindi, un'entrata liberamente disponibile dal percipiente, che -come 
ogni altra conseguita durante l'esercizio -aveva influenzato positivamente 
il risultato della gestione, esaurendo i suoi effetti nel determinare 
il saldo attivo del bilancio dell'esercizio medesimo. Nella specie, invece, 
le somme sono state versate su deliberazione della societ� e con un 
preciso vincolo di destinazione, in forza del quale sono stati accreditati 
allo stato patrimoniale, gravando il passivo del bilancio, e perci� non hanno 
in alcun modo influenzato il risultato della gestione annuale (che si � 
chiusa in perdita). 

Si tratta, quindi, di fattispecie diverse, ritenute non omogenee nello 
stesso precedente sopra ricordato (nonch� dalla sentenza n. 2165 del 24 luglio 
1973, relativa alla medesima vicenda), che appunto ha avuto cura di 
distinguere i versamenti dei soci effettuati a copertura di perdite dell'esercizio 
da quelli destinati, invece, ad incrementare il patrimonio sociale (c.d. 
contributi in conto capitale, espressione impropria che designa l'affinit� di 
funzion� con i veri e propri conferimenti); e di questa seconda ipotesi 
non si � affatto occupato, motivando, anzi, la tassabilit� dei contributi del 
primo tipo in relazione a caratteristiche che non si riscontrano negli 

n. 1768 (Giur. it., :1973, I, :1, 11552), pur con alicune differenziazioni, aveva ben 
diversamente impostato il problema. 
SuHa base di quanto affermato nella sentenza, si deve per� ritenere che 
i versamenti, in quanto conferimenti nel patrimonio siano soggetti a11'imposta 
di registro; ci� � stato puntualmente affermato con la sentenza 6 ottobre 1976, 

n. 3286 (in questa Rassegna, 1977, I, 1161, alila cui annotazione 'si rinvia); e per 
questi veusamenti non si ,pone nemmeno il prob1ema dehl<a specie di imposta 
applicabile che si presenta per il-sovrapprezzo (Cass. 17 maggio J.979, n. 2&21, in 
questo fascicolo pag. 132) trattandosi, se non � a parlare di sopravvenienza, 
di un vero e proprio confer1mento. Oggi, peraltro, 1'art. 47 del d.P.R. n. 634/1972 
espressamente riferisce l'imposta ad ogni conferimento anche nel patrimonio. 
I 


i 

! 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

altri. Come ricorda la decisione impugnata, quella sentenza ha affermato 
che per le societ� azionarie, e, in genere, per i soggetti tassabili in base 
a bilancio, costituisce sopravvenienza attiva, ai sensi degli art. 81 secondo 
comma e 106 del t.u. n. 645 del 1958, ogni utilit� economica dipendente 
da eventi imprevisti ed eccezionali, ancorch� non connessi con l'esercizio 
dell'impresa, !'! consistenti nell'estinzione di passivit� o nella realizzazione 
di entrate che incidono direttamente sul risultato della gestione 
annuale. Ed ha perci� considerato sopravvenienze imponibili i versamenti 
degli azionisti alla societ� eseguiti volontariamente, cio� senza una preventiva 
delibera degli organi sociali, a fondo perduto, cio� senza un vincolo 
di destinazione n� obbligo di restituzione ai versanti, nel ricorso della 
gestione annuale, cio� indipendentemente dalle future risultanze di bilancio; 
accreditati all'esercizio, cio� imputati al conto profitti e perdite 
(quindi alla copertura di costi e passivit� detraibili). Senonch� questi elementi 
-allora ritenuti decisivi a caratterizzare i versamenti come entrata 
disponibile direttamente riflessa sull'esito economico della gestione 
aziendale -non si rinvengono per i contributi in questione, preventivamente 
deliberati, versati dopo la chiusura dell'esercizio e accreditati a 
conti dello stato patrimoniale. Pertanto la motivazione addotta dalla Commissione 
centrale risulta sotto questo profilo incongrua, in quanto relativa 
a fattispecie non rispondente a quella portata al suo esame. 

Lo specifico problema che viene ora in considerazione, invece, � se i 
versamenti a fondo perduto che gli azionisti, in proporzione delle rispettive 
partecipazioni azionarie, effettuano alla societ� ad integrazione del 
patrimonio sociale costituiscano, o meno, sopravvenienze tassabili come 
componenti positive del reddito di esercizio; e la risposta al quesito dipende 
anzitutto dalla qualificazione giuridica dei contributi medesimi, 
giacch�, ove debbano essere assimilati ai conferimenti, quali forme anomale, 
ma lecite, di apporto di capitali, la loro tassabilit� va esclusa anche 
in base alla nozione di sopravvenienza attiva ora ricordata (per altro respinta 
dalla pi� autorevole dottrina), essendo principio pacifico che i conferimenti 
non costituiscono entrate imponibili con il tributo mobiliare. 

Poich� non � contestabile che i versamenti in questione hanno, per i 
soci come per la societ�, sostanza economica di apporti di capitale, la 
decisione impugnata esclude che allo stesso modo possano essere considerati 
sul piano giuridico perch� nel nostro ordinamento non sarebbero 
ammissibili conferimenti al di fuori del capitale nominale. In particolare, 
valorizzando un argomento pure addotto nelle ricordate pronunzie di 
questa Corte Suprema (ma allora, per quanto si � detto, non essenziale 
ai fini della decisione), la Commissione centrale ha affermato che nelle 
societ� di capitali non sono consentite forme anomale o indirette di conferimenti, 
siccome le variazioni in aumento o in diminuzione del capi



166 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO . 

tale sociale debbono essere deliberate ed attuate nelle forme di legge, 
a tutela dell'interesse dei terzi e degli stessi soci; e che pertanto, ai 
fini fiscali, i contributi dei soci non possono essere imputati a patrimonio 
e vanno ad incrementare la componente reddituale qualunque sia 
la loro appostazione in bilancio. 

La tesi non pu� essere condivisa, giacch� la rigida alternativa fra 
conferimenti tipici ed entrate (tassabili come reddito) non ha fondamento 
n� nella normativa civilistica, n� in quella tributaria. 

Quanto alla prima, va anzitutto detto che nessuna disposizione vieta 
ai soci di effettuare alla societ� versamenti ulteriori rispetto a quelli oggetto 
del conferimento, per creare una maggiore disponibilit� finanziaria 
o, come pi� spesso accade, a ripianamento di perdite. Indubbiamente, 
essendo tenuti solo alla completa liberazione delle azioni sottoscritte 
(art. 2452 e.e.), i soci assumono una obbligazione ad oggetto determinato 
e perci� l'assemblea non pu� validamente imporre ad essi obblighi contributivi 
di alcun genere, mediante una deliberazione che vincoli anche 
i non intervenuti e i dissenzienti. 

Ma nulla impedisce ai soci medesimi di rinunziare al beneficio della 
limitazione del rischio al conferimento e di sottoporsi volontariamente 
alla contribuzione, prestando spontanea adesione ad una richiesta in tal 
senso deliberata dagli organi sociali. Ed una significativa conferma della 
legittimit� di questi contributi extraconferimento si trae, oggi, dall'articolo 
2615 ter e.e. (introdotto con la legge n. 377 del 1976), che, per le 
societ� per azioni costituite per il perseguimento di finalit� consortili, 
addirittura consente che l'obbligo dei soci di versare contributi in denaro 
possa essere previsto da clausola statutaria. 

In secondo luogo, neppure esiste, nel nostro ordinamento, un prin


cipio di indole sistematica secondo il quale tutti gli apporti dei soci 

vadano imputati a capitale (nominale) e debba esservi, quindi, necessaria 

coincidenza fra la cifra di quest'ultimo e l'ammontare complessivo dei 

primi, che perci� potrebbero essere eseguiti solo provocando un aumento 

del capitale medesimo. 

Al contrario, la legittimit� degli apporti fuori capitale si� evince chia


ramente dalla normativa riguardante il soprapprezzo azionario (artt. 2430 

e 2446 e.e.), il quale, secondo una classica definizione, � � un'aggiunta 

di conferimento fatta dai nuovi azionisti per mettersi alla pari dei vec


chi�, rappresentando lo strumento tecnico per perequare la situazione 

dei soci sul piano patrimoniale, in rapporto alle riserve e agli investi


menti fatti dalla societ� prima dell'emissione delle nuove azioni. 

I soprapprezzi azionari, cio�, danno luogo a veri e propri apporti im


putati a patrimonio, giacch�, senza incidere sulla funzione (organizza


tiva) del capitale nominale di commisurare le situazioni soggettive dei ! 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

soci, incrementano la consistenza patrimoniale della societ�, venendo vincolati 
a riserva legale nella misura eventualmente necessaria a raggiungere 
il minimo di legge (art. 2430 e.e.). e costituendo per il supero (o 
per l'intero) capitale disponibile. 

La stessa legge esclude, dunque, la necessaria correlazione fra capitale 
nominale e conferimenti (in senso ampio), sicch� non v'� ragione per 
negare che sia consentito ai soci, in presenza di particolari situazioni che 
consigliano l'apporto di nuova ricchezza senza operare sul capitale, di effettuare 
conferimenti destinati, come i soprapprezzi, al patrimonio, mediante 
erogazioni dirette ad incrementarlo ovvero a reintegrarlo, contribuendo 
al ripianamento di perdite oltre in conferimento imputato a capitale. 
Ipotesi, questa, che non differisce dalla prima n�, dal profilo economico 
n� da quello giuridico (l'unica differenza sta in ci� che il contributo 
viene erogato quando gi� si � manifestata una perdita) e che 
deve ritenersi prevista, per implicito, dall'art. 2446 e.e., in quanto rientra 
certamente fra gli �opportuni provvedimenti� che possono essere adottati 
p�r evitare l'abbattimento del capitale per perdite superiori al t�rzo. 

La legittimit� di queste operazioni si conferma anche sul piano degli 
effetti, in quanto esse non producono conseguenze incompatibili con la 
funzione di garanzia che il capitale sociale svolge verso i terzi, n� alterano 
i rapporti fra i soci. 

Anzitutto, a differenza dei finanziamenti (cio� dei prestiti), i versamenti 
a fondo perduto non generano crediti dei soci nei confronti della 
societ�, siccome non debbono essere affatto restituiti (come nella specie) 
o, al massimo, sono destinati ad essere rimborsati allo scioglimento della 
societ�, quindi dopo la liquidazione di tutte le passivit� sociali; e ci� 
esclude che, in caso di esito negativo dell'impresa, i soci possano concorrere 
con i creditori sociali nel riparto di quelle attivit� in relazione 
alle quali costoro avevano concesso credito alla societ�. Pertanto, sotto 
questo aspetto, i versamenti non danno luogo ad una situazione di 
sottocapitalizzazione, tale da determinare il pericolo che il rischio dell'impresa 
venga riservato sui terzi. 

Inoltre, i contributi comuni dei soci che incrementano il patrimonio 
concorrono a formare il capitale netto e sono pienamente riconoscibili 
dai terzi, in quanto trovano collocazione, in bilancio, fra le voci passive 
dello stato patrimoniale, in fondi distinti sia dalla riserva legale 
che da quelle statutarie (e pu� essere un apposito fondo o uno dei fondi 
di accantonamento, a seconda della destinazione che vien data alla contribuzione). 
Pertanto, mentre � escluso, manifestamente, il pericolo di confusione 
fra il patrimonio sociale e quello personale dei soci (basti pensare 
che i versamenti hanno un ammontare determinato e vengono definitivamente 
acquisiti dalla societ�), anche nell'ipotesi limite che l'impor



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

to complessivo delle somme versate superi il capitale non si configura 

-~ 

un fatto di sottocapitalizzazione, sotto il (diverso) profilo dell'eventuale 
sproporzione fra lo scopo in concreto perseguito e il mezzo utilizzato, 
ossia fra il volume degli affari svolti ed il capitale a tal fine impiegato 
(fenomeno che pu� verificarsi, del resto, anche per i sovrapprezzi e per 
ogni altra sopravvenienza attiva, come, ad es., i contributi da parte di 
terzi. Ed � appena il caso di aggiungere che questa problematica non 
sorge quando la contribuzione avvenga per reintegrare il patrimonio sociale 
(e l'operazione pu� essere allora contabilizzata in bilancio o mediante 
un'apposita appostazione al passivo o attraverso la soppressione dall'attivo 
della voce della perdita). 

Infine, poich� vengono effettuati da tutti i soci in misura proporzionale 
alla quota di partecipazione di ciascuno e, comunque, non incidono 
sul capitale nominale, i versamenti non alterano i rapporti fra i 
soci medesimi rispetto al patrimonio comune, che continuano ad essere 
commisurati alla partecipazione al capitale nominale, sicch� ogni socio 
conseguir� in caso di recesso o allo scioglimento della societ� una 
porzione di patrimonio corrispondente alla sua partecipazione. 

Le considerazioni svolte, portano a concludere che i versamenti dei 
soci a fondo perduto hanno natura giuridica di conferimenti aggiuntivi 
anomali, non imputati a capitale, ma ugualmente leciti e validi (nel qual 
senso, del resto, questa Suprema Corte si � altre volte espressa: cfr. sent. 

n. 1693 del 17 maggio 1969 e n. 3286 del 6 ottobre 1976, in tema di imposta 
di registro). 
Ora, come si � avvertito, tale qualificazione giuridica � sufficiente 
per ritenere che i versamenti medesimi non configurano sopravvenienze 
attive agli effetti degli artt. 81, 100 e 106 dell'abrogato t.u. n. 645 del 1958, 
in forza del principio, vigente pure nel sistema del soppresso tributo mobiliare, 
che non costituiscono reddito n� sono assimilabili al reddito, oltre 
ai conferimenti in senso tecnico, imputati al capitale, i conferimenti anomali, 
imputati al patrimonio. Ci� risulta in modo inequivoco dall'art. 8 
lett. e) e, soprattutto, dall'art. 83 lett. b) del cit. t.u.: la prima norma 
esonera dalla imposizione le quote e i contributi versati dagli associati 
alle associazioni personificate (tassabili in base a bilancio), nell'ambito 
delle quali assolvono alla stessa funzione dei conferimenti sociali; la seconda 
disposizione, poi, dichiara intassabili i soprapprezzi azionari, indipendentemente 
dall'importo della somma richiesta ai sottoscrittori di 
nuove azioni e dalla circostanza che il ricavato sia vincolato in tutto o 
in parte a riserva ovvero liberamente disponibile dalla societ� percipiente. 
La ratio di quest'ultima norma (quale risulta anche dall'esegesi 
storica, con riguardo al dibattito dottrinale e giurisprudenziale che precedette 
la sua introduzione nell'ordinamento con l'art. unico del r.d.l. 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDE'NZA TRIBUTARIA 

15 ottobre 1925, n. 1802, poi trasfuso nell'art. 83 del t.u.) si ritrova appunto 
nella sostanziale natura di conferimento in conto patrimonio, che ha il 
sovrapprezzo; ed entrambe costituiscono espressione del pi� generale 
principio suddetto, posto che gli apporti dei soci non mutano natura e 
funzione quando, invece di essere imputati a capitale, vengano imputati 
a patrimonio. 

In effetti, qualunque nozione si accolga del presupposto del tributo 
mobiliare (cio� anche se lo si identifichi non nel reddito prodotto, ma 
nella entrata) e delle sopravvenienze attive, non possono essere considerati 
componenti integrativi del reddito apporti di capitale proveniente 
dagli stessi soggetti che, al di l� dello schermo della personalit� giuridica 
e dell'organizzazione del gruppo, sono gli effettivi interessati all'impresa 
sociale. 

Ed appunto in questo senso la questione in esame � stata espressamente 
risolta nel nuovo ordinamento tributario, in particolare dagli articoli 
55 terzo comma e 64 ultimo comma del d.P.R. 29 settembre 1973, 

n. 597 sull'IRPEF -entrambi richiamati, per l'imposta sul reddito delle 
persone giuridiche, dall'art. 5 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598 -la cui 
importanza trascende i limiti della disciplina fiscale, in quanto viene cos� 
per la prima volta riconosciuta in modo esplicito, sul piano normativo, la 
legittimit� degli apporti dei soci non imputati a capitale. La prima di tali 
norme chiarisce che, rispetto alla societ� percipiente, � non si considerano 
sopravvenienze attive i versamenti fatti dai soci in proporzione delle quote 
di partecipazione n� la rinuncia da parte dei soci, nella stessa proporzione, 
ai crediti derivanti da precedenti finanziamenti�; la seconda norma, poi, 
stabilisce che �le somme versate (dai soci) a copertura delle perdite delle 
societ� emittenti... si aggiungono al costo delle azioni '" sicch� risulta definitivamente 
chiarito che i versamenti in oggetto, proprio per la loro natura 
di conferimenti anomali, rappresentano per i soci, anche fiscalmente, 
un costo aggiuntivo della partecipazione (cio� un investimento supplettivo 
del quale va tenuto conto ai fini della determinazione del maggiore o minore 
valore della partecipazione medesima). 
Nella specie, le considerazioni svolte all'inizio in ordine alle caratteristiche 
della contribuzione di cui si discute, rendono evidente, in base ai 
principi suddetti, l'errore in cui � incorsa la Commissione centrale nel ritenere 
sopravvenienza imponibile la somma conseguita dalla societ� ricorrente. 


In definitiva il ricorso va accolto in relazione al motivo ora esaminato, 
restando respinto il terzo e assorbito il secondo (espressamente formulato 
in via subordinata), e la decisione impugnata deve essere perci� cassata 
con rinvio ad altra sezione della stessa Commissione tributaria centrale, 
la quale proceder� a nuovo esame della controversia attenendosi ai principi 
di diritto e ai rilievi sopra svolti. -(Omissis). 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CORTE DI CASSAZIONE Sez. I, 18 giugno 1979, n. 3417 -Pres. D'Orsi Est. 
Gualtieri -P. M. Dettori (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. 
Stato Angelini Rota) c. Coop. Oplonti Lido. 

Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Agevolazione per le case 
di abitazione non di lusso -Appalto -Risoluzione prima dell'inizio 
dell'opera -Realizzazione della costruzione con altre iniziative -Decad,
enza. 
{I, 2 luglio 1949, n. 408, art. 14 e 20). 

Decade dell'agevolazione dell'art. 14 della legge 2 luglio 1949, n. 408 
il contratto di appalto risoluto prima dell'inizio della costruzione anche 
se la costruzione sia stata realizzata con altre iniziative (1). 

'(omissis) Con ill rprimo motivo, denunziando violazione e falsa applicazione 
degli articoli 14 e 20, della legge 2 agosto 1948, n. 408, in relazione 
agli articoli 1 e 8 r.s. 30 dicembre 1923, n. 3269, a termini dell'art. 360, 

n. 3 codice di rito, l'Amministrazione ricorrente critica la sentenza impugnata 
per avere la Corte del merito errato nel ritenere che, per il mantenimento 
del trattamento agevolato previsto dall'art. 14 legge n. 408 
del 1949, l'unica condizione assoluta sufficiente ricavabile dalla stessa legge 
sia la �concretizzazione� oggettiva dell'opera, senza che possa darsi rilievo 
all'aspetto relativo che tale �concretizzazione� sia realizzata nell'ambito 
dello specifico e determinato contratto ammesso al beneficio. Ed 
invero, secondo la ricorrente, la Corte si � riferita esclusivamente all'art. 
20, trascurando completamente di considerare la normativa dell'articolo 
14, la quale pone una imprescindibile correlazione oggettiva tra contratto 
agevolato e costruzione, per cui il risultato obbiettivo della costruzione 
coincide, sul piano concettuale, con il risultato della esecuzione del 
contratt_o specifico, e il collegamento contratto-costruzione � stato precipuamente 
considerato dal legislatore non solo nella fase formativa del 
contratto, bens� anche nella fase della sua esecuzione. 
Inoltre, sostiene il ricorrente, la Corte ha trascurato il principio che 
il carattere di imposta di atto, peculiare dell'imposta di registro, applicata 
ad atti negoziali, impone che sia sempre un atto negoziale, nelle sue 
varie componenti oggettive, ad essere considerato per ogni riflesso del 
rapporto impositivo (art. 1 legge organica di registro), nonch� il principio, 
sancito all'art. 8 di detta legge, che l'imposta va applicata secondo gli 
effetti propri dell'atto tassato, principio che verrebbe sovvertito se si 

(1) Decisione esattissima; sull'argomento erano .recentemente intervenute 
due pronunzie contrastanti (26 luglio 1978, n. 3747 e 6 novembre 1978, n. 5020, 
in questa Rassegna, 1979, I, 173). 
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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

ammettesse che una agevolazione possa competere ad un atto per il 
rilievo di effetti ad esso estranei. 

La censura � fondata. 

Devesi premettere che, a norma dell'art. 14 legge 2 luglio 1949, n. 408, 
recante disposizioni per l'incremento delle costruzioni edilizie, sono concessi 
il beneficio dell'imposta fissa di registro e quello della riduzione al 
quarto dell'imposta ipotecaria per gli acquisti di aree fabbricabili e per 
i contratti di appalto, quando abbiano per oggetto la costruzione delle 
case di cui al precedente art. 13 (le case di abitazione, anche se comprendono 
uffici e negozi, che non abbiano il carattere di abitazione di 
lusso), purch� la costruzione sia iniziata ed ultimata entro i termini stabiliti 
nello stesso art. 13 (inizio entro il 31 dicembre 1953 e ultimazione entro 
il biennio successivo all'inizio), termini ripetutamente prorogati con successive 
disposizioni legislative. 

A sensi poi, dell'art. 20 della medesima legge, salvo il caso di forza 
maggiore, si decade dai benefici suindicati qualora le nuove costruzioni 
non siano state compiute a norma ed entro i termini fissati all'art. 13. 

Tanto premesso, questo Supremo Collegio ritiene di non poter condividere 
la tesi sostenuta dalla Corte napoletana, secondo cui unica condizione 
assoluta e sufficiente per il mantenimento del trattamento agevolato 
sarebbe la concretizzazione oggettiva dell'opera senza che possa darsi 
rilievo all'esigenza che essa sia realizzata nell'ambito della esecuzione dello 
specifico e determinato contratto di appalto, ammesso al beneficio, in 
quanto il citato art. 20, nel disporre la scadenza delle agevolazioni per il 
caso che le nuove costruzioni non siano state compiute nei modi e nei 
termini fissati, imporrebbe di ritenere che le ipotesi di decadenza siano 
state stabilite tassativamente e individuate solo rispetto ai � modi e ai 
termini delle costruzioni, oggettivamente considerate, stante il divieto del 
ricorso all'analogia, che non consentirebbe di estendere l'interpretazione 
della norma ad ipotesi diverse, quale � quella di risoluzione consensuale 
di un contratto di appalto la cui esecuzione non abbia mai avuto inizio, 
l'errore in cui � incorsa la Corte del merito � di avere trascurato l'esame 
del precedente art. 14, il quale stabilisce espressamente ed autonomamente 
che la costruzione sia effettivamente realizzata nei termini, ponendo una 
imprescindibile correlazione oggettiva tra contratto agevolato e costruzione, 
correlazione che assume particolare rilievo, non solo per quanto 
riguarda la concessione iniziale dell'agevolazione, ma anche la realizzazione 
concreta delle finalit� perseguite. 

Tale correlazione si ricava in modo inequivocabile dal diretto colle


gamento, ravvisabile nel testo della norma, tra la prima parte di questa, 

in cui sono previste le agevolazioni per alcuni tipi di contratti (imposta 

fissa di registro e riduzione ad un quarto dell'imposta ipotecaria per gli 

acquisti di aree edificabili e per i contratti di appalto quando abbiano 

per oggetto la costruzione di case di abitazione) e la seconda parte della 


172 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

norma stessa �purch� la costruzione sia iniziata ed ultimata entro i termini 
stabiliti... �. 

La rilevata correlazione evidenzia quanto sia arbitrario assegnare al 
risultato obbiettivo della � costruzione �, assunto con valore condizionante 
nell'art. 14, un significato che non lo porti a coincidere concettualmente 
con il risultato della esecuzione, almeno parziale proprio di quello specifico 
contratto (nella specie, di appalto). 

In altri termini, affinch� un contratto possa fruire dei benefici fiscali 
previsti dall'art. 14, � necessario che il contratto medesimo abbia ad oggetto 
una costruzione rientrante nella previsione della legge e che essa 
sia stata in concreto realizzata, nei modi e nei tempi prescritti, con il 
contributo di quel contratto, appunto perch� la concessione dei benefici 
� in stretta e necessaria correlazione con l'atto, in riferimento al quale la 
concessione viene richiesta, e con la costruzione da effettuarsi in attuazione 
del fine per il quale quel determinato atto � stato posto in essere. 

La validit� dell'interpretazione ora accolta trova conferma proprio 
nella � ratio � della disposizione relativa al termine biennale di inizio e 
e di ultimazione della costruzione, la quale � volta ad incoraggiare, in 
periodi di grave crisi degli alloggi, programmi di costruzione di rapida 
attuazione e non programmi di costruzione a lunga scadenza, aventi fini 
speculativi. 

La considerazione della inerenza oggettiva della costruzione al contratto 
ammesso al beneficio risulta inoltre conforme alla particolare natura 
e struttura dell'imposta di registro, la quale ha il carattere peculiare 
d'imposta d'atto, essendo applicata ad atti negoziati; ci� impone che sia 
sempre un atto negoziale, nelle sue varie componenti oggettive, ad essere 
considerato per ogni riflesso del rapporto impositivo. 

N� vale obbiettare, come fa la controricorrente, che, se si seguisse la 
tesi ora accolta, l'agevolazione sarebbe condizionata non dalla sollecitudine 
degli interessati ad osservare il termine biennale, ma dalla concorrente 
necessit� di trovare una impresa adempiente, senza possibilit� di 
difendersi contro l'inadempienza per rispettare il termine e conservare la 
agevolazione. Ed invero, l'art. 20 provvede ad escludere la perdita dei 
benefici nei casi di forza maggiore, il che sta a significare che il legislatore 
si � preoccupato di venire incontro alle esigenze di coloro, i quali 
non abbiano potuto ultimare le costruzioni, nei modi e nei termini previsti 
dalla legge, per cause indipendenti dalla loro volont�. 

Alla stregua delle suesposte considerazioni, devesi ritenere, in conformit� 
dell'orientamento giurisprudenziale di questo Supremo Collegio, 
che la risoluzione consensuale di un contratto di appalto prima dell'inizio 
della costruzione determina l'inapplicabilit� del beneficio tributario cui il 
contratto stesso � ammesso in ragione della sua concreta finalizzazione, 
indipendentemente dalla circostanza, irrilevante nell'ambito di quel rapporto 
impositivo, che oggettivamente la finalit� della costruzione sia con



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 173 

seguita attraverso altre iniziative contrattuali autonome (cfr. le sentenze 
di questo Supremo Collegio nn. 5024, 5025, 5026, 5027, 5028, S029, 5030, 5031, 
5035, 5036, 6275, del 1978; 3227 del 1976; 2316 del 1970). 

Orbene, la Corte del merito ha errato nel disattendere il suesposto 
principio che, invece, deve trovare applicazione nella fattispecie, in cui il 
contratto di appalto, gi� ammesso al beneficio tributario in discorso, fu 
dalle parti contraenti risolto consensualmente e non ebbe mai esecuzione. 
(omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 9 luglio 1979 n. 3915 -Pres. Mirabelli Est. 
Battinelli -P. M. Grossi (conf.) -I.A.C.P. Siena (avv. Neri) c. Ministero 
delle Finanze (avv. Stato Soprano). 

Tributi erariali diretti -Imposta di ricchezza mobile -Istituto Autonomo 
Case Popolari -Redditi derivanti da costruzione e gestione di immobili 
di altri soggetti � Tassabilit� -Distinzione. 

(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 81). 
Sulla premessa che gli enti pubblici non economici sono capaci di 
produrre un reddito soggetto all'imposta di ricchezza mobile a meno che 
per vincolo di legge gli introiti non debbano necessariamente corrispondere 
ai costi e gli eventuali avanzi di gestione essere riassorbiti negli esercizi 
futuri, gli Istituti autonomi delle case popolari possono produrre reddito 
con l'attivit� di costruzione di alloggi per conto dello Stato e di gestione 
degli alloggi medesimi, non possono invece produrre reddito con 
l'attivit� di gestione degli alloggi Ina-Casa e Gescal in ordine ai quali 
ogni avanza di gestione deve essere versato annualmente all'ente proprietario 
(1). 

,(omissis) Il problema sottoposto >eol ricorso in esame � stato gi� 
esaminato e risolto da questa Corte, in linea di massima, in relazione alle 
entrate degli enti pubblici non economici e alla loro tassabilit� ai fini 
dell'imposta di R.M., con la sentenza n. 3352 del 9 ottobre 1976, nonch�, 
specificamente in relazione agli Istituti autonomi per le case popolari, 

(1) Si conferma la decisione 9 marzo 11979, n. 11479 (in questa Rassegna, 
1979, I, 524) con d'ulteriore precisazione che sono tassabiH i proventi conseguiti 
con 1a costruzione di aHoggi per conto dello Stato. Resta va11da l'osservazione 
che .se con la gestione degli a11oggi Ina�Casa un utile viene conseguito 
(diversamente non nascerebbe problema di tassibi1it�) questo dovrebbe egua1mente 
essere aS1Soggettato alL'imposta. 
Per !'a tassabilit� dei redditi deiji IAC.P. realizzati con �1a cessione in 
propriet� degli alloggi v. Cass. 22 settembre 1978, n. 4248, in questa Rassegna, 
rl9'i19, I, 193. 

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RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

con le pi� recenti sentenze n. 4248 del 22 settembre 1978 e n. 1480 del 
9 marzo 1979, giurisprudenza dalla quale questa Corte non ritiene di 
discostarsi, non avendo il ricorrente proposto nel ricorso questioni sostanzialmente 
diverse da quelle gi� affrontate e risolte con le suddette decisioni. 
Presupposto della tassazione in esame, infatti, � unicamente la produzione 
di un reddito di qualsiasi specie, non specificamente tassabile 
con altra imposta diretta, concetto questo che, nella sua ampiezza, comprende 
anche (seppure in parte, come si vedr�) i redditi in questione; n� 
il fine di lucro � previsto (salvo che per introiti non constituenti veri e 
propri redditi periodici, come i proventi speculativi di cui al secondo 
comma dell'art. 81 del t.u. 645 del 1958) come presupposto dell'imposta; 
questa, invero, non � intesa a colpire sempre e soltanto i redditi derivanti 
dall'esercizio di un'impresa, perch� le previsioni contenute nell'art. 85 del 
suddetto t.u. hanno soltanto carattere esemplificativo, non tassativo. Pertanto, 
per potersi escludere dalla tassazione una entrata di un ente pubblico 
non economico � necessario o che si tratti di reddito di soggetto 
fruente di esenzione soggettiva (il che � da escludersi nel caso di specie, 
non rientrante nelle previsioni di cui all'art. 84 del t.u., le cui norme, in 
quanto di carattere eccezionale come ogni norma agevolatrice in materia 
fiscale, non sono estensibili oltre i casi espressamente regolati) o che la 
entrata sia del tutto sottratta alla disponibilit� del soggetto che lo percepisce 
e che non pu� essere tassato non in forza di esenzione ma in quanto, 
in concreto, � da escludersi che si sia in presenza di un vero e proprio 
reddito. Il che, come questa Corte ha osservato nelle sentenze innanzi 
ricordate, si verifica solo allorch� sussista un vincolo di legge che ancori 
intensamente gli introiti degli enti pubblici non economici, derivanti dalla 
loro attivit� istituzionale, alla copertura delle spese di tale attivit� nello 
esercizio successivo e alla riduzione dei costi di gestione, mentre in ogni 
altro caso gli introiti stessi, in quanto liberamente utilizzati, sono soggetti 
a tassazione. Le diverse ragioni addotte dal ricorrente a sostegno della 
tesi della intassabilit� degli introiti non appaiono fondate: non quella relativa 
al richiamo dell'art. 37 del r.d. 28 aprile 1938, n. 1165, trattandosi 
di norma che non vincola affatto le entrate degli Istituti, ma disciplina il 
diverso problema degli utili spettabili ai soggetti che abbiano contribuito 
alla formazione del capitale degli Istituti medesimi stabilendo una percentuale 
massima di interessi remunerativi del capitale versato e disponendo 
norme per la restituzione delle somme erogate in caso di 
liquidazione; non il richiamo all'art. 19 dello statuto dell'ente, sia perch� 
trattasi di questione nuova, non sottoposta all'.esame della Commissione 
Centrale delle Imposte, sia perch� trattasi di argomento non di mero 
diritto, in quanto investe una indagine di merito sulla normativa di 
detto Statuto, sottratta a questo giudizio di legittimit�; non, infine, il 
principio dell'unicit� del bilancio, principio introdotto dalla legge n. 1 
del 1956 unicamente ai fini delle modalit� della tassazione, come criterio 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

soltanto formale che non assurge certo a valore di criterio di unicit� 
della tassazione, la quale va comunque fatta in modo analitico in relazione 
alle varie poste del bilancio, delle quali alcune possono risultare 
tassabili ed altre no. 

In base a quanto finora osservato, vanno esaminate le singole entrate 
in questione, per accertare quale di queste risulti vincolata nel modo 
innanzi precisato e sia quindi non sottoponibile a tassazione; e va di 
conseguenza escluso che ci� possa ritenersi in relazione ai compensi 
spettanti all'Istituto per costruzione e direzione di lavori di nuove costruzioni 
per conto dello Stato, in quanto le norme che prevedono tale 
attivit� (art. 11, secondo comma, della legge 29 febbraio 1949, n. 43; art. 4 
della legge 30 dicembre 1960, n. 1676; art. 27 della legge 14 febbraio 1963, 

n. 60) si limitano unicamente a prevedere la possibilit� dell'affidamento 
agli istituti case popolari della costruzione di abitazioni, fissando all'uopo 
un compenso, senza peraltro nulla stabilire in merito alla destinazione, 
da parte degli Istituti, del compenso cos� percepito. Diverso discorso 
va fatto, invece, per l'affidamento agli Istituti della gesti6ne di alloggi 
da locarsi per conto dello Stato. In tal caso, per quanto attiene al reddito 
derivante dai canoni di locazione dei fabbricati costruiti dallo 
Stato per alloggi ai senza tetto, va osservato che l'art. 55 del d.l.C.p.S. 
10 aprile 1947, n. 261, stabilisce che i canoni di locazione riscossi dagli 
istituti vanno determinati in relazione della somma occorrente per spese 
generali e di manutenzione ordinaria e straordinaria, ma non impone 
alcun vincolo di specifica immediata destinazione improduttiva all'eventuale 
supero del gettito dei canoni rispetto alle spese eventualmente 
preventivate in eccedenza alla loro concreta successiva erogazione, sicch� 
(detratta naturalmente la quota di interessi nella misura dello 0,50 % 
da versarsi al Tesoro dello Stato) gli Istituti ben possono trovarsi in 
possesso di somme costituenti un utile, liberamente disponibili e come 
tali assoggettabili all'imposta di R.M. Al contrario, per quanto attiene 
al reddito derivante dalla gestione di alloggi, per conto dell'INA-Casa o 
della successiva gestione Gescal, i proventi costituenti l'avanzo netto 
di gestione sono indisponibili, essendo previsto dall'art. 19 della legge 
28 febbraio 1949, n. 43, che l'avanzo deve essere versato annualmente 
dall'ente amministratore alla gestione suddetta, per cui nessuna somma 
resta nella disponibilit� degli Istituti e nessun reddito tassabile viene 
quindi a concretizzarsi a loro favore. La decisione impugnata, pertanto, 
mentre non merita censura per quanto attiene alla dichiarata tassabilit� 
dei redditi derivanti dai compensi per costruzione di alloggi, va 
cassata in relazione alla pronuncia di tassabilit� dei redditi derivanti 
dagli introiti di locazione di alloggi non di propriet� degli Istituti ricorrenti, 
essendo necessario che sul punto si accerti di quali fabbricati si 
tratti e cosa prevedano le relative norme che disciplinano l'affidamento 
agli Istituti della gestione delle locazioni, dovendosi riconoscere, all'esito, 

176 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 176 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
la intassabilit� dei redditi per quanto attiene ai proventi delle locazioni 
degli immobili dell'Ina-Casa o della gestione Gescal o di altri tassati 
con norme che escludano completamente la disponibilit�, da parte degli 
istituti, dei ricavi netti di gestione, secondo quanto innanzi enunciato, 
e dovendosi dichiarare, invece, la tassabilit� degli eventuali ricavi netti 
di altre gestioni di locazioni i cui introiti non siano altrettanto rigidamente 
vincolati. -(Omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 10 luglio 1979, n. 3955 -Pres. Mirabelli 
-Est. Falcone -P. M. La Valva (diff.) -Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Camerini) c. Cassa credito imprese artigiane di Catania 
(avv. Passanisi Spedalieri). 

Tributi erariali indiretti -Imposte in surrogazione del bollo e del registro 
-Credito a medio e lungo termine -Regime sostitutivo -Operazioni 
su cambiali -Sono ricomprese. 

(1. 27 luglio 1962, n. 1228, art. 1). 
Il regime sostitutivo stabilito nell'art. 1 della legge 27 luglio 1962, 

n. 1288, per il credito a medio e� lungo termine ricomprende anche le 
operazioni su cambiali e le relative garanzie, semprech� collegate ad 
operazioni di finanziamento (1). 
(Omissis). -Con unico motivo, denunciando la violazione e falsa 
applicazione dell'art. l, terzo comma, lett. a), della legge 27 luglio 1962, 

n. 1228, nonch� l'omissione o, quantomeno, l'insufficienza e la contraddittoriet� 
di motivazione su un punto decisivo della controversia, in 
relazione ai nn. 3 e 5 dell'art. 360 c.p.c., l'Amministrazione delle Finanze 
critica la decisione impugnata per avere ritenuto che l'imposta 
sulle ipoteche accese a garanzia delle cambiali rilasciate dal mutuatario 
a favore della Cassa regionale ;per il credito alle imprese artigiane, 
sia assorbita dall'imposta sostitutiva prevista dalla ricordata norma della 
legge 27 luglio 1962, n. 1228. 
La questione che il ricorso ripropone � stata gi� sottoposta all'esame 
di questa Corte, che ha ritenuto fondata la tesi sostenuta dall'amministrazione 
ricorrente con tre sentenze in pari data (Cass., 18 novembre 
1977, nn. 5048, 5049, 5050), ma la soluzione gi� accolta, dopo 

(:1) Viene decisamente ripudiata la statuizione di cui a~le 'sentenze 18 novembre 
1977, n. 5048, 5049 e 5050 (in questa Rassegna, 1978, I, 237). Una volta 
riiconfermata la necessit� deL finanziamento (Cass. 1U maggio ,1976, n. 1665, ivi, 
1976, I, 1021) pu� essere oggettivamente difficille verificare H coLlegamento tra 
cambiali ed una operazione di finanziamento qualificata. 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

attenta rimeditazione del problema, non sembra meritevole di conferma. 
La decisione impugnata, pertanto, anche se sulla base di considerazioni 
non del tutto coincidenti con quelle esposte nella motivazione che la 
sorregge, deve essere confermata. 

Sostiene la ricorrente amministrazione che la denunciata norma 
della legge . n. 1228 del 1962, prevedendo, tra l'altro, la sottoposizione 
all'imposta di bollo in misura ridotta delle cambiali emesse da Regioni, 
Provincie, Comuni e Camere di Commercio, esclude, manifestamente, 
che possano ritenersi ammesse al regime sostitutivo le cambiali 
emesse da tali enti e, di conseguenza, le ipoteche accese a garanzia 
delle stesse; ed aggiunge che, trattandosi di cambiali con garanzia ipotecaria 
emesse �all'ordine�, e quindi liberamente trasferibili, senza 
alcun collegamento con l'originaria destinazione, non poteva configurarsi 
l'estensibilit� alle stesse della agevolazione tributaria concessa 
per il finanziamento che si era inteso agevolare. 

La ragione del diniego dell'agevolazione tributaria all'ipoteca cambiaria 
rilasciata dal titolare dell'azienda artigiana che abbia ricevuto 
un�finanziamento a medio termine, a favore dell'istituto di credito finanziatore, 
viene individuata dall'amministrazione ricorrente, sulla base dei 
precedenti giurisprudenziali ricordati, nel limite che l'art. 1, terzo comma, 
lett. a), della legge n. 1228 del 1962 avrebbe posto all'applicabilit� 
del regime di sostituzione dell'imposta annua di abbonamento alle imposte 
indirette relative agli atti di finanziamento compiuti da istituti 
esercenti il credito a medio termine. 

La legge 27 luglio 1962, n. 1228, si afferma, ha stabilito un trattamento 
tributario agevolato per .gli istituti di credito a medio e lungo 
termine, prevedendo, con l'art. 1, un'imposta annua di abbonamento 
di quindici centesimi per ogni cento lire dell'ammontare dei crediti esistenti 
alla fine dell'esercizio per i finanziamenti da essi effettuati e 
disponendo, tra l'altro, in pari tempo (art. 1, terzo comma, lett. a), che 
detta imposta � sostitutiva di tutte le tasse ed imposte indirette sugli 
affari relative ai finanziamenti e a tutti i provvedimenti, atti, contratti 
e formalit� relativi ai finanziamenti stessi ed alla loro esecuzione, modificazione 
ed estinzione, nonch� alle garanzie di qualunque tipo, ed 
aggiungendo, inoltre, che sulle cambiali emesse e sulle delegazioni non 
negoziabili rilasciate da Regioni, Provincie e Comuni, in relazione ai 
suddetti finanziamenti, l'imposta di bollo � dovuta in misura ridotta (lire 
cento per ogni milione di lire o frazione) . 

. La circostanza che l'imposta di bollo gravante sulle cambiali, l'unica 
cui le stesse, per la loro astrattezza, sono soggette, bench� surroghi 
l'imposta di registro a norma dell'art. 2 della legge 4 aprile 1953, n. 261, 
� esclusa dalle imposte indirette sugli affari di cui l'imposta in abbonamento 
di cui trattasi � sostitutiva, � decisiva -si sostiene -per 
concludere nel senso che il rilascio delle cambiali non pu� essere con



178 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

siderato, ai fini che interessano, come atto mirante al finanziamento, 
ma deve essere ritenuto atto autonomo e distinto da esso, sicch� non 
� applicabile alla garanzia ipotecaria che eventualmente assista le cambiali, 
il trattamento impositivo agevolato della legge n. 1228 del 1962. 

Questi rilievi non possono essere condivisi poich�, legati come sono 
alla formulazione della norma ricordata (art. 1, terzo comma, lett. a, 
della legge n. 1228 del 1962), non risultano fondati in relazione a quanto 
dispone il quarto comma dello stesso art. 1 della legge n. 1228 del 1962, 
con specifico riferimento al particolare regime d'imposta sostitutivo, 
relativo agli atti di alcuni istituti di credito, particolare regime che deve, 
invece, trovare applicazione nella specie. 

Recita, infatti, il ricordato quarto comma dell'art. 1, per quanto 
qui interessa, che: nei confronti degli istituti di credito costituiti ai 
sensi... del d.l.C.p.S. 15 dicembre 1947, n. 1418... l'imposta di abbonamento 
di cui al primo comma � sostitutiva anche delle tasse e delle 
imposte indirette sugli affari relative agli altri atti da essi compiuti 
in conformit� delle norme legislative che li reggono e degli statuti, con 
esclusione... del bollo sulle cambiali, per il quale si applica il comma 
terzo. 

Conviene, anzitutto, ricordare che con il d.lgs.C.p.S. n. 1418 del 1947 
fu istituita, presso l'Istituto di credito delle Casse di risparmio italiane, 
una Cassa per il credito alle imprese artigiane, con il fine dell'esercizio 
del credito alle imprese artigiane, che era autorizzata, altres�, ad assumere 
partecipazioni in enti di natura commerciale svolgenti attivit� nel 
campo dell'artigianato ed a concorrere alla creazione ed allo sviluppo 
di iniziative in favore della produzione artigiana, utilizzando le disponibilit� 
provenienti dal fondo di dotazione, dalle anticipazioni ottenute, 
dal risconto e da altre operazioni previste dallo Statuto od autorizzate 
dal Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio (art. 3). 

Deve essere, ancora, rammentato che detta Cassa godeva, per le 
operazioni anzidette, e per gli atti ad esse relativi, di un regime agevolato 
consistente nell'esenzione da ogni imposa con l'obbligo di corrispondere 
all'Erario una quota di abbonamento annuo in ragione di. 
dieci centesimi per ogni cento lire di capitale impiegato accertato alla 
fine di ogni esercizio (art. 8). 

� ancora da aggiungere che, con la legge 25 luglio 1952, n. 949, la 
Cassa anzidetta fu trasformata in istituto di finanziamento degli istituti 
e delle aziende di credito autorizzati alle operazioni di credito alle imprese 
artigiane, al fine di integrare le disponibilit� finanziarie di questi 
enti destinate a detto scopo (art. 33), con l'espresso divieto di raccogliere 
risparmio sotto qualsiasi forma e di effettuare direttamente nuove 
operazioni di finanziamento alle imprese artigiane (art. 34, sesto comma). 
Con la stessa legge (art. 41) le agevolazioni di cui godeva la Cassa, 
in virt� del menzionato art. 8 del d.lgs. n. 1418 del 1947, furono estese, 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

con alcune integrazioni, alle operazioni che gli istituti e le aziende di 
credito erogatori del credito a medio termine alle imprese artigiane 
erano autorizzate a compiere con la Cassa medesima (praticamente tutte 
le aziende di credito per il rinvio dell'art. 35 della legge n. 949 del 1952 
all'art. 5 del r.d.l. 12 marzo 1936, n. 375 e successive modifiche, convertito 
nella legge 7 marzo 1938, n. 141). 

Questo regime tributario � stato, come si � detto, sostituito da 
quello dettato dall'art. 1, quarto comma, della legge n. 1228 del 1962, 
il quale � applicabile alla specie perch� alle operazioni ed agli atti 
compiuti dalla Cassa Regionale per il credito alle imprese artigiane attuale 
resistente, la relativa legge istitutiva della Regione Sicilia in data 
27 dicembre 1954, n. 50, aveva dichiarato applicabili le norme previste 
dall'art. 41 della legge nazionale 25 luglio 1952, n. 949, innanzi ricordata, 
e dell'art. 8 del d.lgs. n. 1418 del 1947, in esso espressamente richiamato. 

Orbene, � agevole rilevare come la norma dell'art. 1, quarto comma, 
della legge n. 1228 del 1962, abbia una portata diversa e pi� ampia di 
quella dettata nel terzo comma -di cui la sentenza impugnata e le 
precedenti sentenze di questa Corte hanno fatto applicazione -perch�, 
nell'indicare le tasse ed imposte indirette di cui l'imposta in abbonamento 
prevista al primo comma � sostitutiva, si esprime ~nel senso che 
essa � sostitutiva � anche � -e cio� in aggiunta a quanto considerato 

nel precedente terzo comma, lett. a) -delle tasse ed imposte indirette 
sugli affari �relative agli altri atti� compiuti in conformit� delle norme 
legislative e degli statuti che regolano gli istituti di credito cui tale 
norma � applicabile, sempre, come � stato osservato (Cass., 12 maggio 
1976, n. 1665), che siano strettamente collegati alle operazioni di 
finanziamento. 

� bens� vero che anche il quarto comma esclude dal regim� cos� 
precisato l'imposta di bollo sulle cambiali, ma, nel diverso contesto in 
cui � collocata, questa esclusione non consente di argomentare nel senso 
che il rilascio di cambiali � considerato come atto autonomo e distinto 
dai finanziamenti sicch�, a parte il regime del bollo, alle ipoteche concesse 
a garanzia delle cambiali rilasciate dai mutuatari non possa ritenersi 
esteso il regime agevolato. E ci� in quanto il limite di applicabilit� 
di questo regime � stabilito espressamente e positivamente con riferimento 
a tutti gli atti che gli istituti esercenti il credito artigiano, a 
medio termine, possono legittimamente porre in essere. 

Occorre, pertanto, verificare se, alla stregua della normativa in ma


teria e di quella che regge l'ente (norme legislative e statuto), sia con


sentito l'erogazione del credito alle imprese artigiane contro il rilascio 

di cambiali da parte dei mutuatari; perch�, in caso di risposta positiva 

al quesito, il regime sostitutivo d'imposta relativo alle garanzie di qua


lunque tipo e da chiunque prestate (art. 1, quarto comma, lett. a) non 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

pu� non ritenersi esteso anche alla garanzia costituita dall'ipoteca che 
assiste le cambiali rilasciate in occasione del finanziamento. 

Ed al riguardo � agevole constatare come la normativa in materia 
di credito all'artigianato (come di credito alle medie e piccole industrie) 
preveda espressamente che le operazioni di finanziamento a medio 
termine avvengano sia con rilascio di effetti cambiari da parte dei mutuatari, 
sia in forme non comportanti il rilascio di detti titoli (art. 34, 
legge 25 luglio 1952, n. 949), sicch�, qualora legittimamente avvengano 
nella prima forma, non pu� essere negata l'agevolazione tributaria sia 
al finanziamento sia all'ipoteca che assiste le cambiali, in applicazione 
dell'espressa estensione di tale agevolazione alle garanzie di qualunque 
tipo e da chiunque prestate. 

N� pu� essere utilmente invocato il principio, affermato da questa 
Corte, secondo cui in materia di agevolazione tributaria, l'atto agevolato 
deve essere soggettivamente idoneo secondo la propria intrinseca 
natura, ad assicurare la sua destinazione all'attuazione del fine voluto 
dalla legge di agevolazione senza possibilit� di utilizzazione per scopo 
diverso, sicch� � inapplicabile l'agevolazione all'atto di costituzione di 
ipoteca a garanzia di un mutuo cambiario, quando l'ipoteca annotata 
sulla cambiale si trasferisca con la girata della cambiale, dando luogo 
alla possibilit� di utilizzare la garanzia per fini diversi da quelli dichiarati 
nell'atto. 

Conviene, innanzi tutto, precisare che tale principio � stato affermato 
con riferimento alle agevolazioni tributarie per la ricostruzione 
edilizia (d.l. 7 giugno 1945, n. 322; Cass., 7 settembre 1970, n. 1248) ed 
ai mutui stipulati per le costruzioni di case di abitazione non di lusso 
(legge 2 luglio 1949, n. 408; Cass., 25 ottobre 1956, n. 3935; 7 maggio 1974, 

n. 1275; 8 ottobre 1976, n. 3331), e cio� con riguardo a fattispecie di 
agevolazione fiscale nelle quali manca la previsione normativa del rila� 
scio di cambiali in relazione all'atto agevolato, previsione esistente, invece, 
come si � detto, nell'ipotesi che si esamina. 
E deve essere chiarito, senza che sia necessario estendere l'indagine 
oltre l'ambito della questione in same, che la ragione giustificatrice del 
principio giurisprudenziale di cui trattasi, manca nella specie, poich� 
la Cassa Regionale per il credito alle imprese artigiane, attuale resistente, 
� un ente pubblico (art. l, ultimo comma, della legge istitutiva 
della Regione Sicilia 27 dicembre 1954, n. 50), i cui scopi sono determinati 
dalla legge istitutiva e limitati a quelli di favorire lo sviluppo delle 
imprese artigiane mediante il finanziamento degli istituti e delle aziende 
(di cui al successivo art. 4) al fine di integrarane le disponibilit� finanziarie 
destinate alle operazioni di credito di esercizio, e di concedere 
garanzia in favore delle aziende di credito di cui all'art. 35 della legge 

n. 949 del 1952 operante in Sicilia, che in applicazione di detta legge 
effettuino operazioni in favore di artigiani operanti nella regione; e ci� 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 181 

con un patrimonio costituito da un fondo di dotazione apportato dalla 
Regione Siciliana e da istituti di credito (art. 2), e con un fondo a garanzia 
versato dalla Regione Siciliana (art. 3); sicch� alla stessa � 
inibita espressamente la raccolta di risparmio (art. 12). Pertanto, la possibilit� 
della messa in circolazione delle cambiali da essa ricevute in 
relazione ad operazioni di finanziamento ad imprese artigiane per il compimento 
di attivit� imprenditoriali con diversa finalit� deve ritenersi 
esclusa. 

Il ricorso deve, in conclusione, essere respinto. 

Ricorrono motivi, anche in relazione alla precedente giurisprudenza 
di questa Corte, che giustificano la compensazione delle spese di questa 
fase del giudizio. (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 21 luglio 1979, n. 4375 -Pres. Mirabelli 
-Est. Battimelli -P. M. Grossi (conf.) -Soc. CORBAR (avv. 
FoI1llliggini) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). 

Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Agevolazione per le case 
di abitazione non di lusso -Rapporto fra superfici -Piani sopraterra 
-Nozione. 

(1. 2 luglio 1949, n. 408, art. 13). 
Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Agevolazione per le case 
di abitazione non di lusso -Rapporto fra superfici destinate ad abitazioni 
e n,egozi -Criteri -Concetto di destinazione. 

(I. 2 luglio 1949, n. 408, art. 13). 
Ai fini del computo della superficie totale dei piani sopra terra di 
unico edificio costruito fra strade a livelli diversi, per unico edificio deve 
intendersi il complesso della costruzione rispetto all'area coperta anche 
se appartenente a diversi proprietari, e per piani fuori terra tutti quelli 
che sono al livello dell'ingresso all'edificio dalla strada inferiore (1). 

Agli effetti dell'agevolazione della legge 12 luglio 1949, n. 408, � necessario 
che almeno il 50 % della superficie totale sia destinato ad abitazione 
e non pi� del 25 % ad uffici e negozi, mentre la parte residua 
pu� avere destinazioni varie purch� diverse da uffici o negozi. Per stabilire 
la destinazione non � rilevante l'uso a cui i locali siano stati concretamente 
adibiti, dovendosi tener conto soltanto dell'intrinseca atti


(.1-2) Una serie di utili ed esatte precisazioni. Su1la .prima massima v. Cass. 
14 lugHo 1977, n. 3169, in questa Rassegna, �1977, I, 719. SuHa seconda massima 
le sent., citate nel testo, 9 giugno 1977, n. 2373 e 10 marzo 1978, n. 1210 in 
Riv. leg. fisc., 1977, 1913 e 11978, 1051. 



182 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

tudine dei vani costruiti secondo la struttura e la funzionalit� dell'edificio 
al momento della sua utiliz,zazione e del suo accatastamento, indipendentemente 
dal progetto o da autorizzazioni amministrative successive 
alla costruzione (2). 

(Omissis). -Il primo motivo di ricorso � solo in parte fondato, 
per quanto attiene alla denunzia dell'errore di calcolo nella verifica del 
rispetto delle proporzioni imposte dalla legge fra superfici destinate 
ad abitazione e superfici destinate ad uffici o negozi, mentre per il resto 
va disatteso. 

Non � condividibile, infatti, la tesi della societ� ricorrente, secondo 
cui, trattandosi di edificio costruito su di un suolo in pendio fra due 
strade a diversa altezza, la superficie dei vani sopra terra doveva calcolarsi 
a partire dal livello della strada superiore, rispetto alla quale 
il resto della costruzione, destinata ad autorimessa, doveva considerarsi 
come superficie interrata. 

Come gi� questa Corte ha avuto occasione di affermare (sent. n. 3169 
del 14 luglio 1977), qualora un edificio unico (sul punto si ritorner� 
nell'esame di altra questione sollevata con lo stesso motivo di ricorso) 
sia costruito fra strade a <livelli diversi, il computo della superficie totale 
dei piani sopra terra deve partire dal livello dell'ingresso della 
strada inferiore, anche se alcuni vani risultino interrati rispetto alla 
strada superiore; ci� di cui occorre tener conto infatti � il totale della 
superficie dei vani comunque abitabili (o in ogni caso destinati ad essere 
frequentati ed utilizzati in condizioni normali di abitabilit�, come sono 
anche quelli destinati ad uffici, negozi, ristoranti, alberghi, ecc.), e tali 
sono senza dubbio anche i vani a livello della strada sottostante, ancorch� 
nella parte retrostante a detta strada essi risultano interrati. 

Naturalmente, quanto detto vale nel caso in cui si debba effettuare 
il calcolo in relazione ad unico edificio, il che appunto, contrariamente 
a quanto' sostenuto dal ricorrente, si verifica nel caso di specie, essendo 
pacifico che tutto l'edificio poggia sulla stessa area e costituisce, strutturalmente, 
un complesso unitario; e ci� non perch�, come affermato 
nella decisione impugnata, esso sia stato edificato per effetto di un 
unico progetto o a seguito di rilascio di un'unica licenza edilizia, non 
influendo la procedura amministrativa, anteriore alla relazione della 
costruzione, sulle agevolazioni fiscali di cui la costruzione stessa possa 
obiettivamente fruire (quale � appunto quella relativa all'imposta sui 
fabbricati); ma perch�, e in tali sensi va corretta la decisione impugnata 
a sensi dell'art. 384, secondo comma, c.p.c., non ha rilevanza il 
fatto che l'edicio appartenga a diversi proprietari per effetto di diritto 
di sopraelevazione concesso dal proprietario dei piani inferiori essendo 
unicamente rilevante il complesso della costruzione rispetto all'area coperta, 
dovendosi identificare la ratio legis nella volont� del legislatore 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

che, in relazione ad una determinata area, venisse realizzato un mm1mo 
di vani utilizzabili ad abitazione (in relazione al noto fenomeno della 
difficolt� di recuperare aree utilizzabili nei centri urbani e del conseguente 
lievitare dei prezzi dei suoli, costituente uno dei principali ostacoli 
alla realizzazione di un'edilizia popolare, quale � quella che si � inteso 
agevolare con la legge n. 408 del 1949 e con le sue successive modificazioni); 
per cui � fuor di posto il richiamo fatto dalla societ� ricorrente 
alla giurisprudenza, anche di questa Corte, con cui si � riconosciuto 
spettare il diritto all'esenzione per fabbricati costituenti ugualmente 
un tutto unitario, ma insistenti su aree contigue, in quanto in tal caso 
la finalit� di cui sopra risultava rispettata. 

� fondato invece il motivo di ricorso nella parte in cui si denuncia 
l'errore di calcolo nelle proporzioni imposte dalla legge (pi� del 50 % 
destinato a vani di abitazione e non pi� del 25 % destinato ad uffici o 
negozi). La giurisprudenza di questa Corte infatti � costante nell'interpretare 
la normativa nel senso che, per l'applicazione dei benefici, sia 
sufficiente che queste due proporzioni vengano rispettate entrambe, mentre 
non ha rilevanza che, in ipotesi, una restante porzione, che non superi 
il 25 % del totale delle aree da misurare, sia destinato non ad abitazione 
e neppure ad uffici o negozi, ma ad uso diverso, perch� anche 
in tal caso, purch� una porzione eccedente comunque il 50 % sia destinata 
ad abitazione ed altra non superiore al 25 % sia destinata ad 
uffici o negozi, spetta ugualmente l'agevolazione, mentre non ha rilevanza 
la destinazione della superficie residua, la quale non va sommata 
a quella dei vani destinati ad uffici o negozi per accertare se si 
sia superata la frazione del 25 % (ved., per ultimo, la sentenza n. 2373 
del 9 giugno 1977, che conferma la precedente sentenza n. 236� del 13 luglio 
1966); il calcolo, nel caso di specie, pertanto, doveva effettuarsi unicamente 
misurando la superficie utilizzata per abitazioni (da risultare 
superiore al 50 % di quella totale di tutti i piani sopra terra) e quella 
destinata ad uffici o negozi (da risultare non superiore al 25 % di detta 
superficie totale) ed ignorando la destinazione della restante superficie: 
il tutto, ben s'intende, in relazione solo alle superfici dei vari piani ricoprenti 
comunque l'area di base, ossia la porzione di suolo occupata dal 
fabbricato, senza tener conto di altre aree non direttamente impegnate 
dal fabbricato, come, ad esempio, quella occupata (come denunziato 
dalla ricorrente) da una pensilina, ove questa, in base ad un'indagine di 
fatto che � sottrata a questa Corte e che va effettuata in sede di rinvio, 
non costituisca parte integrante del fabbricato vero e proprio. 

Entro tali limiti, pertanto, va accolto il primo motivo di ricorso, 
con rinvio alla stessa Commissione centrale, la cui decisione ha completamente 
ignorato tali aspetti del caso e non ha affatto motivato sulle 
anzidette questioni, che pure le erano state sottoposte dal contribuente. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Va accolto altres� il secondo motivo di ricorso, attinente al calcolo 
della porzione di edificio destinata ad albergo, in quanto anche su tale 
punto la motivazione della decisione impugnata appare del tutto apodittica, 
avendo eluso il problema sottopostole nel ricorso contro la decisione 
della commissione provinciale. 

Nel calcolare, infatti, la superficie dei vani destinati ad uffici o negozi 
non � rilevante l'uso a cui i locali stessi siano destinati, mentre assume 
rilievo solo l'intrinseca attitudine dei vani stessi ad ospitare nuclei familiari, 
e ci� non in relazione al progetto o ad autorizzazioni amministrative 
successive alla realizzazione dell'edificio, ma in considerazione dell'effettiva 
struttura e funzionalit� dell'edificio al momento della sua utilizzazione 
e del suo accatastamento (ved., in tali sensi, la sentenza di 
questa Corte n. 1210 del 1978 e le precedenti sentenze nn. 3066 e 3422 
del 1968). 

Sul punto, pertanto, la decisione impugnata va cassata e il giudice 
di rinvio, attenendosi al principio qui enunciato, dovr� accertare quale 
fosse la struttura e quale sia stato l'accatastamento delle varie parti 
del fabbricato al momento della sua ultimazione, tenuto conto di quanto 
in proposito prospettato dal contribuente nel ricorso a suo tempo proposto 
alla commissione centrale, fra i cui poteri rientra una simile 
indagine. (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 9 ottobre 1979, n. 5220 -Pres. Sbrocca Est. 
Sandulli -P. M. ,Pedace '~conf.). -Soc. Federate (avv. Cogliati 
Dezza) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Ferri). 

Tributi erariali diretti -Imposta di ricchezza mobile � Plusvalenza � Permuta 
-Non costituisce realizzo � Esclusione di plusvalenza tassabile. 

(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 81, 100 e 106). 
La permuta senza conguaglio in danaro non d� luogo a realizzo di 
plusvalenza tassabile (1). 

(�l) Interviene, molti anni dopo l'abrogazione delle norme del t.u. del 1958, 

un'autorevole pronuncia che dovrebbe porre fine al dibattito sulla questione 

della idoneit� delJa permuta a realizzare la .plusvalenza. Per vero fa pi� 

recente giuris.prudenza era orientata prevalentemente in senso affermativo 

(26 luglio 1978, n. 3449, in questa Rassegna, 1979, I, 58, con richiami); e molte 

possono essere le riserve formulabili suHa soluzione ora offerta dal:le Sezioni 

Unite. 

In ogni modo, per quel che concerne la legislazione anteriore alla riforma, 

l'indirizzo ora proclamato � da considerare irreversibile. 

� lecito tuttavia rilevare che la .pronuncia � riferita all'ipotesi di permuta 

alila pari di beni di uguale natura, quando cio� il bene ricevuto prende tal 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

185 

(omissis) Con il primo motivo, la r~corrente -denunciata la 
violazione e la falsa applicazione degli artt. 7, 81, 100 e 106 del t.u. 
29 gennaio 1958, n. 645, e dell'art. 2425 e.e., e la falsa applicazione dell'art. 
54 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, nonch� il difetto di motivazione 
-sostiene che il contratto di permuta di immobili stipulato da 
una societ� per azioni senza conguagli e, quindi, senza apportare alcuna 
variazione in bilancio, non dia luogo ad una plusvalenza assoggettabile 
all'imposta di ricchezza mobile. 

Il motivo � fondato. 

Secondo la tesi della ricorrente -la quale fa leva sulle statuizioni 
della decisione della Corte Suprema 29 ottobre 1970, n. 2231 -il contratto 
di permuta di immobili senza conguagli, posto in essere da una 
societ� per azioni, non sarebbe idoneo a determinare una plusvalenza 
(monetaria o economica) costituente un reddito (prodotto) imponibile 
in ricchezza mobile. 

Secondo l'opinione dell'Amministrazione Finanziaria -la quale fa 
perno sulle contrarie . statuizioni della sentenza della Corte Suprema 

n. 1687 del 7 giugno 1974 -il contratto permutativo di beni immobili, 
stipulato da una societ� per azioni, costituirebbe un mezzo di realizzazione 
(certa e definitiva) di un incremento di valore suscettibile di 
imposizione. 
Il problema che si pone � se, nell'ipotesi in cui una societ� per azioni 
effettui una permuta di beni immobili senza conguagli (e quindi, senza 
apportare alcuna variazione al proprio bilancio), si realizzi, ai sensi 
del coordinato disposto degli artt. 81, 100 e 106 del d.P.R. 29 gennaio 1958, 

n. 645 (t.u. delle leggi sulle imposte dirette), una plusvalenza assoggettabile 
all'imposta di ricchezza mobile. 
Trattasi di un particolare aspetto del pi� generale tema della idoneit� 
del negozio di permuta a concretare la realizzazione (e, quindi, 
la imponib_ilit� in ricchezza mobile) delle plusvalenze inerenti ai beni 
permutati, e cio� di un peculiare profilo della pi� ampia, controversa 
questione della possibilit� di inserire la permuta -sul presupposto 

quale neL bUancio iL .posto di queMo ceduto. Ci� non esauri.sce evidentemente 
La casistica, si che anche per il periodo anteriore a11a rifon:na i1 probLema non 
� esaurito. Intanto � implicitamente rkonosciuto che costituiscono realizzo, e 
quindi plusvalenza, i conguagli in danaro rkevuti; ma questi conguagli rapp'resentano 
la differenza tra i valori reali dei due beni e non tra i1 va1ore 
fiscale del bene ceduto e que1lo reale del bene ricevuto; � dunque quanto 
meno maiochinoso stabiHsce in avvenire, quando i1 bene 1sar� venduto, l'enti.t� 
de11a 'Plusvalenza dalla quale va detratto un conguaglio 1peocepito in un tempo 
intermedio. Se poi fosse esatto che la fluttuazione dei valori di mevcato pu� 
far sparire nel tempo lo sperato incremento di vaLore non ancora monetizzato, 
avverrebbe che 1pur non esistendo .plusvalenza, o addirittura sussistendo una 
minusvalenza, si � tuttavia ottenuto in un momento intermedio una plusvalenza 
regolarmente tassata costituita dal conguaglio. Ci� dovrebbe portare a ritenere 



186 

. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

che il concetto giuridico della � realizzazione � non si identifichi con il 
solo scambio monetario del bene plusvalente -nel novero dei negozi 
idonei a produrre l'effetto giuridico della �realizzazione� (della plusvalenza). 


Ai fini della corretta soluzione, il problema di fondo va considerato 
con quello (ad esso strettamente collegato) della determinazione dei 
limiti entro i quali l'Ufficio Finanziario pu� correggere le risultanze di 
bilancio di una societ� (tassabile in base al bilancio) e sottoporre conseguentemente 
a tassazione una plusvalenza nello stesso non contabilizzata. 


Il problema di base proposto -il quale ha formato, nell'ultimo 
quindicennio, oggetto di contrastanti decisioni della Corte Suprema e 
di accese dispute in dottrina -esige, in via preliminare, una opportuna 
puntualizzazione sul piano dogmatico e sul piano storico-evolutivo. 

La plusvalenza -la quale trova, nel sistema legislativo tributario, 
la sua disciplina nell'ambito della normativa relativa all'imposta di ricchezza 
mobile -� data dalla variazione in pi� che (nel tempo) si verifica 
nel valore dei beni (strumentali o meno). 

Essa costituisce il risultato della differenza (positiva) tra il costo 
del bene (mobile o immobile, materiale o immateriale, atto a formare 
oggetto di scambio) al momento in cui questo, per acquisto (in qualsiasi 
forma) o per produzione, entra a far parte del patrimonio del soggetto 
ed il valore dello stesso (corrispondente al ricavo realizzato) al momento 
in cui esso esce dal patrimonio cui ha appartenuto. 

Sul piano concettuale, la plusvalenza -appartenente alla categoria 

degli incrementi dei valori patrimoniali trova -in quanto ritenuta 
ex lege imponibile in ricchezza mobile -il suo inquadramento tra i 
redditi. 

Tra le tre distinte forme di reddito elaborate dalla dottrina (reddito 
prodotto, reddito entrata e reddito consumato) il legislatore, ai fini 
dell'imposta di ricchezza mobile, ha accolto nel t.u. delle leggi sulle 
imposte dirette del 1958 il concetto di reddito prodotto. 

che al momento in oui il bene esce dal patrimonio, l'incremento di valore che 
si � definitivamente prodotto si distaoca dalla fonte produttiva e diventa tassabile 
per 'l'intero vaLore, non soLtanto per una �sua parte. E questo distacco 
deve operarsi anche ne1 caso di permuta per tenere distinta 1'evo1uzione del 
valore de1 bene ceduto dalla sorte dell'ahro bene ricevuto che deve avere una 
sua autonoma vicenda. 

Ma la permuta non �sempre riflette due beni di natura omogenea che si 
sostituiscono nell'impostazione di bilancio Lasciando i1 .tutto inalterato. Un 
bene strumentaLe non pi� idoneo o un immobi�le de1 patrimonio sociale pu� 
essere permutato, anche 1senza conguagliio, :con materie rprime o merci da impiegare 
nehla produzione o con diritti .di varia natura che si esauriscono nel� 
1'esercizio annuale senza Iasciar traccia nei bifanci futuri. Tutto i1 ragionamento 
impostato sul rinvio del momento in cui La p1usvalenza sar� reaHzzata non 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 187 

E -considerandosi per reddito entrata l'entrata di ricchezza pura 
in un determinato periodo economico, e cio� l'intervento di una qualsivoglia 
disponibilit� di ricchezza, e per reddito consumato la parte del 
reddito destinata al consumo -deve ritenersi che, nei vari casi di 
plusvalenze assunti dal legislatore quali presupposti dell'imposizione, 
occorre che ricorrano i caratteri propri del reddito prodotto, richiesti 
per l'imponibilit� in ricchezza mobile, e cio� che vi sia una ricchezza 
nuova e che questa sia correlata in un rapporto eziologico di causa 
ed effetto con un fattore della produzione, giacch� soltanto la ricorrenza 
di tali connotazioni vale a giustificare l'introduzione nell'ambito 
dell'imposta di ricchezza mobile. 

La plusvalenza costituisce, quindi, presupposto di imposizione, quando 
-conseguendo ad operazioni speculative -sia realizzata. 

Pertanto, essa diventa imponibile nel momento in cui si perfeziona 
il diritto in base al quale il bene esce dal patrimonio e si trasforma 
nel corrispondente valore (acquistando cos� autonomia). 

Sul piano storico, va, innanzi tutto, ricordata l'evoluzione legislativa. 


Sotto l'impero del t.u. 24 agosto 1877, n. 4021, delle leggi per l'imposta 
sui redditi della ricchezza mobile, che per primo in Italia, ha 
preso in considerazione il fenomeno delle _plusvalenze agli effetti tributari, 
gli incrementi patrimoniali sono considerati assoggettabili all'imposta 
di ricchezza mobile soltanto se configurabili come �redditi provenienti 
da industrie, commerci, ecc. esercitati nel Regno� (art. 3, lett. d), 
condizionatamente (secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza) 
al loro realizzo (trasferimento del bene ad un prezzo superiore 
a quello di acquisto) ed alla loro connessione con un'operazione eminentemente 
speculativa (postulante il preordinato intento dell'operatore 
economico, al momento dell'acquisto del bene, di procedere successivamente 
al .suo realizzo per ricavarne un utile). 

trova pi� le premesse. Simile situazione rpu� verificarsi quando un bene patrimoniale 
non strumentale sia permutato con un bene strumentale che entrer� 
in ammortamento; ad un valore che in bilancio era costante se ne sostituisce 
altro che � decrescente. 

La necessit� del conseguimento di un prezzo in danaro � �poi inconciliabile 
con le numerose ipotesi di plusvalenza, considerate neHe sentenze richiamate 
in motivazione, co1legate ad operazioni di conferimento, concentrazione e simili 
che, pur non potendosi .riportare al parametro della compravendita, sono 
sempre state considerate, sia pure con alcuni dissensi, casi di realizzo di 
p1usvalenza. 

In definitiva La sentenza in esame ha condotto La di�samina su un campo 

piuttosto Hmitato, elaborando principi che dovrebbero essere di portata gene


raLe, ma che mal si prestano ad una generalizzazione. 

Maggiore interesse presenta l'ult�Jma considerazione che potrebbe proiet


tarsi anche sulfa legisLazione attuale. Poich�, si afferma, l'art. 1119 del t.u. 



188 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Al fine di eliminare le molte incertezze determinate dalla primitiva 
disciplina e di estendere la tassabilit� degli incrementi patrimoniali su 
descritti, intensificatisi particolarmente nel secondo dopoguerra, il legislatore 
ha provveduto a riordinare l'intera materia con la legge 5 gennaio 
1956, n. 1 (Norme integrative della legge 11 gennaio 1951, n. 25, � 
sulla perequazione tributaria). 

La nuova disciplina normativa -pur presentando talune difformit� 
rispetto a quella anteriore, segnatamente in ordine alle condizioni di 
tassabilit� delle plusvalenze -� rimasta tuttavia saldamente ancorata 
al principio che non vi � plusvalenza tassabile quando l'aumento di 
valore del cespite costituisca una semplice possibilit� futura, ma soltanto 
quando l'incremento sia effettivamente acquisito al patrimonio 
del soggetto, posto che il reddito, per ritenersi effettivamente e definitivamente 
prodotto, deve costituire una entit� staccata ed autonoma 
rispetto al cespite produttore. 

E ci� emerge sia dalla relazione ministeriale, in cui si legge che 
l'imposta di ricchezza mobile pu� colpire il reddito derivante da incremento 
di valore soltanto quando si tratti di � reddito realizzato e non 
di reddito potenziale � e che il presupposto che d� luogo alla tassazione 
delle plusvalenze sui cespiti (o pi� precisamente alla inclusione delle 
plusvalenze nella composizione del reddito imponibile) non � esclusivamente 
il realizzo dei cespiti, ma � la certezza della plusvalenza, riscontrabile 
anche in ipotesi diverse dal realizzo�, sia dalla statuizione legislativa 
contenuta nell'art. 20, primo comma, della legge 5 gennaio 1956, 

n. 1, per la quale �i maggiori valori delle attivit� delle imprese, in qualsiasi 
forma costituite, concorrono a formare il reddito imponibile nell'esercizio 
del quale sono realizzati e distribuiti in bilancio�. 
Successivamente, in base alla delega conferita dall'art. 63 della citata 
legge n. 1 del 1956 al Governo della Repubblica per l'emanazione di un 
testo un~co concernente le diverse imposte dirette (al fine di apportare, 
oltre alle modifiche utili per un migliore coordinamento, quelle necessarie 
per l'attuazione dei criteri di adattamento delle disposizioni alla 

del 1958 stabilisce il princ1p10 dell'intangibilit� del bilancio legittimamente 
formato, consentendo aWufficio so1tanto di indiv~duare redditi non indicati e 
di accertare la simulazione non anche di modificare i valori esposti in bilancio 
(ne11a sipecie 1sarebbe consentito aocertare La ,simulazione del negozio di permuta 
aHa .pari e la suss1stenza di conguagli non anche di accertare iiL valore 
del bene rkevuto in cambio), e ipokh� in base aill'art. 2425 e.e. Legittimamente 
il bene rkevuto in permuta aHa pari viene iscritto in b1lancio al prezzo di 
costo del bene ceduto, l'Amministrazione finanziaria non �potrebbe, ai fini della 
individuazione della plusva1enza, correggere le risultanze di un bilancio rego~are. 
Dato che L'art. 511 del d.P.R. n. 597;,1973 e gli artt. 39 e 40 del d.P.R. 

n. 600/11973 riproducono, anzi ribadiscono con pi� fermezza, U princiipio dell'intangibilit� 
dei bilanci estendendolo anche �al1e imprese individuali, si potrebbe 
pensare che Fultimo rilievo de11a sentenza in rassegna sia ancora attuale. 
f 

f 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 189 

esigenza di semplificazione nell'applicazione dei tributi ed a quella di 
una razionale organizzazione dei servizi e di perfezionamento delle norme 
concernenti l'attivit� dell'Amministrazione Finanziaria ai fini dell'accertamento 
dei redditi), la materia � stata (in modo pi� dettagliato ed 
organico) ulteriormente sistemata nel t.u. 29 gennaio 1958, n. 645. 

Ai fini di una compiuta descrizione di tale disciplina legislativa, applicabile 
nel caso di specie, vale riportare il disposto degli artt. 81, 100 
e 106 del cit. testo unico. 

L'art. 81, posto nel capo primo del titolo quinto, relativo alla disciplina 
dell'oggetto dell'impresa -dopo aver stabilito, nel primo comma, 
che �presupposto dell'imposta e la produzione di un reddito netto, in 
denaro e in natura, continuativo o occasionale, derivante da capitale e 
da lavoro o dal concorso di capitale e lavoro ovvero da qualsiasi altra 
fonte� -precisato, nel secondo comma, che �costituiscono presupposto 
dell'imposta le plusvalenze {e le sopravvenienze) indicate dagli artt. 100 
e 106, le plusvalenze da chiunque realizzate in dipendenza di operazioni 
speculative (nonch� i premi su prestiti e le vincite di lotterie, concorsi 
a premio, giuochi e scommesse)�. 

L'art. 100, che fa parte delle disposizioni della seconda sezione del 
capo terzo, le quali regolano la determinazione del reddito netto delle 
imprese commerciali, stabilisce che � concorrono a formare il reddito 
imponibile le plusvalenze derivanti dal realizzo di beni relativi all'impresa 
ad un prezzo superiore al costo non ammortizzato o, se diverso, all'ultimo 
valore riconosciuto ai fini della determinazione del reddito � e che, 
�nei confronti delle societ� indicate dall'art. 2200 cod. civ., si considerano 
relativi all'impresa tutti i beni ad essa appartenenti e le plusvalenze sono 
imponibili anche se distribuite ai soci prima del realizzo dei beni �. 

Infine, l'art. 106, facente parte delle norme della terza sezione dello 
stesso capo terzo che regolano la determinazione dei redditi dei soggetti 
tassabili in b.ase al bilancio, stabilisce che � le plusvalenze di tutti i beni 
appartenenti ai soggetti tassabili in base al bilancio concorrono a formare 

Ma cos� non � perch� 1'art. 54 del d.P.R. n. 597, dopo aver enuI11Ciato la regola 
che la plusvalenza .si .realizza mediante cessione di beni a dtolo oneroso (e tale 
indubbiamente � fa permuta), espressamente dispone che neL caso di lPermuta 
1a p1usvalenza � determinata con riferimento al � va1ore normale � del bene 
ricevuto aumentato o diminuito de1l'eventuaile �conguaglio in danaro. E poich� 
il valore normale, secondo la perspicu� definizione dell'art. 9, � il valore in 
comune 1commercio, � ovvio che da un Lato U contribuente ha L'obbligo di 
indicare in bilancio questo valore e dall'altro l'ufficio ha H potere di verificarlo. 
Non vi � dunque incompatibilit� tra intangibilit� de1 bi�lancio e verifica di 
congruit� dei valori, quando cada in gioco un valore normale. 

Ne1 �sistema de1 t.u. tutto questo era meno specificamente disciplinato, 

ma non si pu� certo dire che fosse estraneo i1 concetto di vailore normale. 

Ma tutta la costruzione si basa su una tautologia; si da per cer.to che 

il contribuente lPOSsa (o debba, salve le speciali .ragioni del1'ultimo comma 

15 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO. 

il reddito imponibile dell'esercizio nel quale sono realizzate, distribuite 

o iscritte in bilancio �. 
Dal coordinato disposto dai richiamati artt. 81, 100 e 106, che pone 
una differente disciplina circa i diversi tipi di soggetti ed i diversi modi 
in cui le plusvalenze possono concretizzarsi, risulta: a) per quanto concerne 
l'intento speculativo, che esso costituisce presupposto unicamente 
per la tassazione delle plusvalente realizzate in dipendenza di operazioni 
relative a beni estranei all'impresa (arg. ex art. 81, comma 2), mentre 
per la tassabilit� delle plusvalenze relative a beni dell'impresa (e tali 
sono considerate, per presunzione juris et de jure, tutti i beni appartenenti 
a societ� costituite nella forma di societ� in nome collettivo, in accomandita 
semplice, in accomandita per azioni e per azioni) � condizione 
sufficiente l'esercizio stesso dell'impresa, indipendentemente dal carattere 
strumentale o meno dei beni medesimi rispetto al processo produttivo 
del reddito dell'impresa; b) per quanto riguarda il realizzo, che esso 
costituisce presupposto esclusivo di tassabilit� unicamente per le plusvalenze 
ottenute da persone fisiche e ditte collettive, mentre per quelle 
relative a beni appartenenti a societ� commerciali o a soggetti tassabili 
in base a bilancio, oltre al realizzo, possono fungere da presupposto di 
tassabilit� anche l'eventuale distribuzione ai soci di detto maggior valore 
prima del realizzo dei beni o l'iscrizione in bilancio della plusvalenza 
medesima. E, relativamente all'introduzione di quest'ultimo presupposto 
di tassabilit� (quanto alla �distribuzione ai soci� non occorre una particolare 
giustificazione, apparendo ovvie le . ragioni della sua parificazione 
al realizzo), la relazione ministeriale spiega come l'iscrizione della plusvalenza 
in bilancio costituisca un'ipotesi in cui, pur non avendosi ancora 
effettivo realizzo, si abbia tuttavia la certezza soggettiva (oltre che oggettiva) 
della formazione della plusvalenza � non essendovi dubbio che se 
il contribuente, di sua iniziativa e con l'osservanza delle norme del codice 
civile che vietano di attribuire ai cespiti valori superiori a quelli effettivi, 
attribuisce in bilancio ad un cespite una plusvalenza, questa, per 

deLL'art. 2425 e.e.) legittimamente riportare in bi1ancio il bene ricevuto con lo 

stesso valore di quehlo ceduto, cio� secondo i1 costo di acquisto di quest'ul


timo; ma ci� � quel che devesi dimostrare, ['isolvendo un problema del tutto 

simile a quello affrontato ai fini de1la plusvalenza. iH bene ricevuto in permuta 

� un bene � acquistato � che deve essere iscritto in bilancio per i1 valore 

corrispondente aL suo � costo � (si noti: �costo � che � espressione assai 

ipi� ampia di �prezzo�); ma quale � questo costo nel caso di [permuta? � il 

vaLore di bi1ancio de1 bene ceduto o � il valore reale di esso? Si ritorna cos� 

al problema. Pu� dirsi riiS[pondente al prindpio deHa verit�, calare in bilancio 

un bene nuovo secondo il valore, che potrebbe essere simbolico, di un bene 

diverso ormai uscito dal patrimonio? 

Esempio cLassico di p1usvaLenza � quella che si rea!Lizza quando i beni 

strumentali totaLmente ammortizzati e non pi� idonei vengono dismessi ed 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 191 

riconoscimento dello stesso contribuente, ha carattere certo e deve considerarsi 
acquisita �. 

Recentemente, con il d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 (Istituzione e 
disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e giuridiche) � 
stata dettata una nuova disciplina del trattamento fiscale delle plusvalenze 
patrimoniali. 

L'art. 54, contenuto nel titolo quinto, relativo al reddito d'impresa 
-dopo avere stabilito, nel primo comma, che � le plusvalenze dei beni 
relativi all'impresa concorrono a formare il reddito d'impresa nel periodo 
d'imposta nel quale sono realizzate mediante la cessione dei beni a titolo 
oneroso � e, nel secondo comma, che � la plusvalenza � costituita dal maggior 
valore realizzato rispetto all'ultimo valore riconosciuto ai fini dell'imposta 
sul reddito� -dispone che �nel caso di permuta 1a plusvalenza 
� determinata con riferimento al valore normale del bene ricevuto, 
aumentato e diminuito dell'eventuale conguaglio in denaro� e che 
� se il bene ricevuto in permut� viene iscritto in bilancio allo stesso valore 
per il quale vi era iscritto il bene dato in permuta la plusvalenza 
� costituita soltanto dal conguaglio in denaro eventualmente pattuito�. 

Con tale statuizione legislativa -avente un indubbio carattere innovativo 
e non applicabile, quindi, alla fattispecie oggetto di� disputa, verificatasi 
sotto il vigore del t.u. del 1958 -si � fissato il cosiddetto principio 
del rinvio della tassabilit�, che vale a gettare una luce chiarificatrice 
sull'annessa� questione. 

In seno alla giurisprudenza, due contrastanti orientamenti -ispirati 
alle opposte tesi sostenute in dottrina -si sono alternati nel tempo 
sul tormentato tema oggetto di esame. 

Nel senso della assoggettabilit� all'imposta di ricchezza mobile della 
plusvalenza emergente dalla cessione in permuta di un bene afferente 
all'esercizio dell'impresa societaria si sono espresse le decisioni della 
Corte Suprema n. 2312 del 3 settembre 1966 (riguardante lo scambio di 
macchine e� di manufatti con materiali ferrosi e rottami), n. 1687 del 
7 giugno 1974 (relativa alla plusvalenza prodottasi, nell'ipotesi di fusione 

eliminati; in taL caso il valore di bilancio, o valore .rfoonosciuto ai fini dell'im


posta sul reddito, � eguale a zero; sar� intangibile un biJancio che riporta 

H bene ricevuto in permut� con i1l valore zero? 

Senza voler risoLvere questo grosso problema civiListko, 1sembra potersi 
legittimamente dubitare deH'affermazione delLa sentenza in esame, sqprattutto 
consi,derando che i beni oggetto deHa :permuta, se pure aLLa pari, sono diversi 
e che non esi,ste continuit� neLLa serie dei bilanci quando un bene � sostituito. 
L'ingresso di un nuovo bene pone un problema di va1utazione autonoma cos� 
come un eguale problema di valutazione, �ai fini deUa plusvalenza, pone l'uscita 
definitiva di altro bene. La presunta parit� di valore normale dei beni permutati 
non comporta necessariamente una identica va1utazione in biLancio. 

L'art. 54 terzo comma del d.P.R. n. 597 prevede (ma solo facoltativamente) 

la sostituzione de1 bene ceduto con que!Jo ricevuto e n mantenimento deMo 



�--I 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

di societ� per incorporazione, in capo alla societ� estinta per effetto 
della incorporazione), n. 462 del 2 febbraio 1978 (riguardante lo scambio 
di beni relativi all'impresa), n. 725 del 16 febbraio 1978 (relativa al conferimento 
di beni in natura da parte di una societ� per azioni per la 
costituzione di una societ� in accomandita semplice) e n. 3749 del 26 luglio 
1978 (avente ad oggetto la permuta di opifici). 

Con la sentenza n. 2312 del 3 settembre 1966, si � statuito -sul 
duplice rilievo che il reddito possa anche essere in natura (art. 81 t.u. 
del 1958 e che l'approssimativa equivalenza tra i valori delle cose scambiate 
non sia elemento essenziale del contratto di permuta, potendo questa 
avere per oggetto cose di non uguale valore economico -che la 
differenza di valore (ove ricorra) d� luogo ad un utile tassabile, precisandosi 
che il termine �prezzo� � stato usato dal legislatore non gi� 
nel significato ristretto di corrispettivo in denaro, ma qual sinonimo 
di � valore � economico, suscettibile cio� di valutazione pecuniaria, onde 
la plusvalenza deve ritenersi realizzata, e come tale tassabile ai fini della 
ricchezza mobile, ogni qual volta l'incremento di valore costituisca una 
entit� staccata ed autonoma rispetto al cespite produttore ed acquisita 
in modo definitivo al patrimonio del soggetto, senza cio� che sia necessaria 
anche la percezione da parte di quest'ultimo, di un corrispettivo 
monetario. 

La sentenza n. 1687 del 7 giugno 1974, si � espressa nella stessa 
linea, stabilendo che, nell'ipotesi di fusione, per incorporazione, di societ�, 
devono ritenersi realizzate e quindi tassabili ai fini dell'imposta 
di ricchezza mobile, le plusvalenze prodottesi in cap� alle societ�, le 
quali per effetto dell'incorporazione, vengono ad estinguersi, e_ che acquista 
rilevanza giuridica, ai fini dell'imposizione tributaria, il valore effettivo 
del patrimonio della societ� che pu� risultare costituito, oltre che 
dal capitale iniziale di conferimento, anche dagli eventuali aumenti di 
valore dei beni della societ� (aumenti mai tassati perch� mai evidenziati). 


stesso va1ore (con il che non si rea1izza iplusva:lenza) so1tanto quando i beni 
permutati siano ammortizzabili (-solo in qutisti limiti � Lecito parlare di � rinvio 
deHa tassazione�). 

Questa � sicuramente una norma innovativa (mentre non sembra esserlo 
que11a deHa prima parte dello stesso comma) che risponde ad una ratio diversa: 
in tal caso la reailizzazione deMa plusva1enza viene differita per i1 ,periodo, non 
lungo, di durata dell'ammortamento e riportata alla stessa scadenza che avrebbe 
avuto il bene dato in permuta. Alla stessa ratio ri-sponde H quinto comma dello 
stesso articolo iPer H quale non concorrono a formare iL reddito tutte le 
p1usvalenze, aDJche queUe realizzate in danaro, che siano accantonate in apposito 
fondo del passivo e reinvestite in beni ammortizzabilri; anche in questo 
caso per favorire 1a ricostituzione dei beni ammortizzabili -si rinvia La tassazone 
deHa p1usvai1enza, anche se realizzata in danaro. NeWuno e nell'altro 
caso 1a mancata tassazione della plusvalenza � compensata, nel complesso del 

I


I 


i:: 

f.' 


PARTE I� SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 193 

Identica interpretazione dell'art. 100 del t.u. del 1958 � stata fatta 
dalla decisione n. 462 del 2 febbraio 1978, la quale ha deciso che un bene, 
fino ad un determinato momento valutato in bilancio in base all'originario 
prezzo di costo, se permutato alla pari con altro bene, dimostra 
di possedere un valore di mercato che presuntivamente equivale a quello 
del bene ricevuto in cambio, con la conseguente implicazione che, se 
tale valore � superiore, si ha, per l'eccedenza, la manifestazione di una 
plusvalenza tassabile in ricchezza mobile, venendo in concreto a realizzarsi, 
attraverso l'utilizzazione del bene come mezzo di acquisto di un 
altro bene una ricchezza fino a quel momento latente. 

Negli stessi termini si � espressa, poi, in una fattispecie di conferimento 
di beni in natura, la decisione n. 725 del 16 febbraio 1978. 

Con essa si � statuito: che si ha un'operazione di realizzo anche 
nell'ipotesi in cui i beni sono convertiti in altra specie di ricchezza di 
maggior valore; che � priva di rilevanza giuridica l'ascrizione in bilancio 
del bene (quota sociale) ricevuto in cambio di quello permutato con 
lo stesso valore di questo, essendo l'amministrazione finanziaria investita 
del potere di accertare il valore realmente conseguito in virt�. del 
contratto di permuta attraverso una valutazione induttiva sulla base 
delle stime di mercato (effettuate ai fini deH'imposta di registro); che, 
se,� prima del conferimento, il valore dei beni �, ai fini fiscali, quello 
indicato in bilancio, successivamente il maggior valore � utilizzato (e, 
quindi, realizzato) per l'acquisto della quota sociale ed � autonomamente 
valutato dall'amministrazione finanziaria; e che, in tale secondo momento, 
viene ad acquistare rilevanza fiscale il valore effettivo della nuova 
entit� economica in cui i beni permutati si sono convertiti, costituendo 
lo stesso, per la parte eccedente, plusvalenza. 

Infine, con la sentenza n. 3749 del 26 luglio 1978, rappresentante l'ultima 
espressione del filone giurisprudenziale di segno positivo, si � affermato 
che la plusvalenza non suppone necessariamente lo scambio di 
una cosa c�ntro prezzo, potendo la maggior ricchezza provenire anche 
dallo scambio di una cosa contro cosa, quando quella ricevuta valga 
di pi� di quella data; che � inconferente l'obiezione che la permuta, 
attesa la sua struttura unitaria, non � configurabile come sintesi di due 

bi1ancio, dalla minore spesa (e quindi da'! maggior reddito), che l'imprenditore 
sopporter� �per l'acquisto dei beni strumenta1i ammortizzabili. 

Ma questa operazione non � consentita per i beni diversi da quel11i ammortizzabi1i, 
quando, come nel caso deciso, la cessione a titolo oneroso (anche 
se mediante permuta) fa realizzare un valore superiore a quel1!0 iper il quale 
era iscritto in bilancio i1 bene ceduto e questo valore, senza incorporarsi in 
beni strumentali e senza incrementare l'utile di esericizio, resta 'sottratto aJ.1.a 
tassazione a tempo indefinito ed a discrezione de1 contribuente, che potr� 
scegliere il momento opportuno per far affiorare la plusvalenza, magari in un 
periodo di imposta nel quale sia comipensata da~le perdite di esercizio. 

C. BAFILE 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLq STATO 

atti di compravendita, in cui l'entrata e l'uscita del denaro si elidano, 
in quanto, agli effetti fiscali, essendo reddito non soltanto il provente 
in denaro, ma anche quello in natura, noq occorre la fictio dell'esistenza 
di due compravendite incrociate per colpire il plusvalore conseguito con 
la permuta; che � altres� mcortferente il rilievo che la permuta postula 
l'equivalenza dei beni scambiati, scaturendo la plusvalenza dal� confronto 
fra il (maggior) valore attuale del bene ricevuto in permuta ed il 
(minor) valore .del bene ceduto (risultante dall'iscrizione in bilancio) che, 
uscito 1fal patrimonio in cambio di una nuova ricchezza, .d� luogo al 
realizzo; e che, per negare la tassabilit� di tale plusvalenza non vale 
affermare che il bene ricevuto ha preso il posto di quello ceduto senza 
ancora .tradursi in numerario, in quanto, rispetto al bene ceduto, � la 
permuta il momento conclusivo dell'operazione di realizzo, non occorrendo 
altro perch� sia definitivamente acquisito al patrimonio dell'impresa, 
con il bene ricevuto in corrispettivo il maggior valore di mercato 
che questo rappresenta; e che � in tale momento che la plusvalenza si 
evidenzia e si rende tassabile, mentre l'eventuale alienazione del bene 
ricevuto in permuta � un fatto che, se e quando avverr�, former� oggetto 
di una nuova, diversa ed autonoma valutazione fiscale. � 

L'orientamento giurisprudenziale contrario a quello innanzi delineato 
e, quindi, di segno negativo, secondo cui non � assoggettabile all'imposta 
di ricchezza mobile la plusvalenza derivante dalla permuta di beni 
attinenti all'impresa societaria, si � espresso nelle decisioni della Corte 
Suprema n. 2231 del .29 ottobre 1970 (riguardante lo scambio di titoli 
azionari), n. 4282 del 25 settembre 1978 (avente ad oggetto il conferimento 
di beni in natura in cambio di azioni) e n. 5923 del 13 dicembre 1978 
(relativa ad una permuta di terreni). 

La sentenza n. 2231 del 29 ottobre 1970 -nell'escludere il realizzo 

di Ullla plusvalenza nel contratto di permuta .di titoli azionari -ha rile, 

vato che per una soluzione negativa del problema operano sia la lettera 

e lo spirito della disciplina legislativa sia la funzione economica-giuri


dica e la peculiare struttura del negozio permutativo. 

Invero, essa fa perno sull'interpretazione dell'art. 100, comma 1, t.u. 

n. 645 del 1958, secondo cui per realizzo dei beni deve intendersi la conversione 
di un bene in denaro liquido (e cio� la monetizzazione dell'incremento 
patrimoniale attraverso la riscossione di un prezzo, realizzabile 
soltanto mediante il negozio tipico della compravendita), nonch� 
sulla struttura e sulla funzione del negozio di permuta, la cui scelta, da 
parte dei contraenti, per l'attuazione dei loro concreti interessi, senza 
operare conguagli in denaro, comporta (in assenza di intenti fraudolenti 
e simulatori) la prospettazione, sul piano economico e sul piano giuridico, 
dell'identit� dei valori delle cose scambiete. 
Attraverso tali considerazioni argomentative la sentenza � pervenuta 
alla conclusione che nell'ipotesi di permuta di titoli azionari -essendo 

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~ 

f: 
Il 


PARTE I, SEZ. VI, ()IURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

i titoli ricevuti destinati a prendere il posto di _quelli dati in cambio l'eventuale 
differenza tra il costo (di quelli ceduti) e la (maggiore) quotazione 
di borsa di quelli ricevuti non possa, n� sotto il profilo del realizzo 
n� sotto quello della certezza (essendo le quotazioni dei titoli estremamente 
mutevoli nel tempo), considerarsi come una plusvalenza effet� 
tivamente acquisita al patrimonio del permutante fino a che l'operazione 
di investimento, in cui detti titoli vengano ad inserirsi, non possa dirsi 
effettivamente e definitivamente esaurita. 

Con la sentenza n. 4282 del 25 settembre 1978, la quale si rif� ai 
principi affermati nella decisione n. 2231 del 1970, si � stabilito che la 
permuta di beni sociali contro azioni non da luogo a plusvalenza assoggettabile 
all'imposta di ricchezza mobile, rimanendo la plusvalenza in 
uno stato meramente potenziale fino al successivo effettivo realizzo (mediante 
la conversione del bene in denaro liquido), attuabile soltanto con 
la vendita delle azioni ottenute in cambio dei beni permutati. 

La decisione n. 5923 del 13 dicembre 1978 -cronologicamente ultima 
fra le pronunce rese dalla Corte Suprema sul tema dibattuto -ha rilevato 
che -pur sussistendo l'eventualit� che attraverso la permuta pos� 
sa essere acquisito un incremento patrimoniale a favore di uno dei permutanti 
-il rapporto tributario debba essere fondato su un fenomeno 
certo (e non su una mera eventualit�) ed ha tratto da tale postulato 
argomento per contrastare l'ampiezza dell'ambito attribuibile al concetto 
di realizzo dei beni relativi all'impresa (negando l'estensione di 
esso al corrispettivo in natura) e per affermare che la. plusvalenza, per 
essere suscettibile di tassazione in ricchezza mobile, debba essersi definitivamente 
prodotta in favore dell'ente societario. 

Essa ha concluso -dopo avere affermato che la legge ha limitato 
il concetto di plusvalenza all'incremento patrimoniale che si verifica per 
effetto della compravendita del bene, la quale soltanto consente di stabilire 
con assoluta certezza l'intervenuta produzione di un maggior valore 
(raffrontando il prezzo ricavato al costo originario), e che per i sog� 
getti tassabili in base al bilancio sono equipollenti del realizzo la distribuzione 
del maggior valore tra i soci� e l'iscrizione del maggior valore in 
bilancio -nel senso che, in caso di permuta, non � ravvisabile, per la 
fluttuazione del valore di mercato dei beni, alcun elemento di certezza 
circa la effettiva realizzazione per l'impresa della plusvalenza del bene, 
la quale potr� farsi valere quando il bene ricevuto in permuta sar� stato 
a sua volta venduto ovvero quando il realizzo risulti negli altri modi 
indicati come equipollenti. 

Fra i due indirizzi su delineati queste Sezioni Unite ritengono che 

debba essere seguito il secondo, di segno negativo, il quale pi� dell'altro 

risponde al principio di certezza (della plusvalenza), valorizzato sia nella 

relazione ministeriale alla legge 5 gennaio 1956, n. 5 che in quella al t.u. 

29 gennaio 1958, n. 645. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Come s1 e accennato all'inizio, i problemi da risolvere in ordine al 
tema proposto attengono l'uno alla possibilit� di rinvenire la realizzazione 
di una plusvalenza in occasione di una permuta e l'altro ai limiti 
entro i quali � consentito all'Amministrazione Finanziaria di sottoporre 
a revisione la risultanza dei bilanci delle societ�. 
Riguardo al primo, va, innanzi tutto, rilevato come -in base alla 
disciplina normativa sopra richiamata -presupposto dell'imposta sul 
reddito di ricchezza mobile sia la produzione di un reddito netto in denaro 
o in natura (art. 81, comma 1; t.u. del 1958) e come costituiscano al� 
tres� presupposto dell'imposta il conseguimento di una sopravvenienza 
attiva e la realizzazione di una plusvalenza (art. 100 e 106 t.u.), nonch� 
come -essendo quest'ultimo presupposto d'imposta costituito non dalla 
semplice formazione di una plusvalenza nel patrimonio del soggetto, 
ma dalla realizzazione di una plusvalenza, s� che, secondo la pi� autorevole 
dottrina, non possano considerarsi redditi non soltanto i vantaggi 
non patrimoniali, ma neppure � gli incrementi patrimoniali fino a quando 
non si traducano in una cifra certa e definitiva � -la ragione della 
limitazione della tassabilit� alla plusvalenza certa e controllata debba 
ritrovarsi nella possibilit� delle fluttuazioni e delle oscillazioni del, mercato, 
idonei a trasformare la stessa in minusvalenza (e ci� perch�, fin 
quando il bene rimane nel patrimonio del soggetto, la realizzazione della 
plusvalenza � meramente potenziale, costituendo un vantaggio sperato, 
ma non definitivamente assicurato). 
Inoltre, va considerato come dal coordinamento disposto dagli articoli 
81 e 100 del t.u. del 1958 risulti che, in ordine alle societ� indicate 
dall'art. 2200 cod. civ. (in nome collettivo, in accomandita semplice, per 
azioni, in accomandita per azioni) le plusvalenze tassabili -ai fini della 
ricchezza mobile -siano esclusivamente quelle derivanti dal realizzo 
di beni relativi all'impresa ad un � prezzo � superiore al costo non ammortizzato, 
non apportando la norma generale dell'art. 81 (che considera 
come presupposto dell'imposta la produzione di un reddito in danaro o 
in natura) alcun contributo ai fini dell'interpretazione dell'art. 100, che 
disciplina in maniera autonoma le plusvalenze, con inequivoco riferimento 
alla comparazione fra il �prezzo� ricavato ed il costo originario, 
e come per l'art. 106 del citato t.u., in ordine ai soggetti tassabili in base 
al bilancio, possano fungere, in virt� del principio della tassabilit� della 
plusvalenza definitivamente prodotta, come presupposti impositivi, oltre 
al realizzo, la distribuzione ai soci e l'iscrizione in bilancio del maggior 
valore per la ragione che in tali casi ricorrono indubbie ipotesi di certezza 
(soggettiva ed oggettiva) della formazione della plusvalenza per 
espresso riconoscimento dello stesso contribuente. 
Ed implicazione logica del profilato processo ermeneutico delle cennate 
norme gi� sarebbe la conseguenza dell'esclusione in caso di permuta 
-non essendo ravvisabile, per la fluttuazione del valore di meril 
t 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

cato dei beni, alcun elemento di certezza -dell'effettiva e definitiva 
realizzazione della plusvalenza attuabile in un secondo momento (attraverso 
la conversione del bene permutato in moneta). 

Altri argomenti in favore della tesi di segno negativo possono trarsi, 
d'altro canto, dalle relazioni ministeriali alla legge n. 1 del 1956 ed al 

t.u. del 1958. 
Una prima riflessione, che si presenta immediata al primitivo approccio, 
� che -affermandosi in tali relazioni che il presupposto della 
tassabilit� della plusvalenza � non � esclusivamente il realizzo, ma il 
carattere certo della plusvalenza � -il realizzo sia preso in considerazione 
come attributivo del carattere di certezza alla plusvalenza e che 
la cessione del bene (in cambio di altro bene senza conguagli) non contribuisca 
in alcun modo a dar certezza alla plusvalenza (restando estranea 
al campo di applicazione dell'imposta). 

Un'ulteriore possibile considerazione � che -rilevandosi nelle relazioni 
ministeriali che la plusvalenza abbia carattere di certezza e sia 
assoggettabile all'imposta di ricchezza mobile quando il contribuente, 
attribuendo di sua iniziativa in bilancio ad un cespite una plusvalenza, 
riconosca la stessa -nel caso di permuta senza conguagli, seguita dall'iscrizione 
in bilancio del bene ricevuto per lo stesso importo del bene 
ceduto, non possa non escluderEi la sussistenza della richiesta certezza, 
giacch� tanto la realt� economica (mancanza di 'Conguagli) quanto il comportamento 
del contribuente (mantenimento in bilancio dello stesso valore) 
varrebbero ad escludere qualsiasi riconoscimento di plusvalenza. 

Altro rilievo argomentativo risulta, poi, dalla preoccupazione manifestata 
dal legislatore in ordine alla possibilit� di una eventuale evasione 
d'imposta, in quanto -affermandosi nelle relazioni ministeriali che la 
tassazione delle plusvalenze iscritte in bilancio potrebbe determinare 
l'evasione dell'imposta, in quanto, in caso di successivo realizzo dei cespiti 
ad un prezzo corrispondente al valore iscritto in bilancio in precedenti 
esercizi, potrebbe non venir rilevata dall'Ufficio la rivalutazione 
del valore iscritto in confronto al valore di acquisto o di costo -non 
sussisterebbe tale timore nel caso di permuta senza conguagli e senza 
iscrizione in bilancio di alcuna plusvalenza, onde non dovrebbe procedersi 
in detta ipotesi ad alcuna tassazione in ricchezza mobile, sia perch� 
mancherebbe il requisito della certezza sia perch� (anche se non 
potrebbe ravvisarsi la possibilit� di una doppia tassazione, in quanto, 
nell'ipotesi di una duplice, successiva valutazione, al momento della 
permuta ed a quello del posteriore realizzo, si prenderebbero in considerazione 
plusvalenze distinte ed autonome, e cio� diversi aumenti di 
valore, prima un minore aumento e poi un'ulteriore maggiorazione, afferenti 
a differenti operazioni) non ricorrerebbe alcun pericolo di evasione 
fiscale, essendo la plusvalenza presa in considerazione ed assoggettata 
all'imposta al momento finale dell'operazione, e cio� in sede di riven



198 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

dita del bene ricevuto in cambio di quello permutato (il che sarebbe 
pienamente conforme a legge, in quanto l'imposta di ricchezza mobile, 
essendo funzionalmente �diversa dall'imposta di registro, prescinde dal 
numero delle operazioni e dei passaggi di ricchezza, guardando, in tema 
di plusvalenze, esclusivamente al risultato finale, identificato nella . differenza 
fra il prezzo pagato per l'acquisto e quello ricavato dalla cessione). 


Per modo che deve ritenersi che, nell'ipotesi di permuta senza conguagli 
(e senza iscrizione in bilancio di alcuna plusvalenza) -essendo 
il realizzo del bene ricevuto. in cambio di quello permutato ancora ipotetico 
e rimanendo il reddito tassabile an�ora in fase potenziale -la 
tassazione in ricchezz� mobile trovi. la sua base certa soltanto con la 
seconda operazione (di realizzo), e cio� quando il valore mutevole del 
bene ricevuto si concreta e si realizza in un valore definitivo. 

Il secondo problema da risolvere in correlazione con quello di fondo 
attiene ai lir.iti dei poteri di correzione da parte dell'Amministrazione 
Finanziaria delle risultanze dei bilanci delle societ� (in vista ed in funzione 
della,tassabilit� di plusvalenze. non contabilizzate). 

Nei confronti dei soggetti tassabili in base al bilancio, la questione 
della tassabilit� delle plusvalenze va risolta nell'osservanza del principio 
dell'intangibilit� del bilancio legittimamente formato (fissato nell'art. 
119 del t.u. del 1958, sull'accertamento analitico), secondo il quale 
-costituendo il bilancio la base normale ed il vero mezzo (documen~ 
tale) atto a consentire la conoscenza dei Tedditi .di una societ� -l'Amministrazione 
Finanziaria -non potendo sostituirsi agli organi sociali 
competenti nella formazione .. del bilancio .e nelle preventive valutazioni 
richieste da tale formazione -� legittimata esclusivamente a verificare 
e correggere i risultati erronei ed inesatti dei bilanci, i quali possono 
costituire la misura e la regola ai fini dell'applicazione dell'imposta soltanto 
se conformi alla legge e rispettosi del principio della verit� 
(Wahrheitsprinzip). Infatti, il citato art. 119 stabilisce, nel primo comma, 
il principio generale, secondo cui � i redditi dei soggetti tassabili in ba~e 
al bilancio sono determinati s�lla base delle risultanze del bilancio � e, 
nei due commi seguenti, i casi tassativi in cui l'ufficio pu� procedere 
all'integrazione e correzione delle impostazioni di bilancio mancanti e 
inesatte. 

Pertanto, non pu� dubitarsi che -essendo il bilancio opera esclu


siva degli organi sociali -i redditi da sottoporre a tassazione siano 

solamente quelli risultanti dal bilancio e che l'ufficio finanziario possa 

fare ulteriori accertamenti soltanto al fine di individuare redditi, che, 

secondo la legge ed il principio della verit�, avrebbero dovuto essere 

iscritti in bilancio (ma non sono stati in esso indicati). 

Il processo induttivo potrebbe, quindi, venire utilizzato non diret


tamente per disattendere il reddito di bilancio, ma soltanto per ricercare 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

la voce del bilancio che -per non essere stata imposta esattamente abbia 
concorso (influendo sulla rispondenza delle postazioni) ad alterare 
l'effettivo reddito di esso. E -poich� legittimamente gli amministratori 
iscrivono in. bilancio al prezzo di. costo del bene dato in permuta 
quello ricevuto in cambio senza conguaglio, in conformit� del 
principio generale stabilito dall'art. 2425 cod. civ., secondo il quale i 
beni non possono essere iscritti in bilancio (salvo il caso del concorso 
delle speciali ragioni di cui all'ultimo comma) per un valore superiore 
al prezzo di costo, giacch� nel caso di permuta senza conguaglio il costo 
del bene ricevuto deve considerarsi uguale a quello sostenuto a suo 
tempo per acquisire il'" cespite scambiato alla pari -non pu� ritenersi 
corretta l'attribuzione, operata dalla giurisprudenza favorevole alla tassabilit� 
immediata (cfr. sent. n. 725 del 1978), all'Amministrazione Finanziaria 
del potere di accertare il valore realmente conseguito dal contribuente 
e di determinare il valore reale nei negozi di natura permutativa, 
in quanto ci� sarebbe consentito soltanto nel caso in cui si trattasse 
di procedere alla constatazione di una simulazione (e non anche all'accertamento 
di un valore). 

Deve, quindi, ritenersi che, nell'ipotesi di una permuta operata senza 
conguagli, se � dato all'ufficio finanziario di accertare la simulazione 
della permuta alla pari e, quindi, la sussistenza dei conguagli, non � 
altres� consentito allo stesso di procedere all'accertamento del valore del 
bene ricevuto in cambio di quello permutato, il quale sia stato iscritto 
in bilancio, in osservanza del principio fissato nell'art. 2425 cod. civ., in 
base al suo costo (uguale, per la mancanza di conguagli, al costo del 
bene ceduto), s� che, agli effetti dell'imposizione, pu� attribuirsi rilevanza 
giuridica esclusivamente all'iscrizione in bilancio. 

In conclusione, deve affermarsi che, nell'ipotesi di un contratto di 
permuta di immobili senza conguaglio, posto in essere da una societ� 
per azioni, ove il valore dell'immobile ricevuto in. cambio di quello permutato 
sia stato iscritto in bilancio con un valore pari al prezzo del 
costo di acquisto del bene ceduto, non si ha plusvalenza assoggettabile 
all'imposta di ricchezza mobile. 

Il primo motivo di ricorso �, quindi, da accogliere. L'accoglimento 
del primo motivo comporta l'assorbimento del secondo, con il quale la 
ricorrente -denunciata la violazione degli artt. 112 cod. proc. civ. e 29 
del d.P.R. 26 ottobre n. 636, nonch� il difetto di motivazione -sostiene 
che la Commissione Tributaria Centrale -ritenuto applicabile il tributo 
-avrebbe dovuto rimettere la controversia alla Commissione tributaria 
di secondo grado per la quantificazione della plusvalenza e non 
avrebbe potuto procedere alla valutazione estimativa di essa. 

In definitiva, va accolto, il primo motivo di ricorso e va dichiarato 
assorbito il secondo motivo. (omissis). 


SEZIONE SETTIMA 

GIURISPRUDENZA IN MATERIA 
DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 9 gennaio 1978, n. 57 -Pres. Trimarchi 
. Est. Bile -P. M. Gambogi (conf.) -Ministero dei lavori 
pubblici '(avv. 'Stato Ailbisinni) c. Soc. Ricerche Metano e Minerarie 
Fratelli Graziani (avv. Merlin e Formiggini). 

Acque -OpeIJe idrauliche -Provvedimenti per la tutela del buon regime 
delle acque -Attivit� legittima della P.A. -Ammissibilit� dell'indennizzo 
ex art. 46 legge 2 giugno 1865, n. 2359 -Sussiste. 
(art. 2 t.u. sulle opere idrauliche approvato con r.d. 25 luglio 1904, n. 523; art. 46 

legge 25 giugno 1865, n. 2359; art. 140 t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775). 

L'art. 2 del t.u. sulle opere idrauliche approvato con r.d. 25 luglio 
1904, n. 523, considera l'attivit� svolta dall'amministrazione in materia 
di opere reputate dannose per il buon regime delle acque pubbliche prevalentemente 
se non esclusivamente con riguardo all'ipotesi che essa 
formi oggetto di contestazione: ed infatti la norma riserva la definizione 
delle relative controversie alla pubblica autorit�, con provvedimenti impugnabili 
dinanzi la giurisdizione amministrativa e preclude al giudice 
ordinario -il cui intervento � limitato al solo caso che l'attivit� abbia 
assunto il carattere di illecito, cos� provocando danni risarcibili -l'esame 
di questioni �gi� risolute in via amministrativa� (1). 

Demolizione di argini effettuata, a norma deJ.l'art. 2 T.U. suhle opere idrauliche, 
per la tutela del buon regime della acque pubbliche: applicabildt� de1l'art. 
46 legge 25 giugno 1865, n. 2359. 

(1) Non ci ipare, per verit�, che H principio affermato nena iprima massima 
sia esatto. 
L'art. 2 del t.u. sulle Opere idrauliche dispone: � Spetta esclusivamente 
all'autorit� amministrativa lo statuire e provvedere, anche in caso di contestazione, 
sulle opere di qualunque natura e in generale sugli usi, atti o fatti, 
anche consuetudinari, che possono avere relazione col buon regime delle acque 
pubbliche, con la difesa e conservazione delle sponde, con l'esercizio della 
navigazione, con quelle delle derivazioni legalmente stabilite e con l'animazione 
dei molini ed opifici sovra le dette acque esistenti; e cos� pure sulle condizioni 
di regolarit� dei ripari ed argini od altra opera qualunque fatta entro gli alvei 

o contro le sponde. 
Quando dette opere, usi, atti, fatti siano riconosciuti dannosi al buon 
regime delle acque pubbliche essa sola sar� competente per ordinare la modificazione, 
la cessazione, la distruzione. 

Tutte le contestazioni relative saranno regolate dell'autorit� amministrativa, 
salvo il disposto dell'art. 25, n. 7, della legge 2 giugno 1889, n. 6166. 


PARTE I, SEZ. VII, GIU&IS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 201 

Non rientra perci� nell'ambito della previsione legislativa l'ipotesi 
in cui -ferma restando la legittimit� dell'azione amministrativa, e 
quindi al di fuori di ogni controversia su di essa -si chieda al giudice 
ordinario la tutela del diritto all'indennizzo da tale legittima attivit� provocato 
(2). 

La riferibilit� della norma contenuta nell'art. 46 della legge 25 giugno 
1865, n. 2359, ai danni derivati dall'esecuzione di qualsiasi opera pubblica, 
pur se non collegata ad una espropriazione per pubblica utilit�, � 
principio ormai comunemente condiviso (3). 

Spetta pure all'autorit� amministrativa, escluso qualsiasi intervento dell'autorit� 
giudiziaria, riconoscere, anche in caso di contestazione, se i lavori 
rispondano allo scopo cui debbono servire e alle buone regole d'arte. 

Tuttavolta che vi sia inoltre ragione a risarcimento di danni, la relativa 
azione sar� promossa dinanzi ai giudici ordinari, i quali non potranno discutere 
le questioni gi� risolute in via amministrativa. 

Le disposizioni del presente articolo si applicano anche a tutte le opere 
di carattere pubblico che si eseguiscono entro l'alveo o contro le sponde di un 
corso d'acqua�. 

Avverso i provvedimenti definitivi adottati dall'Autorit� amministrativa in 
materia di regime delle acque pubbliche ai sensi dell'art. 2 del testo unico delle 
leggi sulle opere idrauliche, approvato con r.d. 25 luglio 1904, n. 523, �, :poi, 
ammesso, a norma de11'art. 143, lett. b) deI t.u. ,suHe acque e ig1i impianti elettrici, 
approvato con r.d. H dicembre ,}933, n. '1775, iricorso, anche iper i1 merito, 
al Tribunale Sua>eriore de1le Acque Pubbiiche, qua1e Giudice Amministrativo, 
in cognizione diretta, deg1i interessi fogittimi. 

Non aippare, perci�, esatta Ji'affermazione fatta, nella sentenza che si annota, 
secondo cui l'art. 2 del testo unico del 1904 considera l'attivit� svolta dall'amministrazione 
in materia di opere reputate dannose per il buon regime delle 
acque pubbliche prevalentemente se non esclusivamente con riguardo all'ipotesi 
che essa formi oggetto di contestazione. 

La portata deI detto art. 2 � di ben pi� vasto e importante rilievo. Con 
esso si attribuisce a11a PubbHca .Amministrazione e precisamente aLl'Amministrazione 
dei Lavori Pubblici il potere di statuire e provvedere, anche in caso 
di contestazione, sulle opere di qualunque natura che possono avere relazione 
col buon regime delle acque pubbliche. 

Tale attribuzione di poteri � del tutto normate e si inquadra nei prindpi 
che regolano la ripartizione deHe competenze fra i poteri deLlo Stato, per cui 
'la comipetenza in materia di tutela del buon regime deLle acque pubblriche 
non pu� che essere attribuita a1 potere esecutivo. 

Naturale conseguenza de1 potere attribuito a11a Pubbhlca Amministrazione 
sono Le ulteriori di1sposizioni contenute nell'art. 2 in discussione, secondo Le 
quali: Tutte le contestazioni relative saranno regolate dall'autorit� amministrativa, 
salvo il disposto dell'art. 25, n. 7, della legge 2 giugno 1889, n. 6166. 

Spetta pure all'autorit� amministrativa, escluso qualsiasi intervento dell'autorit� 
giudiziaria, riconoscere, anche in caso di contestazione, se i lavori 
rispondono allo scopo cui debbono servire e alle buone regole d'arte. 

Di fronte a1 potere attribuito alla Pubblka Amministrazione daLl'art. 2, alle 
:posizioni subiettive dei :proprietari finitimi, i quali subiscano, eventuaLmente, 
danni daLla costruzione, conservazione, modificazione e distruzione di opere 
idrauliche, ivi comprese le arginature di corsi di acqua, non rp.u� essere riconosciuta 
che Ia tutela riservata agli interessi legittimi, come � dimostrato dal 



202 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Per quanto concerne la m�teria delle acque pubbliche, il problema 
� legislativamente risolto, perch� l'art. 140 del t.u. approvato con r.d. 
11-dicembre 1933, n. 1755, alla lettera d) attribuisce alla competenza dei 
tribunali delle acque le controversie riguardanti � le indennit� previste 
dall'art. 46 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, in conseguenza dell'esecuzione 
o manutenzione di opere idrauliche, di bonifica e derivazione o 
utilizzazione delle acque� (4). 

<(omissis) Con il pdmo motivo del ricorso .principale il Ministero 
dei lavori pubblici -deducendo violazione dell'art. 2 del testo unico 

richiamo che, nel testo ongmario dell'art. 2, � fatto al!la competenza, anche 
per i1 merito, de1 Consig1io di Stato, stabilita, in materia di opere idrauiiche, 
daH'art. 25, n. 7, del t.u. 2 giugno 1889, n. 6166, e dalla competenza, successivamente 
attribuita a1 Tribunale Superiore in cognizione diretta, nella detta 
materia, con l'art. '143, lett. b, del t.u. aipprovato con r.d. il1 dicembre 1933, 

n. 1775. 
� da ritenere che tale tuteJ.a venga assicurata sotto un dup,1ice profilo: 
in primo luogo, in considerazione che, non sussistendo in detti proprietari un 
diritto aJ.la conservazione, modificazione o d1struzione di opere idrauliche, gli 
interessi dei proprietari indicati vengono occasionalmente protetti in relazione 
alla tutela del pubb1ico interesse che l'attivit� de1la Pubblica Amministrazione 
persegue; in secondo luogo, in considerazione che, venendo i provvedimenti al 
riguardo adottati da11a Pubblica Amministrazione ad incidere su1 diritto di 
propriet� dei confinanti, tale diritto si affievo11sce e ad esso non pu� che essere 
riconosciuta la tutela che il nostro ordinamento riconosce ai diritti affievoliti. 

La Cor.te di Cassazione ha costantemente affermato, cos� interpretando 
l'art. 2 del t.u. sulle opere idrauliche: che la disposizione fondamentale dettata 
dall'art. 2 del r.d. 25 luglio 1904, n. 523, attribuisce, anche attraverso le modificazioni 
apportate dalle leggi successive (l. 13 luglio 1911, n. 774; art. 140 e 143 

t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775), alla P.A. il potere esclusivo di stabilire e di 
provvedere in materia di �pere di qualsiasi natura (compiute da privati e, 
secondo una contrastata interpretazione estensiva, anche dalla stessa P.A. e 
dai suoi concessionari) che possono avere relazione col buon regime delle 
acque pubbliche e con gli interessi connessi a tali acque (primo comma articolo 
citato) e di ordinare la modificazione, cessazione, distruzione di atti e fatti 
dannosi al regime delle acque pubbliche (secondo comma dello stesso articolo), 
con la conseguenza che per affermare la giurisdizione del Giudice ordinario, 
non � sufficiente che il privato sostenga di essere stato leso dall'atto 
amministrativo in un suo diritto soggettivo,. ma occorre che esista una normativa, 
la quale attribuisca alla posizione soggettiva una tutela diretta ed immediata, 
con esclusione di ogni potere discrezionale della P.A. di incidere su tale 
posizione; soltanto in tal caso la posizione del privato � configurabile come 
un diritto soggettivo perfetto, laddove, di fronte al potere discrezionale della 
P.A. la posizione del privato non pu� essere che di interesse legittimo (Cass. 
Sez. Un. Civ. 30 maggio �1417, in questa Rassegna, 1966, I, il379; Sez. Un. Civ. 
1� marzo 1949, n. 384; 25 giugno 195Q, n. 11877; 14 maggio 1955, n. 1402; 111 novembre 
1959, n. 33411). 
Con una successiva sentenza, di data di poco posteriore a queHa del!l.a 
sentenza n. 1417 del 1966, La Corte di Cassazione (1Sez. Un. Civ. 25 luglio 1966, 

n. 2039, in questa Rass. 1966, I, 1381), pur modificando i.I pro:p.rio orientamento 
giurisprudenziale (cfr. osservazioni da noi fatte in nota a1le sentenze 

PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 203 

sulle opere idrauliche approvato .con r.d. 25 luglio 1904, n. 523, e conseguente 
difetto di giurisdizione, in riferimento all'art. 360, n. 1 e 3. c.p.c. afferma 
che il Tribunale superiore ha erroneamente escluso l'applicabilit� 
alle fattispecie del citato art. 2, ai sensi del quale le contestazioni 
sull'esercizio, da parte della Pubblica Amministrazione, dei poteri d� 
buon governo delle acque sono sottratte alla cognizione del giudice 
ordinario. 

La doglianza � infondata. 
L'art. 2 del testo untico del 1904 -premesso che spetta �esclusivamente 
all'autorit� amministrativa statuire e provvedere, anche in caso 

richiamate in questa Rass., 1966, I, 1380), osservava: Deve essere precisato, 
quindi, che il provvedimento previsto dal secondo comma dell'art. 2 del t.u. 
sulle opere idrauliche � richiesto, e si pone, come condizione per l'esercizio 
delle pretese relative in sede giurisdiziona{e ogni volta che venga in discussione 
la sussistenza, o meno, di un affievolimento della posizione soggettiva 
vantata dalla controparte, ma non sia richiesto, ed anzi sia inammissibile, 
quando la pretesa riguardi posizioni non suscettibili di affievolimento, quale 
�, in primo luogo, la pretesa di risarcimento di danni per inosservanza 
dell'obbligo generale di diligenza, ossia per attivit� dannose imputabili a 
colpa della Amministrazione pubblica. 

Le disposizioni dell'art. 2 del t.u. sulle opere idrauliche, ed in particolare 
la disposizione del secondo comma, non costituiscono, dunque, un unicum 
nel sistema del diritto amministrativo italiano, come l'Amministrazione ricorrente 
mostra di ritenere, ma contengono null'altro che una riaffermazione, 
con riferimento alla specifica materia del regime delle acque, del principio 
generale della insindacabilit� dell'attivit� amministrativa, nel merito, da parte 
del Giudice ordinario, unita alla attribuzione del valore di condizione di 
proponbilit� dell'azione in sede giurisdizionale ad un provvedimento relativr 
a contestazioni che devono preliminarmente trovare soluzione in sede amministrativa. 


Da tale ultima sentenza sono state esattamente estratte le seguenti massime: 
Di fronte all'operato della pubblica amministrazione, relativo al regime 
delle acque .pubbliche, il cittadino � portatore di interessi giuridicamente 
rilevanti e non di mero fatto, che si qualificano come interessi legittimi o 
diritti soggettivi, a seconda che attengano alla legittimit� del provvedimento 
(sindacabile, anche nel merito, dal Tribunale Superiore delle AA.PP.) o alla 
violazione di norme elementari di diligenza e prudenza nell'ordinare o eseguire 
opere per il buon regime delle acque (su cui � competente il Tribunale 
Regionale). 

Quando la pubblica amministrazione, costruendo essa stessa le opere 
necessarie (o con ordini a privati), abbia provveduto al buon regime delle 
acque in violazione delle regole di diligenza e correttezza, il privato pu� 
adire il Tribunale Regionale per il risarcimento del danno senza preventivamente 
chiedere all'amministrazione stessa il riconoscimento della dannosit� 
delle opere ex art. 2 del t.u. 25 luglio 1904, n. 523 (Foro It. 1967-1-1004). 

La fattispecie esaminata daHia Corte di Cassazione ne1la sentenza 
che si annota rientrava indubbiamente neHa ipotesi normativa prevista nel 
secondo comma deil t.u. �sui.Le opere idrauliche: 1'Amministrazione dei Lavori 
Pubhlid, preposta al!la tutela de1le acque .pubbliche, avendo riconosciuto 
dannosa al buon regime delle acque 1a arginatura a suo tempo costruita 



204 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

di contestazione, sulle opere di qualunque natura, e in generale sugli 
usi, atti o fatti concernenti il buon regime delle acque pubbliche (comma 
1) -precisa che, quando opere usi fatti o atti siano riconosciuti dalla 
stessa autorit� dannosi a tale buon regime, essa sola � competente ad 
oroinarne la modificazione cessazione o distruzione, salva la tutela giurisdizionale 
dei relativi interessi legittimi (comma 2), e soggiunge che le 
azioni per risarcimento di danni sono devolute ai giudici ordinari che 
non possono discutere le questioni gi� risolte in sede amministrativa 
(comma 4). 

Secondo iJ ricorrente questa norma deve essere interpretata nel senso 
che all'attivit� esercitata dalla pubblica amministrazione per assicurare 

ai lati deHa Fossa di PoleseHa, ne dispose 1a definitiva demoLizione. G1i 
argini, infatti, demoliti nel �1951, non sono stati successivamente ripristinati. 

Di fronte a tale attivit� de1la Pubblica Amministrazione non erano ipotizzabi1i, 
quindi, a norma deU'art. 2 del t.u. su11e opere idrauLiche, secondo 
La consoHdata giurisprudenza della Corte di Cassazione, diritti subiettivi perfetti, 
come tali azionabili dinanzi al Giudice Ordinario, sia pure .specializzato. 

Tali diritti sarebbero stati iipotizzabm nel caso che la attivit� de11a PubbHca 
Amministrazione, inizia1mente legittima, fosse, poi, per colpa, diventata 
ili1ecita ne11a sua attuazione, cos� da vio1are quel genera1e precetto deL neminem 
laedere, a cui anche 1a Pubblica Amministrazione deve conformare i 
propri atti, oppure nel caso che l'attivit� della Pubblica Amministrazione, da 
questa ritenuta legittima, fosse �stata dichiarata illegittima dal Tribunale Supe!
riore de11e AA.PP., cosicch� i diritti dei proprietari confinanti, affievoliti dal 
provvedimento delta Pubblica Amministrazione, avessero tornato a riespandersi, 
costituendo, cos�, 1a giustificazione ed il fondamento di una azione di 
risarcimento dei danni. 

Ma nessuna deMe ipotesi indicate si era, neHa fattiJSpecie, verificata. 

Sulla liceit�, infatti, deHa condotta della Pubblica Amministrazione, anche 
nena sua attuazione, il Tribunale Regioale de1le AA.PP. di Venezia aveva, con 
la sentenza non definitiva del 7 dicembre 1964,15 marzo 1%5, affermato: La 
questione che si tratta di esaminare � ben diversa e consiste nello stabilire 
se, nel caso in esame, � configurabile una responsabilit� della Pubblica Amministrazione 
non per atto illecito -che � fuori discussione -ma per attivit� 
legittima e perci� implicante l'obbligo non certo di risarcire i danni, bens�, 
se del caso, di corrispondere una giusta indennit�. Su tale punto non vi fu 
appeLlo da parte deHa Societ� FrateLli Graziani. 

(2-3) Stabilito che L'art. 2 del t.u. sulle opere idrauliche rego1a soltanto la 
responsabilit� del:l:'Amministrazione dei LL.PP. per attivit� iHegittima o iHecita, 
ne deriva che esattamente, ne11a sentenza 1che si annota, si afferma: Non rientra, 
perci�, nell'ambito della previsione legislativa l'ipotesi in cui -ferma restando 
la legittimit� dell'azione amministrativa e, quindi, al di fuori di ogni 
controversia su di essa -si chieda al Giudice ordinario la tutela del diritto 
all'in~ennizzo da tale legittima attivit� provocato. 

Ma, a tal punto e dopo che 1a Corte di Cassazione aveva espressamente 
riconosciuto che, nel caso di specie la demolizione degli argini della Fossa di 
Polesella era stata certamente decisa dall'Autorit� amministrativa in vista del 
buon regime delle acque, occorreva dimostrare sulla base di qua1i norme e di 
quali principi l'attivit� legittimamente esplicata daWAmministrazione dei Lavo




PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 205 

il buon regime delle acque -ed in particolare per eliminare le opere con 
esso contrastanti -� del tutto estraneo l'istituto della responsabilit� 
per atti legittimi previsto dall'art. 46 della legge fondamentale sulle 
espropriazioni per pubblica utilit� n. 2359 del 25 giugno 1865: ed invero 
fra le due disposizioni correrebbe un rapporto di reciprova esclusione, 
onde l'applicabilit� dell'una implicherebbe necessariamente l'accertamento 
dell'inapplicabilit� dell'altra. 

Questa tesi non tiene conto peraltro della circostanza che l'art. 2 del 
testo unico del 1904 considera l'attivit� svolta dall'amministrazione in 
materia di opere reputate dannose per il buon regime delle acque pub


ri PubbHci, neH'esercizio dei poteri attribuiti dall'art. 2 del t.u. sulle opere 
idrauliche, potesse dar luogo al riconoscimento dell'indennizzo previsto dall'arti� 
colo 46 deMa Legge fondamentale sulle espropriazioni per pubb1ica utilit�. 

Vi �, invece, .sul punto, un iatus, un salto logico, perch� La Corte di Cassazione 
si 1imita ad affermar� apoditticamente orbene la riferibilit� di tale 
norma ai danni derivati dalla esecuzione di qualsiasi opera pubblica, pur se 
non collegata ad una espropriazione per pubblica utilit�, � principio ormai comunemente 
condiviso, senza dare alcuna dimostrazione dell'applicabilit� � del 
principio anche al caso di .specie, vertente sulla estensione della responsabilit� 
deHa p.a. per atti 'Legittimi aMa ipotesi di attivit� Legittimamente esplicata ex 
art. 2 del t.u. su11e opere 1drauiiche 

La Corte di Cass�azione ha del tutto trascurato di considerare quanto noi 
avevamo dedotto e che cio�, di fronte alila attivit� in concreto esplicata, nel 
caso di 'specie, dalla Pubblica Amministrazione, non erano ipotizzabili, a norma 
deWa:rt. 2 de1 t.u. sulle opere idrau1iche e secondo la inte:ripretazione che 1a 
stessa Corte aveva dato a11a norma, diritti subiettivi perfetti, perch� talli diritti 
-come abbiamo in precedenza rilevato -sarebbero stati ipotizzabili nel 
caso che l'attivit� della Pubblica Amministrazione, inizialmente legittima, fos� 
se, poi, per colipa, diventata Hlecita neLla sua attuazione, cos� da violare quel 
generale precetto de1 neminem laedere, a cui anche 1a Pubblica Amministrazione 
deve conformare i .propri atti, oppure ne} caso che l!attivit� del1a Pubblica 
Ammin~strazione, da questa ritenuta legittima, fosse stata dichiarata iHegittima 
dal Tribunale Superiore delle AA.PP., cosicch� i diritti dei proprietari 
confinanti, affievoliti dal provvedimento de11a Pubblica Amministrazione, avessero 
tornato a riespandersi, costituendo cos� 1a giustificazione ed il fondamento 
di una azione di risarcimento danni. 

E, se di contro alfa attivit� della Pubblica Amministrazione non era ipotizzabile 
la susisistenza di diritti, perch� l'Amministrazione aveva adottato legittimamente 
il provved~mento, con il quale i diritti stessi avevano subito un 
affievoLimento, non si comprende come potesse trovare aip,plicazione anche nel 
caso di specie, anche, cio�, di fronte ad una attivit� �Legittimamente esp1icata 
ai sensi de11'art. 2 deb t.u. sullie opere idraulkhe, L'art. 46 della legge 25 giugno 
1865, n. 2359, che testuafu.nente dispone: � dovuta una indennit� ai proprietari 
dei fondi, i quali dall'esecuzione dell'opera di pubblica utilit� vengono a 
soffrire un danno permanente derivante dalla perdita o dalla diminuzione di 
un diritto. 

Se non c'�, .cio�, un diritto da indennizzare, non pu� essere riconosciuto 

un indennizzo. 

La Corte di Cassazione ha affermato, con La richiamata sentenza n. 2039 

de1 25 luglio �1966, che, salrvo che si versi in re illicita, per vioLazione del prin� 

16 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

bliche prevalentemente se non esclusivamente con riguardo all'ipotesi 
che essa formi oggetto di contestazione: ed infatti La norma riserva la 
definizione delle relative controversie alla pubblica autorit�, con provvedimenti 
impugnabili dinanzi la giurisdizione amministrativa, e preclude 
al giudice ordinario -il cui intervento � limitato al solo caso che l'attivit� 
abbia assunto il carattere di illecito, cos� provocando danni risarcibili 
-l'esame di questioni �gi� risolute in via amministrativa�. 

Non rientra perci� nell'ambito della previsione legislativa l'ipotesi 
in cui -ferma restando la legittimit� dell'azione amministrativa, e 
quindi al di fuori di ogni controversia su di essa -si chieda al giudice 

cipio dd neminem laedere, spetta aH'Amministrazione iprerposta a~la tutela del 
buon regime deHe 'acque pubbliche il potere di affievolire i diritti dei proprietari 
docostanti. N� pu� ritenersi, in mancanza di esplicita di.JSposizione di 
legge, che, come nel caso della espropriazione iper pubblica utihlt�, i diritti 
rea1i o di godimento, spettanti ai proprietari si trasformino in diritti di credito, 
in diritti ad una indennit�. 

Per vero, come riferisce A. D. Giannini in un interessante studio sui Poteri 
amministrativi e competenza giudiziaria nel regime delle acque pubbliche (Il Diritto 
dei beni pubblici, �1939, pag. 16), in un primo tempo, infatti, muovendosi 
dal principio ancor oggi dominante, che il privato, il quale abbia risentito un 
danno dall'esecuzione di un'opera pubblica, non pu� chiederne il rifacimento 
con l'ordinaria azione aquiliana, ma ha diritto ad un adeguato indennizzo, in 
applicazione analogica dell'art. 46 della legge sulle espropriazioni per pubblica 
utilit�, qualora dimostri l'esistenza di un nesso di causalit� fra la costruzione 

o la gestione dell'opera e il danno, se ne dedusse, bench� con scarsa coerenza 
logica, che l'azione di danno in dipendenza dell'esecuzione di un'opera idraulica 
dovesse ritenersi indipendente dalla decisione amministrativa circa la legittimit� 
o la dannosit� dell'opera (Cass. P<>ma -Sez. Un. 9 settembre �1886 -in 
Foro lt. 1887, I, IH; 19 settembre 18911, ivi, 1892, 257; 29 dicembre 1897, in Giurispr. 
it. �1898, I, 1 63; 20 lugHo 1901, ivi, 1901, I, :1, 1030; '10 dicembre 1903, 
ivi, 1904, I, .1, 108). 
Ma si tratt� di un timido tentativo, effettuato, come dice H Giannini, con 
scarsa .coerenza logica, cos� come arppare chiaro daHa motivazione, estrema� 
mente succinta, certamente non convincente, adottata (Ed anche nel caso di 
opere idrauliche costruite dallo Stato nell'interesse generale, se non pu� al 
privato competere l'azione di danni nei termini dell'art. 1151 del codice civile, 
secondo la giurisprudenza della Corte Suprema pu� certamente competergli 
per ragioni analoghe a quelle cui sono informate le disposizioni della legge 
sulle espropriazioni per causa di pubblica utilit�, quando per le dette opere il 
privato soffre un danno, cio� un'effettiva diminuzione di patrimonio, nel qual 
caso la piena cognizione dell'azione medesima, secondo la stessa giurisprudenza, 
appartiene all'Autorit� giudiziaria, in Cass. 9 settembre 1886, gi� citata). 

Successivamente, come lo stesso GIANNINI rileva, avendo H MORTARA (Il regime 
delle acque pubbliche e la competenza giudiziaria, in Giur. lt. 11901, I, Il, 
11029) richiamato gli studiosi ad un rpi� ponderato esame delil'ar.t. '124 della 

1

Legge sui 1avori pubblici 20 marzo '1865, n. 2248, il cui testo fu, ipoi, :riportato 
ne!J'art. 2 del t.u. 25 LugLio 1904, n. 523, si fece strada L'.avvrso che detto articolo, 
riferendosi principalmente alile oipere dei privati, ritenute dannose daH'autorit� 
amministrativa, anzich� alle opere deM'Amministrazione, che avessero arrecato 
danno ai cittadini, non potesse essere invocato .per paralizzare l'azione 

I 


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1 

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PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICl 207 

ordinario la tutela del diritto all'indennizzo da tale legittima attivit� 
provocato: � appunto il caso della specie, in quanto -nei confronti della 
demolizione degli argini della Fossa di Polesella, certamente decisa 
dall'autorit� amministrativa in vista del buon regime delle acque -la 

.societ� Graziani non si pone come portatrice di un interesse alla conservazione 
degli argini distrutti, n� lamenta un danno provocato dall'illecita 
esecuzione della demolizione, ma afferma invece il proprio 
diritto alfindennizzo per il nocumento subito a seguito di un atto legittimo 
dell'autorit�. 

n quesito circa l'applicabilit� o meno dell'art. 46 della legge de1l 

1865 deve essere quindi risolto alla stregua di principi pi� generali. 

di questi ultimi diretta al risarcimento deL danno, ma qualche tempo dopo si 

deline� un nuovo orientamento nelwa giurisprudenza de1la Corte Suprema, Ja 

quale in una serie di 1sentenze emanate fra H .1918 e iI 11932, ritornando aH'an


tica opinione, afferm� di nuovo fa massima che l'azione per risarcimento danni 

prodotta da un'opera attinente a} buon regime delle acque pubbliche o all'eser


cizio del'le derivazioni legalmente stabiMte non pu� essere proposta, se non 

dopo li'esame, riservato a11/.autorit� amministrativa, deHe questioni tecniche 

circa la consistenza deWopera, [a sua rispondenza allo scopo a cui deve ser


vire ed ai precetti della tecnica idraulica. 

Fu, cio�, definitivamente abbandonata fa ipotesi di una responsabilit� per 

atti legittimi delila Pubblica Amministrazione, in relazione a�1 principio stabilito 

neLL'art. 46 delila Legge suhle esproprazioni per .pubblica utilrit�, e si ritorn� 

alla corretta interpretazione dell'art. 2 del t.u. �sulle opere idrauliche, secondo 

la quale una responsabi11it� della Pubb!rica Amministrazione � ipotizzabile sol


tanto quando l'attivit� di essa sia stata dichiarata illegittima da1 Tribunale 

Superiore deHe AA.PP. o sia, secondo la pi� recente interpretazione, illecita sin 

dall'inizio. Il che naturalmente esdudeva Jia ipotizzabi1it� di una responsabilit� 

per attivit� legittima. 

La sentenza che si annota ha rilevato che la tesi del~'Amministrazione 

ricorrente non trovava poi conforto nella sentenza delle Sezioni Unite n. 3341 

del 1959, a torto richiamata: questa infatti -lungi dall'affermare che il diritto 

all'indennizzo. ex art. 46 della legge del 1865 competa soltanto nei casi in cui 

non si tratti di attivit� concernente opere dannose per il buon governo delle 

acque, ex art. 2 del testo unico del 1904 -ha invece molto chiaramente pre


cisato che la domanda di indennizzo per i danni causati dalla costruzione di 

un ponte (e cio� di un'opera evidentemente non contraria al buon regime delle 

acque pubbliche, ma anzi ad esso preordinata) deve essere esaminata con rife


rimento non all'art. 2, che presuppone un tale rapporto di contrariet�, ma 

all'art. 46, che detta una disciplina di carattere molto pi� generale. La sentenza 

costituisce quindi un'ulteriore riprova dell'infondatezza dell'assunto dell'Am


ministrazione. 

Ma tale affermazione non trova riscontro nella motivazione deHa sentenza 

citata, in cui la Corte di Cassazione, dopo avere istatuito che, ai fini della 

applicazione deH'art. 2 de1 t.u. ,su[le opere idrauliche, occorre, dunque, che la 

causa della domanda di risarcimento si ricolleghi ad un comportamento del


l'Amministrazione o di privati, il quale incida comunque sul buon regime del


l'acqua pubblica, ha rilevato: Ma la fattispecie in contestazione esula comple


tamente da tale previsione, per rifarsi a quella, sostanzialmente diversa, del


l'art. 46 sopra ricordato, che riconosce dovuta una indennit� ai proprietari dei 



208 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Orbene Ja riferibilit� di tale norma ai danni derivati dall'esecuzione 
d qualsiasi opera pubblica, pur se non collegata ad un'espropriazione 
per pubblica utilit�, � principio ormai comunemente condiviso; e -per 
quanto concerne la materia delle acque pubbliche -� problema legislativamente 
risolto, poich� l'art. 140 del testo <Ulllico approvato 1con r.d. 
11 dicembre 1939, n. 1775, alfa lettera d), attribuisce alla competenza dei 
tribunali delle acque le controverisie riguardanti � le indennit� previste 
dall'art. 46 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, in conseguenza dell'esecuzione 
o manutenzione di opere idrauliche, di bonifica e derivazione o 
utilizzazione delle acque�. 

fondi, i quali nell'esecuzione dell'opera di pubblica utilit� vengano gravati di 
servit� o vengano a soffrire un danno permanente derivante dalla perdita o 
dalla menomazione di un diritto. 

La C-Orte Suprema ha, cio�, chiaramente riconosciuto che Ie due fattispecie 
sono diverse l'una dall'altra e presuppongono una .situazione di fatto diversa 
l'una daH'altra. Dal che deriva che non pu� certo ritene11si che, presupposta 
1a stessa situazione di fatto, possa trovare alternativamente aipplicazione 
!"art. 2 del t.u. sulJ,e opere idrauliche e l'art. 46 deLl!a legge sulle espropriazioni. 


(4) La Corte di Cassazione afferma, infine, nella sentenza che si annota, che 
La riferibi!lit� dd1'art. 46 de!La Legge sulle espropriazioni ai danni derivati dalla 
esecuzione di qualsiasi opera �pubb1ica per quanto concerne la materia delle 
acque pubbliche -� problema legislativamente risolto, poich� l'art. 140 del t.u. 
approvato con r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, alla lettera d), attribuisce alla 
competenza dei tribunali delle acque le controversie riguardanti le indennit� 
previste dall'art. 46 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, in conseguenza dell'esecuzione 
o manutenzione di opere idrauliche, di bonifica e derivazione o utilizzazione 
delle acque. 
Ma le disposizioni contenute nell'art. 1140 de1 t.u. su1le acque e g1i impianti 
elettrici si attengono al processo, stabiliscono la competenza, in primo grado, 
dei Tribunali Regionali delle acque pubb1iche, alla cui cognizione vengono attribuite 
nQfl soltanto Le controversie, di cui ahla lettera d), relative alle indennit� 
1previste da11'art. 46 deHa Legge sulle espropriazioni, ma anche 1e controversie, 
di cui aHa lettera e), relative al risaI'Cimento dei danni derivati daMe opere 
eseguite e dai 1Provvedimenti adottati dalla Pubblica Amministrazione a termini 
dell'art. 2 de1 testo unico su1le opere idrauliche. 

Una norma attdbutiva di competenza non pu� ritene11si che risoliva problemi 
di merito. Eppertanto, fa citata norma di cui aLla Lettera d) deH'art. 140, 
ne1 punto in cui stabnisce La competenza anche per le indennit� previste dall'art. 
46 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, in conseguenza dell'esecuzione o 
manutenzione di opere idrauliche, non rpu� essere intesa nel senso che, in 
tutti i casi in cui vi sia stata esecuzione o manutenzione di opere idrauliche, 
sia 1potizzabile, ne1 merito, la responsabilit� �per attivit� legittima deHa Pubblica 
Amministrazione posta, in via di p.rinciJpio, daU'art. 46 deMa legge suLJie 
espropriazioni, ma deve essere interpretato nel senso� che, quando tale responsabilit� 
sia ipotizzabile, la competenza a giudicarne spetta al Giudice specializzato 
in materia di acque pubbliche. 

Da1 che deriva che il discorso torna a quanto abbiamo detto in precedenza 
�e che, cio�, occorre distinguere Jie due fattispecie, \l)er stabilire se si 

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-



PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 209 

La tesi delJa ricorrente non trova poi conforto nella sentenza delle 
sezioni unite n. 3341 del 1959, a torto richiamata: questa infatti -lungi 
dall'affermare che il diritto all'indennizzo ex art. 46 della legge del 1865 
competa �soltanto nei casi in cui non si tratti di attivit� concernente 
opere dannose per il buon governo delle acque, ex art. 2 del testo unico 
del 1904 -ha invece molto chiaramente precisato che la domanda di 
indennizzo per i danni causati dalla costruzione di un ponte (e cio� di 
un'opera evidentemente non contraria al buon regime delle acque pubbliche, 
ma anzi ad esso preo:rdinata) deve essere esaminata con riferimento 
non all'art. 2, che presuppone un tale rapporto di contrariet�, ma 
a1l'art. 46, che detta una disciplina di carattere molto pi� generale. La 
sentenza costituisce quindi un'ulteriore riprova dell'infondatezza dell'assunto 
dell'Amministrazione. 

verta o meno in tema di attivit� esplicata ex art. 2 del t.u. suHe opere idraulkhe, 
perch�, solo nel caso che non si verta in tale tema, 1pu� essere i!Potizza]
Jile 'l'applicazione del principio posto neWart. 46 de1la ~egge su1le espropriazioni. 


GIOVANNI ALBISrNNI 

I 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 28 gennaio 1980, n. 658 -Pres. Granata -
Rel. Sgroi -P. M. Pedace (conf.) -Fall. Soc. di Costruzioni Bruno 
Chiesa e C. S.p.A. (avv. Vitali) c. Amministrazione della difesa 
(avv. Stato Conti). 

Appalto -Appalto di opere pubbliche -Opere statali -Capitolati generali Natura 
-Regolamenti di organizzazione. 

(r.d. 23 maggio 1924, n. 827, art. 99). 
Arbitrato -Arbitrato obbligatorio -Clausola contrattuale modificatrice 
della composizione del collegio -Modificazione in arbitrato volonta, 
rio Esclusione. 

Leggi e regolamenti -Regolamento -Contrasto con norme costituzionali Disapplicazione 
-Ammissibilit�. 

(l. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, art. 5). 
Arbitrato -Condizioni generali per l'appalto dei lavori del Genio Militare 
-Arbitrato obbligatorio -Norma che lo prevede -Illegittimit� Disapplicazione. 


(r.d. 17 marzo 1932, n. 366 mod. da r.d. 24 maggio 1937, n. 1062, art. 51; Cost., 
artt. 24 comma primo e 102 comma primo). 
Competenza e giurisdizione -Controversie obbligatoriamente def~rite alla 
competenza di arbitri -Domanda proposta al giudice ordinario -Competenza 
arbitrale -Esclusione. 

I capitolati generali predisposti per la disciplina dei contratti di 
appalto per le opere statali hanno natura normativa di regolamenti di 
organizzazione e la efficacia delle loro clausole in rapporto al singolo 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

210 

contratto deriva non dalla volont� negoziale delle parti, ma dalla imperativit� 
propria della norma di diritto obiettivo di cui � imposta 'la 
inserzione in ogni contratto nel quale sia parte lo Stato (1): 

La clausola del contratto di appalto, che introducendo una deroga 
alle norme delle condizioni generali per l'appalto del Genio militare regoli 
in modo diverso da queste la composizione del collegio arbitrale, non trasforma 
in volontario l'arbitrato previsto da quelle condizioni come obbligatorio 
(2). 

La norma regolamentare pu� essere disapplicata dal giudice ordinario 
non solo per contrasto con norme aventi forza di legge ordinaria, 
ma anche per contrasto con norme della Costituzione (3). 

(1-6) L'affermazione deHa natura di .rego1ameno di organizzazione de1 capitolato 
generale per gli appalti delle opere di competenza del ministero 
dei lavori pubblici ed in genere dei capitolati generali predisposti da 
amministrazioni .statali costituisce conso~Edato indirizzo deUa .giurisprudema 
della Corte di Cassazione: tra le decisioni pi� recenti, cfr., Cass., 8 ottobre 
.1979, n. 5194, in Cons. Stato .1980, Il, 86; Cass., 23 febbraio 1979, n .�1212, ip. 
Giust. civ. Mass., 1979, 535; Cass. 29 novembre 1976, n. 4492, in Giust. civ. Mass., 
1976, 1858; Cas.s., 26 marzo 1975, n. 1148, in Foro it., 1976, I, 2907 e Giust. civ., 
1975, I, 1131 con osserv. di DE FINA, Capitolato generale di appalto delle opere 
pubbliche: impugnabilit� del lodo e onere della riserva. 

La natura di norme rego1ament�ri �propria deJ.le dausole dei capitolati, 
oltre a rilevare sotto il profilo deHa deducibilit� de11a loro violazione come 
motivo deH'impugnazione di nuHit� del lodo (art. 829, comma secondo, e.e.) e 
di ricorso per cassazione, ha consentito di impostare nei termini de1la successione 
di norme il problema degli effetti della sopravvenienza dehla nuova 
disciplina processuale recata dagli artt. 43 e ss. del d.P.R. 16 luglio 1962, 

n. 1063. Cfr.: . 
-in tema di ammissibilit� dell'impugnazione per errores in iudicando: 
Cass., 20 marzo .1975, n. H48, cit.; Cass., 30 apri1e 1969, n . .1401, in Giust. civ. 
Mass., 11969, 717; Cass. 6 aprile 1966 n. 909, in questa Rassegna, 1966 I, 843; Cass., 
9 aprile 11965, n. 623, in Giust. civ., 1965, I, 1628; 

-ir.i tema di esclusione della competenza arbitrale (art. 47 cap. gen.): 

Cass., 7 febbraio 11974, n. 334, in questa Rassegna, .1975, I, 238; Cass., 6 aprite 

1973, n. 958, in Giust. civ., 1973, I, 1320; Cass., 9 giugno 1972, n. 1813, in Foro it., 

1

1973, I, 137; Cass., 118 settembre 1970, n. 11559, in Giust. civ., 1971, I, 125; 

Cass., 28 marzo ,1969, n..1005 e l3 febbraio 1969, n. 494, in Giust. civ., 1969, I, 

1004 e 2123; Cass., 17 ottobre 1966, n. 2483, in Giur. sic., 1967, 787; Cass., 18 mar


zo 1965, n. 461, in Giust. civ. 1965, I, 11629; Cass., 23 lug1io �1964, n. 11989, in Giust. 

civ., 1965, I, 811; 

-in tema di composizione del collegio arbitrale (art. 45 caip. gen.); Lodo 

arb., 5 novembre 11974, n. 67 (Roma), in questa Rassegna, 1975, I, 238; App. 

Roma, 29 marzo 1969, n. 712, in questa Rassegna, 1971, I, 487; Cass., .IO gennaio 

1963, n. 30, in Giust. civ., 1963, I, 272. 

L'anzidetta natura di regolamento, oltre che per i Capitolati generali d'ap


palto per le opere di competenza del ministero dei lavori pubblici di cui al 

d.m. 28 maggio 1895 ed al d.P.R. 116 luglio .1962, n. 1063, e per le Condizioni generali 
per l'appalto del Genio militare di cui al r.d. 17 marzo 1932, n. 366, � stata 
affermata per le Condizioni generali per gli acquisti di vestiario ed altro da parte 
dell'Amministrazione della difesa-esercito approvato con d.m. 20 giugno 1930, :il.. 35 

PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 211 

L'art. 51 del r.d. 17 marzo 1932 n. 366 che approva le condizioni �generali 
per l'appalto del Genio militare, in quanto istituisce un arbitrato obbligatorio 
o necessario, va disapplicato perch� in contrasto con il combinato 
disposto degli artt. 24 comma 1 e 102 comma 1 c.p.c. (4). 

Appartiene alla competenza del giudice ordinario e non a quella 
degli arbitri conoscere di una controversia relativa a contratto di cottimo 
fiduciario regolato dalle condizioni generali per l'appalto del Genio militare, 
controversia per cui sia stata dall'appaltatore proposta domanda 
allo stesso giudice ordinario (5). 

II 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 24 novembre 1978, n. 5522 -Pres. Rossi -
Rel. Cantillo -P. M. Del Grosso (conf.) -Assessorato per i lavori pubblici 
della Regione Sidliana (avv. Stato Albisinni) c. Impresa di costruzioni 
� F.lli Merenda e Rizzo� (avv. Ricci). 

Appalto � Appalto di opere pubbliche � Oper,e nella Regione Sicilia � Contratti 
anteriori alla L. reg. 26 maggio 1973, n. 21 . Capitolato generale 
dello Stato � Obbligatoriet� . Esclusione � Richiamo . Rilevanza pat� 
tizia. 

(I. reg. Sicilia, 26 maggio 1973, n. 21, art. 9; d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063). 
(Cass., 23 febbraio 1979, n. 1212, in Giust. civ. 1979, 535; Cass., 19 novembre 1971, 

n. 3331, in questa Rassegna, 1971, I, ,1518; Cass., 23 luglio 1%9, n. 2766, in questa 
Rassegna, 1969, I, 762; Cass. 12 giugno 1963, n. 1568, in Giust. civ. Mass., 1963, 
740) e per il Capitolato generale d'appalto del servizio di casermaggio dei carabinieri 
approyato con d.m. 22 novembre 1956 (Cass., 7 settembre 1970, n. 1276, in 
questa Rassegna, 1970, I, 970), mentre � stata negata per il Capitolato per l'esecuzione 
di lavori e forniture per conto dell'amministrazione delle Ferrovie dello 
Stato approvato dal consiglio di amministrazione delle stesse Ferrovie nelle sedute 
del 3 maggio e 14 luglio 1922 e ci� in ragione della provenienza da organo 
non abilitato aHa posizione di norme regolamentari (Cass., ,14 gennaio 1977, 
n. 174, in Giust. civ., 1977, I, 1016). 
Altrettanto consolidata � poi l'affermazione che, richiamate in un contratto 
d'appalto stipulato con ente pubblico diverso dallo Stato, in mancanza di norme 
di legge che le rendano obbligatorie anche per questi enti, le nonne dei capitolati 
generali acquistano il rilievo di dausole contrattuali. Princiipio che � alla 
base delLa rego1a per cui il sindacato suH'interpretazione data dal giudice di 
merito alle disposizioni del capitolato non � operabile in cassazione se non 
per violazione delle norme sull'interpretazione o per difetto o contraddittoriet� 
di motivazione nei limiti in cui un tale motivo pu� essere ritenuto ammissibile 
alla stregua dell'art. 829 n. 4 cod. proc. civ. (tra le pi� recenti decisioni in tal 
senso, cfr. Cass., 22 novembre 1978, n. 5440, in Giust. civ. Mass., 1978, 2272; Cass. 22 
giugno 1976, n. 2395, in Giust. civ., 1976, I, 1414. 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

Appalto -Appalto di opere pubbliche -Opere nella Regione Sicilia -Contratti 
anteriori alla L. reg. 26 maggio 1973, n. 21 -Giudizio arbitrale in 
corso -Impugnazione di nullit� del lodo -Art. 51 del capitolato generale 
del 1962 -Applicabilit�. 

(I. reg. Sicilia, 26 maggio 1973, n. 21, art. 9; d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 51). 
Appalto -Appalto di opere pubbliche -Opere nella Regi01i,e Sicilia -Contratti 
anteriori alla L. reg. 26 maggio 1973, n. 21 -Lodo arbitrale -
Errores in iudicando -Clausola di riferimento all'art. 49 del capitolato 
generale del 1895 -Valore -Rinunzia -Compatibilit� con l'art. 51 
del Capitolato generale del 1962 -Sussiste. 

(I. reg. Sicilia, 26 maggio 1973, n. 21, art. 9; d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 51; 
d.m. 28 maggio 1895, art. 49; cod. proc. civ., art. 829). 
Prima dell'entrata in vigore della legge della Regione siciliana 26 maggio 
1973 n. 21, che al.l'art. 9 ha reso obbligatoria per tutte le opere di competenza 
dell'amministrazione regionale l'applicazione del capitolato generale 
dello Stato, le clausole di questo non avevano per la Regione valore 
di norme, ma, se richiamate nei contratti ed in forza di tale richiamo, 
assumevano il valore di clausole negoziali (6). 

(3) Principio pacifico, costantemente enunciato dal duplice punto di vista 
che il controllo sulla legittimit� del regoJ.amento in rapporto al parametro 
rappresentato da norme costituzionali spetta non aHa Corte costituzionale ma 
a1 giudice e che questi lo esercita neHe forme proprie del potere che esso ha 
relativamente agli atti dell'amministrazione (disapplicazione o annullamento): sul 
punto, cfr. Cass. 5 febbraio 1975 n. 427 in Giust. civ. 1975, I, 707 con osserv. di 
DE FINA G., Il valore delle riserve di legge introdotte con la Costituzione: i 
termini di un'alternativa; Cass. 5 maggio .1972, n. 1355, in Giust. civ., 1973, I, 840 
e in questa Rassegna, 1972, I, 508; Cons. St., Sez. V, 21 dicembre 1971, n. 1455, in 
Cons. Stato, 1971, I, 2462 e Giust. cast., 197'1, 2736; Cass., ,19 novembre 197il., n. 3331, 
in questa Rassegna, 1971, I, 1518; Cons. St., Sez. VI, 3 marzo .1970, n. 173, in 
Cons. Stato 1970, I, 484. 
Nella giurisprudenza della Corte costituzionale, cfr. Sent. 12 marzo 1975 

n. 56 in Giur. cost., 1975, 704; 20 marzo 1974 n. 78, in Giur. cast., 1974, 306; 
10 luglio 1973 n. 124 in Giur. cosi. 1973, 1323; 12 luglio 1972 n. 13.1, 15 giugno 197:2 
n. 102 e 2 febbraio 1972 n. 12 in Giust. cost., 1972, 1355, 1183 e 45; 17 febbraio 
1971, n. 24 (ord.), in Giur. cost., 1971, n. 143; 6 luglio 1970, n. 118 in Giust. cast. 
1970, 1493; 20 marzo 1970 n. 40 in Giur. cast., �1970, 483; 4 febbraio 1970 n. 13 
in Giur. cast. 1970, 119 e aitre precedenti. 
Per una divergente impostazione dottrinale, cfr. MORTATI, Atti con forza 
di legge e sindacato di costituzionalit�, Mii.ano, Giuffr�, 1964. 

(2-4-5) L'ildegittimit� de1l'art. 51 del R.D. 17 marzo 1932 n. 366 per contrasto 
con gli artt. 24 comma 1 e 102 comma 2 Cost., � stata affermata dalla cassazione, 
per ci� che, mentre la sottoposizione delle controversie ad arbitrato deriva 
da1 capito}ato che per 1a sua natura normativa si impone alle parti, la 
norma non prevede poi che le parti possano esc1udere la competenza arbitrale. 

In un caso in cui la controversia era stata introdotta avanti al giudice 
ordinario, per affermare la competenza di questo � stato sufficiente disappli


t

i: 
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PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 213 

La norma dettata dall'art. 51 d.P.R. 16 luglio 1962 n. 1063, per cui contro 
la pronunzia arbitrale � ammessa impugnazione secondo le disposizioni 
del codice di procedura civile, una volta entrata in vigore la legge 
regionale 26 maggio 1973, n. 21 � divenuta applicabile per le opere della 
Regione siciliana anche con riguardo a contratti anteriori pei quali alla 
data di entrata in vigore della legge la pronunzia arbitrale non fosse: 
stata ancora pubblicata (7). 

care la norma iJ:legittima; � questo il significato �de~la decisione che si � inteso 
evidenziare con 1a formulazione della quinta massima. 
L'introduzione de11a controversia mediante domanda d'arbitrato pone evidentemente 
problemi di tipo diverso. 
La Corte costituzionale, con la sentenza 14 luglio 1977, n. 127, ha dichiarato 
fililegittimit� costituzionale deWart. 25 comma 1 R.D. 29 giugno 1939 

n. tl.127, nella parte in cui non riconosce la facolt� dell'inventore e del datore 
di lavoro di adire l'autorit� giudiziaria ordinaria (oltre che in Giur. cast. 1977, 
1.103 la sentenza � tra l'altro pubblicata in Foro it. 1977, I, ;1848 con ampia ,nota 
di richiami). 
Annotando tale sentenza, l'ANDRIOLI (L'arbitrato obbligatorio e la costituzione, 
in Giur. cast. 1977, 1143) ha ritenuto che la pronunzia vada letta non nel 
senso di una eliminazione della norma suH'arbitrato obbligatorio, ma in quello 
che �La sua presenza non precLude -a.hle parti di adire l'autorit� giudiziaria. 

Sia o meno esatta questa lettura de11a decisione, rispetto aLle norme regolamentari 
contenenti la previsione di arbitrati obbligatori si pone i1 problema 
se Sil di esse possa operarsi anzich� con La tecnica della disapplkazione cor. 
queHa della interpretazione adeguatrice, con I.a conseguenza di considerare I.a 
norma non gi� illegittima, ma non escludente la potest� di ricorso al giudice 
ordinario. 

Baster� qui aver prospettato il problema, evidenziando nel contempo le 
diverse potenzialit� insite neHe tecniche utilizzate dal giudice di costituzionalit� 
ed in quelli utilizzabili a riguardo dei regolamenti dai giudici ordinari 
ed amministrativi. 

Rispetto �ad una norma che predispone un arbitrato, ;prevedendo in ipo 
tesi la facolt� di adire il giudice ordinario (sufficiente in s� ad escludere la 
competenza arbitrale, ove l'attore se ne avvalga), ma non il modo in cui la 
parte convenuta nel giudizio arbitrale possa dal canto suo escludere la competenza 
degli arbitri; si porrebbe il probLema di individuare i1 tempo oltre il 
quale La esclusione di questa competenza non possa pi� utilmente farsi. 

Poich� non verrebbero in questione n� un profilo di eccesso della domanda 
dai limiti del compromesso n� uno di nullit� dello stesso comprO" 
messo, potrebbe ritenersi che, non manifestata prima deH'esaurimento della 
;procedura di composizione del collegio in una forma idonea (che, per il principio 
di "1ibert� delle forme, potrebbe essere mutuata daH'art. 47 D.P.R. 16 luglrio 
1962 n. 1063), 'la volont� di escludere la competenza arbitrate debba esserlo 
neJ. termine assegnato per la prima difesa (analogamente a quanto previsto 
per l'eccezione di compromesso davanti al giudice ordinario). 

(7) La massima costituisce applicazione di una regola costantemente affermata, 
del resto desumibile, a contrario, daJ.l'art. 229 disp. att. trans. al codice 
procedura civile. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

214 

La clausola negoziale di rinuncia all'impugnazione del lodo arbitrale 
per errores in iudicando, contenuta in un contratto d'appalto stipulato 
dalla Regione siciliana prima dell'entrata in vigore della legge regionale 
26 maggio 1973 n. 21, anche se espressa attraverso il richiamo, nel concreto 
regolamento negoziale, dell'art. 49 del capitolato generale del 1895, 
che tale rinunzia prevedeva in via generale, conserva piena validit� pur 
dopo l'entrata in vigore della legge, giacch� la rinunzia preventiva all'impugnazione 
per inosservanza di norme sostanziali � compatibile con l'articolo 
829 del codice di procedura civile, richiamato dall'art. 51 del capitolato 
generale del 1962 (8). 

I 

Motivi della decisione 

(omissis) Il fallimento della Soc. di Costruzioni Bruno Chiesa & C. 
rileva che ove (opinando diversamente dal Tribunale di Milano) si dovesse 
ritenere che l'arbitrato di cui si tratta ha natura di arbitrato obbligatorio, 
dovrebbe affermarsi che l'art. 51 del r.d. 17 marzo 1932 n. 366 in 
quanto sottrae autoritativamente le controversie ivi previste alla cognizione 
dell'A.G.O. � viziato da illegittimit� costituzionale, per contrasto con 
gli artt. 24 e 3 Cost., come gi� ritenuto dalla Corte Cost. con sentenza 
concernente altm ipotesi, ma pur sempre di cid. arbitrato obbligatorio. 

Accolta, invece, la premessa della sentenza (secondo cui la fonte degli 
obblighi assunti dal privato in conformit� del disposto del Capitolato 
Generale � di natura contrattuale e non normativa, pur in contrasto 
della prevalente giurisprudenza) doveva peraltro affermarsi la caducazione 
del patto arbitrale, per sopravvenuto fallimento di una delle parti 
compromittenti, anteriormente all'inizio del giudizio arbitrale. Tale caducazione 
prescinde del tutto dalla possibilit� di applicare o meno 
l'art. 24 legge fall., per cui la ritenuta inapplicabilit� della specie 
dell'art. 24 legge fall. non conduce affatto alle conclusioni fatte proprie 
dal Tribunale di Milano. 

Infine, posta la natura contrattuale della clausola compromissoria, 
ad essa si deve applicare, secondo il ricorrente, l'art. 1341 e.e., con conseguente 
inefficacia della clausola, non approvata per iscritto. 

Il ricorrente chiede quindi che la Corte di Cassazione statuisca la 
competenza del Tribunale di Milano. 

SuL punto, cfr. Cass. 9 aprile 1965 n. 623 in Giust. civ. 11965, I, 1628; Cass. 
28 marzo ,1966 n. 815 in Giust. civ. 1966, I, 1049. 

(8) AHa decisione in rassegna, pubblicata anche in Foro it. 1979, I, 364 
con nota di richiami, ha fatto seguito Cass. 8 novembre 1979 n. 5754 riassuntain Cons. Stato 1980, II, 124. 
P. V. 

PARTE I, SEZ. vn; GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 215 

II ricorso deve essere accolto per il primo motivo, a cui ha prestato 
adesione il Ministero della Difesa. 
La sentenza impugnata si richiama a Cass. sez. un. 21 giugno 1945 

n. 448, la quale ha 1affermato che i capitolati generali per le opere pubbliche 
dello Stato (approvati con decreti ministeriali ovvero con decreti 
del Capo dello Stato) non hanno natura normativa, ma predispongono 
clausole che acquistano efficacia negoziale per l'adesione dell'altro contraente, 
con la �conseguenza che i collegi ,arbitrali costituiti per la risoluzione 
delle controversie relative agli appalti delle opere pubbliche non 
rappresentano giurisdizioni speciali, ma danno luogo solo ad arbitrati 
obbligatori, in quanto alla creazione di giurisdizioni speciali non pu� 
�farsi luogo se non in virt� di legge. II Collegio rileva che la citata 
pronuncia di questa Corte (e quelle successive conformi, tra cui Cass. 
17 giugno 1950 n. 1550, proprio .in tema di capitolato per l'appalto dei 
lavori del genio militare, approvato, con r.d. 17 marzo 1932 n. 366, che 
sarebbe applicabile nella presente causa) avevano �come scopo fondamentale 
quello di qualificare i collegi per le risoluzioni delle controversie 
in materia di appalti de1lo Stato come giurisdizioni speciali ov'vero 
come arbitrati obbligatori, ma che mentre la negazione della natura 
normativa dei capitolati appariva strettamente collegata alla negazione 
della qualifica di giurisdizioni speciali (istituibili solo con leggi), non 
ali:rettanto stretto da un vincolo di conseguenziariet� � il nesso tra il 
carattere pattizio e volontario delle dausole del �capitolato generale richiamate 
nel contratto d'appalto e la qualificazione di �arbitrati� data 
a quelle procedure per la risoluzione delle controversie, posto che anzi 
la natura obbligatoria degli arbitrati stessi appare piuttosto collegata 
alla forza vincolante eteronoma (rispetto alla volont� delle parti) delle 
norme che prevedono gli arbitrati stessi. 

Comunque sia, quell'indirizzo � stato abbandonato agli inizi degli 
anni cinquanta, gi� con sentenza 2 ottobre 1951 n. 2605 e 19 giugno 1952 

n. 808, che riconobbero al capitolato generale per l'appalto delle opere 
pubbliche carattere regolamentare, �con la correlativa imperativit� propria 
delle norme di diritto obiettivo. Da allora, � assolutamente prevalente 
l'insegnamento giurisprudenziale secondo cui si distinguono i contratti 
di appalto per le opere statali, per i quali sono predisposti i capitolati 
generali dello Stato, dai contratti d'appalto interessanti altri enti 
pubblici che sono disciplinati da capitolati speciali o si richiamano alle 
disposizioni dei capitolati statali (e nell'ambito di questa seconda categora 
si d.istingue ancora il caso in cui il richiamo � obbligatorio per 
legge, come per l'art. 294 ultimo �comma del t.u. della legge comunale e 
provinciale approvato con r.d. 3 marzo 1934 n. 383). Nella prima categoria, 
le disposizioni dei capitolati generali non hanno natura contrattuale, 
ma normativa e precisamente di regolamenti di organizzazione. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

216 

Invero, le clausole dei capitolati generali dello Stato derivano la loro 
efficacia non dalla volont� negoziale delle parti, ma dall'imperativit� 
propria della norma di diritto obiettivo per la quale � imposta la inserziooe 
di esse in ogni contratto nel quale sia parte lo Stato (art. 99 del 
regolamento di contabilit� 23 maggio 1924 n. 827), secondo cui � sufficiente 
far menzione nei contratti dei suddetti �capitolati d'oneri, senza 
necessit� di allegarli). Si possono citare, nel 1senso suddetto: Cass. 30 settembre 
1954 n. 3174; Cass. 9 marzo 1955 n. 715; Cass. 18 maggio 1959 

n. 1474; Cass. 9 giugno 1960 n. 1524, Cass. 23 gennaio 1964 n. 160; Cass. 
28 gennaio 1966 n. 324; Cass. 23 luglio 1969 n. 2766; Cass. 27 marzo 1970 
n. 836; Cass. 7 1settembre 1970 n. 1274; Cass. 19 novembre 1971 n. 3331; 
Cass. 9 giugno 1972 n. 1813; Cass. sez. un. 5 novembre 1973 n. 285; Cass. 
7 febbraio 1974 n. 334; Oass. 2 marzo 1975 n. 1148; Cass. 26 agosto 1975 
n. 3018; Cass. 12 luglio 1974 n. 2082. 
Nella specie il contratto di �cottimo fiducario � stipulato fra l'Amministrazione 
della Aeronautica militare e la Soc. di Costruzioni Chiesa 
(a norma degli artt. 50 e 51 del r.d. 17 marzo 1932 n. 365) prevede all'art. 6: 
�nell'esecuzione dei lavori e delle somministrazioni previste nel presente 
atto saranno osservate le condizioni generali per l'appalto del Genio 
militare, approvate coo lr.d. 17 marzo 1932 n. 366 ed il regolamento per i 
lavori del Genio militare approvato con rrl. 17 marzo 1932 n. 365 �. Lo 
stesso articolo introduce deroghe alle condizioni e regolamenti succitati 
le quali, per quanto attiene al giudizio arbitrale, sono contenute nel 
paragrafo 7� e si riferiscono alla composizione del Collegio arbitrale. 
La suddetta previsione pattizia non trasforma, peraltro, in � volontario � 
l'arbitrato perch� la deroga riguarda espressamente l'art. 52 del r.d. 

n. 366 del 1932 (che regola solo la composizione del Collegio arbitrale) 
e non l'art. 51, che istituisce l'arbitrato necessario e richiama l'art. 12 
del c.p-c. del 1865 e l'art. 349 della legge sui lavori pubblici del 1865. Non 
� quindi neppure necessario stabilire se la deroga fosse possibile (in 
senso negativo, Cass. n. 2671 del 1968). 
Stabilito che l'arbitrato si impone alle parti in forza di una normativa 
eteronoma che prescinde del tutto dalla loro volont�, si pone il 
problema della legittimit� costituzionale, che deve essere risolto dal 
giudice ordinario (e non dalla Corte Costituzionale) in quanto la norma 
regolamentare dell'art. 51 del r.d. n. 366 pu� essere disapplicata dal 
giudice ordinario ai sensi dell'art. 5 della legge 20 marzo 1865 n. 2248 
ali. E non solo per contrasto con norme aventi forza di legge ordinaria, 
ma anche per contrasto con norme della Costituzione (cfr. Cass. n. 3331 
del 1971, cit.). 

La Corte cost. 14 luglio 1977 n. 127 ha dichiarato l'illegittimit� costituzionale 
dell'art. 25 del r,d. 29 giugno 1939 n. 1127 -atto con forza di 
legge -che prevedeva un arbitrato necessario, per violazione del cambi




PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 217 

nato disposto degli artt. 24 comma 11 e 102 comma 1 c.p.c., in quanto il 
fondamento di legittimit� costituzionale dell'arbitrato � da rinvenirsi 
nella libera scelta delle parti, perch� solo la scelta dei soggetti (intesa 
come uno dei possibili modi di disporre, anche in senso negativo, del 
diritto di cui all'art. 24 Cost.) pu� derogare al precetto contenuto nell'art. 
102 Cost., di modo che Ja fonte dell'arbitrato non pu� pi� ricercarsi 
in una legge ordinaria o, pi� generalmente, in altri atti autoritativi. 
La suddetta interpretazione dell'influenza delle norme costituzionali 
sulla disciplina dell'arbitrato pu� avere una forza espansiva al di l� dei 
limiti della questione decisa. La stessa Corte Cost., nella sentenza cit., 
ha indicato come esempio di una normativa rispettosa della Costituzione, 
il �capitolato generale dei Lavori pubblid aipprovato con d.P.R. 
16 luglio 1962 n. 103 1che istituisce un arbitrato facoltativo, dato il particolare 
meccanismo, ivi previsto, che consente 1sia all'attore che al convenuto 
di escludere il ricorso �all'arbitrato (ofr. Cass. 12 luglio 1978 n. 3515; 
Cass. 8 agosto 1978 n. 3852). 

Quello istitlllito dall'art. 51 del r.d. rn. 366 del 1932 � invece un arbitrato 
obbligatorio (o necessario) avente fonte autoritativa eteronoma, 
rispetto alla volont� delle parti. Non pu�, invero, farsi risalire l'arbitrato 
alla libem volont� delle parti di stipufare o meno il contratto 
d'appalto, in quanto, una volta stipulato dl contratto, le parti sono sottoposte 
all'obbligo di osservare certe norme che ne disciplinano o il contenuto 
o gli effetti ed il dnvio ad esse ha una funzione puramente ricognitiva. 


Se la �Competenza del Collegio arbitraile � indeclinabile dalle parti, 
questo � obbligatorio in virt� della norma e non in virt� del principio di 
autonomia di cui aU'art. 806 c.p.c. Se la norma � illegittima, essa va 
disapplicata e -non residuando alcuna volont� delle parti avente lo 
stesso contenuto -l'obbligo di ricorrere alla procedura arbitrale non 
esiste pi�. 

Adottando gli stessi principi enunciati da Corte Cost. n. 127 del 
1977, il Collegio ritiene che, per il. �contrasto dell'art. 51 del r,d. n. 366 
del 1932 �COn gli artt. 24 e 102 della Cost., es�so non pu� essere applicato 
e la risoluzione delle controversie tra le parti del contratto ricade, in 
materia di diritti soggettivi, nella cognizione .immediata dell'A.G.O. Le 
suddette �considerazioni assorbono ogni altra, perch� non si pu� neppure 
fare questione della sopravvivenza dell'arbitrato obbiigatorio, previsto 
da norme eteronome, rispetto al fallimento -come ha statuito Cass. 
11 giugno 1969 n. 2064 -una volta che tali norme si debbono disapplicare 
in toto. 

La sentenza impugnata va pertanto annullata, perch� deve dichiararsi 

la competenza del T1ribwnale di Milano. 

Sussistono giusti motivi per 1compensare .le spese del regolamento di 

competenza. '(omissis). 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

II 

(omissis) Con unico mezzo di annullamento, denunziando violazione 
dell'art. 9 della legge della Regione sidliana 26 marzo (ma, rectius, 
maggio) 1973 n. 21, in relazione all'art. 11 delle preleggi, l'Assessorato 
ricorrente censura la decisione ~mpugnata per avere ritenuto inammissibile 
la domanda di annullamento del lodo arbitrale in forza della 
clausola di esolusione di qualsiasi impugnativa contenuta nel contratto 
di appalto. Sostiene che, avendo l'art. 9 cit. reso obbligatorio; per tutte 
le opere di ,competenza dell'Am~nistrazione regionale, il capitolato generale 
di appalto dello Stato, approvato con d.P.R. 16 luglio 1962 n. 1063, 
questo avrebbe assunto efficacia nocmativa e dovrebbe perci� ritenersi 
applicabile anche ai contratti in corso alla data di entrata in vigore 
della legge regionale, almeno quanto alle regole disciplinanti il modus 
procedendi dell'arbitrato. Ai procedimenti arbitrali allora pendenti, quindi, 
sarebbe immediatamente applicabile l'art. 51 del Capitolato, che rinvia 
alle disposizioni del codice processuale civile, con la conseguenza che 
l'impugnativa del <lodo dovrebbe ammettersi per vizi in iudicando ancorch� 
in precedenza fosse convenzionalmente esclusa, come nella specie, 
attraverso il richiamo del capitolato generale del 1895. 

La censura non � fondata, anche se la motivazione della sentenza 
impugnata, per alcuni aspetti non conforme a diritto, deve essere parzialmente 
corretta (art. 384 cod. proc. civile). 

� comune alle parti la premessa -dalla quale muove la Corte di 
appello -che le clausole del Capitolato generale dello Stato, prima 
della legge regionale suddetta, non erano obbligatorie per la Regione 
siciliana, in conformit� al consolLdato principio che il capitolato ha 
valore cogente per le amministrazioni pubbliche diverse dallo Stato, 
comprese le regioni, solo se ci� sia stabilito da una specifica disposizione 
di. legge (cfr., proprio con riguardo alla Regione siciliana, Cass. 
7 settembre 1970 n. 1274; 6 marzo 1969, n. 710). Le norme del capitolato, 
quindi, si applicavano agli appalti stipulati dalla Regione in quanto 
richiamate dalle parti e in forza di tale richiamo, sicch� in questi contratti 
esse avevano il valore di -clausole negoziali, operanti per volont� 
pattizia. 

Corollario della premessa � la conseguenza, pure condivisa dalle 
parti, che nel contratto di appalto in questione, stipulato il 30 settembre 
1953, le regole del Capitolato generale per i lavori pubblici dello 
Stato di cui al D.M. 28 maggio 1895, allora vigente, espressamente richiamato 
per la regolamentazione del rapporto, avevano natura di patto 
contrattuale; e tale era, quindi anche la clausola di inoppugnabilit� del 
lodo, stabilita dall'art. 49 del capitolato, per cui le parti �rinunziavano 
espressamente ad ogni appello o ricorso per cassazione avverso il lodo �. 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

Inoltre, poich� l'art. 32 del codice di procedura civile del 1865 (come 
l'art. 829 di quello attuale) non consentiva l'esclusione pattizia del gravame 
per i vizi in procedendo, essendo l'impugn~zione per nullit� del 
procedimento proponibile nonostante qualsiasi rinunzia, correttamente 
la Corte di appello ha ritenuto che le parti, richiamandosi alla clausola 
suddetta, avevano validamente rinunziato soltanto all'impugnazione del 
lodo per vizi in iudicando. 

Ora, la legge regionale n. 21 del 1973, che ha imposto l'osservanza 
del Capitolato generale dello Stato del 1962 negli appalti stipulati dalla 
Regione, � entrata in vigore prima del deposito, effettuato il 10 ottobre 
1973 presso la Pretura di Roma, del lodo arbitrale che ha definito, 
con la condanna dell'Amministrazione regionale, la controversia insorta 
fra le parti in ordine alla responsabilit� per il grave ritardo nel completamento 
dell'opera appaltata; e, ,ritenendo di immediata applicazione la 
nuova normativa, J'Amministrazione ha impugnato il lodo ai sensi dell'art. 
829 ultimo comma cod.proc.aiv., cio� per violazione di regole di 
diritto, alla quale disposizione fa riferimento l'art. 51 del capitolato in 
vigore, che -a differenza di queHo del 1895 -consente l'impugnazione 
del lodo secondo le regole ordinarie. 

Ci� posto, l'indagine circa l'ammissibilit� dell'impugnativa, negata 
dalla Corte di appello, deve essere evidentemente scandita in due momenti: 
in primo luogo occorre stabilire se la legge regionale del 1973 e, 
quindi, la normativa del capitolato del 1962 -sia applicabile, almeno 
quanto al modus procedendi degli arbitrati, anche ai contratti di appalto 
stipulati dalla Regione siciliana prima dell'entrata in vigore della legge 
medesima ed ancora in corso di questa data; in secondo luogo, in caso 
di risposta positiva al quesito precedente, occorre accertare se l'anzidetta 
clausola di inoppugnabilit� del lodo possa o non possa ritenersi valida 
anche alla stregua de1la normativa di cui al medesimo capitolato. 

La sentenza impugnata si � fermata al primo quesito, al quale ha 
dato risposta negativa, oltre ohe in base alla incontestabile (e non contestata) 
irreuoattivit� della legge 1973, essenzialmente sulla considerazione 
-argomentata con riferimento ad akune decisioni di questa 
Corte Suprema -che il principio di immediata applicabilit� delle 
norme processuali sarebbe valido soltanto in relazione ad un procedimento 
arbitrale disciplinato con capitolato avente efficacia normativa, 
non anche per gli appalti in cui questo 'sia stato recepito per volont� 
delle parti, come nel ,contratto in esame, che aveva regolato convenzionalmente 
la materia in base a pattuizioni all'epoca pienamente ammissibili. 


L'opinione non pu� essere condivisa. 
� esatto che questa Corte Suprema, 'chiamata a risolvere problemi 
di diritto intertemporale suscitati, in materia di arbitrato, dall'entrata 


220 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

in vigore del capitolato del 1962, ha distinto i oontratti di appalto per 
i quali il capitolato � obbligatorio, do� stipulati dallo Stato o da 
altre amministrazioni pubbliche ad esso parificate, da quelli nei quali 
le norme dii capitolato, richiamate da1le parti, hanno efficacia solo in 
funzione della volont� :negoziale espressa dai �contraenti. 

Nella 1prima ipotesi, stante l'efficacia normativa {di regolamento 
di organizzazione) del capitolato, le disposizioni circa il modus procedendi 
dell'arbitrato sono norme processuali di applicazione immediate 
pure rispetto ai rapporti costitudti prima della loro entrata in vigore; 
nella seconda ipotesi, invece, l'intero rapporto � sorto e deve svolgersi 
secondo il capitolato al quale si sono specificamente riferite le parti, 
sicch� le norme inp.ovatrici del nuovo non sono applicabili, anche se si 
tratta di previsioni di carattere processuale ~sent. n. 4492 del 29 novembre 
1976; 111. 3251 del 10 ottobre 1975; n. 3018 del 26 agosto 1975). Ma � 
agevole obiettare ohe quest'ultimo principio si riferisce agli appalti per 
i quali anche il nuovo capitolato, al pari del precedente, non abbia efficacia 
normativa, che continuino, cio�, ad essere affidati all'autonomia 
privata, sioch� la disciplina sopravvenuta pu� ritenersi applical;>ile soltanto 
se le parti abbiano inteso viincolarsi anche a successive modifiche 
del capitolato convenzionalmente accettato al tempo della stipulazione. 

Il principio non pu� essere invocato, invece, nella diversa fattispecie 
in esame, in cui una legge sopravvenuta ha assoggettato al capitolato 
per gli appalti dello Stato una ,oategori.a di contratti. prima regolati dal 
diritto comune. Rispetto ai rapporti pendenti alla data di entrata in 
vigore della legge, infatti, sorgono problemi di diritto intertemporale 
analoghi a quelli dii cui alla prima ipotesi dell'alternativa suddetta, dalla 
quale la fattispecie de qua differisce solo perch�, in luogo di aversi una 
successione ,di norme speciali, alla disciplina ordinaria subentra quella 
speciale del oapitolato. E questi problemi vanno risolti ai sensi dell'art. 11 
delle preleggi, 1secondo i criteri 1che regolano la successione nel tempo 
degli atti normativi, con la conseguenza �che le nuove norme di natura 
processuale sono immediatamente operative, in base al principio della 
immediata efficacia delle stesse quale ius superveniens. 

Pertanto, le disposizioni del Capitolato che concernono la facolt� 
di impugnativa del lodo arbitrale e il suo eserdzio, essendo nol1Ille di 
ordine pubblico processuale, si devono ritenere applicabili ag1i arbitrati 
pendenti al tempo di entrata in vigore della nuova legge, nei quali, cio�, 
a quella data la decisione non siJa stata ancora pubblicata. 

N� ha pregio, sotto questo aspetto, la distin2Jione che la sentenza 
fa tra disposizioni normative e clausole convenzionali disciplinanti il 
regime processuale dell'arbitrato, nel senso che le prime e non le 
seconde sarebbero influenzate dalla legge sopravvenuta. In realt�, l'autonomia 
privata assume mlevanza, nell'ambito del procedimento arbitrale 
(come di quello ordinario), nei limiti tassativamente stabiliti dalla legge ! 

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PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

ordinaria o speciale che lo regola e pertanto le disposizioni innovative 
del modus procedendi dell'arbitrato spiegano immediata efficacia (salva 
una diversa disciplina transitoria) anche sulle clausole pattizie, le quali 
conservano efficacia se e nella misura in cui siano consentite daHa 
nuova legge. 

In conformit� a quanto sostenuto dall'Amministrazione, quindi, nella 
concreta vicenda ,si deve ri.conoscere che l'impugnativa del lodo, pubblicato 
dopo l'entrata in vigore della legge del 1973, � regolata dall'art. 51 
del Capitolato generale del 1962. 

Nondimeno la clausola di inoppu~nabilit� del lodo risulta valida 
anche alla stregua di detta disposizione, la quale, al terzo comma, stabilisce 
che � contro la pronuncia arbitrale � ammessa impugnazione secondo 
le disposizioni del codice di procedura civile �. 

In �tal modo � stata innovata Ja disciplina del capitolato del 1895, 
giacch�, in forza dell'art. 829 cod. proc. civ., cos� richiamato, l'impugnativa 
del lodo � ammessa per i vizi in procedendo e per quelli in iudicando, 
in linea con il generale orientamento del testo del 1962 a rendere pienamente 
conforme a quello ordinario il procedimento arbitrale in materia 
di lavori pubblici. 

Ma lo stesso art. 829, mentre esclude che si possa rinunziare all'impugnazione 
per errores in procedendo, sicch� ogni patto contrario � nullo, 
in ordine all'impugnazi0111e per errores in iudicando riconosce potere 
dispositivo aHe parti, le quali possono validamente rinunziare in via 
preventiva al rimedio, ci� convenendo espressamente nel patto compromissori.
o ~dichiarando inappellabile, insindacabile o inoppugnabile il 
lodo) ovvero autorizzando gli arbitri a decidere secondo equit�, con la 
conseguenza ohe nell'uno o nell'altro caso l'impugnazione suddetta non 
pu� essere proposta e, se proposta, va dichiarata inammissibile. 

Pertanto, in virt� del richiamo che l'art. 51 del capitolato del 1962 
fa a questa disdplim.a, anche negli arbitrati per appalti ;pubblici � 
consentito �lle parti di rinunziare preventivamente all'impugnativa, per 
inosservanza o violazione �di norme sostanziali. E a maggior ragione, 
quindi, conservano piena validit� le clausole negoziali di rinunzia alla 
medesima impugnazi0111e �stipulate in precedenza, anche se espresse attraverso 
il richiamo, nel concreto regolamento negoziale, dell'art. 49 del 
capitolato generale del 1895, che tale rinunzia prevedeva in via generale. 

Nella specie, quindi, la clausola dd non impugnabilit� del lodo per 
vizi in iudicando � rimasta operante dopo la legge del 1973, in quanto 
conforme alla nuova disciplina, e perci� Ja pronunzia di inammissibilit� 
della domanda di annullamento del lodo, 1con la motivazione qui esposta, 
deve essere tenuta ferma. 

Il ricorso va pertanto rigettato; tuttavia, in considerazione delle 
questioni trattate, appare equo ritenere interamente compensate le spese 
di questo grado del giudizio . .(omissis). 


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SEZIONE OTTAVA 

GIURISPRUDENZA PENALE 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. II, 30 gennaio 1979, n. 157 -Pres. De Pascalis 
-Rel. Manca B1tti -P. M. Moscarini (conf.). R:ic. Savio ed altri 
(avv. Stato Fiumara). 

Procedimento penale -Atti istruttori -Atti preliminari all'istruzione (preistruzione) 
-In genere -Nozione di atto istruttorio -Obbligo della 
comunicazione giudiziaria all'indiziato limitata ai soli atti istruttori in 
senso stretto. 
(artt. 78, comma 2�, 231, 232, 304, 390 cod. proc. pen.). 

Corte Costituzionale -Sindacato di legittimit� costituzionale -Codice di 
procedura penale -Giudizio incidentale -Questione di legittimit� Costituzionale 
-Art. 359 -Manifesta infondatezza -In genere -Violazione 
dell'art. 24 della Costituzione nel caso di .proscioglimento�del falso 
testimone per ritrattazione -Esclusione. 
(art. 24 Cost.). 

(art. 359 cod. proc. pen.). 

Reato -Falsit� in atti -Falsit� ideologica -In certificati -Commessa da 
pubblico ufficiale � Differenza. 
(artt. 479, 480 cod. pen.). 

Reato -Falsit� in atti -Atto pubblico o privato: Nozione � Libro giornale 
delle girate -E' atto privato. 
(artt. 476, 477, 478, 479, 480 cod. pen.). 

(artt. 28, 29 r.d. 29 marzo 1942, n. 239). 

Reato -Truffa -Circostanze aggravanti -Truffa in danno d�llo Stato o 
altro ente pubblico -Frode fiscale -Fattispecie. 
(art. 640 cod. pen.). 

Ai fini dell'insorgenza dell'obbligo della comunicazione giudiziaria 
all'indiziato, non � sufficiente un qualsiasi atto dell'ufficio, ma � necessario 
un atto istruttorio in senso stretto, compiuto dal giudice o dal 

P.M. e diretto specificamente alla acquisizione delle prove dell'illecito 
penale (1). 
(1) La massima � coerente con la costante affermazione giurisprudenziale 
in materia, che giustamente rifugge, come gi� segnalato in questa Rassegna 
(v. .1974, J, 11502; .1975, I, rp. 7185), da un forma1ismo fine a se stesso neL quale 
non rpotrebbe ravvisarsi alcuna valida ragione di estensione deHa norma: questa 
tanto si estende, quanto � necessario aLl'esercizio dd diritto deHa difesa. 

PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 223 

La questione di legittimit� costituzionale dell'art. 359 cod. proc. pen. 
(testimoni renitenti, falsi o reticenti), per preteso contrasto con l'art. 24 
della Costituzione (diritto di difesa) � manifestamente infondata, poich� 
il testimone, se ritratta il falso e manifesta il vero, conserva la sua 
qualit� di testimone (e la testimonianza pu� essere utilizzata nel processo), 
mentre se non ritratta il falso e manifesta il vero � arrestato e 
nel relativo giudizio ha diritto all'assistenza del difensore come tutti gli 
imputati. 

La ritrattazione ha la duplice funzione, infatti, di deposizione testimoniale 
e di causa estintiva del reato, mentre la pronuncia di non doversi 
procedere del giudice, perch� l'imputato non � punibile, non presuppone 
la nomina di un difensore (2). 

L'autenticazione di firma risultata apocrifa o di data non vera, in 
cui il notaio attesti falsamente che firma e data sono vere e apposte ira 
sua presenza, da persone da lui previamente identificate, integra il reato 
di falsit� in atto pubblico originale, in quanto il mendacio si estende a 
circostanze inerenti all'attivit� del pubblico ufficiale (identificazione del 
sottoscrittore) e cade sotto la di lui diretta percezione (sottoscrizione in 
sua presenza), Diverso, invece, � il caso di falsa attestazione della verit� 
della firma o della data nella forma della autentica cosidetta minore 
(�vera la firma�, o altra equivalente), in cui il notaio si limita a fare 
una dichiarazione personale di scienza, avente valore limitato, (fede non 
privilegiata) che non presuppone le formalit� previste dall'art. 2703 
cod. civ. 

In questo caso se la firma o la data risultano false o non vere, il 
fatto integra il reato di cui all'art. 480 cod. pen. (falsit� ideologica commessa 
dal pubblico ufficiale in certificati) (3). 

Il libro giornale delle girate rientra fra i documenti puramente interni 
redatti da pubblici ufficiali nell'esercizio delle loro funzioni per 
scopi diversi da quelli di attribuire pubblica fede ed, al contrario del 
repertorio notarile, che � atto pubblico, non ha alcuna funzione proba


(2) Affermazione esatta, in relazione al momento nel quale il testimone 
assume la qualit� di imputato. 
(34-5) Per sostenere l'inesistenza deLLa truffa in tema di imposte di successione, 
la Corte di Cassazione � dovuta ricorrere a due affermazioni che appaiono 
criticabili. In primo luogo infatti � troppo semplkistico affermare che 
attraverso il suo potere di accertamento l'Amministrazione Finanziaria sia di 
per s� in grado di sventare ogni truffo, mentre v'� da rilevare, sul piano pi� 
strettamente giuridico che, ai fini deLL'esistenza del reato, consumato o tentato, 
quel che assume ril~evo � 1'idoneit� del!la condotta e che i1 giudizio su 
questa non pu� essere che un giudizio ex ante: occorrerebbe, per concordare 
con 1'affermazione del<la massima, credere a priori a1L'efficacia assoluta e totale 
dei mezzi che la legge mette a disposizione dell'Amministrazione per accertare 



224 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
toria, ma semplicemente informativa, tanto che non deve essere neppure 
firmato dal notaio (4). 
In materia di frode fiscale, in tema di imposte di successione, non � 
configurabile il delitto di truffa per la mancanza di due requisiti: a) la 
induzione in errore (eventuali artifici e raggiri nei confronti dello Stato 
non potrebbero considerarsi idonei giuridicamente a cagionare danno); 
b) l'atto dispositivo (lo Stato, vittima della truffa, non si spoglierebbe 
di un proprio diritto, n� perderebbe correlativamente parte del suo 
patrimonio)� 
La frode fiscale lede una legittima aspettativa dello Stato in conseguenza 
del mancato adempimento della prestazione d'imposta. (Nella 
specie, � stata ravvisata la frode fiscale e non la truffa nella artificiosa 
annotazione nei libri sociali di trasferimenti di titoli azionari come avvenuti 
prima della morte del titolare di una impresa, al fine di sottrarli 
alla imposta di successione (5). 
Sono del pari inattendibili le censure avanzate dal Del Pr�, ciroa la 
pretesa violazione, nei suoi confronti, dell'art. 304 del codice di rito. 
Come � noto, sin dalle prime sentenze in tema di avviso di procedimento 
(ora comunicazione giudiziaria) questa Corte ha accolto una 
nozione restrittiva di atto istruttorio, faoendola coincidere con quella di 
atto promanante dal giudice, o dal pubblico ministero, che sia diretto o, 
quanto meno, predisposto ad acquisire �ill relazione ad uno o pi� atti 
determinanti, le prove dell'illecito penale (v. sent. sez. I 22 gennaio 1971. 
Barbaro). 
Ora, se � vero, che la comunicazione giudiziaria dev'essere spedita 
all'indiziato (equiparato all'imputato ex art. 78, comma secondo, cod. 
proc. pen.) sin dal primo atto istruttorio, e nel senso sopra indicato 
(art. 304, �comma primo cod. proc. pen.) o sin dal primo atto di pohl.zia 
giudizi;:tria, oompiuto dal pubblico ministero o dal pretore ovvero degli 
stessi organi di poli:llia su delega dei primi (art. 231, 232, 390 stesso codice) 
i tributi dovuti. Sembra eccessivo cio� i1 formalismo insito nehl'affermazione: 
� ipoiich� contro ogni dichiarazione o comportamento del denunciante L'Amministrazione 
ha propri poteri di contro1lo, il reato di truffa � impossibile per 
inidoneit� assoluta del!l'azione >>, affermazione che � implicita ne11a motivazione 
deHa sentenza. Tanto pi� che nel caso esaminato da:l1a SUJprema Corte occorreva 
un previo accertamento di faLsit� documentale per esercitare efficacemente 
quel potere d'accertamento. 
In secondo luogo, la Suprema Corte di Cassazione ha statuito, a propo 
sito .di atto dispositivo, in modo difforme a precedenti affermazioni giuri� 
sprudenzia1i: in alrt:re occasioni infatti era stato, correttamente, affermato che 
non tutte le volte che manca l'atto di disposizione patrimoniale esU!la i1 reato 
di truffa e che 1a disposizione patrimoniale pu� avere aoche carattere dispositivo 
(v. in questa Rassegna, 19711, I, p. 1530; ivi, '1972, I, p. J238). 

P.D.T. 

PARIB I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

non � dubbio, peraltro, che ai fini dell'insorgenza dell'obbligo della spedi� 
zione della comunicazione giudiziairia si rende appunto necessario e 
indispensabile l'esecuzione di un atto avente rilevanza probatoria, che 
consentla la formulazione dehl'imrputazione. 

Non pu� quindi seguirsi a giudizio del Collegio quei!. dive11so indirizzo 
(a cui sembra si sia ispirato il ricorrente) sostenuto da una corrente 
dottrinaria la quale, in tema di momento genetico dell'obbligo di detta 
co~unicazione, ritiene sufficiente qualunque atto dell'ufficio, in tal modo, 
infatti, si �dilaterebbe la stessa nozione di procedimento, al di J� di quei 
limiti essenziali derivanti da una corretta logica processuale che ha il suo 
preciso fondamento sia nella legislazione costituzionale (art. 24, com. 
secondo cost.) sia in quella ordinaria (art. 78 comma secondo cod. 
proc. pen.). 

Fatte queste precisazioni di �carattere generale, c'� da osservare che 
la Corte del Merito -dorpo aver premesso che la tempestivit� delJ'avviso 
di procedimento doveva essere accertata con riferimento alla sua 
� ratio � (ispirata all'esigenza di garantire il diritto di difesa), alla 
necessit� di un ragionevole contemperamento con il segreto istruttorio e 
alla possibilit� dii individuare .con un minimo di precisione la responsabilit� 
penale da perseguire a carico del presunto responsabile ha motivatamente 
ritenuto che, nella specie, tenuto anche conto dello sviluppo 
intricato delle indagini che avevano progressivamente coinvolto numerose 
persone, nessun pregiudizio, anche indiretto, del pieno diritto della 
difesa si em verificato nei confronti del Del Pr�. 

� esatto -come afferma iJl ricorrente -che l'istruttoria formale 

aveva avuto inizio 1'11 novembre 1971 mentre la comunicazione giudizia� 

ria gli era stata spedita solo il 23 febbraio dell'anno successivo, ma 


come il Collegio ha potuto constatare dall'esame degli atti -si trattava 

di quella a carico dcl Savio, del Santin e del Sartori di Borgoricco 

quando ancora il nome del Del Pr� non era stato coinvolto nella vicenda 

giudiziaria, come indiziato di reato. 

Quanto poi alla questione di legittimit� costituzionale dell'art. 359 

C.P.P. (testimOIIli veritenti, falsi o reti:centi) sollevata dal predetto ricorrente 
in relazione all'art. 24, comma secondo della Costituzione, il ColJegio, 
sulle conformi conclusioni del Pirocuratore Generale di udienza, 
condivide le motivate ed esatte argomentazioni svolte al riguardo dalla. 
Corte giuliana che ha ritenuto manifestamente infondata la questione 
stessa, proposta anche in quella sede degli appellanti Savio, Santin e 
Sartori di Borgoricco, oltre che dal Del Pr�. 
Quest'ultimo sostiene, con riferimento alla citata norma costituzionale, 
che l'impiegata del notaio Sartori di Borgoricco, Franca Giust, 
(la quale, esaminata come teste, aveva affermato che le firme del Savio 
e del Santin erano state apposte in sua presenza presso lo studio nota



226 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

rile il 2 maggio 1968 e contemporaneamente autenticate dal notaio predetto) 
imputata del reato di falsa testimonianza in relazione alla sua 
affermazione, poi ritrattata, sia stata interrogata senza l'assistenza di 
un difensore. 

Come ha rilevato il giudice di appello, lia dichiarazione con cui il 
teste renitente, falso o reticente ritratta il falso e manifesta il vero 
non s'inserisce nel processo di falsa testimonianza bens� nel processo in 
occasione del quale tale reato � stato commesso, e nel quale il soggetto 
non ha perduto la quialit� di testimone, tanto � vero che i�l citato art. 359 
del codice di rito -avendo evidentemente riguardo a tale procedimento 
-indica il soggetto sempre come teste, anche nel corso della 
istruzione per il menzionato reato. 

Con la conseguenza che la ritrattazione nel procedimento durante il 
quale il reato ex art. 312 cod. pen. � stato commesso ha la duplice natura 
di deposizione testimoniale in tale procedimento e di <:ausa di estinzione 
del reato predetto nell'altro. 

Non pu� d'altro canto non rilevarsi che la stessa difesa dei ricorrenti, 
che pure si � diffusa a lungo nel.l'illustrare, nel corso della discussione 
orale, le altre censure dedotte a sostegno dei gravami di tutti gli imputati, 
non ha nemmeno accennato alla pretesa illegittimit� costituzionale 
dell'art. 359 c.P.P. nonostante che, in sede di relazione dei ricorsi, fossero 
stati chiariti tutti gli aspetti dell'eccezione avanzata dal Del Pr�. 

Data la sostanziale identit� d'impostazione, possono essere esaminate 
congiuntamente le varie censure avanzate dai ricorrenti in ordine ai 
reati di falso ideologico e di tentata truffa in danno dello Stato, nonch�, 
per quanto riguarda, Guido Zanussi e Lamberto Mazza, in ordine al 
reato di favoreggiamento personale, dichiarato estinto per prescrizione 
dal giudice d'appello. 

Il Collegio non ignora certo che questa Corte, con sentenza della V 
sezione .in data 21 ottobre 1975 (rie. Gelpi) -dopo aver premesso che la 
girata dei titoli azionari, a norma degli artt. 2023 cod. civile, 13 r.d. n. 239 
del 1942 e 47, comma secondo della L. n. 89 del 1913 deve effettuarsi 
mediante la sottoscrizione del Girante, da autenticarsi da un notaio o 
da altro soggetto autorizzato dalla .legge e dopo aver riconosciuto che, 
secondo la prassi invalsa -al fine di facilitare e di rendere pi� spedite 
le certificazioni inerenti alle modalit� di tale girata -� consentito, 
anzich� fare menzione delle varie operazioni eseguite dal pubblico uffidale 
autenticante (identificJazione del girante e apposizione de1la data e 
della firma in presenza di detto pubblico ufficiale) adoperare la formula 
abbreviata �vera la firma di... � -ha ritenuto: a) che detta formuLa 
equivale alla attestazione di autenticit� della firma e della data, e di 
1apposizione delle stesse in presenza del pubblico ufficiale stesso, previa 
identificazione dell'autore; b) che l'attestazione �vera la firma di... � costi




PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALI! 

tuisce atto pubblico e non gi� semplice certificato amministrativo; e) che 
pertanto integra l'ipotesi di falso ex art. 479 cod. pen. e non quella 
prevista dal successivo art. 480 la falsa autenticazione notarile limitata 
alla semplice attestazione della verit� della firma e della data. 

Ritiene peraltro il Collegio, dopo meditata considerazione (e pur 
senza, sottovalutare la delicatezza della questione che, data la scarsa 
chiarezza della disciplina positiva la quale, nella sua ambiguit�, potrebbe 
legittimare le opposte tesi) di dover confermare il prevalente indirizzo 
giurisprudenziale di questa Corte Regolatrice, ribadito anche dia una 
sentenza di questa stessa Sezione (7 giugno 1972, n. 1029 rie.; Presiglio). 

E non � neppure i!1 caso, in questa sede, civca l'autentica cosiddetta 
minore o �vera di firma� (naturalmente limitata alle sole dichiarazioni 
non negoziali) di riassumere le lunghe discussioni ohe sono state fatte 
in dottrina sulla Hceit�, da parte del notaio, di limitarsi ad attestare 
soltanto che sono vere la firma e la data apposte su un documento, da 
un lato senza affermare altres� che detta firma e data sono state apposte 
in sua presenza e che egli ha provveduto aU'identicazione del sottoscrittore, 
dall'altro evitando le formalit� previste dalla legge notarile o dalle 
leggi sulla documentazione amministrativa. 

Ora, se � vero che la legge notarile 16 febbraio 1913, n. 89 (tuttora 
in vigore 'con il relativo regolamento 10 settembre 1914 n. 1326) nel predisporre 
una disciplina iparticolareggiat1a dall'istituto dell'autenticazione, 
dispone, all'art. 72, che la autenticazione della firma deve contenere la 
dichiarazione del notaio che le firme sono state apposte in sua presenza 
e, quando occorria, a quella di terzi o di fidefacienti, con Ja data e 
l'indicazione del luogo, e se � anche vero ohe l'art. 2703 del codice civile, 
nell'estendere anche ad altri pubblici ufficiali la facolt� di autenticazione, 
ne ribadisce il carattere precipuo di dichiarazione di scienza, c'� peraltro 
da considerare che, oltre a questa disciplina generale, esiste un certo 
numero di leggi speciali nelle quali si stabilisce sostanzialmente che 
l'autenticazione pu� essere fatta, anche con la semplice formula (vera 
la firma di...) ed � questo iJ caso previsto dall'art. 9 del r.d. n. 239 del 
1942, in tema di gimta di azioni di societ�. 

Non si tratta quindi di �prassi invalsa� ,come ha ritenuto la Quinta 
Sezione di questa Corte con la sentenza sopra richiamata, ma di precise 
disposizioni normative. 

Ci� chiarito, � necessario precisare che, secondo un',autorevole corrente 
dottrinaria, il documento, oltre ad una funzione informativa e 
dimostrati.va, ha una sua funzione rappresentativa, intesa come espressione 
ohiara esplicita e obiettiva del fatto documentato, dal quale non si 
pu� decampare senza alterare la funzione di rappresentazione a cui il 
documento soddisfa. 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

N� a parere del Collegio, il criterio di valutazione sulla base di detta 
:furraione rappresentativa pu� perdere importanza e rilevanza in tema 
di falso documentale, dal momento che la falsit� del documento scaturisce 
da una posizione di contrasto fra il fatto rappresentato e la realt�. 

In particolare, in materia di falsit� ideologida, in cui il documento 
� genuino nella sua formazione, si tratta di determinare quale sia stato 
il mendacio del pubblico ufficiale, su1la base di quanto egli ha attestiato 
nel documento. 

Pertanto, l'attestazione del pubblico ufficiale, in cui si concreta il 
mendacio, non pu� che essere esplicitamente documentata, ai fini della 
determinazione deH' � immutatio veri �, e questa non pu� concepirsi al di 
fuori del fatto esplicitamente documentato. 

Questo concetto la Corte Suprema ha avuto occasione di precisare 
sin dalla sua sentenza in data 22 febbraio 1958: III sez. dc. Piemi. 

Detto criterio serve quindi a determinare il fiatto documentato, sia 
nei suoi limiti sia nella sua indole di fatto del quale l'atto � destinato 
a provare la verit�, di fatto percepito direttamente dal pubblico ufficiale, 

o da lui compiuto, oppure di fatto che il pubblico ufficiale semplicemente 
dichiara come di verit� o di scienza. 
Con la conseguenm, in relazione a questa ultima distinzione, che 
il pubblico ufficiale il quale, nell'esercizio delle 1sue funzioni, attesta falsamente 
:fotti, avvenuti in sua presenza, o che egli ha compiuto, o che 
comunque abbia concorso la porre in essere, commette, senza dubbio 
alcuno falsit� in atto pubbJ.ico originale (di fede privilegiata) qualora, 
come il notaio, abbia per 1suo specifico ufficio la facolt� di documentazione. 


Se egli invece si sia limitato a fare fa1se raffermazioni di scienza, che 
non riguardano fatti da lui compiuti, o avvenuti in sua presenza, o da 
lui percepiti, in tal caso tradisce pur sempre il suo dovere. di fedelt�, 
ma nella. ipotesi prevista dall'art. 480 cod. pen. e non in quella ex art. 479 
ritenuta dalla Corte del merito. 

Alla stregua di queste precisazioni i1l Collegio rileva che la gi� citata 
sentenza della Quinta Sezione � ispirata a criteri di troppo rigido formalismo 
e ribadisce il principio secondo il quale l'autenticazione di firma 
risultata apocrifa o, come nel caso di specie, di data non vera, in cui 
il notaio attesti tla1samente che data e firme 1sono vere e apposte in sua 
presenza, da persone da lui previamente identificate, integra il reato di 
falsit� in atto pubblico originale, in quanto il mendacio si estende a circostanze 
inerenti all'attivit� del pubblico ufficiale (identificazione del sottoscrittore) 
e cade sotto la di lui diretta percezione (sottoscrizione in sua 
presenza). 

Diverso invece � il 1caso, come quello in esame, di falsa attestazione 
della verit� della firma (o della data) nella forma della cosiddetta auten



PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

tica minore (�Vera di firmla� o altra equipo11ente): in essa il notaio, 

o altro pubblico ufficiale, non fa ailicun accenno ad attivit� da lui compiuta 
o percepita, ma �si limita semplicemente a fare una dichiarazione 
personale di scienza .J1a quale aV'endo appunto affermato un va:lore limitato, 
non presuppone le formaHt� previste dall'art. 2703 cod. civ. ben 
potendo il pubblico ufficiale trarre TI proprio convincimento del1a verit� 
della firma e della data con ogni altro mezzo adeguato (come ad esempio 
la 'conoscenza personale della fuima) che non sia quello della contestuale 
sottoscrizione in sua presenza. E se la firma o la data risultano false 
o non vere, ~'ipotesi rientra in quella prevista e punita dall'art. 480 cod. 
pen. (falsit� ideologica commessa dlail pubblico ufficiale in certificati). 
Per contrastare quest'assunto il giudice di appello ha osservato che 
H pubblico ufficiale, nell'apporre l'autenticazione della data all'atto che 
egli redige attesta un fatto di cui egli stesso � partecipe, e che � tenuto 
personalmente ad accertare e documentare con esattezza, con la conseguenza 
che non pu� pi� mettersi in discussione se non per mezzo di 
specifica impugnazione di fa1so. 

Senonch� quest'affermazione trova U1J1a chiara smentita nel principio 
gi� fissato da questa Corte Suprema, con sentenza 30 marzo 1967 della 
terza Sezione Civile (in �Giustizia Civile�, 1967, 1044) -che rii Collegio 
condivide -secondo la quale la cosiddetta autentica minore non conferisce 
alla sottoscrizione Ja fede privilegiata (art. 2700 ood. civ.) coskoh� 
la stessa � impugnabile mediante il disconoscimento quale scrittura privata. 
Ed � evidente che il predetto principio trova applicazione anche 
in lt'elazione alla data, giaoch�, se non occorre la querela di falso per 
disconoscere unJa 1sottoscrizione autenticata con la �vera di firma� �a 
fortiori � non occorrer� la querela per mettere in discussione la data, 
la quale � un elemento aocesisorio de11'a1lto normale, ma non sempre indispensabile, 
con la conseguenza che essa non pu� assurgere ad atto a 
se stante. 

Quindi, se rautentica minore iintegra J'ipotesi di una mera certificazione 
amministrativa, non pu� certo assumere rilevanza di atto pubblico 
la data che alla medesima venga apposta. 

Diversamente opinando, sii verrebbe ad attribuire un valore documentale 
autonomo, e per giunta di rango pi� elevato, a quello che costituisce 
invece -come si � gi� accennato -un semplice elemento accessorio 
della �certificazione, e di qualunque sorittura; con la conclusione 
che, se cos� non fosse, tutte le certificazioni amministrative, in quanto 
datate, conterrebbero, un atto pubb.Jico, anzi due atti pubblici perch� 
lo stesso ragionamento varrebbe, e a maggior ragione, per la firma del 
pubblico ufficiale. 

Sembra, inoltre, al Collegio che l'assunto della Corte giuliana trovi 
una smentita nelle stesse drisposizioni contenute, in materia di falso, 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

nel codice penale; il pubblico uffidale che contraffa o �ltera certificati 

o autorizzazioni amministrative risponde di falsit� materiale in certificati 
o autoriizzazioni (art. 477) e non gi� di falsit� materiale in atto pubblico 
(art. 476) e ci� anche nel caso di contraffazione o 1alterazione della data; 
a sua volta il privato che fabbrica un certificato (compresa data e firma 
false) risponde del reato ex art. 482 e non gi� di un falso in certificato in 
concorso con un fialso in atto pubblico. 
Secondo il giudice d'appello, la ricorrenza, nella specie, del delitto 
di falso ideologico prevista dal.l'art. 479 cod. pen. troverebbe un'ulteriore 
conferma nella circostanza 1che la data falsa era contenuta anche nel 
libro giornale delle gimte. 

Senonch� -come ha esattamente II'ilevato anche la difesa del notaio 
Sartori di Borgoricco nel corso della discussione orale -l'irregolare 
tenuta di detto libro � espressamente prevista come un mero illecito 
amministrativo dell'art. 29 del r,d. 29 marzo 1942, n. 239. 

Il libro in questione, chiamato giornale dall'art. 28 del menzionato 
regio decreto (come quello che, a norma dell'art. 2214 cod. civ. deve essere 
tenuto dagli 1imprenditori commerciali) rientra fra i documenti puramente 
interni redatti dai pubblici ufficiali nel.l'esercizio delle loro funzioni, per 
scopi diversi da quelli di attribuire pubblica fede e, al contrario del 
repertorio notarile (certamente atto pubblico) non ha 1alcuna funzione 
probatoria ma semplicemente informativa, tanto che non dev'essere neppure 
firmato dal notaio. 

Del resto, questa soluzione trova conferma sia nello stesso art. 28 gi� 
citato, il quale testualmente dispone che � le �autenticazioni di cui al 
presente articolo non sono soggette a iscrizione nel repertorio notarile, 
sia nella .considerazione che la data che dev'essere registata a norma di 
detto articolo, non � gi� quella dell'autenticazione, operata dal notaio, 
ma la data della girata, che � atto di parte. 

Comunque, anche se si volesse ritenere, per mera ipotesi, il libro 
giornale come un atto pubblico in senso lato, non potrebbe trattarsi che 
di un ratto derivativo, cio� di un certificato ex artt. 477 e 480 cod. pen. 

o di un attestato sul .contenuto di altri atti (art. 478, ult. capov. cod. pen.). 
Inquadrato pertanto il fatto addebitato ai ricorrenti, Savio, Santin, 
Sartori di Borgoricco e Del Pr� come reato di falsit� ideologica commessa 
da pubblico ufficirale in certificati amministrativi (artt. 110, 480 cod. 
pen.), la sentenza impugnata deve essere, sul punto, annullata senza 
rinvio essendo detto reato, �commesso nei giorni immediatamente successivi 
al 18 giugno 1968, estinto in virt� dell'amnistia di cui al d.P.R. n. 283 
del 1970. 

Passando ora a esaminare le censure relative all'altro episodio, in cui 
sono stati coinvolti tutti gli imputati ricorrenti, giuriidicamente qualificato 
nella sentenza impugnata come reato di tentata truffa aggravata ai 


PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

danni dello Stato, il Collegio ritiene di non poter condividere le conclusioni 
a cui sono pervenuti i giudici di secondo grado, fatte proprie dal 
Procuratore Generale presso questa Corte Suprema. 

Da tutto il complesso della legislazione tributaria, e in particolare 
da quella in materia d'imposte di successione che qui particolarmente 
interessa, possono ricavarsi i seguenti princ�pi: 1) l'omessa o infedele 
denunzia di cespiti non �, di regola, �consiide11ata come delitto ma solo, 
e iin via eocezionale, 1con1lravvenzione; 2) la frode fiscale �, per sua stes�sa 
definizione, una evasione fiscale qualificata da un artifizio maliziosamente 
diretto a frustrare le aspettative dell'Erario, non essendo sufficiente la 
sussistenza di artifizi e raggiri per giustificare, in detta materia, il reato 
di truffa (consumata o tentata); 3) se � vero che ~n taluni casi particolari 
(come, per esempio, in tema d'imposte dirette e di diritti di confine) 
la frode fiscale � punita come delitto -ma di norma con pena edittale 
meno grave di quella prevista per Ja truffa ai danni dello Stato -c'� 
peraltro da considerare che in altre numerose ipotesi (come appunto nel 
caso delle imposte di successione) le leggi speciali prevedono solo sanzioni 
di carattere amministrativo, facendo salva, ovviamente, la possibilit� di 
punire gli eventuali reati di falso, che in concreto ne costituiscono lo 
strumento; 4) l'accertamento e la liquidazione dell'imposta non costituiscono 
atti dispositivi, cui 1corrisponda una diminuzione patrimoniale ai 
danni del soggetto passivo; 5) la legge attribuisce ial fisco mezzi e poteri 
volti al fine di stabilire la verit� indipendentemente dalle denunzie presentate 
o dalle dichiarazioni rilasciate dai contribuenti, le quali danno 
origine ad un processo di accertamento diretto; Io stesso giuramento che 
l'ufficio finanziario pu� deferire al contribuente non pu� avere valore 
ed efficacia di prova legale, tanto �che � specificamente previsto che le 
omissioni possono essere accertate anche dopo che sia stata sottoscritta 
la formula del giuramento, con l'applicazione in tal caso di una semplice 
soprattassa. 

Da questi princ�pi pu� trarsi la conseguenza che, in materia di frode 
fiscale in tema d'imposte di successione, non possario essere configurati 
due requisiti che integrano H reato di truffa: !"induzione in errore, giacch� 
l'artificio non sarebbe mai giuridicamente causale, in quanto non idoneo 
rispetto al preteso danno; l'atto dispositivo, e ci� non tanto perch� l'atto 
stesso non possa concretarsi in una rinunzia al credito, quanto -perch� come 
� stato bene messo in evidenza e illustrato dalla difesa della moglie 
e della figlia del defunto Zanussi -la liquidazione dell'imposta di successione, 
fatta in base alla denunzia e il susseguente controllo ispettivo 
non integrano g1i estremi della condotta tipica del soggetto passivo, a 
norma dell'art. 640 �cod. pen., non concretando essi un atto di disposizione 
con iJ quale lo Stato si spoglia di un suo bene patrimoniale, con arricchimento 
correlativo del patrimonio dell'agente. Non vi �, in altri termini, 


232 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
il compimento, da parte dello Stato di alcun atto cui corrisponda una 
sua diminuzione patrimoniale. 
D'altra parte questa Corte Suprema ha gi� avuto occasione di precisare 
(III sez. penale sent. 11 novembre 1959, l1ic. Agostine1li e altri) che 
fa differenza fra il reato di truffa e la frode fiscale non Via posta nella 
mera difformit� dei mezzi fraudolenti adoperati (artifizio e raggiro nella 
truffa, qualsiasi altro mezzo ingannevole nella frode) ma piuttosto in due 
distinte correlazioni fra il comportamento del soggetto passivo e le manovre 
fraudolente poste in essere dal reo; pi� precisamente, nella truffa la 
vittima, mediante un atto dispositivo, si spoglia da s� di un proprio 
diritto, nella fu-ode fiscale la vittima, invece, subisce l'inadempimento dell'obbligato, 
nella convinzione, fraudolentamente provocata dall'agente, che 
la prestazione non sia dovuta. 
E questa stessa Sezione ha poi ribadito il concetto, affermando, con 
sentenza del 4 dicembre 1961 (P.M. c. Fiorino e Lezzo) che con la truffa 
s'intende punire la condotta fraudolenta che assicuri un aumento del 
proprio patrimonio con una riduzione correlativa del patrimonio altrui, 
e non gi� la condotta (attiva ed om�ssiva) diretta ad evitare una diminuzione 
del patrimonio con un correlativo aumento del patrimonio . di 
altri, anche se tale aumento sia sancito da apposite norme per un particolare 
interesse nazionale; diversamente opinando si confonderebbe la 
truffa con la frode fiscale, nella quale -giova ripeterlo -si lede una 
legittima aspettativa dello Stato col mancato adempimento dell'oggetto 
della prestazione del �rapporto giuridico d'imposta. 
D'altronde non sembra inopportuno rilevare, per completezza di moti� 
vazione, che l'episodio non sarebbe neppure configurabile sotto il profilo 
del reato previsto dall'art. 344 cod. pen.: la giurisprudenza costante di 
questa Corte Regolatrice, confortata dalla dottrina, � stata sempre concorde 
neU'affermare l'impossibilit� di ricondurre sotto il paradigma della 
frode processuale un artifizio del genere di quello contestato agli attuali 
ricorrenti imputati. 

Un argomento ulteriore a favore dell'insussistenza della truffa, anche 
solo tentata, pu� trarsi dalle nuove disposizioni in materia d'imposta 
di successione (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637), le quali, considerando compresi 
nell'attivo ereditario i beni e i diritti soggetti a imposta, che siano 
stati trasferiti a terzi a titolo oneroso negii ultimi .sei mesi di vita del 
defunto, s'inquadrano perfettamente in un sistema che esclude la configurabilit� 
di detto reato nel �compimento di atti fraudolenti diretti ad 
evadere l'imposta di successione. 

Si impone pertanto, anche su questo punto l'annullamento senza 
rinvio della sentenza impugnata perch� il fatto ascritto agli imputati, non 
� previsto dalla legge come reato. 


PARTE SECONDA 



I 


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i:
i: 
I 
I 
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~ 
~ 

I 


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' 


LEGISLAZIONE 


I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI 

r.d.I. 14 aprile 1939, n. 636, art. 13, comma quinto, nella parte in cui 
stabilisce che � se superstite � il marito la pensione � corrisposta solo nel caso 
che esso sia riconosciuto invalido al lavoro ai sensi del primo comma dell'art. 
10 �. 
Sentenza 30 gennaio 1980, n. 6, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. 

legge 10 agosto 1'950, n. 648, art. 69, nella parte in c�i non prevede, acconto 
alla vedova, anche il vedovo quale soggetto di diritto alla riversibilit� di 
pensione di guerra gi� fruita dal coniuge. 

Sentenza 30 gennaio 1980, n. 36, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. 

legge 22 novembre 1962, n. 1646, art. 6, secondo comma, nella parte in 
cui, ai fini del trattamento di quiescenza di riversibilit� delle Casse pensioni 
facenti parte degli Istituti di previdenza presso il Ministero del Tesoro: 

a) non prevede la rilevanza del matrimonio contratto dal pensionato prima 
del compimento del sessantacinquesimo anno di et�, prescindendosi in questa 
ipotesi da ogni altro requisito; 

b) richiede che il matrimonio, dal quale non sia nata prole, anche postuma, 
sia stato contratto dal pensionato prima del compimento del sessantaduesimo 
anno di et�, e che la differenza di et� tra i coniugi non superi gli anni 
venti, anzich� venticinque; e nella parte in cui, ai fini del trattamento di quiescenza 
di riversibilit� delle Casse pensioni facenti parte degli Istituti di previ� 
denza presso il Ministero del Tesoro, qualora si tratti di titolare di pensione 
di privilegio, fermi i restanti requisiti di rilevanza, richiede che il matrimonio dal 
quale non sia nata prole, anche postuma, sia stato contratto dal pensionato 
prima del compimento del settantacinquesimo anno di et�. 

Sentenza� 15 febbraio 1980, n. 15, G. U. 20 febbraio 1980, n. 50. 

legge 18 marzo 1968, n. 313, art. 59, nelle parti in cui non prevede, acconto 
alla vedova, anche il vedovo quale soggetto di diritto del trattamento 
economico stabilito dall'annessa tabella 1. 

Sentenza 30 gennaio 1980, n. 36, G.U. 6 febbraio 1980, n. 36. 

legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 16, commi cinque sei e sette (mod. da 
legge 28 gennaio 1977, n. 10, art. 14). 

Sentenza 30 gennaio 1980, n. 5, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. 

legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 20 [mod. da legge 2�8 gennaio 1977, 

n. 10]. 
Sentenza 30 gennaio 1980, n. 5, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.I. 1� ottobre 1973, n. 580, art. 4, comma sesto, n. 1 [conv. in �legge 30 
novembre 1973, n. 7661 nella parte in cui non comprende tra coloro che esercitano 
attivit� professionale o consulenza professionale retribuita anche i dipendenti 
pubblici e privati. 
Sentenza 15 febbraio 1980, n. 16, G. U. 20 febbraio 1980, n. 50. 

legge 27 giugno 11974, n. 247, nella parte in cui, convertendo in legge, con 
modificazioni, il decreto-legge 2 maggio 1974, n. 115, ne modifica l'art. 4, estendendo 
l'applicazione delle disposizioni dell'art. 16, commi cinque, sei e sette della 
legge n. 865 del 1971 a tutte le espropriazioni comunque preordinate alla realizzazione 
di opere o di interventi da parte dello Stato, delle regioni, delle province, 
dei comuni o di altri enti pubblici o di diritto pubblico anche non territoriali. 


Sentenza 30 gennaio 1980, n. 5, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. 

legge 22 maggio 1975, n. 152, art. 1, terzo comma, limitatamente all'avverbio 
� nuovamente �. 

Sentenza 23 gennaio 1980, n. 1. G. V. 30 gennaio 1980, n. 29. 

legge 28 gennaio 1977, n. 10, art. 19, comma primo. 

Sentenza 30 gennaio 1980, n. 5, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. 

legge 9 d'icembre 1977, n. 903, art. 11, comma primo, limitatamente alle 
parole � deceduta posteriormente alla data di entrata in vigore della presente 
legge�. 

Sentenza 30 gennaio 1980, n. 6, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. 

legge reg. siciliana appr. il 15 dicembre 1978, ,art. 4, comi secon.do e 
terzo, nella parte� in cui consentono all'assessore regionale per il territorio e 
l'ambiente di apportare, per la salvaguardia del pubblico interesse, ai piani 
regolatori generali adottati dai comuni modifiche essenziali, che non trovano 
giustificazione nell'adeguamento a leggi statali e regionali o nel concorso di 
alcune clelle condizioni sub a), b), e) e d) dell'art. 3 della legge 6 agosto 1967, 

n. 765. 
Sentenza 15 febbraio 1980, n. 13, G. U. 20 febbraio 1980, n. 50 

legge reg. sicUiana appr. il 15 dicembre 1978, art. 11, quinto comma. 

Sentenza 15 febbraio 1980, n 13, G U. 20 febbraio 1980, n. 50. 

Il. -QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE 

r.d.I. 14 aprile 1939, n. 636, art. 13, nella parte in cui subordina il diritto 
a pensione di riversibilit� degli orfani maggiorenni inabili al lavoro alla condizione 
che l'inabilit� sussista � al momento del decesso � del genitore. 
Sentenza 30 gennaio 1980, n. 7, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. 

-I 



PARTE II, LEGISLAZIONE 

r.d.I. 14 aprile 1939, n. 636, art. 13, per la parte in cui subordina ildiritto a 
pensione di riversibilit� dei collaterali permanentemente inabili al lavoro alla 
condizione che tale invalidit� sussista � al momento della morte del dante 
causa'" 
Sentenza 30 maggio 1980, n. 8, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. 

legge 1 O agosto 1950, n. 64>8, artt. 59 e 69 (artt. 3, 29 e 31 della Co� 
stituzione). 

Sentenza 23 gennaio 1980; n. 2, G. U. 30 gennaio 1980, n. 29. 

legge 4 luglio 1967, n. 580, artt. 36 e 29 (art. 41 della Costituzione). 

Sentenza lS febbraio 1980, n. 20, G. U. 20 febbraio 1980, n. SO. 

legge 18 marzo 1968, n. 3'13, art. 44, (artt. 3, 29 e 31 della Costituzione). 

Sentenza 23 gennaio 1980, n. 2, G. U. 30 gennaio 1980, n. 29. 

legge 30 a�prlle 1969, n. 153, art. 24, (artt. 3 e 38 della Costituzione). 

Sentenza lS febbraio 1980, n. 14, G. U. 20 febbraio 1980, n. SO. 

legge reg. sicllianC! 23 marzo 1971, n. 7, artt. 56, 75 e 90, (art. 14, lettera 
q), dello statuto speciale siciliano). 

Sentenza lS febbraio 1980, n. 12, G. U. 20 febbraio 1980, n. SO. 

legge reg. Lazio 29 maggio 1977, n. 20, arff. 40, 72, 81, terzo e secondo 
comma, (artt. 3, 3S, 36, 97, primo e secondo comma, 117 della Costituzione, nonch� 
alla VIII disposizione transitoria della Costituzione e dell'art. 49, secondo 
comma lettera b, dello Statuto della regione Lazio). 

Sentenza 30 gennaio 1980, n. 10, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. 

d.I. 1� ottobre 1973, n. 580, art. 4, ~omma sesto, n. 1, (artt. 1, 4, commi 
primo e secondo, 33, comma primo, 34, cpv. 3S, comma primo, Sl, comma primo, e 
97, comma primo, della Costituzione). 
Sentenza lS febbraio 1980, n. 16, G. U. 20 febbraio 1980, n. SO. 

d.I. 1� ottobre 1973, n. 580, art. 4, comma sesto, nn. 2, 3, 4, 5, (artt. l, 3, 
commi primo e secondo, 4, commi primo e secondo, 33, comma primo, 34 cpv., 
3S comma primo, Sl, comma primo, e 97, comma primo, della Costituzione). 
Sentenza 1S febbraio 1980, n. 16, G. U. 20 febbraio 1980, n. SO. 

legge reg. siciliana 7 dicembre 1973, n. 45, art. 1 (art. 14, lettera q, dello 
Statuto speciale siciliano). 

Sentenza lS febbraio 1980, n. 12, G. U. 20 febbraio 1980, n. SO. 

legge reg. Campania 16 marzo 1974, n. 11, art. 36, secondo, quarto, quinto 
e sesto comma, (artt. 3, primo comma, 3S, primo comma, 97, primo e secondo 
comma, della Costituzione). 

Sentenza 30 gennaio 1980, n. 10, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. 


4 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 
legge reg. siciliana appr. il 15 dicembre 197-8, art. 14, terzo comma, limi� 
tatamente alle parole � corrispondendo ad essi un'indennit� pari al valore venale 
dell'immobile da acquistare� (art. 14, f) e s) dello Statuto della regione sici� 
liana). 
Sentenza 15 febbraio 1980, n. 13, G. U. 20 febbraio 1980, n. 50. 
legge reg. siciliana appr. il 15 d'icembre 11978, art. 56, (art. 42, comma 
4 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 
legge reg. siciliana appr. il 15 dicembre 197-8, art. 14, terzo comma, limi� 
tatamente alle parole � corrispondendo ad essi un'indennit� pari al valore venale 
dell'immobile da acquistare� (art. 14, f) e s) dello Statuto della regione sici� 
liana). 
Sentenza 15 febbraio 1980, n. 13, G. U. 20 febbraio 1980, n. 50. 
legge reg. siciliana appr. il 15 d'icembre 11978, art. 56, (art. 42, comma 
terzo, della Costituzione). 
Sentenza 15 febbraio 1980, n. 13, G. U. 20 febbraio 1980, n. 50. 

legge reg. siciliana appr. il 15 dicembre 197,9, titolo VII, (art. 14, lettera f) 
dello Statuto della regione siciliana). 

Sentenza 15 febbraio 1980, n. 13, G. U. 20 febbraio 1980, n. 50. 

legge reg. siciliana a.ppr. in seduta notturna del 16�17 maggio 1979 (art. 
14, lettera f) dello Statuto della regione siciliana). 

Sentenza 15 febbraio 1980, n. 13, G. U. 20 febbraio 1980, n. 50. 

III -QUEJSTIONI PROPOSTE 

Codice civile, art. 2059 (artt. 32 e 3 della Costituzione). 

Tribunale di Genova, ordinanza 8 ottobre 1979, n. 929, G. U. 20 febbraio 
1980, n. 50. 

c�odice civUe, art. 294�8, n. 4 (artt. 136, primo comma, e 36, primo comma, 
della Costituzione). 
Pretore di Parma, ordinanza 18 settembre i979, n. 817, G. U. 16 gennaio 
1980, n. 15. 

codice di procedura civile, art. 413, secondo comma [modif. da legge 
11 agosto 1973, n. 53131 (artt. 3, primo e secondo comma, 35, 24 della Costituzione). 


Pretore di Torino, ordinanza 31 ottobre 1979, n. 960, G. U. 27 febbraio 
1980, n. 57. 

codice penale, art. 69, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Sal�, ordinanza 26 gennaio 1979, n. 810, G. U. 16 gennaio 1980, n. 15. 


codice penale, art. 159 (artt. 3, 25, comma primo, e 112 della Costituzione). 
Pretore di Roma, ordinanza 18 ottobre 1979, n. 945, G. U. 20 febbraio 
1980, n. 50. 

codice penale, art. 169 (artt. 2 e 3 della Costituzione). 
Tribunale per i minorenni di Perugia, ordinanza 11 maggio 1979, n. 951, 


G. U. 20 febbraio 1980, n. 50. 

PARTE II, LEGISLAZIONE J 

codice penale, artt. 222, comma primo, e 204, comma secondo (art. 3, comma 
primo, della Costituzione). 

Giudice istruttore del Tribunale di Milano, ordinanza 29 ottobre 1979, n. 966, 

G. U. 27 febbraio 1980, n. 57. 
codice penale, art. 383, cpv (artt. 3 e 29 della Costituzione). 

Tribunale di Macerata, ordinanza 19 ottobre 1979, n. 956, G. U. 27 febbraio 
1980, n. 57. 

c�odice penale, art. 584 (art. 3 della Costituzione). 

Corte d'Assise di Cagliari, ordinanza 29 ottobre 1979, n. 965, G. U. 27 febbraio 
1980, n. 57. 

cod�ice .penale, art. 636 (artt. 3 e 42 della Costituzione). 

Pretore di Nard�, ordinanza 30 giugno 1979, n. 829, G. U. 16 gennaio 1980, n. 15. 

cod'ice civile, artt. 684 e 164, comma primo, n. �1 (art. 21 della Costituzione). 

Pretore di Bologna, ordinanza 25 ottobre 1979, n. 954, G. U. 20 febbraio 
1980, n. 50. 

codice penale, art. 688 artt. 3 e 32 della Costituzione). 

Pretore di Cesena, ordinanza 15 gennaio 1979, n. 957, G.U. 20 febbraio 
1980, n. 50. 
Pretore di Cesena, ordinanza 2 ottobre 1978, n. 958 del 1979, G. U. 20 febbraio 
1980, n. 50. 

codice penale, art. 699, cpv. (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Napoli, ordinanza 8 giugno 1979, n. 937, G. U. 20 febbraio 1980, 

n. 50. 
codice pe�nale, art. 708 (artt. 3 e 27 della Costituzione). 

Tribunale di Genova, ordinanza 19 settembre 1979, n. 943, G. U. 20 febbraio 
1980, n. 50. 
Tribunale di Genova, ordinanza 20 luglio 1979, n. 950, G. U. 27 febbraio 
1980, n. 57. 

codice di procedura penale, artt. 429 e 499 (artt. 3 e 24, comma secondo, 
della Costituzione). 

Tribunale di Torino, ordinanza 18 luglio 1979, n. 964, G. U. 27 febbraio 
1980, n. 57. 

codice penale militare di pace, art. 183 (artt. 25, secondo comma, e 3 della 
Costituzione). 

Tribunale militare territoriale di Padova, ordinanza 13 luglio 1979, n. 904, 

G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. 

6 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO 

r.d. 22 dicembre 1872, n. 1210-sexies, art. 78 (artt. 101, secondo comma e 
108, secondo comma, della Costituzione). 
Tribunale militare territoriale di Padova, ordinanza 27 giugno 1979, n. 903, 

G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. 
r.d. 19 ottobre 1923, n. 2616, art. 16 (artt. 101, secondo comma, e 108, secondo 
comma della Costituzione). 
Tribunale militare territoriale di Padova, ordinanza 27 giugno 1979, n. 903, 

G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. 
r.d. 30 dicembre 1923, n. 2903, art. 29 (artt. 101, secondo comma, e 108, 
secondo comma, della Costituzione). 
Tribunale militare territoriale di Padova, ordinanza 27 giugno 1979, n. 903, 

G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. 
r.d. 30 dicembre 1923, n. 3260, art. 43 (art. 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di filature, ordinanza 6 marzo 
1979, n. 895, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. 

r.d. 26 giugito 1924, n. 1054, art. 29, n. 1; n. 39 (artt. 3, primo comma, e 25, 
primo comma, della Costituzione). 
Corte di cassazione, sezioni unite, ordinanza 29 gennaio 1979, n. 843, 

G. U. 30 gennaio 1980, n. 29. 
Corte di Cassazione, sezioni unite, ordinanza 29 gennaio 1979, n. 844, G. U. 
30 gennaio 1980, n. 29. 
Corte di Cassazione, deviazioni unite, ordinanza 22 marzo 1979, n. 845, G. U. 
30 gennaio 1980, n. 29. 
Corte di Cassazione, sezioni unite, ordinanza 29 gennaio 1979, n. 842, G. U. 
23 gennaio 1980, n. 22. 
Corte di Cassazione, sezioni unite, 29 gennaio 1979, n. 841, G. U. 23 gennaio 
1980, n. 22. 

r.d.I. 13 novembre 1924, n. 1825, art. 6, pl"imo comma (artt.3,primocomma 
e 52 secondo comma, della Costituzione). 
Pretore di Lodi, ordinanza 26 aprile 1979, n. 908, G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. 

r.d. 30 ottobre 1930, n. 1731, artt. 1, 4, 5, 15, lettera c ), 24, 25, 26, 27, 28, 29 
e 30 (artt. 3, 2 e 18, 23, e 102, 53 della Costituzione). 
Pretore di Roma, ordinanza 16 maggio 1979, n. 775, G. U. 9 gennaio 1980, n. 8. 

d.I. 26 gennaio 1931, n. 124, art. 12 [conv. in legge 1,8 giugno 19311, n. 919] 
(artt. 101, secondo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione). 

Tribunale militare territoriale di Padova, ordinanza 27 giugno 1979, n. 903, 

G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. 
r.d. 8 gennaio 1931, n. 148, artt. 4, art. tre, e 58, alt. A> (artt. 24 e 3 
della Costituzione). 
Corte di Cassazione, sezioni unite, ordinanza 14 maggio 1979, n. 846, G. U. 
30 gennaio 1980, n. 29. 

Z�:�:r.r.'.�'.O:'.C..C.C.�:�:r.r..C.':'.�Z':�:�.".'Z'.�.�.�:�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.'.�.'.�.�1.�.�!.�.�.�.�.-.�.�.�.�.�.'.��.�.�:.�.�.-.��.�.�.�.�.�.�.���-������� 


PARIB II, LEGISLAZIONE 

r.d. 18 qlugno 1931, n. 773, art. 38 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Macerata, ordinanza 5 ottobre 1979, n. 835, G. U. 16 gennaio 
1980, n. 15. 

r.d.I. 5 giugno 193�9, n. 1016, art. !2, primo e ultimo c:omma, [mod. da 
legge 2 agosto 1967, n. 799, art. 10] (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Padova, ordinanza 18 ottobre 1977, n. 941 del 1979, G. U. 20 febbraio 
1980, n. 50. 

legge 22 aprile 1941, n. 633, sessione IY (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Torino, ordinanza 5 luglio 1979, n. 819, G. U. 16 gennaio 1980, n. 15. 

r.d. 9 setembre 1941, n. 1022, art. 50, sec:ondo c:omma (artt. 101, secondo 
comma, e 108, secondo comma, della Costituzione). 
Tribunale militare territoriale di Padova, ordinanza 27 giugno 1979, n. 903, 

G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. 
r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 1H, primo c:omma (art. 24 della Costituzione). 
Corte di Cassazione, ordinanza 7 febbraio 1979, n. 847, G. U. 30 gennaio 1980, 
n. 29. 
r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 99, quinto c:omma (art. 24 della Costituzione). 
Corte di Cassazione, ordinanza 27 giugno 1979, n. 880, G. U. 6 febbraio 
1980, n. 36. 

r.d.I. 31 maggio 1946, n. 511, art. 18 (artt. 21, primo comma, 25, secondo 
comma, 101, secondo comma e 108, primo comma, della Costituzione). 
Consiglio superiore della magistratura, sezione disciplinare, ordinanza 18 maggio 
1979, n. 933, G. U. 20 febbraio 1980, n. 50. 

legge 23 maggio 1950, n. 253, art. 4 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore �:li Milano, ordinanza 13 novembre 1978, n. 911 del 1979, G. U. 13 feb


braio 1980, n. 43. 

legge 23 maggio 1'950, n. 253, art. 4, n. 1 (art. 3 della Costituzione). 
Corte di cassazione, ordinanza 10 aprile 1979, n. 789, G. U. 9 gennaio 
1980, n. 8. 

legge 23 maggio 1950, n. 253, art. 11 (art. 44 della Costituzione). 
Tribunale di Salerno, sezione agraria, ordinanza 20 giugno 1979, n. 834, G. U. 
16 gennaio 1980, n. 15. 

legge 27 dic:embre 1956, n. 1423, art. 1, 3, 9 (art. 25, ultima parte, della 
Costituzione). 
Pretore di Partinico, ordinanze (due) 11 ottobre 1977, nn. 972 e 973 del 1979, 

G. U. 27 febbraio 1980, n. 57. 

8 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 17 maggio 1957, n. 20, art. 1, lettera AJ (art. 32 dello Statuto speciale 
per la Sardegna). 

Corte d'appelo di Cagliari, ordinanza 14 settembre 1979, n. 791, G. U. 9 gennaio 
1980, n. 8. 

legge reg. Trentino-Alto Adige 24 giugno 1957, n. 11, artt. 4, 7, 8, 9, 11, 
17 e 22 (art. 108 della Costituzione). 

Tribunale di Trento, ordinanza 11 novembre 1979, n. 962, G.U. 27 feb� 
braio 1980, n. 57. 

legge reg. Trentino � Alto Adige 24 giugno 11957, n. 11, art. 8 (art. 24 della 
Costituzione). 

Tribunale di Trento, ordinanza 11 novembre 1979, n. 962, G.U. 27 febbraio 
1980, n. 57. 

legge 20 febbraio 1958, n. 93, art. 2, comma 20 (artt. 3 e 38 della Costituzione). 


Pretore di Roma, ordinanza 9 ottobre 1979, n. 865, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. 

legge 3 aprile 1958, n. 474, art. 5 (art. 3 della Costituzione). 

Commissione Tributaria di primo grado di Alessandria, ordinanza 18 settembre 
1979, n. 923, G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. 

d.P.R. '15 giugno 1959, n. 393, art. 91, settimo comma (artt. 3, secondo 
comma, 4, primo e secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione). 
Pretore di Brunico, ordinanza 8 giugno 1979, n. 776, G. U. 9 gennaio 1980, n. 8. 

d.P.R. 15 giugno 19-59, n. 393, art. 121 [modificato da art. 5 legge 5 mag� 
gio 1976,�n. 313] (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Monfalcone, ordinanze (tre) 28 giugno 1979, n. 830, 831 e 832, 

G. U. 16 gennaio 1980, n. 15. 
Pretore di Domodossola, ordinanza 18 ottobre 1979, n. 932, G. U. 20 febbraio 
1980, n. SO. 
Pretore di Cascina, ordinanza 5 ottobre 1979, n. 938, G. U. 20 febbraio 1980, 

n. 
50. 
Pretore di Codogno, ordinanza 6 novembre 1979, n. 967, G. U. 27 febbraio 1980, 
n. 577. 
Pretore di Avigliana, ordinanze (quattro) 5 gennaio e 5 novembre 1979, 
nn. 968, 969, 970 e 971, G. U. 27 febbraio 1980, n. 57. 

d.P.R. 15 giugno 1559, n. 393, art. 121 [mod. da legge 5 maggio 1976, 
n. 3'13] (artt. 27, primo comma, e 3 della Costituzione). 
Pretore di Pisa, ordinanza 15 ottobre 1979, n. 909, G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. 

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PARTE II, LEGISLAZIONE 

d.P.�R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 121, secondo cpv., quarta ipotesi [modif. 
da legge '5 maggio 1976, n. 313, art. 5] (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Codigoro, ordinanza 4 maggio 1979, n. 796, G. U. 9 gennaio 1980, 

n. 
8. 
Pretore di Codigoro, ordinanza 4 maggio 1979, n. 889, G. U. 6 febbraio 1980, 
11. 36. 
d.P.R. 15 giugno 19'59, n. 393, art. '121, comma terzo e quarto (artt. 3 e 102 
della Costituzione). 
Pretore di Empoli, ordinanza 9 ottobre 1979, n. 859, G. U. 23 gennaio 1980, 

n. 22. 
legge 12 agosto 1962, n. 13-38, art. 2, secondo comma, lettera a) (art. 3 
della Costituzione). 

Pretore di Tolmezzo, ordinanza 26 luglio 1979, n. 942, G. U. 20 febbraio 1980, 

n. 50. 
legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, secondo comma, lettera A) (artt. 3 
e 38 della Costituzione). 

Pretore di Brescia, ordinanza 23 ottobre 1979, n. 930, G.U. 13 febbraio 1980, 

n. 43. 
legge 15 settembre 1964, n. 756, art. 14 (art. 44 della Costituzione)). 

Tribunale di Venezia, ordinanza 4 ottobre 1979, n. 893, G. U. 6 febbraio 1980, 

n. 36. 
d.P.R. 5 giugno 1965, k 759, art. 1, primo comma (art. 3, primo comma, 
della Costituzione). 
Pretore di Modena, ordinanza 8 ottobre 1979, n. 928, G. U. 20 febbraio 1980, 

n. 50. 
d.P.R. 30 giugno 1965, n. 111~4. art. 112, secondo comma (artt. 76 e n della 
Costituzione). 
Tribunale di Torino, ordinanza 17 ottobre 1979, n. 922, G. U. 13 febbraio 1980, 

n. 43. 
Tribunale di Torino, ordinanza 17 ottobre 1979, n. 918, G. U. 20 febbraio 1980, 
n. 50). 
d.P.R. 30 giugno H65, n. 1124, art. 145, lettera Q) (artt. 3 e 38 della 
Costituzione). 
Pretore di Torino, ordinanza 8 ottobre 1979, n. 897, G. U. 6 febbraio 1980, 

n. 36. 
legge 2 ottobre 1967, n. 895, artt. 2 e 7 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Macerata, ordinanza 5 ottobre 1979, n. 835, G. U. 16 gennaio 
1980, n. 15. 


10 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO 

legge 2 ottobre 1967, n. 895, artt. 5 e 7 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Napoli, ordinanza 8 giugno 1979, n. 937, G. U. 20 febbraio 1980, 

n. 50. 
legge 23 gennaio 1968, n. 30 (art. 11 della Costituzione). 

Tribunale di Trento, ordinanza 23 giugno 1979, n. 882, G. U. 6 febbraio 1980, 

n. 36. 
legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 2 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia � Sezione staccata 
di Brescia -ordinanza 23 febbraio 1979, n. 836, G. U. 23 gennaio 1980, n. 22. 

legge 8 marzo 1968, n. 15�2, art. 3 (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). 

Pretore di Brescia, ordinanza 13 luglio 1979, n. 774, G. U. 9 gennaio 1980, 

n. 8. 
legge 2� aprile 1968, n. 482, artt. 1, 8 e 9 (art. 3 della Costituzione) .. 

Pretore di Roma, ordinanza 25 agosto 1979, n. 876, G. U. 6 febbraio 1980, 

n. 36. 
legge 2 aprile 1968, n. 82, art. 5 (artt. 3, 1, 4 e 35 della Costituzione). 

Pretore di Milano, ordinanza 26 giugno 1979, n. 906, G. U. 13 febbraio 1980, 

n. 43. 
d.P.R. 27 marzo 1969, n. 130, artt. 60, lettera Al e 135 (art. 76 della 
Costituzione). 
Consiglio di Stato, sezione V giurisdizionale, ordinanza 6 aprile 1979, n. 939, 

G. U. 20 febbraio 1980, n. 50. 
d.P.R. 27 marzo 1969, n. 130, art. 74-bis, penultimo comma (art. 36 della 
Costituzione).) 
Pret�re di Parma, ordinanza 5 giugno 1979, n. 811, G. U. 16 gennaio 1980, 

n. 15. 
legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 23 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Tolmezzo, ordinanza 26 luglio 1979, n. 942, G. U. 20 febbraio 1980, 

n. 50. 
legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 28 (artt. 3, primo comma, e 25, primo 
comma, della Costituzione). 

Corte di Cassazione, sezioni unite, ordinanza 29 giugno 1979, n. 843, 

G. U. 30 gennaio 1980, n. 29. 
Corte di Cassazione, sezioni unite, ordinanza 29 gennaio 1979, n. 844, 
G. U. 30 gennaio 1980, n. 29. 
Corte di Cassazione, sezioni unite, ordinanza 22 marzo 1979, �l. 845, 
G. U. 30 gennaio 1980, n. 29. 
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PARTE II, LEGISLAZIONE 

Corte di Cassazione, sezioni unite, ordinanza 29 gennaio 1979, n. 842, 

G. U. 23 gennaio 1980, n. 22. 
Corte di Cassazione, sezioni unite, ordinanza 29 gennaio 1979, n. 841, 
G. U. 23 gennaio 1980, n. 22. 
legge 24 maggio 1970, n. 336, artt. 3 e 4 (artt. 3, comma primo, e 52 della 
Costituzione). 

Pretore di Ferrara, ordinanze (sei) 3 settembre 1979, nn. 822, 823, 824, 825, 
826 e 827, G. U. 16 gennaio 1980, n. 15. 

d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1079 (artt. 3 e 36 della Costituzione)). 
Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 15 novembre 
1978, n. 760/1979, G. U. 9 gennaio 1980, n. 8. 

legge 30 dicembre 1970, n. 1239 (art. 11 della Costituzione). 

Tribunale di Trento, ordinanza 23 giugno 1979, n. 882, G. U. 6 febbraio 1980, 

n. 36. 
legge 9 ottobre 1971, n. 825, art. 4, n. 1 (artt. 3, 35, primo comma e 53, 
primo comma, della Costituzione). 

Commissione Tributaria di primo grado di Biella, ordinanza 15 novembre 
1978, n. 765/1979, G. U. 9 gennaio 1980, n. 8. 

legge 9 ottobre 1971, n. 825, artt. 10, comma secondo, nn. 14 e 15 (art. 76 
della Costituzione). 

Commissione Tributaria di secondo grado di Oristano, ordinanze (quattro) 
15 maggio 1979, n. 848, 849, 850 e 851, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. 

legge 9 ottobre 1971, n. 827, art. 5, primo comma (art. 3 della Costituzione). 

Consiglio di Stato, sezione IV giurisdizionale, ordinanza 10 aprile 1979, n. 883, 

G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. 
legge 22 ottobre 1971, n. 865, artt. �15 e 16 (artt. 3 e 42, terzo comma, 
della Costituzione). 

Corte d'appello di Genova, ordinanza 10 maggio 1979, n. 798, G. U. 16 gennaio 
1980, n. 15. 

legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 16 (artt. 3 e 42 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 24 gennaio 
1979, n. 944, G. U. 20 febbraio 1980, n. 50. 

legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 16 (artt. 3 e 42, terzo comma, della 
Costituzione). 

Corte d'appello di Genova, ordinanza 11 maggio 1979, n. 920, G. U. 13 febbraio 
1980, n. 43. 


12 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 6 dicembre 1971, n. 1034, artt. 7, 19 e 21 (artt. 3, primo comma, 
e 25, primo comma, della Costituzione). 

Corte di Cassazione, sezioni unite, ordinanza 29 gennaio 1979, n. 843, 

G. U. 30 gennaio 1980, n. 29. 
Corte di Cassazione, sezioni unite, ordinanza 29 gennaio 1979, n. 844, 
G. U. 30 gennaio 1980, n. 29, 
Corte di Cassazione, sezioni unite, ordinanza 22 marzo 1979, n. 845, 
G. U. 30 gennaio 1980, n. 29. 
Corte di Cassazione, sezioni unite, ordinanza 29 gennaio 1979, n. 842, 
G. U. 23 gennaio 1980, n. 22. 
Corte di Cassazione, sezioni unite, ordinanza 29 gennaio 1979, n. 841, 
G. U. 23 gennaio 1980, n. 22. 
legge 30 dicembre 1970, n. 1239, e annessa tabella (art. 11 della Costituzione). 


Tribunale di Napoli, ordinanza 3 novembre 1979, n. 994, G. U. 13 febbraio 
1980, n. 43. 

legge reg. Emilia � Romagna M ottobre 1972, n. 9, art. 4, secGndo comma 

(art. 25 dello Statuto regionale e artt. 123 e 127 della Costituzione). 

Consiglio di Stato, sezione IV giurisdizionale, ordinanza 28 ottobre 1978, 

n. 
778/1979, G. U. 9 gennaio 1980, n. 8. 
Tribunale di Ravenna, ordinanze (due) 22 luglio 1978, nn. 799 e 800, 
G. U. 9 gennaio 1980, n. 8. 
legge reg. Emilia � Romagna 11 ottobre 1972, n. 9, art. 4, seco.ndo comma 

(artt. 117 e 123 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia -Romagna, ordinanza 24 gennaio 
1979, n. 944, G. U. 20 febbraio 1980, n. 50. 

legge reg. Emilia� Romagna 11 ottobre 1972, n. 9, art. 4, seco.ndo comma 

(artt. 117 e 123 della Costituzione e art. 25 dello statuto regionale). 

Consiglio di Stato, sez. IV giurisdizionale, ordinanza 6 marzo 1979, n. 953, 

G. U. 27 febbraio 1980, n. 57. 
d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 58, quarto comma (art. 3 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Bolzano, ordinanza 2 febbraio 
1979, n. 898, G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. 

d.P.R. 26 ottobre H72, n. 633, art. 60 (artt. 3, 24 e 113 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Modena, ordinanze (due) 7 dicembre 
1978, nn. 974 e 975/1979, G. U. 27 febbraio 1980, n. 57. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 1 e 46, primo comma (artt. 3, 24, 102 
e 113 della Costituzione). 
Pretore di Putignano, ordinanza 17 maggio 1979, n. 795, G. U. 9 gennaio 
1980, n. 8. 



PARTE II, LEGISLAZIONE 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 44, comma terzo {artt. 3, comma primo, 
24, comma primo, e 76 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Oristano, ordinanze (quattro) 
15 maggio 1979, nn. 848, 849, 850 e 851, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, artt. 6 e 14 (art. 53, primo comma, della 
Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Gorizia, ordinanza 28 novem� 
bre 1978, n. 963/1979, G. U. 20 febbraio 1980, n. SO. 

d.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035, art. 17 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Pretore di Pattada, ordinanza 5 giugno 1979, n. 896, G. U. 6 febbraio 1980, 

n. 36. 
d.P.R. 23 gennai�o 1973, n. 43, art. 334 (artt. 3 e 25 della Costituzione). 
Tribunale di Bolzano, ordinanza 13 novembre 1979, n. 986, G. U. 27 febbraio 
1980, n. 57. 
Tribunale di Rovigo, ordinanza 31 maggio 1979, n. 790, G. U. 9 gennaio 1980, 

n. 8. 
legge �30 luglio 1973, n. 477, art. 17 (artt. 3 e 97 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 16 maggio 1979, 

n. 913, G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599 (artt. 3, 35 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado, ordinanza 9 maggio 1979, n. 991, 
G. U. 27 febbraio 1980, n. 57. 
Commissione tributaria di primo grado di Larino, ordinanze (tre) 30 giugno 
e 9 maggio 1979, nn. 946, 947 e 948, G.U. 27 febbraio 1980, n. 57. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, art. 1 (artt. 3, 35, primo comma, e 53, primo 
comma, della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Biella, ordinanza 15 novembre 
1978, n. 765/1979, G. U. 9 gennaio 1980, n. 8. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, art. 1, comma primo, lettera a) (artt. 3, 
35, comma primo, e 53, comma primo, della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Bolzano, ordinanza 23 maggio 
1979, n. 899, G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. 

d�PJR. 29 sette�mbre 1973, n. 599, art+. 1 e 7 (artt. 3, 35 e 53 della Costi� 
tuzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Lodi, ordinanze (due) 9 maggio 
1979, nn. 806 e 807, G. U. 9 gennaio 1980, n. 8. 
Commissione tributaria di primo grado di Trieste, ordinanza 7 novem� 
bre 1977, n. 840/1979, G. U. 23 gennaio 1980, n. 22. 
Commissione tributaria di secondo grado di Torino, ordinanza 21 giugno 
1979, n. 905, G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. 


14 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, artt. 1, primo comma, lettera a) e 7, 
primo, secondo e quarto comma (artt. 3, 35, primo comma, e 53, primo comma, 
della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Brescia, ordinanza 17 marzo 1979, 

n. 816, G. U. 16 gennaio 1980, n. 15. 
d.P.IJ. 29 settembre 1973, n. 599, art. 4, comma terzo e art. 6, comma 
quinto (art. 75 della Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Milano, ordinanza 28 settembre 
1978, n. 861/1979, G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. 

d.P.R. 2'9 settembre 1973, n. 599, art. 7, comma primo e secondo (art. 53, 
comma primo, della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Bolzano, ordinanza 23 maggio 
1979, n. 899, G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 10, lettera f) (artt. 3 e 32 della 
Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Venezia, ordinanza 11 maggio 
1979, n. 815, G. U. 16 gennaio 1980, n. 15. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 10, letera f) (artt. 77, 32 e 3 della 
Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Bassano del Grappa, ordinanza 
30 aprile 1979, n. 808, G. U. 16 gennaio 1980, n. 15. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 34 (art. 3 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado, ordinanza 3 luglio 1979, n. 793, 

G. U. 9 gennaio 1980, n. 8. 
d.I. 1� ottobre 1973, n. 580, artt. 12, c�omma primo, 2 e 3 [conv. in legge 
1973, n. 7761 (artt. 2 e 36 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 15 novembre 
1978, n. 760/1979, G. U. 9 gennaio 1980, n. 8. 

legge 18 dicembre 1973, n. 877 (artt. 70, 72 e 73 della Costituzione). 

Pretore di Treviglio, ordinanza 20 giugno 1979, n. 788, G. U. 9 gennaio 1980, 

n. 
8. 
Pretore di Pieve di Cadore, ordinanza 19 settembre 1979, n. 852, G. U. 23 gennaio 
1980, n. 22. 
Pretore di Monsummano Terme, ordinanza 5 novembre 1979, n. 961, 

G.U. 27 febbraio 1980, n. 57. 
d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 86, primo comma (art. 3 della 
Costituzione). 
Corte dei Conti, sezione III giurisdizionale, ordinanza 17 marzo 1978, 

n. 837/1979, G. U. 23 gennaio 1980, n. 22. 

PARTE II, LEGISLAZIONE 

d.P.R. 31 maggio 1'974, n. 417, art. 92, sesto comma (artt. 3, primo comma, 
e 98, primo comma, della Costituzione). 
Consiglio nazionale dei geometri, ordinanza 14 giugno 1979, n. 782, G. U. 9 gennaio 
1980, n. 8. 

legge 14 agosto 1974, n. 39 (artt. 3 e 97 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 16 maggio 1979, 

n. 913, G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. 
legge reg. Lazio 17 agosto 1974, n. 41, artt. 4, 8 e 13 (artt. 117 e 97 della 
Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 1� febbraio 1978, 

n. 812/1979, G. U. 16 gennaio 1980, n. 15. 
legge reg. Lombardia 19 agosto 1974, art. 14 (art. 117 della Costituzione). 

Tribunale di Vigevano, ordinanze (due) nn. 884 e 885/1979, G. U. 6 febbraio 
1980, n. 36. 

legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Mondov�, ordinanza 26 luglio 1979, n. 780, G. U. 9 gennaio 1980, 

n. 8. 
legge 18 aprile 1975, n. 1'10, art. 2, ~omma terzo (artt. 3, 25, comma secondo, 
e 70 della Costituzione). 

Tribunale di Ivrea, ordinanza 6 novembre 1979, n. 1000, G. U. 27 febbraio 
1980, n. 57). 

legge 18 aprile 1975, n. 11 O, art. 2, terzo comma (art. 25, secondo comma, 
della Costituzione). 

Tribunale di Venezia, ordinanza 23 luglio 1979, n. 873, G. U. 6 febbraio 1980, 

n. 36. 
legge 18 aprile 1975, n. 11 O, art. 2, comma terzo (artt. 25 cpv. e 70 della 
Costituzione). 

Tribunale di Napoli, ordinanza 26 settembre 1979, n. 901, G. U. 13 febbraio 
1980, n. 43. 

legge 22 maggio 1975, n. 152, art. 19, primo comma (art. 3 della Costituzione). 


Pretore di Trapani, ordinanza 4 ottobre 1979, n. 877, G. U. 6 febbraio 1980, 

n. 36. 
�legge 3 giugno 1975, n. 160, artt. 2 e 9, ultimo comma (artt. 3 e 28 della 
Costituzione). 

Tribunale di Lecce, ordinanza 2 novembre 1978, n. 821/1979, G. U. 16 gennaio 
1980, n. 15. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 31 luglio 1975, n. 363, art. 1 (artt. 3 e 31 della Costituzione). 

Pretore di Genova, ordinanza 12 maggio 1978, n. 803/1979, G. U. 9 gennaio 
1980, n. 8. 

legge reg. Lazio 2 dicembre 1975, n. 79, art. 1 (artt. 76 e 117 della 
Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanze (tre) 7 giugno 1979, nn. 915, 916 e 917, 

G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. 
d.P.R. 3 gennaio 1976, n. 28, artt. 1, 2, 3, 4 e 5 (artt. 77, 3 e 53 della 
Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 7 dicembre 1977, 

n. 794, G. U. 9 gennaio 1980, n. 8. 
legge 30 aprile 1976, 'n. 1159, art. 2 [mod. da legge, 8 ottobre 1976, n. 689, 
art. 3] (art. 24, comma secondo, della Costituzione). 

Corte d'appello di Cagliari, ordinanza 20 settembre 1979, n. 833, G. U. 16 gennaio 
1980, n. 15. 

legge 30 aprile 1976, n. 385, art. 2 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Tribunale di Cremona, ordinanza 27 aprile 1976, n. 801, G. U. 9 gennaio 1980, 

n. 8. 
legge 5 maggio 1976, n. 313, art. 5 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Palmanova, ordinanza 17 maggio 1979, n. 773, G. U. 9 gennaio 1980, 


n. 8. 
Pretore di Grumello del Monte, ordinanze (due) 5 giugno 1979, nn. 784 e 785, 

G. U. 9 gennaio 1980, n. 8. 
Pretore di Macerata, ordinanza 27 settembre 1979, n. 814, G. U. 16 gennaio 
1980, n. 15. 
Pretore di Ivrea, ordinanza 27 settembre 1979, n. 820, G.U. 16 gennaio 
1980, n. 15. 
Pretore di Grumello del Monte, ordinanze (sei) 31 luglio e 6 giugno 1979, 
nn. 
853, 854, 855, 856, 857 e 858, G. U. 23 gennaio 1980, n. 22. 
Pretore di Catania, ordinanza 19 ottobre 1979, n. 936, G. U. 20 febbraio 1980, 

n. 
50. 
Pretore di Vigevano, ordinanza 6 novembre 1979, n. 955, G. U. 27 febbraio 1980, 
n. 57. 
legge 5 maggio 1976, n. 313, art. 5, c:�omma primo (art. 3, comma primo, della 
Costituzione). 

Pretore di Camposampiero, ordinanza 16 ottobre 1979, n. 902, G. U. 13 febbraio 
1980, n. 43. 

legge 10 maggio 1976, n. 319, art. 10 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Empoli, ordinanza 9 ottobre 1979, n. 860, G. U. 30 gennaio 1980, 

n. 29. 
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PARTE II, LEGISLAZIONE 

legge 10 maggio 1976, n. 319, art. 25, primo comma (artt. 25, secondo 
comma e 27, primo comma, della Costituzione). 

Tribunale di Vigevano, ordinanze (due) nn. 884 e 885/1979, G. U. 6 febbraio 
1980, n. 36. 

Legge 22 maggio '1976, n. 349, art. 1 (artt. 3 e 31 della Costituzione). 

Pretore di Genova, ordinanza 12 maggio 1978, n. 803, G. U. 8 gennaio 1980, n. 8. 

d.P.R. 26 maggio 1976, n. 411, artt. 35 e 43 (art. 76 della Costituzione). 
T.A.R. del Lazio, ordinanze (cinque) 20 dicembre 1978, nn. 976, 977, 978, 979 
e 980/1979, G. U. 27 febbraio 1980, n. 57. 
legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 1 (artt. 3, 31 e 53 della Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Biella, ordinanze (cinque) 29 novembre 
1978, nn. 766, 767, 768, 769 e 770/1979, G. U. 9 gennaio 1980, n. 8. 

legge 1~ novembre 1976, n. 751, art. 1, ultimo comma (artt. 2, 3, 29, 31, 53 
della Costituzione). 

Commissione tributaria di secondo grado di Imperia, ordinanza 17 maggio 
1979, n. 952, G. U. 20 febbraio 1980, n. 50. 

legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 1, ultimo comma (artt. 3, 29, 31 e 53 
della Costituzione). 

Commissione tributaria di 1� grado di Torino, ordinanza 15 giugno 1977, 

n. 949, G. U. 20 febbraio 1980, n. 50. 
legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 1, ultimo comma (artt. 3, 29, 31, 53 
e 136 della Costituzione). 

Commissione tributaria di secondo grado di Alessandria, ordinanza 23 giugno 
1979, n. 792, G. U. 9 gennaio 1980, n. 8. 
Commissione tributaria di primo grado di Firenze, ordinanza 26 gennaio 
1979, n. 935, G. U. 20 febbraio 1980, n. 50. 

legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 1, ultimo comma (artt. 3, 31, 53 della 
Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Biella, ordinanza 29 aprile 1978, 

n. 813, G. U. 16 gennaio 1980, n. 15. 
legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 1 e 3, ultimo comma (artt. 3, 29, 31 e 
53 della Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Trieste, ordinanza 20 marzo 1978, 
n 839/1979, G. U. 23 gennaio 1980, n. 22. 

d.�I. 10 d'icembre 1976, n. 798, art. 1, terzo� comma lmodif. da legge 18 feb� 
braio 1977, n. 16) (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Commissione tributaria di secondo grado di Avellino, ordinanza 16 giugno 
1979, n. 786, G. U. 9 gennaio 1980, n. 8. 


18 

RASSEGNA DELL'AVVO<::ATURA DELLO STATO 

d.-1. 23 dicembre 1976, n. 852, art. 7, secondo comma (conv. in le99e 21 feb� 
braio 1977, n. 31) (art. 3 della Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Bolzano, ordinanza 2 febbraio 
1979, n. 898, G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. 

le99e 2,8 9e1tna�io �1977, n. 1O, art. 14 (artt. 3 e 42, comma terzo, della 
Costituzione). 

Corte d'appello di Genova, ordinanza 10 maggio 1979, n. 798, G. U. 16 gennaio 
1980, n. 15. 
Corte d'appello di Brescia, ordinanza 17 gennaio 1979, n. 914, G. u. 13 febbraio 
1980, n. 43. 
Corte d'appello di Genova, ordinanza 11 maggio 1979, n. 920, G. u. 13 febbraio 
1980, n. 45. 

le99e re9. Valle d'Aosta 1� aprile 1977, n. 18, artt. 1, 2, comma primo, 
e 5, comma primo (artt. 116, 16 e 42 della Costituzione). 

Pretore di Aosta, ordinanza 4 aprile 1979, n. 879, G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. 

letj9e 8 afjosto 1977, n. 513, art. 27 (modif. da le99e 5 afjosto 1978, n. 457, 
art. 52) (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di L'Aquila, ordinanza 11 aprile 1979, n. 875, G. U. 6 febbraio 
1980, n. 36. 

le99e 8 atJosto 1977, n. 513, artt. 27, secondo comma, e 28 (art. 3 della 
Costituzione). 

Tribunale di Teramo, ordinanze (tre) 3 febbraio 1979, nn. 890, 891 e 892, 

G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. 
le99e 8 afjosto 1977, n. 513, art. 28 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Milano, ordinanza 4 ottobre 1979, n. 900, G. U. 6 febbraio 1980, 

n. 36. 
le99e 16 dicembre 1977, n. 904, art. 8 (art. 3 e 53, comma primo, della 
Costituzione). 

Commissione tributaria di secondo grado di Gorizia, ordinanza 28 novembre 
1978, n. 963/1979, G. U. 20 febbraio 1980, n. 50. 

le99e 1� febbraio 197>8, n. 30 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Pistoia, ordinanza 17 ottobre 1979, n. 921, G. U. 13 febbraio 1980, 

n. 43. 
letj9e 22 ma99io 1978, n. 184, art. 22, terzo comma (art. 3, primo comma, 
della Costituzione). 

Tribunale di Genova, ordinanza 12 dicembre 1978, n. 862, G. U. 6 febbraio 
1980, n. 36. 



PARTE II, LEGISLAZIONE 

legge 22 maggio 1978, n. 194, artt. 4, 5, 6, lettera a), 8, ultimo comma, 
22, terzo comma (artt. 2, 3, secondo comma, 29, secondo comma, 31, secondo 
comma, 37, primo comma, della Costituzione). 

Tribunale di l'.irenze, ordinanza 5 ottobre 197~, n. 959/1979, G. U. 27 feb� 
braio 1980, n. 57. 

legge 22 maggio 1978, n. 194, art. 22, terzo comma (art. 3, primo comma, 
della Costituzione). 

Tribunale di Firenze, ordinanza 5 ottobre 1978, n. 959/1979, G. U. 27 febbraio 
1980, n. 57. 

legge 27 lugUo 1978, n. 392, artt. 1, '12, 13 (art. 3 della Costituzione). 

Giudice conciliatore di Mantova, ordinanza 22 settembre 1979, n. 838, G. U. 
23 gennaio 1980, n. 22. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 12, primo comma (artt. 3, 41, 42 e 47 della 
Costituzione). 

Giudice conciliatore di Cagliari, ordinanza 25 luglio 1979, n. 797, G. U. 9 gennaio 
1980, n. 8. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 55 (artt. 3 e �24 della Costit�zione). 

Pretore di Lodi, ordinanza 10 aprile 1979, n. 907, G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 59 {art. 3 della Costituzione). 

Giudice conciliatore di Genova, Bolzaneto, ordinanza 18 luglio 1979, n. 781, 

G. 
U. 9 gennaio 1980, n. 8. 
Giudice conciliatore di Bitonto, ordinanza 13 luglio 1979, n. 805, G. U. 16 gen� 
naio 1980, n. 15. 
Giudice conciliatore di Gorizia, ordinanza 29 settembre 1979, n. 864, G. U. 
6 febbraio 1980, n. 36. 
Giudice conciliatore di Gorizi�, ordinanza, 27 ottobre 1979, n. 919, G. U. 
13 febbraio 1980,' n. 43. 
Pretore di Potenza, ordinanza 19 ottobre 1979, n. 931, G. U. 20 febbraio 
1980, n. SO. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 59, n. 4 e 61 (art. 3 della Costituzione) . 

. Giudice conciliatore di Grotte, ordinanza 21 maggio 1979, n. 809, G. U. 
16 gennaio 1980, n. 15. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 59, 58 e 65 (art. 3 e 42 della Costi. 
tuzione). 

Pretore di Cagliari, ordinanza 5 luglio 1979, n. 779, G. U. 9 gennaio 1980 n. 8, 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 59 e 65 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Atessa, ordinanza 26 luglio 1979, n. 804, G. U. 16 gennaio 1980, 

n. 15. 

20 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Giudice conciliatore di Salsomaggiore Terme, ordinanza 30 luglio 1979, n. 874, 

G. 
U. 6 febbraio 1980, n. 36. 
Giudi.ce conciliatore di Cinisello Balsamo, ordinanza 18 giugno 1979, n. 912, 
G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 59 e 65 (artt. 3 e 42 della Costituzione). 

Giudice conciliatore di Cologno Monzese, ordinanza 20 giugno 1979, n. 927, 

G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 65 (art. 3 della Costituzione). 

Giudice conciliatore di Prato, ordinanza 3 ottobre 1979, n. 863, G. U. 6 febbraio 
1980, n. 36. 

Giudice conciliatore di Monte Sant'Angelo, ordinanza 27 aprile 1979, n. 894, 

G. U. 6 febbraio 1980, n. 36. 
Giudice conciliatore di Parma, ordinanza 24 ottobre 1979, n. 910, G. U. 20 febbraio 
1980, n. 50. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 65 (artt. 3, 41, 42 e 47 della Costituzione). 

Giudice conciliatore di Caltanissetta, ordinanza 19 ottobre 1979, n. 881, G. U. 
13 febbraio 1980, n. 43. 

legge 27 luglio ,1978, n. 392, art. 65, primo e secondo comma .<artt. 3 e 42 
della Costituzione). 

Giudice conciliatore di Manfredonia, ordinanza 25 giugno 1979, n. 771, G. U. 
9 gennaio 1980, n. 8. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 67 e 27 (artt. �3, 41 e 35 della Costituzione). 


Pretore di Serracapriola, ordinanza 1� ottobre 1979, n. 818, G. U. 16 gennaio 
1980, n. 15. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 82 (art: 3 della Costituzione). 
Pretore di Milano, ordinanza 13 novembre 1978, n. 911/1979, G. U. 13 feb� 


braio 1980, n. 43. 

d.I. 
30 gennaio 1979, n. 21, art. 2, n. 4 [conv. in legge 31 marzo 1979, 
n. 93] (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Genova, ordinanza 28 giugno 1979, n. 802, G. U. 9 gennaio 
1980, n. 8. 

legge reg. Lombardia appr. il 25 febbraio 1979 e riappr. il 22 novembre 
1979 (art. 133 della Costituzione). 

Presidente del Consiglio dei ministri, ricorso 29 dicembre 1979, n. 25, G. U. 
16 gennaio 1980, n. 15. 

PARTE II, LEGISLAZIONE 

d.I. 29 maggio 1979, n. 163, art. 57, secondo comma (artt. 3, cpv, 24, primo 
comma, e 28 della Costituzione). 
Pretore d� Torino, ordinanza (due) 19 e 20 giugno 1979, nn. 924 e 925, G. U. 
13 febbraio 1980, n. 43. 

legge 13 agosto 1979, n. 374, art. 1 (artt. 3, 24, 77 e 113 della Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 2 ottobre 1979, n. 888, G.U. 6 febbraio 1980, n. 36. 

legge reg. Trentino-Alto Adige riappr. il 4 dicembre 1979, (artt. 3, 4, 41 e 
97 della Costituzione). 

Presidente del Consiglio dei Ministri, ricorso 29 dicembre 1979, n. 26, G. U. 
16 gennaio 1980, n. 15. 

d.I. 30 dicembre 1979, n. 662, art. 2 (artt. 4, 5, n. l, 65 dello Statuto speciale 
per il Trenti:J;lo-Alto Adige). 
Presidente della giunta region!ile del Trentino-Alto Adige, ricorso 6 febbraio 
1980, n. 1, G. U. 13 febbraio 1980, n. 43. 

d.I. 30 dicembre 1979, n. 663 (art. 5, 115, 117, 118, 119 e 123 della Costituzione). 
Presidente giunta regionale del Veneto, ricorso 11 febbraio 1980, n. 2, G. U. 
20 febbraio 1980, n. 50. 

d.I. 30 dicembre 1979, n. 684, art. 3 (artt. 24, 113, 1�7 e 118 della Costituzione). 
Presidente giunta regionale dell'Abruzzo, ricorso 13. febbraio 1980, n. 3, 

G. U. 20 febbraio 1980, n.. 50. 

CONSULTAZIONI 
AERONAUTICA E AEROMOBILI 
Navigazione aerea -Diritti aeroportuali partenza � Approdo � Ricovero � AgevoCONSULTAZIONI 
AERONAUTICA E AEROMOBILI 
Navigazione aerea -Diritti aeroportuali partenza � Approdo � Ricovero � Agevolazioni 
previste per gli aeromobili da turismo � Abrogazione -Configurabilit� 
(L. 9 gennaio 1956, n. 24 -legge 5 maggio 1976, n. 324 -Cod. nav. 
art. 842). 

Se l'esenzione dal pagamento dei diritti aeroportuali, stabilita per gli aeromobili 
da turismo di costruzione nazionale dall'art. 842 cod. nav., sia rimasta 
in vigore dopo la nuova regolamentazione dei diritti d'uso degli aeroporti aperti 
al traffico civile contenuta nella legge 9 gennaio 1956 n. 24 (n. 33). 

AGRICOLTURA 

Imposta di fabbricazione � Carburante agevolato per l'agricoltura -Cooperative 
agricole � Limiti di utilizzazione (legge 31 gennaio 1962 n. 1852,. art. 5, 
terzo comma, e.e. artt. 2135, 2511, 2516, 2517, D.M. 6 agosto 1963, art. 13, 
settimo �comma). . 

Se sia legittimo l'uso del carburante agevolato per l'agricoltura da parte 
delle cooperative agricole per l'esercizio delle macchine adibite all'immagazzinamento 
ed alla conservazione dei prodotti anche quando tali cooperative 
esercitino attivit� di trasformazione e alienazione dei prodotti agricoli dei 
propri soci (n. 94). 

APPALTO 

Contratto per la costruzione di una gru mobile su binari infissi nella banchina 
di un arsenale militare marittimo -Natura Revisione dei prezzi -Disciplina 
(legge 22 febbraio 1973 n. 37 art. 2). 

Se il contratto per la costruzione e la messa in opera di una gru mobile, 
destinata a scorrere su appositi binari infissi in una banchina dell'arsenale 
militare marittimo, possa qualificarsi come appalto di opera pubblica ai fini 
dell'applicabilit� della relativa normativa ed in particolare dell'art. 2 della 
legge 22 febbraio 1973 n. 37 sull'inefficacia delle clausole che escludono la revisione 
dei prezzi (n. 427). 

Contratto per la costruzione di una nave o per l'�secuzione di lavori nella. 
medesima -Natura � Revisione prezzi -Disciplina (legge 22 febbraio 1973 

n. 37 art. 2). 
Se il contratto per la costruzione di una nave o per l'esecuzione di opere 
sulla medesima possa qualificarsi come appalto di opera pubblica ai fini dell'applicabilit� 
della relativa normativa ed in particolare dell'art. 2 della legge 
2i febbraio 1973 n. 37 sull'inefficacia delle clausole che escludono la revisione 
dei prezzi (n. 426). 

! 



PARTE II, CONSULTAZIONI 21 

ASSICURAZIONE 

Demanio artistico -Rischio di incendio o di furto -Assicurazione -Ammissibilit� 
(Codice civile 1904). 

Se sia consentito allo Stato stipulare un contratto di assicurazione contro 
rischi dell'incendio e del furto di beni del demanio artistico (n. 103). 

AUTOVEICOLI 

Esercizio di funzioni di polizia da parte del privato cittadino -Danni sopportati 
in tali circostanze -Risarcibilit� (e.e. 2041, 2043, c.p.p. 242). 

Se i danni sopportati dal privato cittadino nel corso di una sua spontanea 
collaborazione con le forze dell'ordine (o di una sua sostituzione a que�le, 
momentaneamente assenti) debbano essere risarciti dall'amministrazione � a 
titolo di responsabilit� aquiliana o se configurino invece un indebito arricchimento 
dell'amministrazione stessa (n. 85). � 

BONIFICA 

Consorzio di bonifica -Contributi -Per servit� telegrafica (r.d. 13 febbraio 1933 

n. 215, �artt. 10 e 11). 
Se l'amministrazione postale sia tenuta, in quanto titolare di diritti di 
servit� sui terreni attraversati da linea telegrafica, al pagamento dei contributi 
consortili spettanti al consorzio di bonifica di tali terreni (n. 15). 

COMUNI E PROVINCE 

Comuni e provincie -Mutui -Autorizzazioni e approvazioni -Organi competenti 

(d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 638, art. 15; legge 12 novembre 1971 n. 952, art. 2; 
r_.d. 3 marzo 1934 n. 383, artt. 299 e 332; legge 10 febbraio 1953 n. 62 art. 60). 
Quali siano gli organi competenti ad approvare o autorizzare i mutui 
contratti da comuni e province, in particolare quelli assunti da enti deficitari. 

Lavoro subordinato -Trattamento del prestatore di .lavoro investito di funzioni 
pubbliche elettive -Partecipazione a riunioni di consigli comunali o 
provinciali -Assenza dal lavoro -�Retribuzione (legge 20 maggio 1970 n. 300, 
art. 32). 

Se il tempo strettamente necessario all'espletamento del mandato, del 
quale i consiglier-i comunali hanno diritto di� disporre senza decurtazione della 
retribuzione, sia solo quello occorrente per la partecipazione alle riunioni 
ordinarie e straordinarie del consiglio (Ii. 176). 

CONCORSI 

Impiego pubblico -Concorso per esami -Ammissibilit� di candidato non vedente 
-Costituzione (art. l, t.u. 10 gennaio 1957 n. 3, art. 2, secondo comma, 
legge 3 febbraio 1975 n. 18, art. 1). 

Se sia legittima la partecipazione ad un pubblico concorso di persone 
affette da totale cecit�. (n. 21). 

20 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CONTABILiTA' GENERALE DELLO STATO 

Associazione nazionale controllo combustione -Corrispettivo servizi espletati Ritardo 
nel pagamento da parte di P.A. -Indennit� di mora. -Applicabilit� 
(legge 25 luglio 1941 n. 1041, art. 6, r.d. 18 novembre 1923 n. 2440 
art. 54). 

Se il ritardo di una pubblica amministrazione nel pagamento delle somme 
dovute all'associazione nazionale per il controllo della combustione in dipendenza 
del servizio di controllo sugli impianti da detta associazione espletato, 
comporti per ci� solo l'applicazione della indennit� di mora quand'anche il 
ritardo consegua alla necessit� di . rispettare gli adempimenti� della legge di contabilit� 
(n. 344). � 

CONTRIBUTI� E FINANZIAMENTI 

Edilizia scolastica -Contributi statali per scuole materne -Riscatto anticipato 
(legge 24 luglio 1962 n. 1073 art. 15). 

Se gli enti che per la costruzione di edifici per scuole materne abbiano 
usufruito del contributo statale previsto dall'art. 15 legge 24 luglio 1962 n. 1073 
possano esercitare il riscatto anticipatamente, anzich� in rate ventennali e 
conseguentemente acquisire subito la quota di compropriet� spettante allo 
Stato (n. 126). 

COOPERATIVE 

Cooperative -Ispezioni ordinarie delle associazioni nazionali -Contributi . 
Riscossione coattiva (legg(! 17 febbraio 1971 n. 127 art. 15, d.l.c.p.s. 14 dicenz� 
bre 1947 n. 1577 art. 2, secondo comma, t.u. 14 aprile 1910 n. 639 art. 31). 

Se per la riscossione dei contributi di cui all'art. 15 legge 17 febbraio 1971 

n. 127 posti a carico delle cooperative per le spese relative alle ispezioni ord�� 
narie previste dall'art. 2, secondo comma del d.l.c.p.s. 14 dicembre 1947 n. 1577 
possa procedersi nelle forme per la riscossione delle entrate patrimoniali 
dello Stato e dei tributi indiretti stabilite .dal t.u. 14 aprile 1910 n. 639 (n. 15). 
Imposta .di fabbricazione -Carburante agevolato per l'agricoltura -Cooperative 
agricole � Limiti di utilizzazione � legge 31 dicembre 1962 n. 1852, art. 5, 
terzo comma, e.e~ artt. 2135, 2511, 2516, 2517, d.m. 6 agosto 1963, art. 13, 
settimo comma. 

Se sia legittimo l'uso del carburante agevolato per l'agricoltura da parte 
delle cooperative agricole per l'esercizio delle macchine adibite all'immagazzi� 
namento ed alla conservazione dei prodotti� anche qu�ndo tali cooperative esercitino 
attivit� di trasformazione e alienazione dei prodotti agri~oli de� propri 
soci (n. 14): 

DANNI 

Manifestazioni e tumulti -Danneggiamenti e furti � Mancato intervento della 
polizia -Responsabilit� (e.e. art. 2043, r.d. 18 giugno 1931 n. 773, art. 1. 

Se sia configurabile una responsabilit� aquiliana della P.A. per inadeguato 
mantenimento dell'ordine pubblico (n. 16). 


PARTE II, CONSULTAZIONI 

DEMANIO 

Demanio. artistico -Rischio di incendio o di furto -Assicurazione -Ammissi. 
)ilit� (codic:;e civile 1904). . 
Se sia consentito allo Stato stipulare un contratto di assicurazione contro 
rischi dell'incendi� e del furto di beni del demanio artistico (n. 292). 

Ed~feci pub1Jlici -�difici .scolastici -Abbellime,;_to con opere d'arte -Abolizio11e 
del relativo obbligo -Eseguibilit� di opere d'arte gi� progettate {legge 29 luglio 
1949 n. 717, art. 1; legge 5 agosto 1975 n. 412, art. 9. 

Se, dopo l'entrata in vigore della legge 5 agosto 1975 n. 412 che, relativamente 
all� opere di edilizia scolastica ha abrogato l'obbligo di abbellimento 
di edifici pubblici, possa ugualmente disporsi l'esecuzione di opere d'arte gi� 
progettate a sensi dell'art. 1 della legge 29 luglio 1949 (n. 291). � 

ENn E BENI ECCLESIASTICI 

Imposta sulle societ� -Enti morali -Esenzione -Limiti (d.P.R. 29 gennaio 1958, 

n. 645 art. 151). 
Se, relativamente agli enti morali, l'esenzione dall'imposta sulle societ� 
spetti solo se le attivit� in astratto imponibili siano riferibili ad aziende in~ 
dust�iali o commerciali che non abbiano alcuna autonomia strutturale o di 
bil�i�ncio rispetto all'ente morale medesimo e non costituiscono una fonte meramente' 
indiretta di reddito (n, 53). 

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA' 

Espropriazione p~r pubblica utilit� -Industrializzazione del. Mezzogiorno 


�Espropriazione a favore di privati -Criteri di determinazione dell'indennit� 
(legge 6 ottobre 1971 n. 853, art. 15; d.P.R. 6 ottobre 19(J7 n. 1523, art. 147; 
legge 15 gennaio 1885 n. 282, art. 12; legge 22 ottobre 1971 n. 865, art. 16 e 
17; legge 27 giugno 1974 n. 247). 

Se alle espropriazioni promosse da privati per la realizzazione di opifici 
industriali nel Mezzogiorno si applicano i criteri di determinazione dell'indennit� 
stabiliti dalla legge 22 ottobre 1971 n. 865 (ed estesi dalla legge 27 giugno 
1974 n. 247 alle espropriazioni in favore di enti pubblici), ovvero �quelli 
contenuti �nella legge per il risanamento di Napoli. � 

Espropriazione per pubblica utilit� -Opere da realizzarsi dalla cassa per il 
mezzogiorno in Sicilia -Competenza in ordine agli atti della procedura di 
occupazione d'urgenza e di espropriazione (legge 2 maggio 1976 n. 183; 
d.1'.R. 1 luglio 1977 n. 683 art. 1). 

Se, dopo l'entrata in vigore delle nuove norme di attuazione dello statuto 
della regiorie siciliana in materia di opere pubbliche (d.P.R. 1� luglio 1977 

n. 683), possano ritenersi di competenza del prefetto le . attribuzioni amministrative 
relative ai procedimenti di occ.pazione e di espropriazione per la realizzazione 
di opere pubbliche le quali, ancorch� non definite di prevalente 
interesse nazionale, siano per legge attribuite alla competenza statale (come 
. quelle ..di cui alla legge 2 maggio 1976, n. 183 sull'intervento straordinario nel 
Mezzogiorno (n. 478). 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

Espropriazione per pubblica utilit� -Opere statali nel territorio della provincia 
di Bolzano -Determinazione dell'indennit� -Applicabilit� di leggi 
provinciali (legge 25 giugno 1865 ri. 2359; legge 22 ottobre 1971 n. 865; legge 
27 giugno 1974 n. 247; legge prov. 20 agosto 1972 n. 15; l. prov. 7 ottobre 
1974 n. 15). 

Se alle espropriazioni promosse nell'ambito della provincia di Bolzano per 
l'esecuzione di opere pubbliche di competenza statale (nella specie: opere 
ferroviari) siano applicabili i criteri di determinazione dell'indennit� stabiliti 
nelle leggi provinciali 20 agosto 1972 n. 15 e 7 ottobre 1974 n. 15 (n. 476). 

FALLIMENTO 

Fallimento -Piano di riparto -Decreto di approvazione -Ricorso per cassazione 
-Ammissibilit� (r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 110). 

Se il decreto col quale il giudice delegato al fallimento approva e rende 
esecutivo il piano di riparto (anche parziale) sia suscettibile di ricorso per 
cassazione (n. 158). 

IDROCARBURI 

Imposta di fabbricazione -Carburante agevolato per l'agricoltura -Cooperative 
agricole -Limiti di utilizzazione (legge 31 dicembre 1962, n. 1852, 
art. 5, comma -e.e. articoli 2135, 2511, 2516, 2517 -d.m. 6 agosto 1963, 
art. 13, settimo comma). 

S~ sia legittimo l'uso del carburante agevolato per l'agricoltura da parte 
delle cooperative agricole per l'esercizio delle macchine adibite all'immagazzinaggio 
ed alla conservazione dei prodotti anche quando tali cooperative esercitino 
attivit� di trasformazione e alienazione dei prodotti agricoli dei propri 
soci (n. 12). 

Imposte di fabbricazione -Concessioni di impianti carburanti -Responsabilit� 
del gestore -Responsabilit� solidale del concessionario (d.l. 20 ottobre 1970 

n. 745 convertito con legge 18 dicembre 1970 n. 1034, art. 16 -d.P.R. 27 dicembre 
1971 .n. 1269, art. IO lett. h). 
Se la solidariet� fra titolari della concessione e titolari della gestione df 
impianto carburante sia limitata a quanto dovuto a titolo di imposta di 
fabbricazione o si estenda invece a qualsiasi obbligo derivante dalla gestione 
dell'impianto (n. 11). 

IMPIEGO PRIVATO 

Lavoro subordinato -Trattamento del prestatore di lavoro investito di funzioni 
pubbliche elettive -Partecipazione a riunioni di consigli comunali o provinciali 
-Assenza dal lavoro -Retribuzione (legge 2 maggio 1970, n. 300, 
art. 32). 

Se � il tempo strettamente necessario all'espletamento del mandato �, del 
quale i consiglieri comunali hanno diritto di disporre senza decurtazione della 
retribuzione, . sia solo quello occorrente per la partecipazione alle riunioni ordinarie 
e straordinarie del consiglio (n. 46). 


� PARTE II, CONSULTAZIONI 27 
IMPIEGO PUBBLICO 

Impiego pubblico -Concorso per esami -Ammissibilit� di candidato non vedente 
(costituzione art. 1 -t.u. 10 gennaio 1957 n. 3 art. 2, secondo comma legge 
3 febbraio 1975 n. 18 art. 1). 

Se sia legittima la partecipazione ad un pubblico concorso di persone affette 
da totale cecit� (n. 885). 

Lavoro subordinato -Trattamento del prestatore di lavoro investito di funzioni 
pubbliche elettive -Partecipazione a riunioni di consigli comunali 

o provinciali -Assenza dal lavoro -Retribuzione (legge 20 maggio 1970 
n. 300, art. 32). 
Se � il tempo strettamente necessario all'espletamento del mandato �, del 
quale i consiglieri comunali hanno diritto di disporre senza decurtazione 
della retribuzione, sia solo quello occorrente per la partecipazione alle riunio:
hl otdin�rie�e straordinarie �del consiglio (n. 886). 

Oper� pubbliche -Direzione lavori e collau.do di opere in cemento armato e 
a struttura metallica -Ufficiali del genio militare -Equiparabilit� agli inge. 
gneri ed architetti (legge 5 novembre 1971 n. 1086, art. 2). 

�Se l'art. 2 della legge 5 novembre 1971, n. 1086 consenta di affidare ad 
ufficiali del geni� militare, che non siano. in possesso di laurea in ingegneria o 
architettura, la direzione dei lavori e il collaudo statico di opere di conglomerato 
cementizio armato ed a struttura metallica eseguite per conto dello Stato (n: 883). 

Universit� -Concorsi per assistente universitario -Limiti di et� per l'ammissione 
-Configurabilit� (r.d.l. 20 giugno 1935 n. 1071, art. 12 -d.P.R. 10 gennaio 
1957 n. 3, art. 2 -d.leg. 7 maggio 1948 n. 1172, art. 4 -legge 24. giugno 1950, 

n. 465). 
Se �esista un limite di et� per l'ammissione ai concorsi di assistente 
universitario (n. 884). 

IMPOSTA GENERALE SULL'ENTRATA 

Violazioni tributarie -Pena pecuniaria per comportamento conforme a legge 
regionale derogatrice di quella statuale e dichiarata incostituzionale (d.l.l. 
19 ottobre 1944, n. 348, art. 10; l. reg. Sicilia 30 giugno 1956, n. 40; d.l. 9 gennaio 
1940, n. 2 conv. in legge 19 giugno 1940 n. 762, art. 30). 

Se possa ritenersi sussistente la violazione tributaria e applicabile la inerente 
sanzione pecuniaria quando il comportamento del contribuente non conforme 
alla disciplina statuale del tributo sia stato invece adeguato a norma


. tiva regionale poi dichiarata costituzionalmente illegittima (nella specie era 
stato �messo il pagamento di Ige su scambi che i decreti accessoriali della 
regione siciliana 16 maggio 1960, n. 424 e 18 febbraio 1961 n. 336 emanati ai 
sensi della legge regionale 30 giugno 1956, n. 40 non consideravano, difformemente 
dall'art. 10 d.IJ. 19 ottobre 1944 n. 348 come atti di immissione in consumo 
(n. 183). 


28 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

IMPOSTE DI FABBRICAZIONE 

Imposta fabbricazione oli minerali � Revoca autorizzazione e rilascio. certif.i� 
cati di� provenienza per illeciti .commessi .4a rappresentante di societ� � 
Concedibilit� dell'autorizzazione e nuovo rappresentante (d.l. 5 maggio .'1957, 

n. 271 conv, in legge 2 luglio 1957 n. 474 art. 6). 
Se possa rilasciarsi l'autorizzazione iid emettere i �eertificati � di' .provenienza 
al. nuovo rappresentante di una societ� concessionaria di depositi di 
oli. minerali, al cui precedente rappresentante sia stata revocata, per illecito 
commesso, tale licenza, quando non sia stata revocata o sospesa rief corifroriti 
della societ� la �licenza di gestiOne (n; 35). � � 

Imposta fabbricazione oli minerali � Societ� titolare di licenza di deposito 
revocata � Nuovo rappresentante � Rilascio di nuova licenza (d.l. 5 mai:gio 
1957, n. 271 conv. in legge 2 luglio 1957, n. 474 art. 3). � 

Se la societ� concessionaria di depositi di � oli minerali la quale sostituisce 
il precedente rappresentante condannato per reati commessi nella gestione 
del deposito possa ottenere una nuova licenza prima che siano decorsi cinque 
anni dalla revoca, conseguita a quella condanna; della v�cchia licen:i:a � (n.� 37)', 

Impost� di fabbricazione oli minerali � Titola~e di pluralit� di licenze di �depositi 
� Revoca per violai.ioni compiute nell'esercizio di un sol� deposito 

(d.l. 5 maggio 1957 n. 271 conv. in legge 2 luglio 1957, n. 474, art. 3): '' 
Se la condanna per violazioni compiute nella gestione di un solo depc;>sito 
di oli minerali da un concessionario titolare anche di licenza per altri depositi 
comporti la revoca di tutte le licenze (n. 36). 

� .. �. 
IMPOSTE DI~ETTE 

Imposta sulle societ� -Enti morali � Esenzione � Limiti (d;P.R. 29 gennaio' 1958, 

n. 645 art. 151). 
I 

Se, relativamente agli enti morali, l'esenzione dall'imposta sulle societ� 
spetti soio se le attivit� in astratto imponibili siano riferibili .ad aziende industriali 
o commerciali che non abbiano alcuna autonomia strutturale' o di 
bilancio rispetto all'ente morale medesimo e non costituiscono una fonte 
meramente indiretta di reddho . (n. ~9). 

Imposte dirette sui redditi.� Cartella di pagamento � Notifica (legge 29 set� 
tembre 1973, n. 602 art. 26 � legge 29 settembre 1973, n. 600 art. 60 -art. 142 

c.p.c. � .art. 143 c.p.c.) 
Se per la notifica della cartella di pagamento di -in1Poste dirette sui redditi 
sia consentita, quando essa avviene mediante lettera raccomandata; la 
sottoscrizione del portiere sull'avviso di ricevimento; occorre la sottoscrizione 
del consegnatario quando costui non sia il destinatario� nell'atto o persona 
addetta alla casa o all'ufficio; si debba depositare l'atto nella casa comu:n.ale 
e affiggere l'avviso di deposito si tratti di destinatario non residente� n� dorrii� 
ciliato dimorante nella repubblica ovvero del quale siano riconosciuti la residenza, 
la dimora e il domicilio (n. 48) .. 

,..�_.,.,....�.�.�.�.�-�.�.-.-.-.-.�.�--.�.-.�.---.�.-.�.-.�.-.-.-.-.-.-.-.�.�--.�.�.-.�:.�.-.�.-.-.-.-.�.-.�.�.� --�------�-----�-------....-���-��.;-�� -----�""" ���"�"�"�:-'.'.�.'.�:�.� ������������.��������.�: 


PARTE 'II, CONSULTAZIONI 

Imposte sui redditi -No tifica atti -Affissione avviso a deposito� -Ambito �di 
applicazione (legge 29 settembre 1973, n. 600 art. 60, lett. c -art. 140 c.p.c. . 
art. 142 c.p.c. -art. 143 c.p.c.). 

Se la notificazione al contribuente deg�i avvisi ed atti iil materia di 
imposte dirette sui redditi secondo le modalit� stabilite dall'art. 60 lett. e) 
legge 29 settembre 1973, n. 600 deposito dell'atto nella casa comunale (affissione 
dell'avviso di deposito) si applichi �alla ipotesi di irreperibilit� del destinatario 
o incapacit� o rifiuto delle altre persone (art. 140 c.p.c.) di destinaiario 
non residente� n� dimorante n� domiciliato nella repubblica (art. 142 c.p.c.), 
di destinatario del quale sono riconosciuti la residenza, la misura e il domicilio 
(art.' 143 c.p.c.) (n_. 47). 

Imposte sui redditi -Notifica atti -Sottoscrizione del consegnatario ( d.P.R. 
29 settembre 1973 n. 600, art. 60, 1 comma lett. b) -art. 139 c.p~c.). 

Se per la . notificazione al contribuente degli avvisi ed atti in �nateria� di 
imposte dirette sui redditi la sottoscrizione del consegnatario' prevista dall'articolo 
60 primo comma lett. b) occorre anche nel caso di notifica a merci proprie 
del destinatario o delle persone di famiglia, addette alla casa, all'ufficio, 
all'azienda (n. 46). 

IMPOSTE E TASSE 

Imposta sulle societ� -Enti morali -Esenzione -Limiti (d.P.R. 29 gennaio 1958, 

n. 645 4rt. 151). 
Se, relativamente agli enti morali, l'esenzione dall'imposta sulle societ� 
spetti solo se le attivit� in �astratto imponibili siano riferibili ad aziende� industriali 
o commerciali che non abbiano alcuna autonomia strutturale o di bilancio 
rispetto all'ente morale medesimo e non costituiscono una fonte meramente 
indiretta di reddito (n. 663). 

Imposte e t�sse -Applicabilit� della normativa general� sulla semplificazione 
dei procedimenti in materia di ricorsi amministrativi (d.p. 24 novembre 
1971, n. 1199; legge 9 ottobre 1971, n.. 825; legge 28 ottobre 1970, n. 77-5 art. 6; 
legge 18 marza 1968, n. 249 art. 4). 

Se alla materia della finanza locale e pi� in generale alla materia tributaria 
sia applicabile il d.p. 24 novembre 1971, n. 1199 sulla semplificazione dei procedimenti 
in materia di ricorsi amministrativi (n. 661). 

Imposte e tasse -Tributi soppressi in attuazione� della riforma tributaria -Normativa 
applicabile ai relativi ricorsi amministrativi (d.p. 24 novembre 1971, 

n. 1199; legge 9 ottobre 1971,. n. 825). 
Se in ordine ai tributi locali soppressi in attuazione della riforma di cui 
alla legge di delegazione 9 ottobre 1971, n. 825, i ricorsi amministrativi debbono 
ritenersi disciplinati, ad esaurimento, dalle norme previgenti escludendosi la 
applicabilit� del d.p. 24 novembre 1971 n. 1199 sulla semplificazione dei procedimenti 
in materia di ricorsi amministrativi (n. 66.�). 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

IMPOSTE VARIE 

Cooperative -Ispezioni ordinarie delle associazioni nazionali -Contributi -Riscossione 
coattiva (legge 17 febbraio 1971, �n. 127 art. 15 -d.l.c.p.s. 14 dicembre 
1947, n. 1577 art. 2, secondo comma -T.U. 14 aprile 1910, n. 639 
art. 31). 

Se per la riscossione dei contributi di cui all'art. 15 legge 17 febbraio 1971 

n. 127 posti a carico delle cooperative per le spese relative alle ispezioni ordinarie 
previste dall'art. 2, secondo comma del d.l.c.p.s. 14 dicembre 1947, n. 1577 
possa procedersi nelle forme per la riscossione delle entrate patrimoniali dello 
Stato. e dei tributi indiretti stabilite dal T.U. 14 aprile 1910, n. 639 (n. 120). 
ISTRUZIONE 

Edifici pubblici -Edifici scolastici -Abbellimento con opere d'arte -Abolizione 
del relativo obbligo -Eseguibilit� di opere d'arte gi� progettate (legge 29 luglio 
1949, n. 717, art. 1; legge 5 agosto 1975, n. 412, art. 9). 

Se, dopo l'entrata in vigore della legge 5 agosto 1975, n. 412 che, relativamente 
all%opere di edilizia scolastica .ha abrogato l'obbligo di abbellimento 
di edifici pubblici, possa ugualmente disporsi l'esecuzione di opere d'arte gi� 
progettate a sensi dell'art. 1 della legge 29 luglio 1949 n. 71 (n. 59). 

Edilizia scolastica -Contributi statali per scuole materne -Riscatto anticipato 
(legge 24 ll{glio 1962, n. 1073 art. 15). 

Se gli enti che per la costruzione di edifici per scuole materne abbiano 
usufruito del contributo statale previsto dall'art. 15 legge 24 luglio 1962 n. 1073 
possano esercitare il riscatto anticipatamente, anzich� in rate ventennali e conseguentemente 
acquisire �subito la quota di compropriet� spettante allo Stato 
(n. 58). � 

�universit� -Concorsi per assistente universitario -Limiti di et� per l'ammissione 
-Configur�bilit� (r.d.l. 20 giugno 1935 n. 1071, art. 12 -dPR. 10 gennaio 
1957 n. 3, art. 2 -d.lg. 7 maggio 1948, n. 1172, art. 4 -legge 24 giugno 1950, 

n. 46?J. 
Se esista un limite di' et� per l'ammissione ai concorsi di assistente universitario 
(n. 57). 

LAVORO 

Lavoro subordinato -Trattamento del prestatore di lavoro investito di funzioni 
pubbliche elettive -Part�cipazione a riunioni di consigli comunali o provinciali 
-Assenza dal lavoro -Retribuzione (legge 20 maggio 1970, n. 300, 
art. 32). 

Se � il tempo strettamente necessari9 all'espletamento del mandato �, del 
quale i consiglieri comunali hanno diritto di disporre senza decurtazioni della 
retribuzione, sia solo quello occorrente per la partecipazione alle riunioni ordinarie 
e straordinarie del consiglio (n. 106). 


PARTE II, CONSULTAZIONI 

MEZZOGIORNO 

Espropriazione per pubblica utilit� -Industrializzazione del Mezzogiorno -Espropriazione 
a favore di privati -Criteri di determinazione dell'indennit� (legge 
6 ottobre 1971, n. 853, art. 15; d.P.R. 6 ottobre 1967 n. 1523, art. 147; legge 
15 gennaio 1885, n. 282, art. 12; legge 22 ottobre 1971, n. 865, artt. 16 e 17; 
legge 27 giugno 1972 n. 247). 

Se alle espropriazioni promosse da privati per la realizzazione di opifici industriali 
nel Me:lzogiorno si applichino i criteri di determinazione dell'indennit� 
stabiliti dalla legge 22 ottobre 1971, n. 865 (ed estesi dalla legge 27 giugno 1974, 

n. 247 alle espropriazioni in favore di enti pubblici), ovvero quelli contenuti 
nella legge per il risanamento di Napoli (n. 78). 
Espropriai.ione per pubblica utilit� -Opere da realizzarsi dalla Cassa per il mezzogiorno 
in Sicilia -Competenza in ordine agli atti della procedura di occupazione 
d'urgenza e di espropriazione (legge 2 maggio 1976, n. 183; d.P.R. 
l� luglio 1977, n. 683 art. 1). 

Se, dopo l'entrata in vigore delle nuove norme di attuazione dello statuto 
della Regione siciliana in materia di opere pubbliche (d.P.R. 1� luglio 1977, n. 683), 
possano ritenersi di competenza del prefetto le attribuzioni amministrative. relative 
ai procedimenti di occupazione e di espropriazione per la realizzazione di 
opere pubbliche le quali, ancorch.� non definite di prevalente interesse nazionaie, 
siano per legge attribuite alla competenza statale (come quelle di cui alla legge 
2 maggio 1976, n. 183 sull'intervento straordinario nel Mezzogiorno (n. 79). 

NAVI E NAVIGAZIONE 

Contratto per la costruzione di una nave o per l'esecuzione di lavori nella medesima 
-Natura � Revisione prezzi � Disciplina (legge 22 febbraio 1973, n. 37 

~~ . 

Se il contratto per la costruzione di una nave o per l'esecuzione di opere 
sulla medesima possa qualificarsi come appalto di opera pubblica ai fini della 
�applicabilit� della relativa normativa ed in particolare dell'art. 2 della legge 22 
febbraio 197-3,: n. 37 sull'inefficacia delle clausole che escludono la revisione dei 
prezzi (n. 144). 

NOTIFICAZIONI 

Imposte dirette sui redditi � Cartella di pagamento -Notifica (legge 29 settembre 
1973, n. 602, art. 26 -legge 29 settembre 1973, n. 60, art. 6 � art. 142 c.p.c. � 
art. 143 c.p.c.). 

Se per la notifica della cartella di pagamento di imposte dirette sui redditi 
sia consentita, quando essa avviene mediante lettera raccomandata, la sotto� 
scrizione del portiere sull'avviso di ricevimento; occorra la sottoscrizione del consegnatario 
quando costui non sia il destinatario nell'atto o persona addetta alla 
casa o all'ufficio; si debba depositare l'atto nella casa comunale e affiggere l'avviso 
di deposito si tratti di destinatario non residente n� domiciliato dimorante nella 
Repubblica ovvero del quale siano riconosciuti la residenza, la dimora e il domicilio 
(n. 37). 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Imposte sui redditi -Notifica atti �Affissione avviso a deposito -Ambito di applicazione 
(legge 29 settembre 1973, n. 600 art. 60, lett. c) � art. 140 c.p.c. -art. 142 
� c.p.c. � art. 14J c.p.c.). � 

Se la notificazione al contribuente degli avvisi ed atti in materia di. imposte 
dirette sui redditi secondo le modalit� stabilite dall'art. 60 lett. e) legge, 29 settembre 
1973, n. 600 deposito dell'atto nella casa comunale e (affissione deil'avviso 
di deposito) si appli�hi alla ipotesi di irreperibilit� del destinatario o incapacit� 

o rifiuto delle altre persone (art. 140 c.p.c.), di destinatario non residente n� dimorante
� n� domiciliato �nella Repubblica (�rt. 142 c.p..c.), di destinatatio del quale 
sono riconosciuti la residenza; la misura e il domicilio (art. 143 c.p.c.) (n. 36), 
Imposte sui redditi � Notifica atti � Sottoscrizione del consegnatario -(d.P.R. 
29 settembre 1973, n. 600, art. 60, primo comma, lett. B) � Art. 139 c.p.c.). 

Se per la . notificazione al contribuente.. degli avvisi ed atti i.Il materia di 
imposte dirette sui redditi la sottoscrizione del consegnatario prevista . dall'art. 
60, 1� comma, lett. B) occorre anche nel caso di notifica a merci proprie 
del destinatario o delle persone di famiglia, addette alla casa, all'ufficio, alla 

azienda (n. 35). _ � 

OBBLIGAZIONI E CONTRATTI 

Contratti a pubblica, fornitura -Eccessiva onerosit� sopravvenuta -Risolubilit� 
(art. 1467 cod. civ.). 

Se lt< forniture pubbliche, alle quali non sia applicabile la revisione del 
prezzo, possano essere risolte per eccessiva onerosit� sopravvenuta (n. 66). 

OPERE PUB-BUCHE 

Contratto per la costruzione di una gru mobile su binari infissi nella banchina 
di un arsenale militare marittimo�� Natura � Revisione dei prezzi � Disciplina 
(legge 22 febbraio 1973, n. 37 art. 2). 

Se il contratto per la costruzione e la messa in opera di una gru mobile, 
destinata a scorrere su appositi binari infissi in una, banchina dell'arsenale 
militare marittimo, possa qualificarsi come appalto di opera pubblica ai fini 
dell'applicabilit� della relativa normativa ed in particolare dell'art. 2 della 
legge 22 febbraio 1973 n. 37 sull'inefficacia delle clausole che escludono la revi


sione dei prezzi (n. 188). � . 

Contratto �per la costruzione di una nave o per l'esecuzione di lavori nella 
medesima -Natura -Revisione prezzi � Disciplina (legge 22 febbraio 1973, 

n. 37 art. 2). 
Se il contratto per la costruzione di una nave o per l'esecuzione di opere � 
sulla medesima possa qualificarsi come appalto di opera pubblica ai fini della 
applicabilit� della relativa normativa ed in particolare dell'art. i della legge 22 
febbraio 1973 n. 37 sull'inefficacia delle clausole che escludono la revisione dei 
prezzi (n. 187). 


PARTE Il, CONSULTAZIONI 

Edifici pubblici -Edifici scolastici -Abbellimento con opere d'arte -Aboliziane 
del relativo obbligo -Eseguibilit� di �opere d'arte gi� progettate (legge 
29 luglio 1949 n. 717, art. 1; legge 5 agosto 1975, n. 412; art. 9). 


Se, dopo l'entrata in vigore della legge 5 agosto 1975 n. 412 che, relativamente 
alle opere di edilizia scolastica, ha abrogato l'obbligo di abbellimento 
di� edifici pubblici, possa Ugualmente disporsi� l'esecuzione di opere d'arte gi� 
progettate a sensi dell'art. 1 della legge 29 luglio 1949 n. 717 (n. 189)., � 


Opere pubbliche -Direzione lavori e collaudo di opere in cemento armato e 
a struttura metallica -Ufficiali del genio militare -Equiparabilit� agli ingegneri 
ed architetti (legge 5 novembre 1971 n. 1086, art. 2). 


Se l'art. 2 della legge 5 novembre 1971, n. 1086 consenta di affidare ad ufficiali 
del genio militare, che non siano in possesso della laurea in inge-gneria � 
architettura, la direzione dei lavori e il collaudo statico di opere di conglomerato 
cementizio armato ed a struttura metallica eseguite per conto dello 
Stato (n. 186).


POLIZIA 

Esercizio di funzioni di polizia da parte del privato cittadino -Danni sopportati 
in tali circostanze -Risarcibilit� (e.e. 2041, 2043 -c.p.p. 242). 

Se i danni sopportati dal privato cittadino nel corso di una sua spontanea 
collaborazione con le forze dell'ordine (o di una sua sostituzione a quelle, 
momentaneamente assenti) debbano essere risarciti dall'amministrazione a 
titolo di responsabilit� aquiliana o se configurino invece un indebito arricchimento 
dell'amministrazione stessa (n. 50). 

. Manifestazioni e tumulti � Danneggiamenti e furti � Mancato intervento della 
polizia � Responsabilit� (e.e. art. 2043 -r.d. 1 giugno 1931 n. 773, art. 1). 

Se sia configurabile una responsabilit� aquiliana della P.A. per inadeguato 
mantenimento dell'ordine pubblico (n. 49). 

PORTI 

Demanio � Porti e approdi turistici realizzati in lagune -Classificabilit� nel . 
demanio marittimo o nel demanio idrico (r.d. 2 aprile 1885 n. 3095 -r.d. 26 
settembre 1904, n. 713 -cod. nav. art. 28). 

Se i porti turistici e i c.d. marina realizzati in lagune o su foci di fiumi 
appartengano al demanio marittimo ovvero a quello idrico (n. 22). 

Demanio marittimo -Porti turistici -Concessioni d'esercizio � Ammissibilit� 

(r.d. 2 aprile 1885, n. 3095, art. 18 '-cod. nav., art. 36). 
Se possa costituire oggetto di concessione l'esercizio di porti o approdi 
turistici e dei c.d. marina (n. 23). 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

PROFESSIONI 

Opere pt�bbliche -Direzione lavori e collaudo di opere in cemento �rmato e 

a struttura metallica -Ufficiali del genio militare -Equiparabilit� agli 

ingegneri ed architetti (legge 5 novembre 1971, n. 1086, art. 2). 

Se l'art. 2 della legge 5 novembre 1971, n. 1086 consenta di affidare ad ufficiali 
del genio militare, che non siano in possesso di laurea in ingegneria o 
architettura, la direzione dei lavori e il collaudo statico di opere di conglomerato 
cementizio armato ed a struttura metallica eseguite per conto dello 
Stato (n. 18). 

REGIONE SICILIA 

Espropriazione per pubblica utilit� -Opere da realizzarsi dalla cassa per �il 
Mezzogiorno in Sicilia -Competenza in ordine agli atti della procedura di 
occupazione d'urgenza e di espropriazione (legge 2 maggio 1976, n. 183; 

d.P.R. 1� luglio 1977, n. 683 art. 1). 
Se, dopo l'entrata in vigore delle nuove norme di attuazione dello statuto 
della regione siciliana in materia di oper!'! pubbliche (d.P.R. 1 luglio 1977, 

n. 683), possano ritenersi di competenza del prefetto le attribuzioni amministrative 
relative ai procedimenti di occupazione e di espropriazione � per. la 
realizzazione di opere pubbliche le quali, ancorch� non definite di prevalente 
interesse nazionale, �siano per� legge attribuite alla competenza statale (come 
quelle di cui alla legge 2� maggio 1976, n. 183 sull'intervento straordinario nel 
Mezzogiorno (n. 16). 
REGIONI 

Violazioni tributarie -Pena pecuniaria per comportamento conforme a legge 

regionale derogatrice di quella statuale e dichiarata incostituzionale (d.l. 

� 19 ottobre 1944, n. 348, art. 10; l.reg. Sicilia 30 giugno 1956, n. 40; d.l. 9 gen


naio 1940, n. 2 conv. in. legge 19 giugno 1940, n. 762 art. 30). 

Se possa ritenersi sussistente la violazione tributaria e applicabile le inerente 
sanzione pecuniaria �quando il comportamento del contribuente. non conforme 
alla disciplina statuale del tributo sia stato invece adeguato a norma� 
tiva regionale poi dichiarata costituzionalmente illegittima (nella specie era 
stato emesso il pagamento di Ige su scambi che i decreti accessoriali della 
regione siciliana 16 maggio 1960, n. 424 e 18 febbraio 1961, n. 336 emanati ai 
sensi della legge regionale 30 giugno 1956, n. 40 non consideravano, difformemente 
dall'art. 10 d.l.l. 19 ottobre 1944, n. 348 come atti di immissione in consumo 
(n. 254). 

RESPONSABILITA' CIVILE 

Esercizio di funzioni di polizia da parte del privato cittadino -Danni sopportati 
in tali circostanze -Risarcibili(� (e.e. 2041, 2043 -c.p.p. 242). 

Se i danni sopportati dal privato cittadino nel corso di una sua spontanea 
collaborazione con le forze dell'ordine (o di una sua sostituzione a quelle, 
momentaneamente �assenti) debbano essere risarciti dall'amministrazione a 
titolo di responsabilit� aquiliana o se si configurino invece un indebito arricchimento 
dell'amministrazione stessa (n. 295). 


PARTE II, CONSULTAZIONI 

Manifestazioni e tumulti -Danneggiamenti e furti � Mancato intervento della 
polizia -Responsabilit� (e.e. art. 2043 -r.d. 18 giugno 1931, n. 773, art. 1). 

Se sia configurabile una responsabilit� aquiliana della P.A. per inadeguato 
mantenimento dell'ordine pubblico (n. 294). 

RISCOSSIONE 

Imposte dirette sui. redditi -Cartella di pagamento � Notifica (legge 29 set� 
tembre 1973, n. 602 art. 26 -legge 29 settembre 1973, n. 600 art. 60 � art. 142 

c.p.c. � art. 143 c.p.c.). 
Se per la notifica della cartella di pagamento di impE>ste dirette sui redditi 
sia consentita, quando essa avviene mediante lettera raccomandata, la sottoscrizione 
. del portiere sull'avviso di ricevimento; occorre la sottoscrizione del 
consegnatario quando costui non sia il destinatario nell'atto o persona addetta 
alla casa o all'ufficio; si debba depositare l'atto nella casa comunale e affiggere 
l'avviso di deposito si tratti di destinatario non residente n� domiciliato dimorante 
nella Repubblica ovvero del quale siano riconosciuti la residenza, la dimora 
e il domicilio (n. 43). 

SERVITU' 

Servit� militari -Contravvenzioni � Ordine di ripristino dello Stato dei luoghi 
-Presupposti in ipotesi di giudicato penale di condanna (legge 20 dicembre 
1932, n. 1849, art. 8 � r.ij. 4 maggio 1936, n. 1368, art. 27). 

Se, sotto il vigore della legge 20 dicembre 1932, n. 1849 recante norme in 
materia di servit� militari, l'ordine di ripristino dello stato dei luoghi da ema� 
narsi dopo la conclusione del giudizio penale richiedesse una specifica disposizione 
in tal senso nella sentenza di condanna del contravventore (n. 61). 

Servit� militari -Decreto di ass.ervimento .' Errore materiale nell'indicazione 
dei fondi interessati � Entrata in vigore della legge� 24 dicembre 1976, n. 898 Rettifica 
del decreto anteriormente emanato � Possibilit� (legge 24 dicembre 
1976, n. 898, art. 13). 

Se l'err~re (nella specie: omissione) nell'indicazione dei fondi interessati 
.dalle limitazioni oggetto di un decreto d'asservimento divenuto definitivo prima 
dell'entrata in vigore della legge 24 dicembre 1976, n. 898 possa essere rettificato, 
ovvero debba procedersi alla rinnovazione della procedura d'imposizione della 
servit� militare (n. 60). 

Servit� militari -Limitazioni non ancora definite � Entrata in vigore della 
legge 24 dicembre 1976, n. 898 � Rinnovazione della procedura� di imposizione 
(legge 24 dicembre 1976, n. 898, art. 13 -legge 20 dicembre 1932, n. 1849, 
art. 4). 

Se tra le limitazioni non ancora imposte ritualmente in via definitiva alla 
data del 12 gennaio 1977 (entrata in vigore della legge 24 dicembre 1976, n. 898 
recante nuova regolamentazione delle servit� militari) vadano ricomprese, agli 
effetti della rinnovazione della procedura di asservimento nelle forme dell'art. 13 
della legge citata, le servit� oggetto di decreto non notificato e quelle oggetto di 
provvedimento anteriormente notificato ma impugnato in termini con ricorso 
tuttora pendente (n. 59). 


36 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

STRADE 

Strade -Varianti del tracciato decise dall'ente proprietario -Conseguente sp�� 
stamento cavi� telefonici -Sopportazione della spesa (r.d. 14 settembre 1931, 

n. 1775 art. 197). 
Se gli enti proprietari'. che apportino varianti al tracciato delle strade deb� 
bano sopportare le spese dello spostamento dei cavi telefonici siti, nel sot� 
tosuolo (n. 118). 

TELEFONO 

Strade -Varianti del tracciato decise dall'ente proprietario -Conseguente spo� 
stamento cavi telefonici -Sopportazione d�lla spesa (r.d. 14 settembre 1931, 

n. 1775 art. 197). 
Se gli enti proprietari che apportino varianti al tracciato delle strade debbano 
sopportare le spese dello spostamento dei cavi telefonici siti nel sottosuolo 
(n. 31). 

TRIBUTI LOCALI 

Imposte e tasse � Applicabilit� della normativa generale sulla semplificazione 
dei procedimenti in materia di ricorsi amministrativi (d.p. 24 novembre 
1971, n. 1199; legge 9 ottobre 1971, n. 825; legge 28 ottobre 1970, n. 775 art. 6; 
legge 18 marzo 1968, n. 249 art. 4). 

Se alla materia della finanza locale e pi� in generale alla materia tributaria 
sia appiicabile il d.p. 24 novembre 1971, n. 1199 sulla semplificazione dei 
procedimenti in materia di ricorsi amministrativi (n. 19). 

imposte e tasse -Tributi soppressi in attuazione della riforma tributaria -Normativa 
applicabile ai relativi ricorsi amministrativi (d.p. 24 novembre 1971, 

n. 1199; legge 9 ottobre 1971, n. 825). 
Se in ordine ai tributi locali soppressi in attuazione della riforma di cui 
alla legge di delegazione 9 ottobre 1971, n. 825, i ricorsi amministrativi debbono 
ritenersi disciplinati, ad esaurimento, dalle norme previgenti escludendosi la 
applicabilit� del d.p. 24 novembre 1971, n. 1199 sulla semplificazione dei procedimenti 
in materia di ricorsi amministrativi (n. 20). 

VIOLAZIONI TRIBUTARIE 

Violazioni tributarie -Pena pecuniaria per comportamento conforme a legge 
regionale derogatrice di q.ella statuale e dichiarata incostituzionale (d.l, 
�9 ottobre 1944, n. 348 art. 10; l. reg. Sicilia 30 giugno 1956, n. 40; d.l. 9 gennaio 
1940 n. 2 conv. in legge 19 giugno 1940, n. 762 art. 30). 

Se possa ritenersi sussistente la violazione tributaria e applicabile la inerente 
sanzione pecuniaria quando il comportamento del contribuente non con� 
forme alla disciplina statuale del tributo sia stato invece adeguato a normativa 
regionale poi dichiarata costituzionalmente illegittima (nella specie era stato 
emesso il pagamento di lge su scambi che i decreti accessoriali della regione 
siciliana 16 maggio 1960, n. 424 e. 18 febbraio 1961, n. 336 emanati ai sensi della 
legge regionale 30 giugno 1956, n. 40 non consideravano, difformemente dall'art. 
10 d.l.l. 19 ottobre 1944, n. 348 come atti di immissione in consumo (n. 10). 



INDICE BIBLIOGRAFICO 


�delle opere acquisite dalla biblioteca dell'Avvocatura Generale dello Stato 

BARTOLOMEI Franco, Rapporti economici e garanzie costituzionali. Giuffr�, 
Milano, 1979. 

BESSONE Mario, Saggi di Diritto Civile. Giuffr�, Milano, 1979. 

BIANCA C. Massimo, Le condizioni generali di contratto . (vol. 1�) -Giuffr�, 
Milano, 1979. 

CAIANIELLO Vincenzo, Lineamenti del processo amministrativo (seconda ediz.), 
UTET, Torino, 1979. 

CORSALE Massimo, Certezza del diritto e crisi di legittimit�, (seconda ediz.). 
Giuffr�, Milano, 1979. � 

CORSO Guido, L'ordine pubblico. Soc. Editrice �Il Mulino'" Bologna, 1979. 

COSTANTINO Michele, Sfruttamento delle acque e tutela giuridica. Jovene, 
Napoli, 1975. 

JEMOLO A.C., Lezioni di diritto ecclesiastico (quinta ediz.). Giuffr�, Milano, 1979. 
!,.EVI SANDRI RL., Istituzioni di legislazione sociale (XII ediz.). Giuffr�, Mi


lano, 1979. 
LEVONI Alberto, La tutela del possesso (vol. primo). Giuffr�, Milano, 1979. 
LONGO M., Diritto processuale del lavoro. UTE'�', Torino, 1979. 
MA!RESCA Adolfo, La diplomazia plurilaterale. Giuffr�; Milano, 1979. 
MAZZARELLI Valeria, Le convenzioni urbanistiche. Soc. Edit. �Il Mulino'" 

Bologna, 1979. 
RASTELLO Luigi, Revisione della disciplina dell'illecito amministrativo tribu


tario punito con la pena pecuniaria. Pistoia, 1979. 
SATTA Filippo, Principi di giustizia amministrativa. Cedam, Paciova, 1978. 
SILVESTRI Gaetano, La separazion� dei poteri. Giuffr�, Milano, 1979. 

SUMMA Antonio, Ricorsi in materia scolastica nella vigente legislazion~. Giuf� 
fr�, Milano, 1979. 

TABARRINI Agostino, I 'contratti dei comuni (seconda edizione), Giuffr�, Milano, 
1979. 

TROCLET L.E.-GU.IZZI V., Elementi di diritto sociale europeo. Giuffr�, Milano, 
1975, 

VANNINI O. -COCCIARDI� G., Manuale di diritto processuale penale italiano. 
Giuffr�, Milano, 1979. � 

VENDITTI Rodolfo, Il diritto penale militare nel sistema penale italiano (quarta 
edizione). Giuffr�, Milano, 1978. 



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